2° Part_ARCHEOLOGIA vs INFRASTRUTTURA 2017/2018

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Frammenti

campagna fotografica dello stato attuale


36 Quota Archeologica


37 Quota di Via dei Fori Imperiali


La campagna fotografica dell’Area Archeologica Centrale mette in evidenza categorie di elementi che sono contemporaneamente in contrasto ed in relazione reciproca:

[1] Sistema Archeologico. Frammenti, colonne, materiali, apparati decorativi. Staticità, divisione.

[2] Sistema Infrastrutturale. Scorrimento, massività, velocità.

[3] Sistema gestionale. Interventi di tutela e valorizzazione contrastanti.

A destra: Campagna fotografica sul Foro di Nerva

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40 Foro di Nerva Fronte nord-orientale


41 Foro di Nerva Fronte sud-occidentale


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L’INDAGINE ARCHEOLOGICA ANALISI DELLA DOCUMENTAZIONE: Per quanto riguarda l’analisi della documentazione scritta, grafica e fotografica a disposizione, si è proceduto con una ricostruzione il più possibile esaustiva delle varie fasi storiche del sito, utilizzando come base in primo luogo gli studi pubblicati dalla Soprintendenza Archeologica di Roma nel volume, CURIA, FORUM IULIUM, FORUM TRANSITORIUM, a cura di Chiara Morselli e Edoardo Tortorici, in cui sono riportate le operazioni di scavo aggiornate fino al 1986, anno della chiusura delle indagini; in secondo luogo si sono presi in analisi i risultati scientifici ed il materiale grafico pubblicato nel volume Scienze dell’Antichità 21.3 – 2015, che raccoglie, integra e riassume in modo esaustivo le fasi cronologiche del sito e gli esiti dei dati emersi nelle diverse campagne di scavo.

UNA METODOLOGIA PER LA VALUTAZIONE PRELIMINARE DELL’EDIFICABILITA’ NELL’AREA DEL FORO DI NERVA “Il vincolo archeologico posto su un´area non ne comporta l’inedificabilità assoluta, ma l’obbligo di verificare, da parte dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo stesso, la compatibilità dell’intervento edilizio con le ragioni di tutela. Infatti, la valutazione di compatibilità non muta in relazione al fatto che l´opera sia stata realizzata o meno: l´autorità preposta alla tutela del vincolo deve in ogni caso verificare se quel determinato tipo di intervento sia o meno compatibile con il vincolo. Il giudizio circa tale compatibilità non è in alcun modo influenzato dal fatto che l´opera sia stata, o meno, realizzata: o l´intervento è compatibile con il vincolo ed allora lo era sia prima che dopo la realizzazione, o non lo è ed allora l´autorizzazione postuma non può essere rilasciata, non già perché non chiesta in precedenza, ma perché non poteva essere rilasciata anche se richiesta tempestivamente.” Consiglio di Stato, Sez. V

Si ritiene opportuno procedere con una prima valutazione dell’impatto del progetto sull’area del Foro di Nerva, al fine di definire una planimetria delle zone “edificabili” e di quelle non praticabili. Inoltre la stessa valutazione può essere estesa anche per le zone dell’Area Archeologica centrale e per tutte le aree archeologiche del territorio romano, con l’obiettivo di stabilire una metodologia generale e comprensiva. In linea con le attuali metologie di valutazione ambientale nella pianificazione ter-

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ritoriale ed urbanistica emanate dal Ministero e discusse in vari ambiti del settore archeologico, fra cui si cita l’importante contributo della rivista “Archeologia e Calcolatori”, si adottano, adattandoli al contesto del Foro di Nerva, gli stessi criteri procedurali di valutazione preliminare.

