Muson dei Sassi, Ostiglia, Tergola: tre piste ciclopedonali immerse nel verde e nella storia di un territorio da riscoprire.
Una guida utile per un modo diverso di fare turismo, da sfogliare con calma lungo i tragitti. Soste, deviazioni, partenze e ritorni, luoghi dell’arte, della natura, dello spirito: un mondo da scoprire‌ a portata di bici.
Valle Agredo Villa Querini Via Cordenons, 17 35012 Camposampiero (PD) www.valleagredo.it
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Valle Agredo
La guida turistica di Valle Agredo
CuriositĂ , informazioni, notizie utili per approfondire la storia e le bellezze di un territorio da visitare con occhi nuovi.
Per percorrerle vi basta una buona bici e la giusta voglia di pedalare, meglio se lentamente, o semplicemente la voglia di passeggiare, da soli o in compagnia.
La guida turistica di Valle Agredo Percorsi di natura, arte e storia nel Camposampierese
Spegnete i cellulari, rasserenate gli animi; qualsiasi sia il motivo che vi spinge a muovervi: turistico, sportivo, culturale, a piedi, in bici, coi bastoncini della camminata nordica, spingendo una carrozzina o facendovi trascinare dal vostro cane, in ciascuno di questi itinerari troverete delle buone risposte.
Percorsi di natura, arte e storia nel Camposampierese
Valle Agredo
Area di sosta Accesso Area di sosta attrezzata Punto di interesse Parco Stazione ferroviaria IAT – Punto di Informazione e Accoglienza Turistic Percorso Treviso—Ostiglia Percorso Muson Percorso Tergola Percorso Tergola – in fase di realizzazione Tragitto per raggiungere i percorsi Percorso di accesso – solo pedonale Fiume Linea ferroviaria
Legenda
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Area di sosta Accesso Area di sosta attrezzata Punto di interesse Parco Stazione ferroviaria IAT – Punto di Informazione e Accoglienza Turistic Percorso Treviso—Ostiglia Percorso Muson Percorso Tergola Percorso Tergola – in fase di realizzazione Tragitto per raggiungere i percorsi Percorso di accesso – solo pedonale
Legenda
by Mikima (mikimauri@gmail.com)
Valle Agredo
Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali
Valle Agredo Fu una scoperta incredibile. Sotto il greto dei fiumi, sotto l’erba dei prati, sotto le piazze e le case, i capannoni, le strade… c’era una valle. Scendeva dolcemente dalle colline al mare ma la si poteva vedere solo guardandola da una certa angolatura, quando i raggi del sole si riflettevano sulle gocce di brina delle foglie e dei tetti. Da molti anni nessuno l’aveva più vista perché tutti camminavano in fretta e non capitava più che qualcuno si piegasse sulle gambe per guardare da vicino piccoli insetti tra l’erba o per annusare il profumo dei fiori di campo. Ma un bel giorno dei bambini, travestiti da uomini, girarono lo sguardo al momento giusto e la videro. Un paradiso. C’erano case e fabbriche che si nutrivano di sole, auto silenziose, nonni e nipotini che correvano in bicicletta lungo una grande strada senza traffico e pericoli, gente che passeggiava e discuteva sugli argini dei fiumi. E cibo buono che la terra produceva e… “Ma cos’è tutto questo? Dov’è? È un sogno o la realtà?”. Un passante li guardò, poi si avvicinò e con tono deciso disse: “Questa è realtà, si chiama Valle Agredo e ogni giorno di più sta diventando un sogno”. 2
La guida turistica di Valle Agredo Percorsi di natura, arte e storia nel Camposampierese
Questa terra è il Camposampierese, agro centuriato in epoca romana, podesteria nel Medioevo, oggi Valle Agredo, un nome piÚ che un marchio, scommessa per il futuro, idea che diviene forma. Periferica rispetto alle rotte tradizionali del turismo, Valle Agredo è in realtà lo snodo naturale di un nuovo turismo sostenibile nel Veneto centrale.
Federazione dei Comuni del Camposampierese
Introduzione
Redazione Federazione dei Comuni del Camposampierese Coordinamento Francesco Cassandro Testi Valeria Martellozzo Carlo Toniato Lorenzo Zanon (testo di apertura) Foto Bruno Caon Orietta Bugin Gruppo Fotografico Decumano VI Archivi Fotografici Comunali Archivio Fotografico Federazione dei Comuni del Camposampierese Archivio Fotografico Santuari Antoniani Ha collaborato Silvia Cipriano Progetto grafico e stampa Villaggio Grafica
In copertina Percorrendo un tratto dell’Ostiglia
Finito di stampare gennaio 2015
Tra il Brenta e il Sile... Un fazzoletto di terra fertile solcato da fiumi e torrenti, fossi e canali, punteggiato di campanili intorno ai quali antichi borghi seminati da mani invisibili si dilatano in moderni insediamenti fino a confondersi con essi. Verso nord lo sguardo si spinge fino al Grappa, cattedrale naturale, montagna identitaria, i piedi a mezzogiorno poggiano sulla storia che esala millenaria dalle pietre di Padova. Questa terra è il Camposampierese, agro centuriato in epoca romana, podesteria nel Medioevo, oggi Valle Agredo, un nome più che un marchio, scommessa per il futuro, idea che diviene forma. Periferica rispetto alle rotte tradizionali del turismo, Valle Agredo è in realtà lo snodo naturale di un nuovo turismo sostenibile nel Veneto centrale: baricentrica, attrezzata, dinamica, questa valle senza monti è punto di sosta e insieme di partenza, laboratorio di idee e valori, scrigno d’arte e sapori, campo base per visitare una delle più belle regioni d’Europa, il Veneto, ma anche luogo da riscoprire nelle sue eccellenze artistiche, folkloristiche, gastronomiche e fieristiche. Sono lontane, è vero, le suggestioni marine e le aspre tensioni alpine: quasi “l’altro da noi”, “l’oltre confine”, eppure entrambe si percepiscono: le une, pedalando verso settentrione lungo il Muson dei Sassi, le altre percorrendo l’Ostiglia verso levante. Le promesse sono lì, quasi a portata di mano, ma a sorprendere è piuttosto il “qui ed ora” che cattura il visitatore con scorci di inaspettata bellezza, luoghi ancora miracolosamente intatti, all’ombra di filari alberati. Luoghi che vanno preferibilmente raggiunti a piedi o in bicicletta, magari sfruttando le grandi direttrici ciclopedonali, Muson dei Sassi, Cammino di Sant’Antonio, Ostiglia, Tergola, abbandonando le strade trafficate, attraversando campi e rive, spingendosi fin dove, guardando l’orizzonte, si scorgono 7
