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NUMERO 116
SOMMARIO 9 | EDITORIALE
54 | SCENT OF A GROUPIE
75 | FUORI
11 | ICON
foto Ivan Cazzola styling Ivan Bontchev
82 | ULTIMA FERMATA
13 | INTERURBANA
64 | DETAILS
al telefono con Matteo Boniciolli
di Ivan Bontchev e Tatiana Uzlova
15 | PORTFOLIO
66 | BOHEMIAN LIFESTYLE
Long playing a cura di Floriana Cavallo
foto Jessie Craig styling Delfina Pinardi
20 | CULT
74 | NIGHTLIFE
di Franco Bolelli
di Lorenzo Tiezzi
22 | MIA GOTH di Roberto Croci foto Mathis Wienand / Getty Images
24 | ALL’OMBRA DI UN CANESTRO di Franco Bolelli foto Robin Layton
P. 54
28 | IL SENSO DEI KASABIAN PER IL ROCK di Paolo Madeddu
P. 24
32 | MUSICA di Paolo Madeddu
34 | BRANDING TERROR di Francesca Bonazzoli
37 | DESIGN di Olivia Porta
38 | SIMON RICH di Sasha Carnevali foto Samantha Casolari
P. 34
43 | LIBRI di Marta Topis
46 | LA CITTÀ NEI DETTAGLI di Ciro Cacciola
Cover: Mia Goth foto di Gemma Booth / Trunk Archive
MENSILE, ANNO XIII, NUMERO 116 www.urbanmagazine.it redazione.urban@rcs.it
Facebook: Urban Magazine Twitter: Urbanrcs
DIRETTORE RESPONSABILE Alberto Coretti alberto.coretti@rcs.it
CAPOSERVIZIO Floriana Cavallo floriana.cavallo@rcs.it
FASHION a cura di Ivan Bontchev fashion.urban@rcs.it
PROGETTO GRAFICO Topos Graphics
SEGRETARIA DI REDAZIONE Rosy Settanni rosy.settanni@rcs.it
DIRETTORE MARKETING Giancarlo Piana
ART DIRECTION Sergio Juan
URBAN
via Rizzoli, 8 · 20132 Milano tel. 02.25.84.1 / fax 02.25.84.2120 testata del gruppo City Italia S.P.A. DISTRIBUZIONE PLP s.a.s. Padova tel. 049.8641420
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PUBBLICITÀ Milano Fashion Media Augusta Ascolese Corso Colombo, 9 20144 Milano tel. 02.5815.3208 cell. 335.6945.908 aascolese@ milanofashionmedia.it
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EDITORIALE
I SEGRETI DELLA CITTÀ L’identità degli Stati Uniti passa anche per gli infiniti campetti di basket che costellano i suoi centri abitati. L’identità di un gruppo terroristico è probabilmente più forte se il suo simbolo ha una grafica azzeccata. L’identità di una rockstar traspira anche dal paio di jeans che indossa. Quando si riconosce o ci si riconosce in qualcosa c’è sempre una componente apparentemente collaterale, subalterna, secondaria che gioca un ruolo di primo piano. Tutto questo vale anche per le metropoli? Forse l’anima di una città non si lascia ridurre in una grafica, in un luogo o in una consuetudine particolare. Eppure, se ci si fa caso, in ogni città è possibile isolare un certo numero di oggetti che le appartengono in esclusiva e che ce la raccontano come nessuno mai. A New York l’hanno già fatto. Provate con la vostra città e mandateci gli oggetti sul nostro FB.
HANNO COLLABORATO CON NOI Franco Bolelli Francesca Bonazzoli Bruno Boveri Ciro Cacciola Sasha Carnevali
Samantha Casolari Ivan Cazzola Jessie Craig Roberto Croci Daniela Faggion
Paolo Madeddu Mirta Oregna Delfina Pinardi Olivia Porta Sara Rambaldi
Leo Rieser Laura Ruggieri Lorenzo Tiezzi Marta Topis Tatiana Uzlova
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LOS ANGELES ICON
L’OGGETTO DEL MESE
MINI TERRARIUM
SCELTO DA JENNIFER ANISTON “Potrei elencarvi ragioni concettuali e risvolti educativi della mia passione per quelli che sono questi mini terrarium, piccoli giardini da tavolo, ma il vero motivo per cui in particolare ho comprato due mini Urban Living è di ben altra natura. Sheep, con tanto di montagne, pecore e pascoli, mi ricorda per esempio le mie origini, la mia infanzia in Grecia, da piccola, quando papà e il mio padrino (il famoso Telly Savalas aka Kojak, n.d.r.) mi portarono con loro per sei mesi. Fu un’esperienza indimenticabile che rivivo ogni volta che lo guardo!”. • URBAN | 11
ASTANA INTERURBANA DI DANIELA FAGGION
AL TELEFONO CON
MATTEO BONICIOLLI ASTANA È STATA SCELTA COME NUOVA CAPITALE DEL KAZAKISTAN POCHI ANNI FA. COME MAI? Almaty era troppo vicina alla Cina e le autorità del nuovo Stato volevano una città più centrale. Così hanno scelto la sede di una vecchia colonia penale dei tempi dello stalinismo, al centro della steppa, e l’hanno trasformata ex novo in capitale com’è successo a Brasilia. Era un piccolo paese, adesso sembra Las Vegas. CHI LAVORA NEL MONDO DEL BASKET SOGNA L’NBA. COME HAI FATTO A TROVARE L’AMERICA FRA LE STEPPE? Sapevo di non poter arrivare all’NBA e, vista la crisi del Vecchio Continente, ho puntato dritto ai tre nuovi poli d’attrazione del basket mondiale: Cina, Turchia ed ex Unione Sovietica. Certo, l’offerta di Astana all’inizio mi ha spiazzato, ma gli investimenti che il Paese sta facendo sullo sport come veicolo di promozione sono molto convincenti.
QUAL È L’ASPETTO PIÙ STIMOLANTE PER IL TUO LAVORO? Essere in un posto dove non si è già visto tutto, nel bene e nel male, ma dove c’è da costruire qualcosa dalle fondamenta. UN PO’ COME SUCCEDE, FUOR DI METAFORA, AD ASTANA? Esatto. La classe dirigente del Paese ha deciso di affidare la costruzione della città alle più grandi archistar mondiali – Norman Foster, per esempio. L’impressione, arrivando da fuori, è davvero strana, visto che attorno ad Astana ci sono centinaia di chilometri di steppa. UNA CATTEDRALE NEL DESERTO? Più una città da un milione di abitanti in cui nulla è lasciato al caso. I centri commerciali, per esempio, mandano in visibilio i nostri giocatori americani, mentre un’intera zona della città è dedicata allo sport con impianti avveniristici. Fra gli altri un velodromo da 12mila posti usato anche come campo da basket o uno stadio da 30mila posti con il tetto che si può aprire o chiudere a seconda delle stagioni.
LA TUA PRIMA ABITUDINE DI VITA CHE È CAMBIATA AD ASTANA? Contando che ho moglie, figli e amici a Trieste e in Italia, le 5 ore di fuso orario mi hanno costretto a un utilizzo massiccio della tecnologia in piena notte per restare in contatto con loro.
IL DOMANI PARLA KAZAKO? Non so se il domani, ma il dopodomani è probabile. Il completamento di Astana era previsto per il 2030, ma ha subito un’accelerazione fortissima in vista dell’Expo 2020 che seguirà quella di Milano. Il progetto più ambizioso prevede la costruzione di un quartiere in grado di ospitare 10/15mila persone, tutto coperto e con un microclima stabile intorno ai 20 gradi... Una bella ambizione per una città che d’inverno ho visto arrivare a -53°.
CHI PAGA TUTTO QUESTO SFOGGIO DI AMBIZIONE? Da un lato il petrolio che vede il Kazakistan fra i primi 5 produttori al mondo, dall’altro uranio e diamanti, per cui è fra i primi 10. Chiaro che i minatori del Mar Caspio non hanno la tv al plasma... INSOMMA, NEMMENO LÌ “LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO”... Quello non esiste da nessuna parte e sicuramente il passaggio repentino a un capitalismo molto aggressivo ha fatto “vittime”. Ma colpisce il grande orgoglio nazionale e la chiarezza di obiettivi per il futuro.
TUTTO COSÌ FACILE? Rimane il problema della lingua: il russo è molto difficile, il kazako non ne parliamo... e l’inglese non è così diffuso. UN’ABITUDINE DI ASTANA COMPLETAMENTE DIVERSA DALLA NOSTRA? Sia il lavoro che la socialità si svolgono per lo più all’interno di luoghi coperti, viste le condizioni meteo proibitive da ottobre ad aprile. Quindi i centri commerciali sono sempre popolatissimi, mentre non ci sono piazze.
QUESTO COMPORTA QUALCHE CHIUSURA SOCIALE? Non mi sembra, anzi. Anche dal punto di vista religioso c’è grande apertura verso tutte le fedi, mentre quella musulmana non è vissuta in maniera integralista.
MATTEO BONICIOLLI (Trieste, classe 1962), allenatore di basket. Nelle sue mani il principale club di Astana, con cui ha vinto gli ultimi due scudetti, e la nazionale kazaka del pallone a spicchi. In uno dei più grandi paesi fra Oriente e Occidente ha trovato un grande amore per lo sport, cui viene affidato il ruolo di volano verso la modernità. Con buona pace dell’NBA
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BOLOGNA PORTFOLIO A CURA DI FLORIANA CAVALLO
LONG PLAYING
Un quadrato che inscrive un cerchio. Una “forma perfetta”. L’indole pop di uno spazio creativo che si replica in decine di migliaia di copie. Nel corso degli anni il fascino ortogonale della copertina di un 33 giri è riuscito a catturare non solo le intuizioni di musicisti e relativi studi grafici ma, in alcuni casi, è diventato una “tela” per molti artisti veri e propri. Una mostra a Bologna prova a mettere in fila alcuni dei “Records by artists” più significativi, restituendoci un ritratto del nostro contemporaneo intrigante e inatteso. • Artelibro 2013 / Records by artists. Biblioteca universitaria di Bologna. Dall’11 settembre al 5 ottobre 2013. www.artelibro.it URBAN | 15
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MILANO & CO. CULT
ICONE SI NASCE? Non tutte le rock star fanno opere d’arte, ma non tutte le opere d’arte diventano rock star. Perché alcuni capolavori della storia dell’arte riescono a fare breccia nella cultura pop diventandone vere e proprie icone, mentre altre non ce la fanno a varcare gli spazi di cataloghi o libri scolastici? A provare a rispondere a questa domanda si sono cimentati Michele Robecchi, giornalista ed editor di Phaidon, e Francesca Bonazzoli, che oltre a essere firma d’arte per il Corriere è una delle colonne portanti delle pagine di Urban. Ne è uscito Io sono un mito. I capolavori dell’arte che sono diventati icone del nostro tempo: dal Discobolo alla Gioconda, da Guernica alla Gold Marilyn Monroe di Andy Warhol, in 144 pagine racconta la genesi delle singole opere, come abbiano raggiunto lo status di culto e come la loro percezione si sia evoluta nel corso dei secoli (19,90 euro, Electa). Non saltate la prefazione, firmata da un altro grande amico di Urban, Maurizio Cattelan!
www.electaweb.com
CRISTALLO & VANIGLIA Tra i cult 2013 ecco la nuova linea di bracciali OPS, profumati alla vaniglia, rivisitazione esclusiva di un must-have intramontabile della gioielleria, nuovo nei colori, nelle forme e nei materiali. Un corpo unico in silicone, con chiusura “push&pull” accoglie 31 preziosi cristalli Swarovski nel modello donna, 35 nel modello uomo, incapsulati uno a uno in un’anima di policarbonato. Versatile ed elegante fashion jewel, il bracciale OPS ironizza e rende più democratico lo storico design del rivière dalla montatura flessibile, rispettando la romantica tradizione del susseguirsi delle pietre in fila una di seguito all’altra, a simboleggiare l’amore eterno. (C. C.) www.opsobjects.com
SNEAKER: THE GOLDEN AGE Da sempre la corsa è stata congeniale all’uomo. Ieri per sopravvivere. Oggi per vivere meglio. Se la corsa aka jogging è diventata una sana mania contemporanea il merito è anche delle mitiche scarpe Onitsuka. Le nuove, bellissime Tiger Corsair sono la rivisitazione proprio di quei modelli che fecero esplodere la mania del jogging negli anni ’70 a NY. La nuova versione della sneaker in molteplici varianti cromatiche ha più ammortizzazione, cuscinetti a supporto dell’arco plantare, intersuola a tutta lunghezza e un maggior spessore del tallone per migliorare l’assorbimento degli impatti. Tutto questo senza sacrificare il design, sempre più cool. Come dire: run, baby, run .(C. C.) www.onitsukatiger.com
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LONDON & CO. CULT
HOGAN IN LOVE Anche per l’Autunno/Inverno 2013-14, Katie Grand, stylist e direttrice del brit magazine Love, ha collaborato con Hogan. La nuova collezione si chiama Gang, una capsule costruita sul successo della scorsa stagione, ampliando i modelli disponibili. Alle sneaker, alla ballerina, alle borse in pelle e agli occhiali da sole si sono aggiunte custodie per iPad e iPhone, una tap shoe, una skate shoe e una borsa da viaggio con rotelle. Materiali prediletti: vitello e camoscio, vernice elegante e un robusto pregiato canvas. L’estetica resta intensa e audace. “Abbiamo dato importanza alle righe zebrate” dice Katie di questa seconda capsule, celebrata con formato extra-large in una rivista ad hoc con shooting del fotografo Daniel Jackson. La collezione è già disponibile nel web & nel mondo. La firma con il motivo a cuore? Quella c’è! (Ciro Cacciola) www.hogan.com
UN PO’ D’ESTATE SOTTO LA PIOGGIA In pieno inverno con… Havaianas?! Con la creatività e l’immaginazione del noto brand do Brasil, ecco on the road e persino under the rain i nuovi Rain Boot, fashion e variopinti, in gomma colorata, sicuro must have della prossima stagione. Stilosi stivali da pioggia, insomma, con profili a contrasto realizzati con lo stesso materiale delle tiras delle infradito, per portare un po’ di estate anche sotto la pioggia! Grazie al rivestimento interno con soffice garza di cotone, risultano estremamente caldi e confortevoli. A partire da 50 euro. (C. C.) www.havaianas.com
CALZE A TUTTO WEB È un’idea tutta italiana ma arriva da NY la novità del mondo dell’e-commerce: si chiama Soxiety.com ed è l’unico negozio online specializzato nella vendita di calze 100% made in Italy e di qualità, con tante idee social/interattive per i suoi customer. Filo di scozia in cotone per l’estate, cashmere fresco contro il freddo, le calze Soxiety sono fatte apposta per durare nel tempo e per essere impeccabili in ogni momento della giornata. Rigate & lisce. Fantasia o tinta unita. Perché sì, l’eleganza si nota anche dalle piccole cose. (C. C.) www.soxiety.com
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LOS ANGELES CINEMA
TESTO ROBERTO CROCI FOTO MATHIS WIENAND/GETTY IMAGES
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MIA GOTH
Appuntamento da Milk, the best joint-snack bar di West Hollywood, specialmente se avete voglia di dolci e gelati – consigliati ice cream sandwiches, NY cheese cake alla cannella e i difficilissimi da finire ooey-gooey double-chocolate cookies. Non la conosco affatto (voglio essere sempre sorpreso da chi intervisto), non so chi sia, né come fisionomia (bionda, bruna, alta, bassa), né come caratura professionale. Ecco il perché del danzare veloce dei miei occhi su qualsiasi ragazza che entri, esca o mi si avvicini.
