1° part_ARCHEOLOGIA vs INFRASTRUTTURA 2017/2018

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ARCHEOLOGIA vs INFRASTRUTTURA Un progetto di sistema per la Tutela e la Valorizzazione dell’Area Archeologica Centrale Il caso studio del Foro di Nerva


Laurea Magistrale in Architettura Candidati: Valentina Cella Giorgia Less Relatore: Prof. Arch. Carmen Andriani Correlatori: Prof Ing. Luigi Gambarotta Dott. Marco Arizza 2017/2018


INDICE

Introduzione ........................................................................................5

Area Archeologica Centrale Valori per un progetto sistemico ......................................................................7

Storia del Foro di Nerva ...............................................................................14

Un racconto per quote

Frammenti Campagna fotografica dello stato attuale

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Il sistema “modulo” Assetto a configurazione variabile

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Tutela e Valorizzazione Dal Foro di Nerva all’Area Archeologica Centrale

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Bibliografia ........................................................................................78

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Il dibattito sulla proposta, avanzata dalla Amministrazione Comunale di Roma, di intervenire su via dei Fori Imperiali ha preso il via nel 2013: la discussione metteva in gioco la possibilità di ridisegnare, o addirittura demolire, il grande rettifilo realizzato nel 1932, esito conclusivo del massiccio programma di liberazione dei monumenti di epoca imperiale, avviato a partire dall’Unità d’Italia e dall’istituzione di Roma Capitale. Di fatto tale “liberazione”comportava non solo il recupero della quota originaria, generando un dislivello in media di sette metri, con il conseguente isolamento degli antichi fori dell’area centrale ma, con l’edificazione della via quale collegamento unidirezionale fra Piazza Venezia ed il Colosseo, corrompeva l’unità territoriale, l’uniformità e la connessione dell’area con il tessuto vitale in termini di costruzione di identità culturale e di resilienza. Dopo le grandi campagne di scavo degli anni ‘30 del secolo scorso, coerenti con il programma politico dell’ideologia fascista che prevedeva un collegamento fra il Vittoriano ed il Colosseo, altre più mirate indagini di scavo hanno ulteriormente modificato l’assetto della via. Dalla sua apertura inoltre una prolifica stagione di progetti e visioni architettoniche, incompiute o stravolte, ha caratterizzato il dibattito culturale in merito ad un progetto dal carattere unitario sulla via, tra i quali citiamo il progetto di Antonio Muñoz ed il Danteum di Giuseppe Terragni, i quali per cause diverse non sono riusciti nel loro intento: il primo sottoposto alla “damnatio memoriae” dopo la fine della dittatura, il secondo non vedendo mai realizzata la sua opera. Nonostante queste circostanze abbiano condannato la via dei Fori Imperiali ad

assumere negli anni un aspetto sempre più frammentario, privo di unità d’immagine e di coerenza di linguaggio urbano, non si può escludere che essa faccia parte del paesaggio e della memoria collettiva della capitale: per questo motivo, nel 2001 è stata oggetto di un Decreto di vincolo, ai sensi del D.lgs. 490/99, da parte dell’allora Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali del Lazio. In seguito tale vincolo è stato superato dal D.lgs. 42/2004 (art. 10, c. 4, g, relativo a “le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico”) ma non impedisce di apportare modifiche, aggiustamenti e miglioramenti, con le relative autorizzazioni delle Soprintendenze competenti. Nel frattempo gli antichi fori, le cui rovine tornate alla luce respirano la contemporaneità, rimangono frammentati ed obliterati all’interno della città moderna a causa del dislivello e della fisionomia stessa della strada. Non si possono inoltre sottacere le problematiche derivanti dall’attuale amministrazione dell’area archeologica, suddivisa per gestione fra due diverse autorità competenti: la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali che gestisce, mantiene, valorizza i beni archeologici, storico-artistici e monumentali che ricadono sotto la competenza di Roma Capitale ed è articolata in tre Direzioni (Tecnico Territoriale, Valorizzazione del Patrimonio Culturale, Musei, Ville e Parchi storici), la quale ha competenza sui Fori Imperiali;

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la Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area archeologica centrale di Roma, istituto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, che gestisce il Foro Romano, il Palatino ed il Colosseo, oltre ad aree e monumenti compresi all’interno della cerchia delle mura cittadine ed altri siti ubicati nel Comune di Roma ma al fuori di esse.

delle istituzioni che li detengono. Nasce così un nuovo soggetto giuridico che diventerà

Entrambe le Soprintendenze sono dunque presenti in maniera incisiva nell’Area Archeologica Centrale, con conseguenti differenze in termini di controllo e manutenzione, oltre che della di gestione dell’accesso ai visitatori: questa dualità gestionale ha prodotto nel tempo un’eterogeneità riscontrabile sul territorio, con effetti visibili sia dal punto di vista della tutela sia dal punto di vista della valorizzazione. In merito a questo tema, la Commissione Paritetica MiBACT-Roma Capitale, istituita nel 2014 al fine di elaborare uno studio per un Piano strategico volto alla sistemazione e sviluppo dell’Area, ancora non si accorda su una visione d’insieme, prediligendo un approccio per interventi parziali sui singoli monumenti ed evitando progetti sistematici.

Dunque si di delinea una nuova possibilità di trasformazione per i Fori Imperiali e per la via dei Fori Imperiali, forte anche del ricco dibattito culturale alimentato per quasi quindici anni da parte dell’Accademia Adrianea di Architettura e Archeologia e del Piranesi Prix de Rome, in collaborazione con il principale partner del Premio, l’Ordine degli Architetti Paesaggisti Pianificatori e Conservatori della Provincia di Roma: le loro proposte si inseriscono in un quadro di attività di ricerca sui temi dell’archeologia e della valorizzazione museografica che non esclude, anzi invoca quale atto di coraggio progettuale, un approccio per progetti di sistema volto a costituire quella visione unitaria da sempre mancante, “il recupero dell’unità perduta”, e volto altresì alla lettura, comprensione e visitabilità dei Fori alla quota archeologica, evidenziandone il principio compositivo. Nel quadro di un progetto sistematico, Via dei Fori Imperiali rappresenta una spina dorsale di sistema, un elemento lineare capace di connettere e rendere al tempo stesso interdipendenti e reciprocamente relazionati singoli episodi architettonici e archeologici. Il progetto dunque dovrebbe tendere ad una ricomposizione del contesto archeologico dei Fori Imperiali, conservando, al tempo stesso, il ‘segno’ costituito dall’asse della via dei Fori Imperiali.

