Vain Creative Issue no. 3° - ITA

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C R E AT I V E

Andy Wa r h o l

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BRUNO SPIEZIA






Indice


ANDY WARHOL P.11

IL MOCASSINO TOD’S P.48

ROBERTO CAVALLI E il colore. P.21

HOLI FESTIVAL P.51

COLLEZIONE LUSH EMOTIONAL BRILLIANCE Le tinte che rispecchiano la nostra anima. P.24

BRUNO SPIEZIA P.55

TERRY O’NEILL P.27


www.harim.it




Andy Warhol 18 Aprile/28 Settembre 2014 Fondazione Roma Museo, Palazzo Cipolla By Angelica Grittani

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a mostra che celebra Andy Warhol, dopo la tappa di Milano, arriva a Roma al Museo Palazzo Cipolla con le sue opere più celebri. Si tratta di 150 capolavori provenienti direttamente dalla “The Brant Foundation”, la fondazione presieduta da Peter Brant, amico di Warhol e noto collezionista, lo stesso con il quale Andy Warhol realizzò la rivista Interview. Il suo estro creativo si mostrava in ogni cosa che faceva. È stato vetrinista, grafico, disegnatore, pittore, scultore, regista, sceneggiatore, produttore: Warhol ha saputo creare un’arte provocatoria, che catturava l’attenzione soprattutto per il suo essere di largo consumo e accessibile a tutti. Affascinato dalla moda e dal glamour del mondo del cinema e dello spettacolo, la sua arte è passata ai ritratti dei vari personaggi come Liz Taylor, Marilyn Monroe, Greta Garbo, Diane Von Fustenberg, John Lennon e persino Mao Tse-Tung, (ma anche lo zio Sam, Topolino e Babbo Natale erano tra i suoi soggetti preferiti). Ognuno di questi ritratti è una serigrafia, quindi una copia di una fotografia sulla quale Warhol applicava i colori in modo diverso, creando delle riproduzioni seriali dell’immagine iniziale. È proprio il colore a dare una valenza emozionale al suo lavoro, rendendo il ritratto meno ripetitivo e più personale.

L’opera più conosciuta è quella che vede protagonista Marilyn Monroe, un ritratto dell’attrice più adorata e allo stesso tempo oggetto di interesse collettivo per la sua prematura morte: Warhol la ritrae a colori, in technicolor, e il colore vivido sembra dare risalto ai diversi stati d’animo inconsci dell’attrice. La riproduzione seriale invece ci offre uno spaccato sulla cultura e la società di quel periodo, che sembrava ripetersi all’infinito come in una catena di montaggio; nascoste dietro una facciata a colori spesso però si nascondevano le paure e i timori di una realtà diversa da quella che la televisione e i giornali raccontavano. Warhol era attratto dal consumo di massa, dai prodotti che usavano tutti, indistintamente dal ceto sociale. Così ha avuto l’idea di riflettere la realtà in cui viveva nelle sue opere, riproducendo essenzialmente quello che vedeva (Brillo, Campbell’s Soup, Coca-Cola, Dollars), riuscendo a trasformare in arte anche una semplice latta di zuppa. Tra le altre opere troviamo anche un’icona inarrivabile come la Gioconda di Leonardo da Vinci, che Warhol ha riprodotto in una serie di trenta esemplari, perché come cita il nome dell’opera “Thirty is better than one”, l’autore vuole giocare sul valore unico dell’opera e vuole offrire al pubblico una visione più alterata ma di forte impatto visivo, che fa meditare sull’essenza dell’arte in sé e sul messaggio che l’autore vuole rappresentare e comunicare. La collaborazione con Nico e The Velvet Underground, per cui disegna la copertina dell’album con la famosa banana sbucciabile, lo vedrà associato nell’immaginario collettivo a un grande della musica come Lou Reed. Le sue immagini più famose fanno parte dello scenario artistico e riconosciuto da tutti, perché anche un bambino saprebbe vedere lo spirito entusiasta ma al tempo stesso consumistico delle sue opere. Warhol è un artista che ha saputo fare della sua vita un’opera d’arte, diventando ben presto un’ “icona pop” e il suo stile è riconosciuto in tutto il mondo. “Nel futuro ognuno sarà famoso per almeno 15 minuti”, cita una delle frasi più celebri di Warhol che forse già si immaginava la potenza dei mass media, le possibilità infinite di internet e dei social network, dove ogni persona ha la visibilità che desidera e se vuole può postare centinaia di selfie, senza mai stancarsi.










