SOMMARIO 7 | EDITORIALE
52 | MANI IN ALTO
67 | FUORI
9 | ICON
foto Luca Campri styling Ivan Bontchev
74 | ULTIMA FERMATA
11 | INTERURBANA
62 | DETAILS
al telefono con Alessandro Piccolo
di Ivan Bontchev e Tatiana Uzlova
13 | PORTFOLIO
65 | NIGHTLIFE
Seconda lettura a cura di Floriana Cavallo
di Lorenzo Tiezzi
di Franco Bolelli
20 | CULT 22 | PHILIPPE MALOUIN di Maria Cristina Didero foto Mattia Zoppellaro / Contrasto
27 | DESIGN di Olivia Porta
28 | ARTISTICAMENTE SCORRETTO di Susanna Legrenzi
P. 52
32 | MUSICA di Paolo Madeddu
34 | CUCINA VISTA L.A. di Roberto Croci foto Alex Hoerner / Trunk Archive
38 | FABBRICA 2.0
P. 38
di Susanna Legrenzi
P. 62
42 | ON THE ROAD PORTRAIT foto Tatiana Uzlova / Luca Campri styling Ivan Bontchev
47 | LIBRI di Marta Topis
48 | SOTTO IL CIELO DI LIMA di Ciro Cacciola
Cover: Philippe Malouin Foto: Mattia Zoppellaro / Contrastro
MENSILE, ANNO XII, NUMERO 110 www.urbanmagazine.it redazione.urban@rcs.it
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CAPOSERVIZIO Floriana Cavallo floriana.cavallo@rcs.it
PROGETTO GRAFICO Topos Graphics
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ART DIRECTION Sergio Juan
FASHION a cura di Ivan Bontchev fashion.urban@rcs.it
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EDITORIALE
ANIMA & CORPO I sapori delle diverse cucine che si alzano dalle varie aree di Los Angeles, da cui Michael Voltaggio sembra trarre ispirazione. Le installazioni del progetto “Rooftop Ecology” sui tetti di Lima, che regalano una diversa prospettiva anche alle case più degradate. Gli insulti creativi di Mr Bingo che puntualmente la Royal Mail, via cartolina, consegna ai destinatari. Odori che diffondono culture, forme grafiche che trasmettono concetti. Emozioni che veicolano pensieri. In tutto questo è difficile scindere il concreto dall’astratto, il materiale dal concettuale, la parte razionale da quella emotiva. È difficile perché non a caso tutto accade in città, dove queste categorie collassano. Dove i concetti si possono toccare e gli oggetti hanno sempre un’anima.
HANNO HHA ANN NNOO CO COLL COLLABORATO LLLABOR ABBOORRATTO CCONN NOI CO NNOOI Franco Bolelli Bruno Boveri Ciro Cacciola Luca Campri Roberto Croci Maria Cristina Didero
Daniela Faggion Susanna Legrenzi Paolo Madeddu Michele Milton Mirta Oregna Federico Poletti
Olivia Porta Sara Rambaldi Leo Rieser Laura Ruggieri Lorenzo Tiezzi Marta Topis
Tatiana Uzlova Mattia Zoppellaro
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LOS ANGELES ICON
L’OGGETTO DEL MESE
STEREO CARD SCELTO DA SHIA LABEOUF “Sono sempre stato un fan del 3D. Ecco perché colleziono stereo card, stereografiche antiche il cui effetto ‘speciale’ è stato scoperto da Sir Charles Wheatstone nel 1833. Erano le preferite della Regina Vittoria, anche lei collezionava visori stereoscopici, rarissimi. Le mie sono immagini di New York del 1925: la semplicità impressionante del metodo contrasta con l’effetto straordinario che si prova guardandole attraverso il visore. Affascinante, altro che Transformers… fidatevi!”. • Shia LaBeouf, attore, produttore, regista, ha lavorato con Steven Spielberg, Michael Bay e Oliver Stone. È molto amico di Marilyn Manson di cui ha diretto Born villain, il video del suo ultimo album. Ora è sul set di Nymphomaniac di Lars von Trier, film erotico porno dove dice di essere pronto a tutto, anche a fare sesso ‘sul serio’. In Italia è nelle sale con Lawless.
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TORONTO INTERURBANA DI DANIELA FAGGION
AL TELEFONO CON
ALESSANDRO PICCOLO UNA CITTÀ, DUE PREFISSI. È COSÌ GRANDE? L’estensione non manca perché, a parte i grattacieli del centro, ci sono strutture abbastanza basse e grandi spazi aperti, ma la dualità fa parte di Toronto. Oltre alla città che si vede, c’è infatti il Path sotterraneo: una trentina di chilometri di strade che scorrono nel sottosuolo, inizialmente pensate per i mesi più freddi dell’anno, in cui si trovano negozi, centri commerciali, ristoranti, uffici. UN SOTTERRANEO DI LUSSO? Di lusso magari no, ma è come il cuore segreto della città.
E IN SUPERFICIE?
Molto dipende dal district in cui ti trovi, ma in generale vanno per la maggiore drugstore, parrucchieri, toelettature per cani e gatti. Qui sono matti per gli animali e c’è una clinica veterinaria in ogni strada. IL PATH CORRISPONDE ALLA METROPOLITANA? No, perché accompagna solo poche fermate e si snoda dalla Union Station sotto il centro finanziario. Comunque la metro non è enorme. Ci sono due linee in croce come a Roma.
E COME SI MUOVE LA GENTE? Tantissime biciclette, oltre a skate e monopattini quando non si gela, anche perché i mezzi pubblici sono molto cari. Auto con il cambio automatico per chi può. In Canada, viste le distanze, si passa parecchio tempo alla guida, tipico momento per mangiare e bere poiché manca completamente la cultura dello stare a tavola. Forse italiani e asiatici sono stati accolti così bene perché cucinano!
FINALMENTE UNA BUONA NOTIZIA! L’approccio all’immigrazione è molto diverso. Sarà perché c’è tanto spazio, sarà perché i canadesi vengono educati all’accoglienza, sarà perché ci sono regole precise e viene favorito anche l’arrivo di skilled worker, ma c’è molta più integrazione.
NIENTE CRISI? Quella è ovunque, ma qui la società è più flessibile. Da noi non ho mai visto una donna fare il muratore o lavorare in un cantiere. Forse si fanno meno problemi ad andare su CraigList.com e a mettere le offerte di lavoro sulle porte. NOT “CHOOSY”, COME VORREBBE QUALCUNO? So della polemica di qualche settimana fa, ma la situazione non è paragonabile. Qui chi finisce l’università non va a fare mille stage non pagati. In Italia studi pensando che ciò farà la differenza ma, alla fine, passa quasi come un vezzo.
MEGLIO BERCI SU. DOVE ANDIAMO? Fra Queen Street West, Fashion District e University è pieno di bar, dal Crocodile Rock, che accoglie la gente in uscita dall’ufficio e la “accompagna” per tutta la serata, al più recente Tattoo Rock Parlour. Come sempre capita, però, le migliori scoperte si fanno per caso: spesso basta infilarsi in un locale e con otto/dieci dollari si possono vedere magari tre gig in fila dalle 9 a mezzanotte. QUINDI NON È MOTIVATO L’APPELLATIVO DATO DAGLI AMERICANI DI “BORONTO”, COME CITTÀ “BORING”? Certo, non è New York, ma per gli standard locali è decisamente movimentata. Dal resto del paese Toronto viene considerata caotica e un po’ “altezzosa”, come se non appartenesse al Canada – esiste addirittura il film Let’s all hate Toronto – ma a me i Torontonians sembrano tutti molto tranquilli, persino le volanti della polizia.
QUALCHE MANIA LOCALE CHE È MEGLIO CONOSCERE? L’acqua vitaminizzata di colori improbabili e le indicazioni per gli allergici: in un ufficio pubblico ho trovato un cartello che proibiva di portare banane, perché si era verificato un caso di allergia!
ALESSANDRO PICCOLO (Como, 1983), sound designer con la passione per il silenzio. Dovendo scegliere se emigrare temporaneamente al caldo dell’Australia o al freddo del Canada, ha deciso che voleva assomigliare al protagonista di Into the wild. Magari senza bacche velenose e con il permesso di lavoro per 6 mesi che concedono agli under 35 nel paese della foglia d’acero
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A CURA DI FLORIANA CAVALLO
SECONDA LETTURA FOTO TATIANA UZLOVA
Due punti nello spazio descrivono una retta, due scatti appaiati raccontano una storia. Tatiana Uzlova regala una seconda lettura alle sue polaroid, creando inattesi accoppiamenti tra le immagini. Il progetto ha dato vita a una mostra presentata da Urban a Torino durante l’ultima Paratissima lo scorso novembre URBAN | 13
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SUBLIME #2: AND THE SKIN BETWEEN
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SUBLIME #3: WE, THE ANIMALS
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SUBLIME #4: THE BEAR AND THE HONEY
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95.825 presenze, 500 artisti e creativi, 50 progetti, 180 performance. Numeri importanti per l’ottava edizione di Paratissima che quest’anno si è tenuta negli spazi del Moi, ex villaggio olimpico ed ex mercato generale, dal 7 all’11 novembre, durante la settimana dell’arte torinese. Nella penombra misteriosa e suggestiva di uno spazio dedicato ad hoc c’era anche Urban, che una volta di più ha scelto di caratterizzare la propria presenza con la fotografia d’autore. Abbiamo infatti presentato in mostra il progetto Sublime. Polaroids: una serie di immagini scattate e abbinate ad arte da Tatiana Uzlova tra gli Urali, gli Stati Uniti e l’Europa, di cui avete visto una selezione nelle pagine precedenti. •
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Origin Chair © Betony Vernon
MILANO & CO. CULT DI MICHELE MILTON
SEX & DESIGN Sesso delle mie brame, chi è il designer più hard del reame? Alla Triennale Design Museum di Milano è di scena (fino al 10 marzo) il rapporto tra eros e cultura del progetto con la mostra Kama. Sesso e Design. Ovvero: come la sessualità si incorpora nelle cose trasformandole in strumenti di conoscenza, non privi d’ironia. Oltre a otto installazioni inedite di progettisti internazionali, sono esposti più di 200 pezzi tra reperti archeologici, disegni, fotografie, oggetti d’uso e opere di artisti come la jewel designer Betony Vernon, già collaboratrice di Fornasetti, che per la prima volta si cimenta con la scultura in marmo. Il materiale che in assoluto nell’arte (vedi Michelangelo) conserva la plasticità della carne viva. www.triennale.it
FACCE DA FACEBOOK Fino al 24 dicembre Blauer lancia l’international web contest Blauer Friends. Tutti gli iscritti a Facebook sono invitati a partecipare e quindi ad avere la possibilità di vincere due giacche della collezione Fall/Winter 2012. Basta realizzare una fotografia dove ognuno interpreti, in modo originale, il mondo Blauer indossando almeno un capo. Le immagini si potranno votare alla pagina www.friends.blauer.it/contest e alla pagina Facebook Blauerusa. Vinceranno i due profili (una donna e un uomo) che avranno registrato il maggior numero di voti e che diventeranno in automatico anche i modelli ufficiali Blauer per Facebook. www.facebook.com/blauerusa
B BRIVIDI DA BREAKDANCE B L L’Hip Hop Extravaganza targata Braun anche quest’anno è volta B aal termine. A metà novembre ssono andate in scena in quel di Montepellier le finali q dell’edizione 2012 della Braun d Battle of the Year (il celebre B ccampionato mondiale di breakdancing) dove, al termine di d sfavillanti semi-finali, che per lla prima volta comprendevano sei squadre finaliste (anziché lle consuete quattro), la crew di casa (i francesi Vagabonds) ha surclassato la nipponica Flooriorz. L’evento, come sempre, ha chiamato a raccolta i b-boy di ogni parte del globo, che oltre ad assistere alle battaglie hanno potuto partecipare a workshop e show. www.braunbattleoftheyear.com