solo le punte di campanili lontani. In quegli spazi nascosti, sparsi in un paesaggio che resiste tenacemente alle aggressioni esterne, il visitatore troverà ancora tracce importanti di storia, ruderi di abitazioni rurali dove sopravvive l’antica filosofia abitativa, capitelli, chiesette campestri, testimonianze di devozione semplice e antica. Territorio ricco di attività produttive, il Camposampierese rivela nel paesaggio la presenza di quella piccola e media azienda che è stata la spina dorsale del miracolo Nordest chiamato oggi al non facile compito di reinventare un sistema economico competitivo. E in questo contesto la scoperta del turismo, fortemente amplificata dallo straordinario successo delle ciclopedonali ed in particolare dell’Ostiglia, può avere un ruolo chiave. Per anni dimenticata, ridotta a una sorta di relitto del passato, d’improvviso l’Ostiglia, con la realizzazione della ciclopedonale, ha smesso di essere una linea tratteggiata sulla carta geografica per diventare la principale emergenza lineare del camposampierese, l’elemento imprescindibile di un paesaggio rinnovato. Percorribile da famiglie, giovani, sportivi, a piedi, in bici, da soli, in compagnia, l’Ostiglia ha determinato in brevissimo tempo la riscoperta del territorio, inizialmente da parte della popolazione del luogo, quindi altrettanto velocemente dei molti visitatori, cicloturisti, podisti, che hanno cominciato a percorrerla. L’Ostiglia, rialzata rispetto al livello della campagna, è infatti un punto d’osservazione privilegiato: scorci inediti, nuovi punti di osservazione...Il visitatore si stupirà più volte di non riconoscere luoghi che credeva arcinoti. Se l’Ostiglia attraversa il territorio svelandone le eccellenze da ovest ad est, è invece il Cammino di Sant’Antonio, con il suo naturale prolugamento costituito dal percorso Muson dei Sassi e dal Sentiero degli Ezzelini a svolgere il medesimo ruolo sulla direttrice nord-sud. Il Cammino di Sant’Antonio, che rimanda a una tradizione della zona di andare a piedi al Santo, mai venuta meno nei secoli, è la dicitura ufficiale di un percorso, conosciuto da moltissimi pellegrini e devoti del Santo. Il riferimento è volutamente ad altri famosi cammini della cristianità, primo fra tutti, Santiago di Compostela. Si tratta di un antico itinerario riscoperto e valorizzato dai frati francescani nel desiderio di ripetere quello percorso 8
da Antonio, che da Camposampiero in punto di morte fu trasportato a Padova su un carro trainato da buoi. Il Cammino parte dai Santuari Antoniani di Camposampiero collegandosi poi ad un altro santuario antoniano, quello dell’Arcella in Padova dove Antonio morì, fino a raggiungere come tappa conclusiva la Basilica del Santo. In circa 25 Km, si toccano dunque tre aree sacre estremamente significative dal punto di vista della devozione antoniana e della fede, ma anche dell’arte e della storia. Possiamo quindi immaginare l’Ostiglia ed il Cammino di Sant’Antonio come gli ideali assi cartesiani che, attraversando il territorio da est a ovest e da nord a sud, ne connotano una ritrovata identità. E proprio su questi assi, oltre che lungo gli argini del Tergola, la “terza via” ricca di scorci suggestivi, si muove la guida, offrendo ai lettori la possibiltà di scoprire una terra piena di sorprese, attraversandola a passo d’uomo, lontano dalle vie di comunicazione più trafficate. Splendide città d’arte come Padova, Treviso, Vicenza, l’incommensurabile Venezia, sono a poche decine di chilometri. Lo stesso vale per borghi ricchi di storia e fascino come Asolo e Castelfranco Veneto: in mezzo c’è Valle Agredo, con l’eredità di epoca romana dell’agro centuriato, le testimonianze medievali delle sue torri brunite, la forte presenza antoniana e poi Palladio e Tiepolo, ville stupende immerse nella campagna e dipinti pregevoli in chiese ricche di storia. Su ciascuno di questi aspetti la guida fornisce approfondimenti, curiosità e notizie utili. Infine c’è la gente e lo stare insieme: le trattorie accoglienti e gli agriturismi con squisiti prodotti locali, un calendario di fiere e sagre, alcune di antichissima tradizione, disseminato lungo l’arco dei dodici mesi. Un mondo da scoprire... a portata di bici. 9
Premessa storica
Premessa storica
Dall’agro centuriato, alla podesteria, a...Valle Agredo L’età romana
Il municipio di Camposampiero prima dei restauri del sec. XX
La fascia di Veneto a nord-est di Padova, chiamata anticamente l’“Oltrebrenta”, fu certamente abitata fin dall’epoca romana: lo raccontano i materiali rinvenuti qua e là nei campi, in alcuni casi recuperati e riutilizzati per la costruzione di piccole chiese, in parte raccolti nel Museo della Centuriazione romana di Borgoricco.
La fascia di Veneto a nord-est di Padova, chiamata anticamente l’“Oltrebrenta”, fu certamente abitata fin dall’epoca romana: lo raccontano i materiali rinvenuti qua e là nei campi, in alcuni casi recuperati e riutilizzati per la costruzione di piccole chiese, in parte raccolti nel Museo della Centuriazione Romana di Borgoricco; lo rivela la struttura stessa del territorio che si estende ad est di quella che oggi è la strada regionale 307, la via Aurelia dei Romani, che conduce da Padova ad Asolo, in cui è ancora possibile percepire il regolare reticolo di strade e fossati, organizzato dagli agrimensori per assegnare porzioni di terre ai veterani e alle loro famiglie nel 42-41 a. C., al termine delle guerre civili tra Marcantonio e Cesare Ottaviano Augusto. L’opera di sistemazione agraria operata dai Romani fu fondamentale per regolare le acque, in un’area che ben si prestava ad essere coltivata, attraversata com’era da fiumi di risorgiva e da altri fiumi a carattere torrentizio assai sensibili alla ricchezza o assenza di precipitazioni, ma dalla terra ricca. L’agro centuriato si estendeva dalla linea della laguna al Brenta, dal Muson alla linea delle risorgive; contava circa 615 centurie, orientate secondo la pendenza del terreno e poteva ospitare quasi 3000 famiglie, distribuite in abitazioni sparse, spesso isolate. I discendenti di quei legionari abitarono il territorio per quasi cinque secoli: un periodo assai lungo e non sempre pacifico. Un tempo che vide la nascita e la diffusione della religione cristiana, che fu accolta dalla popolazione assai presto, 11
Nella pagina accanto in alto: Carta del territorio padovano redatta su pergamena da Annibale Maggi nel 1149 (part.) in basso: Palazzo Querini-Civran sull’angolo sud-ovest del “castello” circondato da Vandura; a sinistra la rocca che era stata dei Da Camposampiero e, sullo sfondo, i palazzetti del borgo (stampa settecentesca)
stando alla “bellissima favola” che voleva la chiesa della futura Camposampiero, dedicata a San Pietro, fondata dal primo vescovo di Padova, l’evangelizzatore san Prosdocimo.