Cavalli Roberto Cavalli e il Colore

By Cristina Giannini

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l colore è una delle più grandi fonti d’ispirazione per una collezione di moda: da una semplice tonalità o sfumatura può nascere una intera linea e di questo è testimone Roberto Cavalli. Il suo libro “il nero non è mai assoluto”, fu pubblicato nel 2010 in occasione del quarantesimo anniversario del debutto dello stilista. Un volume di quattrocento pagine che rende omaggio al colore, alla natura e al divertimento, raccontando attraverso scatti fotografici le sensazioni e le emozioni che lo stilisti fiorentino ha colto tramite l’obiettivo. Una passione che ha avuto da sempre ed ha voluto svelare solo da poco al pubblico, con l’intento di mostrare che le piccole cose, a cui talvolta non diamo attenzione, possono in realtà essere di una bellezza unica, come un pomodoro aperto, dove all’interno sembra essere raffigurata una croce sfumata. È un universo di oggetti, simboli, paesaggi, fotografati in anni di inarrestabile curiosità, come ha affermato lo stesso stilista: “Tutto mi piace e tutto mi interessa. Fiori, frutti, animali, cieli, mari, prati, donne, bambini, grattacieli, macchine, caramelle, bottoni. Non c’è un limite. L’oggetto più comune può far rinascere in me ricordi lontani e diventare fonte d’ispirazione per una collezione o un semplice dettaglio di un abito.” Il libro è un diario che dà accesso ai percorsi creativi che lo hanno portano alle realizzazione delle innumerevoli stampe per le sue collezioni. I soggetti sono tantissimi, i dettagli infiniti, e non è un semplice libro, ma il mondo osservato con gli occhi di Roberto Cavalli, attraverso le immagini da cui trae ispirazione.

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Benessere

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Collezione LUSH Emotional Brilliance le tinte che rispecchiano la nostra anima By Serena Secco

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colori che indossiamo sono in grado di comunicare al mondo come ci sentiamo, se abbiamo iniziato la giornata pieni di vitalità e gioia o con il piede sbagliato. Il brand LUSH deve aver pensato proprio a questo per la creazione della sua nuova linea di Makeup: Emotional Brilliance. I prodotti di cui è composta si dividono in 3 categorie: Pelle, Occhi e Labbra. Sebbene sia stata lanciata solo da qualche tempo, le appassionate di make- up di tutto il mondo hanno già potuto capire che questa collezione è innovativa. La sezione più invitante è quella dedicata agli occhi: tutte le tinte che ne fanno parte, degli splendidi colori vibranti e anche metallizzati, possono essere utilizzate come eyeliner, mascara o ombretto in crema. Questo è possibile grazie ai tre applicatori diversi forniti insieme al prodotto all’acquisto: finalmente il prodotto multitasking che tutte le donne sognavano! Ogni singolo colore di questa collezione, inoltre, ha un nome specifico, ben diverso da quelli che solitamente vengono dati agli ombretti. Questi nomi infatti indicano degli stati d’animo, ad esempio: “Determinazione”, un viola intenso, “Motivazione”, uno splendido ottanio metallizzato, “Successo”, un argento brillante. I commessi stessi al momento dell’acquisto consigliano di non scegliere il colore che s’intona meglio con la carnagione, ma quello che si addice di più alle emozioni, ai bisogni e ai desideri. Mark Constantine, co-fondatore di LUSH ha detto riguardo questi cosmetici: “Scegliete il colore che la parola rappresenta. [...] E’ questo che rende tutto ciò così rivoluzionario, perché in realtà ci comunica il bisogno di una persona. E’ ben diverso da moda, marketing, norma sociale, fama, che sono semplicemente modi diversi di percepire l’utilizzo del colore “. Oltre a tutto questo, il brand utilizza frutta, verdura fresca e in generale ingredienti esclusivamente vegetali non testati sugli animali.




