Urban 111

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FEBBRAIO 2013 NUMERO 111







SOMMARIO 9 | EDITORIALE

54 | DETAILS

67 | FUORI

di Ivan Bontchev e Tatiana Uzlova

11 | ICON

56 | AN OFFICER AND A GENTLEMAN

13 | INTERURBANA al telefono con Ornella Galli

74 | ULTIMA FERMATA di Franco Bolelli

foto Daniele Rossi styling Delfina Pinardi

15 | PORTFOLIO

66 | NIGHTLIFE

Those are Syrians a cura di Floriana Cavallo

di Lorenzo Tiezzi

21 | CULT 22 | ATOMS FOR PEACE di Paolo Madeddu e Roberto Croci

26 | FOOD DESIGN di Susanna Legrenzi

30 | ENERGY GIRL foto Jessie Craig styling Ivan Bontchev

38 | LIBRI di Marta Topis

P. 56

39 | DESIGN di Olivia Porta

40 | JESSICA CHOAY di Francesco Brunacci foto Mattia Zoppellaro / Contrasto

44 | MUSICA

P. 46

P. 22

di Paolo Madeddu

46 | PING PONG FEVER di Roberto Croci

50 | WALL BALLET di Francesca Bonazzoli

Cover: foto Jessie Craig

Oversize t-shirt, Gentucca Bini; reggiseno, Nike; pantaloni, Marco Bologna; cappello, Stetson

MENSILE, ANNO XII, NUMERO 111 www.urbanmagazine.it redazione.urban@rcs.it

Facebook: Urban Magazine Twitter: Urbanrcs

DIRETTORE RESPONSABILE Alberto Coretti alberto.coretti@rcs.it

CAPOSERVIZIO Floriana Cavallo floriana.cavallo@rcs.it

FASHION a cura di Ivan Bontchev fashion.urban@rcs.it

PROGETTO GRAFICO Topos Graphics

SEGRETERIA DI REDAZIONE Rosy Settanni rosy.settanni@rcs.it

DIRETTORE MARKETING Giancarlo Piana

ART DIRECTION Sergio Juan

Michela DiBenedetto michela.dibenedetto@rcs.it

URBAN

via Rizzoli, 8 · 20132 Milano tel. 02.25.84.1 / fax 02.25.84.2120 testata del gruppo City Italia S.P.A. DISTRIBUZIONE PLP s.a.s. Padova tel. 049.8641420 FOTOLITO Airy s.r.l. via Russoli, 1 20143 Milano

STAMPA San Biagio Stampa S.p.A. via al Santuario N.S. della Guardia, 43P rosso 16162 Genova

PUBBLICITÀ Milano Fashion Media Luca Napolitano Corso Colombo, 9 20144 Milano tel. 02.5815.3201 lnapolitano @ milanofashionmedia.it

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EDITORIALE

STAMPA & REGIME Alcuni siriani ritratti con la loro ribellione scritta a mano sulle pagine del quotidiano Ba’ath, organo ufficiale di stampa del regime. È la serie “A small group of Syrians” del fotografo Jaber Al Azmeh, che pubblichiamo nel portfolio di questo numero. Al di là della naturale empatia che il progetto vuole suscitare e suscita, ci mostra la forza e l’inattesa attualità della carta stampata. Se i giornali servissero solo a informare, allora la rivoluzione digitale di cui siamo protagonisti avrebbe già spazzato via la carta da tempo. Ma la dimensione immateriale dell’oggetto “giornale”, come nel caso di questo progetto, supera e sublima la sua funzione. Non si legge un quotidiano solo per “informarsi”. Prenderne una copia è una dichiarazione di appartenenza a una comunità. La carta stampata, come una piazza, è uno spazio fisico dove si costruisce la dimensione pubblica dell’individuo. Per quanto quel quotidiano sia l’odiosa espressione del regime contro cui i siriani stanno combattendo, è comunque qualcosa che li accomuna. Perché in fondo, sul peggior foglio di carta stampata, è sempre possibile llo l ch lo che e si si p ensa. scrivere sopra quello pensa.

HANNO HA ANNNNO NO CCO COLLABORATO OLLLABBORRATO ATTO CON NOI CCO ON NO OI Franco B F Bolelli l lllii Francesca Bonazzoli Bruno Boveri Francesco Brunacci Ciro Cacciola Jessie Craig

Roberto Crocii R b C Susanna Legrenzi Paolo Madeddu Michele Milton Mirta Oregna Delfina Pinardi

Olivia Porta Oli Ol li i P Sara Rambaldi Leo Rieser Daniele Rossi Laura Ruggieri Lorenzo Tiezzi

Marta T Topis M i Tatiana Uzlova Mattia Zoppellaro

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LOS ANGELES ICON

L’OGGETTO DEL MESE

HOODWINK BLINDFOLD SCELTO DA JIM STURGESS “Credo nella reincarnazione. Everything is connected. L’anima si reincarna sempre, rimediando ai torti delle vite precedenti. Tutti avrete vissuto quel momento di déjà vu in cui ci si chiede: ‘I know we’ve met before – you’re familiar’. A me è capitato in un negozio d’antiquariato in Marocco, dove ho trovato questi occhialini hoodwink blindfold della Seconda guerra mondiale. Credo definitivamente nella possibilità di aver vissuto e aver attraversato vite precedenti e proprio per questo motivo mi appassiono agli oggetti del passato, perché sono ricchi di storie”. • Jim Sturgess, attore inglese, classe 1978. L’abbiamo recentemente visto sul grande schermo ne La migliore offerta, l’ultimo film di Tornatore, e in Cloud Atlas.

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URBAN X BRAUN

Eravamo stati a Manhattan per i contest a colpi di Braun che i barbieri più stilosi della Grande Mela affrontano senza timore e con la massima creatività: respect! Questa volta allarghiamo i nostri orizzonti e portiamo peli e cruZer in giro per gli States per seguire a distanza ravvicinata il look maschio del momento: la barba. Da Mr Cavernicolo all'attualissimo Abramo 'Abe' Lincoln, dal Che (Guevara) a Kanye West, le barbe si sono attaccate al nostro immaginario nei secoli: mai che siano state del tutto fuori moda, ecco. E oggi più che mai barbe e barbuti sono, rispettivamente, il must-have e il must-be del giovane uomo contemporaneo. La peluria facciale è l'accessorio finale con il quale ciascun uomo può esprimere la sua personalità. Strumento ideale? Il cruZer beard&head, unico e potente, per disegnare la barba in qualsiasi forma e lunghezza, perfetto anche per tagliare i capelli. Quale stile scegliere per noi? What's hot, and what's not? L'abbiamo chiesto a Fabio Vivan, international beard stylist che ha usato la sua magia sulle barbe di membri dei Kasabian e dei Rolling Stones: "Penso che le barbe lunghe siano un po' pesanti, perciò Brad Pitt e Joaquin Phoenix sono un po' 'out' in questo momento. I look più giusti adesso sono quelli di Justin Timberlake e di Ashton Kutcher: linea più decisa e matura, con un tipo di barba più rasata". Le vie della barba, comunque, sono infinite: pizzo, baffi, barba con sipario sul mento, barba sfatta. A Los Angeles preferiscono i baffetti. A Miami se la tirano giù lunga. A New York sembrano più in linea con i diktat del trendsetter Vivan. Ma allora i baffetti di Frida Kahlo dove li mettiamo? Potrebbero lanciare una moda anche tra lor signore? Vediamoci su braun.com/ cruZer e shaveyourstyle.com, per condividere con noi il vostro stile. Around the world! Tutti questi stili e molti altri si possono trovare su www.wikibeardia.com, la più grande banca dati online per beardstyles.

Miami photos © Ian Witlen

© Zach Wolfe

© Zach Cordner

NYC photos © Matthew Salacuse

© Zach Wolfe

© Zach Cordner

AMERICAN BEARD

www.shaveyourstyle.com/it wwww.braun.com/cruZer

Se vuoi saperne di più sui prodotti Braun cruZer, fai lo scan della QR tag!

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SYDNEY INTERURBANA DI ROBERTO CROCI

AL TELEFONO CON

ORNELLA GALLI COME MAI A SYDNEY? Sydney doveva essere solamente il punto di partenza della mia vita australiana, ma mi sono innamorata di questa città sin dal mio primo giorno in Australia e ho deciso di rimanerci. DA MILANO ALL’AUSTRALIA... Stanca della vita milanese e del solito giro ufficioaperitivo-weekend ho deciso di lasciare tutto e tutti e venire in Australia, con l’intenzione di fare un’esperienza di un anno tramite il Working Holiday Visa.

SODDISFATTA?

In questa città sono rinata: riesce ancora a sorprendermi dopo più di 6 anni. Amo il mare che la taglia in due, oltre che la sua multiculturalità in cui sono perfettamente integrate persone che vengono da tutto il mondo. Ci sono tanti italiani, ma anche cinesi, irlandesi, brasiliani, francesi, coreani, inglesi. È quasi difficile incontrare un australiano a Sydney. DIFFERENZE DI STILI DI VITA? Anche nelle grandi città come Sydney non ci sono lo stress, il traffico, le persone sono easy going. Abituarsi a vivere in una società fatta da una commistione di culture diverse fa sì che non ci siano troppi pregiudizi. Nessuno ti guarda o giudica male se vai in giro per strada a piedi nudi o vestito in modo particolare o se sei ricoperto di tatuaggi.

E NEL LAVORO? La diversità in Australia è la normalità. Anche nel campo del lavoro cercano di tutelare i diritti di tutti i lavoratori e di azzerare le discriminazioni, in modo tale che tutti abbiano il proprio spazio, senza distinzioni di sesso, razza, religione. Basti pensare che il primo ministro è una donna. CHE COS’È NECESSARIO PER VENIRE IN AUSTRALIA... Consiglio di arrivare con mente aperta e grande capacità di adattamento. E, anche se scontato, è fondamentale la conoscenza dell’inglese. Senza, non ci si arrangia come si fa da noi. L’Australia non è l’Italia.

RIMPIANTI? Quanto darei per un semplice e sano panino con la mortadella!

INDIRIZZI DA NON PERDERE? Vivo a Pyrmont, una zona residenziale, tranquilla, che è una piccola penisola poco distante dal centro di Sydney, dove ovviamente si possono trovare i famosi canguri. Abitando vicino al centro, i miei quartieri preferiti sono Surry Hills, Darlinghurst, la zona “hot” del momento, e Glebe, piena zeppa di ristoranti – Brasserie Bayswater – e bar-caffè, fra i quali The Bourbon, moderno-contemporaneo, funky. Ovvio, da non perdere l’Opera House (pur sempre un monumento nazionale), accanto al Sydney Harbour Bridge (da dove si fa bungee jumping).

