La via speciale inizio A.Pastorale 2015 2016

Page 1

LA VIA

“ . . . . . c o m e

t u t t e

l e

i m p o r t a n t i

d e l l a

v i t a

c h e

l a

s t a

a

i l

c u r a n o i

v o l t o

h a

f a r n e

d u e

a p e r t u r a

a n n o

p a s t o r a l e

a n -

f a c c e ;

e m e r g e r e

b u o n o . . . .”

C O N T A R E G L I U N I S U G L I A LT R I s p e c i a l e

c o s e

2 0 1 5 - 2 0 1 6



CUSTODIRE Don Umberto

L

’anno Santo della Misericordia indetto da Papa Francesco caratterizzerà fortemente il nostro cammino parrocchiale. Sul tema della Misericordia rifletteremo, pregheremo e soprattutto, spero, la praticheremo. Pertanto con questo numero speciale della via abbiamo voluto orientarci su un altro tema e su un’altra provocazione che il Papa in questi mesi ci ha lanciato. Nella scorsa primavera è stata pubblicata l’enciclica “Laudato sii”. Una lettera sulla “cura della casa comune”: una lettera bellissima, intensa, ricca di spunti e di motivi di riflessione. Partendo dal tema della custodia del creato il Papa allarga lo sguardo fino ad abbracciare i temi della cura del prossimo e della società. Afferma che l’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme e per affrontare il degrado ambientale dobbiamo prestare attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Considerazioni così rilevanti e profonde, oltreché preziose per tutti, corrono il rischio di essere facilmente trascurate proprio per la fretta di tuffarsi nell’anno della Misericordia. Il nostro tentativo, semplice come lo sono i nostri mezzi, è quello di non trascurare questo patrimonio di insegnamenti dedicando ogni articolo di questo speciale al tema della “cura” e del “custodire”. La cura o custodia è una realtà ambigua: si può custodire qualcuno o qualcosa per amore o per paura, si può farlo per gelosia o per il desiderio di farlo crescere. Come tutte le cose importanti della vita anche la cura ha due facce; sta a noi farne emergere il volto buono. Speriamo di averlo fatto con i nostri articoli. Abbiamo scritto della custodia dei fra-

telli (tema immigrazione) e della custodia del bene comune (impegno sociopolitico). Della custodia del creato (visite all’Expo) e della custodia del bello nell’arte (intervista a don Luigi del centro Aletti) Della custodia della fede (tema catechismo) e della custodia delle differenze

(mondialità). Sempre più persone stanno iniziando a scrivere su questo periodico. Su questo numero hanno scritto anche ragazzi molto giovani. È un bel segnale. Loro che hanno ancora bisogno di essere custoditi, comincino a sentirsi anche custodi della comunità.


“L’AMORE NON SI DIMOSTRA MA SI MOSTRA” La bellezza ci salva, passando per la via della Croce. Erika Negroni

I

n sanscrito si scrive Bet-El-Za. Bellezza la chiamiamo noi: “il luogo dove Dio brilla. Bellezza che non ci sta alla definizione da vocabolario quale qualità che appaga il nostro animo attraverso i nostri sensi, ma bellezza che ci salva e ci redime; bellezza che cammina a fianco della verità e che si unisce alla Croce. Bellezza da sperimentare e custodire, insieme. Colloquiando di bellezza, tra arte e fede, conosciamo don Luigi Razzano, prete, pittore, scultore, poeta e membro del Centro Aletti di Roma. La Bellezza salverà il mondo, è la celebre frase del grande romanziere russo. Nel romanzo L’Idiota racconta che Ippolit giovane tisico ormai prossimo alla morte, domanda al principe Myskin “in che modo la bellezza salverebbe il mondo”. Il principe non dice nulla ma sta di fronte al giovane, in silenzio. E lì rimane pieno di compassione e amore finché quello muore. La “bellezza” fa allora rima con amore e dolore?

di Dio. Solo se – come dice Florenskij – è amore realizzato. È Dio che salva. E la salvezza di Dio non è mai solo un’esperienza idilliaca. Essa attraversa necessariamente la via della croce. Come ha fatto Cristo che ha salvato non perché ha rivelato la bellezza o la verità di Dio, ma perché ha manifestato il suo amore misericordioso. E l’amore così rivelato diventa bello e vero. È con questo tipo di manifestazione che la bellezza e la verità diventano luoghi salvifici. Papa Francesco parla della “Via della bellezza”: “Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove”.

Il riferimento che lei fa a Evangelii Gadium di papa Francesco è solo un’eco di una tradizione secolare della Chiesa, riscoperta negli ultimi decenni. Sia pure timidamente, sembra si sia capito che l’annuncio evangelico ridotto alla sola azione pastorale sacraSono contento che lei inizi citando un ro- mentale, morale e dottrinale, ha finito per manziere russo. Ciò mi riporta con piacere svilire il Vangelo stesso. Un peccatore non si ai miei studi di dottorato su N.S. Bulgakov, salva solo perché decide di cambiare la sua dove anche Dostoevskij ha un condotta morale ma perché affasuo ruolo. Il silenzio del princiscinato dalla bellezza della vita pe Myskin davanti alla domanda evangelica. È il fascino di uno del giovane Ippolit mi ricorda stile di vita divino, diverso, che quello di Gesù davanti alla doattrae, convincendo intimamenmanda di Pilato: cos’è la verità? te le persone e inducendole ad Sono domande queste che non un cambiamento di vita. Esattapossono essere ridotte ad una rimente come ha fatto Gesù: la sua sposta di tipo intellettuale. Perciò evangelizzazione non richiedeva i sapienti rimangono in silenzio. prima un cambiamento moraE come voler rispondere alla le, semmai questo scaturiva don Luigi Razzano domanda: cos’è l’amore? Cos’è dall’incontro con lui, dalla la vita? Senza aver mai amato partecipazione al suo amore o vissuto. La conoscenza della bellezza non trasfigurativo. Quando l’amore coinvolge le scaturisce da una speculazione di tipo intel- viscere spirituali, allora diventa quasi istinlettuale, ma nasce da un’esperienza, da una tivo dire come Pietro: maestro è bello stare partecipazione vitale. Semmai l’intelletto qui … con te. Quest’amore trasfigura non contribuisce ad rendere esplicito l’esperien- solo lo spirito, ma perfino il corpo, i vestiti, za, ma non costituisce il luogo primordiale il creato, perciò è bello. Diversamente, deldella conoscenza. La sola speculazione in- la bellezza viene evidenziato solo il diletto tellettuale riduce la bellezza a puro concetto sentimentale ed epidermico. Si tratta com’è astratto, avulso dalla vita, e come tale non evidente di una bellezza dinamica che scapuò salvare nessuno. La bellezza diventa turisce dalla percezione della presenza delsalvifica solo se è luogo rivelativo dell’amore lo Spirito nella relazione con l’altro e dove

