La Via speciale Pasqua 2017

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Speciale S. Pasqua 2017

...perchè restassimo LIBERI Gal. 5,1


SOMMARIO 3.

Editoriale: Liberi

don Umberto

4.

Libertà e il coraggio di viverla

Marco Vallisa

5.

Libertà di vivere, parlare e insegnare

Marica Toma

Libertà è vera libertà quando è partecipata

Valentina Paderni

8.

Libertà è partecipazione

Daniele Ferrari

9.

Libertà persa, libertà ritrovata

Silvia, Davide, Pietro

10-11.

Chi muore a causa dell’amore risorge più libero

Erika Negroni

12-13

Internet: libertà o inganno ?

Stefano Costi

14.

Alla ricerca della libertà

Davide Pappalardo

15.

La nostra pagina della cultura : un libro, un film, un teatro.

6- 7


Liberi Don Umberto

“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1) “Sai, essere libero costa soltanto qualche rimpianto” Così canta Vasco Rossi in un suo recente pezzo. Francamente mi chiedo che rimpianto ci possa mai essere nella libertà. Forse intende la libertà affettiva, la libertà di chi non ha nessuno a cui rendere conto. Il rimpianto conseguente sarebbe allora frutto della solitudine. Ma per fortuna non esiste solo questa idea di libertà. C’è una libertà cristiana che è frutto della Pasqua; Pasqua infatti è il passaggio dalla schiavitù alla liberazione del popolo d’Israele in Egitto. Ma è anche il passaggio dalla morte alla vita. In che consiste quindi questa libertà? È la libertà dal male che opera in noi. Di questo male infatti noi siamo schiavi. Schiavi sono tutti coloro che operano il male; coloro che uccidono un coetaneo, che distruggono le amicizie, che infangano la dignità umana. Nessuno di costoro, neppure il malvagio incallito sceglie il male: ciascuno sceglie ciò che ha imparato, ciò che sembra promettergli una sicurezza o una vittoria sugli altri. Non si sceglie il male per il male, ma solo perché sembra l’unico modo vantaggioso di vivere. E cosi non si è mai liberi quando si fa il male. Non è che se si sceglie il bene o se si sceglie il male si compie comunque un atto libero. Le cose stanno diversamente. Se si aderisce al bene la libertà fiorisce e si conferma; se invece si aderisce al male la libertà va distrutta. Noi diventiamo liberi proprio impegnandoci nella lotta interiore contro le forze distruttive come l’avidità, l’ignoranza, l’egoismo, l’orgoglio.

Tutte cose riconducibili alla paura; la paura di perdere qualcosa di essenziale per noi stessi. È contro questa paura che la Pasqua agisce. Ed è per questo che è un dono liberante; perché esiste solo la libertà del bene. Il resto è schiavitù. La libertà cristiana quindi è una adesione, un legame. Un legame al sommo bene che è Dio. Il che non comporta, onestamente, nessun rimpianto. In questo numero della VIA abbiamo voluto, come sempre declinare la parola “libertà” sotto diversi aspetti. Mentre immaginavo l’uscita della nostra rivista, ho ripensato tanto alle parole di un salmo, il 126, che spesso recito nel Breviario: “noi siamo stati liberati come un uccello dal laccio dei cacciatori, il laccio si è spezzato e noi siamo scampati.” (Sal 126, 6). Arrivassimo a sentire almeno un poco il gusto di questa libertà, certamente sarebbe una buona Pasqua per noi.

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Over the town

Marc Chagall


Libertà e il coraggio di viverla La libertà non è solo la nostra, ma anche degli altri

Pensi di vivere una vita normale, lavoro, famiglia, amici, e poi ti accorgi, all’improvviso, che tutto non è cosi scontato, che quello che pensi sia la tua vita in realtà può cambiare. Noi diamo per scontato che siamo liberi di vivere la nostra vita, con tutti i problemi quotidiani che possiamo avere, o i momenti di felicità che la vita ci riserva, ed ecco che qualcuno, per svariati motivi, ti toglie tutto questo. Ti priva della tua libertà, sei chiuso in una cella buia, per 130 giorni, e mediti sul senso della vita, hanno tolto la libertà a me, ma hanno tolto la libertà alla mia famiglia, ai miei figli di vivere una vita normale, non sai se tornerai, ed il peso più grande è di sapere che i tuoi figli e tua moglie forse non sapranno mai che fine hai fatto, una vita non libera, ma gravata da un peso enorme. Diamo per scontato tante cose, che in realtà non sono, e 130 giorni di prigione, in una cella buia, sono un luogo in cui riscopri tante verità su cui non hai riflettuto abbastanza. Rivivi il tuo passato, e ti accorgi di aver commesso tanti errori, o perlomeno avresti potuto fare meglio, che essere liberi è anche prendersi certe responsabilità che molte volte ignoriamo, per comodità, per pigrizia. Vorresti chiedere scusa a molte persone,

CADEO NEL CUORE

ed ora che ne sei consapevole, purtroppo non hai la libertà per poterlo fare. Però una libertà, anche se in prigione, me la sono presa, ed a costo della mia stessa vita, ho fatto una croce sul muro della mia cella e mi rivolgevo ad essa quando pregavo, perché la libertà va conquistata e mantenuta ad ogni costo, contro ogni pericolo, è nella natura dell’uomo che vuole crescere

e migliorare sempre, che non si arrende ad una vita scialba, è la luce che deve guidarci, oltre alla nostra fede. Ti accorgi di quanto l’uomo possa essere cattivo nei confronti dei suoi simili, ma

a Marco è stato conferito il riconoscimento CADEO NEL CUORE 2017 con la seguente motivazione: “ durante la sua prigionia ha risvegliato nel paese il senso di appartenenza alla nostra comunità” -4-

Marco Vallisa

penso che solo la nostra umanità possa cambiare questo, e l’input più importante sia mantenere vivo il senso della libertà, non solo la mia libertà, ma rispettare soprattutto la libertà degli altri, considerare tutti importanti, non umiliare o denigrare nessuno, dare la giusta importanza a chiunque, solo cosi sei libero e rendi liberi i tuoi fratelli. 130 giorni in mano all’isis ti fanno molto pensare sul senso della vita, e quando pensi che oramai è il tuo turno per morire, che da quell’inferno non ne uscirai mai più, ecco all’improvviso che la porta si apre ed entra la luce, la vita e la libertà, è come rinascere. La libertà, un dono preziosissimo, che dobbiamo mantenere sempre presente, ed alimentare con la nostra passione di uomini e donne, nell’amore e nel rispetto del prossimo, non dobbiamo essere egoisti, perché la libertà non è solo la nostra, ma anche degli altri, di tutti, anche di quei poveri disgraziati che mi hanno catturato e torturato, anche loro vittime di mancanza di libertà, libertà di poter studiare, di vivere una vita dignitosa, di poter pensare da uomini liberi. La libertà, uno dei doni più preziosi che l’uomo ha, ma che va alimentata sempre l’un l’altro, perché solo cosi potremmo mantenere la nostra, senza paure e senza egoismi.


