Urban 117

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NUMERO 117





SOMMARIO 7 | EDITORIALE 9 | ICON

53 | DETAILS

74 | ULTIMA FERMATA

di Ivan Bontchev e Tatiana Uzlova

di Franco Bolelli

54 | LIKE A MOVIE STAR

11 | INTERURBANA al telefono con Luigi Pezzotta

foto Mattia Zoppellaro/ Contrasto styling Ivan Bontchev

13 | PORTFOLIO

65 | LIBRI

I magnifici 26 a cura di Floriana Cavallo

di Marta Topis

67 | FUORI

20 | CULT 22 | ABDELLATIF KECHICHE di Francesca Felletti

26 | COAST TO COAST di Francesca Bonazzoli

P. 54

31 | MOODBOARD 32 | OLTRE LO SPRECO di Susanna Legrenzi foto Dmitri Gerasimov

36 | THE AMERICAN READER di Giovanna Maselli foto Samantha Casolari

40 | NIGHTLIFE di Lorenzo Tiezzi

46 | MONKEY CATCHERS di Sasha Carnevali

P. 26

P. 13

50 | MUSICA di Paolo Madeddu

Cover: foto di Mattia Zoppellaro / Contrasto Maglia, maison martin margiela Manicotto, pepe jeans

MENSILE, ANNO XIII, NUMERO 117 www.urbanmagazine.it redazione.urban@rcs.it

Facebook: Urban Magazine Twitter: Urbanrcs

DIRETTORE RESPONSABILE Alberto Coretti alberto.coretti@rcs.it

CAPOSERVIZIO Floriana Cavallo floriana.cavallo@rcs.it

FASHION a cura di Ivan Bontchev fashion.urban@rcs.it

PROGETTO GRAFICO Topos Graphics

REDAZIONE Daniele Angi daniele.angi@rcs.it

DIRETTORE MARKETING Giancarlo Piana

ART DIRECTION Sergio Juan

SEGRETARIA DI REDAZIONE Rosy Settanni rosy.settanni@rcs.it

URBAN

via Rizzoli, 8 · 20132 Milano tel. 02.25.84.1 / fax 02.25.84.2120 testata del gruppo City Italia S.P.A. DISTRIBUZIONE PLP s.a.s. Padova tel. 049.8641420

STAMPA San Biagio Stampa S.p.A. via al Santuario N.S. della Guardia, 43P rosso 16162 Genova

FOTOLITO Topcolor Dream via Toscana, 19 20090 Buccinasco (Mi)

PUBBLICITÀ Milano Fashion Media Augusta Ascolese Corso Colombo, 9 20144 Milano tel. 02.5815.3208 cell. 335.6945.908 aascolese@ milanofashionmedia.it

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EDITORIALE

EDITORI DI NOI STESSI Sono artefice delle mie immagini. Ho il controllo diretto sulla rappresentazione di me stesso. Posso gestire la mia dimensione pubblica, quantomeno rispetto alla comunità dei miei amici, in prima persona, senza bisogno di intermediari. E quindi, come profetizzava Andy Warhol, l’eventualità che “prima o poi anch’io avrò il mio quarto d’ora di notorietà” sembra veramente a portata di mano. Aspettando quel momento, per un giorno possiamo liberare la nostra attitudine da star e a nostro modo divertirci a interpretare pose, vezzi, idiosincrasie che la fama in genere porta con sé, come ha fatto su questo numero di Urban il modello in copertina. La celebrità è davvero dietro l’angolo ma per essere dei bravi editori, anche solo di se stessi, bisogna sempre avere delle buone storie da raccontare.

HANNO COLLABORATO CON NOI Franco Bolelli Francesca Bonazzoli Bruno Boveri Ciro Cacciola Sasha Carnevali

Samantha Casolari Roberto Croci Daniela Faggion Francesca Felletti Susanna Legrenzi

Paolo Madeddu Giovanna Maselli Mirta Oregna Sara Rambaldi Leo Rieser

Laura Ruggieri Lorenzo Tiezzi Marta Topis Tatiana Uzlova Mattia Zoppellaro

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LOS ANGELES ICON

L’OGGETTO DEL MESE

CANADESE DA CONCERTO SCELTO DA LARS ULRICH

“Appena l’ho vista me ne sono innamorato immediatamente. Quel look vintage non ha fatto altro che rievocare in me immagini e ricordi del mio primo amore per la musica inglese, punk in particolare. E poi, onestamente, me la sono comprata perché la prossima volta che vado a Coachella mi sistemo in tenda, cercando di passare inosservato, in incognito tra i fan”. • Lars Ulrich, leader e batterista dei Metallica (9 Grammys e 100 milioni di dischi venduti), è in uscita con un film documentario nuovo, Through the never, diretto da Nimrod Antal

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BAKU INTERURBANA DI DANIELA FAGGION

AL TELEFONO CON

LUIGI PEZZOTTA UNO COMINCIA A STUDIARE ARCHITETTURA SOGNANDO NEW YORK, LONDRA, BERLINO... POI FINISCE A REALIZZARE I SUOI PROGETTI A BAKU. UN SEGNO DEI TEMPI CHE CAMBIANO? Non ho scelto Baku a tavolino, ma per me è un grande banco di prova. Mi era capitato di lavorare già su progetti esteri, ma sempre rimanendo in Italia: la possibilità che invece ho qui di lavorare direttamente “con le mani in pasta” era un treno che non potevo perdere. E DI CHE PASTA È FATTA BAKU? Un fermento palpabile ovunque. Qui ti svegli col sorriso perché – da architetto – vedi le tue idee realizzate e le persone ti ascoltano indipendentemente dall’età professionale.

TI SEI TRASFERITO CON LA FIDANZATA. METTERESTI SU FAMIGLIA DA QUELLE PARTI? Opportunità ce ne sono e i guadagni sono fuori dalla portata dei nostri ricordi. Lo stile di vita, però, non è dei migliori.

IN QUALI ASPETTI?? Baku non è l’Azerbaijan. È una città “di facciata” e le autorità spingono perché venga interpretata così: la vorrebbero come la Dubai dei prossimi 20 anni. Per questo sono più forti le differenze sociali fra super ricchi e super poveri: in una “città vetrina” come questa, per esempio, i negozi del centro con marchi italiani e francesi non sono destinati a chi ci vive, anche perché i prezzi sono il doppio dei nostri. A PARTE I TENTATIVI FRUSTRATI DI FARE SHOPPING, CHE COSA CI COLPISCE? Quelli che non scendono mai dai loro macchinoni... intendo modelli che da noi non esistono nemmeno! Il rischio di essere investiti qui è alto almeno quanto è basso il rispetto per il pedone.

IN EFFETTI IN SOTTOFONDO SI SENTONO MOLTE FRENATE... Il traffico è talmente caotico che ha spaventato anche i miei colleghi di Napoli! Ho visto autobus pieni di gente andare contromano, perché le linee sono appaltate ai driver, che cercano di accontentare quante più persone possibili per incrementare i loro guadagni. Gran parte della popolazione, però, vive la città a piedi e i pochi spazi considerati pubblici sono molto affollati.

PER NOI ITALIANI BAKU È ANCORA UN NOME ESOTICO. CHE COSA CI PERDIAMO? In primis un centro storico impeccabile, che fa invidia a molte città europee e fa intuire un forte legame con la storia. Poi c’è l’esplosione di grattacieli come le Flame Towers e di infrastrutture: stanno costruendo tre nuove linee della metropolitana e una sarà finita per il 2015 quando l’Azerbaijan ospiterà le prime Olimpiadi europee.

IL MARE NON È LONTANO: INCIDE SULLA VITA CITTADINA? Sì e ne vedi di tutti i colori: l’occidentale in costume, il povero che fa il bagno in mutande, la donna velata.

LA RELIGIONE MUSULMANA SI FA SENTIRE? In realtà no, almeno non quanto incide nella vita degli Emirati Arabi. Questo grazie ad anni di cultura russa laica.

ANDIAMO LAICAMENTE A CENA...

Al Feruza, di fronte a Fontains Square. Si mangia carne, frutta e verdura sono freschissime. Per il dopo, qui usa andare negli hotel, di fronte al mare. Un classico è il bar dell’Hilton, che ruota a 360° e ha una vista pazzesca: un buon modo per dare uno sguardo allo skyline, gru dei cantieri compresi. Altrimenti la città vecchia offre locali più tranquilli, dove sorseggiare tè o farsi una birra. Non mancano poi i classici pub, visto che qui opera la principale compagnia petrolifera britannica e gli oil people sono stati i primi ad arrivare a Baku.

ECCO, A PROPOSITO, MA IL PETROLIO SI VEDE?! Nei macchinoni che dicevamo prima e nelle trivelle all’orizzonte. La zona di Baku, poi, è quella cruciale: qui c’è una tale concentrazione di petrolio nel terreno che gli alberi non crescono spontaneamente. BELLA SFIDA PER CHI, COME TE, LAVORA A UN PARCO PUBBLICO! Sì, ma la terra è stata bonificata e alla fine di alberi e parchi ce ne sono tanti, anche se per lo più “contemplativi”: in Italia troveresti gente sdraiata sul prato, qui assolutamente no.

UN MOTIVO PER RESTARE E UNO PER SCAPPARE DOMATTINA? Le soddisfazioni professionali da un lato e il caffè a sei euro dall’altro. •

LUIGI PEZZOTTA (Milano, 1979), architetto. Nel novembre 2012 ha iniziato a seguire per una società italiana la realizzazione di un tunnel a Baku, in Azerbaijan. Dal 2013 il trasferimento e la vita “da azero da zero”: “Sulla via del petrolio i soldi fanno tanto, ma non sempre si trova la felicità”. URBAN | 11



TORINO PORTFOLIO A CURA DI FLORIANA CAVALLO

BOB MARLEY, TOOTS & THE MAYTALS 1980 – KINGSTON FOTO GAB ARCHIVE

I MAGNIFICI 26

L’abisso sonoro tra Frank Zappa ed Elvis Presley come anche quello tra Bob Marley e i Beatles può sembrare incolmabile. Eppure fanno tutti parte di quella ristretta cerchia di 26 rockstar che hanno cambiato il corso della musica dagli anni Cinquanta a oggi e che Alberto Campo, direttore artistico di Traffic, si è preso la briga di scegliere. Attingendo dall’archivio fotografico di Getty Images, ne è nata una mostra di 78 immagini, pubbliche e più intime, per perdersi in 50 anni di vita da rockstar. • Transformers / Ritratti di musicisti rivoluzionari. Cantieri OGR, corso Castelfidardo 22, Torino. Fino al 10 novembre. www.ogr-crt.it URBAN | 13


JOHNNY ROTTEN (SEX PISTOLS) 1977 – AMSTERDAM FOTO DI LEX VAN ROSSEN

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THE BEATLES 1964 – LEICESTER FOTO EXPRESS

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PINK FLOYD 1980 – LONDRA FOTO DI ROB VERHORST

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ELVIS PRESLEY 1956 FOTO DI MICHAEL OCHS

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FRANK ZAPPA 1972 – LONDRA FOTO DI ROGER ALLSTON

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LOS ANGELES & CO. CULT

IL MONDO IN UNA TANICA

© David Campany, 2013, courtesy MACK

DI MICHELE MILTON

© David Campany, 2013, courtesy MACK

La mitica Tura Satana (eroina di culto del film Faster Pussycats Kill! Kill! di Russ Meyer) dietro la pompa di benzina che urla e spara al deserto o la prossima procace eroina di un film All-girls del Tarantino più retrò, sarebbero davvero a proprio agio tra le pagine di Gasoline (Mack, pp. 100, 30 euro) il libro dello scrittore, nonché artista e curatore londinese David Campany: tratta le celebri gas station americane come una delle costruzioni più iconiche del ventesimo secolo attraverso numerose immagini provenienti dagli archivi fotografici di quotidiani e riviste statunitensi (tra il 1944 e il 1995) e collezionate da Campany medesimo. C’era una volta la benzina e averne un serbatoio pieno era sinonimo di libertà, c’erano i dragster a reazione sul lago salato col paracadute come al traino e sfide all’ultimo pistone tra Jimmy Dean, Dennis Hopper e soci, c’erano benzinai che vendevano Inferno liquido, motori che più grandi non si può e stazioni che sembravano atterrate direttamente da Saturno. Anche così si può leggere Gasoline, un libro sulle macchine, il petrolio e i miti che cambiano… e poi ritornano in altra forma. mackbooks.co.uk

UN PO’ SIR E UN PO’ MODS

CALZE IN RIGA

Innovazione e sostanza sono i pilastri su cui Rocco P. fonda la collezione Autunno/Inverno 2013-14. Spunti dalla tradizione rigorosa inglese si mescolano alle contaminazioni estetiche dei movimenti Mods. Il risultato sono creazioni contemporanee capaci di trasmettere con forza lo spirito del loro tempo. Tutti i modelli prendono forma con preziose e innovative lavorazioni artigianali, realizzate a mano. Linee pulite per le nuove interpretazioni di stivaletti beatle e polacchini, essenziali ma di forte carattere. Le stringate ricalcano gli stilemi inglesi, inserendo elementi di novità che scrivono la storia di un nuovo classico.