entrambi sono aperti all’Altro. È il Terzo di Dio che genera la bellezza e questa germoglia solo se l’uno è disposto a donarsi all’altro. Una bellezza trinitaria dunque. Si tratta di una bellezza itinerante, nomade, come amo definire anche la mia poesia, alla luce della quale diventa più facile rileggere la vicenda dei migranti, profughi, che sta caratterizzando la storia della nostra Europa. Come pensa che la bellezza ci possa aiutare a leggere in una luce nuova l’esperienza migratoria? La questione migranti e profughi diventa un problema se l’altro rimane il diverso, ma in realtà è una possibilità se ci si lascia interpellare dalla situazione, dal segno dei tempi. Non so come mai ma l’immagine che più di ogni altra mi viene quando penso a questo grande flusso migratorio di popoli è quella dell’esodo biblico. In quel caso c’era un profeta a farsi interprete di una volontà divina. Ora è certamente più complesso, ma credo che come Chiesa siamo chiamati a farci interpreti di questo evento alla luce della storia della salvezza. È in questo modo che la bellezza non si ferma alle forme creative di un individuo, ma queste possono diventare espressione di una sensibilità comunitaria. A mio avviso la riscoperta della bellezza, specie in occidente, come via dell’annuncio evangelico è efficace solo se scaturisce da questa esperienza di vita, diversamente, com’è già evidente in diversi esempi, viene ridotta ad un luogo comune o ad una moda ecclesiale e teologica. A 25 anni la vocazione artistica sembra non bastarle più e arriva la chiamata al sacerdozio. Come dialogano in lei queste due vocazioni? Ho cominciato il percorso artistico intorno all’età di quindici anni circa, contemporaneamente alla scoperta della presenza di Dio nella mia vita. Perciò esperienza artistica ed esperienza di Dio si sono integrate e sviluppate a vicenda. Con la prevalenza dell’arte, fino a quando all’età di venticinque anni, lasciai tutto per Cristo. Per vent’anni sono rimasto lontano dal mondo dell’arte, convinto come ero di dedicarmi solo agli


studi e alla vita pastorale. Poi è successo che proprio attraverso gli studi e la vita pastorale l’arte mi si è presentata non più come luogo della mia realizzazione individuale, ma come via di consacrazione a Dio. Un consacrato alla bellezza di Dio. Ecco cosa avvertivo fortemente. Parafrasando la nota affermazione di Santa Teresina del Bambino Gesù, anche io sentivo di poter dire: nella Chiesa mia madre io sarò la bellezza. Una vocazione nella vocazione, dunque, che mi ha fatto riscoprire l’arte come “sacramento”, un luogo dove partecipare della santità di Dio e crescere nella comunione ecclesiale. Questa rinnovata considerazione dell’arte mi ha portato non solo a scoprire la verità delle parole di Gesù: chi avrà lasciato casa, lavoro, moglie, figli … per causa mia e del vangelo avrà centro volte di più, ma a maturare, insieme ai miei superiori, l’arte come ministero ecclesiale. E qui è nata l’idea del Centro Logos? Sì, un Centro che avesse come compito l’annuncio della sapienza evangelica nella cultura e nell’arte contemporanea e offrisse ai giovani la possibilità di accostarsi al vangelo attraverso l’arte. Una serie di iniziative per la città e non solo, finché non è maturata la decisione di trasferirmi a Roma al Centro Aletti, dove l’incontro con p. Marko Rupnik ha come concretizzato un desiderio da tempo caldeggiato dentro di me: la comunione tra gli artisti. “Comunione” tra artisti? La possibilità di sperimentare anche a livello artistico quell’anelito di Gesù: l’Unità dei suoi discepoli col Padre, un aspetto che già vivevo da tempo a livello sacerdotale. Anche gli artisti sono chiamati a vivere la comunione trinitaria e a realizzare una porzione di Chiesa e di Regno nel mondo. Ritengo che nell’attuale panorama artistico, fortemente individualista, la comunione tra gli artisti, costituisca la testimonianza evangelica più autentica e convincente che si possa offrire a chi percepisce la dimensione sacra dell’arte e soprattutto a chi sente di vivere l’arte come servizio ecclesiale. Se è vero, come dicevo all’inizio, che la bellezza nasce dalla comunione dell’amore trinitario, allora l’arte non può non essere che un luogo in cui questa bellezza si incarna e si rende manifesta, in tutte le sue forme:

pittura, scultura, poesia, architettura, danza. Una sorta di Trinità incarnata nell’arte, per mezzo della relazione tra gli artisti. Una comunione che potremo respirare anche noi, quando a Roveleto prenderanno vita i mosaici, spazio privilegiato in cui l’arte si fa sentiero di Dio, fraternità e comunione. Cosa dire agli scettici o a coloro che sono convinto che non serva tanta “bellezza” per raggiungere Dio? La comunione è un po’ come il mosaico e gli artisti sono come le tessere: diversi per materia, per colore, per durezza, per forma, per trasparenza … ma alla fine ciò che conta è il volto che viene fuori dal mosaico, non solo quello disegnato, ma soprattutto quello più misterioso che si intravede con gli occhi dello spirito. Ed è con questo spirito che l’attività del Centro Aletti ci porta a viaggiare nel mondo. E in ogni luogo dove lavoriamo la testimonianza più gratificante che ci sentiamo rivolgere è quella che scaturisce dalla comunione che respirano mentre realizziamo i nostri lavori. Non si tratta di voler essere convincenti o di proporre nuove teorie estetiche, o di intraprendere un percorso apologetico, capace di confutare l’eclissi della bellezza nella cultura contemporanea, ma semplicemente di voler far dono all’altro di un incontro che trasfigura la vita personale, giorno per giorno. Un vecchio adagio orientale dice che la bellezza, come l’amore, non si dimostra ma

mosaico del Corpus Domini a Bologna

si mostra. Per troppi secoli si è pensato di dimostrare Dio, credendo così di convincere i cosiddetti “lontani”, oggi si prende atto che questo percorso non ha prodotto nulla, se non uno spreco enorme di energie spirituali e intellettuali. Il vangelo all’inizio si è diffuso non perché i cristiani disponevano di una capacità persuasiva nei confronti della cultura filosofica ellenistica, ma perché