Brasile. Era amico del regista Neville d’Almeida e dell’artista Hélio Oiticica. Quando è tornato a New York nel 1971 ha collaborato con Vito Acconci e Gordon Matta-Clark. L’anno dopo ha conosciuto Bob Marley, che a quel tempo non era ancora famoso, e lo ha seguito in Giamaica. Lì è diventato rastafarian e ha suonato con i Wailers, scattando fotografie del gruppo per anni. Ha prodotto anche Legalize it di Peter Tosh e scattato la famosa foto della copertina. Le parole di Natural mystic parlano di mio nonno, che ora vive a Venezia.
PERCHÉ HAI VOLUTO FARE L'ATTRICE?
“Is that you Roberto?”, detto da una vocina sottile sottile. “Sì, come hai fatto a capirlo?”. “There are 3 girls, and two teenagers, you are the only one....” “One what?”. Che cosa voleva dire? No ragazzi, non voleva intendere vecchio, ottuagenario o di mezza età, è solo che... Mia Goth (19 anni), ragazzina urbana, energetica, entusiasta e carina da morire, è perspicace, veloce di mente, più matura della sua età.
Come attrice uso il mio corpo come strumento. È una relazione interessante tra mente e fisico, espressività e fantasia. Dopo i primi lavori da modella mi hanno chiesto se volevo fare audizioni per recitare. Ho sempre ricevuto opinioni positive ma nessuno era interessato a farmi lavorare, non mi conoscevano. Poi dopo vari rifiuti, ho smesso di avere fretta, volevo finire di studiare. Lo stesso giorno dell’esame di maturità ho avuto il primo appuntamento con Lars.
“The only one who looks Italian”.
Non ho mai avuto problemi per il fatto che nel film facevo sesso o per la nudità, ero molto più preoccupata di non saper recitare. Su un progetto del genere devi dare il 110% di te stessa, avere fiducia nelle tue capacità. Il film è molto poetico. Lars ha inventato un nuovo linguaggio cinematografico, che chiama digressionismo, ispirandosi a Marcel Proust, dove l’enfasi del personaggio non è su te stesso ma su quello che la gente vede in te. Un concetto interessante, come se qualcuno leggesse in tempo reale la tua storia. L’esperienza più bella della mia vita, my first gig!
E brava la signorina, il tutto detto con accento londinese e inflessione portoghese, sua prima lingua. Mia Goth, capelli castani, due efelidi su naso e guance, labbra piene à-la Bardot, è uno dei nuovi volti di Hollywood, attrice debuttante nell’ultimo film di Lars Von Trier, il controverso e atteso Nymphomaniac, il dramma erotico di una donna convinta di essere una ninfomane, al fianco del fidanzato Shia LaBeouf, con Charlotte Gainsbourg, Willem Dafoe, Uma Thurman e Stellan Skarsgard. Cosmopolita, nata a Londra, cresciuta tra Rio De Janeiro e il Canada, Mia viene scoperta come modella a soli 15 anni, dalla fotografa Gemma Booth, che le fa firmare un contratto con l’agenzia Storm.
DOVE VIVI? Adesso a Los Angeles, nella San Fernando Valley.
COME INIZIANO LE TUE GIORNATE A L.A.? Mi sveglio, caffè, poi una bella nuotata all’aperto, sotto sole e palme. Essendo londinese considero il clima della California del Sud una benedizione divina. Da quando vivo a L.A. sono fisicamente più attiva, dopo la piscina vado a correre. Quando sono a Londra voglio solo stare a letto e mangiare mushroom pie.
COME SEI FINITA A RIO? Mia madre ha conosciuto mio padre a Ipanema ed è rimasta incinta giovanissima, aveva appena 20 anni. Quando io ne avevo cinque ci siamo trasferite a Londra, ma lei odiava il clima, e dopo qualche mese siamo partite per il Canada, per vivere con mio padre. È stata una pessima idea, la loro relazione è sempre stata un disastro. Rio è un posto meraviglioso dove i rapporti umani sono più importanti del tuo stato sociale, la gente vuole stare insieme, vivere creativamente. Durante il fine settimana ci si incontra per strada e si scambiano opinioni, esperienze di vita. Un ambiente molto diverso rispetto a Londra o Parigi dove ognuno vive un po’ per se stesso. Non ho mai avuto la possibilità di avere un gruppo di amici fissi perché viaggiavamo continuamente, il mio accento cambiava di conseguenza, è sempre stato uno strano misto di culture diverse. Anche i vocaboli mi hanno creato spesso problemi: mi ricordo una volta che ero in classe in Canada e chiesi al mio compagno di banco di passarmi the rubber... per me significava la gomma, per lui un preservativo! Nonostante tutto sono contenta di essere cresciuta vagabonda, non cambierei le mie esperienze per niente al mondo: il mio nome per intero è Mia Gipsy, l’ho ereditato da mio nonno.
COM'È STATO LAVORARE CON LUI?
ALTRI REGISTI CON CUI VORRESTI CONFRONTARTI? Tutti quelli che vogliono donne forti nei loro film. Almodovar, Paul Thomas Anderson, Alejandro González Iñárritu: Amores perros è uno dei miei film preferiti.
HAI QUALCHE DIFETTO? Sono completamente scoordinata. Sto studiando per fare la patente e faccio fatica a distinguere tra la destra e la sinistra. Devo mettere dei bigliettini sul cruscotto, sperando di passare l’esame.
DI CHE COSA HAI PAURA? Se sono sola in casa, di qualsiasi rumore, soprattutto se mi svegliano durante la notte. Ho paura di invecchiare da sola, quando avrò 80 anni vorrei un uomo al mio fianco, da stringere e abbracciare. Quando vedo coppie anziane che si stringono la mano mi commuovo, è un’immagine che mi accompagna spesso, molto dolce. Everyone wants that from life. •
E CHE COSA FA TUO NONNO? È un artista, fotografo di New York, nato nel Bronx da famiglia ebrea. Ha sempre suonato benissimo l’armonica e all'inizio degli anni ’70 decise di trasferirsi in
19 anni, mente veloce, nonno fotografo rastafariano e una biografia che assomiglia a un mappamondo. L’identikit perfetto della giovane promessa di Nymphomaniac, l’ultimo atteso film di Lars Von Trier
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BROOKLYN & CO. FENOMENI
ALL’OMBRA DI UN CANESTRO TESTO FRANCO BOLELLI FOTO ROBIN LAYTON
Provate a pensare alla O di Giotto, il cerchio perfetto. E poi a tutte le volte in cui un anello è protagonista evocativo e simbolico, dal Signore degli anelli agli anelli di Saturno, dall’Anello dei Nibelunghi all’anello del matrimonio. Ecco, vorrà pur dire qualcosa se lo sport più intenso mai inventato – riflessi istantanei, continui cambi di scena, movimenti e decisioni rapide e improvvise – ruota appunto intorno a un anello, appeso a dieci piedi da terra. Questo splendido, lussureggiante libro, in uscita a ottobre – Robin Layton, Hoop, Powerhouse Books – mostra anzi che esiste in America una vera e propria “mistica” dell’anello dove lanciare una palla arancione (ce n’è uno anche alla Casa Bianca, a testimoniare la spiccata vocazione di Barack Obama per il basket). In qualunque luogo compreso fra l’Atlantico e il Pacifico e fra il Canada e il Messico quegli anelli sono davvero onnipresenti: si trovano sopra il garage delle villette e nei granai, a un passo dall’oceano e nei punti più impervi delle montagne, e anche nei posti più sperduti è impossibile non sentire l’inconfondibile rumore di quella palla che rimbalza. Per sovrabbondante esperienza personale, posso garantire che ritrovarsi tu, la palla e il canestro – e nel caso
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dei ragazzini anche un universo di sogni – vale per la costruzione del senso di sé più di qualunque esercizio di meditazione. Quando poi dalla dimensione singolare ci si proietta in quella condivisa, allora eccoci nella mistica del playground, il definitivo luogo di formazione di almeno mezza America. Perché il playground non è semplicemente il più naturale habitat del divertimento atletico collettivo e un fondamentale luogo di socializzazione, ma un vero mondo parallelo mitologico (l’equivalente del garage per le rock band e per gli inventori di tecnologie). Si penserebbe che i playground siano il regno di miriadi di dilettanti più o meno adolescenti e di un pugno di amici e parenti: è vero per i playground più ordinari, ma se stringiamo l’inquadratura su quelli più famosi delle grandi città, allora le cose sono un po’ più complicate di così. Prendiamo per esempio Rucker Park, Harlem, New York: per dirvi il magnetismo di questo posto, pensate che tutti i più grandi giocatori hanno voluto lasciarci l’impronta del loro passaggio, e poi però considerate che lì le vere leggende non sono Michael Jordan e Kobe Bryant, ma gente che non è mai arrivata neanche lontanamente vicina al livello della fama planetaria e degli assegni a otto cifre. Perché in questi playground la reputazione da strada gode di molto maggior credito che non le partite al Madison Square Garden e allo Staples Center. A Rucker Park – come al playground di Venice Beach e ad altri così – girano storie orali degne di Omero, gesta e personaggi al confine dell’incredibile e oltre: per dirne uno, Earl Manigault, disadattato re di Harlem del quale si tramandano prodezze atletiche e tecniche intorno agli anelli dei canestri che neanche Achille ed Ettore messi insieme. In posti così si trovano i veri inguaribili patiti di basket e i cacciatori di talenti, insieme a scommettitori e ad altre figure con una sostanziosa vocazione per l’illegalità, tutti uniti dal senso epico che emana da quelle interminabili sfide nelle quali il basket è davvero una metafora dell’esistenza da strada, con i suoi riscatti e le sue cadute, i tormenti squarciati da rari folgoranti momenti di estasi. Perché con una palla fra le mani, fra quei due cerchi magici separati da 30 metri, quel senso delle opportunità così proverbialmente americano esce dalla retorica e diventa materia viva. •
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BERLIN MUSICA
IL SENSO DEI KASABIAN PER IL ROCK TESTO PAOLO MADEDDU
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© Trisha Ward
© Trisha Ward
È strano che in una rockband non sia il cantante a essere richiesto come testimonial di un brand di moda (G-star Raw, n.d.r.), bensì il chitarrista. Nei Kasabian la cosa è abbastanza spiegabile: il frontman Tom Meighan catalizza la scena sul palco e con la sua timbrica vagamente allucinata contribuisce alla riconoscibilità del suono del gruppo. Però, come dire, è un po’ paffuto. Nonché poco proponibile come modello di stile. Nota bene: ci hanno pure provato. Ma il pazzoide da pub che è in lui viene fuori implacabilmente. Serge Pizzorno viceversa ha un physique du rôle impeccabile: a tratti ricorda il chitarrista/bandleader del film Almost famous. Alto, magro, occhi attenti e capacità di articolare dei pensieri molto superiore a quella del vocalist – al quale comunque, a differenza di quanto accadeva nel film, vuole molto bene. Il gruppo di Leicester in questo momento è quasi una specie protetta: è uno dei pochi nomi emersi negli ultimi dieci anni in campo rock ad avere ottenuto un n.1 nel Regno Unito e ad aver fatto da headliner di grossi festival (Reading, Leeds). Perché anche se il rock è in fase di stanca, apparentemente c’è ancora bisogno di ciò che rappresenta. E se lo pensa il mondo della moda, che pure sembrerebbe più vicino ai generi pop, dance, r’n’b, dev’essere vero. Ma come mai? Beh, lo abbiamo chiesto a lui.
PERCHÉ L’IMMAGINE DEL ROCK ORA COME ORA VENDE MEGLIO DEL ROCK? Perché è ben definita. Da una popstar non sai cosa aspettarti. Noi invece siamo dei fuorilegge.
OH. WOW. Viviamo come se lo fossimo. Perché siamo sempre in tour, siamo sempre in situazioni che hanno una assurdità di fondo. Non viviamo nel mondo reale. Perciò è ovvio che c’è un alone di pazzia attorno a noi. Che è legata alla coolness della nostra immagine, direi.
MA I KASABIAN SONO IN GIRO DA QUALCHE ANNO, SIETE STATI AL N.1, AVETE AVUTO LE COPERTINE, SUONATO DAVANTI ALLE FOLLE... NON POTETE PERMETTERVI DI FERMARVI E RALLENTARE, FARE MENTE LOCALE?
G-STAR RAW Essential, collezione Premium, Denim Pea Coat in Blu Mazarine. Foto di Rankin
No, perché vivi sempre come se non avessi molto tempo. E sei spaesato se ti fermi. Devi andare avanti, sai, la macchina non si deve mai spegnere.
MENTRE NON TI SENTI SPAESATO A FREQUENTARE L’AMBIENTE DELLA MODA? È interessante vedere come funzionano altri mondi. Se un musicista frequenta il giro del cinema o della tv, la cosa è considerata naturale. Secondo me, è importante stare con gente che ha un punto di vista sul mondo, ha delle idee, e vedere come le mette in pratica. Si possono prendere un po’ di cose dal giro della moda. Oppure lasciarle dove sono! Mi è utile anche solo stare a guardare e capire le differenze col nostro ambiente. Stare 24 ore al giorno immerso solamente nella scena musicale ti dà una visuale limitata.
IL VOSTRO ULTIMO ALBUM È FUORI DA DUE ANNI. È ANDATO MOLTO BENE. A QUESTO PUNTO, COSA PENSI DI FARE: CONTINUARE COSÌ VISTO CHE LA FORMULA FUNZIONA, O CAMBIARE PER NON ESSERE SUPERATI? È presto per dirlo, ma il concetto che mi interessa di più, quello da cui partiremo, sarà quello di psichedelia futuristica. Vorrei un grande disco che abbia l’impatto del rock, pur non ignorando che in questo momento c’è grande musica elettronica in giro. La musica va per cicli e in questo periodo come dicevamo prima il rock non è una forza propulsiva. Però ci sono certe caratteristiche che mantiene, e che sono sue. Penso che nel rock si trovi più facilmente una buona canzone. Penso anche che l’energia che i musicisti dance hanno durante i loro show sia fortissima, è quella dei rave, però non riescono mai a metterla su disco. Così nell’elettronica il divario tra ciò che ascolti dal vivo e ciò che ti può dare il disco è maggiore. Spesso i dischi dei più grandi artisti elettronici in circolazione sono deludenti, no? E soprattutto non ti danno una canzone che tu possa tenere con te. Ma non guardo all’elettronica come a un nemico. C’è qualcosa di tribale nella dance music che dovremmo fare nostro. Poi c’è l’idea della band, che rimane la struttura portante del rock.
