Intra Suono SPAZI AURALI PER ASCOLTI URBANI
Valentina Comuzzi
Politecnico di Milano FacoltĂ del Design laurea magistrale in Interior Design
Valentina Comuzzi 10312661
IntraSuono. Spazi aurali per ascolti urbani gallerie permeabili come luogo di percezione uditiva della realtĂ A.A. 2012/2013
relatrice: prof. Giovanna Piccinno
INDICE GENERALE
PARTE PRIMA
SPATIAL DESIGN PER SPAZI IN-BETWEEN 1
PARTE SECONDA
PAESAGGIO SONORO URBANO 47
PARTE TERZA
METODOLOGIA DI INTERVENTO 229 PARTE QUARTA
PROPOSTA PROGETTUALE 281
ABSTRACT XIII
INTRODUZIONE XVII
CAPITOLO
1
Interscape urbano 3
CAPITOLO
2
Analisi. Vibrant Rubattino 13
CAPITOLO
3
Progetto. Fly Under 29
CAPITOLO
4 Il volto sonoro della città di oggi 49
CAPITOLO
5
Urbanistica dei sensi 77
CAPITOLO
6
Rumore e Musica 101
CAPITOLO
7
Studi sul Paesaggio Sonoro 165
CAPITOLO
8
Pratiche d’indagine 215
CAPITOLO
9
Progettare con il suono 231
CAPITOLO
10
Di rumore in suono 283
CAPITOLO
11
Piazza Argentina, Milano 289
CAPITOLO
12
IntraSuono 303
BIBLIOGRAFIA 369
INDICE
ABSTRACT XIII INTRODUZIONE XVII PARTE PRIMA
SPATIAL DESIGN PER SPAZI IN-BETWEEN CAPITOLO 1 Interscape urbano 3 1.1 Lo spazio tra le cose 5 identificazione e definizione degli spazi In-between
1.2 La città duttile 8 l’origine degli spazi In-between
1.3 Vuoti a rendere 10 caratteri e valori degli spazi In-between
3 Progetto. Fly Under 29
CAPITOLO
3.1 Rallentare il passo 31 concept
3.2 Urban Sound Landscapes 32 contest
3.2.1 Fly Under urbanproof 3.2.2 Controllo del rumore 3.2.3 Lastra MaxFine
3.3 Re-placing 42 un modulo per ogni in-between
3.3.1 Sistema modulare sonoro 3.3.2 Dettagli tecnici
PARTE SECONDA
2 Analisi. Vibrant Rubattino 13
PAESAGGIO SONORO URBANO CAPITOLO 4 Il volto sonoro della città di oggi 49
2.1 Quartiere Rubattino 15
4.1 Il peso perduto del vuoto 51
CAPITOLO
area di intervento
2.2 Geografia culturale 16 anamnesi del luogo
2.2.1 Flussi di energia 2.2.2 Attività e attitudini
2.3 Spatial Design 20 potenzialità latenti
2.3.1 Infraponte 2.3.2 Ricucire i vuoti, connettere gli opposti
il bisogno di trovare il senso di Horror Pleni
4.2 L’orecchio offeso 54 il pericolo dell’inquinamento acustico
4.3 Quando nasce il rumore della città? 58 storia dei suoni urbani
4.3.1 La locomotiva 4.3.2 L’industria 4.3.3 I trasporti 4.3.4 La linea retta orizzontale in acustica 4.3.5 Il suono artificiale
6.2 Luigi Russolo 104
4.4 Il primato dell’occhio 68 la cultura retinica occidentale
l’Arte dei Rumori
4.5 La riscoperta dell’ascolto 72
6.2.1 Il movimento futurista e la musica 6.2.2 Luigi Russolo e l’Arte dei Rumori 6.2.3 La classificazione dei rumori 6.2.4 Gli intonarumori 6.2.5 Il “grande concerto futurista” 6.2.6 Riproduzioni degli intonarumori 6.2.7 Reinterpretazione degli intonarumori
l’udito come strumento di cambiamento
5 Urbanistica dei Sensi 77
CAPITOLO
5.1 Spazio urbano, repellente per il pubblico 79
6.3 Edgard Varèse 118 il precursore della musica elettronica
l’impoverimento dei luoghi pubblici
5.2 Kevin Lynch 82 la percezione della città SCHEDA
L’immagine della città
5.3 David Howes 88
SCHEDA
6.3.1 L’influenza di Russolo 6.3.2 La musica è “suono organizzato” 6.3.3 Ionisation 6.3.4 Come nacque la musica di Frank Zappa 6.3.5 I nuovi strumenti
6.4 Pierre Schaeffer 126
sensory studies
la musique concréte
5.3.1 Geografia urbana 5.3.2 Sensory history 5.3.3 Architettura
6.4.1 Studio sulle ferrovie 6.4.2 Musica concreta 6.4.3 L’oggetto sonoro 6.4.4 Arte acusmatica e ascolto ridotto
5.4 Il senso della città 96 un approccio alternativo all’urbanismo
6.5 John Cage 134 sperimentazione e indeterminazione
6 Rumore e Musica 101
CAPITOLO
6.1 I suoni della città messi in musica 103 avanguardie, sperimentazioni e nuove sensibilità
SCHEDA
6.5.1 Alla ricerca di suoni inauditi 6.5.2 Il superamento dei limiti 6.5.3 Il libero ascolto 6.5.4 La casualità come processo compositivo 6.5.5 Anche il silenzio è musica 6.5.6 4’33’’ 6.5.7 Storia di un Corpo: l’acufene’
6.6 Camouflage 148
7.4 Raymond Murray Schafer 174
il sottofondo progettato
il padre del paesaggio sonoro
6.7 Erik Satie 150
7.4.1 Soundscape studies 7.4.2 The world Soundscape Project 7.4.3 Questioni di paternità 7.4.4 Cosa significa paesaggio sonoro
la musica come arredo
SCHEDA
6.7.1 Troppo giovane in un mondo ancora vecchio 6.7.2 Musique d’Ameublement 6.7.3 Muzak 6.7.4 L’eredità alla musica moderna
7.5 The Tuning of the World 180 come accordare il mondo
6.8 Brian Eno 158 ambient music
SCHEDA
6.8.1 La nascita dell’Ambient Music 6.8.2 Influenze e innovazioni 6.8.3 Ad ogni ambiente la sua atmosfera 6.8.4 Ambient Music manifesto
SCHEDA
7.6 Due nuove discipline 200 ecologia acustica e design acustico
7 Studi sul Paesaggio Sonoro 165
CAPITOLO
7.1 Nozione di paesaggio sonoro 167 un ibrido interdisciplinare
7.2 Le origini 168 prime teorie sull’ambiente acustico
7.2.1 Willy Hellpach 7.2.2 Johann Gabriel Granö
7.3 Micheal Southworth 170 The sonic environment of the cities
7.3.1 L’indagine sul campo 7.3.2 Oasi sonore e interventi progettuali
7.5.1 La nuova orchestra: l’universo sonoro 7.5.2 Storia del paesaggio sonoro 7.5.3 Paesaggio sonoro hi-fi e lo-fi 7.5.4 Toniche, segnali, impornte 7.5.5 Analisi del paesaggio sonoro 7.5.6 Il Rumore
SCHEDA
7.6.1 Ecologia acustica 7.6.2 Design acustico 7.6.3 Pulizia dell’orecchio 7.6.4 Il silenzio 7.6.5 Accademia del Silenzio
8 Strumenti di lavoro 215
CAPITOLO
8.1 Soundwalking 217 camminare come pratica estetica
8.1.1 Dalla flânerie alle soundwalks artistiche 8.1.2 Le soundwalks didattiche
8.2 Time-recording 220 perché registrare i suoni
8.2.1 24 hours recording 8.2.2 Janet Cardiff
8.3 Soundmaps 222 mappe multimediali per suoni dinamici
8.3.1 Cartografia sonora. Cenni storici 8.3.2 La soundmap interattiva
8.4 Repertorio degli effetti sonori 226 dieci anni di ricerche del CRESSON
PARTE TERZA
METODOLOGIA DI INTERVENTO CAPITOLO 9 Progettare con il suono 231 9.1 Campi d’indagine 233 definizione dei criteri di scelta
9.2 Valori 234 esplorare, caratterizzare, migliorare un luogo
9.2.1 Caratteri 9.2.2 Memorie sonore 9.2.3 Oasi Sonore 9.2.4 Soundmarks 9.2.5 Networks 9.2.6 Intonatori
9.2.7 Filtri Sonori 9.2.8 Comunità 9.2.9 Plug-in acustici
9.3 Finalità del suono nei progetti 278 schema riassuntivo
PARTE QUARTA
PROPOSTA PROGETTUALE CAPITOLO 10 Di rumore in suono 283 10.1 Deduzioni teoriche 285 l’armonia nascosta
10.2 Obiettivi di progetto 286 come migliorare il paesaggio sonoro
11 Piazza Argentina. Milano 289
CAPITOLO
11.1 La piazza spezzata 291 analisi luogo di intervento
11.2 Problematiche 298 suono d’asfalto
11.3 Potenzialità 300 rumori dal sottosuolo
12 IntraSuono 303
CAPITOLO
12.1 Concept 305 il passaggio: da LO-FI a HI-FI
12.2 Studio del suono 308 riciclare il rumore
12.3 Studio della forma 312 la galleria permeabile
12.3.1 Requisiti per lo spazio pubblico 12.3.2 Requisiti per il suono
12.4 Padiglione 320 collocazione e composizione
12.4.1 Suoni della macchina 12.4.2 Suoni dell’uomo 12.4.3 Tessuto sonoro armonico
12.5 Sistema audio 338 software e hardware
12.5.1 Schede tecniche
12.6 Disegni tecnici 342 12.7 Struttura 346 sistema dei componenti
12.7.1 Struttura 12.7.2 Telaio 12.7.3 Rivestimenti 12.7.4 Texture 12.7.5 Sedute 12.7.6 Pavimentazione
12.8 Illuminazione 358 12.9 Ambientazione 360 BIBLIOGRAFIA 369 RINGRAZIAMENTI 375
Abstract
Abstract
Il suono è pubblico, ma il pubblico non lo ascolta, quando attraversa la città non presta attenzione ai rumori, alle sonorità, alle melodie nascoste ma presenti nel tessuto sonoro urbano, spesso si affida ai propri pensieri o alle proprie preferenze chiudendosi in colonne sonore individuali, munito di cuffie che trasmettono musica e suoni estranei al luogo in cui si trova. Il suono della città è diventato troppo aggressivo per l’orecchio umano, che rimane indifeso ed esposto sia al frastuono dell’ambiente metropolitano, sia all’audio degli auricolari a volte, per assurdo, ad un volume così alto da risultare più dannoso dei rumori esterni che si vuole coprire. È per questo motivo che si sta facendo sempre più urgente il bisogno di ristabilire un rapporto armonico tra l’uomo e il proprio ambiente. Il primo teorico ad affrontare tale problematica fu il compositore canadese Murray
Schafer che alla fine degli anni Sessanta introdusse per la prima volta nel mondo accademico il concetto di paesaggio sonoro, fondando una nuova disciplina dell’ascolto, che si distaccava dalla tradizionale tendenza a parlare solo di musica e considerava invece tutto ciò che ne rimaneva fuori: il rumore. Obiettivo della tesi è riprendere gli insegnamenti proposti da Schafer e concretizzarli in un progetto di Spatial design volto al miglioramento dello spazio pubblico e alla sensibilizzazione dell’ascoltatore metropolitano. La ricerca parte dai primi studi sulla percezione dell’ambiente urbano attraverso i sensi, esplora il rapporto tra rumore e musica che si è sviluppato nell’arco del Novecento e giunge all’analisi degli studi effettuati sul paesaggio sonoro dalla sua nascita ad oggi.
XIII
IntraSuono. Spazi sonori per ascolti urbani
sociologia
Spatial design
architettura e urbanismo
spazi in-between
A
PAESAGGIO SONORO URBANO
PROGETTU AL ATO E
didattica
AR PP
musica
PARATO TEORIC AP O
XIV
Fly Under
casi studio
pratiche di indagine
IntraSuono
Abstract
Da questo percorso nasce IntraSuono. Spazi aurali per ascolti urbani, un intervento progettuale all’interno del contesto urbano che intende proporsi come luogo di ascolto, presa di coscienza, sensibilizzazione alla problematica dell’inquinamento acustico. IntraSuono è un padiglione-galleria permeabile sitespecific in Piazza Argentina a Milano che coinvolge il passante che l’attraversa in un viaggio esplorativo dei suoni caratteristici del luogo e in un graduale passaggio da un ambiente sonoro lo-fi, quale la città caratterizzata da costanti flussi di trasporti, a un ambiente sonoro hi-fi, di miglior qualità, ricreando una nicchia acustica al centro della galleria. Tramite un sistema che diffonde all’interno del passaggio suoni registrati in loco e suoni catturati in tempo reale da microfoni collocati nei binari della metropolitana sottostante la piazza, si crea un ambiente controllato a livello sonoro che induce i passanti a soffermarsi, ascoltare, scoprire nuovi suoni e riflettere sulla dimensione uditiva dell’esperienza umana.
IntraSuono (tra il suono) perché è un luogo di transito caratterizzato da una particolare conformazione fisica che lo rende accessibile da più punti e attraversabile in percorsi variabili, che incrocia i suoni udibili in loco in quell’istante con suoni sempre caratteristici della location ma appartenenti a momenti temporali diversi o non raggiungibili dall’orecchio umano. IntraSuono (nel suono) perché è un luogo di sosta in cui immergersi, indugiare, incontrarsi o isolarsi, ma soprattutto ascoltare e raggiungere una consapevolezza acustica diversa del paesaggio sonoro esistente. IntraSuono perché rimanda agli infrasuoni, frequenze gravi non udibili dall’orecchio umano ma percepibili attraverso il senso del tatto tramite le vibrazioni delle onde sonore, inserite nel padiglione per mezzo di impianti collocati in alcune sedute.
XV
Introduzione
Introduzione l’aspetto sonoro negli spazi urbani della città che cambia
Siamo ancora capaci di ascoltare? Siamo in grado di percepire il mondo, di udire la sua voce? Oppure la frenesia del vivere ha assorbito la nostra sensibilità e ci costringe a procedere lungo percorsi preconfezionati, isolati in bolle di suono personale? Due anni fa era mia abitudine, quasi un gesto automatico, scendere le scale di casa mettendo le cuffie e accendere l’iPod non appena uscita dal portone del condominio, alla ricerca del pezzo giusto che mi accompagnasse lungo il tragitto fino alla fermata dell’autobus, e di lì all’università. Era un modo per accorciare le distanze e rendere meno pesanti quei 30-45 minuti (secondo la fortuna e il traffico) che mi separavano dal campus di Bovisa. Poi sono andata in Erasmus a Lisbona, ho trovato casa a una decina di minuti a piedi dall’università e il mio lettore musicale è diventato un accessorio superfluo, nemmeno il tempo di trovare la canzone che m’ispirasse che ero già arrivata. Lo stesso presi a fare quando camminavo per la città, anche per lunghi
tragitti, perché il mio orecchio, avido di imparare la nuova lingua, non voleva perdersi nemmeno un secondo delle voci che lo circondavano. Così scoprii che passeggiare su e giù per le strade senza alcuna distrazione mi permetteva di concentrare la mia attenzione su ogni singolo suono: lo sferragliare del tram, le musiche dei negozi e dei locali, il tintinnare dei cucchiaini nei bar all’aperto, le note degli artisti di strada del centro, le conversazioni tra dirimpettai nelle vie dei quartieri popolari, i gridi dei gabbiani vicino al fiume. Quell’anno non usai mai l’iPod e mai ne sentii il bisogno, così una volta tornata a Milano mantenni l’abitudine. Nonostante John Cage fosse fermamente convinto che «ovunque siamo sentiamo soprattutto rumori, e questi rumori ci disturbano quando li ignoriamo, ma ci affascinano se li ascoltiamo»1, i rumori di Milano risultarono difficili da sopportare e non attraenti come quelli di Lisbona, il caos del traffico era una presenza assordante, e mi resi conto di quanto il profilo acustico influisse sulla mia percezione della città.
1. John Cage, Silence. Lectures and Writings, Wesleyan University Press, Middletown 1961
XVII
XVIII
IntraSuono. Spazi sonori per ascolti urbani
L’inquinamento sonoro, impedendo l’ascolto, rende difficile la comunicazione con l’ambiente, ostacola la lettura dell’identità di un luogo e minaccia il benessere psicofisico dell’individuo. Durante lo stesso anno, il secondo del corso di Laurea Magistrale in Interior Design, alla Facoltà del Design del Politecnico di Milano, durante il Laboratorio di Sintesi Finale Intermediate Design Landscapes, coordinato dalla professoressa Giovanna Piccinno, affrontammo il tema del paesaggio urbano della città attuale e di come le persone abitino questo nuovo ambiente. Dalla volontà di unire l’aspetto sonoro e l’attuale metamorfosi dello spazio pubblico è nata la mia ricerca di tesi. Lo spazio pubblico ha subito un radicale cambiamento nell’epoca contemporanea, dovuto alla destrutturazione della città causata da processi mondiali quali l’informatizzazione, la globalizzazione e l’espansione urbana. Proprio lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie informatiche hanno permesso la
Introduzione
dislocazione delle aziende e dei centri gestionali rendendoli indipendenti dalla collocazione geografica, perché unificati da flussi di informazioni, beni e persone che viaggiano su un efficiente supporto di telecomunicazioni e di trasporti. Si sono venuti in tal modo a creare sistemi di reti virtuali e fisiche, capaci di diffondere il libero mercato e contrarre la distanza spazio-temporale. Secondo l’immagine che propone Marc Augé il mondo è diventato un’immensa città, la “meta-città virtuale”, espressione coniata dal filosofo e urbanista Paul Virilio, «costituita dalle vie di circolazione e dai mezzi di comunicazione che abbracciano il pianeta intero nella loro rete e diffondono l’immagine di un mondo sempre più omogeneo»2. Il mondo-città si è venuto a creare fisicamente grazie al processo di urbanizzazione in cui il tessuto urbano si estende lungo vie di circolazione, lungo i fiumi e le coste, attraverso quelli che il demografo francese Hervé le Bras ha definito “filamenti urbani”. «In Europa le periferie urbane si fiancheggiano, si saldano, si confondono»3 in un continuum 2. Marc Augé, Per un’Antropologia della Mobilità, Jaca Book, Milano 2010 3. Marc Augé, La città Ideale, in City 2.0 Il Futuro delle Città, raccolta di saggi pubblicata in occasione del Festival dell’energia 2012 (http://www.festivaldellenergia.it/ebook/smart_city.pdf)
XIX
Val Britton Collapsible City 2012
XX
IntraSuono. Spazi sonori per ascolti urbani
urbanizzato con punti di densificazione nelle principali metropoli del pianeta. Ed è proprio qui, nei suoi nodi centrali, che il sistema idealizzato di libera circolazione si rivela per la sua debolezza. «Con la sua sola esistenza, la città-mondo relativizza o smentisce le illusioni del mondo-città»4. Le grandi città-mondo incanalano tutte le diversità della Terra (sociali, etniche, culturali ed economiche); in esse le complessità emergono e generano tensioni, sono i luoghi fisici in cui convivono le contraddizioni del sistema virtuale. Questo modifica la configurazione della forma ubris, la città diviene diffusa, discontinua, frammentata. Lo spazio pubblico in particolare assume nuovi connotati: dopo aver perso la sua tradizionale funzione collettiva nelle piazze e nelle strade, ed essere stato privatizzato dagli spazi del consumo e dei trasporti, quei non-luoghi augeiani privi d’identità, ritrova il bisogno di un luogo fisico d’incontro per dare concretezza all’esperienza immateriale del nuovo abitante sempre più ubiquo. Sorgono dunque forme meno codificate 4. Marc Augé, Che fine ha fatto il futuro? Dai non luoghi al non tempo, Eleuthera, Milano 2009
Introduzione
e più fluide, atte a soddisfare esigenze di nuovi tipi di aggregazione sociale, che trovano terreno fertile in quei luoghi interstiziali del tessuto urbano nati dagli scarti del piano globale. Il cittadino di questa “città senza limiti” che confonde i riferimenti spazio-temporali è definito da Paul Virilio come abitante onnipolitano, soggetto a una condizione di simultaneità dei luoghi, che tende a diramare progetti e desideri in più direzioni. Va a perdere così il senso dello “stare” e del “sentire” la città e, coadiuvato dalle molteplici “protesi” tecnologiche, si ritrova in una situazione di privazione sensoriale. La città ibrida provoca smarrimento e disagio, richiede un gran dispendio di energia e il ”rumore” mediatico non lascia spazio all’esperienza personale. Ciò che si tende a fare è dunque isolarsi tramite mobile devices quando si attraversa lo spazio pubblico. «Ciascuno è in grado di appropriarsi del mondo urbano e di soggettivizzarlo. Il nuovo Odisseo urbano spinto da desideri e curiosità si muove nella città in una bolla di soggettività protetta affinché la sua esplorazione avvenga senza pericolo di essere contaminato o scalfito
XXI
Val Britton Outlier 2013
XXII
IntraSuono. Spazi sonori per ascolti urbani
dalla città e dalla sua gente»5. L’isolamento autoindotto oltre a rendere più sopportabile il momento di mobilità della vita quotidiana, ridefinisce radicalmente la relazione con la città. Non ascoltiamo più, non guardiamo più con attenzione ma siamo affetti da una forma di “ricezione distratta” che fa sembrare i posti come tutti uguali, privi di peculiarità, e non ci rende più in grado di percepire la realtà della città. Mancano i presupposti per fondare un legame affettivo con i luoghi, per riscoprire la piccola dimensione della quotidianità, come è stato fatto da studiosi e artisti sin dai tempi dei flâneurs ottocenteschi. Per riprendere possesso del suolo pubblico, per ritrovarne il significato e il senso di appartenenza il cittadino metropolitano deve riscoprire i propri sensi, uscire dalla bolla mediatica in cui si muove e ascoltare. E proprio quei vuoti urbani, luoghi in attesa, possono diventare una “cassa di risonanza” per invogliare la gente a togliersi le cuffie e tornare a udire i suoni che ci circondano.
5. Giandomenico Amendola, La Città Postmoderna. Magie e paure della metropoli contemporanea, GLF Editori Laterza, Roma 2003, p.68
Introduzione
XXIII
Val Britton Impossible Boundaries 2009
Val Britton è un’artista americana che lavora sul linguaggio delle mappe attraverso disegni e collage. Utilizza paesaggi tangibili e immaginari per esplorare il desiderio di porre ordine nel caos dello spazio. Per Britton l’arte è un modo per navigare il territorio della memoria e dell’immaginazione. Fortemente influenzata dalla prematura perdita del padre, un camionista, combina la sua personale astrazione delle mappe con gli itinerari che egli percorreva attraverso tutti gli Stati Uniti. Il risultato è un meticoloso lavoro di artigianato composto da una complesso sistema di reti geometriche.
«La città trattiene il rombo d’un oceano come nelle volute della conchiglia, o dell’orecchio: se ti concentri ad ascoltarne le onde non sai più cos’è il palazzo, cos’è città, orecchio, conchiglia. Tra i suoni della città riconosci ogni tanto un accordo, una sequenza di note, un motivo» Italo Calino Un Re in ascolto
[ Spatial Design per Spazi In-between ] PARTE PRIMA
capitolo
1 INTERSCAPE URBANO
1 Interscape urbano
CAPITOLO
1.1 Lo spazio tra le cose identificazione e definizione degli spazi In-between
1.2 La città duttile l’origine degli spazi In-between
1.3 Vuoti a rendere caratteri e valori degli spazi In-between
capitolo 1 - Interscape
Lo spazio tra le cose
5
1.1
identificazione e definizione degli spazi In-between
In un’epoca in cui temi come ambiente, ecologia, cura del territorio sono diventati non solo comunemente diffusi ma ormai imprescindibili nei dibattiti tra progettisti, è essenziale iniziare un discorso sullo studio e il ripensamento dei luoghi pubblici parlando di quegli spazi che nella città contemporanea sono considerati degli scarti urbani, residui abbandonati perché ritenuti privi di valore. All’interno dell’esperienza progettuale svolta durante il Laboratorio di Sintesi Finale Intermediate Design Landscapes,
coordinato dalla professoressa Giovanna Piccinno, sono emersi i riferimenti e gli strumenti per indagare quei vuoti del tessuto urbano nati dal processo di dispersione della città contemporanea. Dalla fase di comprensione di cosa siano gli spazi in-between, a quella di esplorazione per trovare un luogo di intervento adatto, passando per un’attenta e approfondita analisi della location, si è giunti all’ideazione di un progetto che potesse riscattare questi spazi rendendoli preziosi punti di riferimento e di connessione per definire una nuova geografia della città.
Vasco Mourᾶo New Yorker 2010
6
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
capitolo 1 - Interscape
7
“
Il “between” è un paesaggio sempre in corsa; esso ha origine là dove le condizioni non sono precise, ma ambigue, confuse, bistrattate, ibride, incerte.
”
Manuel Gausa
Tale genere di interventi è diventato di vitale importanza per contrastare l’incontrollata dispersione della realtà urbana contemporanea. Ad oggi infatti non c’è più spazio a disposizione per costruire del nuovo, occorre lavorare tra gli spazi edificati, sulle linee di confine, ai bordi di zone deboli che richiedono cure e progetti. Non è più possibile riempire ossessivamente ogni punto libero lavorando per addizione, ma bisogna concentrarsi sul recupero e la rigenerazione di quel che rimane. È richiesto dunque un nuovo approccio al tema dello sviluppo urbano, in modo tale che «studiosi e progettisti si concentrino non su come costruire nuovi quartieri ma su come rendere più densi
quelli esistenti, concentrandosi sull’idea di costruire sopra, in mezzo, sotto, intorno, dentro gli edifici esistenti, con i logici obiettivi strategici di contrastare il dispendio di territorio e risorse ecologiche, razionalizzare le infrastrutture di mobilità, frenare la crescita senza limiti e senza forma della città»2. Questi tipi di spazi, per la caratteristica di collocarsi fra gli spazi costruiti, vengono definiti con il termine in-between, e possono essere descritti come «spazi intermedi ed incerti con forti caratteristiche fisiche, relazionali o temporali di connessione o disconnessione con il circostante, attraverso i quali è possibile attivare nuove dinamiche o relazioni in grado di generare qualità spaziale con l’intorno»3.
1. Pippo Ciorra, Senza architettura, Laterza, Bari 2011, pp.51-52 2. Elisa Lega, I valori degli spazi in-between in Giovanna Piccinno, Elisa Lega, Spatial Design for In-between urban spaces, Maggioli Editore, Milano 2012, p.96 ▲ Manuel Gausa, In Between, in The metapolis dictionary of advanced architecture. City, Technology and Society in the Information Age, Actar, Barcellona 2003
Neil Michels A Future High Street 2013
8
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
La città duttile l’origine degli spazi In-between
Anne Kevervoort andere werelde 205 2011
Da dove nascono questi vuoti? Come si sono venuti a creare? Come già accennato nell’introduzione alla ricerca, tali realtà sono il risultato della destrutturazione formale della metropoli contemporanea, dovuta ai processi di trasformazione economici e sociali in atto da ormai oltre vent’anni. Gli spostamenti di interi settori industriali da un paese all’altro, i flussi migratori, i nuovi nomadismi, l’informatizzazione e la smaterializzazione dei dati, la virtualità delle relazioni sociali e numerosi altri fenomeni hanno contribuito e contribuiscono tutt’ora ad un’incessante trasformazione della città contemporanea, ad una continua scomposizione e ricomposizione della forma del tessuto urbano, ad una rigenerazione incessante della quotidianità. La città è un organismo vivente che respira a ritmo dello sviluppo economico e tecnologico, si dilata, si disperde e poi si contrae, si densifica e si
1.2
capitolo 1 - Interscape
svuota, lasciando all’interno del suo fitto pattern alcuni frammenti che portano le tracce del costruito precedente, avanzi di terreno inutilizzati, scheletri vuoti abbandonati, linee di confine considerate solamente come un margine e non come uno spazio, infrastrutture dismesse dopo la costruzione di nuove reti, terreni di nulla tra città e campagna. Spesso e volentieri questi spazi, considerati vuoti e quindi di nessuno, vengono occupati dagli abitanti che li usano per soddisfare i bisogni mancanti nel loro quartiere e riappropriarsi di un senso di appartenenza al luogo, sovrapponendo così nuove tracce e nuove realtà a quelle già esistenti. Tali luoghi diventano teatro di una fitta rete di relazioni, eventi, scambi, memorie e possibilità future, e danno vita a una situazione molto complessa, ricca di potenziale che può essere sfruttato per migliorare la condizione dello spazio pubblico.
9
10
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
Vuoti a rendere
1.3
caratteri e valori degli spazi In-between
Nadav Kander Yangtze The Long River 2010
Gli spazi in-between sono portatori di qualità urbane complesse in quanto inerenti alle trasformazioni sociali, culturali e ambientali della contemporaneità. Il termine stesso inbetween indica il principale carattere di questi spazi, la loro condizione di transizione e mutamento continuo, la loro instabilità e dunque dinamicità e propensione a cambiare secondo necessità. Sono spazi che si collocano nel mezzo di realtà tra loro opposte: pubblico e privato, locale e globale, naturale e artificiale, legale e illegale, realtà fisica e virtuale, e quindi sono spazi di incontro e scambio dove queste componenti possono coesistere. Sono luoghi di stratificazione temporale, spaziale e sociale, dove i livelli s’intrecciano dando vita ad una ricchezza e densità di significati. Risultano da intervalli spaziali quanto temporali, hanno la capacità di creare continuità, di essere l’elemento di congiunzione tra le parti di un quartiere, oppure di porsi come discontinuità, di cesura con l’intorno che lo circonda o tra zone limitrofe.
Tutti questi caratteri sono ambivalenti, possono rendere gli spazi critici, non risolvibili, abbandonati e lasciati al degrado, oppure diventare terreno fertile per riprogettare la città e trarre dai suoi scarti l’opportunità di rigenerare l’ambiente urbano rendendolo più a misura d’uomo di quanto non lo sia attualmente. Gli spazi in-between sono anche gli spazi delle relazioni deboli in quanto non caratterizzati da forme di connessione forti e strutturate tra l’utente e il luogo e quindi facilmente malleabili attraverso la progettazione dello spazio. La condizione erratica propria della contemporaneità impone di rivedere il concetto di appartenenza e identità, basato su dinamiche temporanee, in continua evoluzione, che la città può accogliere favorendo relazioni labili e transitorie tra gli utenti. Disegnare questi spazi è compito del progettista che, attraverso studi interdsciplinari di Spatial Design, Geografia culturale e sociologia, può agevolare lo sviluppo di nuove logiche progettuali adatte alla complessa realtà urbana contemporanea.
capitolo 1 - Interscape
11
capitolo
2 analisi VIBRANT RUBATTINO
2 Analisi. Vibrant Rubattino
CAPITOLO
2.1 Quartiere Rubattino area di intervento
2.2 Geografia culturale anamnesi del luogo
2.2.1 Flussi di energia 2.2.2 AttivitĂ e attitudini
2.3 Spatial Design potenzialitĂ latenti
2.3.1 Infraponte 2.3.2 Ricucire i vuoti, connettere gli opposti
capitolo 2 - Vibrant Rubattino
Quartiere Rubattino
2.1
area di intervento
Il quartiere di Rubattino si trova a est della città di Milano, in una ex zona industriale che ha visto negli ultimi due decenni un periodo denso di cambiamenti tutt’ora in atto. Si tratta di una superficie ad andamento est-ovest, attraversata nella sua parte mediana (da nord a sud) da due elementi sovrapposti di forte rigidità, la tangenziale est e il Lambro che scorre in superficie all’ombra dell’infrastruttura. Dopo la cessata attività industriale nel 1993 del complesso della Innocenti Maserati, sede di produzione della storica Lambretta, occorreva soddisfare le esigenze residenziali e quelle del recupero di strutture ed edifici già appartenenti alle passate attività, dotandole nel contempo di standard di verde e di servizi a un
livello consono al recupero dell’intera superficie. Nel 1997 il comune di Milano indisse un concorso d’idee per un Piano di Riqualificazione Urbana (P.R.U. Rubattino) complessivo da cui sono emerse le linee che hanno portato alla realizzazione di un parco come punto nodale del sistema. Il Parco dell’Acqua, progettato da studio Land nel 2004, è un’area verde che ha come elemento peculiare un laghetto artificiale, posizionato sotto la tangenziale. Oltre al laghetto, nel Parco dell’Acqua si trovano grandi estensioni a prato, alberature isolate, filari arborei e aree attrezzate per il gioco dei bambini. Un boulevard verde, il “viale dei platani”, arricchito da ulteriori aree gioco, porta a via Pitteri creando connessione con le residenze.
15
16
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
Geografia culturale anamnesi del luogo
Flussi di energia L’area di Rubattino è un luogo in via di trasformazione che sta attraversando una fase di transizione tra il suo passato di zona industriale e il suo futuro di centro residenziale equipaggiato di ogni servizio per gli abitanti. È dunque uno spazio inbetween temporale, carico di valore storico ed energie differenti che si sono sovrapposte nel corso dei secoli. La zona di Rubattino, un tempo terreno agricolo attraversato solamente dal fiume Lambro, è stata annessa a Milano negli anni Venti per diventare centro industriale, accrescendo vertiginosamente il flusso di presenze nella zona. La costruzione delle infrastrutture di trasporto, quella ferroviaria e quella stradale, l’hanno resa uno snodo centrale nella rete di comunicazioni del capoluogo. Il successivo abbandono dei capannoni industriali ha portato ad uno svuotamento e calo di affluenze fino al 2004, quando un piano di riqualificazione dell’area ha iniziato a rigenerare il quartiere. La previsione è quella di creare un centro sportivo e ricreativo, definito Crystal Palace, all’interno di uno degli ex capannoni dell’Innocenti Maserati, per attrarre nuovi flussi e nuova energia nell’area.
2.2
17
capitolo 2 - Vibrant Rubattino
palazzo di cristallo
2012
nuove funzioni
parco Rubattino
2004
quartiere residenziale
ex-Innocenti
1997
capannone abbandonato
tangenziale Est
1973 1969
infrastruttura stradale
Fabbrica Innocenti
1933
zona industriale
MILANO
1923 apertura al pubblico
1931 1914
Lambrate stazione ferroviaria
16 000 000 passaggi/anno
snodo per Bergamo e Brescia
rete ferroviaria
dal
1846
1800 fiume Lambro
terreno agricolo
18
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
QUARTIERE RUBATTINO area: 611 207 m2 area residenziale: 165 000m2
VIADOTTO lunghezza: 34m altezza: 8m
PARCO area: 110 000m2 lago artificiale: 9 000m2
vibrazione attuale
skate | passeggiare con cani e bambini | jogging | bicicletta | accampamento abusivo | corse di gokart | graffiti
capitolo 2 - Vibrant Rubattino
EX INNOCENTI area: 320 000m2 capannone: 23 000m2
Attività e attitudini Il quartiere è frequentato quotidianamente per attività di sport, svago e come luogo di ritrovo dai residenti, e saltuariamente, in occasione di feste o manifestazioni da esterni. Il sotto cavalcavia è stato teatro di eventi programmati come giornate di attività ricreative per bambini o un camping temporaneo durante il salone del mobile organizzato da Esterni, fino ad attività illegali quali rave party, accampamento abusivo e punto d’incontro dei writers. Le location affascinanti del sotto cavalcavia e della fabbrica abbandonata sono anche spesso utilizzate come set fotografici. attività programmate attività di svago attività illegali singole /
in gruppo locali dj set | campeggio organizzato | set fotografici
/
esterni
19
20
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
Spatial Design
2.3
potenzialità latenti
Infraponte Compiendo il percorso che dalla piazza arriva alla fabbrica abbandonata si percepisce una graduale alterazione di atmosfera, da area residenziale frequentata e vivace alla desolazione del capannone vuoto e decadente. Lungo il cammino si hanno repentini cambiamenti di percezione dei vari elementi che costituiscono il quartiere: dal traffico della strada che affianca la piazza si continua per il viale alberato protetto dagli edifici residenziali, che poi si apre sull’area verde collinare, tagliata a metà dal ponte della tangenziale est e dal Lambro, per infine giungere al reiterato disegno dello scheletro della fabbrica abbracciato dalla vegetazione. Il punto più critico, interessante e irrisolto ma sicuramente il più suggestivo è la zona sottostante al cavalcavia che, grazie
prospettive di percorso
alla presenza di uno specchio d’acqua artificiale, introdotto nella progettazione del parco, e alla successione infinita dei pilastri del ponte, suscita una sensazione di sospensione e interruzione dall’intorno. Il taglio tra le due corsie segna per tutta la lunghezza una linea di luce che si riflette nel lago. Il flusso del traffico sovrastante caratterizza l’area con un rumore costante e di forte presenza che si comincia a percepire già dal fondo del viale e prosegue fino alla fabbrica. Il ponte si pone in tal modo come una barriera visiva e sonora, che divide il parco a metà, un elemento centrale e imprescindibile che separa ma che possibilmente può diventare un punto di congiunzione e passaggio verso il futuro sviluppo del capannone abbandonato.
capitolo 2 - Vibrant Rubattino
acqua
centi
no rica In
b ex fab
percorsi/viste
21
enziale
re resid
quartie
o
Rubattin
que
elle Ac
d Parco
aree terreno
punti focali
percezione del ponte
aperture visive
intensitĂ del suono
densitĂ delle attivitĂ
percorsi
square
Rubattino
Lambro
ex Innocenti
22
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
VIA
DO TT O
IO
G PAESAG UOMO/ ZIONI
PERCE
capitolo 2 - Vibrant Rubattino
Ricucire i vuoti, connettere gli opposti
IONE
SS CONNE
Agire sul front del ponte può trasformare il cavalcavia da ostacolo a connessione tra le aree opposte. Sfruttando la visibilità della tangenziale fino a lunghe distanze e da vari punti del sito è possibile intervenire disegnando un landmark del luogo che attiri il pubblico nel punto più interessante della zona, che potrebbe così diventare una grande stanza scenografica aperta a svariate attività. Riconnettere i percorsi esistenti ricostruendo una parte mancante del sentiero attraverso una passerella che permette l’attraversamento del fiume è un’altra modifica fondamentale da apportare per indicare la volontà di riunire le residenze con il futuro centro ricreativo.
23
24
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
RUMORE
VELOCITÀ
FRENESIA
MOVIMENTO
INCONTRI
SVILUPPO
QUARTIERE RUBATTINO
VIVACITÀ
SOPRA IL
IN-BET
ZONA RESIDENZIALE e COMMERCIALE
PRESENTE
COMPAGNIA
LUOGO DELLO STARE
TRAFFICO PEDONALE/CICLABILE
SOTTO IL
capitolo 3 - FlyUnder
25
TRAFFICO AUTOMOBILISTICO
LUOGO DELL’ANDARE
WEEN
SOLITUDINE
FABBRICA EX-INNOCENTI
VIADOTTO
ZONA IN ABBANDONO
PASSATO/FUTURO
IMMOBILITÀ
VUOTO
DEGRADO
SCONTRI
LENTEZZA
VIADOTTO
CALMA
SILENZIO
26
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
capitolo 2 - Vibrant Rubattino
27
capitolo
3 progetto FLY UNDER
3 Progetto. Fly Under
CAPITOLO
3.1 Rallentare il passo concept
3.2 Urban Sound Landscapes contest
3.2.1 Fly Under urbanproof 3.2.2 Controllo del rumore 3.2.3 Lastra MaxFine
3.3 Re-placing un modulo per ogni in-between
3.3.1 Sistema modulare sonoro 3.3.2 Dettagli tecnici
capitolo 3 - FlyUnder
Rallentare il passo
3.1
concept
Nella parte di analisi della location sono state definite le qualità e i valori che lo spazio in-between può acquisire, ossia diventare un luogo di ritrovo che concentri l’attrazione in un punto preciso invece di disperdere gli utenti per l’intera area come è attualmente, e funzionare da accesso e collegamento tra la zona residenziale e il nuovo centro sportivo e ricreativo previsto dal piano di riqualificazione urbana. Ecco che allora un luogo spesso degradato e vuoto come il sotto di una qualunque rete stradale, un residuo della progettazione urbana, può essere strappato al dominio delle automobili e trasformato in una stanza all’aria aperta,
del tutto permeabile, per ritrovarsi a ballare, fare feste e organizzare eventi nello scenario suggestivo offerto dal viadotto. Per mutare la conformazione dello spazio, per renderlo più vivibile e valorizzare i caratteri più affascinanti del posto si è scelto un approccio potente ma non invasivo, che consiste nell’applicare un elemento agganciato al cavalcavia che abbraccia le sponde della tangenziale, come una sorta di soffitto appeso al di sotto del viadotto, un plug-in che serve a segnare il luogo, rendendolo riconoscibile da lontano, a separare gli utenti dal rumore del traffico sovrastante e a disegnare un nuovo paesaggio urbano.
soffitto plug-in
nuovo spazio
31
32
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
Urban Sound Landscapes
3.2
contest
Fly Under urbanproof Nel corso del Laboratorio di Sintesi Finale lo sviluppo del progetto è stato fortemente influenzato dalla partecipazione al workshop tenutosi per l’International University LAB Competition 2013 [IULC] - GranitiFiandre. Il concorso promuoveva un utilizzo innovativo della lastra in gres porcellanato di grande formato 300x150cm MaxFine e del trattamento Active per realizzare concept di Spatial Design volti a risolvere nuove funzioni nello spazio pubblico. Delle categorie proposte, quella di Urban Sound Landscapes è subito risultata la più coerente con lo stato corrente del progetto, data la forte presenza del rumore del traffico della tangenziale. Dalla somma dell’elemento acustico e l’uso originale della lastra MaxFine è nato Fly Under, un sistema modulare utilizzabile in location simili per problematiche, quali parcheggi, binari dei treni, sottopassi pedonali, stazioni di benzina, con la finalità di aprire delle stanze pronte ad accogliere il pubblico modificando il suono, lì dove prima c’era solo rumore, abbandono e desolazione.
protezione dal rumore
front identificativo
spazio “altro”
capitolo 3 - FlyUnder
lavorazione lastre A
B
A modulo singolo A B
moduli composti
33
34
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
FLYOVER
FLY UNDER
capitolo 3 - FlyUnder
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parte prima: Spatial Design per spazi In-between
capitolo 3 - FlyUnder
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parte prima: Spatial Design per spazi In-between
modulo FRONT
MaxFine
strips
metal structure
soundproof system
DAY LUCE NATURALE
sole
01
10m
giorno
capitolo 3 - FlyUnder
modulo SOFFITTO
NIGHT ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
notte
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40
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
Controllo del rumore Flusso continuo. L’intenso traffico della tangenziale scorre incessantemente al di sopra del sito di intervento rendendolo un luogo spiacevole. Il rumore passa oltre le barriere e attraverso la fessura che divide le corsie opposte del ponte: le onde sonore infatti hanno una propagazione sferica e riescono a superare gli ostacoli. Dispersione. Per riuscire a contrastare la diffusione del rumore e proteggere l’ambiente sottostante si aggiunge una superficie irregolare che disperda il suono facendolo rimbalzare tra le lastre inclinate fino a che perde di intensità. In tal modo si avrà una diminuzione delle onde sonore che riescono a raggiungere l’area. Fonoassorbimento. Per far aumentare l’effetto insonorizzante della superfice vengono applicati al retro delle lastre dei pannelli fonoassorbenti che fanno da front del ponte, in modo tale che il suono, una volta riflesso dal sotto del cavalcavia, venga in gran parte annullato dall’effetto della pannellatura.
capitolo 3 - FlyUnder
Lastra MaxFine L’obiettivo di trovare un uso alternativo e innovativo della lastra MaxFine viene raggiunto grazie alla possibilità di effettuare tagli al laser di qualsiasi dimensione e forma: la lastra non è più semplice materiale di rivestimento ma oggetto d’arredo dell’ambiente urbano, mostrato nelle sue maggiori qualità, le grandi dimensioni e il sottilissimo spessore di appena 3 mm. Nel front la lastra segna il prospetto del ponte grazie al pattern creato da delle cinghie che la avvolgono alla struttura metallica. L’elemento strutturale quindi, invece che essere nascosto, disegna un motivo decorativo di forte impatto visivo. Nella parte sottostante al viadotto le lastre assumono leggerezza grazie al posizionamento obliquo sovrapposto che le fa sembrare un ventaglio di fogli. Il trattamento Active rende la superficie delle lastre autopulente, antinquinante e antibatterica, agendo grazie all’azione della luce artificiale e naturale e l’umidità naturalmente presente nell’aria.
