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MARZO 2013 NUMERO 112
SOMMARIO 7 | EDITORIALE
50 | DAYDREAMING
61 | FUORI
9 | ICON
foto Luca Campri styling Ivan Bontchev
66 | ULTIMA FERMATA
11 | INTERURBANA
60 | NIGHTLIFE
al telefono con Marina Avanzi
di Lorenzo Tiezzi
di Franco Bolelli
13 | PORTFOLIO Pericolosa, sporca e creativa a cura di Floriana Cavallo
19 | CULT di Michele Milton
20 | SOSTIENE DEVENDRA di Paolo Madeddu foto Mattia Zoppellaro / Contrasto
28 | MUSICA di Paolo Madeddu
30 | LA CITTÀ INFORMALE di Susanna Legrenzi
34 | PSYCHIC ILLS
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di Ciro Cacciola foto Samantha Casolari
38 | MIDDLE EAST NOW di Francesca Bonazzoli
42 | DANIEL ANDRESEN di Federico Poletti foto Tatiana Uzlova
P. 38
P. 13
44 | IL RITO DELLO SPRING BREAK di Roberto Croci
49 - 58 | DETAILS di Ivan Bontchev e Tatiana Uzlova
Cover: Devendra Banhart foto Mattia Zoppellaro / Contrasto
MENSILE, ANNO XIII, NUMERO 112 www.urbanmagazine.it redazione.urban@rcs.it
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DIRETTORE RESPONSABILE Alberto Coretti alberto.coretti@rcs.it
CAPOSERVIZIO Floriana Cavallo floriana.cavallo@rcs.it
FASHION a cura di Ivan Bontchev fashion.urban@rcs.it
PROGETTO GRAFICO Topos Graphics
SEGRETERIA DI REDAZIONE Rosy Settanni rosy.settanni@rcs.it
DIRETTORE MARKETING Giancarlo Piana
ART DIRECTION Sergio Juan
Michela DiBenedetto michela.dibenedetto@rcs.it
URBAN
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EDITORIALE
NON POSSIAMO NON DIRCI HIPPIE Centralità delle esperienze individuali. Visione personale della realtà. Ricerca dell’armonia tra il sé e l’altro da sé. Non penso che la paternità di questi tre formidabili concetti possa essere riconosciuta al movimento hippie nato negli anni ’60 in California. Tracce di questi pensieri si possono ritrovare a più riprese nella storia della filosofia occidentale come nelle religioni orientali. Ma l’importanza di quel movimento è stata di metabolizzare questi concetti in uno stile di vita che, da allora fino a oggi, ha contaminato profondamente la nostra contemporaneità. Poi l’hippie è diventato uno stato d’animo individuale di cui tutti noi, più o meno consapevolmente, esprimiamo le inclinazioni. Su questo numero, in particolare, con la musica degli Psychic Ills, con lo spontaneismo urbanistico di Emma Emerson e con la copertina dedicata all’“hippie dentro” Devendra Banhart, abbiamo voluto una volta tanto far affiorare un torrente di idee che solitamente ita ta amen m te e sco scorre orre re e im i impetuoso mpet tu uo o e sotterraneo.
HANNO HA ANN NNOO CO COLLABORATO OLL LLABBORRATTO CON NOI CCO ON NNO OI Franco Bolelli Francesca Bonazzoli Bruno Boveri Ciro Cacciola Luca Campri Samantha Casolari
Roberto Croci Daniela Faggion Susanna Legrenzi Paolo Madeddu Michele Milton Mirta Oregna
Federico Poletti Olivia Porta Sara Rambaldi Leo Rieser Laura Ruggieri Lorenzo Tiezzi
Marta Topis Tatiana Uzlova Mattia Zoppellaro
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LOS ANGELES ICON
L’OGGETTO DEL MESE
BATTY SCELTO DA JENNIFER LAWRENCE “Si chiama Batty, come vampiro ma anche come Batman, uno dei miei film preferiti, e mi riferisco a quelli pre-Nolan, divertenti, da fumetto, caricature esagerate. Che cos’è? È il mio portafortuna, regalatomi da Blaine e Ben, i miei fratelli, sapendo che sono superstiziosa. Che cosa porta sfortuna? Il gatto nero che attraversa la strada, venerdì 13, l’ombrello aperto, il classico cappello sul letto e non andare da McDonald’s dopo aver vinto un Award, visto che ho cominciato con i Golden Globe (vinti), proseguito con gli Indie Spirit Awards (vinti) e anche l’altra sera per gli Oscar (vinti come miglior attrice protagonista per il film Il lato positivo, n.d.r.). Ma soprattutto: never leave home without Batty!”. • URBAN | 9
STONE TOWN INTERURBANA DI DANIELA FAGGION
AL TELEFONO CON
MARINA AVANZI SE CERCHI “STONE TOWN, ZANZIBAR” SU GOOGLE SCOPRI SUBITO CHE CI È NATO FREDDIE MERCURY… Se non fossero arrivati i turisti occidentali a chiedere dove fosse la casa di Freddie Mercury, gli zanzibarini non avrebbero nemmeno saputo chi fosse. Così, si sono inventati due o tre posti da indicare, anche se pare che l’abitazione che tutti cercano fosse dentro un portone in Shangani Street.
SINGOLARE CONSEGUENZA DEL TURISMO. Lo stile dei Queen non era propriamente musulmano come è invece il 95% della popolazione locale.
E SENZA ESSERE UNA ROCKSTAR GAY, CHE ACCOGLIENZA RICEVE UN OCCIDENTALE CHE ARRIVA DA QUELLE PARTI? Magari i più integralisti si tengono lontani dai “mzungu”, ma dagli anni Ottanta i turisti sono un’abitudine tollerata, perché portano soldi. Per chi si trasferisce è fondamentale imparare qualche parola di swahili e qualche modo di fare arabo per far capire che sei qualcuno da rispettare e non da fregare.
A PROPOSITO, “MZUNGU” ESATTAMENTE CHE COSA VUOL DIRE? È la parola per indicare i bianchi. La radice è la stessa del mal di testa per la confusione che ti viene quando hai troppi pensieri, perché tipicamente i bianchi arrivano, danno ordini, fanno programmi, danno spiegazioni... e non capiscono che qui la mentalità viaggia su un’altra frequenza. GEOGRAFICAMENTE STONE TOWN GUARDA VERSO L’AFRICA E ZANZIBAR FA PARTE DELLA TANZANIA, MA LE SUE ISOLE SEMBRANO PROIETTATE ALTROVE. Qui non amano molto il continente. Zanzibar guarda oltre l’Oceano, verso l’Arabia, l’India e la Cina, e da questi paesi c’è stata una forte immigrazione. Oltre a bianchi occidentali e neri swahili, ci sono
molti arabi benestanti, indiani laboriosi e cinesi impegnati nelle infrastrutture. Le comunità non si mescolano, adesso comincia a esserci qualche matrimonio misto, ma il fatto che siano per lo più musulmani li tiene tranquilli. La distinzione è fra il ricco e il povero.
E I QUARTIERI RICALCANO QUESTA DIFFERENZA? Soprattutto all’esterno delle mura di Stone Town, dove comincia Zanzibar Town. Qui si può andare dal casino delle case popolari di Swahilini alle villone dei bianchi a Mbweni, con la scuola internazionale, le ambasciate, i ministeri, il Presidente. Lì vanno a vivere indiani e arabi che vogliono affermare il loro status.
COME SI MANGIA? Benissimo, con uno squisito mix di piatti indiani speziati su cui si innesta l’influenza africana del cocco. Poi banane acerbe, manioca, frutta e verdura a volontà e pesce.
SE DOVESSI ANDARE A CENA IN UN POSTO FIGO? 236 Hurumzi o Serena Inn Hotel. SE FOSSI IN REGIME DI SPENDING REVIEW? Passing Show, nella zona del porto. Qui cucinano di tutto per tutti. CHE MUSICA SI ASCOLTA? C’è una profonda influenza araba, soprattutto nella taarab per le donne. Poi la jazz music africana, con trombe, chitarre e percussioni, e la bongo flava, una sorta di hip hop in swahili. Fanno anche i video sulla spiaggia, con i macchinoni e le ragazze carine... ma sullo sfondo si vedono ancora le capanne di fango e la gente in canotta.
FASCINO MZUNGU? Più che altro delle abitudini status symbol, come il vino. Molti africani hanno cominciato a berlo... poi magari chiedi loro “bianco o rosso?” e non sanno nemmeno che differenza ci sia.
MARINA AVANZI, milanese, nel 2006 si fidanza con uno zanzibarino, lascia il suo lavoro in un’azienda di carte di credito in Italia e si trasferisce a pochi chilometri da Stone Town, dove il compagno progetta di aprire un piccolo resort nel suo villaggio di origine. Oggi il lodge è avviato e Marina esercita con gli ospiti la sua esperienza di manager. Aggiustando l’imprinting milanese con il locale hakuna matata URBAN | 11
NEW YORK PORTFOLIO A CURA DI FLORIANA CAVALLO
PERICOLOSA, SPORCA E CREATIVA
Era la New York anni ’80. Quella di Basquiat, Keith Haring e Cindy Sherman. Jeannette Montgomery Barron la racconta in un libro attraverso i suoi ritratti
FOTO JEANNETTE MONTGOMERY BARRON TESTO ROBERTO CROCI
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Creativa, sporca, pericolosa, libera, disagiata, caotica, tesa, densa, intensa: questa la New York degli anni ’80, vera e propria ‘collezione’ di decine e decine di neighborhood, ognuno con il proprio distinto tessuto sociale e culturale. Prima del boom economico degli anni ’90, la città si nutriva di una prosperità creativa senza precedenti – arte, musica, danza, teatro e cinema underground – vissuta per le strade di downtown Manhattan, Meatpacking District, tra i loft abbandonati di TriBeCa, gli artisti di SoHo, definita la New Bohemia, i beatniks del Greenwich Village, gli hippie dell’East Village. In quegli anni, per farsi conoscere, bastava avere qualcosa da dire, erano gli anni dei graffiti di Keith Haring – il primo a unire magicamente arte e hip-hop – Basquiat, Tom Waits, Jim Jarmusch e le collaborazioni di Andy Warhol nella Factory. Nelle immagini della fotografa Jeannette Montgomery Barron, raccolte in Scene (Powerhouse Books, 136 pp., 40 dollari, in uscita in aprile), si ritrova lo spirito di un’era memorabile, un momento eccitante di storia, fervente e innovativo, le notti insonni dei club leggendari come Area, Palladium, Mudd Club e le cene a base di vodka & cigarette dell’Odeon. Il primo ritratto di Jeannette fu di Francesco Clemente, e poi Warhol, Jean-Michel Basquiat, Keith Haring e altre icone pop tra cui Willem Dafoe, Julian Schnabel, Robert Mapplethorpe, Cindy Sherman, Kathryn Bigelow, William Burroughs e moltissimi altri, testimoni di un periodo e una città decisamente scomparsi. •
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Photo collage of manipulated film stills from The man who fell to earth. Courtesy of The David Bowie Archive 2012. Film stills © STUDIOCANAL Films
LONDON & CO. CULT D. Bowie e W. Burroughs. Photo by Terry O’Neill. Hand colouring by D. Bowie. Courtesy of The David Bowie Archive 2012. Image © V&A Images
DI MICHELE MILTON
IN ARTE DAVID BOWIE Ch-ch-ch-changes. Trasformismo è bello, se non si tratta di politica, ma di David Bowie. Trasformismo è arte, se Ziggy Stardust, Aladdin Sane, il Thin White Duke e le sue mille altre incarnazioni sono in mostra al prestigioso Victoria & Albert Museum di Londra (dal 23 marzo al 28 luglio). David Bowie is è il titolo della prima retrospettiva internazionale dedicata all’artista nato David Jones. Un’esposizione realizzata in partnership con Gucci, che raccoglie un’infinità di materiale inedito. Dai costumi di Kansai Yamamoto agli abiti di Alexander McQueen, dai testi scritti a mano con la tecnica del “cut-up”, agli storyboard dei video realizzati e non. Dall’artwork delle copertine dei dischi, ai film, ai quadri, ai ritratti di Helmut Newton, Herb Ritts e John Rowlands. www.vam.ac.uk
MARATONA DREAMING Un unico filo che disegna e costruisce la scarpa intorno al piede di chi corre. È Flyknit la nuova runner messa a punto da Nike per gli “dei” delle Olimpiadi di Londra e ora disponibile anche per i “comuni mortali”. Il comfort della calzata, la leggerezza e la sensazione di estrema sicurezza in tutte le fasi della corsa regalano a neofiti e atleti la chance di sognare in grande. www.nike.com
PELLE, POLVERE E LIBERTÀ Nato per essere wild, come il chopper di Peter Fonda, il Capitan America di Easy Rider, che come su una highway spazio-temporale dal 1969 arriva dritto fino a noi. È il giubbotto in pelle bicolore targato Blauer, con stelle e strisce sulla schiena, vero e proprio capo stracult che più icona non si può. Novecentotrentasei euro, che sembrano tanti, ma sono pochi, per vestire il mito anni ’70 di sentirsi liberi on the road. Essere fisicati aiuta a indossarlo, soprattutto per evitare l’effetto “gallo cedrone” di Verdonesca memoria. www.blauer.it
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MILANO MUSICA
SOSTIENE DEVENDRA TESTO PAOLO MADEDDU FOTO MATTIA ZOPPELLARO / CONTRASTO
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Non sembra felice di essere intervistato. Pare inquieto e sulla difensiva, pronto a confutare tutto quanto si è detto e scritto di lui in questi dodici anni di musica e – è il caso di dirlo – arte varia. D’altronde, solo a guardarlo, evoca una serie di flash di una vita peculiare. “Barba” “Venezuela” “video allucinanti” “Natalie Portman” “gay?” “Obi Wan Kenobi come secondo nome” “genitori fricchettoni” “Antony & the Johnsons” “vestiti tremendi!” “Megapuss” “skateboard” “gallerie d’arte” “barba (di nuovo)”. Dove cominciare? Non ci crederete. Dal suo nuovo album, Mala.