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PITTI NEWS Scouting e ricerca sono gli elementi che fanno di Pitti Uomo a Firenze un punto di riferimento per la moda maschile, un talent hub dove scoprire giovani creativi, oltre alle centinaia di aziende che presentano nuove collezioni e progetti speciali. In questa edizione – oltre ai due guest designer Kenzo e Maison Kitsuné, eclettico brand nippo-francese – vedremo una selezione di promettenti creativi dai paesi nordici con il progetto Danimarca Guest Nation. Sempre dal nord, Erïk Bjerkesjö, designer svedese, talento uscito da Polimoda e vincitore dell’edizione 2012 di Who Is On Next? Uomo, debutta con un’originale performance negli spazi di Villa Favard. Infine il programma di temporary events – Alternative Set – con installazioni ed eventi speciali dei migliori talenti italiani come 10A-Suspender Trousers Company, Camo, Luca Larenza, Studiopretzel e You Footwear. (Federico Poletti)
ph. Josh Olins
www.pittimmagine.com
ph. Dan Jackso
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URBAN A FIRENZE & FASHION Durante Pitti Uomo 83, e con la collaborazione del Comune di Firenze, Rcs MediaGroup presenta la nuova edizione di Firenze & Fashion, allestendo uno spazio di dialogo insieme alle sue testate. Per l’occasione Urban ha invitato Daniel Andresen, talento d’origine tedesca, ma formatosi alla celebre Accademia Reale delle Belle Arti di Anversa. Il designer ha scelto proprio Anversa come base per lanciare la sua label di moda uomo. Con lui parleremo di creatività e di come la città sia diventata un punto di riferimento per la moda durante un talk il 9 gennaio alle 12 in piazza della Repubblica. Join us! (F.P.) www.firenzeandfashion.rcs.it
LA VERSIONE DI REI Tutto l’universo complesso e concettuale di Rei Kawakubo, esteso dalla moda al design e dall’architettura alla grafica, è ripercorso in 120 splendide pagine di interviste e inedite notizie, arricchite dai contributi fotografici di Paolo Roversi, Emma Summerton e David Bailey, nel nuovo libro che Taschen le dedica, a cura di Terry Jones (fondatore e creative director di i-D Magazine). Un libro che è la cronaca di un’esperienza seminale e un esempio fulgido di come, abbattendo le regole e i muri del pensiero convenzionale, anche la moda in alcuni casi (come per Kawakubo, deus ex-machina dell’innovativa fashion house Comme des Garçons) possa intendersi pienamente come espressione artistica a sé stante. www.taschen.com
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LONDON DESIGN
PHILIPPE MALOUIN TESTO MARIA CRISTINA DIDERO FOTO MATTIA ZOPPELLARO / CONTRASTO
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Incontro Malouin per la prima volta a Vienna un anno fa, quando per interpretare lo scorrere del tempo progetta uno strano aggeggio articolato che appeso al soffitto segna i minuti insieme a una serie di clessidre. Pura emozione. L’anno dopo lo ritrovo tra i vincitori di Designer of the Future di Design\Miami: si aggiudica il premio grazie alla serie di lampade Daylight che riproducono artificialmente la luce del giorno. Lo rivedo a Milano con un cappotto grigio chiaro mentre sfila in passerella per Prada. Da circa un mese il suo Blur, acceleratore di particelle circolare incorniciato in un quadrato, è in mostra al Design Museum di Londra all’interno della mostra Swarovski Crystal Palace. Canadese, classe 1982. Faccia pulita, barba nera curata con precisione maniacale, esce (anche lui) dall’Accademia di Eindhoven. Ora vive a Londra, dove ha il suo studio. Ama una piccola baia dove surfare vicino a Land’s End in Inghilterra – ma soltanto in una giornata di sole – mentre l’Italia è il paese che ha nel cuore: la madre cucina da sempre ottime lasagne, capisce e parla un po’ la nostra lingua. Non ama i colori e la parola “poesia”. Ha lo sguardo disincantato di chi sa che è già stato prodotto tanto e che se si ci si vuole distinguere è necessario fare bene. Il suo segno è secco e gentile al tempo stesso, la ricerca senza fine e segna la vera ispirazione del suo fare design. In questo momento ha in produzione una chaise longue intrappolata dentro a un cerchio che le permette comunque di dondolare, una sedia/ stampella che raddoppia la sua funzione quando la si appende per riporla, una serie di elementi componibili per creare librerie/lampade che delineano geometrie sulle pareti e uno sgabello con le gambe che rilasciano inchiostro per tracciare il movimento dell’oggetto nelle stanze. La galleria milanese Project B inaugurerà la prima mostra di design con un progetto commissionato ad hoc a Malouin in occasione del prossimo Salone del Mobile, di cui lui non vuole ancora dirci nulla.
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COM’È SFILARE PER PRADA DA NON ADDICTED? È stato divertente, ma io sono molto timido e faccio il designer.
QUAL È LA TUA VISIONE RISPETTO A QUELLO CHE FAI? Credo che indagare come siano realmente fatti gli oggetti sia l’essenziale punto di partenza di ogni product designer. Un designer deve essere curioso.
COME NASCE IL TUO DESIGN? Per ogni avventura progettuale mi piace sperimentare nuovi materiali e inediti processi di realizzazione. Non ho un modo tradizionale di lavorare e molto raramente disegno, sviluppo e poi produco. Il mio processo creativo non è mai lineare ma sono convinto che dalla sperimentazione nascano intuizioni interessanti.
QUAL È IL CRITERIO CON CUI ACCETTI UN PROGETTO? La qualità delle persone: devo essere in sintonia con il team di lavoro e con il cliente. Il secondo criterio è quanto divertente si preannuncia il progetto.
C’È UN MATERIALE CHE PREFERISCI UTILIZZARE PIÙ DI ALTRI? No, tutti i materiali sono in sé una grande fonte d’ispirazione in grado perfino di dare inizio, ispirare la creazione di un intero progetto. Sembra che i miei progetti nascano proprio dall’analisi delle possibilità di scelta.
TU COME DISEGNI? Mi piace usare ogni mezzo a disposizione ma penso che gli strumenti
tecnologici vadano usati con parsimonia, a seconda delle esigenze: produco modelli, disegno a mano e al computer perché credo che queste tecniche si completino l’una con l’altra.
all’arte, alle produzioni cinematografiche. Hanno concepito e realizzato processi produttivi e l’utilizzo di nuovi materiali come il multistrato curvato, per esempio. Mi piacerebbe un giorno essere in grado di inventare qualcosa del genere.
QUANDO (E SE) UN OGGETTO DI DESIGN DIVENTA UN’OPERA D’ARTE? Un oggetto di design ha sempre una funzione mentre un’opera d’arte no; ma i confini sono confusi e sottili. Non mi piace essere io a giudicare che cosa sia arte e che cosa design, preferisco lavorare con libertà senza pormi troppe domande su come i miei progetti verranno classificati.
C’È DIFFERENZA NEL TUO PROCESSO CREATIVO QUANDO LAVORI A UN’EDIZIONE LIMITATA E QUANDO INVECE SEI IMPEGNATO PER UN PROGETTO SERIALE? Le edizioni limitate prevedono un maggiore impegno nella creazione di un nuovo processo, una tecnica alternativa o l’utilizzo di materiali innovativi perché non è richiesto, come per le produzioni seriali, che questi elementi abbiano un basso impatto. Per la realizzazione di un pezzo unico si investono molto più tempo ed energie nella ricerca e nella sperimentazione piuttosto che nella progettazione definitiva.
C’È UN OGGETTO DISEGNATO DA ALTRI CHE AVRESTI VOLUTO PROGETTARE TU? Avrei voluto progettare il Pewter Stool di Max Lamb: il suo processo produttivo è incredibile.
C’È UNA TENDENZA ALL’INTERNO DEL DESIGN CONTEMPORANEO CHE RITIENI SIA PARTICOLARMENTE SIGNIFICATIVA? Mi sembra ci si sposti verso un’apparente imperfezione: è paradossale pensare che alcuni progettisti spendano tanto tempo per realizzare l’imperfezione di un oggetto piuttosto che liberare la loro creatività e fare in modo che l’oggetto si crei spontaneamente.
IL SOGNO IMPOSSIBILE COME DESIGNER? Disegnare un classico: è molto difficile perché ce ne sono già così tanti nel mondo.
DEFINIZIONE PER IL TUO DESIGN? Non ho idea, dimmelo tu!
DESCRIZIONE DELLA TUA VITA IN QUESTO MOMENTO. Piena, eccitante e spaventosa! •
SEMPLICE E SOFISTICATO. CREDO CHE IL TUO DESIGN SIA CARATTERIZZATO DALLA RICERCA PROFONDA IN CIÒ CHE È GIÀ STATO FATTO – E FATTO BENE – PER CERCARE DI RENDERE NITIDE IDEE COMPLESSE. A PROPOSITO: NELLA STORIA DELL’ARCHITETTURA E DEL DESIGN, QUALI PERSONAGGI TI HANNO ISPIRATO PARTICOLARMENTE O CONSIDERI I TUOI MAESTRI? Sono un grande fan di Charles e Ray Eames, ho diversi loro pezzi: erano inventori che hanno saputo lavorare in contesti diversi, dai mobili
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AMSTERDAM DESIGN DI OLIVIA PORTA
ISPIRAZIONE CARTOON Potrebbe far parte tranquillamente di una scena di un cartone animato. My Couch, My Canvass di d Annebet Philips è un divano progettato senza cuscini volanti. Ovvero, la forma del divano è costituita ostituita dalla struttura in legno e schiuma, con cuscini integrati nello schienale e nei braccioli che lo rendono confortevole. vole. All’esterno ha una copertura in cotone, dipinto come una tela bianca di un quadro, con tratti neri che seguono laa sagoma del divano. L’i L’idea è di sbizzarrirsi tra le varie versioni dipinte con diverse fantasie. www.annebetphilips.com
INNSBRUCK OPACITÀ TRASPARENTE
ROMA BIG BAMBÙ
Una nuova opera si è aggiunta tra le Camere delle Meraviglie dello Swarovski ovski Kristallwelten a Wattens, vicino a Innsbruck. Si chiama Opacità trasparente ente ed è il frutto delle idee dell’artista designer israeliano Arik Levy. Uno spazio azio luminescente dove invita i visitatori a immergersi nella vita interna dei cristalli e sperimentare a pieno le loro forme e dimensioni. L’installazione giocaa con la trasparenza e l’impenetrabilità, dando sensazioni di grande impatto. Nel el cuore della cattedrale del cristallo del Tirolo, merita un giro.
Parte a Roma la sesta edizione di Enel Contemporanea, a cura di Francesco Bonami. Dal prossimo 11 dicembre vedrà l’apertura al pubblico negli spazi di Macro Testaccio della gigantesca installazione Big Bambù, creata ad hoc per la città dagli artisti americani gemelli Doug e Mike Starn. Migliaia di aste in bambù vengono legate e incastrate fra loro con un metodo tradizionale, capace di creare un’inedita struttura-scultura dove addentrarsi lungo percorsi, camminamenti e sensazioni, fino ai 25 metri di altezza.
www.kristallwelten.swarovski.com
www.enelcontemporanea.com
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LONDON CREATIVE LAB
TESTO SUSANNA LEGRENZI
ARTISTICAMENTE 28 | URBAN
Chi ancora si prende la briga di spedire cartoline? Per di pi첫 personalizzate con fantasiose ingiurie verso i destinatari/vittime?