FABBRI CA MA RMI GRANIT E I
DIMENSIONI......................150x300 cm SPESSORE...............................3/6 mm MATERIALE..............gres porcellanato LAVORAZIONI.....................taglio laser ...............rilievo in resina FINITURE..................................marmo ...................................corten .....................................legno ................................sabbiato .................................levigato .............................varie tinte
grandi dimensioni spessore minimo
taglio versatile
superficie autopulente
trattamento antinquinante
41
42
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
Re-placing
3.3
un modulo per ogni in-between
Sistema modulare sonoro Per implementare le caratteristiche del progetto è stato ideato un sistema che utilizza elementi base adatti a realizzare superfici di qualsiasi dimensione e forma, in grado di adeguarsi a qualsiasi spazio urbano che necessiti di risanamento per accogliere nuove funzioni. Il sistema, installabile sia da terra che agganciato dall’alto, è composto da una struttura in alluminio regolabile grazie ad un meccanismo telescopico e giunti mobili che rendono la montatura adattabile a superfici di qualsiasi forma e irregolarità.
BINARIO FERROVIARIO
FORMA LIBERA
SOTTOPASSO
VIADOTTO
capitolo 3 - FlyUnder
La pannellatura dello scheletro viene realizzata in materiali diversi a seconda dell’effetto acustico che si vuole ottenere sul luogo: in gomma fonoassorbente per isolare l’ambiente o in fogli metallici che vibrando con i movimenti della città creano un effetto sonoro forte e caratterizzante, sottolineando ulteriormente la presenza degli elementi circostanti. Per ottenere diversi effetti estetici si possono utilizzare i pannelli legati alla struttura da cinghie o intrecciando alla montatura stessa dei fogli unici di materiale.
PASSAGGIO PEDONALE
diminuzione del rumore
aumento del rumore
STAZIONE DI BENZINA
43
parte prima: Spatial Design per spazi In-between
MODULO A STRISCE
MODULO A PANNELLI 300
150
44
fogli in gomma
laminato in alluminio
pannelli in gomma pannelli in alluminio
cinghie per carichi elevati
capitolo 3 - FlyUnder
STRUTTURA PORTANTE
PALI TELESCOPICI
100
100
100
GIUNTO ROTANTE
KIT DI ASSEMBLAGGIO - 1 MODULO
45
[ Paesaggio Sonoro Urbano ] PARTE SECONDA
capitolo
4 IL VOLTO SONORO DELLA CITTÀ DI OGGI
4 Il volto sonoro della città di oggi
CAPITOLO
4.1 Il peso perduto del vuoto il bisogno di trovare il senso di Horror Pleni
4.2 L’orecchio offeso il pericolo dell’inquinamento acustico
4.3 Quando nasce il rumore della città? storia dei suoni urbani
4.3.1 La locomotiva 4.3.2 L’industria 4.3.3 I trasporti 4.3.4 La linea retta orizzontale in acustica 4.3.5 Il suono artificiale
4.4 Il primato dell’occhio la cultura retinica occidentale
4.5 La riscoperta dell’ascolto l’udito come strumento di cambiamento
capitolo 4 - Il volto sonoro della città di oggi
Il peso perduto del vuoto
4.1
il bisogno di trovare il senso di Horror Pleni
La cultura occidentale è afflitta sin dalle sue origini dalla paura del vuoto, ma, se nell’antichità l’uomo primitivo viveva in un mondo povero di segni, la popolazione di oggi è satura di stimoli al punto tale da dover sempre più ricorrere all’eccesso per trovare lo stupore. Gillo Dorfles, nel suo libro “Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore” sottolinea come la sovrabbondanza di segnali visivi e sonori che occupano il quotidiano abbiano reso intollerabile la nostra società. Oggi ‹‹basta affacciarsi alle finestre nella casa d’una nostra città, stendersi sotto l’ombrellone in una spiaggia estiva, osservare i muri delle metropoli, entrare nella più innocente delle discoteche››1 per accorgersi che il troppo rumore ci ha reso assuefatti e inconsapevoli del mondo che ci circonda, non seve più a trasmettere informazione, ma crea solo confusione. Le capacità percettive umane sono infatti enormi, ma hanno un limite, e a causa dell’eccessiva stimolazione finiscono per intorpidirsi. Questa condizione è intollerabile perché offende la nostra sensorialità, tutto si succede
in una sequenza di tempi serratissimi, il ripetersi e la sovrapposizione degli stimoli non lasciano spazio al concetto di pausa. Sempre per usare espressioni di Dorfles, questo ”intervallo perduto” è la diretta conseguenza dell’“inquinamento immaginifico” di giornali, TV, insegne, annunci, nuovi media. L’uomo contemporaneo è conquistato da una smania di confluire verso il “pieno” per rifuggire il “vuoto”, sfrutta i mezzi velocissimi che ha a disposizione
1. Gillo Dorfles, Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore, Castelvecchi, Roma 2008, p.19
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52
parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
capitolo 4 - Il volto sonoro della città di oggi
per “spizzicare” di tutto un po’ e non soffermarsi su nulla in particolare. È teso inoltre ad abolire gli intervalli che stanno tra lui e il luogo o la persona da raggiungere. Grazie ai trasporti e ai nuovi media può spostarsi fisicamente in tempi assai brevi e virtualmente in modo istantaneo. La rapidità estrema dei collegamenti però è solo in parte così efficiente quanto idealizzata, e la frenesia che coglie il viaggiatore/navigatore è spesso frustrata da una lentezza effettiva dovuta ad ostacoli tecnici e sistemi di trasporto congestionati, sia reali che informatici. In questo modo la pausa diventa un momento nullo, da sopportare e superare prima possibile, provoca irritazione e repulsione, viene considerata come tempo
perduto inutilmente. In realtà si tratta di ‹‹quell’intervallo spaziale e temporale di cui l’uomo necessita - non solo fisiologicamente, ma come indispensabile pausa per lo stesso percorso dei suoi pensieri e delle sue attività cogitative – che non deve venire mai a mancare››2. Capita, ogni tanto, che alcuni artisti contemporanei, ci regalino la tanto osteggiata pausa, che dovrebbe innestare in noi il germe di una controffensiva alla “civiltà del rumore”. L’atteggiamento, non abbastanza diffuso, che dovrebbe assumere l’uomo oggi è quindi di timore e rifiuto per questo “troppo pieno”, e Dorfles auspica che all’interno della società si affermi il sentimento di Horror Pleni per ritrovare il tempo e lo spazio sottratti al nostro benessere psicofisico.
«Mi Mi aspettava, ma senza essere inquieta. Aspettare non le dava fastidio. Aveva imparato presto che una persona che non può camminare e che dipende dall’aiuto degli altri aspettare è naturale. La pazienza era per lei una cosa ovvia. E si meravigliava delle persone che avevano sempre fretta. L’attesa apparteneva al suo ritmo di vita in maniera così profonda che Mi Mi quasi si dispiaceva ogni volta che un suo desiderio veniva esaudito troppo velocemente. Il tempo dell’attesa era fatto di momenti, di minuti o anche di ore di pace, attimi di sospensione, in cui in genere era sola con se stessa. E lei aveva bisogno di quelle pause per prepararsi a qualcosa di nuovo, a un cambiamento».
2. Gillo Dorfles, Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore, Castelvecchi, Roma 2008, p.33 ▲ Jan-Philipp Sendker, L’arte di ascoltare i battiti del cuore, Neri Pozza Editore, Vicenza 2009, pp.163-164
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
L’orecchio offeso
4.2
il pericolo dell’inquinamento acustico
Circa il 70% della popolazione europea vive in città, luogo che dal tempo della rivoluzione industriale è irrimediabilmente contaminato. È fondamentale dunque che la difesa della salute dell’uomo parta dai temi dell’inquinamento ambientale, visivo e acustico che minaccia le metropoli. Quando usciamo dal portone di casa, quando spalanchiamo le finestre per cambiare aria, la prima cosa che ci investe è il rumore esterno, un rumore costante di sottofondo, una «patina difforme di suoni uniformi e continui, identici a se stessi, nel fluire del tempo»3. Tra tutti i sensi, l’udito è quello che può essere messo a rischio con più facilità perché non ha difese. Al contrario dell’occhio, «l’orecchio non ha palpebre»4, si sviluppa a 360° e coglie tutto quello che lo circonda, non può essere filtrato o indirizzato come la vista. Il mondo moderno pone in primo piano suoni monotoni, elaborati da fonti ad alto volume, suoni dai quali ci si difende attraverso un atteggiamento di insensibilità all’acustico, che alla lunga impoverisce l’immaginario.
«L’unica protezione dell’orecchio consiste in un elaborato meccanismo psicologico in grado di filtrare e depurare i suoni indesiderati e di concentrarsi su quelli graditi»5. Ma come è capace di annullare dei suoni volontariamente, fa lo stesso a livello inconscio; se la fonte è costante e si protrae per un tempo prolungato il cervello finisce per non farci più caso, ne è assuefatto. «L’inquinamento sonoro minaccia l’intelligenza stessa dei viventi, la quale a rigore consiste nella capacità di comunicare correttamente col proprio Umwelt (ambiente)»6. L’inquinamento sonoro, pertanto, configurandosi come eccesso di rumore, mina l’efficacia dei sensi che non riescono più a comunicare con il proprio ambiente, determinando disagio negli individui. . Il rumore diffuso al quale siamo abituati fin dalla nascita è sintomo dell’universo incontrollato, del disequilibrio che regna nel nostro habitat naturale, del poco interesse che diamo al nostro reale benessere psicofisico. Non siamo solo immersi nell’inquinamento acustico ma non ce ne rendiamo neanche conto, spesso non abbiamo uno spirito
3. Carlo Serra, Spazio Musicale e Paesaggi Sonori, In AA. VV., Incontri, a cura di Paolo Scarnecchia, ISMEZ 2002, p. 5 4. R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985, p.25 5. Ibidem 6. R. Barthes; R.Havas, voce “Ascolto” in Enciclopedia, vol.1, Einaudi, Torino 1977, pp. 982-991
capitolo 4 - Il volto sonoro della città di oggi
“
L’udito umano è costante e involontario, quasi impossibile da eliminare. Senza aiuti esterni, assorbe tutti i suoni entro la sua portata, sia che siamo svegli, appisolati o profondamente addormentati; sia che vogliamo ascoltarli, che siamo indifferenti o che facciamo ogni sforzo possibile per ignorarli. Di conseguenza l’orecchio è un organo percettivo particolarmente vulnerabile: sempre operativo, cumulativo in modo non riflessivo, e ingenuamente aperto ai suoni più dannosi, acuti o fastidiosi. Il fatto è che l’orecchio è privo della più rudimentale delle difese: non ha un equivalente delle palpebre che proteggono la vista. L’orecchio umano è un agente attivo, e non un semplice ricevitore ben sintonizzato e ciò costituisce la minaccia principale per l’orecchio moderno. Maniacale e ossessivo, l’orecchio espone in modo coraggioso, persistente e sciocco se stesso alla fatica, al pericolo, alla scomodità e alla distruzione. In questo senso l’orecchio è la vera avanguardia del nostro corpo. L’orecchio è la nostra sentinella: fa il suo dovere per metterci in guardia dal fuoco e dal disastro imminenti, e spesso meglio dell’occhio. In coppia, le orecchie ci aiutano a determinare e a cambiare la direzione mantenendo l’equilibrio, per farci rimanere al centro del flusso. L’orecchio è ciò che i cubisti avrebbero potuto definire un collagista, che fa del suo meglio per accogliere simultaneamente universi di suono ululanti. E come ogni avanguardia che si rispetti l’orecchio deve soffrire per la causa.
”
Hillel Schwartz
▲ Hillel Schwartz, L’orecchio indifendibile: una storia in Michael Bull; Les Back, Paesaggi Sonori. Musica, voci, rumori: l’universo dell’ascolto, Il Saggiatore, Milano, 2008
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
capitolo 4 - Il volto sonoro della città di oggi
“
Oggi il mondo soffre di sovrabbondanza di suoni, vi è troppa informazione acustica, cosicché soltanto una piccola parte di questa può essere percepita con chiarezza.
”
R. Murray Schafer
critico in materia, non siamo in grado capire se c’è un rumore giusto e uno sbagliato, siamo anestetizzati. Se noi non ci rendiamo conto del superamento dei limiti di tolleranza, lo fa invece il nostro organismo, che per difendersi scatena reazioni di allarme. L’esposizione al bombardamento acustico odierno risulta estremamente dannosa e può causare disturbi del sonno e dell’udito, forte stress, fino a seri problemi di salute. «Nel mondo che ci circonda un inarrestabile ed indifferenziato ronzare, sordo e povero d’informazione, riempie l’ambito in cui, nel quotidiano, sfilano anonime forme di vita: rumori di traffico aereo, urbano, di condizionatori d’aria, di produttività
cieca riempiono e rendono insensibile, nel loro stratificarsi, l’orecchio e la coscienza dell’uomo moderno. Nei suoni prodotti dal mondo che abitiamo, sembra dunque essersi perduta la possibilità di plasmare una forma, di articolare un rimando che li porti oltre se stessi, oltre la loro pura datità. Non possiamo più indugiare di fronte ad un suono che si è fatto sterile trasparenza, pura struttura di rimando, priva di quelle opacità che lo rendono attraente»7. La consapevolezza del suono che ci circonda può essere costruita soltanto e semplicemente imparando ad ascoltare e ad essere presenti nei fenomeni, totalmente e attualmente.
▲ R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985, p.105 7. Carlo Serra, Spazio Musicale e Paesaggi Sonori, In AA. VV., Incontri, a cura di Paolo Scarnecchia, ISMEZ 2002, p. 5
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
Quando nasce il rumore della città?
4.3
storia dei suoni urbani
Il “ronzio di fondo” costituisce la colonna sonora della nostra vita quotidiana. Ma quando la città ha smesso di essere silenziosa? La rivoluzione industriale prima e quella tecnologica poi, introducendo i nuovi suoni prodotti dai trasporti, dai macchinari e dai dispositivi elettronici, hanno modificato il paesaggio sonoro metropolitano fino a dare al Novecento la giusta definizione di “secolo del rumore”. La locomotiva Che cosa ha portato quindi alla conformazione del profilo acustico della città di oggi? A iniziare da quale data il rumore ha cominciato ad accompagnare le nostre attività? Volendo partire dalle origini più profonde, l’economista e intellettuale francese Jacques Attali colloca nel 1890, anno di pubblicazione del romanzo di Émile Zola “La Bête Humaine”, la consacrazione della macchina che annuncia il fragore della nuova era, la locomotiva. Il romanziere francese la descrive come l’emblema di una modernità rumorosa che a
partire dalle industrie, avrebbe finito per invadere le strade, i cieli, le case e non avrebbe risparmiato la dimensione pubblica. L’industria La nascente industria dell’Ottocento portò allo sviluppo dei settori di elettricità, siderurgia e meccanica. Il frastuono dei telai meccanici e dei macchinari a vapore dei primi opifici invase la periferia della città, sostituendo le sonorità dell’antico lavoro artigiano con quelle ben più potenti della nuova era industriale. I trasporti A questo fragore si aggiungono i nuovi flussi dei trasporti pubblici e privati. «Il XX secolo accumula e stratifica, anche nel profondo, con linee metropolitane che innervano il sottosuolo, il senso della presenza ferrata e dei diversi mezzi di trasporto, portando il sonoro urbano a un addensamento vertiginoso e articolatissimo». «La città si modella così anche (o soprattutto) per dare modo ai veicoli (…) di
capitolo 4 - Il volto sonoro della città di oggi
trasportare individui da una parte all’altra del territorio urbano ed extraurbano. Lo spazio sonoro cittadino accoglie entro la linea del proprio orizzonte un oggetto acustico fortemente qualificato e differenziato, moltiplicato quotidianamente per centinaia di migliaia di unità che, condensandosi in
voluminosi e ininterrotti grumi fluviali di suono veicolato, riempiono e attraversano musicalmente le linee di comunicazione viaria della città secondo più o meno casuali disegni di movimento, flusso, intersezione, densità, rarefazione, velocità, intermittenza»8.
8. Roberto Favaro, Spazio sonoro, Venezia, Marsilio Editori 2010, pp.228-229
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William Turner Pioggia, vapore e velocità 1844
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
La linea retta orizzontale in acustica L’industrializzazione e la rete di trasporti portano all’introduzione di un tipo di suono fino ad allora quasi sconosciuto, perché molto raro in natura: il profilo sonoro della linea orizzontale. «Quando visualizziamo, attraverso un sistema grafico collegato ad un apparecchio di registrazione, i diversi suoni, possiamo analizzarli attraverso il loro “profilo”, le cui caratteristiche sono: attacco, corpo, transienti (i mutamenti interni), caduta. Quando il corpo di un suono si prolunga nel tempo ed è privo di modificazioni, la sua riproduzione grafica corrisponde a una linea retta orizzontale»9. Questo profilo è caratteristico delle macchine; esse infatti emettono suoni continui a bassa informazione e alta ridondanza. In acustica la linea retta
continua è una costruzione artificiale, lo stridio prodotto da alcuni insetti, come le cicale, rappresenta un’eccezione. «Questo nuovo fenomeno acustico ci costringe oggi a dei rumori di fondo permanenti, ci avvolge in fasce di rumore a larga banda, privi di personalità e di dinamica. I suoni a linea retta hanno preso il posto dei suoni discreti, il rumore della macchina è diventato “un narcotico per il nostro cervello” e nel mondo moderno è cresciuta l’indifferenza»10. La linea retta è priva inoltre dell’elemento temporale, non ha durata, potrebbe continuare in eterno, al contrario dell’esistenza biologica dei suoni naturali che hanno un percorso ciclico: nascono, si sviluppano e muoiono.
“
I piedi dell’uomo accelerarono fino a divenire il rombo dell’automobile, gli zoccoli dei cavalli il sibilo dei treni e degli aerei, e la piuma d’oca si trasformò nell’onda radio e l’abaco nel ronzio dei terminali del computer.
”
R. Murray Schafer
9. R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985, p.114 10. Ibidem, p.115
▲ R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985, p.115
capitolo 4 - Il volto sonoro della cittĂ di oggi
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profilo acustico di un suono FONTE: R. M. Schafer Il Paesaggio Sonoro
attacco
corpo
transiente
caduta
profilo di linee su un apparecchio di registrazione FONTE: R. M. Schafer
colpo fucile da caccia
ventilatore ronzio elettrico motore diesel mietitrebbia
Il Paesaggio Sonoro
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
Il suono artificiale Il rumore ambientale contemporaneo quindi può essere definito come pesante e continuo, costituito dal ronzio di macchinari e dal rombo automobilistico privo di significato. A questo va aggiunto un complesso di musiche, parole e suoni registrati, per la maggior parte ricchi di informazioni mirate, nati dalla rivoluzione elettrica. Essa introdusse nuovi effetti stravolgenti: la conservazione e accumulazione del suono, la moltiplicazione e la potenzialità di diffusione grazie agli impianti di amplificazione, e, più importante, la dissociazione dei suoni dai loro contesti originali, definita dal compositore e scrittore canadese R. Murray Schafer come schizofonia11. Il termine deriva dal verbo greco σχίζω, che vuol dire dividere, separare, e dal vocabolo greco φωνή, che
significa voce. La parola schizofonia indica pertanto la frattura esistente tra un suono originale e la sua trasmissione o riproduzione elettroacustica. Inizialmente tutti i suoni erano originali, esistevano solo in un determinato tempo e in un determinato luogo. Ogni suono era unico e indissolubilmente legato alla sorgente che lo produceva. Dopo l’invenzione delle apparecchiature elettroacustiche, primi tra tutti il telefono di Bell del 1876 e il fonografo di Charles Cros e Thomas Edison del 1877, il suono è stato reso indipendente, qualsiasi oggetto sonoro poteva essere estrapolato dal suo ambiente e ricollocato in un altro a piacimento. Coniando il termine schizofonia Schafer vuole ricollegarsi al vocabolo schizofrenia e al senso di distacco dalla realtà che essa provoca.
11. R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985, pp.131-133
capitolo 4 - Il volto sonoro della cittĂ di oggi
DISEGNO uomo al telefono con testa di un altro uomo che esce dalla cornetta o bambino che cattura i suoni con un retino da pesca come fossero farfalle
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
il suono trasmesso [DISLOCAZIONE SPAZIALE] Negli stessi anni del telegrafo inventori e scienziati sviluppano il telefono, capace di trasportare la voce umana a distanze sempre crescenti. Inizialmente immaginato come naturale sostituto del telegrafo, diventa un mezzo di comunicazione per tutti, in grado di modificare le abitudini sociali e ridisegnare le relazioni.
il suono riprodotto [DISLOCAZIONE TEMPORALE] Thomas A. Edison inventa il primo apparecchio in grado di registrare e riprodurre suoni. Il sistema trasforma le vibrazioni sonore in un solco inciso a spirale intorno a un cilindro. La produzione di massa si raggiunge però grazie a Emile Berliner inventore del grammofono, che agiva con un congegno simile al fonografo ma il cui supporto era un disco, più economico del cilindro di Edison.
il suono in casa L’impiego di onde elettromagnetiche per trasmettere messaggi vocali a distanza viene applicato a sistemi di radiotrasmissione, che verso la fine degli anni Venti porta alla nascita della radiodiffusione. Si comincia a considerare la radio come uno strumento di uso domestico. Allo stesso tempo la tecnica di registrazione acustica si sviluppa ulteriormente con la nascita del Long Playing (LP) in vinile, più resistente e di durata maggiore.
il suono in tasca A fine anni Venti le tecniche di registrazione subiscono un’ulteriore rivoluzione: si passa dal suono meccanico a quello elettrico. L’invenzione del nastro magnetico permette di registrare il suono, di modificarlo e di variarne l’intensità grazie all’amplificatore. Si sviluppa la tendenza a produrre apparecchi che consentono un utilizzo al di fuori delle abitazioni. Nasce l’audiocassetta e il walkman, così come l’autoradio, che permettono di portarsi appresso la propria musica in qualsiasi luogo.
1876 - TELEFONO
1877 - FONOGRAFO 1887 - GRAMMOFONO
1894 - RADIO 1924 - inizio tramissioni in Italia
1947 - LP
1963 - MUSICASSETTA
il suono nuovo Nel corso degli anni Ottanta il disco in vinile viene rapidamente sostituito da un nuovo supporto, il Compact Disc. Siamo passati a una nuova era tecnologica: dall’analogico al digitale. A metà degli anni Novanta nasce un formato audio che invaderà ogni luogo, l’MP3. Il suono digitalizzato si apre a infinite possiblità: non ha bisogno di un supporto particolare, è leggero e viaggia attraverso la rete, non è sogetto a usura, può essere manipolato facilmente. Dopo un processo duranto un secolo, le funzioni legate alla riproduzione e alla trasmissione del suono, un tempo riservate ad ambienti ristretti e separati, sono ora a disposizione di tutti in qualsiasi momento e possono essere mixate a piacimento.
1981 - CD
1995 - MP3
capitolo 4 - Il volto sonoro della città di oggi
“
Un’antica leggenda cinese narra che un re possedeva una scatola nera segreta dentro la quale dettava i propri ordini, che poi inviava in tutto il suo regno perché venissero eseguiti. Questo significa che la magia della cattura del suono è strettamente connessa con il potere.
R. Murray Schafer
”
La quantità di suoni artificiali, intesi come quelli prodotti da apparecchi elettroacustici, ha occupato la città in modo invasivo tanto quanto i suoni meccanici. Cellulari, radio, annunci pubblicitari, musiche nei locali, stazioni, aeroporti, supermercati creano oggi un sottofondo di messaggi informativi ai quali spesso non siamo interessati ma a cui non ci possiamo sottrarre. L’impossibilità di evitare il flusso costante di suoni e rumori ci rende degli ascoltatori “onnivori”12, udiamo di tutto, ma allo stesso tempo la nostra soglia
d’attenzione si riduce in proporzione diretta alle quantità ricevute il più delle volte passivamente. È una forma naturale di difesa che porta conseguenze anche in altre attività in cui l’ascolto dovrebbe essere vigile. E non solo nell’ascolto. Influisce anche su altri comportamenti, quali leggere, scrivere, agire, pensare. Tutto scorre su un piano superficiale e distratto, orientato alla sovrabbondanza di informazioni che, paradossalmente, invece di offrire più conoscenza, portano all’omologazione e alla ridondanza.
▲ R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985, p.133 12. Gioacchino Palma, Paesaggi Sonori, Tecnologia, Multimedialità, SCIentific RESearch and Information Technology, Vol 1, Issue 1 2011
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
I rumori in città divisione per categorie dei suoni udibili in un contesto urbano come Milano
gocciolio grondaia
scroscio
fontana
NATURA
naviglio
acqua
autolavagggio
pozzanghera grandine
pioggia
sussurri
conversazioni
grido
UOMO
fischio
richiamo pianto
voce
gemito starnuto
canto risata
tosse
ronzii
CIVILTÀ
laghetto
copertoni sull’asfalto motori
rombi
suoni meccanici
cigolii fischi
sbuffi
trilli battiti
tonfi
scoppi fruscii
stridii scricchiolii
capitolo 4 - Il volto sonoro della cittĂ di oggi
cinguettio fogliame
squittio
fruscio latrato
ululato
sibilo
aria
guaito
miagolio
grido battito d’ali
animali
ringhio
soffiare nitrito
sbattere di porte
schricchiolio
zoccoli
starnazzare sfarfallare
masticazione respiro
passi
brontolio schiocco
pernacchia
corpo
applausi battito cardiaco
deglutizione
sputo
bacio rutto
brusio computer
radio televisione
suoni artificiali
lettore musicale
scrocchio
fruscio
musiche in sottofondo
tacchettio
stridore tintinnio
effetti personali
stappare
scampanellio ruote dei trolley sbatacchiare
scricchiolio ruote dei passeggini
annunci sirene
annunci
telefono
ronzio
battito
allarmi clacson
suoni sintetici
suonerie
videogiochi
bip
segnali sonori click
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
4.4
Il primato dell’occhio la cultura retinica occidentale
La nostra capacità di udire è compromessa dal bombardamento di suoni e segnali che ci assale quotidianamente, ma si tratta di un fenomeno sviluppatosi negli ultimi decenni. La disattenzione all’ascolto non è però altrettanto recente, è anzi radicata nella cultura occidentale da quando il predominio dei sensi è stato conquistato dalla vista. L’influenza dello sguardo nel nostro modo d’essere è assai profonda; per quanto i suoni possano esercitare un fascino e un potere simbolico molto forti, la nostra società si è sviluppata favorendo una forma di comunicazione basata sulla parola scritta e sull’immagine. Si può partire addirittura dalle lontane radici della Grecia antica, quando Aristotele scriveva nella Metafisica: «la vista ci fa conoscere più di tutte le atre sensazioni e ci rende manifeste numerose differenze fra le cose»13. È indubbio che l’occhio sia fonte principale di conoscenza per l’uomo, già solo per la sua conformazione fisica: l’area della visione occupa un terzo della corteccia celebrale degli umani. I punti cardine che, generalizzando le varie ipotesi formulate,
hanno contribuito ad amplificare questa situazione nel corso della storia si possono identificre con l’invenzione della scrittura e in particolare l’utilizzo dell’alfabeto fonetico, la prospettiva e la stampa a caratteri mobili. La scrittura, risalente a quasi seimila anni fa, modifica il processo di acquisizione della cultura: dall’emozione della comunicazione orale si passa alla materialità del testo scritto. Ma è in particolar modo l’alfabeto fonetico, dell’VIII secolo avanti Cristo, che crea una rottura improvvisa tra un’esperienza auditiva e una visiva. Marshall McLuhan, letterato e sociologo canadese, considera l’alfabeto fonetico “una tecnologia del tutto particolare” poiché «a lettere semanticamente prive di significato corrispondono suoni semanticamente privi di significato»14. Un’altra fase storica fondamentale per la formazione della cultura occidentale si ha con la nascita della prospettiva pittorica, teorizzata da Leon Battista Alberti nel 1435, e della stampa, attribuita all’orafo Gutenberg nel 1450. Entrambe le invenzioni portano ad una ristrutturazione radicale
13. Aristotele, Metafisica (A, 980a), Vita e Pensiero, Milano 1993 14. Marshall McLuhan, Gli Strumenti del Comunicare, Garzanti, Milano 1967, p.89
capitolo 4 - Il volto sonoro della città di oggi
“
Vedere è un atto fondativo del nostro rapporto individuale con il mondo, è una presa di distanza dalle cose e un atto di possesso verso di esse, che stabilizza la posizione del soggetto e decide l’angolatura da cui può prendere parola. Quando sono condivisi, quando diventano cultura, tradizione, abitudine, i modi di vedere costituiscono dunque un denominatore fondamentale nelle relazioni sociali. Da qualche tempo sentiamo avvicinarsi il dubbio che le nostre tradizionali forme della visione siano logore, che i nostri occhi non siano più in grado di vedere lo spazio che ci circonda e che abitiamo.
”
Stefano Boeri
delle modalità di organizzazione del sapere. Sempre McLuhan, riferendosi alla stampa a caratteri mobili, afferma che «questo nuovo medium permise di diffondere l’informazione in quantità illimitata e con una rapidità impossibile fino ad allora, dando all’occhio un ruolo che gli ha assicurato una predominanza totale nel sistema sensoriale dell’uomo»15. Il predominio del visivo è talmente incisivo nella cultura occidentale che Roberto Barbanti, in un suo saggio16, lo
definisce come paradigma retinico. Con il termine paradigma, Barbanti si riferisce alla definizione data dal fisico austriaco Fritjof Capra all’inizio degli anni Ottanta: «la totalità di pensieri, percezioni e valori che forma una particolare visione della realtà, una visione che è alla base del modo in cui una società organizza se stessa»17. Questa visione entra in crisi nei primi del Novecento, con l’avvento dell’”epoca della riproducibilità tecnica” che ridefinisce lo statuto dell’immagine.
▲ Stefano Boeri, L’Anticittà, Laterza, Roma-Bari 2011, p.51 15. intervista di Eric Norden a Marshall McLuhan, Marshall McLuhan: a candid conversation with the high priest of popcult and metaphysician of media, Playboy Magazine, marzo 1969, Vol. 16/3 16. Roberto Barbanti, Crisi e persistenza del modello retinico occidentale. Elementi per la definizione di un nuovo paradigma acustico, in Mayr, Albert (a cura di), Musica e Suoni dell’Ambiente, CLUEB, Bologna 2001 17. Fritjof Capra, Verso una Nuova Saggezza, Feltrinelli, Milano 1988, p.16
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
«Perché non puoi vedere?» gli chiese Tin Win un giorno. «Chi dice che non posso vedere?» «Su Kyi. Lei dice che sei cieco». «Io? Cieco? Ho perso la vista molti anni fa, questo è vero. Ma non per questo sono cieco. Vedo le cose diversamente.». Dopo una breve pausa chiede: «E tu? Sei cieco?» Tin Win rifletté. «Riesco a distinguere la luce e il buio, non di più». «Non hai il naso per sentire gli odori?» «Sì». «Le mani per toccare?» «Certo». «Le orecchie per sentire?» «Naturalmente». «Che altro ti serve?» chiese U May. «L’essenziale è invisibile agli occhi». Un lungo silenzio, poi continuò: «I nostri sensi amano ingannarci, e gli occhi sono i più ingannevoli di tutti. Ci inducono ad avere troppa fiducia in loro. Crediamo di vedere quello che c’è intorno, ma quello che percepiamo è solo la superficie. Dobbiamo imparare a comprendere l’essenza delle cose, la loro sostanza, e per fare questo gli occhi ci son più d’impedimento che altro. Ci inducono a distrarci, e noi ci lasciamo abbagliare. Chi si fida troppo dei propri occhi trascura gli altri sensi»
capitolo 4 - Il volto sonoro della città di oggi
Fotografia, fonografo e poi cinema introducono una memoria visiva e acustica, garantendo una fedele riproduzione del reale. Ed ecco che le immagini, moltiplicabili a piacimento, si diffondono e pervadono il sociale grazie soprattutto al medium televisivo, prendono il sopravvento sulla realtà stessa trasformandola in un immenso spettacolo. In seguito, col passaggio dall’analogico al digitale, arrivano le immagini di sintesi, che non riproducono più nulla ma sono prodotte ex-novo, sono “concepite”, divengono anche interattive e ci assorbono. Le reti telematiche smaterializzano il medium tecnico, esso diventa sempre più impalpabile e cibernetico, tanto da essere “interiorizzato”, ci immerge in un universo sensoriale così avvolgente da non essere più percepito come esteriorità ma come continuità di noi stessi. Tali peculiarità si discostano dal paradigma retinico teorizzato inizialmente, a cui Barbanti attribuisce le caratteristiche di separatezza, fissità e linearità18. Per questo egli propone un nuovo modello
di percezione del reale per dotarci di strumenti adatti ad affrontare le trasformazioni in atto, che individua nel paradigma acustico, un paradigma cioè basato sull’ascolto concepito come un approccio basato sulla polisensorialità e sull’immaterialità. Non va dimenticato che ogni senso è assolutamente indispensabile ed è di fondamentale importanza il rapporto sinestetico che vi è tra loro. La vista è troppo inclusiva, non lascia spazio ad altro, porta ad una deprivazione sensoriale. «La dominanza del visivo ha spesso significato che l’esperienza degli altri sensi è stata filtrata attraverso un contesto visuale. La riduzione del sapere all’aspetto visuale ha posto limitazioni gravi alla nostra capacità di afferrare i significati connessi a molti comportamenti sociali, ha messo un freno alla nostra immaginazione»19. L’universo del suono ci chiama ad un’attenzione al mondo che non vuole costruire un’altra Weltangschauung (“visione del mondo”), bensì una nuova Weltanhorchung (“ascolto del mondo”), proposta da Albert Mayr20, di cui si avverte un’impellente necessità.
18. Separatezza: la vista è l’unico senso che non richiede contatto, anzi al contrario esige una certa distanza. Fissità: gli oggetti sono percepiti nella loro immobilità o nel loro movimento in rapporto a un modo stabile. Linearità: la vista è il solo senso che si dà in una dinamica orientata e focalizzante; non posso vedere due oggetti sovrapposti in linea retta e non posso vedere a 360°, devo scegliere un solo ambito direzionale 19. Joachim-Ernst Berendt, Il terzo Occhio, 1985 20. Albert Mayr (a cura di), Musica e Suoni dell’Ambiente, CLUEB, Bologna 2001 ◄ Jan-Philipp Sendker, L’arte di ascoltare i battiti del cuore, Neri Pozza Editore, Vicenza 2009, pp.122-123
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
La riscoperta dell’ascolto
4.5
l’udito come strumento di cambiamento
L’esperienza umana può essere resa solo attraverso una “democrazia dei sensi”, ossia quando nessun senso è privilegiato. Si intende in questa ricerca contrastare la presunta supremazia della vista, senza per forza dover mettere da parte il visivo, ma piuttosto sottolineare il ruolo altrettanto cruciale che il suono svolge nella nostra esperienza e comprensione del mondo. La percezione visuale e quella aurale sono sistemi complementari, entrambi sono strumenti principali del nostro linguaggio. Occhio e orecchio devono collaborare per portare ad una concezione dell’ambiente più ampia, capace di prendere in considerazione l’intero spettro del fenomeno percettivo e di sviluppare una dimensione sensoriale allargata che superi i confini del visivo. A tal proposito si schiera con fervente convinzione l’economista e intellettuale francese Jacques Attali, nel suo libro del 1977 Rumori. Saggio sull’economia politica della musica, in cui sostiene, con intuizione visionaria, come lo sguardo stesse rendendo cieca la società contemporanea e invece il suono
funzionasse da subconscio, anticipandone il suo divenire. «Si può oggi parlare finalmente di una cultura del suono, fluida, rizomatica e dinamica che si contrappone alla cultura visiva, gerarchica e lineare, del pensiero occidentale tradizionale. Da sempre il luogo dell’universalità e della coesistenza delle differenze, il suono esprime al meglio la natura liquida, contraddittoria del mondo che abitiamo: ci accompagna nel corso della vita, riempie gli interstizi della quotidianità, si introduce e penetra nelle pieghe della realtà. Guardarsi intorno non basta più; occorre soprattutto ascoltare. Ascoltare la vibrazione sonora, l’eco del mondo per cercare di individuare, seguendo l’intuizione di Attali, i mutamenti e gli sviluppi della società futura»21. Ascoltare, oggi, non è soltanto fare attenzione ai suoni che ci circondano, senza che essi ci sovrastino o che ci sfiorino distrattamente, ma è anche liberarsi dagli schemi estetici che, rafforzati dalla ripetizione reiterata, sono diventati abitudine e convenzione, in grado di alimentare una cieca resistenza
21. da Zerynthia, Associazione per l’Arte Contemporanea (http://www.zerynthia.it/ram.asp?id=339)
capitolo 4 - Il volto sonoro della città di oggi
“
Il sapere occidentale tenta, da più di venticinque secoli, di vedere il mondo. Non ha capito che il mondo non si osserva, si sente. Che non si legge, si ascolta. La nostra scienza ha sempre voluto controllare, contare, astrarre e castrare i sensi, dimenticando che la vita è rumore e solo la morte è silenzio: rumori del lavoro, rumori degli uomini e rumori delle bestie. Rumori comprati, venduti o proibiti. Nulla di essenziale accade ove non sia presente il rumore. Oggi lo sguardo ha fallito, lo sguardo che non vede più il nostro avvenire, che ha edificato un presente fatto di astrazione, di assurdità e di silenzio. Allora bisogna imparare a giudicare una società in base ai suoi rumori, alla sua arte e alla sua festa, piuttosto che in base alle statistiche. Ascoltando i rumori, si potrà capire meglio dove ci trascina la follia degli uomini e delle cifre, e quali speranze sono ancora possibili.
Jacques Attali
”
▲ Jacques Attali, Rumori. Saggio sull’economia politica della musica, Mazzotta, Milano, 1978
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
capitolo 4 - Il volto sonoro della città di oggi
nei confronti di ciò che è nuovo e attuale. Il suono va esplorato, per darci la possibilità di pesare con le nostre orecchie. È basilare non limitarsi all’ambito dell’acustica o della fisica perché proprio come il suono non ha limiti di spazialità, così gli studi sull’ascolto oltrepassano le divisioni accademiche. Michael Bull e Les Back, nell’introduzione al loro libro “Paesaggi Sonori. Musica, voci, rumori: l’universo dell’ascolto” propongono un nuovo tipo di ascolto, l’ascolto profondo22. Non si tratta dell’ascolto ovvio e immediato ma di un modo di sintonizzare le orecchie per poter sfogliare i «molteplici strati di significato potenzialmente integrati in uno stesso suono»23. C’è da domandarsi allora come ci apparirebbe il mondo se, invece di guardarlo, ci fermassimo ad ascoltarlo. Invece che ritirarci negli spazi chiusi, o isolarci in private colonne sonore, dobbiamo imparare ad analizzare e apprezzare l’ambiente acustico perché può essere un veicolo di informazioni estetiche e sociali, può essere elemento d’aggregazione
collettiva, può rispondere a necessità contemplative e soprattutto può cambiare la dimensione percettiva dello spazio. La sensibilizzazione all’ascolto si pone allora come obiettivo principe del progetto in ambito urbano, per ridare una dimensione umana al frastuono metropolitano, per unificare i sensi in un’esperienza plurisensoriale che riavvicini le persone allo spazio che loro appartiene, per ritrovarne l’identità perduta. «Lo spazio pubblico è il luogo dove queste sinergie possono compiersi a livello collettivo e i progetti ad esso dedicati sono in grado di dare risposte formali ai bisogni reconditi e più volte ancora sconosciuti degli individui che popolano la società contemporanea»24. La privazione sensoriale, l’inerzia del contemplatore o la ricezione distratta alla quale è sottoposto l’abitante della città globale possono essere contrastati in ambito locale, adottando nel progetto di riqualificazione urbana un approccio artistico e partecipativo.
22. Michael Bull; Les Back, Introduzione: Nel suono, in Bull, Michael; Les Back, Paesaggi Sonori. Musica, voci, rumori: l’universo dell’ascolto, Il Saggiatore, Milano, 2008 23. Ibidem 24. Diego Angelico Escobar, Play the City. Colonne Sonore per la Città Dialogante, 2011, p.6
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capitolo
5 URBANISTICA DEI SENSI
5 Urbanistica dei Sensi
CAPITOLO
5.1 Spazio urbano, repellente per il pubblico l’impoverimento dei luoghi pubblici
5.2 Kevin Lynch la percezione della città SCHEDA
L’immagine della città
5.3 David Howes sensory studies
5.3.1 Geografia urbana 5.3.2 Sensory history 5.3.3 Architettura
5.4 Il senso della città un approccio alternativo all’urbanismo
capitolo 5 - Urbanistica dei sensi
Spazio urbano, repellente per il pubblico 5.1 l’impoverimento dei luoghi pubblici
L’impoverimento e il restringimento dello spazio pubblico è un tema che da tempi recenti è entrato nei dibattiti riguardanti architettura e urbanistica. La dislocazione delle attività pubbliche in nuove specie di spazi, privati ma ad uso della comunità, dedicati principalmente al consumo, o il trasferimento di funzioni di comunicazione e intrattenimento all’interno della sfera privata grazie a televisione e computer, hanno contribuito allo svuotamento delle aree urbane, con un relativo aumento del senso di insicurezza e quindi di paura. Per contrastare la paura si è passati ad un maggiore controllo dello spazio aperto, ricorrendo a metodi come illuminazione, recinzioni e telecamere di videosorveglianza, quasi a rendere, come fa notare il professore Steven Flusty, gli spazi urbani blindati e repellenti al pubblico stesso. Un esempio lampante, parlando per esperienza personale, è la nuova stazione di Roma Tiburtina. Mi è capitato di recente di dovervi trascorrere due ore in attesa del treno per tornare a casa. Un corridoio lungo 300 metri
sospeso sopra i binari, una struttura in acciaio e vetro che dovrebbe fungere da collegamento tra i quartieri adiacenti e da galleria del commercio, oltre che da snodo ferroviario, 18.000 m2 in cui non sono riuscita a trovare una panchina, una sedia, un muretto basso su cui appoggiarmi mentre aspettavo il treno. Seduta per terra sotto il tabellone degli orari, in attesa di sapere quale sarebbe stato il binario di partenza, sono stata invitata ad alzarmi, perché mi avevano visto dalle telecamere di sorveglianza e, a quanto pare, lì è vietato sedersi sul pavimento. Di luoghi inospitali, follemente inadatti ad accogliere un passante, ne è piena la città di oggi. La domanda da porsi è: si può attuare un cambiamento per vivere serenamente con le diversità e trarre vantaggio dalla varietà di stimoli presenti su suolo pubblico? Zygmunt Baumann asserisce proponendo «la diffusione di spazi pubblici aperti, invitanti e ospitali, spazi che ogni cittadino sia invogliato a frequentare e condividere intenzionalmente con piacere»1.