SONO COLPITO DALLA DIFFERENZA TRA IL TUO MODO DI CANTARE E I TESTI DEL NUOVO ALBUM, CHE SONO MOLTO INQUIETANTI, OSCURI. C’è sempre stato un elemento di pessimismo anche nelle mie canzoni più felici. So che potrei risolvere tutto col cliché “Ora sono più adulto e più cinico”, ma penso di non aver mai fatto una canzone genuinamente ottimista.
PERÒ SEI VISTO COME SERENO, ZEN, FOLK, HIPPIE MODERNO... Omosessuale.
di sviluppi incredibili. Però i social media non sono il mondo “qui e ora”, sono il “non precisamente qui” e il “non precisamente ora”. Gli somigliano, ma non sono la stessa cosa. E suscitano tentazioni fortissime, sono come desideri quasi esauditi. In passato mi capitava di chiedermi: “Chissà cosa sta facendo John Waters ora”. Oppure “Chissà dov’è e che sta facendo Grace Jones”. E ora forse potrei venirlo a sapere tramite internet e una delle sue manifestazioni. Per ora resto un passo indietro, e continuo a chiedermelo. Mi piace lo sfasamento. E mi colpisce molto l’idea di una contemporaneità solo apparente. Ho letto i diari di Morton Feldman, descriveva una musica senza attacco, che fa solo una cosa: va sfumando. Nel momento stesso in cui ti metti ad ascoltarla lei si sta allontanando da te. Pensa a una musica che va via come il tempo, come la vita, i ricordi... (gli occhi si fanno lucidi, n.d.r.). Scusa, mi emoziono se ci penso intensamente. Ma è il mio obiettivo.
OGGI SEI A MILANO, QUI CI SONO MOLTI QUADRI FAMOSI, DI EPOCHE DIVERSE. SEI RIUSCITO A VEDERNE QUALCUNO? TUTTI VOGLIONO VEDERE “L’ULTIMA CENA”, MA PENSO CHE A TE POSSA INTERESSARE DI PIÙ IL NOVECENTO... Mi interessano i futuristi e poi so che qui ci sono dei De Chirico.
PER QUALCUNO SÌ. IO SAPEVO DI CERTE TUE FIDANZATE INVIDIABILI. TI DIRÒ, NON MI INTERESSA MOLTO. NON SO, PER TE È UN PROBLEMA? Molti me lo chiedono, vogliono che faccia coming out.
SÌ, NON QUELLI VERAMENTE FAMOSI, SONO SPARSI IN TUTTO IL MONDO - MA C’È UNA DELLE SUE ULTIME COSE IMPORTANTI, “I BAGNI MISTERIOSI”. UNA PISCINA METAFISICA.
LO VUOI FARE?
Wo... (sopraffatto dall’idea di “piscina metafisica”, non riesce a completare il “Wow”, n.d.r.).
Una volta un giornalista cercò di far dire in tv a Tennessee Williams che era gay. Lui disse: “Ho perlustrato tutto il fronte”... Tornando a noi, qualunque cosa abbia fatto per suggerire di essere cool e sereno... la realtà è diversissima. Sono uncool e uno sfascio emotivo.
CASPITA. PERCHÉ, CHE SUCCEDE? No, guarda che ci sto bene, è una condizione con cui convivo. Sono sempre esposto a ondate di paura, desiderio di ritrarsi. Accetto uno stato di perpetua melanconia. Quindi forse sì, in un certo senso sono sereno, l’accettazione è un elemento di serenità. Cool, lo decidete voi. Io ho contribuito a questa caricatura dell’hippie, fottendomene di quanto scrivevano di me, della barba e i vestiti. Sono troppo pulitino per essere un hippie, penso. Ma non mi sono messo a gridare “Ehi! Non sono hippie, maledizione!”. Lo trovavo ridicolo. Il mio look da lesbica di montagna, o bibliotecaria lesbica contribuisce. In ogni caso quasi nessuna delle mie canzoni è autobiografica, non è una cosa in cui credo, non è positiva per la catarsi artistica.
QUAL È IL CREDO ARTISTICO DI QUESTO DISCO? Diciamo che prima cercavo di descrivere ciò che NON c’è... ciò che SEMBRA altre cose... qualcosa che SOMIGLIA a qualcos’altro... ciò che dà sensazioni SIMILI a come mi sento... Ora vorrei solo concentrarmi sulla realtà, su ciò che C’È - non per come appare ma per quello che È. Questo disco liricamente è l’inizio di me che mi avvicino a ciò che è, invece che a come sembra. Mmh... Spero che abbia senso.
NON È SEMPLICISSIMO. MA QUESTO APPROCCIO È UNA REAZIONE A QUALCOSA CHE È SUCCESSO, SI È EVOLUTO DENTRO DI TE O DERIVA DA UNA TUA RISPOSTA, CHE SO, A COSA STA SUCCEDENDO NEL MONDO? Non sono così attento a quanto succede nel mondo, e ai cambiamenti. Per natura sono uno quieto, che si ritira in se stesso. Non sono una persona gregaria. Il mio sogno è essere in qualche posto con tutti i miei amici e ognuno fa una cosa diversa per i cavoli suoi.
ANCHE SE FOSSERO TUTTI AGGRAPPATI A UN IPHONE, UN IPAD, SU FACEBOOK O TWITTER? A ME È CAPITATO. NON ERA BELLO.
FORSE BOCCIONI AVREBBE POTUTO DIPINGERE UN QUADRO COME LA MUSICA CHE DESCRIVEVI. QUALCOSA O QUALCUNO CHE SI ALLONTANA DA CHI LO STA GUARDANDO. C’È UN SUO FAMOSO TRITTICO, GLI “STATI D’ANIMO”, CHE È TUTTO SULL’IDEA DELL’ALLONTANAMENTO, INTANTO CHE SI VERIFICA. Cavolo! Devo vederlo. È qui a Milano?
SE RICORDO BENE CE N’È UNA VERSIONE ANCHE A NEW YORK, AL MOMA, MAGARI È PIÙ COMODO PER TE. Ah, certo, ho casa a New York.
MI PARLI DEI DISEGNI CHE HAI FATTO PER NOI? TU che cosa ne pensi?
LA PRIMA COSA CHE MI VIENE IN MENTE È CHE SONO OGGETTI PRE-TECNOLOGICI. Beh, no, sono tecnologia arcaica. E sono oggetti che stanno in equilibrio in un modo che sembra sfidare la fisica. Ecco, rispetto alla tecnologia invisibile dei file, questa è tecnologia con una forma. Però è old school technology. Quella dei quadri di Morandi, che è una grande ispirazione per me.
USI OGGETTI CHE AVREBBE POTUTO USARE ANCHE LUI. SOLO CHE LUI NON NE CONOSCEVA DI PIÙ MODERNI. Il trascorrere del tempo, il cambiamento negli uomini hanno tolto a questi oggetti una qualità: quella di essere usati. Ma hanno mantenuto la loro forma e il loro senso – l’alambicco è ancor oggi utilizzabile proprio come 400 anni fa.
TU HAI ESPOSTO IN GALLERIE IMPORTANTI. POSSO CITARE WIKIPEDIA? ART BASEL, CONTEMPORARY ART FAIR IN MIAMI, SAN FRANCISCO MUSEUM OF MODERN ART, PALAIS DES BEAUX-ARTS IN BRUSSELS, LOS ANGELES MUSEUM OF CONTEMPORARY ART. Cos’altro dice?
CHE HAI CURATO L’ARTWORK DELLA MAGGIOR PARTE DEI TUOI DISCHI E CHE PER IL PACKAGING DI UNO DI LORO HAI AVUTO LA NOMINATION PER UN GRAMMY AWARD. E CHE LA TUA COMPAGNA, ANA KRAS, SI STA FACENDO UN NOME NEL CAMPO DEL DESIGN. Del design ho una conoscenza del tutto superficiale. Guardo gli oggetti e
A te è capitata la versione infernale. Io immagino qualcuno che lavora, qualcuno che legge, o cucina, o dipinge o guarda un film. I social media stanno caratterizzando questi ultimi anni. Ma io sono sempre in ritardo su tutto, immagino ci arriverò tra due anni. Non sono luddista, sono “lentamente tecnologico”. Ho letto che il progresso scientifico va verso l’integrazione di file nel nostro corpo, forse persino nel dna. Diventeremo dei supercomputer, integreremo la nostra memoria con milioni di megabyte, sapremo di default tutto Shakespeare e milioni di canzoni, emetteremo chissà quali suoni, ci trasformeremo in uominicomputer che sapranno tutto. Saliremo tutti di livello.
O FORSE SOLO CHI POTRÀ PERMETTERSELO. Ma forse sarà gratis, ci sarà la pirateria. Sarà una botta di creatività pazzesca. Forse metteremo un vestito mutevole il cui colore e la cui forma e temperatura imposteremo con un programma. Il nuovo mondo è pieno
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dico “mi piace” o “non mi piace” in modo istintivo. Tutti questi oggetti sono progettati e realizzati con un procedimento lunghissimo, e arrivano a noi che li scegliamo in un secondo, con una specie di empatia innata. Ana ha fatto dei lavori anche in Italia, è stata a Milano, e nel suo percorso ci sono tutti gli studi possibili in materia. Quando parliamo di design, le mie opzioni per spiegare perché qualcosa mi piace o no scendono a zero. Posso farlo per un quadro, per una canzone, un film o un cibo. L’oggetto di design ti piace o dispiace in un aattimo. Ogni volta che cerco di farci due ragionamenti, lei mi guarda con molta ttenerezza e mi fa pat-pat sulla testa.
E SE TU LE PARLI DI MUSICA? A lei piace la musica per come la fa sentire, e penso che la musica dovrebbe funzionare proprio così. Parole e suoni si combinano nella nostra testa in modo unico, soggettivo. Poi, non è detto che una canzone cambi la vita di una persona più di una sedia. Una sedia può avere un enorme impatto sulla vita di una persona. Scriverò una canzone su una sedia! Forse le canzoni dovrebbero essere gratis, andrebbe pagata la confezione. Dovremmo mettere le canzoni in ess qualcosa di bello e unico, coerente col soggetto del brano. Questo farebbe la qua differenza, non avresti più un milione di file indistinguibili, cui risulta inevitabile dare un prezzo uguale, 0,99 centesimi. Bisognerebbe pensare a canzoni-cuscino dar canzoni-teiera. Io faccio l’album-art ed è parte dell’opera, non è un semplice o ca contenitore. Il file non ti dà l’esperienza completa.
IN EFFETTI SARÀ ANCHE COLPA DEL DOWNLOADING ILLEGALE, MA DA QUANDO LA MUSICA È STATA SOTTRATTA ALL’OGGETTO-DISCO CHE L’ACCOMPAGNAVA, VENDE MENO. Quanti dischi compravamo perché ci piaceva la copertina? È una porta che ti invita a entrare in un mondo. Questo l’ho trovato in un negozio (googla sullo smartphone, poi mi mostra un disco del 1978: Fickle heart, degli Sniff ‘n’ The Tears). Che copertina fantastica. Viene da chiedersi: che cavolo è successo? Un cadavere, una donna con una pistola che minaccia un gatto. L’assassino è la donna o il gatto? E guarda la tensione nei muscoli di lei. Un altro mio acquisto in base alla copertina è una compilation di post-punk irlandese, intitolata Strange passion.