“Il 21 aprile 2015 viene finalmente sottoscritto un Accordo tra Mibact e Roma Capitale per superare la divisione di competenze e funzioni tra Stato e Comune nell’Area archeologica di Roma e assicurarne la gestione unitaria, nel rispetto della normativa sulla tutela, che resta saldamente in capo allo Stato. L’Accordo Mibact-Roma Capitale si configura dunque un atto fondamentale con cui si riconosce la centralità dei beni e dei monumenti prima ancora

l’unico interlocutore per cittadini, visitatori, imprese, mecenati. La gestione unitaria, dinamica ed efficiente dell’area archeologica sarà garantita dal ‘Consorzio per i Fori di Roma” a cui Stato e Comune demandano la definizione del Piano strategico di sviluppo culturale e di valorizzazione dell’area.”1

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MiBACT, Insieme per l’area archeologica urbana più importante del mondo, Roma 21/04/2015


AREA ARCHEOLOGICA CENTRALE

valori per un progetto sistemico


“La rigenerazione urbana sogna l’azione integrata, il potenziamento della dimensione culturale dello sviluppo territoriale e l’emergere di una stagione strategica in cui il negoziato deve essere temperato dal valore delle identità […] In questo nuovo scenario è necessario promuovere non solo nuovi paradigmi e rinnovati strumenti, ma anche un recupero delle passioni, della capacità delle emozioni di guidare le nostre decisioni in maniera complementare rispetto all’indirizzo dei ragionamenti razionali generati dalle conoscenze e dalle abilità.” Maurizio Carta

In uno scenario complesso come quello dell’Area Archeologica di Roma elaborare una strategia in grado di mettere a sistema la qualità spaziale, la questione archeologica, i picchi di valore e le diverse competenze attive sul territorio significa per noi imparare ad agire in un contesto ampio e dettagliato, caratterizzato da forze centripete e centrifughe spesso in competizione. In prima analisi, questo sistema considera come componenti attive di progetto la successione delle fasi storiche del luogo, raccontata dai suoi dati scientifici e dalle sue “occasioni perdute” di conoscenza e conservazione, raccoglie le considerazioni dello stato attuale e guarda al futuro in termini di evoluzione cosciente. D’altra parte lo stesso sistema ammette come valore, non sempre oggettivo ma non per questo invalidante, la complessa equazione delle emozioni e delle suggestioni messe in moto dalla grandiosa macchina della memoria collettiva, in relazione

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a questo luogo specifico. Roma è ancora oggi una delle città più visitate al mondo e la sola zona Archeologica Centrale raccoglie ogni giorno circa diciottomila visitatori: migliaia di passi al giorno solo per “guadagnarsi” l’immagine della città. La visitabilità del sito, alterata dal macrosegno della via dei Fori Imperiali che ha generato una improvvisa relazione di livelli storici di natura diversa, impegna completamente il visitatore nella ricostruzione di un’immagine unitaria, tanto da sottargli tempo ed energie per appassionarsi alla storia dei microsegni, composti di frammenti ed evidenze archeologiche scomposte. Ammettendo dunque queste due importanti sfere di azione, degnamente rappresentate tanto dagli imprescindibili dati oggettivi quanto da quelli “soggettivi”, la nostra strategia si basa su una quanto più possibile coerente gestione degli elementi che vi appartengono, con l’obiettivo di desumere delle linee di guida, in termini di valore, per il progetto.


PROGETTO DI SISTEMA L’Area Archeologica Centrale vive della relazione di senso con il sistema territoriale esteso ed ha la possibilità di relazionarsi con le altre aree e siti archeologici del territorio romano: questa vocazione deve essere colta da un’azione progettuale in grado di procedere tanto dal centro verso la periferia, quanto dalla periferia verso il centro, come sistema isotropo, equilibrato e osmotico. In questo senso il filo narrativo del progetto deve integrare la presenza del “verde” del territorio esteso (Palatino, Colle Oppio, Parco dell’Appia, i filari di pini lungo i tracciamenti delle vie consolari) ai tracciati archeologici e storici dislocati sul suolo della campagna romana. Un vero progetto sistematico sull’Area Archeologica Centrale in particolare è stato preso in considerazione solo di recente: nonostante il 21 aprile 2015 venga sottoscritto il “Consorzio per i Fori di Roma”, accordo tra Mibact e Roma Capitale per superare la divisione di competenze e funzioni tra Stato e Comune nell’Area archeologica di Roma, un anno dopo viene rimarcato il non completo adempimento in termini di gestione unitaria. È dunque questa un’occasione per riflettere su un “grande progetto” che tenga conto del metabolismo dell’area ma anche di tutto il territorio romano, parametrizzi le componenti attive portandole a collaborare sinergicamente, superi la dualità gestionale e fornisca un programma unitario con soluzioni adattabili. In prima analisi, ciò permette di desumere alcune caratteristiche intrinseche: Colosseo e Fori dall’alto, Archivio Cederna, 1904

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isotropia osmosi sinergia

SISTEMA ARCHEOLOGICO La questione archeologica rappresenta il fattore di vera e propria propulsione del progetto. L’archeologia restituisce infatti lo schema evolutivo diacronico del sito, ricostruisce operazioni addizionali e sottrattive, relaziona ed edita i dati scientifici e fornisce importanti linee guida per la conservazione, la valorizzazione e la progettazione. Il progetto non vuole lasciar cadere la possibilità di utilizzare queste preziose informazioni, le annette anzi come valori fondamentali, mettendo a reazione diverse possibilità combinatorie: lo scavo nell’area archeologica è scoperta, catalogazione, ricomposizione, conoscenza aumentata; forse è quindi anche occasione per mettere in luce il frammento, ricollocarlo nella sfera del paesaggio, ricongiugerlo assieme agli altri nella nostra immagine come identità. Diventa dunque uno degli obiettivi principali permettere a queste qualità di emergere, facendosi esse stesse formule culturali nel progetto sistemico: lo scavo archeologico diventa occasione di apprendimento in virtù della propria natura pratica, consentendo ed agevolando al tempo stesso il lavoro per gli archeologi ed il momento didattico per i visitatori, generando sinergia lì dove normalmente vi è reciproca esclusione.