1. Zygmunt Bauman, Fiducia e paura nella città, Bruno Mondadori, Milano 2005, p.33
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
capitolo 5 - Urbanistica dei sensi
Occorre dunque riscoprire le possibilità dell’ambiente urbano e guardarlo in un nuovo modo, come un luogo per il corpo. Nonostante l’impoverimento a cui è soggetto, l’ambiente fisico urbano rappresenta ancora una parte vitale dell’esperienza umana, esiste ancora la seduzione che i luoghi hanno su di noi. La nuova era di internet e mobile devices ha introdotto la possibilità di fare qualsiasi cosa ovunque, slegando le attività da un determinato luogo e permettendo al cittadino di muoversi nel tessuto urbano in piena libertà, ma il cyberspazio non può diventare un sostituto dell’ambito pubblico tangibile.
I due mondi però si possono incontrare, l’espansione del mondo virtuale, globalmente connesso, elimina un fattore discriminante tra i luoghi, l’accessibilità onnipresente rende le altre qualità di uno spazio fondamentali per la sua capacità di attrazione. Lo spettro dei fenomeni percettivi, quali proprietà tattili e materiche, controllo della temperatura, dell’umidità, degli odori e qualità acustiche, è ormai notevolmente diffuso, anche se non abbastanza, in ambito di progetto all’interno degli spazi privati o commerciali, dall’architettura al marketing, ma è ancora poco sviluppato quando si parla di luoghi urbani.
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immagine tratta dal film 500 days of Summer
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
5.2
Kevin Lynch la percezione della città
«La dimensione sensoriale è un elemento inscindibile e caratterizzante dei territori urbani. Nell’era dell’inquinamento atmosferico, acustico ed olfattivo - causato dalle attività umane, diviene inaccessibile e nascosta proprio quella collezione di scorci, profumi, odori, voci e rumori che compone il tessuto più intimo, autentico e profondo delle nostre città»2. Secondo diversi autori il primo a teorizzare uno studio riguardante l’urbanistica dei sensi fu Kevin Lynch, durante alcune ricerche svolte al MIT negli anni cinquanta. Sebbene il suo nome sia associato prevalentemente all’analisi sulla percezione visiva della città, grazie al successo e alla diffusione del libro The Image of the City del 1960, l’intuizione di Lynch ha origine da più ampie ricerche. Egli infatti si trovò a operare in un periodo storico e culturale particolare, gli USA alla fine degli anni cinquanta, un calderone di immigrati provenienti da ogni parte del mondo, che necessitavano di trovare punti di riferimento nella nuova città. Di fronte ad un quadro sociale così sfaccettato,
la politica urbana americana aveva il compito di creare una base condivisibile che garantisse l’integrazione dei vari spezzoni della società. Poiché ogni neo cittadino possedeva culture totalmente divergenti, l’unico punto in comune per ricostruire un significato dei luoghi era l’esperienza diretta, una lettura della città che facesse emergere dei riferimenti universali. «Egli era affascinato dalla forma fisica della città, dall’esperienza urbana in generale e dall’interazione tra lo spazio fisico e l’uso che gli esseri umani ne facevano ed era curioso di comprendere come la gente, e non il progettista esperto, vivesse gli spazi della vita quotidiana e quali valori e significati vi attribuisse»3. Quello di Lynch e del suo gruppo di ricerca era un metodo sperimentale caratterizzato da un rimando continuo tra teoria e prassi, attraverso l’esperienza e il confronto con la gente. Lynch e la sua equipe avevano deciso di abbandonare le torri d’avorio dell’accademia per gettarsi nella mischia, nel cuore pulsante della città, alla ricerca delle qualità esperienziali dei luoghi.
2. Daniele Dal Sasso, Spazi urbani da vivere. L’Ict risveglia i sensi, Corriere Comunicazioni, 6 Aprile 2013 http://www.corrierecomunicazioni.it/archivio-giornale/2013/6/Corcom_18.pdf 3. Antonella Radicchi, Sull’Immagine Sonora della Città, Firenze University Press, 2012, p.3
capitolo 5 - Urbanistica dei sensi
L’immagine della Città Il libro più famoso di Lynch, L’immagine della città, pubblicato nel 1960, è il risultato di una indagine sperimentale durata cinque anni basata sulla tecnica dell’intervista e dell’analisi diretta sul luogo. Punto di riferimento teorico per l’analisi della città e, in particolare (come si evince dal titolo), per quanto concerne il suo impatto visivo nei confronti dei suoi abitanti, questo libro cerca di capire come l’immagine di una città possa influenzare la vita quotidiana. Attraverso la ricerca su tre aree-studio americane, Lynch individua i cinque elementi che combinandosi tra loro in varie forme e, a volte, compenetrandosi e coincidendo, formano il paesaggio urbano: • PERCORSI: strade, camminate, passaggi, ed altri canali utilizzati dalla gente per spostarsi; • MARGINI: confini e limiti ben percepiti come mura, edifici, spiagge; • QUARTIERI: sezioni relativamente larghe della cittàcontraddistinte da caratteri specifici e da una propria identità; • NODI: punti focali della città, intersezioni tra vie di comunicazione, punti d’incontro; • RIFERIMENTI: oggetti dello spazio velocemente identificabili, anche a distanza, che funzionano come punto di riferimento ed orientamento.
La prima parte del testo pone proprio l’accento sul punto di vista dei cittadini che vivono e lavorano nelle aree individuate: le loro opinioni, raccolte prima attraverso interviste e poi elaborate, sono servite a capire come la città possa influenzare la vita quotidiana: importante per gli studiosi è la possibilità e la facilità delle persone di muoversi ed orientarsi nei centri. Gli elementi individuati contribuiscono così a creare le diverse immagini visibili nelle varie parti della città, immagini che, come sostiene l’autore, dovrebbero essere forti e vigorose al fine di meglio definire la loro presenza urbana. Il capitolo “La forma della città” è volto a dare consigli e suggerimenti per la progettazione in ambito urbano e per il disegno della città, alla luce di quanto emerso prima. L’ultimo breve capitolo riguarda invece alcune considerazioni sulla progettazione a grande scala. I consigli che ne scaturiscono sono volti a configurare l’ambiente urbano in forme che attraggano lo sguardo e che siano al tempo stesso modellabili ai propositi dei cittadini, in cui si possa realizzare il senso di comunità. Questo perché “se l’ambiente fosse visibilmente organizzato e precisamente definito, il cittadino potrebbe impegnarlo di associazioni e significati. Esso diverrebbe allora veramente un “posto”, rimarchevole e inconfondibile”.
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Dahlia Elasayed Some Heavy Indulgences 2009
parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
Nel 1954 Kevin Lynch e Gyorgy Kepes dettero avvio a The Perceptual Form of the City, un progetto di ricerca pionieristico, sponsorizzato dalla Fondazione Rockefeller, che indagava la relazione tra l’esperienza sensuale urbana e la capacità degli individui di usare e godere gli spazi pubblici della città. Essi ritenevano infatti che le immagini visuali, i suoni, gli odori e le condizioni atmosferiche di cui noi facciamo esperienza fossero il risultato della città fisica e che la forma urbana, come percepita da tutti i sensi, fosse in grado di soddisfare importanti esigenze, di condizionare la sfera emozionale e persino di influire sulle decisioni dei cittadini. La ricerca si proponeva di analizzare l’ambiente della città per poi sviluppare il progetto di un ambiente urbano che facesse sentire agli abitanti la città come un unicuum, che ne facesse percepire il calore, la ricchezza di stimoli e attività offerte. Anche se successivamente essi decisero di restringere il campo di indagine alla sola percezione visiva della città, rimase salda, specialmente in Kevin Lynch,
capitolo 5 - Urbanistica dei sensi
la convinzione dell’importanza di una visione olistica del processo percettivo ed esperienziale della città. L’attenzione alla dimensione sensoriale ed esperienziale è presente anche nelle diverse edizioni di Site Planning4, libro di testo sul progetto e la pianificazione del territorio. Il focus sulla percezione visiva è sempre predominante ma non manca mai di sottolineare l’importanza che gli altri sensi hanno per la comprensione della forma dello spazio. «Altri sensi oltre alla vista comunicano la forma di uno spazio. Il più rilevante è il senso dell’udito. Il carattere di uno spazio ci è in parte fornito dalla qualità del rumore che si riflette nelle nostre orecchie: l’assenza di eco, ad esempio, è interpretata come uno spazio aperto»5. Lynch affronta anche il problema di una carenza di mezzi di rappresentazione e comunicazione degli elementi sensoriali di un luogo, denunciando l’inefficienza del linguaggio grafico classico. «I linguaggi codificati di pianificazione urbana – piante, sezioni, dettagli, specifiche scritte, prospettive – sono 4. Lynch 1962; Lynch 1971; Lynch, Hack 1984 5. Kevin Lynch, Site Planning, The MIT Press, Cambridge 1962, p.62
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“
Guardare le città può dare uno speciale piacere per quanto banale possa essere ciò che si vede. Come un’architettura, una città è una costruzione nello spazio, ma di scala enorme, un artefatto che è possibile percepire soltanto nel corso di lunghi periodi di tempo. II disegno urbano è quindi un’arte temporale, ma raramente essa può servirsi delle limitate e controllate sequenze che sono proprie di altre arti temporali, come la musica. In occasioni diverse e per diverse persone, le sue sequenze vengono invertite, interrotte, abbandonate intersecate. Esso viene visto sotto Iuci e condizioni atmosferiche di ogni tipo. Ad ogni istante, vi è più di quanto l’occhio possa vedere, più di quanto l’orecchio possa sentire, qualche area o qualche veduta rimangono inesplorate. Niente è sperimentato singolarmente, ma sempre in relazione alle sue adiacenze, alle sequenze di eventi che portano ad esso, alla memoria delle precedenti esperienze.
Kevin Lynch
”
▲ Kevin Lynch, L’Immagine della Città, Marsilio, Venezia 2001 (ed. orig. 1960)
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modi per comunicare molti degli elementi riguardanti i sensi di un sito, ma non tutti. Falliscono nel trasmettere la qualità delle attività visibili, ad esempio, così come non comunicano molto sull’atmosfera (luce, suono, clima, odore). Ulteriori disegni possono essere aggiunti, mentre le attività possono essere simboleggiate in maniera astratta. Sono pur state sviluppate nuove annotazioni, ma rimane vero che non possediamo un effettivo sistema grafico per rappresentare questa dimensione sensoriale»6. Avere una mappa completa dei sensi di un luogo risulta difficile non solo per i limitati mezzi di rappresentazione, ma anche perché quando si parla di percezione si intende un rapporto personale tra un soggetto e un oggetto, l’interazione tra una persona e lo
spazio: la percezione è un atto creativo, non una recezione passiva, afferma Lynch. Ed ogni osservatore avrà una sensibilità differente verso il medesimo luogo. Come non sarà possibile avere un’immagine comune e condivisa di un ambiente da parte di più individui, così il singolo non può avere una visione completa e totale della città, ma una sommatoria di frammenti raccolti nel tempo e ricostruiti attraverso la memoria. Perciò è necessario sfruttare al meglio tutti i sensi per cercare di ricomporre un’immagine unitaria. «Spesso la nostra percezione della citta non è distinta, ma piuttosto parziale, frammentaria, mista ad altre sensazioni. Praticamente ogni nostro senso è in gioco e l’immagine è l’aggregato di tutti gli stimoli».
6. Kevin Lynch, Site Planning, The MIT Press, Cambridge 1971, p.224
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David Howes
5.3
sensory studies
L’antropologo canadese David Howes definisce sensory studies l’area di ricerca sviluppatasi nell’ultimo ventennio che indaga un approccio multisensoriale al campo delle scienze umane. Tale ambito disciplinare, come già visto negli studi di Kevin Lynch, ha investito anche architettura e urbanistica, portando molti studiosi ad occuparsi di come l’attenzione ai sensi abbia modificato la nostra comprensione del mondo fisico e costruito. Howes, cofondatore del Centre of Sensory Studies, piattaforma interdisciplinare di ricerca della Concordia University di Montréal, offre nel suo saggio Architecture of the Senses un’ampia panoramica di come questa rivoluzione sensoriale abbia prodotto significativi cambiamenti in campi disciplinari quali la geografia urbana, l’antropologia urbana e l’architettura: al posto di leggere o visualizzare la città siamo giunti a un sentire la città.
Geografia urbana Nell’ambito della geografia urbana il geografo J. Douglas Porteous, nel suo testo Landscape of the Mind7, muove una critica verso chi si limita ad un’estetica del visivo, e in particolare polemizza contro la tendenza ad acquisire dati forniti dai satelliti attraverso sistemi di sensori a controllo remoto, che considera freddi e distaccati, con una visione aerea esteticamente appagante ma fittizia. Egli auspica un ritorno ad un’esplorazione diretta del territorio, che definisce percezione intima (intimatesensing), più ricca, calda e coinvolgente. Il senso dello spazio e il carattere di un luogo dipendono dal mondo in cui i sensi si manifestano e si compongono tra loro: la percezione di uno stesso luogo varia in relazione al senso prevalentemente coinvolto. La percezione uditiva e quella olfattivo sono discontinue e frammentarie, quella tattile è aggregativa, quella visiva è distaccata.
7. J. Douglas Porteous, Landscape of the Mind: Worlds of Sense and Metaphor, University of Toronto Press, Toronto 1990
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Jazzberry Blue New York Milan New Dehli Paris map artworks
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Sensory history Altro ramo degli studi sui sensi approfondito da Howes è la sensory history, che analizza le pratiche sensorie che nel corso della storia produssero particolari sensibilità. Come già descritto in precedenza, la vista, nella cultura occidentale, finì per distaccarsi dagli altri sensi ed assumere un ruolo dominante. Come sostiene il sociologo James Scott, la formazione dello stato moderno si affermò in parallelo al processo di razionalizzazione del territorio in cartografie e modelli che ne semplificavano la varietà8. Caso esemplare ne è Brasilia in cui l’ordine formale e la segregazione funzionale portarono ad un impoverimento dell’esperienza sensoriale urbana e alla creazione di un ambiente anonimo e alienante. La prima generazione di residenti di Brasilia coniò il termine brasilite per connotare la loro traumatica reazione e il rigetto che l’anonimia della città provocava in loro.
Tuttavia i grandi piani raramente raggiunsero gli obiettivi per i quali erano stati progettati: questo perché la visione da tunnel che vorrebbe imporre lo stato moderno non riesce a sostituire il modo in cui i cittadini “con gli occhi sulla strada”9 abitano i propri quartieri. Anche Richard Sennet11 da sempre si scaglia contro la deprivazione sensoriale che impone la modernità e critica aspramente la monotonia, la sterilità tattile, l’opacità che caratterizzano l’ambiente urbano moderno. Egli attribuisce le cause di tale condizione allo sprawl urbano11, che da luogo alla dispersione della popolazione nella discontinua geografia dei sobborghi, e al modo in cui le moderne “tecnologie di movimento” come automobili, autostrade, ascensori, agiscano come cellule in grado di traportarci da un punto ad un altro senza sforzo e senza che i nostri corpi vengano intaccati dagli stimoli fisici esterni.
8. James Scott, Seeing Like a State: How Certain Schemes to Improve Human Conditions Have Failed, Yale University Press, New Haven 1998, citato in Howes, 2005, p. 324 9. Si fa riferimento all’espressione usata da Jane Jacobs in The Death and Life of Great American Cities 10. Richard Sennett, Flesh and Stone: The Body and the City in Western Civilization, New York 1994 11. Normalmente l’espressione “sprawl urbano” definisce l’estensione di una città e dei suoi sobborghi sulle aree rurali poste ai confini dell’area urbana, ciò si traduce nella trasformazione di spazi aperti in spazi costruiti e, a lungo termine, nella crescita di una serie di esternalità ambientali negative.
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pagina a fianco mappa della città di Brasilia
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pagina a fianco Alvar Aalto Disegni tecnici del progetto per la Biblioteca civica di Viipuri, Russia 1930-1935
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Architettura Riguardo all’ambito architettonico soltanto negli ultimi anni la teorizzazione di un’architettura dei sensi ha iniziato a ricevere attenzione grazie alla pubblicazione di alcuni studi come Gli Occhi della Pelle di Juhani Pallasmaa, Storie di Architettura attraverso i Sensi di Anna Barbara e Architettura dei Sensi di Daniela Martellotti. Pallasmaa afferma che «l’architettura è l’arte di riconciliare noi stessi con il mondo, e tale mediazione avviene attraverso i sensi»12. Ciò che sta accadendo è invece il contrario. «In tutti i settori della vita contemporanea, l’ossessione attuale dell’immagine visiva istantanea e seducente favorisce un’architettura retinica concepita per essere diffusa e essere apprezzata come immagine fotografica […] anziché vissuta mediante la percezione del corpo. Desta una preoccupazione sempre maggiore l’idea che tale incontestata predominanza visiva stia generando un’architettura che evoca l’alienazione, l’astrazione e la distanza invece di promuovere le sensazioni positive dell’appartenenza, del
radicamento, dell’intimità. Una buona architettura offre sempre domicilio a tutti i sensi contemporaneamente e si fonde con la nostra esperienza del mondo»13. Egli porta come esempio di quello che lui chiama sensory realism il lavoro di Alvar Aalto per la ricchezza dei materiali usati, per l’attenzione rivolta alla dimensione acustica dello spazi e la ricerca verso un’architettura aptica capace di creare spazi intimi, tattili, plastici. Anna Barbara dedica alcune pagine del suo libro Storie di Architettura attraverso i Sensi alle opere dell’architetto finlandese: «i suoi edifici cercavano di conseguire un dialogo con il sensibile, non per eccitarlo, né per devastarlo, ma solo per renderlo partecipe dell’esperienza architettonica con tutti i sensi»14. La biblioteca di Viipuri ad esempio ha una sezione che è il negativo di un’onda sonora. Il soffitto ondulato in listelli di legno è studiato perché il suono, riflettendosi, possa raggiungere l’orecchio umano nel migliore dei modi. A dieci anni di distanza dalla prima pubblicazione del suo libro, nella prefazione alla seconda
12. Juhani Pallasmaa, The Eyes of the Skin: Architecture and the Senses, Academy Editions, London 1996, p.50 13. Juhani Pallasmaa, L’architettura della corporeità, in Daniela Martellotti, Architettura dei sensi, Mancosu, Roma 2004, pp.13-16 14. Anna Barbara, Storie di Architettura attraverso i Sensi, Bruno Mondadori, Milano 2000, p.140
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edizione, Anna Barbara fa alcune considerazioni su come la rivoluzione digitale abbia apportato considerevoli cambiamenti al mondo. Il corpo ha esteso la sua sensibilità e le sue potenzialità grazie alle nuove tecnologie che fanno da protesi onnipotenti; ciò ha portato a separare la percezione dall’emozione, delegando la prima alle capacità dei mezzi tecnologici e la seconda alle modalità assimilative del soggetto. La percezione quindi sta fuori di sé e l’emozione dentro di sé. Un’altra questione sollevata è l’uso a fine esclusivamente commerciale che si fa dei sensi per rendere più accattivante l’esperienza del cliente. In
particolare la creazione di microclimi destinati a luoghi di divertimento, che decontestualizzano uno spazio dall’ambiente naturale, manipolano il tempo e la percezione, rendendo i sensi non più il mezzo ma il fine dell’architettura. Geografia umana, storia sociale e architettura sono ambiti che, come abbiamo visto, sono oggetto di una rivoluzione dei sensi. Secondo Howes, questo processo di “sensualizzazione della teoria” che è in corso da alcuni anni, offre possibilità inedite di sentire la città ed apre interessanti prospettive di ricerca e sperimentazione anche nel campo degli studi urbani.
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Il senso della città
5.4
un approccio alternativo all’urbanismo
Dopo l’analisi della letteratura e degli studi presenti ad oggi sull’urbanistica dei sensi vorrei concludere portando come esempio di un’applicazione a livello museale la mostra Sense of the City. An Alternate Approach to Urbanism, presentata ed esposta dal Canadian Centre of Architecture e curata da Mirko Zardini nell’ottobre del 2005. La mostra, dedicata al tema della percezione urbana, mette in discussione il dominio della vista e propone un ripensamento delle qualità latenti della città, offrendo una complessa analisi dei comfort, dei sistemi di comunicazione e della dimensione sensoriale della vita urbana e suggerendo un nuovo spettro di esperienze. Come spiega Zardini, ormai l’odore è stato sistematicamente cancellato dalle strade in nome dell’igiene, risultato di un processo iniziato nel XIV secolo. Un bombardamento di suoni elettronici e rumore ambientale pervade lo spazio sociale, un tempo riservato alla comunicazione verbale, costringendo i pedoni e gli automobilisti a ritirarsi in un personale e controllato paesaggio sonoro.
La tattilità è del tutto inesplorata come mezzo di navigazione ed escursione della città, mentre continui sforzi vengono fatti per neutralizzare le variazioni di temperatura. Il percorso espositivo intende reintrodurre il cittadino in un’esperienza nuova e approfondita dell’ambiente urbano attraverso disegni, fotografie, video, modelli, installazioni, suoni registrati e odori. L’introduzione alla mostra avviene in una sala in cui i nostri limitati sensi sono messi a confronto con il mondo animale: le membrane olfattive di un cane sono trenta volte più gradi delle nostre, una formica può percepire i più minimi movimenti del terreno e un’ape è in grado di rilevare piccoli campi magnetici. Il percorso prosegue, diviso in cinque sezioni corrispondenti all’incirca ai cinque sensi, presentando i modi in cui vista, olfatto, udito, tatto e percezione della temperatura sono sentiti nella vita cittadina di tutti i giorni. Le sezioni sono: Nocturnal City, Seasonal City, Sound of hte City, Surface of the City e Air of the City.
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SURFACE OF THE CITY
SOUND OF THE CITY
SEASONAL CITY
[TATTO]
[UDITO]
[TEMPERATURA]
AIR OF THE CITY
INTRODUZIONE
NOCTURNAL CITY
[OLFATTO]
[confronto con il mondo animale]
[VISTA]
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Nocturnal City La prima parte si focalizza sul senso della vista limitandolo, ossia affronta gli effetti della notte sulla città. Le questioni sollevate vanno dal ruolo più o meno dannoso dell’illuminazione artificiale, l’eliminazione della differenza tra il giorno e la notte, la sicurezza e una riflessione sul mondo dei ciechi, con guide audio tattile e mappe Braille.
Seasonal City Neve, ghiaccio e freddo sono l’argomento della seconda parte, e il contrasto che esiste tra la reazione di diverse culture. Come mai una società riesce ad operare alle temperature più estreme o inventa favole per poeticizzare il buio invernale, mentre altre ricercano ambienti costantemente climatizzati e tentano di negare l’esistenza della neve, che invece possiede la straordinaria capacità di attutire i suoni e riflettere la luce, mutando radicalmente il paesaggio.
Sound of the city La parte legata al suon parla principalmente del lavoro del Vancouver Soundscape Project, che si occupò di registrare e mappare i suoni delle città. Ad esso sono affiancati studi e mappature più recenti, che mettono in luce quanto il rumore di fondo sia diventato invadente ma a cui ormai siamo indifferenti grazie all’uso dell’iPod.
capitolo 5 - Urbanistica dei sensi
Surface of the city La quarta parte si focalizza sul tema dell’asfalto e i visitatori sono guidati a toccare superfici di diversi tipi di asfalto. Questa “pelle” del suolo urbano ha ricoperto le strade eliminando lo sporco e la polvere di un tempo e le ha rese levigate e uniformi. Le qualità dell’asfalto sono sia celebrate che criticate, dal ruolo di bonifica delle strade a colata inquinante per il terreno.
Air of the city La mostra si conclude con il mondo dell’olfatto. Il visitatore è invitato ad aprire delle boccette contenenti aromi come pane, erba o pioggia e considerare come l’aria condizionata abbia spento la nostra esperienza dell’atmosfera.
Conclusioni Sense the City è un progetto ambizioso con un reale potenziale di influenza su architetti e artisti, ma mantiene un carattere eccessivamente ordinato e pulito e non rispecchia il lato caotico della città derivante dall’essere luogo di incontro e scontro di molteplici differenze. Il passo successivo sarebbe dunque il trasferimento di tali concetti al di fuori della sala museale e a diretto contatto con la realtà urbana, la strada stessa dovrebbe diventare la prossima fermata dell’urbanismo sensoriale.
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capitolo
6 RUMORE e MUSICA
6 Rumore e Musica
CAPITOLO
6.1 I suoni della città messi in musica
6.6 Camouflage il sottofondo progettato
avanguardie, sperimentazioni e nuove sensibilità
6.2 Luigi Russolo
6.7 Erik Satie
l’Arte dei Rumori
la musica come arredo
6.2.1 Il movimento futurista e la musica 6.2.2 Luigi Russolo e l’Arte dei Rumori 6.2.3 La classificazione dei rumori 6.2.4 Gli intonarumori 6.2.5 Il “grande concerto futurista” 6.2.6 Riproduzioni degli intonarumori 6.2.7 Reinterpretazione degli intonarumori
6.7.1 Troppo giovane in un mondo ancora vecchio 6.7.2 Musique d’Ameublement 6.7.3 Muzak 6.7.4 L’eredità alla musica moderna
SCHEDA
6.8 Brian Eno ambient music
6.3 Edgard Varèse il precursore della musica elettronica
SCHEDA
6.3.1 L’influenza di Russolo 6.3.2 La musica è “suono organizzato” 6.3.3 Ionisation 6.3.4 Come nacque la musica di Frank Zappa 6.3.5 I nuovi strumenti
6.4 Pierre Schaeffer la musique concréte
6.4.1 Studio sulle ferrovie 6.4.2 Musica concreta 6.4.3 L’oggetto sonoro 6.4.4 Arte acusmatica e ascolto ridotto
6.5 John Cage sperimentazione e indeterminazione
SCHEDA
6.5.1 Alla ricerca di suoni inauditi 6.5.2 Il superamento dei limiti 6.5.3 Il libero ascolto 6.5.4 La casualità come processo compositivo 6.5.5 Anche il silenzio è musica 6.5.6 4’33’’ 6.5.7 Storia di un Corpo: l’acufene’
SCHEDA
6.8.1 La nascita dell’Ambient Music 6.8.2 Influenze e innovazioni 6.8.3 Ad ogni ambiente la sua atmosfera 6.8.4 Ambient Music manifesto
capitolo 6 - Rumore e Musica
I suoni della città messi in musica
6.1
avanguardie, sperimentazioni e nuove sensibilità
Abbiamo già visto nel primo capitolo come il paesaggio sonoro naturale quieto e discreto abbia progressivamente lasciato spazio ad un incremento generale del rumore nella vita cittadina, di seguito all’introduzione di macchinari legati ai processi della rivoluzione industriale. Il vivere immersi in questi flussi sonori sempre più fatti di ritmi concitati, sbuffi, stridii e bordoni meccanici e tutto ciò che offriva questo nuovo ambiente dell’industria ebbe una ricaduta su ciò che fino ad allora si intendeva con Suono, Rumore e Musica. Poiché l’esistenza dell’essere umano s’inserisce per necessità in una relazione dialettica con l’ambiente in cui vive, la sensibilità estetica venne di conseguenza fortemente influenzata da questi cambiamenti. Prima ancora che il tema del rumore fosse affrontato da scienziati, politici o pianificatori ambientali con la definizione di inquinamento acustico, esso fu oggetto della riflessione estetica di poeti e musicisti. La sensibilità musicale degli artisti fu in poco tempo impressionata dall’emergere del rumore quale tratto
caratteristico della società a loro contemporanea. Si trattò di un notevole atto rivoluzionario: prima degli inizi del Novecento infatti il sistema musicale occidentale aveva utilizzato per secoli una minima parte dell’inesauribile potenziale sonoro a disposizione, riconoscendo come degna d’interesse solo una porzione di aggregati sonori, la musica, da sempre associata all’idea di piacere e consonanza. La rivoluzione musicale tardo romantica, ponendo al centro l’io e la soggettività, contribuì a emancipare la musica dalle categorie estetiche di consonanza e di dissonanza, a superare i confini delle forme e delle regole dell’armonia classica e a reinserirla nell’universo di cui fa parte, il libero mondo dei suoni. Solo a partire dal Novecento dunque si è manifestato un interesse verso la globalità del fenomeno sonoro, attribuendo valenza artistica anche ai suoni generati da sorgenti con le quali ogni individuo quotidianamente viene a contatto. Questo capitolo vuole ripercorrere le principali tappe secondo cui la musica si è appropriata dell’ambiente urbano.
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Luigi Russolo
6.2
L’Arte dei Rumori
Il movimento futurista e la musica pagina a fianco Luigi Russolo 1885 - 1947
nella foto: Luigi Russolo, Carlo Carrà Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Gino Severini
Il movimento futurista accolse con giubilio l’avvento del rumore nel suo processo di creazione artistica, come tutti gli elementi caratteristici della modernità. Il loro intento era infatti quello di rappresentare il dinamismo del mondo moderno, esaltare le innovazione della scienza e della tecnica, promuovere un’estetica della macchina. Invece che essere interpretato come un problema il rumore fu colto in quanto opportunità da sfruttare per reinventare i linguaggi artistici, fra cui la musica. L’avanguardia futurista aspirava a realizzare un nuovo genere di espressione musicale, con nuove tonalità, armonie e strumenti.
Il primo Manifesto dei musicisti futuristi, di Francesco Balilla Pratella, risale all’ottobre del 1910. Con toni energici e ribelli sprona i giovani ad abbandonare l’emulazione del passato, liberare la sensibilità musicale dalle imitazioni e cercare ispirazione nei fenomeni naturali. Per arricchire la tavolozza di suoni, timbri e armonie adoperabili in musica suggeriva di ricorrere alla scissione dell’unità musicale fondamentale in elementi più piccoli, poiché la natura ha creato una gradazione infinita di suoni ed è quindi possibile creare musica utilizzando l’intero spettro acustico, tra cui i rumori.
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Luigi Russolo e l’Arte dei Rumori
Luigi Russolo Copertina del libro L’Arte dei Rumori 1913
Ed è proprio l’artista Luigi Russolo che, con i toni enfatici tipici del movimento, inneggia ad una nuova Arte dei Rumori, formulandone una vera e propria estetica. Egli scrive una lettera-manifesto rivolta a Balilla Pratella intitolata proprio L’Arte dei Rumori, nel 1913. Dopo un excursus storico sullo sviluppo della realtà musicale nel corso dei secoli, presenta l’avvicinamento al rumore come una logica conseguenza in campo compositivo, in accordo alla nuova sensibilità dell’uomo moderno. «L’arte musicale ricercò ed ottenne dapprima la purezza, la limpidezza, la dolcezza del suono, indi amalgamò i suoni diversi, preoccupandosi però di accarezzare l’orecchio con soavi armonie. Oggi l’arte musicale, complicandosi sempre più, ricerca gli amalgami di suoni più dissonanti, più strani e più aspri per l’orecchio. Ci avviciniamo così sempre più al suono-rumore»1. Egli dichiara provocatoriamente di sentirsi sazio della
musica dei grandi maestri quali Beethoven e Wagner e di preferire la combinazione di «rumori di tram, di motori a scoppio, di carrozze e di folle vocianti, che nel riudire, per esempio, L’Eroica o La Pastorale»2.
1. Luigi Russolo, L’arte dei Rumori. Manifesto Futurista, Direzione del Movimento Futurista, Milano 1913, p.10 2. Ibidem, p.11
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“
La vita antica fu tutta silenzio. Nel XIX secolo, coll’invenzione delle macchine, nacque il Rumore. Oggi, il Rumore trionfa e domina sovrano sulla sensibilità degli uomini. Non soltanto nelle atmosfere fragorose delle grandi città, ma anche nelle campagne, che furono fino a ieri normalmente silenziose, la macchina ha oggi creato tanta varietà e concorrenza di rumori, che il suono puro, nella sua esiguità e monotonia, non suscita più emozione. Attraversiamo una grande capitale moderna, con le orecchie più attente che gli occhi, e godremo nel distinguere i risucchi d’acqua, d’aria o di gas, il borbottio dei motori che fiatano e pulsano, il palpitare delle valvole, i balzi dei tram sulle rotaie, lo schioccar delle fruste, il garrire delle tende e delle bandiere. Ci divertiremo ad orchestrare idealmente insieme il fragore delle saracinesche dei negozi, le porte sbatacchianti, il brusio e lo scalpiccio delle folle, i diversi frastuoni delle stazioni, delle ferriere, delle filande, delle tipografie, delle centrali elettriche e delle ferrovie sotterranee.
Luigi Russolo
”
▲ Luigi Russolo, L’arte dei Rumori. Manifesto Futurista, Direzione del Movimento Futurista, Milano 1913, p.12
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La classificazione dei rumori Luigi Russolo si propone come obiettivo l’organizzazione di questa nuova e infinita gamma di rumori allo stesso modo dei suoni musicali, ricercando in essi l’elemento predominante per estrarne una tonica. «Noi vogliamo intonare e regolare armonicamente questi svariatissimi rumori. Intonare i rumori non vuol dire togliere ad essi tutti i movimenti e le vibrazioni irregolari di tempo e di intensità, ma bensì dare un grado o tono alla più forte e predominante di queste vibrazioni. Ogni rumore ha un tono, talora anche un accordo che predomina nell’insieme delle sue vibrazioni irregolari. Ora, da questo caratteristico tono predominante deriva la possibilità pratica di intonarlo»3.
La classificazione proposta si divide in sei famiglie: 1. rombi, tuoni, scoppi, scrosci, tonfi 2. fischi, sibili, sbuffi 3. bisbigli, mormorii, borbottii, brusii 4. stridori, scricchiolii, fruscii, crepitii 5. rumori ottenuti da percussioni di metalli, legni, pelli, pietre 6. voci di uomini e versi di animali: grida, strilli, gemiti, urla, ululati, risate, rantoli, singhiozzi È da sottolineare l’importanza dello sforzo di Russolo; egli infatti introduce uno dei primi tentativi di organizzare i rumori in categorie secondo criteri qualitativi, e sarà poi seguito da Pierre Schaeffer nella teorizzazione di sistemi tipologici e morfologici dei suoni.
“
Scegliendo, dominando e coordinando i rumori, noi abbiamo già in parte raggiunto una nuova voluttà insospettata: l’Arte dei Rumori.
”
Luigi Russolo
3. Luigi Russolo, L’arte dei Rumori. Manifesto Futurista, Direzione del Movimento Futurista, Milano 1913, p.14 ▲ Luigi Russolo, L’arte dei Rumori. Manifesto Futurista, Direzione del Movimento Futurista, Milano 1913, p.14
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Gli intonarumori I lavori di analisi e classificazione sono studi effettuati da Russolo per uno scopo ben preciso: riprodurre i rumori della città. Egli è alla ricerca dei principi meccanici che generano i rumori, vuole costruire un’orchestra futurista capace di suonare ogni timbro possibile e dar vita così alla nuova musica fino ad allora solamente teorizzata. Con l’aiuto dell’amico Ugo Piatti e del fratello Antonio Russolo, comincia a lavorare nel laboratorio di via Stoppani a Milano, dedicandosi alla costruzione e al perfezionamento di strumenti di nuova concezione, che definisce ‘intonarumori’. Gli intonarumori sono casse di legno di varie grandezze, dal cui lato anteriore fuoriesce un cono per amplificare il suono. Sono messi in funzione da manovelle o da
un interruttore a batteria; una leva con lancette indica le scale graduate di toni, semitoni e frazioni di tono che è possibile ottenere. Il movimento più o meno rapido controlla l’intensità del suono prodotto. All’interno degli intonarumori sono sistemate lastre di metallo, ingranaggi, corde metalliche e altri oggetti che entrano in vibrazione quando lo strumento è in funzione. A seconda del rumore prodotto gli strumenti sono classificati in: crepitatori, gorgogliatori, rombatori, ronzatori, scoppiatori, stropicciatori, sibilatori e ululatori. Ciascuna categoria comprende a sua volta diversi registri: soprano, contralto tenore e basso, e sono in grado di superare i limiti di estensione, timbro e possibilità esecutive degli strumenti tradizionali. a sinistra disegno tecnico di uno strumento intonarumori a destra strumento intonarumori crepitatore
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nella fotografia: Luigi Russolo e Ugo Piatti nel Laboratorio degli intonarumori a Milano
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Il “Grande concerto futirista” partiture degli strumenti intonarumori
prima performance dell’orchestra intonarumori 1914
Il 21 aprile 1914 Russolo dirige al Teatro dal Verme di Milano il “Grande concerto futurista d’intonarumori” con tre titoli in programma: Risveglio di una città, Si pranza sulla terrazza del Kursaal, Convegno d’aeroplani e d’automobili. Un corrispondente di un giornale parigino scrisse sulla serata: «sulla scena 23 intonarumori, cioè 23 stranissime cassette di colori vivi e diversi, irte di tubi, di manovelle e di leve. Dietro a ognuno un professore d’orchestra, pallidissimo nell’imminenza della battaglia. Nel centro della scena, Luigi Russolo, magro, agile, smoking, faccia aguzza, barbetta a punta rossiccia, domina tutto con l’altissima bacchetta, pronto a dare il primo segnale»4. Il teatro è straripante di spettatori, Marinetti, prima dell’inizio, chiede al pubblico la pazienza e la buonafede per assimilare e giudicare la scoperta artistica di Russolo. Ma dopo poche battute c’è già movimento, e in breve il frastuono diventa assordante, tanto che l’opera stessa non è più udibile. Maggior successo ebbero invece le date di Londra e Parigi. 4. Luigi Russolo, L’arte dei Rumori. Manifesto Futurista, Direzione del Movimento Futurista, Milano 1913, p.22
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“
Ogni manifestazione della nostra vita è accompagnata dal rumore. Il rumore è quindi famigliare al nostro orecchio, ed ha il potere di richiamarci immediatamente alla vita stessa. Mentre il suono, estraneo alla vita, sempre musicale, cosa a sé, elemento occasionale non necessario, è divenuto ormai per il nostro orecchio quello che all’occhio è un viso tropo noto, il rumore invece, giungendoci confuso e irregolare dalla confusione irregolare della vita, non si rivela mai interamente a noi e ci serba innumerevoli sorprese. Benché la caratteristica del rumore sia di richiamarsi brutalmente alla vita, l‘Arte dei Rumori non deve limitarsi ad una riproduzione imitativa. Essa attingerà la sua maggior facoltà di emozione nel godimento acustico in se stesso, che l’ispirazione dell’artista saprà trarre dai rumori combinati.
Luigi Russolo
”
▲ Luigi Russolo, L’arte dei Rumori. Manifesto Futurista, Direzione del Movimento Futurista, Milano 1913, pp.14-15
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Riproduzioni degli intonarumori Tony Conrad e Jennifer Walshe Biennale Performa Time Square, NY 2009
L’invenzione di Luigi Russolo è rimasta fonte di fascino e attrazione fino al giorno d’oggi, come possono testimoniare i numerosi tentativi di ricostruzione di questi strumenti in ambito museale o in occasione di festival di arte performativa. Il Mart di Rovereto, nel 2006, dedica a Russolo la mostra “Luigi Russolo. Vita e opere di un futurista” Una delle sezioni prevede la ricostruzione di alcuni modelli funzionanti di intonarumori a disposizione del pubblico. Stessa cosa fanno il Centre Pompidou a Parigi nel 2004, all’interno della mostra “Sons & Lumieres. A History of Sound in the Art of the 20th Century” e il Museo Coleção Berardo di Lisbona nel 2012 nella mostra “O Novo Ofício - The New Trade”. C’è anche chi organizza performance vere e proprie in teatro, come il compositore Luciano Chessa, con un’intera orchestra di intonarumori che interpreta il brano originale “Risveglio di una città”, oppure in piena Time Square, come il musicista Tony Conrad, che fornisce una dimostrazione durante il festival Performa a New York.
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Luigi Russolo. Vita e opere di un futurista Museo Mart di Rovereto 2006
Luciano Chessa Biennale Performa New York 2009
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Reinterpretazione degli intonarumori Il designer giapponese Yuri Suzuki ha reinventato l’uso degli intonarumori in occasione del London Design Festival del 2013 al Victoria&Albert Museum, trasformandoli da strumenti analogici che imitano i suoni della città in macchine digitali capaci di trasformare la voce umana. Si tratta di un’installazione sonora che prevede l’intervento dei visitatori i quali possono giocare con i suoni della loro voce. Il pubblico registra la voce parlando all’interno del corno che poi la riemette, trasformandola grazie a un processore. Ogni intonarumore crea un diverso effetto: riemette il suono al contrario, aumenta o diminuisce la velocità grazie a un regolatore o crea una melodia musicale. Yuri Suzuki commenta: «Ho voluto realizzare uno strumento per dare alle persone la possibilità di catturare il suono e un momento per capire quanto esso sia interessante».
Yuri Suzuki Garden of Russolo Victoria&Albert Museum LDS 2013
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
6.3
Edgard Varèse il precursore della musica elettronica
L’influenza di Russolo pagina a fianco Edgard Varèse 1883 - 1965
L’opera di Russolo, pur nella sua eccezionale condizione, servì da stimolo in un contesto musicale in cui l’intero sistema di riferimento era messo in discussione, ed i suoi bizzarri strumenti colpirono l’attenzione di Edgard Varèse, figura di riferimento per la musica del Novecento. Egli ebbe un atteggiamento ambivalente nei confronti del futurismo, da un lato apprezzò il lavoro di Russolo tanto che tentò di utilizzare e costruire alcuni marchingegni come il “rumorarmonio” o il “russolofono”, dall’altro mosse una critica riguardo all’ingenuità delle loro composizioni, in quanto prive di intento creativo ma limitate alla mera riproduzione di suoni già sentiti. Scrisse addirittura un articolo sulla rivista 391 pubblicata da Francis Picabia: «Futuristi italiani, perché vi limitate a riprodurre la trepidazione della nostra vita quotidiana nei suoi aspetti più superficiali e molesti?»5. Pur criticando lo sviluppo dell’avanguardia futurista, Varèse non rinnegò gli elementi innovativi introdotti da Russolo, tanto da esprimere concetti del tutto in linea con quelli del pittore
futurista. «Non possiamo continuare a lavorare con i timbri della vecchia scuola. Velocità e sintesi sono caratteristiche della nostra epoca. Ci sono necessari strumenti del XX secolo, perché le possiamo realizzare in musica»6. Varèse, come Russolo, si concentra sulla questione del rapporto suono-rumore-musica e supera le rigide barriere del concetto tradizionale di musica: «Io non faccio distinzione tra suono e rumore. Quando si dice rumore (in opposizione al suono musicale) si opera un rifiuto di ordine psicologico: il rifiuto di tutto ciò che distoglie dalla gradevolezza, dal farsi cullare. È un rifiuto che esprime una preferenza L’ascoltatore che opera questo rifiuto dimostra di preferire ciò che lo sminuisce a ciò che lo stimola»7. L’obiettivo comune di Russolo e Varèse era di «includere nell’idea di suono quel mondo di eventi acustici fino ad allora esclusi come fastidiosi, volgari e perciò inadeguati alla “sacralità” della musica […], e di controllare queste nuove sonorità. Di qui la necessità di creare strumenti per poter facilmente plasmare questi nuovi suoni, piegandoli alla volontà del compositore»8.