ORNELLA GALLI, milanese, una laurea in relazioni pubbliche alle spalle, vive a Sydney da sei anni e mezzo come head waiter in un ristorante italiano

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DAMASCUS PORTFOLIO A CURA DI FLORIANA CAVALLO

AMER MATAR GIORNALISTA

THOSE ARE SYRIANS FOTO JABER AL AZMEH

Ex prigionieri del regime, attivisti, intellettuali e creativi, ma anche persone comuni. Riuniti sotto un unico progetto fotografico per dare voce a una nuova Siria URBAN | 15


HANI CHARAF

HALA OMRAN

GRAPHIC DESIGNER

ATTRICE

MUNIR AL SHAARANI ARTISTA E CALLIGRAFO

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NADINE BASSIMI MADRE

RAFIA KOUDMANI

“THE ANONYMOUS ACTIVISTS”

GALLERISTA

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GHALIA SARAKBI GRAPHIC DESIGNER

A SMALL GROUP OF SYRIANS Il quotidiano del Partito Ba’ath, voce ufficiale governativa, un giovane fotografo di Damasco e i pensieri in libertà della popolazione siriana sulla rivolta anti regime. Sono i fondamentali del progetto in progress A small group of Syrians di Jaber Al Azmeh, che ha in sé una grande intuizione: la storia, come la pagina di un quotidiano, può essere sovrascritta, regalando grandi speranze e un destino migliore a una nazione.

VIVI ANCORA A DAMASCO? No, l’ho lasciata otto mesi fa dopo l’inizio della rivoluzione.

lo status sociale, la cultura, non contano: ciascuno di loro sta facendo qualcosa per aiutare la rivoluzione, per fare in modo che il proprio paese raggiunga finalmente la libertà.

CHE COSA HANNO SCRITTO SOPRA LE PAGINE DEL QUOTIDIANO BA'ATH? Quando il mio progetto è iniziato, nel 2011, le speranze erano alte: noi tutti sognavamo un futuro positivo e che questo fosse solo l’inizio di una Siria migliore. Quindi ci sono messaggi come “La felicità sta arrivando nelle nostre case”, “Le catene si spezzeranno”, “Voglio che mia figlia abbia un futuro migliore del mio” o “Sì alla democrazia, sì alla libertà, sì all’unità nazionale, no all’intervento internazionale, sì alla ricostruzione del futuro”.

DOVE SONO STATI REALIZZATI GLI SCATTI? Per metà a Damasco, gli altri tra gli esuli a Doha, Dubai, Parigi, Berlino e Bruxelles.

COME HAI CONVOLTO LE PERSONE NEL PROGETTO? Ogni siriano è partecipe di questa rivoluzione, tutti hanno qualcosa da dire e hanno la voce e il diritto per parlare. Questi sono il presupposto e la ragione per cui le persone hanno voluto partecipare. Ho scelto i soggetti seguendo differenti criteri. Alcuni perché erano in prima fila nello scontro, alcuni perché reduci dalle prigioni e dalle torture del regime, altri perché di diverse etnie e religioni, altri ancora perché significativi intellettuali della scena siriana. Quello che sto cercando di raccontare è che le origini,

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PENSI CHE LA FINE DEL CONFLITTO SIA VICINA? CHE COSA TI ASPETTI? Ho smesso di fare previsioni. Negli ultimi due anni ho predetto così tante volte il giorno della caduta di Bashar al-Assad… Non pensavamo che il mondo avrebbe tollerato così a lungo! La verità è che la gente ormai sa che non arriverà nessun aiuto. E che non c’è altro modo per sopravvivere e salvarsi che combattere. E questo è quello che sta accadendo al momento. Abbiamo passato il punto di non ritorno e la libertà arriverà. Su questo non ho dubbi, ma il prezzo pagato sarà alla fine comunque troppo alto, e superiore a quanto ci si sarebbe aspettato. Il paese è devastato ma noi non abbiamo perso la speranza che per la Siria arriveranno giorni migliori e ci attende un grande futuro! •


ALI KAAF ARTISTA

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RANDOM DESIGN Quattro milioni di pezzi unici e irripetibili. Ogni bottiglia coloratissima e diversa dall’altra, ciascuna con la propria etichetta numerata che ne certifica l’autenticità. Prosegue con successo l’operazione Absolut Unique, che supera il concetto di limited edition e che per poter essere realizzata ha costretto il celebre brand svedese a ridisegnare l’intero processo produttivo, trasformando per l’occasione lo stabilimento in un’officina artistica, dove aerografi pilotati da algoritmi random hanno personalizzato ogni bottiglia della collezione, in un’action painting alla Jackson Pollock, versione robot. www.absolut.com

SCRITTO A MAGLIA Tricot italiano in grande spolvero. Da Krizia a Missoni, da Prada a Marras. Da Ferré, Armani, Gigli, Benetton, un unico fil rouge. Dopo la presentazione del bel libro Maglifico! 50 anni dii straordinaria maglieria made in Italy (a cura di Federico Poletti ti ed Emmanuelle Dirix, edizioni Skira), alla recente edizione di Pitti Filati e in distribuzione proprio in questi giorni, partirà a febbraio anche il sito maglifico.com, un web magazine che si pone l’obiettivo di diventare punto di riferimento per il settore della maglieria internazionale, con particolare risalto alla tradizione e all’innovazione italiana e focus sui futuri talenti del knitwear.

IN FORMA, SEMPRE Le curve generose rischiano di diventare anche da noi una rarità. Sbarca in Italia, distribuito da Excelsior Milano e in alcune selezionate boutique, Spanx, il marchio inventato “per disperazione” da Sara Blakely (mentre si preparava ad andare a una festa tagliò con furia assassina i collant per poi indossarli come intimo “contenitivo” sotto i pantaloni) e ora vero e proprio must persino tra la bella gente di Hollywood e pure tra quella nemmeno troppo formosa (leggi: Gwyneth Paltrow o Jessica Alba). E sbarcano tante linee dei celebri capi shapewear come i reggiseni Bra-llelujah!, l’intimo modellante Slimplicity e la linea da uomo Spanx for Men. Come dire: la “tartaruga” logora chi non ce l’ha. www.spanx.com

www.maglifico.com www.skira.net

VERSO EST Linearità, luminosità, leggerezza e in più il calore materico del legno. È il nuovo concept retail di Manila Grace (realizzato dallo Studio Giraldi Associati di Firenze), che espande a Est il proprio network internazionale. Entro il 15 febbraio, infatti, inaugura due nuovi store di proprietà a Lotz (120 mq) e a Wroklaw (90 mq) in Polonia, e due in franchising in Ungheria (Budapest) e in Bulgaria (Vama). Imminenti anche le aperture dei flagship store di Hong Kong, Varsavia e Kuwait City. www.manilagrace.com

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LOS ANGELES MUSICA

Amok non è solo il primo disco in uscita degli Atoms for Peace, alienante e sintetico quanto basta. È anche la dimostrazione che l’anello mancante tra Thom Yorke e David Byrne/Talking Heads esiste 22 | URBAN


ATOMS FOR PEACE TESTO PAOLO MADEDDU

Trenta, trentacinque anni fa tutti tenevano d’occhio un tipo di nome David Byrne. Lui era la faccia un po’ psycotica (proprio nel senso del film Psyco) di una macchina da ritmo e nevrosi chiamata Talking Heads. La loro musica era completamente concepita per le metropoli (e risulta spesso inascoltabile in altri contesti); quello che colpiva in modo particolare era il modo in cui la voce scattosa, paranoica di Byrne si insinuava nella musica per poi prenderne le distanze, come se cercasse disperatamente di sgusciare via dalle sue trappole. Oggi tutti tengono d’occhio un tipo di nome Thom Yorke. Lui è la faccia depressissima di una generazione che guarda con angoscia al futuro, ma anche con presente e passato non è che vada a braccetto. La sua musica, prima coi Radiohead, poi con The eraser e ora con gli Atoms for Peace, pare concepita per stanze senza porte né finestre, per utopie impazzite come la maionese. Quello che colpisce in modo particolare è il modo in cui la voce inconsolabile di Yorke sembra perennemente schiacciata dal ritmo, dai suoni, come se cercasse disperatamente di arrendersi, ma nemmeno questo gli viene permesso. Viene da pensare ai Talking Heads, in particolare quelli di I Zimbra, quando il ritmo schizoide di Before your very eyes dà il via ad Amok, debutto degli Atoms for Peace, che lo stesso Yorke definisce “progetto”, la parola ormai consueta per non dire “band”, sottolineando una precarietà programmatica. Ne fanno parte il produttore Nigel Godrich, il percussionista Mauro Refosco (componente dei Forro in the Dark, ma anche della band di David Byrne), un non impegnatissimo Flea (bassista dei Red Hot Chili Peppers) e il batterista Joey Waronker. “Se non lo sapevate, ci siamo trovati un paio di anni fa per suonare dal vivo il disco che ho inciso col nome The eraser; mentre lo facevamo scaturiva un’energia davvero notevole, e l’abbiamo buttata in questo disco”, annunciava Yorke a settembre. Nota bene: sul sito dei Radiohead. “Gli Atoms sono un progetto aperto, non sono sicuro dove può portare... Che è ciò che lo rende piacevole”. Alcuni dei nove pezzi di Amok non sono del tutto nuovi ai più attenti fan dei Radiohead: sono idee rielaborate nel tempo, sviluppate cercando di tornare dalla modalità “artista invaghito del suo laptop” a quella “musicista che suona con tizi che reggono uno strumento in mano e lo scrutano perplessi”. Nel passaggio, nel de-sintetizzare le idee non portate a termine incidendo The eraser (2006), col quintetto “a casa di Flea a giocare a biliardo, bere e ascoltare di continuo il supremo musicista africano Fela Kuti”, è nato Amok (termine usato per la prima volta cent’anni fa da antropologi che indicavano uno stato di violenza fuori controllo osservato in popolazioni di Nuova Guinea e Malesia). Con Amok finalmente Yorke si riconnette a quel David Byrne che nel 1986 aveva composto un brano fatidicamente intitolato Radio Head, un’ironica marcetta con toni zydeco, quanto di più lontano da ciò che i Radiohead abbiano mai fatto. In Amok ci sono gli spasmi elettrici dei Talking Heads più coraggiosi, quelli che prendevano i ritmi tribali africani e li rileggevano in chiave isterica coi sintetizzatori dell’epoca. Brani come Unless, Reverse running o Judge, jury and executioner sono il parto di un musicista che ha riscoperto un dna dal quale si era inizialmente allontanato, specializzandosi nelle ballate più alienate della nostra epoca – in un disco notoriamente intitolato Ok computer, paradossalmente molto meno computerizzato di questo. Le conclusioni antropologico-musicali sono poco rassicuranti, ma d’altronde lo sguardo un po’ spento di Yorke è da sempre eloquente in proposito. E sono eloquenti due frasi usate per spiegare il processo creativo: “Una delle cose di cui eravamo più eccitati era ritrovarci con un disco in cui non puoi dire se chi sta suonando è un uomo o una macchina” e “Spesso mi ritrovavo a dire: hmm, questo è troppo umano. Possiamo sembrare un po’ più meccanici?”. C’è un brano, intitolato con un termine che prima dei computer non conoscevamo (Default) che riassume la desolata disperazione di Amok: “La volontà è forte, ma la carne è debole. Penso che sia tutto qui”. La macchina vince, la violenza è senza controllo, ma non può che rivolgersi interiormente, implodere dentro di noi, e se qualcosa si rompe, non è una grave perdita. Alternative? Beh, ce ne saranno pure, dai. In a Gangnam style. •