IN CHE MODO? Noi come generazione siamo cresciuti con l’idea della band. Chi comincia a fare musica adesso però trova molto facile fare tutto da solo, ha gli strumenti per farlo. Così puoi saltare il passaggio che ti portava a trovare le tre, quattro persone giuste con cui entrare in sintonia e formare una band. Oggi un ragazzo o una ragazza non ha bisogno di altri per realizzare la musica che ha in testa, non dovrà scendere a compromessi. Ma questo può essere sia positivo che negativo, perché le grandi band hanno sempre avuto almeno due fonti di energia. Jagger e Richards, Lennon e McCartney, eccetera. Era dall’incontro che nasceva il rock. Mentre la musica elettronica e la dance sono musica che, ecco, si capisce che sono molto individuali.
PARLANDO DI BAND STORICHE, NEL ROCK È PRASSI FARE PARAGONI. TI ANNOIANO GLI ACCOSTAMENTI, TIPO: QUI SUONANO COME GLI STONES, QUI COME I LED ZEPPELIN, QUI COME GLI OASIS O I PRIMAL SCREAM... Mi danno fastidio quando ci trovo della pigrizia. Mi interessa se chi lo fa vuole suggerire che se i Led Zeppelin o i Rolling Stones nel loro momento migliore, con l’ispirazione di quando avevano 25-30 anni, fossero in giro nel 2013, farebbero ciò che facciamo noi. È il miglior complimento che possa ricevere. Anzi, no, quello sarebbe leggere che se i Kasabian fossero stati in giro 40 anni fa sarebbero stati i Rolling Stones, ma penso che se qualcuno lo scrivesse sarebbe immediatamente colpito da un fulmine... •
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MILANO & CO. MUSICA DI PAOLO MADEDDU
DUE RAPPER & UNA BAND I AM LEGION 15 OTTOBRE MILANO – MAGAZZINI GENERALI Non sappiamo cosa aspettarci. Beninteso, non che la cosa sia sempre un bene – a volte è un male. Quel che è certo è che loro la stanno mettendo giù da fenomeni: roba che i Daft Punk al confronto hanno scelto un basso profilo. Insomma, il nome con allusione apocalittica, il conto alla rovescia partito già a giugno sul loro sito internet, il terribilismo delle immagini diffuse, il mistero musicale alternato a leaking ben calcolati. E tutto questo per l’unione di due nomi che in Italia diranno pochissimo a chi non rientra nella cerchia degli appassionatissimi: un supergruppo risultante dall’unione di due band, anzi, no (...era una vita che sognavamo di scrivere quello che segue): un progetto che fonde due progetti. Il primo, NOISIA (sarebbe “VISION” al contrario. Uh!) è un trio olandese che fa drum and bass, house, dubstep, techstep, neurofunk, breakbeat e se volete vi danno anche un’occhiata allo spinterogeno. Mandano avanti tre etichette discografiche e remixano per la
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qualunque, da Skrillex ai Korn. Per creare la Legione, a loro si sono uniti Orifice Vulgatron e Metropolis, rapper appartenenti ai Foreign Beggars, gruppo hip-hop inglese molto grime, non di rado house ma decisamente grime, in giro da una decina d’anni, attualmente affiliato all’etichetta di Deadmau5. Le due entità hanno già collaborato in passato, cosa che ha indotto gli occhiuti olandesi a mettere al bando le diffidenze: “Lavorare con altri implica una dose di flessibilità che spesso porta troppo lontano dai propri obiettivi primari. C’è molta gente che rispettiamo, ma non siamo ansiosi di vedere che cosa succederebbe se...”, ha spiegato Thijs de Vlieger dei Noisia. “Ma quando incontriamo i Foreign Beggars sappiamo esattamente cosa si scatena, è sempre una festa quando ci troviamo. Abbiamo un’idea molto precisa di cosa possiamo fare con loro che non potremmo fare da soli – sappiamo che cosa aspettarci”. Loro sì. Noi no. •
THESE NEW PURITANS FIELD OF REEDS
MINKS TIDES END Captured Sounds
WHO: Sean (o Shaun) (o Sonny) Kilfoyle, bostoniano trasferitosi a Brooklyn. Nelle foto “del gruppo” sul sito ufficiale è solissimo e con l’aria deprecabile. All’epoca del primo disco, accanto a lui c’era anche Amalia Bruun, stangona danese, che lo faceva sembrare ancora più deprecabile.
WHERE: Apparentemente in uno stato d’animo migliore, da quando lei lo ha mollato. La musica è sempre malinconica ma più lieve. Per dire, il primo disco conteneva Funeral song e Cemetery rain. Il primo singolo di questo è invece intitolato Everything’s fine. Sì, avete ragione: amiamo le interpretazioni superficiali e il banalismo d’assalto. Rendono il mondo migliore. WHY: Da quella specie di imitazione dei primi Cure iniziale, Sean è passato a un sound nostalgico di chitarrine e corse sulla spiaggia e New Order più agrodolci.
WHAT: “Scrivo di varie cose, della gente che si picchia allo stadio, delle giornate al mare da piccolo, dell’isolamento magico dell’amore”.
WHEN: Quando capite che l’estate è fuggita via. Con la cassa.
UNA SU 11 EDITORS “THE WEIGHT” DA “THE WEIGHT OF YOUR LOVE” Pias/Self
JON HOPKINS IMMUNITY Domino
WHO: 34enne nato a Wimbledon. Brillante studente di pianoforte al Royal Music College, traviato dalla house e da un Amiga 500, usato per programmare musica. Ha inciso cinque album da solo, uno con King Creosote, uno con Brian Eno. Certe cose che si sentono in Viva la Vida dei Coldplay le ha firmate lui. Ha remixato questo e quello.
WHERE: Su un cuscino di suoni fatti da macchine da lui istruite. Forse con la speranza, e non il timore, che poi facciano per conto loro come le scope dell’Apprendista Stregone. WHY: I discendenti di Eno sono noiosi. Anche Eno è sempre più noioso. I paesaggi elettronici sono noiosi. Però Hopkins non lo è! Tira dentro senza ipnotizzare, è dance ma anche ambient. Segnaliamo Immunity anche se non è appena uscito. Voi tre che lo conoscete, potete smettere di sogghignare.
WHAT: “Da ragazzino amavo
FUCK BUTTONS SLOW FOCUS
Pias/Self
ATP
WHO: Jack Barnett, 25 anni,
WHO: Andrew Hung e Benjamin John Power, trentenni, di Worcester, ex studenti di Belle Arti a Bristol, arrivati al terzo disco. Cocchi della critica avanguardista. Mmh. D’altra parte, alla fin della fiera, chi non lo è.
autore, produttore, cantante, polistrumentista di Southend, nell’Essex. Più il suo gemello George, che invece suona a malapena la batteria (in compenso fa il modello per YSL e Gucci, toh). Più Thomas Hein, che suona basso, tastiere, batteria.
WHERE: Lontano anni luce dai due dischi precedenti. Anzi, se sapevate qualcosa di loro, dimenticatevelo. Prima facevano rock, post-punk. Adesso sono diventati un gruppo di musica classica contemporanea, in una delle reinvenzioni più spiazzanti e veloci a nostra memoria.
WHY: Musica ambiziosa, imprevedibile, una colonna sonora per sogni interessanti. Certo non ci si fa il trenino a Capodanno (oddio, dipende. Insomma, se proprio volete). Segnaliamo l’album anche se strettamente parlando, non è appena uscito. Voi quattro che lo conoscete, potete smettere di sogghignare. WHAT: “Non dovrei dare interviste. Non sono in grado di spiegare la musica che faccio. Non è chiaro nemmeno a me. Metto semplicemente i suoni uno dopo l’altro”. (Jack Barnett)
Depeche Mode, Pet Shop Boys ed Erasure. Ma non era per le canzoni, quanto per il suono. Avevano il suono dell’ingegno umano”.
WHEN: Quando capite che
WHEN: Quando dovete pensare. Ma ricordate: i cervelluti si affidano all’ispirazione.
l’autunno vi ha già presi e sottomessi, e voi non vi siete realmente battuti perché questo non succedesse.
Qui non è più questione di rimbrottare l’ineffabile cricca di musoni per il loro reiterato joydivisionismo. Fosse solo questo, non diremmo nulla che non sia già ampiamente risaputo e anche, tutto sommato, incondizionatamente approvato dalle invaghite, sospiranti schiere di fan. La verità più imbarazzante è un’altra. È che questo disco si candida a ideale soundtrack per il prossimo film della saga di Twilight. Ogni struggimento, ogni accordo dolente, ogni straziato barrito di Tom Smith sfiora l’autoparodia, poi ricade comodamente in quello che è diventato un sottogenere pop buono per un’ampia fascia giovanile in lutto per se stessa. Il pezzo da salvare, se fossimo veramente cattivi, sarebbe il primo singolo A ton of love, nel quale, con appropriato autoesorcismo, vediamo il quintetto uscire dal corpo
WHERE: In un maelstrom di suoni elettronici, un fracasso zen sintetizzato.
WHY: È il disco di due poeti del frastuono, due esteti del volume: il concetto chiave è quello di “crescendo”, è a quello che tendono instancabilmente. Segnaliamo questo disco anche se strettamente parlando, non è appena uscito. Voi cinque che lo conoscete, potete smettere di sogghignare. WHAT: “La nostra musica è effettivamente molto rumorosa e avvolgente, e la naturale reazione iniziale è quella di allontanarsene. Ma ho osservato che gradualmente ci si dimentica di trovarsi immersi in questo suono fortissimo e ci si ritrova in uno spazio completamente diverso, tanto per cominciare a causa del fatto che non si è più in grado di comunicare con il resto delle persone” (Andrew Hung). WHEN: Quando capite che, insomma, cosa ci state a fare nel posto in cui siete ora?
degli Editors, e contempliamo le anime tormentate degli afflittissimi rocker di Birmingham mentre entrano nei corpi da anni sepolti dei Mission, dove i loro spiriti sembrano trovare finalmente requie(m). Oh, ma sarebbe troppo comodo per loro. Ci divertiamo di più a osservarli mentre tentano di far passare per proprie le cadenze dei Depeche Mode nel brano intitolato The weight, che apre l’album. Certo, gli strumenti (e la voce) non sono quelli che hanno fatto le fortune dei più famosi connazionali. Però provate ad ascoltare il pezzo e immaginarlo con i gotici synth depechiani: persino il titolo sembra rubato all’angoscia laconica di Martin Gore. D’altro canto, si sa che la principale abilità di un editor è quella di valorizzare le idee altrui. •
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MILANO & CO. GRAFICA
GRUPOS DE RESISTENCIA ANTIFASCISTA
AUM SHINRIKYO (AUM)
NATIONAL DEMOCRATIC FRONT OF BODOLAND (NDFB)
Quanto vale un brand del terrore? Anche la violenza ha bisogno del marketing o è il marketing a essere intrinsecamente violento? Un libro sulla grafica dei gruppi terroristici cerca di rispondere Ci vuole coraggio a pubblicare un libro come quello che 24 Ore Cultura propone fra le novità di questo autunno. Si intitola Branding terror ed è la prima raccolta completa di loghi utilizzati dai gruppi di rivolta e dalle organizzazioni terroristiche mondiali, da al-Qaeda al Fronte Popolare per la liberazione della Palestina, dalle BR ai Tamil Tigers. Provocazione? Desiderio di shokkare come ha fatto lo scorso luglio il magazine americano Rolling Stone mettendo in copertina il volto del ragazzo ceceno, autore dell’attacco terroristico alla maratona di Boston? Certo la ricerca dell’originalità per farsi notare nel difficile mercato editoriale può aver giocato la sua parte, ma l’operazione è stata gestita con l’imprimatur dell’autorevolezza. Innanzi tutto coinvolgendo un’autorità indiscussa della grafica: Steven Heller, ex art director del New York Times nonché autore o coautore di oltre 120 libri sul design e la cultura popolare. I testi, poi, sono stati affidati ad Artur Beifuss, che ha lavorato per le Nazioni Unite come analista
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del contro-terrorismo, e Francesco Trivini Bellini, direttore creativo che ha sviluppato i molti marchi. Ogni logo è presentato da una scheda che descrive l’ideologia del gruppo, la leadership e il modus operandi. In fondo al volume si trova anche una cronologia delle più eclatanti azioni terroristiche e un glossario. Nessun giudizio politico viene emesso: le valutazioni di merito sono solo estetiche. “La violenza estrema commessa in nome di questi simboli sminuisce il fatto di scriverne in termini di estetica e valore produttivo, al punto da sembrare sciocco e irrilevante”, scrive Steven Heller, mostrandosi consapevole delle possibili accuse di spregiudicatezza. “Eppure questi gruppi terroristici sono tutti marchi, e ottengono una certa possibilità di sopravvivenza grazie a metodi legati al branding. Il branding è uno strumento senza coscienza o moralità; può essere usato a scopi sia positivi sia negativi, a volte in contemporanea. Sono immagini che esistono per
HAMAS
HEZBOLLAH
BASQUE FATHERLAND AND LIBERTY (ETA)
LIBERATION TIGERS OF TAMIL EELAM
ISLAMIC JIHAD MOVEMENT IN PALESTINE
TESTO FRANCESCA BONAZZOLI
BRANDING TERROR
innescare una reazione morale. Ciò che sembra innocuo potrebbe essere un espediente simbolico per ridurre l’orrore. E ciò che pare alquanto minaccioso può essere un modo ugualmente simbolico di insinuare terrore nel nemico e rinsaldare la lealtà dei seguaci”. Così, sempre secondo Heller, la bellezza semplice della bandiera dell’Esercito di Maometto, nega visivamente la violenza di un gruppo che ha ucciso centinaia di persone in Kashmir. Allo stesso modo, il simbolo di Jemmah Anshorut Tauhid è così kitsch da sembrare, dice Heller, piuttosto il logo di un sito internet di shareware. Aquile e armi sono fra i cliché più abusati e se i loghi delle Liberation Tigers di Tamil Eelam soffrono di un eccesso di ritocchi con Photoshop, sempre a giudizio di Heller, la bandiera verde con la stella gialla in un cerchio rosso, disegnata dal National Democratic Front of Bodoland, è impressionante da un punto di vista tecnico.