Verde bosco, marrone castoro, rosso amarena, total black e microfantasie. È l’Autunno/Inverno al femminile per Sarah Borghi, una collezione di calze, collant, autoreggenti e gambaletti sobria ed elegante, stilosa ma confortevole. Per l’uomo invece è tempo di geometrie, creatività, morbide trame, toni a contrasto in forma di rombi, righe, macro e micro pois.

shoproccop.it

sarahborghi.com

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Brian Ermanski Gordon Young , Comedy Carpet / Ph.: Why Not Associates

Mayer H., Experimental Spatial Structures

Morag Myerscough, The Movement Café / Ph.: Gareth Gardner

Shanghai Expo 2010 - Korea Pavilion, Multiple Architects

TOPOGRAFIA & TIPOGRAFIA Verba volant scripta manent, ma anche no. Le parole evadono dal luogo comune e dagli oggetti deputati a custodirle. Le parole polverizzate, monumentalizzate, delocalizzate, ricomposte si immergono nel tessuto architettonico della città. Pensieri a ruota libera sul pavimento di un aeroporto, messaggi nei campi del Nebraska, neon che comunicano lingue immaginarie. Tipografie e Topografia. Significati, significanti e non-sense si fanno scultura, diventano parte del paesaggio urbano e testimonianza di un’epoca lanciata oltre i vecchi concetti di informazione, propaganda, linguaggio. E il bel libro Lettering Large (Monacelli Press, pp. 224, 45 dollari), a cura di Steven Heller e Mirko Ilic, è pronto a testimoniarlo con ben 400 immagini fotografiche tra Stati Uniti, Europa e Asia, che documentano un fenomeno internazionale di cultura e di design, meglio (e scusate il bisticcio) di un milione di parole. monacellipress.com

DOPPIOPETTO IN BLUES Il ritorno di un grande classico rivisitato: il Navy Pea Coat di Gerald & Stewart. Bottoni dorati, pregiata lana Melton, ancora d’ordinanza ricamata, ma nuove personalizzazioni e nuove lunghezze. Nella linea Fidelity Uomo, oltre al classico Duffel Coat con alamari in corda e legno naturale, c’è pure la versione color cammello con alamari in pelle e corno. Nella collezione Donna, trench corti doppiopetto, cappottini mono e doppiopetto e un’evoluzione tutta al femminile del tradizionale pea coat con maniche a campana. geraldandstewart.com

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CANNES CINEMA

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A K


ABDELLATIF KECHICHE

TESTO FRANCESCA FELLETTI

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Tunisino naturalizzato francese, cinquantaduenne, dotato di una capacità di narrazione più unica che rara. I suoi sono tra i pochi film che lambiscono le tre ore senza annoiare nemmeno un minuto. Abdellatif Kechiche è di diritto nella short list dei registi internazionali che contano. Noi lo abbiamo incontrato a Cannes, sulla Croisette, lì dove il suo film, La vie d’Adèle - Chapitre 1 & 2, nelle sale dal 24 ottobre, ha vinto la Palma d’oro. “Fin dal 2003, mentre facevo la regia del film La schivata – racconta Kechiche – avevo in mente una sceneggiatura sul percorso di una professoressa di francese appassionata di teatro. Volevo sviluppare un personaggio femminile desideroso di comunicare, che svolgesse un lavoro con passione. E così è nata la protagonista del mio film, che è appunto un’insegnante consapevole di come tutto ciò che le accade nella vita privata – amori, lutti, separazioni – abbia comunque ripercussioni sul suo lavoro. Ero stato vicino a molti di questi professori e professoresse nel periodo del mio secondo lungometraggio (La schivata, appunto) e per me è stato toccante il fatto che vivessero il loro lavoro come una vocazione. Artisti autentici che amavano la lettura, la pittura, la scrittura. Ma alla fine questa sceneggiatura non è mai stata scritta. E quando mi sono imbattuto per caso nel fumetto Il blu è un colore caldo di Julie Maroh, che racconta la storia di questo amore assoluto tra due donne, e allo stesso tempo parla di una giovane che diventa insegnante, ho capito come far combaciare i due progetti”.

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Le interpreti della Vita di Adele, le belle e brave Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux, sono ragazze di estrazione sociale e aspirazioni diverse – una maestra di provenienza proletaria e una pittrice figlia di intellettuali – che si perdono in un vortice di passione, come due metà ricomposte in una relazione travolgente, che dura nel tempo. “Raccontare una storia d’amore tra due donne significa lavorare intensamente con due attrici – spiega l’autore, nei mesi scorsi prima accusato e poi difeso dalle due protagoniste per il sovraccarico di stress psicologico a cui le avrebbe sottoposte sul set – è un lavoro che mi appassiona e che si sta rivelando sempre più importante via via che cresco come regista. Mi chiedo cosa nella storia tratta dal fumetto Il blu è un colore caldo sia stato l’elemento ispiratore che mi ha spinto a fare il film. Forse le tavole che ritraggono i corpi nudi? È possibile. Ma mi interrogo su quali siano state le ragioni più profonde”. Una sensibilità particolare nel ritrarre le donne, quella del cineasta tunisino, già dimostrata in Cous Cous (2007), dove la macchina da presa si sofferma sul corpo, sensuale per quanto ancora acerbo di Hafsia Herzi, la quale la sera dell’inaugurazione del ristorante del padre, immigrato maghrebino in Francia, si esibisce agli occhi degli ospiti in una magnetica e interminabile danza del ventre per ingannare l’attesa – prolungata a causa di una serie di incidenti – del piatto forte della serata: il cous cous di pesce preparato da sua madre. Ma tornando a La vie d’Adèle - Chapitre 1 & 2, alla domanda sul perché dei tanti, espressivi, primi piani di Léa e Adèle, Kechiche risponde: “Durante le riprese non mi sono posto questo interrogativo, semplicemente i closeup ti permettono di catturare le espressioni più sottili che non sempre si vedono nella vita vera”. E sulla sua efficacia nella direzione degli attori,


che riescono a essere così veri nelle interpretazioni dei suoi personaggi, dice: “È importante che ciò che appare nelle immagini sia naturale: il lavoro di preparazione è inevitabile, ma bisogna che sia ridotto al minimo indispensabile ed è necessario sbarazzarsi della recitazione di mestiere. Nelle sequenze di gruppo, il testo e i dialoghi sono sempre scritti minuziosamente. Ma io cerco di non subire un ritmo predeterminato e di fare in modo che quel ritmo venga fuori al momento delle riprese”. Adele nel film inizia svogliatamente a scoprire il sesso con il primo fidanzatino subito messo da parte dopo il colpo di fulmine per una ragazza dai capelli blu. Arriva poi la relazione intensa fra le due giovani donne, la convivenza, la rottura di cui Adele non sa farsi una ragione anche dopo anni, quando ormai adulta la vediamo rincontrare quello che è stato il suo primo e unico amore. “Fui molto colpito dalla graphic novel della Maroh in cui c’è un incontro che stravolge la vita della protagonista e le fa capire quale sia la sua natura – aggiunge Kechiche – quindi ho iniziato il lavoro di adattamento: la storia

in origine si svolge negli anni Novanta in un contesto militante che io ho preferito trascurare per concentrarmi sull’incontro, la difficoltà di vivere insieme e la separazione”. Kechiche entra nella vita di Adele e ce la mostra quasi dal buco della serratura, raccontandone i dettagli intimi, anche banali, evitando per quanto possibile le ellissi, soffermandosi sugli amplessi con una verosimiglianza ai limiti del voyeuristico e del disturbante. “L’esperienza di questo film non mi ha dato certezze ma, al contrario, ha accresciuto i miei interrogativi e i miei dubbi sul principio della femminilità. Che poi è anche il principio della vita, della speranza, del mistero. La mia idea è che forse un giorno troverò una risposta. Ed è per questo che il titolo completo del film è La vita di Adele - Capitoli 1 & 2: perché non so ancora quali siano gli altri. Vorrei che me li raccontasse Adele. Ho pensato a così tante cose che le potrebbero succedere che ho già iniziato a immaginare i nuovi capitoli. Non so se prenderanno mai forma – conclude il regista, che si vocifera già impegnato in un biopic su Marilyn Chambers, celebre pornoattrice degli anni Settanta e protagonista di Rabid sete di sangue di David Cronenberg – ma sono già molto emozionato a progettarli”. Noi, felici di potere rivedere il film anche fuori dalla Croisette, non possiamo che augurarci di gustare la continuazione della Vita di Adele, ma anche il biopic e tutte le altre storie che Abdellatif Kechiche vorrà raccontarci. •

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NEW YORK & CO. ARTE

COAST

TO

COAST

TESTO FRANCESCA BONAZZOLI

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Immaginate un treno che attraversa la notte con i vagoni trasformati in grandi schermi luminosi. Immaginate praterie, grandi laghi, paesaggi montani e deserti bucati da quella striscia di luce colorata. Immaginate l’America, dall’Atlantico al Pacifico. Sogni così sono realizzabili solo da grandi visionari e l’artista californiano Doug Aitken, classe 1968, è un sognatore con la testa solidamente piantata nel computer. Concreto come un ingegnere, può vantare un lungo curriculum di suoni e visioni proiettati su mega schermi che ricoprono edifici pubblici come la facciata del MoMA trasformata in un gigantesco schermo: sotto, il traffico frenetico della 53esima; in alto, le immagini lente di Tilda Swinton, Donald Sutherland, Cat Power, Sue Jorge, di uomini e donne anonimi che dormivano, mangiavano, uscivano per andare in ufficio. L’intimità di una stanza rovesciata nella città. L’introspezione lenta contro il linguaggio aggressivo della vicina Times Square. Anche a Roma, sull’isola Tiberina, Aitken ha creato un’enorme scatola visiva a 360 gradi, sempre facendo interagire luce e suono con l’architettura e il paesaggio circostante. La sua è la land art del XXI secolo: un mix fra fantasia sfrenata e precisione tecnica. Doug gira sempre con un computer e parla dei suoi progetti solo attraverso i rendering che ti mostra clikkando col mouse. La sua ultima fatica è l’ambizioso o, ancor meglio, faraonico, progetto di arte pubblica Station to Station, realizzato grazie al supporto di Levi’s. Non una mostra né un’installazione, ma niente meno che un happening in movimento attraverso un treno che in tre settimane di viaggio coast to coast, from East to West, durante lo scorso settembre si è fermato in nove grandi città e piccoli villaggi per mettere in scena una notte di spettacoli, concerti, reading, film: una piattaforma mobile per esperimenti artistici dalle estremità al cuore del variegato territorio americano. L’idea era quella di suscitare energie lungo il percorso mettendo in contatto grandi nomi delle diverse discipline artistiche con i progetti delle comunità locali. Insomma uno scambio di energie, avvenuto di notte, nello spazio liquido e provvisorio delle stazioni ferroviarie. Il treno è partito da New York con un happening dei nomi più illustri dell’avanguardia mondiale, da Urs Fischer a Carsten Höller, Ernesto Neto, Christian Jankowski, Philippe Parreno, Rirkrit Tiravanija e insomma tutta la crème de la crème. E poi via, di corsa attraverso Pennsylvania, Illinois, Minnesota, New Mexico, Arizona e California. Il progetto è servito anche a raccogliere fondi, tramite la vendita di biglietti e donazioni, per supportare la programmazione culturale di sette musei partner in tutto il Paese che condividono lo stesso obiettivo: la ricerca di nuovi tipi di arte e scambi creativi. “Per un breve periodo di tempo, il ‘luogo’ più interessante del nostro Paese sarà un bersaglio mobile”, ha dichiarato Aitken. “Questo è un viaggio culturale in movimento, la ricerca costante di nuovi orizzonti della nostra cultura che sta cambiando. Si fonda su alcune domande di base: chi siamo? Dove stiamo andando? E, in questo momento, come possiamo esprimere noi stessi? La nostra intenzione è creare un moderno manifesto culturale”.