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© Stefania Rosini

THE COVER ON THE WALL TESTO ROBERTO CROCI

Nel 1953, il presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower tenne un discorso alle Nazioni Unite intitolato Atoms for Peace, allo scopo di “informare” i cittadini americani su rischi e vantaggi di un prossimo futuro nucleare. Venne scritto allora che il discorso fosse pura propaganda, che Eisenhower volesse sdrammatizzare i fantasmi di Hiroshima e Nagasaki e promuovere la ricerca nucleare negli Stati Uniti e nel resto del mondo, agevolando e costruendo con società americane i primi reattori nucleari. La storia ci insegna che i primi ‘clienti’ furono Iran e Pakistan. Sessanta anni dopo la band Atoms for Peace esce con il primo album, Amok – sindrome atta a definire uno che va fuori di testa, letteralmente significa “incontrollato, sfrenato”. La copertina del disco è stata disegnata da Stanley Donwood, scrittore, artista e collaboratore dei migliori artwork dei Radiohead, al quale abbiamo chiesto di descriverci la nascita di questo primo album. Ma non finisce qui. Grazie all’intervento dell’artista Insa, gli uffici della XL Recordings su Hyperion Drive a Los Angeles sono diventati un enorme murale interattivo ispirato alla cover.

COM’È STATO COLLABORARE CON ATOMS FOR PEACE DOPO ANNI DI RADIOHEAD? Con i Radiohead cerco di dipingere o disegnare quello che sento quando ascolto la loro musica. Ogni disco ha una propria vita e di conseguenza anche il mio lavoro è molto diverso per ogni album. Atoms for Peace sono diversi dai Radiohead, molto più underground nel modo in cui cercano di fare propaganda, di trasmettere dei messaggi. C’è una linea di comunicazione subliminale tra The eraser e Amok, come se stessero usando lo stesso cifrario di codici segreti. Anche se cambia in continuazione il codice dei Radiohead è stato crakkato, quello degli Atoms è ancora top secret.

ATOMS FOR PEACE AMOK XL Recordings

HAI ASCOLTATO L’ALBUM? Ho ascoltato l’album ripetutamente, dall’inizio alla fine, seguendone ogni evoluzione. Sono stati due anni intensi per ognuno di noi, due anni per registrare, due anni per finalizzare il mio artwork. Davvero interessante.

LA COPERTINA DI AMOK RITRAE UN’ESPLOSIONE DI METEORITI, SULLO SFONDO DI UN’APOCALITTICA LOS ANGELES. COME SPIEGHI QUESTO TUO FASCINO PER L’APOCALISSE, RICORRENTE IN TANTI TUOI LAVORI? Apocalisse significa scoperta o rivelazione, gettar via ciò che copre. Per noi ‘moderni’ ha un significato negativo, nel senso che viene sempre associata a un fenomeno disastroso, in senso biblico invece è il trionfo del Bene verso il Male, la fine di un’era negativa e la nascita di un mondo nuovo. Se la vedessimo sotto questo aspetto, l’Apocalisse sarebbe positiva, ma per quanto mi riguarda non ci giurerei, non sono Muzio Scevola. •

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TRENTO & CO. DESIGN

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Grandi occhi mobili, casa studio sull’asse Berlino-Barcellona, immaginario febbrile, humor da dandy catalano, da oltre 20 anni Martì-ex-designer-Guixé è il lìder maximo di quello che i gastronauti della forma chiamano food design: “Il mestiere di chi lavora con il cibo, senza alcuna idea di cucina”. Il suo ultimo progetto, nomen omen, è Trojan Bar: un bar trasportabile, parassitario, più o meno un cavallo di Troia, grande come un baule da viaggio di circa 1 metro quadro, firmato per il cuoco finlandese Antto Melasniemi. Completano il cv – tra gli altri – un bel po’ di libri (fresco di stampa, il delizioso R&D Book per Corraini), una Gin Tonic Night celebrata in una galleria di Amsterdam dove i cocktail erano serviti via vaporizzazione nell’ambiente, la dissacrazione del rito iberico delle tapas (per Guixé il pane è “por supuesto” dentro il pomodoro), I-Cakes a forma di infografiche. E ancora: olive trasformate in micro-architetture molecolari, oggetti pensanti come il salvadanaio/portasemi Seed, un ristorante – il Lapin Kulta Solar Kitchen Restaurant – sotto il cielo instabile del Grande Nord, una sfida alle previsioni meteorologiche, immensi padelloni a energia solare. “Un modello di business che cerca di ripensare la percezione di cibo, cucina, caso e natura”. Barbecue quando c’è sole, insalata (forse) in caso di pioggia, flessibilità e immaginazione. E tutto questo è solo un assaggio. Per saperne di più, l’indirizzo è Mart Rovereto, dove, dal 9 febbraio al 2 giugno, è in scena Progetto cibo. La forma del gusto: un pantagruelico viaggio multisensoriale a cura di Beppe Finessi. In mostra, tra disegni, progetti, fotografie, oltre ai progetti di Guixé, che presenterà in anteprima un nuovo Menu Degustação con storytelling e piatti in forma di maquette, sono annunciati focus sul cibo anonimo (dal cannolo siciliano al doner kebab) e cibo industriale (dai Pavesini alle Marille Voiello di Giorgetto Giugiaro), una parentesi sul pane come materia prima di progettazione (la Bread light di Tomas Alonso è il nostro must have), una finestra dedicata agli imperatori del gusto che sul food hanno costruito architetture di successo, dal Gualtiero Marchesi dell’intramontabile “Risotto oro e zafferano” alla Pasta Fagioli (in bicchiere) di Massimo Bottura. E molto altro ancora. Per ogni progetto una storia che ripercorre l’evolversi del costume, dei consumi, dei processi, dei brevetti, a dimostrazione che non esiste cibo che non sia (anche) progetto, talvolta da collezione museale. Vale

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per il cono di gelato inventato da Italo Marchioni nel 1903 e registrato come brevetto N. 746971 a New York City o per l’immarcescibile Chupa Chups “prototipato” da Enric Bernat i Fontlladosa nel 1958 (il logo, a chi fosse sfuggito, è di Salvador Dalì), entrambi catalogati nelle collezioni design del MoMa. Sui Lollipop a Rovereto sarà in scena un vero e proprio eserciziario di stile alla Queneau. Si parte dai “taglienti” Candy Fragile di Lim Wooteik, si approda ai Sucette del duo Cordoleani e Fontana che sperimentano la soffiatura dello zucchero con un procedimento simile a quello del vetro di Murano, realizzando quello che loro chiamano “cibo per il pensiero”. Che la tavola non sia solo una questione di palato lo diceva, del resto, anche Tognazzi: “L’uomo mangia anche con gli occhi, specie se la cameriera è carina”. Da tempo, le ricerche – in particolare nell’ambito del design – si spingono più in là, ben oltre lo sguardo. Grande, per esempio, è l’attenzione

sugli scarti agroalimentari che da ex-ingredienti di cucina diventano puri ingredienti di progettazione. Tra le ricerche più interessanti c’è APeel by Alkesh Parmar, giovane designer londinese, che ha prototipato per la tesi di laurea al RCA, piccoli oggetti realizzati con scarti di bucce d’arancia. “Milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno” ci ha raccontato tempo fa. “Un problema per i produttori, per il nostro pianeta. In attesa di brevetto, APeel vuole affrontare il problema della ‘triple bottom line’, favorendo le produzioni locali, la riduzione dei rifiuti alimentari e lo sviluppo di applicazioni innovative che ridefiniscano il concetto di consumo”. Accanto a ricerche di processo, in mostra c’è anche chi cucina, punto. Con risultati immaginifici: sono i designer culinaire, giovani talenti come Juliehhh (“Tre h, dimenticarne una significa smarrire un tratto del suo carattere: allegro, giocoso, malefico” recita il biglietto da visita). Laurea in Arte e Design a Reims, la francesissima Juliehhh si è fatta il palato nel laboratorio culinario di Marc Brétillot, coltivando l’idea che “il cibo possa essere di volta in volta sensibile, emotivo, regressivo o trasgressivo”. Tra i suoi must, i piccoli Neo Fruit Sial e le Vegetaball, palle effervescenti di pomodoro, fagiolini, peperoni, broccoli, carote. Lungo il percorso si annunciano anche progetti che flirtano con la forma (del cibo). È il caso di Reversed Volumes, il passaporto progettuale degli austriaci Mischer’ Traxler, una collezione di ciotole realizzate ricalcando l’impronta in negativo di frutta e verdura su una massa argillosa ricoperta di polvere di ceramica. O viceversa Studio Nendo: per il pasticcere giapponese Tsujiguchi Hironobu ha disegnato una confezione di matite di cioccolato dotate di un temperino. Tra i giovanissimi si segnalano, infine, Ryosuke Fukusada e Rui Pereira. Sono loro i mobiletti edibili, 50 % baby castella (dolce tipico nipponico), 50 % pasta all’uovo portoghese, la “ovos mole”. Prima di impastare e imburrare lo stampo, i due si sono chiesti: “Abbiamo ancora appetito per il design?”. Ad aprile, a Milano, abbiamo sgranocchiato una loro poltroncina, “prototipata” al vivo: cibo per la mente. •

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LONDON FASHION

ENERGY GIRL

FOTO JESSIE CRAIG STYLING IVAN BONTCHEV

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Giacca, tibi Canotta, obey Reggiseno, augustin teboul Pantaloni, m missoni Trainers, lacoste Anelli, coliac

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Giacca, hache Top, cividini Collana, vintage Shorts, suzanne susceptible

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Oversize t-shirt, gentucca bini Reggiseno, nike Pantaloni, marco bologna Cappello, stetson

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Parka, tatras Vestito, kaos Calze, wolford Scarpe, prada

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Trench, p.s. paul smith Reggiseno, nike Shorts, comeforbreakfast Orecchino, stella jean

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Giacca, msgm T-shirt, intimissimi Occhiali, mykita Sandali, doc martens


Top, ottod’ame Cappello, le coq sportif Cerchietto, stella jean Collana, shourouk