LA TUA COPERTINA PREFERITA DI SEMPRE? Quah! di Jorma Kaukonen, il chitarrista dei Jefferson Airplane. Un disegno che si intona perfettamente con il disco, tu puoi immaginare che disegni sulle corde della chitarra, che dalle corde esca la forma che vedi in copertina.
HO VISTO CHE HAI DEDICATO UNA CANZONE AL TAURABOLIUM. È UNA COSA DA GRUPPO HEAVY METAL. Haha, solo che come strumenti abbiamo usato una frusta, vetri rotti, catene e lo scatto di un coltello a serramanico. Il Taurabolium era un rito diffuso nell’antica Roma ma anche in altre religioni, c’era questa stanza in cui il toro veniva ucciso e il suo sangue tramite una specie di diffusore veniva spruzzato su chi stava sotto.
DELIZIOSO. OLTRE AI SOGGETTI DEI BRANI, ANCHE IL TUO NAMEDROPPING È MOLTO INUSUALE. C’È UN PEZZO INTITOLATO A HILDEGARD VON BINGEN. CHI È? Una mistica, santa, compositrice, filosofa, poetessa, naturalista, politica vissuta 900 anni fa. Ebbe un rapporto conflittuale con Federico Barbarossa. Ha scritto musica bellissima, l’ho sentita, mi sono informato su di lei e ho scoperto una vita incredibile. Mi sono detto: “Devo scrivere qualcosa su questa femminista medievale”. Ma non è una biografia. È una fantasia. Penso che se vivesse oggi farebbe la deejay.
ALTRO NOME CHE IGNORO: CRISTOBAL RISQUEZ. È mio cugino! Gli avevo già intitolato un pezzo, se ho bisogno di un nome lo butto dentro! Il pezzo non è su di lui.
NELLO STESSO BRANO CITI UN TALE LINCOLN ZAPATONE. È sempre mio cugino, è un soprannome che gli ho dato.
MI PRENDI IN GIRO. È un bel nome per un personaggio. Dovrei scrivere una biografia di Lincoln Zapatone, raccontarne la vera storia. Vediamo... Combatté a Berna durante la Guerra dei Trent’Anni, ma fu imprigionato per eresie chirurgiche, avendo messo arachidi nella carne di mucche vive per migliorarne il sapore. In prigione inventò l’algoritmo usato da google.
NEL PEZZO CANTI: “WE GET THE NEWS BIT BY BIT, BUT NOT THE WHOLE OF IT”. È COSÌ CHE VEDI IL MONDO? Grazie mille (in italiano). Sono contento che tu l’abbia notata. È un regalo per chi si prende la briga di ascoltare bene il disco, l’ho nascosto in quel pezzo – mi piace nascondere le cose. Ma non so se vedo così il mondo. So che NOI siamo così, non cogliamo il significato complessivo delle cose. •
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MILANO & CO. MUSICA DI PAOLO MADEDDU
POST PUNK REVIVAL
BLACK REBEL MOTORCYCLE CLUB 18 MARZO MILANO – MAGAZZINI GENERALI 19 MARZO TORINO – HIROSHIMA MON AMOUR Picchiano alla porta: è il decennio scorso. Gli anni zerozero, così pieni di hype da non riuscire a concepire di essere finiti; una decade fervidamente concentrata su ciò che veniva annunciato come esplosivo, plastico e inevitabile, una continua tensione verso ciò che sarebbe arrivato a spazzare via il presente – rendendo il presente così insoddisfacente, deludente, e sempre lì in attesa di essere spazzato. I BRMC sono stati uno dei gruppi con cui si sono aperti gli zeroes: arrivarono nel 2001 con quel nome così styloso da sembrare finto, oltre che pronto a essere acronimato in omaggio all’era degli SMS. “Post-punk revival”, dice di loro Wikipedia, che è sempre affascinante quando deve definire qualcuno che suona, e mai come in questo caso c’è del genio nella definizione: c’è il superamento dell’esplosione, il “post”, la tensione in avanti, ma anche il revival, quella micidiale “retro” marcia che riporta
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tutto ai blocchi di partenza, in attesa del colpo dello starter, come se quella situazione fosse in fondo la migliore possibile. Era giusto che fossero loro, Peter Hayes e Robert Levon da San Francisco (da qualche anno spinti dalla batteria della ex Raveonettes Leah Shapiro, danese) a costruire il format della musica indie di un decennio e oltre – e questo, emblematicamente, non da indipendenti, ma dall’interno della casa discografica Virgin, dai Sex Pistols in poi sempre impeccabile nel cogliere l’alternativa di massa. Noise, psichedelia, garage, folk: i pilastri del tempio indie li hanno collocati tutti al posto giusto e nel momento giusto. In questo decennio i BRMC non si erano ancora fatti vivi: ora con un disco (Specter at the feast) e un tour, si ripresentano. E loro sanno più di chiunque quando fare la cosa giusta, al posto giusto e nel momento giusto. •
DAVID BOWIE THE NEXT DAY PALMA VIOLETS 180 Rough Trade
WHO: Sam Fryer, Chilli Jesson, Pete Mayhew, Will Doyle, leggiadri ventenni messisi assieme a Londra appena qualche mese fa. E come sempre quando a Londra si forma un gruppo, prima di cena tutti i giornali li indicavano come la next big thing, ancora prima che si scambiassero i numeri di telefono.
WHERE: In garage, naturalmente. Che poi, per forza che non c’è più una città al mondo in cui si riesca a trovare parcheggio – tutti i garage sono pieni di giovani che suonano. WHY: Potremmo sbagliarci, naturalmente. Anzi, sicuramente. Siamo sicuri di sbagliarci. Ma forse no. Forse ci sbagliamo: non ci stiamo sbagliando. Facciamo che al 50% ci sbagliamo. Ma al primo ascolto, e anche al terzo, questi sembrano allucinati e convinti come gli Stone Roses. Però psichedelizzati. E in un garage.
WHAT: “Siamo semplicemente un ennesimo gruppo, e tutto potrebbe andare malissimo”.
WHEN: Mentre riordinate le foto.
Columbia
WHO: David Jones, 66 anni, londinese, padre del regista Duncan Jones (Moon, Source Code), marito di Iman, imprenditrice somala, ex modella. WHERE: Di nuovo sulla Terra, dopo dieci anni di ridotto interesse per le cose musicali. Al suo penultimo concerto, una svitata gli ha tirato un leccalecca in un occhio (è rimasto incastrato. Che già lui ci ha l’occhio sifulìno). Mentre all’ultimo, invece, ha avuto un infarto. Sapete, uno fa un po’ mente locale.
WHY: Detto con nessuna indulgenza, ma al contrario, con vago stupore, questo è uno dei suoi dischi migliori degli ultimi (...misericordia) 30 anni. Non che la concorrenza fosse terribile, potrebbe serenamente obiettare qualcuno. Ed è uno dei dischi rock più plausibili in circolazione. Non che la concorrenza sia terribile, potrebbe serenamente obiettare qualcuno.
WHAT: “Dobbiamo capire in cosa consiste l’essere un rock’n’roller a 57 anni” (da un’intervista alla BBC di 10 anni fa).
HOW TO DESTROY ANGELS WELCOME OBLIVION
VERONICA FALLS WAITING FOR SOMETHING TO HAPPEN
Sony
Wichita Recordings
WHO: Trent Reznor, rockstar cupista degli anni ’90. Atticus Ross, suo collega nei Nine Inch Nails, e come lui, premio Oscar per la colonna sonora di The social network. Mariqueen Maandig, filippina, ex cantante delle West Indian Girls, moglie di Reznor. Insomma sono quasi i Nine Inch Nails con un nome ancora più improbabile ma con una cantante che è stata nuda su Playboy. Ah, il nome del gruppo non è Welcome oblivion: è l’altro.
WHO: Roxanne Clifford, James
WHERE: In uno zoo elettronico dove non sempre si incappa in animali piacevoli. Può causare qualche spiazzamento il fatto che dove ci si aspetta il rantolo di Reznor, arriva invece la voce eterea della sua signora. WHY: Non si può non amare il senso opprimente dell’elettronica dei NIN – no, okay, dei HTDA.
WHAT: “Non sono bravo a raccontare storie. Non sono un Paul McCartney, un Tom Petty, un Bruce Springsteen o un Johnny Cash che possono raccontare di qualcun altro. Non esco mai da me”. (Trent Reznor)
Hoare, Marion Herbain, Patrick Doyle. Di Londra. Due maschi e due femmine. Ah, carini.
WHERE: Nel primo disco, in un cimitero – ma sopra (Found love in a graveyard). In questo, che è il secondo, in un cimitero – ma sotto (Buried alive). Carini. WHY: Sono armoniosamente depressi, con coretti canterini e chitarrine sbarazzine. Sono – okay, fatevi forza – sono CARINI. Non ci si può far niente. Non c’è altro termine. Sì, è vero, “carino” è un aggettivo terribile dal 1987, e non abbiamo obiezioni, mica siamo qui a sdoganare “carino”. Però tutto gira, forse un giorno le cose cambieranno, e diventerà un termine pericoloso, pieno di ruvida credibilità. Forse un giorno si dirà che i Veronica Falls facevano una pesissima musica carina. WHAT:“Nel nostro gruppo le ragazze tendono ad accelerare il tempo della canzone, i maschi cercano di rallentarle”. WHEN: Mentre riordinate l’armadio.
WHEN: Quando riordinate i file nel computer.
WHEN: Mentre riordinate la cucina.
UNA SU 9 NICK CAVE & THE BAD SEEDS “JUBILEE STREET” DA “PUSH THE SKY AWAY” Mute Records
I recettori olfattivi sono soggetti al fenomeno detto adattamento: dopo un po’ che si è in presenza di un effluvio, il naso non lo percepisce più. Così, gli adoratori non percepiscono l’odore di farsa che da anni promana da Nick il tenebrosone, unico australiano che guarda nel vuoto invece che fare surf o rugby – ma non per questo va in bianco: non c’è accolita che vedendo la femmina ’gnuda in copertina non sognerà di essere LEI la privilegiata che lui squadra immusonito (e vestito). In questi cinque anni Cave ha cincischiato con libri, gruppi collaterali, film; ora risfodera i Bad Seeds facendo fremere i cuori delle poetesse e dei poetessi che si adagiano nelle sue litanie. Per loro, possiamo farla breve: capolavoro. Sì, sì, tranquilli – ci vediamo, eh. Ciao. Per gli altri: un disco di una bruttezza incandescente, un vulcano che erutta liriche scadenti e una lenta lava di velleità (velleitaria)
dylaniana. Dalle patetiche rimette dark di We know who U R alla ballata di marmellata Mermaids, dal testo di Higgs boson blues, così pretenzioso che si anela alla freschezza di un Mariano Apicella, alla musica che insiste con gravità caricaturale su una scarna ovvietà per farla sembrare ipnotica e significativa (vecchio trucco); allo stesso modo Cave in Water’s edge ripete mantresco: “You grow old and you grow cold!”, enfatizzando una rima che persino i Gemelli DiVersi troverebbero stantìa. Nel rimarchevole tedio si salva il teso incedere di Jubilee street. Perché qui ha copiato bene, emulando i lenti crescendo del Lou Reed dei giorni migliori. Non è originale ma non importa: imita così bene da sparire. Poi si rialza tronfio e declama Finishing Jubilee Street, in cui narra quanto è stato artista nello scriverla. Sniff, sniff – sentite niente? •
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LONDON CREATIVE LAB
È quella dei non luoghi, degli spazi senza precisa destinazione, quella che si sottrae alle pianificazioni per essere interpretata da chi ci vive. Ed è quella che stimola la fantasia di Emma Emerson. Giovane urbanista inglese con una certa allergia per gli architetti
LA CITTÀ TESTO SUSANNA LEGRENZI
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INFORMALE URBAN | 31
Interessi? “Mi appassiona tutto ciò che vive al di fuori di quello che l’establishment britannico ritiene strettamente ‘architettura’”. Per esempio, il tratto nervoso di un outsider come Egon Schiele, quel cane sciolto di Richard England, collettivi irredentisti come i Berlin Urban Pioneers ma anche big thinker come Robert Neuwirth, l’autore di The stealth of nations, ovvero il teorico massimo della promozione dell’“economia underground” a “economia globale”: 10 trilioni di dollari generati dai soli mercati di strada, la seconda economia del mondo dopo gli Iuessei… New London Architecture Student Award 2012, Emma Emerson, habitué delle sale del Royal Institute of British Architects (in una sigla: il glorioso RIBA), è una giovane urbanista inglese, tra le più interessanti sulla scena emergente. Studi di architettura a Brighton, quindi al Royal College of Art di Londra, quando progetta, disegna con mano lieve, dando forma a un’idea di futuro dove il settore informale è motore di nuove reti urbane in grado di compensare la complessità del presente. Su quest’idea Emma ha sviluppato anche la sua tesi di Master.