5. Henry Pousseur, La musica elettronica, Feltrinelli, Milano 1976, p.16 6. Edgard Varèse, Il suono organizzato, Ricordi-Unicopli, Milano 1985, p.42 7. Ibidem, p.107 8. Alberto Morelli; Stefano Scarani, Sound Design. Progettare il Suono, Pitagora, Bologna 2010, p.26
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La musica è “suono organizzato” La principale rivoluzione di Varèse e la maggior differenza dal pensiero di Russolo fu quella di sviluppare una poetica non mimetica, ossia non riproduttiva, ma poietica, cioè creatrice di nuove situazioni e composizioni che sprigionassero un’inedita energia sonora. Regola principale dunque non più ri-produrre, ma produrre ex novo sfruttando il materiale esistente in natura. Ogni suono dunque poteva essere utilizzato per comporre dei brani, anche quelli che normalmente erano considerati rumori; di conseguenza Varèse abolì ogni differenza tra rumore e musica. Ciò che egli intendeva produrre era un tipo di musica che difficilmente poteva essere compreso dalla società della sua epoca e per questo elaborò una nuova definizione che meglio si adattasse alle sue composizioni: la musica è suono organizzato e lui si definisce un compositore di ritmi, frequenze e intensità. «La materia prima della musica è il suono. L’atteggiamento rispettoso ha fatto sì che i più lo dimenticassero. […] Dal momento che il termine “musica” sembra essersi ridotto a significare molto meno di quel che
dovrebbe, preferisco servirmi dell’espressione “suono organizzato”, evitando così la tediosa questione: “ma è musica?”. Mi sembra che il termine “suono organizzato” colga più precisamente l’aspetto duplice della musica, che è insieme un’arte ed una scienza, in presenza delle recenti scoperte tecnologiche che ci permettono di sperare in una sua incondizionata liberazione. […] Che cos’è la musica? Qualcosa che deve venire dal suono»9. Alle critiche mosse contro di lui riguardo alle sue sperimentazioni e al poco rispetto portato per la musica classica, Varèse risponde: «La mia lotta per la liberalizzazione del suono e per il diritto di fare musica con ogni suono è stata spesso interpretata come un desiderio di screditare e perfino scartare la grande musica del passato. Ma è lì che crescono le mie radici. Non importa quanto originale o diverso possa sembrare un compositore, ha solo innestato una piccola parte di sé sulla vecchia pianta. Vuole solo far nascer un nuovo fiore. Non importa se in un primo momento ad alcune persone sembrerà più un cactus che una rosa»10.
9. Edgard Varèse, Il suono organizzato, Ricordi-Unicopli, Milano 1985, p.104-118 10. Edgar Varèse, Rhythm, form and content, 1959 in Christoph Cox; Daniel Warmer (a cura di), Audio Culture. Readings in modern music, The Continuum International Publishing Group, New York 2006, p.19
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Ionisation
copertina dell’album Opere complete di Edgard Varèse Volume I
Una delle prime opere musicali di sperimentazione delle nuove teorie di Varèse fu Ionization, scritta tra il 1929 e il 1931 e fu la prima composizione per sala da concerto dedicata solamente a percussioni, tredici in tutto con l’aggiunta di suoni registrati di sirene e del ruggito di un leone. Ionisation è incentrato sull’espansione e sulla variazione delle cellule ritmiche, e il titolo è riferito alla ionizzazione delle molecole. Nei suoi lavori infatti Varèse si ispirò a metafore prese dal mondo della chimica, dell’astronomia e della geologia. La varietà di timbri a disposizione viene assemblata con tale delicatezza da raggiungere dei momenti in cui sembra essere una singola entità. Ionisation combina la terrificante cacofonia del mondo industriale in una profonda sensibilità, mostrando l’umano potenziale del rumore inumano.
11. Wikipedia [http://it.wikipedia.org/wiki/Ionisation]
Sidney Finkelstein scrisse: «E’ un esempio di costruzione spaziale, che si innalza grazie a una grande complessità di piani di ritmo e di timbro che si intersecano tra di loro, e poi il rilassamento con il rallentamento del ritmo, l’entrata delle campane e l’allargamento del silenzio tra i suoni. Questi sono esempi dei suoni caratteristici della moderna vita di città»11.
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Come nacque la musica di Frank Zappa Brano tratto dall’autobiografia di Frank Zappa, pubblicato per Arcana Editrice, Milano 1990. «Un giorno lessi un articolo sul negozio di dischi di Sam Goody su Look, che ne esaltava le doti commerciali. L’articolo, citando come esempio la vendita di un disco intitolato Ionisation, affermava che il signor Goody era in grado di vendere qualsiasi cosa e continuando diceva: “Quel disco non è altro che una raccolta di percussioni orrendamente dissonanti, la musica peggiore del mondo”. Ah sì? Quella era roba per me! Poco tempo dopo, mentre ero ospite del mio amico Dave Franken di La Mesa, andammo a dare un’occhiata in un negozio, che faveca dei saldi sui singoli R&B. Dopo aver spulciato gli scaffali di dischi e aver scovato un paio di dischi di Joe Huston, andai alla cassa e feci cadere l’occhio sulla cesta degli album. Notai una copertina in bianco e nero dall’aspetto strano, sulla quale c’era la faccia da scienziato pazzo di un tipo con i capelli grigi brizzolati. Era meraviglioso, pensai subito: finalmente uno scienziato pazzo aveva fatto un disco. Lo presi e vidi che era quello, il disco con Ionisation! Il titolo riportato su Look non era proprio preciso, perché in realtà si trattava delle Opere complete di Edgard Varèse, Volume I, fra cui anche Ionisation. Il disco era di un’oscura etichetta, la EMS (Elaine Music Store), e il numero di catalogo era 401. Restituii i dischi di Joe Huston e controllai il borsellino per vedere quanti dollari avevo; più o meno 3.75. Non aveva mai comprato un album ma sapevo che erano cari, perché solo gli adulti li compravano. Chiesi quanto costava l’EMS 401: “Quello grigio nella cesta? 5.95”. Cercavo quel disco da più di un anno e non avevo intenzione di riunciarci, così dissi al cassiere quanti soldi avevo. Lui ci pensò su un attimo e disse: “Abbiamo usato quel disco per provare gli impianti hi-fi ma nessuno lo compra quando lo sente. Se lo vuoi davvero posso lasciartelo a 3.75”.
Non vedevo l’ora di ascoltarlo. A casa avevamo un impianto a bassa fedeltà. Alzai tutto il volume (per ottenere il massimo della fedeltà) e posai con cura la puntina di osmio per tutto gli usi sul solco di Ionisation: sirene, rullanti, grancasse e il ruggito di un leone con i suoni più strani stavano diffondendosi per la stanza. Da quel giorno in avanti mia mamma mi proibì di ascoltare quella roba in tinello. Replicai che io pensavo che fosse grande musica e che volevo ascoltarlo tutto sino alla fine. Per tutta risposta ebbi l’ordine di portare il giradischi in camera mia. Quel giradischi non si mosse più dalla mia camera, dove ascoltavo continuamente il mio EMS 401, studiando avidamente le note di copertina per carpire ogni tipo di informazione. Non capivo tutta la terminologia musicale ma la memorizzavo. Per tutti gli anni del liceo, ogni volta che qualcuno veinva a casa mia doveva ascoltare Varèse. Io ero convinto che quella fosse la prova definitiva della loro intelligenza; loro invece che io fossi del tutto schizzato e fuori di zucca».
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I nuovi strumenti Per le sue composizioni Varèse si interessò molto a strumenti di recente invenzione (Onde Martenot) e a quelli elettronici, che negli ultimi anni della sua vita erano in via di sperimentazione. Risentiva della limitazione di non avere gli strumenti adatti a esprimere del tutto ciò che riusciva a immaginare: «Il nostro alfabeto musicale è povero e illogico. La musica, che dovrebbe essere pulsante come la vita, ha bisogno di nuovi mezzi d’espressione, e la scienza può aiutarla con rinnovato vigore. Io sogno degli strumenti docili al pensiero che con il contributo di una fioritura di timbri insospettati si prestino alle combinazioni che mi piacerà imporre loro e che si pieghino alle esigenze del mio ritmo interiore»12. Varèse prevedeva un futuro in cui i compositori fossero liberi,
come non lo erano mai stati prima, di soddisfare ciò che l’orecchio interiore dell’immaginazione dettava loro, grazie alla mancanza di codici estetici, almeno fino a quando qualcuno non avesse provveduto a imporre delle regole alla neonata musica elettronica. Egli però metteva anche in guardia i compositori dal trattare i moderni strumenti elettronici per quello che erano, ossia solamente degli strumenti: «Dobbiamo ricordare che la macchina non è un mago e non dobbiamo aspettarci che un dispositivo elettronico componga per noi. La macchina calcolatrice è un’invenzione così meravigliosa da sembrare sovraumana. Ma è limitata tanto quanto la mente che la alimenta, ci restituisce solo quello che noi inseriamo»13.
12. intervista di Edgard Varèse al New York Morning Telegraph, 1916, in Christoph Cox; Daniel Warmer (a cura di), Audio Culture. Readings in modern music, The Continuum International Publishing Group, New York 2006, p.21 13. Edgar Varèse, The electronic medium, 1962, in Christoph Cox; Daniel Warmer (a cura di), Audio Culture. Readings in modern music, The Continuum International Publishing Group, New York 2006, p.20
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Pierre Schaeffer
6.4
la musique concréte
Studio sulle ferrovie Pierre Schaeffer 1910 - 1995
Stazione ferroviaria di Batignolles Parigi
Un altro passo avanti nell’abbattimento della barriera concettuale tra musica e rumore si deve a Pierre Schaeffer, ingegnere e tecnico del suono della radio televisione francese. Così come Russolo, che era un pittore, egli non proveniva da un’istruzione da musicista, e fu forse per questo che adottò un approccio più aperto e più scientifico allo studio della composizione musicale. L’intento di Schaeffer era di creare musica utilizzando principalmente suoni presi da un ambiente preesistente, come era stato fatto nei concerti futuristi, ma sfruttando le nuove tecnologie di registrazione che si stavano sviluppando all’epoca. In tal modo la figura tradizionale dell’esecutore scompare poiché il pezzo è prodotto elaborando suoni registrati, e può inoltre essere riprodotto in maniera invariata infinite volte. Il primo esperimento in ambito di composizione musicale di suoni registrati è il brano Étude aux chemins de fer, che andò in onda la
sera del 5 ottobre 1948 sulle frequenze di Radio Paris-Inter. Si trattava di tre minuti di montaggio di suoni ferroviari: fischi di locomotive, cigolii delle ruote sulle rotaie, accelerando, rallentando, arresto della locomotiva e così via. Il materiale sonoro utilizzato era stato registrato alla stazione di Batignolles di Parigi.
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Musica concreta L’Étude aux chemins de fer fu molto rilevante per l’evoluzione della storia della musica, in quanto risultato dalle prime sperimentazioni di tecniche di registrazione, trasformazione e composizione di musica concreta. Il termine venne coniato dallo stesso Schaeffer e compare in un’intervista sul numero di dicembre del 1948 della rivista Polyphonie: «Io applico […] la qualifica di astratta alla musica abituale per il fatto che è prima di tutto concepita dalla mente, poi notata teoricamente e infine realizzata in un’esecuzione strumentale. Ho invece chiamato la mia musica “concreta” perché è costituita a partire da elementi preesistenti mutati da qualsiasi tipo di materiale sonoro, che si tratti di rumore o musica abituale, poi composti sperimentalmente con una costruzione diretta»14. Pierre Schaeffer utilizzò il termine “concreto” proprio per
segnare la sua inversione di tendenza nella prassi compositiva musicale; invece di partire dall’idea della musica per finire all’esecuzione del brano, egli adottava il procedimento contrario: dai suoni reali ricavava, attraverso la sperimentazione diretta, un brano registrato. Criterio fondamentale era l’assenza di limitazioni nella scelta del materiale sonoro da utilizzare: qualunque fonte, che fosse di origine naturale, strumentale, manuale o elettronica, era interessante alle orecchie del compositore, che ne studiava ogni aspetto (attacco sonoro, durata, intensità, timbro, frequenza, andamento) per astrarne i valori potenzialmente musicali. Le note musicali non erano più l’elemento base per la composizione, e quindi anche il sistema di notazione musicale tradizionale perse di utilità. L’attività di Schaeffer in radio lo aiutò molto nelle
14. Michel Chion, L’arte dei suoni fissati. La musica concretamente, Edizioni Interculturali, Roma 2004
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sue ricerche; poteva infatti disporre di sofisticati strumenti di registrazione e dell’archivio della Radio Televisione Francese, che offriva gli effetti sonori più particolari. È da sottolineare il fatto che, nonostante i suoni registrati fossero la principale fonte di materiale, non era stato precluso l’utilizzo di altri tipi di suoni, come quelli degli strumenti classici, o i suoni sintetizzati con dispositivi elettronici. L’importante era l’appropriazione che il compositore otteneva sui suoni, separandoli dalla sorgente originale, studiandone le qualità e rendendoli propri. Al contrario la parallela scuola tedesca della corrente di musica elettronica escludeva del tutto i suoni registrati, focalizzandosi sulla generazione di suoni sintetici puri, ossia privi di ogni referenzialità con il mondo dei suoni concreti.
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Pierre Schaeffer durante un esperimento di musica concreta
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L’oggetto sonoro Pierre Schaeffer in studio di registrazione
Pierre Schaeffer portò avanti i suoi studi e le sue sperimentazioni musicali fondando il Groupe de Recherches Musicales assieme al pianista Pierre Henry e all’ingegnere Jacques Poullin. Documentò le sue attività e formulazioni teoriche sulla musica concreta nel libro À la recherche d’une musique concréte e successivamente nel saggio Traité des objets musicaux, bilancio di vent’anni di ricerca, in cui affrontò l’universo dei suoni nel suo complesso, dalla fisica acustica a questioni filosofiche, proponendo nuovi metodi di analisi e solfeggio dei suoni. Nozione chiave del trattato era quella di “oggetto sonoro”, con cui si intendeva qualunque fenomeno o evento sonoro percepito come un’unità. Un’unità sonora percepita nella sua materia, nella sua texture, nei suoi parametri quantitativi e qualitativi.
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La definizione di “oggetto sonoro” nasce dalla distinzione radicale tra il suono e la causa che lo genera: dipende strettamente dalle disponibilità di diffusione dei suoni registrati attraverso mezzi elettroacustici. Grande attenzione va posta a non confondere l’oggetto sonoro con il corpo sonoro che lo ha prodotto, dal momento che ogni singolo corpo sonoro può produrre una quantità disparata di oggetti sonori, la cui varietà non può essere ricondotta alla loro origine comune. Egli inoltre elaborò un sistema generale per la classificazione fisica degli oggetti sonori, chiamandolo Solfège des objects musicaux, per riuscire a descrivere gli oggetti sonori nei minimi particolari. Schaeffer sosteneva che gli unici in grado di ascoltare l’oggetto sonoro fossero i tecnici del suono. La registrazione di un brano musicale non è
in realtà una riproduzione fedele, ma una ricostruzione: è il risultato di una serie di scelte, di interpretazioni che i dispositivi di registrazione rendono possibili e necessarie. Il tecnico del suono è quello che esegue questa ricostruzione e che deve quindi in continuazione comparare il piano della realtà (il suono diretto) con il piano della riproduzione, in certo senso dunque con il piano della finzione, e per riprodurla deve porsi delle domande su com’è questo suono vero, reale, che deve essere riprodotto artificialmente. Questa riflessione sul suono in quanto tale non era però appannaggio solo del tecnico ma era alla portata di tutti attraverso un’invenzione diffusa in tutte le case del ventesimo secolo: la radio. E per questo nuovo tipo di ascolto Schaeffer ripropose un antico neologismo: acusmatica.
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Arte acusmatica e ascolto ridotto L’aggettivo acusmatico è di derivazione greca, riconducibile a Pitagora, con cui era definita la pratica di ascolto dei suoi allievi, tenuti a seguire la lezione da dietro una tenda in modo da non essere distratti da fattori visivi. L’ascolto acusmatico richiede dunque la soppressione degli elementi legati alla vista, come nella comune esperienza di ascolto della radio, di un disco o via telefono, in cui la causa del suono è invisibile. È lo stesso concetto che R. Murray Schafer esprimerà nel 1977 nel suo celebre libro Il Paesaggio Sonoro con il termine schizofonia, ossia separazione di un suono dalla sua sorgente. La dissociazione dei due sensi di vista e udito favorisce l’ascolto degli oggetti sonori. Poiché l’oggetto sonoro non è la
“
Quali parole potrebbero designare la distanza che separa i suoni dalla loro origine. Rumore acusmatico si dice di un suono che si ascolta senza scoprirne le cause. Ebbene, questa è la definizione stessa dell’oggetto sonoro, questo elemento di base della musica concreta, musica la più generale che sia, di cui la testa sarebbe vicino al cielo e i cui piedi toccherebbero il regno dei morti.
Pierre Schaeffer
▲ Pierre Schaeffer, Musique animée, trasmissione del gruppo di musica concreta, 1955
”
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semplice traduzione di un segnale fisico da parte dell’orecchio, ma è filtrato rispetto ai fattori contingenti attraverso un ascolto riprodotto, l’ascolto stesso è fenomeno da studiare. Schaeffer distingue quattro tipi di ascolto, quattro modi di considerare il nostro rapporto con il suono, in base alle correlazioni variabili tra segnale fisico e suono percepito. Ascoltare significa prestare attenzione con l’udito a qualche cosa, quindi individuarne la fonte e la causa, trattare il suono come indizio della causa che lo produce. Udire significa percepire tramite l’orecchio, essere colpito dai suoni. Sentire vuol dire manifestare un’intenzione di ascolto, quindi selezionare ciò che ci interessa. Comprendere infine significa cogliere
il significato di un suono, interpretarlo come segno che rinvia a un codice. Grazie alla condizione acusmatica è possibile effettuare un “ascolto ridotto“ che consiste nell’ascoltare il suono distogliendo l’attenzione dalla sua provenienza e dalla sua destinazione. Si tratta in sostanza di considerare il suono per le sue caratteristiche proprie, senza lasciarsi condizionare dal fatto che esso sia veicolo di altri significati, come se fosse un intermediario della causa che lo ha prodotto. L’intento definitivo dell’ascolto ridotto è certo quello di rifinire ed accelerare lo sviluppo di un discorso innanzitutto timbrico, incoraggiando un metodo d’analisi scevro di pregiudizi non oggettivi e poco attendibili.
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John Cage sperimentazione e indeterminazione
Alla ricerca di suoni inauditi John Cage 1912 - 1992
«Io credo nell’utilizzo del rumore. Ovunque siamo sentiamo soprattutto rumori, e questi rumori ci disturbano quando li ignoriamo, ma ci affascinano se li ascoltiamo; così ad esempio un camion che viaggia a cinquanta miglia all’ora, l’elettricità statica diffusa nelle stazioni ferroviarie e la pioggia producono suoni che vorremmo catturare e riprodurre, intendendoli non semplicemente come effetti sonori, ma come veri e propri strumenti musicali»15. John Cage è una tra le figure più rappresentative dell’avanguardia musicale del Novecento, in quanto promotore di uno stile compositivo libero da ogni limitazione, al punto da sostenere che qualsiasi rumore è musica, senza richiedere l’intervento del compositore. La sua ricerca ebbe inizio in Europa, dove si era recato dagli Stati Uniti per viaggiare e fare esperienza. Dopo essersi interessato di architettura, pittura e poesia si recò a Maiorca dove cominciò a comporre musica basandosi su formule matematiche. Non soddisfatto del risultato abbandonò l’idea ma una volta tornato in America fece di tutto per imparare l’arte
della composizione musicale dai migliori insegnanti. Convinse il compositore Arnold Schönberg a diventare suo maestro ma dopo due anni fu chiaro a entrambi che Cage non possedeva il senso dell’armonia, fondamentale per comporre secondo la scuola di Schönberg. Abbandonato l’ambito tradizionale Cage si ritrovò a lavorare per il regista cinematografico Oscar von Fischinger, autore di film astratti e in cerca di autori di musiche nuove con cui accompagnare i suoi film. Egli per primo parlò a Cage dello spirito che è racchiuso in ogni oggetto: per liberare tale spirito è sufficiente sfiorare l’oggetto per trarne un suono. Affascinato da questa tesi Cage cominciò a considerare gli oggetti di uso quotidiano con occhi diversi, a toccare ogni cosa gli capitasse a tiro per svelarne le capacità sonore. Un primo criterio da lui sviluppato fu che si poteva fare musica percuotendo ogni cosa, escogitando tecniche di percussione inedite, individuando liberamente strumenti da percuotere e altri con cui percuoterli. Secondo Cage i mezzi per comporre musica non dovevano subire
15. John Cage, Silence. Lectures and Writings, Wesleyan University Press, Middletown 1961
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piano preparato
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alcuna limitazione espressiva e dunque gli era insopportabile il fatto che uno strumento come il pianoforte fosse ancora pressoché identico alla forma originaria risalente ormai al Seicento. Nel 1938, in occasione di una coreografia per cui Cage doveva comporre un brano d’ispirazione africana, ma in carenza della strumentazione adatta, si ritrovò a modificare un pianoforte, definito in seguito pianoforte preparato, inserendo all’interno della cordiera delle viti, pezzi di sughero, vetri, guarnizioni per ottenere suoni particolari che richiamassero le percussioni. Il passo successivo dall’estrarre musica da qualsiasi oggetto è l’estrarre musica dall’ambiente stesso in cui viviamo. Tra il 1938 e il 1940 Cage compose Living Room Music, brano per quattro percussionisti da eseguirsi con gli oggetti reperibili in un soggiorno: mobili, libri, giornali, finestre, porte, muri, pavimenti,
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ecc. Nel brano non vi sono indicazioni strumentali proprio per far esplorare tutte le possibilità foniche date dall’ambiente circostante. Oltre alle infinite possibilità delle percussioni Cage esplorò, come Varése e Schaeffer, le prodigiose potenzialità delle nuove apparecchiature elettroacustiche, che permettevano un controllo totale sui suoni. Esempi di lavori in tale direzione sono il programma radiofonico The City Wears a Slouch Hat del 1941, che consiste in una partitura di duecentocinquanta pagine di effetti sonori che imitano i rumori reali di una città, e la composizione Imaginary Landscape No.1, primo di una serie di cinque brani, che prevede l’utilizzo esclusivamente di strumenti alimentati a elettricità. Cage lo descrisse così: «Non è un paesaggio fisico. È una condizione riservata alle nuove tecnologie. È un paesaggio del futuro. È come usare la tecnologia per sollevarsi da terra e attraversare lo specchio con Alice»16.
16. Richard Kostelanetz, John Cage and Richard Kostelanetz: A Conversation about Radio, The Musical Quarterly, 1986, pp.216-227
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Il superameto dei limiti La libertà dei suoni e dei rumori divenne per Cage la ragione della sua opera e della sua vita. Pur apprezzando gli insegnamenti ricevuti da Schönberg e ammirando il lavoro di Varèse, in entrambi vedeva una posizione di controllo, un desiderio di imporre un metodo compositivo, per quanto innovativo e inclusivo di suoni mai introdotti prima nel mondo musicale. Riguardo al suo insegnante, che lo introdusse alla dodecafonia17, Cage disse: «Comporre con dodici suoni non era altro che un metodo. Mi piaceva, in quel metodo, l’eguale importanza riconosciuta in ciascun suono. Ma trovavo esageratamente costrittivo l’obbligo di piegarsi sempre a questa teoria»18. Di Varèse invece apprezzava la sua libertà nella scelta dei timbri e il contributo all’introdurre un universo sonoro senza limiti. «Ciò non toglie che in Varèse c’è spesso un partito preso di dominio sui suoni e sui rumori: egli
cercava di piegare i suoni alla sua volontà, con lui i suoni non erano del tutto liberi»19. Dall’altro lato Varèse considerava la musica cageana troppo libera: «Per me si tratta di mezzi veramente troppo accidentali! Cage, che conobbi in California negli anni ’30, è molto intelligente, pieno di talento e immaginazione, ma il suo modo di fare musica non fa per me: è talmente accidentale che non riesco a vedere la necessità di un compositore!»20. Ogni suono è dunque ormai accettabile in musica. La ricerca timbrica ha reso l’universo sonoro a disposizione del compositore senza limiti. Ma se in Varèse suoni e rumori, considerati alla pari, sono ancora dominati e organizzati dal compositore, Cage vuole andare oltre, e arrivare ad annullare del tutto la figura del compositore, rendendolo un semplice ascoltatore.
17. La dodecafonia è una tecnica di composizione ideata da Arnold Schönberg (1874-1951). Ha lo scopo di sostituire le funzioni presenti nella musica tonale e permettere al compositore di creare brani complessi strutturati sul principio della pantonalità (termine usato da Schönberg in luogo di atonalità). 18. John Cage, Per gli Uccelli, Multiphla, Milano 1977, p.69 19. Ibidem, p.72 20. Edgard Varèse, Il suono organizzato, Ricordi-Unicopli, Milano 1985, p.185
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Il libero ascolto John Cage portò all’estremo l’arte musicale per un fatto fondamentale: «Spostò l’attitudine musicale dal comporre all’ascoltare, dal raccontare attraverso i suoni organizzati secondo un ego umano, all’ascoltare ciò che per sé i suoni raccontano»21. Cage dedicò la sua vita all’indagine delle possibilità di relazione dell’uomo con i suoni che lo circondano, senza distinzione tra quelli prodotti intenzionalmente e quelli incontrati accidentalmente. L’ambiente sonoro divenne così il suo campo d’indagine estetica, in cui persino il concetto di estetica era più ampio di quanto abitualmente inteso, fino al suo annullamento. «L’approccio di Cage è quello di non reagire emozionalmente alla musica, di annullare le aspettative verso i suoni che udiamo, senza giudicarli secondo il metro dell’estetica, restando il più possibile aperti ad una nuova esperienza. Essere aperti e vuoti, aperti a una nuova esperienza, vuoti dai condizionamenti del gusto»22. L’esperienza dell’ascolto era dunque per lui orientata a liberare i suoni dai concetti
di ordine, sentimento e gusto, non facendo differenze nemmeno tra suoni naturali o derivati dall’intervento dell’uomo. Non c’era in lui un atteggiamento panico nei confronti della natura, né la ricerca di un’armonia ideale. Parlando dei suoni dell’ambiente intendeva tutti i suoni, in totale accettazione del paesaggio sonoro quale che fosse. «Il nostro atteggiamento estetico dovrebbe diventare sempre più aperto a tutto ciò che può accadere, dal momento che il mondo, il reale non è un oggetto. È un processo»23. Cage considerava la pratica e l’ascolto della musica come una possibilità di avvicinamento alla natura, in un progressivo lavoro di osservazione e, parallelamente, attraverso una progressiva rinuncia del nostro arbitrio soggettivo. Si conosce di più esplorando che formalizzando una relazione, ricreando una situazione sempre nuova invece che avendo a disposizione un oggetto fisso davanti a sé. È questa forma di pensiero che portò Cage ad assumere come unico strumento per comporre l’indeterminazione.
21. Alberto Morelli; Stefano Scarani, Sound Design. Progettare il Suono, Pitagora, Bologna 2010, p.29 22. Francesca Aste, Musica come divenire. Il paesaggio sonoro secondo John Cage, in Lo Squaderno n°10, Soundscapes/Paesaggio Sonori, dicembre 2008, p.23 23. John Cage, Per gli uccelli. Conversazioni con Daniel Charles, Torino 1999, p. 75
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La casualità come processo compositivo Fin dagli anni quaranta Cage si interessò alle filosofie orientali e da esse apprese ad accettare il risultato delle operazioni casuali. Spesso infatti nelle opere di Cage vi è una fortissima irruzione del caso come principio di organizzazione del materiale, fino ad arrivare ad una concezione di indeterminazione, ovvero di un processo in cui è noto il percorso (attraverso una serie di operazioni stabilite), ma non il risultato. Ritenendo che un brano musicale non fosse un prodotto finito ma un processo sempre aperto, spesso componeva creando strutture molto precise per rendere protagonista, per la durata dell’esecuzione, la casualità dei suoni così come si presentano nel naturale corso della vita reale. «Cage non crea, evoca: come un pazzo pittore naturale, stende le sue cornici in mezzo al mondo e aspetta che pioggia vento e foglie riempiano il quadro»24. È il caso di Imaginary Landscape n°4 del 1951, composizione per dodici apparecchi radio, in cui gli esecutori manipolavano la sintonia e il volume degli apparecchi, mentre evidentemente 24. Articolo su Gong, Ottobre 1975
non potevano controllare il contenuto delle trasmissioni radiofoniche captate. Oppure il brano per nastro magnetico ispirato alla città di Milano intitolato Fontana Mix, realizzato nel 1958 presso lo Studio di Fonologia della Rai di Milano di Luciano Berio e Bruno Maderna. Il brano è composto da suoni registrati in giro per la città successivamente
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rielaborati e montati assieme attraverso un sistema compositivo da lui elaborato. Consiste di 10 fogli e 12 trasparenti. I fogli contengono ciascuno 6 linee curve. Dei 12 trasparenti, 10 contengono punti dispersi casualmente, uno ha una griglia e uno ha solo una linea retta. Piazzando i trasparenti con punti sui fogli con le curve e interpretando il tutto con l’aiuto
della linea retta e della griglia, si possono ottenere così indicazioni compositive: la sovrapposizione degli elementi va a determinare la selezione dei nastri registrati e definisce la loro lunghezza. Earle Brown, stretto collaboratore di Cage, paragonò le sperimentazione fatte assieme a lui agli standing mobiles di Alexander Calder: come nelle sculture di Calder in cui la forma dei singoli pezzi e la loro disposizione nello spazio formano una situazione estremamente flessibile, anche nella musica sperimentale di quegli anni il risultato è costantemente soggetto alle condizioni esterne, sempre imprevedibili. In questa prospettiva capitò più volte che Cage fosse ben disposto ad aprire le finestre delle sale da concerto durante le sue esecuzioni, per permettere ai suoni dell’ambiente di circolare liberamente, interrompendo in maniera imprevedibile il flusso della musica che veniva eseguita. Non si trattava di un’azione di disturbo, ma poteva divenire un arricchimento sia in termini musicali che in termini di esperienza.
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John Cage composizioni di Fontana Mix 1958
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Anche il silenzio è musica camera anecoica University of Salford 1979
Porre le azioni che si intende compiere in relazione con quelle involontarie dell’ambiente era l’unica alternativa possibile per Cage. Egli vedeva l’isolamento della musica dal resto del mondo come qualcosa di innaturale e riteneva necessario misurarsi con il flusso sonoro ambientale, accettandolo così com’era e integrandolo nella composizione, piuttosto che negarlo in quanto elemento disturbatore e perciò non degno di essere ascoltato. Ottenere il silenzio assoluto per una dedizione totale alla composizione musicale era infatti impossibile, come aveva potuto constatare egli stesso durante una visita a una camera anecoica (uno spazio artificiale costruito per esperimenti e simulazioni scientifiche, nel quale si riesce ad annullare qualsiasi vibrazione esterna), che si supponeva fosse un
ambiente del tutto silenzioso. «Io entrai in una di queste camere alla Harvard University parecchi anni fa e udii suoni, uno alto e uno basso. Quando li descrissi all’ingegnere responsabile, egli mi spiegò che uno era il mio sistema nervoso in operazione, quello basso era il mio sangue in circolazione. Fino a quando morirò ci saranno suoni. Ed essi continueranno dopo la mia morte. Nessuno dovrebbe aver paura del futuro della musica»25. Dopo questa esperienza, il suo pensiero subì una svolta decisiva: «Il silenzio non è altro che il cambiamento della mia mente. È un’accettazione dei suoni che esistono piuttosto che un desiderio di scegliere e imporre la propria musica. Da allora questo è sempre stato al centro del mio lavoro. Quando mi dedico a un pezzo musicale, cerco di farlo in un modo grazie al quale esso, essenzialmente, non disturbi il silenzio che già esiste»26.
25. John Cage, Silence, MIT Press, Cambridge 1961, p.8 26. John Cage, in Lettera a uno sconosciuto, a cura di Richard Kostelanetz, Edizioni Socrates, Roma 1996, p.228
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4’33’’ second draft rappresentazione grafica di una riproposizione di 4’33’ in un bar di Lincoln 2012
Conseguenza estrema di tale affermazione fu la composizione 4’33’’, considerata da lui stesso il suo pezzo più riuscito. Si tratta di un brano suddiviso in tre movimenti senza partitura della durata complessiva di quattro minuti e trentatré secondi. La durata della composizione, che corrisponde a 273 secondi è un riferimento ad una temperatura specifica (-273.15°C, ossia 0°K), lo zero assoluto, che non è raggiungibile proprio come il silenzio assoluto. La prima esecuzione avvenne nel 1952, in una sala da concerto all’aperto a Woodstock. «Il pianista David Tudor si sedette al pianoforte sul piccolo palco di legno rialzato, chiuse il coperchio della tastiera e guardò un cronometro. Per due volte nei successivi minuti alzò il coperchio e lo riabbassò, facendo attenzione a non fare rumore, benché girasse anche le pagine dello spartito, che erano prive di note. Dopo che furono passati quattro minuti e trentatré secondi, Tudor si alzò per ricevere gli applausi»27.
27. Kyle Gann, Il silenzio non esiste, Isbn Edizioni, Milano 2012, pp.13-14
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L’intento di Cage era di fare ascoltare un lavoro completamente libero dalle idee personali del musicista e di far percepire che i suoni dell’ambiente costituiscono una musica molto più interessante di quella che troviamo a un normale concerto. «Nel primo movimento si poteva sentire il vento che soffiava fuori. Nel secondo, delle gocce di pioggia cominciarono a tamburellare sul soffitto, e durante il terzo, infine, fu il pubblico stesso a produrre tutta una serie di suoni interessanti, quando alcuni parlavano o se ne andavano»28. Cage fu sicuramente influenzato dalle opere di Bob Rauschenberg, che conobbe al Black Mountain College poco prima di scrivere 4’33’’. L’anno precedente Rauschenberg aveva da poco presentato i suoi primi rivoluzionari White Paintings, tele bianche che escludevano qualsiasi elemento narrativo o gestuale e qualsiasi colore; l’opera è fatta di ombra e luce, dipende dalle condizioni dell’ambiente circostante, proprio come 4’33’’.
28. Kyle Gann, Il silenzio non esiste, Isbn Edizioni, Milano 2012, p.14
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Silenzio quindi non equivale all’assenza di suoni, ma al contrario a un insieme di suoni imprevisti. Cage opera un ribaltamento di prospettiva che solo apparentemente può sembrare una rinuncia alla musica. Al contrario apre la musica al mondo circostante. Si interessa all’ambiente esterno non per imitare una situazione
sonora, ma per ascoltare situazioni in cui le relazioni tra gli elementi non sono prestabilite. Compositore e pubblico si pongono entrambi nella dimensione degli osservatori delle circostanze ambientali. Il traguardo del rapporto tra il rumore e la musica è stato definitivamente raggiunto, il rumore stesso, così com’è, è musica.
“
Le persone si aspettano che l’ascolto sia qualcosa di più che ascoltare. E a volte parlano di ascolto interiore, o del significato di un suono. Quando io parlo di musica, capiscono finalmente che sto parlando di suoni che non hanno alcun significato. E dicono: quindi intendi solo suono? Come per dire che qualcosa che è solo un suono è inutile. Io amo i suoni, così come sono, e non mi serve che siano altro.
John Cage
”
▲ John Cage: In Love with Another Sound (1992) by Miroslav Sebestik
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Storia di un corpo: l’acufene Brano tratto dal romanzo di Daniel Pennac, Storia di un Corpo, Feltrinelli, Milano 2012 Stamattina svegliato presto da un fischio simile a quello di una pentola a pressione dimenticata sul fuoco. Pensavo venisse da fuori e mi sono riaddormentato. Altro risveglio un’ora dopo. Sempre lo stesso fischio. Acuto, continuo, un condotto di areazione, un fischio a vapore, qualcosa del genere. Lo dico a Mona. Quale fischio? Non lo senti? Non sento niente. Sei sorda? Tende l’orecchio. Un fischio, come un filo di vapore, acutissimo, no? No, ti assicuro di no. Mi alzo, apro la finestra, ascolto la strada. Infatti, il fischio è in strada. Richiudo, il fischio persiste! Stessa intensità. Mona, davvero non senti? Davvero non sente. Chiudo gli occhi. Mi concentro. Da dove può venire? Vado in cucina a fare il caffè, ritrovo il fischio, e continuo a non riuscire a determinarne l’origine. Controllo il tubo del gas, la fiammella dello scaldabagno, l’isolamento delle finestre… Tornando verso la camera da letto, con la caffettiera in mano, apro la porta di casa: è lì come altrove, di una tenacia da intontire, una linea tracciata con il righello fra le mie orecchie. Allora lo riconosco. È uno di quei fischi che a volte sento nella testa a fine pasto. Ma quei fischi poi passano. Nascono e si spengono come stelle cadenti. Alcune traiettorie sono più lunghe di altre ma alla fine si perdono tutte nello spazio infinito del mio cranio. Questa volta no. Mi tappo le orecchie: il fischio è sempre qui, nella mia testa, stabile, tra le orecchie! Panico. Due o tre secondi di una fantasia folle: e se durasse per sempre? L’idea di sentire questo suono per tutta la vita, senza poterlo interrompere né modulare, è assolutamente agghiacciante. Passerà, dice Mona.
E infatti passa: il frastuono della strada, il sibilo della metropolitana, il vociare dei corridoi, le conversazioni di lavoro, lo squillo del telefono, le negoziazioni che ne seguono, le proteste di Parmentier, le lamentele di Annabelle, l’alterco particolarmente sgradevole tra Raguin e Garet sulle spese di gestione, l’interminabile diatriba di Félix durante il pranzo, tutto quel brusio cittadino e professionale ha avuto al meglio sulla mia stella cadente, che in esso si è disintegrata. Ma quando stasera la porta di casa si è richiusa alle mie spalle, il fischio era lì, teso tra le mie orecchie, assolutamente identico a com’era sta mattina. La verità è che non mi ha abbandonato per tutta la giornata. È stato solo coperto dai rumori della vita pubblica.
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Camouflage musicale
6.6
un sottofondo progettato
L’ampio excursus storico sull’inclusione dei rumori in materia di composizione musicale ci ha portato dai primi tentativi di Russolo di creare opere imitando i suoni della città tramite gli intonarumori al raggiungimento, con John Cage, del punto massimo di accettazione dell’ambiente sonoro in musica, tanto da considerare i rumori stessi materiale musicale da ascoltare nella sua condizione naturale, annullando la figura del compositore. Se l’inclusione del paesaggio sonoro dei suoni provenienti dalle svariate attività umane è quindi un fatto ormai scontato, più complessa è l’articolazione del rapporto tra paesaggio sonoro e musica. Anche la musica infatti, in quanto attività di organizzazione umana dei suoni, può essere considerata parte del paesaggio sonoro. Il rapporto di integrazione, sovrapposizione, mimetizzazione o annullamento del progetto musicale con lo sfondo sonoro ambientale è quindi un aspetto da prendere in attenta considerazione. I brani musicali sono da sempre stati concepiti per essere ascoltati, e preferibilmente in luoghi
adibiti ad una condizione di ascolto favorevole. Considerare come la musica può integrarsi con il paesaggio sonoro già esistente è stata prerogativa solo di pochi audaci compositori, in grado di mettere da parte il proprio ego e spostare l’attenzione dalle loro abilità all’ambiente circostante. Roberto Favaro definisce le modalità attraverso le quali la musica si relaziona con il paesaggio sonoro, diventandone parte, come pratica del camouflage. Con il termine camouflage si intende la capacità di confondersi con l’ambiente circostante, fino a diventare invisibile, o nel nostro caso, parlando di musica, inudibile. I principali elementi in gioco sono la musica, intesa come suono organizzato, e l’extra-musica, il paesaggio sonoro in generale. «Questi due campi sono fluidamente comunicanti, sono una dentro l’altro»29. L’ambiente abitato dal camouflage musicale si trasforma, i suoni ridisegnano lo spazio arredandolo come qualsiasi altro elemento presente in un luogo. È dunque una musica che si sente ma non si ascolta, che deve negare, per esistere, la propria presenza.
29. Roberto Favaro, Spazio sonoro, Venezia, Marsilio Editori, 2010, p.269
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Erik Satie
6.7
la musica come arredo
Troppo giovane in un mondo ancora vecchio Erik Satie 1866 - 1925
Erik Satie, compositore francese a cavallo tra Ottocento e Novecento, fu una figura ironica e irriverente, forse il primo a pensare, tra toni provocatori e riflessivi, ad un modo alternativo a quello tradizionale di ascoltare la musica. Satie frequentò il conservatorio a Parigi negli stessi anni di Debussy, ma, a differenza del collega, abbandonò gli studi per arruolarsi nell’esercito, da cui fuggì procurandosi una polmonite. La musica rimase la sua passione ma non volle accettare di adeguarsi ai canoni dei suoi contemporanei; divenne così un fervido contestatore della scena musicale parigina del suo tempo, pioniere della musica moderna, troppo in anticipo sui tempi e dunque non compreso.
Amava dire di sé di “essere venuto al mondo molto giovane in un tempo molto vecchio”, ed era vero. L’innovazione musicale che più lo rese un precursore fu l’immaginare una musica che si integrasse completamente nell’ambiente. Le teorie sviluppate intorno a questa nuova idea di musica sono contenute nello scritto Musique d’Ameublement, datato 1920, in cui riflette sull’abitudine di suonare musica «in circostanze nelle quali la musica non ha niente a che vedere» in cui suonano «Fantasie d’Opera, Valzer e simili, composti per tutt’altro fine» e sulla conseguente necessità di una musica pensata appositamente come un arredo, con la stessa funzione della luce, del calore o di qualsiasi altro comfort».
“
Per interessarsi a Satie occorre cominciare non avendo interessi, lasciar perdere le nostre illusioni sull’idea di ordine, di espressione dei sentimenti e tutti gli imbonimenti estetici di cui siamo gli eredi. Non si tratta di sapere se Satie è valido. Egli è indispensabile.