SCORRETTO URBAN | 29
“Dear Gavin, se fossi un supermarket saresti un Lidl”. Nell’era post digitale ci si può offendere via byte. O scegliere di (farsi) insultare, assoldando un killer disposto a tutto. Anche a spedire ad personam una carta postale carica di odio. Visto che di cartoline si tratta, ci sarà un fronte. E un retro. Il fronte, in questo caso, sono immagini di un mondo vintage al punto giusto: pantone colore anni Cinquanta/Settanta, monumenti nazionali, flora e fauna, souvenir dalle geografie lontane, grandi opere, panorami, ombrelloni, lidi più o meno affollati, da Brindligton a Lignano Pineta. Il retro reca, invece, un’ingiuria, personalizzata con un disegno a mano libera di Mr Bingo, tra gli illustratori britannici di punta, meglio noto come “il Justin Bieber del design” come annuncia la sua bio ufficiale. Così è nato Hate Mail, in libreria con la casa editrice anglosassone Penguin: una raccolta di 100 tra le migliori missive inviate da Mr Bingo ai suoi fan più spregiudicati. Segni particolari: bollo blu in copertina (“Contains Explicit Content”). E una dedica come prologo: “All’insegnante di business che una volta mi ha detto: ‘Se ti abitui a fallire, nella vita fallirai un sacco di volte’”. Mr Bingo ha casa e studio
a Shoreditch, il nuovo distretto sfarinato della coolness londinese. Il suo immaginario è popolato da uomini grassi, cani che indossano vestiti, inglesi all’estero ma anche da titani della grafica come Paul Davis e Andrew Rae. Mr Bingo non è un nerd. Negli anni il bad boy del bel disegno politicamente scorretto – hobby dichiarati: beatboxing e Scarabeo – ha firmato illustrazioni per The Financial Times, The Guardian, Dazed and Confused, Wired ed Esquire. E lavorato per clienti come Microsoft, Nike, BBC, Volkswagen, Virgin, Converse, MTV. Hate Mail – ultimo progetto – assomiglia a un rilevatore del tasso di un british humor sospeso tra i Monty Pyton, le vignette the Bunny Suicides di Andy Riley, la metanarrativa alla David Lodge. Punge, al vivo; azzarda l’ingiuria, regalando infine, a chi sa regalarselo, un sorriso. Mr Bingo racconta che tutto è nato per caso, una notte, quando dal suo studio, ubriaco, ha fatto un giro su Twitter, chiedendo ai suoi follower di rispondere a un suo cinguettio. Il cinguettio prometteva una ricompensa: la prima persona che avesse ritwittato si sarebbe aggiudicata un improperio via posta. A vincere il contest è stato Jonathan Hopkins, al quale Mr Bingo recapita, qualche giorno più tardi, la sua prima cartolina virale: “F*ck you Jonathan, f*ck you and f*ck your sh*t legs”. Un successo: in rete, ma non solo, ne parlano in molti. Mr Bingo non perde tempo. E punta più in alto, inaugurando un servizio dedicato, dove chiunque, per 10 sterline, può commissionare/ricevere la sua dose di insulti. Le regole del gioco? Semplici. Numero uno: non sono consentite richieste specifiche. Numero due: Mr Bingo non è responsabile per chiunque possa subire un danno mentale a causa del messaggio di odio. Il libro in Gran Bretagna è già sold out. Quando gli è stato chiesto il motivo per cui ha messo in piedi questo circo, Mr Bingo ha risposto: “E’ F*… divertente che ci sia qualcuno disposto a pagare per essere insultato”. Naturalmente c’è stato anche chi ha pensato di restituirgli il servizio. “La cosa più strabiliante che ho ricevuto è un rotolo di carta igienica dalla Svizzera, con la parola str*… stampata su carta”. Mr Bingo deve averci sorriso. Ma non il postino. Il rotolo era infilato in un tubo. Niente a che vedere con le sue cartoline che, prima di approdare nella mani del destinatario, sicuramente sono passate sotto lo sguardo dei portalettere della Royal Mail, of course. •
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MILANO & CO. MUSICA DI PAOLO MADEDDU
A VOLTE RITORNANO THE HIVES 4 DICEMBRE 2012 MILANO – ALCATRAZ Sì, fa un po’ effetto segnalarli. Perché insomma, sappiamo benissimo che l’hype per gli Hives (perdonate il bisticcio, nemmeno in italiano per di più) è roba di almeno dieci anni fa – e anche allora, non erano di primo pelo. Eppure, anche se farete fatica a crederlo, non solo gli Hives: 1) esistono ancora, ma 2) hanno ragione loro. Il loro ultimo disco, Lex Hives, dura praticamente mezz’ora, somiglia sostanzialmente a tutto il rock che conoscete, ed è di una gagliofferia così smodata che viene voglia di unirsi a loro. Che cosa vuoi
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dire a una band che apre un disco con un pezzo di un minuto che dice solamente e continuamente: “Come on! Come on!” (e che si intitola, enigmaticamente: Come on!). Che cosa vuoi dire a una band che spara riff e ritornelli come chi non ha niente da perdere, specialmente la propria credibilità? I cinque svedesi vogliono fare una allegra caciara stupidona e contagiosa: ci riescono. Hanno torto? •
MARTHA WAINWRIGHT COME HOME TO MAMA
THE WEEKND THE TRILOGY
GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR ALLELUJAH! DON’T BEND! ASCEND! Constellation
XO/Universal
WHO: Abel Tesfaye, 22 anni, nato in Canada. L’anno scorso parecchi critici indie lo hanno votato come autore del migliore album del 2011. Nota bene: non aveva ancora pubblicato album – solo mixtape. QUESTO è il suo primo album. Il che dimostra una volta di più quanto sono confusi i critici. WHERE: In quel r’n’b lento e oscuro e angoscioso tutto tappeti sonori e soul elettronico e vocalità sensibilissima. Lo chiamano hipster r’n’b – è una definizione che fa abbastanza ridere, vi va bene se la teniamo? WHY: Forse non ve ne siete mai accorti, ma Urban non dà mai come voto UNA stelletta. O due. Perché insomma, dovendo segnalare quattro dischi, che siano almeno dischi decenti; quelli che dovreste evitare, non li citiamo neppure. Però nel caso di questo disco eravamo preoccupati. Ci tenevamo che lo evitaste.
WHAT: “Il mio viaggio in cerca dell’ispirazione può W sembrare masochismo ad altri cui non è stato dato il i fardello di creare arte”.
WHEN: Quando dovete fare un regalo a qualcuno W che a voi fa regali di lampeggiante bruttezza.
WHO: Nove canadesi – due bassisti, due batteristi, tre chitarristi, una violinista e uno che proietta i filmini. Nessuno che canti. Si fanno passare per anarcoinsurrezionalisti. Nota bene: senza ricorrere a testi e senza dare interviste. WHERE: Al ritorno dopo che per dieci anni non si è più saputo nulla di loro. Non che prima se ne sapesse granché – obiettivamente, non hanno mai venduto dischi a palate nei loro cinque anni di carriera (1997-2002). Però sapete, gruppo di culto, eccetera.
WHY: Brani lunghissimi, tesissimi, preoccupanti, fragorosi. Probabilmente dovreste ascoltarli una volta sola, in occasioni cruciali. Se dovete fare qualcosa di definitivo e fatidico. Che so, comprare una teiera.
WHAT: “Le cose non sono OK. Quindi la musica dovrebbe riguardare quelle cose che non sono OK, altrimenti non dovrebbe esistere affatto”.
WHEN: Quando dovete fare un regalo a qualcuno che sta peggio di voi, e ne è in fin dei conti abbastanza soddisfatto.
UNA SU 15 AEROSMITH “ANOTHER LAST GOODBYE” DA “MUSIC FROM ANOTHER DIMENSION” Sony
Cooperative
WHO: Cantautrice 36enne, canadese – siamo pieni di canadesi oggi – nota per canzoni di melodiosa insoddisfazione verso il genere maschile (Bloody mother fucking asshole). Sorella di un cantante (Rufus), figlia di una cantante e di un cantante. Nota bene: il padre Loudon Wainwright oltre che cantante è anche attore (parti nella serie tv M.A.S.H., nei film Big Fish o Elizabethtown).
WHERE: In un momento di passaggio da una fase in fin dei conti allegrotta a una fase più seria. Forse ha preso atto che nonostante una discreta base di fan e molte simpatie della critica (il che è bizzarro, visto che non è particolarmente simpatica), non andrà mai in top ten. Quindi ha deciso di fare il disco personalissimo.
WHY: Sì, è diventata mamma. WHAT: “Il genere che faccio è diventato molto sicuro. Vorrei provare a prendermi qualche rischio”. WHEN: Quando dovete fare un regalo a qualcuno che ascolta cantautori italiani. Oppure, a qualcuno che di mestiere fa il cantautore italiano.
Quando attaccano l’ennesima ballata Xerox (in quanto fotocopia delle ballate precedenti), è un sollievo. Sì, quel sollievo che si prova quando quelli che ti stanno facendo i lavori sottocasa smettono di trapanare, quando il cane scemo dei vicini smette di abbaiare, quando l’antifurto del macchinone tronfio smette di sirenare. È un riposo per le orecchie, rispetto al penoso strillare e riffare dei pezzi che vorrebbero essere eccitanti, ma sono incredibilmente fastidiosi, assillanti, ottusi. Quando ci si imbatte in brani-ribollita come Legendary child o Sweet Jesus, chiaramente affastellati ricalcando altri momenti di gloria, si capisce che le povere vecchie
STUBBORN HEART STUBBORN HEART One Little Indian
WHO: Luca Santucci e Ben Fitzgerald, due inglesi dall’aria genuinamente sfigata. Nota bene: sono gli unici non canadesi che recensiamo questo mese. Sì, era più interessante se avessimo fatto solo canadesi. Ma poi avreste pensato che prendevamo degli alci sottobanco. WHERE: Al debutto, in quel r’n’b sensibilissimo e soul elettronico che abbiamo deprecato in The Weeknd. Vedete, non è che il genere ci faccia completamente schifo. Non è che abbiamo pregiudizi. Siamo gente disponibile.
WHY: Non hanno quell’inutile, ridicola patina di angoscia che viene considerata indispensabile per dare credibilità al genere – anzi, sono pronti a prendere quelle atmosferone e quei loop e a diluirli con un po’ di pop. WHAT: “Oggi le case discografiche ti chiedono tutte una cosa: quanti contatti avete avuto su YouTube? Non stiamo scherzando, lo chiedono tutti”. WHEN: Quando dovete fare un regalo a qualcuno che è così vintage che quest’anno festeggerà il Natale del 1972.
leggende (pardon: le vecchie leggende. Levate il “povere”) questo album non avevano voglia di farlo. Di più: non era il caso di farlo. Ma ormai lo avevano promesso, ormai si erano ritrovati in studio, cosa vuoi fare: come certi lavori che vanno pur consegnati, lo hanno ultimato svogliatamente. Allora, ben venga l’iperballata finale, Another last goodbye, la madre di tutte le fotocopie, una melodia che ha se non altro il pregio di esibire degnamente il marchio Aerosmith, quello che nessun’altra band in circolazione può mostrare. Ma che forse, per il loro bene, per questo disco andava revocato agli stessi Aerosmith. •
URBAN | 33
LOS ANGELES FENOMENI
TESTO ROBERTO CROCI FOTO ALEX HOERNER / TRUNK ARCHIVE
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CUCINA VISTA L.A.
Antipasto: tonno hamachi su insalatina di rapanelli con salsa tempura infusa con la famosa Caesar (versione sofisticata della Caesar salad). Main course: beef tartare con cuori di palma, sea bean (asparagi di mare) chimichurri (salsa argentina che ricorda vagamente un pesto), rafano e scaglie di cracker di segale. Squisito. Pork belly grigliato con olio-infuso-a-la-brace, salsa bbq, su mais fresco, assolutamente da provare. Dessert: mele al caramello, noci e gelato affumicato. Questo il menu della mia serata, consumato in quel di Ink su Melrose Ave, zona West Hollywood, LA. Lo chef, Michael Voltaggio, è in cucina, tatuaggi e incazzature varie dettate dai ritmi indiavolati della preparazione. Star e vincitore della sesta stagione del popolare tv show Top Chef, chef al Charlie Palmer’s Dry Creek Kitchen dove si è guadagnato una stella Michelin, discepolo di José Andrés, nella famosa cucina Bazaar di Beverly Hills, Michael (un privilegio conoscerlo) è uno dei nuovi chef della cucina avant-garde la cui complicatezza di sapori contrasta con la semplicità degli ingredienti. Ink, suo primo ristorante da proprietario, è stato nominato da diverse testate americane uno dei nuovi 10 posti dell’anno da non perdere (e dove farsi notare). Dopo aver mangiato in religioso silenzio, ci facciamo due chiacchiere, mettendo subito in chiaro – siamo entrambi d’accordo – che, mentre l’accidia è il male del nostro tempo, golosità e ingordigia sono facce della stessa medaglia: senza l’una, non esisterebbe l’altra, alla faccia dei peccati capitali.
PERCHÉ LA SCELTA DEL NOME INK (INCHIOSTRO)? QUAL È LA FILOSOFIA DELLA CUCINA? Ink come allusione di stabilità, come impressione indelebile di un cibo ispirato alle miriadi di micromondi che popolano la città di Los Angeles. Ink come i miei tatuaggi, come la cucina moderna di LA, sapori classici elevati a nuove esperienze con ingredienti di qualità incomparabile e raffinate tecniche di esecuzione. Una versione elegante dei cibi etnici che si trovano nelle varie zone della città. Quando ero bambino odiavo le verdure, quindi da allora cerco di trasformare tutto quello che non mangerei normalmente in un piatto delizioso. Il tema del mio ristorante è che... non c’è alcun tema. Non c’è nulla di permanente, a parte i muri che delimitano la cucina.