Il Medioevo, età di castelli e di monasteri I secoli dell’Alto Medioevo, dal III all’XI, sono avvolti da un alone di mistero: hanno lasciato scarse testimonianze, sia scritte che materiali. Sappiamo che fu certamente un’età non pacifica, in cui si susseguirono le invasioni di vari popoli provenienti dal nord e dall’est Europa e le difficoltà legate al clima (inondazioni, mutamento del corso dei fiumi, carestie che aggravarono le ricorrenti epidemie...) causarono molti vuoti nelle popolazioni locali. Le memorie più significative di quest’epoca sono rappresentate dalla piccola chiesa di S. Maria in Campanigalli (o Panigale) a Bronzola di Campodarsego, eretta nel VII secolo, e dall’Oratorio di S. Massimo a Borghetto, al confine 12
tra Villa del Conte e S. Martino di Lupari, che conserva due interessanti rilievi di epoca longobarda (un Agnello crucifero e un Orante). Un’altra testimonianza che riporta a quella lontana età sono i toponimi quali S. Michele o S. Giorgio delle Pertiche, i due santi guerrieri molto venerati dalla popolazione longobarda, e Sala, termine che significa ‘corte’, ‘edificio’ o ‘casa per la residenza padronale nella curtis o per la raccolta delle derrate’, in seguito indicante la ‘casa di campagna’. Dopo il ‘fatidico’ anno Mille, anche il Camposampierese visse il lento ma significativo mutamento di ripresa economica e demografica che coinvolse tutta l’Italia. Nell’XI secolo, alcuni monasteri padovani, veneziani e trevigiani acquisirono o ricevettero in dono campi e cappelle a nord di Padova. Pure il vescovo del capoluogo euganeo vi possedeva terre; per meglio controllarle edificò il castello di S. Giorgio delle Pertiche, del quale oramai resta un’unica possente torre. Nello stesso periodo, arrivarono i primi feudatari imperiali: i Da Camposampiero (così chiamati dal 1134), che ressero le sorti di diversi abitati sino al 1340; i Da Crespignaga, legati sia a Treviso che al vescovo di Padova; i Tempesta o Da Noale; i Da Fontaniva, avvocati e vassalli del vescovo di Padova; i Dalesmanini, di cui si ricordano soprattutto Speronella ed il figlio Iacopo da Sant’Andrea, citato da Dante nella Divina Commedia col marchio del dissipatore. Il territorio non vide però un massiccio numero di veri e propri castelli fortificati: erano poco più di una dozzina nel vasto territorio centuriato tra Padova e Venezia (380 km2 circa). Queste presenze non incisero profondamente sull’assetto della 13
Premessa storica
Premessa storica
Rielaborazione di una carta geografica d’inizio sec. XIX al fine di evidenziare le centuriazioni di Padova, di Bassano e di Asolo e le principali strade antiche
La sua presenza segnò profondamente la religiosità di tutti gli abitanti del Camposampierese: da quei tempi lontani il frate che aveva camminato sui campi intorno al conventino sarebbe diventato per tutti un santo al quale rivolgersi con confidenza nella certezza di essere ascoltati. Premessa storica
Premessa storica
campagna: non esistevano latifondi e la proprietà continuò ad essere mediopiccola. E fu probabilmente questa persistenza a preservare la centuriazione: ogni piccolo proprietario teneva in ordine i suoi appezzamenti e li lavorava alacremente, per ricavare il necessario per vivere e pagare le tasse. E pure i signori e gli istituti ecclesiastici affittavano le loro numerose proprietà suddividendole in appezzamenti medio-grandi. Anche quando ad alcune famiglie feudatarie se ne sostituirono altre, soprattutto quando i potenti feudatari Da Camposampiero furono sostituiti dai signori Da Carrara, il sistema di affittare porzioni di territorio ben delimitate continuò con cure attente. Al XII-XIII secolo risalgono almeno due straordinarie opere idrauliche: lo scavo del Piovego da Villa del Conte al Brenta e la “botte” che consente al Tergola di passare sotto il Vandura, che quattro secoli dopo avrebbe ricevuto le acque del Muson dei Sassi, presso Torre di Burri a S. Giorgio delle Pertiche. Nel 1231 Camposampiero, nel suo piccolo convento di francescani, ospitò per quattro settimane quel frate Antonio che sarebbe diventato per tutti Antonio di Padova. Furono gli ultimi giorni della sua vita terrena: spirò durante il tragitto da Camposampiero a Padova, alle porte della città nella quale egli aveva chiesto di tornare, presso la chiesa di S. Maria.
Il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia: civiltà rurale di villa Quando all’inizio del XV secolo i Da Carrara, signori di Padova dal 1318, dovettero cedere sotto i colpi del prepotere della Serenissima Repubblica di Venezia, l’assetto della società ed il paesaggio mutarono radicalmente. Nacque allora la podesteria di Camposampiero: i numerosi piccoli comuni rurali che insistevano sul territorio degli attuali undici comuni del Camposampierese mantennero la loro organizzazione continuando ad eleggere annualmente i propri decani, ma dovettero sempre far capo a quel palazzo del potere nel castello di Camposampiero dal quale governava il podestà inviato dal governo veneziano. L’ampia fascia boschiva tra Loreggia e Villa del Conte scomparve in una sessantina d’anni: i veneziani l’avevano sfruttata come fonte di legname per la costruzione di imbarcazioni e ponti. Contemporaneamente aumentò l’interesse dei patrizi veneziani per l’investimento sulla terra: ed essi acquistarono tutto quel che potevano. La piccola proprietà fu attaccata e decimata, ma in parte riuscì a resistere anche perché i proprietari veneziani necessitavano
In alto: L’affresco e la meridiana sulla torre civica di Camposampiero Disegno settecentesco e pianta della chiesa e del convento di S. Giovanni dei frati minori Nella pagina accanto: Mappa che mette in evidenza l’importanza di Camposampiero, nodo strategico tra Padova, Treviso, Venezia e Vicenza Villa Baglioni a Massanzago, imponente opera settecentesca, ora Municipio
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Nella pagina accanto, in basso: Antico mulino sul Muson-Cime
di braccianti e allevatori. Complice un cattivo andamento climatico, i poveri aumentarono. Con la loro mentalità imprenditoriale i patrizi veneziani che avevano acquistato terre in questa fascia di Veneto decisero di farne un buon cespite di rendita: costruirono ville atte all’immagazzinamento dei prodotti della terra e in cui soggiornare nei periodi forti dell’annata agraria, la semina, la raccolta delle messi e la vendemmia, per poter sorvegliare da vicino i lavori dei fittavoli. Ecco, allora, nascere ville più o meno sfarzose. Alcune sorsero nei centri abitati, mimetizzandosi con le residenze più importanti dei secoli precedenti; altre invece si imposero sul tessuto abitativo per la mole e il lusso. Dovevano trasmettere il messaggio che quella era la residenza di un personaggio importante, di un uomo abituato a “comandare”. Al primo gruppo appartengono una lunga serie di ville e residenze di campagna, spesso ancora riconoscibili nel tessuto dei centri abitati grazie alla loro chiara ispirazione al modello di palazzo veneziano di terraferma: tra queste merita attenzione villa Ruzzini, ora Municipio di Villanova di Camposampiero, con i suoi singolari affreschi del XVII secolo. Al secondo appartengono villa Cornaro di Piombino Dese progettata da Andrea Palladio, villa Baglioni di Massanzago con i suoi affreschi di Giovanbattista Tiepolo e Ca’ Marcello a Levada di Piombino Dese. 16
La Repubblica di San Marco si prodigò per la regolazione delle acque: all’inizio del XVII secolo realizzò il canale Muson dei Sassi, scavato da Castelfranco Veneto a Cadoneghe per ridurre la portata del Muson Vecchio e salvaguardare la laguna e si occupò della “Serenissima” Tergola le cui acque facilitavano la navigazione sul Brenta.
Dal 1797 a oggi: l’età moderna La caduta della Repubblica di Venezia, sancì per il Camposampierese un momento di significativo cambiamento: scomparve l’organizzazione della podesteria e ogni comune ebbe una sua amministrazione indipendente; antiche famiglie emigrarono e lasciarono il posto a nuovi gruppi, provenienti da fuori. Gli entusiasmi e le speranze della prima ora, però, si smorzarono presto e furono cancellati dalle violenze subite e da provvedimenti come l’aumento delle tasse decisi dalle autorità francesi. La situazione si riassestò (se si esclude l’epidemia di colera del 1836), in un clima piuttosto sonnacchioso e di amministrazione rigorosa durante il governo austroungarico. In quei cinquant’anni il tessuto sociale era formato da un esiguo numero di possidenti, proprietari di terre e immobili, quasi sempre dediti a un’attività professionale; da numerosi “villici”, ossia fittavoli, poveri contadini che lavoravano terre altrui; i piccoli proprietari erano pochi, ma anche il numero dei braccianti era ridotto; 17
Premessa storica
Premessa storica
Il leone col libro aperto, simbolo di pace: Venezia assicurò un lungo periodo privo di avvenimenti bellici, ma la fame di terra dei suoi patrizi mutò per sempre l’assetto delle proprietà
Campodarsego, piazza del Mercato con gli antichi paracarri, oggi scomparsi
operai e artigiani si contavano sulle mani, essendo il territorio poco industrializzato e abitato soprattutto da contadini che producevano da sé quasi tutto il necessario. Dopo il 1866 e per quasi un secolo la vita proseguì in modo simile ai secoli precedenti, con un’organizzazione sociale pressoché immutata. La situazione iniziò a cambiare e continuò poi con un ritmo vertiginoso dopo la seconda guerra mondiale: la superficie agricola fu gradualmente consumata, destinata soprattutto ad attività del settore terziario e industriali ma anche all’edilizia abitativa. L’organizzazione e l’amministrazione del territorio richiedevano continuamente nuovi interventi per i quali le risorse dei singoli comuni non erano sempre sufficienti. All’inizio del nuovo millennio, undici Comuni a nord-est di Padova (Borgoricco, 18
...La ‘ri’scoperta di Valle Agredo Si constatò presto che l’organizzazione amministrativa, per quanto efficiente, passava sopra le teste dei cittadini senza coinvolgerle. Occorreva trovare nella storia del territorio un elemento unificante che permettesse agli abitanti di riconoscersi in esso, di far sentire ciascuno parte di una società che si nutre di un’esperienza storica, artistica, produttiva comune e che tende a una crescita sociale, culturale ed economica fruibile per tutti. Si avvertiva la necessità di trovare un nome che fosse anche un marchio d’area: la scelta cadde su Valle Agredo, un nome nuovo, insolito ma accattivante, e soprattutto portatore di significato. Nell’Archivio Vescovile di Treviso si trova un documento in cui il territorio tra gli attuali Castelfranco Veneto, Badoere, Camposampiero e Mirano è definito Val d’Agredo; è la copia trecentesca, ricavata a sua volta da una copia dell’XI secolo, di un atto di donazione risalente al 926, col quale il re d’Italia Ugo di Provenza “donava valle Agredo” al vescovo di Treviso Adalberto.