ADDRESS LIST Augustin Teboul, www.augustin-teboul.com. Cividini, www.cividiniitalia.com. Coliac, www.coliac.com. Come For Breakfast, www. comeforbreakfast.it. Doc Martens, www.drmartens.com. Gentucca Bini, www.gentuccabini.it. Hache, www.hache.it. Intimissimi, www.intimissimi.com. Kaos, www.kaosspa.net. Lacoste, www. lacoste.com. Le Coq Sportif, www.lecoqsportif.com. M Missoni, www.m-missoni.com. Marco Bologna, www.marcobologna.com. MSGM, www. msgm.it. Mykita, www.mykita.com. Nike, www. nike.com. Obey, www.obeyclothing.com. OttoD’ame, www. ottodame.it. P.S. Paul Smith, www.paulsmith.co.uk. Prada, www. prada.com. Shourouk, www.shourouk.com. Stella Jean, www.

stellajean.it. Stetson, www.stetson.com. Suzanne Susceptible, www. suzannesusceptible.com. Tatras, www.tatras-i.com. Tibi, www.tibi. com. Wolford, www.wolford.com. Hair & Make up: Andrea Croci. Model: Benthe De Vries @ IMG. Assistente fotografo: Javier Kapowski

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LOS ANGELES & CO. LIBRI DI MARTA TOPIS

VERSIONI DI ME DANA SPIOTTA MINIMUM FAX, 2013 200 pp., 15 euro A New York, dove l’autrice – giunta al suo terzo romanzo – vive in piena “Central”, si è gridato alla nuova De Lillo, forse facendo anche un paragone tra il suo Nik, il personaggio principale che si crea una vita fittizia da rock star leggendaria, e il protagonista di Great Jones Street che, viceversa, si nasconde per sfuggire al successo di cui si sente vittima. Nik, infatti, squinternato musicista di Los Angeles, per oltre 30 anni si auto-racconta nelle “Cronache”, un raccoglitore pieno di articoli, interviste, recensioni e bootleg-cd da lui inventati e redatti, all’insegna del fatto che “se non sei curatore di te stesso non esisti”. Non diversamente la sorella Denise – all’indomani dell’improvvisa scomparsa di Nik – mettendo mano a quelle carte risponde con una sua versione di questa biografia immaginaria, stimolata anche dalla sopraggiunta demenza della madre e dal desiderio della figlia di girare un video sullo zio. Nell’era di blog, profili e diari Facebook, una bella storia americana, contemporanea e introspettiva, sul grande dilemma dell’essere e dell’apparire.

L’OMBELICO DI GIOVANNA ERNEST VAN DER KWAST

L’ESTASI DELL’INFLUENZA JONATHAN LETHEM

ISBN, 2013 140 pp., 12,50 euro

BOMPIANI, 2013 510 pp., 20 euro

Può uno scrittore ex-lanciatore del giavellotto nato a Bombay ed emigrato in Olanda scrivere un bel romanzo ambientato in Salento? Per noi è un sì quando si tratta del geniale Ernest van der Kwast, già autore del bestseller autobiografico Mama Tandoori (2010). Qui, più che a un romanzo, Van der Kwast dà vita a un racconto poetico e romantico, che inizia nel dopoguerra sulla spiaggia leccese di San Cataldo, dove il ventenne Ezio perde la testa per l’ombelico della bella Giovanna, intravisto dallo strappo di un costume intero in un tempo in cui il bikini ancora non era stato inventato. Prosegue in un meleto di Bolzano, dove Ezio si trasferisce perché Giovanna non ha voluto sposarlo, per concludersi ben 60 anni dopo ancora in Salento. Una delicata storia d’amore che invita a non avere rimpianti e che si legge con un’unica avvertenza: si finisce comunque per parteggiare per l’uno o l’altro amante.

“Qual è il ruolo dello scrittore – se ha un ruolo – nella cultura contemporanea? Quello della termite (piccola ma industriosa) o quello dell’elefante bianco (che invade con fare autorevole)?”. Parte da qui la corposa raccolta di saggi e articoli, alcuni inediti altri pubblicati sul web o riviste di nicchia (Lethem dice che è “un quarto dei suoi scritti sparsi”), il cui occhio del ciclone (sempre parole sue) è rappresentato proprio dal capitolo sul plagio che dà il titolo al volume. Una raccolta che si può leggere a piccoli morsi fino a comporre una sorta di autobiografia del celebre scrittore, e dove si trovano chicche come le avventure con i compagni di college (Bret Easton Ellis e Donna Tartt), l’incontro letterario con Philip Dick e Calvino, o con i personaggi della sua amata Brooklyn, come i teenager di Slope Hill o il pazzo. Per lettori con la “elle” maiuscola.

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LONDON & CO. DESIGN DI OLIVIA PORTA

LETTURE DA TAVOLO Booken è un tavolino, mensola e libreria, progettato dallo studio Raw Edges, fondato dai giovani designer Yael Mer e Shay Alkalay, israeliani di origine e londinesi di adozione, considerati tra i migliori creativi a livello internazionale. “Ci siamo ispirati al fatto che le persone non rileggono così spesso i romanzi che hanno sulle mensole, e allora abbiamo pensato: perché non usare i volumi come se fossero un piano? Ovviamente si possono sempre prendere e consultare, ma allo stesso esso tempo assumono una nuova funzione”. Lema ha presentato a Colonia in gennaio io Booken come prodotto da aggiungere alla propria collezione. www.raw-edges.com

TORINO CONTINUOUS FUNCTION

EINDHOVEN THE GROUP PROJECT

Si chiamano Yet Matilde, sono di Torino e hanno progettato una collezione lezione del tutto insolita, Continuous Function. Si tratta di una serie di mobilii creati utilizzando diversi strati di iuta tenuti insieme da resina epossidica, che stesa sul tessuto strato per strato permette di modellare qualsiasi forma. rma. Il processo avviene creando prima la parte esterna dell’oggetto, cioè il contorno, poi si aggiungono le parti interne che danno stabilità migliore iore al mobile e permettono di assumere la funzione.

Guidati dal geniale israeliano Itay Ohaly, nove designer hanno collaborato per creare un set di tre oggetti: un tavolo, una sedia e una lampada. Sono stati progettati con un metodo inconsueto, perché ogni singolo pezzo e i suoi dettagli sono stati disegnati da un designer diverso senza comunicare con gli altri. Dopo aver creato le parti, si sono riuniti per capire come assemblare gli oggetti finali. Il risultato? Un mix e match di materiali e forme del tutto originali. www.ohaly.com

www.yetmatilde.it

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MILANO FASHION

TESTO FRANCESCO BRUNACCI FOTO MATTIA ZOPPELLARO / CONTRASTO

Per l’ennesima volta Jessica Choay cambia casa. “Sì, parto”. E lo dice nel suo italiano asciutto dove l’accento parigino è il french touch che cattura. Ventiquattro anni, un diploma allo Ied, francese doc, Jessica è una stilista che ha appena esordito nel fashion world con due collezioni auto prodotte. Sobrie e apparentemente classicissime, ma concepite per un pubblico di giovani fashion addicted che sappiano apprezzare il gusto timeless di pezzi unici, proporzioni e volumi vicini a un Givenchy d’annata, eppure rivisitato grazie all’ispirazione proveniente dal mondo della lingerie. L’appartamento di Brera dove ha vissuto fino a qualche giorno fa è in smobilitazione. Jessica cambia pelle e quartiere. E non è la prima volta: parigina di nascita ha vissuto nella capitale francese, a Ginevra e a Milano. Ma ha appena preso casa a Notting Hill a Londra e non disdegna l’idea di un futuro trasferimento in Asia, magari a Hong Kong. Somiglia più a un’apolide che a una globetrotter. In pochissimo tempo è riuscita a superare le selezioni – feroci – di Wolf & Badger, uno degli hipshop della capitale inglese, una sorta di piattaforma creativa per gli stilisti indipendenti che da lì poi decollano – sempre. La sua collezione ora è in questo tempio della moda nel cuore di Mayfair. E in più a quattro passi da casa. Jessica sembra segretissima. Con un’attitudine alla discrezione che potrebbe spiazzare. Se non si comprendesse che ha un mondo interiore composito e complesso e che è compito di chi la incontra provare a espugnare un territorio impervio.

PERCHÉ LA MODA SE HAI TANTE ALTRE PASSIONI, LA DANZA, IL CANTO, LA MUSICA? Perché a un certo punto creare abiti per un pubblico femminile è la parte creativa che è riuscita a prevalere sul resto. Fin da quando ero bambina, a Parigi, sono stata fortemente attratta non tanto e non solo dal canto, dalla danza, ma dal mettermi in gioco e provare a manifestare agli altri quella che sono, quello che sento, al di là della mia timidezza. So che tutti i bambini lo fanno e so di non avere niente di speciale in questo, ma credo che quello spazio silenzioso che trasformavo in azione è quello che poi mi ha permesso di riuscire a tramutare dei bozzetti in vestiti che fino a ora ho prodotto con tutti i miei sforzi e che anche da questo prendono tutta la loro vitalità.

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JESSICA CHOAY


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IN CHE COSA CONSISTE QUESTA VITALITÀ? Nel riuscire a far muovere le stoffe che scelgo, soprattutto la seta italiana, quella migliore che prendo nel comasco, e la lana sul corpo di una donna. Mi soffermo raramente a guardare le sfilate anche se ho degli stilisti che amo, da Paul Poiret e le sue silhouette anni Venti a Elie Saab, a quello che Hedi Slimane ha fatto per Saint Laurent. La mia ispirazione non proviene da quel mondo, ma dal desiderio di provare a rendere senza tempo una collezione. Cioè ricreare in un abito la stessa sensualità, il contrasto di luci e ombre, la sinuosità che osservo in una donna magari al ristorante o al check-in di un aeroporto, nella comodità di un salotto casalingo o nella frenesia di una giornata stressante. È per questo che la mia ispirazione principale è la lingerie, per i suoi pesi, per gli spessori che si alternano alle trasparenze, per l’attenzione che dedico sempre alla portabilità, senza rinunciare al fascino e al richiamo del mio colore preferito, il nero. Cerco di impregnarmi dell’intimità che scaturisce dalla lingerie per trasferirla su un abito da giorno, sperando anche che le donne di oggi e le ragazze della mia età la smettano di portare troppo i pantaloni.

E LE ALTRE PASSIONI, LA MUSICA PER ESEMPIO? SU INTERNET CIRCOLA UNA TUA CANZONE, CHE NE VUOI FARE?