”
John Cage
29. Roberto Favaro, Spazio sonoro, Venezia, Marsilio Editori, 2010, p.269
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Musique d’Ameublement La musique d’ameublement ha uno scopo puramente utilitaristico, decora un ambiente per l’orecchio così come i quadri l’arredano per l’occhio. Satie non voleva porsi a confronto con la musica “colta”, «l’arte è un’altra cosa» puntualizzava; semplicemente riteneva che spesso quel tipo di musica fosse fuori luogo in alcune situazioni e ideò questo nuovo genere ripetitivo e monotono che s’innestasse in un ambiente come la tappezzeria di un interno. Musique de tapisserie, la definiva anche infatti, per la sua qualità di essere ignorata e fare da sfondo, fino a rendersi camaleontica, come la definisce Favaro. Le caratteristiche di tale musica dovevano essere dunque uniformità, assenza di cambiamenti improvvisi di intensità o tono, regolarità, riproduzione seriale di brevi moduli compositivi, proprio come
i motivi decorativi di una tappezzeria. Significativi sono i nomi che diede ad alcuni suoi motivi del 1917: Piastrelle foniche per un lunch, Arazzo per gabinetto di prefettura o Tappezzeria di ferro battuto, per l’arrivo degli invitati. L’intento di Satie era proprio di annoiare i presenti in modo che non prestassero più attenzione alla musica. Ciò però era reso alquanto difficile dal fatto che ai tempi si poteva inserire la musica in un ambiente solamente con un’esecuzione dal vivo. Il primo brano di musique d’ameublement venne eseguito nel 1920 durante l’intervallo di una rappresentazione teatrale tenutasi in una galleria parigina; «Satie voleva che gli spettatori si comportassero come se la musica non ci fosse, la ignorassero. Ma sfortunatamente tutti si fermarono ad ascoltarla. La musica rappresentava ancora, allora, un valore in
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sé, degno di essere apprezzato e si narra che Satie corresse qua e là urlando: Parlate! Parlate!»30. All’epoca infatti la musica non aveva ancora assunto la sua nuova funzione di insulso sfondo sonoro, che caratterizza gli ambienti pubblici di oggi. Egli non poteva immaginare che la funzione di “arredo” della musica si sarebbe diffusa a così ampio raggio in ragione del fatto che, deceduto nel 1925, non poteva prevedere lo sviluppo dei mezzi di riproduzione elettroacustica, che all’epoca stavano muovendo i primi passi. Provoca rammarico il fatto che la sua musica “utile” e funzionale, che lui aveva ideato per contrastare quella musica di facile ascolto, spacciata spesso per arte, sarebbe in seguito diventata un prodotto commercializzato con l’obiettivo del profitto e del mercato, la Muzak.
30. Fernand Léger, Satie inconnu, in La Revue Musicale, n°214, giugno 1952
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La Muzak «Negli hotel, negli uffici e in molto altri luoghi in America, uno è perennemente immerso in una musica morbida. Arie malinconiche filtrano dalle pareti negli ascensori, nelle sale d’attesa, nei bar e nei gabinetti; la musica giunge da non si sa dove, come la voce di un ventriloquo» . Muzak è il nome di una ditta statunitense fondata nel 1922 che dagli anni Trenta in poi si occupò della trasmissione di programmi musicali attraverso le linee telefoniche. Lo scopo fondamentale della Muzak è realizzare un arredo sonoro, ovvero la diffusione di musica di sottofondo in un dato ambiente, per rilassare e mettere a proprio agio chi lo frequenta. Inizialmente l’ambito di impiego della Muzak è quello lavorativo (fabbriche e uffici) in quanto sembra in grado di sollecitare una condizione psicologica ideale affinché possano essere svolte nel migliore dei modi determinate funzioni e quindi aumenta la produttività dei lavoratori. In linea generale, l’obiettivo della Muzak è quello di introdurre nel lavoratore una minore percezione della ripetitività e della noia del proprio lavoro. Dagli anni Settanta la musica viene diffusa anche ad ambienti del terziario e luoghi di vendita e consumo: nei supermercati e nei negozi perché sembra che prolunghi la permanenza del cliente nei locali e incrementi così gli acquisti; negli alberghi perché rilassa; nei ristoranti perché aumenta le ordinazioni. Per dirla con Attali, questo approccio utilitaristico della musica «ha sostituito il rumore di fondo natuale. Essa scivola negli spazi sempre più larghi dell’attività svuotata di senso e di relazioni, nell’organizzazione della nostra vita quotidiana: in tutti gli alberghi del mondo, in tutti gli ascensori, in tutti gli uffici, negli aerei, dappertutto essa sta a significare la presenza di un potere che non ha più bisogno di bandiera o simbolo: la ripartizione musicale afferma la presenza del consumo ripetitivo, del flusso del rumore come un surrogato di socialità».
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Secondo gli studiosi che si sono occupati del fenomeno, il suo effetto più evidente sarebbe quello di incrementare il rifiuto nei confronti di un ascolto attento della musica e di favorire un’unica modalità d’uso della musica: quella di sfondo a svariate attività indipendenti da essa. Ciò che accomuna tuttavia queste situazioni è il paradosso: in questo modo alla musica si attribuiscono una serie di poteri di carattere psicologico, ma solo in situazioni in cui in realtà essa è relegata a un ruolo di sfondo e a occupare spazi residuali della coscienza. R. Murray Schafer si lancia in un’agguerrita disanima sulla Muzak, la definisce “impasto di suoni bovini“ o “brodaglia e risciacquatura di piatti” utile solo al profitto economico, e la ritiene un impoverimento per svariati motivi. «In passato la musica è stata figura, un gradevole insieme di suoni cui l’ascoltatore prestava una particolare attenzione. Muzak riduce invece la musica a sfondo. Moltiplica i suoni e riduce un’arte sacra a sbavatura dolciastra. Muzak è musica che non deve essere ascoltata». Schafer si fa portavoce del movimento di protesta che insorge all’epoca e riporta una risoluzione approvata dall’Assemblea Generale dell’International Music Council dell’Unesco, a Pargi, nel 1969: «Denunciamo, all’unanimità, l’intollerabile violazione della libertà individuale e del diritto di ciascuno al silenzio, dovuta all’uso abusivo, in luoghi pubblici e privati, di musica registrata o radiodiffusa. Chiediamo di studiare questo fenomeno in tutti i suoi risvolti al fine di proporre misure atte a porre fine a questo abuso». Roberto Favaro interviene però con un punto a favore della Muzak: nonostante la categoria di sotto-musica in cui è inserita e l’intento di monetizzazione dell’ascolto inconsapevole, vale la pena occuparsene poiché, se realmente gli effetti di certa musica sono così controllabili, addirittura programmabili, sarebbero da studiare per essere impiegati in ambito architettonico e di sound design.
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L’eredità alla musica moderna Satie superò l’idea di una musica-design, e vi aggiunse l’attitudine inclusiva che lo renderà un maestro indispensabile. Fernand Léger, pittore e amico di Satie, riporta una sua affermazione riguardo alla relazione fra musica e rumori ambientali: «Bisognerebbe comporre una musica d’arredamento, che conglobasse i rumori dell’ambiente in cui viene diffusa, che ne tenesse conto. Dovrebbe essere melodiosa, in maniera da addolcire il suono metallico dei coltelli e delle forchette, senza troppo imporsi, però, senza volersi sovrapporre. Riempirebbe i silenzi, a volte pesanti, tra i commensali. Risparmierebbe il solito scambio di banalità. Neutralizzerebbe, nello stesso tempo, i rumori della strada che penetrano, indiscreti, all’interno»31. L’ambiente, con il suo incessante flusso sonoro diviene “terreno fertile da cui cogliere nuova linfa per la musica” aprendo infinite possibilità ai compositori futuri. Tra questi John Cage ebbe per Satie una grandissima ammirazione e fu per lui grande fonte d’ispirazione. Cage scrisse un articolo,
una sorta di conversazione immaginaria tra lui e il maestro, in cui confermava le parole di Satie, esprimendo l’inutilità di isolarsi dall’ambiente ma piuttosto prenderlo in considerazione, musicalmente parlando, come elemento costruttivo. Per Cage, Satie fu il primo musicista a porre la questione di come impostare la relazione tra suoni intenzionali (di una composizione) e suoni non intenzionali (dell’ambiente), per non fare risultare questi ultimi sgraditi all’orecchio, relazione che Cage, come indagato in precedenza, portò alle estreme conseguenze, eliminando del tutto l’elemento musicale e orientando l’ascolto, attivo i questo caso, esclusivamente sui rumori dell’intorno. Ciò che Erik Satie avrebbe voluto, ossia una musica che scompare, venne realizzato sessant’anni dopo da Brian Eno con l’ambient music, sfruttando altoparlanti e strumenti elettronici per diffondere una musica che attirava meno l’attenzione di un gruppo di musicisti dal vivo e diventava dunque realmente parte dell’ambiente.
31. Alberto Morelli; Stefano Scarani, Sound Design. Progettare il Suono, Pitagora, Bologna 2010, p.27
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Brian Eno
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ambient music
La nascita dell’ambient music Brian Eno 1948
L’invenzione di Satie della musica d’arredamento, da lui considerata non opera artistica ma mero prodotto utile ad uno scopo, che venne in seguito ripresa e realmente commercializzata dalla Muzak, fu riportata nel mondo delle arti dal compositore britannico Brian Eno, con il nome di ambient music. Un aneddoto da lui raccontato narra la nascita di questo genere musicale: «Un giorno, nel gennaio 1975, ebbi un incidente. Niente di grave ma fui costretto un po’ a letto senza potermi muovere. Venne a visitarmi un’amica e mi portò in dono un disco di musica d’arpa del XVIII secolo. Dopo che se ne andò, e con molta difficoltà, misi il disco sul
piatto. Ma quando tornai a stendermi, mi accorsi che il volume era molto basso e che un canale dei diffusori non era collegato. Non avevo più la forza di rialzarmi e di sistemare le cose, il disco suonava e io praticamente non riuscivo ad ascoltarlo. Ebbi così modo di sperimentare una nuova prospettiva di ascolto – la musica era parte dell’ambiente circostante, come l’intensità della luce e il suono della pioggia che cadeva»32. Dopo quell’esperienza Eno compose l’album Discreet Music, che fu l’inizio della sua produzione musicale pensata specificatamente per un ascolto decentrato, non destinato a occupare interamente lo spazio della coscienza.
32. Riccardo Bertoncelli, Storia leggendaria della musica rock, Giunti Editore, FIrenze 1999, pp.142-143
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Ambient Music Manifesto Brian Eno, settembre 1978 testo contenuto dell’album Ambient #1: Music for Airports Il concetto di musica designata specificatamente come componente di sottofondo nell’ambiente fu ideato da Muzak Inc. negli anni Cinquanta, e da allora è venuto ad essere conosciuto genericamente con il termine Muzak. Le connotazioni che questo termine porta sono quelle particolarmente associate al tipo di materiale che Muzak Inc. produce – melodie familiari arrangiate e orchestrate in un modo leggero e derivativo. Comprensibilmente, questo ha portato gran parte degli ascoltatori giudiziosi (e gran parte dei compositori) a lasciare completamente da parte il concetto di musica ambientale come idea degna di attenzione. Negli ultimi tre anni, mi sono interessato all’uso della musica come atmosfera, e sono giunto a credere che sia possibile produrre materiale che possa essere usato in questo modo senza risultare in alcun modo compromesso. Per creare una distinzione tra i miei esperimenti in quest’area e i prodotti dei vari fornitori di musica riprodotta su supporti magnetici, ho iniziato a usare il termine Ambient Music. notazioni grafiche per Music for Airport
Un ambiente è definito come un’atmosfera, o un’influenza che circonda: una tinta. La mia intenzione è di produrre pezzi originali apparentemente (ma non esclusivamente) per momenti e situazioni particolari, con l’idea di costruire un piccolo ma versatile catalogo di musica ambientale adatta ad un’ampia varietà di stati d’animo e di atmosfere. Mentre le compagnie di musica preconfezionata ancora esistenti procedono dalla base di regolarizzare gli ambienti mettendo a tacere le loro idiosincrasie acustiche ed atmosferiche, la musica Ambient intende metterle in evidenza. Mentre la convenzionale musica di sottofondo è prodotta strappando via ogni senso di dubbio e incertezza (e così tutto l’interesse genuino) dalla musica, la musica Ambient trattiene queste qualità. E mentre la loro intenzione è di “far brillare” l’ambiente aggiungendogli stimoli (così supponendo di alleviare il tedio delle attività di routine e di livellare i naturali alti e bassi ai ritmi del corpo), la musica Ambient intende indurre calma e uno spazio per pensare. La musica Ambient deve essere capace di andare incontro a numerosi livelli di attenzione nell’ascolto senza esaltarne uno in particolare; deve essere tanto ignorabile quanto è interessante.
capitolo 6 - Rumore e Musica
Influenze e innovazioni Le sue principali fonti d’ispirazione furono Erik Satie e John Cage per il loro lavoro svolto in ambito di sperimentazione e interrelazione tra musica e ambiente sonoro, ma sviluppò i loro concetti in maniera differente. Brian Eno concretizzò quello che Satie avrebbe voluto fare ma non vi era riuscito a causa della mancanza dei mezzi di trasmissione moderni. Gli altoparlanti, emettendo i suoni registrati, riescono a mantenere quella discrezione necessaria alla musica a mimetizzarsi come avrebbe voluto il compositore francese, a diventare un tutt’uno con lo spazio occupato. Un’altra novità nel lavoro di Eno sta nel tipo di ascolto cui è destinata la musica ambient: se per Satie l’ascolto doveva essere categoricamente distratto, e per John Cage molto concentrato, anche e soprattutto sui suoni esterni al brano musicale, per Eno
33. Brian Eno, Ambient #1: Music for Airports, settembre 1978
diventa una libera scelta della persona. «La musica Ambient deve essere capace di andare incontro a numerosi livelli di attenzione nell’ascolto senza esaltarne uno in particolare; deve essere tanto ignorabile quanto è interessante»33 scrisse nel testo della copertina interna dell’album Ambient #1: Music for Airports, considerato il manifesto della musica ambient. Ulteriore passo in avanti rispetto ai suoi maestri fu la possibilità di raggiungere un pubblico molto più ampio. Anche se posto in un ambiente innovativo e talvolta problematico, l’ambito di riferimento di Cage era pur sempre quello della cosiddetta musica colta, per non parlare dei salotti borghesi in cui la musique d’ameublement veniva suonata. Eno invece, accogliendo esperienze provenienti dal pop e dal rock, si rivolge ad un pubblico di massa, tanto da fondare l’etichetta indipendente Ambient.
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
Ad ogni ambiente la sua atmosfera Altro cambio di prospettiva riguarda la traslazione dalla valorizzazione dei suoni dell’ambiente proposta da Cage all’intenzione di Eno di dare risalto all’ambiente stesso attraverso suoni introdotti integrati con i suoni presenti. E ciò introduce un altro punto decisivo su cui soffermarsi: il contesto. La musica d’ambiente, secondo la formulazione di Brian Eno, non si muove verso l’idea di una standardizzazione del paesaggio sulla base di valori precostituiti, ma nell’ottica di una valorizzazione specifica di ogni paesaggio, attraverso la considerazione dei valori che questo incarna, e dei tratti fisici che lo distinguono. Ogni composizione è dunque pensata per i caratteri di un determinato luogo, non è valida universalmente, come poteva essere un brano di Satie, di Cage o la
musica Muzak. Non rende i luoghi uno uguale all’altro ma li modifica profondamente e favorisce l’attenzione verso di essi. Compito dell’ambient music è instaurare una relazione tra la persona e il luogo, accompagnare l’attività umana aprendo nuovi orizzonti. Eno esprime il bel concetto di “umore sonoro”, che viene indicato come la nozione da cui trae origine tutta la riflessione: quello che si cerca, in fin dei conti, è un suono che possa conferire una connotazione espressiva ad un determinato contesto fisico, attraverso la quale definirne meglio le peculiarità. All’aeroporto di Colonia nel 1977, pensando alle qualità che avrebbe dovuto avere una musica da trasmettere in quel luogo, fece tali considerazioni: «Era mattina presto, c’era il sole, le sale erano quasi vuote e l’architettura del luogo era
capitolo 6 - Rumore e Musica
molto attraente. Cominciai a chiedermi quale musica potesse suonare bene in un posto così. Pensai: deve essere una musica che si può interrompere, per via degli annunci, che deve lavorare con frequenze diverse rispetto a quelle usate per parlare e anche con velocità diverse, e dev’essere in grado di smussare i rumori che l’aeroporto produce. E, cosa più importante, doveva essere legata all’idea di volo, di spostamento nell’aria e deve flirtare con l’idea della morte»34. In confronto a tutti i compositori e gli sperimentatori visti fino ad ora, che studiarono e utilizzarono in svariati modi i suoni dell’ambiente, Brian Eno, grazie a loro, fu messo in condizione di compiere il passo più importante: gestire, in maniera dolce e discreta, i rumori che fanno parte di un ambiente, dando vita a paesaggi sonori nuovi e più piacevoli.
34. Riccardo Bertoncelli, Storia leggendaria della musica rock, Giunti Editore, FIrenze 1999, p.142
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capitolo
7 STUDI SUL PAESAGGIO SONORO
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
7 Studi sul Paesaggio Sonoro
CAPITOLO
7.1 Nozione di paesaggio sonoro un ibrido interdisciplinare
7.2 Le origini prime teorie sull’ambiente acustico
7.2.1 Willy Hellpach 7.2.2 Johann Gabriel Granö
7.3 Micheal Southworth The sonic environment of the cities
7.3.1 L’indagine sul campo 7.3.2 Oasi sonore e interventi progettuali
7.4 Raymond Murray Schafer il padre del paesaggio sonoro
7.4.1 Soundscape studies 7.4.2 The world Soundscape Project 7.4.3 Questioni di paternità 7.4.4 Cosa significa paesaggio sonoro
7.5 The Tuning of the World come accordare il mondo
SCHEDA
7.5.1 La nuova orchestra: l’universo sonoro 7.5.2 Storia del paesaggio sonoro 7.5.3 Paesaggio sonoro hi-fi e lo-fi 7.5.4 Toniche, segnali, impornte 7.5.5 Analisi del paesaggio sonoro 7.5.6 Il Rumore
7.6 Due nuove discipline ecologia acustica e design acustico
SCHEDA
7.6.1 Ecologia acustica 7.6.2 Design acustico 7.6.3 Pulizia dell’orecchio 7.6.4 Il silenzio 7.6.5 Accademia del Silenzio
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
Nozione di paesaggio sonoro
7.1
un ibrido interdisciplinare
Il termine paesaggio sonoro è una traduzione del neologismo inglese soundscape, inventato e usato in maniera indipendente, verso la fine degli anni Sessanta dal compositore Raymond Murray Schafer e dall’urbanista Michael Southworth. Nel presente capitolo vengono prese in esame le origini degli studi effettuati su tale concetto e gli ambiti che ha coinvolto nel corso degli anni, per ricostruire lo sviluppo e i contributi teorici e pratici che i soundscape studies hanno apportato al bagaglio culturale mondiale. Prima di approfondire la tematica occorre fare alcune considerazioni sul termine stesso di paesaggio sonoro. Appare subito evidente una contraddizione nella terminologia della traduzione italiana: “paesaggio” e “sonoro” infatti rimandano a due sfere sensoriali differenti, vista e udito. La sfera sensoriale del paesaggio è in primo luogo quella visiva: il termine nasce infatti in ambito artistico per indicare la “veduta pittorica”, ossia la rappresentazione di una realtà percepita attraverso lo sguardo. Il neologismo inglese soundscape (ambiente sonoro) riesce
meglio a definire quello di cui Murray Schafer intende parlare, ossia «l’insieme dei suoni ovunque ci troviamo». I caratteri che distinguono il paesaggio dal paesaggio sonoro sono i tempi di mutazione, brevissimi, quasi istantanei degli eventi, e la continuità che comunque mantiene questa trasformazione. L’identità di un paesaggio sonoro è infatti distinguibile tanto quanto quella di un normale paesaggio, solo che, mentre il paesaggio riesce a conservare delle tracce fisiche del vissuto, il paesaggio sonoro trascorso tace e rimane esclusivamente come esperienza soggettiva. Questo carattere evanescente ha da sempre reso il paesaggio sonoro di forte impatto simbolico ed evocativo in tutte le culture, ma anche difficilmente esplorabile. L’associazione alla nozione di “paesaggio”, ossia la reinterpretazione del mondo del suono in una visione socioculturale, supera sia le visioni mistiche del mondo antico e quelle fredde e razionali della scienza, e permette di affrontare l’argomento in chiave interdisciplinare e porre le basi per un approccio creativo in svariati ambiti.
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
7.2
Le origini prime teorie sull’ambiente acustico
Willy Hellpach L’interesse per i suoni dell’ambiente ha origini lontane nel tempo. Nei precedenti capitoli sono state discusse le ricerche effettuate in ambito urbanistico e musicale, vediamo adesso come la tematica del paesaggio sonoro è giunta a diventare un’area di studi estesa a tutto il mondo, coinvolta in numerose discipline. Il geografo e musicologo Justin Winkler, in quanto studioso del paesaggio, esamina l’influenza della componente acustica sulla nostra percezione e valutazione del paesaggio. Winkler rintraccia i primi riferimenti all’ambiente acustico negli studi dello psicologo tedesco Willy Hellpach, il quale nel suo libro Geopsychische Erscheinungen (Fenomeni geopsichici) del 1923 scrisse sui colori del paesaggio e sui suoi elementi «percepibili attraverso l’udito, l’olfatto e il tatto». Hellpach era ancora però troppo legato all’immagine del paesaggio, attorno a cui si cristallizzano gli altri sensi. Considerava tuttavia l’udito come il suono che più si avvicinava alla vista e ne sottolineava l’importanza immaginandone l’assenza. «Il paesaggio liberato dagli elementi sonori
è un’astrazione estetica e appare come incompleto, “morto”»1. L’approccio di Hellpach non portò però lontano poiché la sua insistenza sul primato della vista indicava una sorta di conflitto tra intuizione e cultura scientifica tradizionale. Johann Gabriel Granö Il pensiero di Hellpach venne ripreso dal geografo finlandese Johann Gabriel Granö nell’opera Reine Geographie (Geografia pura) del 1929. Egli intendeva dimostrare che il tema della ricerca geografica dovrebbe essere l’ambiente umano, inteso come l’insieme dei fenomeni e degli oggetti percepiti dai sensi. Granö si collegava al concetto di ambiente di Hellpach introducendo il termine ambiente geografico, che egli definiva come l’ambiente percepibile sensorialmente, e tentava di cogliere gli elementi sonori del paesaggio per rappresentarli cartograficamente. L’analisi dei fenomeni acustici venne sperimentata nell’area di Valoosari e la classificazione del materiale raccolto fu
1. Willy Hellpach, Geopsychische Erscheinungen, Engelmann, Leipzig 1923, p.388
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
operata secondo una interessante legenda che comprendeva indistintamente i suoni e rumori. Il senso dell’udito, diceva infine il geografo, è in grado di dare informazioni di natura temporale molto più precise rispetto agli altri sensi e per questa ragione è
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indicato come il senso del tempo. Secondo Winkler, anche Granö non riuscì ad andare oltre nel suo approccio, che non sarà più discusso fino agli anni Settanta, quando la geografia umanistica americana formulerà la nuova percezione dell’ambiente. Johann Gabriel Granö fenomeni uditivi nell’area di Valoosari Geografia Pura 1929
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
Michael Southworth
7.3
The sonic environment of the cities
L’indagine sul campo La prima indagine sull’ambiente sonoro urbano fu condotta da Michael Southworth, mentre frequentava il Master in City Planning al Massachussets Institute of Technology. Southworth avendo seguito i corsi di Kevin Lynch si avvicinò al tema dell’ambiente sonoro e sviluppò il primo caso studio che, rielaborato ed approfondito, costituì l’oggetto della sua tesi The Sonic Environment of Cities. «Ero interessato a sviluppare una parte di ricerca che ancora non era stata fatta, concentrandomi su un aspetto della progettazione urbana che non aveva ancora ricevuto molta attenzione». Nella sua tesi la riflessione si concentrò attorno al tema del paesaggio sonoro delle città. Il punto di partenza consisteva nel riconoscimento dell’elemento sonoro come un fatto imprescindibile per la comprensione della città moderna. L’esperienza della città non poteva più essere vissuta come un’esperienza esclusivamente visiva, ma doveva essere compresa primariamente
nel suo carattere multisensoriale: «È importante esplorare le conseguenze di questa invasione di sensazioni nonvisive per la qualità della vita della città, e chiedersi in che modo il controllo di queste possa migliorare quella qualità»2. Già da queste prime osservazioni si può notare come il punto di vista di Southworth fosse nettamente in anticipo rispetto alla riflessione urbanistica del tempo (e per molti versi come si trovi ancora in anticipo rispetto a quella attuale). Southworth condusse nella città di Boston un’indagine sperimentale, avvalendosi dell’aiuto di soggetti ciechi, sordi o normodotati guidati attraverso un percorso prestabilito in diversi momenti della giornata o della settimana e in diverse condizioni climatiche, a cui in seguito venne chiesto di compilare dei questionari e ridisegnare una mappa della città secondo le impressioni ricevute. Gli aspetti che Southworth intendeva analizzare erano l’identità dei suoni, considerando sia
2. Michael Southworth, The sonic environment of the cities , 1969; in “Environment and Behavior”, Vol. 1(1), Giugno 1969.
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
l’unicità che l’informatività, (i limiti dell’area che il suono raggiungeva), il gradimento e la relazione tra la percezione visiva e quella uditiva. I risultati ottenuti indicarono che, come ci si poteva aspettare, la mancanza di un’area sensoriale in individui diversamente abili, determinava la conseguente crescita percettiva di un’altra. Se tali considerazioni erano del resto ben acquisite dal pensiero scientifico dell’epoca, bisogna rendere a Southworth il merito di averle contestualizzate all’interno di un ambito non ancora considerato. Emerse tuttavia chiaramente che la dimensione sonora rendeva l’esperienza della città più intensa, perché la arricchiva di contrasti e aumentava il senso di coinvolgimento nel flusso e nel ritmo degli eventi. I dati raccolti furono certamente limitati e circoscritti ma il metodo seguito rappresentò, nell’ottica di Southworth, il tentativo di inaugurare un vero e proprio campo di studio.
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Michael Southworth grafico degli eventi sonori rilevati in 24h nella campagna della Columbia Britannica 1969
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capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
Oasi sonore e interventi progettuali Alla fine della ricerca, Southworth operò una rilettura complessiva dei risultati ottenuti dalle analisi, con l’obiettivo di trarne conclusioni significative per il progetto della città. Egli affermò che la percezione dei suoni era un fattore essenziale di cui il progettista doveva rendere conto e da cui poteva trarre numerosi vantaggi: grazie a interventi mirati era possibile rendere la città meno stressante, più gradevole e informativa con soluzioni più economiche. Southworth propose dunque alcune possibili azioni da intraprendere: la creazione di oasi sonore pubbliche all’interno del tessuto urbano, dove i cittadini avrebbero potuto rilassarsi, e degli interventi progettuali mirati ad aumentare l’identità del paesaggio sonoro e la relazione tra suono, spazio e attività svolte. Particolarmente adatti a questo scopo sarebbero stati tre differenti elementi:
gli ampi spazi aperti, in cui aggiungere nuovi suoni informativi; i vicoli, esempi di piccoli spazi acusticamente reattivi, adatti a promuovere il progetto sonoro e testare la reazione del pubblico attraverso installazioni di sequenze suono-luce, percorsi con materiali sonanti o grandi sculture sonore; le segnaletiche sonore, per dare un maggior risalto a contenuti informativi rispetto alle segnaletiche visive. I meriti da riconoscere a Southworth sono molti, soprattutto il fatto di aver riconsiderato la questione del suono ad ampio raggio, non limitandosi alla sola riduzione del rumore ma stabilendo nuovi criteri di approccio alla pratica urbanistica e numerosi spunti progettuali per migliorare la qualità della vita dei cittadini. Le basi per la realizzazione di una città sonora erano dunque state gettate.
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
Raymond Murray Schafer Il padre del paesaggio sonoro
Soundscape studies Le prime ricerche sistematiche e la consacrazione degli studi sul paesaggio sonoro sono da attribuire al compositore e teorico canadese Raymond Murray Schafer e alla sua opera più conosciuta The tuning of the world del 1977, tradotto in italiano con Il paesaggio sonoro. Avviò questi studi a Vancouver, alla fine degli anni Sessanta, con un gruppo di ricerca indicato come la scuola canadese dell’ecologia sonora. Obiettivo di Schafer era studiare il rapporto tra l’uomo e i suoni dell’ambiente circostante. Considerava gli apporti di diverse discipline, scientifiche, sociali, artistiche e intendeva unificare i differenti approcci per trattare insieme le proprietà fisiche del suono, i nostri meccanismi di percezione, le nostre modalità comportamentali rispetto ai segnali sonori e la progettazione di ambienti sonori ideali. Propose di fondare un ambito di studio interdisciplinare che raccogliesse tali eterogenei contributi, coniando la definizione di soundscape studies, per costituire la base per la definizione di una nuova interdisciplina: l‘acoustic design.
7.4
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
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The World Soundscape Project Le prime ricerche iniziarono con la fondazione del World Soundscape Project alla fine degli anni Sessanta, avviato da Schafer presso la Simon Fraser University in Canada. Schafer, preoccupato per l’inquinamento acustico di Vancouver, decise di organizzare assieme al gruppo uno studio dettagliato del paesaggio sonoro della città. La pubblicazione, chiamata The Vancouver Soundscape, del 1973, conteneva delle registrazioni dei suoni del porto, sirene, fischi, traffico e un commento narrato da Schafer che indicava quali fossero buoni o cattivi esempi di design acustico e in cui forniva
alcune prime nozioni sulla scienza di costruire paesaggi sonori. Questa fu la prima di molteplici iniziative promosse dal World Soundscape Project, mirate a sensibilizzare il grande pubblico verso la tematica del rapporto tra l’uomo e i suoni dell’ambiente. Furono compiute, dopo l’esperienza di Vancouver, altre ricerche sul campo, poiché il carattere della disciplina, in fase embrionale, richiedeva una continua raccolta di dati ed esperienze da mettere a confronto per elaborare un supporto teorico da diffondere a scopo didattico. Venne inoltre promossa la creazione di un da sinistra a destra: R. M. Schafer, Bruce Davis, Peter Huse, Barry Truax, Howard Broomfield (WSP group) 1973
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
pubblicazioni del WSP
archivio sonoro basato sulle registrazioni effettuate e sulle testimonianze letterarie e artistiche per tentare di ricostruire una storia dell’evoluzione del paesaggio sonoro il più completa possibile. Nel 1975 il gruppo realizzò Five Village Soundscapes: uno studio comparato del paesaggio sonoro di cinque villaggi europei (Bissingen nella campagna tedesca, Dollar in Scozia, Skruv in Svezia, Lesconil su mare, in Francia e Cembra, località montana italiana), con l’obiettivo di estrapolare dall’analisi dei paesaggi sonori, incentrata su mappature sonore, raccolta di testimonianze degli
abitanti sui suoni del passato e rapporti di passeggiate basate sull’ascolto, indicazioni sulle caratteristiche socioeconomiche di un determinato insediamento. Tale studio permise di confrontare i suoni di paesi diversi per comprendere quanto un paesaggio sonoro potesse essere parte del patrimonio culturale di una comunità. Il World Soundscape Project chiuse nel 1975 ma le ricerche svolte dal gruppo in dieci anni furono raccolte da Schafer in quello che viene considerato il testo su cui è fondata la disciplina dell’ecologia acustica: The tuning of the world.
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
Questioni di paternità
Cosa significa paesaggio sonoro
La questione sulla paternità del termine soundscape (paesaggio sonoro), utilizzato sia da Southworth che da Schafer, è stata presa in esame da alcuni studiosi senza trovare una soluzione definitiva. Certamente bisogna escludere un contatto tra i due autori, uno americano e l’altro canadese, per cui si deve supporre che entrambi abbiano coniato il neologismo autonomamente. Quello che sembra quindi potersi concludere, da questa breve parentesi storiografica, è una sorta di duplice paternità nei confronti del termine: all’intuizione southworthiana bisogna riconoscere in qualche modo la “paternità storica” del concetto, intendendo con questo la sua unità fonetica e linguistica. Alla riflessione di Murray Schafer spetta invece la “paternità concettuale”, nel senso che è stato l’autore canadese ad avere aperto la via per una considerazione del “paesaggio sonoro” in quanto nuovo concetto specifico sul quale fondare una riforma dell’interpretazione del mondo acustico.
Il paesaggio sonoro è il concetto su cui si concentra l’intera ricerca di Schafer. È dunque essenziale chiarire cosa egli esattamente intendesse con tale definizione: il paesaggio sonoro è un qualsiasi campo di studio acustico; può trattarsi sia di un ambiente reale che astratto, di una composizione musicale quanto di un programma radiofonico. Un paesaggio sonoro è per sua natura dinamico: al contrario di un landscape che con una fotografia può essere rappresentato, un soundscape, svolgendosi nel tempo, non può essere considerato in un solo istante ma occorre valutare la somma dei molteplici fattori che lo compongono. Ciò è possibile attraverso le registrazioni: i microfoni colgono dei dettagli che vanno poi montati assieme, ma nulla di corrispondente all’impressione immediata che può essere data da una fotografia. Per fornire un’immagine convincente di un paesaggio sonoro occorrono tanta pazienza e grande abilità, bisogna compiere migliaia di registrazioni e misurazioni. Questa complessa realtà inoltre è in strettissima relazione con il fattore soggettivo della percezione umana, che accresce ulteriormente la difficoltà di trattazione dell’argomento. Un paesaggio sonoro è dunque un tessuto di interazioni tra condizioni geografiche, culturali, sociali, economiche specifiche di un contesto.
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Five Village Soundscapes, Cembra, Italia
Five Village Soundscapes, Bissingen, Germania
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Five Village Soundscapes, Lesconil, Francia
Five Village Soundscapes, Dollar, Scozia
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
The Tuning of the World
7.5
come accordare il mondo
La nuova orchestra: l’universo sonoro Il suono è pubblico, è un bene comune di cui ogni individuo è strettamente responsabile. Se per John Cage il soundscape del mondo era una sinfonia indeterminata su cui non abbiamo alcun controllo, Schafer lo considera invece un’immensa composizione musicale, di cui noi siamo da sempre stati ascoltatori, esecutori e compositori, e dunque abbiamo il compito di darvi forma e bellezza e di prendercene cura. Schafer può affermare ciò grazie alla messa in discussione del concetto di musica da parte degli stessi musicisti, nel corso dell’evoluzione, affrontata nel capitolo 2 Rumore e Musica, che ha portato a definire la musica semplicemente come suoni. «Tutti i suoni possono oggi entrare a far parte del territorio, del dominio della musica. Ecco la nuova orchestra: l’universo sonoro! Ed ecco i suoi nuovi musicisti: chiunque e qualsiasi cosa sappia emettere un suono!»3. Partendo dal paesaggio sonoro odierno Schafer si chiede come esso stia
radicalmente cambiando e ricostruisce, nelle prime due parti del libro, la sua evoluzione nel corso della storia, dai paesaggi naturali a quelli rurali e urbani, prima e dopo le rivoluzioni industriale ed elettrica. Questa ricostruzione permette a Schafer di evidenziare la cesura avvenuta con la rivoluzione industriale e di proporre un nesso fra l’avvenuto peggioramento della qualità del paesaggio sonoro e l’evoluzione della tecnica, che ha permesso la riproduzione dei suoni e causato la scissione tra suono originale e sua riproduzione elettroacustica. Nella terza parte espone criteri di analisi dei paesaggi sonori e studia vari possibili sistemi di notazione, classificazione, percezione e criteri interpretativi del significato che i suoni, intesi come simboli, porterebbero con sé. Introduce infine, nella quarta parte, il concetto di progetto acustico e la formulazione di nuove interdiscipline, il design acustico e l’ecologia acustica, capace di progettare l’ambiente sonoro.
3. R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985 (orig. 1977), p.16
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
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Robert Fludd Tempio dell musica in Utrisque Cosmi Historia 1617-1621
Il titolo originale del libro di Schafer sembra riferirsi a un contesto mitico: The tuning of the world, l’accordatura del mondo di cui parla una stampa che appare nell’Utriusque Cosmi Historia di Robert Fludd. La terra, il mondo è un enorme corpo in risonanza. Il referente teologico è racchiuso nella formula In principio era il suono, suono che sta ancora vibrando, nella degenerazione delle sue nuove morfologie.
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Storia del paesaggio sonoro «Il paesaggio sonoro del mondo sta cambiando. L’universo sonoro in cui vive l’uomo moderno è radicalmente diverso da ogni altro che l’ha preceduto. Suoni e rumori nuovi, di qualità e intensità diversa dai suoni e dai rumori del passato. L’inquinamento acustico rappresenta oggi un problema mondiale e il paesaggio sonoro sembra avere ormai raggiunto il massimo della volgarità. Se questo problema non verrà rapidamente preso in considerazione, il punto di arrivo sarà una sordità universale»4.
“
Per comprendere come si sia arrivati ad una tale condizione Murray Schafer ripercorre le principali tappe della trasformazione del paesaggio sonoro attraverso un’indagine storica, elaborata per la prima volta attraverso un’approfondita ricerca di fonti letterarie e legislazioni sul rumore, per ricostruire tramite i dati e le informazioni raccolte aspetti della vita e della società rimasti per lo più nascosti tra le righe delle storie ufficiali.
La tonica di tutte le civiltà marinare è costituita dal mare, che è anche un fertile archetipo sonoro. Tutte le strade ci riportano all’acqua. Noi ritorneremo al mare. R. Murray Schafer
”
4. R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985 (orig. 1977), p.13
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
I primi paesaggi sonori Nelle società più antiche Schafer individua le toniche nei suoni del mare, del vento, dei fenomeni dei movimenti della terra ma anche nei versi degli animali (soprattutto gli uccelli, che costituiscono toniche che hanno affascinato anche i musicisti) le cui onomatopee, secondo l’autore, hanno generato molti aspetti delle prime comunicazioni e poi del linguaggio. Nella rassegna dei principali rumori legati ai segnali sonori delle società del passato i più significativi sono quelli legati a due momenti centrali della vita, la guerra e la religione, che secondo l’autore sono le
occasioni di maggior ‘inquinamento’ del paesaggio sonoro rurale nell’antichità, gli unici due grandi avvenimenti acustici nella vita di una persona, per lo più accompagnata da un senso di quiete. Nelle battaglie antiche, quelle che si combattono ancora corpo a corpo, il rumore fa parte della strategia militare con cui incutere timore al nemico, rappresentando un fatto strategico di una certa importanza. Il richiamo sonoro nella religione svolge invece la funzione di raccogliere i fedeli alla preghiera ma anche di farsi ascoltare da Dio, grazie alla potenza sonora dell’organo in chiesa.
“
Il vento cattura con forza l’orecchio. La sua sensazione è insieme tattile e acustica. È un’impressione strana e quasi soprannaturale ascoltare il vento a distanza, senza percepirlo. R. Murray Schafer
▲ R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985 (orig. 1977), p.33 ▲ Ibidem, p.39
”
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Il paesaggio sonoro post-industriale Il più netto e irreversibile cambiamento si ha con l’inizio della rivoluzione industriale e quella elettrica. La rivoluzione industriale, tra il XVIII e il XIX secolo, introduce moltissimi suoni nuovi ma non si matura nessuna vera sensibilità verso la dannosità del rumore. L’avvento della fabbrica pone fine al paesaggio sonoro naturale e rurale: la cacofonia del ferro dilaga per la città ma invade anche le campagne, con la trebbiatrice e le ferrovie i cui rumori sostituiscono quelli degli antichi mestieri. Molti rumori della natura sono ormai andati perduti e il rumore delle macchine produce una tonica di fondo continua a bassa informazione, come una sorta di bordone che funziona da narcotico uditivo. Le macchine producono suoni rappresentabili con una linea retta, continua e senza variazioni. L’introduzione dell’elettricità e della macchina all’interno della catena produttiva determina, come prima conseguenza, l’aprirsi di una notevole differenza tra i possibili scenari sonori:
il paesaggio sonoro della fabbrica diventa molto diverso da quello del salotto borghese, quello della stazione da quello della piazza, quello della città da quello della campagna. Ogni singolo uomo, in base alla propria estrazione sociale e in base al proprio stile di vita, abita e si confronta con un paesaggio sonoro differente. La rivoluzione elettrica porta anche alla moltiplicazione delle fonti sonore e una loro massima diffusione grazie all’amplificazione. Dal punto di vista acustico trasforma la società lenta caratterizzata da suoni discreti in una società veloce in cui i suoni sono per lo più continui: con il telefono e la radio il suono non è più legato alla propria origine nello spazio, mentre con il fonografo non è più legato al tempo. Il telefono interrompe la riflessione, contribuisce a frammentare il linguaggio parlato e abbreviare quello scritto, in una parola a produrre la schizofonia, cioè la separazione dalla voce, la frattura esistente tra un suono originale e la sua trasmissione elettroacustica.
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Paesaggio sonoro hi-fi e lo-fi Riferendosi all’ambito musicale, Schafer introduce due termini valutativi per descrivere la qualità di uno spazio acustico: paesaggio sonoro hi-fi (high-fidelity, alta fedeltà) e lo-fi (low-fidelity, bassa fedeltà). Secondo Schafer il cambiamento del paesaggio sonoro nel corso delle epoche, in particolar modo quello “pre” e “post” rivoluzione industriale, può essere descritto come una progressiva trasformazione da hi-fi a lo-fi. In un paesaggio sonoro hifi il basso livello del rumore ambientale permette di udire con chiarezza i singoli suoni in maniera discreta. Al contrario il paesaggio sonoro lo-fi è quello in cui i singoli segnali acustici si perdono all’interno di una sovrabbondante presenza sonora. I suoni scompaiono in un generico rumore a banda larga. In tempi antichi dunque c’era un paesaggio sonoro hi-fi, mentre quelli moderni sono caratterizzati da un paesaggio sonoro lo-fi. In generale poi il paesaggio rurale è ambiente ad alta fedeltà e quello urbano a bassa fedeltà, così come un paesaggio considerato nel corso della notte è a maggiore fedeltà dello stesso paesaggio considerato durante il
paesaggio sonoro hi-fi DOVE > in campagna > nei luoghi della cultura QUANDO > pre-rivoluzione industriale > nei tempi antichi > di notte CARATTERI > presenza di prospettiva (rapporto figura/sfondo distinto)
> ambiente comunicativo (i segnali risaltano rispetto alle toniche)
> si percepisce il senso di distanza (c’è profondità di campo uditivo)
> suoni discreti
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
paesaggio sonoro lo-fi DOVE > in città > nei luoghi del commercio QUANDO > post-rivoluzione industriale > nei tempi moderni > di giorno CARATTERI > assenza di prospettiva (rapporto figura/sfondo indistinto)
> ambiente non comunicativo (i segnali si confondono con le toniche)
> è solo presenza/vicinanza (mancanza di profondità)
> suono continuo a banda larga
giorno. Ad oggi possiamo riferirci ai luoghi della cultura come ad ambienti hi-fi, ad esempio biblioteche, musei, teatri o sale da concerto, e ai luoghi del commercio ad ambienti lo-fi, come i centri commerciali, i supermercati, le hall degli alberghi ecc. Ciò che caratterizza un paesaggio sonoro hi-fi è la prospettiva, vi si possono distinguere suoni su livelli differenti, c’è un primo piano e un sottofondo, e i suoni si possono udire anche a distanze considerevoli, come accade in una prospettiva visuale. Il paesaggio sonoro lo-fi è invece composto da suoni sovrapposti e confusi, risulta difficile la distinzione tra uno e l’altro, non c’è profondità ed è udibile solo ciò che sta in prossimità; l’interferenza tra i suoni crea un appiattimento sonoro, un’uniformità che impedisce ai suoni di essere percepiti. L’ambiente lo-fi è quindi povero di informazioni, nel senso che ne è talmente saturo che i messaggi trasmessi sono difficili da comprendere. Per questo occorre amplificarli, accrescendo ulteriormente la confusione. «A un incrocio in una città moderna è abolita qualsiasi distanza, abbiamo solo presenza»5.