“Il logo è il punto di contatto essenziale tra il pubblico e qualsiasi prodotto, gruppo o organizzazione. Che cosa sarebbe la Chiesa cattolica senza il crocifisso (in origine considerato fuorilegge)? Adolf Hitler avrebbe comandato la Germania senza l’uso rituale della svastica, oggi fuorilegge in quel Paese? E cosa sarebbero gli Stati Uniti senza le stelle e le strisce?”. Con tale approccio neutrale, da esperto della comunicazione visiva, Heller ci apre gli occhi su come un logo di successo sia composto in parti diseguali di mitologia e verità, e Artur Beifuss ci spiega che il “branding”, cioè l’identità visiva di un gruppo terroristico, è importante tanto quanto la sua segretezza. Forse, capire come il terrore si muova con le stesse logiche con cui le aziende vendono la riconoscibilità dei propri prodotti, potrà sottrargli quell’alone di fascino perverso che irretisce alcuni individui. Alzare il velo sulla banalità del marketing potrebbe far crollare qualche falso mito. •
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STOCKHOLM DESIGN DI OLIVIA PORTA
PERCORSI D’ACQUA Una doccia dove l’impianto idraulico è a vista, i muri sono inesistenti e l’acqua cade a pioggia come nella realtà. È l’installazione creata dal gruppo svedese Front per il progetto Waterdream del marchio tedesco di design Axor di Hansgrohe. Un percorso arzigogolato composto da tubi, valvole, raccordi e imbuti, che si trasforma in un oggetto importante, quasi scultoreo, diventando protagonista della scena. Si può vedere dal vivo, in anteprima, al Cersaie di Bologna dal 23 al 27 settembre, insieme alla doccia pensata da Nendo per lo stesso marchio. www.hansgrohe.it
LONDON LONDON DESIGN FESTIVAL
BERLIN MIND THE CROWD
Settembre (dal 14 al 22) vede uno degli eventi più importanti del calendario del design, il London Design Festival.. Highlights: al Victoria and Albert Museum, la mostra 8 – 18 The Typographic Circle Circular Magazine,, con i migliori grafici al mondo. Al Design Museum, The future is here,, sulla nuova rivoluzione industriale: produrre gli oggetti con la stampante 3D. A Shoreditch il Design Triangle:: oggetti fatti a mano, illustrazioni contemporanee, urban garden e architetture (da mangiare) per le strade del quartiere.
Come spezzare la dicotomia individuo/moltitudine? Come liberare le energie individuali all’interno di una folla informe? Il progetto Mind the Crowd che Alejandro Ceron ha realizzato quest’estate a Berlino prova a rispondere a queste domande impossibili. Una piccola folla di omini in legno collocata a sorpresa negli spazi pubblici della città rompe l’isolamento dei passanti, che nella comune interazione con l’installazione di Ceron si riconoscono come gruppo. Dove si ferma la filosofia inizia il design?
www.londondesignfestival.com www.shoreditchdesigntriangle.com
www.alejandroceron.com
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LOS ANGELES CREATIVE LAB
SIMON RICH TESTO SASHA CARNEVALI FOTO SAMANTHA CASOLARI
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È difficile crederlo, ma Simon Rich, il ragazzino che vedete in queste foto, ha 28 anni. Il più giovane autore della storia del Saturday night live pubblica regolarmente sul New Yorker ed è al soldo degli studios hollywoodiani. Ha cinque libri all’attivo, uno più esilarante dell’altro: le raccolte di racconti Ant farm, Free range chickens, The last girlfriend on earth; e due romanzi, Elliot Allagash (Il compagno di banco, Newton Compton) e What in God’s name?. Il suo senso dell’umorismo surreale ha spesso al centro giovani maschi sfigati che volano con la fantasia cercando di arginare le frustrazioni della vita reale. Oppure un Dio infantile dotato di poteri che non merita e che non sa gestire, con grande frustrazione degli angeli che devono arginare l’esito dei suoi capricci sui poveri umani. Il paragone più ovvio è con Woody Allen, ma Simon si è già dimostrato più divertente del Mostro Sacro. E, diversamente da lui, gli piace la California…
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LE TUE STORIE SONO SEMPRE AMBIENTATE A NEW YORK (O IN PARADISO): C’È UNA GEOGRAFIA REALE DI QUARTIERI DOVE I PERSONAGGI VANNO A CONCERTI E FESTE, A SCUOLA O A FARE SPESE. E TU SEI LA QUINTESSENZA DEL NEWYORCHESE: COME TI SENTI ORA CHE TI SEI TRASFERITO NELLA BAY AREA PER LAVORARE COME SCENEGGIATORE? È PIÙ DIFFICILE PER TE LAVORARE IN UN POSTO VERDEGGIANTE E ASSOLATO? Mi piacerebbe fingere che ci sia una ragione simbolica molto intelligente dietro al motivo per cui ambiento tutto a New York. Ma la verità è che lo faccio per pura pigrizia. È l’unica città che conosco bene!
COM’È IL POSTO DOVE VIVI ADESSO? Bellissimo. Amo New York, ma la California è ovviamente superiore in un milione di modi. La gente è amichevole, il cibo messicano è squisito e il clima è perfetto: non capirò mai perché i miei avi si siano fermati a Manhattan invece di procedere oltre!
TI SEI STABILITO LÌ PER LAVORARE CON LA PIXAR E ALTRI STUDIOS: LA TUA ROUTINE È DIVERSA DA QUELLA CHE AVEVI QUANDO LAVORAVI PER IL SATURDAY NIGHT LIVE? Non ci sono ritmi brutali quanto quelli del SNL, a parte quelli della NASA durante gli allunaggi. Forse. Ci ho lavorato quattro anni, ma mi sono sembrati 40. È stata un’esperienza grandiosa e ho imparato tantissimo, ma non credo che potrei mai vivere di nuovo così. A 28 anni sento che il mio corpo è troppo decrepito per scampare a tutte quelle notti passate in piedi.
DI QUALE, TRA GLI SKETCH CHE HAI SCRITTO, VAI PIÙ FIERO? Il mio preferito è The new boyfriend talk show, con Andy Samberg e Jane Lynch. È stato davvero fantastico scrivere per attori così pieni di talento, rendevano sempre i miei copioni molto più buffi di quello che erano in originale.
CI DICI QUALCOSA DEI FILM A CUI HAI LAVORATO? Non posso dire niente di specifico, purtroppo! In quanto sceneggiatore sono veramente negli strati bassi del totem hollywoodiano. Cerco di non dire niente perché ho paura che gli studios si arrabbino con me o che vengano a casa ad arrestarmi!
PERÒ SI SA CHE JASON REITMAN (“JUNO, “TRA LE NUVOLE”) HA COMPRATO I DIRITTI DEL TUO PRIMO ROMANZO, “IL COMPAGNO DI BANCO”! Vedi sopra!
SEI UN RACONTEUR A TEMPO PIENO? MOTTEGGI A TAVOLA, SEI AL CENTRO DELL’ATTENZIONE ALLE FESTE O È QUALCOSA CHE COSTRUISCI IN SOLITUDINE MENTRE LAVORI? Sono sicuramente meno divertente di persona. E le storie che racconto a cena sono spesso incredibilmente noiose. Giusto ieri sera ho parlato per 20 minuti filati alla mia ragazza di una partita dei Knicks che avevo visto in tv. Ti assicuro che lei non era divertita.
TI SENTI PIÙ A TUO AGIO A SCRIVERE IN TEAM, COME SI FA SPESSO CON LE SCENEGGIATURE, O DA SOLO? Adoro collaborare e mi sento molto fortunato ad aver potuto lavorare con tanti grandi scrittori in questi anni. Ma se vuoi scrivere qualcosa di personale, devi farlo da solo.
COME HA DETTO JOAN DIDION, UNO SCRITTORE SI STA SEMPRE RIVENDENDO QUALCUNO. QUANTA VITA REALE ENTRA NEI TUOI RACCONTI? IL PUNTO DI VISTA DEL RAGAZZO EBREO E INSICURO È TANGIBILE E RICORRENTE, MA MI CHIEDEVO SE
SEI IL TIPO DI PERSONA CHE PRENDE APPUNTI IN METROPOLITANA ASCOLTANDO LE CONVERSAZIONI DEGLI SCONOSCIUTI, COME FACEVA IL PIÙ GRANDE SCENEGGIATORE DEL CINEMA ITALIANO, CESARE ZAVATTINI, CHE PROPRIO CON QUESTA PRATICA INVENTÒ IL NEOREALISMO… Wow. Beh, come ogni scrittore, prendo spunto dalla mia vita personale. Penso sia impossibile scrivere di un’emozione che non hai mai provato. Le mie storie sono spesso bizzarre, o sovrannaturali, ma generalmente sono basate su qualcosa che ho vissuto in prima persona. Unprotected (senza protezione), per esempio, è molto autobiografico, anche se è narrato dal punto di vista di un preservativo non usato.
È UN RACCONTO ESILARANTE, COME TUTTI QUELLI CONTENUTI IN “THE LAST GIRLFRIEND ON EARTH”. DISCUTI QUESTE IDEE COSÌ SURREALI CON LA TUA FAMIGLIA? TUO PADRE È IL FAMIGERATO CRITICO TEATRALE FRANK RICH, TUO FRATELLO LO SCRITTORE NATHANIEL RICH, TUA MADRE È L’EDITOR DI HARPER COLLINS GAIL WINSTON E LA SECONDA MOGLIE DI TUO PADRE È LA SCRITTRICE E GIORNALISTA DEL NY TIMES ALEX WITCHEL… Sempre. Io e mio fratello ci chiamiamo varie volte alla settimana e confrontiamo le cose che stiamo scrivendo. Mio padre non scrive fiction, ma gli chiedo sempre consiglio sui titoli. Le risorse più preziose all’interno della mia famiglia sono però mia madre e la mia ragazza, Kathleen Hale, che scrive romanzi genere “young adults”. A loro mostro tutto ciò che scrivo e, se non piace, le pagine vanno dritte nella spazzatura.
IN QUALE SITUAZIONE SEI PIÙ PRODUTTIVO? Posso lavorare ovunque: alberghi, aerei, il mio salotto. Basta che ci sia del caffè e sono a posto! •
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Moodboard
Le suggestioni di stagione. I capi preferiti dai buyer dei negozi più cool. Uno sguardo fresco e smaliziato sulla moda. In collaborazione con la Camera dei Buyer, dal prossimo numero sulle pagine di Urban parte il progetto Moodboard. Ogni mese uno dei 120 negozi multibrand italiani del circuito THE BEST SHOPS, attraverso un racconto per immagini, rivelerà la propria visione della moda di stagione in una rubrica appositamente dedicata.
ADANI AGNETTI AMR ANTONIA ANTONIOLI BANNER BERNARDELLI BASE BLU BIFFI BIRBA’S BINI SILVIA PASSEGGIATA BONVICINI BRUNA ROSSO CAMMALLERI CARAVAN CASTANGIA 1850 CECILIA DE FANO CENERE G.B. COLLI COLOGNESE 1882 CORTECCI COSE CUCCUINI CUMINI MODA D’ANIELLO D’ANNA DAVINCI DEGLI EFFETTI DELLA MARTIRA DIVO DELL’OGLIO DONNE ELEONORA BONUCCI ELITE ERALDO FACCIOLI FAGNI FELLA FOLLI FOLLIE
Modena FRANCA LEONI G&B NEGOZIO Macerata GAUDENZI Chiavari GALLERY Riccione GIGI TROPEA Milano GISA Milano GUERRA Mantova HELMÈ Varese IL CORTILE Milano IL SELLAIO Pordenone ITALIANI Viareggio JULIAN FASHION Montecatini Terme LA CAPRESE PIÙ Cuneo LA COUPOLE Caltanissetta LE NOIR Alba LE NOIR Cagliari LEAM Bari L’INCONTRO Bassano del Grappa LINO RICCI San Benedetto del Tronto LORI Montebelluna LUISA VIA ROMA Siena LUISA Cremona LUNGOLIVIGNO FASHION Livorno MANTOVANI Gemona del Friuli MANTOVANI Aversa MARIO FORNI Salerno MARIO FORNI Varese MAXI HO Roma MAZZONI Carpi MAZZONI Santa Maria a Monte MINETTI Palermo MODE MIGNON Cagliari MONTI Viterbo NICK & SONS Manerbio NIDA Ceggia NUGNES 1920 Borgomanero O’ Pistoia OLEGGINI Cassino PAVIN ELEMENTS Verona
Forlì PAPINI Flero PELLIZZARI 1830 Riccione PARISI Forte dei Marmi PENELOPE Catania PERNIGOTTI Ancona POMPOSI Taranto POZZILEI Catania PUPI SOLARI Novara RAIL Casatenovo RAIMONDI Pescara RATTI Milano Marittima RE ARTÙ Ischia Porto ROSSANA NICOLAI Venezia ROSY BIS Cortina d’Ampezzo RUSSO CAPRI Treviso SAN CARLO dal 1973 Roma SANTOMO Modena SBAIZ CONCEPT STORE Perugia SEGRETO Mestre SPINNAKER Firenze STEFANIA MODE Rimini SUGAR Livigno SUIT San Giovanni Valdarno SUSI STORE Carate Brianza TESSABIT Genova THE BIG SPENDERS Nervi TIZIANA FAUSTI Napoli TONY BOUTIQUE Asti TORREGROSSA Rivoli TRICOT Casale Monferrato TUFANO Lucca VALENTI Cesena VELA SHOP Milano Marittima VINICIO Caserta VITALE Trani VIVA Parma Massa WISE Vicenza WHOOM PRATOLIVO
Catania Piacenza Taormina Brescia Nervi Voghera Monza Milano Brescia Ravenna Pesaro Trieste Porto San Giorgio Bolzano Capri Torino Pescara Lignano Sabbiadoro Ferrara Alassio Trapani Arezzo Lecce Latina Como Savona Bergamo Magenta Palermo Chianciano Terme Pompei Pisa Porto Rotondo Legnano Crotone Casale Monferrato Cremona Arona
BROOKLYN & CO. LIBRI DI MARTA TOPIS
A CHLOE, PER LE RAGIONI SBAGLIATE CLAUDIA DURASTANTI Marsilio, 2013 pp. 240, 18 euro L’esordio con Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra (2010) è stato una rivelazione. Oggi Claudia Durastanti, classe 1984, nata a Brooklyn ma che scrive in italiano e vive a Londra, contributor di musica e cultura pop su Indieforbunnies.com e su Il Mucchio, torna con un nuovo avvincente romanzo sulle inquietudini delle nuove generazioni, i traumi che fanno deragliare le vite e, anche questa volta, il grande sogno americano infranto. La storia di Mark e Chloe, che si incontrano nella subway newyorchese, finiscono a letto prima e a convivere poi, si intreccia a quelle più o meno fallimentari dei loro genitori, dell’ospedale psichiatrico da cui Chloe entra ed esce perché ha tendenza al suicidio e dei tanti personaggi poco glam (o aspiranti glam come il cantante conosciuto sui tetti) che popolano Brooklyn. Dentro una struttura che è già stata avvicinata al realismo di Altman, dalla scrittura dinamica e diretta, ciascun personaggio cerca di raddrizzare la propria “felicità sbilenca” e di mettersi, per quanto possibile, in salvo. Ma che l’amore basti è un’illusione.