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Premessa storica
Premessa storica
Campodarsego, Camposampiero, Loreggia, Massanzago, Piombino Dese, San Giorgio delle Pertiche, Santa Giustina in Colle, Trebaseleghe, Villa del Conte e Villanova di Camposampiero) decisero di unirsi per offrire un ambiente di crescita ed un adeguato livello di servizi ai cittadini, anche attraverso un’economia di scala che consentisse il risparmio. Nacque allora quella Federazione dei Comuni del Camposampierese che costituisce tuttora un modello di organizzazione amministrativa che desta interesse e desiderio di emulazione.
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C’è da camminare e pedalare lungo l’argine dei tanti corsi d’acqua con gli occhi attenti a scorgere le derivazioni regolate dalle chiaviche, simbolo dell’atavico rapporto ora di confidenza e ora di paura col fiume, le tracce degli ultimi mulini, luoghi di fatica e di incontro, e le vecchie case padronali aperte al sole e all’acqua. C’è da andare alla scoperta di prodotti genuini da portare nel piatto e di utensili e prodotti dell’artigianato da portare nella casa. C’è insomma da ‘saper vedere’ un contesto materiale, fatto di natura, di strutture architettoniche e di arredi ma anche contesto vissuto nella sottile trama di relazioni che ha unito la terra e gli edifici alla comunità che ne ha fruito per recuperare valori e suggestioni perdute.
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Premessa storica
Premessa storica
Valle Agredo fu un ‘dono’ più di mille anni fa; un ‘dono’ può essere anche oggi se, superate le barriere amministrative, si riesce a farne un simbolo riconoscibile di riaffermazione dell’identità del territorio con le sue eccellenze storico-artistiche, paesaggistiche e produttive. Perché Valle Agredo è territorio di eccellenze: bisogna però riscoprirle e farle riscoprire ai residenti affinché ne siano orgogliosi custodi, e ai visitatori desiderosi non solo di vedere ma anche di capire. C’è da riscoprire il ‘cuore’ del territorio, quei Santuari Antoniani che conservano le memorie di Antonio in un intreccio di fede, di storia e di arte. C’è da ripercorrere la complessa vicenda del nascere e affermarsi del fenomeno delle ville venete le cui stanze raccontano storie affascinanti di famiglie patrizie, di capitali investiti e dissipati, di bellezza e di ricchezza ma anche di duro lavoro e di miseria. C’è da riscoprire la forza della fede delle famiglie di contadini che nel Medioevo eressero le piccole cappelle simbolo del loro credere in un Dio che ama tutti, divenute poi nei secoli chiese parrocchiali ed edifici di culto spesso ricchi di tele affascinanti.
Prima di partire… Gli itinerari descritti in questa guida si snodano prevalentemente lungo il percorso di tre piste ciclopedonali: Muson dei Sassi, che si innesta poi sul Cammino di Sant’Antonio, Ostiglia e Tergola, quest’ultimo attrezzato solo nel tratto conclusivo. Il territorio attraversato è completamente pianeggiante e ricco di bar, osterie, trattorie, agriturismi. Recentemente sono sorti anche dei ristori lungo i percorsi dove potrete riposarvi sorseggiando una bibita e facendo uno spuntino. Lasciate quindi a casa zaini e attrezzature pesanti: sarebbero un inutile fardello. Una buona bici e la giusta voglia di pedalare, meglio se lentamente: per gustarvi gli itinerari proposti da questa guida non vi serve quindi molto di più. Le tre piste, in particolare l’Ostiglia, attraversano radenti numerose stradine di campagna, ma anche alcune strade provinciali e regionali. È quindi indispensabile percorrerle con prudenza, fermandosi agli incroci, scendendo dalla bici in prossimità delle strisce pedonali e ricordando sempre che lungo le piste ciclopedonali vige comunque il codice della strada. In particolare nella bella stagione e nei fine settimana, i tragitti sono affollati anche da pedoni di ogni età, bambini, adulti, persone anziane che nel camminare ritrovano l’abbraccio salutare della natura e dell’aria aperta. Si raccomanda quindi ai cicloturisti che affrontano i percorsi con motivazioni sportive che è necessario procedere con andatura moderata per non mettere a repentaglio la propria salute e quella del prossimo. Nulla nuoce al viaggiare più della fretta. Spegnete i cellulari. Rasserenate gli animi. Qualsiasi sia il motivo che vi spinge a muovervi, turistico, sportivo, culturale, didattico, a piedi, in bici, coi bastoncini della camminata nordica, spingendo una carrozzina o facendovi trascinare dal vostro cane, in ciascuno di questi itinerari troverete delle buone risposte. 23
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1 Muson dei Sassi e Cammino Sant’Antonio 2 La Treviso-Ostiglia 3 Percorso Tergola
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Legenda Area di sosta Accesso Area di sosta attrezzata
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Il Cammino di Sant’Antonio non è quindi un itinerario che unisce tre punti a caso, bensì un percorso che lega tre nodi mistici, tre luoghi in cui si può vivere un’esperienza interiore, a pochi metri dal caos e a mille miglia da esso. Negli ultimi anni migliaia di persone hanno percorso in vari periodi dell’anno il Cammino.