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Inoltre lo stesso scenario deve poter prevedere una gestione intelligente e proattiva delle informazioni, motivo per cui è interessante pensare allo sviluppo di centri attivi sull’Area Archeologica Centrale, dalla duplice funzione: da una parte deve prevedere un centro in situ di raccolta ed elaborazione delle informazioni di scavo (registrazione dati, riproduzione materiali, elaborazione rilievi diretti e topografici), dall’altra gestire e popolare una piattaforma per la messa in rete delle informazioni acquisite. In parallelo si colgono interessanti spunti anche da studi laterali alla vera e propria mansione archeologica: in particolare si fa riferimento ad una severa analisi di strutture esistenti “collaboranti”, con il cantiere o con la zona di scavo, che, in vista di tutelare il bene o agevolare la fruibilità dell’area, hanno generato una vasta gamma di progetti eterogenei, talvolta compromettendone la valorizzazione o, nei casi più gravi, la stessa conservazione. Questa paziente analisi e catalogazione di esempi, “buoni e cattivi”, genera linee guida estremamente preziose per il progetto, consente di assumere le “lesson learned” ed avvalora una progettazione futura che tenga conto delle criticità emerse. I valori che assumiamo da questa fondamentale componente sono: reversibilità leggerezza controllabilità basso impatto collaborazione


SISTEMA INFRASTRUTTURALE ADATTATIVO-PARAMETRICO Si arriva dunque a definire la natura effettiva del progetto: esso vuole farsi “interpretazione, traduzione, racconto” dei macrosegni e microsegni, delle identità e delle relazioni che connotano l’intero paesaggio archeologico, partendo dal suolo come loro principale contenitore ed annettendo l’asse stradale quale parte integrante attiva, data la sua posizione interstiziale. Non appena ci si sforza di uscire dall’ortogonalità cartesiana tipica della fase analitica in cui si delinea il sistema dei valori ed insieme dei limiti progettuali, si riscontra immediatamente la complessità delle possibili chiavi di lettura dell’area: indagabile in senso verticale, nel suo ricchissimo palinsesto, dettagliato da quote interrelazionabili e da una serie infinita di unità stratigrafiche, interrotta alla quota “recuperata” a causa delle massiccie operazioni di sventramento dei quartieri post-antichi, fino alla quota della strada; indagabile tangenzialmente ad essa, in contrapposizione all’originaria configurazione degli impianti forensi, fattore che spezza e limita la visitabilità; indagabile dalla sommità della strada che, in questo senso, diventa potenziale promenade. Il progetto dunque tenta di raccogliere e implementare le occasioni di visitabilità, lavorando sullo scarto temporale e spaziale provocato dalle operazioni sottrattive: recuperare alcune “quote perdute” e riconnetterle con l’infrastruttura della strada. Questa, in parallelo, viene suddivisa in diversi ambiti longitudinali che funzionano come sistemi lineari, autonomi, affiancati e, in alcuni punti, connessi; l’accesso a Colosseo e Fori dall’alto, Archivio Cederna, 1904

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questi sistemi è consentito da quattro scale monumentali, collocate in punti studiati, che consentono l’accesso all’intera Area Archeologica e/o al singolo foro, in maniera controllabile. Al fine di coprire parzialmente e provvisoriamente punti specifici dell’Area Archeologica, in vista delle nuove campagne di scavo o lavori in situ di cui si è già fatta menzione, si prevede un sistema di blanda copertura, che agisca come riparo provvisionale senza compromettere lo stato e la fisionomia delle evidenze archeologiche, seguendo l’andamento non ancora stabilizzato degli scavi e distribuendo sulle parti coperte una luce diafana a diversa intensità. Queste coperture sono parte di un sistema modulare di telai in acciaio a configurazione variabile, sorretti da un sistema puntiforme di sostegni: lo stesso sistema si fa inoltre supporto di una trama di passerelle intermedie, anch’esse variabili per un flusso mirato di visitatori. Le strutture essenziali e metalliche sono frutto di una tecnologia che sfrutta ed implementa il sistema da impalcato provvisorio, modificabile e reversibile per natura, e mira inoltre a suggerire normative di comportamento progettuale, definendo elementi linguistici basici e diversamente assemblabili: sarà parte fondamentale del progetto la messa a punto di un abaco di elementi strutturali e funzionali, indicando la tecnologia, il montaggio, la configurazione ad assetti variabili. Il fine di questo studio è dunque quello di progettare una struttura in grado di adattarsi a differenti condizioni e contesti, facensosi essa stessa infrastruttura in grado di riconnettere il passato con il presente, la visitabilità con la suggestione del luogo, e tutte le aree archeologiche del territorio romano sotto un’unica koinè architettonica:

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adattativa parametrica modulare