Libertà di vivere, parlare e insegnare Don Lorenzo Milani Penso che la prima vera libertà sia quella di scelta. Poter scegliere con la propria testa, i propri valori, le proprie idee, senza farsi condizionare, ma per fare ciò è indispensabile prima formarsi delle idee, avere delle opinioni basate su conoscenze e competenze. Non si può parlare liberamente di ciò che non si sa e il cammino per imparare è lungo, merita passione e compassione nel senso che non si può fare da soli, occorre avere dei compagni di viaggio che ti accompagnino trasmettendo e ricevendo informazioni, riflessioni, sensazioni. La mente umana apprende attraverso molti canali, diversi per ognuno di noi, è ciò che sperimento ogni giorno con i miei alunni, imparare significa mettersi in gioco, aprirsi agli altri consentendo a tutti di esprimere le proprie ricchezze, ognuno di noi ha tanti doni significativi e la scuola può mettere in risalto queste capacità, è suo il compito di far diventare consapevoli i ragazzi di quello che sono e di come possono aumentare il loro bagaglio di cultura che è indispensabile per la formazione personale. Queste idee, per noi oggi forse scontate, non lo erano nella scuola degli anni ’50 in cui, come diceva Don Milani, gli alunni erano divisi in classi sociali e spesso ai poveri non era data la possibilità di studiare, venivano mantenuti nell’ignoranza proprio per non permettere loro di capire in profondità la realtà che li circondava e quindi di non poter intervenire ad esempio nella politica. Nel libro “Lettera a una professoressa” scrive:” Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati. La scuola ha un problema solo: I ragazzi che perde. La vostra “scuola dell’obbligo ne perde per strada 462.000 l’anno” . Sullo stesso argomento nel testo “Esperienze pastorali “aggiunge: “Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come

faccio a averla piena … Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola … Bisogna aver le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti, ma schierati. Bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero a un livello superiore. Non dico a un livello pari a quello dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto”. Don Milani affermava che bisognava far prendere coscienza ai giovani delle classi sociali meno privilegiate, della necessità che divenissero protagonisti del loro futuro, rifuggendo da schieramenti preconcetti, ma distinguendo il vero dal falso, ragionando sempre con la propria testa e questo era possibile solo con la cultura. Quando il giovane parroco nel 1954 viene mandato in “esilio ecclesiale”, per farlo tacere dato che nel suo apostolato applicava il Vangelo senza alibi e compromessi, accusato di diffondere idee “cattocomuniste”, si trova in mezzo all’Appennino toscano, in un paese (se così si poteva definire): Barbiana di circa quaranta anime disperse in case tra i boschi e i campi, isolate tra di loro; non c’erano: strade, acqua, luce. C’erano la chiesa e la canonica e lì Don MIlani inizia con sei “ragazzi del popolo”che avevano terminato la scuola elementare, il suo rivoluzionario modo di fare scuola: unico maestro, con un unico libro che leggevano a turno. Lui, proveniente da una famiglia agiata di grande cultura, che aveva studiato fino a 20 anni prima di seguire la vocazione, decide di trasmettere il suo sapere a quei ragazzi in modo attivo, ma coinvolgente, è severo e richiede ai giovani coerenza tra idee, parole e comportamento pratico, senza mai rinunciare alla gioia di dire sempre la verità e di vi-

Marica Toma vere senza alcun formalismo. Fonda una scuola di avviamento industriale, poverissima, diversa da tutte le altre con i tavoli e le sedie costruiti dai ragazzi, la prima carta geografica fatta a mano, l’atlante storico murale, lo studio del Parlamento Italiano, la piramide della selezione scolastica, la formazione delle Repubbliche in Europa, la nascita degli Stati indipendenti dell’Africa, la conquista del diritto Universale del voto, l’astrolabio costruito dagli scolari, l’officina, la fucina e la piscina sterrata dai ragazzi e dai loro genitori che riescono a convogliare un rigagnolo che scende dalla montagna scavando un canale per due chilometri e costruiscono dei filtri per rendere l’acqua meno fangosa, perché per don Lorenzo era importante che quei ragazzi sapessero nuotare e soprattutto voleva che vincessero la paura che i montanari hanno della forza dell’acqua. Nel 1961 don Lorenzo accompagna i primi sei ragazzi della sua scuola in Germania. Era la prima volta che si recavano all’estero. A Stoccarda e a Monaco visitarono musei, chiese, fabbriche e scuole. La libertà si conquista con la consapevolezza che la cultura non ha confini territoriali: è universale. L’arte, la musica, la scienza sono un bene di tutti e condividerlo riesce ad unire i popoli. La libertà è mettere passione in tutto ciò che si fa perché ci si crede. Su una parete della scuola di Barbiana vi era scritto a caratteri cubitali il motto dei giovani americani “I CARE” traducibile con “Mi sta a cuore, me ne importa” come sottolineava don Lorenzo: “E’ il contrario del motto fascista “me ne frego”. (Lettera ai giudici,). Oggi più che mai c’è bisogno di trasmettere questo valore: abbiamo bisogno di partecipare attivamente alla nostra società di non farci travolgere dal menefreghismo che ci porterebbe alla schiavitù della rinuncia, a prenderci cura di ciò che ci importa, oggi più che mai c’è bisogno di diffondere l’importanza della cultura che sembra essere sopraffatta dai social e dai tweet . Solo chi sa è libero di essere.

Oggi l’eredità di Don Milani continua nelle numerose scuole in tutto il mondo che seguono i suoi insegnamenti. Per approfondire la conoscenza del suo metodo e delle sue idee mi permetto di consigliare la lettura dei suoi testi in modo particolare: Lettera ad una professoressa, Esperienze pastorali, A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca. Molto interessante è anche il testo di E. Affinati L'uomo del futuro, sulle strade di don Lorenzo Milani (Mondadori, 2016), presentato lo scorso anno dall’autore (fondatore della scuola Penny Wirton) nella nostra biblioteca. -5-


«Libertà è vera libertà qua L’e s p e r i e n z a d i d o n A d a m o i n m e Dall’8 gennaio 2010 è cappellano della struttura sono in realtà simili, ed uguaCasa Circondariale di Piacenza. Dopo po- li nella loro dignità, desiderosi di essere chi mesi dall’ordinazione sacerdotale, nel guardati da un prete. Pertanto oggi non giugno 2009, quando aveva 40 anni, don sto più tanto a pensare dove devo andare, Adamo Affri ha iniziato il suo ministero con chi devo parlare. Lascio che accada in carcere. «Avevo sentito che c’era biso- e nel muovermi mi fermo laddove dove gno - racconta - ma non osavo chiedere di sento ci sia bisogno, che sia un detenuto ottenere l’incarico. Poi, don Gianni Vinci- recluso da anni, che sia l’ultimo arrivato, ni, ha saputo mettere insieme le due cose: o il poliziotto piuttosto che l‘infermiere. la necessità di sostituire il precedente D’altra parte il carcere è una comunità di cappellano e il mio desiderio frutto della persone, che hanno sì ruoli differenti ma mia vocazione a camminare con i poveri, che affrontano le stesse difficoltà del vivematurata all’interno della Comunità Papa re quotidiano». Giovanni XXIII». Così don Adamo entra, quasi ogni giorno, Come si vive in un ambiente che ti codove nessuno vorrebbe mai doversi ritro- stringe a non andare oltre le mura di un vare. «Vado dove non va nessuno, dove ci edificio? sono poveri tra i poveri» - spiega. Con il «Hai la possibilità di svolgere diverse atsuo sì, pronunciato ormai sette anni fa, si tività: c’è il momento della palestra, c’è il impegna quotidianamente per rispondere campo per giocare a calcio, si frequenta la ai bisogni dei detenuti. «Quando ho ini- scuola, non devi prepararti da mangiare ziato - ammette - avevo il timore di non perché il cibo te lo portano ogni giorno. essere all’altezza di una realtà così dura, di Quindi, diciamo che è come se si vivesse non riuscire ad incontrare le loro esigen- in parte la dimensione universitaria di un ze. Poi, ho iniziato a familiarizzare con i college americano: sei chiuso in una strutdetenuti, gli agenti e le persone che ogni tura dove ti abitui in modo sereno a ritmi giorno vanno e vengono, così, il carcere è standard preimpostati. diventato un luogo dove vado volentieri, Ho capito presto che il carcere, infatti, è dove ho desiderio di entramolto duro non per il dere per vivere appieno il mio tenuto quanto piuttosto ministero. Non riuscirei ad per i familiari che devono immaginarmi da nessun’alaffrontare la vita di tuttra parte. E’ un’esperienza ti giorni fuori, un fuori davvero arricchente». dove bisogna guadagnarsi Chiacchierare con don il cibo, un fuori che tenta Adamo, oltre che piacevole, di tutelare ad esempio i fiè estremamente sorprengli dicendo loro che papà dente. La sua semplicità è dentro perché deve laogni volta spiazza, regalanvorare, un fuori che sente don Adamo Affri doti interessanti spunti di il peso di dover sostenere riflessioni. Non ci si stanca di ascoltarlo e una realtà sospesa tra un presente difficile, lui sembra non si stanchi di parlare. Fin da un passato che fa nascere tante domande subito instaura un rapporto di vicinanza. e un futuro incerto. D’altra parte l’uomo si La prima cosa che mi ha detto è stata: adatta a tutto, anche ad una condizione di «Diamoci del ‘tu’». reclusione. Le mura del carcere diventano La nostra conversazione, il nostro dialogo quasi una forma di tutela di ciò che accade scambiante, è iniziato da qui. all’esterno. Ci sono carcerati che non hanno mai lavorato prima delle reclusione e Chi sono le persone che incontri ogni che in carcere hanno scoperto passioni e giorno? sviluppato interessi. Per i familiari fuori, «Quando ho cominciato pensavo di essere invece, è tutto molto più faticoso. La vita, il prete dei detenuti ed ero quindi molto per chi è fuori, è molto più dura». orientato verso di loro. Con il tempo mi sono accorto che tutte le altre persone che Di cosa hanno bisogno i detenuti? hanno funzioni diverse all’interno della «I bisogni sono i più semplici ed imme-6-