QUASI TUTTA LA MUSICA CHE AMI RIPORTA A UN’ATMOSFERA DI INTIMITÀ MOLTO PROFONDA. IL TUO PERCORSO MODA È INVECE TOTALMENTE DETERMINATO. QUAL È LA VERA JESSICA? È tutt’e due le cose insieme: discrezione e azione, dentro e fuori. Anche il fatto che abbia vissuto a Parigi, Ginevra, Milano e adesso a Londra fa parte di un percorso che cerca di mettere insieme la segretezza e l’eleganza fredda di Parigi e il calore dell’Italia, il silenzio di Ginevra e la carica cosmopolita di Londra, la sua apertura sul mondo, la sua capacità di rendere il business necessario e nello stesso tempo divertente. Dell’Italia adoro l’artigianalità e la capacità di avere i migliori materiali del mondo. È per questo che per i vestiti che faccio – quasi tutti pezzi unici – ho deciso di lasciare la produzione qui. Dunque non mi fermo. Questo è il mio ritmo, quella parte musicale di me che mantengo viva. Ciò che riempie le mie giornate è il fare, agire, senza aspettarsi niente. Non ho cominciato questa professione per diventare celebre o per arricchirmi. Ovvio che se arrivassero fama e denaro sarei contenta, ma non è questa la mia spinta quotidiana. Quello che mi interessa è continuare ogni giorno a esprimere quello a cui tengo che in fondo poi è riuscire a trasmettere emozioni. Sono grata ai miei genitori che mi hanno insegnato a perseverare senza seguire la massa.

Per il momento quella è un’esperienza passata.

PERCHÉ SEI COSÌ SEGRETA?

MA SI DICE CHE TU ABBIA ANCHE INCISO UN ALBUM DI CUI SI SONO PERSE LE TRACCE, È VERO?

Non mi trovo segreta. Piuttosto sono una donna alla quale si possono raccontare dei segreti, perché saranno custoditi. Sono discreta. Somiglio alle donne per cui creo i miei vestiti. Donne che non ti irretiscono ma ti danno quello che avevano promesso.

È vero: con il produttore Alessandro Zullo ho inciso un album chill out che non so se uscirà mai, anche lì è stato un esperimento. Dopo aver preso molte lezioni di canto, mi sono buttata, ma più che altro per dare sfogo a una passione che poi è stata superata dalla moda. Ho sempre cantato, ho preso lezioni di pianoforte, di danza classica e di modern jazz, ma poi la musica è rimasta la compagna di molti momenti di intimità. Eva Cassidy, Diana Kroll, Norah Jones, Nina Simone e Nat King Cole mi accompagnano da sempre, come il musical e le canzoni di Cats, Grease, Chicago e il Fantasma dell’Opera, ma ora la mia strada è decisa: è la moda.

LEALI? Esatto. •

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MILANO & CO. MUSICA DI PAOLO MADEDDU

PRESUNTUOSI, IMPREVEDIBILI

DARKSTAR 14 FEBBRAIO MILANO – MAGNOLIA 15 FEBBRAIO BOLOGNA – SCUDERIA 16 FEBBRAIO ROMA – LANIFICIO 159 Far cominciare gli anni 10 non è semplice. Avete proposte in merito? La nostra modesta proposta è: far finire gli anni zero. Perché sì, a un certo punto, mentre tutti eravamo distratti, sono iniziati. E forse uno dei piccoli contributi che possiamo dare per terminarli è combattere la convinzione tipicamente anni zero che tutte le novità indie portassero freschezza. Con le loro chitarrine birichine, le batterie vispe, i bassi salterini, le voci piumose. Mentre la verità è che i gruppi indie rock (come il più recente,

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ancora più esasperante filone indie pop) portano – in ordine crescente di deprecabilità – la morte, la noia, la stupidità abissale. E qui veniamo ai Darkstar. Sono ambiziosi. Forse presuntuosi. Magari anche fastidiosi. Sono elettronici, angolosi, sicuramente indebitati con parecchi ingegneri della musica attivi negli anni Settanta, specie in Germania. E con qualche band synth-pop degli anni ’80, di quelle che non hanno fatto i soldi. Gli inglesi James Young e Aiden Whalley, dotatisi di un elemento umano (il cantante James Buttery), non fanno esattamente quello che ci si aspetta da loro. Non vi permetteranno di prevedere ogni nota, ogni cambio di ritmo, ogni citazione, ogni loop. Sono in fuga dal dubstep, in fuga dalla techno, in fuga dai suoni che sembrano prodotti dal vostro laptop, ma non per questo rifiutano il parossissmo tecnologico che ci circonda; anzi, lo affrontano, cercano di averne ragione – musicalmente. A volte, nel nuovo album News from nowhere, ci riescono. A volte no. Però ci provano, e molto seriamente. Quali puristi possono dire altrettanto? Chi è veramente puro, scagli il primo iPad. •


EVERYTHING EVERYTHING ARC Rca

SECRET MOUNTAINS RAINER DUCKTAILS THE FLOWER LANE

Friends

Domino

WHO: Cinque figuri di Baltimora

WHO: Matthew Mondanile, chitarrista, di Ridgewood, New Jersey, 27 anni. Fa anche parte di un gruppo, i Real Estate, con il quale ha inciso due dischi. Laureato, disoccupato dopo aver lavorato come cameriere in un ristorante. Ha fatto anche il baby-sitter. Aveva una mezza idea di formare una band col bambino di 10 anni che accudiva. Aveva un computer migliore del suo.

silenti e shoegazing (se siete brizzolati: tipo i Cowboy Junkies). E Kelly Laughlin, 21 anni, voce non educata ma forte (se siete ottuagenari: tipo Grace Slick dei Jefferson Airplane). Al debutto, finanziato con Kickstarter. In soldoni, hanno questuato su Internet. Ogni giorno nel mondo si incidono 4mila cd, ma pare che la gente non ne abbia mai abbastanza.

WHERE: Nel grande hinterland che è il mondo. WHY: Fa una musica accattivantissima, senza cattiveria: non gli interessa stupire coi lampi di genio, perché di geni ce n’è già troppi in giro e lui per sua fortuna non lo è. Piuttosto vario ed estremamente piacevole da avere come sottofondo per la propria giornata.

WHAT: “Ho una grande collezione di cassette. Penso che siano superiori ai cd come oggetti, e sono convinto che, sotto sotto, la gente le vorrebbe ancora”. WHEN: Du Durante il toto-ministri.

WHERE: Tra psichedelia e soul, che sul mappamondo non paiono confinanti. Provate a guardare anche voi, sul vostro mappamondo. È uno di quelli che si accendono? Che invenzione affascinante. Chissà chi ci ha pensato per primo. Non lo sapremo mai.

WHY: Se riuscite a non pensare a chi cavolo vi ricordano, vi piaceranno.

WHAT: “Non abbiamo deciso intenzionalmente di essere una specie di band spirituale. È che forse non possiamo farne a meno”. WHEN: Mentre sentite dichiarare: “E ora, subito le riforme”.

UNA SU 19 BAUSTELLE “DIORAMA” DA “FANTASMA” Warner

WHO: Jonathan Higgs (voce, chitarra), Jeremy Pritchard (basso), Michael Spearman (batteria), Alex Robertshaw (tastiere). Dai 24 ai 28 anni, provenienti da varie parti dell’Inghilterra, formatisi a Manchester. Dopo aver finito l’università. Che ci volete fare: ex macellai come Ozzy Osbourne nel rock non se ne trovano più.

WHERE: In tour coi Muse. In top 10 del Regno Unito con l’album di debutto (per solo un giorno). In forum per musicossessivi che li paragonano agli Alt-J o che si indignano per il fatto che qualcuno li paragoni agli Alt-J. WHY: C’è del ritmo. C’è della musica. Chi può chiedere qualcosa in più?

WHAT: “Penso che quello che facciamo sia musica pop. Ma cerchiamo di renderla interessante. Cerchiamo di evitare quei cliché che si associano a dei tipi di Manchester con la chitarra”.

GIANNI RESTA DISCOROCKSUPERSEXYPOWERFUNKY Venus

WHO: Milanese, 39 anni, metà dei quali passati a fare wrestling con le case discografiche. Vorrebbe la pella nera – come si deduce agilmente dalla copertina del disco. WHERE: Nella colonna sonora di un poliziesco anni Settanta, nel radioregistratore mono Inno-Hit rimasto acceso per tutti questi anni nell’officina dell’elettrauto che ha chiuso nel 1981 e ha ancora le serrande chiuse, nella festa per la rimpatriata della radio libera in cui lavorava vostro zio (ovviamente, molto prima di mettersi nella produzione di yogurt biologici), nelle pagine de L’Intrepido o Il Monello. WHY: È il genere che manca (e tanto) alla musica italiana – disco, funky, e le altre robe in mezzo. WHAT: “Son dovuto andare in Francia per far sentire le mie canzoni dal vivo. Qui c’è qualcosa che non va”.

WHEN: Durante gli exit-poll.

WHEN: Leggendo i titoli sull’allarmante crescita dell’astensionismo.

Non ingannino il singolo dal titolo scoppiettante (La morte) e il suo glamouroso clima rétro: il nuovo album del più rilevante gruppo italiano degli ultimi dieci anni non è un pranzo di gala. Il che non significa che sia un brutto disco, anzi. Mantiene ciò che promette. E promette L’estinzione della razza umana, gite al cimitero (Monumentale), rimpianti per l’apocalisse mancata (Maya colpisce ancora), sonate in campi di concentramento (Il finale), distruzione di ciò che si ama (Contà l’inverni), dichiarazioni piene di speranza (“Credo nel peggio che deve arrivare”, spiega Nessuno). In tutto questo, il trio che ha reso chic la depressione rincara la dose con ogni tipo di espediente sonoro che renda il tutto dolcemente pesantissimo: lungo tutto l’album, rock ed elettronica, quei generi col

dna frivolo che avevano portato ai Baustelle il successo radio-friendly di Charlie fa il surf, vengono annichiliti da un’orchestrale severità. Ma Diorama è uno di quei momenti in cui l’innata musicalità pop di Giovanni Bianconi si riaffaccia come una vera natura aborrita – e proprio per un brano ispirato dalla natura. E nemmeno una natura morta: una natura finta. “Nel Diorama il tempo non ci può far male, non ci può far male. Non c’è prima e non c’è poi, solo l’apice di vite singolari, l’illusione che non marciranno mai”. Però animo, Bianconi: certe canzoni singolari non marciranno mai. •

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LOS ANGELES FENOMENI

PING PONG FEVER TESTO ROBERTO CROCI

Frenetico e rilassante, competitivo e seduttivo, il social ping pong club è il modo più cool per passare una serata. Parola di Susan Sarandon