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Il titolo è Zero Conflict Urbanism Community Boundary Trust: una babele orizzontale punteggiata di orti urbani, edifici densamente abitati, verde quanto basta, microinvenzioni, segni di quell’universo mobile che è la cosiddetta città informale. Il terreno di riferimento non appartiene a Futurama ma all’immensa No man’s land londinese delle Olimpiadi 2012, un polmone artificiale oggetto di numerose ipotesi di riconversione: da nuovo grande orto metropolitano per urban farmer a enclave per pochi. Naturalmente, per le Leggi di Murphy (“La probabilità che qualcosa accada è inversamente proporzionale alla sua desiderabilità”), ha prevalso l’ultima. Spenta la torcia olimpica, la famiglia reale del Qatar ha acquistato l’area per 557 milioni di sterline, smaterializzando ogni possibile altro sogno. In attesa che la nuova partita assesti l’ennesima colata di lusso e cemento, in termini di sguardo il futuro prossimo dell’area – racconta Emma – è un interregno caratterizzato da un segno inequivocabile: un recinto, un muro (in)visibile tra la città formale e gli interessi speculativi che poi sono l’altra faccia delle metropoli. La soluzione di Emma è trasformare la sottile linea rossa in un falansterio/alveare dove nuove community possano contribuire alla transizione dal pubblico al privato, impostando i germi delle future reti urbane, garantendo sicurezza, colmando di contenuti il sentimento di “attesa”. In una parola: il vuoto liminale. Il progetto rende anche omaggio ai bagni pubblici di Londra: “Al momento il rapporto è di uno per ogni 67 mila utenti” spiega ancora Emma. “Nel progetto è previsto che l’urina sia utilizzata come combustibile, grazie alle nuove tecnologie all’idrogeno che la trasformano in energia”. Motore creativo: “La crisi finanziaria, certamente. Comunità marginali, nuove contraddizioni, contrasti, conflitti, incoraggiando procedure che spingono dal basso verso l’alto. Le soluzioni individuate della Community Architecture si stanno rivelando non solo molto più energiche e ricche ma anche in grado di produrre benefici alla
progettazione Top Down”. Se le chiedi se tutto questo non sia già troppo trendy, Emma ribatte: “Nella mia esperienza gli architetti tendono a essere un po’ ‘ossessivi’: che lo si ammetta o meno, parlano, camminano, mangiano, respirano architettura, mentre scopano altri architetti. Il tutto è abbastanza geek. E se questo è di moda… Idealmente mi piacerebbe lavorare a stretto contatto con i clienti, gli occupanti, gli utenti finali. Mi piacerebbe tirar fuori un Pantone e incoraggiare tutti a disegnare il proprio futuro”. Consigli a un giovane architetto? “Fiducia in ciò che fai e lavorare sodo”. Un consiglio per tutti gli altri: Ground control: fear and happiness in the twenty-first century city by Anna Minton (Penguin, 2009). Emma lo cita tra i suoi riferimenti. Non è un caso che prima di congedarci ci confidi il suo prossimo progetto: tema chiave, la sicurezza. Geotag: l’immenso cratere di Vauxhall/Nine Elms/Battersea, la prossima grande partita urbanistica sulle rive del Tamigi. Good Luck, Miss Geek. •
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BROOKLYN MUSICA
PSYCHIC ILLS
TESTO CIRO CACCIOLA FOTO SAMANTHA CASOLARI
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Uno degli aggettivi più ricorrenti nelle note critiche ai loro dischi è “lisergico”. Uno dei riferimenti possibili per codificare la loro musica potrebbero essere i Doors, senza nulla togliere a Jesus & Mary Chain però. Wikipedia li definisce “experimental”. Insomma, se proprio vogliamo trovare una definizione per questa formazione 2 + 3 potremmo considerare una roba tipo “rock/psychedelic band from New York City”. Psychic Ills hanno esordito nel 2003 con un singolo chiaro e forte come Mental violence, nel 2006 con un primo album, Dins, tutt’ora giudicato il migliore dai fan e con il quale hanno strabiliato un po’ tutti (“Best Psych Rock Band” quell’anno per l’autorevole e newyorkese magazine The Village Voice), almeno quelli che si sono accorti della loro esistenza psichedelica. Nel 2011 con Hazed dream hanno intrapreso una stradina un po’ più confortevole, meno distorta e rallentata rispetto alle precedenti traiettorie, come se si fossero fermati più spesso lungo il cammino a prendere un caffè. Mentre qualcuno tenta di trasferirne le visioni nel mondo della musica elettronica (in rete e in qualche club gira il remix ipnotico di Mantis, a firma di Juan Atkins, dj), il video di Take me with you ce li mostra naturalmente on the road, immersi in un trip di suoni e colori che viaggiano in parallelo ma senza una meta precisa. Girano un sacco i nostri nuovi amici, concerti a go go in questi giorni freddi a prologo di primavera, e dopo la lunga tournée negli States arrivano anche nella vecchia Europa e in questa vecchissima Italia, il 27 marzo a Genova, il 28 a Roma, il 29 a Carpi e il 30 a Valeggio sul Mincio. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Elisabeth Hart e Tres Warren, i boss (leggi: fondatori) della band. Chiacchiere very nice. Molto piacevoli.
FACCIAMO LE PRESENTAZIONI? Elizabeth Hart: Oltre che da me, che suono il basso, e da Tres, chitarra e voci, con noi ci sono sempre Chris Millstein alle percussioni, Scott Ryan Davis alla chitarra and Scotty Davis alle tastiere. Siamo una band!
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QUAL È L’ESPERIENZA PIÙ FORTE CHE AVETE VISSUTO FIN QUI? Tres Warren: Difficile rispondere perché ciascuno ne ha di proprie, e molto forti. Ma suonare è in cima alla lista per tutti noi.
COME E QUANDO VI SIETE CONOSCIUTI? EH: Tres ed io ci siamo incontrati anni fa, frequentavamo la stessa scuola, nel Texas. E siamo finiti nella stessa classe di storia dell’arte. Abbiamo incontrato gli altri a New York, o lungo la strada.
AVETE UNA DEFINIZIONE PER LA VOSTRA MUSICA?
DANDO UN’OCCHIATA ALLE VENUE IN CUI SUONATE, SEMBRA CHE PREFERIATE I CLUB AGLI STADI… EH: Vero. Suoniamo soprattutto in piccoli o grandi club, ma abbiamo fatto alcuni show in musei e gallerie d’arte, e questo ci è molto piaciuto. Come al Museo d’Arte Contemporanea di Bordeaux, in Francia, o in un teatro lirico in Spagna al Tanned Tin Festival. Una volta persino in un enorme supermercato ad Austin, Texas, alle quattro del mattino. Great.
NEL VOSTRO PROFILO FACEBOOK HO TROVATO APPREZZAMENTI PER I DISCHI DEI LED ZEPPELIN.
TW: Non so. Per me, è appunto la musica che facciamo. Credo che abbia le sue basi nel rock & roll, ma non è veramente quello. Non mi va di mettere le nostre composizioni in una gabbia, di chiudere la nostra musica in una rigida frase. Ma se hai qualche buona idea da suggerire, dilla pure, ci sarà di aiuto (ride, n.d.r.).
TW: Abbiamo pubblicato un flyer che modificava una copertina del Led Zep in maniera molto divertente, ci era piaciuta per quello soprattutto. Però sì, in generale, ci piace la loro musica. È una interessante coincidenza parlare di loro perché ho appena ascoltato un bootleg degli Yardbirds, dell’era di Jimmy Page per intenderci, dove fanno anche alcune cover dei Velvet Underground. Un vero sballo!
IL VOSTRO NUOVO ALBUM, ONE TRACK MIND, È APPENA USCITO. C’È QUALCOSA DI SPECIALE CHE LO DIFFERENZIA DAI PRECEDENTI?
CHE COSA MANGIATE PER SENTIRVI MEGLIO?
TW: Va giù per la stessa strada che abbiamo intrapreso da sempre. Per certi versi, è quasi la continuazione ideale di Hazed dream. Ogni disco che ho fatto è come se avesse consumato tutto quello che mi circondava, nel momento stesso in cui stava accadendo. Ed è stato uguale anche con questo nuovo album. È difficile rendersene realmente conto se non dopo un certo periodo di tempo. Se lo ascolti forse lo troverai un po’ più “up tempo” rispetto ai nostri standard, ma il feeling non cambia, il feeling è lo stesso di sempre.
C’È UN POSTO NEL QUALE AVETE SUONATO CHE VI HA PARTICOLARMENTE COLPITO? TW: Abbiamo avuto un po’ di giorni “off ” mentre eravamo in Cina lo scorso novembre. Ed è stato incredibile, quello sì. Avevamo finalmente il tempo per girare, curiosare, vedere… Un’esperienza molto molto interessante. Adesso non vedo l’ora personalmente di venire in Italia, dove non abbiamo mai suonato, e di tornare a suonare in alcuni paesi dell’Europa che non visitiamo da alcuni anni. In realtà fare un tour non è come viaggiare. La nostra preoccupazione principale è suonare, e farlo bene.
EH: I love avocados!
COME FUNZIONA IL VOSTRO PROCESSO CREATIVO? COME ARRIVATE ALLA SCRITTURA DI UNA CANZONE? TW: Di solito comincio a tirare fuori melodie con la chitarra, a volte mi viene l’ispirazione usando le tastiere. Dipende. Se voglio un brano che abbia un certo tipo di beat, magari parto dalle percussioni, o da una drum machine. Ogni strumento è buono, e corrisponde a uno stato dell’anima in un dato momento del giorno, e della vita. Tutto il resto arriva dopo, con il contributo degli altri.