In base all’ultima fase di valutazione, che è quella che interessa questa sede, si applica la “definizione quali/quantitativa del livello di rischio” al sito in questione, specificando il significato di “rischio” in ambito di intervento in un contesto storicamente caratterizzato:

Concettualmente le fasi della valutazione di impatto archeologico si possono strutturare attraverso:

Con livello di rischio si intende la probabilità che gli interventi del Piano Urbanistico Attuativo (PUA) possano interferire, generando un impatto negativo, sulla presenza di oggetti e manufatti, rispetto alle epoche storiche individuate. (REGGIANI 2000)

l’analisi delle caratteristiche del territorio e delle sue presenze archeologiche secondo le metodiche e le tecniche della disciplina archeologica;

la ponderazione della componente archeologica, attraverso la definizione della sensibilità ambientale, in base ai ritrovamenti e alle informazioni in letteratura, valutando il valore delle diverse epoche storiche in modo comparato; l’individuazione del rischio, come fattore probabilistico, che un determinato progetto possa interferire, generando un impatto negativo, sulla presenza di oggetti e manufatti di interesse archeologico

È possibile definire il livello rischio all’interno di un range da 0 a 3: Rischio Nullo (valore numerico 0). Rischio Basso (valore numerico 1). Rischio Medio (valore numerico 2). Rischio Alto (valore numerico 3). In relazione, dunque, alle epoche storiche che si sono individuate nell’area specifica del Foro di Nerva, si assumono questi valori, già senza considerare il “rischio nullo” come fattore incisivo vista la ristrettezza del campo in cui si opera, in un ordine che va da Rischio Basso (valore numerico 1) a Rischio Alto (valore numerico 3): si deve considerare che i fattori discriminanti in questa valutazione sono principalmente valutati in base allo studio e analisi della documentazione grafica e topografica

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prodotta dalle fonti giĂ citate in merito agli scavi prodotti in epoca moderna.

Rischio Basso (valore numerico 1): assenza di evidenze archeologiche e di coincidenza con i rilievi topografici Rischio Medio (valore numerico 2). assenza di evidenze archeologiche, coincidenza con i rilievi topografici Rischio Alto (valore numerico 3). presenza di evidenze archeologiche, coincidenza con i rilievi topografici

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IL PROBLEMA DELLE FONDAZIONI IN AREA A RISCHIO ARCHEOLOGICO Una volta delineate in fase preliminare le zone dell’area del Foro di Nerva che presentano un fattore di Rischio Basso, si procede con la progettazione della struttura, la cui configurazione è, per ragioni evidenti, stabilita in base alla valutazione effettuata ed alla mappatura prodotta. In questa fase preliminare dunque si delineano i concetti fondamentali di meccanica delle strutture quali fondamentali riferimenti per una successiva e più esaustiva rielaborazione tecnica, che include anche indagini e sperimentazioni non trattabili nell’ambito di questa ricerca. Il primo problema legato all’edificabilità è un dilemma ricorrente in sede di progettazione in ambito archeologico, ovvero la questione delle fondazioni: essendo la struttura infatti pensata non solo come blanda copertura per il sito ma anche come supporto, in punti stabiliti, di un sistema di passerelle praticabili, bisogna considerare i problemi legati alla forma ed alle dimensioni delle fondazioni in relazione al carico previsto ed alla luce libera d’inflessione dei pilastri (in media 6,50 m) equiparabile a circa 12600 Kg. Dal punto di vista statico tale carico rappresenta la risultante ottenuta moltiplicando i carichi permanenti e accidentali, assunti nella condizione più sfavorevole, gravanti sulla struttura per un ipotetico campo d’azione stabilito, pari a 4,80 x 4,80 metri. Prendendo in considerazione in una prima fase una soluzione “incastrata alla base”,

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ovvero una soluzione che non consente la rotazione alla base del pilastro, bisogna assumere come incisive anche le forze orizzontali agenti sulla struttura, di cui possiamo assumere la risultante come pari a circa l’8% del carico verticale. Una seconda via invece considera una soluzione “incernierata alla base”, e che dunque, per non essere labile, deve necessariamente prevedere un sistema di controventamento: questa seconda possibilità presenta dei vantaggi per quanto riguarda l’entità del carico totale agente sul singolo pilastro e per diminuire la snellezza dello stesso. Considerando come valida dunque la soluzione che prevede una connessione a cerniera alla base del pilastro, si è proceduto con un’analisi comparativa di diverse soluzioni, dalla più consueta fondazione a plinto a soluzioni più innovative. Di queste riportiamo in estrema sintesi tre casi principali, ai quali si allegano tre fattori discriminanti nell’ambito del progetto: l’invasività nei confronti del suolo storicamente caratterizzato, la resistenza alle sollecitazioni propria del tipo di fondazione ed il potenziale riutilizzo in ambito archeologico di tale operazione sottrattiva che, se pur minima, costituisce sempre un intervento distruttivo. La fondazione a plinto: la fondazione a plinto è stata inizialmente presa in considerazione in modo da conciliare l’indagine geognostica, costituita da un micro-saggio di scavo di 50 x 50 cm, con una fondazione consistente e compatta che non incidesse in profondità. L’operazione consiste nell’inserimento del blocco di calcestruzzo armato di forma parallelepipeda che trasmette il carico derivante dal