Terry O’Neill POP ICONS

18 Aprile/28 Settembre 2014 Fondazione Roma Museo, Palazzo Cipolla By Angelica Grittani

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Terry O’Neill

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l Museo Fondazione Roma, Palazzo Cipolla ospita le opere del grande Terry O’Neill con una retrospettiva intitolata Terry O’Neill. Pop Icons. Una cinquantina di scatti scelti fra le migliaia di fotografie scattate da O’Neill negli anni, avendo come soggetti preferiti politici, cantanti, attori e sportivi. La popolarità di certi personaggi ha spinto l’obiettivo di Terry O’Neill ad creare un rapporto quasi intimo, che ritraesse i vips con naturalezza e indiscrezione, in momenti non soltanto pubblici, ma anche di vita privata.

Terry O’Neill nato a Londra nel 1938, inizia a fare il fotografo per una compagnia aerea, per la quale era incaricato di scattare foto ai viaggiatori in arrivo all’aeroporto di Heathrow. Il caso volle che scattasse una foto senza saperlo al ministro dell’interno, che dormiva nella sala d’attesa; la foto-scandalo fece il giro di tutti i giornali. Gli anni seguenti, i favolosi anni sessanta nella Swinging London, aprivano le porte a uno scenario fatto di celebrità e volti da immortalare sulla pellicola della sua 35 mm. Nel 1959 per un’importante rivista inglese, Daily Sketch, ebbe l’occasione di scattare la prima fotografia dei Beatles uscita su un giornale, ritraendo i Fab Four nel loro studio di Abbey Road. Il mondo del rock sembrava accettare bene la presenza sulle scene del fotografo inglese, che appariva nei backstage e sul palco, per ritrarre la vita dei più famosi gruppi e cantanti, come i Rolling Stones, gli Who, Eric Clapton, Elton John e David Bowie. Secondo quanto afferma anche Keith Richards, una delle icone rock ritratte da Terry O’Neill, “negli anni ’60 Terry era ovunque - conosceva tutti e tutto quello che stava accadendo”. Collabora con le maggiori testate come Vogue, Life, Rolling Stones, Look e Paris Match, ma la reputazione di fotografo delle star sicuramente verrà consacrata dopo il suo arrivo ad Hollywood, quando entra in contatto con il mondo del cinema ed inizia una relazione con l’attrice Faye Dunaway con la quale si sposerà nel 1983. La stessa attrice che nel 1977 vinse l’Oscar per l’interpretazione nel film “Quinto potere” e che O’Neill immortalò in una storica foto scattata la mattina dopo la cerimonia degli Oscar, mentre Faye si trovava in una posa scomposta e quasi sognante, incurante dell’obiettivo del fotografo, godendosi la colazione con tanto di giornali distrattamente sparsi sul tavolo e l’Oscar fa capolino accanto al tè. Touchè. Tra le altre star del cinema hanno un ruolo di spicco Frank Sinatra, che O’Neill ritrae in numerose occasioni, Brigitte Bardot, Audrey Hepburn, Steve McQueen, Roger Moore, Sean Connery: sono solo alcune tra le icone del cinema che ha fotografato nei suoi scatti.




I reportage che questo fotografo ha fatto negli ultimi decenni, mostrando gli stili di vita della società moderna, ha portato verso un’apertura al pubblico nei confronti della musica, del cinema, ma anche della politica (come dimostra la foto di Winston Churchill) e di personaggi di rilievo come la Famiglia reale Inglese, non abitualmente ritratti per motivi che non fossero legati ad eventi ufficiali. Quello che appare di queste persone non è la copertina, l’aspetto più prominente del loro profilo pubblico, ma il carattere nascosto, il “dietro le scene” a cui non si poteva accedere, ma anche un lato più umano e accessibile delle star così tanto amate. Nel 2011 O’ Neill è stato insignito dalla Royal Photographic Society di una medaglia al merito per il suo importante contributo all’arte della fotografia e ogni anno l’artista organizza un concorso fotografico mondiale, che richiama aspiranti professionisti di ogni età.


