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Non poteva mancare la “food experience” curata da Alice Waters che ha affidato allo chef Leif Hedendal il compito di preparare a ogni fermata menu speciali con ingredienti provenienti dai mercati locali slow food. Ogni happening era introdotto da una processione organizzata da Meschac Gaba con dodici partecipanti che indossavano altrettanti copricapo africani e dall’alzabandiera, ogni volta appositamente disegnata da Lawrence Weiner. Insomma, non ci si è fatti mancare nulla e chi volesse farsene un’idea, può navigare nel sito stationtostation.com dove sono raccolti commenti, twit, foto, filmati compreso il racconto del Gran Finale a Oakland con la stazione abbandonata della 16esima strada trasformata nel set di un dance party forsennato, con la musica elettronica “future shock” di Dan Deacon e la performance di fumo di Olaf Breuning. Ovviamente mancano le emozioni live, ma qualche vibration passa lo stesso. •

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URBAN X LANCIA

18.30 attacco istantaneo di shopping compulsivo

17.30 le vittorie migliori si festeggiano al bar

21.30 appuntamento al buio…

06.30 fuga segreta al mare

10.30 torneo di squash “vietato perdere”

Una giornata con Lancia Ypsilon Momodesign Mantello mono o bicolore con top in nero opaco e silhouette in cinque differenti colorazioni: bianco neve, nero vulcano, rosso argilla, grigio pietra o il nuovo blu zaffiro. Nuovo paraurti posteriore sportivo con cromature, e maniglie delle porte in tinta carrozzeria. Sono gli elementi di forte identità che rendono unica la nuova Lancia Ypsilon Momodesign. Un1automobile dalla spiccata indole urbana, ideale per

zizzagare nel traffic jam metropolitano senza mai perdere quel mood contemporaneo che solo la collaborazione Lancia Momodesign è in grado di attivare. Sia che si tratti di un pomeriggio a negozi, di un aperitivo in centro, di un vernissage in galleria o di una improvvisa fuga al mare, lo stile cool and chic di Lancia Ypsilon Momodesign vi seguirà ovunque voi andiate. lancia.it


MILANO MOODBOARD DI ANTONIOLI

GLI OPPOSTI

Visioni Fall-Winter di Antonioli Milano Il bene e il male. Il bianco e nero. Una maschera totem creata con una selezione dei nostri accessori invernali riporta a tutto ciò che è primitivo, ancestrale. Le donne uccelli di Haider Ackermann di questa Fall-Winter, vestite commando, che parlano con la voce di Marilyn Monroe. Icone di una bellezza contraddittoria. Fragile e forte. Sensuale e androgina nello stesso momento. Tutte suggestioni, mentali prima ancora che visive, che in questo autunno permeano le austere mura del nostro negozio affacciato su una traversa del Naviglio Grande a Milano. • antonioli.eu Instagram @antoniolieu Facebook Antonioli.eu

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BOLOGNA & CO. FENOMENI

OLTRE LO SPRECO TESTO SUSANNA LEGRENZI FOTO DMITRI GERASIMOV

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“Ho l’abitudine di camminare a piedi, posando l’occhio su mozziconi, carta, cibo... Spesso mi sono chiesto chi siamo e cosa buttiamo. Un giorno ho messo mano alla spazzatura e ho iniziato a catalogare reperti”. Dmitri Gerasimov è un giovane fotografo estone. Ha studiato fotografia alla Estonian Academy of Arts di Tallin. Collabora con riviste di moda dell’area dei Paesi Baltici. Tra le sue ricerche recenti c’è Edible /Inedible: una serie di still life su foglio di carta bianca, immortalati con luce naturale e una Canon 5D. Il risultato è una sequenza di scarti del quotidiano: “nature morte” del terzo millennio, vegetali appassiti ma anche imballi senza più forma. Lo stile è tagliente, i colori sono forti, la materia è granulare, la visione, talvolta, drammatica. “Edible /Inedible non veicola messaggi speciali” racconta Dmitri. “Con questo progetto ho voluto semplicemente puntare lo sguardo sul quotidiano, catalogando cose così ovvie e comuni che spesso non ci fermiamo nemmeno a guardarle. Il mio obiettivo è incoraggiare la gente a vedere di più. A volte anche le cose apparentemente familiari diventano irriconoscibili. E questo, quando si tratta di rifiuti, è molto importante. Anche in Occidente, il concetto di scarto ha un significato soggettivo: la spazzatura di un uomo può essere un tesoro per un altro”. Secondo le più recenti stime della Fao, ogni anno, nel mondo vengono buttate circa 1 miliardo e 300 milioni di tonnellate di cibo, più o meno la quantità sufficiente per sfamare un miliardo di “affamati”. Se volessimo tradurre il dato con una quota del prodotto interno lordo italiano, nel solo 2011, gli sprechi nel loro complesso valevano l’1,19% del pil, pari a circa 18,5 miliardi di euro a prezzi di mercato. Sugli scarti di cibo si sono misurati numerosi artisti e designer. Dal viennese Studio Rygalik che con vecchi “sfilatini” ha progettato un Tavolo Baguette al giovane fashion designer Hoyan Ip che con gli avanzi alimentari ha realizzato una collezione di bottoni, Bio Trimmings, con cui ha poi “impreziosito” classici del benessere come un trench di Burberry. Anche tra chef stellati il richiamo è forte. A Londra, il britannico Jamie Oliver ha aperto un nuovo ristorante pop-up al 23 di Shaftesbury Avenue. Obiettivo: rifiuti in discarica ridotti allo 0 % attraverso un’accorta politica di compostaggio e riciclo. Ma il cibo non è solo arte ed esercizio di sguardo. Uno dei progetti di punta che guardano più da vicino i gangli fragili dell’alimentazione su scala planetaria ha dna italiano. Il nome della campagna è Un anno contro lo spreco. A lanciarla, nel 2010, è stato Last Minute Market, spin off del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari Alma Mater Studiorum dell’Università di Bologna. La campagna ha già ottenuto un

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importante traguardo: quello di aver portato il Parlamento europeo ad approvare una Risoluzione che ha individuato nel 2014 l’Anno europeo contro gli sprechi alimentari e il 2025 come traguardo per il loro dimezzamento. La campagna, nel 2012, è stata affiancata dalla Carta per le amministrazioni a Spreco Zero sottoscritta da oltre 1000 sindaci italiani ed europei. La sfida è ambiziosa. “Dobbiamo uscire dal progresso nella spazzatura, rovesciare il bidone, farlo dimagrire e ribaltare il mondo” afferma Andrea Segrè, direttore del Dipartimento dell’Università di Bologna, nonché ideatore e presidente dello spin off che dall’Italia ha fatto breccia a Strasburgo. “La Carta dei sindaci è un modo per iniziare subito a lavorare, in attesa che i singoli stati recepiscano la Risoluzione europea. Si parte dal cibo per arrivare all’acqua, all’energia, ai rifiuti, alla mobilità. A breve metteremo online un database che, in chiave open source, permetterà alle singole amministrazioni di condividere esperienze, percorsi e traguardi: un contenitore di Best Practices, pronte all’uso”. La partita è grande. “Oggi un americano consuma energia come 2 europei, 10 cinesi, 15 indiani e 30 africani. Analizzato da questo punto di vista, anche il settore agroalimentare necessita di una transizione veloce verso produzioni meno intensive e filiere più efficienti” prosegue Segrè. “Ogni giorno utilizziamo indirettamente una grande quantità di energia per coltivare, allevare, trasformare, conservare, trasportare e preparare il cibo. Nei Paesi sviluppati, si stima che questa percentuale si aggiri tra il 15 e il 30% del consumo totale. Allo stesso tempo altra energia viene utilizzata per gestire e smaltire ingenti quantità di rifiuti, scarti e sprechi”. Con il termine “spreco”, Last Minute Market intende l’insieme di quei prodotti alimentari che hanno perso valore commerciale, ma che possono essere ancora destinati al consumo: prodotti perfettamente utilizzabili, ma non più vendibili, e che, in assenza di un possibile utilizzo alternativo, sono destinati a essere eliminati e smaltiti. In uno dei suoi ultimi saggi – Vivere a spreco zero. Una rivoluzione alla portata di tutti (Marsilio Editore, 2013) – Andrea Segrè individua diverse tipologie di “spreconi” anche nei consumatori finali. Chi scrive si è identificato nel Gruppo 1, ovvero quelli che “Non mi piaceva, avanzi, porzioni abbondanti”, gente che butta via tra i 250 e i 500 grammi di cibo la settimana. E lei, professore? Segrè ne fa un fatto anagrafico: “Ho 52 anni, sono un figlio del boom economico. Mi salva il fatto che sono nato a Trieste, da una famiglia di Lussino, una piccola isola della Dalmazia. Mai sentito parlare del decalogo dei lussiniani? Sono 10 punti che mia madre ci ha ripetuto fino alla noia già dall’infanzia: non viziare i figli, rivoltare il cappotto ma anche la cravatta, riutilizzare le buste usate... Decalogo a parte, ciò che sostengo è che dobbiamo andare avanti, con la saggezza che abbiamo sempre avuto. Il resto, ossimori come “abbondanza frugale”, sono solo teoremi, inutili”. •


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NEW YORK CREATIVE LAB

Una giovane giornalista di Interview, uno sguardo fresco che non si lascia imbrigliare dagli steccati del comune buon senso. E una nuova rivista letteraria. Tutta di carta, tutta da leggere

THE AMERICAN READER TESTO GIOVANNA MASELLI FOTO SAMANTHA CASOLARI

Aprire una rivista letteraria, quando un giorno sì e l’altro pure ci sono annunci sulla morte della carta stampata, cali verticali nelle vendite di libri e prolificazione di nuovi linguaggi per nuovi media, potrebbe sembrare una mossa a metà tra il velleitario e l’anacronistico. Le nuove generazioni non leggono, vogliono solo informazioni veloci, pratiche e per lo più gratuite, è la vulgata generale sul presente e sul futuro prossimo. Ma Uzoamaka Maduka, venticinque anni, una laurea in cinematografia e teologia e un curriculum schizofrenico che spazia da esperienze come au-pair in

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foto Tatiana Uzlova

IN ITALIANO E INGLESE, SCARICA GRATUITAMENTE URBAN SU IPAD!


Croazia a redattrice di Interview a New York, non sembra pensarla così. “Ho fiducia nella mia generazione: non penso che siamo superficiali,” ribadisce in una caffetteria a Washington Heights, vicino alla sede della redazione dell’American Reader, il nuovo periodico letterario dedicato agli under 35 che nel giro di dodici mesi è stato nominato dal Library Journal tra i migliori magazine appena usciti e ha catturato l’attenzione di svariate pubblicazioni, dal New York Times al Washington Post, fino a Vogue Paris. “Non ho mai pensato di essere un caso a parte. Credo che ci siano molte persone della mia generazione, come di ogni generazione, che siano interessate alla letteratura e al suo impatto culturale”. Fondata insieme a Jac Mullen, compagno di scuola a Princeton, con l’intento di creare un nuovo progetto e un nuovo dibattito culturale, la rivista, la cui grafica è un omaggio a quella di Le Contrat Social – il periodico francese degli anni ’50 che trattava i problemi sociali con un taglio senza precedenti –, sembra possedere un simile carattere rivoluzionario. Ancorato ai valori del passato, ma aperto ai nuovi metodi di comunicazione, con un occhio aperto verso l’arte e la cultura moderna, The American Reader supera i circuiti tradizionali e mira a operare una sorta di svecchiamento dei metodi di fruizione della cultura. Gli argomenti sono circoscritti solo alla letteratura e alla critica letteraria, ma la prerogativa è dare spazio a nuove voci e sperimentare con nuovi formati, lunghezze e contenuti: che sia un saggio, una poesia o uno status di Twitter, tutto viene approcciato con la medesima serietà. Al posto della classica dicotomia tra cartaceo e virtuale – “non ho mai pensato, né tantomeno tutti i miei compagni, che avessimo mai dovuto fare una scelta: siamo una generazione che usa entrambi” – vi è una sinergia degli stessi e il sito web viene aggiornato con frequenza e affronta temi diversi, ma allo stesso tempo complementari, a quelli sulla carta.

La morte delle riviste letterarie non è imminente, tutt’al più si tratta di un coma da cui bisogna resuscitarle a suon di networking e social media. Un po’ Paris Review, un po’ Garage Magazine, in The American Reader il contenuto editoriale è curato tanto quanto l’estetica. Non a caso il suo direttore creativo, Shala Monroque, è lo stesso di quella del magazine diretto da Dasha Zhukova, mentre Staphanie La Cava, scrittrice, giornalista e onnipresente nelle pagine di Vogue America, è il caporedattore centrale. “Uno degli errori più grandi che molte persone commettono in questo ambiente è quello di ignorare completamente la forma con cui viene fruita la letteratura”, dice Uzoamaka. “È come se uno decidesse di dissociarsi dal proprio corpo. La letteratura deve essere intesa come qualcosa di palpabile: si deve far capire al lettore come lo scrivere e il pensare diano al corpo un senso di elevazione”. Questo obiettivo lo raggiunge senza trattare una tematica specifica, ma adottando una tecnica ad ampio raggio, sconfinando nelle altre discipline, arricchendo il discorso e rendendolo attuale. “Qual è la connessione tra arte, moda e letteratura? Queste sono tutte domande di base per chi è interessato alla letteratura. Adesso è veramente importante asserire che la ghettizzazione delle arti non è più appropriata. Non che lo sia mai stato, ma la comunità letteraria finora è sempre stata troppo privata”. Un mondo elitario, quello della letteratura, che la giovane ragazza di origine nigeriana cerca di ampliare per renderlo accessibile a un’audience più larga. “Non abbiamo paura di essere mainstream”, afferma con veemenza. “Vogliamo creare una discussione ed esprimere il fermento culturale di una nuova generazione ma anche degli USA”. Il nome della rivista punta su American proprio perché vuole mettere l’accento sul carattere nazionale della discussione, che non vuole limitarsi alle piccole nicchie culturali delle città come NYC e Londra, ma vuol far circolare in maniera dinamica e veloce le idee in maniera globale, senza escludere nessuno. “Ogni edizione analizza cosa significa essere americani, in tutte le nostre sfumature etniche e culturali, e cosa significa essere degli americani oggi in America che leggono e scrivono, che respirano e vivono”. •

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TORINO & CO. NIGHTLIFE DI LORENZO TIEZZI

MILANO MODESTEP Anche in una giornata uggiosa, godersi Sunlight, una delle bombe dei londinesi Modestep è una botta d’energia. Qualche accordo, testi-slogan contro l’apatia e un muro d’elettronica rock (o viceversa). Ballare fino all’alba è una scelta, ma basta dare un’occhiata ai vecchietti avvinazzati del video per capire che si può fare. Ma dopo youtube, molto meglio togliersi le pantofole e andare a sudare live. A Milano, il 14 novembre al Factory, oppure si può sempre fare un salto al Glazart di Parigi il 22 o al Fire di Londra il 29. 14 novembre www.modestep.com