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singolo pilastro al terreno di fondazione con valori ammissibili di tensioni sul sedime. In presenza di un carico elevato, come quello assunto per la struttura, questa soluzione presenta l’insormontabile svantaggio di essere decisamente più estesa (circa il doppio) rispetto alle dimensioni prefissate. La fondazione con micropalo GEWI®: una soluzione innovativa è rappresentata dal micropalo trivellato Gewi, costituito da una barra d’acciaio con filettatura grossa, circondata da una boiacca iniettata a pressione, che costituisce la protezione dalla corrosione, consente di trasmettere la forza al terreno e irrigidisce il palo impedendo l’instabilità sotto carico in strati di terreno cedevole. Il micropalo presenta il vantaggio di trasmettere le forze tramite gli elementi di ancoraggio anche per ridotte lunghezze di aderenza e può essere sollecitato sia a trazione sia a compressione. Inoltre il piccolo diametro di perforazione, più grande comunque del diametro del palo che varia in linea di massima da 3 a 6 cm, consente l’utilizzo di tecniche di perforazione economiche. Questa soluzione sembra ottimale dal punto di vista dei costi, delle tempistiche, mentre resta dubbia l’invasività, considerando anche che l’iniezione della boiacca ha una funzione di tenace aggrappo al terreno. Purtroppo in questa sede mancano gli elementi per calcolare l’esatto carico ammissibile del terreno: solo un’indagine tecnica accurata potrebbe fornire i valori delle tensioni tangenziali e dunque la definitiva lunghezza del palo. Ci si limita dunque ad ipotizzare una lunghezza variabile da 1m ad 1,50m, fattore dunque incisivo per quanto riguarda l’invasività.


La fondazione con palo a vite: come la soluzione con palo Gewi, la fondazione a vite consiste in una perforzione, in assenza però di boiacca cementizia. A differenza della prima inoltre, la fondazione a vite prevede il diretto “avvitamento” del palo nel terreno, a svantaggio della controllabilità dell’intervento, ma con il pregio di non produrre vibrazioni nel terreno. Presenta contenuti costi di istallazione e basso impiego di manodopera, oltreché impiego di avvitatori dinanometrici elettrici per l’installazione (fino a 160 cm di lunghezza). Le fondazioni a vite sono composte da due elementi, ovvero il fusto e le eliche: il primo è un palo verticale che trasmette i carichi alle eliche e rappresenta il collegamento con la struttura soprastante, mentre le eliche trasmettono i carichi direttamente al suolo e permettono l’infissione della struttura a terra. Esistono diverse tipologie di palo a vite, variabili nella forma del fusto e nel numero e dimensioni delle eliche a seconda delle caratteristiche del sedime. Per il terreno in questione, trattasi in fase preliminare di argille almeno per il primo strato, è consigliabile utilizzare una tipologia con elica a spirale continua o multielica. Il vantaggio rappresentato da questa soluzione è costituito da un più semplice ancoraggio del pilastro al palo tramite una piastra saldata presente già nel palo stesso, senza quindi impiego di ulteriori elementi, e conseguenti problematiche di calcolo, per connettere la fondazione al pilastro. Le criticità invece sono legate, come per il palo Gewi, alla profondità della fondazione; un ulteriore svantaggio è rappresentato dall’ingombro dell’elica che per un palo di diametro di 6 cm di lunghezza variabile da 1m a 2 m presenta diametri delle eliche variabili dai 25 ai 30 cm.