La via del Muson dei Sassi
Itinerario
La via del Muson dei Sassi
Sulle orme di Antonio Percorso Muson dei Sassi Cammino di Sant’antonio Il primo percorso che vi proponiamo è quello sul Muson dei Sassi che inizia a nord di Loreggia e che, da Camposampiero a Padova, coincide sostanzialmente con il Cammino di Sant’Antonio. Lo percorreremo in direzione sud fino a Padova, partendo da Boscalto, località in comune di Loreggia al confine con Resana e la provincia di Treviso. Si tratta, in realtà, di una ciclopedonale che può essere imboccata in svariati altri punti a piacere da ciascuno dei paesi attraversati dal tracciato: Loreggia, Camposampiero, San Giorgio delle Pertiche, Campodarsego, Cadoneghe. Percorrendo il Muson si incrociano inoltre l’Ostiglia, a Loreggia, ed il Tergola a San Giorgio delle Pertiche: ciò offre la possibilità di numerose varianti al vostro itinerario. Gli argini del Muson dei Sassi, alti rispetto al piano stradale, permettono di vedere i fabbricati da un insolito punto di vista (in molti casi si osserva il retro delle abitazioni che guardano verso la strada). Chi li percorre in direzione nord può inoltre spingere lo sguardo verso le Prealpi Venete, senza tante interruzioni, e godere quindi di un panorama interessante. Il punto di partenza è collocato all’incirca dove il Sentiero degli Ezzelini, che scende da Asolo passando per Riese Pio X e Castelfranco Veneto, diviene Percorso Muson dei Sassi, sull’argine destro del torrente. Il fondo, tranne brevi 27
Lunghezza complessiva 25 Km
da Boscalto (Loreggia) a Basilica del Santo (Padova)
Z 1,45 ora X 6,5 ore
tratti asfaltati, è sterrato ma compatto e consente di procedere agevolmente con qualsiasi tipo di bici. Poco più di venticinque chilometri l’intero tragitto fino alle porte di Padova, lungo il percorso ciclopedonale, meno di trenta quelli necessari per arrivare alla Basilica di Sant’Antonio, traguardo finale del nostro itinerario. La pista corre alternativamente sugli argini sopraelevati del torrente e questo garantisce un punto di osservazione privilegiato sulle campagne circostanti, ordinatamente coltivate e sui campanili di cui è disseminato il territorio, che annunciano l’avvicinarsi di un paese. Il primo centro abitato che incontriamo, dopo circa tre chilometri percorsi in mezzo alla campagna, è Loreggia che merita senz’altro una deviazione per ammirare alcune ville e per una visita alla bella parrocchiale. Abbandonando la ciclabile all’altezza del ponte di via Morosini, ci dirigiamo quindi verso il centro del paese, dove incontriamo la Chiesa Parrocchiale dedicata alla Purificazione di Maria. Si tratta di un’antichissima pieve che aveva giurisdizione su altre cinque chiese, fin nel territorio asolano. Attualmente è oggetto di un importante intervento di restauro che, nell’interno, è dedicato in particolare agli stucchi dell’abside, il cui valore artistico, insieme a quello delle decorazioni, rende la parrocchiale di Loreggia uno degli esempi più pregevoli del Settecento veneto. Ampliata e rimaneggiata nel 1727, nel 1755 fu dotata di un nuovo altare maggiore con belle statue e pregevole paliotto in marmi policromi. Nel 1777 fu consacrata dal vescovo di Treviso, Paolo Francesco Giustiniani, cha la dedicò alla Purificazione della Beata Vergine Maria.
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La via del Muson dei Sassi
La via del Muson dei Sassi
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Percorrendo poche centinaia di metri in direzione Camposampiero, si incontra un altro notevole edificio, Villa Polcastro – Wollemborg – Gomiero, la cui posizione, lungo la vecchia statale del Santo, consente di ammirarne gli esterni anche dalla strada. Si tratta di una splendida residenza di campagna, edificata all’inizio del Cinquecento dai Polcastro e rimaneggiata nel Seicento e nell’Ottocento. Nel 1870 la villa fu acquistata dai Wollemborg e qui abitò Leone Wollemborg, senatore del regno e fondatore della prima cassa rurale d’Italia. Da notare sul lato occidentale la bella trifora ad arco con balaustra al piano nobile. L’interno si caratterizza invece per le decorazioni liberty. Notevole il giardino romantico, ideato da Giuseppe Jappelli “con i giochi d’acqua, macchie di vegetazione alberi ed arbusti esotici, laghetti, cascate, magnolie, siepi d’alto fusto, prati estesi e panorami che s’aprono dopo un sentiero ombroso …”. Dal 1973 villa Wollemborg è sede di una nota casa di antiquariato. In ragione della sua importanza la villa è stata dichiarata monumento nazionale. Proseguendo in direzione Camposampiero, lungo l’antica via Aurelia, l’odierna “Strada del Santo”, incontriamo quasi 30
subito Villa Rana. L’edificio, oggi sede del Municipio, venne edificato verso la fine del Cinquecento ed appartenne a varie famiglie nobiliari tra cui i Da Mosto e, appunto, i Rana. L’impianto originale di casa veneziana a due piani e soffitte venne fortemente rimaneggiato nel Seicento e nell’Ottocento. Sulla facciata est, che dà sulla strada, sono visibili due logge centrali sovrapposte, con soffitto e pareti decorate a stucco sovrastate da un timpano con le iniziali di Luigi Rana. Le finestre sono sormontate da lunette decorate a stucco, mentre la soffitta è contraddistinta da cinque finestre quadrate. I piani sono segnalati da cornici marcapiano. Degno di nota il salone al piano terra che propone una singolare pianta a T. Le pareti sono decorate con finti quadri che raffigurano personaggi in costumi di varie fogge, mentre nel vano est sono presenti due finte statue monocrome di Galilei e Dante, eseguite nel 1864 da Francesco Armano. Alla fine del Novecento si deve l’ala nuova della sede comunale, progettata da Giuseppe Cappochin che reinterpreta in forma moderna palazzo Rana. Da Villa Rana si imbocca via Vecellio, in direzione ovest, quindi si svolta su via Morosini a sinistra e si rientra sulla ciclopedonale Muson puntando Camposampiero. Percorsi circa 600 metri si arriva all’incrocio tra percorso Muson e ciclopedonale Ostiglia evidenziato dalla presenza di un punto ristoro per podisti, camminatori e cicloamatori. Qui giunti, abbandonando l’argine del Muson e imboccando l’Ostiglia verso ovest, si può proseguire verso Santa Giustina in Colle, Arsego, Piazzola sul Brenta. Se si sceglie la direzione opposta attraversando i ponti Bailey che scavalcano il Muson 31
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Conserva tre importanti tele di scuola bassanesca: L’ultima cena, La pala di San Rocco e San Sebastiano, Mosè tocca la rupe. Degni di nota anche gli affreschi ottocenteschi del pittore veneziano Sebastiano Santi e quelli di inizio XX secolo del pittore trevigiano Antonio Beni raffiguranti l’Annunciazione, la Visita di Maria a s. Elisabetta, la Nascita di Gesù, la Presentazione di Gesù al tempio e Gesù tra i Dottori. Il campanile risale al XVI secolo e venne probabilmente edificato sui resti di una torre d’età romana utilizzata dai Da Camposampiero come punto di osservazione.
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I Santuari Antoniani di Camposampiero: Santuario del Noce e Santuario della Visione Al Noce, così è familiarmente chiamato dalla gente del posto, si giunge percorrendo un viale alberato costeggiato dal Sentiero “Antonio: Vangelo e Carità”, formato da gruppi
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e la statale, l’Ostiglia vi condurrà fino a Quinto di Treviso, passando per Piombino Dese e Silvelle (vedi Itinerario 2 “La Treviso-Ostiglia”). Proseguendo invece verso sud, lungo il Muson, attraversata la statale del Santo sul ponte delle Galle, compare all’orizzonte una torre brunita che annuncia l’arrivo a Camposampiero, luogo antoniano, città ricca di storia e monumenti, che merita senz’altro una visita approfondita. Camposampiero è oggi una vivace cittadina di 12.000 abitanti caratterizzata dalla presenza di un’importante struttura ospedaliera e sede di numerosi servizi. Da quasi ottocento anni questo luogo conserva gelosamente il ricordo del passaggio di Antonio, il santo più venerato dalla cristianità: la cultura e la storia, la religiosità più intima, perfino le pietre della città continuano a nutrirsi della memoria di quella presenza, a riprova dell’importanza decisiva che il semplice passaggio di una grande personalità può avere su un centro abitato. La storia di un luogo è scandita dai piccoli e grandi avvenimenti che si innestano nel flusso del tempo, ma è principalmente plasmata dagli uomini che con la forza delle loro idee segnano le epoche con un’impronta indelebile. Nell’accingerci a visitare Camposampiero, non possiamo che partire dalla presenza antoniana che continua a caratterizzare
l’identità ed il rapporto col territorio, anche perché l’epoca in cui Antonio vi soggiornò fu quella in cui la cittadina ebbe il suo sviluppo più significativo e acquistò rilevanza politica ed economica grazie alla sua posizione chiave e all’intelligenza politica dei suoi signori feudali. Dell’epoca medioevale rimangono infatti importanti vestigia nel palazzo Tiso, residenza feudale e oggi sede municipale e nelle due caratteristiche, svettanti torri, Civica e dell’Orologio. A ricordare la presenza di Antonio a Camposampiero, ogni anno si celebra la Tredicina: dall’1 al 13 giugno, camposampieresi, abitanti del circondario e fedeli provenienti da ogni dove rendono omaggio al “santo dei miracoli” pregando tutti assieme. Durante questi tredici giorni, uno degli eventi più sentiti è il pellegrinaggio notturno dal Santuario della Visione di Camposampiero alla basilica di Sant’Antonio a Padova. La presenza di Antonio è soprattutto tangibile nel complesso dei Santuari Antoniani, interessante anche dal punto di vista storico artistico, meta ogni anno di migliaia di pellegrinaggi e punto di partenza del percorso che ricorda l’ultimo viaggio di Antonio.