animati da un incontro personale e comunitario che valicava i confini delle culture con cui interagiva è trasmetteva un amore che rivitalizzava e rinnovava ogni cosa o persona che incontrava. Noi dovremmo riscoprire questa forza fresca e rivitalizzante che porte le cose e le persone a rinnovarsi dall’interno. Uno degli errori o forse l’errore più grave che è stato commesso negli ultimi secoli dalle teorie estetiche è stato quello di aver progressivamente emarginato ed esiliato la bellezza dall’arte e quindi dalla vita. Ma grazie a Dio la bellezza si è rivelata più forte del pensiero. Essa esiste indipendentemente dal pensiero. La bellezza non è di proprietà degli intellettuali e neppure degli artisti. Essa non è circoscrivibile neppure in una forma o in una definizione, per quanto durature siano. La bellezza è di tutti coloro che sanno farsi interpreti della sua presenza nella vita. È come un bocciolo che si apre non a chi interviene con le mani, ma a chi sa attendere il dischiudersi della fragranza degli odori e della bellezza dei colori alla luce e al calore del sole. In altre parole è lo Spirito che dischiude il mistero della bellezza nei vari ambiti della vita degli uomini. Anche l’arte non è fatta solo di abilità tecnica, ma soprattutto di attesa di Colui che spira la bellezza. «Facci uscire dalle celle / delle nostre paure, / dalle secche delle nostre pigrizie / e dacci la speranza di nuovi sentieri; / per disegnare con noi / il sogno promesso / alla tua eredità». Parole tratte dalle sue liriche. Sogno, libertà e speranza: dove attingere tanto ottimismo? Mi fa piacere essere riconosciuto come un ottimista, considerando i tempi. Ma si tratta di un ottimismo che nasce da un’alchimia divina di dolori e si radica nella percezione di una promessa antica, proprio come cita la poesia, quella che Dio fa costantemente a chiunque chiama a seguire Cristo e che nel caso mio specifico si storicizza in un percorso poetico. Una poesia non come luogo di rifugio, come spesso viene considerata, ma come sguardo che viene gettato oltre le vicende della vita, uno sguardo poetico che in Cristo si fa sguardo profetico. Ecco ciò di cui abbiamo veramente bisogno in questo passaggio epocale della nostra storia.


Uno “straniero” in mezzo a noi

Diversa religione e Paese d’origine non possono essere ostacolo all’incontro

C

iò che non si conosce spesso spaventa. che continuano a dare una brutta immagine. E la paura oltre a creare false convin- L’importante è non cadere nell’errore di genezioni, impedisce le relazioni. Il Comu- ralizzare ed etichettare negativamente tutti i ne di Cadeo è un piccolo paese di provincia, musulmani». chi vive qui da quando è nato, si riconosce, si Cosa vuol dire essere musulmani? saluta, si ferma a scambiare due chiacchiere. «Non credo esista alcuna religione al monAll’interno di una comunità basata pertanto do che insegni di fare del male all’altro o a se sulla conoscenza reciproca, lo straniero di- stessi. Ogni religione predica il rispetto della venta evidente. Ancora di più, se gira in paese persona. La religione islamica è molto simile con un velo integrale, qual è il niqab, e porta i a quella cristiani, i tratti di distinzione sono figli al parco giochi. Ecco sì, vedere una don- pochissimi e non sono comunque motivo di na completamente coperta, può destabiliz- disprezzo. Semplicemente noi non mangiazare. Ma non dovrebbe scatenare reazioni di mo maiale, non beviamo alcol e preghiamo in paura. L’incontro con l’altro è possibile. Ogni moschea. Trovi siano elementi di pericolosità relazione si crea perché vi è la volontà di due della nostra religione?». persone di venirsi incontro. Non c’è sordità, Devi però ammettere che vedere in paese cecità, disabilità e non ci deve essere nemme- una donna completamente coperta crea dino un velo ad impedire il dialogo. Religioni sapprovazione, cosa ne pensi? e culture diverse non dovrebbero essere bar- «Questo accade perché per voi è inusuale. riere. Così, spinti dalla In molti altri Paese, curiosità, siamo andati come ad esempio l’Aa parlare con Islam, rabia Saudita, invece, giovane imprenditore è una scelta condivisa di 34 anni, dallo scorso da tante donne. Perché anno residente a Rovedi scelta si tratta. Non leto di Cadeo e titolare è un’imposizione né del negozio di frutta e della religione, né del verdura in centro paemarito, come l’opiniose, lungo il controviale ne pubblica è portata a Islam della via Emilia. Si contraddicredere. Mia moglie ha scelto stingue per la sua educazione, di indossare l’abito che la copre la sua gentilezza, il sorriso con cui accoglie i integralmente e tale scelta viene solitamente clienti e la disponibilità con cui li serve. Non presa per due motivi: per testimoniare devoappare “straniero”, e forse è un aggettivo che zione a Dio e per valorizzare la donna che non più non gli appartiene dato che è ormai da deve solo essere vista e apprezzata per la sua vent’anni nel piacentino, è sposato e ha tre fi- esteriorità bensì per la sua intelligenza. Coprigli di 5 anni, 2 anni e mezzo e 8 mesi. re il proprio corpo e il proprio volto è quindi Come sei arrivato in Italia? una scelta personale, che non fa del male a «La mia famiglia è egiziana. Vivevamo al Cai- nessuno. D’altra parte anche nel cristianesimo ro, una grossa città, e stavamo bene economi- le suore indossano le proprie vesti». camente. A mio padre però è sempre piaciuto Perché credi ci sia tutta questa diffidenza tanto viaggiare, è stato lui il primo ad arrivare nei confronti dei musulmani? in Italia come turista. Avevamo dei cugini a «Ciò che viene mostrato dai media favorisce Reggio Emilia e dopo aver visitato Piacen- e alimenta la paura. Eppure, i servizi della za, la città gli è piaciuta e qui siamo rimasti. stampa, si dedicano a quelle zone “calde” del Non sono arrivato con la barca. Qui sto bene, Medio Oriente dove a far da padrone sono gli la qualità della vita è migliore rispetto al mio interessi economici e la religione non c’entra Paese, in particolare la sanità, l’istruzione, le nulla. Inoltre si prende sempre come modello, infrastrutture, non a caso l’Egitto fa parte di colui che si comporta in modo negativo, ma al un continente del Terzo Mondo. Questo è mondo ci sono anche cristiani ed ebrei cattivi l’Occidente, ci sono più opportunità di cre- capaci di uccidere. La cattiva pubblicità danscita, quelle opportunità che mio padre ha neggia». voluto dare a me e che io vorrei garantire ai Tu ti sei mai sentito danneggiato? miei figli che sono nati a Piacenza. Da quando «Quando guardo i dibattiti televisivi, spesso sono a Roveleto poi, in questo piccolo paese, mi arrabbio perché non lasciano mai tempo ai riesco ad andare d’accordo con tutti, e grazie musulmani ospiti di spiegarsi e di rispondere. all’attività commerciale conosco tanta gente. E ci rimango male ogni volta che vengo sottoPeccato che ci siano quei musulmani cattivi posto a controlli maggiori dalle forze dell’or-