diati, e proprio perché semplici se non soddisfatti tendono a far scaturire reazioni di dissenso esagerate. Guai, ad esempio, se non si hanno le sigarette, se non si ha la solita abbondante razione di cibo, se non si può uscire a giocare a pallone perché c’è brutto tempo. Basta davvero poco per mandare in tilt tutti. Quando ci parli, poi, scopri il loro bisogno più profondo, che è quello di sentirsi considerati persone, di sentirsi accolti come persone, indipendentemente da quello che hanno commesso, di avere la possibilità di esprimersi e partecipare ad una vita nuova con una prospettiva di futuro, sebbene si abbia la tendenza a rimandare il dialogo sull’uscita. Si teme l’arrivo di quel momento, perché si ha paura di tornare nelle dinamiche di prima, di deludere nuovamente i familiari. Dentro si è tutelati, c’è collaborazione, se qualcuno è in difficoltà e ha bisogno di parlare e confrontarsi viene segnalato per poter essere ascoltato. Così la domanda diventa: come faccio quando esco? E non avere una risposta è un vero dramma. Un detenuto che si riaffaccia all’esterno si sente disorientato. Ha bisogno di una guida che lo possa indirizzare: il mondo è andato avanti per conto suo, mentre lui era fermo in uno spazio limitato dove aveva con-tatti con la televisione certo, ma non con la vita concreta». Ciò che hanno fatto li ha cambiati? «Diversi sono i detenuti e diversi sono i gradi di sofferenza. Ad esempio, i cosiddetti sex-offender, coloro che sono cresciuti con l’idea che per poter avere affetto se lo devono prendere con la forza, tendono a negare. Il reato che hanno commesso è inciso nel profondo ed è difficile portarlo a galla, in un faccia a faccia con se stessi. Chi commette un omicidio fa fatica a portare il reato dentro di sé troppo a lungo, così dopo uno specifico cammino arrivano a riconoscere quanto commesso. C’è pertanto chi fa molta fatica ad entrare in contatto con la profonda ferita che ha dentro e chi riesce a recuperare quella sensibilità che lo porta a maturare la consapevolezza di ciò che ha fatto. Affrontato il senso di colpa, riconosciuta la responsabilità, ci si mette in cammino. E, a questo punto, sentirsi accolto da chi hai di fronte è poter dir: ‘Io sono più grande del rea-


ndo è libertà partecipata» zzo ai carcerati, tra bisogni e paure to che ho commesso’. Da questa scoperta del sé, si può ricominciare. Un’operazione, questa, che è molto più facile riesca sui giovani che non sui detenuti con più di 50 anni». Che cosa è la non-libertà? «La non libertà è sentirsi un numero, sentire che non sei caro a nessuno, che nessuno si prende cura di te, che se ci sei o non ci sei è la stessa cosa, che la tua presenza o la tua assenza nella vita non fa differenza. Ciò che fa uscire un detenuto dall’anonimato è la possibilità di svolgere un lavoro. Con il lavoro si sentono scelti come persone. Il lavoro apre un nuovo orizzonte, dà la possibilità di instaurare un dialogo anche su argomenti più profondi. Come prete, anche se forse non dovrei, mi sento di dire che la cosa più necessaria è il lavoro, attraverso cui la persona ha la possibilità di esprimersi, di porsi domande, di comprendersi e accogliersi. Il lavoro dà dignità. Non posso parlare di fede a chi si sente escluso, la vivrebbe come qualcosa di troppo astratto e lontano. Cominciando a lavorare, invece, un uomo si sente guardato, considerato, ed inizia a sbocciare. Da quel momento posso anche iniziare ad esaltare la fede». Don, secondo te, la libertà è una risorsa o è un’arma? Alla fine chi commette un reato lo fa perché ciascuno di noi è libero, completamente libero, di fare ciò che vuole, sempre. Quindi forse la libertà non è poi così bene, non porta sempre ad un lieto fine. E’ un potere e si sa, il potere non ha proprio un’accezione positiva. Non a caso per Sartre, la libertà è una condanna. Cosa ne pensa? «Libertà è vera libertà quando è libertà partecipata, quando non la si dà per scontata ma la si fa crescere dentro ad un contesto di confronto e provocazioni. Più volte, mi sono accorto che chi era solito prendere posizioni di petto, crescendo in un ambiente di fiducia e di ascolto reciproco che accompagna alla profondità del pensiero, è riuscito a cambiare desideri e scelte. Quindi la libertà del ‘fare ciò che si vuole’ è falsa libertà. La vera libertà è solo quella partecipata». Nella Genesi si legge: «Dio desidera che

Valentina Paderni

l’uomo sia libero, infatti, Egli gli donò ta da Dio, ogni vita porta a Dio. Anche una tale facoltà al momento della creazione». vita ferita e rovinata, che ha fatto del male Poi però arriva la Chiesa che fissa del- e si è fatta del male, dentro di sé è sempre le regole e non lascia poi tanta libertà, benedetta da Dio». pensiamo al matrimonio omosessuale, all’eutanasia, al sacerdozio femminile, La nostra intervista finisce qui, ma prima alla possibilità dei sacerdoti di crearsi di salutarci, don Adamo ci lascia invitanuna famiglia...queste non sono regole doci a partecipare ad un importante evendettate da un amore libero e incondizio- to, svelandoci la data in anteprima. Il 21 nato che Gesù Cristo ha donato a tutti aprile, la Diocesi ripropone la seconda edinoi. O sbaglio? zione della fiaccolata, guidata dal vescovo «Mi sono interrogato tanto su questo e ho Gianni Ambrosio, che partirà, alle 20.30, capito che i detenuti riescono a sbocciare dalla chiesa di Santa Franca per raggiune a diventare persone nuove, proprio per- gere il piazzale antistante alle Novate. A ché all’interno del carcere ci sono regole di differenza però dello scorso anno, in cui convivenza, ci sono orari da rispettare e at- l’iniziativa era dedicata alle opere di mitività da seguire. Finché erano fuori pensa- sericordia, quest’anno assumerà un tono vano di poter fare ciò che volevano, e han- differente. «La volontà - spiega don Adano commesso gravi errori. In un contesto mo - è quella di guardare dentro al carcere di regole, invece, e portare fuori più viene fuori la parte voci possibili, ripiù bella di ciascusvegliando l’attenno e loro stessi se zione di chi vive ne accorgono. Io ad la condizione del esempio me ne rencarcerato». Si vivrà do conto durante il il momento come rito della messa: la veglia di preghiera, loro partecipazione accogliendo le teè viva e sentita, non stimonianze di altri fiaccolata 2016 devo mai richiamadetenuti, raccolte re nessuno all’attenzione o al silenzio. Le dal movi-mento del Rinnovamento nello regole fanno tornare loro bambini e come Spirito e del Cammino neocatecumenatali si lasciano prendere per mano per vi- le. Durante il cammino in fiaccolata, sarà vere insieme al meglio questa esperienza recitato il rosario che dentro il carcere è di comunione. Insieme cantano e pregano. amatissimo. «Perché - spiega don Adamo Insieme ascoltano l’omelia il più possibile è un rito che rende possibile a tutti di parper bere di ciò che io posso dire loro, per- tecipare. Se nella condivisione c’è chi riesce ché hanno un estremo bisogno di parole di a parlare e chi no, il rosario dà modo a tutti speranza da portar via con sé. di entrare in uno stesso cammino oltre ad Di regole c’è bisogno. C’è bisogno per instaurare una relazione con la mamma. sbocciare, per diventare migliori. Sono Le donne sono poche all’interno del carconvinto che il Signore crea l’uomo e gli cere, il lavoro è prettamente maschile e i dà un percorso e come un fiume se non gli detenuti hanno bisogno di rientrare nel mette sponde, si perde». grembo materno per rinascere. La figura di Maria è estremamente importante, è coDa appassionato di musica, quale canzo- lei che li guida e li fa sentire bene». ne sceglieresti come inno alla libertà? Il giorno dopo la fiaccolata, il 22 aprile, sarà «Un brano che a me piace molto e mi ha celebrata una messa all’interno del carcere fatto pensare molto è l’ultimo di Fiorel- dal vicario generale don Luigi Chiesa che la Mannoia, ‘Che sia benedetta’ (con cui per la prima volta varcherà l’ingresso della l’artista romana ha conquistato il secondo Casa Circondariale piacentina e sulla scia gradino del podio del Festival di Sanremo di quanto accadrà la notte prima, porterà 2017). In questo testo ci sono passaggi bel- all’interno la voce del pellegrinaggio vissulissimi anche per le persone in carcere, pa- to all’esterno. role di verità dato che ogni vita è benedet-7-