IL VERIFICAZIONISTA DONALD ANTRIM MINIMUM FAX, 2013 160 pp., 9 euro “Un libro – scrive il saggista americano George Saunders nell’introduzione alla nuova edizione di questo originale romanzo di Antrim – prima di poter essere qualsiasi cosa, di poter affrontare un tema o criticare delle idee, deve essere magico, e conquistarci…”. E, aggiungiamo, andrebbe letto almeno due volte: la prima per puro divertimento (qui assicurato), la seconda per capire e riflettere su questa magia. Antrim ha confezionato ancora una volta un romanzo tanto breve quanto denso di dettagli: la concitata cronaca di una serata che un gruppo di psicologi di un istituto di igiene mentale trascorre in una Pancake House viene raccontata da uno di loro, Tom, secondo un punto di vista sui generis, mentre fluttua verso il soffitto in una assurda esperienza extracorporea. È dall’alto che osserva i colleghi e soprattutto se stesso, la sua vita, il rapporto con la moglie, fino alla sorprendente scena finale. Perché si sa, gli psicologi sono i primi ad aver bisogno di analisi.
COME DIVENTARE RICCHI SFONDATI NELL’ASIA EMERGENTE MOHSIN HAMID EINAUDI, 2013 149 pp., 17,50 euro 1) Trasferisciti in città. 2) Fatti una cultura. 3) Non innamorarti… 12) Prepara una strategia d’uscita. I 12 consigli di self-help dispensati (in modo satirico e disincantato) dallo scrittore anglo-pachistano Mohsin Hamid nel suo ultimo libro e che rappresentano i capitoli in cui è suddivisa la narrazione (l’avventura di uno spiantato che vuole diventare ricco in una megalopoli asiatica e che è genericamente indicato con il “tu” della seconda persona) corrono paralleli alla storia d’amore tra quello stesso “provinciale” e la “bella ragazza” del villaggio. Se lui diventa ricco vendendo cibo con la scadenza manomessa e acqua bollita come minerale, lei costruisce il suo successo solo grazie alla propria bellezza e diventa il personaggio tv di una speziata cucina nouveau-street, ma è chiaro che i due potranno amarsi solo quando abbandoneranno le loro ambizioni. Uno sguardo disilluso sulla nuova tentacolare Asia che cresce e inghiotte chi non sta alle sue dure regole.
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Pepe Jeans 1991/photographer: Bruce Weber
URBAN X PEPE JEANS
LOND O N
P E P E J E AN S FA 4 0 PER I SUOI PRIMI 40 ANNI URBAN HA VOLUTO FARE UN OMAGGIO SPECIALE AL BRAND AFFIDANDO ALL’ARTISTA TATIANA UZLOVA LA REINTERPRETAZIONE DI UNA SUA CREATIVITÀ D’ANNATA Quando ti metti “all’opera” hai un metodo oppure lasci tutto all’istinto? In effetti non posso dire di avere un vero e proprio metodo. Gli oggetti del mondo che mi circondano nel momento creativo hanno sempre un peso molto importante in quello che poi realizzo. Si intrecciano, creano delle relazioni e corto circuiti con i miei ricordi a breve e lungo termine. Poi cerco di tradurre in immagini questo scontro incontro mentale. Il senso surreale che hanno sempre le tue composizioni fotografiche è intenzionale o è un “danno collaterale” al tuo modo di lavorare? Non è voluto. È sicuramente collaterale al mio lavoro. Anche se poi quando alla fine un’opera mi soddisfa ha sempre quell’atmosfera sospesa. Quindi sospetto che il surreale abbia comunque a che fare con la mia estetica. Nel caso di quest’omaggio ai quarant’anni di Pepe Jeans come ti sei orientata? Avere come punto di partenza una foto di Bruce Weber mi ha stimolato e intimorito al tempo stesso. Il suo lavoro, il suo modo di fotografare è uno dei motivi per cui mi sono avvicinata alla fotografia quando non sapevo ancora che sarei diventata fotografa. E quindi? E quindi da una parte non volevo assolutamente intaccare la fotografia del maestro. Dall’altra questo mio vissuto su di lui mi ha permesso ancora una volta di indagare dentro di me e nello stesso tempo di avviare una mia ricerca sull’identità di Pepe Jeans.
Quali tracce ci suggerisci di seguire per interagire con la tua composizione? I due segni forti intorno alla foto in bianco e nero di Weber sono sicuramente l’immagine dei pappagalli e la macchina fotografica. I pappagalli – per me che sono nata a Chelyabinsk in Siberia – esprimono quel senso di esotico di cui fin da bambina mi nutrivo per i miei “viaggi mentali” e nello stesso tempo conferiscono alla composizione un senso pop che percepisco nelle corde del marchio. Poi c’è la macchina fotografica a pellicola. Sì, un segno che vuole rinforzare il non detto dell’immagine di Weber. Ovvero che per me la fotografia che fa la differenza rimane quella in pellicola, quella dei grandi maestri sempre capaci di scattare grandi ritratti. E d’altra parte è stato anche il modo per enfatizzare il mezzo principe attraverso cui è passata la strategia comunicativa di Pepe Jeans in questi 40 anni. E il jeans accostato al legno che fa da quinta? Percepivo il denim come qualcosa di fondativo per il marchio. Qualcosa di ultimativo non ulteriormente scomponibile su cui poi Pepe Jeans ha costruito un’immagine contemporanea ma sempre un po’ rough come, appunto, un’asse di legno. La corona a pastello è una sorta di firma? Sicuramente una suggestione legata a Basquiat, un riferimento sempre pop a Londra e alla monarchia britannica e poi il mio modo personale per fare gli auguri a Pepe Jeans per i suoi 40 anni. Buon Compleanno Pepe! Tatiana Uzlova è nata a Chelyabinsk, sui Monti Urali. Dopo la laurea in economia internazionale, a 22 anni si sposta a Firenze, dove studia fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni. Dal 2007 collabora con la Galleria Rossana Orlandi, che vende le sue foto, con RADO, Baccarat, Studio Nacho Carbonell, Restart e tanti altri. Nel 2011 vince la competizione Vogue Italy – Prada young talents. A New York è rappresentata dalla galleria Art+Commerce. E naturalmente collabora con Urban per cui nutre una grande passione.
NEW YORK CREATIVE LAB
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LA CITTÀ NEI DETTAGLI TESTO CIRO CACCIOLA
Quali, tra gli otto milioni di oggetti comuni a Ny, sono quelli che più e meglio possono rappresentare e tratteggiare la Grande Mela? Ce lo raccontano 62 newyorkesi doc
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“Son le cose che pensano ed hanno di te sentimento”. Un verso del poeta Pasquale Panella, musicato nel 1986 da Lucio Battisti, conferma che le cose, gli oggetti, ci rappresentano, ci circondano, ci parlano, ci sopravvivono, a volte addirittura ci interrogano. E ci parlano, lungamente, o all’improvviso, non solo di noi, ma anche dei luoghi in cui si trovano abitualmente, o sono stati propriamente concepiti, scatenando un comple(ta)mento di origine e provenienza che gira nel nostro cervello e arriva nel nostro cuore più veloce della stessa luce già superata dal Signor Superman. Nella città che non dorme mai, città mela e città tra le più rappresentate dal punto di vista iconografico, New York, qualcuno ha pensato che, ben al di là di monumenti e building, oltre ogni sequenza cinematografica, superando ogni cliché legato al cibo o a tutto quanto fa turistico, era arrivato il momento di raccontare quella benedetta città attraverso i suoi oggetti (proto)tipo. Ufficialmente, ci sono circa otto milioni di oggetti comuni a New York. Oggetti che esprimono una diversità tonante o una profonda singolarità; che ci collegano ad altri luoghi, ci connettono immediatamente al passato oppure ci ancorano, ineluttabilmente, al presente congiuntivo. Che alleggeriscono la vita quotidiana, oppure ce la appesantiscono. Che incarnano la città in generale o che sono riconducibili a un solo quartiere. Oggetti grandi e piccoli, mobili e stazionari, ingombranti o deliziosamente minimi. Ben progettati o anche solo ben utilizzati, essi vivono e sopravvivono a New York, trasportati dagli abitanti della città da un posto all’altro, di generazione in generazione, creando come un’increspatura di piccoli significati. Ebbene. Quali, tra questi otto milioni, sono gli oggetti che più e meglio possono raccontare, rappresentare, identificare la Grande Mela? Qualcuno,
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dicevamo, ha girato la domanda a designer, artisti, antropologi, sociologi, storici, musicisti, scrittori, tutti facenti parte della squadra, la squadra di un qualcuno che, da oltre un secolo, dal 1896 per la precisione, ha coltivato eminenti rappresentanti delle categorie professionali tirate in ballo: Parsons, The New School For Design, l’università di arte e design che ha coltivato decine di personalità di spicco, tra cui Marc Jacobs, Donna Karan, Tom Ford. I professori Radhika Subramaniam e Margot Bouman hanno chiesto ai loro 60 colleghi e concittadini di indicare, ciascuno per sé, l’oggetto che fosse capace di narrare, anche solo un po’, la brillante biografia di New York. Ne è nato un lavoro, Masterpieces of everyday New York: objects as story, che poi è stato anche processo di narrazione, di fotografia e di documentazione con 62 oggetti – storici, culturali, tecnologici, organici, tipici, scadenti, banali, lussuosi, popolari, utili e persino sensuali – messi in bella mostra. Torna così alla mente la rassegna Una storia del mondo in 100 oggetti che, promossa dal British Museum di Londra, divenne programma radiofonico di successo sulle onde della BBC. Ma la raccolta di oggetti messi insieme dalla Parsons li colloca come narratori del presente e di una sola città: New York. Peter Wheelwright, docente associato, ha scelto un ombrello distrutto dal vento, citando Shakespeare: “Che siano progettati o trovati nel mondo naturale, gli oggetti hanno la tendenza a parlarci: i nostri rapporti con gli oggetti sono molto più che strumentali, sono empatici. Così quell’ombrello spazzato via dalla forza del vento mi racconta un pezzo di vita di NY”. Wendy Schier, direttore di Archivi e Collezioni Speciali, ha scelto le pitture murali di Richard Hambleton, padrino della street art e unico superstite del gruppo che, insieme a Keith Haring e Jean-Michel Basquiat, ebbe grande successo emergendo dalla scena artistica newyorkese durante il boom del mercato dell’arte negli anni ’80. Molti paragonano la sua arte a quella dei graffiti, ma l’artista considera invece le sue opere come “arte pubblica”. A New York i suoi dipinti Shadowman sono famosissimi, silhouette a grandezza naturale di persone misteriose, ombre schizzate su centinaia di edifici dell’East Village, pensate proprio per ottenere il massimo impatto sui passanti ignari, quasi a volerli spaventare. Spesso un uomo-ombra poteva essere trovato in un vicolo buio o appostato furtivamente subito dietro l’angolo: “Nei primi anni Ottanta mi sono spaventata decine di volte al cospetto improvviso di uno Shadowman. Poi, le volte successive, che strano, era come se mi sentissi quasi fortunata a essermi imbattuta in quell’ombra. Era come una scoperta, la scoperta di un mistero”. Jane Pirone, assistant professor della cattedra di Communication Design, ha scelto invece le bici fantasma: “Vedi queste bici bianche sul ciglio della strada, e ti rendi conto che non si tratta di bici parcheggiate o abbandonate, ma di veri e propri segnali stradali, messi lì per marcare un territorio dove una bici e un’auto si sono scontrate violentemente. Ciascuna di quelle bici indica la perdita di una vita umana”. Ma forse, più delle torri d’acqua, più del centesimo di dollaro, più del memoriale sotto la stazione della metro di Union Square, più delle stesse case dei senza tetto complete di letture per la sera, forse uno degli oggetti più rappresentativi di New York resta il morning coffee, lungo, leggero, senza zucchero, quello che lo stesso professor Radhika compra tutte le mattine dall’afghano Ibrahim. Un gesto, un rito quotidiano, che si concentra tutto in quella cup of coffee, in quell’oggetto che usa e consuma e rivede ogni mattina e che gli ricorda la sua città, quell’unica città. E tu, quale oggetto scegli per raccontare la tua città? •
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URBAN X
Lasse Viren
VENT’ANNI DI CORSA Le ASICS Kayano tagliano un traguardo importante. A celebrare l’anniversario, un nuovo modello ad hoc e un buon compleanno speciale da Urban!
Gel-Kayano 20 - Uomo
Era il 1993. Mandela vinceva il premio Nobel per la pace. A Los Angeles, il film “Gli Spietati” di Clint Eastwood faceva incetta di Oscar. Nasceva l’Unione Europea. I telefonini erano, ancora per poco, un oggetto per pochi. E internet e la posta elettronica faticavano a uscire dalle aule universitarie. In Giappone, l’ingegner Kayano iniziava la ricerca per un paio di nuove rivoluzionarie ASICS, che avrebbero inciso profondamente sul mondo del running. Sin da quando il primo modello apparve nel 1994, la ASICS GEL-KAYANO è apparsa quasi ogni anno sulla Bibbia del running “Runner’s World”. Nel 2000 la scarpa ha ricevuto il premio Best Update, considerato dallo stesso ingegner Kayano uno dei titoli più prestigiosi che un designer di scarpe possa ricevere. Al di là dell’impatto straordinario che la scarpa ha avuto al suo lancio, la sua longevità si deve al fatto che – spiega l’ingegnere – la ASICS GEL-KAYANO continua a evolversi anno dopo anno.
“Lavoriamo per migliorare la scarpa in ogni modo possibile in termini di ammortizzazione, prestazioni, stabilità, flessibilità e aderenza”. L’ultima edizione della premiatissima serie ASICS GEL-KAYANO conferma il suo primato nella categoria delle scarpe ad ammortizzazione strutturata per il running: la GEL-KAYANO 20, il modello che ASICS ha voluto appositamente per celebrare i vent’anni, conserva la sua nota caratteristica di mix tra ammortizzazione e sostegno. Adatta a chi corre con appoggio in pronazione, è ideale per gli allenamenti sulle lunghe distanze. Sul puntale compaiono tutti i premi vinti dalla scarpa nella sua storia, destinata proseguire con le ASICS GEL-KAYANO ai piedi di atleti e appassionati della corsa per i prossimi… 20 anni!