Valentina Paderni dine solo perché straniero. Essere trattato da diverso, anche se non sono diverso, mi tocca sul vivo. Rimane ancora molta diffidenza, quando invece bisognerebbe aprire più le porte, essere più propositivi, però ammetto che l’atteggiamento è molto migliorato rispetto a vent’anni fa. I giovani di oggi sono più inclini al dialogo e al confronto, ricordo che quando sono arrivato, per i miei genitori è stato molto più difficile». Le regole però vanno rispettate, sei d’accordo? Ad esempio, una donna completamente coperta non può entrare in una piscina pubblica. «Certo, è così anche nel mio Paese d’origine, anche se questo in tanti non lo sanno. Ma per dare la possibilità anche alle donne che scelgono di indossare il velo integrale di fare il bagno in piscina, vengono dedicati giorni specifici della settimana in cui si garantisce solo a loro l’apertura dell’impianto. Lo stesso vale ad esempio per i ristoranti. Quando sei coperta integralmente, viene difficile mangiare. Ecco che nel mio Paese, molti locali hanno dato una risposta a questo bisogno, creando delle zone riservate a chi sceglie di coprirsi integralmente». Parliamo della condizione della donna musulmana «L’errore comune dell’Occidente è la convinzione che l’uomo musulmano tratti male la donna. Non è così, anzi, forse noi la rispettiamo molto di più di quanto non si faccia in Europa o in America. Per noi infatti è inconcepibile che si utilizzi l’immagine femminile a fini commerciali, come se si dovesse vendere un prodotto non per la sua qualità ma perché pubblicizzato da un bel corpo femminile. La donna deve essere valorizzata per altro, non per la sua bellezza». I membri dell’Isis si professano musulmani, qual è la tua opinione? «La nostra religione ha la stessa vostra opinione sull’Isis. Tutt’al più quando, dai video che ho potuto vedere, alcuni degli esecutori che ostentavano la loro forza omicida, portavano sulla pelle evidenti tatuaggi. I tatuaggi però non sono permessi dalla nostra religione. Quindi, la religione viene strumentalizzata con un accezione fortemente negativa». I tuoi figli potrebbero scegliere di diventare cristiani? «Hanno libertà di scelta. Non c’è nessun obbligo. A ragion del vero, però, ti informo che i dati statistici mostrano quanto cristiani e professanti di altri religioni siano più inclini a convertirsi all’Islam che non il contrario».


Stesso cammino, passo diverso Le novità dell’iniziazione Cristiana Marisa Rocca

I

l cammino catechistico di bambini e ragazzi, organizzato e strutturato da anni su basi ben consolidate, ha visto, nel tempo, un crescente richiamo all’innovazione e al cambiamento. Il processo di rinnovamento scaturito da questo richiamo ha portato alla necessità di rivisitare, a livello strutturale, l’impostazione generale del cammino in questione. A seguito di un’ attenta riflessione e momenti di confronto, si è passati a una fase di grande lavoro di squadra per mettere a punto un nuovo programma, che sarà presentato domenica 4 ottobre presso il centro parrocchiale, in occasione dell’apertura dell’anno pastorale: Ore 17.00 incontro genitori 2° / 3° / 4° elementare, Ore 18.00 incontro genitori 5° elementare e 1° e 2° media. A differenza degli anni precedenti, il nuovo percorso sarà caratterizzato da quattro periodi significativi. Ogni periodo avrà la durata di quattro o cinque incontri per i bambini delle elementari e i ragazzi delle medie e di solo tre incontri per i bambini delle seconde elementari. Per ogni periodo è stato individuato un tema, che a sua volta sarà approfondito seguendo tre aspetti fondamentali: l’annuncio, la testimonianza, la festa - condivisione in famiglia. L’annuncio I temi verranno presentati ai bambini e ai ra-

gazzi durante gli incontri dedicati all’annuncio e con loro saranno sviluppati . Gli argomenti dei temi trattati verteranno sulla formazione della persona cristiana in ogni sua sfaccettatura e non solo sulla preparazione ai Sacramenti. La testimonianza I bambini e i ragazzi vivranno momenti autentici, profondi e tangibili attraverso testimonianze di vita o esperienze di vita comunitaria, in modo che il messaggio di fondo che ci si propone di trasmettere prenda “vita” e rimanga impresso nel loro cuore. La festa - condivisione in famiglia In occasione della “festa – condivisione in famiglia” verrà offerta la possibilità ai genitori di vivere momenti speciali e festosi insieme ai loro figli durante il loro cammino di fede. Inoltre, durante i periodi di interruzione, verranno consegnate alle famiglie delle attività da svolgere a casa per ampliare e consolidare le tematiche affrontate durante il percorso. In fondo, anche questo è un modo per stare insieme. Questo nuovo approccio, rappresenta un cambio di “passo” che condurrà comunque i bambini e i ragazzi verso l’incontro intimo e profondo

con Dio. Sarà un passo diverso, con un’ andatura del tutto nuova (I’annuncio, la testimonianza, la festa - condivisione in famiglia) ma sempre orientato verso la stessa meta. “Perché cambiare passo?” Perché ciò permetterà al messaggio di raggiungere i bambini e i ragazzi in modo più completo e più coinvolgente. Guardando il nuovo percorso nella sua interezza ci si rende conto che i temi selezionati garantiranno continuità nel tempo e una linearità che proporrà argomenti sempre nuovi. Per fare questo cambio di passo affronteremo un anno piuttosto intenso a livello di impegni, ma sicuramente gratificante. Tuttavia, mentre oscilleremo tra fatica e dedizione, ansia ed entusiasmo, rimarrà la consapevolezza di averci messo cuore e anima. Ci auguriamo di poter realizzare questo nuovo progetto facendo leva sulla vostra collaborazione e il vostro sostegno, sperando inoltre che i bambini e i ragazzi accoglieranno e vivranno questa novità con grande gioia e piacere.