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Why play with your own balls when you can play with ours? (motto dello SPIN Galactic Club). Perché giocare con le tue palle quando puoi giocare con le nostre? Ping... Pong... Ping... Pong. Anno 1973, Rho, provincia di Milano. Un ragazzino in jeans e Lacoste che si destreggia attorno al tavolo di granito del Dopolavoro Bianchi Tennis Club – luogo dove alla tenera età di 13 anni ho cominciato a capire che, vincendo al ping pong, avrei attirato l’attenzione del gentil sesso. Sì, ping pong come forma primitiva e innocente di viabilità del mio testosterone da teenager, nonché collante sociale. Quarant’anni dopo, nulla è cambiato. Ping... Pong... la folla esulta impazzita mentre la pallina schizza sul tavolo rosso dello Standard Hotel di Los Angeles. Da un lato la campionessa olimpionica Erica Wu, dall’altro l’incantevole Soo Yeon Lee, modella e giocatrice professionista dello sport più hip del momento. Nonostante agilità e destrezza atletica di entrambe le donne, non si può fare a meno di notare gli elementi accattivanti della femminilità metropolitana del 21esimo secolo: Chanel, gioielli, shorts, tacchi a spillo, Louboutin, minigonna e gambe chilometriche. La folla che applaude delirante è composta nientedimeno che da la crème de la crème di Hollywood: James Franco, Vincent Gallo, Chelsea Handler, Emily Mortimer, Jacqui Getty, Gia Coppola, Topher Grace e Kate & Laura Mulleavy di Rodarte, tutti tifosi di SPiN Galactic, il nuovo social club fondato dall’attrice Susan Sarandon, l’attore Franck Raharinosy, l’animatore Pixar Andrew Gordon, Jonathan Bricklin (fidanzato di Susan e campione ginnico) in collaborazione con l’hotelier Andre Balazs. La sala dedicata a 11 tavoli professionali olympic style, compreso uno superfancy disegnato dall’artista Ryan McGinness, è un vero e proprio night club, con tanto di drink, musica, dj e sofisticato menu small bite – mini banh mi al pollo, peperoni shishito grigliati – creati apposta dal top chef Micah Fields. Nonostante i campioni dello sport siano da anni cinesi, il ping pong viene “scoperto” sui tavoli dell’aristocrazia inglese, praticato dopo cena con racchette improvvisate con coperchi di scatole da sigari e palline


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rigorosamente ricavate dai tappi di champagne, meglio se Dom Perignon. Da allora l’hobby diventa sport, passione, business e nuova occasione per socializzare, come dichiara Susan Sarandon incontrata appositamente dal vostro medesimo con la minaccia-promessa di una sonora batosta sportiva qualora non si fosse concessa a noi. E sì, just in case ve lo domandiate, sono ancora bravo, veloce come il fulmine.

NEGLI ULTIMI TRE ANNI, HAI APERTO QUATTRO CLUB IN QUATTRO CITTÀ DIVERSE: NEW YORK, MILWAUKEE, TORONTO E LOS ANGELES. COME NASCE QUESTA OSSESSIONE PER IL PING PONG? È una passione, ed è nata per caso. Ho un’amica che gioca e conosce vari giocatori, uno di questi è un montatore con cui ho lavorato a un mio film. Dopo mesi che frequentavo la sua cricca di disgraziati, è saltato fuori questo spazio a New York, siamo andati a vederlo e abbiamo deciso di affittarlo tutti insieme e creare questo nuovo tipo di club dove si potesse giocare, rilassarsi e stare con gli amici. Nessuno si immaginava che avrebbe avuto tutto questo successo, nessuno si aspettava che avremmo creato una nuova comunità, una sorta di centro sociale per filosofi del game. Il ping pong è un gioco che non ha restrizioni di età, nessuna barriera culturale. Ottimo per i timidoni che vogliano invitare fuori una ragazza: meglio di un bar, più interessante del bowling, senza dover neanche indossare scarpe puzzolenti! Personalmente prima di prendere in mano la racchetta, consiglio un bel bicchiere di vodka, aiuta a sciogliere i muscoli, a giocare meglio.

GIOCHI BENE? No, non direi, specialmente se mi paragoni ai professionisti. Incarno lo spirito di tutti quelli che come me giocano per divertirsi, non solo per vincere. Sono una propagandista della filosofia di questo sport. Anche se ultimamente gioco poco perché abbiamo appena aperto LA e abbiamo in progetto altri club a Miami, Boston e Chicago. L’idea è quella di crearne almeno uno in ogni città-metropolitana, così che chi viaggia può giocare e socializzare ovunque e con chiunque, con fan appassionati come loro. Ci sono anche programmi per veterani di guerra, per chi ha perso degli arti, molti dei miei colleghi vengono battuti regolarmente da giocatori in sedie a rotelle. È un bel progetto, siamo riusciti a donare più di 40 tavoli con relativi istruttori a varie scuole di New York, speriamo di poter fare di più per chi è meno fortunato di noi.

i tavoli saranno placcati d’oro e le racchette tempestate di diamanti. Ci sarà da divertirsi. Ogni club ha la sua individualità, a suo modo, è speciale. Abbiamo anche previsto l’apertura di SPiN on the Moon, per l’estate del 2022, in collaborazione con Richard Branson.

PERCHÉ DOVREMMO GIOCARE? È un gioco zen nel senso moderno del termine, taoista, un flusso vitale che dà origine a tutto. La pallina è velocissima, rimbalza, saltando la rete in meno di un quarto di secondo, bisogna concentrarsi, coordinare occhi, cervello e muscoli, è un gioco che ti fa vivere nel momento, che ti rende euforico, ti dà instant gratification, soprattutto quando impari a padroneggiarlo, è competitivo, coinvolgente ma anche rilassante, devi reagire in tempo reale, per giocarci bene devi agire prima di pensare, ma solo usando bene il cervello puoi vincere. Provare per credere.

SONO CLUB A TEMI DIVERSI PER OGNI CITTÀ?

È VERO CHE HAI APPENA GIRATO UN FILM DOVE GIOCHI A PING PONG?

Sì. Ci sono elementi di design unici in ogni luogo, menu o tipi di drink diversi per regione, e abbiamo anche voluto rispettare le tradizioni locali. Il concetto del gioco e del socializzare rimane lo stesso, ma ogni club offre delle particolarità che lo distinguono dagli altri. Abbiamo in mente di aprirne uno anche a Dubai, e visto che è una delle città più ricche al mondo,

Ping Pong Summer, ambientato nel 1985, scritto e diretto da Michael Tully, la storia di un ragazzino ossessionato dal ping pong. Un bel modo per promuovere lo sport.

ALTRO DA AGGIUNGERE? Lo sapevate che il 6 aprile 1971, il team USA di table tennis (nome yankee per il ping pong) venne invitato a giocare in Cina? Furono il primo gruppo di americani a cui fu concesso di entrare nel paese dall’arrivo dei comunisti nel 1949. Fu il ping pong che permise a Nixon di migliorare le relazioni tra Washington e Pechino: ping pong a scopo diplomatico! •

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NEW YORK ARTE

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WALL BALLET TESTO FRANCESCA BONAZZOLI

Due street artist nel tempio del balletto classico a Manhattan

Puoi girare il mondo quanto vuoi, puoi illuderti di aver scoperto la nuova città all’avanguardia, puoi leggere l’articolo che ti fa credere di aver scovato l’angolo sconosciuto dove nascono le ultime tendenze, ma alla fine la verità è che, nella sostanza, non c’è che New York. Sempre e ancora lei, la Grande Mela che non smette di nutrire i creativi di tutto il mondo. Il prossimo appuntamento è al NYCB, il New York City Ballet, dove, all’interno del ghiotto programma di danze della stagione invernale, viene lanciata una nuova iniziativa: la New York City Ballet Art Series, una collaborazione con artisti visivi ogni anno diversi che creeranno lavori ispirati alla compagnia di ballo. Il calcio d’inizio è stato affidato a Les Ballets de Faile: due performance artistiche (la prossima il 29 maggio), una mostra, una torre e un biglietto/ opera d’arte a forma di puzzle, tutto creato dal duo Faile, ossia Patrick McNeil e Patrick Miller, con base a Brooklyn, ultima variazione della cara vecchia street art che, come la Grande Mela, ha la capacità di reinventarsi continuamente di modo che non fai mai in tempo a dirla morta. Patrick & Patrick si sono conosciuti il primo giorno delle scuole superiori

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in Arizona, a 14 anni, e da subito hanno cominciato a scambiarsi disegni e a condividere la passione per l’arte. Poi ognuno ha scelto il suo istituto artistico: uno a Minneapolis, l’altro a NYC. Ed è inutile dire che, McNeil, a New York, comincia a notare gli street artist che lavoravano alla fine degli anni Novanta, come Shepard Fairey o WK Interact e Bäst. La decisione di mettersi in dialogo con loro è presto presa, come quella di chiamare a Brooklyn anche il vecchio amico Patrick e firmarsi Faile, all’inizio assieme a Aiko Nakagawa (Lady Aiko) che collabora con loro per sei anni, fino al 2006. L’evento che cambia loro la vita, però, avviene nell’altra città che pulsa, Londra, dove nel Dragon bar, l’affollato locale a Shoreditch, periferia nord est, durante la preparazione di un lavoro, vengono notati da Adi, la titolare, che offre loro la possibilità di fare una mostra. L’assedio alla celebrità era posto, ma adesso la collaborazione con il NYCB è come aver conquistato una torre. E il paragone deve essergli proprio venuto in mente perché il duo ha pensato di costruirne una come centro dell’evento. È composta da 2mila cubi di diverse dimensioni, impilati l’uno sull’altro per 40 piedi di altezza e installata nella Promenade della sede del NYCB, il teatro David H. Koch, al Lincoln Center, dove può essere ammirata dai cinque anelli di balconate fino al 24 febbraio. Della forma di un piccolo cubo-puzzle dipinto a mano su tutti i sei lati, come quelli con cui ha giocato negli anni Sessanta l’ultima generazione di bambini, è anche il biglietto che si acquista per la serata di balletto. Ognuno dei cinquemila spettatori, così, si porta a casa un pezzetto di disegno e chissà che al pubblico non venga poi in mente di mettersi d’accordo on line per ritrovarsi e ricomporlo nelle sue sei facce. Intanto, sempre on line, si può giocare ruotando i cubi sul sito failepuzzleboxes.com che Faile confeziona anche in scatole dal sapore vintage. I Faile, infatti, sono street artisti che lavorano non solo in strada, ma anche in studio perché, altrimenti, che evoluzione della street art sarebbero? Dalla strada vengono i disegni applicati sui biglietti-cubi: vecchi manifesti pubblicitari del NYCB oggi raccolti nei faldoni del suo grande archivio, stesso bacino di ispirazione per i dieci pannelli dipinti esposti nel foyer del teatro. “L’idea è offrire qualcosa della serata che puoi portare a casa e poi usare come un frammento di conversazione con cui continuare il confronto di idee nonché l’esperienza avuta durante lo spettacolo di danza”, raccontano i due Patrick. L’intento di tutta questa operazione è mescolare il pubblico del balletto, dell’arte, della musica e le diverse generazioni, una pratica del resto iniziata già negli anni Quaranta dal leggendario coreografo fondatore del NYCB, l’esule russo George Balanchine e continuata con Peter Martins. In tutti questi anni, oltre a coinvolgere i maggiori coreografi e compositori, il NYCB ha lavorato anche assieme ad artisti come Isamu Noguchi, Julian Schnabel, Francesco Clemente, Helen Frankenthaler, Roy Lichtenstein, Keith Haring, Santiago Calatrava, Per Kirkeby. “L’incontro con Peter Martins è stata una delle parti più eccitanti di questo incarico”, concordano i due Patrick. “È un uomo incredibile. Interpreta così bene l’eredità della storia del NYCB che ha subito capito fino in fondo e condiviso il nostro progetto. Anche Martins sentiva l’importanza di connettersi con le generazioni più giovani. Ed è appunto quello che ha sempre caratterizzato la storia del NYCB nel volersi mantenere fresco e fonte di ispirazione. Beh, il nostro nome nella pagina dove compare anche quello di Peter Martins per noi è un posto fantastico dove stare!”. Alla torre è proprio affidato questo compito di comunicare energia, umorismo, vitalità. “È come una tappezzeria visiva, molto simile a un’esperienza di New York. Per esempio, fra le immagini c’è un polipo che esce da un tombino e afferra una ballerina che sembra lanciata in aria dal suo partner, oppure c’è una ragazza inginocchiata che abbraccia le gambe di una ballerina sulle punte come se pregasse il suo idolo rock”. C’è anche una danzatrice in tutù che mette al tappeto un lottatore di kickboxing; una in posa fra due poliziotti lupo; un’altra ancora avvolta dalle spire di un drago cinese. Insomma, se immaginate il balletto classico come qualcosa di ingessato in un passato ottocentesco, non avete ancora visto quello che succede a New York e al NYCB. Non sono luoghi per puristi. •