LA COSA PIÙ BELLA DELLA VITA? EH: All things music. TW: Yeah, music is the easy part. •
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Hassan Hajjaj
FIRENZE CREATIVE LAB
MIDDLE EAST NOW TESTO FRANCESCA BONAZZOLI
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Dierenze, analogie, ma soprattutto contaminazioni fra due culture di confine. Ovvero, anche il Medio Oriente ha il suo lato pop
Hassan Hajjaj
Spagnoli, italiani, francesi, greci, turchi, egiziani, marocchini, algerini, libici, libanesi, siriani, israeliani e palestinesi: abbiamo tutti i piedi immersi nella stessa acqua. Se guardiamo una carta geografica, infatti, il “bacino del Mediterraneo” appare come un catino dentro cui tutti questi Paesi mettono a bagno le loro estremità. Eppure, per quanto possa sembrare incredibile vista la distanza ravvicinata e i continui contatti che si sono avuti nel corso dei millenni, il Nord poco sa del suo lato Sud. Anche oggi che internet e le immagini inviate in tempo reale ci dovrebbero svelare ogni segreto, noi Occidentali ci facciamo sempre cogliere di sorpresa da ciò che avviene nei Paesi arabi. Siamo lì a registrare le “primavere” e a contare le “controprimavere” come osservatori inebetiti seduti per caso sugli spalti di un campo da tennis, ignari delle regole del gioco, ostinandoci a tenerci distanti da un mondo in realtà così vicino. A Firenze il festival Middle East Now! (chissà perché intitolato con la solita lingua inglese per cui nemmeno possiamo imparare come si dice
Medio Oriente in arabo), alla sua quarta edizione, dal 3 all’8 aprile, prova a gettare ponti fra una sponda e l’altra del Mediterraneo ed è un’occasione imperdibile per aprire nuove visioni attraverso la cinematografia contemporanea, film indipendenti e underground poco visti anche nei Paesi di provenienza. I giovani cineasti e i talenti emergenti ci fanno da guida nei loro territori presentandoci personaggi, raccontandoci storie, mostrandoci case, città, campagne, la vita quotidiana e l’attualità in Iran, Iraq, Libano, Israele, Egitto, Palestina, Giordania, Yemen, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Afghanistan, Siria, Bahrein. Circa 40 tra film, documentari, short film e animazioni, titoli che normalmente non vengono distribuiti in Italia e a cui si aggiunge, quest’anno, la cinematografia del Nord Africa: Marocco, Tunisia e Algeria. Altre novità di questa edizione sono la sezione speciale dedicata a Israele e Palestina e il focus Afghanistan Inside Out, dedicato a un Paese che, dopo oltre dieci anni di controllo militare da parte degli Stati Uniti d’America
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Rana Salam
e della missione Isaf guidata dalla Nato, sta per essere lasciato a se stesso e a un futuro incerto. Tra le anteprime in programma ci sono lavori altrimenti impossibili da vedere come My Afghanistan. Life in the forbidden zone, del regista Nagieb Khaja: uno sguardo affascinante e commovente sulla vita quotidiana di uomini e donne afgani che raccontano se stessi dal basso, attraverso la videocamera dei loro cellulari. Ma il festival non si esaurisce nel cinema. In questi Paesi, infatti, dove il sapere accademico è meno rigido e l’arte di arrangiarsi diventa creatività a tutto campo, i confini fra cinema, musica, arte, design, fotografia, moda sono molto più liquidi. A rappresentare questi “spazi ampi” sono stati invitati due protagonisti: Hassan Hajjaj e Rana Salam. Il primo, nato nel nord del Marocco nel 1961, ha lavorato come produttore musicale, designer di una linea di accessori moda e successivamente ha lanciato RAP, una ready-to-wear boutique diventata un hub di moda nella Londra degli anni ’80. Negli anni 2000 ha lavorato a opere e installazioni influenzate dalle atmosfere del suk arabo, ma ispirate anche alla Pop Art americana, inventando mondi ludici e divertenti che ribaltano i codici. Nello stesso periodo ha iniziato le serie fotografiche che omaggiano fotografi di moda come Samuel Fosso, Malik Sidibé e David La Chapelle e nel 2009, dopo essere stato acclamato dal critico d’arte Rose Isa, è stato finalista al Premio Jameel del Victoria & Albert Museum per l’arte islamica. Nella casbah di Marrakech, la città dove vive dividendosi con Londra, ha realizzato lo shooting di VogueArabe, dodici scatti in mostra alla Aria Art Gallery (Borgo Santi Apostoli 40, dal 6 aprile al 5 maggio), controcanto parodistico alle foto glamorous di moda. Invece delle longilinee modelle ariane, Hajjaj fotografa le sue connazionali marocchine che indossano vestiti ideati da lui stesso: camicioni e veli che nascondono volto e corpo, e accessori che rimandano a quelli delle griffe d’alta moda e al binomio donne e motori in ironiche versioni “vorrei ma non posso”. Chiassose, tamarre, ironiche e stravaganti, le opere di Hassan Hajjaj ci invitano a riflettere sul modo in cui Oriente e Occidente si vedono reciprocamente e sul corto circuito che si innesca. “Fra i due mondi c’è un continuo fraintendimento culturale, ma il fatto che non ci capiamo a vicenda dipende anche dai media, dal modo in cui i mezzi di informazione raccontano il mondo”, ci dice Hajjaj. Secondo l’artista marocchino è questo il motivo principale per cui ci facciamo sempre sorprendere e cogliere impreparati dagli eventi che accadono nei Paesi arabi. Per esempio non abbiamo ancora capito se la primavera è passata, torna, o si è trasformata in inverno.
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“Guardando all’epoca in cui viviamo e a quanto sta accadendo, credo ci vorranno generazioni per sistemare le cose. E credo che quello che accade nei Paesi arabi possa anche contagiare l’Occidente, vista la crisi economica, il modo in cui viviamo e quello che vogliamo. E poi c’è da considerare che c’è un gap generazionale molto grande e internet: chi ci dice che presto non arrivi anche una primavera occidentale?”. “Con VogueArabe voglio condividere qualcosa della mia cultura, voglio far vedere che i marocchini, e in generale gli arabi, sono consapevoli di cosa siano la moda e lo stile, e che nei fatti non pensiamo sempre e solo alla politica e alla religione”. Anche la seconda ospite speciale, la graphic designer libanese Rana Salam, riesce a stupirci per il suo modo fantasioso di unire le immagini occidentali a quelle arabe. Artista tra le più affermate e celebrate di tutta la scena mediorientale di oggi, ha studiato a Londra ed è stata tra le prime a rilanciare un immaginario pop della cultura araba più recente, mescolando i poster di celebri film egiziani degli anni ’80 alle colorate confezioni dei chewing gum libanesi Chicklet, ispirandosi a figure mitiche della cultura popolare come la cantante Oum Kalthoum. Ha realizzato l’interior design e le atmosfere per department store come Harvey Nichols, catene di ristoranti alla moda come Le Comptoir Libanais a Londra, ed è stata anche coautrice di The secret life of Syrian lingerie, un libro che ha suscitato scalpore perché indaga il ruolo della Siria come il più importante produttore di biancheria intima di tutto il Medio Oriente. Giovedì 4 aprile la si potrà ascoltare durante una lecture al Centro di cultura contemporanea Strozzina dal titolo Dalla cultura popolare allo chic: il pop design Middle East di Rana Salam. E poiché a lei si deve anche l’avvio di una tendenza ormai consolidata nella scena di Beirut – l’apertura di negozi temporanei dalle atmosfere pop – a Firenze, dal 5 al 28 aprile, allestirà un temporary shop con i suoi oggetti negli spazi del concept store Société Anonyme, in via della Mattonaia 24. Inoltre, una sua installazione sarà visibile al cinema Odeon nei giorni del festival. Già guardando le immagini di queste pagine si respira un’aria familiare. Non è forse la stessa allegria colorata dei carretti siciliani e delle carte veline stampate in cui venivano avvolte le arance? La prova che non siamo mondi poi così lontani, e soprattutto che non lo siamo mai stati. Il vento sta cambiando ed è meglio accorgercene in tempo. Come ci spiega ancora Hassan Hajjaj: “Ci sono tantissimi musei sia occidentali sia del mondo arabo, e anche tantissimi curatori alla ricerca continua di nuovi artisti locali che non hanno ancora lasciato i loro Paesi d’origine. Non è più così necessario per un artista arabo emigrare in Europa: ora è il mondo occidentale ad attraversare il mare”. •
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Rana Salam
Rana Salam
ANTWERP FASHION
Nato su un’isola del mare del Nord, predilige la maglieria, le imperfezioni dei tessuti e le forme plasmate dalla natura. Un talento da sorvegliare
TESTO FEDERICO POLETTI FOTO TATIANA UZLOVA
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DANIEL ANDRESEN
Dall’isola di Föhr in Germania ad Anversa, Daniel Andresen coltiva sin da piccolo la passione per lo skateboard e per la moda, personalizzando i primi abiti vintage e pantaloni militari. Si trasferisce poi ad Amburgo e finisce ad Anversa, dove studia alla celebre Accademia Reale di Belle Arti. Affina le sua creatività nello studio di Haider Ackermann, specializzandosi poi nella produzione di una maglieria sofisticata ma facile da indossare. Dal 2010 lancia il suo marchio di moda uomo: una produzione fatta a mano, giocata sulla sovrapposizione di strati per valorizzare la silhouette e i caratteri individuali. Apre un vero e proprio atelier di produzione e vendita nella stessa città in cui ha studiato. Un luogo ricco di storia e crocevia di cultura, patria di Rubens e nota per due fenomeni: il commercio dei diamanti e la nascita di un gruppo di creativi noto come i “Sei di Anversa”, che hanno rivoluzionato le regole della moda. Urban l’ha invitato a Firenze in occasione dell’ultimo Pitti Uomo, per parlare di moda e del suo legame con questa città ad alto tasso creativo.
QUANDO HAI LANCIATO IL TUO MARCHIO? Nel gennaio 2010. Ero tornato ad Amburgo e dopo la laurea ho lavorato per Omen, questa volta però come direttore creativo e direttore di produzione. Avevo un ottimo lavoro, ma dovevo scendere a compromessi. Ho preferito essere indipendente e provare a sviluppare il mio marchio.
COME INIZI A LAVORARE SULLE TUE COLLEZIONI? Lo sviluppo di una nuova collezione viene dalle suggestioni più disparate. Da un’esperienza personale, dalla musica, dai film, dall’arte etc… Si inizia da un filato, come la seta, poi vengono i colori e le forme.
IL CONCEPT DIETRO LA TUA ULTIMA “FATICA”. Mio padre ha comprato tempo fa un’area verde, un piccolo bosco privato, dove tiene anatre addomesticate. Il posto è molto protetto dal mondo esterno. L’idea è stata di lavorare a qualcosa di naturale, selvaggio, colorito, come appunto le anatre addomesticate, che però nuotano in modo libero.
COME È NATA LA PASSIONE PER LA MODA? Ho iniziato a personalizzare vestiti quando avevo 12 anni. Li vendevo ai ragazzi sulla mia isola. Trasformavo pantaloni militari e altri abiti d’epoca, utilizzando tecniche di patchwork. Chiedevo a mia madre di cucire i pezzi per me.
CHE COSA È SUCCESSO DOPO? Mi sono trasferito ad Amburgo, dove ho lavorato in un negozio di skateboard che vendeva anche abiti firmati, come Yohji Yamamoto e Comme des Garçons, ma non ho prestato molta attenzione alla moda inizialmente. Avevano anche il proprio marchio di maglieria chiamato Omen: quando il nostro rapporto è cresciuto ho iniziato a dar loro consigli facendo una ricerca sui filati.
COME SEI FINITO AD ANVERSA? Volevo scegliere una scuola di moda e avevo pensato a New York o Londra, ma avevo anche in testa di vivere in una dimensione più a misura d’uomo. Prima di iscrivermi all’Accademia, ho seguito un corso di preparazione per costruire il mio portafoglio, presentandomi alle selezioni.
SPESSO DEI TUOI CAPI DI MAGLIERIA SI PARLA COME PEZZI SPECIALI E UNICI. TU COME LI DESCRIVERESTI? Mi piacciono i tessuti e le imperfezioni. Mi piace combinare diversi filati per vedere che cosa succede. Con la maglieria hai possibilità infinite, non sei mai sicuro di cosa venga fuori. C’è spazio per sorprese e sperimentazione. Lavorare a maglia è un atto fisico e non hai nemmeno bisogno di fare un modello. Si può essere rigorosi o del tutto spontanei. Per questa stagione, abbiamo prodotto 600 maglie in due mesi. Tutte erano fatte a mano e ognuna è differente.
COME STA EVOLVENDO LA MODA MASCHILE? Per me, un abito è come un frigorifero. È rigido e scomodo. Io invece offro la vera sartoria, che risulta semplice da indossare. Mi piace la leggerezza e valorizzare il movimento del corpo. I miei vestiti sono progettati, ma non sono difficili o costrittivi. •
QUAL È L’APPROCCIO ALLA MODA DELL’ACCADEMIA? I docenti dell’Accademia erano e sono ancora oggi personaggi molto carismatici come Linda Loppa, Patrick De Muynck, Walter Van Beirendonck, uno dei “Sei di Anversa”. Loro mi hanno trasmesso una visione molto artistica della moda, spingendomi ad andare oltre certi schemi legati al fare prodotto. A scuola ci obbligavano a pensare e realizzare ogni collezione come fosse una narrazione, un racconto per immagini, suggestioni e tessuti.
HAI AVUTO QUALCHE MENTORE DURANTE I TUOI STUDI, CHE HA INFLUENZATO IN MODO PARTICOLARE IL TUO LAVORO? Hilde Frunt mi ha insegnato soprattutto la lavorazione della maglia, materiale che per me è stato una rivelazione.
E POI? Dopo un breve periodo in giro per l’Europa, sono ritornato ad Anversa per iniziare la mia collezione. In Belgio ci sono ancora molti produttori, che mi hanno supportato per avviare la collezione. Poi Anversa è il luogo perfetto per concentrarti su ciò che stai facendo. Tu puoi andare da un lato all’altro della città in mezz’ora a piedi. Anversa non ti distrae dal tuo lavoro come le grandi città, dove ogni notte succede qualcosa.
RACCONTAMI LA TUA GIORNATA TIPICA. Naturalmente comincia aprendo le finestre del mio atelier! Poi, con i miei assistenti pianifichiamo la giornata e iniziamo a lavorare la maglia o a creare dei modelli, o supervisionare la produzione. Di solito nel week end vado a fare un giro per il mercatino dell’antiquariato e del vintage dove si trovano oggetti, vecchi libri e curiosità di ogni tipo, veri e propri moodboard da cui prendere ispirazione.