Noi ragazzi all’EXPO

Impressione dei ragazzi dopo la visita ad EXPO

Q

Riccardo e Nicolò Fedeli, Filippo Ferrari, Nicolò Fornasari, Lorenzo Dallospedale

uest' anno il nostro greast ci ha offerto grandi ed elettrizzanti opportunità . Siamo stati accompagnati a visitare tanti luoghi fra cui: lo stadio di San Siro lo Juventus stadium a Torino dove abbiamo potuto vedere la basilica di Superga e conoscere la storia del " GRANDE TORO", ma la visita piú entusiasmante, emozionante ed appassionante è stata quella di " EXPO Milano 2015", una grandissima esperienza di vita e di cultura nel cibo. Appena entrati un grandissimo senso di gioia ci ha pervaso. Sembrava di essere in cima al mondo: il pianeta intero davanti ai nostri occhi. La visita è iniziata con tutti noi che ansiosi e smaniosi chiacchieravamo su cosa ci saremmo aspettati da questa esperienza. Non vedevamo l' ora di iniziare il viaggio. Tra i tanti padiglioni dei paesi presenti siamo riusciti a visitare: il padiglione Zero,

i padiglioni di: Angola, Brasile, Cina, Kazakistan, Austria, la Santa Sede più i tre padiglioni che per tanti di noi sono stati i piú significativi: gli Emirati Arabi, la Caritas, la Svizzera. Emirati arabi: spiega come un paese difficilmente vivibile per le risorse locali puó diventare tale e anche molto futuristico e ingegnoso, sopratutto con tutti i suoi abitanti che si aiutano l'un l'altro. Abbiamo pensato che dovrebbe essere così in tutto il pianeta, ma non lo è per motivi motivi ,spesso, dell' egoismo dell' uomo. Caritas: appena entrati la cosa che ci ha colpiti maggiormente sono stati i tantissimi panini vicino ad una macchina ed anche una torre da monetine da un centesimo: se ognuno offre un po' del suo tutti possono averne.

Svizzera: il padiglione della Svizzera è suddiviso in 4 piani ed ogni piano ripartito in 4 stanze. Ognuna di esse contiene uno dei cibi più diffusi in Svizzera. Nella fase di progettazione del padiglione era stato calcolato che il cibo presente potesse soddisfare il bisogno di ogni visitatore di Expo ma già al momento del nostro arrivo abbiamo dovuto constatare che il cibo era scarso. Questo padiglione ci ha colpito per il suo significato intrinseco ..... Dopo avere passato un giorno a Expo siamo usciti con un poco di coscienza e compassione verso il prossimo. Abbiamo capito che ad Expo bisogna andare per il grande messaggio che ti lascia impresso e non per mangiare.


Custodire il bene comune

Per custodire il bene comune dobbiamo imparare a “custodirci” l’un l’altro..... Daniele Ferrari

E

ra il 25 febbraio 2008, la mezzanotte era passata da poco quando il trillo del telefono sveglia tutta la mia famiglia. Una telefonata attesa, immaginata, tanto sognata: “C’è un rene compatibile signor Ferrari, è disponibile al trapianto?” Erano quattro anni che aspettavo quel momento, eppure quando ho udito quelle parole dall’ospedale di Bologna, la paura mi ha paralizzato e per qualche secondo nella mia mente c’è stato solo il buio… “Sì, sono pronto”, ho poi risposto di getto e così, inconsciamente, ho affidato la mia vita a dei perfetti sconosciuti, a medici e chirurghi che non sapevo nemmeno che volto avessero. Racconto tutto questo perché è proprio in quel momento che ho sentito emergere dentro di me il dovere (forse già presente) di mettermi in gioco, di dispormi al servizio senza aspettarmi niente in cambio, proprio come fecero quei dottori con me. È in quel momento che mi sono sentito chiamare a “custodire” la comunità che mi ha educato, visto crescere e voluto bene. Desiderio divenuto realtà: oggi sono tra chi è stato scelto per amministrare questa comunità civile. Ma cosa occorre fare perché i cittadini si fidino di me, di noi? Io riassumerei tutto in due uniche ma impegnative parole: BUON ESEMPIO. Purtroppo negli ultimi decenni i politici, a

causa di comportamenti negativi sia nella vita privata che pubblica, hanno perso credibilità, un elemento essenziale per una buona gestione della collettività. Al contrario, le persone che hanno un ruolo pubblico devono essere esempio di onestà e di trasparenza. Questo non significa che essendo onesti e trasparenti non si commettano errori, ma che questi potranno essere riparati proprio perché commessi nella buona fede e non nell’inganno. “Uno dei peggiori imbrogli del nostro tempo, e una delle più grandi sofferenze, è che si mettano in politica persone interessate al denaro, mescolandosi e confondendosi con le altre. –così scrive Josè “Pepe” Mujica, presidente dell’Uruguay, nel libro La felicità al potere, e prosegue- Chi ama il denaro si dedichi pure al commercio, all’industria o a qualche altra attività! Faccia quel che voglia, non è un peccato, ma la politica esiste per servire le persone” In politica devono scendere in campo solo le persone, proprio come sottolinea Mujica, che hanno a cuore il bene degli altri quasi fosse una missione. Quando si amministra il Bene Comune, come fosse un bene esclusivamente proprio si rischia di fare scelte che non portano benefici alla Comunità. Il Bene Comune è

il bene di tutti e occorre perseguirlo attraverso scelte lungimiranti e non di convenienza. Penso che non vi sia bene comune senza sacrifici, impegnativi e faticosi certo, ma fondamentali per raggiungere gli obiettivi prefissati. Quanti anni passano dal momento in cui un bambino entra a scuola la prima volta fino al conseguimento della laurea? Tanti! E quanti sacrifici i genitori devono fare perché questo avvenga? Tanti! Tanto impegno e sacrificio perché il ragazzo possa costruire la sua vita su solide basi. Dico questo perché penso che la nostra comunità assomigli un po’ al ragazzino nel pieno degli studi: è ancora molto giovane e ha davanti tanta strada da percorrere in questa direzione. In particolar modo penso a quelle persone che non hanno ancora maturato il senso di comunità e così non sono in grado di capire il significato di certe scelte prese per il bene collettivo. La consapevolezza dei limiti non spegne in me la grande speranza: questa comunità è giovane, con tanta vitalità e voglia di sperimentarsi. Un esempio? Le realtà di volontariato, nuove e storiche, la cui vocazione è una sola: custodire il NOSTRO bene comune.