Il mocassino

L Il mocassino firmato Tod’ s La scarpa che non passa mai di moda By Gaia Bregalanti

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usso elegante e discreto e altissima qualità, queste le caratteristiche che hanno sempre contraddistinto il marchio Tod’s. Il loro articolo per eccellenza è il mocassino. L’origine del mocassino risale agli indiani d’America: un unico pezzo di pelle cucita che fasciava totalmente il piede. Il termine mocassino, nella loro lingua, significa “calzatura”. L’idea di reinterpretare questa scarpa così caratteristica nasce alla fine degli anni ‘70 da Diego Della Valle, che si rese conto che non esistevano scarpe di lusso da indossare durante tutta la giornata, sia con l’abito elegante che con un completo casual. Nasce così il mocassino, oggi rinomato in tutto il mondo, con la suola formata da 133 sfere di gomma, chiamato “Gommino”. Realizzato con la massima cura, è interamente fatto a mano utilizzando materiali di pregio. Ciascun passaggio nella creazione di un prodotto Tod’s è un prodigio dell’artigianalità. Dal taglio del pellame alla cucitura del prodotto: tutto è realizzato a mano. Il famoso Gommino di Tod’s, riportato ai fasti dalle star, ha iniziato a far capolino nella vita di tutti i giorni. Questa scarpa-icona viene prodotta in moltissimi colori e in diversi tessuti: dalla pelle, al camoscio fino a, per esempio, il pitone. A seconda dell’umore ci si può sbizzarrire, dal classico colore scuro come può essere il nero, il grigio o il marrone, a colori accesi come rosso, rosa shocking o giallo lime. Il mocassino viene considerato come una scarpa passepartout, indossabile con un vestito elegante così come con un look più sportivo. Sono svariati i marchi che hanno riprodotto il classico mocassino, come Gucci e Fratelli Rossetti, in ogni caso, il mocassino darà quel tocco sportivo ma sofisticato all’outfit di chi lo utilizzerà.



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Holi festival Holi Festival UN’ESPLOSIONE DI COLORI By Rossella Scalzo

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colori suscitano stati d’animo sia personali sia sociali, sono infatti simboli comunemente accettati. Così, il rosso viene associato alla passione, il giallo al sole e quindi alla vita, il blu a qualcosa di infinito come l’universo. Questo fenomeno varia col variare del contesto culturale; il bianco, ad esempio, in alcune culture viene associato alla purezza mentre in altre alla morte. Nella cultura orientale i colori assumono una forte valenza simbolica, sono considerati inebrianti. Una delle feste più attese dell’anno in India è il Festival di Holi, conosciuto come festa dei colori. Si svolge normalmente nelle piazze e nei villaggi dell’Asia Meridionale. Si tratta di una festa induista riproposta in molte altre parti del mondo.La festa celebra la fine della stagione invernale e l’arrivo della primavera nell’ultimo giorno di luna piena del mese lunare Phalguna che cade, a seconda del calendario, tra febbraio e marzo. In realtà molti sono i significati attribuiti a questa festa, tra cui un buon auspicio per l’agricoltura, i buoni raccolti e la fertilità della terra, la fine delle cattiverie accumulate durante l’anno.

La tradizione vuole che la notte di luna piena vengano accesi dei falò e migliaia di persone provenienti da tutto il paese si riuniscano per ballare e cantare attorno ad essi. Il termine “Holi”, che si traduce letteralmente con “brucia”, indica il rogo degli spiriti del male, che verrebbero bruciati nei falò. Ma il vero spettacolo avviene il giorno dopo, quando la gente con i volti dipinti si riunisce per spruzzare in alto i “gulal”, le polveri di pigmenti colorate e profumate. Il Festival di Holi è anche la festa dell’amore per la mitologia induista; infatti, la divinità Krishna, che aveva la pelle scura, per invidia della pelle bianca della moglie Radha, un giorno le riempì la faccia di colori. L’invidia per il colore della pelle bianca viene dunque chiamata amore, e per questo prima del lancio delle polveri le persone si colorano il volto. Il momento del lancio delle polveri colorate in aria di tutte le persone insieme è un colpo d’occhio unico ed emozionante e a fine giornata sembra di essere in una tela coloratissima. La tradizione vuole che le polveri colorate vengano realizzate con colori lavabili di origine vegetale, come la curcuma, il neem, il dhak, ma negli ultimi tempi vengono utilizzati anche sei pigmenti commerciali a base di acqua e per questo facilmente lavabili.