MILANO – ROMA CHARLES BRADLEY I Daft Punk hanno appena trasformato i ritmi disco in pop da classifica, ma per trovare qualcosa che dia una scossa d’energia bisogna ripartire dal soul, come stava provando a fare Amy Winehouse. Farlo con la voce di Charles Bradley è tutto tranne che un passo indietro: ruvida e perfetta, accarezza cuore e orecchie senza essere sdolcinata. Il 1° novembre è al Bloom di Mezzago (Mi), il 2 fa ballare l’Angelo Mai di Roma. Certo, ballare. Chi crede di riuscire a farlo solo con un dj in console, provi ad ascoltare The world (is going up to flames). Il risultato potrebbe essere sorprendente. 1-2 novembre www.thecharlesbradley.com

CLUB TO CLUB TORINO LOCATION VARIE Da 13 anni fa scatenare Torino a ritmo di elettronica. Club To Club è infatti tra i più sofisticati festival europei dedicati alla musica che fa ballare. Anzi, dal 7 al 10 novembre, nei locali cittadini, il confine tra ritmo “pop” e ricerca applicata al dancefloor sembra ben definito. Chi fa musica underground, sia pure in quattro quarti, è benvenuto. Tutto il resto, anche progetti tutti torinesi come Subsonica e Motel Connection, è come se non esistesse. È giusto, visto che mentre il festival cresceva, i dj da semplici mettidischi sono diventati delle star. A Club To Club si esplora tutto il resto, il lato oscuro dell’elettronica, che qui deve far rima con Cultura. Guarda caso a Torino negli stessi giorni di sera i palazzi storici diventano un’altra cosa con gli interventi di Luci d’artista, e c’è pure Artissima. Sembra tutto chiaro, ma qualche dubbio sorge ascoltando la musica di chi salirà in console. Chissà se Four Tet suonerà il suo remix Suit & tie, un capolavoro house perfetto per rendere finalmente giustizia al falsetto di Justin Timberlake. Se lo facesse, rischierebbe di trasformare il Lingotto nello Chalet, una delle disco più “commerciali” della città. Sarebbe bellissimo, ma forse resterà sulle tracce più sperimentali del suo nuovo album, Beautiful rewind. Tanto il ritmo è lo stesso, non si riesce a star fermi. Tra i protagonisti di Club To Club ci sono poi i Fuck Bottons, che hanno musicato la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Londra, c’è Nina Kraviz, tigre siberiana del mixer specializzata in techno, ci sono performance di video art e dj set spinti come quello dei tedeschi Modelselektor e decine di altri artisti. Abbonamenti a partire da 69 euro. 7 – 10 novembre www.clubtoclub.it

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FIRENZE CIRCO NERO In console ci sono i Daddy’s Groove e The Mario, ma per una volta è solo un dettaglio. Quello che conta è la festa, un party che prima dell’Immacolata infiamma Firenze da ben 8 anni. Il Circo Nero fa ballare Ibiza, Londra, Barcellona con un pizzico di follia e tanta arte da un bel po’. Nato dalle sperimentazioni di Leandro Bisenzi, è un mondo fatto di icone ambigue. Il 6 dicembre per esempio il circo chiude con la performance della donna cannone. Prevendita su boxol.it d’obbligo, visto che il sold out è annunciato... ma il dress code è tassativo: chi non ha stile o non sorride resta fuori. 6 dicembre www.circonero.org


URBAN X OXYDO

OXYDO SOCIETY OCCHIALI PER SCELTA E NON PER NECESSITÀ. OCCHIALI COME GESTO CREATIVO CHE TRADISCE UN’INDOLE, COME TRATTO GRAFICO CHE RIVELA UNO STILE DECISO E RILASSATO AL TEMPO STESSO. PERSONALITÀ PRIMA ANCORA CHE PERSONAGGI, CURIOSI E INCURIOSITI DAL MONDO CHE LI CIRCONDA. CON LA LORO ATTITUDINE SFUGGONO AI DIKTAT OMOLOGANTI DELLA FAST FASHION. È LA OXYDO SOCIETY, LA TRIBÙ DEGLI HIPSTER CONTEMPORANEI, IN CUI CHIUNQUE SI RICONOSCA IN QUESTO IDENTIKIT È IL BENVENUTO. OXYDO.NET


Janina Joffe Curator 9/S

© Photo Jacopo Benassi

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Nata in Germania ma laureata ad Oxford, ha lanciato la sua web gallery “East of Mayfair”, uno spazio nel quale gli artisti possono creare e mostrare le loro opere: “Scelgo gli autori personalmente. Alcuni li trovo in giro per fiere o mostre, altri mi contattano direttamente”. OX 10 6 Hava 9/S na

Sei una trendwatcher dell’arte. In che direzione si muovono oggi i nuovi talenti creativi? — “Difficile prevedere il mondo dell’arte. Ho notato parecchi lavori che utilizzano la tecnica del collage di recente. Ma lavori video/digitali come quelli di Ryan Trecartin sono la progressione naturale per l’arte in questo decennio saturo di alta tecnologia. Vedo infatti anche alcuni artisti tornare a mezzi tradizionali come la pittura”. Ti sei fatta tatuare uno “Yes” sul tuo polso sinistro e non ti separi mai dai tuoi occhiali da sole Oxydo. Quali sono le ultime cose belle che hai visto, scoperto, annusato? — “In agosto ho visto l’installazione di Walter de Maria in New Mexico, The Lightning Field, un esempio straordinario di land art, davvero emozionante. In questo momento sto ascoltando The Night VI, una band che ho scoperto di recente. Ma ho sentito cose bellissime di un film italiano, La grande Bellezza, non vedo l’ora di poterlo vedere!”.

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© Photo Jacopo Benassi

Pittore, illustratore, tatuatore e protagonista-autore di body performance, classe 1974, è nato a Pescara ma vive tra Termoli e Milano.

Rudy De Amicis Visual Artist

Qual è stata la tua formazione? — La formazione è un argomento talmente vasto e complesso che neanche una voce di enciclopedia può essere esaustiva per spiegare la sua entità. La formazione fa parte della nostra vita, della nostra filosofia di pensiero; in ogni momento c’è bisogno della formazione, perché nessuno nasce già con le conoscenze, metà della nostra vita la passiamo a formarci. (Wikipedia) I tuoi prossimi progetti? — progètto s. m. [dal fr. projet, der. di projeter: v. progettare]. – a) Ideazione, piano, proposta per l’esecuzione di un lavoro o di una serie di lavori. b) Più genericam., idea, proposito più o meno definito, riguardo a qualcosa che si ha intenzione di fare o d’intraprendere. c) Proposito vago, bizzarro, fantastico e difficilmente realizzabile. (Treccani) Gli occhiali per un uomo rappresentano oggi un accessorio fortemente distintivo, un po’ come la barba. Oxydo ha ben interpretato questa tendenza. Tu come hai scelto il tuo modello, con quale ispirazione? — “Così come l’appetito vien mangiando, così il lavoro porta ispirazione, se l’ispirazione non è discernibile all’inizio”. (Ígor Flódorovich Stravinskij)


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Proprietario di un negozio di moda e dj, per lui fashion e musica viaggiano di pari passo. Vive a Bergamo con Simonetta: il loro progetto si chiama Coffee’N’Television.

© Photo Jacopo Benassi

— “È un negozio di abiti, accessori, libri, riviste… Tutti pezzi originali. Ci piacciono determinati mondi, li usiamo per l’estetica, ma tutto resta indipendente”.

Alberto Guerrini DJ & Fashion Shop Owner

Come hai sviluppato i tuoi talenti? — “La musica è la mia passione. Ho iniziato nella mia cameretta da teenager a fare andare le mani sui piatti (giradischi), ho preso fischi ai primi party e applausi qualche anno dopo. Il talento esiste solo con l’esperienza e un briciolo di follia”. Le ultime cose belle che hai visto, scoperto, annusato? — “Ho appena scoperto i Remee, degli occhiali che ti permettono i sogni lucidi; di vivere attivamente la fase rem del sonno; per un sognatore pigrone come me sono il paradiso”. Oxydo è riuscita a interpretare le nuove culture giovanili. Ma come sono i tuoi occhiali? —“Neri, lente fumè, leggermente squadrata. Classici ma carismatici, che mi creano subito il look senza troppi fronzoli”.


© Photo Jacopo Benassi

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Madeleine Moxham Jewelry Designer Specializzata in Accessory Design, produce a Londra una linea di gioielli: “Mia madre mi ha guidato all’arte. Ma la mia estetica ha dato impulso alla mia personalità”.

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Ci sono esperienze di vita che entrano nel tuo lavoro? — “Il mio lavoro non è concettuale, non rispecchia le mie emozioni. Sono interessata a come gioielli e accessori possono diventare sia l’elemento principale del look sia integrare in modo più sottile la vision dei progettisti”. I tuoi lavori sono international, unisex, contemporary. — “Non volevo che Moxham fosse troppo ‘girly’, o avere una boutique troppo simile ad altre marche di gioielli femminili. Ovviamente disegno con le donne in mente. Ma gli uomini hanno comprato i miei pezzi, e li portano molto bene”. Come raccogli le idee per le tue creazioni? — “Seguo moda, architettura, design. Per l’ultima collezione mi sono ispirata a Frida Kahlo e agli artisti minimalisti”.

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Cosa ci consigli di fare a Londra per cogliere la sua migliore contemporaneità? — “Il late breakfast alla South London Gallery, una passeggiata a Bermondsey Street e una visita alla galleria White Cube o al Museo del Design a Shad Thames”. Gli occhiali Oxydo si adattano alla personalità di ciascuno di noi: tu come hai scelto i tuoi e quando li indossi? — “Ho scelto OX 534 perché sono molto leggeri: mi consentono di lavorare bene quando sono in studio per lungo tempo e sento di dover dare una pausa ai miei occhi”.

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NEW DELHI FENOMENI

Nel cuore dell’India 2.o, tra promettenti start up e sfavillanti mall, l’accalappia scimmie è il mestiere più ricercato del momento. Soprattutto nella zona diplomatica, perché i macachi sembrano adorare i rinfreschi in giardino

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MONKEY CATCHERS


TESTO  SASHA CARNEVALI

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© Photo Raveendran/AFP/Getty Images

© Photo Raveendran/AFP/Getty Images

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© Photo by Larry Downing-Pool/Getty Images

Sembra una vignetta delle serie The far side di Gary Larson: un uomo esce dal supermercato e cammina lungo un marciapiede con due borse piene di spesa in braccio. All’improvviso viene attaccato da un gruppo di scimmie, che gli strappano via le sporte, gli tirano i capelli e lo schiaffeggiano. “È stato umiliante”, ha commentato il poveretto al microfono di un giornalista, gli occhi bassi e lucidi. Fa ridere a leggerla, ma non è il tipo di situazione comica in cui vorremmo trovarci nella vita reale. Eppure nell’India iperconnessa, che tutti conosciamo come l’ultima frontiera della tecnologizzazione, queste cose succedono tutti i giorni, soprattutto negli stati del Nord e dell’Est. Il signore che rientrava a casa con la spesa è rimasto comprensibilmente traumatizzato dalla “rapina” subita, così come chi si è visto scippare gli occhiali, il cellulare o la borsetta, e chi ha finito per vivere da eremita in casa perché il proprio giardino è diventato terreno di gioco di un branco di scimmie che gli fa a pezzi la posta, gli strappa il bucato steso al sole e impedisce ai figli di giocare nell’erba. Nel 2007, quando a New Delhi si stimava che 20mila macachi girassero per la città, il vicesindaco della capitale Sawinder Singh Bajwa morì cadendo dal balcone. La causa? Un attacco dei primati che avevano invaso la sua casa. Pochi giorni dopo, in un quartiere popolare, 20 persone rimasero ferite da un altro repentino assalto; alla stampa locale, che notoriamente banchetta sui dettagli più sensazionalistici, venne riferito che le scimmie avevano perfino tentato di rapire i bambini. Ironicamente, le zone preferite dai pelosi aggressori