QUALI SONO I TUOI RIFERIMENTI NELLA MODA? I designer giapponesi sono stati innovativi e quando hanno iniziato a sfilare in Europa hanno cambiato il modo di pensare e indossare gli abiti. Mi piace il marchio italiano Carpe Diem, che è più una filosofia di design che una tendenza.
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MIAMI FENOMENI
IL RITO DELLO SPRING BREAK 44 | URBAN
Come le migrazioni ai tropici per gli uccelli. Come le patatine con l’hamburger. Come l’oliva nel Martini. Da inizio marzo a metà aprile, se hai tra i 18 e i 23 anni, sei universitario e vivi negli Stati Uniti, allo Spring Break è impossibile sfuggire TESTO ROBERTO CROCI
Nella vita di tutti noi ci sono dei momenti considerati importanti, significativi, dei riti di passaggio che a volte la ridefiniscono, dandole un valore invece che un altro, a volte sottolineando un benvenuto distacco (temporaneo) dalla realtà, altre volte purtroppo segnandola per sempre. Lo Spring Break, appunto. Ma che cos’è di preciso? Comincia dal 1° di marzo e va fino a metà aprile, quando, per una settimana alla volta, circa 15 milioni di studenti dai 18 ai 23 anni si riversano in località balneari, pronti a festeggiare lucullianamente le prime vacanze dopo gli ultimi esami del trimestre accademico. La scelta della località avviene dopo che boyfriend o girlfriend hanno già prenotato altrove. Separatamente. Da qui l’idea che possa succedere di tutto, ma proprio di tutto. E mi riferisco alle attitudini baccanali dei giovani. Uomini e donne cercano di superare ed esplorare i confini e le barriere che sesso, droga, alcol e rock & roll hanno sempre avuto nella cultura americana. Non andate in bianco. Non serve molto saper parlare inglese. Qui non dicono di no. Calano come Visigoti in massa dal freddo, diretti al caldo di città costiere come Miami, Lauderdale, Panama Beach, Lake Havasu, Rocky Point e South Padre Island oppure migrano verso lidi esteri quali Cancun e Mazatlàn (Messico), Negril (Giamaica), Nassau (Bahamas) dove il limite legale per bere non è come in America imposto a 21 anni, ma bensì a 18. Ultima info, di carattere finanziaria. L’anno scorso, il giro d’affari creato dal fenomeno Spring Break ha sfiorato un miliardo di dollari.
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Basta parole, allacciate le cinture e lasciate che siano i protagonisti di Spring Breakers, il nuovo film di Harmony Korine, intenditore musicale, skateboarder aficionado, oltre che utopico e controverso regista maledetto di Kids, Gummo, Julien Donkey-Boy, a raccontarvi il tutto. In uscita in Italia il 7 marzo, la pellicola racconta le vicissitudini di un groppo di amiche squattrinate –Vanessa Hudgens, Selena Gomez, Ashley Benson e Rachel Korine – che, pur di non mancare alla festa di SB, decidono di rapinare un ristorante, andando conseguentemente incontro a duemila fucking situazioni estreme, in cui, noi pubblico, verremo istruiti su quelli che sono rules et regulation rappresentative di SB: wet t-shirt contest, foam party, cocaina, funghi, estasi, body shot, naked-poolparties, marijuana, wet willies, tits & tsses, beer funneling, Jagermeister run, balcony jumping… “Il film è stato girato a St. Petersburg in Florida, conosciuta come The Sunshine City, durante un vero Spring Break. Abbiamo reclutato più di 500 comparse” – racconta Harmony Korine – “che non hanno dovuto fare niente di diverso da quello che avrebbero fatto durante il loro normale SB: bere, ballare, fumare, dormire, scopare, svenire e ricominciare tutto da capo, il giorno dopo”. Come hai convinto James Franco a interpretare il ruolo di Alien, il criminale locale che prende le ragazze sotto la sua protezione? “Conosco James da tanto, l’ho sempre ammirato perché è uno dei pochi attori di Hollywood a non essere una macchina al servizio delle corporazioni, ha vari interessi al di fuori del cinema e riesce sempre a lavorare su progetti che gli interessano. Abbiamo sempre voluto fare un film insieme. Poi mi ha contattato per la mostra Rebel without a cause, che ha organizzato per la Biennale di Venezia del 2011. Voleva che girassi uno dei video, per ricreare la violenza della famosa gang fight dell’osservatorio che appare nel film originale. È stata la prima persona a cui ho fatto leggere la sceneggiatura e ha accettato subito”. Quali riferimenti hai usato per creare Alien? “Nessuno sa davvero chi sia. Ci sono elementi hippie e naïve della sua personalità che si scontrano con il suo stile di vita, con il suo business di droga e armi da fuoco. Volevo che avesse diverse personalità, è un assassino, pericoloso ma sensibile, vende
droga ma ama fotografare i delfini, è un gangster mistico. Ha l’atteggiamento tipico dei rapper degli Stati Uniti del Sud, tipo Tommy Wright III, Project Pat e Dangeruss”. Perché la scelta di fare questo film? “Sono cresciuto a Nashville, quando i miei compagni di scuola partivano per Daytona Beach aka Redneck Riviera, io ne approfittavo per allenarmi con lo skateboard. Tornavano tutti felici di aver fatto sesso e di essersi rovinati bevendo e fumando come disperati. Fare questo film mi ha dato la possibilità di capire il loro entusiasmo. SB è una tradizione americana, dove tutti vogliono divertirsi e sono disposti a rompere ogni regola, fino al punto di commettere atti illegali: farsi arrestare è diventato molto cool. Mi interessava l’idea di fare un film che fosse una sorta di esperimento sociale: è stato come girare due film diversi, il film che ho scritto e quello dei vari media e paparazzi che ci hanno seguito per quasi due mesi, twittando e postando foto e video su internet”. •
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URBAN X
Sacca in canvas stampata 99 euro
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T shirt bicolore stampata 69 euro
Cappello in paglia 39 euro T shirt in cotone stampata 55 euro
FLOWER POWER ATTITUDE Entra nel mood Spring Summer di MCS. Sabato 23 marzo, dalle 14 alle 18.30, vieni nello store MCS di corso Venezia 2 a Milano. Con l'aiuto di uno stylist di Urban, indossa Pantalone in cotone con coulisse in vita 95 euro
i capi che preferisci e scopri la tua anima Flower Power. Un fotografo di Urban ti fara un ritratto e ti regalera la tua polaroid in versione Summer of Love
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LONDON DETAILS DI IVAN BONTCHEV E TATIANA UZLOVA
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SPY MEETING
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1. sonia rykiel by l’amy diffusion: 139 euro 2. marc by marc jacobs by safilo: 130 euro 3. emilio pucci by marchon: prezzo su richiesta 4. roberto cavalli eyewear by marcolin: 230 euro
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SAN FRANCISCO FASHION
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Giacca in maglia, closed a, In tutto il servizio: bandan pepe jeans
Giacca, pepe jeans Maglia, costume national Pantaloni, sansovino 6 Sandali, prada Cintura, vintage
DAYDREAMING
FOTO LUCA CAMPRI STYLING IVAN BONTCHEV
URBAN | 51
Canotta, pepe jeans ello Jeans a vita alta, frankie mor Scarpe, stylist’s own coliac In tutto il servizio: bracciale, age vint Anelli,
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Giacca, denim & supply ralph lauren T-shirt, mcs Pantaloni, costume national
URBAN | 53
Giacca, mcs T-shirt, lotto sport Pantaloni e sandali, prada
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T-shirt, lotto sport Pantaloni, neil barrett
URBAN | 55
Smanicato, sansovino 6 T-shirt, tibi Jeans, hells bells Sandali, north sails
ADDRESS LIST Closed, www.closed.com. Coliac, www.coliac.com. Costume National, www.costumenational.com. Denim & Supply Ralph Lauren, www. denimandsupply.com. Frankie Morello, www.frankiemorello.it. Hells Bells, www.hellsbellsdome.com. Lotto, www.lottosport.com. MCS, www.mcsapparel.com. Messagerie, www.messagerie.it. Neil Barrett, www.neilbarrett.com. North Sails, www.northsails-sportswear.com. Pepe Jeans, www.pepejeans.com. Prada, www.prada.com. Sansovino 6, www.sansovino6.it. Tibi, www.tibi.com. Grooming: Davide Asquini. Modello: Val Zilski @ Independent Men. Assistente fotografo: Monica Grassi
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Maglia, messagerie Pantaloni, costume national
ATLANTA DETAILS DI TATIANA UZLOVA E IVAN BONTCHEV
1. superdry: top, 49,95 euro 2. katie grand loves hogan: borsa, 455 euro 3. calzedonia: tights, 19,95 euro 4. warm-me: cuffia, 179 euro 5. g-shock: orologio, 179 euro 6. g-star raw: gilet, 229 euro 7. e-gò: sneaker, 209 euro
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LIKE A RAPPER URBAN | 59
LONDON & CO. NIGHTLIFE DI LORENZO TIEZZI
ROMA & CO. SWANS Nati nel 1982 a New York, i Cigni hanno continuato a infiammare i cuori degli amanti del post punk fino al 1997. Poi, per qualche anno, il leader Michael Gira ha deciso di continuare a sperimentare per i fatti suoi. Dal 2010 sono di nuovo on the road, con chitarre distorte, rumori, improvvisazioni senza fine. L’età avanza, la disperazione pure: No words no thoughts, uno dei nuovi brani, è una cavalcata epica e sconclusionata, perfetta per il finale d’un film western. Il 21 marzo a Milano (Officine Creative Ansaldo), 22 marzo a Roma (Circolo degli Artisti), 23 marzo a Verona (Interzona). www.swans.pair.com
MILANO & CO. PAUL KALKBRENNER Fa ballare le arene più grandi di Roma e Milano come sua maestà David Guetta. Eppure il più noto dei fratelli Kalkbrenner non è una superstar. Deve tutto alla canzone di Berlin calling (2008), film cult della techno berlinese dove Paul recita da protagonista, ma quello che conta davvero è la malinconia di Sky and sand, uno dei pochi capolavori dance degli ultimi 15 anni. La canta la voce soul del fratello Fritz e dopo di essa Paul ha ovviamente mollato la label di Ellen Allien per proseguire da solo pubblicando diversi album. Ha provato, con coraggio, a cambiare tutto. Ma per tutti è ancora quello di Sky and sand. 22 marzo, Fiera di Milano (Rho); 23 marzo, Roma (Palalottomatica). www.paulkalkbrenner.net
MILANO HARD TON A metà tra techno, house e cabaret en travesti c’è Hard Ton, artista veneziano che da qualche anno fa ballare i club di tutto il mondo con una presenza scenica ingombrante e un falsetto degno di Sylvester. Più che una semplice regina della disco, è un animale da palcoscenico degno erede dell’eccelso Principe Maurice, anch’egli veneziano. A differenza di tutti o quasi i protagonisti della scena italiana, Hard Ton non è afono e/o stonato. Lui canta. Lo fa ancheggiando a ritmo di electro pop, ma è solo un dettaglio. 29 marzo @ Le Cannibale c/o Tunnel www.lecannibale.com
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LIBERTINE La nightlife londinese non è più la stessa. Lo storico China White, un inno all’edonismo, cambia pelle e si trasforma in Libertine. La location è la stessa, nel cuore di Fitzrovia e l’atmosfera non poi così diversa: specchi esagonali, lusso e un pizzico di ironia. Il locale non vuol certo far rivoluzioni, è semplicemente il posto perfetto per chi ha voglia di vivere notti folli in compagnia di ricchi e famosi come Kate Moss, Jude Law, P Diddy, Leo Di Caprio, etc. A dirigere e coordinare tanta decadenza c’è infatti una persona molto seria come Hootan Ahmadi. Trentaquattrenne, ha messo da parte una brillante carriera di chirurgo per dedicarsi al Libertine e ad altre iniziative di marketing, non tutte nottambule. Il suo successo è iniziato quando faceva il door selector e lasciava fuori dai top club cittadini gente come Sienna Miller (“Mi sembrava sciatta”) o Jared Leto dei 30 Seconds to Mars (“Pensavo fosse un barbone”). Come in tutti i club esclusivi, anche al Libertine più che il nome del dj, conta la musica. “Proporremo house, rock e hip hop”, ci racconta Hootan. “I dj ruoteranno ogni settimana, così i nostri ospiti potranno abituarsi al loro sound”. Da ogni angolo dei tre piani del club è possibile vedere cosa succede nel resto del locale. “Ho voluto questo tipo di design perché tutti i nostri ospiti possano sentirsi speciali”. Alcuni, ovviamente, speciali lo sono davvero e allora possono accedere a una segretissima vip room... Libertine apre presto: ogni sera, già alle 17 si può entrare e bere qualcosa al Reason & Mankind, il molecular bar della struttura. Si può anche mangiare qualcosa, ovviamente a prezzi folli. Chi arriva molto presto, però, di solito entra. Chi invece arriva dopo mezzanotte rischia di fare la fine di Sienna Miller.