CAMBI SPESSO IL MENU? Cambiamo qualcosa tutti i giorni. Non posso cucinare sempre le stesse cose, mi piace sperimentare con ingredienti nuovi finché non riesco a trovare l’equilibrio giusto. Quando siamo riusciti a vendere lo stesso piatto per un po’ ci stanchiamo di rifarlo e lo cambiamo.
CHE COSA MANGIAVI DA BAMBINO? Ero molto limitato, non ero dotato certamente di un appetito gourmet. Mangiavo sempre le stesse cose, spaghetti, sandwich grigliati al formaggio, hot dog, pollo fritto, patatine, tutte le cose che mangiano i bambini nati qua. Mia madre in realtà è una bravissima cuoca, cucina tutte le delicatezze tipiche americane: pork chop (cotolette di maiale), meat loaf (polpettone), fried chicken (pollo fritto), grilled T-bone (bistecche alla griglia), pumpkin pie (torta di zucca). È sempre stata brava, anche se io ero irrecuperabile.
PERCHÉ LOS ANGELES? Amo LA, voglio che il mio ristorante rifletta l’amore che provo per questa città. Voglio che i miei clienti siano eccitati dall’idea di venire a mangiare da me, voglio che i miei camerieri non vedano l’ora di venire a lavorare. Voglio che sia un posto autentico, intimo e senza troppe pretese, ma di qualità top, the best.
LA PRIMA VOLTA CHE SEI ENTRATO IN CUCINA? Avevo 15 anni, volevo seguire le orme di mio fratello Bryan che studiava al Culinary Institute of America. Io invece decisi di non studiare e feci l’apprendistato alla famosa Greenbrier Resort in West Virginia. Ho imparato tutte quelle cose che forse non avrei mai imparato a scuola, tipo sfilettare il pesce alla perfezione finché non vuoi più vederlo per il resto della tua vita e a scuoiare cervi e selvaggina.
E POI? A 21 anni, finito l’apprendistato, mi hanno assunto al Ritz Carlton di Naples, in Florida, sotto la guida di Arnaud Berthelier, dove ho imparato a combinare il mio training classico con tecniche insolite, rivoluzionarie, che poi riflettono molto il mio stile: lavorava molto con il sous-vide (sotto vuoto, n.d.r.), perché aveva cucinato sotto Alain Ducasse. Da lui ho imparato molto, sapeva cose che mai mi sarei immaginato potessero esistere, compresi elementi di gastronomia molecolare che mi hanno permesso di cucinare una carota alla perfezione, mantenendone tutto il sapore senza alterarne le qualità nutritive.
QUANDO NON CUCINI, DOVE VAI A MANGIARE? A Los Angeles puoi trovare tutti i tipi di cucina, è un melting pot di sapori, culture e tradizioni evolute in ricette spesso più interessanti di quelle che trovi nei paesi di origine, anche perché qui si sperimenta molto con diverse fusion. Ogni quartiere ha stili diversi: Koreatown, Downtown, West Hollywood, San Gabriel Valley li raccomando per i gusti asiatici; Venice per la ‘nuova’ cucina americana influenzata dal resto del mondo; Beverly Hills per i classici francesi, spagnoli e italiani, Hollywood per messicani e thailandesi; Culver City per nuovi up-andcoming chef; Malibu per i nuovi trend anche se molti sono troppo pretenziosi. Poi c’è Roy Choi, quello che ha iniziato il riot dei food truck con Kogi, e Jordan Kahn di Red Medicine in Beverly Hills, con la sua cucina vietnamita fantastica. Los Angeles è una città internazionale, non si cucina il cibo moderno americano, si cucina il nuovo cibo di LA, stile 22esimo secolo. Quando voglio tacos vado da Ricky’s Fish Tacos a Hollywood: frigge tutto nel lardo che dà a carne e pesce la consistenza perfetta; per sushi e sashimi consiglio Omi Sushi in West Hollywood, non il più innovativo ma di ottimo rapporto qualità prezzo. Per i burger con pollo fritto vado da Son of a Gun, per i ramen da Daikokuya a Little Tokyo, per il thailandese Jitlada in Little Armenia, oppure se voglio sperimentare vado a Test Kitchen, ristorante con vari chef di altri ristoranti che si ritrovano per scambiarsi idee, concetti e nuove tecniche. Un laboratorio che quest’anno si trova da Bestia, il nuovo posto di Ori Menashe, nell’Arts District in downtown. Se voglio mangiare bene e vestirmi elegante vado da Bouchon di Thomas Keller a Beverly Hills, grande icona del mondo culinario. Per cocktail e drink seri The Roger Room a West LA oppure The Varnish a Downtown.
HAI QUALCHE CONSIGLIO PER CHI VUOLE IMPARARE IL MESTIERE? Cucinare mi ha insegnato a vivere, lavorare ai fornelli è stato il mio modo per risolvere tutti i problemi che ho avuto durante l’adolescenza. Cucinare mi ha insegnato a controllare la rabbia, a filtrare le mie passioni. È una professione che si evolve continuamente in cui ci vuole molta disciplina per avere successo. Però dà tante soddisfazioni. Personalmente cerco di rimanere studente, sono sempre aperto a imparare cose nuove, a perfezionare quello che so. Ho il mio ristorante, ho il mio stile eppure la verità è che non so mai what the fuck I’m doing.
SE DOVESSI SCEGLIERE UN’ALTRA CUCINA DOVE CREARE I TUOI PIATTI, QUALE SAREBBE? Non so se potrei creare i miei piatti in una cucina che non mi appartiene, comunque sarebbe da Pierre Gagnaire a Parigi, uno dei più grossi artisti del nostro secolo, la modernità dei suoi piatti è disarmante, mi fa venire voglia di cambiare mestiere! No fucking way, Michael, please... keep on cooking! •
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MILANO FASHION
SARAH
LEO
FOTO TATIANA UZLOVA STYLING IVAN BONTCHEV LOCATION MCS STORE — MILANO
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ON THE ROAD PORTRAIT/1 On the road non è ovviamente solo il romanzo (adesso anche un film). On the road rimane la carta d’identità di una generazione che ha fatto la differenza con la precedente per le esperienze assolutamente inedite che aveva scelto di vivere. Per questo, in un momento in cui quello che si vive in prima persona
FRANCESCA
FABIO E STEFANIA
FABIO
ELENA
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MILANO FASHION BOLOGNA FASHION
LIDIA
ON THE ROAD PORTRAIT/2
SILVIA
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AURA
MARTA
FOTO LUCA CAMPRI STYLING IVAN BONTCHEV LOCATION KONTATTO STORE — BOLOGNA
MARGHERITA
sembra passare in secondo piano rispetto alla quantità d’informazioni filtrata dalla tecnologia, abbiamo voluto scommetterci sopra. E far provare ai nostri lettori l’esperienza del ritratto posato attraverso la fotografia in pellicola. MCS Marlboro Classics e Kontatto ci hanno supportato con i loro store per location e abiti. Il risultato? Prove tecniche per una nuova generazione On the road
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URBAN X BRAUN
NY BARBER TOUR Signori, c'è poco da fare. New York City, the Big Apple, the Empire City, la città così bella che per dirla tutta devi doppiarle il nome (New York, New York) è ancora il posto più creativo al mondo. Perché c'è sempre qualcosa che ancora non hai visto. E magari potrebbe essere il meglio. Tu pensi: a tutti i risto che ci puoi trovare. Ai negozi più cool, ai teatri off off (Broadway), alle gallerie, ai club con il meglio delle nuove scene musicali. Tutte cose più o meno già viste. Giusto? A rinnovare l'elenco dei tour ufficiali into Manhattan ci ha pensato la Braun, sì, proprio quella, l'azienda che produce il mitico Braun Cruzer. Con un website (è shaveyourstyle.com, fateci subito un salto!) tutto dedicato ai migliori barbieri della Città-Che-NonDorme-Mai (ma anche a quelli delle più grandi metropoli a stelle & strisce, dalla East alla West Coast) e con un divertentissimo contest, naturalmente documentato on line, dove una serie di giovani, stilosi, tutti strafighissimi barbieri si sfidano a colpi di Cruzer Face in una avvincente battaglia all'ultimo pelo. Vincitore del contest nonché tagliabarba e aggiustacapelli preferito di una serie di cool guy di quelli che animano la New York più alla moda (Drake, Jake Gyllenhaal e Ghostface Killah sono suoi "pals", amici affezionati) è il Frank's Chop Shop, al 19 di Essex Street (capito dove?), uno di quei barbieri che non solo sanno il fatto loro ma anche il fattore tuo, e sono capaci di rivoluzionarti il look come pochi, satisfaction guaranteed! Creato con ambizione da Michael Malbon, background nella moda e in pubblicità, Frank's ha allargato la cultura del barbiere partendo dalla tradizione ma ispirandosi al mondo hip hop per arrivare a uno stile che potremmo definire "tagliente". Ognuno dei suoi barbieri ha la sua personalità, ma
Mr Bee, biondo uomo di punta del Chop Shop, ha quel tocco in più che avverti subito quando sei sotto il suo personal Braun Cruzer. Così non importa se a entrare in negozio è un tipo rock'n'roll, uno stallone hiphop o un semplice mister Smith: ognuno trova la sua nuova dimensione, it's easy. Shave Your Style ha messo di recente Frank's contro un altro famosissimo barbiere della Grande Mela, il Neighborhood Barbershop, come a dire: Lower East Side contro East Village. Si sono sfidati in tre round: clientela, cordialità e "taglio". Indovinate un po' chi ha vinto?
www.shaveyourstyle.com
Se vuoi saperne di più sui prodotti Braun cruZer, fai lo scan della QR tag!
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DI MARTA TOPIS
SETTE MODI DI AMMAZZARE UN GATTO MATÍAS NÉSPOLO EDIZIONI SOCRATES, 2012 164 pp., 10 euro Qui si scommette su un esordio, ma non a occhi chiusi perché il trentasettenne giornalista argentino al suo debutto come scrittore è stato selezionato dalla prestigiosa rivista letteraria Granta come uno dei migliori romanzieri emergenti di lingua spagnola. E chi ben comincia… Lo scenario scelto da Nespolo è un barrio degradato di Buenos Aires, sullo sfondo della più buia Argentina in piena crisi economica, dove due diciannovenni, il Chueco e il Gringo, l’uno arrogante e spavaldo, cresciuto a pane e pallottole, l’altro eternamente combattuto tra restare o fuggire, cercano di sopravvivere alla realtà degradata che ogni giorno li affoga. Una realtà chiara fin dalle prime righe, in cui viene spiegato che esistono sì sette modi di ammazzare un gatto, ma che alla fine in realtà sono due, “con le buone o con le cattive”. E se il furto di una pistola rientra tra le “cattive” opere del Chueco, tra le “buone” c’è il ritrovamento del libro Moby Dick, che aiuta il Gringo a liberarsi definitivamente della pesante eredità del barrio. Un consiglio: soffermarsi su dettagli e descrizioni, sono loro più che la trama, ad avere la meglio.
STORIE SULLA PELLE NICOLAI LILIN
ESERCIZI SULLA MADRE L.R. CARRINO
EINAUDI, 2012 200 pp., 18,50 euro
PERDISA POP, 2012 168 pp., 15 euro
Torna, alleggerito ma sempre inquietante, pronto a intrigare il lettore con i racconti dell’onesta (a suo dire) criminalità di Siberia, Nicolai Lilin, il giovane transfuga della Transnistria che, dopo Educazione siberiana (tradotto in questi giorni per il grande schermo da Salvatores), Caduta libera e il pugno allo stomaco di Il respiro nel buio, affronta con maggiore leggerezza un argomento attuale spesso trattato con superficialità: il tatuaggio. Nessuna questione estetica, piuttosto una ritualità del passato, prassi criminale raccontata dalla voce narrante del giovane Kolima (alter-ego di Lilin) che cerca di apprendere dai più anziani le severe regole di un mondo misterioso e segreto, un mondo in cui il tatuaggio assume sulla pelle il connotato di una storia vissuta e sofferta. Finiti i sei racconti che compongono questo romanzo di formazione sui generis già sai che non c’è scampo: o cancelli i tatuaggi inutili e banali fatti fino a oggi o vai subito a fartene tatuare uno dei suoi.