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Un’edizione dell’Holi Festival è tenuto in varie città d’Italia ogni estate. Le edizioni di Roma e di Milano di quest’anno sono programmate per il 14 Giugno e il 19 Luglio. Per maggiori informazioni HYPERLINK “http:// holifestival.com/it/it/index” http://holifestival. com/it/it/index





Bruno Spiezia By Valentina Sorrenti

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B r u n o

S p i e z i a

Bruno Spiezia FOTOGRAFO

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bbiamo incontrato Bruno Spiezia, fotografo professionista che vive a Roma e che ama osservare il genere umano, coglierne i caratteri individuali che ci distinguono come persone. Per Bruno, ritrattista e amante del bianco e nero, il fine di un bel ritratto è la rappresentazione intelligente di quella che è la sensibilità della persona. Il bravo fotografo è colui a cui piace la scoperta di nuove tematiche sia sociali sia culturali, e che è pronto a studiare il soggetto che ha davanti.


Da dove nasce la sua passione per la fotografia? La mia passione per la fotografia è nata quando ero ancora ragazzo: a quattordici anni rimasi molto affascinato da alcune foto scattate da uno zio che si trovava all’estero durante il periodo della guerra. Erano delle splendide foto, che conservo ancora gelosamente e penso che questo mio interesse sia nato proprio dalla curiosità di scoprire cosa c’era dietro quel mondo, di andare oltre quelle immagini. Si scatenò dentro di me un processo emotivo e mentale che mi spinse ad approfondire il perché mi affascinava così tanto la fotografia e ad informarmi sulle conoscenze necessarie per diventare un abile fotografo. Quanto l’aspetto emotivo è presente nelle fotografie? La fotografia non è solo relativa all’aspetto tecnico, ma è anche un modo di raccontare il mondo attraverso i nostri occhi che sono collegati in ogni modo alle nostre emozioni, a quello che noi vediamo. Al di là del soggetto che andiamo a riprendere, questo aspetto è presente quasi sempre, si percepisce in ogni foto, soprattutto nelle foto di autori di reportage, che sono capaci di raccontare in un’immagine un determinato momento o un’emozione. Tutto ciò che vediamo lo riusciamo a trasferire sull’immagine e quindi diventa fruibile a tutti. Il mezzo non è così fondamentale come si può pensare, perché l’emotività che si vuole trasmettere arriva lo stesso anche se ci sono dei difetti, che invece davanti a un’immagine di forte impatto perdono d’importanza.


È vero che la tecnica è fondamentale per imparare a fotografare? Sapere come funziona il mezzo che andiamo a maneggiare, lo strumento che può essere una determinata macchina fotografica, è sicuramente importante. Come guidare la macchina, una volta che ci sentiamo più sicuri acquisiamo maggiore confidenza. Da quel momento entra in gioco l’emotività e il nostro istinto fotografico; possiamo imparare la tecnica e la messa a fuoco ma ciò che riguarda i soggetti da ritrarre e il modo con cui avvicinarsi all’obiettivo non lo insegna nessuno, si tratta di una sensibilità insita in colui che scatta. La tecnica serve a dare un’impostazione al lavoro, ma poi occorre lavorare sul proprio “occhio fotografico”, mettendo in pratica le proprie sensazioni e l’istinto che spinge a cercare lo scatto migliore. La capacità del fotografo di trasferire un’emozione sull’immagine è

riconducibile

all’attenzione

verso

particolari tematiche sociali o ambientali, oppure al gusto del bello e all’estetica. Ma il suo obiettivo viene raggiunto quando il messaggio arriva allo spettatore, che osservando una certa immagine riesce a vedere con gli stessi occhi del fotografo, a percepire le stesse emozioni e a leggere tra le righe ciò che vuole trasmettere con quello scatto. La tecnica quindi non può essere l’unico aspetto che porta il fotografo, o anche il principiante, a fare una bella foto in termini di qualità e di espressività.