del cavaliere. Questi dipinti sono caratterizzati da una coinvolgente fluidità narrativa e da una puntuale attenzione al racconto di momenti della quotidianità. Trasportano l’osservatore attento in un mondo antico, quotidianamente intessuto di lotte e illuminato dalla fede che trova risposta nel miracolo. Sulle lunette del presbiterio sono rappresentati busti di santi, tra i quali i primi santi francescani (Francesco, Antonio, i cinque martiri del Marocco, il beato Luca Belludi) e san Giovanni Battista: costituiscono una piccola galleria di personaggi la cui vita esemplare diventa modello per i credenti. La splendida pala d’altare datata al 1540 è opera del pittore veronese Bonifacio de’ Pitati. Il dipinto rappresenta la Predica dal noce di sant’Antonio davanti ad una schiera di fedeli, alcuni dei quali nobili e molti semplici abitanti del luogo: testimonia la capacità di Antonio di rivolgersi a dotti e a semplici ed essere capito da tutti, perché il suo linguaggio andava dritto al cuore. Uscendo dal Santuario del Noce, si percorre il viale di tigli e alberi di noce e si arriva al Santuario della Visione, la grande ed imponente chiesa ricostruita all’inizio del XX secolo. Il nome deriva dalla tradizione di una ‘visione’ miracolosa avvenuta nella Cella custodita al suo interno. Infatti, sulla navata destra, in prossimità del transetto, si
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bronzei, realizzati dallo scultore Romeo Sandrin in occasione del Giubileo del 2000, inseriti in un verde prato che invitano alla meditazione. Il santuario fu edificato nel 1432, sul luogo dove sorgeva l’albero di noce sul quale Antonio si era fatto costruire una piccola cella. È uno dei santuari artisticamente più interessanti della provincia di Padova. La struttura è semplice: la facciata ha un piccolo protiro, che protegge l’affresco della lunetta. L’interno è ad aula, con la zona absidale protetta da una cancellata, perché riservata al coro delle monache clarisse del vicino convento. La chiesa fu affrescata intorno al 1535, quasi certamente da un affermato pittore padovano, Girolamo Tessari detto Dal Santo. Sulle pareti dell’aula dieci scene raccontano miracoli compiuti da sant’Antonio: a sinistra, in alto il Miracolo della mula e la Predica dal noce, in basso il Miracolo dell’anello e il Miracolo delle lingue; a destra la Predica ai pesci, il Miracolo del piede riattaccato, il Miracolo del riconoscimento del padre e il Miracolo del cibo; in controfacciata, a destra della porta, il Miracolo del bicchiere e a sinistra, il Miracolo
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apre un passaggio che, attraverso una stretta scala, conduce a una minuscola Cella, ritenuta la cella del convento che ospitò sant’Antonio. Qui, sulla parete di fondo, è posta una tavola dipinta da Andrea da Murano nel 1486 che ritrae il santo con il libro che indica la sua cultura e il giglio bianco simbolo di purezza. Non c’è altro nella cella (i tanti ex voto sono stati depositati altrove): ma vi si respira un’atmosfera mistica. Una volta ridiscesi in chiesa dalla cella e volgendosi verso l’altare maggiore, si è catturati dai colori di un grande polittico (8 metri di lunghezza e 3 di altezza) posto nel transetto sinistro: opera di diversi artisti contemporanei, disegnatori per l’infanzia, fu donato al santuario nel 2012; presenta al centro un intenso Volto di Cristo a mosaico; intorno trentaquattro scene ispirate ai Vangeli narrano episodi della vita di Gesù e illustrano parabole. Merita una sosta anche la recente statua raffigurante san Massimiliano Kolbe, il frate polacco che diede la sua vita per salvare un padre di famiglia nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1941.
Nel dirigersi dai Santuari alla piazza si noterà la ricchezza di corsi d’acqua. A Camposampiero, infatti, scorrono il Vandura e il Muson Vecchio da cui deriva il canale Tergolino; ad est scorre il Muson dei Sassi. Il borgo del castello era protetto dal Vandura, che proviene da Fratte: esso costituisce un anello attorno a quello che fu il castello dei feudatari e passa tra i santuari e le case sorte tra il fiume e il castello. A volte seguire questi corsi d’acqua diventa difficile, perché si nascondono sotto la strada o sotto edifici, ma poco oltre riemergono, in alcuni punti con forza. Il Cammino di Sant’Antonio Il nostro itinerario in direzione Padova seguirà da qui in poi il percorso di fede denominato Cammino di Sant’Antonio, che prende il via proprio dai Santuari Antoniani e da cui ci allontaneremo di tanto in tanto per visitare i paesi attraversati. Cammino di Sant’Antonio è la dicitura ufficiale di un’esperienza spirituale vissuta da moltissimi pellegrini e devoti del Santo. Il riferimento è volutamente ad altri famosi cammini della cristianità (primo fra tutti, Santiago di Compostela). Si tratta di un antico itinerario riscoperto e valorizzato dai frati francescani 37
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La prima tappa del nostro itinerario lungo il Cammino di Sant’Antonio è in Piazza Castello, il cui lato settentrionale è dominato dalla mole dell’attuale Municipio, risultato delle numerose modifiche apportate al castello dei Da Camposampiero (fine dell’XI secolo) nel corso dei secoli, e dall’alta e snella torre civica d’impianto medioevale, rialzata nel XVII secolo. Palazzo Tiso, attualmente sede municipale, costituiva originariamente la dimora dei feudatari e parte integrante di un castello medioevale dotato di un sistema fortificato, di cui nulla rimane. Esso rispondeva alla necessità di difesa in un territorio pianeggiante, privo di protezioni naturali. Era attrezzato con porte munite di torri, circondato da una cintura di fossa ricavata dallo sdoppiamento del fiume Vandura e reso più sicuro da argini, ponti levatoi, catene di sbarramento e mura. Il recinto interno, avente forma di quadrato con gli angoli smussati, comprendeva, oltre alla rocca, il campo di marte, depositi, caserme e poche abitazioni. 39
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minori conventuali (custodi dei tre Santuari Antoniani di Camposampiero, dell’Arcella e del Santo) già dal 1995 (anno centenario della nascita del Santo) nel desiderio di ripetere quanto sant’Antonio fece in quel lontano 13 giugno 1231, allorché ormai prossimo alla morte si fece condurre da Camposampiero a Padova su di un carro trainato da buoi. Il Cammino ha quale tappa intermedia il Santuario dell’Arcella in Padova dove Antonio morì, fino a raggiungere come tappa conclusiva la Basilica del Santo. In circa 25 Km, si toccano dunque tre aree sacre estremamente significative dal punto di vista della devozione antoniana e della fede, ma anche dell’arte e della storia. Come nelle più autentiche tradizioni di pellegrinaggio, anche i frati rilasciano ai pellegrini in partenza da Camposampiero una “Credenziale del pellegrino” sulla quale apporre i timbri dei rispettivi Santuari visitati. La credenziale testimonia il pellegrinaggio effettuato e resta a memoria di un’esperienza indimenticabile. I pellegrini che concludono il loro pellegrinaggio al Santo ricevono presso la sacrestia della Basilica anche una “cartula”, un prezioso attestato/ benedizione in latino, a firma del Rettore, che sancisce ufficialmente il compimento del pellegrinaggio. Il Cammino di Sant’Antonio non è quindi un itinerario che unisce tre punti a caso, bensì un percorso che lega tre nodi mistici, tre luoghi in cui si può vivere un’esperienza interiore, a pochi metri dal caos e a mille miglia da esso. Negli ultimi anni migliaia di persone hanno percorso in vari periodi dell’anno il Cammino. Senza tanta pubblicità, questo itinerario sulle orme del santo è diventato un percorso spirituale conosciuto e praticato dai devoti e al tempo stesso una forma di pellegrinaggio a piedi, semplice e umile, secondo un costume antico.