Un po’ come Paolo Giordano, Luigi Romolo Carrino, classe 1968, napoletano trapiantato a Roma, è un cervellone, laureato in informatica, con specializzazione in problem solving e ingegneria del software nell’ambito finanziario. Eppure nella sua seconda vita scrive poesie, testi teatrali e romanzi. Questo è il suo terzo e ultimo, testo intenso ed emozionale, molto poetico, che ha in sé tutte le carte per diventare un successo. Protagonista la memoria, quella di Giuseppe, un bambino che per 10 interminabili ore aspetta invano che la madre torni dalla spesa, e che resterà minata per i successivi 30 anni, quando lo ritroviamo rinchiuso in ospedale psichiatrico, dove per guarire deve esercitarsi nel ricordare. Più che una storia, una dichiarazione d’amore incondizionato, un grido di dolore fortissimo: quello di chi subisce l’abbandono. Una lettura ad alto tasso di lacrima.
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LIMA FENOMENI
SOTTO IL CIELO DI LIMA TESTO CIRO CACCIOLA
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Prendete una famiglia vecchio tipo del centro storico milanese, romano, messinese. Che so: tre/quattro persone? Poche. Ce ne vogliono almeno sei. Madre, padre, figli, estensioni parentali varie. Prendete un palazzetto fatiscente, il peggiore, il più basso, quello più sgangherato che riuscite a trovare con il tetto piatto, necessariamente, niente spioventi. Immortalate adesso la famiglia tipo in una foto semplice, meglio se in bianco e nero, sviluppatela su un materiale resistente agli agenti atmosferici almeno per i prossimi due mesi e fissatela a copertura del tetto della palazzina stessa. Viene fuori una roba… Carina, sì, ma che rischia di passare inosservata o, peggio, per essere una pubblicità di quel marchio che già avete capito quale. No, non funziona granché. Ma se tutto questo
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provate a immaginarlo sul tetto di un disperato, poverissimo slum tra i quartieri miseri, pieni di gente, di panni stesi al vento dell’oceano, di grattacieli abbandonati e mai finiti, di catapecchie metà fango e metà legno della quarta metropoli delle Americhe, capitale del Perù questo misconosciuto, e capitale della gastronomia mondiale, Lima dalle mille facce, allora l’effetto diventa stravolgente, straniante, sorprendente. Nancy Visa, Wilder Ramos e Marcelo Zevallos, tre giovani creativi che danno vita, in quella capitale dell’altro mondo, al collettivo C.H.O.L.O., hanno realizzato un’installazione di questo tipo – con le facce gigantografate dei residenti del piano di sotto – e rappresentano orgogliosamente uno, quello forse più evidente, dei vari lavori, naturalmente site-specific, che fanno capo a un progetto unico e originale: Lima Rooftop Ecology, promosso da apexart Ny. Così, proprio. Mentre negli Stati Uniti e ormai anche in Europa siamo tutti alle prese con progetti che mirano a trasformare i nostri tetti in terrazze panoramiche per il tempo libero, fonti energetiche, terreni biocoltivabili o quanto meno giardini pensili, a Lima il progetto vien fuori da un’esigenza più immediata: salvare il centro storico della città, fatto di costruzioni che datano dal XVI secolo a oggi, Patrimonio Mondiale dell’Umanità secondo UNESCO, un’area vastissima a metà strada tra Il Cairo e L’Avana che rischia di sprofondare nell’abusivismo, nell’abbandono, nello “sgarrupamento” e nella povertà tout court. La ricerca, durata diversi anni, è partita proprio da una mappatura aerea
della città, che ha fornito così una fotografia sui tetti della stessa, su quello che c’era e su quello che sarebbe potuto esserci. Come tanti microdeserti, come appezzamenti isolati e senza terra, vicinivicini eppure così desolati, i tetti appaiono come spazi sospesi, ciascuno con la relativa ecologia, con gli strati di polvere che arrivano dalle montagne che circondano la città accumulati alla sabbia che il vento solleva dalle rive dell’oceano e sparge su tutta la città. A Lima non piove mai (l’acqua arriva dai tre grandi fiumi che l’attraversano), il clima subtropicale fa sì che le temperature restino alte durante tutto l’anno, e allora il blu degli edifici coloniali importanti, dei monumenti illuminati a festa by night, resta lontano anni luce dai grigi insabbiati e sabbiosi dei tetti della Lima non turistica, lontana dai circuiti istituzionali. “Attraverso la prospettiva dei tetti arriva una percezione più autentica della città, con un’evidenza irruenta sulle complessità socioculturali, che certamente dal livello della strada è molto più difficile percepire” scrive infatti Carlos León-Ximénez, artista e curatore indipendente che vive tra la capitale peruviana e Berlino, autore del progetto che stiamo raccontando e che è andato ad applicare la creatività di cinque tra artisti, architetti e collettivi per stravolgere il pensiero corrente e utilizzare i tetti come punto di partenza. Continua: “Sui tetti è come se si muovesse una città parallela, un paesaggio fragile, seminascosto, un territorio pieno di possibilità non regolamentate senza alcuna infrastruttura di tipo architettonico. Uno spazio di lotta, di sopravvivenza, una specie di ‘diritto alla città’”. Carlos, che si occupa da sempre di “genere”, di eredità culturali, e di città, ha coinvolto una serie di talenti nel suo progetto. Dando vita a installazioni di vario genere e molto diverse per tecnica utilizzata. Come quello del collettivo C.H.O.L.O., anche il lavoro realizzato dalla filmmaker Karen Bernedo utilizza un media tradizionale, il video: Karen ha realizzato un documentario nel quale cerca di stimolare un dialogo tra i diversi vicini di tetto. L’artista, attivista e poeta Christian Luna e i suoi amici architetti del Lima Urban Laboratory hanno creato una installazione di micro-gardening fatta con una serie di piantine interrate in tante bottiglie di plastica connesse fra loro in un esile ecosistema molto suggestivo e delicato. Il gruppo TAS (Taller de Artesanía Salvaje), che abitualmente fa ricerca nel campo delle scienze sociali e delle arti visive, ha usato invece i tetti delle case per creare una serie di estensioni architettoniche rese evidenti dai colori utilizzati per tinteggiare le mura, a strisce rosse e blu. Infine, il collettivo CITIO, che sviluppa progetti legati al concetto di città e di cittadinanza, lanciando ponti tra architettura e urbanismo, ha piazzato arredamenti e oggetti domestici su alcuni tetti scoperti per favorire spazi di dialogo e incontri non previsti tra i vicinati. Il senso di questi interventi, che hanno animato i tetti e il cielo sopra Lima fino a questo dicembre, è stato quello di creare opportunità di pensiero non convenzionali capaci di farci guardare alla città di Lima, ma anche alle città tutte, da nuove, insolite prospettive, generalmente lasciate ai margini delle progettualità, per farci riflettere sulle condizioni del paesaggio contemporaneo. Con la speranza che urbanisti, politici, associazioni di quartiere e investitori possano finalmente comprendere quanto conta e quanto necessaria sia la loro interazione. Per un mondo migliore? Ok, chiunque abbia un tetto adesso, vada subito a capire quel che ci può fare. •
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MILANO FASHION
Cappotto, mcs marlboro classics Dolcevita, karl karl lagerfeld Maglione, lacoste live Jeans, cheap monday Calze, nike Sneakers, new balance
FOTO LUCA CAMPRI STYLING IVAN BONTCHEV
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MANI IN ALTO
Maglione, closed
Giubbotto, g-star raw Dolcevita, prada Jeans, a.n.g.e.l.o vintage Sneakers, hogan rebel Cappello vintage
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Cappotto e dolcevita, prada Pantalone in tela paracadute vintage Scarpe, timberland
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Cappotto, colmar Chiodo di pelle, karl karl lagerfeld Dolcevita, prada Jeans, levi’s 501 Sneakers, hogan rebel
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Bomber, north sails Felpa, phonz says black Dolcevita, prada Jeans, dondup
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Parka, closed Jeans, levi’s 501 Cappello, virtus palestre Scarpe, costume national
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Cappotto, costume national T-shirt, levi’s Jeans, cheap monday
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Cappotto, c.p. company Pantaloni e scarpe, costume national
ADDRESS LIST A.N.G.E.L.O. Vintage, www.angelo.it. C.P. Company, www.cpcompany.com. Cheap Monday, www.cheapmonday.com. Closed, www.closed.com. Colmar, www.colmar.it. Costume National, www.costumenational.com. Dondup, www. dondup.it. G-Star Raw, www.g-star.com. Hogan Rebel, www.hoganrebel.com. Karl Karl Lagerfeld, www.karl.com. Lacoste Live, www.lacoste.com. Levi’s, www. eu.levi.com. MCS Marlboro Classics, www.mcsapparel.com. New Balance, www. newbalance.it. Nike, www.nike.com. North Sails, www.northsails-sportswear. com. Phonz Says Black, www.phonzsaysblack.com. Prada, www.prada.com. Timberland, www.timberland.it. Virtus Palestre, www.virtuspalestre.com. Grooming: Cristina Bertaggia using Mac Cosmetics. Modello: Hadrien Fleur @ Elite Milano
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MILANO DETAILS DI IVAN BONTCHEV E TATIANA UZLOVA
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FREQUENT FLYERS
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Pagina a fianco: 1. marco bologna: vestito in seta. benedetta bruzziches: cappello. 2. sting: occhiali, 130 euro. 3. bershka: chiodo, 35,99 euro. kontatto: gonna, 50 euro. calzedonia: calze, 9,99 euro. rucoline: scarpe, 250 euro. dondup: cappello. 4. le coq sportif: giubbotto, 160 euro. citizens of humanity: jeans, 285 euro. pepe jeans: scarpe, 129 euro. 5. tvscia: spolverino, 495 euro. 6. errea sport: pantaloni. gap: scarpe, 89,95 euro. In questa pagina: 7. hackett london: giacca. pepe jeans: t-shirt, 49 euro. 8. errea sport: felpa. g-shock: orologio, 169 euro. 9. obey: canotta, 42 euro. banana republic: pantaloni, 54,90 euro. camper: scarpe, 185 euro. h&m: cappello, 9,90 euro. sennheiser: cuďŹƒe, 229 euro. 10 -11. hackett london: giacca. pepe jeans: t-shirt, 49 euro, jeans, 105 euro. rucoline: sneaker, 300 euro. 12. aquarama: giacca, 428 euro. 13. le coq sportif: pantaloni, 109 euro. rucoline: sneaker, 300 euro. 14. pepe jeans: jeans, 105 euro. rucoline: sneaker, 300 euro.
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ROMA & CO. NIGHTLIFE DI LORENZO TIEZZI
MILANO BYBLOS MILANO È subito diventato il ritrovo della bella gioventù meneghina e tutto costa una follia, anche il posteggio. Ma le analogie con la Milano da bere finiscono qui. L’architetto Andrea Langhi ha preso i classici del genere disco (il dancefloor illuminato dal basso, la mirrorball che qui diventa una stella di luce led) ed è riuscito chissà come a mixarle con sobrietà. La serata più ambita è il giovedì. Al mixer arriva Ben Dj, sempre in giro per il mondo tra un vip party e l’altro. piazza Coriolano www.byblosmilano.com
MAGDA ROMA 24 NOVEMBRE SPAZIO NOVECENTO SIRMIONE 7 DICEMBRE IMAZOOM Magda funziona. Farla esibire in locale costa tanto, ma poi il sold out è garantito. Soprattutto in Italia, dove ormai è di casa. Dopo aver fatto ballare Milano per Halloween, il 24 novembre è a Roma, in un locale posh come Spazio Novecento, il 7 dicembre invece riempirà di suono l’iMazoom di Sirmione (Bs). L’etichetta di ‘signora della minimal’ se la sente stretta. Ama il funk e la house seminale, non solo la techno. La differenza con dj superstar come Tiesto e Avicii è immensa e anche lo stile cool di Ellen Allien è un’altra cosa. Un cd mixato per la serie Fabric l’ha intitolato She’s a dancing machine, perché lei vuol essere, o forse apparire, solo una macchina che fa ballare. Magda esiste solo quando compare dietro al mixer e anche lì vuole che le luci restino basse (lo specifica nei contratti). Dalla sua biografia più recente ha cancellato un po’ tutto: l’infanzia nomade tra Polonia, Texas e Detroit; gli inizi come warm up dj per Richie Hawtin, grande talent scout della scena techno. Magda non c’è, neppure su Wikipedia. Viene voglia di pubblicare una pagina dedicata a lei, per capire se il suo staff la fa cancellare nottetempo. From the fallen page, il suo album di ‘debutto’, è arrivato nel 2010, dopo 15 anni di carriera. La pubblicazione del secondo è stata posticipata per dare spazio a Cornerbred, un duo che ha formato con l’artista Daniela Huerta. I loro set su Soundcloud hanno scarso successo. È solo un side project, quel che ci vuole per mantenere intatto il mito di Magda, misteriosa dj underground.