In qualità di ritrattista, quali sono le caratteristiche fondamentali per ottenere un buon ritratto? Il ritratto secondo la mia opinione è il più complesso dei vari tipi di fotografia: non solo per l’aspetto tecnico e la composizione, ma proprio per il rapporto umano, quindi il fotografo dev’essere anche un po’ psicologo, cercando d’intuire la personalità che ha di fronte e raccontarla attraverso il suo obiettivo. L’incognita più verosimile è proprio cogliere l’essenza del soggetto, che scaturisce dal suo stato d’animo in quel preciso momento, ma ci sono tante variabili che per questo possono alterare una buona riuscita di un ritratto. L’importante è saper raccontare una persona per quello che è. La persona che si trova davanti all’obiettivo del fotografo molto spesso si sente messa a nudo, vulnerabile: un bravo ritrattista dovrà cercare di mettere a suo agio il soggetto, puntando l’attenzione non soltanto sull’aspetto fisico ma anche sul carattere. Il fotografo attraverso l’atteggiamento e il dialogo si trova a vincere queste difficoltà, superando le barriere che lo separano dal soggetto e riesce a tirare fuori quello che lui vede di quella persona, o meglio quello che il soggetto gli permette di vedere, rendendosi disponibile. Quella magia si crea in un tempo indefinito, nell’arco di tempo necessario affinché s’instauri il dialogo tra il fotografo e il soggetto e ci possono volere dieci minuti così come due giorni. Quali sono i fotografi che ammira di più? Citerei un mio collega Tony Thorimbert, che quest’anno insieme a un altro bravissimo fotografo Giovanni Gastel, ha esposto a Roma alcuni ritratti, in una mostra dal titolo “Doppio Gioco”. Ammiro Tony come ritrattista e insieme ci siamo incontrati in un workshop dove si esponeva la tecnica del ritratto, che presuppone prima di tutto di entrare in sintonia con il soggetto che si vuole fotografare. Tony in questo è un maestro ed è conosciuto per riuscire a trovare lo scatto giusto al primo colpo o detto anche “one shot”, quando la foto che viene scattata per prima è la migliore, la più veritiera. Un’altra fotografa che ammiro molto, è Marina Cavassa, una donna che ho ritratto in una foto nella quale lei stessa si è riconosciuta molto. Inoltre mi piacciono molto Maurizio Galimberti e Massimo Siracusa.


Predilige il bianco e nero o le foto a colori? Il colore così come ci insegna anche National Geographic, che ne ha fatto una raccolta e il suo tratto distintivo, rappresenta il mondo come lo vediamo attraverso i nostri occhi. Ci sono varie sfumature di colore, colori più forti e altri più tenui, pastello, che mostrano la diversa intensità di un’immagine. Nei miei ritratti mi piace giocare con il colore, che io intendo come colore interiore di una persona, cercando di creare uno status condiviso che rappresenti il suo percorso fino a quel momento. L’assenza di colore invece, cioè il bianco e nero, rende l’immagine più eterea e in questo modo l’occhio dell’osservatore si concentra molto di più sull’espressione, sulla posizione del corpo del soggetto, su un dettaglio della foto, proprio perché la mancanza di colore ci porta a trovare altri elementi su cui focalizzare l’attenzione. Per quanto mi riguarda il bianco e nero è un insieme di fascino, di eleganza, che offre la possibilità di focalizzare sulla mimica del volto o sui dettagli della composizione fotografica, mentre il colore se usato bene permette di fare delle foto ugualmente belle e complete, mentre l’occhio percepisce maggiori informazioni rispetto al bianco e nero. Un grande autore e fotografo del bianco e nero è senza dubbio Gianni Berengo Gardin, che ha fatto del bianco e nero la sua firma stilistica ed è un artista assoluto in questo. In che modo pensa che il colore possa trasmettere emozioni? Nel 2007 ho esposto alcuni miei ritratti in una mostra che si chiamava “Nude Sensualità”: erano nudi di donna con dei guizzi di colore sul corpo, non si trattava di un bodypainting, bensì di una sovrapposizione di più immagini. Attraverso questa fusione si percepiva il senso dell’immagine, cioè quello di esprimere la donna attraverso un arcobaleno di colori.