IL FORO DI NERVA COME CASO STUDIO Al fine di studiare in dettaglio una struttura in grado di adempiere ai compiti di cui si è appena discusso, che sia poco invasiva rispetto ad un suolo storicamente caratterizzato, leggera e quindi facilmente smontabile oltre che reversibile in maniera controllata e flessibile rispetto alla specifica zona, si è scelto di assumere quale caso studio l’area del Foro di Nerva, considerando il perimetro dell’antico impianto forense come confine di progetto. L’area del foro di Nerva è un sito particolarmente denso di storia: il suo secondo appellativo, “foro Transitorio” lascia intendere il suo originario carattere connettivo, la sua intrinseca funzione di collegamento fra quartiere popolare e foro, prima e dopo la fase imperiale. Le fasi storiche, ricostruite dal paziente lavoro degli archeologi, raccontano le trasformazioni non solo del sito in questione, ma anche dei fori adiacenti e dell’aspetto dell’Area Archeologica Centrale in generale. La sua posizione è cruciale anche oggi, dopo la costruzione della via dei Fori Imperiali, in quanto si colloca, assieme al Templum Pacis, in coincidenza del moderno incrocio fra via dei Fori Imperiali, la via Alessandrina e via Cavour: la parte centrale del Foro di Nerva dunque è oggi obliterata sotto la via dei Fori Imperiali e la via Alessandrina nel punto esatto del loro incrocio, ma non solo, si colloca anche nel punto esatto in cui l’asse viario principale cambia la sua “natura”, in quanto da piazza Venezia fino a via Cavour è stata costruita come viadotto, mentre da via Cavour al Colosseo si presenta come uno scavo in trincea, risultato delle operazioni

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di sventramento della antica collina della Velia. Da molti punti di vista dunque il Foro di Nerva presenta delle particolaritĂ dal punto di vista storico, topografico e geografico: il progetto vuole inserirsi nel particolare racconto di questo sito, raccogliendone i passaggi salienti, e utilizzandolo come caso studio per verificare, almeno in buona parte, la fattibilitĂ e utilitĂ anche per tutte le aree ed i siti del territorio romano, al fine di assumere delle linee guida per una progettazione che abbia come scopo la tutela e la valorizzazione insieme delle aree archeologiche del territorio romano.

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STORIA DEL FORO DI NERVA

un racconto per quote


CRONOLOGIA DEGLI SCAVI IN EPOCA MODERNA 1926

1947

Saggio Antonio Maria Colini. Indagini archeologiche in occasione di apertura di via dell’impero; demolizione quartiere Tor de’ Conti; scavo nella zona di Via della Croce Bianca e della zona antistante le Colonnacce. Scavo dell’area della Basilica Aemilia

1979-83 Saggi di Heinrich Bauer; Rinvenimento delle fondazioni del “Tempio di Giano”. 1985-86 Campagne di scavo dell’ Istituto di Topografia Antica dell’Università di Roma “La Sapienza”; 1995-97 Campagne di scavo eseguite dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, in collaborazione con l’Istituto di Topografia Antica dell’Università di Roma “La Sapienza”, che prevede la demolizione di via della Salara Vecchia. 1998-00 Campagna scavi eseguita dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali del

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Comune di Roma nell’area del Foro di Augusto. 2000-06 Scavi condotti dalla Sovrintendenza Capitolina nel Templum Pacis settore occidentale. 31/03/14 Giornata di studi dedicata al Foro di Nerva – interpretazione, discussione, integrazione con la documentazione degli scavi del 1995-97.


Allo stato attuale l’area archeologica del Foro di Nerva si presenta come una complessa concrezione materica di strati progressivi nel tempo: la massiccia campagna di scavo degli anni Trenta, che aveva come obiettivo il “recupero” della quota imperiale, ha compromesso in molti casi una rilettura e ricostruzione esaustiva delle fasi storiche post-antiche. Ciò che oggi si conosce del foro è frutto di un paziente lavoro di raccolta ed integrazione dei dati portato avanti dagli archeologi, coordinati dalle autorità competenti in relazione non solo allo sventramento del periodo fascista, ma anche delle campagne ed indagini ad esso successivi che hanno portato l’area del foro ad assumere l’odierna configurazione. In via del tutto concettuale, si potrebbe considerare l’area allo stato attuale come intersezione di due macroinsiemi rappresentati su una scala temporale: il primo, rappresentante la progressiva edificazione (sfruttando le fondazioni delle strutture preesistenti), il secondo, agente in senso regressivo, rappresentante l’eliminazione degli strati posteriori rispetto alla quota forense e, in certi casi, oltre di essa. Ciò che rimane nell’intersezione si configura quindi come un deposito materico cronologicamente eterogeneo, strutturalmente scomposto e difficilmente decodificabile dal punto di vista architettonico, planimetrico e strutturale. In questo contesto il progetto si vuole inserire come parte di una narrazione continua e cosciente della complessità degli interventi passati: il suo carattere dunque non può non prescindere da un’accorta analisi preliminare di quanto oggi è conosciuto dell’area e parallelamente da un’indagine scrupolosa di quanto ancora rimane celato solo gli strati scampati alle demolizioni.

Fra il 1926 e il 1928 la X Ripartizione Antichità e Belle Arti del Governatorato di Roma realizza un grande scavo in corrispondenza di un isolato da poco demolito nel quartiere Alessandrino tra le vie Cavour, della Salara Vecchia e della Croce Bianca. L’avvenimento vede come protagonisti Antonio Maria Colini, allora Ispettore Archeologo, il quale porta alla luce un ampio tratto della parte occidentale della piazza del Foro di Nerva e ne documenta sommariamente la scoperta con poche fotografie e disegni. Queste scoperte, nonostante la loro grande importanza, hanno un seguito scientifico assai limitato e la grande “buca”, rimasta aperta per altri due anni dalla fine delle indagini, viene reinterrata nel 1930. Questi sono gli anni delle demolizioni del quartiere Alessandrino, il cui obiettivo è isolare i resti dei Fori Imperiali e realizzare la via dei Fori Imperiali, con le sue aiuole e le sue ampie zone asfaltate, una delle quali, adibita a parcheggio, oblitera l’area indagata ancora per gli anni successivi. Nel 1933 la parte settentrionale del Foro di Nerva, compresa fra la Tor de’ Conti e la via Alessandrina, viene quasi completamente disotterrata, mettendo in luce le uniche evidenze del complesso antico, le Colonnacce, fino al livello di spiccato originario, il nucleo del podio del Tempio di Minerva ed un tratto di cloaca. Nel 1939, durante una campagna di scavi per isolare la Curia, viene alla luce la doppia fondazione curva che costituisce il limite del complesso forense. Nel 1940 viene completato lo scavo del settore settentrionale, nell’area retrostante il tempio di Minerva, dove vengono portati alla luce i resti della Porticus Absidata.