Libertà è partecipazione Una sfida per il nuovo millennio

Daniele Ferrari

“La libertà non è star sopra un albero, la libertà non è un volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero” Certamente in tanti (soprattutto i meno giovani) l’avrete riconosciuta. E’ “La libertà”, la canzone di Giorgio Gaber, incisa nel 1972 e ancora molto attuale: tanto ha da dirci, a noi uomini e alla nostra società. Questa è una di quelle canzoni che mi piace definire INTELLIGENTI perché, se ascoltata attentamente, fa riflettere ed ha la capacità di mettere in discussione. Non è solo una canzone, è un “manifesto” degli ideali del suo autore, ed in particolare vuol far meditare sul senso e la vera essenza della libertà, senza porre giudizio sulla scelta di alcuno. Essere liberi non vuol dire banalmente poter far tutto ciò che si vuole, nascondendosi dietro alla parola “indipendenza” o senza alcuna regola, come sembra dirci Gaber. La piena libertà si realizza quando l’individuo ha la possibilità e il desiderio di partecipare, perché “La libertà è partecipazione”. Ho sempre pensato che questa canzone fosse stata scritta per far prendere coscienza alle persone dell’importanza della partecipazione attiva nel mondo della politica e della società, e ne avevo conferma dalla frase: “che ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà” . Mi sbagliavo: riascoltando più volte questa canzone ho avuto la sensazione che a Gaber interessasse di più la FELICITA’ delle singole persone che quella

collettiva; felicità che si può raggiungere nel trovare un luogo ben definito dove poter esprimere la propria libertà. Attraverso la SCELTA di partecipare, e quindi condurre la propria vita, ogni persona fa esplodere l’energia di nome LIBERTA’ che ha dentro; e la chiave per la nostra libertà sta nel prendere delle decisioni e fare scelte. Perché anche una NON scelta rappresenta un SCELTA. Scegliere di vivere senza interessarsi di quello che ci circonda ha senza dubbio i suoi benefici, primo fra tutti quello di

non caricarsi dei problemi altrui. Questo atteggiamento ha anche un contrappeso molto subdolo: ci rende egoisti. E l’egoismo rende impermeabile il cuore che col passare del tempo diventa incapace di provare dolore, ma anche sentimenti molto belli, come l’amore l’amicizia. I cinque anni di mandato amministrativo mi hanno messo molto in discussione a livello personale sul senso del partecipare e su quali limiti può incontrare la nostra libertà. Ma di una cosa sono grato nell’aver intrapreso quest’avventura. Ho capito nel -8-

profondo che partecipare significa farsi carico dei problemi di altre persone, che magari non conoscevo affatto, problemi alcune volte più grandi di me che da solo non sarei stato in grado di affrontare ma che con la forza e la collaborazione di altre persone (che hanno deciso anch’esse di “partecipare”) siamo riusciti ad affrontare. “La libertà non è stare sopra ad un albero” Cantava il signor G. e il mio pensiero vola al Vangelo, all’episodio di Zaccheo che sale su un sicomoro. Zaccheo, una persona (non tanto alta di statura) che per desiderio, o forse curiosità, di vedere Gesù si arrampica su una pianta; Zaccheo è il protagonista attivo di una scena dinamica, mentre se immagino la scena dell’uomo cantato da Gaber vedo una persona passiva, immobile sopra ad un albero. E ben poco serve a pensare a qualcosa, avere il desiderio di fare se poi non la si mette in pratica. Non siamo solo emozioni, pensieri, idee….ma abbiamo anche un corpo che ci aiuta ad esprimere quello che abbiamo dentro. Gaber ci invita ad uscire dal nostro guscio e rischiare la salita sopra ad un albero, ma attenzione a non confondere la meta con lo strumento. Può succedere anche a noi: per pigrizia ci limitiamo a salire sopra l’albero, con la presunzione di aver raggiunto l’obiettivo. Ma l’albero è solo uno strumento: da lì possiamo guardare alla vita con una prospettiva diversa.


Libertà persa libertà ritrovata Non Esistono Ragazzi Cattivi

Non abbiamo avuto la minima esitazione nel dare la nostra disponibilità e approvazione, quando ad inizio febbraio, a noi educatori è stata fatta la proposta di accompagnare i gruppi degli adolescenti alla comunità Kayros di Vimodrone (MI). Era infatti ancora vivo e forte in noi il ricordo di quando, circa due anni fa, grazie uno spettacolo teatrale al centro parrocchiale, abbiamo conosciuto questa comunità, che svolge il difficile compito di dare una seconda opportunità a ragazzi altrimenti destinati al reclusione in un carcere minorile o ad una vita nelle periferie della città e della società. È così che all'imbrunire di sabato 11 marzo siamo partiti con un gruppo di 25 ragazzi verso Vimodrone, dove al nostro arrivo non abbiamo potuto evitare di meravigliarci nello scorgere una scritta a caratteri cubitali su un muro di cinta dipinto con colori sgargianti; tale scritte recitava il motto della comunità cioè “Non esistono ragazzi cattivi”. Abbiamo formato un cerchio di sedie e su sei di esse si sono seduti altrettanti ragazzi della comunità, a questo punto Daniel, il più grande di loro, ci ha chiesto di cosa volevamo conversare e così gli abbiamo chiesto di parlare della “Libertà”; della ricerca che ne hanno fatto e di come stanno provando al riguadagnarla vivendo all'interno della comunità. Il primo a raccontare è stato Mustafà, un ragazzo di origini egiziane che a soli 14 anni ha lasciato da solo all'Egitto per avere nuove opportunità attraversando il Mediterraneo su di un barcone. Ora quasi maggiorenne, si sente fortemente cambiato dai tre anni trascorsi nella comunità e ha capito che per avere una vita migliore servono sacrifici; così si applica con impegno per imparare come utilizzare le sue spiccate doti

di tuttofare in un futuro lavoro da artigiano. In seconda battuta ci ha parlato di sé IVAN, un biondo ragazzone russo, che abbandonato in tenera età della madre non ha saputo trarre beneficio dall'opportunità che gli era stata offerta grazie all'adozione da parte di una famiglia italiana, che lo aveva sottratto alla dura vita in orfanotrofio; infatti una volta raggiunta l'adolescenza si è allontanato da casa per cercare la libertà nella vita senza regole della strada, lontano dagli adulti, ma vicino ad alcol e stupefacenti. Adesso all'interno della comunità sta cercando di liberarsi dai turbamenti interiori che la sua infanzia ha portato

con sé per poter ricominciare a credere nel futuro ed a riconciliarsi con i suoi genitori adottivi. Il terzo a raccontare la sua storia è stato Asharaf, ragazzo di origini marocchine che felice di aver da poco ottenuto il periodo di messa alla prova da parte del tribunale minorile, sta frequentando un corso per parrucchiere che spera gli possa dare l'opportunità di emanciparsi grazie a quello che finora è stato il suo modo per alleggerire il periodo di parziale reclusione, cioè spuntare i capelli dei compagni. Poi è stata la volta di Pasquale, il cui il racconto molto commovente ci ha fat-9-