La donna dal momento della nascita, all’adolescenza e nel corso della sua vita cambia colore, anche in base alle emozioni, all’aspetto attrattivo nei confronti degli altri o ai cambiamenti che vive sulla sua pelle. La donna è un insieme di colori che vogliono esprimere non solo la sua bellezza, il corpo femminile, ma tutte quelle emozioni che non passano inosservate, che fanno parte dell’essere donna. In questo caso i colori, rappresentano uno stato d’animo, una concezione astratta di qualcosa di più profondo, ma il colore ha un impatto molto forte sui nostri occhi: anche se siamo abituati a vedere il mondo a colori, un colore che per noi rappresenta qualcosa di bello, ci farà provare gioia o al contrario un colore che non ci piace potrebbe trasmettere negatività. Il colore è sempre stato un elemento importante, per comunicare gli stati d’animo: penso alle culture tribali, dove le donne nei riti nuziali si abbellivano con un po’ di colore oppure alle tribù che andavano in guerra e la loro usanza di coprire il corpo con colore e segni che rappresentassero la forza. Per Vain di questo mese ha realizzato un reportage fotografico di Street Art per le vie di Roma. Secondo lei cosa vogliono trasmettere i giovani di oggi attraverso i murales? Penso che sia certamente un modo attraverso il quale distinguersi, ma anche di raccontare con la pittura non tradizionale, eseguita sulla facciata di un palazzo, su un muro particolare. Quello che mi lascia stupito in maniera positiva è che ci sono degli artisti molto bravi, che però non vengono valorizzati, perché quest’arte non è vista come una maniera che i giovani hanno trovato per esprimersi e creare dei murales incredibili, ma è relegata a essere una forma di arte periferica. Potrebbe essere un bel modo, come accade in molte metropoli, di riqualificare delle zone degradate e farle rivivere anche grazie alla visione dei ragazzi e alla libertà di poter dipingere sui muri.


C’è da dire che si tratta di un’arte molto democratica, aperta a tutti, proprio per offrire la possibilità anche a chi non può permettersi di organizzare una mostra ed esporre così le proprie opere, di realizzare i propri desideri e dimostrare le proprie capacità creative. - Quale consiglio si sente di dare ai ragazzi che desiderano diventare fotografi? Il mio consiglio innanzitutto è quello di partire da una base tecnica: con le macchine fotografiche digitali spesso si sottovaluta la necessità di imparare a fare le fotografie e chiunque si può improvvisare fotografo. Inoltre cercare di capire cosa si vuole fotografare, verso quale soggetto si è più portati a fotografare: può essere la natura, i ritratti, lo still-life, la moda, l’architettura. L’essere umili è molto importante, per non sentirsi arrivati subito se si ottiene uno scatto eccezionale, perché la fotografia è crescita continua, cercando di misurarsi sempre anche con il giudizio degli altri e di interpretare ciò che gli altri vedono nelle tue foto. Le immagini sono come lo specchio dell’autore, per cui è meglio affrontare questo mondo rimanendo se stessi ed essendo aperti al dialogo con l’interlocutore.



Creativity I colori suscitano emozioni e rappresentano uno stato d’animo. L’esperienza del colore è soggettiva e crea una personale vibrazione. La simbologia dei colori, nei differenti contesti socioculturali, rimanda a diversi significati.

“Il colore è un mezzo che esercita sull’anima un’influenza diretta. Il colore è un tasto, l’occhio, il martelletto che lo colpisce, l’anima lo strumento dalle mille corde”. Vasilij Kandinskij Immaginare un mondo senza colori sarebbe davvero impossibile. I colori riempiono la nostra vita di sfumature, suscitando stati d’animo e sensazioni. Questa percezione varia da persona a persona così come può variare in base al momento o all’evento a cui un determinato colore è legato. Esiste poi, una simbologia dei colori che assegna ad ognuno di loro un significato diverso che varia di cultura in cultura. I colori possono assumere significati diversi in base al contesto sociale, che assegna loro un determinato valore, generalmente riconosciuto come tale nella cultura di appartenenza. Ciò che è universalmente affermato è che i colori sono in grado di comunicare emozioni e sensazioni.



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