Ma c’è un altro aspetto che non va sottovalutato ed è quello che potremmo definire turistico e di valorizzazione del territorio: attraverso l’esperienza del Cammino di S. Antonio si possono cogliere spunti di notevole interesse per la storia, la conoscenza, la salvaguardia del paesaggio e del territorio padovano con i suoi innumerevoli tesori e monumenti di religiosità, arte e cultura. Percorrendolo si possono ancora cogliere le tracce della storia, godere della chiesetta ma anche del campo coltivato, del corso d’acqua ben tenuto, del capitello segno della devozione popolare.
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una volta in cotto con mattoni a coltello, recentemente coperta con strato cementizio. La bella campana bronzea, risalente al 1556 ora sostituita da una copia, è conservata e visibile all’interno di Palazzo Tiso. Da notare, all’esterno della torre sul lato sud, una meridiana policroma con scritta latina, due stemmi d’epoca veneziana e, quasi alla sommità, un dipinto di Fulvio Pendini del 1962, raffigurante una Madonna con Bambino. Sul lato sud ovest della piazza incontriamo uno degli edifici sacri più cari alla religiosità popolare di Camposampiero, la chiesetta della Madonna della Salute, che costituiva originariamente l’oratorio annesso al “palazzon”, un edificio maestoso, appartenente alla famiglia veneziana dei Querini abbattuto all’inizio del XVIII secolo. Nel 1836, un’epidemia colerica perniciosissima colpì l’intero territorio padovano. Unanimemente popolazione e autorità di Camposampiero decisero di dedicare l’oratorio alla Madonna della Salute; ancora oggi richiama devoti, specie in prossimità del 21 novembre. Lasciando piazza Castello si prosegue verso sud est su piazza Vittoria dove l’attenzione viene attirata da un’altra testimonianza architettonica di epoche lontane. Torre di Porta Padova, conosciuta anche come Torre dell’Orologio, ha pianta quadrata, di circa metri 6,50 di lato ed altezza intorno ai 24 metri. È interamente costruita in mattoni di cotto, senza utilizzo di pietra e sasso. Lo spazio interno risulta suddiviso da solai di travi e tavolati di legno. L’intero perimetro, alla quota di 15 metri 41
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Secondo quanto accreditato dalla maggior parte degli storici, venne edificato intorno al 1085 da Tiso II e Gherardo I, appartenenti alla famiglia di feudatari il cui capostipite, Tiso I, era giunto in Italia all’inizio dell’XI secolo al seguito dell’imperatore tedesco Enrico II. La facciata di palazzo Tiso si presenta suddivisa in due zone distinte: quella inferiore, caratterizzata dalla riproduzione di lastroni di pietra di un caldo tono dorato ed impreziosita da un motivo decorativo a cuspide sopra le finestre; quella superiore, scandita da ampie aperture e luministicamente vibrante grazie all’utilizzo di pietre intonacate. L’edificio presenta, a completamento della facciata, una serie di archetti pensili acuti, sormontati da un coronamento risalente all’inizio del XX secolo che imita la merlatura medioevale, seppur con qualche tendenza arabeggiante nel traforo che l’alleggerisce. L’eco degli importanti avvenimenti di cui Palazzo Tiso fu testimone nei secoli passati risuona ancora distinto soprattutto nella Torre Civica che svetta al suo fianco. Proprio la torre, originale nella parte inferiore e modificata alla sommità, ci riporta col suo aspetto austero al periodo medioevale nel quale venne edificato l’intero sistema difensivo. Essa è alta 32 metri ed ha una pianta quadrata leggermente irregolare (m. 6,00 x 6,50). Oltre a mattoni d’argilla, per la sua costruzione venne utilizzato abbondante materiale di reimpiego. La parte superiore, adattata per ordine del podestà veneto di Camposampiero Giacomo Salomone, intorno al 1600, presenta all’esterno, su ciascun lato, due ordini di finestre ad arco ed all’interno
Per risalire sull’argine del Muson dei Sassi, che da qui in poi ricalca il tracciato del Cammino di Sant’Antonio, si prosegue in direzione sud sulla statale che attraversa il centro storico e si svolta a sinistra su via Tiso. All’incrocio tra via Tiso e via Cordenons incontriamo sulla destra Villa Campello, attuale sede della biblioteca civica. Si tratta di una dimora
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ottocentesca con barchessa e brolo. La villa, di struttura imponente, è caratterizzata all’esterno da un avancorpo dallo stile sobrio, risalente ai primi dell’Ottocento, su cui si inseriscono, quale unico motivo decorativo, i balaustri in ghisa delle finestre e dei balconi. Altro elemento di rilievo è la barchessa, fatta costruire verso la seconda metà del secolo scorso, che oltre ad una funzione estetica di derivazione palladiana, possiede un’evidente utilità pratica collegata alla produzione agricola. Proprio di fronte a villa Campello sorge l’aggraziata Villa Querini risalente alla fine del Cinquecento, attualmente adibita a sede della Federazione dei Comuni del Camposampierese. L’edificio si trova in posizione assai felice, lungo il corso del Muson Vecchio, vicina al centro storico e già al limite della campagna. Notevoli all’interno i pavimenti alla veneziana e i solai con travature a vista, decorati a mano. Da villa Querini proseguiamo per circa 200 metri verso est lungo via Tito Livio e risaliamo sull’argine in prossimità del ponte detto “Alle Bocche,” pregevole opera idraulica realizzata dai veneziani per far passare il Muson Vecchio sotto all’alveo del Muson dei Sassi. L’insegna turistica “Cammino di Sant’antonio”, che incontriamo appena risaliti sull’argine, ci indirizza sul lungo
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è interessato da una serie continua di aperture ad arco murate. Si può ipotizzare che la torre si concludesse in origine poco sopra questo ordine di aperture. Relativamente recente è certamente l’ulteriore elevazione con la parte terminale formata a guisa di cella campanaria. Databile intorno al 1450 è la campana bronzea. Al 1926 risale invece il bassorilievo rappresentante il leone di San Marco, opera dello scultore A. Pennello, che sostituisce quello antico, distrutto dai francesi nel 1797. Nei paraggi merita una visita vicolo beato Crescenzio che si imbocca pochi metri a sud della Torre di Porta Padova. Inoltrandosi pochi metri lungo i porfidi di questa stradina si può godere la visione di un angolo nascosto ma estremamente suggestivo di Camposampiero, con la torre sullo sfondo e gli antichi palazzi che si specchiano nell’acqua e richiamano la storia secolare del castello. Qui più che altrove è evidente l’impronta medioevale del luogo e la sua vocazione di cittadina d’acque.