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TOKYO DETAILS DI TATIANA UZLOVA E IVAN BONTCHEV

ruco line: 300 euro

FLYING SHOES hogan: 265 euro

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nike: 100 euro

c’n’c: 240 euro

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PHOENIX FASHION

Giaccone, g-star raw Costume, moschino rosario e In tutto il servizio: r첫 orecchini in oro, me


AN OFFICER AND A GENTLEMAN FOTO DANIELE ROSSI STYLING DELFINA PINARDI

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Giacca, kenzo Maglia, golden lady Gonna, angelos frentzos Calzini, philippe matignon Scarpe, hogan rebel

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Maglia, closed Body, jo no fui Gonna, mcs Occhiali, maison martin margiela

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Maxi gilet, maison martin margiela Top, mango Short e cappello, denim & supply ralph lauren Anfibi, twin-set simona barbieri Zaino, jo no fui Calzini, philippe matignon

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Bomber e pantalone, n 21 Top, mango Cappello, denim & supply ralph lauren

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Bomber, msgm Maglia, zadig & voltaire Reggiseno, eres Costume, g-star raw Calzini, philippe matignon Scarpe, jerey campbell

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ultier Tuta, jean-paul ga reakfast Maglia, comeforb Body, jo no fui

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Maglietta, andrea incontri uomo Costume, agent provocateur Stola pelliccia e cintura, jo no fui Pantaloni pelle, augustin teboul Cappello, stylist’s own

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Camicia, jo no fui Canotta, mauro grifoni Cerchi in oro, osome

ADDRESS LIST Agent Provocateur, www.agentprovocateur.com. Andrea Incontri, www.andreaincontri.com. Angelos Frentzos, www.angelosfrentzos. eu. Augustin Teboul, www.augustin-teboul.com. Closed, www.closed. com. Comeforbreakfast, www.comeforbreakfast.it. Denim & Supply, www.denimandsupply.com. Eres, www.eresparis.com. G-Star Raw, www.g-star.com/it. Golden Lady, www.goldenlady.com. Hogan Rebel, www.hoganrebel.com. Intimissimi, www.intimissimi.com. JeanPaul Gaultier, www.jeanpaulgaultier.com. Jeffrey Campbell, www. jeffreycampbellshoes.com. Jo No Fui, www.jonofui.it. Kenzo, www. kenzo.com. Maison Martin Margiela, www.maisonmartinmargiela.com. Mango, www.mango.com. Mauro Grifoni, www.maurogrifoni.com.

MCS, www.mcsapparel.com. Merù, www.merugioielli.it. Moschino, www.moschinoboutique.com. MSGM, www.msgm.it. N 21, www. numeroventuno.com. Osome, www.osomejewels.com. Philippe Matignon, www.philippematignon.it. Stella McCartney, www. stellamccartney.com. Twin- set Simona Barbieri, www.twin-set.it. Versace, www.versace.com. Zadig & Voltaire, www.zadig-et-voltaire. com. Makeup: Sissy Belloglio @ Freelancer using Mac Cosmetics. Hair: Barbara Bertuzzi using Urban Tribe. Modella: Nevena @ Fashion. Assistente moda: Giulia Meterangelis

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FIRENZE & CO. NIGHTLIFE DI LORENZO TIEZZI

TORINO ROUGH Il sabato spesso c’è Chanson L’Egocentrique, il party perfetto per cantare in compagnia. Il venerdì invece va in scena Emporium Arts e ci si può far fotografare oppure ritrarre in forma di fumetto. Il lunedì ci si rilassa con qualche classico del cinema e un bel bicchiere di Barbera in mano. A sorpresa il locale propone anche mini concerti sperimentali. Riassumendo, Rough è tutto tranne che violento. È un bar pensato per chi vuol far tardi senza tornare a casa con le orecchie che fischiano. via Principe Tommaso, 3 www.facebook.com/rough.torino

MILANO BLOODY BEETROOTS L’italiano Sir Cornelius Rifo continua un’avventura elettronica iniziata nel 2006. Oggi si permette di giocare col pop e a tratti il suo nuovo singolo Chronicles of a fallen love sembra una canzone di Tiesto e/o David Guetta. Nel video si intravede addirittura Rifo al pianoforte, sempre con la sua bella maschera sul volto... Ma insieme alla malinconia d’un amore che finisce, l’energia dei suoi Bloody Beetroots si sente forte e chiara. Proprio come sul palco, dove l’impatto della band è devastante. 4 marzo Alcatraz 02-69016352

ROMA REBEL REBEL Da qualche tempo il party estivo più amato dai maniaci romani di elettronica spinta ha preso possesso d’un vecchio magazzino sulla Salaria. Un paio di venerdì al mese si balla forte in un universo parallelo, lontano dal solito clubbing. Più che inseguire i numeri si fa ricerca, non solo musicale. Il sito, per esempio, racconta le feste in stile sci-fi. I prezzi sono bassi (10 euro) e tutto comincia tardi, quando la città si spegne. L’8 marzo dal Berghain di Berlino arriva Scuba (che il 22/2 è a Firenze, al Tenax). Ogni notte suona Zero, uno che ama stare nell’ombra a mixare techno e dub. via Salaria, 1021 www.rebel-rebel.com

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LIFE IN TENAX FIRENZE TENAX VENEZIA FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA Che cos’è il clubbing? Per raccontarlo bisognerebbe partire dalla musica. Ma è un linguaggio che va poco d’accordo con le parole. L’elettronica, impura e ripetitiva, è il genere peggiore. Serve a qualcosa solo quando la balli e ti ci perdi. Se fermi la cassa, si perde tutto o quasi. Anche i colori, tra strobo e video, in discoteca sono troppi, si confondono. Ecco perché, forse, Riccardo Banfi per Life in Tenax ha scelto il bianco e nero. Il progetto multimediale dedicato alla mitica disco fiorentina va in scena fino al 22 marzo sulle pareti e sugli schermi della Fondazione Bevilacqua La Masa. In piazza San Marco a Venezia si fanno guardare tatuaggi, piercing, slip in bilico, boccacce, etc. L’arte, per fortuna, è sempre finzione e le foto di Banfi, invece di annoiare documentando quello che succede nei locali, vanno dritto all’essenziale. Dicono che almeno di notte puoi / devi fare la star. Con un po’ di pelle nuda e lo sguardo dritto, al sicuro sotto migliaia di watt, c’è chi balla come se non ci fosse domani. Non conta molto il nome del dj che è in console, al Tenax. Alex Neri e lo staff del club da anni non selezionano solo dj all’apice della carriera come la sofisticata Cassy Britton, che mixa qui il 16 febbraio oppure l’eclettico Scuba, che arriva il 23. Al Tenax hanno ancora voglia di perder tempo a cercare talenti. Alcuni hanno ormai spiccato il volo, come Luca Bacchetti e Federico Grazzini. Altri, come Philipp & Cole, lo stanno facendo proprio in questi mesi. Da ‘semplici’ resident che erano, porteranno in giro per il mondo un po’ del ritmo del locale. Oggi il club è una corazzata, anzi lo sembra soprattutto da fuori, a guardare i numeri del successo. In realtà, è in equilibrio precario dal 1981. L’underground è un mare pericoloso anche per chi sa navigare.

Tenax www.tenax.org Fondazione Bevilacqua La Masa www.bevilacqualamasa.it


BAR, RISTORANTI & CO.

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ROMA & CO. NIGHTLIFE

CIRCOLO CARACCIOLO

DI LAURA CONTRIBUTOR NAME DI RUGGIERI

via Francesco Caracciolo, 23a 06-39733293 chiuso domenica sera e lunedì Lo spazio di questo circolo Arci sui generis, senza un’insegna o una luce (tessera a 7 euro), è bello e soprattutto un po’ insolito per Roma. Qui si fabbricavano registratori a nastro, i Geloso, ora si fanno musica, teatro, letture di libri, poesie, e in contemporanea si organizzano aperitivi ogni giorno diversi e si cena (dalle 21 alle 23). Gli ambienti sono molto ampi, una buona parte occupati da un palco, e una parte da un lungo tavolo sociale di legno come il pavimento. Giganteggia anche il bel bancone bar che si riempie all’ora dell’aperitivo a 7 euro con assaggi vari. Ogni sera il menu cambia a seconda dell’estro ma soprattutto delle disponibilità dello storico mercato Trionfale dietro l’angolo. Chi vuole conoscerlo prima può telefonare e prenotare, così che Valeria Ghignone, la chef-attrice, proprio come a casa possa organizzare al meglio la cenetta che comunque prevede sempre una piccola scelta tra più di un antipasto, una zuppa, una vellutata, della pasta, un secondo e un contorno. La mano è leggera ed estrosa, la preferenza va a piatti di gusto più nordico, anche questo una bella novità per una città in cui la cacio e pepe e la carbonara sono onnipresenti. Si va dalla zuppa di legumi con crostini di cipolla caramellata all’origami di spezzatino di manzo ai pinoli e fichi con tempura di pere e zucchine. Per una cena completa con spettacolo si spendono sui 25 euro. Consigliato per il brunch della domenica a 18 euro con un buffet freddo e piatti caldi che arrivano espressi dalla cucina

NON SOLO POP CORN CINEMA CON CUCINA

CINEMA URBANA 47 via Urbana, 47A 06-47884006 il cinema è chiuso mercoledì e giovedì Fai il biglietto (8 euro) e ti consegnano anche un “cestino” con uno spuntino abbondante che varia ogni volta: pizza, arancini, supplì, crocchette, patate fritte... tutto preparato e cucinato da Urbana 47 proprio accanto, sempre “della famiglia” e peraltro con ottimi cuochi ai fornelli. Il food è solo bio e rigorosamente a km 0. In omaggio anche un bicchiere di vino. E si sta anche comodi: davanti alle poltrone tanto di tavolini d’appoggio per degustare, con altrettanta attenzione riservata alla pellicola. Il locale è molto carino e di gusto un po’ rétro. Qualche pezzo di design, tavoli e sedie Tolix di Pauchard anni ’50, lampade Jieldè di Jean-Louis Domecq. Il programma delle proiezioni si può consultare sul sito urbana47.it, mentre la sala nel weekend si trasforma in stage per musica live e incontri. Domenica mattina c'è il Sunday brunch con proiezioni di cartoon.