Gel-Kayano 20 - Donna
Sul puntale della GEL-KAYANO 20 compaiono tutti i premi vinti dalla scarpa nella sua storia
Il fondatore di ASICS Kihachiro Onitsuka
TORINO FASHION
SCENT OF A GROUPIE FOTO IVAN CAZZOLA STYLING IVAN BONTCHEV
Miniabiti, ecopellicce, borchie, fantasie leopardate. Un mix sensuale e misterioso per creare una scia rock and roll
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Chiodo di pelle con borchie, mcs jeans Maxi camicia a scacchi, pepe Gonna di lana, sessun day Bracciale a catena, cheap mon Anello triplo, voodoo jewels
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Micro vestito in lamĂŠ, krizia Cardigan di lana, sea new york
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arel Top in cotone, american app Coulotte, lovable serienumerica Gonna grembiule in pelle, i sim mis inti , Giarrettiera toux Autoreggenti, pierre man manuel bozzi Anelli e bracciali d’argento,
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umerica Gilet di pelle, serien ns mpata, versace jea Camicia di seta sta r ta Gonna di pelle, g-s nc cinturini, thalĂŠ bla Guanti di pelle con oux nt ma e rr pie i, Autoreggent rtins AnďŹ bi, catarina ma
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o, c’n’c Vestito con dettagli in pizz & supply Sciarpina con frange, denim ralph lauren Calze, calzedonia x Gambaletti, pierre mantou Scarpe, lumberjack
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e Cardigan eco pelle e lana, manila grac galliano Gonna in camoscio con micro frange, Reggiseno traforato, tezenis Calze, calzedonia t Stivale alto con stringhe, janet spor Collana girocollo, sharra pagano
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Eco pelliccia, denim & supply ralph lauren Autoreggenti, pierre mantoux t Stivale alto con stringhe, janet spor Anello con pietra, sharra pagano
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Cappotto in cavallino con colletto di pelliccia a contrasto, msgm Vestito in chiffon, pepe jeans Calze, calzedonia Scarpe con zeppa, underground
ADDRESS LIST American Apparel, www.americanapparel.net. Calzedonia, www.calzedonia.it. Catarina Martins, www.catarinamartins.pt. Cheap Monday, www.cheapmonday.com. C’N’C, www. costumenational.com. Denim & Supply Ralph Lauren, www.ralphlauren.com. G-Star, www.g-star.com. Galliano, www.johngalliano.com. Intimissimi, www.intimissimi.com. Janet Sport, www.janetsport.com. Krizia, www.krizia.net. Lovable, www.lovable.it. Lumberjack, www.lumberjack.it. Manila Grace, www.manilagrace.com. Manuel Bozzi, www.manuelbozzi.it. MCS, www.mcsapparel.com. MSGM, www.msgm.it. Pepe Jeans, www.pepejeans.com. Pierre Mantoux, www.pierremantoux.com. Sea New York, www. sea-ny.com. Serienumerica, www.serienumerica.it. Sessun, www.sessun.com. Sharra Pagano, www.sharrapagano.it. Tezenis, www.tezenis.it. Thalé Blanc, www.thaleblanc. com. Underground, www.e-underground.it. Versace Jeans, www.versace.com. Voodoo Jewels, www.livialazzari.com. Hair & Make up: Gloria Cortigiani using Mac Cosmetics. Modella: Morta @IMG Models. Assistente fashion editor: Giulia Meterangelis. Assistente fotografo: Stella Tosco. Gli scatti di questo servizio sono stati realizzati al Bunker, ex fabbrica del quartiere Barriera di Milano a Torino, nell’ultimo anno riconvertita dall’associazione URBE Rigenerazione Urbana in uno spazio per l’arte e l’artigianato, un luogo d’incontro a disposizione del quartiere e della città, che ospita street art, mostre, performance, concerti e, da poco, orti urbani e strutture sportive. www.facebook.com/bunkertorino
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TOKYO & CO. DETAILS DI TATIANA UZLOVA E IVAN BONTCHEV
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SCHOOL MATES
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Nella pagina a fianco: 1. g- star raw: Chiodo di pelle, 439,90 euro 2. 55 dsl limited edition: Pupazzo 3. parker: Gonna plissettata con profili di pelle, 330 euro 4. katie grand loves hogan: Borsa in cavallino, 490 euro
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5. ash: Sneakers oro, 225 euro 6. conservatoire: Occhiali da sole, 215 euro In questa pagina: 1. love moschino: Abito con profilo e bottoni gialli, 337 euro 2. american apparel: Calze di spugna, 19 euro
3. dr martens : Scarpe, 130 euro 4. target: Lunch box, 7,90 euro 5. prada eyewear: Occhiali da vista, 250 euro 6. Porta i-Phone, 5,90 euro, www.targetregalo.it
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PARIS FASHION
Completo in pelle bianca e cappotto, trussardi Stola di pelliccia, marni winter edition Panama ricoperto in pelliccia, borsalino Shoppers in pelle, j茅r么me dreyfuss
BOHEMIAN LIFESTYLE FOTO JESSIE CRAIG STYLING DELFINA PINARDI
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Cappotto e maglione a righe, n째 21 Leggings, jo no fui Boxer cotone, cos Stola di pelliccia, marni winter edition Sciarpa, franco ferrari Anelli, iosselliani Zaino di pelle, marni
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cardigan, Pantalone, camicia e andrea incontri tine Cappotto, ter et ban loves hogan Scarpe, katie grand ngs Stola in lana, nice thi Orecchini, radĂ
Pigiama in seta, equipment Maxi cappotto, missoni Calzini, pierre mantoux Sandali con paillette, marni Cappello, super duper Orecchini, radĂ
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Camicia in seta, equipment Pantaloni in seta stampata, class roberto cavalli Maxi cappotto, stella jean Collana e anello, iosselliani
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Vestito, cardigan e cintura, prada Cappotto, cos Calzini, calzedonia Sciarpa, faliero sarti
Vestito con spacchi laterali, jo no fui Vestito in pile, rochas Calzini, pierre mantoux Sandali con paillette, marni Stola di pelliccia, marni winter edition Sciarpa, faliero sarti Cappello con piume, super duper
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Maglia “Teddy Bear”, stella mccartney Camicia in seta, equipment Cappotto in lana stampata, class roberto cavalli Collana, radà
ADDRESS LIST Andrea Incontri, www.andreaincontri.com. Borsalino, www. borsalino.com. Calzedonia, www.calzedonia.it. Class Roberto Cavalli, www.class.robertocavalli.com. Cos, www.cosstores. com. Equipment, www.equipmentfr.com. Faliero Sarti, www. falierosarti.com. Franco Ferrari, www.francoferrari.it. Iosselliani, www.iosselliani.com. Jérôme Dreyfuss, www.jerome-dreyfuss. com. Jo No Fui, www.jonofui.com. Katie Grand Loves Hogan, www.hogan.com. Marni, Marni Winter Edition, www.marni.com. Missoni, www.missoni.com. N° 21, www.numeroventuno.com. Nice Things, www.nicethings.es. Pierre Mantoux, www.pierremantoux. com. Prada, www.prada.com. Radà, www.rada.it. Rochas, www.
rochas.com. Stella Jean, www.stellajean.it. Stella McCartney, www. stellamccartney.com. Super Duper, www.superduperhats.com. Ter Et Bantine, www.teretbantine.com. Trussardi, www.trussardi.com. Make up: Alessandra Angeli @ Close Up using Mac Cosmetics. Hair: Astor Hoxa @ Close Up using Shu Uemura Art of Hair. Model: Patti @ Why Not. Hanno collaborato: Giulia Meterangelis e Dariia Nezhynska.
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MARSEILLE & CO. NIGHTLIFE DI LORENZO TIEZZI
MILANO FABOLOUS Una vita in canotta da basket e cappellino da baseball, a bere champagne nei locali dopo aver rappato un po’ contro questo o quel collega. Sembra facile, ma Fabolous è l’unico artista hip hop in bilico tra il pop e il ghetto. Il suo sito è un magazine di moda in cui segnalano anche passeggini firmati Versace e il suo ultimo singolo, Ready è una ballad malinconica cantata da Chris Brown. Ma sul palco è una furia: il suo flow funziona sempre. 25 settembre, Magazzini Generali info: 02-5393948
BOLOGNA ROBOT 06 Digital vertigo, il sottotitolo della sesta edizione del sofisticato festival bolognese, è finalmente pessimista. È vero, molti percorsi digitali tra musica e arte portano proprio a un nulla in cui il colore collassa. L’importante è andare incontro all’apocalisse ballando con stile. I suoni ipnotici di Pantha du Prince, quelli tellurici di Ben Klock, il lato oscuro di Holy Other: tutto fa muovere. Chi invece sceglie di aspettare seduto opti per The kilowatt hour, il nuovo progetto elettronico di David Sylvian. 24 settembre / 2-5 ottobre www.robotfestival.it
MARSATAC NÎMES E MARSIGLIA LOCATION VARIE Più che il solito festival da vivere tutto d’un fiato, è una rassegna di 10 notti che propone il meglio della club music underground. Si balla tra Nîmes e Marsiglia, che distano l’una dall’altra un’oretta di strada, senza troppi pensieri in testa. Anzi, lo scopo dell’edizione di quest’anno è proprio quello di spegnere il cervello e far andare gambe e braccia a tempo. Vista la vivacità musicale d’una zona che da sempre è multietnica, si balla molto bene, spesso con suoni che dalle nostre parti non funzionano. Si comincia il 19 settembre, a Nîmes, con Laurent Garnier: 25 anni in console, sempre dalla parte di una acid house vicina alla techno e anche, udite udite, alla disco ‘commerciale’ di Cerrone. Il 20 si prosegue col techno mito Dave Clarke, mentre il 21 è la volta, tra gli altri, di Cassius e Kavinsky: i primi nell’underground si trovano fin troppo bene, mentre il secondo per il suo album Outrun ha realizzato un videogame con la sua solita Ferrari Testarossa.
MILANO HIEROGLYPHIC BEING
Dal 22 settembre ci si sposta a Marsiglia, dove dopo la techno di Carl Craig, il 26 arriva l’oscuro Tricky. Il suo ultimo album, False idols, forse non resterà nella storia del trip hop, ma fa muovere bene a tempo. Più vivace il programma della notte del 27, quando dopo il live dei berlinesi Moderat in console c’è l’electro pop del francese Vitalic, che è una forza della natura. Al mega party di sabato 28 suonano decine di dj, tra cui Busy P, boss di Ed Banger e i super sofisticati Discodeine. Ma il meglio arriva l’ultima sera, quando la musica di Bamako, Beirut ed Essaouira si mescola con l’elettronica e l’hip hop. È il potere del Marsatac. In Africa chi pizzica le corde della kora lo fa sempre in splendida solitudine, lontano dal rombo dei tamburi.
La location è il Buka, la sede della mitica Cgd, oggi defunta. Dove un tempo venivano prodotti i dischi dei Pooh, si balla solo musica underground. Una volta al mese arrivano in console talenti dell’universo techno, gente che mette paura solo a pronunciarne il nome. Il 20 settembre, con i suoi dreadlock e la sua mole imponente, al mixer c’è Hieroglyphic Being. In console sta immobile, o quasi. Tanto a fare show ci pensa la sua musica. È sperimentale, ma efficace quanto quella della star di turno.
19 – 29 settembre www.marsatac.com
via Quintiliano, 40 info: 339-9942899
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BAR, RISTORANTI & CO.
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MILANO
DETOX BREAKFAST
DI MIRTA OREGNA
LA VACANZA CONTINUA... A COLAZIONE OM FOOD corso Magenta, 12 02-36522069 chiuso domenica
A
UPCYCLE MILANO BIKE CAFÉ via Ampère, 59 02-83428268 chiuso lunedì sera Una realtà dove “bere, mangiare e pedalare”, come dicono loro, in città mancava. Certo esistono piccoli indirizzi bike-friendly, ma uno con cucina nordeuropea, torte fatte in casa, box delle autoriparazioni e vista su un ufficio di co-working, è tutt’altro! L’idea nasce infatti da un nutrito gruppo di soci fanatici delle due ruote, che si sono trovati a dar spazio e da mangiare ai giovani creativi di Avanzi, e con un occhio al locale londinese Look mum no hands! hanno scelto un’impostazione “nordica”, capitanata nelle prime ore della giornata dall’olandese Annemieke, e in cucina nei week-end da un giovane chef svedese. Niente pasta, ma zuppe fresche, cereali, torte salate e piatti unici, dal polpettone freddo al salmone alle aringhe, serviti con pane ai semi. Tanti i dettagli pro-velocipede: dalle tovagliette con le impronte dei copertoni ai libri tematici, dalle maglie delle corse più famose alle ruote che fungono da bacheca. Da questo mese oltre all’aperitivo cocktail-free (qui al massimo lo spritz, vini e birre di nicchia) si può cenare a prezzi contenuti e consumare colazioni estere con uova e affini, oltre a sistemare la fedele bicicletta aiutati da mani esperte. Consigliato per una tappa post pedalata urbana sulle sdraio da Riviera romagnola o ai tavoli che poggiano su tubi di ferro
Leggera e bio. In un fresco e defilato cortile di corso Magenta, l’imprenditore Luigi Scognamiglio ha inaugurato un caffè appendice (da cui l’insegna) della sua azienda toscana bio-cosmetica Officine di Montauto. Una vera e propria “urban escape” con un paio di tavolini all’aperto e luminosi interni arredati da Matteo De Ponti, designer a km 0. Qui la giornata inizia in modo rilassante e salutare, con un caffè 100% arabica della storica torrefazione napoletana Passalacqua, un succo di frutta biologico dell’Oasi Galbusera Bianca (secondo stagione, prugne antiche, albicocca e melissa, uva bianca, miele e zenzero), e il goloso muffin “quattro-quarti” alla francese della pasticcera Galdina, che qui porta le sue torte direttamente dal laboratorio di via Terraggio. In alternativa spremute e centrifughe fresche e le bio-tisane OM con erbe officinali coltivate in Maremma nella tenuta di Montauto. Ogni giorno anche un prodotto a ridotto impatto calorico, per un inizio davvero leggero. Lunch, merenda e aperitivo in linea.
BLAH galleria via Turati, 6 02-39669441 sempre aperto Bilanciata. Acronimo per Breakfast, Lunch and HappyHour, è un locale che va cercato, nascosto nella luminosa galleria interna di via Turati ma che sorprende – oltre che per l’offerta che esce dalle righe – per la modularità degli ambienti, che diventano più raccolti al mattino (a colazione serve intimità!), allargandosi nella pausa pranzo e aperitivo. Attento alla qualità del cibo e al fabbisogno calorico quotidiano, la mattina propone tre menu combinati (Light, Regular, Energy) che corrispondono a tre stili di vita e includono dal classico pane, burro e marmellata, all’energetico “uovo perfetto” con prosciutto cotto, fino al salmone affumicato su pane con cereali. Persino l’acqua ha una marcia in più: è demineralizzata con un ulteriore 36% di ossigeno! Due note: se venite in bici potete appendere il caschetto a divertenti ganci-moschettone; se scegliete l’ora dell’aperitivo vi sentirete meno in colpa: i 26 cocktail Light Alcool sono sicuramente più salutari!