Gli educatori (Davide, Silvia ,Pietro) to capire come anche molti ragazzi italiani, con un passato famigliare difficile e cresciuti e all'interno di quartieri ad alto tasso di criminalità, siano costretti a crescere troppo in fretta e talvolta si trovano alla giovane età di 12/13 anni già nella condizione di dover rubare auto e moto, spacciare droga e compiere rapine. Dopo numerose vicissitudini Pasquale ha trovato in Kayros un luogo dove poter riflettere sulla sua vita e ora mentre partecipa a un apprendistato presso un'officina, dove gli stanno tornando utili le cose apprese quando rubava le auto, sogna un futuro dove ne avrà una tutta sua. Simili a questa storia sono anche le vicende degli altri due ragazzi italiani Fabio e Daniel, quest'ultimo che ora ha 25 anni, dopo una prima esperienza di comunità non è riuscito a sfuggire ai guai dopo il ritorno nel contesto domestico. Tuttavia dopo il secondo arresto ha capito che non avrebbe mai potuto cancellare il suo passato e così dopo aver conseguito il diploma sta frequentando un corso di laurea in scienze dell'educazione. Siamo fiduciosi che raggiungerà il suo obiettivo di diventare un educatore anche grazie alle sue esperienze passate, sopratutto perché mostra un comportamento autorevole verso i suoi compagni e per loro rappresenta già un punto di riferimento. Enormemente arricchiti dalle esperienze ascoltate siamo quindi rientrati a Roveleto pieni di speranza per questi ragazzi e di ammirazione per il lavoro svolto dagli educatori della comunità. L’insegnamento più importante ci sembra sia stato quello di comprendere che la libertà è qualcosa ottenibile solamente con grandi sacrifici e con il duro lavoro e che è molto facile compiere errori difficilmente rimediabili quando la si cerca e la si vuole raggiungere troppo rapidamente.


Chi muore a causa dell’

In ascolto di Sara Staffu

Libertà. Una parola che fa “tremare” tanti cristiani di fronte al confronto/scontro con i non credenti. Chiesa nemica delle libertà individuale; Chiesa contro gli eccessi delle libertà moderne... Poi incontri Sara e le sue parole, in un attimo comprendi che le “coordinate” della libertà sono state smarrite da tanti: “Credo che per parlare di libertà si debba parlare necessariamente dell’amore, che esiste solo nella libertà, che rende l’amore tale”. E’ Sara Staffuzza, prezioso membro del Centro Aletti di Roma, nata a Trieste nel 1963, con una laurea presso la Facoltà di Filosofia con indirizzo psicologico a Trieste e licenziata in teologia orientale al Pontificio Istituto Orientale nel 1997. Oggi lavora come vicedirettrice nella casa editrice Lipa ed è impegnata nella pastorale diretta con colloqui, ritiri ed esercizi spirituali. Sara, tra i suoi studi una laurea in filosofia con indirizzo psicologico a Trieste. Azzardo: fin da subito è nata la sua passione per aiutare l’uomo nel cammino della psiche (e dell’anima)? Quando si trattava di scegliere come proseguire gli studi avevo escluso alcune materie più scientifiche, che peraltro erano state quelle che mi avevano precedentemente portata al liceo ma che mi sembravano, a quel punto, meno interessanti da approfondire. A poco a poco si è aperta questa possibilità di studio per un interesse più legato alla vita quotidiana delle persone. Ma molte cose si capiscono strada facendo, passo dopo passo e oggi vedo come niente di ciò che ho fatto prima di arrivare al Centro Aletti è stato inutile non tanto per aiutare qualcuno, ma per camminare assieme a qualcuno. Ma preciserei anche che il cammino spirituale non parte da una previa sistemazione dell’aspetto umano, quello che è indagine della psicologia, ma da un’apertura all’azione dello Spirito che versa in noi l’amore di Dio (cf Rm 5,5), che è il principio della vita nuova che il battezzato riceve. “Gli esercizi spirituali sono i diversi modi di preparare e disporre l’anima a liberar-

si da tutte le affezioni disordinate e, dopo averle eliminate, a cercare e trovare la volontà di Dio nell’organizzazione della propria”. Parole di S. Ignazio di Loyola che descrivono gli esercizi ignaziani, una parte importante della pastorale che lei vive quotidianamente. Ci aiuta a comprendere da vicino questo cammino di libertà? Partirei ricordando le parole di Gesù riportate da Gv 8,34-36: “In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.” Credo che queste parole sintetizzino la parabola che siamo invitati a percorrere dopo il peccato. Ricordiamo che siamo stati creati con il soffio divino, Dio, infatti, ha preso il materiale dei primi cinque giorni della creazione e ci ha soffiato sopra, rendendoci partecipi della sua vita, dell’amore che si manifesta nella comunione delle tre Persone divine. Ma il peccato è intervenuto sull’amore, facendo rinchiudere l’uomo, escludendo il soffio ed impedendo all’uomo l’unione con Dio che ad un certo punto è stato visto come geloso di sé e delle cose, da cui era meglio prendere le distanze. È vero che successivamente all’incarnazione di Cristo, che è venuto a cercare l’uomo per riportarlo al Padre, noi con il battesimo – che non è un concetto, un’idea, ma un evento in cui siamo stai immersi nelle acque della morte per risuscitare con Cristo risorto – siamo stati uniti a Lui, ma è anche vero che lo splendore di questa vita nuova che abbiamo ricevuto negli anni si può essere offuscata. Gli esercizi spirituali, in particolare la prima settimana ignaziana, ci aiutano a riscoprire questa vita che abbiamo ricevuto nel battesimo e ci aiutano a ritornare a vivere da figli e non più da schiavi. Ma questo, per quanto noi possiamo sforzarci, non lo possiamo fare da noi, la libertà non ce - 10 -

la possiamo dare, così come la vita, ma la possiamo solo accogliere dal Figlio che ci fa vivere da figli in Lui. Si tratta di lasciarsi incontrare da Dio, che è non come spesso si immagina un esigente padrone, ma è piuttosto un Padre misericordioso che si getta al collo del figlio che torna a Lui. Questo autentico incontro con il Signore avviene nel perdono che solo Dio ci dà. Perciò un momento fondamentale degli esercizi è proprio quello della riconciliazione, “sorella del battesimo”, in cui nel perdono ci si riscopre figli attesi ed amati e non schiavi di leggi, regole, norme che spesso attribuiamo al volere di Dio, ma che con il Padre misericordioso non hanno niente a che fare. Agli esercizi mi è capitato più volte di essere testimone di un profondo cammino di liberazione che ha portato ad una rinascita della persona che si è scoperta amata non perché perfetta, ma perché bisognosa, desiderosa e quindi accogliente verso quell’amore gratuito e incondizionato che è solo di Dio e che, accolto, riempie la vita di una gioia profonda. “Nella coscienza dell’umanità di oggi la libertà appare largamente come il bene più alto, al quale tutti gli altri beni sono subordinati,- cosi scriveva il papa emerito Joseph Ratzinger -. Nella giurisprudenza la libertà dell’arte, la libertà di espressione del pensiero hanno sempre la preminenza su ogni altro valore morale. Valori che entrino in concorrenza con la libertà, che possano indurre a limitarla, appaiono come vincoli, come tabù, cioè come relitti di arcaici divieti e timori. Anche la religione può continuare a essere accettabile solo nella misura in cui si presenta come forza liberatrice per le singole persone e per l’umanità nel suo insieme”. Come possono coesistere oggi libertà e verità cristiana? Come può prendere forma una libertà nell’obbedienza come sosteneva il Santo di Loyola? Credo che per parlare di libertà si debba parlare necessariamente dell’amore, che esiste solo nella libertà, che rende l’amore