KINO via Perugia, 34 06-96525810 chiuso lunedì Dal più semplice tagliere con formaggi e salumi al riso croccante alla zucca, dal pollo fumé con zucchine alla passatina di fagioli con baccalà, lo chef Marco Tombolini al Kino, un punto fermo al Pigneto, non fa certo mancare le suggestioni gastronomiche. Può capitare che “in

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abbinamento” a un film opera prima, “Gli esordi”, con tanto di regista in sala che ricorda i suoi inizi e con il quale scambiare quattro chiacchiere, al bistrot troviate degli gnocchi con burro di malga e topinambur oppure dei tagliolini con ragù di fegatini. In ogni caso il bistrot è aperto anche a pranzo. La sala cinematografica, al piano inferiore, ha 36 posti; tra le rassegne stabili “The producers” con l’incontro con i produttori italiani indipendenti e “Carte blanche”, da anni appuntamento fisso nei cinema parigini: ogni mese per 3 giorni viene data carta bianca a un personaggio della cultura, del cinema, dello spettacolo, che decide la programmazione del Kino. www.ilkino.it

CAFFÈ LETTERARIO via Ostiense, 95 06-57302842 chiuso lunedì Le funzioni sono tante, grazie anche alle dimensioni dello spazio, un immenso loft ormai storico nel quartiere Ostiense. In calendario troviamo dai concerti ai dibattiti, dai reading alle mostre, però le proiezioni di film, i corti, i video di filmaker esordienti sono tra gli appuntamenti più seguiti. Molto tecnologica la sala video con 60 posti su belle sedie di plexiglass. C’è tanto cinema anche nella biblioteca con più di 6500 documenti tra libri, periodici e audiovisivi con oltre 3mila titoli di cinema d’autore. Anche per quanto riguarda la proposta food l’articolato open space appena sotto il livello strada offre una scelta molto ampia: dai tè del pomeriggio agli aperitivi, dalla cena al dopocena a serate a tema con degustazioni di vini. Prezzi abbordabilissimi intorno ai 20 euro al massimo. www.caffeletterarioroma.it


ROMA & CO. NIGHTLIFE DI CONTRIBUTOR NAME

NEW YORK DI MIRTA OREGNA

PORTO FLUVIALE via del Porto Fluviale, 22 06-5743199 sempre aperto Ricordate la sala da pranzo della nonna? Quella dei pranzi della domenica... (a proposito, qui si fa con 25 euro). Eccola in versione contemporanea a uso e consumo di chi vuole affittarla anche solo per una sera all’interno di Porto Fluviale, un ex capannone industriale di 1000 metri quadri a Ostiense all’insegna di design, una cucina buona e piena di idee, come rivela un menu mirabolante. Nuovo indirizzo hip della capitale. Una sorta di food suite di 30 metri quadri racchiusa da vetrate, un tavolone al centro e tutt’intorno un banco cucina Kitchen Aid perché qui la cucina è “fai da te”. Inviti gli amici, fai la spesa e cucini tutt’insieme, oppure chiedi aiuto al cuoco resident e lo prenoti in esclusiva per la tua cena su misura, riservata e social al tempo stesso. Tutt’intorno gira uno spazio in continua attività dalle undici del mattino a notte fonda: 970 metri quadri di trattoria, pizzeria, bancone bar, progettati da Roberto Liorni e supervisionati da Dario Laurenzi. L’idea è quella di mangiare bene, con prodotti freschissimi, a filiera corta e nessuna supponenza: prezzi politici, atmosfera leggera e un po’ divertita. Due forni più una griglia a legna, un bancone gastronomia e una vetrina per i dolci compongono insieme a divani, panche e poltrone sparse in giro questo gigantesco salotto del gusto dove sprofondare per un ottimo aperitivo o una cena rilassata fino a dopo mezzanotte. Consigliato per

il “comfort food” in menu, per coccolarsi fino in fondo

BOULTON & WATT 5 Avenue A www.boultonandwattnyc.com Back to the industrial revolution: non è il titolo di un film ma il claim perfetto del nuovo locale newyorchese nato ad Alphabet City, nell’East Manhattan, e intitolato ai soci inventori della prima fabbrica di macchine a vapore, Matthew Boulton e James Watt per l’appunto, alla fine del Settecento. Per l’interior design post-industriale Robert Stansell e Tim Welsh di Emporium Design (che molti nella grande mela già conoscono per location super come Ella, Basik e Blind Barber) hanno scelto un’immagine pre-indutriale, ricreando gli affascinanti ambienti della storica fonderia di Soho. A dargli lo sprint finale lo chef Dave Rotter che qui rivisita un “comfort and rustic american food”, ovvero le scotch egg impanate e il classicissimo mac n’cheese, accompagnate da un’ampia selezione di pickle di verdura e frutta, uniti ad altre leccornie da gastro-pub contemporaneo come fish & chip, brick chicken (polletto croccante alla piastra), carbonara d’anatra e crocchette di funghi. Per bere: una selezione di vini e tanti cocktail. Consigliato per

farsi scattare qualche fotografia fuori e dentro il locale per poi pubblicarla in versione rigorosamente seppiata

SPLENDOR PARTHENOPES

RAZMATAZ

via Vittoria Colonna, 32/c 06-6833710 sempre aperto / no wi-fi

via Macerata, 58a 06-99925688 sempre aperto / wi-fi

È bello il nuovo, amplissimo (800 mq su tre piani) locale sorto al posto dello storico I Professionisti a due passi dalla riconquistata piazza Cavour. Ora si parla napoletano a 360°, ma si respira un’aria decisamente cosmopolita e contemporanea, dal progetto architettonico ai drink. E se a tavola gli accenti sono vernacolari, al bar lo stile si fa eclettico, internazionale, da caffè parigino o da antico club anglosassone.

Per l’aperitivo tutti o quasi si concentrano nel primo ambiente con il bel bancone in legno e le tante bottiglie a parete. Per il “dopo”, ci si allarga nello spazio salotto tra divanetti di velluto rosso anni ’50, tavoli bassi, poltrone. Per il “prima” non si spendono più di 5 euro tra un bicchiere di vino o uno spritz e un piatto mix di sfizi salati servito al tavolo o un tagliere di salumi e formaggi. Tanti i cocktail del dopo cena fino alle due di notte da accompagnare a una crêpe o una fetta di torta.

Da non perdere i “signature” drink, sette creazioni speciali firmate da Domenico Maura (8,50 euro), tra cui il Cosmoncello: quando il limoncello sposa il cocktail preferito da Madonna

Da non perdere le serate del noir club, spesso il lunedì, ma non sempre

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MILANO ULTIMA FERMATA DI FRANCO BOLELLI

30 & IMPREVEDIBILI Sono giusto 30 anni, da quando a quella cosa che ha cambiato per sempre la nostra esistenza venne dato il nome di battesimo di Internet. Trent’anni di evoluzioni e mutamenti senza precedenti, 30 anni di previsioni così campate per aria che è difficile resistere alla tentazione di andarsele a rivedere. Era più o meno il 1990, e sembrava che il futuro avrebbe preso la forma della realtà virtuale: caschi in testa e addosso cavi collegati al computer, ci saremmo tuffati in fantastici mondi paralleli psyco-cyber. Una manciata di stagioni dopo, non ne avremmo più sentito parlare (per fortuna). Nello stesso periodo, gran parte degli intellettuali tricolori preconizzavano l’estinzione del corpo davanti all’avanzata delle tecnologie immateriali. Se ci guardiamo intorno (e addosso), vediamo che il corpo non è mai stato tanto protagonista come in questi vent’anni. Quegli intellettuali, li trovate ancora lì a sparare svergognatamente previsioni (quasi sempre lamentose, immancabilmente scentrate). Il web cambierà i governi, promuovendo la partecipazione dal basso alla politica. Lo dicevano (1995-2000) gli stessi che ora mettono il broncio al web per non aver realizzato il loro ideologico wishful

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thinking. Senza accorgersi che il web ha cambiato molto più che non soltanto la politica, trasformandoci in autori delle nostre bio personali e spazzando via l’idea Fateci caso: quanto più una città è stessa di rappresentanza. evoluta, quanto più è espressione del E la sparizione della carta stampata? Sì, mondo globale, tanto più ogni volta che chiaro che per libri e giornali le cose ci andate non potete non accorgervi che cambiano e sarebbe sciocco attestarsi su un aumenta il numero di bambini che non si confine ormai cancellato, ma non sparisce riesce a definire in base ad alcuna identità proprio niente, potete scommetterci. etnica e razziale. È così a New York, Il nuovo luogo comune (2010) è quello a Los Angeles, e poi a Londra, e giù a che ci vede tutti chiusi in casa davanti scendere. Le grandi metropoli sono sempre a Facebook, disinteressati al contatto più popolate da spettacolari frullati fisico con gli altri. Ecco, ne conoscete genetici, seconda o terza generazione di uno che faccia così? Uno in più di quelli combinazioni dove le origini scivolano che anche prima che Zuckerberg nascesse si sempre più sullo sfondo e nuove misteriose barricavano nella loro stanza ascoltando sfumature conquistano la scena. Ok, non rock satanista o consumandosi con il tutte riusciranno come Jessica Alba o come porno? In compenso, nessuno immaginò che a – permettetemelo – la spettacolare bambina regnare su internet sarebbero stati presto californiana di mio figlio (babbo milanese e i social network, e tantomeno che in sette madre di San Francisco ma taiwanese): però anni Facebook — il più grande esperimento questa condizione indefinibile e plurale sta antropologico di ogni epoca — sarebbe diventando non dico trendy ma in qualche passata dal nulla a un miliardo e passa di modo familiare. D’altra parte qualunque umani che posta e scrive e condivide. evoluzione in qualunque campo è sempre Chiaro che a questo punto non mi sogno nata da connessioni al di là dei confini, neanche di azzardare previsioni sul futuro e viceversa le culture più arretrate sono del web. Soltanto di una cosa possiamo star quelle difensivamente arroccate su se certi: quello che perderemo potrà essere stesse. Per esempio le città di frontiera doloroso, ma sarà sempre molto meno di hanno sempre avuto una loro particolare quello che andremo a conquistare.

DON’T FORGET




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