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sembrano essere però proprio quelle ricche, quelle del potere che non riesce a sconfiggerle: dove sorgono sedi diplomatiche, università e palazzi governativi. Come adolescenti in vena di un joy ride, i macachi spaccano i lampioni, entrano a decine negli uffici e gettano incartamenti dalle finestre, come la volta che hanno sparpagliato per le strade documenti riservati del Ministero degli Interni. I cancelli d’entrata delle facoltà più importanti sono controllati da guardie armate di bastone, e non per scacciare studenti troppo entusiasti. E così, pur essendo questo un animale considerato sacro dagli indù (Hanuman, il dio-scimmia, rappresenta la forza), nell’antichissima Delhi come nella Silicon Valley di Hyderabad, è stata lanciata la controffensiva attraverso l’ingaggio di una sorta di accalappiascimmie. Sono conosciuti come “monkey catcher”, e non usano bastoni, lacci o fucili caricati con sedativi: portano invece al guinzaglio dei vigilantes molto speciali, i langur grigi, che sganciano nelle aree infestate dai macachi, i quali, se sbeffeggiano e attaccano le persone,


hanno invece un terrore istintivo di queste scimmie più grandi dallo sguardo ferale. La soluzione non è certo definitiva, perché gli animali scappano semplicemente in un’altra strada; e se catturati, vengono rilasciati nei boschi e nelle miniere circostanti. A prescindere dal fatto che potrebbero tornare in città (dove sarebbero arrivati in primo luogo proprio grazie al loro status di animale sacro: prima che diventassero una piaga sociale la gente gli dava da mangiare) si parla di una minima percentuale sul totale: un bravo accalappia-scimmie può ingabbiarne una quindicina in un mese (la paga è di 800 rupie a testa, circa 16 dollari), quando la popolazione è appunto ben più vasta. Ma poiché ci vogliono a volte due o tre giorni per acchiappare una sola scimmia, i monkey catcher lamentano che lo stipendio è troppo basso rispetto ai parametri della vita urbana, quindi la “professione” è un po’ in declino. Le associazioni animaliste sono ovviamente contrarie a queste pratiche e accusano l’Uomo Cattivo di aver rubato terreno all’habitat delle scimmie con la progressiva urbanizzazione della giungla alle porte delle città indiane. A rendere le scimmie più aggressive sarebbe poi proprio il fatto di portare via alle famiglie gli individui che i monkey catcher riescono a catturare: si tratterebbe di una conseguenza dell’ansia da separazione. I macachi costituiscono branchi molto uniti,

che vanno da 20 a 180 primati, e non è che a colpirne uno ne educhi cento: la vendetta di chi rimane può assumere proporzioni epiche. La legge in effetti dà retta agli animalisti, vietando lo sfruttamento dei langur: la pena non è solo pecuniaria, si rischiano tre anni di galera. Tant’è, i servizi degli ammaestratori dei langur continuano ad essere richiesti dallo stesso New Delhi Municipal Council, che ne tiene ufficialmente 40 a libro paga per setacciare ogni giorno le abitazioni di giudici e di leader politici (Sonia Gandhi inclusa): tra le nove del mattino e le sei del pomeriggio li si vede perlustrare le zone vip, il fedele assistente accompagnato sul posto di lavoro in bicicletta. Così come continuano a fare gli amministratori di campus, aziende e quartieri privati, dove feste e cene all’aperto vengono disdette se all’ultimo momento non si presenta un monkey catcher per tenere a bada la situazione, un po’ come un buttafuori che tiene in mano la velvet rope tra mondo animale e mondo umano. Una delle tante contraddizioni tipiche dell’India, dove lo spettro della prigione svanisce in uno sbuffo di fumo davanti a una paga certa e la protezione di una persona importante. •

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BOLOGNA & CO. MUSICA DI PAOLO MADEDDU

TWIN BAND IN TOURNÉE LOCAL NATIVES / CLOUD CONTROL 9 NOVEMBRE – BOLOGNA - ESTRAGON 11 NOVEMBRE – ROMA - BLACKOUT 12 NOVEMBRE – FIRENZE - VIPER Sentite questo rumore? Questo suono di fibrillazione? Sono i cuori indie della nazione: fibrillano, fibrillano senza posa. Perché il “doble bill” che viene loro offerto in questo mese è quanto di più fibrillogeno sia accaduto nel 2013: in un sol colpo, l’indie californiano dei Local Natives e quello australiano dei Cloud Control, in tour congiunto. Due band arrivate entrambe al secondo disco - che è di solito l’album della verità de-fi-ni-ti-va su una band indie (...per molti cuori indie, il secondo disco dovrebbe anche essere l’ultimo, sempre) (per gli indiepuristi - cioè tutti gli indie - una band indie che si rispetti dovrebbe debuttare direttamente col secondo disco, perché è chiaro che il primo è quello dell’integrità cristallina incorrotta) (quindi è sul secondo, che vanno misurati. E subito consegnati alla Storia, per fare spazio a nuove band indie). In teoria, i Local Natives sono la portata principale, con il loro underground contemporaneamente giocoso e inquietante – specie il secondo disco,

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co-prodotto con Aaron Dessner dei The National, e per di più (tanto per decalifornizzarsi) registrato a Brooklyn, capitale dell’indiestan. I Cloud Control invece hanno dissodato la loro natura, cercando deliberatamente di infondervi un approccio alla Beastie Boys. Ovviamente i Beastie Boys sono l’ultimo gruppo che viene in mente ascoltando il recente Dream cave, ma sono visibili a occhio nudo la voglia di azzardare nuovi schemi di gioco, la durissima gavetta fatta dalla band (oltre quattrocento concerti in tutto il mondo in due anni) e soprattutto l’influenza del vecchio rock inglese, specialmente psichedelico, calata sul quartetto in concomitanza con la scelta di trasferirsi nel Regno Unito. Ma in definitiva, il bello della serata sarà soprattutto scegliere uno dei due gruppi come vincitore morale e, indirettamente, litigare con gli amici che sostengono che hanno vinto gli altri. •


OMAR SOULEYMAN WENU WENU

POLIÇA SHULAMITH Memphis Industries

WHO: Channy Leaneagh, 31enne grissino da Minneapolis, più tre tonni che le suonano attorno un pregevole dream pop, più Ryan Olson, autoreproduttore-manager svitato che parla solo a patto che la sua voce venga distorta. Channy prima faceva parte dei Roma di Luna (davvero).

WHERE: Sull’Huffington Post, dove dicono che fanno “musica umorale che si attaccherà alle vostre ossa”. Su Rolling Stone, dove dicono che il loro è il “suono di cuori spezzati e di festeggiamenti insieme”. Su Consequence Of Sound, dove dicono robe incomprensibili sulle intersezioni tra percussioni post-prog-rock e bassi melliflui e voce da cigno. Capite come al confronto con le riviste musicali, finiamo per uscirne a testa alta. WHY: Dice Justin Vernon, che potreste conoscere sotto il nome di Bon Iver, che sono “la migliore band che abbia mai sentito”. Ora: il nome di Justin Vernon, a chi di dovere, dice molte cose. Anche lui dice molte cose. Lo diciamo perché anche noi, in fin dei conti, diciamo molte cose.

WHAT: “Non uso Autotune per correggere la voce, ma per distorcerla, per cancellare nella mia mente ogni modalità in cui sono stata abituata a cantare”.

WHEN: Quando nessuno ti si retwitta.

UNA SU 14 M.I.A. “BRING THE NOIZE” DA “MATANGI” Interscope

65DAYSOFSTATIC WILD LIGHT Newly Inked Deal/Superball Music

WHO: Band formatasi nel 2001. A Sheffield. Come Def Leppard, Joe Cocker, Human League, Cabaret Voltaire, Pulp, Arctic Monkeys. Forse somigliano agli Arctic Monkeys, dai. Anzi, no. Per niente. Somigliano agli And You Will Know Us By The Trail Of Dead, ecco. Ma sono un gruppo strumentale, quindi non gli somigliano per nulla.

WHERE: Ora come ora, in tour coi Cure, e non è la prima volta. Non che gli somiglino. Però a Robert Smith piacciono un sacco. WHY: Sono molto chitarrosi, ma anche elettronici, ma anche aggressivamente batteristici. Sperimentali il giusto e in modo fluido. D’accordo, un gruppo rock strumentale fa sempre uno strano effetto. Ma c’è in giro gente che gorgheggia e rappa e straparla e non sta zitta un attimo là fuori, no? WHAT:“Abbiamo iniziato a scrivere

SLEIGH BELLS BITTER RIVALS

Ribbon Music

Mom + Pop

WHO: Siriano, 47 anni. Tenuto in gran considerazione da Björk, invitato a Glastonbury l’altr’anno. Gli hipster Pitchforkiani, che Dio li benedica, stravedono per lui.

WHO: Non sia mai che vi lasciamo

WHERE: Per la prima volta in uno studio di registrazione per incidere un album, per di più prodotto da Four Tet, invece che in una di circa 500 audiocassette registrate ai matrimoni e distribuite nei chioschi del suo Paese. WHY: A noi piace la sequenza di commenti su YouTube al singolo Wenu wenu. Un tale M. Henriksen scrive: “Potente”. Poi J. Bernstein scrive: “Caspita... Quest’uomo ha cambiato la mia vita”. GunLoc scrive “Omar sei un figo”. Vindrag dice: “Spero di vederlo in Svezia, che gli diano il permesso di suonare per piacereee”. Poi ecco un giovane siriano. “Non l’avevo mai sentito nominare. Ma fa la tipica musica per beduini nel deserto, niente di speciale, ce ne sono mille come lui. Sono stupito che in Occidente piaccia tanto. Comunque, fate pure”.

musica perché non riuscivamo a trovare parole per esprimerci. Secoli di classica dimostrano che la voce umana non è essenziale”.

WHAT: “Quando canto canzoni

WHEN: Quando ricevi stelline dalla persona sbagliata.

WHEN: Quando il tuo hashtag naufraga.

tristi, la gente lo capisce. Quando canto canzoni felici, la gente si sente felice”.

Quando è stato presentato il primo singolo, Come walk with me, ci siamo sentiti di analizzarlo con la ponderata riflessione: “Ahia”. Quando è stato annunciato che l’uscita dell’album sarebbe stata rinviata perché “suonava troppo positivo”, abbiamo valutato la circostanza con un giudizio spassionato: “Ahia”. Quando i fan su twitter le hanno detto “Ohé, allora?”, e lei ha risposto con un pezzo (AtTENTion) deliberatamente fastidioso, abbiamo fatto una faccia... avete presente la faccia di chi dice: “Ahia”? Quando abbiamo sentito la insistente, monocorde Only 1 U, pretenziosa e sbadigliosamente sperimentale, ogni “dingdingding” che la 36enne rivoluzionaria divetta Tamil ribadiva con convinzione, causava in noi una sorta di ancestrale, junghiano “Ahia”. Quando abbiamo sentito Bad girls,

senza qualcosa da Brooklyn. Loro sono due, Alexis Krauss (28 anni, voce. Da non confondere con Alison Krauss) e Derek E. Miller (32, chitarra. Da non confondere con Virginiana Miller) e si sono messi insieme nel 2008 come il 90% dei gruppi di Brooklyn. Lui suonava in un gruppo hardcore punk, lei, dopo aver lavorato da bambina per Nickelodeon, ha militato in un gruppo teen pop. Poi sua madre ha conosciuto Derek in un ristorante e l’ha pregato di prendere la figlia come cantante per farle cambiare genere.

WHERE: Al terzo disco. Il secondo era arrivato al n.12 in Usa. Che insomma, non è male. Se non lo avete notato, non è precisamente la Sony che li pubblica.

WHY: Fanno musica pop con chitarre cruente e una cantante che tende a fondere il microfono. Non sono un gruppo particolarmente concettuoso, no. Però sono piuttosto divertenti. WHAT: “Un sacco di gente ci dice: sulla carta, gli Sleigh Bells dovrebbero suonare un disastro. Invece funziona. E noi rispondiamo: uh, grazie”.

WHEN: Quando gli unfollow superano i follow.

abbiamo fatto appello al nostro terzomondismo, sapientemente provocato dal video e dalle atmosfere etnotroniche – ma qualcosa in noi si sentiva ricattato, come se Maya Arulapragasam in arte M.I.A. ci stesse dicendo che quello che a noi sembrava un pezzo mediocre in realtà era un inno di libertà coraggioso e globale, che le nostre orecchie intorpidite da anni di capitalismo sonoro non potevano apprezzare. Infine siamo arrivati a Bring the noize. Finalmente, un pezzo che non tentava (inutilmente) di mescolare a tavolino proclami cervellotici e ammiccamenti al peggio pop di Mtv. Un brano dance degno di stare nel 2013, anche se fa impressione che per scriverne uno decente sia stata aiutata da quattro coautori. Finalmente, abbiamo sentito qualcosa che spaccava, ma non le parti mediamente utili del nostro corpo. •

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TOKYO & CO. DETAILS DI TATIANA UZLOVA E IVAN BONTCHEV

Si ringrazia Deus Ex Machina, Milano. www.deuscustoms.com

Katie Grand Loves Hogan: 425 euro, su moto The Lips by Deus

Volta-Strd by Volta Footwear: 150 euro, su bici Deus Cycleworks Fat Tyres

Kenzo per Vans: 90 euro, su bici Umberto Dei Custom

Onitsuka Tiger Grandest: 80 euro, su moto Street Tracker by Deus

SNEAKERS & PEDALI URBAN | 53


PARIS FASHION

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l Giacca, c’n’c costume nationa Pull, frankie morello Sciarpa, cheap monday a Anelli, maison martin margiel e model’s own

LIKE A MOVIE STAR FOTO MATTIA ZOPPELLARO/CONTRASTO STYLING IVAN BONTCHEV

Giacche da sera anche di giorno, pantaloni slim fit, dettagli heavy metal a caccia del proprio quarto d’ora di celebrità URBAN | 55


Camicia e giacca, prada

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barrett Cappotto e pantaloni, neil o ell mor nkie fra rpa, Scia Manicotti, cheap monday Scarpe, prada

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tin

Maglia e gilet, maison mar margiela Jeans, htc Manicotto, pepe jeans Scarpe, iceberg

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Pull, asos Jeans, cheap monday Bracciale e anelli, maison martin margiela

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ol by pepe jeans Chiodo, andy warh o nz ke , Camicia rrett Pantaloni, neil ba Cintura, prada lamborghini Occhiali, tonino

e Cardigan eco pelle e lana, manila grac galliano e, frang micro con scio camo in a Gonn Reggiseno traforato, tezenis Calze, calzedonia t Stivale alto con stringhe, janet spor no paga ra shar ollo, giroc na Colla

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Camicia e t-shirt, deus custom Jeans, wrangler

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Gilet di denim e sciarpa, g-star raw Pantaloni di pelle, galliano

ADDRESS LIST Andy Warhol by Pepe Jeans, www.pepejeans.com. Asos, www.asos.com. C’N’C Costume National, www.costumenational.com . Cheap Monday , www.cheapmonday.com . Deus Customs , www.deuscustoms.com. Frankie Morello, www.frankiemorello.it. Galliano, www.johngalliano.com. HTC, www.htclosangeles.com . Iceberg, www.iceberg.com. Kenzo, www.kenzo.com. Maison Martin Margiela, www.maisonmartinmargiela.com . Neil Barrett, www.neilbarrett.com. Pepe Jeans, www.pepejeans.com. Prada, www.prada.com. Tonino Lamborghini , www.lamborghini.it. Wrangler, www.wrangler.com. Grooming: Giorgia Trezzi @ Close Up. Modello: Philip Reimers @ Independent Men. Assistente fashion editor: Giulia Meterangelis.