amore risorge più libero

uzza del Centro Aletti

Erika Negroni

tale. In quanto tale, infatti, l’amore lascia (cf Gv 14,6) che ci rende liberi facendoci libero, non fa violenza, né pressione, ma si in Lui figli obbedienti al Padre, in opposiabbassa ad accogliere l’amato. La libertà è zione al disobbediente Adamo che credeva allora un riconoscimento incondizionato e si fidava più di sé che di Dio. dell’altro nell’amore Cristo fa la volontà di Dio fino al punto da ricocome un figlio che vuole ciò noscere l’altro anche che il Padre vuole. Adamo fa libero di rifiutarlo, dal la propria volontà in oppomomento che l’amore sizione alla volontà di Dio. ama ma non aspetta Un’ultima domanda. Lei di essere corrisposto, è vicedirettrice della casa lo desidera, ma non lo editrice Lipa del Centro impone. Aletti. Lipa, già col suo stesQuindi si può vedere so nome, racconta la volonla libertà anche come tà di integrare i contenuti una dimensione dell’acustoditi dalle tradizioni more che verifica se dei due grandi polmoni l’amore è tale, come ecclesiali, l’occidentale e un fascino vitale che ci l’orientale, come via della porta a morire alle noChiesa, favorendo l’inconstre autoaffermazioni, tro tra le tradizioni cristiaai nostri esclusivismi, ne presenti nel continente alle nostre imposizioni europeo; di far comprendefinestra della sala da pranzo re che la conoscenza di Dio sugli altri. E attraverso questo passa attraverso la comudel Centro Aletti morire a causa dell’anione. Come aiutare le nodipinta da Padre Marko more si risorge più listre comunità a far propria beri, quindi più capaci “l’intelligenza della Chiesa di amare. che è quella della comunione? Da tutto ciò ne deriva che per noi uomini, dopo il peccato, questo non è possibile se Per quanto si siano cercate non ci sono non in Cristo, che è la via, la verità, e la vita tecniche, dinamiche, strategie, o metodi

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psicologici per far vivere le persone insieme in comunione, perché la comunione non è una nostra conquista, ma un dono di Dio, un suo renderci partecipi della sua vita intratrinitaria. E noi questo lo possiamo solo accogliere. E facendolo diamo spazio alla vita nuova in Cristo, che trasforma concretamente e visibilmente la nostra vita quotidiana. Credo che più di preoccuparci di far comprendere si tratti di mostrare. Paolo VI molti anni fa diceva, profeticamente anche per oggi, che il mondo non ha bisogno di maestri, ma di testimoni e se cerca maestri è perché sono testimoni. Perciò credo che siamo chiamati “semplicemente” a testimoniare all’uomo di oggi come nell’accogliere Dio nella nostra vita – perché è questa l’unica cosa, ma anche il massimo che possiamo fare – accogliamo anche gli altri, quelli che ci stanno vicini e che spesso non ci siamo scelti, vivendo così la comunione. Questa accoglienza dell’amore di Dio e conseguente testimonianza del suo amore in noi è l’unica cosa che possiamo fare per cercare di vivere autenticamente la vita cristiana, che diventa così una vita bella che parla da sé, attraendo e facendo nascere il desiderio in chi ci incontra di vivere allo stesso modo per avere una vita piena della gioia del Signore.


Internet: liber

Internet diventerà sicuramente più leggero Nel mondo ci sono più di 7 miliardi di persone (ultimi dati del maggio 2016 erano 7,4) di queste circa il 45% è connessa a internet se; la copertura delle connessioni mobili raggiunge il 93/% della popolazione. Ovviamente l’utilizzo di internet varia a seconda delle zone geografiche in cui ci troviamo Ho voluto inserire un po’ di numeri all’inizio del mio articolo, che dovrebbe parlare della libertà data dalle tecnologia e dai social media) soprattutto per delineare la portata di una rivoluzione che sta cambiando rapidamente il mondo. Da questi dati emerge, in modo chiaro, come oggi siamo tutti più connessi e il web sembra permeare ogni secondo della nostra vita, almeno nei Paesi più industrializzati. Pur occupandomi da anni di tecnologia e nello specifico di come cambia la didattica con la tecnologia, l’argomento internet e libertà è molto impegnativo richiede un’analisi molto più complessa di quella che potrei offrire. Il cambiamento introdotto da internet è enorme e molto probabilmente non compreso nella sua portata; in molti casi facciamo analisi su eventi che sono già accaduti, perché la velocità e il susseguirsi degli eventi sulla rete sono talmente rapidi che non ci consentono di fare sintesi . Per metabolizzare un fatto e farlo proprio occorre tempo, questa mancanza di tempo ci mette di fronte a una realtà nuova che spesso non dà punti di riferimento, ma tutto fluttua in una tendenza, in licke di dissenso o di consenso. Il cambiamento non investe solo la tecnologia, o l’economia ma ci pone di fronte a una nuova umanità; ci pone di fronte nuovi modelli sociali. Internet ci porta alla libertà dei mercati e delle idee; mentre sto mangiando, posso chattare con una persona dall’altra parte del mondo. Il world

wide web “www” nasce a Ginevra in un istituto collegato al CERN e viene utilizzato la prima volta per mettere in contratto gli scienziati di tutto il mondo per condividere ricerche e teorie. Letteralmente il “www” significa rete di grandezza mondiale e questa rete ci apre alla più totale libertà, questa libertà oggi poi è enormemente facilitata dagli smarthphone e dai tablet. Come tutte le libertà anche quella di internet ha un rovescio della medaglia. Se la li-

bertà ci sembra sempre positiva, anche un inguaribile ottimista come me, comprende che alla libertà va sempre associata la consapevolezza del limite. Sì purtroppo la rete ha i suoi lati negativi, questo mondo virtuale così affascinante, pieno di immagini e di contatti, relazionali, nasconde anche un lato oscuro . Internet è la terza indistria di assorbimento energetico per il nostro pianeta, il suo utilizzo non è per nulla green anche se in questi ultimi periodi si stanno progettando innovazioni per un’energia pulita. Lo stesso uso della rete evidenzia uno squilibro se il 40% della popolazione mondiale utilizza la rete, e il 60% ne rimane escluso. Quello che mi interessa di più è il cambiamento sociale; la libertà introdotta da internet non investe solo l’economia, dove spesso assistiamo a fenomeni di concorrenza selvaggia, ma anche i modelli di riferimento. Gli stessi modelli educativi che contribuisco a formare nostri figli che - 12 -

quotidianamente passano ore sui social. Gli stessi ragazzi che possono avere accesso a tutti i tipi di siti e vedere qualsiasi tipo di scena dalla violenza al disagio. Sempre più spesso si prende l’abitudine di parlare in rete a ruota libera di fronte a una platea globale e in molti casi non si sa chi fisicamente ci sia dall’altra parte, se una persona reale o un alias interessato a profilare utenti. Purtroppo il mondo degli adulti molto spesso non apre a scenari migliori, se nell’adolescente prevale l’ingenuità, nel mondo degli adulti prevale in molti casi la cattiveria. Le recenti statistiche dimostrano che il 60% delle parole sui social sono tutte negative; non creano incontro e conoscenza ma generano rabbia e contrasto. Nella maggior parte dei casi le persone sfogano il loro rancore la loro insoddisfazione nella rete. Non importa se le affermazioni siano vere o false spesso questi social commentano il nulla, non commentano nemmeno un fatto reale, ma il commento del commento. E’ sufficiente “trollare” un’informazione inserendo all’interno una provocazione perché tutto degeneri. Il risultato è che gli utenti litigano tra di loro senza neanche più ricordare lo scopo per cui ci si era aperto quello spazio virtuale e i motivi della discussione. Le rete è tempestata di notizie fasulle (fake news), in molti casi vecchie e datate che nessuno cancella da cui tutti attingono come se fosse Vangelo. In Germania è stata presentata una legge che se approvata punisce con 50 mila euro di multa chiunque diffonda informazioni false. Anche in Italia sono state introdotte diverse linee guida che vanno dall’uso dei social alla sicurezza della rete. Forse molti non sanno che fare un gruppo di esclusione su whatsapp o denigrare qualcuno è perseguibile penalmente. Molto ci sarebbe da


tà o inganno ?