SUNNY SIDE UP EL BÜSCIA via Beatrice d’Este 48 ang. via Ripamonti 02-45498762 chiuso domenica e lunedì mattina Si legge alla milanese, pronunciando la “ü” con bocca “a culo di gallina”: dietro il bancone Massimiliano Balestreri racconta la sua nuova avventura, un wine bar dedicato alle bollicine italiane e non (450 le etichette, di cui una novantina francesi di piccoli vigneron importate direttamente). Aiutato da un architetto ha voluto pareti color asfalto, un bancone a mezzaluna in ferro industriale e legno, scaffali del vino in più essenze, mensole e sgabelli che si affacciano su strada da grandi vetrate e un tavolo “social” in ciliegio da condividere con gli amici. Quanto alle bollicine, che arrivano da tutt’Italia (persino dall’Etna, di Nerello Mascalese), si bevono al calice (dai 5 ai 12 euro) ma si può anche prendere la bottiglia intera allo stesso prezzo da scaffale: circa 200 sono già in fresco e ci sono buoni champagne anche a 28 euro. Insieme viene offerto un piattino di pane e salame, ma se la fame vi assale c’è una proposta di taglieri con salumi del Divin Porcello, formaggi biologici e friselline con alici del Cantabrico. Da non perdere le degustazioni periodiche che qui equivalgono a “bere insieme”
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via Col di Lana, 6 02-870884083 sempre aperto Calorica. Tre amici rientrano da un viaggio in California e diventano soci nell’aprire un vero diner americano dell’East coast, a partire dal nome che è poi un modo di cuocere le uova in tegame. Il tema del viaggio insieme al vivace colore rosso resta il leit-motiv dell’ambiente, con tanto di cartina sulla parete che è una sorta di wall fisica per appendere i propri ricordi di viaggio, mentre ragazze pin-up e giovanotti in camicia a quadri servono ai tavoli. Nutriente l’American Breakfast con refill di caffè gratuito, le uova cotte “any style”, i pancake con sciroppo d’acero e le torte americane (Red Devil, Cheesecake, Apple Pie) di Sweet Mama. Cinque le diverse proposte del brunch, che includono la Sugar Pine con yogurt e granola, la Fisherman con bagel e salmone affumicato o la Lombard Street con Egg benedict. Diversi dalle plurime hamburgerie milanesi, propongono un dolcissimo caffè aromatizzato al caramello.
PARIS DI MIRTA OREGNA
LES POMMES BISTROT via Pastrengo, 7 02- 87074765 sempre aperto Bisogna dire che il quartiere Isola è un vero cilindro magico dal quale spuntano locali magari piccoli e non eccessivamente scintillanti, ma sempre fuori dagli schemi e con una marcia in più. È il caso di questo neobistrot d’ispirazione francese: Andrea e Fabiana, i due giovani soci fuoriusciti da una realtà in voga a Porta Venezia, hanno viaggiato, letto e mangiato prima di creare questo delizioso posticino, che mescola dettagli green (la veranda verde sul retro, i vasi di piante grasse e asparagi) a pezzi post-industriali (la geniale scaffalatura fatta di tondini bruniti per asfalto) e vintage. Locale prettamente diurno sforna colazioni con brioche e golose torte di laboratorio, lunch e brunch con attenzione a formaggi, carpacci e tartare, oltre all’aperitivo corredato di un piccolo ma sfizioso buffet che sembra uscito da uno styling di cucina. Se i gelati (mela verde inclusa) sono stati il cavallo di battaglia dell’estate, ora sono pronti per dare il via alla stagione di tè, infusi e cioccolate. Consigliato per chi ha voglia di un bagel con salmone o di una mozzarella ripiena di gorgonzola e noci con insalata, leggendo il giornale senza essere disturbato
PASTIS via Marcona, 90 335-6600072 chiuso domenica / no wi-fi Dopo una vita molto lounge (Light, Gioia 69, That’s Amore e Petit) e quattro anni a Fuerteventura, Luca Miele è rimpatriato defilandosi in una via alle spalle di XXII marzo e aprendo un micro-caffè francese, con le torte dell’aussie Vanessa, piatti bio e un aperitivo (5 euro) a base di cocktail, birra e lambrusco accompagnati da un taglierino di stuzzichini. Per chi cerca la tranquillità. Da non perdere bersi un drink a lume di candela seduti ai tavolini del balconcino interno, sotto il verde del grande fico
FISH CLUB 58 rue Jean-Jacques Rousseau +33-1-40266875 www.eccfishclub.com Una macelleria in disuso dei mercati di Les Halles, in parte già occupata dal Beef Club: i proprietari infatti sono gli stessi, il geniale gruppo dell’Experimental Cocktail Club, che qui hanno pensato di differenziare la proposta affiancando alla carne il pesce, molto in voga in città e chiaramente con un twist speciale, quello della nuova cucina peruviana rivisitata per i bobo parisien (ceviche e tiradito, con patate dolci e mais soffiato, ma anche ostriche e granseole!), un trend che sta invadendo da qualche mese l’Europa intera. Hanno affidato ancora una volta gli interni alla brava Dorothée Meilichzon, che ai ganci per le carcasse qui ha voluto appendere delle belle sospensioni, mentre ha riletto le atmosfere del Sudamerica nelle piastrelle blu e rosse, nei tessuti e nelle tappezzerie a tinte vivaci senza dimenticare la firma francese che si legge nei pezzi vintage anni ’50 e ’60 (vedi il bancone in legno all’ingresso). Pesce di giornata, lavorato molto a crudo e servito in portate da condividere completano l’atmosfera informale del Fish Club, che – ahimè – non si può prenotare. Pazienza, si farà la coda, bicchiere alla mano. Consigliato per ordinare un “tigre de leche”, cocktail peruviano per eccellenza, che in sé riunisce i sapori del Sudamerica e la bravura della squadra di ECC
ANITA DINNER LOUNGE via Beatrice d’Este ang. via Patellani 335-1098269 sempre aperto / wi-fi Nella cornice scenografica delle antiche mura spagnole che per tanti anni sono state casa del Volo, nasce un nuovo locale dedicato alla dolce vita e alla sua diva principale, dove cominciare in giardino con i cocktail d’aperitivo (8 euro) serviti con finger food dalla cucina e rimanere a chiacchierare fino a tarda notte sui Chesterfield dell’interno. Da non perdere fermarsi a pranzo per l’hamburger di cervo o a cena, con vista-fontana, per un piatto mediterraneo
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NAPOLI DI CIRO CACCIOLA
CHALET STRATO Parco Virgiliano / no wi-fi
BELLI DI MAMMA vico San Paolo, 12/14 – Loc. Aversa 334-1862374 chiuso lunedì Una gita fuori porta di questi tempi resta cosa piacevole, soprattutto se a un centro storico vicino, particolarmente affascinante e ricco di arte e di storia come quello di Aversa puoi abbinare un aperitivo, la cena o il dopo cena in un posto così speciale come Belli di Mamma. Il (mono)locale colpisce subito per il design, ultra ricercato, definito nei minimi particolari, in uno spazio unico che di certo non è enorme ma che è capace di accogliere anche un paio di tavolini, qualche sgabello al bar e una serie di invenzioni illuminotecniche che riciclano anche uno degli strumenti di comunicazione più forti del menu: i boccacci. Piccoli barattoli in vetro con piatti tipici della cucina campana ma completamente destrutturati, preparati con tanto di copyright dallo chef Pietro Parisi che li confeziona con una speciale tecnica a vapore coniugando fast food, take away & alta cucina: geniale! Un mix di tre boccacci, serviti sempre con il massimo design, e un calice di vino sono perfetti in qualunque momento della serata. Per la tipologia stessa del menu, che include anche taglieri, bruschette e zuppe, si può mangiare fino a tarda notte. La selezione musicale dell’aperitivo, che di questi tempi si svolge in un continuo in & out sulla piazza, coniuga lounge e old house, di buon gusto, anche se noi ci ascolteremmo volentieri un po’ di vecchio acid jazz dai cataloghi della vecchia Talkin’ Loud. Consigliato per la selezione dei vini campani da degustare con il ‘piatto del contadino’
BERLIN DI MIRTA OREGNA
Chalet in napoletano sta per chioschetto. E quello di Strato, dinamico signore di mezza età molto in forma che socializza a meraviglia con chi ha 30 anni meno di lui (la maggior parte), è il chioschetto più amato del Virgiliano. Niente cocktail o strane idee, solo cose in bottiglia, appetizer confezionati e foglie tra i piedi a far tappeto. Strato passa musica che non ti aspetti, non è fashion, non è lounge, è molto di più: è sorprendente. Un posticino napoletano immerso nel verde col panorama infinito pieno di giovani che se la chiacchierano, se la ridono, se la flirtano. Di tavoli pronti ce ne sono pochi, ma ognuno va sul retro a prendersi la sua sedia, per sistemarsi dove più gli piace, in rispettosa anarchia, con libero arbitrio. Si resta fino a che resisti, fino a che il freschetto ti stuzzica e ti spinge verso il prossimo. Magari con una birretta di più.
baretto per antonomasia di tutta la giovane alto borghesia napoletana, con un avvicendarsi di adolescenti seguiti al massimo da poco-meno-cheventenni tutti insieme (ci auguriamo) appassionatamente alle prese con drink e patatine, quelle sì, ma senza farci troppo caso. Da non perdere gli aperitivi nel weekend. La bella veranda in vetrofania offre molti posti a sedere ed è divertente seguire il gioco dei mimi e degli sguardi di cui sono capaci le nuove gioventù bruciate
JAZZYBAR via Bisignano, 61 081-425115 aperto tutte le sere / wi-fi
corso Vittorio Emanuele, 655 081-7614740 sempre aperto / no wi-fi
Il rientro in città prevede necessariamente una “vasca” nella zona degli aperitivi a Chiaia. Qui la musica promette bene. Jazz sul serio, come non se ne sente in giro facilmente. Non c’è spazio per le performance dal vivo, ma la scelta dei dischi è giusta, dalla fusion alle incisioni storiche di oggi e di ieri. Articolato su più livelli, offre una serie di sedute nell’area interna, una molto intima al di sotto del livello stradale e un’altra decisamente più “strategica” e in vista che spunta come un terrazzino sul banco bar.
C’è sempre, oppure non c’è mai, una spiegazione precisa per chiarificare il successo di un luogo piuttosto che di un altro. Qui al tramonto si assiste a un vero e proprio fenomeno. Animale? Antropo-illogico? Senz’altro poco ideologico. Per il quale, da una stagione a questa parte, questo è diventato il
Da non perdere le postazioni all’aperto, su una delle viuzze più eleganti della città, appena cinque tavolini bianco latte, richiestissimi. C’è una certa, piacevole tranquillità fino alle otto e mezzo di sera, quando il parterre è ricco di notabili concittadini e il finger food abundat in ore… mondanorum
Da non perdere gli anticocktail fai da te, le birre banali e le buste di patatine confezionate. Per una rivoluzione dei consumi. Equo & solidale?
MICHELANGELO
MOMOS Fehrbelliner Strasse, 5 +49-176-24315868 www.momos-berlin.de Trovarli non è così facile: per quanto Marc Thomas e Martin Fehre abbiano scelto l’area di Mitte/Prenzlauer Berg, forse una delle più centrali e tra le prime riemerse con l’unificazione, il loro localino si trova in una rilassata vietta secondaria, con un paio di tavolini su strada, all’ombra di grandi alberi. La loro insegna è biologica certificata, vegetariana e con una serie di opzioni vegane, ma la specialità sono i momos, fatti a mano e ispirati agli omonimi ravioloni nepalesi e tibetani, uno street food comune alle falde dell’Himalaya, cucinato a vapore o saltato in padella, che rincuora e nutre. Qui il twist è dato dalle interpretazioni urbane dei due giovani berlinesi (spinaci e feta per esempio), dalle salse che si inventano (soia e sesamo) e dal fatto che tutto cerca di essere sostenibile, dal package all’utilizzo dell’elettricità. I momos sono serviti a prezzo contenuto nelle versioni small, medium e large, da accompagnare all’insalata del giorno o alla momosoup. E per dessert? Momo di pasta alla cannella con banana e sciroppo d’acero.
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Consigliato per una pausa street food etnica, etica ed economica
TORINO DI BRUNO BOVERI E LEO RIESER
PRIMA LÌ, ADESSO QUA TRE INDIRIZZI FRESCHI DI TRASLOCO BORDÒ via Carlo Ignazio Giulio, 4/g 011-5211324 chiuso domenica sera, lunedì tutto il giorno, martedì a pranzo Le sorelle Bordonaro lasciano la vecchia sede e… triplicano! Si allargano gli spazi, si allarga la cucina e crescono le proposte. Grazie a Michele, si aggiunge un’impronta siciliana alla linea tosco-piemontese. Assaggiate i grandi panini gourmet delle tre regioni (3,50 euro il mezzo, 7 l’intero), abbinando un calice di champagne. Con nuovi piatti, particolarmente riusciti, merito anche all’orto di proprietà, la sera si spendono da 25 a 35 euro. Grande carta dei vini e al sabato c’è il bio-brunch. Che volete di più?
LA LIMONAIA via Mario Ponzio, 10 011-7041887 aperto a cena da mercoledì a sabato È sempre una bella notizia quando un giovane apre un nuovo ristorante. In questo caso ancora di più. Cesare Grandi arriva da quella che si avvia a essere una delle eccellenze accademiche del Piemonte: l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Ma il curriculum, che vanta anche esperienze ad Agraria, diplomi e approfondimenti non è tutto. Cesare è un meticoloso. La Limonaia, elegante locale in un interno cortile con vista su piante di agrumi, è aperta da tempo come circolo culturale. Ora il grande salto: si apre il ristorante. Il menu è un continuo gioco di parole, ma la cucina è maledettamente seria. Le Alici di Alice sono un raffinato tortino di alici e fiori di zucchina, con purè di finocchi all’anice. Che Gambe(ri)! vede le code dei crostacei in un tortino di broccoletti. E se il Bianco e Verde gioca cromaticamente con cappellacci, favette, pomodorini, pecorino ragusano e puntarelle, Onde sulle Sponde propone coralli di pasta fresca al nero di seppia con anelli e rucola mentre Bond Sante Bond, vi offre capesante e Martini Dry. Chiudete con Paris Toujours Paris (clafoutis alle ciliegie e cioccolato bianco) e non ve ne pentirete. La carta di vini è assai coraggiosa: vini naturali estremi oppure il Muscadet, amore di Cesare e della Confrérie des Gastronomes di cui è ambasciatore. Il tutto per un conto che rimane sotto la soglia dei 40 euro. Non siete incuriositi? Consigliato per chi si riconosce nel motto del locale: food as culture
ALTO GRADIMENTO via Barbaroux, 10 011-4546459 sempre aperto / wi-fi Molto gradevole questo localino a due passi da piazza Castello, dove venire a fare un’ottima colazione o un pranzo veloce e magari tornarci per un aperitivo di assoluta qualità. Niente bancone stracolmo di discutibili leccornie ma, ad accompagnare un buon cocktail o dei vini di ottimo livello, vi verrà servito un piatto con verdure in pastella e grigliate, polpettine varie, splendide pizzette e salatini fatti in casa, rosti di patate, olive ascolane e così via. Magari non sarà un’abbuffata, ma sarete felici. Da non perdere i muffin salati
LE FANFARON BISTROT via Piave, 5/D 339-3247746 chiuso sabato a pranzo e domenica Era un piccolo locale molto carino a due passi da piazza Vittorio, adesso è un piccolo locale molto carino a due passi da piazza Statuto. Nulla è cambiato perché la formula funzionava e funziona. Tutto molto informale, piatti semplici e abbondanti coi punti di forza dati dalla raclette, la pierrade, la fonduta e la bagna caoda (quest’ultima su richiesta). Qualche buona bottiglia di vino e birra artigianale di assoluta qualità. Prezzi contenuti.