www.facebook.com/unmagda
MIAMI UR1 FESTIVAL L’arte sarà pure bella, ma per saltare ci vogliono techno, house e rock. Per questo durante il Miami/ Basel weekend, al Bayfront Park, di fronte all’Oceano, si balla con Kayne West e Lenny Kravitz, entrambi ormai piuttosto elettronici. In cartellone c’è anche Lou Reed, ma è l’unica concessione agli art dealer più agée. Tra i dj, techno miti come Luciano e Sven Väth dividono la console con Bob Sinclar, icona della house ‘commerciale’. Siamo in America, certe distinzioni non le capiscono. Con l’abbonamento al mattino si entra gratis al Warhol Museum. 8/9 dicembre www.ur1festival.com
MILANO BAR CUORE È il perfetto antidoto alla depressione derivante dall’esposizione a massicce dosi di cassa dritta e/o successi del momento. Ogni sera ci si muove a tempo di generi musicali spesso dimenticati e sempre divertenti. Il martedì Howlin’ Lou seleziona solo rock & roll, il giovedì è black con funk & soulful house mixate da Henry e Tom Lavizzari. Il sabato si raddoppia: all’aperitivo nuyorican soul con Danilo Paz, più tardi suoni ibizenchi con Futuro Tropicale. via Gian Giacomo Mora, 3 www.cuoremilano.it
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BAR, RISTORANTI & CO.
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© Bucci-Diliberto
MILANO DI MIRTA OREGNA
SGABELLI E FORNELLI SPUNTINI E NON APPOLLAIATI LE ZIE via Ripamonti, 9 02-32961903 chiuso domenica
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HAMBISTRO
Scenografico. Proprietà (le sorelle Ballabio, Dada e Gabriella soprattutto) e gestione (Lino Cammera) sono le stesse del Vinodromo, fortunata enoteca in zona Bocconi, ma a entrarci non lo diresti mai: vuoi l’assenza di bottiglie, vuoi le pareti rosa fucsia ispirate a un localino newyorkese, vuoi gli sgabelli bianchi e neri in tessuto stampato, vuoi i colorati still life di food che incorniciano le pareti, i lampadari fatti di posate pendenti o persino il modellino di bimotore sospeso nella toilette. Oltre la scenografica immagine, c’è però un contenuto di sostanza: la gastronomia, italianissima e classicissima, serve colazioni e lunch, ma non la cena, proponendo quotidianamente una quindicina di portate (anche da asporto in contenitori bio mater-bi), il più possibile a km zero e con prodotti di Slow Food. Del Vinodromo compare finalmente traccia evidente nella selezione di vini alla mescita: almeno 5 per tipo.
RIBS
via Savona, 13 02-89406511 chiuso domenica
via Ludovico il Moro, 13 02-8134589 chiuso sabato e domenica
Hambistro, dove la “a” è un burger e la “o” una zuppa da cui spunta come accento un cucchiaio. Un altro hamburger? Ebbene sì, quello di Micol e Costanza – un passato nella comunicazione e un presente nella ristorazione – per quanto l’ennesimo, ha qualcosa di nuovo da raccontare, e dalla sua ha, incredibile ma vero, che è più leggero. L’idea di aprire un posticino è stata partorita davanti a un sushi del Poporoya, messa a punto in un viaggio a NY e sperimentata nella formula temporary per l’ultimo Salone del Mobile: oggi il concept è perfezionato e operativo. In una deliziosa “scatolina” di 35 metri quadri con 17 posti a sedere (tra panche, sedie e sgabelli) si ordinano il Classic burger (con pane fatto fare secondo ricetta made in Usa senza burro ma con polvere di spinacio, e con la carne a km 0 che arriva da una cascina di San Giuliano), Veggie con verdure saltate, oppure Chicken con bacon e guacamole su ispirazione australiana (una fissa dello chef). Per chi alla forchetta preferisce il cucchiaio, l’alternativa sono le zuppe: sfiziose creme servite in ciotole di latta che sembrano di ceramica smaltata, tra cui la Energy con peperoni, zenzero e il topping di ricotta fresca o la Pure di spinaci e patate con parmigiano croccante. Si beve vintage (chinotto e cedrata) e puro succo d’uve Merlot in divertenti barattoli da marmellata, e si finisce con un cupcake traditore: piccolo ma burrosissimo, senza poi dimenticare una visita alla toilette, grande e bella quasi quanto il locale.
Casual. Non cercate l’insegna, quella sta in cantina e probabilmente non verrà mai appesa. Ma siamo sul Naviglio, di fronte alla Canottieri Olona, scelto per amore invece di Istanbul. Alessandro Zanardi, il proprietario, dopo tanti anni nella moda e altrettanti viaggi negli Stati Uniti, aveva le idee ben precise: cucina internazionale e tanta carne (importata dall’America), incluso l’hamburger (per lui rigorosamente californiano). Si spazia quindi dal burger double cheese con 200 grammi di carne e bun semi-integrale, alle ribs di maiale cotte con peperoncino e ketchup all’agnello, fino alle zuppe (vedi il borsch russoebraico), secondo stagione ed estro del cuoco. I coperti sono pochi (23), distribuiti su sedie e tavoli di recupero, e su di una mensola a parete illuminata da nere lampade Naska Loris originali degli anni Sessanta. La buona notizia: un conto contenuto, perché la sera si può cenare anche spendendo solo 20 euro.
Consigliato per gli sfegatati del comfort food americano, qui con ingredienti italiani scelti e l’allure delle vellutate q alleggerito leegg gg francesi ffr raan nce cessii
SIGNORVINO SI S SIGN IG GN NO OR RV VI INO NO piazza Duomo ang. corso Vittorio Emanuele 02-89092539 sempre aperto Il centro la sera si svuota e trovare un locale carino prima o dopo il cinema è quasi un’impresa: a colmare questo deserto ci ha pensato Sandro Veronesi, appassionato di vini e mago nell’aprire negozi (il gruppo Calzedonia), che si è inventato un marchio e un format accattivanti inaugurandoli proprio sotto le guglie del Duomo. Un wine bar ed enoteca dove tra mattoni a vista e i cartoni di oltre 620 etichette di vino (una sorta di enciclopedia delle più note aziende vinicole dello stivale con qualche chicca come La Velona di Montalcino in esclusiva) si pranza e cena a qualsiasi ora con specialità regionali (baccalà alla veneta con polenta, porchetta con riduzione di mirto e panzanella toscana) o si viene per un aperitivo vinoso informale. Tanti i vini alla mescita (dai 3,50 euro) con novità settimanali, serviti accompagnati da un vassoio in legno di stuzzichini, ma il bancone di salumi e formaggi scelti può fornire ulteriori ispirazioni. Cifre contenute se solo si sbirciano le lavagnette dei bar vicini. Da non perdere togliersi lo sfizio di assaggiare un mojito con il Recioto al posto della cachaça o una CaipiVino allo chardonnay ammirando il Duomo
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CHIÙ via Vincenzo Monti, 32 02-39400694 chiuso domenica Chic. Costola dell’originario Chiù di via Pontaccio, la gastronomia di “Gustosità italiane” (questa la specifica dell’insegna, che in napoletano traduce “più”!) nata con la mozzarella, proseguita con l’olio e approdata ai migliori prodotti mediterranei da gourmet, in Vincenzo Monti si è allargata e trasformata in gastronomia contemporanea con posti a sedere. All’entrata il classico bancone dotato di banconisti esperti per vendere i prodotti che Marco Gugenheim con i soci Marco del Bo e Max Bernardini selezionano lungo lo stivale (salumi, formaggi, pasta fresca, pane, olio ecc.), sulla destra un pratico tavolo “social” con sgabelli, ma si può scegliere di mangiare nella saletta interna quasi privé, sullo spazioso soppalco e, quando tornerà la bella stagione, anche nel delizioso micro cortile. Il menu è da tavola fredda, con taglieri e insalate in cui la materia prima di qualità fa da padrona, inclusi i panini chic, che in pausa pranzo non guastano, perché per ora si chiude alle nove.
COPENHAGEN DI MIRTA OREGNA
LA BOTTEGA DEL VINO piazza Lega Lombarda 1 ang. viale Elvezia 02-34936128 sempre aperto Quando a Milano hai nominato Emilio Cremascoli e N’Ombra de Vin, già sai di cosa stai parlando: il piacere del vino. Se poi ci aggiungi che Emilio ha lasciato la storica enoteca in via San Marco per aprire il suo locale con vista sull’Arena, allora hai fatto bingo! Il giovane sommelier, sceso da Cortina per movimentare con Christian Corà gli aperitivi dell’Ombra, ha finalmente inaugurato la sua creatura: un luogo che può già vantare una lista di oltre 500 etichette, di cui ben 70 sono champagne (una sua “debolezza!”) e il resto spazia per il gotha enologico d’Italia e Francia, con incursioni estere, e una lista alla mescita per l’aperitivo di 30 etichette (da 6 euro). Senza dimenticare i 30 gin da miscelare a 3 ricercate acque toniche estere. In più qui si cena: ai fornelli un giovane Dario Macchi (Alma, Sadler, Pane e Acqua) che ha come unico credo la materia prima, e la sviluppa nel magatello al punto rosa con salsa tonnata, nel riso milanese al salto con liquirizia, nel torcione di foie gras con pan brioche o nei piatti autunnali con tartufo. Un conto che può contenersi sui 40 euro, sempre che con questo bendiddio uno ci riesca! Consigliato per una sfrenata aperi-cena enologica ad alto tasso di qualità e piacere
FINGER’S SC CLUB LUB LU via Keplero, 2 02-606544 chiuso martedì / no wi-fi Sotto il ristorante del Finger’s Garden, lo chef Okabe ha inaugurato una raffinata lounge firmata Hennessy dove, in una versione nippo-chic degli speak-easy americani, al ritmo delle note del duo Hang Fingers, si consuma l’aperitivo accompagnato da sushi Finger’s style (10-12 euro) o si resta dopo cena (ingresso 10 euro), fino alle 3 di notte, tra specchi e lampadari in cristallo, per prolungare il piacere della serata. Da non perdere sorseggiare un cognac della casa sotto Sakura, delicata pioggia di fiori in carta da lucido creata dall’artista Clara Graziolino
NAM NAM Vester Brogade, 39 www.restaurantnamnam.dk Per chi lo avesse visto (altrimenti c’è sempre You Tube), Nam Nam (scritto Num Num) è l’uccello in gabbia a cui Peter Seller, in veste indiana, cerca di dare da mangiare nel leggendario film The party, ma è anche un suono onomatopeico che riconduce a Noma, miglior ristorante del mondo, che con questo condivide la capitale danese e il socio Claus Meyer. Qui però niente stelle Michelin, né alta cucina “modern danish”, piuttosto un cibo di strada Peranakan (nato da un mix di influenze cinesi sui piatti della Malesia dove nel ’700 si era trasferita dalla Cina una colonia di mercanti dagli occhi a mandorla), ovviamente rivisitato. Padroni di casa la coppia dei Larsen (fifty-fifty Danimarca e Singapore), già fondatori di Nams Kusine, oggi diventato scuola. Easy e colorato, Nam Nam serve classici Peranakan come manzo rendang cotto nel latte di cocco, piatti di strada di Singapore aggiornati (vedi il Gado Gado, insalata con verdure croccanti e tofu) oltre i successi del locale precedente, come il maiale saltato con mandarino, ananas e zucchero di palma. Consigliato per ordinare con gli amici il makan kaki besar , “la grande festa”, ovvero 10/12 portate a discrezione dello chef fino a che uno non si arrende
134 via Arese 20 ang. via Thaon de Revel 02-89691671 chiuso domenica / wi-fi Inaugurato prima dell’estate il bar da bikers intitolato al numero portafortuna del titolare Luciano, appassionato motociclista, presenta ora il nuovo allestimento del banco bar con sgabelli in latta di tolle riciclata: è qui che va in scena l’aperitivo a base di birre artigianali (da 4 euro), qualche cocktail e un buffet freddo, con tanto di modelli di moto in vetrina. Da intenditori! Da non perdere un tulipano (bicchiere) di birra belga Deus, lo champagne delle birre (27 euro!)