5. R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985 (orig. 1977), p.67
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Caratteri del paesaggio sonoro
Toniche
Ciò che distingue gli ambienti hi-fi e lofi, come abbiamo visto, è la profondità dei suoni, la capacità di collocarli in primo piano o sullo sfondo. Schafer, basandosi su tale metodo di percezione, distingue tre principali categorie di suoni per definire le caratteristiche dei paesaggi sonori e confrontali tra loro. Sempre riferendosi alla terminologia musicale identifica “toniche”, “segnali” e “impronte”, tutti caratteri distintivi di un paesaggio sonoro, che per via della loro presenza continua o del loro forte carattere sono predominanti in un ambiente.
Il termine “tonica”, keytone, deriva da un termine tecnico con cui si definisce il tono d’impianto attorno a cui è costruito un brano musicale. È in riferimento a questo tono che ogni altro momento della composizione acquista il proprio particolare significato. Le toniche di un paesaggio sonoro sono dunque i fenomeni sonori costanti in una determinata società, sono i suoni pervasivi e prevalenti di un luogo, prodotti dalla sua geografia e dal clima, da acqua, vento, animali, materiali caratteristici come pietra, metallo, legno ecc. Le toniche non vengono necessariamente ascoltate in modo cosciente, sono sovrascoltate, rappresentano lo “sfondo” che da risalto alla “figura”, come nella percezione visiva, ma non per questo devono venire trascurate; infatti con la loro estensione e persistenza possono influenzare il nostro comportamento e il nostro stato d’animo profondamente; inoltre, rivestono una grande importanza perché ci raccontano del carattere degli uomini che vivono in una determinata località.
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
Segnali
Impronte sonore
I “segnali”, signals, sono suoni che sottolineano gli eventi ordinari di una società; appaiono in primo piano, li ascoltiamo consapevolmente. Il termine deriva dalla teoria della comunicazione: per segnale si intende ogni suoni verso cui viene indirizzata l’attenzione in modo particolare. Qualunque suono può essere ascoltato consapevolmente e diventare quindi segnale. Ma, sebbene ogni suono possa assumere un’importanza diversa rispetto agli altri, e in modo differente per ciascun individuo, i segnali sonori riguardano l’interesse della collettività, e quindi sono quei suoni, come le campane, i fischi e le sirene, che devono essere ascoltati perché indicano qualcosa a tutti. Sono codici più o meno sofisticati per comunicare un messaggio che deve essere recepito unanimemente.
Le “impronte sonore”, soundmarks, in riferimento ai landmarks, sono suoni unici, specifici di un determinato luogo, punti di riferimento. Le impronte sonore possiedono determinate qualità che le rendono speciali per le persone appartenenti ad una comunità. Sono caratteristiche di un luogo e di un tipo specifico di società e per questo meritano di essere protette. Si può notare che la distinzione qui compiuta da Murray Schafer non è del tutto esaustiva, e non permette di comprendere la totalità delle manifestazioni acustiche che potrebbero contraddistinguere un paesaggio sonoro. Inoltre non è del tutto chiara la distinzione tra segnali e impronte dal momento che spesso i segnali risultano tali proprio perché devono dare una impronta alla comunità. E’ il caso piuttosto evidente delle campane nella nostra società, in cui spesso la funzione di segnale si sovrappone a quella di impronta e viceversa.
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Analisi del paesaggio sonoro esempio di spettrogramma
La terza parte è dedicata all’analisi e contiene una serie di criteri che Schafer propone per lo studio dei paesaggi sonori, tra cui figurano possibili sistemi di notazione, classificazione e percezione del paesaggio sonoro e criteri interpretativi del significato che i suoni, intesi come simboli, porterebbero con sè. Notazione grafica dei suoni La questione della notazione è molto spinosa per Schafer, che considera la trascrizione dei suoni in segni grafici un compito essenziale ma anche molto difficoltoso, a causa della natura dinamica e impalpabile del suono. Rappresentare i suoni graficamente è utile a fissarli, analizzarli, conforntarli e conservarli, ma risulta complicato a causa della proiezione bidimensionale e del ridotto vocabolario, che fa spesso riferimento a termini del mondo visivo. La notazione di fenomeni acustici,
se si esclude l’alfabeto fonetico e la notazione musicale, è piuttosto recente, risale all’incirca al XX secolo. Si tratta principalmente di sistemi utilizzati in acustica, di carattere scientifico, che indicano le proprietà meccaniche del suono (intensità, frequenza, tempo) ma che sono in grado di rappresentare solo due parametri alla volta. Schafer desidera invece considerare simultaneamente più parametri per valutare un fenomeno sonoro nel suo complesso. Lo spettrogramma riesce a riprodurre tutte e tre le dimensioni, indicando l’intensità attraverso delle ombreggiature e rendendo completa l’immagine sonora; esso è però adatto solamente a suoni singoli e di breve durata. Si comprende dalla seguente affermazione lo scontento che Schafer nutre per i mezzi di rappresentazione grafica presenti al tempo e per la loro scarsa diffusione.
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STANLEY PARK Vancouver, Canada
acqua
terreno strade curve di livello
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«Se finora non ho manifestato un eccessivo entusiasmo verso la visualizazione del suono, è semplicemente perché desideravo che il lettore prendesse coscienza del fatto che qualsiasi proiezione in termini visivi di un suono è arbitraria e contraffatta. La cosa diventa immediatamente esplicita se si chiede a un gruppo di persone di illustrare in tempo reale e senza possibilità di riflettere alcuni suoni ascoltati su nastro. In test di questo genere i musicisti o gli esperti di acustica rispettano spesso le convenzioni dello scorrimento del tempo da sinistra verso destra, e di alto e di basso per le frequenze, mentre le reazioni di persone prive di questo tipo di studi sono maggiormente indipendenti. Per queste ultime un suono può cominciare da qualsiasi punto del
foglio, può avvolgersi su se stesso a spirale o sparpagliarsi in tutte le direzioni»6. Occorre dunque sviluppare sistemi di notazione che possano essere letti e compresi da persone che operano in campi molto diversi ma necessari per il carattere interdisciplinare del paesaggio sonoro: architetti, urbanisti, musicisti, esperti di acustica, sociologi, psicologi. Una soluzione porposta da Schafer è la sonografia aerea, derivata dalla cartografia: applicare la notazione aerea all’intensità sonora permette di raffigurare i valori medi d’intensità dei suoni attraverso curve di livello, delimitando le zone di pari intensità. La sonografia aerea risulta essere un metodo efficace e adeguata alle esigenze di un linguaggio interdisciplinare.
6. R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985 (orig. 1977), p.178
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Oggetto sonoro, evento sonoro
Classificazione dei suoni
Schafer dopo una disamina critica del concetto di oggetto sonoro (objet sonore) elaborato da Pierre Schaeffer e di cui abbiamo parlato nel capitolo 2 Rumore e Musica, propone la nozione di “evento sonoro”. Partendo dalla definizione di evento, come di un qualcosa che avviene in un determinato luogo durante un particolare intervallo di tempo, Schafer deduce che un evento sonoro è tale quando è inserito in un continuum spazio-temporale che lo definisce; un evento sonoro, inoltre, può essere considerato come la più piccola particella autonoma di un paesaggio sonoro, allo stesso modo di un oggetto sonoro. Ma a differenza dell’oggetto sonoro di Schaeffer che può essere studiato in astratto come un oggetto acustico, l’evento sonoro presuppone uno studio che tenga conto dei suoi valori simbolici, semantici e strutturali e delle relazioni che instaura con il paesaggio sonoro di cui fa parte insieme ad altri eventi sonori, ha bisogno dunque di un contesto. L’oggetto sonoro di Schaeffer, infine, è un suono isolato, mentre in Schafer vi è l’idea di una totalità sonora che ingloba l’individuo.
In aggiunta alle possibili forme di rappresentazione dei suoni, Schafer studia alcuni metodi di classificazione per studiare somiglianze e contrasti tra eventi sonori e a scopi creativi, per costruire un campionario di suoni a disposizione dei compositori. Gli eventi sonori sono classificabili in base a diversi criteri: in base alle loro caratteristiche fisiche, secondo i principi dell’acustica; in base a come vengono percepiti, con riferimento alla psicoacustica; in base alla loro funzione e al loro significato; in base a criteri estetici. È subito chiaro a Schafer che per studiare il paesaggio sonoro occorre considerare non tanto le caratteristiche fisiche di un suono ma piuttosto quelle psicofisiche, ossia come il suono viene percepito dal soggetto. Schafer riprende nuovamente gli studi di Schaeffer ma li adatta alla presenza di un contesto includendo altri fattori: distanza tra suono e uditore, rapporto con un ambiente hi-fi o lo-fi, condizioni ambientali come la riverberazione, se l’evento sonoro è isolato o fa parte di un messaggio più ampio.
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
La classificazione de suoni secondo gli aspetti referenziali prevede invece di studiarne funzione e significato, ricordando che ogni individuo ha un suo atteggiamento culturale, diverso da quello degli altri. Schafer utilizza questo sistema di classificazione per alcuni dei lavori di ricerca del World Soundscape Project per considerare tutte le descrizioni raccolte e lo consiglia come strumento di supporto per le esercitazioni di ascolto. Un ulteriore sistema di classificazione, il più complesso da definire, prevede di suddividere i suoni in categorie secondo le loro qualità estetiche, in base a elenchi di pareri raccolti mediante inchieste, tenendo conto della difficoltà dovuta all’arbitrarietà dei giudizi. Le differenze culturali e le influenze climatiche infatti possono variare di molto le risposte, così come il contesto in cui il suono viene udito: suoni che hanno le stesse caratteristiche secondo i parametri fisici possono essere di provenienza molto diversa e quindi risultare più o meno graditi; ad esempio lo scrociare dell’acqua, un rumore bianco, ha consistenza simile al rumore del traffico.
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Percezione dei suoni Anche qui Schafer lamenta il poco interesse che gli studi sulla percezione sonora riscuotono in ambito psicologico. Solamente a proposito del mascheramento sonoro (ricoprire un suono mediante un altro) e sulla fatica uditiva (gli effetti sull’esposizione prolungata ad uno stesso suono) sono stati svolti studi interessanti, ma ben lontani dall’obiettivo di Schafer di determinare «come e perché esistano differenti modalità di ascolto in individui e società appartenenti a diverse epoche storiche»7. Schafer prende esempio dalla percezione visiva e fa un parallelo con la psicologia della Gestalt, che per prima introdusse il rapporto figura/sfondo. La figura è il punto focale d’interesse, mentre lo sfondo è il contesto, l’inquadramento generale. A questi due primi termini se ne aggiunge un terzo, il campo, per indicare il luogo dove si svolge l’osservazione. Confrontando questi termini con le categorie del paesaggio sonoro analizzate in precedenza si può constatare come la figura sia paragonabile al segnale o all’impronta, lo sfondo alle toniche dell’ambiente, e il campo al paesaggio sonoro nella totalità.
Nel rumore continuo del mondo moderno è più difficile percepire la profondità della prospettiva sonora, non si hanno più “gesti”, ma “tessuti”. «Gesto è il suono isolato, unico, specifico, che impone la sua presenza; tessuto è invece l’aggregato generalizzato, l’anarchia confusa di azioni tra loro contraddittorie»8. Ci è voluto molto tempo prima che le folle cessassero di sentirsi frastornate e l’abitante della città imparasse a classificare con facilità i suoni confusi. In questa moltitudine, in questo tessuto, mentre non stiamo ascoltando nulla in particolare, spesso spunta un suono diverso che diventa figura. Oppure potremmo essere soggetti a illusione acustica, come ad esempio udire un tessuto a banda larga e immaginarvi al suo interno numerosi altri suoni che in realtà non sono mai stati registrati. Dal rumore delle onde del mare o del vento soprattutto possono emergere altri suoni evocati dalla suggestione. «Probabilmente non riusciremo mai a spiegarci simili illusioni acustiche. Ma forse è meglio così, perché una spiegazione di questo fenomeno ridurrebbe il grande potere di attrazione e il valore simbolico di questi suoni»9.
7. R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985 (orig. 1977), p.211 8. Ibidem, p.223 9. Ibidem, p.224
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Il rumore Trattandosi di un libro sull’ecologia acustica, è determinate per Schafer discutere del tema del rumore, quel rumore che è entrato a far parte del mondo dopo la rivoluzione industriale. Per affrontare l’argomento Schafer inizia con le definizioni più comuni del termine “rumore”: 1. Suono non desiderato. Definizione dell’Oxford English Dictionary (1225) 2. Suono non musicale. Suoni composti di vibrazioni aperiodiche (XIX secolo) 3. Tutti i suoni di forte intensità. Termine utilizzato per regolamenti di riduzione del rumore 4. Disturbo all’interno di un qualsiasi sistema di comunicazione. Suono che non fa parte del segnale trasmesso (elettronica o meccanica) Delle quattro definizioni la più soddisfacente è probabilmente quella di “suono non desiderato”, ma si tratta di un termine del tutto soggettivo, in quanto ad esempio ciò che per una persona è musica, per un’altra può essere rumore. Un rumore può dunque essere definito come il suono sbagliato nel posto sbagliato al momento sbagliato. L’enciclopedia Treccani fornisce come prima definizione la seguente: Qualsiasi perturbazione sonora che, emergendo dal silenzio (o anche da altri suoni), dia luogo a una sensazione acustica; è quindi sinonimo di suono, ma si usa soprattutto per suoni soggettivamente giudicati non musicali o che comunque riescano sgradevoli, fastidiosi, molesti, o addirittura dannosi. Schafer riscontra nella storia le prime lamentele sul rumore in città nella Roma antica; nella terza Satira (117 a.C.) Giovenale scrive: «La maggior parte degli ammalati muoiono a Roma per insonnia…Questo è il principio del malanno: il continuo passaggio delle vetture nelle sinuosità delle viuzze». Le legislazioni contro il rumore di oltre duecento città vengono prese in esame dal World Soundscape Project per studiare i diversi atteggiamenti culturali delle società; i suoni vietati infatti possiedono un’enorme risonanza simbolica.
Brano tratto da The new soundscape di R. Murray Schafer, BMI, Canada 1969, pp.21-24 Passeggiammo per un po’ parlando del rumore. Doug aveva con sé il fonometro e misurava continuamente. All’angolo di una zona residenziale (35 Db) ci fermammo e io domandai a Jeff perché considerasse la radio di un appartamento vicino una fonte di rumore. - “Perché viene tenuta accesa tutto il santo giorno. E poi non mi piacciono i programmi che quella gente sceglie”. - “Per la verità non trovo che sia sgradevole”, affermò di nuovo Barbara (con 40 Db). - “Va bene”, dissi. “Allora come definirebbe Lei il rumore?”. - “Come qualcosa di brutto”, rispose lei. Passò un autobus (80 Db). - “Le è sembrato brutto?”, chiesi dopo un po’. - “Che cosa?”. - “Quell’autobus”. - “Beh è stato rumoroso, ma neppure lontanamente brutto quanto il frastuono presente nel pezzo che ci ha fatto ascoltare l’altro giorno” (avevamo ascoltato Déserts di Edgar Varèse). Jeff lo aveva trovato divertente e ci rideva (68 Db). - “Che cos’è che rende brutto un suono?”, insistetti io. Proprio in quel momento ci passò accanto una moto a velocità folle (98 Db). - “Una Harley-Davidson”, commentò Jeff che se ne intendeva… - “Sessantadue cavalli. Fantastica!”. - “Brutta?”, domandai. - “Noooo, bella”. - “Ah sì?”
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Rumore bianco, rumore rosa
Il rumore rosa (pink noise), che è più strutturato del bianco e più gradevole all’orecchio, in fisica si definisce come un rumore in cui le componenti a bassa frequenza hanno potenza maggiore a differenza del rumore bianco in cui l’ampiezza è uguale per qualsiasi frequenza. In acustica questo tipo di rumore è strutturato in modo tale da compensare la ridotta sensibilità dell’orecchio umano alle basse frequenze, ciò conferisce al rumore la stessa energia per ogni ottava, e viene utilizzato per l’equalizzazione del suono in ambito professionale. Alcune indicazioni di psicoacustica rilevano che l’ascolto di questo rumore sia estremamente rilassante, perché non ha una struttura definita e prevedibile, ma frattale ed simile a suoni naturali come la pioggia, una cascata o un torrente.
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Il rumore bianco (white noise) è quel tipo di suono prodotto dalla combinazione di tutte le frequenze, di modo che lo spettrogramma risulti piatto, senza subire variazioni di ampiezza. È chiamato bianco per analogia con il fatto che una radiazione elettromagnetica di simile spettro all’interno della banda della luce visibile apparirebbe all’occhio umano come luce bianca. Si tratta dei suoni prodotti dagli elettrodomestici quali l’asciugacapelli, l’aspirapolvere, le ventole del pc, la lavatrice, oppure quel rumore che si percepisce all’interno dell’abitacolo di un aereo. Il rumore bianco, simile a un continuo fruscio o soffio, è considerato distensivo. Dato che il rumore bianco contiene tutte le frequenze viene impiegato come mascheramento per coprire il rumore di fondo in ambienti interni o per favorire il rilassamento.
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Due nuove discipline ecologia acustica e design acustico
Indicazioni pratiche
Ecologia acustica
Ma come è possibile allora, alla luce di tutte queste considerazioni, costruire un paesaggio sonoro di qualità? Su quali basi? Con che mezzi? È a questi interrogativi che viene dedicata l’ultima sezione dell’opera, che rappresenta la sezione più “pratica” del lavoro: come si può pensare a un intervento diretto sul paesaggio acustico che ci circonda? Schafer propone la diffusione di una cultura acustica che studi a fondo il paesaggio sonoro e migliori la competenza dell’intera comunità. Prevede la fondazione di due materie a carattere interdisciplinare: l’ecologia acustica, che studia gli effetti del paesaggio sonoro sulle risposte fisiche e comportamentali dell’uomo, e il design acustico, che valuta come agire in base ai risultati ottenuti dall’ecologia acustica.
Schafer partendo dal significato del termine ecologia, intesa come lo studio delle relazioni che intercorrono tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui vivono, definisce l’ecologia acustica a sua volta come lo studio dei suoni in rapporto alla vita e alla società. L’ecologia acustica è quindi una disciplina che può essere studiata solo sul campo, analizzando l’influenza che il paesaggio sonoro esercita direttamente sulle persone che in esso sono immerse. L’obiettivo principale è rilevare i disequilibri provocati su un individuo da un ambiente sonoro ostile o insano per poi porre le basi ad un’altra disciplina, il design acustico, che ha il compito di ritrovare l’equilibrio tra suono ambientale e uomo.
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Design acustico Schafer illustra il significato di design acustico partendo da una metafora, già vista in precedenza, nella quale il paesaggio sonoro viene paragonato ad un’unica immensa composizione musicale che si dispiega intorno a noi e di cui noi saremmo contemporaneamente gli ascoltatori, gli esecutori e i compositori. Da una siffatta definizione, emerge pertanto una concezione di progetto acustico aperto, che non sarebbe di competenza dei soli ingegneri acustici, ma che richiede la collaborazione di professionisti, dilettanti, giovani e in generale di chiunque abbia delle buone orecchie. E naturalmente dei compositori: i veri architetti dei suoni. Una pratica del progetto acustico quindi a partecipazione collettiva che dovrebbe perseguire il duplice obiettivo di reintegrare tutti i sensi e di ristabilire una significativa cultura uditiva.
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«La città che suona è spazio musicalizzato e insieme musicalizzante. La dimensione spaziale della musica cittadina si fonda in primo piano sulla struttura per così dire compositiva, sull’articolazione prospettica e mobile delle diverse parti e dei diversi piani, delle distanze, delle alternanze e intermittenze, delle sovrapposizioni e degli intrecci. In secondo luogo la spazialità della musica cittadina si basa sulla sostanziale scomponibilità e ricomponibilità dei suoni che addensandosi e fondendosi formano textures che sono tema compositivo oggi per eccellenza. Ancora, la dimensione spaziale risiede nella partecipazione di una serie di fonti mobili che rendono la sinfonia cittadina un complesso multifonico instabile continuamente veicolato su traiettorie di movimento sonoro nello spazio»10.
10. Roberto Favaro, Spazio sonoro, Venezia, Marsilio Editori, 2010, pp.228-229
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Un modulo per il design acustico «Discriminando i suoni a bassa frequenza, l’orecchio umano filtra ed elimina i suoni del corpo profondo – le onde celebrali e la circolazione sanguigna. Inoltre, la soglia di udibilità dell’orecchio umano si situa proprio al di sopra di quel livello in cui si svolge il perpetuo recital delle molecole dell’aria che si scontrano tra loro. L’anatomia umana, quindi, è la migliore macchina che conosciamo e la sua perfezione tecnica dovrebbe servirici da modello»11. Come l’architettura ha scelto l’anatomia umana a guida del suo metodo di progettazione, così il design acustico ha bisogno di un modulo-base di cui servirsi per misurare l’ambiente sonoro: l’orecchio e la voce dell’uomo. «Quando l’ambiente acustico raggiunge un livello di degradazione tale da coprire o sommergere il suono della voce umana, noi abbiamo costruito un ambiente inumano. Quando i suoni fanno violenza all’orecchio tanto da danneggiarlo fisicamente o da debilitarlo in termini psicologici, noi abbiamo costruito un ambiente inumano»12. Un compito del designer acustico sarà dunque il riportare la società in un contesto più umano. 11. R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985 (orig. 1977), p.288 12. Ibidem, p.287
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
La comunità acustica
La sordità degli architetti
Il secondo livello di comprensione deve relazionarsi al concetto di “comunità acustica”. Con comunità acustica si intende ogni sistema delimitato in cui hanno luogo esperienze acustiche comuni tra i partecipanti. Platone identifica la comunità ideale in 5400 individui, ossia il limite massimo di persone da cui un singolo oratore poteva essere udito, così come anticamente i confini dei quartieri cittadini erano stabiliti in base ai limiti della percezione del suono delle campane o della voce umana. I mezzi della tecnica rendono questi numeri quasi ridicoli, permettendo agevolmente di rendere percepibile un suono a distanza impensabile, aumentando a dismisura il volume dello spazio acustico13 di una sorgente, e frammentando così i confini acustici di quella che si considerava la comunità naturale. Altro compito del designer acustico è quindi quello di comprendere i caratteri e i limiti della comunità con cui si confronta per evitare che spazio fisico e acustico entrino in conflitto.
Secondo Schafer dovremmo recuperare quella sapienza costruttiva propria dei tempi antichi, quando l’architettura era considerata l’arte di un progetto acustico creativo e l’acustica non veniva ridotta a mera tecnica di isolamento e mascheramento. Egli attacca con fervore i progettisti moderni: «Oggi gli architetti lavorano per dei sordi. E anche le loro orecchie sono foderate di prosciutto. E fino a quando gli architetti non si stureranno le orecchie e non si eserciteranno nella pratica della pulizia dell’orecchio, l’architettura moderna andrà avanti con la sua imbecillità. Oggi lo studio del suono non entra nella facoltà di architettura se non sotto la forma dello studio della riduzione, dell’isolamento e dell’assorbimento acustico»14.
13. spazio entro cui il suono emesso da una sorgente è udibile 14. R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985 (orig. 1977), p.309
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Le regole armoniche
I compiti del designer acustico
Data la sua complessità, il design acustico non può consistere di un insieme di paradigmi da applicare in qualsiasi situazione, ma è piuttosto un insieme di principi da utilizzare per giudicare e correggere i paesaggi sonori. Tali principi sono: 1. Rispetto per l’orecchio e per la voce: consapevolezza che quando l’orecchio soffre di uno spostamento di soglia e quando la voce non riesce a essere udita ci troviamo in presenza di un ambiente nocivo. 2. Consapevolezza del valore simbolico del suono: per essere compreso in modo approfondito nella sua valenza e nella sua funzione sociale, il suono non deve mai essere interpretato semplicemente come un segnale funzionale, ma deve sempre essere indagato anche nella sua componente simbolica. 3. Conoscenza dei ritmi e dei tempi del paesaggio sonoro naturale, inteso come primo esempio, forse ancora insuperato, di paesaggio realmente a misura d’uomo. 4. Comprensione dei meccanismi di equilibrio grazie ai quali è possibile correggere un paesaggio sonoro compromesso.
Ciò di cui un designer acustico si deve occupare è ristabilire un nuovo equilibrio armonico del paesaggio sonoro, un equilibrio tra suono artificiale e naturale, tecnologico e umano, continuo e discontinuo, a bassa e alta frequenza. Come? Attraverso strategie di conservazione e restauro del paesaggio sonoro. Per quanto riguarda il lavoro di conservazione, il progettista deve mirare alla salvaguardia delle impronte sonore perché contraddistinguono una comunità. Il lavoro di restauro consiste, invece, nel porre rimedio ad alcuni degli errori compiuti dai progettisti acustici stessi: gli sgradevoli ronzii dei segnali acustici collegati alle cinture di sicurezza o le sonorità abominevoli dei dispositivi schizofonici utilizzati per gli annunci pubblicitari.
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Pulizia dell’orecchio Ricreare l’equilibrio sonoro del mondo è un compito piuttosto arduo per le abilità di un singolo individuo. Un designer acustico non può rimodellare la società nel suo complesso, ma solo mostrare quali errori la società stia commettendo nel non riconoscere lo stato delle cose. Se si applica con passione i suoi consigli potranno essere accolti. Schafer suggerisce che il designer acustico si paragoni all’artista, la cui funzione è quella di spalancare nuovi modelli di percezione e rappresentare stili alternativi di vita. Per fare ciò bisogna introdurre una nuova materia, nelle scuole, nelle università, ovunque sia possibile, che insegni alle persone ad ascoltare. A tal proposito Schafer mette a punto delle strategie educative di “pulizia dell’orecchio” per raffinare le tecniche di ascolto. Una buona pratica, come suggerisce nel libro A sound education - 100 exercises in listening and soundmaking del 1992, prevede lo svolgimento di una serie di esercizi che comportano, per esempio, scrivere i suoni percepiti, elencarli, disegnarli, immaginare
movimenti dello spazio, astenersi dal proferire parola per un giorno intero, ascoltare un edificio vuoto con i rumori degli elementi strutturali e degli impianti. Il progettista acustico inoltre dovrebbe tenere un diario del paesaggio sonoro per annotare dettagliatamente le variazioni dei suoni nel tempo e nello spazio, e dovrebbe esplorare il paesaggio sonoro con l’orecchio all’erta e con curiosità e attenzione desta, proprie del turista che si muove in un ambiente sconosciuto.
“
Io ritengo che migliorare il paesaggio sonoro del mondo sia assai semplice. Dobbiamo imparare ad ascoltare. È un’abitudine che sembriamo aver perduto. Dobbiamo rendere l’orecchio sensibile al meraviglioso mondo disuoni che ci circonda.
Murray Schafer
”
15. R. Murray Schafer, Educazione al suono – 100 esercizi per ascoltare e produrre il suono, Ricordi, Milano 1998, pag. 6
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Soundwalking Un altro compito che il progettista acustico dovrebbe compiere per affinare la sua formazione consiste nella pratica di passeggiare prestando attenzione ai suoni. Schafer distingue tra due diversi metodi per praticare tale ascolto: le passeggiate sonore e gli itinerari acustici. Una passeggiata sonora è semplicemente una passeggiata nel corso della quale ci si concentra sull’ascolto. La si può fare in qualunque momento: con l’orecchio all’erta si può raggiungere una certa solitudine che può portare alla riflessione. In seguito ci sarà un confronto tra i partecipanti per discutere dei suoni che hanno udito e quelli che non avranno invece notato. Un itinerario acustico è invece un’esplorazione del paesaggio sonoro di una data area, con la guida di una mappa, sulla quale sono indicati il clima sonoro e i suoni che sarà possibile ascoltare durante il tragitto. Un itinerario acustico può comprendere anche esercizi di pulizia dell’orecchio.
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Il Silenzio Secondo Schafer dunque, per poter sperare di migliorare il progetto acustico del mondo, dovremmo prima di tutto recuperare una concezione del silenzio positiva. Il silenzio rappresenta una pausa all’interno delle nostre esistenze, necessita riempimento, interroga l’uomo sul senso più intimo e profondo della propria vita: il vuoto, l’assenza, il nulla. Di fronte a questo arretriamo, ci nascondiamo: emettendo rumore per convincerci di non essere soli, per ricordarci della presenza di altra vita. «L’uomo ama produrre dei suoni per ricordarsi che non è solo. L’uomo rifiuta il silenzio totale. Ha paura della mancanza di suoni, così come ha paura della mancanza di vita. L’uomo moderno, che teme la morte come mai era accaduto in precedenza, evita il silenzio per alimentare la propria credenza fantastica in una vita senza fine. Nella società occidentale il silenzio ha un valore negativo, è un vuoto. Per l’uomo occidentale il silenzio equivale a un’interruzione della comunicazione. Se uno non ha nulla da dire sarà l’altro a parlare. Di qui trae origine la loquacità
contemporanea, amplificata da ogni genere di cicaleccio sonoro-tecnologico. Per l’uomo occidentale la contemplazione del silenzio totale si è trasformato in un’esperienza negativa e terrificante»16. Trent’anni dopo le considerazioni di Schafer, si può affermare con certezza che il valore del silenzio per la società occidentale è nettamente mutato ma rimane comunque una condizione che genera un paradosso: da un lato, il fastidio causato da un paesaggio sonoro sempre più abbrutito spinge gli esseri umani a difendere la proprie orecchie assecondando le promesse di riconquistata quiete da parte di un sempre crescente marketing del silenzio (elettrodomestici silenziosi ma costosi, soggiorni in hotel per allontanarsi dal caos cittadino ecc.). Dall’altro, si assiste all’indifferenza e talvolta alla spavalderia con cui non si presta adeguatamente attenzione al benessere acustico dei luoghi in cui lavoriamo e abitiamo. Ciò conduce a un processo di desensibilizzazione: se c’è un rumore troppo forte per un periodo prolungato
16. R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985 (orig. 1977), p.353
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
L’Accademia del Silenzio
Nasce l’Accademia del silenzio La fondatrice: «Si impara a comunicare meglio. Contro la distrazione e l’ascolto superficiale»
«Si parla troppo», ripeteva il premio Nobel José Saramago, convinto che solo il silenzio esiste davvero. Perché riusciamo a sentirlo (Michael Wehr, psicologo dell’Università dell’Oregon, ha scoperto i neuroni appositi), perché ne abbiamo bisogno (si moltiplicano alberghi e vacanze anti rumore) e perché, come insegnava Paul Simon, ne cogliamo il suono anche «in mezzo a diecimila persone e forse più». ACCADEMIA - Ma non è solo per questo che ad Anghiari (Arezzo) nasce l’Accademia del silenzio, un laboratorio creativo con corsi, seminari, escursioni. «Nasce perché grazie al silenzio si comunica meglio», ironizza la giornalista e ricercatrice Nicoletta Polla Mattiot, fondatrice dell’Accademia insieme a Duccio Demetrio, ordinario di filosofia all’università Milano Bicocca. Il silenzio è pausa, è ascolto. È quel tempo necessario per mettersi in contatto con chi ci sta di fronte, è una zona franca che pesa, incuriosisce, attrae. «Il progetto», spiega Polla Mattiot, «non ha niente a che fare con il solito invito a evadere, uscire dai ritmi quotidiani. Ci sono corsi, momenti di riflessione, incontri in cui si approfondisce il valore del tacere». SILENZIO - Ma il tacere insegna a parlare? Forse, se è vero che è dal silenzio che scaturiscono le domande. «Mai avevo udito un tale silenzio attorno a me – afferma Zarathustra – tanto che il mio cuore
fu atterrito». È dai vuoti di parole che nascono le ansie più acute: l’sms che non arriva, la lettera di risposta che ritarda (come in Le relazioni pericolose, di Choderlos de Laclos). Polla Mattiot è un’esperta: ha fondato il Festival del silenzio e ha scritto una decina di libri sull’argomento: «Cerchiamo di promuovere», afferma, «una sorta di militanza del silenzio, contro la distrazione e l’ascolto superficiale. Anche nelle grandi città». Dove la cosa sembra un’impresa, ma non è detto: è a Filadelfia che, nel 1992 John Hudak fondò il Club del silenzio: ci si iscriveva e, periodicamente, ci si incontrava tacendo. Nel 1996 a Milano un’idea simile la ebbe anche la regista Laura Quaglia, senza contare le tante iniziative legate al turismo, come le escursioni a tema silenzioso (per esempio le gite notturne intorno al lago di Garda, simili a marce mute). E da qualche tempo anche in Italia ci sono i Silence Hotel, catena francese di alberghi che promette: niente rumori. Alcuni non sono proprio economici, ma non è un caso che il filosofo Thierry Paquot abbia inserito il silenzio tra i moderni lussi, nel suo saggio L’elogio del lusso. Dai concerti «muti» di John Cage ai «White Paintings» di Robert Rauschenberg (tele completamente bianche, senza parole in un certo senso), il tacere sembra davvero oro. Tanto che per parlarne sono qui occorse più di 438 parole. Roberta Scorranese, 23 dicembre 2010
capitolo 7 - Studi sul Paesaggio Sonoro
tendiamo a perdere sensibilità all’ascolto e ad essere più tolleranti e non realizzare più che il rumore è troppo alto e quindi aumentarne ulteriormente l’intensità, in un circolo vizioso che porta solo danno. Nell’ambiente urbano in particolare il silenzio è quasi del tutto inesistente, ogni volta che attraversiamo la città veniamo inghiottiti dai rumori e ne siamo talmente assuefatti da perderne la consapevolezza. Ce ne ricordiamo proprio nel momento in cui vengono a mancare, in quegli istanti in cui una serie di fortunate coincidenze porta un silenzio improvviso nel caos urbano. «Come sentiamo il silenzio in città? Com’è che questo silenzio risuona in modo diverso quando lo ascoltiamo in città? È provvisorio, imprevedibile, quasi illecito. Imbattersi nel silenzio della città – un quartiere tranquillo, un momento calmo nel traffico – può essere come svelare un segreto. Se la musica, per dirla
con Adorno, è “un’arte del tempo”, allora il silenzio possiede l’arte di tenere fermo il tempo. Un minuto di silenzio, dopo tutto, ci ricorda con quale lentezza passi anche il più breve lasso di tempo. Ma se alcune forme di silenzio contengono il loro senso dell’eterno, i silenzi delle città sembrano precari. È un silenzio che sta sempre per essere rotto o abbandonato. In città il nostro modo blasè può indurci a non ascoltare; ma la mancanza di suoni – quei momenti in quegli spazi, quando la città smette di parlare – può essere stranamente drammatica»17. Sono proprio questi spazi temporali che ci ricordano dell’importanza fondamentale che ha il silenzio per la nostra salute e per il benessere del vivere quotidiano, e che quindi andrebbero riproposti non solo dal caso ma anche dai progettisti che si occupano di migliorare lo spazio della comunità.
17. Tonkiss, Frank, Cartoline Uditive. Il suono, la memoriae la città, saggio in Bull, Michael; Les Back, Paesaggi Sonori. Musica, voci, rumori: l’universo dell’ascolto, Il Saggiatore, Milano, 2008, pp.201-202
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capitolo
8 PRATICHE DI INDAGINE
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
8 Strumenti di lavoro
CAPITOLO
8.1 Soundwalking camminare come pratica estetica
8.1.1 Dalla flânerie alle soundwalks artistiche 8.1.2 Le soundwalks didattiche
8.2 Time-recording perchĂŠ registrare i suoni
8.2.1 24 hours recording 8.2.2 Janet Cardiff
8.3 Soundmaps mappe multimediali per suoni dinamici
8.3.1 Cartografia sonora. Cenni storici 8.3.2 La soundmap interattiva
8.4 Repertorio degli effetti sonori dieci anni di ricerche del CRESSON
capitolo 8 - Pratiche di indagine
8.1
Soundwalking camminare come pratica estetica
Abbiamo visto come Murray Schafer, per effettuare i suoi studi, indaghi il paesaggio sonoro attraverso numerose tecniche e strumenti. Primo tra tutti è la passeggiata sonora. Il soundwalking è una pratica molto semplice, che consiste in due azioni comuni: camminare e ascoltare. Può dunque essere fatta da chiunque, ma non è così banale come sembra.
della cittadinanza sulle caratteristiche acustiche degli ambienti di vita, e molti artisti ne hanno fatto una forma d’arte e performance per rivelare le identità nascoste dei luoghi in cui vengono realizzate. Una passeggiata finalizzata all’ascolto e alla comprensione delle qualità sonore dei luoghi possiede dunque una natura ibrida a metà strada tra la sensibilizzazione e la descrizione.
Nessuna proiezione silenziosa di un paesaggio sonoro sarà mai soddisfacente. La regola numero uno deve sempre essere questa: se non la senti, non fidarti.
Dalla flânerie alle soundwalks artistiche
“
”
Murray Schafer
Infatti solo un attento e preparato ascoltatore può riconoscere e scoprire le caratteristiche principali di un paesaggio sonoro. Molti studiosi di ecologia acustica ne hanno tratto occasione per la pratica pedagogica, per l’educazione all’ascolto e per la sensibilizzazione
La pratica del camminare in città risale alla flânerie descritta da Baudelaire, dove flâneur è colui che cammina solitario per la città, un Wanderer urbano, «l’osservatore privilegiato dei primi riti consumistici di massa celebrati nei passages parigini»1. Libero, vagabonda tra le strade con sguardo curioso, attento alle varietà del mondo. È formatore di nuove dinamiche e strutture che la folla non coglie, perché non possiede il tempo per fermarsi e osservare. Ma le influenze di chi si è interessato alle passeggiate sonore in ambito di arte e musica provengono principalmente dalle visites dada effettuate
▲ R. Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, Ricordi LIM, Lucca 1985 (orig. 1977), p.185 1. Giampaolo Nuvolati, Lo sguardo vagabondo. Il flâneur e la città da Baudelaire ai postmoderni, Il Mulino, Bologna 2006, p. 95
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
dai dadaisti a Parigi negli anni Venti. Essi infatti organizzarono degli appuntamenti per una serie di escursioni urbane in gruppo nei luoghi comuni, persino banali, della città, in risposta alle convenzionali guide turistiche. L’operazione segna il primo tentativo di abbandonare gli spazi espositivi tradizionali per rivolgersi ai luoghi pubblici e seguire la pratica dadaista inaugurata da Duchamp di elevare l’oggetto comune, o il luogo o l‘azione nel nostro caso, ad opera d’arte. Riconducono quindi la tradizione parigina della flânerie a pratica estetica, nobilitando gli spazi pubblici della città. Il principio di andare a zonzo viene poi ripreso dai surrealisti con la pratica della deambulazione e successivamente dal situazionismo, alla fine degli anni Cinquanta, come possibilità espressiva di un’anti-arte. Il situazionismo propone la dérive, la deriva, come attività ludica collettiva tesa a definire le zone critiche della città e a sperimentare metodi alternativi per viverla. Introduce il concetto di psicogeografia per individuare zone inconsce della città e investiga gli effetti del contesto urbano
sul comportamento cittadino. Negli anni Sessanta l’azione del camminare diventa vera e propria forma d’arte: l’artista passeggia per la città, documentando il suo percorso attraverso mappe e forografie, e successivamente, negli anni Settanta, tramite registrazioni con cui il pubblico può accedere alla sua esperienza.
“
La città parla ai suoi abitanti, noi parliamo la nostra città, la città in cui noi siamo, semplicemente abitando dentro di lei, passeggiando al suo interno.
Roland Barthes
”
L’azione del percorrere lo spazio si trasforma da manifestazione dell’antiarte a pratica estetica e strumento cognitivo e progettuale: l’ascolto previsto dalle passeggiate sonore è impegnato a esplorare l’ambiente urbano e a studiare eventuali interventi migliorativi.
▲ Roland Barthes, Semiologia e Urbanistica in Id., L’avventura semiologica, Einaudi, Torino 1991
capitolo 8 - Pratiche di indagine
Le soundwalks didattiche L’unico modo per approcciarsi al suono, data la sua natura sfuggente, è ascoltarlo. Non esistono alternative altrettanto valide, quindi per insegnare e trasmettere la cultura del paesaggio sonoro bisogna per forza di cose immergersi nell’ambiente che ci circonda e stare a sentire. Le passeggiate sonore sono tutt’oggi delle pratiche molto diffuse nelle città: vengono organizzate spesso durante festival o workshop in ambito artistico, musicale o paesaggistico da enti e collettivi che si occupano di ecologia acustica, salvaguardia del territorio o ricerca nel campo dell’arte e della musica. Schafer dichiarava all’epoca l‘importanza di introdurre tale esperienza nelle scuole per educare i bambini sin dall’inizio ad un ascolto pulito; oggi Roberto Favaro, professore all’Accademia di Architettura di Mendrisio, propone l’esercizio ai suoi studenti all’interno del corso di “Spazio sonoro”, per «sviluppare nei futuri architetti una precisa consapevolezza della voce delle cose, della realtà, del mondo che li circonda, e una specifica attitudine a considerare il progetto anche sotto il profilo acustico sonoro»2.
Una volta scelto il sito si dedica un determinato tempo ad un ascolto intenso, concentrato, esteso, profondo, finalizzato ad una presa di contatto con il paesaggio sonoro e tutte le sue manifestazioni, dimensioni, caratteristiche. Qui di seguito riporto alcuni degli esercizi proposti agli studenti da Favaro, ripresi dal libro di Schafer A sound education. 100 exercises in listening and sound-making. 1. Distinguere i suoni tra umani, meccanici o tecnologici, naturali o prodotti da noi stessi 2. Qualificare il carattere temporale dei suoni: intermittenti, continui, unici 3. Distinguere dei valori di altezza e frequenza dividendo tra suoni acuti, medi, gravi 4. Indicare i diversi gradi di intensità dei suoni e se sono crescenti o decrescenti 5. Individuare la posizione spaziale dei suoni e se sono in movimento o statici 6. Trascrivere in forma grafica libera la collocazione dei suoni (figura, sfondo) 7. Trovare delle forme grafiche che restituiscano l’idea di forma del suono 8. Scegliere il suono più brutto, più bello, più emozionante, quello irrinunciabile e quello eliminabile
2. Roberto Favaro, Spazio sonoro, Venezia, Marsilio Editori, 2010, p.266
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
8.2
Time-recording perché registrare i suoni
24 hours recording La passeggiata sonora è uno strumento di supporto fondamentale per i soundscape studies ma non sufficiente per la sensibilizzazione all’ecologia acustica; non tutti infatti partecipano agli eventi, e anche chi vi partecipa vive l’esperienza sul momento ma non conserva materialmente nulla in seguito. La registrazione dei suoni va così ad assumere un ruolo basilare per un’analisi più approfondita del paesaggio sonoro e per preservare quei suoni che vanno scomparendo. Per fare ciò Schafer aveva cominciato autilizzare la tecnica della cosiddetta 24 hours recording, che aveva lo scopo di fornire un’istantanea della realtà acustica di un luogo, in un preciso momento storico e consisteva nell’effettuare una registrazione che restituisse la durata di ventiquattro ore attraverso un sistema ‘a campione’ (scegliendo per esempio di registrare i primi dieci minuti di ogni ora); le sequenze venivano successivamente tagliate in segmenti più piccoli e montate, seguendo l’ordine cronologico della ripresa, così da fornire un’idea acustica
del ciclo circadiano. La tecnica è un tentativo di rappresentare le variazioni di un determinato spazio acustico in un lasso temporale non corrispondente al reale. Janet Cardiff Oltre alle finalità di ricerca, classificazione e archiviazione dei suoni, la registrazione fornisce un elemento in più da affiancare alle passeggiate sonore: se chi cammina possiede delle cuffie per ascoltare dei suoni da poi ricercare nell’ambiente la sfida diventerà molto più interessante e d’impatto, oppure se si tratta di una soundwalk artistica, può traslare la percezione del pubblico inserendo suoni estranei al contesto o istruzioni da seguire. L’artista canadese Janet Cardiff propone delle audio walks pensate per vari luoghi in diverse città: il pubblico è fornito di una traccia audio da ascoltare in cuffia, azione simile alla prassi delle visite museali effettuate con audio guide, come percorsi didattici in cui il visitatore segue un determinato itinerario secondo le indicazioni dettate da una voce
capitolo 8 - Pratiche di indagine
registrata. La traccia è composta da rumori naturali di quei luoghi e suoni fabbricati sinteticamente dall’artista. L’effetto è quello di una colonna sonora di un film. La tecnica di registrazione è binaurale, cioè effettuata mediante l’uso di microfoni posizionati nei padiglioni auricolari di un individuo per permettere una riproduzione particolarmente verosimile. La Cardiff focalizza l’attenzione su come la nostra percezione dello spazio sia determinata dal senso dell’udito, e su come sia possibile agire su di essa intervenendo sui suoni. La struttura narrativa che il nastro dispiega durante la passeggiata è
costruita intorno alla storia e alla geografia del luogo, oltre che all’esperienza e ai ricordi personali, in modo da coinvolgere emotivamente l’ascoltatore. Elemento costante nell’opera di Janet Cardiff è il continuo confronto tra luogo reale e luogo simulato in cuffia, oltrepassando le barriere geografiche e temporali (spesso ritrae lo stesso luogo in momenti appartenenti al passato o al futuro). La voce dell’artista sussurrata all’orecchio attraverso le cuffie sortisce l’effetto inverso a quello per cui solitamente sono usate: invece di isolare l’ascoltatore dall’intorno lo proietta nell’ambiente circostante.