RURÀL via San Dalmazzo, 16 011-2478470 sempre aperto Il Ruràl si sposta in centro, vicino al Quadrilatero e occupa gli spazi per anni appartenuti al Mon Ami. Tre sale (una con banconi e sgabelli e due con sedute tradizionali), per un totale di cinquanta posti e gli stessi elementi architettonici del locale di corso Verona: corda, mattone, legno in essenza naturale. La linea enogastronomica continua a puntare sul cibo di qualità, la pasta di Defilippis e i grandi vini di Langa, ma all’orizzonte si profilano collaborazioni nuove di zecca, con grandi chef.
torinesi. Quindi sempre mostre allestite sulle pareti, musica non banale di sottofondo, selezione attenta di cantine vinicole soprattutto biologiche o biodinamiche, birra originale senza Co2 aggiunta e grande proposta di cocktail (anche di loro invenzione). Il tutto accompagnato da cose buone e originali, come lasagne al forno, torte salate, insalata russa, tartine. Da non perdere la farinata, sottile, morbida e croccante
TAMBORINI via Garibaldi, 31 011-540468 sempre aperto fino alle 20 / no wi-fi
via Sant’Anselmo, 20/C 327-3282028 chiuso domenica / wi-fi
Ha da poco compiuto i due secoli questa storica pasticceria (fondata nel 1812) nel centro di Torino. Se fa bello, sedetevi ai tavolini sulla via a godervi lo struscio, bevendo un aperitivo classico o un calice di vino e sbocconcellando lentamente i deliziosi salatini, le bruschette golose, la farinata, i tramezzini e le tartine morbidissime sapientemente farcite. Vi sembrerà di essere sulla Croisette…
È un locale molto particolare, una sorta di incrocio tra galleria d’arte, cave da musica indie e bar, nato su iniziativa di giovani artisti
Da non perdere i mitici cannoli, portateveli a casa
SOUND ART
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ROMA & CO. NIGHTLIFE
LA VILLA
DI LAURA CONTRIBUTOR NAME DI RUGGIERI
via Alessandro Fleming, 55 06-33220422 sempre aperto È un’altra Roma quella sdraiata ai piedi di questa spettacolare villa inizio Novecento (1908) sulla collina Fleming. Fuori dal centro storico, da quassù nulla si cela alla vista. Rampe di scale e pedane su vari livelli con salotti, divani, bar e tanta musica fino ad arrivare alla terrazza con il ristorante quasi nascosto dal verde di alberi secolari. A guidare il team de La Villa ci sono Gigi e Toni, probabilmente il duo più famoso dagli anni ’90 della Roma più modaiola (Le Bain, La Maison, Assunta Madre, Angelina e altro). Il rodaggio open air era cominciato nei mesi estivi ma è ora che la nuova location hip della capitale spicca il volo aprendo tutti gli interni tra primo e secondo piano. Un percorso fatto di pavimenti d'epoca, modanature e boiserie color panna, carta da parati americana a contrasto, lampadari a goccia, tavoli e credenze di vecchi legni, divani di velluto, librerie, stoviglie d’altri tempi. Gli spazi sono giganteschi: 1600 metri quadri complessivi eppure la cura dei dettagli a opera di camerieri col grembiulone nero, cameriere coi pizzi da governante e cantinieri è da raffinato piccolo bistrot. A contrasto con ambienti così internazionali la cucina è da comfort food di casa nostra: parmigiana di melanzane, pappa al pomodoro, primi piatti di tradizione (perfino la polenta con l’arrivo del freddo), bolliti girarrosto. C’è anche la pizza, i fritti. I prezzi sono assai contenuti (circa 30 euro) tenendo conto di una cucina semplice sì ma in una cornice pazzesca. Consigliato per l’aperitivo servito fino alle 23: un buffet stracolmo (6 euro per i vini, 10 i cocktail)
SLOW PIZZA
PIZZA & CO. A LIEVITAZIONE NATURALE PANIFICIO BONCI via Trionfale, 36 06-39734457 chiuso domenica pomeriggio Il sogno di Gabriele Bonci, il maestro della lievitazione, il guru di farine e impasti per eccellenza, si è realizzato con l’apertura di questo “vecchio” forno di quartiere diventato in pochissimi mesi indirizzo must dei gastroappassionati. Il pane regna sovrano: più di 1200 tipi nell’arco dell’anno. Con i cereali e 12 farine diverse, l’integrale, quello al kamut, alla zucca, il PaneNostro che dura 100 giorni. Sono fatti in loco o in arrivo da piccolissimi panificatori di nicchia. Tutti con lievito naturale, lievitazione lunghissima e a temperature controllate, farine con grani macinati a pietra, farine “vive”. La pizza bianca ha 72 ore di lievitazione, è soffice e ben oliata. Per quella rossa o con la mozzarella, la passata biologica si fa ricordare. La pasticceria, di cui citiamo una frolla pazzesca, va dai tanti biscotti alle bombe e ciambelle fritte, dai cornetti leggerissimi – anche grazie allo stesso burro francese che usa Pierre Hermé – al millefoglie preparato espresso.
FARINÈ via degli Aurunci, 6 06-4451162 chiuso mercoledì Una bella novità a San Lorenzo. I tavoli sono di legno e senza apparecchiatura, i piatti non esistono, le posate non servono. La pizza, da scegliere in formato small, regular e large (di 40 cm di diametro), arriva
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sulla carta, tagliata a spicchi, così ognuno fa più di un assaggio. I prezzi dai 2,50 ai 12 euro. Anche se a dire il vero i gusti non sono così tanti, e volutamente. Marinara, Margherita, Mediterranea con le alici, i capperi, le olive. Ogni settimana poi c’è la specialità del giorno, la pizza special, appunto. Con la scarola, con formaggi selezionati, ingredienti stagionali. Perfino di mare. Al comando della zona impasti c’è una donna, cosa abbastanza rara tra i pizzaioli. Si tratta di Francesca Sarra che fa una lunga e lenta lievitazione, dalle 48 alle 72 ore, usa prodotti selezionati, un mix di farine (0, grano duro, soia), aggiunge pasta acida, olio biologico. E sta molto attenta alla cottura, per quanto nel forno a legna.
ANGELO E SIMONETTA via Nomentana, 581 06-87188853 sempre aperto È stato Angelo l’antesignano della lunga lievitazione, delle farine selezionatissime, dell’olio al posto dello strutto. Tanto che l’agone internazionale delle sfide pizzaiole l’ha incoronato per due anni di seguito campione del mondo. Da 20 anni la sua “boutique” della pizza al taglio, in fondo a via Nomentana, è sempre sulla breccia. Tanto più che, rarità a Roma, è aperta fino a notte inoltrata e così anche alle ore piccole si passa dalla rossa con bufala messa a crudo e appena passata al forno (degna sostituta della margherita che qui non troverete mai) alla bianca con pancetta, crema di zucca e provola, oppure alla “classica” al pesto. Tutte servite su taglieri di legno. Si prosegue senza sosta vista la varietà dei gusti, considerato che nessuna pizza più di questa è leggera, friabile e altamente digeribile. Unica alternativa alla pizza i fritti, anche loro tanti e ben fatti. Unico neo, segno però anche della qualità, i prezzi piuttosto alti.
ROMA & CO. NIGHTLIFE
© Amy Murrell
DI CONTRIBUTOR NAME
LONDON DI MIRTA OREGNA
ROSSO viale Aventino, 32 06-64420656 sempre aperto Quattrocento metri quadri per uno spazio che ha un’area ristorante davanti al bancone gastronomia, una caffè davanti al bancone bar e un’area soppalcata che è la zona garden tra piante, finte e vere, e finestroni sul cortile. Si mangia (fino a dopo mezzanotte) una cucina di tradizione italiana con molti fuori menu romaneschi e qualche leggera divagazione creativa. Insalata di tonno e papaya, scialatiello polpo verace e pesto di mandorle, fettuccelle di farro con verdure, guancetta di vitello brasata, polpette di melanzane e cinque dolci in carta. Pane fatto in casa. Declinazioni del rosso per i menu format del pranzo: Vermiglio, Cardinale, Magenta, Amaranto. Spicca anche il bancone bar dove viene servito l’aperitivo al buffet, in pietra lavica con tanto di finestra/vetrina su strada per l’asporto veloce di insalate, centrifughe, yogurt, panini. I tavoli hanno inserti in legno di risulta da un antico parquet spagnolo. Prezzi che non superano i 35 euro. Consigliato per
“Rosso”, dessert icona del locale, semisfera di crema chantilly glassata al lampone e cuore di fragola
GRAIN STORE Granary Square, 1-3 Stable Street +44 -20-73244466 www.grainstore.com Una cucina senza confini geografici è il minimo che ci si possa aspettare nella “melting pot” londinese, ma quando questa viene firmata dal master chef francese Bruno Loubet, che rientra a Londra dopo otto anni di Australia, allora la questione si fa interessante. Prendiamo uno dei piatti proposti in menu: zucchine, fave, falafel di gamberi e salsa raita, dove il mix etnico è evidente e pure la presenza forte della verdura con le mille opportunità che questa offre in cucina (anche se non si tratta – ci tiene a precisare Loubet – di un locale vegetariano, come potrebbe far presagire l’insegna), nella scia di quel comfort food, salutare ma gustoso, che oggi è sulla cresta dell’onda. Ulteriore marcia in più il design degli interni curato da Russell Sage, che ha progettato l’ambiente intorno all’idea di una cucina “esplosa” e dagli arredi flessibili, e della terrazza che si affaccia su King’s Cross Central, quartiere emergente della North London. Consigliato per
prima di cena, farsi shakerare un super cocktail dal resident bartender Tony Conigliaro
SETTEMBRINI CAFÉ
BAR PERÙ
via Luigi Settembrini, 21 06-97610325 sempre aperto / no wi-fi
via di Monserrato, 46 06-6879548 sempre aperto / wi-fi
È qui la festa a settembre! Non si può mancare al decimo compleanno della costellazione Settembrini, spazio poliedrico, che anima fino a notte il quartiere Prati Delle Vittorie. Per l’occasione arrivano tanti amici, chef, di casa nostra e internazionali, produttori. Al Café si celebrano le cucine regionali con appuntamenti continui. Si raccontano storie, si assaggiano prodotti, si degustano piatti. Il barman, Matteo Zed, inventa un cocktail da abbinare a ogni regione e Luca Boccoli, il sommelier, organizza degustazioni speciali, a tema.
Da 90 anni è il bar storico di Campo de’ Fiori: restaurato da poco, non ha perso quel fascino da autentico pezzo d’epoca, dal bancone al vecchio pavimento in marmittone dove artisti e artigiani di zona hanno voluto inserire delle mattonelle in cotto. Tre soci, Salvatore, Gianluca, Luigi, ne rappresentano l’anima contemporanea che ne ha fatto un must della notte: dall’happy hour ricchissimo di sfizi al dopo, quando al popolo diurno subentra quello della notte. E allora si riempie di creativi, artisti, musicisti, nottambuli vari.
Da non perdere il negozio di Settembrini, una raffinata “boutique del cibo”, con i suoi prodotti nostrani di eccellenza
Da non perdere l’Aperitivo del venerdì Muffin Monroe a base di muffin, ovvio, e cupcake salati
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MILANO ULTIMA FERMATA DI FRANCO BOLELLI
QUELLO CHE NON SI IMPARA Per evidenziare la definitiva superiorità femminile (sì, perché c’è una evidente superiorità femminile: ce ne è anche una maschile, ma per il momento lasciamola da parte), non trovo di meglio che svelare un episodio personale. Vedo un giorno su Skype – lui è a Los Angeles – mio figlio rivolgersi alla sua Isabella – quasi quattro anni – chiamandola baby. Lei risponde secca “non sono una baby, sono una ragazza: guarda, parlo come una ragazza, mi muovo come una ragazza”. Poi gli si avvicina languidamente, sgrana gli occhioni e gli dice soavemente “ma se tu vuoi, puoi chiamarmi baby”. Questa irresistibile combinazione di seduzione e innocenza è la risposta alla domanda sul perché ogni giorno, da millenni, migliaia di uomini cadono ai piedi di una donna. No, non c’entra l’educazione, né i condizionamenti ambientali o culturali. La questione è squisitamente biologica. Questa è una storia che nasce nel codice genetico. Negare che il modo in cui siamo fatti fisicamente abbia profonda influenza sui nostri comportamenti e sugli stessi modelli di pensiero è una ridicola superstizione. Sì, ovvio che l’ambiente in cui siamo cresciuti e la nostra educazione contano tanto: ma davvero qualcuno crede che vedere e vivere il mondo
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da una struttura fisica e mentale femminile o maschile sia la stessa cosa?! Tanto più che la relazione del femminile con la natura biologica è così diretta e Fateci caso: quanto più una città è peculiare che dovremmo semmai eleggerla a evoluta, quanto più è espressione del paradigma, non certo sottovalutarla. Nel mondo globale, tanto più ogni volta che suo “Vagina” – scritto perché i suoi orgasmi ci andate non potete non accorgervi che erano diventati soltanto orgasmi e non più aumenta il numero di bambini che non si esperienze “mistiche” di comunione con il riesce a definire in base ad alcuna identità senso della vita – Naomi Wolf costruisce etnica e razziale. È così a New York, proprio sulla danza delle sostanze chimiche a Los Angeles, e poi a Londra, e giù a nel nostro organismo e sulla particolare scendere. Le grandi metropoli sono sempre conformazione nervosa del sesso femminile più popolate da spettacolari frullati un vero e proprio manifesto che propone genetici, seconda o terza generazione di di assumere come unità di misura centrale combinazioni dove le origini scivolano proprio il biologico. sempre più sullo sfondo e nuove misteriose sfumature conquistano la scena. Ok, non È chiaro allora che tante scelte e tutte riusciranno come Jessica Alba o come comportamenti femminili sono tristemente – permettetemelo – la spettacolare bambina condizionati dagli stereotipi sociali: ma se californiana di mio figlio (babbo milanese e si guarda il linguaggio del corpo di molte madre di San Francisco ma taiwanese): però donne, i mille gesti quotidiani, non si può questa condizione indefinibile e plurale sta non vedere che – più o meno potente – affiora diventando non dico trendy ma in qualche sempre un rapporto diretto con la vita che modo familiare. D’altra parte qualunque nessun condizionamento esterno potrà mai evoluzione in qualunque campo è sempre soffocare. Quando allora un corpo, uno nata da connessioni al di là dei confini, sguardo, un gesto, esprimono quella certa e viceversa le culture più arretrate sono quintessenza femminile, ricordiamoci sempre quelle difensivamente arroccate su se che è di una grande strategia evolutiva che stesse. Per esempio le città di frontiera si tratta. hanno sempre avuto una loro particolare
DON’T FORGET
foto Tatiana Uzlova
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