Alle operazioni di fondazione in ogni caso devono accostarsi indagini geotecniche e geognostiche specifiche, al fine di valutare la effettiva natura del terreno e la reale fattibilità dell’intervento. In relazione a queste ultime si valuta l’utilizzo di metodi di indagine non invasivi, integrati fra loro, al fine di restituire un quadro completo delle zone a Rischio Basso individuare dalla mappatura preliminare.

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APPROCCIO MULTI-METODOLOGICO INTEGRATO PER L’INDAGINE NON INVASIVA DEL SUOLO Per quanto concerne invece un’indagine approfondita delle zone di cui non si conosce l’esatto perimetro, è opportuno rivolgersi alle moderne tecnologie oggi a disposizione, al fine di verificare in modo non invasivo l’esatta configurazione delle strutture di valore presenti nel sito e predisporre in questo modo l’area all’intervento rappresentato dalle operazioni di fondazione. Lo sviluppo tecnologico degli ultimi anni ha messo a disposizione dell’archeologia una serie di strumenti che consentono una mappatura dei contrasti di proprietà fisiche presenti nel sottosuolo al fine di individuare diverse “anomalie” presenti nel sito. Questi contrasti si presentano, per fare pochi esempi, nella forma di strutture murarie sepolte (fondazioni, piani interrati, etc.), oggetti sepolti, canalizzazioni e fossati interrati, insediamenti che alterano il suolo e cavità. La metodologia che sfrutta tecniche non invasive di indagine del sottosuolo è in grado di fornire informazioni relative alla planimetria del sito, alla profondità delle anomalie e al loro posizionamento geografico, fornendo dati indispensabili per la progettazione. A tal proposito, si fa riferimento al progetto IGMAP (Integrated Geophysical Methods for Archaeological Prospection) che si propone di sviluppare e implementare, fra le altre attività di ricerca, il settore della Geofisica per il Patrimonio Culturale, adottando

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un approccio multi-metodologico congruente che si ispira ad una logica di oggettiva complementarietà dell’informazione: nelle problematiche archeologiche in cui vi siano dei resti sepolti, l’uso delle metodologie geofisiche non-distruttive (non-invasive) diventa l’unico strumento d’indagine conoscitiva, nell’ambito dei suoi tre stadi essenziali che sono l’acquisizione, l’elaborazione e l’interpretazione integrata dei dati di campagna. In prospettiva le diverse attività di ricerca portatte avanti da IGMAP mirano a sviluppare sistemi integrati di metodologie differenziate, rispondenti cioè a diversi principi fisici e tecniche di rilevamento con l’obiettivo di realizzare un moderno e funzionale Mobile Integrated Geophysical System (MIGS), multimetodologico e multiparametrico, capace di fornire la risposta più efficace ai problemi riguardanti il Patrimonio Culturale nelle diverse scale di intervento (macro-scala, media-scala e micro-scala). Un esempio di indagine diagnostica effettuata nell’Area Archeologica Centrale fra il 2010 ed il 2012 è quella eseguita sul Palatino: l’obiettivo era acquisire informazioni finalizzate alla individuazione delle strutture archeologiche sepolte con un’indagine che utilizza metodi indiretti ad alta risoluzione. Dopo una serie di campagne di prospezioni geofisiche con il meotodo Georadar ad alta risoluzione, queste sono state verificate con le indagini effettuate dall’IGAG CNR per la ricostruzione del modello geologico dell’area e sono tuttora in fase di integrazione 2D e 3D con i rilievi di scavo effettuati dalla Soprintendenza Archeologica di Roma. (pedice) Tale metodologia si rileva dunque indispensabile per l’individuazione nel sito del Foro di Nerva dei perimetri di contorno delle apparecchiature murarie sepolte, o la


cui presenza non è riscontrabile in maniera diretta, con l’obiettivo di produrre una planimetria definitiva delle zone in cui è possibile effettuare le operazioni di fondazione della struttura prevista dal progetto.

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Pianta quota archeologica + 16,05 m slm


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Pianta quota passerella +18,95 m slm

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Pianta quota copertura +21,85 m slm


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