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Nel Foro invece le esplorazioni vengono condotte a livelli più profondi e permettono di individuare due fasi costruttive principali sottostanti l’impianto forense: l’una costituita da una sistema di fondazioni “a cassone” coerenti con l’orientamento del Foro, l’altra, a quota inferiore, dai resti di edifici in opera laterizia e reticolata, con diverso orientamento, ritenuti appartenenti all’Argiletum. Anche in questa fase, non è possibile ricostruire un’edizione complessiva degli scavi, fatta eccezione per brevi notizie preliminari edite da Colini. Soltanto tra il 1970 e il 1980, l’archeologo tedesco Heinrich Bauer, nel quadro di una ricerca personale sul Foro di Nerva, realizza una approfondita pulizia delle strutture più occidentali del complesso, che in quel tempo affiorano alla base della scarpata di sostegno della soprastante via della Salara Vecchia. Egli rinviene una grande fondazione, che interpreta arditamente come un santuario dedicato a Giano, sulla base di fonti letterarie del tardo Medioevo. Tale scoperta lo induce a ipotizzare la contemporanea presenza di due edifici di culto alle estreminità orientale e occidentale del foro, rispettivamente il Tempio di Giano ed il Tempio di Minerva. Per validare questa ipotesi, nel 1985 vengono organizzate altre due campagne di scavo sull’area compresa fra la Curia, la Basilia Aemilia ed i fori di Cesare e Nerva: i risultati di queste indagini, pubblicati dai direttori scientifici Chiara Morselli e Edoardo Tortorici1, confermano solo in parte le formulazioni di Bauer, dimostrando che l’edificio templare attribuito a Giano era rimasto incompleto e che dunque il Tempio

di Minerva era l’unico santuario presente nell’antico foro. Dopo ulteriori ampliamenti dell’area, destinata ad essere scavata e trasformata in parco archeologico, compreso l’inglobamento dell’ampio settore adibito a parcheggio che in quel periodo ricopre tutta la parte occidentale del Foro di Nerva, viene promossa tra il 1995 e il 1997 una nuova campagna di indagini: viene dunque riaperto il grande saggio realizzato settanta anni prima da Antonio Maria Colini e si amplia la superficie di scavo fino a circa metà della originaria estensione, così da lasciare interrato il solo settore centro-orientale coperto da via dei Fori Imperiali. Questo scavo viene diretto da Giuseppina Sartorio e Silvana Rizzo e, nonostante gli esiti vengano immediatamente resi noti, per varie cause non si ha modo di realizzarne una pubblicazione e buona parte dei dati scientifici raccolti rimane inedita. I nuovi scavi compiuti nel 1998 e il 2000 portano a nuove considerazioni sull’area, con il rinvenimento del Templum Pacis e del Foro di Cesare. I vecchi ed i nuovi dati vengono integrati fra loro e divulgati il 31 marzo 2014, in occasione di una giornata di studi sul Foro di Nerva, organizzata dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Roma “La Sapienza”2.

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2 Rivista “Scienze dell’Antichità. 21.3 - 2015”, Sapienza Università Roma, Edizioni Qua-

Soprintendenza Archeologica di Roma, Morselli C., Tortorici E. (a cura di), CURIA FORUM

IULIUM FORUM TRANSITORIUM, Roma, De Luca Edizione d’Arte, 1989

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sar,2015


Sulle tracce della Cloaca Maxima: La Cloaca Maxima, realizzata alla fine del VI sec. a.C., era un grandioso sistema di reti fognarie atto a canalizzare fino al Tevere le acque provenienti dall’Esquilino, dal Viminale e dal Quirinale, attraverso il Foro Romano da nord-ovest a sud est. La tortuosità del percorso ha fatto supporre che essa ricalcasse il tracciato di un antico torrente naturale, dapprima rinforzato con opere di arginatura e successivamente trasformato in passaggio sotterraneo coperto a volta. Di questa immensa fognatura sono venuti alla luce due tratti, il primo rintracciato al di sotto della pavimentazione della Basilica Aemilia (anno di scavo 1947), il secondo al di sotto dell’Argiletum, tra la Curia e la Basilica Aemilia. Per quanto riguarda il primo tratto (cloaca vespasianea), esso risulta interrotto da un muro in corrispondenza del punto di contatto tra la Basilica Aemilia ed il Foro di Nerva (il cosiddetto tempio di Giano), mentre il secondo (cloaca domizianea) prosegue sotto il pavimento del Foro Romano.

A destra: Cloaca Maxima dalla “Salaria Vecchia” al Foro di Augusto (Soprintendenza Archeologica di Roma, Morselli C., Tortorici E., CURIA FORUM IULIUM FORUM TRANSITORIUM)

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+ 12,14 m slm Il quartiere repubblicano dell’Argiletum: Frequentemente citato dalle fonti letterarie, ma poco conosciuto archeologicamente, il quartiere dell’Argiletum prende il nome dalla via che metteva in comunicazione il Foro Romano con il popoloso quartiere della Subura fino al periodo repubblicano. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento un folto numero di studiosi, fra cui si cita l’importante contributo dell’archeologo e topografo Rodolfo Lanciani, ha formulato diverse ipotesi interpretative in base ai passi di Marziale, Cicerone e Livio, al fine di stabilire se l’Argiletum di fatto nascesse come strada o come quartiere: nonostante l’immensa portata di questa documentazione, una sua definitiva interpretazione, messa a sistema con le evidenze archeologiche, rimane ancora oggi incerta. In via ipotetica, è possibile tuttavia identificare l’Argiletum come un quartiere, la cui estensione doveva essere ben più ampia di quella inscrivibile nell’area del Foro Transitorio, compreso fra la Subura ed il Foro Romano ed esteso anche per buona parte dell’aree dove sarebbero sorti in epoca successiva il Foro di Cesare ed il Templum Pacis. Nella fase imperiale, l’Argiletum sarebbe stato poi ridimensionato fino a scomparire del tutto con la costruzione del Foro di Nerva, eccetto per un breve tratto residuo compreso fra i Fori Imperiali ed il Foro Romano, a cui il toponimo è rimasto legato. Diverse fonti letterarie testimoniano la vita di questo quartiere in relazione al suo carattere prevalentemente commerciale rappresentato da un grosso complesso citato nelle fonti come “macellum”, in cui vi erano botteghe di