Essere gli “angeli” custodi dei minori stranieri L’importanza della comunità socio-educativa Albatros A Piacenza c’è un luogo dove l’accoglienza diventa protezione ed educazione. La comunità Albatros, dove lavora Selena, una mia carissima amica, una di quelle persone con una spiccata sensibilità ed un’empatia tali da farsi spontaneamente prossima nell’incontro con l’altro, ospita minori stranieri non accompagnati. Si tratta di ragazzi al di sotto dei 18 anni che sono stati segnalati sul territorio italiano perché privi di figure genitoriali o di stretta parentela a cui poter far affidamento. La struttura ospita minori provenienti dall’Asia, dalla Penisola Balcanica, dal Maghreb, dall’Africa centrale e occidentale, e da altri parti del mondo. Solitamente chi

arriva nel nostro Stato deve regolarizzare i propri documenti. Le Questure avvisano della presenza di minori non accompagnati i Servizi Sociali, che si prendono in carico i ragazzi e provvedono ad avviare le procedure burocrati-che previste dalla legge. «Per i primi quindici giorni raggiungono la Comunità di Prima Accoglienza, ossia di Primo Intervento, e inizia un periodo di osservazione, dove si cerca di mettere i ragazzi in una condizione di protezione, garantendo loro un tetto, un letto, del cibo e una doccia - ha spiegato Selena, - si procede, poi, col valutare i documenti a disposizione, con l’indagare le condizioni di salute e con il ricostruire piano piano la loro sto-

Valentina Paderni

ria. Dopodiché lavorando in rete con i Servizi Sociali, si identifica il percorso scolastico (o il corso di avviamento al lavoro) più idoneo». In questi quindici giorni i minori sono costantemente assieme ai loro educatori, non possono uscire dalla comunità da soli. Quando poi si riconosce la possibilità dei ragazzi di entrare a far parte di una realtà socio-educativa, ossia verificato che non vi siano particolari disagi o problematiche, si procede all’inserimento nella Comunità di Seconda Accoglienza. Qui, dove rimangono fino al compimento della maggiore età o fino a quando non vengono presi in affido o trasferiti in altre comunità, si lavora per permettere ai minori di raggiungere l’autonomia.


La Comunità di Seconda Accoglienza è un luogo dove convivono ragazzi di diverse culture e religioni. «Per ogni ragazzo elaboriamo un progetto educativo, che aggiorniamo puntualmente ogni tre mesi - ha continuato Selena - valutando diversi aspetti della sfera sociale, dalle relazioni con la famiglia d’origine a quelle con i coetanei, dal comportamento al rapporto con il cibo o con l’igiene, dal modo di porsi con le figure adulte e il gruppo dei pari. Individuiamo poi i bisogni, le potenzialità e le risorse di ciascuno, ma anche i vincoli e i limiti oggettivi». Si cerca, inoltre, di inserire ogni minore in un gruppo sportivo «al fine di sviluppare interesse e curiosità verso l’esterno, verso ciò che è altro dall’ambiente protetto della comunità e di favorire forme nuove di socializzazione e di integrazione». Si tenta anche di valo-

rizzare il più possibile la persona attraverso colloqui mensili mirati. «La difficoltà maggiore è ottenere la loro fiducia - ha raccontato Selena - alcuni ragazzi sono stati sfruttati e costretti a lavori duri, per cui hanno un rapporto davvero conflittuale con l’autorità. Questo li rende particolarmente diffidenti. Difficile poi è anche trasmettere loro la necessità di rispettare le regole della comunità per una convivenza civile e rispettosa, a partire dai gesti più semplici come il magiare tutti assieme o il non usare il telefono a tavola. E’ una quotidiana negoziazione». Così se i minori musulmani in occasione della “festa del sacrificio” chiedono di poter mangiare l’agnello, l’équipe degli educatori cerca di far loro capire che non è sempre possibile proporre

quel tipo di carne per tutti. Una scelta che i ragazzi considerano talvolta come irrispettosa. Oppure il ragazzino straniero con la media del nove che vorrebbe avere i libri di testo nuovi, si deve invece accontentare di avere libri usati e fotocopie, una decisione che lui considera come un “non tenerci” alla sua istruzione e un non valorizzare il suo impegno. «L’equilibro è sempre labile» ma grazie a questa comunità gli ospiti sono tutelati e seguiti fino al raggiungimento del diciottesimo anno, non sono abbandonati a loro stessi. Grazie a questa comunità di accoglienza, che si fa angelo custode dei più piccoli, i minori stranieri hanno una possibilità, quella possibilità che hanno i nostri stessi ragazzi.

Custodire la differenza

Q

Riflessioni dalla sesta settimana della Mondialità

uando è stato proposto all’associazione “A gonfie Vele” di scrivere un articolo focalizzando l’attenzione sul tema “custodire la differenza”, mi sono detta che non ci poteva essere tema più pertinente per condividere con voi quella che è stata la nostra esperienza. La sesta edizione della settimana di mondialità è stata prima di tutto un viaggio. E come tutti i viaggi anche questo è iniziato carico di curiosità, voglia di conoscere e desiderio di incontrare luoghi e persone. Siamo partiti il 22 luglio e abbiamo trascorso i primi tre giorni a Gerusalemme. In un clima di sincera e genuina fraternità abbiamo percorso in lungo e in largo le strade della città santa; ci siamo fatti interrogare dai luoghi, accompagnare da qualche momento di silenzio personale e accogliere da una terra che nonostante quotidianamente mostri al mondo le sue ferite e fragilità ha la capacità di arrivare, qualunque sia la tua lingua, religione e provenienza, al cuore di ognuno. E questa è stata solo la premessa a quella che sarebbe stata la Settimana di Mondialità 2015. Domenica 26 luglio, siamo arrivati a Ibilin, al Mar Elias Educational Institutions. Con noi, sono arrivati i ragazzi brasiliani, giordani, macedoni e israeliani…Con tutti loro la mon-

dialità 2015 è iniziata. Ad accoglierci, all’ingresso dell’ampio cortile della scuola, il vescovo Chacour, che prima di qualsiasi altra carica, con cui solitamente viene presentato, è stato ed è poi diventato per tutto il gruppo “Abuna” cioè padre. L’intreccio del percorso educativo di questa edizione, aveva come tema centrale il perdono e senza voler esagerare o impedire a voi che leggete di farvi un’idea concreta, lo scambio e la condivisione di vite che i ragazzi hanno vissuto, sono state reali e autentiche esperienze di perdono. Come staff educativo, nel percorso di preparazione della settimana, ci siamo domandati molte volte e a lungo, quale minimo comune denominatore accomunava tutti i giovani partecipanti relativamente al tema. Ebbene ciò che ne è emerso è stato un vero e proprio tesoro da custodire. Attraverso i volti, le emozioni, le parole e le lacrime, le esperienze di perdono condivise hanno generato speranza che si rafforza e