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BROOKLYN & CO. LIBRI DI MARTA TOPIS

TRASCURABILI CONTRATTEMPI DI UN GIOVANESCRITTOREINCERCADIGLORIA MICHAEL DAHLIE Nutrimenti, 2013 293 pp., 18 euro Questo è un vero e proprio libro-oggetto, piacevole sin dalla sensazione che ti regala al tatto la carta della copertina, spessa e rigata come quella da disegno. Delizioso nel titolo (che non traduce l’originale) che in quelle due righe racchiude l’universo di Henry, neolaureato ad Harvard, che la morte dei genitori butta allo sbaraglio nella concitata vita newyorchese (“non un posto per deboli di cuore”) con la velleità di diventare scrittore. Satirico (sullo scrivere oggi) e divertente (ai limiti del picaresco, quando si legge dell’involontaria uccisione di un gregge di preziose capre libiche) nel raccontare cosa succede a un ricco 25enne pesce fuor d’acqua nella hipster Williamsburg a Brooklyn, che scrive racconti i cui protagonisti sono degli ottuagenari e che alla fine si riscatterà grazie all’incontro con un personaggio che è il suo opposto: uno che ha raggiunto il successo letterario senza averne il quid. Un comfort-book da leggere nei momenti più neri, un autore da tenere d’occhio.

LA MACCHINA FATALE NED BEAUMAN

BLACK NEON TONY O’NEILL

NERI POZZA, 2013 pp. 380, 18 euro

PLAYGROUND, 2013 pp. 336, 18 euro

Per aiutare a capire (e portare a termine) il romanzo, l’autore ha pubblicato sul suo blog una sorta di mini-guida in soccorso ai lettori: è questa la premessa con cui si affrontano le quasi 400 pagine di questo tomo. Ma se Beauman (nato a Londra nel 1985, ora a New York) quest’anno è stato dichiarato dalla prestigiosa rivista Granta “best young british novelist”, ci sarà un perché. E il perché non sta tanto nelle plurime trame che s’intrecciano dalla Berlino anni Trenta a una Los Angeles senza tempo, con protagonista uno scenografo di teatro che ha la fissazione per una donna (Adele Hitler, non imparentata) e lo scenografo barocco Lavicini, inventore di un macchinario per i cambi di scena. Ma sta proprio in questo eccesso di personaggi e accadimenti che travolgono e confondono quasi come una droga: lentamente ma piacevolmente. Premio per chi regge questa “confusione premeditata” e arriva in fondo: un quadruplice finale.

Torna l’autore di Sick City – di cui questo è l’ideale sequel –, ritratto aspro e vissuto dei bassifondi di Los Angeles, in cui lo stesso O’Neill, musicista di una band, è sopravvissuto sprofondando nel gorgo della droga. La città è descritta senza mezzi termini, tra pusher, papponi, puttane, killer e delinquenti che di bello ed eroico non hanno niente, ma sono esattamente il degrado e lo schifo con cui si presentano. Se in Sick City i protagonisti sono Randal (finito in rehab) e Jeffrey, che dopo alcol e droga vivacchia di espedienti, qui vengono affiancati da due personaggi femminili, due prostitute di cui una, Genesis, “è bianca, tossica, completamente rintronata”, l’altra, Lupita, è ispanica ed entra in scena ammazzando uno spacciatore. Il resto è LA, più nera che mai. Il libro esce prima in Europa che in America, i diritti cinematografici se li è accaparrati la casa di Babel e Cuore selvaggio. Non vediamo l’ora.

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BAR, RISTORANTI & CO.

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MILANO

CONTROTENDENZA CARNE

DI MIRTA OREGNA

IN UN MONDO SEMPRE PIÙ VEGETARIANO LA CICCIA 2.0 TURBIGO Alzaia Naviglio Grande, 8 02-89400407 sempre aperto

A

AL FRESCO via Savona, 50 02- 49533630 chiuso domenica sera e lunedì sera Mentre lo skyline della città muta in velocità, qualcuno salvaguarda i micro polmoni verdi in estinzione: è il caso di Emanuele Bortolotti (paesaggista) e Ferdinando Ferdinandi (pubblicitario, proprietario di Piquenique) che insieme hanno deciso di trasformare gli spazi di via Savona (già showroom di mobili da giardino) in un invidiabile locale dove stare appunto “al fresco”, come nel mondo anglosassone si dice per “stare all’aperto”. Con uno stile tra il vintage e lo shabby-chic (gabbie di conigli, annaffiatoi, specchi, antiche piastrelle di ville napoletane), con note di design contemporaneo (tavoli in legno e lampadari) e pezzi ad hoc come le serre mobili di erbe aromatiche, Al Fresco si mangia in giardino, sotto un pergolato, ma anche in veranda (la più ambita) o all’interno, con vista sui fuochi capitanati da Kokichi Takahashi, già braccio destro (e sinistro) di Alessandro Negrini e Fabio Pisani di Aimo e Nadia. E il menu nasce ovviamente sotto il segno della lattuga (il logo): verde, fresco e verduroso, con la mano gourmet ma semplificata di un signor chef. Si va dal lunch all’aperitivo cocktail-free con cicchetti serviti in scatole di sardina, alla cena con piatti come il couscous di verdure e profumi dell’orto con moscardini e farina di ceci tostati oppure le polpette come una volta con carne di razza piemontese, patata di montagna e salsa verde. Sconti previsti, oltre ai giardinieri, per chi porta My Bonnie dei Beatles in vinile. Consigliato per chi ha voglia di stare in giardino tra i loft postindustriali di Zona Tortona

Gourmet. Aperto in sordina e in estrema velocità dalla premiata ditta di Pisacco e Dry (qui senza Berton, egregiamente sostituito dal giovane napoletano Raffaele Lenzi) è innanzitutto il ristorante del delizioso boutique hotel Maison Borella, sul Naviglio Grande. La bacchetta magica di Fiorin & soci ha dato vita a un locale alldaylong in stile contemporaneo, elegante con classe, dalle divertenti citazioni di design (come la versione “spettinata” dell’85 lamps chandelier dei Droog Design) e con un menu pieds-dans-l’eau (per i sostenitori del Naviglio quale Senna milanese) che spazia dal panino gourmet ai piatti leggeri ideati dallo chef giramondo con zampino mediterraneo. La sua carne è per tutti i gusti: battuta cruda con lo scapece di zucchine, cremoso di scamorza e uova di lompo; delicata nella sovra coscia di pollo, crema di parmigiana di melanzane, patate e paprica; saporita nelle costine di maiale, zucca e yogurt, brasata nel risotto zafferano, genovese napoletane e funghi…Ce n’è per tutti i gusti.

CANTINETTA BELLE DONNE via Pisacane, 57 02-29519815 sempre aperto Modaiola. Nella vivace Porta Venezia è atterrato da Firenze Emiliano Fontani, rampollo di ristoratori toscani nonché noti distributori di carne. Ai due capisaldi della tradizione “carne e Toscana”, Emiliano ha saputo aggiungere un bel locale in stile vintagecontemporaneo sui toni ruggine e marrone, dominato da un bancone in legno di riuso, tavoli fatti con le casse del vino e impalcature a fare da originale bottigliera. Carne protagonista (petto d’oca affumicato, carpaccio di chianina, tagliata di scottona o bistecca fiorentina alla brace che arriva sul carrello, ma anche polpette, trippa e ossobuco con spinaci) da far precedere dalla tipica pappa al pomodoro, qui piccante al punto giusto. Il bello è che funziona anche da wine-bar, con musica, vini al calice o cocktail e un tagliere di crostini, salumi e formaggi. Ideale per fare serata.

QUALITY BEEF BALADIN MILANO via Solferino, 56 02-6597758 sempre aperto In città mancava una birreria di Teo Musso, e la cosa non era così scontata, viste le location particolari che uno dei mastri birrai più hipster d’Italia già possiede. Ma il clic è scattato con l’ex birreria Carlsberg, a due passi dall’atteso Eataly meneghino (dove lui è di casa), ed ecco così nascere Baladin Milano, esemplare di gastropub contemporaneo che strizza l’occhio al proibizionismo anni Venti, grazie alla felice collaborazione negli arredi con Marina Obradovic. Se al primo piano l’ambiente è quasi understate, la scritta “Blind Pig” indica la discesa allo scenografico piano inferiore, luogo segreto per il consumo della “birra proibita”, in realtà made in Italy di casa Baladin con etichette ospiti di birrifici selezionati. Menu da birreria, sfizioso con must imprescindibili (stinco, wurstel, hamburger), le sottili chips di patata Dop (“fatate”) e i dolci di Knam. Da non perdere un TeKu (bicchiere speciale) di Nazionale (100% italiana) con il Milano Oss Burger, panino con ossobuco, midollo e zafferano

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viale Pasubio, 8 02-89690509 chiuso domenica Casual. Sottotitolata “Trattoria della carne” è nata sulle ceneri di un QB Mercato e Cucina, un format attento alla qualità dei prodotti, mantenendone la proprietà ma cambiandone gli arredi. Oggi QB (che sta proprio di fronte al cantiere della nascente Feltrinelli a Porta Nuova) è dipinto di giallo ocra, con pareti decorate da pentole in rame, piatti in ceramica e sottopiatti di paglia. Le sedie colorate regalano una nota allegra mentre le tovaglie a quadretti richiamano il concetto della trattoria 2.0. Carne ovviamente protagonista, dai tagli più nobili (filetti e costata australiana) a quelli curiosi (diaframma alla brace), hamburger e galletto alla diavola; il tutto accompagnato da chips di patate abruzzesi e da bucce fritte (da provare). Un plus la presenza in carta di piatti meat-free, minestrone incluso, per chi proprio non ha canini affilati.


HONG KONG DI MIRTA OREGNA

CERESIO 7 via Ceresio, 7 02-31039221 sempre aperto I gemelli del marchio Dsquared2 hanno fatto centro e come head quarter milanese si sono comprati un vecchio palazzo dell’Enel di fronte al Cimitero Monumentale, su un terreno che vedrà sorgere anche la maison di Neil Barrett, un parcheggio, un parco e un hotel. Sul tetto dei loro uffici hanno voluto un ristorante con terrazza che ammira lo skyline dei grattaceli di Porta Nuova e lo hanno affidato allo chef Elio Sironi e a tre validi soci fuoriusciti dall’hotel Bulgari. Se gli arredi sono customizzati, d’ispirazione vintage anni Cinquanta con pezzi unici e repliche (splendide quelle di lampade da ufficio), a fare la differenza sono le piscine all’aperto: qui si serve l’aperitivo, un vermouth d’antan, un gin-tonic con gin alle erbe mediterranee, o un Ceresio Spritz, in bianco (15 euro), accompagnati da focaccine cotte nel forno a legna e da altre sfiziosità. Poi si può restare sulle cabanas blu o sedersi a un tavolo per un piatto veloce o una full immersion nel menu dello chef che, oltre ai leggendari spaghetti al pomodoro, offre una “cucina semplice” a partire dalle polpette con lime e mela verde. Consigliato per godersi la città dall’alto, come nei migliori hotel roof-top internazionali

FONDERIE MILANESI via Giovenale, 7 02-36527913 chiuso lunedì / wi-fi Marco e Floriana hanno ridato vita alle Fonderie artistiche Maccioni, dove adesso l’aperitivo con buffet si è spostato dal cortile di campagna agli interni vintage-chic. Occhio al Transporter, cocktail traditore. Subito dopo siate pronti a switchare la serata in modalità “trattoria”, accoccolatevi vicino al camino e gustate un risotto o un filetto. Da non perdere il brunch domenicale all’inglese all’aperto, con i funghetti e un plaid sulle gambe