e più libero, luogo di dialogo e di incontro dire anche su come il nostro ordinamento giuridico si comporta sugli abusi o sulle diffamazioni via web, cosa che viene semplicemente ignorata dalla maggior parte degli utenti (art. 494, 594,595, 600, 612 bis, 615 bis de Codice Penale) per ricordare i principali. Per fare un esempio più semplice, ma anche quello in cui si incappa più di frequente: chi pubblica sulla sua bacheca di facebook notizie false relative a qualcuno, senza che questo sia fra gli amici che accedono al suo profilo: es.”Pinco Pallino” è un ladro; per il nostro ordinamento è un reato penale (che lascia traccia anche sulla fedina penale, visibile da ogni datore di lavoro quando richiede il casellario giudiziario) ed è passibile con una multa fino a 2065 euro, che può essere raddoppiata in caso sia rivolta ad a pubblici ufficiali o autorità pubbliche. In casi diversi si può arrivare anche ad ammende che superano i 30.000 euro e carcerazione fino a 6 anni. Sull’uso responsabile della rete con un approccio educativo anche la nostra parrocchia ha intrapreso un percorso di sensibilizzazione con i ragazzi e le famiglie utile ed interessante. A mio avviso però i problemi che mi stanno più a cuore sono il cambiamento dei modelli educativi, l’omologazione delle informazioni (quando le informazioni vengono messe tutte sullo stesso livello) e lo scardinamento di tutti i ruoli. Rende molto bene l’idea la canzone di Gabbani “Occidentalis carma” nel passaggio in cui dice che oggi ci sentiamo tutti tuttologi con il web. Ma la conoscenza richiede: tempo, cura, fatica e approfondimento, quella fatica che oggi con la tecnologia non vogliiamo più fare. C’è una bella analisi antropologica sulla società di Bauman quando in un suo libro parla delle “radici

Stefano Costi

dell’odio” (“Stranieri alle porte”, ed. Laterza). Bauman sostiene che oggi noi siamo chiamati a vivere due dimensioni: quella “off line” e quella “on line”; nel mondo reale noi siamo controllati e dobbiamo seguire delle regole, nel mondo virtuale siamo noi al comando, “siamo noi che stabiliamo l’agenda: a premiare chi ubbidisce e a punire i ribelli e a brandire l’arma terribile dell’ostracismo e dell’esclusione”. Nel mio mondo virtuale mi libero da tutti i disagi e ho presente solo la mia idea e il pubblico che la sostiene. Non guardo più la realtà o i fatti, guardo solo le informazioni e le persone che sostengono la mia idea. La conoscenza però dice Bauman richiede mediazione, confronto e fusione perché ci arricchisce di prospettive proprio in quel confronto che nel mondo virtuale che in molti casi si evita. Si è solo all’inizio di questa rivoluzione tecnologia e penso che dovremo fare ancora molta strada per capirne la portata reale. Internet usato male, diventerà un luogo sempre più triste e insicuro dove l’adescamento, il raggiro e la falsità prevarranno su tutto e su tutti. Al contrario se riusciremo a non far prevalere nella rete la nostra cattiveria e non presteremo il fianco alla maldicenza, internet diventerà sicuramente più leggero e più libero, luogo di dialogo e di incontro. “Noi siamo un solo pianeta, una sola umanità. Quali che siano gli ostacoli, e quale che sia la loro apparente enormità, la conoscenza reciproca e la fusione di orizzonti rimangono la via maestra per arrivare alla convivenza pacifica e vantaggiosa per tutti, collaborativa e solidale. Non ci sono alternative praticabili” (Zygmunt Bauman). - 13 -

C Y B E R BU L L I S MO Il termine “bullismo elettronico” o “cyberbullismo” (cyberbullying nella letteratura anglofona) per definire un atto aggressivo, intenzionale, condotto da un individuo o un gruppo di individui usando varie forme di contatto elettronico, ripetuto nel tempo contro una vittima. Il bullo può agire, ad esempio, pubblicando fotografie, video o informazioni private della vittima, divulgando maldicenze attraverso messaggi di testo con il cellulare o con la posta elettronica, oppure mettendo in atto minacce ripetute tramite il cellulare o gli strumenti elettronici. Vari tipi di Cyberbullismo: • Flaming: messaggi online violenti e volgari, spesso all’interno di un forum. • Molestie (“harassment”): invio ripetuto di messaggi di insulto. • Denigrazione: “sparlare” di qualcuno tramite pettegolezzi o voci per danneggiare la sua reputazione. • Sostituzione di persona (“impersonation”): farsi passare per un’altra persona per spedire messaggi o pubblicare testi che compromettano la reputazione della vittima o le sue amicizie. • Rivelazioni (“exposure”): pubblicare informazioni o immagini private e/o imbarazzanti su un’altra persona. • Inganno: (“trickery”); pubblicare o condividere con altri le informazioni confidate in segreto. • Esclusione: escludere deliberatamente una persona da un gruppo online per ferirla. • “Cyber-persecuzione” (“cyberstalking”): molestie e denigrazioni ripetute e minacciose.


Alla ricerca della libertà Davide Chiara Marco Mattia Jacopo Vittorio Matteo Che cos’è la libertà? È una domanda che ha sempre interessato il pensiero umano e tutt’oggi ritorna prepotentemente a manifestarsi alla luce dei fatti che accadono intorno a noi. Da questa riflessione è nata l’idea di affrontare con i nostri ragazzi il tema della libertà, approfondendone un diverso aspetto ad ogni incontro. A questo punto chi vi sta scrivendo deve fermarsi un attimo e fare una piccola regressione innanzitutto per presentarsi e poi per far capire chi sono i “nostri ragazzi”. Io sono Davide ed insieme a Chiara, Marco, Mattia, Jacopo, Vittorio e Matteo quest’anno abbiamo intrapreso un cammino che ci ha portato a diventare educatori di un folto gruppo di ragazzi di terza media, ovvero coloro che hanno terminato il percorso del catechismo e si sono apprestati per la prima volta ad entrare a far parte attivamente della comunità parrocchiale. Come dicevo prima, la libertà ci è sembrata un argomento di attualità e per questo insieme a Silvia, Pietro (a loro volta nostri educatori, che ci stanno accompagnando in questa fase iniziale) e a Don Umberto abbiamo individuato tutto ciò che potesse riguardare i ragazzi da vicino ma che allo stesso tempo li facesse riflettere a fondo sul tema. Per questa ragione siamo partiti con un aspetto molto scottante, quello della dipendenza dalle tecnologie. Fondamentale è stato l’incontro con Don Marco Rondonotti, ricercatore presso il CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Informazione e alla Tecnologia), il quale, per farci notare la sovraesposizione dei ragazzi allo schermo luminoso, ha illustrato le profonde differenze tecnologiche tra le epoche dell’adolescenza di genitori e figli suggerendo di colmare questo gap attraverso un incontro costruttivo tra le due generazioni senza tralasciare nessun aspetto ma solo dosando tutte le facce del rapporto in maniera equilibrata. Abbiamo inoltre deciso di far vedere ai ragazzi il film “Cambia la tua vita con un click” dove il protagonista riesce ad un tratto a comandare la sua vita attraverso un telecomando

magico trasformando però quello che per lui era un sogno in un incubo. Prendendo spunto dal film abbiamo aperto una discussione con i ragazzi che si è spostata su diversi fronti provando a riflettere per un attimo in maniera distaccata sulla qualità e sulla quantità di tecnologia che usano durante il giorno, a volte senza neanche rendersene conto. Dopo qualche giorno, sabato 11 marzo, siamo partiti per il primo dei due viaggi a Milano direzione Vimodrone, più esattamente alla cooperativa Kayròs di Don Claudio Burgio che si occupa dell’accoglienza di ragazzi che hanno alle spalle un passato burrascoso con precedenti penali. Non solo questa comunità li accoglie e li protegge dandogli un’alternativa al carcere ma si occupa anche di rieducarli facendoli rinascere in un mondo nuovo, in una nuova vita. Abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare alcune delle loro storie vivendo dei momenti molto toccanti che ci hanno fatto riflettere sulla fortuna che noi tutti abbiamo avuto di poter vivere in una famiglia “normale” che ci ha accuditi e fatti crescere seppur magari nelle difficoltà ma senza mai farci mancare niente. Quello che ha davvero colpito tutti sono state le storie di un’adolescenza rubata, passata nella delinquenza vivendo senza poter avere un sogno. Abbiamo basato la seconda serie di incontri sulla libertà nelle scelte di vita, confrontandoci su come esse possano essere influenzate e modificate dalla tecnologia, dai media, da persone estranee (cantanti, calciatori, modelle, etc…) oppure da coloro che ci stanno accanto tutti i giorni prendendo come spunto principale una decisione che ha coinvolto tutti i ragazzi ovvero la scelta della scuola superiore.