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libri, calzolai ed altre attività. I sondaggi effettuati nel 1996 hanno consentito di ampliare la conoscenza sul quartiere repubblicano: in alcuni settori è stato infatti possibile effettuare approfondimenti al di sotto delle lastre pavimentali dell’impianto forense, che hanno messo in evidenza strutture preesistenti di età tardo-repubblicana: è stato identificato come appartente a questa fase un edificio con alloggi sotterranei (seconda metà del I sec. a.C.), relazionabile con altre strutture precedentemente messe in luce durante gli scavi del 1985, che evidenziano una successione di fasi costruttive a partire dall’età medio-repubblicana fino all’età augustea. La distribuzione degli spazi e la tecnica edilizia degli ambienti ipogei rilevati ripete uno schema ricorrente in abitazioni coeve nelle immediate vicinanze del Foro Romano e sul Palatino. Quasi tutte presentano la stessa tipologia di ambienti sotterranei caratterizzati da alloggi rettangolari di piccole dimensioni (cellae) le cui pavimentazioni spesso sono decorate con mosaici, che si affacciano su corridoi con una pavimentazione prevalentemente in opera spicata e le cui murature presentano il paramento in reticolato.


A destra: Evidenze Archeologiche relative al periodo repubblicano A sinistra: Evidenze Archeologiche relative al periodo repubblicano particolari (da Rivista “Scienze dell’Antichità. 21.3 - 2015”)

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+ 12,90 m slm Le fondazioni di età giulio claudia: Lo scavo di alcune stratigrafie sigillate dalla pavimentazione marmorea del Foro di Nerva, ha rivelato che anche questa zona di Roma è stata interessata dall’incendio neroniano, divampato nel 64 d.C. Tale avvenimento ha segnato una cesura fra il precedente assetto del quartiere dell’Argiletum e la nuova sistemazione urbanistica, la cui più chiara evidenza è rappresentata da una disposizione degli impianti coerente con l’andamento degli assi cardinali e dunque disassata rispetto all’orientamento precedente. La testimonianza più antica conforme a questo nuovo assetto è rappresentata da una lunga fondazione in opera cementizia, interrotta verso sud , tagliata a nord ed a est dalla Cloaca Maxima domizianea e dalla struttura templare del cosiddetto Tempio di Giano. Oltre a questa, si ritengono dello stesso periodo due piccoli pilastri allineati in opera laterizia, che dovevano porsi all’inquadramento di aperture con funzione di stipite. L’ipotesi per queste evidenze murarie è riconducibile ad una generale ristrutturazione in chiave pubblica dell’insieme degli ambienti tardo-repubblicani costruiti secondo il primitivo orientamento, tramite la realizzazione, in questa zona specifica e lungo il lato prospiciente il Foro di Cesare, di prospetti atti a schermare le strutture e dunque ad adeguarle alla nuova sistemazione forense.

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A sinistra: Evidenze Archeologiche relative alla fase giulio claudia


+ 14,40 m slm La Nova Urbs neroniana. Le preesistenze relative alla fase neroniana successive all’incendio del 64 d.C. sono costituite da fondazioni gettate in cassaforma, la cui particolare composizione, unita alla mancanza di tracce di combustione, induce a ipotizzare una fase costruttiva subito successiva all’incendio. In seguito al disastroso evento sono stati sistematicamente abbattutti gli alzati delle costruzioni preesistenti e la quota pavimentale è stata innalzata di circa 1,50 metri. Questa operazione si configura dunque come un livellamento generale e predisposizione ad un futuro esteso progetto urbanistico. Di tale programma restano nove grandi fondazioni cementizie di pilastri a pianta quadrata, delimitati da una fondazione continua sul lato settentrionale: non si sono avuti invece riscontri sul lato orientale di tale fondazione che dunque poteva estendersi fino all’area poi occupata dal Templum Pacis, mentre si è certi del suo allineamento alla Basilica Aemilia. Una sua ipotetica ricostruzione prevede la presenza di un edificio porticato con almeno cinque navate, sviluppate lungo l’asse est-ovest. L’Argiletum, in seguito all’incendio, subisce una massiccia trasformazione, omologandosi alla stessa organizzazione urbanistica caratterizzata da grandi isolati, orientati con i percori stradali, sui quali prospettano lunghi porticati, in analogia con altre zone nelle immediate vicinanze, come il Palatino.