4 Winsley St. www.libertineclublondon.com
BAR, RISTORANTI & CO.
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MILANO
DENTRO FUORI CHINATOWN
DI MIRTA OREGNA
TRE INDIRIZZI POCO CINESI AROMANDO
via Moscati, 13 02-36744172 chiuso lunedì e martedì a pranzo
A
ALICE via Adige, 9 02-5462930 chiuso domenica e lunedì a pranzo Lo avevamo segnalato appena aperto (marzo 2007) lodandone la cucina di pesce che impreziosiva la materia prima con i profumi della natia Campania, mostrando già allora le carte per conquistare la stella Michelin. Avevamo visto giusto perché la meritata stella ora è arrivata, senza che nessuno si montasse la testa o il locale perdesse quella nota di calda accoglienza mediterranea e femminile. Per chi non lo conoscesse, Alice è la creatura di Viviana Varese, solare chef salernitana, e Sandra Ciciriello, maître e sommelier con un passato nel mondo ittico che in pochi possono vantare. Grintose e competenti, senza mai tirarsela, comandano a bacchetta i fornitori del mercato per regalare agli ospiti il meglio: dal tentatore vassoio di pane (grano arso, pomodoro, broccolo e tanti altri) ai divertenti amuse-bouche (il pinzimonio parodia del Noma, il barattolo con melanzana affumicata), dalla ricerca sui pesci poco utilizzati (in arrivo murena e centrolofo, brutto ma ottimo crudo) a piatti che lasciano il segno come Profumo di mare, Carciofo in 5 maniere (crudo, grigliato, fritto, in salsa e gelato) o l’estivo Quadro di pasta, mosaico di design che unisce una ventina tra pesci e verdure. Il consiglio è di tuffarsi nei menu degustazione Viviana o Sandrina (70 euro ben spesi) o venire a pranzo per la formula low-cost (25 euro). In alternativa resta sempre il loro libro, appena uscito: Alice e le meraviglie del Pesce… di euro ne bastano 15, ma vogliamo mettere la differenza? Consigliato per togliersi, in un colpo solo e senza troppi crismi,, voglia ogg di pesce e sfizio di una cena stellata
Vintage. Sulle fondamenta della storica pasticceria Molina (e di un’altra breve ma sfortunata insegna), Cristina e il marito Savio hanno deciso di far partire il loro progetto di casa-ristorante, dove ci si dà appuntamento, tra vecchi mobili di famiglia anni ’50 messi insieme con gusto nell’ottica del riuso creativo e funzionale (tutto qui ha un perché), per pranzi e cene in cui vincono le stagioni e il prodotto (non-industriale). Quindi no a sale, a zucchero bianco, a farina 00, agli additivi; sì alle verdure dell’orto, all’insalata di erbe selvatiche, al pane di pasta madre e all’oca a lunga cottura… È vero, si chiama bistrot ma potrebbe essere benissimo un’osteria contemporanea, con il brunch sostituito dal “pranzo della domenica” che vede in tavola cappelletti fatti a mano, gallina o manzo bollito con mostarda e una sbrisolona di cacao con crema pasticcera in un menu a 38 euro.
CALÙ BISTROT via Cesariano, 8 02-87234833 chiuso domenica Design. Da quando ha aperto, il piccolo bistrot-take away di Luca Marongiu (già St. Andrews e Fiori Oscuri) è un successo continuo. Ci viene chi ha lo studio in zona, chi lavora all’Arco della Pace, chi abita il quartiere, chi gliel’ha detto l’amico… perché tra le pareti verdine e lilla, sotto l’imponente lampadario di Gehry, si sta bene e si mangia bene. Un paio di mesi fa finalmente Luca è riuscito a conquistare gli spazi adiacenti così, alla gastronomia (tutto è preparato nel laboratorio sul retro) fatta di torte salate, riso nero con gamberi al curry, riso ai tre polli, o ancora gnocchetti di patata freschi, lasagnette o verdure in più maniere, finalmente il pomeriggio s’inaugura la sezione merenda: quattro gusti di gelato artigianale (serviti con fantastici cucchiaini che sembrano plastica ma, evviva, sono bio), panini al latte farciti, briochine salate e muffin. Pranzi e cene continuano come sempre, viaggiando sull’ordine dei 10 euro di giorno e 20/25 la sera, che con i tempi che corrono valgon bene l’uscita.
HÅLLBAR B-NEXT BB -N NE EX XT T via Tadino, 4 02-87075448 chiuso lunedì Gabriele e Giovanna, giovani sardi trapiantati a Milano, hanno aperto un wine-bar la cui filosofia è dipinta a chiare lettere sulle pareti: se una volta ci si incontrava per caso e il cibo era fatto in casa, adesso B-Next (la nuova generazione) ha deciso di riportare in auge quelle sane abitudini. Foto in bianco e nero alle pareti, sedie asimmetriche e sgabelli incorniciano la formula dell’“apericena” o “spuntino sardo”: taglieri di salumi con pane guttiau, pecorino e miele, bruschettoni di pane di Carboni, panade ripiene e la casatina (sfoglia con formaggio fuso) si sposano con le etichette, rigorosamente sarde, di una decina di piccoli produttori. Che cosa bere? Francesco, cugino e terzo socio, saprà consigliarvi, spaziando dal vivace Vermentino di Gallura Docg della Cantina Tani al Cannonau Corrasi della Cantina Oliena (una produzione di sole 15mila bottiglie) fino al passito o al Liquore di pompia, l’agrume di Siniscola, con i quali è d’obbligo affogare golosi dolcetti sardi. Calici da 5 euro, cibo a parte. Da non perdere il veliero, versione sarda della barca del sushi, che straborda di salumi d’altura, pecorini e pane carasau, con una bottiglia di Lunadu, bianco ricco e molto strutturato
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via Paolo Sarpi, 60 02-87034681 chiuso domenica Gourmet. Più che ai confini loro sono agli inizi dell’isola pedonale di Chinatown, come dichiarano con orgoglio sul biglietto da visita, e sono una vera sorpresa, a partire dall’insegna (hållbar, tutto attaccato) che traduce dallo svedese la parola “ecosostenibile”. All’80% i materiali che hanno scelto sono così: dal legno di cedro libanese abbattuto da fulmine del tavolo social d’ingresso, alle sedie in plastica riciclata verde, dalle assi del pavimento recuperate da solai sardi al bancone effetto tundra. L’altra sorpresa è in cucina perché pur essendo un bar, lo chefpatron è stato 8 anni ai fornelli del Principe di Savoia, quindi a pranzo e il lunedì a cena su prenotazione si mangia “gourmet” a prezzi umani (Cesar’s Salad, hamburger, zuppe, primi e carni) oltre a fare colazioni con brioche di pasticceria (1 euro) e plumcake del giorno (2 euro). In partenza l’afternoon-tea con alzata di mini-pasticceria e l’aperitivo con l’attore. Quando e come... va consultato su Facebook.
LOS ANGELES DI MIRTA OREGNA
CHIC & GO via Montenapoleone, 25 02-782648 sempre aperto Con la crisi che aleggia il panino si mangia anche in via Montenapo, ma che panino: aragosta, tartufo e altri ingredienti blasonati finiscono tra due fette di pane invece che nel piatto. L’idea è nata dall’amore per l’estetica di Silvia e la golosità culinaria di Claudio. L’obiettivo? Proporre ciò che ancora mancava nel Quadrilatero: panini ricercati e diversi dal comune in una location giusta e raffinata. Basta osservare l’interno dal colore delicato per capire che è stato progettato nei minimi dettagli: panini, zuppe e dessert sono collocati su teche o alzatine di vetro, per facilitare la scelta. I menu sono preparati con ingredienti ricercati e sfiziosi, come l’aragosta, la mortadella di Prato o la carne salada del Trentino, materie prime della tradizione italiana accompagnate da vini e champagne pregiati, scelti appositamente da un nutrizionista in collaborazione con lo chef. Il packaging della confezione è essenziale e sofisticato, basta guardarlo e già si gusta il contenuto prima di aprirlo. Una bicicletta nera all’esterno è pronta a partire per consegnarvi (gratuitamente) il pranzo, non perdetevi questa occasione. (O. P.) Consigliato per il Sandwich Club Chic, con tartare di Angus, briciole di capperi e olio extravergine extr ex traavver erggiin nee (12 (12 12 euro) eu urro) o)
GIN N RO ROS ROSA SA A galleria San Babila, 4/B 02-794802 chiuso domenica / no wi-fi Un indirizzo più che vintage, storico, che a fine ’800, con il nome di Bottiglieria Leone, rappresentò il primo bar della piazza San Babila. Trasformato negli anni in bar “moderno” (non contemporaneo!) è punto di riferimento per l’aperitivo di una volta: olive e patatine per una serie di cocktail a base di gin-rosa, dallo Spritz rosa al Rosajto, dal Rosa Tonic al Rosa Colada (6 euro). Da non perdere ovviamente l’aperitivo Gin-Rosa, un infuso di 32 ingredienti tra erbe, bacche e radici, 25°, da bere shakerato con ghiaccio
HINOKI & THE BIRD 10 West Century Drive www.hinokiandthebird.com In città è l’apertura più chiacchierata del momento: lo chefsurfista David Myers, giovane re Mida dei fornelli che ha all’attivo diversi locali di successo tra Los Angeles, Las Vegas e Tokyo, ha inaugurato la sua ultima creazione in Beverly Hills, al piano terra del The Century, iper-lussuoso grattacielo disegnato dall’architetto Robert A.M. Stern, studiando persino per i suoi inquilini un esclusivo servizio di catering privato. Gli interni del ristorante sono firmati da Milo Garcia, che ha mescolato con stile ed eleganza il legno di cedro carbonizzato e la quercia, il rame brunito del tavolo social da 14 posti e l’alluminio del banco-bar dalle reminiscenze vintage, conferendogli un’impressione di artigianalità diffusa. Ma la vera protagonista resta pur sempre la cucina che, oggi più di ieri, Myers vuole legata al territorio. Una cucina che però si nutre dei suoi viaggi in Oriente, e che molti hanno già battezzato “cal-asian food”, cucina californiana moderna con influssi asiatici. La carta è suddivisa nelle voci Raw Bar (i crudi), Fun Bites (appetizer come il toast di granchio piccante), Inspiration (ricette che riflettono le influenze dei viaggi), Simply Grilled (di carne o pesce) e Vegetables, a cui si accompagna l’incredibile selezione di vini (1000 le etichette in cantina) e dei fantasiosi cocktail mixati da Sam Ross. Consigliato per ordinare il merluzzo nero profumato all’hinoki, presentato in tavola coperto da un foglio di legno hinoki che brucia
SANTERIA via Paladini, 8 02-36685216 chiuso lunedì / wi-fi Arredi artigianali in ferro, lavagne sparse, molta musica diffusa e live: la caffetteria di questo spazio polifunzionale (co-working incluso) in cui si respira aria di Berlino e Praga, è un valido indirizzo per cocktail e dintorni (7 euro con food abbinato). Si bevono birra Hibu da micro birrificio sull’Adda, i nuovi cocktail alle spezie, cedrate e spuma e l’ultimo creato, lo Slow Hand, con gin, Aperol, Cynar, mele, sciroppo di cannella, lime e angostura. Da non perdere un Hey Mate, cocktail a base di vodka, zenzero e club mate, importato da Berlino
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ROMA & CO. NIGHTLIFE DI LAURA CONTRIBUTOR NAME DI RUGGIERI
OFFICINA BIOLOGICA borgo Angelico, 30 06-6832382 sempre aperto Lo spazio è tutto in verticale: 5 piani in cui si dialoga e si gioca sulla commistione interno/esterno. Una factory aperta alla sperimentazione creata da un regista, un editore e un attore con la voglia di misurarsi con altro. Al piano terra non a caso si mangia soprattutto cibo da strada al bancone in ferro battuto, osservando impastare pizze, focacce e pane con una farina bio macinata a pietra in un mulino ad acqua e lievitata 4 giorni. Primo segnale del fatto che all'Officina la ricerca del piccolissimo produttore, dell’azienda familiare, è spinta all’estremo e spalmata su tutto il menu. Non è moda ma passione. La stessa Chiara, la sommelier, conosce uno per uno i 50 vignaioli naturali che ha in carta e vi racconta le loro storie come i profumi che troverete nel bicchiere. Frutta e verdura arrivano dalla Comunità di Capodarco, i formaggi da DOL, solo laziali. Anche i piatti hanno una storia che parla di terre “protette” come quelle del Parco del Pollino che Federico Valicenti vi farà scoprire salendo al secondo piano soppalcato o al terzo dove c’è il vero e proprio ristorante. Paste solo tirate a mano come le buonissime tagliatelle di misckiglio (miscela di 5 farine) del Pollino con cacio ricotta e peperoni cruschi, poi il millefoglie di agnello di Carpineto Igp. Conto che varia molto a seconda del piano, ma che raramente supera i 35 euro.