CHACHAWAN G/F, 206 Hollywood Road, Sheung Wan +852- 2549-0020 www.facebook.com/chachawan.hongkong Riuscire a stupire con la cucina thailandese ad Hong Kong sembra quasi impossibile, e invece ci è riuscito Yenn Wong, fondatore del piccolo impero di hotel e ristoranti JIA che già possiede “208 Duecentootto” e il tapas bar “22 Ships”. Ha scelto lo chef Adam Cliff, protetto del pluripremiato David Thompson insieme al quale ha lavorato nei Nahm di Londra e di Bangkok, e con lui ha rinnovato il locale (che funziona senza prenotazioni e senza costi per il servizio) per l’Isaan food, ovvero la cucina tipica della regione nord-orientale della Thailandia. I piatti forti sono il crudo, le spezie, i prodotti della terra e le carni grigliate, contro gli stereotipi di latte di cocco, curry e lemongrass. La proposta include piatti signature come il Som Dtum Malakor, che è una insalata Isaan con papaia verde, pomodorini, peperoncino e gamberetti disidratati, con un condimento agrodolce di tamarindo e un contorno di maiale. Obbligatoria, prima o dopo, una tappa al banco bar, per un rinfrescante Watermelon Pineapple Cooler (con vodka infusa alla vaniglia) o una divertente Lemongrass Caipirinha. Astenersi palati deboli. Consigliato per chi, alla ricerca di una nuova thai experience, vuole andare oltre curry verde, spiedini satay e zuppa al latte di cocco

EPPOL ripa di Porta Ticinese, 65 320-0266560 chiuso lunedì, aperto solo la sera / wi-fi Eppol, come la pronuncia della parola inglese “apple”, mela, è una nuova insegna sul Naviglio, eco-friendly (arredi in legno e sughero di riuso), di respiro urbano-internazionale e artisticamente vivace. Aperitivo con cocktail a base Martini, pestati e frullati alcolici a base di purea di mela, accompagnati da tartine e pinzimoni con verdura di stagione, salumi e formaggi di cascina. Da non perdere la serata Apero Retro ogni ultima domenica del mese, con vinili a 75 giri, deejay set e musica anni ’20-’30

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NAPOLI DI CIRO CACCIOLA

BELUGA SKY BAR via Colombo, 45 081-0175001 chiuso domenica / wi-fi Usare i bar degli alberghi, quelli stellati, sciccosi e molto metropolitani, è da tempo una sana abitudine milanese, che finalmente comincia a prendere piede anche all’ombra del Vesuvio, soprattutto grazie alla tenacia di direttori creativi e volitivi come Stefano Petrucelli, hotel manager del Romeo, di cui il Beluga è fiore all’occhiello nonché sushi & lounge american bar con panorama mozzafiato sulla skyline della city, sulle milleluci del porto e sull’intramontabile spettacolo del golfo.

IL CUOCO GALANTE

Da non perdere i martedì jazz. Musica dal vivo, pasta, finger food e calice di vino: 30 euro. Meglio prenotare

via Broggia, 12 081-0664058 chiuso domenica “L’abbondanza, la varietà, la delicatezza delle vivande, la splendidezza e la sontuosità delle tavole richiedevano una schiera di uomini d’arte, saggi e probi”. Così scriveva nel 1773, nelle pagine di Il Cuoco Galante, Vincenzo Corrado, cuoco celeberrimo - il primo a scoprire le meraviglie della cucina mediterranea - che preparava eleganti banchetti per i nobili di Napoli. Laddove lui coordinava un piccolo esercito di maggiordomi, domestici, volanti e paggi, oggi, in un petit restaurant intitolato proprio al suo volumetto, aperto da poco da Giovanni Serretelli, l’orchestra in azione conta pochi solisti, ciascuno dei quali però s’industria e si moltiplica, così da rendere unica l’esperienza del pasto. Tendente al vegetariano e al benessere, lo chef spazia dalla caponata alla siciliana alla pasta e patate con provola, dalle polpette alla verza stufata, dalle orecchiette alla zucca in agrodolce, utilizzando solo prodotti di stagione controllati all’origine ed olio extra vergine, riuscendo persino a coniugare seitan e tofu con le delizie della cucina partenopea. Nella sezione vegetariana, gran varietà di zuppe (consigliata quella di bietole e ceci), insalate e ricette imperdibili come puntarelle saltate, sformatino di cavolfiore, tabbouleh di cous cous. Lo spazio è piccolo ma disegnato con armonia, il servizio semplice e ricercato, i prezzi restano da vecchia trattoria. Consigliato per i dolci a base di marzapane, il menu a basso contenuto calorico, il rapporto qualità/ prezzo, la squisitezza. In uno: la galanteria

BERLIN DI MIRTA OREGNA

CASA ALFONSO via Falcone, 326/328 081-19929197 sempre aperto / wi-fi La febbre del calcio, incredibile, ormai è arrivata sin qui, nell’elegante salottino underground un po’ anni Cinquanta dove, bicchiere alla mano e piatto&forchetta nell’altra, tutto è attrezzato al meglio, super-schermo incluso, per dare spazio al rito collettivo che altrimenti paralizza la città: la partita del Napoli. Non sempre il risultato è di quelli che ci si aspetta, ma almeno dopo falli e rigori c’è musica con il dj set di Paolo

“Azzurro” Esposito. Dal martedì al venerdì, comunque, l’aperitivo della “Casa” resta uno dei migliori in città. Da non perdere il brunch del sabato. Comincia sul serio a mezzogiorno e si spinge fino alle tre, ricchissimo, pieno di sorprese e invenzioni dello chef, con buona musica, ottima scelta di vini e la luce del sole che non guasta mai

SPAZIO NEA via Costantinopoli, 53 081-0332399 sempre aperto / wi-fi L’aria sospesa all’arrivo della sera è il teatro allestito dalla natura per accogliere la fascinazione. L’elettricità che scorre tra le persone è il catalizzatore per gli eventi più belli tra quelli belli della vita: quelli inattesi. Si presenta così “Gentle Hour”, new app domenicale di questa art gallery che resta uno dei ritrovi ideali per il pomeriggio e per la sera nel centro antico della città. Mostre personali & torte fatte in casa viaggiano di pari passo, assieme a tisane, caffè e long drink. Il mercoledì, dalle 19, si può condividere “Solchi e microsolchi”, un cult per chi non resiste al frusciante fascino della puntina su vinile. Da non perdere gli eventi audio-visual-meeting realizzati negli spazi del Museo Madre in stretta collaborazione con la Fondazione Donnaregina, aperitivi sperimentali arricchiti dalla presenza di perfomer tra i più interessanti sulla scena nazionale

STREET FOOD THURSDAY c/o Markthalle Neun Eisenbahnstrasse, 42 +49-30-577094661 www.markthalleneun.de Il Markthalle 9 (Neun) è un antico mercato nel quartiere di Kreuzberg costruito nel 1891 e uno dei pochi a essere sopravvissuto alle ruspe e al tempo, che oggi, con l’appoggio di produttori locali, è tornato a essere un nuovo centro per la cultura alimentare sostenibile. Al suo interno si pranza alla Kantine 9, dove si usano solo ingredienti freschi, territoriali e stagionali con menu anche per l’asporto. L’evento più seguito è giovedì dalle 17 alle 22, quando i giovani cuochi si incontrano tra i banchi per sperimentare e far assaggiare diversi cibi di strada: dal kimchi coreano alla più tradizionale cake britannica, dal cibo creolo all’adobo filippino. Un tripudio di odori e sapori, mecca dei più appassionati foodies di Berlino. E ogni settimana uno chef famoso è ospite con la sua rivisitazione di street food.

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Consigliato per la giornata del Food Exchange, quando la propria marmellata fatta in casa viene scambiata con la birra artigianale di un altro, o la torta con le zucchine dell’orto


UNDER 33

TORINO

GIOVANI CHEF CHE PROMETTONO E MANTENGONO

DI BRUNO BOVERI E LEO RIESER

CONTESTO ALIMENTARE via Accademia Albertina, 21/E 011-8178698 chiuso lunedì Questo piccolo e luminoso locale, aperto da meno di due anni, è il regno di Francesca che, con eccellenti materie prime (carne di Brarda e San Giuliano, farine Mulino Marino, salumi Luiset, formaggi di Guffanti e Parola) propone un’interessante commistione di sapori mediterranei e piemontesi. Provate il sanguis (coscia battuta al coltello), le lumache impanate con caponatina, i ravioli di zucca e patate, le frisse di maiale e il baccalà mantecato. Grande carta dei vini (anche d’asporto) e prezzi intorno ai 30 euro.

LO STONNATO

QUANTO BASTA via san Domenico, 15/B 011-5214452 chiuso lunedì

via Baretti, 10 011-2631440 solo cena, dalle 19.30 alle 24. Sempre aperto

Nella nostra “nazionale” di giovani promesse, Alessandro (in sala) e Stefano (in cucina) hanno esordito con un proprio ristorante giovanissimi. Abbandonata l’ala protettrice (e la preziosa scuola) della Valle di Trofarello, si sono gettati senza timore nell’agone del quadrilatero. Bei menu che cambiano ogni tre settimane con proposte di tradizione a 28 euro (tonno di coniglio, agnolotti, brasato di bue, zabajone) e innovative a 35 (pane al nero di seppia, crema di foie gras, tortelli con lumache, quaglia alla Marengo). Poco di più alla carta. Scelta di vini ragionata.

L’apertura di un nuovo locale in San Salvario non è certo una novità. Ma quando mette sul piatto il pesce, e di qualità, la musica cambia. Aperto da un paio di mesi, offre qualcosa che nella zona degli apericena ancora non c’era. Si presenta con la cucina in bella vista, dietro una vetrata, e un marchio che colpisce: un cartiglio con un pesce e la scritta “Impepate & Paranze”. C’è anche un dehor, ma visto che siamo nel cuore della movida il consiglio è di stare tranquilli all’interno (lasciate la macchina nel parcheggio sotterraneo di piazza Madama). Allo Stonnato, è vero, fanno anche pizza al padellino, una quindicina di varietà e la farinata, ma è il pesce il padrone. E vivaddio. Pesce fresco che arriva giornalmente, cucinato e presentato bene, che ti verrebbe voglia di provare tutti i piatti. Impresa difficile: le porzioni sono piuttosto abbondanti. Insomma, c’è una buona ragione per tornarci. Degne di segnalazione le cozze (marinara, scoppiata e impepata) e le tartare (cernia, tonno e gambero grigio), a 6 euro, e i primi piatti (chitarrucci vongole e zucchine, pasta con le sarde alla palermitana), da 12 euro circa. Di secondo, tra 10 e 14 euro, polpette di alici al sugo di pomodoro, piovra alla griglia su battuto di taggiasche e miele di corbezzolo. Tra le fritture, da 7-9 euro, la nostra scelta è caduta su quella di paranza, un sogno. Una buona bottiglia di vino e il gioco è fatto. Fate da soli il conto e applaudite.

CONSORZIO via Monte di Pietà, 23 011-2767661 chiuso sabato a pranzo e domenica Qui la selezione la fanno i patron Andrea e Pietro. Giovani pure loro, ma con l’occhio esperto. E da settembre hanno calato un altro asso: Miro Mattalia, 32 anni e un palmarès impressionante in cui spicca una lunga esperienza iberica da Santi Santimaria. E allora: carpaccio di animelle con caprino e crostini, ravioli di finanziera (cervella, filone, animelle), guancia di maiale con calamaro ed erbette, caffè zabaione. Carta dei vini naturali all’avanguardia in Italia. Prezzi sui 35 euro. Prenotate per tempo: qui è sempre pieno!