A sinistra: Evidenze Archeologiche relative alla fase Neroniana

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+14, 57 m slm La cloaca vespasianea e la fondazione settentrionale del Templum Pacis: Un ulteriore intervento di ristrutturazione generale della zona, voluta da Vespasiano e concretizzata tra il 70 e il 75 d.C. è probabilmente la causa dello smantellamento della struttura porticata neroniana. Evidenza di questa riqualificazione è in primis il nuovo braccio della Cloaca Maxima: il condotto fognario infatti attraversa con un percorso rettilineo da est a ovest l’area centrale del Foro di Nerva ed è oggi percorribile per 50 m, fra l’interruzione a est a causa della cloaca domizianea e quella causata dalle fondazioni del tempio di Giano. Essendo la struttura intersecata, oltre che dalle fondazioni templari, dai pilastri neroniani, si ipotizza che l’opera non sia mai stata terminata. Adiacente e parallela alla cloaca, si estende una imponente struttura di fondazione, il cui tracciato rimane per la maggior parte nascosto dalle lastre pavimentali del foro, affiancata da un condotto fognario, che si interrompe in corrispondenza dell’angolo nord-occidentale del Templum Pacis. Grazie alle tracce presenti sulla stessa fondazione, si è riconsciuta una partitura architettonica di pieni-vuoti relativi al ritmo di un colonnato. Queste strutture sono attribuibili ad un primo progetto del Templum Pacis: infatti le evidenze archelogiche mostrano due fasi edilizie, molto ravvicinate nel tempo, in cui è possibile distinguere il progetto originario ed una sua successiva revisione. Secondo una ricostruzione del tutto plausibile il primo progetto prevedeva una piazza quadrata, porticata sui quattro lati, con un’adeguata fronte monumentale

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rivolta verso l’Argiletum. È solo con Domiziano, qualche anno più tardi, che questo fronte, probabilmente ancora incompleto, viene demolito e arretrato a scapito della proporzione planimetrica e conformità della partitura architettonica del Templum, in vista della prossima realizzazione del Foro Transitorio. Una testimonianza di questa fase è rappresentata dal rinvenimento di un concio di chiave d’arco figurato con erote: il frammento è stato ritrovato all’interno della fondazione domizianea e, per le sue caratteristiche stilistiche, è riconducibile al periodo flavio, e dunque doveva appartenere al fronte vespasianeo.


Sopra: relazione fra la cloaca vespasianea ed il fronte occidentale del Templum Pacis (da Rivista “Scienze dell’Antichità. 21.3 - 2015”)

A sinistra: Evidenze Archeologiche relative al periodo di Vaspasiano

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+ 16.05 m slm Forum Transitorium, Forum Nervae: La realizzazione del complesso del Foro di Nerva appartiene alla fase imperiale, I sec. d.C. circa. Sulla sua progettazione, oltre alla già citata platea di fondazione pertinente al primo progetto del Templum Pacis, vi sono ulteriori tracce da riportare: una di queste è rappresentata dalla seconda coppia di emicicli appartenente al Foro di Augusto, le quali occupavano l’area del futuro foro, condizionandone pesantemente la gestione spaziale ed impedendone la monumentalizzazione. Proprio a questa fase si ricollegano i resti di una fondazione e di un muro in laterizio paralleli, oggi obliterati dalla pavimentazione forense, ma ancora visibili sotto lo strato di preparazione in calcestruzzo. La posizione delle due strutture individua la presenza di un portico collegato con l’angolo sud-orientale del foro di Cesare, distante circa 18 metri da una massiccia fondazione, appartenente al cosiddetto “Tempio di Giano”: si ipotizza dunque che in questa area fosse stata progettata inizialmente una piccola piazza, porticata su un lato e contenente il santuario. Su esso, molteplici sono stati i tentativi di interpretazione. Identificato inizialmente come “Tempio di Giano”, sulla base di numerose fonti letterarie antiche e medioevali, questa ipotesi è stata poi invalidata dagli scavi del 1985: si suppone infatti che, nonostante la corretta attribuzione alla fase domizianea, probabilmente il tempio non sia stato mai completato. Infine il tracciato della Cloaca Maxima fatta costruire da Domiziano sembra con

fermare questa ipotesi: il condotto proveniente dalla Subura piega verso nord, risultando tangente al secondo emiciclo augusteo, e successivamente si raddrizza proprio in corrispondenza della fondazione già citata. Nella seconda fase costruttiva, dagli anni 87-88 d.C., Domiziano avrebbe raso al suolo quano aveva costruito, inclusa la seconda coppia di emicicli augustei, per realizzare il foro, che fu inaugurato nel 97 d.C. e prese il nome del suo successore Nerva. All’interno dello stesso progetto fu inserito un nuovo complesso templare dedicato a Minerva sul lato opposto rispetto alle fondazioni attribuite inizialmente a Giano, di dimensioni analoghe e probabilmente con materiali di recupero dal primo santuario. Fu quindi Domiziano a decidere d unificare i Fori precedenti, il Foro di Augusto e di Cesare, ed il Templum Pacis, edificando una piazza monumentale che li metteva in comunicazione fra loro, motivo per cui il foro è conosciuto anche con l’appellativo “transitorium”. Lo spazio obbligato, in parte occupato dalla sporgenza dell’emiciclio di Augusto rimasto, lo costrinsero a ridurre i portici laterali a decorazione dei muri perimetrali. In questo modo addossò il tempio di Minerva all’esterno dell’esedra, utilizzando lo spazio rimanente per un ampio ingresso monumetale, la Porticus Absidata. A destra: ricostruzione del c.d. tempio di Giano (da Rivista “Scienze dell’Antichità. 21.3 - 2015”) A sinistra: Evidenze Archeologiche relative alle due fasi del foro di Nerva

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La “quota perduta” La fase post-antica: Gli interventi degli anni Trenta hanno previsto l’abbattimento radicale del quartiere sorto sulle rovine dei Fori, compromettendone o cancellandone le testimonianze relative all’età post-antica. I dati a disposizione, mancando una documentazione organica delle strutture demolite e di una letteratura specifica, risultano assolutamente frammentari: le prime trasformazioni dei complessi monumentali sono legate all’insediamento dei luoghi di culto cristiano, i quali non alterarono, se non in minima parte, l’articolazione planimetrica, strutturale e topografica dell’area. Adattati nell’ambito degli edifici antichi, infatti, i nuovi centri culturali ne modificarono solamente la funzione, limitandosi per lo più a modeste aggiunte, restauri o integrazioni di parti già compromesse dalle devastazioni che, come nel caso della Basilica Aemilia, avevano gravemente messo fuori uso la struttura oroginaria. Le poche analisi condotte sui resti tardo antichi e alto medioevali individuati durante lo sterro della Basilica Aemilia portarono all’identificazione di alcune fasi, comprese fra il V e il IX secolo, che suggeriscono come l’edificio sia progressivamente caduto in stato di abbandono e soggetto a spoliazioni: durante questo periodo si insediarono un oratorio nell’angolo verso l’Argileto ed una chiesa dalla parte opposta. Per quanto riguarda invece la Curia, essa fu oggetto di rifunzionalizzazione in edificio paleocristiano (VII-IX sec.): la ristrutturazione non alterò i livelli e la configurazione architettonica generale della Curia di età dioclezianea, ma aggiunse solo alcune parti come l’abside e la cappella