Paola Gemmi

si autoalimenta non sulla base delle proprie convinzioni e tradizioni, ma al contrario, si genera e autogenera alla luce della volontà e libertà personale di conservare le proprie radici spingendo oltre lo sguardo, aprendo le braccia e incontrando l’altro non come altro da me ma l’altro come me. Non è un gioco di parole…bensì l’esperienza di mondialità. Ecco che allora in questa logica le distanze si abbattono, i confini si avvicinano, le relazioni si tessono e ognuno che partecipa, diventa fedele custode di uno o più nodi della tela. Ecco dunque, quella che è stata e quello che ha rappresentato la settimana di mondialità… quest’anno in Terra Santa. Concludo con il messaggio che ha accompagnato l’immagine qui a fianco, e che nel corso dell’ultima sera è stato consegnato a ciascun capogruppo: “Abbiamo abbracciato con le nostre mani questa terra perché potesse diventare terreno fertile, senza lasciar cadere neanche il più piccolo granello. Nelle vostre mani vogliamo consegnarla, consapevoli della fatica del lavoro ma consolati dalla certezza che qualunque sia la terra abbracciata le vostre mani saranno sempre tese a sostenerla, ad amarla e a viverla.” E così la Mondialità è pronta a spiegare nuovamente le vele… e perché no a fare ancora due passi in giro per il mondo.


Expo 2015: ad occhi aperti sul mondo Impressioni dopo la visita ad EXPO

Gabriele Ziliani

L

Punto primo: l' Expo piace! ' Esposizione Internazionale Milano 2015 sta riscuotendo un notevole successo di pubblico. Sono stati venduti finora venduti oltre 16 milioni di biglietti. In queste settimane ogni giorno circa 150.000 persone varcano i cancelli. E sabato 12 settembre, giorno di affluenza record, Si sono registrati 245.000 ingressi. È come se 37 comuni grandi come Cadeo, dal bambino più piccolo alla persona più anziana, si fossero in massa e in un sol giorno riversati nel quartiere fieristico milanese! Perchè l' Expo piace così tanto? Perché è sostanzialmente una grande fiera, una fiera internazionale, ben fatta, per certi versi rutilante e fantasmagorica, ma anche ricchissima di contenuti ed elegante. Per chi non ci andrà basterà immaginare: superati i tornelli di ingresso vi trovate in una grande strada centrale, coperta da grandi vele che la ombreggiano. Pensate alla nostra via Emilia e al controviale uniti ed estesi dalla Selta a Negri e avete un' ottima approssimazione delle sue dimensioni. Ai lati, per intenderci dove stanno a Roveleto le nostre case, vi sono i padiglioni degli oltre 130 stati e degli altri organismi partecipanti. Quindi in uno spazio confrontabile con quello del nostro paese potete..vedere il mondo. E lo potete fare in modo divertente. Ogni paese ha infatti progettato ambienti belli architettonicamente e coinvolgenti emozionalmente. In una fiera si viene colpiti dalle immagini, dai colori, dai profumi e dai percorsi, più che da testi o didascalie, e così è all' Expo. Vedere e "toccare" paesi e culture è già una grande avventura. Farlo divertendosi, come ci raccontano anche i nostri ragazzi, piace e appassiona. Punto secondo: non è oro tutto ciò che luccica. I paesi si sono messi in mostra, come è giusto sia in una esposizione. Hanno certo mostrato la loro faccia migliore, magari trascurando problemi e storture. E hanno certo anche cercato di stupire e meravigliare. L' installazione e la gestione della manifestazione hanno avuto costi altissimi. Sono presenti anche diverse multinazionali e comunque si tratta anche di un grande business. I dubbi potrebbero sicuramente essere

importanti. Mi pare però di poter dire che il tema della manifestazione abbia per così dire "costretto" tutti a una sorta di sobrietà. I paesi si presentano e vengono presentati in modo attraente, ma in genere non retorico. Insomma Expo pur essendo grande fiera mantiene una certa eleganza.Ultima postilla: uscendo e attraversando l'ordinatissimo perimetro dell'area viene da dire: però Milano e l' Italia cosa sono riusciti a organizzare! È inutile sottolineare che anche nella preparazione e nella costruzione non tutto ha......brillato. Auguriamoci che l'orgoglio di essere apprezzati anche internazionalmente ci porti, come persone e come comunità nazionale,al necessario abbandono dei nostri viscidi costumi di corruzione e illegalità.

Punto terzo: intelligenza e riflessione. Si è detto dello stile che contraddistingue Expo. Piace pensare sia dovuto all'impegno e alla creatività di tante persone. Ogni paese ha prodotto nel suo padiglione qualcosa che ne rappresentasse l'intelligenza, le caratteristiche, l'impegno. La creatività dei singoli sembra acquisire senso proprio perché è tesa a mostrare al mondo uno o più aspetti della propria comunità. Il visitatore apprezza questa sintesi di fantasia e realtà. E percepisce infine che molti temi accomunano gli uomini, anche se lontanissimi geograficamente e culturalmente, e che conoscere è l'inizio del capire e a volte anche dell'amare. Punto quarto: il tema: Nutrire il pianeta,energia per la vita. Lo stile di Expo 2015 e le riflessioni a cui spinge sono volute e dettate dal tema della manifestazione. Quasi tutti i padiglioni si occupano della difesa dell' ambiente e dello sviluppo eco-compatibile dell' agricoltura e

dell' economia alle più varie latitudini dei paesi del mondo. Il titolo di Expo ha quindi spinto tutti a coniugare tutela dell' ambiente e sviluppo umano ed economico. Per noi cristiani ogni padiglione è un approfondimento del tema del Prendersi cura. Prendersi cura della natura,del pianeta e prendersi cura l'uno dell altro e gli uni degli altri. Papa Francesco con la sua Enciclica" Laudato sii" ci ha richiamati all'urgenza di guardare al creato e agli uomini con occhi di attenzione e senso di responsabilità per il bene comune. E lo ha fatto denunciando anche con durezza il consumismo imperante che ci trasforma in persone e società non più capaci di guardare alle risorse naturali come a beni donatici e da preservare, ma come oggetti da possedere. Francesco scrive che «un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale e deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della Terra quanto il grido dei poveri». Tenendo queste parole in mente e nel cuore possiamo visitare i padiglioni dell' esposizione e conoscere e sperare. Conoscere la bellezza dei paesi del mondo e sperare che gli sforzi che i popoli fanno per migliorare l' utilizzo delle risorse migliori le condizioni di vita degli uomini. La fame, la povertà, le migrazioni di massa, l' accesso negato a risorse basilari come l'acqua, la povertà culturale che impedisce il benché minimo sviluppo sembrano dirci che l' energia per la vita è esaurita o si disperde posseduta solo dai forti e dai potenti. Chi ha pensato i padiglioni dell' Expo cerca di dirci che non è così, che ogni paese e cultura sta cercando di trovare vie nuove e antiche per progredire in modo realmente "ecologico" e

che un pò di tutto ciò dipende anche da noi. Lasciamo Milano: ci accompagna la speranza che gli uomini trovino sempre l'energia per nutrire il pianeta e siamo più consapevoli del legame tra la nostra vita e quella degli altri e del mondo.