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NAPOLI DI CIRO CACCIOLA
FLAME via A. Falcone, 378 393-9744605 aperto tutte le sere da mercoledì a domenica / no wi-fi Non gli manca niente, ha tutte le peculiarità di un club, declinate in piccolo, con vivi complimenti al designer: banco bar, pista centrale, salottini, angolo degustazione per il finger food (quando c’è), ben cinque schermi che riproducono il concetto di “flame” (fiamme a go go, insomma, magari un po’ di variazioni sull’argomento non guasterebbero) persino un piccolo privé. Le luci sono in continuo movimento, con un sistema che consente di passare dal bianco minimal al rosso passione in men che non si dica, con immediate conseguenze sul climax.
SOUTH ITALY FOOD via F. Giordani, 24 081-667639 chiuso domenica, lunedì solo salumeria South Italy Food, detto SIF, è una salumeria che cucina. Un posto dove comprare, assaggiare, mangiare diventano azioni sociali “calde”, mai svogliate, né compulsive. Qui la genuinità è più importante del lusso, l’ospitalità è quasi sacra, celebrata dalla presenza di due affreschi della Madonna dell’Arco realizzati da un madonnaro “precicconita”, la gentilezza abbonda in uno scambio di saperi e sapori che è una scoperta continua di formaggi, salumi, piatti caldi e bevande scelti con sapiente maniacalità. L’ambiente è un gran rettangolo dai soffitti altissimi, con 38 nuance di parati tutti diversi, una enorme vetrata on the road con luminaria a riproduzione del logo, cinque tavoli in formica e arredi d’antan. Chef per passione due esponenti del gentil sesso, una architetto, l’altra medico, che impiattano antipasti del giorno, verdurine, spiedini alla griglia, oppure assemblano in coreografie appetitose veri e propri cabaret di caprini, pecorini e paste filate rigorosamente provenienti dal profondo Sud dell’Italia. Ci trovi il pluripremiato provolone del monaco dop Perrusio, il caciocavallo sorrentino Russo, la ricotta ovina scorza nera Rotolo Gregorio e via così, in un tripudio di capocollo, lardo, mortadella, nduja, guanciale di Sicilia. Per tutti, una vera chicca: l’Acqua della Madonna di Castellammare, imbottigliata apposta per SIF, da gustare a fine pasto con un tarallo dolce, sempre dall’antica Stabiae, inzuppabile. Consigliato per la prima colazione: con 6 euro accedi a torte, biscotti, pani e confetture tutti fatti in casa, e poi miele, burro, spremute di arancia, latte fresco nobile di vacca podalica
PARIS DI MIRTA OREGNA
Da non perdere le serate del mercoledì e del venerdì. Cominciano con comodo, dopo cena, ma si tira tardi senza che te ne accorgi, complici il garbo dei bartender, la simpatia dei padroni di casa, la buona qualità della clientela e la musica, quella sì, che fa muovere anche i tacchi a spillo più vertiginosi
UP STROKE via Coroglio, 128 081-5708992 sempre aperto Resiste da più di vent’anni, un classico, aldilà di ogni moda. Nero, fumoso (nell’anima), palcoscenico in primo piano e un tappeto di tavolini per quei fortunati che riescono a trovar posto, due livelli, da sempre, è il posto ideale per chi ama la musica dal vivo, jazz
anzitutto, e poi blues, funky, rock. Il palinsesto è fittissimo, le sessioni più stuzzicanti sono quelle a sorpresa, fuori programma, e numerose sono le cover band, con tributi a questo o quell’artista. Il target comincia a partire dai 28/30anni. Eterogeneo, ogni tanto ospita anche dj set. Da non perdere crostoni e birra alla spina sono le specialità della casa. Ma quando le serate si fanno più coinvolgenti, quella del venerdì e, soprattutto, il martedì sera, allora il rischio è quello di una buona spaghettata per tutti
LA FACTORY vico Satriano, 10 335-5397949 aperto tutte le sere da martedì a domenica no wi-fi Votato al mondo dell’arte, della creatività in generale, della letteratura, come si evince sin dal nome preso a prestito nientepopodimenoché da Andy Warhol, è tra le nuove aperture più intraprendenti nella zona cosiddetta dei “baretti” a Chiaia. Non solo aperitivi e finger food, insomma, peraltro di ottima qualità, ma anche molte attività culturali, soprattutto piccole mostre e presentazioni di libri, per coniugare mondanità e attività cerebrali. Da non perdere l’aperitivo prolungato (fino a notte fonda!) del “martedì degli amici”. Esperienza socio/antropologica nel mondo dei single di ritorno, delle anta ladies che non si arrendono, dei 50something rampolli forever delle buone famiglie che furono. Ottima la musica elektronika del dj resident Lino Albano
SERGENT RECRUTEUR 41, rue Saint-Louis-en-l'Isle www.lesergentrecruteur.fr Un indirizzo storico dell’Île Saint Louis, proprio a metà strada tra Rive droite e Rive gauche, rinasce firmato dal giocoso designer spagnolo Jaime Hayon, il quale per dar lustro a legno e mattoni della precedente taverna, ha disegnato, tra gli altri, un curioso specchio a forma di elmo, una scenografica scala in legno e divanetti verde foresta che conferiscono al locale un carattere contemporaneo sì, ma con un bel twist retrò. Ponte culinario tra le due rive la firma dello chef Antonin Bonnet, allievo di Michel Bras, autore di una cucina di prodotto senza orpelli ma fondata sul piacere del gusto. Si assaggiano il groviera d’alpeggio 24 mesi come la terrina di foie-gras con fichi di Sollies arrostiti, e piatti più elaborati come il tonno rosso di St. Jean de Luz con tapenade d’olive o il maialino da latte di Bigorre con budino cremoso. Le divertenti sculture di Hayon rendono più informale il locale. Meno informale il conto, con tasting menu a 95 e 145 euro.
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Consigliato per assaggiare, accomodati sugli sgabelli verde foresta del bar, uno dei gustosi piatti del menu “Street Food” qui servito
TORINO DI BRUNO BOVERI E LEO RIESER
A TUTTA BIRRA
E RIGOROSAMENTE MADE IN PIEMONTE BIRRIFICIO LA PIAZZA via Jacopo Durandi, 13 011-19709642 sempre aperto dalle 18
LA LOUCHE via vvi ia L Lombriasco, 4/c 011-4332210 0 01 111-4 cchiuso ch hiu iu sabato a pranzo, lunedì tutto il giorno e martedì a cena Cucina Cu C uc francese a Torino? Andiamo a provarlo. Apriamo il menu, la prima pagina si “La nostra filosofia”. Leggiamo: “Abbiamo cercato delle piccole aziende locali iintitola in nti ti che ch he lavorano rispettando le tradizioni, gli animali e il territorio, e possiamo quindi offrrirvi dei prodotti freschi, genuini e di alta qualità. Abbiamo lasciato perdere le off marche conosciute, le multinazionali e le imprese che producono in grandi quantità”. m ma a SSiamo Si ia nel ristorante dei sogni? Arriva nel piatto la bruschetta di mare con alici marinate, ccrema cr re di melanzana, pomodori e pesto con le mandorle: le acciughe hanno una morbidezza e un gusto da lasciare basiti, l’amalgama con gli altri ingredienti è perfetta. m quello che seguirà riconferma la prima sensazione. Cena perfetta. Bravi Noemi e E tutto t Frédéric Zahm, bravi davvero. Sono giovanissimi ma già con belle esperienze in Francia Fr F r (lui ((l l è francese, lei è dei nostri) e a Chicago e hanno aperto da un paio di mesi questo loro llo o locale, in cui riversare la loro filosofia di vita e di cibo. Per i più curiosi, oltre alle alici, aal l scamone di vitello piemontese con le patate preparate come un risotto (da favola), ttagliere di formaggi francesi, crème brulée, per una spesa complessiva di 32 euro. Bella ta ccarta dei vini (in linea coi loro principi) a prezzi più che onesti. Consigliato per C cchi apprezza Bleu de Queyras, Saint Emilion, per non dire del Monbazillac
BIVIO CONCEPT CAFÉ strada comunale Val San Martino, 2/c 011-8130720 chiuso domenica / wi-fi Si parte al mattino con colazioni complete e di qualità (sia dolci che salate), poi nella moderna sala o nel dehors sosta pranzo ben articolata e non banale con diverse proposte espresso. Il meglio arriva all’ora dell’aperitivo e del dopocena: la scelta dei cocktail è ampia e, considerando la zona, a buon mercato (7 euro). Pizzette, tartine, canapè, salatini tutto di buona fattura. Poi si attraversa il Po e ci si rituffa nel caos. Da non perdere la posizione strategica in uno dei più eleganti quartieri della collina
Il progetto di Piazza dei Mestieri, che si rivolge a giovani tra i 14 e i 21 anni, spesso vittime di esclusione sociale, propone laboratori scolastici dedicati all’arte bianca, al cioccolato, alla tipografia, all’acconciatura. Il birrificio è uno dei fiori all’occhiello e alla produzione affianca un bel brew-pub aperto al pubblico. La Romantica, la Rinascimentale, la Dadaista, la Surrealista e la Realista si abbinano perfettamente a primi, panini, bruschette e grigliate (provate il gigantesco piatto Don Pepito o il pasticcio Tirolese).
BIRRIFICIO SAN PAOLO via Airasca, 11/b 011-3721443 chiuso domenica, lunedì e martedì, aperto solo la sera Sulla spinta dell’entusiasmo, Graziano e Maurizio hanno aperto un piccolo pub, attiguo alla nuova sede del birrificio. Le birre San Paolo hanno molti estimatori a Torino. Noi non rinunciamo mai all’americana Ipè, ma la nuova versione Harvest è riuscita a stupirci, così come la Robinia (al miele bio) e l’ambrata Jatobà. Sei birre a rotazione, che si possono assaggiare anche in versione sampler (quattro bicchierini da 150 cl) e abbinare a bei taglieri di salumi e formaggi, tomini alla piastra, piadine, salsicce artigianali e a un succulento stinco. E poi la birra venduta sfusa (ecologica ed economica).
BIRRIFICIO TORINO via Parma, 30 011-2876562 sempre aperto dalle 20 Si torna sempre volentieri in questo bel locale ricavato all’interno di un loft industriale di inizio Novecento. Innanzitutto per le birre (tutte di loro produzione, questo è prima di tutto un birrificio), tutte buone e anche di più (come la Sahara e la Rufus, ma anche la Torino, la Clara, la Masca). Pure la cucina ha tutte le carte in regola (propongono anche menu studiati sulla singola birra: per esempio, con la Rufus agnolotti al sugo d’arrosto, bocconcini di maiale alla birra e bonet). Consigliamo le penne cacio e pepe e lo stinco di maiale. Buffet preso d’assalto ma, per chi ha pazienza, le portate vengono rinnovate continuamente. Antipasti, primi piatti caldi, insalatone fantasiose, verdura e perfino frutta e dolce. I cocktail piacciono. Soprattutto il mojito alla liquirizia. Prezzo un po’ sopra la media (9 euro), ma adeguato all’offerta. Da non perdere l’interminabile teoria di piatti e piattini
IL BAROTTO via Baretti, 8 340-1196644 aperto dalle 18, chiuso domenica / no wi-fi
via San Domenico, 14 011-4310032 sempre aperto / no wi-fi
San Salvario, tanto per cambiare. Ma in effetti qui qualcosa cambia: niente apericena in cui ingozzarsi di mediocrità, ma proposta di prodotti di qualità targati (soprattutto) Valle d’Aosta. Taglieri e panini con l’ottimo Jambon de Bosses, un prosciutto crudo da favola (come quello cotto alla brace). E poi la fontina d’alpeggio, la fonduta e altro ancora. Buone birre artigianali, come la San Bernard, e scelta di vini valdostani di qualità sempre più alta.
È stato uno dei locali precursori dell’apericena e uno dei primi ad aprire in quadrilatero. Dopo tanto tempo continua a tener fede alla sua fama.