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Davide Pappalardo

Tutto ciò partendo dall’ascolto di un meraviglioso brano scritto e interpretato da Fabrizio Moro intitolato “Libero” nel quale l’autore si e ci pone delle domande trasformando la canzone in una traccia di riflessione sulla nostra libertà e sulla nostra vita più in generale. Nel secondo viaggio a Milano i ragazzi hanno avuto la straordinaria opportunità di incontrare Papa Francesco all’interno dello stadio San Siro. Devo dire che solo parlando con i ragazzi ho potuto notare la loro soddisfazione e gioia nell’aver potuto ascoltare i consigli del Santo Padre, che, come di consuetudine, è riuscito a fare breccia all’interno dei cuori degli oltre 80 mila ragazzi presenti sulle tribune. Gli argomenti da cui i ragazzi sono stati sicuramente più attratti sono quelli che li riguardano più da vicino cioè il bullismo e il rapporto con i nonni. In particolare quest’ultimo ha colpito i ragazzi che hanno potuto riflettere sull’importanza di parlare con i propri nonni per riuscire a seguire le loro orme e trarre degli importanti insegnamenti per il loro avvenire. Infine Francesco ha avuto anche parole per i genitori invitandoli a capire le innumerevoli situazioni che si prospettano ai ragazzi aiutandoli a “navigare nello zapping continuo” a cui sono sottoposti dando innanzitutto per primi il buon esempio. In conclusione al tema della libertà è stato organizzato un incontro diretto tra i ragazzi e Don Marco nel quale attraverso piccole attività, musica e video si è cercato di trarre le conclusioni di questi primi incontri focalizzandosi sempre sul fenomeno principale che investe a pieno i ragazzi: la tecnologia. Noi educatori siamo rimasti molto soddisfatti e siamo orgogliosi del lavoro svolto insieme ai ragazzi e possiamo solo porci come obiettivo quello di mantenere unito il gruppo per poter compiere insieme il lungo cammino che ci aspetta nei prossimi anni.


Un libro, un film, un teatro La nostra pagina della cultura

IL LIBRO

LE NOSTRE ANIME DI NOTTE Kent Haruf

«Amo questo mondo fisico. Amo questa vita insieme a te. E il vento e la campagna, li cortile, la ghiaia sul vialetto. L’erba. Le notti fresche. Stare a letto al buio a parlare con te.» È nella cittadina di Holt, Colorado, che un giorno Addie Moore rende una visita inaspettata al vicino di casa, Louis Waters. I due sono entrambi in là con gli anni, vedovi, e le loro giornate si

IL FILM

sono svuotate di incombenze e occasioni. La proposta di Addie è scandalosa e diretta: vuoi passare le notti da me? Inizia così una storia di intimità, amicizia e amore, fatta di racconti sussurrati alla luce delle stelle e piccoli gesti di premura. Ma la comunità di Holt non accetta la relazione di Addie e Louis, che considera inspiegabile, ribelle e spregiudicata. E i due protagonisti si trovano a dover scegliere tra la propria libertà e il rimpianto. Dopo la Trilogia della Pianura, Le nostre anime di notte è il sigillo perfetto all’opera di Kent Haruf, uno dei più grandi interpreti della letteratura americana contemporanea. Kent Haruf (1943-2014), scrittore ame-

MILLION DOLLAR BABY Million Dollar Baby è un film del 2004 interpretato, diretto e prodotto da Clint Eastwood.

Aggiudicandosi quattro dei premi principali (miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista a Hilary Swank e miglior attore non protagonista a Morgan Freeman), il film è stato il protagonista dei premi Oscar 2005.

IL TEATRO

Il regista Eastwood ci parla di sentimenti, di coraggio e di paura con un pudore, una grazia e quella pacatezza registica che è di fatto uno stile consolidato. Frankie Dunn riflette sul suo passato con amarezza, con ironia, con l’amore paterno per questa giovane creatura. Ed a questi temi si aggiunge quello forse più inquietante, che riguarda l’eutanasia e che Eastwood affronta con consapevole fermezza. L’ortodossia della religione viene sfidata senza spocchia, mostrando quanto siano differenti in ogni essere umano

NEL NOSTRO PICCOLO Nell’ambito del festival Milano per Gaber 2017, lo spettacolo Nel nostro piccolo - Gaber, Jannacci, Milano, Noi. Dove il noi sta per Ale&Franz duo comico di punta del pa-

norama italiano. «Gaber e Jannacci sono per noi il punto di partenza, le tappe di un percorso, l’ambizione di una condivisione. Sono anche il racconto di un mondo visto dalla parte di chi ha il coraggio, con le proprie idee, di vedere dentro la vita di ognuno. Raccontarne le piccolezze, le sconfitte, le paure. Sono la scintilla da cui vedere l’uomo come il centro di tutto. Conoscere il suo mondo. - 15 -

ricano, dopo la laurea alla Nebraska Wesleyan University ha insegnato inglese. Prima di dedicarsi alla scrittura ha svolto diversi lavori, come operaio, bracciante, bibliotecario. Grazie ai suoi romanzi, tutti ambientati nella fittizia cittadina di Holt, ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui il Whiting Foundation Award e una menzione speciale dalla PEN/Hemingway Foundation. Con il romanzo Il canto della pianura è stato finalista al National Book Award, al Los Angeles Times Book Prize, e al New Yorker Book Award. Con Crepuscolo, ha vinto il Colorado Book Award, mentre Benedizione è stato finalista al Folio Prize.

Clint Eastwood. i temi della vita e le scelta che da esse derivano. Ed il pugilato, con sequenze magistrali, non è il tema centrale, quanto lo sono quelli riguardanti la crudelta dell’esistenza, la generosità e l’amore ritrovato. E non solo. Clint Eastwood attore, Hilary Swank e Morgan Freeman, fondono mirabilmente i loro stili di recitazione commuovendoci senza colpire basso, con quella partecipazione che ogni attore e regista italiano dovrebbe iniziare a considerare indispensabile per chi fa quel mestiere.

Ale e Franz Un mondo, sofferto e gioioso, colorato e grigio, assolato e buio. Ma sempre, e comunque un mondo vero, reale. Tutto questo porteremo con noi, sul palco: la voglia di mostrare come un percorso tanto profondo come quello di Jannacci e Gaber abbia aiutato e guidato la riflessione di tanti altri artisti. Vorremmo raccontarvi la fortuna di aver potuto respirare la stessa aria che Gaber e Jannacci respiravano».


“LE CASE DI MOSUL” THE SUN Se parlo m'imbatto in un punto oscuro che temo e non vedo alcun futuro

Io vivo Però attorno è un inferno Un massacro continuo Nel nome di un qualche dio Case in fiamme Morti appesi Non ne voglio più Ogni cuore vale uguale anche quaggiù

Vite esplose Lame e bombe Non ne voglio più Ogni uomo nasce innocente Dimmi: cosa ci distingue?

Tacere è un più lento morire Un assenso che uccide È il male del nostro tempo

Case in fiamme Morti appesi Non ne voglio più Ogni cuore vale uguale anche laggiù

Ci sarà sempre un pretesto qualunque una distrazione invitante per voltare le spalle e non guardare

Vite esplose Lame e bombe Non ne voglio più Ogni uomo nasce innocente Quale sangue ci distingue? Se un uomo è uomo difende ogni vita Non fa differenza, lontana o vicina Nessuna guerra è in nome di Dio Se il mondo va a fuoco, brucerò anche io

Dov'è l'Amore? La compassione? La verità? La distinzione tra il Bene e il Male? Nessuno risponde Ma io credo in Te. Responsabile don Umberto Ciullo via Emilia 144, 29010 Roveleto di Cadeo Pc tel. 0523 509943 www.parrocchiaroveleto.it stampa: Puntodigitale Roveleto di Cadeo


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