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esterna. Dal XII sec. in poi un impianto romanico si aggiunse a 3 metri sopra il pavimento della fase paleocristiana, probabilmente coerente con la variazione del piano di campagna. Il forte rialzamento del livello del terreno è infatti dovuto alla formazione di accumuli di macerie e di terra di riporto, a seguito del crollo degli edifici circostanti, causato in particolare dalle devastazioni di Roberto il Guiscardo (XI sec.), che portano al progressivo abbandono dei Fori ed all’interro dei fatiscenti resti monumentali. Allo stesso periodo si ricollega l’intasamento della Cloaca Maxima, che comporta la trasformazione delle aree forensi in zone paludose e malsane. Alcuni interessanti passi contenuti nel manoscritto medioevale Ordo Benedicti, descrivono la “processione della Purificazione”, un itinerario va da S. Adriano a S.Maria Maggiore che sembra attestare la presenza di un tracciato viario attraverso il Foro Transitorio, lungo l’asse longitudinale compreso fra i due ingressi monumentali: è davvero curioso osservare come l’antico complesso forense, persa la sua funzione e fisionomia di piazza monumentale, torni a riprendere la funzione originaria, quella svolta dall’Argiletum. L’evidenza archeologica di tale percorso, rimasto poi praticamente immutato anche nei secoli successivi, è riconoscibile nell’attuale pavimentazione dell’Argileto, sul fianco orientale della Curia. Infatti, nella ricostruzione dell’assetto dell’area in età tardo medioevale operata da Lanciani, l’asse di percorrenza si presenta come quello precedentemente descritto. Da questo prezioso ma-


teriale emerge una serie di dati direttamente legati all’area, fra cui l’organizzazione del settore compreso fra la Torre dei Conti ed il Foro Romano, citato da Lanciani come “Campo Torrecchiano”, di cui restano alcune vedute rinascimentali disegnate da S. Du Pérac. Questi disegni sono oggi la sola ricostruzione dell’intero settore dei Fori Imperiali nel XVI secolo, prima della radicale trasformazione attuata sotto il pontificato di Pio V. Quest’ultimo intervento infatti fu un’opera di bonifica generale dell’area paludosa tramite la sistemazione della rete fognaria, con la creazione di nuovi condotti, lo spurgo della Cloaca Maxima e con un consistente innalzamento del terreno calcolabile fra i 3 – 4 metri. Nella zona bonificata, articolata secondo nuovi assi stradali ad impianto ortogonale, sorsero i nuovi quartieri edilizi che diedero vita al quartiere Alessandrino. Da collocarsi in questo periodo sono i restauri alla chiesa di S.Adriano, che conferirono un nuovo aspetto all’edificio, e la costruzione di un convento ad esso annesso. Con questi interventi può dirsi conclusa la fase di trasformazione dell’area che, ad eccezione della parete orientale del Foro Transitorio con le “Colonnacce”, come vennero soprannominate nel Medioevo, modificò radicalmente la configurazione spaziale, planimetrica e strutturale dei complessi monumentali, fra l’altro spoliati delle decorazioni architettoniche marmoree, depredati delle parti strutturali per riutilizzarne il materiale da costruzione, obliterati dai progressivi interri e dalla colmatura artificiale delle nuove sistemazioni edilizie ed inglobati nelle successive costruzioni rinascimentali e barocche. Area dei Fori Imperiali nella veduta di Roma di S. Du Perac, 1577

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Pianta perimetrale del Foro di Nerva, A. Palladio, 1545

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Pianta perimetrale del Foro di Nerva, R. Lanciani, 1890

Pianta ricostruttiva del Foro di Nerva nel XVl sec., R. Lanciani, 1901

Pianta ricostruttiva del Foro di Nerva, H. Bauer, 1976


Pianta ricostruttiva della zona dei Fori Imperiali, G. Nolli, 1748

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+ 21.85 m slm Gli sventramenti nell’area dei Fori e la costruzione di via dell’Impero: Nel 1883 la sola evidenza monumentale del complesso era rappresentato dalle note Colonnacce. In quell’anno, Lanciani dava per la prima volta la possibilità di elaborare una planimetria esaustiva del Foro di Nerva, frutto di un accurato lavoro di raccolta ed analisi di disegni rinascimetali correlati all’interpretazione delle fonti storico-archeologiche disponibili a quel tempo: questo importante contributo dava la possibilità di ricostruire lo schema generale, le dimensioni e l’articolazione interna del foro. Nel 1926, con la demolizione dell’isolato in angolo con via Tor de’ Conti, viene avviato lo scavo dell’area antistante le Colonnacce; in parallelo viene aperto un grande saggio di scavo in corrispondenza di via della Croce Bianca, asse stradale del quartiere Alessandrino. Gli interventi di questi anni comportanto abbattimenti radicali di tutte le strutture post-antiche e asportazione di ingenti strati di interro: di questi scavi per la maggior parte non vengono redatte relazioni né adeguata documentazione grafica; le poche immagini fotografiche edite documentano genericamente ed in modo non sistematico lo stato di avanzamento dei lavori senza offrire elementi utili alla comprensione di quanti veniva demolito.

Campagna di scavi, 1899-1910 (da Soprintendenza Archeologica di Roma, Morselli C., Tortorici E., CURIA FORUM IULIUM FORUM TRANSITORIUM)

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Via dell`Impero. Nascita di una strada, demolizioni e scavi, 1930-1936

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