Da non perdere la Petite Arvine della Cave des Onze Communes
KM 5
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ROMA & CO. NIGHTLIFE
ROMEO
DI LAURA CONTRIBUTOR NAME DI RUGGIERI
via Silla, 26a 06-32110120 chiuso domenica Era il locale più atteso e di cui tanto si vociferava, immaginandone spazi, idee, atmosfere. Eccolo finalmente, dopo un anno e mezzo di lavori top secret, Romeo, dell’insolita coppia Cristina Bowerman-fratelli Roscioli, ed è sicuramente il più bel locale al momento in circolazione sulla scena capitolina. Un nome che strizza l’occhio all'officina Alfa Romeo che per più di 50 anni ha occupato quegli spazi, ma che è anche una summa della migliore romanità felicemente accarezzata in cucina, e di un certo nuovo stile gastronomico. Una joint venture di grido quella che vede insieme la chef stellata dalla mano colta e intrigante e i due Roscioli, gastrosalumieri d’eccellenza. Chi viene per quella pizza bianca fragrante e morbida o la rossa bassa e croccante, chi sceglie il pane da riempire con ottime selezioni di formaggi, salumi e affettati artigianali, conserve. Chi compra e porta via o mangia seduto al lunghissimo bancone. Poi arriva il pranzo e il menu è di alta qualità, tale e quale a quello della sera, mentre l'aperitivo è messo all’indice. Dal menu citiamo: il panino di foie per cominciare; tortelli di carni diverse serviti con salsa di nocciola; mais bianco e maiale brasato cotto in foglia di banana; coda alla vaccinara con coulis di sedano, crumble di cioccolata e sedano fritto; mosaico di frutta con paté e sorbetti. Sempre presenti anche due piatti vegetariani e una zuppa. La proposta più divertente però è l’intero menu da mangiare con le mani, come il piatto della scarpetta fatto di tanti sughi e altrettanti pani. La lista dei vini ha circa 400 etichette di cui una decina abbondante in mescita. Conto per il pranzo o la cena firmati Bowerman sui 50 euro.
PRÊT-À-P0RTER
CIBO DI STRADA: ULTIMA FRONTIERA L’OFFICINA BIOLOGICA borgo Pio, 34 06-6832382 chiuso domenica Aperta da sei amici – attori, regista, editore, biologo – l’officina porta novità e freschezza (solo cibi biologici e naturali nelle intenzioni) in una via dove si trova ancora qualche buon vecchio indirizzo ma anche tavole e cucine a uso e consumo di un turismo decisamente cheap. Locale di 60 metri quadri tutto aperto, totalmente a vista, nel menu rivela una certa passione per la Sicilia: si va dallo sfincione alla caponata, dalla pasta alla Norma a quella col pesto di mandorle. Cous cous di verdure, chips di patate rosse, carpacci di pesce, tartare. Il momento forte è la sera (esclusi lunedì e martedì in cui non si fa l’aperitivo) con un lungo e abbondante aperitivo-cena fino alle 21.30 a 7 euro. Oltre al bio buffet non mancano alcuni piatti del giorno e un piatto unico, da gustare in piedi mentre si chiacchiera al bancone o in strada.
IL CARTOCCIO piazza S. Eurosia, 4 331-7590765 chiuso lunedì Dai gamberi ai moscardini ai calamari fritti, tutto va nel cono di carta facile da portar via e da mangiare camminando per le strade. Solo pesce da scegliere in tante versioni anche se la prescelta dai più è quella al cartoccio, appunto. Oppure anche l'insolito panino di pesce. In menu anche gli spiedini e un primo a scelta ogni giorno (venerdì spaghetti
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all’astice) il cui prezzo sta tra i 5 e gli 8 euro. Tra i secondi il tonno al forno con pancetta. Una proposta pop (15 euro al massimo) che però si è conquistata una fetta di aficionados decisamente trasversali grazie anche alla simpatia delle due giovani cuoche/patron Francesca e Sara, che si muovono in un piccolo ambiente col bancone a vista dove si sceglie anche qualcosa al piatto ma esclusivamente da consumare seduti fuori sui tavolini o, con un po’ di fortuna, sulla grande piazza nel cuore dei “lotti” storici del quartiere.
ANTICO FORNO AI SERPENTI via dei Serpenti, 122 06-45427920 sempre aperto Qui un forno ci stava da generazioni, tanto che il locale odierno rinnova atmosfera retrò e arredi anni Trenta. Il laboratorio è per gran parte visibile così da anticipare con lo sguardo quello che arriva sul bancone in marmo e nelle vetrine di ferro e vetro sotto i bei lampadari a palla. Durante il giorno ricchissima scelta di pasticceria salata e piccola gastronomia, oltre ovviamente alla classica pizza bianca e pizza rossa da forno e alla focaccia da farcire a piacere e mangiare all'aperto sulla strada. Non solo pane e affini, però, ed ecco arrivare sia all’ora di pranzo che a quella di cena qualche piatto caldo come il cous cous, timballi, zuppe oppure insalate, torte rustiche (i piatti costano intorno ai 5 euro). Dalle sei di sera a 8 euro scende in campo l’aperitivo con tanti sfizi e un calice. Non mancano talvolta nel fine settimana piccole sessioni di musica live, jazz e non solo.
ROMA & CO. NIGHTLIFE DI CONTRIBUTOR NAME
EINDHOVEN DI MIRTA OREGNA
DAO viale Jonio, 328 06-87197573 chiuso lunedì Un ristorante cinese fuori dagli schemi e dall'iconografia più triti. Lungo viale Jonio ti colpisce questo spazio di oltre 350 metri quadri all'insegna di un design firmato dallo studio Noemha, giocato sui colori a contrasto del bianco e nero che rimandano all'armonia degli opposti citata anche nel nome. All'ingresso la cascata d’acqua avvolge subito in una nuova atmosfera, sulle note di un antico strumento a corde cinese. Un bancone bar con la zona aperitivi (a 9 euro) e poi la grande sala dominata dalla scultura in ferro a soffitto con un dragone stilizzato. Accanto al gong, punto prospettico del percorso, un’ampia vetrata dà sulla cucina di ben 250 mq con lo staff dagli occhi a mandorla al lavoro. Si mangia infatti la vera cucina di Hong Kong, leggera nei sapori, ricercata nelle forme, con piatti tradizionali del sud della Cina. Tra le specialità il toast di gamberi, le chele di granchio fresche, gli involtini di salmone, granchio dal soffice gusto al pepe nero (12 euro) o l’anatra arrosto di Hong Kong (10 euro). Consigliato per
la vasta scelta di ravioli, al vapore e sulla griglia. Ottimi i neri farciti con branzino e quelli all’astice e alle capesante
RADIO ROYAAL Ketelhuisplein, 10 www.radioroyaal.be Per chi se lo fosse perso durante la frequentatissima Design Week dello scorso ottobre, ecco una location post-industriale che deve entrare nelle agende di tutti i viaggiatori-designer. Siamo nella Strijp-S area di Eindhoven, più precisamente all’interno di una ex-centrale elettrica che le forniva energia. Aperto inizialmente come ristorante pop-up da Bart Gardenier, Niels Wouter e Stella Birsak, visto il successo della scenografica venue, è stato trasformato in permanente, arredandolo personalmente con mobili e pezzi vintage recuperati in scuole e mercatini, ambientati magistralmente tra i macchinari industriali. I piatti proposti, un mix di cucina francese e tedesca, rivisitata in chiave moderna e con attenzione alla stagionalità e al clima, escono direttamente dalla grande cucina industriale (e che altro se no?) a vista. Consigliato per
accaparrarsi un tavolo accanto all’infilata di biciclette da corsa che incorniciano la zona delle turbine blu
BAR HOTEL LOCARNO
MOK
via della Penna, 22 06-3610841 sempre aperto / no wi-fi
piazza Fiume, 77 06-84241134 sempre aperto / wi-fi
Location assai suggestiva calata in un’atmosfera del tutto originale, tra salotti e specchi: boiserie, lampade liberty, sale e salette anni Trenta. La colonna sonora però è indie rock. In questa atmosfera retrò vive uno dei locali più trendy della capitale, una lounge con alcuni dei migliori cocktail, neanche a dirlo soprattutto i vintage, grazie alla mano felice di Nicholas Pinna. Da sorseggiare nella penombra accompagnando il tutto con finger food espresso servito al tavolo.
Locale trasformista per definizione, a seconda dell'ora in cui entri puoi trovare un certo ambiente oppure veder scomparire la cucina a vista, la parete coi salumi appesi e il bancone con le tartine e le paste e trovarti invece davanti un cocktail bar con il piano per servire i drink in movimento, retroilluminato e di grande effetto. Cambiano le ore e cambiano i flussi, dalle 19.30 alle 21.30 l’aperitivo è decisamente dilagante: per 15 euro potete servirvi senza limiti.
Da non perdere i cocktail invenzione del barman, come il Roma Bracciano rivisitazione del Torino Milano o l’Earl Drunk servito in teiera
Da non perdere il gelato! Ebbene sì, nascosta dietro una porta scorrevole compare la gelateria con un menu di gusti stagionali
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MILANO ULTIMA FERMATA DI FRANCO BOLELLI
PEDALO DUNQUE SONO Non ho un’auto. Vado a piedi. Non impartisco – mai e poi mai – lezioni morali. Se vi state chiedendo cosa c’entra la terza condizione con le prime due, vuol dire che vi capita raramente di andare in giro in una grande città. Perché nelle strade qui sotto casa – centro di Milano – non fate neanche 50 metri senza imbattervi in qualcuno che trasforma una scelta ecologicamente e salutisticamente eccellente in una noiosa e petulante missione morale. E quei cinquanta metri si riducono a trenta quando si tratta di ciclisti. Sì, se si deve scegliere fra chi va in bicicletta e chi – anche quando non è strettamente necessario – ingorga, impesta e invade le strade con le auto, chiaro che non c’è neanche partita. Più – molte più – biciclette, ve ne prego. Non fosse che poi una non irrilevante percentuale di chi si destreggia su due ruote senza motore si sente in diritto di montare in cattedra, mettersi da sé una medaglia, trattare con malcelato disprezzo gli infedeli. Errore, sciocco sciagurato errore. Perché poche cose finiscono per risultare tanto odiose e controproducenti quanto le virtù che pretendono di imporsi per decreto morale. Fantastico che tu
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contribuisca a migliorare l’aria che respiriamo, il traffico, le stesse risorse energetiche. Ma che ne dici di farlo in silenzio, senza pontificare, tutt’al più Fateci caso: quanto più una città è guardando con un sorrisino compiaciuto evoluta, quanto più è espressione del quelli che superi con un colpo di pedali mondo globale, tanto più ogni volta che mentre loro sono lì a tormentarsi in ci andate non potete non accorgervi che un’estenuante coda o nell’affannosa aumenta il numero di bambini che non si ricerca di un parcheggio? riesce a definire in base ad alcuna identità Una buona causa non ha bisogno di etnica e razziale. È così a New York, convertire, tantomeno di trasformarsi a Los Angeles, e poi a Londra, e giù a in battaglia ideologica: quello che scendere. Le grandi metropoli sono sempre fa così si chiama fondamentalismo. più popolate da spettacolari frullati Peccato che tanti provvisti di una genetici, seconda o terza generazione di certa consapevolezza e anche di senso combinazioni dove le origini scivolano etico cedano alla sgradevole tentazione sempre più sullo sfondo e nuove misteriose di sbandierare la propria presunta sfumature conquistano la scena. Ok, non superiorità morale: si tratti di tutte riusciranno come Jessica Alba o come riciclo dei rifiuti, area C e blocchi – permettetemelo – la spettacolare bambina del traffico, veganesimo, frequentazione californiana di mio figlio (babbo milanese e della cultura con la c maiuscola, e madre di San Francisco ma taiwanese): però anche di comportamenti personali, c’è in questa condizione indefinibile e plurale sta giro una pericolosa tendenza a ergersi diventando non dico trendy ma in qualche a modelli virtuosi e indignati. Possiamo modo familiare. D’altra parte qualunque essere meglio di così, noi che scegliamo evoluzione in qualunque campo è sempre di andare a piedi o in bicicletta (e di nata da connessioni al di là dei confini, leggere libri, trattare con cura i luoghi e viceversa le culture più arretrate sono dove ci troviamo, stare lontani dalle quelle difensivamente arroccate su se chiassose volgarità e così via). stesse. Per esempio le città di frontiera Testa alta, sorriso sulle labbra, niente hanno sempre avuto una loro particolare lezioni morali.
DON’T FORGET