STREET & CHIC IL PANINO CHE EMOZIONA LA SANTERIA via del Pigneto, 213 06-64801606 chiuso domenica Tra le pagnottelle in carta (quasi 20, intorno ai 5 euro) la scelta cade sulla Regina di Cuori: bresaola della Valtellina, caciocavallo di Agnone e cime di rapa. L’apoteosi del gusto e del panino sono le “scarpette” a 6 euro: di polpette rosse, di coda alla vaccinara, di trippa. Sughetto a volontà e bei bocconcini da gustare nella pita ben succulenta. Molto invitanti anche gli altri sfizi in menu in questo locale un po’ bistrot, un po’ tapas bar, un po’ pizzicheria anche perché l’offerta prevede pure taglieri di formaggi e prosciutti italiani e spagnoli. Già la Spagna, fonte di ispirazione per Gioia, la proprietaria arredatrice che ha creato uno spazio curatissimo e pieno di atmosfera rétro. A terra mattonelle bianche e nere, bel bancone di legno scuro e marmo bianco di Carrara su cui scendono le luci, prosciutti appesi, piccola cucina a vista dietro i vetri.
ZIA ROSETTA via Urbana, 54 06-31052516 chiuso lunedì Chi poteva immaginarlo che proprio lei, quella pagnottella così normale da sempre sulle tavole casalinghe dei romani, potesse diventare la star di un localino molto vezzoso e curatissimo nei dettagli, tutto bianco e grigio, nel cuore del rione Monti! La rosetta à la page viene farcita con ottimi salumi di tradizione, formaggi selezionati tra produttori irpini,
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Consigliato per un aperitivo un po’ speciale sul tetto all’arrivo della bella stagione: bollicine importanti e crudi di pesce verdure a km 0. Il risultato è decisamente gourmet (al prezzo di 4,50 euro di media, solo cicoria e bottarga a 6 euro) come tutta la cornice di questo posticino dove acquistare e portar via oppure spiluccare sul posto, magari scegliendo dal bouquet ai tanti gusti delle minirosette. Buonissima la Cheris con tacchino, mela verde, indivia, salsa yogurt, erba cipollina. Insomma una nuova idea per un aperitivo diverso, per una cena veloce ma buonissima e per un evento alternativo ma molto foodie come quelli che spesso il proprietario, Alessandro Verderosa, organizza la domenica pomeriggio, con tanto di dj da far la coda lungo via Urbana. Consegne a domicilio con ordine minimo di 15 euro.
KNICK KNACK YODA (DAL PAPA) piazza Risorgimento, 11 347-4511356 chiuso domenica Da fuori hai qualche diffidenza, se non te l’avesse consigliato un amico fidato passeresti oltre. Invece una volta schedato tra i buoni indirizzi, ci tornerete spesso, soprattutto per gli hamburger. Tra i “the best” c'è il Boliviano de Paname: hamburger di chianina 150 grammi, speck croccante, spinaci, melanzane grigliate, germogli di soia, julienne di carote, scaglie di pecorino e crema di aceto balsamico. Dal bancone dall’aria un po’ vecchiotta scegli le tantissime verdure tutte cucinate, saporite, spesso ripassate in padella, con le quali farcire panini dal buon pane e dagli ingredienti proprio niente male. Il risultato sono veri e propri piatti molto ghiotti, intriganti negli abbinamenti come da menu (30/35 panini tra i 6 e i 10 euro massimo). Oltre il bancone, una saletta dallo stile un po’ underground con graffiti alle pareti, foto trovate o lasciate e una piccola console vintage col vinile, dove tirar tardi.
ROMA & CO. NIGHTLIFE DI CONTRIBUTOR NAME
TOKYO DI MIRTA OREGNA
BANCOVINO via Pietro Borsieri, 27 06-87673864 chiuso domenica e sabato a pranzo Scordatevi le grandi metrature, gli spazi immensi ai quali ci hanno abituati le ultime aperture romane. Qui avviene tutto in 60 metri quadri! Il regno di una food blogger con la passione per i fornelli oltre che per la scrittura, Francesca Romana Castellani, insieme a un compagno viticoltore laziale emergente i cui vini sono proprio una bella sorpresa. Trovano posto 20 persone al massimo, di cui 12 al banco, cuore del locale, e 8 su minitavoli reclinabili a parete, tra centinaia di prelibatezze tra bottiglie e prodotti. Mentre state provando un calice in mescita tra le 108 etichette, Emanuela, sommelier, maitre fromager, assaggiatrice di olio, vi tenterà con una degustazione espressa spaziando tra una tartare di tonno con mela verde, cipollotto, sake e miele (11 euro), oppure un carpaccio di manzo marinato alla soia (9) o una terrina di foie gras, pan brioche, gelatina di Sauternes e fichi secchi (13). Tra i caldi, il piatto più rappresentativo di BancoVino è la cocotte: una mini casseruola di ghisa dai colori vivaci con polenta e coda oppure baccalà e patate o sfoglie di pane carasau con broccolo romanesco e pecorino semi stagionato. Saranno più di 20 i gusti entro cui spaziare in una scelta a rotazione di quattro o cinque a settimana con un prezzo che si aggira sui 6 euro. Consigliato per
la cocotte all’occhio di bue con scalogno e lardo e la riduzione di Primolupo
CAFÉ KITSUNÉ 3-17-1 Minami Aoyama Minato-ku www.kitsune.fr Maison Kitsuné, il brand cult francese che prende il nome da kitsune, in giapponese “volpe”, animale magico e camaleontico capace di trasformarsi in molteplici forme così come questo brand si declina nei settori moda, musica e design, ha appena inaugurato i suoi due “pied-à-terre” non lontano da Omotesando, nell’elegante distretto di Aoyama, concentrato di templi antichi e case di samurai, architetture futuristiche, sontuosi ristoranti e case di moda. Nel delizioso spazio Café aperto all’interno della boutique si accede lungo un vialetto di ciottoli incorniciato da bambù, con panche per sedersi all’aperto, come nel cortile di una tradizionale casa giapponese. Poi, superata la porta scorrevole in carta di riso, il contrasto con l’occidente si vive nei parquet in legno e nel caffè (inteso bevanda) che qui prende il posto dei consueti tè giapponesi: ma non si tratta di un caffè qualunque, perché i barman hanno fatto scuola con Eiichi Kunitomo, fondatore del rinomato Omotesando Koffee, che a sua volta ha imparato l’arte del caffè nella nostra Napoli… Ed espresso, cappuccino e caffè-filtro firmati Kitsuné qui sono già un must. Consigliato per
aggiudicarsi una delle t-shirt bianche con il cuore e la scritta “Kitsuné Loves Japan” create per l’apertura e in vendita nella boutique adiacente
2 PERIODICO CAFÉ
IL GIARDINO DEI CILIEGI
via Leonina, 77 06-48906600 sempre aperto / wi-fi
via dei Fienaroli, 4 06-5803423 sempre aperto / wi-fi
Atmosfera vintage, dai colori alle pareti ai pezzi di mobilio pescati un po’ in giro e tutti diversi l’uno dall'altro, tutti in vendita, come le borse a tema con disegni di riviste degli anni ’60. Più di 30 cocktail in carta e molti improvvisati, si fa per dire, fino a notte fonda. In una zona del locale sono concentrati aromi e spezie in vaso, sopra la credenza d’antan troverete torte e biscotti in barattolo. Al tavolo con piattino vari sfizi a rendere sostanzioso l’aperitivo (sugli 8 euro): frittatine, torte rustiche, mini tramezzini, nachos e salse, crudité, qualche piccolo fritto.
Spazio storico a due passi da piazza Santa Maria in Trastevere dove si torna sempre molto volentieri sia per l’atmosfera calda e amichevole che si respira grazie anche ai ragazzi in sala e al bancone, sia per le proposte, ottime a qualsiasi ora. Alle pareti, immagini e citazioni dall’opera di Cechov che dà il nome al locale. Il pomeriggio, quando apre, è l’ideale per un tè, tra i 140 in lista, con buonissimi pasticcini e fette di torta. Per l’aperitivo si passa a rustici, cornetti salati, salumi e oltre 90 drink tra alcolici e non. I tre must dell’American Bar per il dopo cena sono il Bora Bora, il Mediterraneo e il Salome.
Da non perdere l’aperitivo con un’amica in mezzo allo shopping in zona Monti
Da non perdere le due serate con Giusy, cartomante storica del giardino, lunedì e giovedì: amore, oracoli, numerologie
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MILANO ULTIMA FERMATA DI FRANCO BOLELLI
WHY NOT? Se mi è permesso citarmi, tanti anni fa misi in scena in un piccolo, elegantissimo spazio – qualcuno lo definì il centro sociale dei ricchi – del centro di Milano un insolito festival dedicato alle culture neopsichedeliche. Qualcuno pensò a un recupero degli anni ’60, ma – essendo personalmente allergico a qualunque nostalgia del passato – la mia ambizione era diametralmente opposta: mostrare che il mondo che stava – erano quasi 20 anni fa – per affrontare un mutamento senza precedenti sarebbe stato l’habitat naturale per certi valori espansivi che il movimento degli anni ’60 aveva intuito per poi perdersi in una deriva inconcludente. Ecco, ora ancora di più. Perché è vero che nel mondo dove quel passato è presente in forma di citazione – vedi youtube – c’è spazio per qualunque stile e tendenza, ma se si vuole in qualche modo ricollegarsi a quel fenomeno si deve prenderne lo spirito, non certo la forma ridondante di orpelli. Diciamoci la verità, chi al movimento hippie ha messo in conto tante nefandezze non aveva tutti i torti: l’impietosissimo ritratto che ne fa Don Winslow in quel capolavoro che è “I re del mondo” è assolutamente ineccepibile. Ma chi è stato capace di liberarsi dagli stereotipi del
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movimento alternativo e controculturale e di distillarne l’essenza, bene, è a questa gente – da Stewart Brand allo stesso Steve Jobs passando per i più coraggiosi Fateci caso: quanto più una città è ricercatori scientifici e tecnologici – evoluta, quanto più è espressione del che dobbiamo i più grandi salti evolutivi mondo globale, tanto più ogni volta che della nostra epoca. Perché alla fine ci andate non potete non accorgervi che peace&love, look stravaganti e take it aumenta il numero di bambini che non si easy sono giusto specchietti per le riesce a definire in base ad alcuna identità allodole: la vera, grande spinta sta tutta etnica e razziale. È così a New York, in quell’attitudine “perché no?” che porta a Los Angeles, e poi a Londra, e giù a invariabilmente a scegliere l’esplorazione scendere. Le grandi metropoli sono sempre del non ancora fatto invece delle certezze più popolate da spettacolari frullati conservatrici del già fatto. Si fanno un genetici, seconda o terza generazione di sacco di velleitari pasticci gettandosi combinazioni dove le origini scivolano spensieratamente a vedere che cosa ci sempre più sullo sfondo e nuove misteriose può essere al di là della linea: però sfumature conquistano la scena. Ok, non è l’unico modo per allargare frontiere, tutte riusciranno come Jessica Alba o come scoprire orizzonti, espandere menti&corpi. – permettetemelo – la spettacolare bambina Tanto chi beatifica gli anni ’60 quanto californiana di mio figlio (babbo milanese e chi li demonizza non vede allora al di madre di San Francisco ma taiwanese): però là del proprio naso: perché non è affatto questa condizione indefinibile e plurale sta questione di anni ’60, ma di un’intera diventando non dico trendy ma in qualche relazione con il mondo e con le cose. modo familiare. D’altra parte qualunque Ogni volta che ci vien voglia di provare evoluzione in qualunque campo è sempre qualcosa che prima non c’era, non è nata da connessioni al di là dei confini, detto che andrà bene ma è soltanto così e viceversa le culture più arretrate sono che si possono vivere esperienze più quelle difensivamente arroccate su se appassionanti. stesse. Per esempio le città di frontiera hanno sempre avuto una loro particolare
DON’T FORGET
foto Tatiana Uzlova
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