Un libro,un film, un teatro La nostra pagina della cultura

IL LIBRO

E. Carrère, IL REGNO, Adelphi

Carrère è indubbiamente uno degli autori più letti degli ultimi anni. Eppure anche presso i suoi più affezionati lettori il successo de “Il Regno” ha destato un certo scalpore. Si tratta di un libro impegnativo (più di 500 pagine) ma in grado di afferrarti completamente. Chi scrive l’ha letto, anzi gustato, tutto d’un fiato. Si tratta di un’ indagine sulla nascita del cristianesimo fatta da un agnostico, un non credente che per alcuni anni della sua vita ha aderito al Vangelo, abbandonando poi la

IL FILM

sa da dirgli. Per questo le pagine autobiografiche sono intensissime,vere, quasi commoventi. Come le ultime righe “Il libro che termino ora l’ho scritto in buona fede, ma cerca di avvicinarsi a qualcosa di tanto più grande di me da far sembrare questa buona fede ben poca cosa, lo so. L’ho scritto portandomi dietro il peso di ciò che sono: un uomo intelligente, ricco, colto, tutte posizioni di handicap per chi vuole entrare nel Regno. Comunque ci ho provato. E nel momento di lasciarlo mi chiedo se questo libro tradisca il giovane che sono stato e il Signore in cui quel giovane ha creduto o se invece ci sia rimasto, a suo modo, fedele. Non lo so.”

WELCOME (2009), di Philippe Lioret

Bilal, un diciassettene curdo-iracheno arrivato clandestinamente fino a Calais, vuole raggiungere la fidanzata Mina a Londra. Non riuscendo a passare la dogana con le sue guardie di frontiera e i cani, si mette in testa di attraversare la Manica a nuoto. La Manica

IL TEATRO

fede. Stupisce che un ateo compia una analisi del genere, seria, approfondita, ironica e intelligente. Il libro è scritto con un tono quasi romanzato che lo rende godibilissimo. Indulge qualche volta alla fantasia, ma l’autore stesso lo ammette. In una parte del mondo cattolico ha destato scandalo. Francamente io non mi sono scandalizzato. Mi sono sentito provocato, ma di quelle provocazioni che fa piacere ricevere. Non si tratta dell’ennesimo libro per criticare i cristiani o la Chiesa, ma di un libro in cui un uomo lontano da Dio continua a chiedersi se in fondo il Regno non sia anche per lui e se Cristo non abbia ancora qualco-

a nuoto: sta qui il mattone primo, il nucleo drammaturgico su cui è costruito tutto il film. Per riuscire nella sua folle impresa Bilal va in piscina a prendere lezioni di nuoto ed è lì che conosce Simon.. “Lui vuole varcare a nuoto la Manica per raggiungere la sua ragazza, io non ho neanche attraversato la strada per fermarti quanto te ne sei andata”, dice alla moglie che non ha mai smesso di amare. Simon addestra Bilal, lo prepara alla grande impresa anche se cerca di dissuaderlo, si coinvolge nella sua vita e lo coinvolge nella propria, lo ospita rischiando

maldicenze e denunce. Lo fa perché forse vede in lui il figlio che non ha e vorrebbe, per realizzare attraverso di lui qualcosa di grande o solo per naturale generosità, per compassione verso chi è diseredato. Simon è un buono. Un giusto. Sa che non potrà mai risolvere i problemi dell’umanità, ma sa che i problemi di qualcuno può risolverli, e quel qualcuno per lui è Bilal. Film di assoluta attualità. Se si pensa al titolo, ci rendiamo conto che non tutti “sanno dire welcome”.

CREDOINUNSOLODIO, di Stefano Massini

Credo in un solo Dio o Credo in un sol Odio: si può leggere in entrambi i modi il titolo della nuova produzione del Piccolo Teatro. Tre ritratti di donna, tre culture, tre religioni, tre percorsi di vita. Le loro storie procedono parallele, all’apparenza inconciliabili, eppure destinate fino dall’inizio a un epilogo comune, nel grande labirinto della cosiddetta Terra Santa, in cui il tritolo si infiamma con la facilità dei fuochi d’artificio, e le paure si insinuano nel sangue come iniettate in endovena.

Eden Golan, docente di storia ebraica. Mina Wilkinson, più o meno nascostamente in forza a un esercito straniero. E infine Shirin Akhras, ventenne studentessa palestinese. I loro punti di vista si intrecciano e si allontanano, fra improvvisi rischiosissimi incontri e vertiginose contrapposizioni, sfiorando talvolta il brivido inconsulto di una perfetta sintonia. Ma non è consentito combattere dalla stessa parte, sulla scacchiera in cui tutto vive di contrapposizioni. In una drammaturgia condotta su tre binari narrativi, senza mai dialogo, la vicenda si nutre di echi e di rimandi , convergenze e antitesi, e dopo un crescendo inarrestabile culmina nel fuoco purificante e maledetto dell’enne-

simo sacrificio. Frutto di un profondo studio della situazione e delle motivazioni, l’opera procede con un meccanismo a orologeria , fitto di capovolgimenti e di cambi repentini di punto di vista, lasciando come sempre al pubblico ogni giudizio e ogni conclusione. Un mosaico di sensazioni, riflessioni e stati d’animo, rappresentati in un puzzle di solitudini, laddove niente è più spiazzante che l’assoluto eterno confronto con i propri ideali e le proprie credenze. Ne nasce una drammaturgia incoerente, contradditoria, sempre lontana dal chiarimento, appesa al filo di un equilibrio impossibile e di un appuntamento in eterno rimandato.


“Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla. Forse mentre ne parliamo sta affiorando..... Ma tutto è inutile se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale.....quell l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui : cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio” ( I. Calvino , Le Città Invisibili ).

www.parrocchiaroveleto.it Responsabile don Umberto Ciullo via Emilia 144, 29010 Roveleto di Cadeo Pc tel. 0523 509943 www.parrocchiaroveleto.it stampa: Puntodigitale Roveleto di Cadeo


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.