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
Soundmaps
8.3
mappe multimediali per suoni dinamici
La registrazione e archiviazione dei suoni, se utilizzata per lo studio dei paesaggi sonori, ha bisogno di essere collegata e supportata da una collocazione geografica. I suoni sono difficili da organizzare secondo una dimensione spaziale, essendo strettamente dipendenti dalla dimensione temporale ed essendo quasi sempre discreti. Data la complessità dell’argomento, l’utilizzo di uno strumento multimediale rappresenta una via da percorrere senza esitazioni, ma quando è nato il concetto di ambiente sonoro non si avevano ancora a disposizione le tecnologie moderne. Cartografia sonora. Cenni storici I primi tentativi di rappresentare il suono in veste cartografica possono essere rintracciati, come abbiamo visto, nel lavoro di ricerca iniziato dal geografo finlandese Johannes Gabriel Granö. Egli opera una classificazione qualitativa dei fenomeni e tenta di rappresentarli cartograficamente, non distingue tra suoni e rumori e li divide secondo tempo, frequenza e dicotomia suono naturale e artificiale.
Successivamente Michael Southworth effettua un altro tentativo di rappresentazione cartografica per la sua tesi The Sonic Environment of Cities: produce una serie di elaborati grafici che rappresentano tipologia di suono, intensità, cadenze temporali, relazione con le attività svolte e tra suono e forma dell’area.
capitolo 8 - Pratiche di indagine
Dopo di lui, nello studio Five Village Soundscapes, Murray Schafer realizza una «mappa sonora tipologica» dei suoni ascoltati tra le undici e le undici e trenta del mattino nella giornata del 6 Marzo del 1975, da una postazione fissata su una collina distante cinquecento metri dal villaggio di Bissingen, in Germania.
La mappa rappresenta, in forma stilizzata e secondo una visione prospettica, le principali sorgenti dei suoni mappati, come la fabbrica, la chiesa, la scuola, gli alberi come cornice di riferimento per la localizzazione dei suoni rilevati. La ricerca sulle possibilità espressive della cartografia è ulteriormente approfondita da Schafer, con l’inserimento in The Tuning of the World della sonografia aerea. Questa mappa prende a modello le carte a curve di livello altimetrico (isoipse) realizzate dai geografi e cartografi ed è tracciata a partire da migliaia di singoli rilevamenti effettuati mediante un indicatore di livello sonoro; una volta raccolte le indicazioni delle intensità se ne fa una media, e attraverso delle curve, dette isobel, si delimitano le zone di uguale intensità: in questo modo le aree più silenziose e quelle più rumorose di un territorio possono essere immediatamente identificate.
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
La soundmap interattiva Una mappa è per tradizione visiva, bidimensionale e statica, caratteri opposti alle specificità del suono, che si muove in uno spazio tridimensionale. Ma oggi, grazie ai nuovi strumenti multimediali, è possibile realizzare mappe sonore che si adattano più facilmente alla natura dinamica del suono. Una soundmap può essere considerata una forma di medium locativo che veicola contemporaneamente informazioni sull’aspetto visuale, spaziale, acustico e temporale di un determinato luogo, con lo scopo di rappresentare il paesaggio sonoro utilizzando solitamente un’interfaccia interattiva. A differenza dei tradizionali metodi di rappresentazione cartografica che si basano su una restituzione statica e bidimensionale della realtà, la soundmap si pone come strumento capace di descrivere, attraverso il suono, l’inscindibilità dello spazio e del tempo e gli aspetti sociali ed emozionali legati all’esperienza del quotidiano. Si basa su tecnologie
3. http://aporee.org/maps/
digitali, piattaforme interattive e sistemi di rilevamento territoriale GPS. Nell’ambito degli studi sul paesaggio sonoro, le soundmap possono essere considerate strumenti di frontiera per l’analisi e rappresentazione del suono ambientale e della sua interazione con l’uomo. Esistono ad oggi mappe sonore di moltissime città, e alcune globali, come radio aporee3, che consiste in un progetto collaborativo aperto a tutti gli utenti: chiunque lo desidera può, rispettando determinate qualità sonore, caricare un file audio e geolocalizzarlo nel luogo di registrazione, creando in tal modo una rete di suoni provenienti da tutto il mondo. Gli obiettivi dei creatori delle mappe sonore sono la salvaguardia e conservazione di suoni di importanza storica e culturale per una società, la sensibilizzazione al problema dell’inquinamento acustico e la volontà di tracciare un percorso emozionale tramite i suoni per ristabilire un legame affettivo con lo spazio pubblico della città.
capitolo 8 - Pratiche di indagine
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parte seconda: Paesaggio Sonoro Urbano
Repertorio degli effetti sonori
8.4
dieci anni di ricerche del CRESSON
«Come gli altri luoghi, l’ambiente sonoro urbano può essere oggetto di due operazioni: essere un oggetto da descrivere o un oggetto da trasformare»4. Con il crescere dell’interesse verso lo studio dei paesaggi sonori e la conseguente diffusione degli studi stessi, nel corso degli anni si riscontra la difficoltà nella descrizione dei suoni su basi comuni per poterne in seguito discutere e intervenire nei luoghi d’interesse. A tal proposito si attiva uno dei centri di ricerca sull’ambiente sonoro più importanti in Europa, il Centre de recherche sur l’espace sonore et l’environnment urbain (CRESSON), fondato negli anni Ottanta dal filosofo e urbanista Jean-François Augoyard presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Grenoble. L’obiettivo è la redazione di uno strumentario per classificare i suoni non secondo le caratteristiche fisiche ma in base all’effetto che hanno sull’ascoltatore. L’intenzione è di lavorare su un livello intermedio tra quello degli oggetti sonori di Pierre Schaeffer, unità elementari difficili da utilizzare, e i paesaggio sonori di Murray Schafer,
legati alla dimensione più ampia degli ecosistemi rurali o urbani. «Né il concetto di paesaggio sonoro troppo ampio e vago, né quello di oggetto sonoro troppo elementare ci permettono di lavorare comodamente nella scala dei valori quotidiani, come nella scala delle unità pertinenti gli spazi architettonici ed urbani. Manchiamo di strumenti descrittivi per lavorare a livello intermedio. Nessuno strumento è capace di integrare l’insieme delle componenti della città che vive: dimensioni fisiche, morfo-spaziali, psicologiche, sociologiche, culturali»5. Nasce così il Repertorio degli effetti sonori, pubblicato nel 1995, dopo dieci anni di ricerca interdisciplinare, che si propone come un codice di configurazioni possibili fra sorgenti acustiche, luogo abitato, percezione e azione sonora. Consiste in un catalogo6 di sedici effetti principali e altri sessanta effetti secondari, elencati in ordine alfabetico. Ogni effetto è considerato nell’accezione che lo caratterizza secondo diverse discipline: architettura, urbanistica, estetica musicale, elettroacustica, psicologia, ecc. «L’effetto sonoro è senza dubbio lo strumento attuale
4. Jean-Francois Augoyard, Henry Torgue (a cura di ), Repertorio degli effetti sonori, Ricordi LIM, Milano 2003, p.171 5. Ibidem, p.175 6. Merita ricordare che anche Barry Truax si è cimentato nell’impresa di redigere un dizionario del suono: l’ Handbook for Acoustic Ecology - la prima edizione fu pubblicata nel 1978 dal World Soundscape Project, Simon Fraser University e ARC Publications – ma aveva concentrato l’attenzione sulle proprietà fisiche del suono (arrivando a formulare più di 600 voci); Augoyard invece si occupa degli effetti del suono sugli ascoltatori.
capitolo 8 - Pratiche di indagine
che meglio risponde alla pluridisciplinarietà che manca nell’insieme del sapere sull’ascolto umano. Il lettore sfoglierà liberamente le pagine di questo repertorio, perché tutti noi siamo manipolatori di effetti sonori nella nostra vita quotidiana: esperti prodigiosi senza saperlo»7. Le ragioni che hanno motivato i ricercatori del CRESSON ad elaborare il repertorio, muovono da considerazioni che rilevano uno squilibrio tra le metodologie di analisi e trasformazione dei luoghi di ascolto e l’ambiente costruito in genere: «Le differenti forme dello spazio costruito non beneficiano allo stesso modo dei progressi della ricerca e della tecnologia. Mentre i luoghi di ascolto – auditorium, sale da concerto – sembrano meritare il più grande sforzo nella costruzione dei modelli e nella simulazione, altri luoghi sono lontani dal conoscere un trattamento altrettanto soddisfacente; così gli spazi aperti e i piccoli spazi chiusi non sono oggi misurabili né nell’insieme delle loro componenti, né con il dettaglio auspicabile. Per queste ragioni di utilità, ma anche perché in tutti i luoghi abitati o occupati, la dimensione umana dei fenomeni
acustici sfugge in parte alla valutazione qualitativa, il ricorso a degli strumenti che si possono chiamare “qualitativi” è necessario»8. L’effetto sonoro si colloca tra uno strumento oggettivo basato su dati fisici e una valutazione soggettiva fondata sulla percezione umana, permettendo uno studio che include il maggior numero di aspetti di un ambiente acustico. Così viene definito nel libro: «L’effetto sonoro conserva per noi valore di paradigma. Idea a metà strada fra l’universale e il particolare, di volta in volta modello e guida, esso permette un discorso generale sui suoni ma non può fare a meno di esempi»9. La raccolta di effetti sonori è dunque utile a ridare un valore pragmatico all’ascolto quotidiano e può essere impiegato per le seguenti finalità: 1. In aiuto alla misurazione acustica 2. La strumentazione pluridisciplinare dell’analisi di situazioni sonore complesse 3. In aiuto agli strumenti di rappresentazione grafica 4. Uno strumento d’intervento architetturale e urbano 5. Uno strumento pedagogico per l’esperienza dell’ascolto
7. Jean-Francois Augoyard, Henry Torgue (a cura di ), Repertorio degli effetti sonori, Ricordi LIM, Milano 2003, p.XXIII 8. Ibidem, p.171 9. Ibidem, p.178
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[ Metodologia di intervento ] PARTE TERZA
capitolo
9 PROGETTARE CON IL SUONO
9 Progettare con il suono
CAPITOLO
9.1 Campi d’indagine definizione dei criteri di scelta
9.2 Valori esplorare, caratterizzare, migliorare un luogo
9.2.1 Caratteri 9.2.2 Memorie sonore 9.2.3 Oasi Sonore 9.2.4 Soundmarks 9.2.5 Networks 9.2.6 Intonatori 9.2.7 Filtri Sonori 9.2.8 Comunità 9.2.9 Plug-in acustici
9.3 Finalità del suono nei progetti schema riassuntivo
capitolo 9 - Progettare con il suono
Campi d’indagine
9.1
definizione dei criteri di scelta
L’impiego del suono come protagonista in allestimenti, luoghi dedicati all’arte, performance, eventi e spazi pubblici è ormai largamente diffuso, numerose sono le occasioni in cui l’inserimento dell’elemento sonoro diventa un’ inaspettata alternativa, che sorprende e incuriosisce il pubblico, abituato a considerare ciò che non sia musica nient’altro che rumore fastidioso. Nella mia ricerca la selezione tra innumerevoli esempi è ricaduta su quegli interventi che più riescono a focalizzare l’attenzione dello spettatore su quegli aspetti del suono che rappresentano il suo fascino: la capacità di poter viaggiare nel tempo e nello spazio, creare delle connessioni tra punti distanti, definire i caratteri di un luogo
senza modificarne la struttura, cambiare all’improvviso, suscitare un senso di comunità in un gruppo di persone. I campi indagati vanno dall’arte all’architettura e il design, analizzando il lavoro di musicisti che intraprendono curiose sperimentazioni, artisti contemporanei che ideano sculture, percorsi o ambienti sonorizzanti, architetti che ricreano il silenzio, compositori che orchestrano un’intera città. Le sezioni si distinguono secondo determinati valori che gli interventi progettuali regalano ai luoghi e ai visitatori; tali valori, esplicitati in seguito, sono: memorie sonore, oasi, soundmarks, networks, intonatori, filtri, comunità, punti d’ascolto, plug-in acustici.
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parte terza: Metodologia di intervento
Valori esplorare, caratterizzare, migliorare un luogo
Caratteri Ogni caso preso in esame sarà definito da alcuni caratteri che determinano la natura dei suoni, la loro origine, se e come sono stati trattati e il ruolo dell’ascoltatore, qui di seguito definiti secondo un codice grafico di identificazione. ANALOGICO – DIGITALE se la tecnica usata prevede l’utilizzo di elementi fisici o computerizzati e guidati attraverso dei software. DAL VIVO – SCHIZOFONICO se la sorgente e il suono sono uniti o distaccati in un tempo o luogo diversi tra loro. RESIDENTE – STRANIERO se il suono è originario e caratteristico del paesaggio sonoro di un luogo o se è stato introdotto per l’intervento. MOBILE – IMMOBILE se la sorgente è in movimento o il suono si muove nello spazio grazie ad un impianto di amplificazione appositamente studiato. INTERATTIVO – PASSIVO se l’ascoltatore partecipa all’emissione o alla modifica dei suoni oppure rimane un ascoltatore passivo. ORIGINALE – MODIFICATO se il suono è quello emesso dalla sorgente o viene mutato attraverso effetti quali amplificazione, riduzione, riverbero, ecc.
9.2
Memorie Sonore Gli interventi selezionati per questa categoria hanno l’obiettivo comune di ricreare uno scenario passato di un determinato luogo attraverso la reintroduzione di quei suoni che in un’altra epoca caratterizzavano quell’ambiente. L’azione principale è la trasposizione dei suoni nel tempo, suoni nativi del luogo ma, a causa dei mutamenti subiti, non più presenti. SI tratta dunque di ricostruire il paesaggio sonoro estinto, salvaguardando la memoria del passato.
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parte terza: Metodologia di intervento
Distant Trains - Entfernte Züge Bill Fontana Berlino, Germania 1984
L’installazione viene realizzata nel vasto campo lasciato vuoto dalla stazione ferroviaria Anhalter Bahnhof a Berlino, distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Bill Fontana fa interrare degli altoparlanti nel campo di fronte alle rovine della facciata principale, unica parte rimasta in piedi, da cui vengono trasmessi
i suoni in diretta di otto microfoni posizionati nella stazione di Colonia, la Hauptbahnhof, snodo ferroviario contemporaneo tra i più frequentati d’Europa. I visitatori, passeggiando per l’area, vedono il fantasma della vecchia stazione che rivive grazie alla ricostruzione del paesaggio sonoro di un tempo.
capitolo 9 - Progettare con il suono
Phantom Railing Public Intervention Londra, Regno Unito 2012
Phantom Railing è una scultura sonora interattiva, installata in un giardino nel quartiere di Bloomsbury a Londra, che utilizza i movimenti dei pedoni per evocare il fantasma di una recinzione in ferro rimossa durante la Seconda Guerra Mondiale e mai più ripristinata. Utilizzando dispositivi acustici basati su sensori, l’installazione mette in evidenza l’assenza della ringhiera riproducendo il suono che fa un bastone se fatto scorrere lungo un parapetto in metallo, la cui velocità e intensità è modulata dai movimenti del pedone. Ispirato dall’iniziativa di guerra per democratizzare parchi e giardini, eliminando le ringhiere, il progetto si inserisce in un dibattito secolare sullo spazio pubblico e l’accessibilità.
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parte terza: Metodologia di intervento
Forgotten Song Lightwell per Laneways: By George! Hidden Networks project Sydney, Australia 2009
Centinaia di gabbie vuote per uccelli, di ogni forma e dimensione, sono appese tra le case di un vicolo di Sydney. Nella strada risuonano i cinguettii, gridi e richiami di decine di specie di volatili che abitavano la zona. Si tratta di un’installazione di arte pubblica rimasta permanente dopo il festival Laneways: By George! Hidden Networks project. Essa ricrea il soundscape naturale del luogo prima che il processo di colonizzazione e urbanizzazione invadesse l’aera, scacciando gli animali dal loro habitat naturale. Molta attenzione è data al rispetto dei ritmi degli uccelli: il tipo di versi infatti cambia dal giorno alla notte, quando le specie notturne si risvegliano e quelle diurne si ritirano.
capitolo 9 - Progettare con il suono
The Great and Secret Show/The look out gallery Katarzyna Krakowiak per Performa 13 New York, USA 2013
L’artista polacca Katarzyna Krakowiak ha trasformato il più grande degli uffici postali di New York (il James A. Farley Post Office), ormai quasi del tutto in disuso, in una monumentale scultura sonora. L’installazione guida i visitatori attraverso un percorso tipicamente chiuso di stanze vuote e corridoi in tutto l’edificio in cui vengono eseguiti i suoni
passati e presenti dei meccanismi e dei processi di servizio postale, rivelando l’affascinante storia degli spazi, e riflettendo sulla vasta scala urbana dell’edificio. Il suono trasforma le pareti del corridoio in una membrana vibrante, producendo un’esperienza intima che sintetizza il passato e il presente delle Poste.
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parte terza: Metodologia di intervento
Alter Bahnhof Video Walk Janet Cardiff e George Bures Miller per dOCUMENTA (13) Kassel, Germania 2012
Janet Cardiff progetta un’audio walk per la vecchia stazione ferroviaria di Kassel. I partecipanti dotati di iPod e cuffie vengono guidati attraverso la stazione. Guardano le cose svolgersi sul piccolo schermo, ma percepiscono profondamente la presenza degli eventi poiché si trovano nel luogo esatto dove è stato girato il filmato. Mentre seguono le immagini in movimento (e cercano di inquadrarle come se fossero loro stessi l’operatore,) li coglie una strana confusione della realtà. Un mondo alternativo si apre dove realtà e finzione si fondono in una tecnica che è stata definita “cinema fisico”. In questa confusione tra passato e presente gli artisti ci guida attraverso una meditazione sulla memoria.
Oasi Sonore Alcuni progetti desiderano ricreare uno spazio “speciale” e unico all’interno di luoghi pubblici, una bolla acustica che isoli dal contesto esterno e proietti il visitatore in una condizione mentale che non si sarebbe mai aspettato di raggiungere in posti del genere. Viene costruito un micro ambiente che trasmette quiete, sia con l’assenza di rumori, sia con l’aggiunta di suoni armonici che tessono un clima caldo e accogliente, predisponendo il pubblico al rilassamento, oppure facendolo concentrare su di sé fino ad udire il suo stesso respiro.
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parte terza: Metodologia di intervento
Le Cylindre Sonore Bernhard Leitner Parc de la Villette, Parigi, Francia 1987
Le Cylindre Sonore è un’architettura sonora e un pezzo di arte pubblica inserita nel Parc de la Villette. Si tratta di una stanza circolare a cielo aperto ribassata rispetto al livello del parco, raggiungibile tramite una scalinata che attraversa la vegetazione. Il suono proveniente dalla struttura attira i passanti e li invita a fermarsi in quello spazio per sperimentare un ascolto contemplativo in una camera di risonanza, attrezzata con tre altoparlanti nascosti dietro otto pareti di cemento forate e potenziata dalle superfici curve della stanza. Rivetti d’acqua aumentano il dettaglio e contribuiscono a separare questo luogo dal resto del parco, come una piccola isola.
capitolo 9 - Progettare con il suono
BE OPEN Sound Portal Arup per il London Design Festival 2012 Trafalgar Square, Londra, Regno Unito 2012
BE OPEN Sound Portal è un’installazione collocata in uno dei punti nevralgici foneticamente più caotici della capitale britannica in occasione del London Design Festival che invita il pubblico a sperimentare il design attraverso l’acustica e il suono piuttosto che lo spettacolo visivo. La struttura in gomma nera accoglie le tecnologie audio più
raffinate, sviluppate da Arup, per offrire al visitatore un’esperienza acustica senza precedenti. Nel mezzo della frequentatissima piazza, la stanza, nel cui bianco e ovattato interno vengono diffuse armonie dei più svariati generi musicali, si pone come un luogo di pausa dalla frenesia cittadina per immergersi ad un livello quasi fisico nel suono.
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parte terza: Metodologia di intervento
Time Square Max Neuhaus Time Square, New York, Stati Uniti 1977-1992
L’opera è situata in un’isola pedonale nel triangolo formato dall’intersezione di Brodway con la Settima Avenue. L’ambiente uditivo è quello caotico e trafficato di uno spazio di passaggio frenetico. L’artista interviene sullo spazio creando un’opera esplicitamente costituita a partire da un luogo specifico: in questo caso si tratta di “un blocco sonoro invisibile all’estremità dell’isola”, collocato nello spazio sotto le grate. La sua sonorità dalla ricca trama armonica simile alla risonanza lasciata da rintocchi di grandi campane, è poco plausibile in quel contesto. Molti passanti non se ne rendono conto. Ma per quanti scoprono e accettano l’impossibilità del suono, l’isola diviene un luogo diverso, distinto ma comprensivo dei propri dintorni”.
capitolo 9 - Progettare con il suono
To Breathe: Bottari/Blackout Kimsooja per Biennale d’Arte di Venezia, Repubblica di Corea Venezia 2013
L’artista coreana concentra sul respiro il suo lavoro nell’installazione alla Biennale d’Arte di Venezia, creando due ambienti tra loro contrastanti, buio e luce, l’uno dentro l’altro, che guidano il visitatore ad una condizione meditativa. Le superfici del padiglione coreano rifrangono i raggi di luce nei colori dell’arcobaleno, dando vita ad un’atmosfera trascendentale. Il percorso prevede successivamente di entrare in una camera anecoica, oscura e senza suono: uno spazio silenzioso e privo di eco a parte i rumori emessi dal corpo del visitatore stesso, ampliando così ulteriormente la percezione di se stessi e l’esperienza della luce e del suono una volta usciti dalla stanza.
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parte terza: Metodologia di intervento
Silent London Simon Elvins Londra, Regno Unito 2006
Utilizzando le informazioni che il governo ha raccolto sui livelli di rumore all’interno di Londra, è stata tracciata una mappa degli spazi più silenziosi di Londra. La mappa, stampata in rilievo su cartoncino bianco, si propone di rivelare un paesaggio nascosto di spazi tranquilli e mostra un lato alternativo della città che normalmente passerebbe inosservato. Le aree in rilievo sono quelle più silenziose, mentre gli avvallamenti indicano le zone più rumorose. Se si traccia un profilo di intensità del suono questo risulta opposto al profilo della mappa.
Soundmarks Come i landmarks, segni che caratterizzano un paesaggio diventando un punto di riferimento, così gli interventi classificati come soundmarks danno all’ambiente in cui si trovano un’impronta acustica che ridefinisce il soundscape del luogo. Questi progetti consistono in sculture sonore a grande scala che, sfruttando gli elementi già presenti, amplificano o modificano i suoni creando un segno molto forte nel territorio, sia visivo che acustico.
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parte terza: Metodologia di intervento
Singing Ringing Tree Tonkin Liu Crown Point, Burnley, Regno Unito 2006
The Singing Ringing Tree è una scultura musicale che suona con il vento collocata in cima ad una collina che domina la città di Burnley. Il profilo dell’albero artificiale è visibile all’orizzonte da molto lontano, compare e scompare tra la nebbia ed è diventato un landmark molto importante e frequentato della zona. L’albero è costruito con tubi metallici sovrapposti di lunghezza variabile, orientati nella direzione prevalente in cui soffia il vento, che passando tra i tubi intona accordi differenti a seconda della lunghezza. Ogni volta che ci si siede sotto l’albero si può ascoltare una canzone sempre inedita.
capitolo 9 - Progettare con il suono
Aeolus Luke Jerram Canada Square Park, Londra, Regno Unito 2012
Aeolus è un padiglione ottico e acustico che consiste in uno strumento a corde suonato dal vento. La massiccia arpa eolica è costituita da 310 tubi in acciaio inox e una rete di corde che mosse dal vento trasmettono la vibrazione ai tubi, che a loro volta amplificano i suoni senza l’impiego di energia elettrica. Aeolus è così in grado di captare e sonorizzare il paesaggio tridimensionale del vento in modo tale da far comprendere ai visitatori il suo spostamento attraverso i suoni che li circondano. Collocato nel mezzo di una piazza diventa punto di interesse e ritrovo per i passanti.
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parte terza: Metodologia di intervento
Kikkit workshop Composed City con Staalplaat Soundsystem e Lola landscape architects Tuned City festival Berlino, Germania 2008
“Kikkit” è un’installazione interattiva che mette in relazione l’arte sonora con l’architettura che consiste nella trasformazione dello spazio architettonico e dell’elemento sonoro dell’area sportiva del parco Wriezener in un’attraente strumento musicale urbano. Secchi conici ricoprono i lati esterni della rete di protezione del campo giochi. Dal Ponte di Warschauer, molto trafficato, l’installazione diventa per i passanti un polo di attrazione visivo. Durante le partite di basket o di calcio i secchi ampificano il suono dell’impatto della palla contro la rete di acciaio. In questo modo l’area gioco si trasforma in uno strumento musicale suonato dai suoi giocatori.
Networks Il principale valore dei progetti di questa sezione consiste nel creare connessioni tra luoghi, persone, realtà distanti, rendere eterotopiche delle location sovrapponendo condizioni diverse nello stesso punto, espandere la prospettiva acustica ad una profondità innaturale. Questi interventi mirano a suscitare nello spettatore un senso di straniamento, d’incapacità di percepire la realtà, o di intrecciare realtà diverse nello stesso momento, o ancora di accumulare dati creando nuove combinazioni.
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parte terza: Metodologia di intervento
Soundbridge Colonia/San Francisco Bill Fontana trasmissione radio 1987
Nel 1987 il primo ponte satellitare nella storia della radio fu realizzato con due sculture sonore dell’artista Bill Fontana. L’«Orchestra» consisteva di 18 fonti sonore nella città di Colonia e 18 a San Francisco. Eventi simultanei nelle due città, paralleli ma completamente indipendenti l’uno dall’altro, furono messi insieme e mescolati in un collage da Bill Fontana tramite una console di mixaggio, producendo in diretta la composizione Satellite Soundbridge Köln - San Francisco, trasmessa in radio. Per un’ora gli ascoltatori entrarono nel mondo sonoro di due città molto distanti grazie alla composizione sonora di Fontana.
capitolo 9 - Progettare con il suono
Urban Echo LUSTlab varie location 2011
“Urban Echo” è un’installazione di public art realizzata dallo studio multidisciplinare di LUST lab. Urban Echo pone l’accento sul ritorno ad una comunicazione centrata sui luoghi reali. Questa installazione mette in relazione luoghi pubblici e quindi la gente di città e culture diverse. L’utilizzo di cartelloni
pubblicitari come schermi dotati di webcam permettono di vedere nuove realtà inserite una dentro l’altra. Collocati in aree pubbliche gli schermi hanno una varietà di modi di funzionamento. A volte si crea un loop che consente l’interazione tra le persone in più città e, talvolta, sono solo una finestra su un altro luogo.
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parte terza: Metodologia di intervento
Voice Tunnel Rafael Lozano-Hemmer New York, Stati Uniti 2013
Voice Tunnel è un’installazione che ha avuto accesso ad un luogo di New York normalmente destinato al traffico automobilistico, il Park Avenue Tunnel. L’artista ha ideato un allestimento di suoni e luci grazie all’impiego di 300 proiettori che disegnano archi bianchi attivati da microfoni in cui i visitatori possono parlare, cantare, urlare, sussurrare. A seconda dell’intensità della voce si regola anche quella della luce e il messaggio registrato viene diffuso in loop fino a quando qualcuno non ne registra uno nuovo. L’intento dell’artista è trasmettere la ricchezza della città attraverso la moltitudine di voci che la compongono e mettere in connessione messaggi e culture diverse.
Intonatori I progetti di questa sezione sono degli strumenti utilizzati per “suonare” gli ambienti in cui vengono collocati per estrarre una sorta di composizione basata sul ritmo e sulle tonalità che oggetti e luoghi quotidiani possono produrre. Che si tratti di una panchina, di un edificio vuoto o di un ponte, questi interventi riescono con le più svariate tecniche a intonarli e suonarli come un comune strumento musicale sfruttando le qualità sonore dei materiali e degli elementi presenti nell’ambiente.
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parte terza: Metodologia di intervento
Human Harp DI Mainstone Ponte di Brooklin, New York, Stati Uniti 2013
Il progetto Human Arp fonde danza, tecnologia, sound art e architettura ed è nato dalla volontà di reinterpretare in chiave musicale lo spazio cittadino. L’associazione del ponte con l’arpa per via delle sospensioni d’acciaio dell’architettura, ha dato il via all’idea di trasformarlo in questo strumento musicale dal suono delicato. La ballerina
Hollie Miller, è stata imbracata con un’apparecchiatura formata da sensori collegati alle sospensioni del ponte. Il ponte diventa, così, il prolungamento del corpo umano che a sua volta si fa strumento per trasformare il frastuono in suono. E’ il movimento del corpo a determinare la melodia sempre diversa, fino ad una vera e propria colonna sonora.
capitolo 9 - Progettare con il suono
Urban Wind Herman Kolgen per il Incheon Internation Digital Arts festival Corea 2010
Urban Wind presenta un’opera unica realizzata in due spazi simultaneamente, uno interno e uno esterno. Dei sensori, collocati in punti strategici della città, misurano la velocità e la direzione del vento, i dati raccolti sono trasmessi via elettronica ad una serie di fisarmoniche sospese in uno spazio museale. Gli strumenti trasformano i dati in una performance visuale e musicale, accordata alle condizioni meteorologiche della città. Grazie ad un uso innovativo della programmazione a computer, Urban Wind diviene un sistema che connette interno ed esterno e traduce l’intangibile fenomeno del vento in una scultura meccanica che suona una melodia.
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parte terza: Metodologia di intervento
Playing the Building David Byrne installazione a Stoccolma, New York, Londra, Minneapolis 2005-2012
Playing the Building è un’installazione sonora in cui l’infrastruttura di un edificio viene convertita in uno strumento musicale gigante. Dei dispositivi, collegati alla struttura, travi, pilastri, impianto di riscaldamento, tubature dell’acqua, vengono utilizzati per trasformare in suoni questi elementi. Tutti i dispositivi, che agiscono sull’edificio emettendo battiti, vibrazioni o aria, sono collegati attraverso dei fili alla tastiera di un vecchio armonium in modo tale da permettere al pubblico di suonare l’intera struttura dell’edificio. L’idea di Byrne è di democratizzare la musica, ossia offrire parità di condizioni a tutti, senza necessariamente possedere conoscenze musicali, dato che si tratta di uno strumento di cui nessuno può essere virtuoso.
capitolo 9 - Progettare con il suono
Public Resonance Sam Weller London Design Week 2011
Yamaha ha chiesto agli studenti del corso di Design Products del Royal College of Art di Londra di collaborare ad una serie di sperimentazioni volti alla ricerca del superamento dei confini tra audience e musicisti. Uno dei lavori presentati è stato questo “Public Resonance” di Sam Weller. L’installazione consiste in una serie di microfoni collegati ad altrettante morse da banco, fissate ad oggetti del panorama urbano come arredi pubblici, architetture e mezzi di trasporto. La naturale risonanza degli oggetti viene amplificata grazie all’uso del kit e permette ai passanti di sperimentare i nuovi strumenti musicali. Il progetto è stato ispirato dalla spontaneità di artisti di strada.
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parte terza: Metodologia di intervento
Lullaby Factory Studio Weave Great Ormond Street Hospital, Bloomsbury, Londra, Regno Unito 2012
Una fitta rete di trombe/diffusori sonori, avviluppata alle facciate della vecchia costruzione e visibile attraverso le grandi finestre dell’ospedale, disegna una misteriosa e buffa Lullaby Factory (fabbrica di ninne nanna) che trasforma un anonimo supporto architettonico in dispositivo dialogante. Un ritmo alternato di forme e scansioni cromatiche dettate dalla varietà dei metalli (ottone, rame, acciaio) utilizzati per la realizzazione degli elementi sonori, supporta e diffonde le ninne nanna composte dalla sound artist Jessica Curry. I piccoli pazienti le ascolteranno attraverso una serie di tubi collocati negli spazi della mensa o sintonizzandosi dai reparti attraverso una stazione radio.
Filtri Sonori «Si percepisce un effetto di filtraggio quando un suono che abbiamo l’abitudine di ascoltare in una certa maniera è modificato nel suo spettro delle frequenze». Il rumore del traffico o i rintocchi di una campana vengono filtrati assumendo caratteri del tutto differenti dai suoni originali e suscitando negli spettatori reazioni diverse, addirittura contrarie a quelle provocate in precedenza.
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parte terza: Metodologia di intervento
Harmonic Bridge O+A North Adams, Stati Uniti 1998
Gli artisti Odland e Auinger da sempre lavorano a installazioni che, agendo per sottrazione, distillano i suoni dell’ambiente urbano attraverso diversi strumenti, estraendo in tempo reale materiale melodico dai rumori della vita quotidiana. Riproposti nel medesimo contesto questi suoni alterano l’identità sonora dei luoghi e provocano nuove sensazioni. L’intervento Harmonic Bridge ad esempio trasforma i suoni del traffico di un cavalcavia attraverso un tubo in alluminio di 4,80 m collocato sull’infrastruttura. La colonna d’aria risuona, al passaggio dei veicoli generando armonie. I suoni prodotti vengono registrati da microfoni all’interno del tubo e trasmessi a due cubi sonori in cemento su cui il visitatore si siede ad ascoltare.
La zona di intervento è il punto di accesso dal centro cittadino al MASS MoCA, museo di arte contemporanea. Un luogo che per lungo tempo è stato percepito come alienante e troppo rumoroso si trasforma in una zona di grande interesse per il pubblico. L’opera di Odland e Auinger permette una riconnessione tra due luoghi fino ad allora separati dalla netta cesura del cavalcavia.
capitolo 9 - Progettare con il suono
Organ of Corti Liminal varie location 2010-2011
Organ of Corti è uno strumento sperimentale che ricicla il rumore dall’ambiente. Non fa alcun suono proprio, ma cerca di attrarre la nostra attenzione sui suoni già presenti, inquadrandoli in modo nuovo. Utilizza la tecnologia acustica dei cristalli sonori per accentuare e attenuare le frequenze all’interno della vasta gamma di suoni presenti nel traffico stradale o nell’acqua che scorre. Riciclando i suoni dal nostro ambiente, il gruppo vuole mettere in discussione ciò che può essere considerato un brano musicale, senza aggiungere nulla al paesaggio sonoro esistente, ma piuttosto offrendo nuovi modi di ascoltare ciò che è già lì.
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parte terza: Metodologia di intervento
Everything Was Forever, Until It Was No More Konrad Smolenski per Biennal d’Arte di Venezia, Polonia Venezia 2013
L’installazione, che occupa l’intero padiglione, consiste in una macchina sonora che interagisce direttamente con i visitatori; è composta da due campane provenienti da un’officina di artigiani e un potente impianto di amplificazione. Le campane suonano a intervalli regolari e gli amplificatori riproducono i suoni creando un riverbero sempre più forte. Il progetto, riempiendo
quasi fisicamente con il suono lo spazio del padiglione, evoca una reazione emotiva, un senso di inquietudine e di tensione, in un momento storico in cui ci occupiamo dell’accumulo e della classificazione delle informazioni dentro una società sovraccarica di dati. Quest’opera si profila quindi come un tentativo di ricominciare, rallentando il ritmo vertiginoso della storia.
Comunità Una rilevante potenzialità del suono è di riuscire a creare un senso di collettività in un gruppo di persone. Lo si può fare rendendo una città un’immensa sala da concerto in cui campanili, navi e tram sono gli orchestrali e chiunque si trovi a passeggiare per la strada è uno spettatore, oppure attraverso il cinema, con scene che ci fanno sentire parte di una città solamente perché stiamo ad ascoltarla, o infine con l’arte, grazie a installazioni che affrontano il tema dell’essere uniti o divisi all’interno di una comunità.
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parte terza: Metodologia di intervento
Concerto di campane Llorenç Barber varie location 1989-oggi
Llorenç Barber si dedica da oltre vent’anni alla composizione di concerti per torri campanarie delle città di tutto il mondo. Ognuno di questi brani, della durata di circa un’ora, è una sinfonia di campane pensata specificatamente per una città in base agli strumenti a disposizione e al contesto ambientale. Tutti i concerti per campane iniziano con degli spari, che indicano agli esecutori il momento di attacco del brano. Ogni concerto è intrinsecamente legato alla morfologia della città, dipende dalle caratteristiche locali, dalle condizioni atmosferiche e dagli elementi dominanti dello spazio acustico. È costruito secondo le campane a disposizione e ad eventuali altri strumenti da affiancare come sirene, megafoni e bande di paese.
capitolo 9 - Progettare con il suono
Lisboa em Si Pedro Castanheira Lisbona, Portogallo 2013
25 barche, 6 tram, 2 treni, 100 campane, 6 camion dei pompieri sono stati i componenti dell’orchestra che il 21 giugno 2013, dopo 14 mesi di lavoro, ha risuonato per tutta la città di Lisbona, grazie ad un progetto del compositore Pedro Castanheira. Il brano eseguito
ha avuto durata di sette minuti dando dimostrazione delle qualità musicali che può avere una città di mare. Il pubblico, distribuito in sette punti di ascolto, è rimasto in silenzio in rispetto dell’esecuzione del brano, assistendo ad un gigantesco concerto all’aperto.
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parte terza: Metodologia di intervento
Jedan: sto / 100 Miloš Živkovi, Nebojša Stevanovi, Janko Tadi, Marija Strajni, Marija Mikovi, Olga Lazarevi, Milan Dragi, Marko Marovi, Aleksandar Ristovi, Nikola Andonov per Biennale di Architettura di Venezia, Serbia Venezia 2012
Un grande tavolo bianco, 22 x 5 m, nello spazio rettangolare del padiglione intorno al quale si gira a distanza di 1,5 m tra di esso e i muri. L’impostazione è supportata dalle registrazioni visuali della gente che si muove intorno ad esso e dagli effetti sonori provocati dai tocchi dei visitatori. E’ veramente uno contro cento la metafora per lo spazio comune?
Siamo soli contro tutti o siamo soli con tutti? In ogni caso l’individuo divide il comune “tavolo” con la moltitudine e lì siamo quasi sempre nel terreno comune, nello spazio che noi creiamo per se stessi. Il movimento fa pulsare lo spazio, i suoni riempiono il silenzio, noi tocchiamo la superficie, noi ci guardiamo e ci sentiamo. Ma esso ci divide o ci unisce?
capitolo 9 - Progettare con il suono
Kethra Zahra Ali Baba per Biennale di Architettura di Venezia, Kuwait Venezia 2012
Kethra significa abbondanza o surplus qualcosa che il Kuwait e altri paesi del Golfo ricchi di petrolio capiscono bene. Ma la distribuzione centralizzata della ricchezza in seguito alla scoperta del petrolio ha avuto alcune conseguenze non intenzionali qualcosa che il padiglione del Kuwait esplora attraverso un’affascinante manipolazione di suono e spazio. Gli altoparlanti appesi alle travi di legno emettono una serie di suoni in sequenze, ognuna delle quali rappresenta alcuni aspetti della vita urbana: domestica, pubblica, periferica, il vuoto, il culto, il governo e il parlamento. Mentre si ascolta si può passeggiare lungo le pareti decorate con una serie di progetti abbandonati per modellare lo sviluppo urbano post-petrolio del Kuwait
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parte terza: Metodologia di intervento
Loggia delle Parole Silvio Wolf Piazza dei Mercanti, MIlano 2003
Loggia delle Parole è l’intervento luminoso e sonoro che Silvio Wolf ha progettato per restituire la perduta centralità e visibilità alla Loggia dei Mercanti, con l’obiettivo di riportarla all’attenzione della cittadinanza e di ricollocarla simbolicamente al centro della sua piazza. L’artista si propone di creare non soltanto un luogo di fruizione estetica, ma soprattutto di ascolto e di esperienza. La parte acustica del progetto si basa sull’uso della parola e della voce diffuse nello spazio architettonico. L’artista realizza quattro piazze sonore in corrispondenza di quattro crociere. Ciascuna piazza sonora è concepita come luogo d’incontro virtuale delle comunità etniche e linguistiche che vivono nell’attuale complessa realtà socioculturale milanese.
Plug-in acustici La sezione raccoglie alcuni esempi di protesi acustiche per accrescere le nostre capacità di ascolto, che amplificano, selezionano, annullano i suoni. Questi device portatili permettono di esplorare un ambiente passeggiandovi in mezzo e scoprono dettagli nascosti ad un orecchio normale. Possono far percepire meglio la direzione di provenienza dei suoni, filtrarne solo alcuni o aumentarne l’intensità in maniera spropositata.
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parte terza: Metodologia di intervento
Electrical Walks Christina Kubisch varie location 2004
Si tratta di una passeggiata pubblica fatta indossando delle speciali cuffie senza fili sensibili che rendono udibili le qualità acustiche dei campi elettromagnetici in superficie e sotterranei. La tavolozza di questi rumori, il loro timbro e il volume varia da sito a sito ma hanno una cosa in comune: sono ovunque, anche dove non ci si aspetterebbe. Cellulari, computer, cavi dei tram, antenne, sportelli automatici, ecc creano campi elettrici che sono a noi nascosti ma di incredibile presenza. La percezione della realtà quotidiana cambia quando si ascoltano i campi elettromagnetici; ciò che è consueto appare in un contesto diverso. Nulla sembra come suona. E niente suona come appare.
capitolo 9 - Progettare con il suono
Schizophones Pierre-Laurent Cassière 2006
Schizophone è il primo prototipo di cuffie di disorientamento. Propone protesi acustiche per alterare le proprie abitudini di ascolto, rivelando come le nostre orecchie siano costantemente utilizzate non solo come dispositivi di comunicazione, ma anche come strumenti di orientamento. I due coni concentrano i suoni provenienti da entrambi i lati dell’ascoltatore. Amplificando i suoni e separando la percezione tra destra e sinistra, lo Schizophone crea uno strano effetto stereofonico sul paesaggio sonoro e rivela suoni morbidi di solito inascoltati. Con un modo insolito di muoversi e con specifiche posizione d’ascolto, l’utente modifica il suo atteggiamento e la relazione con lo spazio.