Consigliato per chi ama davvero il pesce, quello pescato in modo sostenibile per il mare

BAR ZUCCA via Gramsci, 10 011-5621249 chiuso lunedì / no wi-fi Negli anni Ottanta è stato il simbolo di una Torino da Bere che forse non tornerà, fino al declino culminato con la chiusura nel 2000. Ora, grazie alla famiglia Damilano, Zucca risorge poco lontano e ripropone le colazioni più abbondanti della città, il caffè “maison”, le “pizzette”, i tramezzini con il mascarpone tartufato. Il tutto sotto la supervisione del pasticcere Franco Sinagra e con un nuovo staff di barman. All’ora di pranzo lo chef Nicola Di Tarsia del Berbel dietro le quinte. Da non perdere i classici di Zucca: il cocktail rosso, alcolico, e quello verde, analcolico

CAMPING BAR via Sant’Anselmo, 34 349-5115330 chiuso domenica / no wi-fi Il bancone del bar è una roulotte e gli interni ricordano un camping. Ma il pezzo forte è l’aperitivo. In questo nuovo locale sorto nel cuore

della movida non si fa il solito apericena, ma una cenaperitivo. Con soli 8 euro prendete un cocktail, vi sedete e vi danno un piatto con gli stuzzichini (salumi, formaggi, tartine), una porzione di pasta e polpette. Ma c’è anche un menu vegetariano. In pratica, antipasto, primo e secondo. Geniale. Da non perdere lo spritz, fatto come si deve

GLAM via Verdi, 34/N 011-0207968 chiuso domenica / wi-fi Locale bello ed elegante, un po’ oldfashion, a due passi da Palazzo Nuovo. Luci soffuse e musica soft: rilassatevi, fatevi un buon cocktail e concedetevi un apericena come Dio comanda, con le delizie preparate al momento dallo chef. Per dire, bruschette, cocktail di gamberi, salsiccia di Bra, salmone e poi piatti caldi serviti al tavolo: cozze alla marinara, primi di carne e di pesce, carne alla griglia. Costa qualche euro più dei soliti locali (tra 10 e 15 euro), ma la differenza ci sta tutta. Da non perdere la frittura di pesce. È compresa nel budget

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ROMA & CO. NIGHTLIFE

PANIFICIO NAZZARENO

DI LAURA CONTRIBUTOR NAME DI RUGGIERI

piazzale di Ponte Milvio, 31 06-33220720 sempre aperto Nei laboratori di un vecchio forno, attivo già nel 1888, quando Ponte Milvio si chiamava Ponte Mollo, è tornato il profumo del pane. Merito di Leonardo Sassi, nipote trentenne del vecchio panettiere, che qui è cresciuto. Il nuovo locale ha due ingressi: uno dal giardino-dehor, l’altro dal panificio/caffetteria. In entrambi i casi il percorso si snoda attraverso spazi diversi e vari livelli. Panificio, caffetteria, gastronomia light, bancone al centro e tanti sgabelloni intorno. E poi pizzeria a taglio e alla pala, griglieria, cocktail bar, ristorante. Stile, atmosfere e arredi sono modernissimi, ma il profumo del pane caldo e della pizza appena sfornati si respira, come un tempo, da colazione a cena. Ogni mattina vengono sfornate 20 qualità di pane, biscotti, crostate, ciambelloni, muffin e croissant. Tutt’altra aria tira la sera, quando dopo l’aperitivo al piatto si passa ai tavoli. Scelte mediterranee, specialità regionali e qualche sapore scoperto altrove. Tra gli antipasti, tiepido di baccalà alla catalana con maionese senz’uovo e crocchette di melanzane alla parmigiana su fonduta di pomodoro ciliegino. Di primo, ravioli cacio e pepe con ragù di agnello e melanzane. Tra i secondi, astice porcini e rucola in salsa di pecorino o maialino da latte arrosto con cicoria ripassata e purè. Come dolce, cheesecake alla vaniglia. 200 etichette in carta. E un conto sopra i 40/45 euro.

BENVENUTI SUL PIANETA BIRRA

Consigliato per la griglia con la carne dell’azienda di famiglia

NON SOLO BIONDA MA RIGOROSAMENTE ARTIGIANALE BUSKERS PUB via Leonardo da Vinci, 287 06-92599275 chiuso domenica

A due passi dall’Università di Roma Tre è appena nato un tempio della birra che va oltre il concetto di microbirrificio. Qui non c’è un impianto per la produzione, ma al timone c’è un grande beer maker, Mirko Caretta, artefice di ricette esclusive che fa realizzare a microbirrifici amici. Insomma, un birrificio “itinerante” con una logica da artisti di strada: buskers, appunto. Dodici spine (6 euro l’una) con birre della casa realizzate da Ducato, Olmaia, Birra del Borgo, Karma. I nomi riecheggiano le passioni musicali di Mirko, le etichette le passioni artistiche, tra digital art e segni visionari. Grande attenzione è poi dedicata al gastronomico, tanto da rendere il locale un gastropub, guidato a distanza da Gabriele Bonci. Il gusto si trova soprattutto nei panini (10 più 2 del giorno). Alcuni sono stravaganti: tra i più originali, il sampietrino, a forma quadrata. I prodotti per le farciture portano la firma DOL, “di origine laziale”, di Vincenzo Mancino. Non mancano poi proposte al piatto come mozzarella e ricotta di bufala, wurstel artigianali con contorno. Insalate di farro e dolci.

ROMA BEER COMPANY piazzale Ponte Milvio, 40-42 06-3337048 sempre aperto Aperto sul cuore nevralgico del Ponte Milvio village, sa ancora di nuovo

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il locale inno alle birre con la cucina/griglieria a vista aperta su una delle sale. Gran parte dello spazio è dominato da un lungo bancone e dietro a parete ci sono ben 200 scaffalture retroilluminate piene di bottiglie, per un totale di 90 birre italiane e straniere. Dal barile se ne spillano 11 (6 euro). Vera chicca sono le bolle di birra, una birra di 11,5° realizzata con metodo classico e invecchiata in botte per 15 mesi. Elegante, spumeggiante, fruttata intensa, dal perlage sottile. Molto legno in giro, mattoncini e citazioni da spazio industriale a cominciare dalle grandi torce da lavoro appese su tavoli e bancone. Molti dei piatti da gustare arrivano dalla griglia, come le tagliate, le bistecche di costa, gli arrosticini, il pollo. Vasta la scelta degli hamburger da 200 grammi (9-12 euro) serviti al piatto o a panino. Insalatone e sandwich fatti con la ciabatta calda tipica romana per chi all’una di notte ha ancora fame e non si accontenta dei sacchi di noccioline sparsi in giro a volontà.

SETTEMBRINI BIRRA E PORCHETTA via Ciro Menotti, 32 06-3236160 chiuso domenica Il beer shop è l’ultimo nato in casa Settembrini e va alla grande. Dietro il bancone, con birre alla spina e porchetta, c’è Matteo De Felice. Il locale è mini, la selezione di birre commerciali e artigianali varia ogni settimana, tranne la HB di Monaco. Le porchette, laziali, accompagnatele con il pane di Gabriele Bonci (ciriole integrali, classiche o ciabattine) o con la focaccia fatta in casa. A rendere il panino gourmet, dalla cucina di Luigi Nastri, alcune salse: mela e cannella, cipolla rossa di tropea, oli alla rucola, rosmarino e peperoncino verde, chutney di pomodorini piccanti e crema di melanzana. Il panino costa 5 euro, birra e porchetta 10.


ROMA & CO. NIGHTLIFE DI CONTRIBUTOR NAME

NEW YORK DI MIRTA OREGNA

MASSIMO RICCIOLI c/o Hotel Majestic, via Veneto, 50 06-42144715 chiuso domenica sera Artigianato del gusto in chiave glamour. Piatti che seducono il palato, atmosfere che sconfinano dal bistrot al ristorante passando dal “chiosco”, anima viva del locale. Il cubo disegnato da Piero Lissoni destinato ai crudi, con preparazioni a vista e degustazione anche stand up. Alchimie di stili, sapori intriganti, dettagli e qualità estremi, pur con una certa informalità. Se le architetture sono fine ’800 e c’è un certo aplomb da lusso senza tempo, Riccioli porta tra i saloni e sulla splendida terrazza l’onda lunga di uno stile contemporaneo e internazionale. Nella sua storia ci sono la grande esperienza ittica, i crudi in formato lounge, la gastronomia veloce ma gourmet, una Londra smart. Così ora qui si respira un’aria nuova fatta di semplicità raffinata, dettagli, materie prime, stagionalità, passione. Baccalà stufato al rosmarino con schiacciata di patate e zucca, insalatina con capesante, pere, uva e pecorino al mosto, fettuccine di ceci con calamaretti e porcini, petto d’anatra scottato al Marsala con broccoletti e melograno. Dai 20 agli 80 euro. Consigliato per

la carta dei 15 piatti al bar, tra cui le tapas: ceviche di dentice, guacamole con gamberi e coriandolo, acciughe al burro con crostini, sandwich

CHINA BLUE 451 Washington St., Tribeca +1-212-9664900 In città è già stata decretata une delle aperture più attese dell’inverno (metà novembre): i suoi creatori sono Yiming Wang and Xian Zhang, gli stessi di Café China, il ristorante cinese aperto nel 2011, che con la sua cucina del Sichuan e gli ambienti raffinati si è conquistato due stelle sul New York Times e una sulla Michelin. Questa volta respiriamo odori e sapori della zona orientale di Shanghai, con le innumerevoli cittadine della sua verdeggiante provincia ricca di fiumi e laghi, e la sua raffinata cultura gastronomica fatta di ingredienti biologici, estetica nella presentazione dei piatti e banchetti di alto livello. L’interior décor, curato dalla stessa signora Wang, riporta ad atmosfere decò e sonorità jazz degli anni Venti, quando la città, prima nell’aprirsi all’occidente, ha assunto la forma di una elegante e ricca metropoli. La sede, che già ospitava un ristorante, è del 1891 ed è in TriBeCa. Consigliato per

lasciarsi guidare nella scelta di piatti come i baby shrimps con kau fu (seitan brasato), per scoprire la delicatezza delle ricette originali di Shanghai

B LUX

GIN CORNER

via della Luce, 3/A 06-58310424 chiuso lunedì / wi-fi

via di Pallacorda, 2 06-68802451 chiuso sabato e domenica / wi-fi

Mai indirizzo fu più azzeccato: tutto qui è giocato sull’illuminazione scenografica ad effetto. Ben 900 punti luminosi e molti specchi. I led cambiano dal rosa al rosso, dal blu al verde, mischiando toni e intensità. Da una scalinata scende una cascata d’acqua dagli effetti cromatici sempre diversi. Perfino l’aperitivo è servito dall’alto. Parmigiana, timballi, pizze fritte e tanti cocktail.

È il primo “gin bar” italiano, ospitato nella sede dell’Hotel Adriano. L’idea è di Barbara Ricci, animatrice degli aperitivi a tema del mercoledì, glamour. Gli ingredienti? I 55 gin da tutto il mondo e la fantasia combinatoria dei bartender Patrick Pistolesi e Federico Tomasselli. Oltre ai drink, assaggi e sfizi di chef (Gino de Angelis) e richiami a tema come l’uovo sodo al profumo di ginepro. Buonissimi anche gli arancini zafferano e gorgonzola piccante. Mercoledì musica live.

Da non perdere la cena nel soppalco che domina lo spettacolo: vedere e non esser visti

Da non perdere un gin&tonic comme il faut, e cioè 4/10 di gin, 6/10 di acqua tonica, 1 fettina di limone e ghiaccio (pieno)

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MILANO ULTIMA FERMATA DI FRANCO BOLELLI

L’EXPO CHE NON C’È Se mi e vi affidassero l’Esposizione Universale per il 2015, sono assolutamente certo che la stragrande maggioranza di voi, come me, comincerebbe da queste semplici linee strategiche: 1. Chiamare a raccolta e valorizzare le risorse della città: progettisti, comunicatori, studenti, e così via. 2. Mai e poi mai prendere a modello le fiere del passato. Negli ultimi anni il mondo è cambiato come mai prima, e una esposizione universale non può non evidenziare le opportunità dell’evoluzione. 3. Dal primo minuto, scatenarsi su web e social media per sollecitare progetti e idee in diretta da tutto il mondo: se si chiama universale, cosa meglio dei mezzi più universali per coinvolgere l’intero pianeta? 4. Concentrare il fuoco comunicativo sulla città, trasformandola in un punto di riferimento ben oltre le poche settimane in cui l’esposizione andrà in scena. 5. Mettere in scena la più ampia molteplicità di stili di vita, linguaggi, invenzioni. Ecco, sono passati più di cinque anni da quando Milano si è aggiudicata l’Expo del 2015; e delle nostre semplici linee strategiche nemmeno l’ombra. È vero – come ha scritto il meraviglioso Tom Robbins – che non è mai troppo tardi per farsi

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un’infanzia felice, ma la sensazione è che un’opportunità senza precedenti rischi di andare sprecata e che questa Expo (padiglioni, turismo tradizionale, Fateci caso: quanto più una città è comunicazione istituzionale) sia ancor evoluta, quanto più è espressione del prima di nascere anacronistica come una mondo globale, tanto più ogni volta che cabina del telefono o una tv con due ci andate non potete non accorgervi che canali. Non si tratta di passato o futuro: aumenta il numero di bambini che non si per dirne una, valorizzare l’antica natura riesce a definire in base ad alcuna identità di Milano come città d’acqua sarebbe un etnica e razziale. È così a New York, gesto eclatante più di una qualunque fiera a Los Angeles, e poi a Londra, e giù a per attrarre umani da tutto il pianeta. scendere. Le grandi metropoli sono sempre Milano – questo il suo grande valore – è un più popolate da spettacolari frullati sostanzioso polo di attrazione di talenti genetici, seconda o terza generazione di ed energie in grado di proporre suggestioni combinazioni dove le origini scivolano inventive, innovative, vitalizzanti. Qui sempre più sullo sfondo e nuove misteriose ci sono la comunicazione, le tecnologie, il sfumature conquistano la scena. Ok, non design, la moda, l’editoria, mille cose che tutte riusciranno come Jessica Alba o come possono per vocazione naturale dar corpo – permettetemelo – la spettacolare bambina e respiro a un’Expo del mondo connesso californiana di mio figlio (babbo milanese e e globale. Loro (voi) sanno che il web madre di San Francisco ma taiwanese): però non è banalmente un moderno strumento di questa condizione indefinibile e plurale sta comunicazione, ma una sorgente strepitosa diventando non dico trendy ma in qualche di condivisione ed espansione. Oggi ci modo familiare. D’altra parte qualunque sono, qui e nel mondo, milioni di umani che evoluzione in qualunque campo è sempre non possono più essere considerati soltanto nata da connessioni al di là dei confini, turisti, spettatori, pubblico passivo. e viceversa le culture più arretrate sono Senza di loro, una città e un’esposizione quelle difensivamente arroccate su se universale sono condannate all’irrilevanza. stesse. Per esempio le città di frontiera hanno sempre avuto una loro particolare

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