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Egg Alberto Garutti Piazza Gae Aulenti, Milano 2011
Nella piazza circolare di 2.300 metri quadrati 23 tubi in metallo cromato ottone si sviluppano in verticale su quattro livelli, dai piani del parcheggio a quelli superiori: attraverso ogni tubo è possibile, appoggiando l’orecchio sulla sua apertura, ascoltare suoni, rumori, parole provenienti dall’altro capo dello stesso posizionato in un altro punto dell’edificio. L’intervento
dialoga con l’architettura che lo accoglie e crea un nuovo spazio di relazioni per la città e i cittadini, un territorio pubblico come luogo della partecipazione e dell’incontro. Una didascalia incisa a terra avvisa il pubblico: «Questi tubi collegano tra loro vari luoghi e spazi dell’edificio quest’opera è dedicata a chi passando di qui penserà alle voci e ai suoni della città».
Sculture Sonore - Zimoun La selezione di spunti progettuali ha riguardato fino ad ora, se si escludono gli allestimenti alla Biennale di Venezia, progetti situati in luoghi pubblici, con cui gli interventi intessono una stretta relazione, modificandoli in maniera radicale. In questa sezione invece vorrei segnalare un unico artista che ha sempre lavorato solo in ambito museale ma che, grazie alle sue opere, riesce a costruire degli spazi sonori di fortissimo impatto con una semplicitĂ disarmante.
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Zimoun opere varie
Zimoun, artista svizzero, crea sculture e installazioni in movimento in cui la componente sonora è essenziale. Nei suoi lavori, il movimento di una gran quantità di semplici oggetti industriali mossi da piccoli motori crea un flusso sonoro granulare caotico, creato dalla sovrapposizione sfasata di molti elementi semplici, tutti uguali, ognuno dei quali ha una pulsazione ritmica regolare. Le sue installazioni sonore sono bellissimi sistemi complessi, organizzati secondo rigidissime regole progettuali e matrici espositive: vivaci organismi viventi in grado di abitare lo spazio in cui vengono allestiti per mezzo di un sottile e mai banale rapporto tra suono e volumetria circostante.
Riguardo all’uso dei materiali l’artista stesso commenta: «La riduzione nelle mie opere fa concentrare il pubblico presente su ciò che c’è. Si ascolta quello che si vede. Quindi la relazione tra materiali, movimenti e suoni è evidente. Mi interessano la semplicità, la chiarezza, l’immediatezza. Nelle mie installazioni mi propongo di mettere insieme, in un’unica essenza, elementi visivi, sonori e spaziali. Quello che cerco è un impiego attento, ma radicale, dei materiali. Attraverso questa riduzione le opere possono rimanere astratte, come una sorta di codice o di sistema che sta dietro qualcosa; ma allo stesso tempo si aprono a un ampio campo di connessioni, punti di vista, associazioni e interpretazioni».
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Finalità del suono nei progetti schema riassuntivo
La precedente suddivisione in valori di progetto è stata rivalutata in base alle finalità con cui artisti, architetti, designer e musicisti hanno trattato il tema del suono, per estrarre delle linee guida efficaci che siano di supporto alla definizione della parte progettuale della ricerca. I casi studio sono distinti in cinque categorie, definite in cinque azioni che il suono compie nell’ambiente
di intervento: connette spazi distanti tra loro, tempo passato con tempo presente, crea un senso di comunità tra individui; aiuta a scoprire i caratteri di un luogo o della propria percezione; costruisce muri invisibili che definiscono uno spazio fisico interrotto dal resto che lo circonda; intona i rumori della città e ne crea di nuovi, più piacevoli; infine diventa un segno, un punto di riferimento in un paesaggio.
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[ Proposta progettuale ] PARTE QUARTA
capitolo
10 DI RUMORE IN SUONO
10 Di rumore in suono
CAPITOLO
10.1 Deduzioni teoriche l’armonia nascosta
10.2 Obiettivi di progetto come migliorare il paesaggio sonoro
capitolo 10 - Di rumore in suono
10.1
Deduzioni teoriche l’armonia nascosta
L’analisi del tema del paesaggio sonoro urbano, oltre ad essere stata per me ragione di interessanti ricerche, mi ha fatto capire quanto i rumori, non solo la musica, siano fonte inesauribile di indagine e spunto progettuale per ogni genere di intervento creativo. Il fatto che siano solitamente poco considerati li rende un materiale da utilizzare ed esaltare più frequentemente per rendere giustizia alla loro ricchezza e potenzialità. Nel corso delle mie ricerche ho avuto modo di partecipare ad un workshop di ecologia del suono e paesaggi
sonori a Milano, tenuto da A.I.P.S.1 e Video Sound Art Festival. Il fascino evocato dal dare la caccia ai suoni di Parco Sempione attraverso un microfono e un paio di cuffie mi ha fatto capire quanto poco ascoltiamo il nostro ambiente e quanto potremmo invece captare. Imparare a gestire il suono e sfruttarne gli effetti positivi invece che subirne quelli negativi è diventata così la mia linea guida per sviluppare un intervento in grado di rivalorizzare sia lo spazio pubblico sia i suoni che di esso fanno parte.
“
Un suono è intrinsecamente e indubbiamente relazionale: emana, si propaga, comunica, vibra, si agita; lascia un corpo ed entra in altri; avvolge e sconvolge, armonizza e traumatizza; fa muovere il corpo, fa sognare la mente, fa oscillare l’aria. Apparentemente elude una definizione, ma ha effetti profondi.
Brandon LaBelle
1. Archivio Italiano dei Paesaggi Sonori
”
▲ Brandon LaBelle, Background Noise. Perspectives on Sound Art, Continuum, New York 2007, p. IX
285
286
parte quarta: Proposta progettuale
10.2
Obiettivi di progetto come migliorare il paesaggio sonoro
«Lo spazio e il suono si condizionano necessariamente a vicenda: il suono è prodotto da vibrazioni di corpi elastici che si propagano nello spazio, necessita di una sorgente individuabile in un punto definito e di un ambiente circostante in cui diffondersi; viceversa la percezione che noi abbiamo di uno spazio dipende in gran parte dal senso dell’udito, da come interpretiamo i suoni e viene regolata dal funzionamento degli organi dell’orecchio interno»2.
In architettura dovrebbe essere d’obbligo tenere conto di questa stretta relazione, che però non viene sfruttata abbastanza: così come in ambiente accademico si considera il suono esclusivamente in quanto materia musicale, allo stesso modo ci si limita troppo spesso a valutare il fattore acustico solamente in progetti relativi a sale da concerto e altri ad ambienti dedicati ad esecuzioni e performance dal vivo.
“
Le vie della sperimentazione che suggerisce l’architettura sonora sono molteplici, a vote molto semplici e a volte molto complesse. Ma posano tutte sullo stesso principio: non cercare di risolvere l’impossibile sopprimendo i rumori ma giocare con i suoni, renderli creativi al fine di qualificare uno spazio per renderlo più poetico e accogliente.
Christiane Flageollet Saadna
”
2. Riccardo Belgiojoso, Costruire con i Suoni, Franco Angeli, Milano 2009, p. 103 ▲ Christiane Flageollet Saadna, Le bruit révélateur des relations sociales, in Louis Dandrel, Brigitte Loye Deroubaix, Frederci Saunier, Alain Richon, L’architecture sonore, PUCA, Parigi 1999, p.8
capitolo 10 - Di rumore in suono
Obiettivo del progetto è contribuire alla qualificazione di uno spazio pubblico caratterizzato da un ambiente sonoro particolarmente disturbante e nocivo superando la mera pratica di eliminazione dei rumori basata sulla limitazione dei livelli di emissione dei suoni e interventi di isolamento acustico. L’intenzione è quella di sviluppare un approccio positivo che consideri il rumore come segno di vita utile e necessario: i rumori possono qualificare, non solo squalificare, un ambiente costruito. Ascoltare i suoni di un luogo contribuisce a conoscerne l’identità e a svelarne caratteristiche e attività; ulteriore finalità dell’intervento è dunque rivelare in maniera più chiara e definita le impronte sonore del luogo per poterle riconsiderare sotto un nuovo punto d’ascolto e poter così apprezzare maggiormente i suoni presenti. Infine si intende sensibilizzare il pubblico sugli effetti che i rumori hanno sul nostro comportamento, diffondendo una pratica di ascolto consapevole basata sugli insegnamenti di ecologia sonora fondati da Murray Schafer.
RIQUALIFICAZIONE DELLO SPAZIO PUBBLICO
SCOPERTA DELLA CITTÀ
ASCOLTO CONSAPEVOLE
287
capitolo
11 PIAZZA ARGENTINA Milano
11 Piazza Argentina. Milano
CAPITOLO
11.1 La piazza spezzata analisi luogo di intervento
11.2 Problematiche suono d’asfalto
11.3 PotenzialitĂ rumori dal sottosuolo
capitolo 11 - Piazza Argentina, Milano
11.1
La piazza spezzata analisi luogo di intervento
Piazza Argentina, collocata in prossimità di Piazzale Loreto, è un luogo definito da intensi flussi di transito. È una piazza di dimensioni ridotte e spaccata a metà dal trafficatissimo viale di Corso Buenos Aires. Si caratterizza per l’intenso transito di veicoli, di mezzi pubblici e di pedoni, in quanto stazione di interscambio tra la linea rossa M1 e la linea verde M2, zona commerciale e fermata di numerosi mezzi pubblici di superficie. Veicoli: la zona è definita da un costante flusso di traffico di auto, autobus, filobus, furgoni, moto, scooter e biciclette che impegnano la strada a intervalli regolati
dai semafori dell’incrocio di Corso Buenos Aires con via Stradivari e dalle fermate dei mezzi di superficie in via Stradivari. A livello sotterraneo scorre il tunnel della metropolitana, che segue il percorso di Corso Buenos Aires. Pedoni: la presenza delle uscite della stazione della metropolitana e delle fermate dell’autobus crea un frequente passaggio di persone che attraversano la piazza o di clienti dei numerosi negozi presenti in zona. I punti di ristoro che vendono cibo da asporto (gelateria, pizza al trancio, kebab, McDonald) rendono affollate le panchine rotonde presenti nella piazza.
Piazzale Loreto Stazione Centrale
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Corso Buenos Aires
Piazza Piola
291
292
parte quarta: IntraSuono
edifici
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aree pedonali
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Piazzale Loreto
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metropolitana sotterranea
capitolo 11 - Piazza Argentina, Milano
293
BAR - GELATERIA - FAST FOOD - NEGOZI DI ABBIGLIAMENTO - EDICOLA - FIORAIO
PASSEGGIARE - SOSTARE - MANGIARE - INCONTRARSI - ACQUISTARE - ATTENDERE
ACCELERARE - FRENARE - PARCHEGGIARE - SUONARE IL CLACSON - SOSTARE
RALLENTAMENTO TRENO - APERTURA PORTE - PARTENZA TRENO
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parte quarta: IntraSuono
metro autobus veicoli pedoni costruito aree pedonali
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capitolo 11 - Piazza Argentina, Milano
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parte quarta: Proposta progettuale
capitolo 11 - Piazza Argentina, Milano
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parte quarta: Proposta progettuale
11.2
Problematiche suono d’asfalto
L’area, a causa della sua conformazione urbana, è collocata nel mezzo di un crocevia di veicoli che con il loro costante passare, sostare al semaforo e ripartire, caratterizzano il paesaggio sonoro con un rumore di fondo forte e incessante, di natura meccanica, causato dall’attrito dei pneumatici sull’asfalto, il ronzio dei motori, lo sbuffare di mezzi pesanti, con qualche nota di segnale più alta di clacson, sirene e stridii di frenate. I rumori del traffico stradale tendono a coprire quasi del tutto gli altri suoni di minore intensità presenti nella zona pedonale. La piazza è un luogo molto frequentato grazie alla forte presenza di attività commerciali e i passanti vi si fermano spesso a riposare, consumare cibo da asporto, aspettare o incontrarsi. Le condizioni di sosta però sono poco gradevoli in quanto le sedute presenti si trovano in prossimità della strada, soggette ai continui sbalzi di intensità sonora dovuti al passare delle automobli a pochi metri dalle panchine.
aree di sosta
prossimità con la strada
capitolo 11 - Piazza Argentina, Milano
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300
parte quarta: Proposta progettuale
11.3
Potenzialità rumori dal sottosuolo
La presenza dei binari sotterranei della metropolitana delle linee M1 e M2 su un doppio livello, non percepibile in superficie se non dalla presenza delle scalinate d’uscita, è una componente accattivante del luogo. La metropolitana infatti, con il suo rombo crescente, gli annunci sonori, il fischio di frenata, l’apertura delle porte e la lenta ripartenza è una presenza costante e caratteristica del paesaggio sonoro della città di Milano, ma è un insieme di suoni relegati, se non per alcune eccezioni di treni in superficie, all’ambiente sotterraneo. Riportare in strada i rumori della metropolitana, aggiungendo ulteriore caos al già saturo paesaggio sonoro potrebbe sembrare un controsenso o un’azione a svantaggio del benessere acustico dello spazio pubblico urbano. Non se si considera l’aspetto fisico del suono, ossia le vibrazioni tattili che un’onda sonora di frequenza grave può provocare se trasmessa attraverso apposite apparecchiature.
tatto
vibrazione
suono
capitolo 11 - Piazza Argentina, Milano
301
capitolo
12 INTRASUONO
12 IntraSuono
CAPITOLO
12.1 Concept il passaggio: da LO-FI a HI-FI
12.2 Studio del suono riciclare il rumore
12.3 Studio della forma la galleria permeabile
12.3.1 Requisiti per lo spazio pubblico 12.3.2 Requisiti per il suono
12.4 Padiglione collocazione e composizione
12.4.1 Suoni della macchina 12.4.2 Suoni dell’uomo 12.4.3 Tessuto sonoro armonico
12.5 Sistema audio software e hardware
12.5.1 Schede tecniche
12.6 Disegno tecnici 12.7 Struttura sistema dei componenti
12.7.1 Struttura 12.7.2 Telaio 12.7.3 Rivestimenti 12.7.4 Texture 12.7.5 Sedute 12.7.6 Pavimentazione
12.8 Illuminazione 12.9 Ambientazione
capitolo 12 - IntraSuono
12.1
Concept il passaggio: da LO-FI a HI-FI
IntraSuono parte dalla volontà di creare un percorso nuovo in un’area caratterizzata dal transito di pedoni che attraversano la piazza con cadenza quotidiana. Si intende offrire loro una percezione diversa del luogo mediante la costruzione di un passaggio coperto che incuriosisce il passante e lo invita ad esplorare la zona da un altro punto di vista e soprattuto di ascolto.
ambiente LO-FI
Un passaggio sonoro dunque, che guida il visitatore verso una condizione di ascolto attivo grazie ad una graduale variazione della qualità del soundscape dal punto d’ingresso al centro del percorso, da un ambiente caotico e frastornante in cui i rumori sono indistinti e piatti, ad un’oasi sonora che permette di distinguere i singoli suoni e fa percepire la profondità e la prospettiva degli eventi sonori.
ambiente HI-FI
Il paesaggio sonoro HI-FI (high fidelity) è un sistema caratterizzato da un rapporto segnale/rumore soddisfacente, in cui il basso livello del rumore ambientale permette di udire con chiarezza singoli suoni in maniera discreta. Nel paesaggio sonoro hi-fi i suoni si sovrappongono con minore frequenza; esiste la prospettiva: c’è un primo piano e c’è uno sfondo.
ambiente LO-FI
In un paesaggio sonoro LO-FI (low fidelity) i singoli segnali acustici si perdono all’interno di una sovrabbondante presenza sonora. La prospettiva non esiste più. A un incrocio in una città moderna è abolita qualsiasi distanza, abbiamo soltanto presenza. C’e interferenza su tutti i canali e anche i suoni più ordinari per essere uditi devono essere amplificati.
305
306
1° LIVELLO
2° LIVELLO
luogo di transito
luogo di sosta
struttura permeabile
percorso a galleria
attività
INTERAZIONE
parte quarta: Proposta progettuale
finalità del suono
atteggiamento di ascolto
passaggio non obbligato ma suggerito attraversamenti in ogni direzione
ascolto passivo e inconsapevole
SPAZIO da ATTRAVERSARE
sedute per invogliare la sosta sia interne che esterne
ascolto da passivo ad attivo
SPAZIO da ABITARE
capitolo 12 - IntraSuono
3° LIVELLO luogo di esplorazione
variazioni sonore a seconda della postazione, della frequenza del pubblico
4° LIVELLO luogo d’incontro
salotto urbano punto d’incontro e ritrovo luogo riparato e protetto
ascolto attento e curioso
ascolto dell’altro
SPAZIO da VISITARE
SPAZIO da CONDIVIDERE
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parte quarta: Proposta progettuale
12.2
Studio dei suoni riciclare il rumore
Livelli sonori La galleria guida il passante attraverso tre fasi distinte da spazi sonori di natura differente che lavorano con i suoni del luogo organizzandoli in un determinato ordine: parte da una dimensione legata alla macchina, ai rumori relativi a tutto ciò che rappresenta l’universo dei mezzi di trasporto, della velocità, della frenesia e si manifesta tramite i rumori del trafficato Corso Buenos Aires e quelli della metropolitana sotterranea. Passa poi a livello del
SUONI della MACCHINA
marciapiede, dove si svolgono le attività relative all’uomo nel suo ambiente a scala più ridotta, per ricondurlo ad una dimensione maggiormente favorevole al suo benessere grazie alla riproposizione di suoni appartenenti alla sua sfera. Si conclude infine con una zona quasi di sospensione, di astrazione dal contesto in cui ci si trova per imparare ad apprezzare la ricchezza dell’universo sonoro tramite tessuti armonici che si fondono con il contesto.
SUONI dell’UOMO
TESSUTO SONORO ARMONICO
capitolo 12 - IntraSuono
Suoni della macchina All’ingresso, in prossimità della strada e del traffico, dove l’ambiente è caotico e privo di prospettiva, viene introdotto tramite cattura e trasmissione in tempo reale un ulteriore evento sonoro, presente ma non udibile dall’orecchio umano: il passaggio della metropolitana sottostante alla piazza. L’intento è quello di creare un’ entrata che evidenzi il paesaggio sonoro metropolitano, e provochi un senso di disagio maggiore rispetto alla normale percezione della piazza. Il fatto di udire un suono conosciuto, riconducibile al contesto urbano ma non al luogo esatto suscita spaesamento e invoglia il passate ad entrare per meglio comprendere l’origine del suono.
309
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parte quarta: Proposta progettuale
Suoni dell’uomo Una volta all’interno della galleria il visitatore trova un luogo di riparo per sostare, dove vengono diffusi suoni del luogo registrati in un diverso momento. Anche qui il fatto di udire rumori senza comprenderne l’origine spinge l’ascoltatore ad un maggiore impegno nell’udire ciò che gli succede intorno. Un suono registrato può essere scambiato per un suono proveniente da una fonte originale e viceversa, si crea confusione tra vista e udito, e si cominciano a notare rumori mai ritenuti interessanti prima di allora. La separazione della percezione visiva da quella aurale infatti, definita acusmatica, svincola il suono dal significto attribuitogli dalla fonte, e lo rende aperto a ogni interpretazione.
capitolo 12 - IntraSuono
Tessuto armonico sonoro Una volta raggiunto il centro del passaggio si apre una “stanza” acusticamente protetta dall’esterno ma non del tutto isolata. I suoni elettronici diffusi all’interno, di bassa intensità e lente variazioni di armonie, riempiono lo spazio quasi fisicamente, come un blocco sonoro denso e pervasivo, simile all’eco dei rintocchi di campana prolungato al’infinito. Non subito si percepisce il cambiamento acustico, occorre fermarsi e stare per um momento in silenzio. Per chi accetta di ascoltare, l’oasi diventa un luogo diverso, separato ma inclusivo di ciò che gli sta intorno.
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parte quarta: Proposta progettuale
12.3
Studio della forma la galleria permeabile
Requisiti per lo spazio pubblico La ricerca di una forma che si adatti agli spazi e alle esigenze della piazza è partita dalle seguenti considerazioni: ► necessità di creare un passaggio che sia protetto dalla strada ma che mantenga allo stesso tempo una relazione con essa; ► attenzione ad inserire una struttura che non ostacoli il flusso pedonale della piazza e che garantisca la visibilità senza creare zone d’ombra; ► volontà di migliorare lo spazio di sosta con un genere di sedute più confortevoli e che favoriscano le relazioni. Oltre a queste, si aggiungono le indicazioni dettate dal concept del passaggio da ambiente lo-fi a hi-fi, da luogo esposto a luogo protetto, da campo libero a stanza raccolta, da una condizione di ascolto passivo ad una di ascolto attivo. Partendo dalla forma base del passaggio coperto sono state apportate svariate modifiche per soddisfare le esigenze necessarie e creare una struttura dalla forma caratteristica.
ingresso
portale
portale inclinato
tunnel
capitolo 12 - IntraSuono
passaggio
da esterno a interno
protezione dalla strada LATO CIECO
STRADA
AREA PEDONALE
struttura permeabile LATO APERTO
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parte quarta: Proposta progettuale
tunnel
sequenza di portali
aperture laterali
capitolo 12 - IntraSuono
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Andy Brauneis Sehstation NordrheinWestfalens 2009
HAPA Collaborative Mid Main Park Vancouver 2013
Dean Skira iGuzzini Hooked up UniversitĂ Statale Milano 2013
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parte quarta: Proposta progettuale
Requisiti per il suono La struttura necessita di soddisfare al suo interno alcune proprietà di diffusione del suono: ► superficie sia delle pareti che della copertura corrugate e irregolari per evitare un eccessivo riverbero delle onde sonore, normalmente provocato dalla riflessione su superfici parallele, e ottenere così un effetto di riflessione più omogeneo; ► presenza di nicchie riparate e ad una distanza sufficiente per creare spazi sonori distinti; ► creazione di un centro nel passaggio che venga vissuto come un’oasi sonora protetta ma aperta anche ai suoni dell’esterno. I requisiti nel complesso hanno condotto all’ideazione di una galleria dalle superfici frastagliate che definiscono zone ben distinte tra loro. Il percorso conduce istintivamente al centro del passaggio che si allarga per far luogo ad uno spazio sonoro ribassato, accogliente e protetto dall’esterno dove sostare e prestare ascolto ai suoni con la dovuta cura.
capitolo 12 - IntraSuono
317
Riflessioni sonore RIFLESSIONE DEL SUONO L’onda riflessa da una superficie si propaga come se avesse origine da una sorgente virtuale situata in posizione simmetrica alla sorgente reale rispetto alla superficie di riflessione.
MATERIA RIFLETTENTE il potere riflettente di un materiale è inversamente proporzionale alla sua densità/porosità - ovvero al volume d’aria incluso nella materia in questione.
SUPERFICI RIFLETTENTI IRREGOLARI un diffusore superficiale è un dispositivo che rompe la focalizzazione e rimuove la distorsione causata dalla riflessione in molte dfferenti direzioni. Le superfici riflettenti piane infatti non sono idonee in quanto determinerebbero la focalizzazione del suono in un punto preciso dello spazio e causandone una dffusione disomogenea.
SUPERFICI RIFLETTENTI CURVE
concentrazione
Se l’onda sonora impatta su una superficie non piana ma concava oppure convessa, allora si ha concentrazione o diffusione del suono.
CONVESSO CONCAVO
dispersione
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parte quarta: Proposta progettuale
riflessione casuale per un campo sonoro diffuso
superficie corrugata
aree sonore distinte
capitolo 12 - IntraSuono
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Mats Karlsson Xile 2008
Ryuichi Ashizawa Architects & Associates Bunkaza Cultural Plaza Osaka 2009
AREA Electrotexture Lab Acoustic Pavilion Project Aalborg, Danimarca 2011
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parte quarta: Proposta progettuale
12.4
Padiglione collocazione e composizione
Il padiglione è situato in linea parallela a Corso Buenos Aires, in prossimità delle uscite della metropolitana e raccoglie i flussi di persone che percorrono l’unico attraversamento pedonale disponibile per raggiungere Piazzale Loreto e la parte opposta di Piazza Argentina. Il lato chiuso del padiglione è quello che
costeggia la strada, mentre il lato fornito di passaggi si affaccia alla zona pedonale di fronte agli edifici che incorniciano la piazza. Chi sale in superficie dal mezzanino della metropolitana si ritrova subito a destra l’apertura centrale del padiglione, quella che accede direttamente all’oasi sonora.
attività commerciali
Corso Buenos Aires
Piazzale Loreto >
capitolo 12 - IntraSuono
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parte quarta: Proposta progettuale
Il passante si ritrova ad attraversare il passaggio in quanto esso si trova sul suo percorso piĂš diretto. Una volta al di sotto della protezione della copertura della galleria, i suoni emessi artificialmente
da diffusori acustici collocati nel padiglione possono attirare l’attenzione del visitatore, invogliarlo a fermarsi ad ascoltare e cambiare il suo atteggiamento nei confronti dei rumori.
capitolo 12 - IntraSuono
punti di accesso
Corso Buenos Aires
323
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parte quarta: Proposta progettuale
ORIGINE DEL SUONO
suoni della macchina
suoni dell’uomo
LIVELLO DI ASCOLTO
ascolto passivo
ascolto attivo
PAESAGGIO SONORO
LO-FI
suoni
ascolto
HI-FI
capitolo 12 - IntraSuono
armonici
suoni dell’uomo
consapevole
ascolto attivo
HI-FI
suoni della macchina
ascolto passivo
LO-FI
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parte quarta: Proposta progettuale
Suoni della macchina ingresso
capitolo 12 - IntraSuono
atmosfera
TRAFFICO
atteggiamento del passante
CONFUSIONE
genere di suoni
METROPOLITANA
tipo di intervento
CONNETTERE LUOGHI
effetto sonoro
RIVERBERO caratteristica materiale
RIFLESSIONE/TRASMISSIONE
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parte quarta: Proposta progettuale
TRAFFICO
CONFUSIONE
L’ingresso è definito da un’atmosfera caotica, caratterizzata dal rumore di motori, clacson, frenate e sbuffi dei veicoli. L’intento è quello di accrescere ulteriormente questa situazione per sottolinearne l’aspetto negativo.
Far percepire al passante la condizione di inquinamento acustico in cui si trova nel suo quotidiano è il fine della prima parte del passaggio. Tutti i suoni sono sovrapposti, non esiste una prospettiva sonora, come nel paesaggio sonoro lo-fi.
METROPOLITANA
CONNETTERE LUOGHI
La metropolitana sottostante alla piazza viene riportata in superficie attraverso dei microfoni collocati sui binari che trasmettono il passaggio dei treni in tempo reale. I diffusori, collocati nelle sedute, trasmettono anche le vibrazioni tattili della metro tramite impianti subwoofer.
I suoni in questo caso hanno la finalità di creare una connessione tra due luoghi diversi, espandendo la prospettiva acustica dello spettatore ad una profondità innaturale. Si suscita un senso di straniamento e la possibilità di intrecciare realtà diverse nello stesso momento.
RIVERBERO
RIFLESSIONE/TRASMISSIONE
Per aumentare il senso di confusione occorre introdurre un effetto di riverberazione, ossia il prolungamento dei suoni dopo la loro emissione causato dalla riflessione delle onde sonore sulle superfici dello spazio circostante.
È necessario dunque l’impiego di un materiale che sia altamente riflettente ma che allo stesso tempo permetta ai suoni esterni di filtrare all’interno della prima parte del padiglione: un laminato metallico in parte perforato si adatta bene alle esigneze.
capitolo 12 - IntraSuono
329
materiale riverberante laminato metallico riflessione/trasmissione onde sonore caos cittadino paesaggio sonoro lo-fi sovrapposizione di suoni
sedute con vibrazioni acustiche e tattili
impianti di diffusione stereo e subwoofer
microfono direzionale
arrivo/partenza treni annunci sonori
330
parte quarta: Proposta progettuale
Suoni dell’uomo aree intermedie
capitolo 12 - IntraSuono
atmosfera
AREA PEDONALE
atteggiamento del passante
ASCOLTO CURIOSO
genere di suoni
SUONI DEL QUARTIERE
tipo di intervento
CONNETTERE TEMPI
effetto sonoro
UBIQUITĂ€ caratteristica materiale
FONOISOLAMENTO
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parte quarta: Proposta progettuale
AREA PEDONALE
ASCOLTO CURIOSO
Procedendo nel percorso si vuole riportare ad una condizione più “umana” il paesaggio sonoro che circonda il visitatore. C’è una chiusura verso la strada e un’apertura solo in direzione della zona a passaggio pedonale.
Il visitatore è invitato a sostare nell’area riparata dalla strada e si concentra sui suoni relativi al passaggio delle persone. Facendo questo si accorge della presenza di rumori di cui non riesce a identificare la sorgente perchè emessi artificialmente.
SUONI DEL QUARTIERE
CONNETTERE TEMPI
Nel padiglione vengono diffusi suoni caratteristici della zona registrati in precendenza in attività di soundwalking e archiviati in un database. Le passeggiate sonore sono un ottimo strumento educativo in ambito di ecologia sonora in quanto aiutano ad attivare un nuovo punto di ascolto.
I suoni registrati e trasmessi in differita derivano da una frattura tra la sorgente originale e il luogo di emissione. Si crea così un ascolto acusmatico che obbliga il visitatore a concentrarsi sul suono in maniera diversa in quanto la sorgente non è visibile.
UBIQUITÀ
FONOISOLAMENTO
La difficoltà a individuare la sorgente sonora provoca un effetto di ubiquità in cui il suono sembra provenire da ogni luogo e da nessuno al tempo stesso. Si tratta di evidenziare la natura intrinseca del suono, la sua immaterialità.
Per attenuare i suoni della strada e dare maggior risalto a quelli dell’area pedonale occorre l’impiego di un materiale che blocchi, per quanto possibile in un ambiente urbano, la trasmissione dei suoni: l’MDF ad alta densità (HDF) è idoneo.
capitolo 12 - IntraSuono
333
suoni ubiqui materiale fonoisolante MDF ad alta densitĂ protezione dai suoni della strada database archivio suoni registrati
impianti di diffusione
attivitĂ educativa di soundwalking
registrazione impronte sonore
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parte quarta: Proposta progettuale
Tessuto sonoro armonico stanza centrale
capitolo 12 - IntraSuono
atmosfera
OASI SONORA
atteggiamento del passante
RILASSAMENTO
genere di suoni
TESSUTO ARMONICO
tipo di intervento
SOSPENSIONE
effetto sonoro
AVVOLGIMENTO caratteristica materiale
FONOASSORBIMENTO
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parte quarta: Proposta progettuale
OASI SONORA
RILASSAMENTO
La zona centrale, cuore del passaggio, è destinata ad un’atmosfera completamente diversa dalle altre, una sorta di bolla sonora che avvolge il visitatore. La stanza è totalmente piena di suono che assume una consistenza quasi fisica.
La sezione è pensata per i passanti che vogliono sostare in zona e si propone come un luogo di ritrovo e incontro dove trascorrere il tempo in modo del tutto insolito rispetto alle peculiarità del posto.
TESSUTO ARMONICO
SOSPENSIONE
I suoni emessi all’interno della stanza sono in questo caso del tutto artificiali e sintetici, un continuo armonico a frequenza costante, con lente e minime variazioni, che occupa lo spazio ed entra a farne parte come se fosse una componente strutturale dell’ambiente.
L’intervento proietta il visitatore in una condizione mentale che non si sarebbe mai aspettato di raggiungere in posti del genere. Viene costruito un micro ambiente che trasmette quiete e un clima caldo e accogliente, predisponendo il pubblico al rilassamento.
AVVOLGIMENTO
FONOASSORBIMENTO
L’effetto prodotto dà la sensazione di essere circondati da un materiale sonoro che predomina sugli altri elementi e non pone il problema di chiedersi da dove provenga il suono; in questo si differenzia dall’effetto di ubiquità.
La qualità del materiale utilizzato dovrà essere la capacità di assorbire le onde sonore e attenuare le riflessioni per rendere i suoni più puliti e disinti. La proprietà principale per un buon fonoassorbente è la porosità: il sughero soddisfa tale esigenza.
capitolo 12 - IntraSuono
materiale fonoassorbente sughero
database suoni armonici
pavimentazione antiurto fonoassorbente
337
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parte quarta: Proposta progettuale
12.5
Sistema audio software e hardware
I suoni vengono trasmessi all’interno del padiglione attraverso un sistema audio controllato dal softwere MAX MSP che consente di gestire un archivio di tracce audio registrate, elaborare suoni catturati dai microfoni in tempo reale e connettere l’attivazione dei diffusori a dei sensori di presenza. Il software, presente in un computer collocato in uno spazio del mezzanino della metropolitana
binari metropolitana
Piazza Argentina
microfono direzionale
microfoni soundwalks
produzione in studio
SORGENTE DEI SUONI
sottostante alla piazza, organizza le tre fasi di lavorazione delle tracce audio: cattura del suono; scelta random tra i brani presenti nel database ed elaborazione e taratura dell’intensità del volume di trasmissione per ottimizzare il suono; sistema di amplificazione collegato a sensori di preseza collocati in prossimità delle sedute per attivare i suoni solamente in presenza del pubblico.
archivio suoni registrati
archivio brani elettronici
ACQUISIZIONE DEI SUONI
CONSERVAZIONE DEI SUONI
database
capitolo 12 - IntraSuono
scheda audio (convertitore)
computer/ software
catena amplificatori
diffusori
passaggio persone
ELABORAZIONE/ OTTIMIZZAZIONE DEI SUONI
TRASMISSIONE DEI SUONI
DIFFUSIONE DEI SUONI
ATTIVAZIONE DEI SUONI
sensori di presenza
CONVERSIONE DEI SUONI
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parte quarta: Proposta progettuale
Schede tecniche
microfono per suoni metropolitana AKG CK98 microfono direzionale capsula a condensatore a fucile combina alta sensibilità e direzione controllata trova applicazioni in ambienti rumorosi ideale per riprese live e utilizzato nei boom microphone (giraffe) Dimensioni: ø 19 x 247 mm Peso: 80 g
microfono per soundwalking ZOOM H4n registratore portatile digitale a 4 tracce 2 microfoni a condensatore con configurazione stereo X/Y rotabili a 90/120° registrazione 24bit/96kHz Dimensioni: 70 x 156 x35 mm Peso: 280 g
capitolo 12 - IntraSuono
software per gestione suoni MAX/msp Max/Msp è un ambiente di sviluppo grafico per la progettazione di software dedicati ad applicazioni musicali e multimediali in tempo reale. Ad oggi è uno degli strumenti informatici più evoluti ed utilizzati tra coloro che a vario titolo si occupano di computer music.
diffusori a vibrazione SolidDrive SD1sm SolidDrive è un sistema audio, in grado di trasmettere il suono attraverso le superfici solide. La superficie con cui SolidDrive viene a contatto, si trasforma in un potente altoparlante. SolidDrive SD1sm si utilizza su superfici in legno e porose. Questo modello si ancora alla superficie in legno con 4 viti. Dimensioni: ø 58 x 51 mm
SolidDrive Subwoofer SW7.iwa Subwoofer da incasso in apposito contenitore da montare all’interno delle sedute per trasmettere le frequenze più basse e le vibrazioni tattili. Dimensioni: 300 x 200 x 80 mm
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parte quarta: Proposta progettuale
Disegni tecnici 0
1
planimetria
prospetto lato strada
5m
12.6
343
capitolo 12 - IntraSuono
a
a’
prospetto area pedonale
pianta aa’
344
parte quarta: Proposta progettuale
C
C’
sezione AA’
prospetto frontale
sezione BB’
sezione CC’
capitolo 12 - IntraSuono
spaccato assonometrico lato area pedonale
NE
ZIO
O
AN
PI
D
spaccato assonometrico lato strada
PIA
N
I OD
NE
ZIO
SE
E IS
345
346
parte quarta: Proposta progettuale
12.7
Struttura sistema dei componenti
La struttura del padiglione è costituita da tre componenti principali: ► un sistema strutturale in metallo di dieci portali in profilati di acciaio zincato; ► un telaio in tubolari scatolati in acciaio, dotati di relativo sistema di sostegno e fissaggio del rivestimento; ► un tamponamento in tre diverse varianti a seconda della sezione del padiglione: laminato metallico, legno mdf, sughero.
+
A questi tre elementi che compongono la parte della galleria se ne aggiungono altri due complementari: ► un sistema di sedute in calcestruzzo a fascia segmentata che costeggiano i lati del padiglione; ► una pavimentazione antitrauma che si estende per tutto il percorso e definisce un netto distacco con quella presente nella piazza, il caratteristico pavé in sanpietrini a disegno circolare.
+
+
capitolo 12 - IntraSuono
RIVESTIMENTO
pannelli lavorati in tre diversi materiali
TELAIO
struttura reticolare in tubi scatolati in acciaio
STRUTTURA PORTANTE
portali in profilati in acciaio HEA 120
SISTEMA DI SEDUTE
sedute da esterni in calcestruzzo fibrorinforzato
PAVIMENTAZIONE
pavimentazione antitrauma in conglomerato colorato di granuli di gomma riciclata
347
348
parte quarta: Proposta progettuale
STRUTTURA PORTANTE
10 portali a sezione pentagonale variabile in profilati in acciaio HEA 120 campate di 2 m verniciati
scala 1:5
capitolo 12 - IntraSuono
cordolo in pietra plinto in cemento piastra cerniera in acciaio tirafondi
scala 1:10
349
350
parte quarta: Proposta progettuale
TELAIO
struttura reticolare in tubolari in acciaio 50x50x3 mm a sezione quadrata con aletta centrale a 90째 verniciati
scala 1:5
capitolo 12 - IntraSuono
nodi di connessione personalizzati studiati mediante un apposito software e realizzati su misura in corso d’opera IPOTESI DI GIUNTI
sistema di fissaggio e sostegno del rivestimento tramite bulloamento all’aletta
laminato perforato bulloni alette per fissaggio
giunti a incastro o saldatura
giunti a fazzoletto
scala 1:10
scala 1:5
351
352
parte quarta: Proposta progettuale
RIVESTIMENTO
copertura
sistema di rivestimento a pannelli di forma e dimensione variabili con lavorazione a foratura in quattro diversi materiali > lastre in rame > pacchetto in legno mdf
pareti
> pacchetto in sughero > policarbonato opalino lato strada
SVILUPPO DEI PANNELLI
copertura
lato area pedonale
I materiali differenti inducono un diverso comportamento delle onde sonore a seconda delle loro proprietà: più il materiale ha un’elevata densità più il suono si riflette e mantiene la sua energia, più è poroso e più il suono viene assorbito e perde di potenza.
pareti
alta densità fonoisolante
bassa densità fonoassorbente
I materiali fonoisolanti impediscono il passaggio dell’onda sonora all’altro lato della barriera, mentre quelli fonoassorbenti attenuano le riflessioni dallo stesso lato ma non necessariamente ne bloccano il passaggio.
capitolo 12 - IntraSuono
LASTRE IN RAME KME TECUÂŽ Classic finitura cieca o perforatura a taglio laser lavorate a fori intercalati di dimensione variabile spessore 1 mm
PANNELLO COMPOSITO IN MDF finitura cieca o perforatura a taglio laser lavorate a fori intercalati di dimensione variabile spessore 10 mm lato esterno
lato esterno LASTRE IN POLICARBONATO COMPATTO OPALINO trattamento contro l’azione dei raggi UV per ridurre il fenomeno di ingiallimento spessore 10 mm
PANNELLO COMPOSITO IN SUGHERO finitura con colorazione parziale disegno variabile per ogni pannello spessore 3 cm
353
354
parte quarta: Proposta progettuale
TEXTURE
I pannelli sono perforati secondo un preciso disegno, in modo tale da creare un pattern che richiama il movimento dell’equalizzatore grafico di una traccia audio. PiÚ ci si addentra nel passaggio, piÚ la trama si infittisce e la dimensione dei fori aumenta, come se la pelle del padiglione si dilatasse progressivamente per assorbire le onde sonore.
capitolo 12 - IntraSuono
RAME
LEGNO MDF
SUGHERO
355
356
parte quarta: Proposta progettuale
SEDUTE
serie di sedute di forma variabile in calcestruzzo fibrorinforzato con interno cavo e piano di seduta in ripiani di legno lamellare esotico > sotto il sedile è fissato il diffusore a vibrazione che trasforma in cassa acustica la superficie lignea
diffusore acustico a vibrazione Solid Drive SD1sm seduta in ripiano di legno lamellare esotico spessore 28 mm fissato mediante viteria in acciaio inox
pavimentazione lapidea cordolo in gomma
scala 1:10
panchina da esterno monoblocco in calcestruzzo fibrorinforzato finitura in bianco avorio con rivestimento acrilico trasparente
capitolo 12 - IntraSuono
PAVIMENTAZIONE
pavimentazione antitrauma in conglomerato colorato di granuli di gomma riciclata > possibilità di personalizzare il disegno grazie alla tecnica di colata in opera > superficie completamente atossica, con ottima capacità di assorbimento degli urti ed elevato potere antiscivolo > la pavimentazione è stata scelta per annullare i rumori dei passi dei visitatori che subito dall’ingresso percepiscono una netta differenza di suono
fondo speciale drenante in ghiaia fine 8 cm
sottofondo in gomma 3 cm
strato di finitura 2 cm
357
358
parte quarta: Proposta progettuale
Illuminazione
L’illuminazione notturna del padiglione avviene tramite un sistema di strisce a led collocato ai bordi delle lastre di rivestimento in policarbonato opalino. In tal modo la luce viene diffusa dalla
12.8
superficie opacizzata creando un effetto di grandi triangoli luminosi che illuminano dall’alto l’interno della galleria. L’illuminazione risulta così omogenea e visibile anche dall’esterno.
capitolo 12 - IntraSuono
collocazione apparecchi
schema di illuminazione
barra LED
pannello luminoso
profilo in alluminio
359
360
parte quarta: Proposta progettuale
Ambientazione
12.9
capitolo 12 - IntraSuono
361
362
parte quarta: Proposta progettuale
capitolo 12 - IntraSuono
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parte quarta: Proposta progettuale
capitolo 12 - IntraSuono
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parte quarta: Proposta progettuale
capitolo 12 - IntraSuono
367
BIBLIOGRAFIA TEMATICA
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RINGRAZIAMENTI Questo è un lavoro che avrebbe potuto continuare ancora e ancora, ma il tempo di cambiare strada, dopo cinque anni e mezzo, è arrivato. Ringrazio, tanto, tantissimo, mamma e babbo, sempre lì, pronti a incoraggiarmi e a darmi fiducia. Ringrazio Giulia, telepatica coinquilina e compagna di studi, senza la quale tutto sarebbe stato più banale e noioso e Marghe, la miglior tisana della felicità. Ringrazio le compagne di corso, tutte. Ringrazio Giovanna Piccinno, per l’inesauribile energia. Ringrazio Franco Maurina, Andrea Pallaver e Alberto Morelli per la preziosa consulenza tecnica. E ringrazio lei, Lisbona che mi ha fatto capire come la vita andrebbe vissuta.
SILENT è l’anagramma di LISTEN