La via del Muson dei Sassi
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tracciato ciclopedonale, un po’ anonimo ma sicuro, che conduce sino alle porte di Padova, dove il Muson si immette nel Brenta. Il percorso lambisce San Michele delle Badesse e San Giorgio delle Pertiche e tocca Campodarsego e Cadoneghe. Dall’alto dell’argine ad un certo punto, guardando oltre la linea delle costruzioni verso ovest, si scorge in lontananza una massiccia torre: segnala che ci stiamo avvicinando a San Giorgio delle Pertiche (vedi Itinerario 3 “La terza via”, pag. 76). Proseguendo verso sud, a circa 12 km dal punto di partenza, un bel ponte in muratura ci avvisa che siamo in prossimità del bivio da cui, svoltando a sinistra si imbocca il percorso Tergola. Attraversando il ponte (si veda riguardo alla pregevole opera idraulica l’Itinerario 3 “La terza via”, pag. 77) e proseguendo lungo via Pontecanale si arriva invece sulla regionale 307, ex statale del Santo, attraversata la quale, un ponte pedonale sul Muson dei Sassi consente di 44
proseguire sull’argine destro in direzione Campodarsego le cui emergenze artistiche ed ambientali vengono ugualmente illustrate nell’Itinerario 3. Superate Campodarsego e Cadoneghe, all’altezza della confluenza del Muson nel Brenta, il Cammino si addentra nella periferia di Padova per proseguire fino alla Basilica del Santo, percorrendo strade cittadine. Nel quartiere Arcella è opportuna una sosta al santuario di Sant’Antonio, familiarmente detto Sant’Antonin, sorto attorno alla cella del convento di clarisse in cui Antonio
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Il percorso si conclude sul sagrato della pontificia Basilica di Sant’Antonio (chiamata dai padovani semplicemente, e amorevolmente, il Santo): la visione della famosissima facciata gotica, con le cinque alte arcate sottolineate dalla pietra bianca, l’elegante loggetta ad archi a sesto acuto ed il tetto a capanna oltre il quale spuntano le cupole bizantineggianti, ripaga ampiamente della fatica del cammino o della pedalata. L’interno è assai ricco di opere d’arte, ma i molti fedeli si dirigono anzitutto con compostezza verso la Cappella dell’arca, sulla navata sinistra, ove è collocata la tomba di sant’Antonio. La cappella è un meraviglioso scrigno: le pareti sono ornate da lastre di marmo scolpite a bassorilievo con scene che narrano episodi della vita del santo, opera di diversi grandi maestri della scultura veneziana del XVI secolo, tra i quali spiccano Tullio Lombardo e Jacopo Sansovino. Il soffitto decorato magistralmente in bianco e oro da Giovan Maria Falconetto costituisce il prezioso cielo 46
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incontrò sorella morte. La chiesa si presenta con le forme e decorazioni ottocentesche, perché ricostruita nel 1846, ma la cella di Antonio è ammirabile nell’aspetto datole nel 1673.
che delimita lo spazio sopra il grandioso altare ornato da statue di bronzo, opera di Tiziano Aspetti. Dalla porticina sul lato destro della cappella, si accede alla cappella della Madonna Mora e alla cappella del Beato Luca Belludi, in cui è conservata la tomba di questo frate, che accompagnò Antonio in tutte le sue missioni del periodo padovano (1227-1231). Le pareti della cappella furono affrescate nel 1384 da Giusto de’ Menabuoi con scene delle Storie dei santi Giacomo e Filippo. Percorrendo l’ambulacro e passando davanti alle cappelle si incontra la settecentesca Cappella delle Reliquie, ricchissima di stucchi, in cui nelle vetrine spiccano i reliquiari contenenti la Lingua e il mento di sant’Antonio, un saio e frammenti del tessuto che ricopriva il suo corpo nella tomba. Il presbiterio ospita il grandioso altare maggiore di Donatello con le statue della Vergine in trono con il Bambino, i santi Francesco, Daniele, Prosdocimo, Antonio, Giustina e Ludovico di Tolosa, il Crocifisso, sulla predella i 4 bassorilievi raffiguranti miracoli di sant’Antonio, Il piede riattaccato e Il cuore dell’avaro, La mula che venera l’Eucaristia, Il neonato che testimonia l’innocenza della madre più la Deposizione di Cristo nel sepolcro (1443-1450) e angeli musicanti, il candelabro di Andrea Briosco (1507-1515). 47
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Alla mattina prestissimo, mentre la nebbia leggera esala dal terreno attenuando i profili delle cose, oppure verso sera, quando poco a poco le strade si svuotano e la frenesia trova pace. In primavera, quando la natura si risveglia, in estate quando esplode nel suo rigoglio, in autunno, ammirando i gialli, i rossi, i marroni delle foglie, in inverno, pregustando ad ogni pedalata il calore del prossimo ristoro: in ogni stagione l’Ostiglia ci regalerà qualcosa.
La Treviso-Ostiglia
La Treviso-Ostiglia
Itinerario
Da ferrovia a ciclopedonale: una linea verde per scoprire il territorio Se il Cammino di Sant’Antonio consente di spostarsi in direzione nord-sud, quella che fu la ferrovia Treviso-Ostiglia attraversa il territorio di Valle Agredo in direzione est–ovest. Anche per questa via verde non servono mountain bike superaccessoriate. Il percorso ancora una volta è interamente pianeggiante: due ruote, una sella e un telaio bastano e avanzano per scoprirlo in tutto il suo fascino. Raggiungere l’Ostiglia è facile, in bici ma anche a piedi. Non serve bussare, né chiedere permesso. Ogni chilometro, poco più, poco meno, c’è un accesso al percorso: due colpi di pedale e si è già immersi nel verde, lontani il traffico, lo stress, il lavoro, lontani la fretta, l’ansia, i rumori. Alla mattina prestissimo, mentre la nebbia leggera esala dal terreno attenuando i profili delle cose, oppure verso sera, quando poco a poco le strade si svuotano e la frenesia trova pace. In primavera, quando la natura si risveglia, in estate quando esplode nel suo rigoglio, in autunno, ammirando i gialli, i rossi, i marroni delle foglie, in inverno, pregustando ad ogni pedalata il calore del prossimo ristoro: in ogni stagione l’Ostiglia ci regalerà qualcosa. Da est verso ovest o da occidente ad oriente, lungo l’intero percorso o finchè ne avete voglia: paesi, stazioni ideali, luoghi di sosta e forse scoperta, uscite ed entrate, luoghi conosciuti e perciò sconosciutissimi. Perché spesso vi verrà voglia di uscire dal tracciato, verso quei campanili visibili tra le foglie. Una sosta silenziosa davanti all’oratorio di campagna, una visita al parco della villa, lo sguardo stupito si posa sulla meraviglia palladiana, l’occhio attento intuisce la buca 49
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da Quinto di Treviso a Campodoro
La Treviso-Ostiglia
La Treviso-Ostiglia
Lunghezza 39 Km
Z 2,5 ore X 9,5 ore
causata dal bombardamento aereo, l’animo si rasserena alle sorgenti del Sile o lungo l’argine del Muson Vecchio, gli occhi si posano su campi e rive ordinate. Andateci da soli o in compagnia, come preferite, andateci perché no, quando al risveglio quello strano silenzio vi dice che è domenica. Per una volta lasciate la macchina in garage e provate a guardare un paesaggio che, a seconda dei casi, sarà nuovo o consueto, eppure diverso se lo guarderete con sguardo diverso. L’Ostiglia è un punto d’osservazione privilegiato per la scoperta o riscoperta di questo territorio: il percorso, quasi sempre sopraelevato rispetto alla campagna, offre scorci inediti, nuovi punti di osservazione del paesaggio circostante, ma anche della ricca flora che cresce ai lati della massicciata: bagolari, olmi, acacie, robinie, biancospini, fiori di biancospino, fiori di campo, fiorellini di fragola selvatica, tarassachi, ortiche, secconi ricoperti di edera, ligustri, rovi, erbe palustri, dove vive, spesso nascosta, una fauna vivace z di cui fanno parte nutrie, rettili, piccoli roditori, picchi,enrospi, sta da rez so di o att se eg a a L t e libellule e farfalle, civette, gufi e allocchi. Ar cess i sos teres Passeggiando o pedalando lungo l’Ostiglia i minuti, le oreAcArea dto di in ro n r Pu rco e fe passeranno in fretta, immersi nel verde, caldi i muscoli, Pa azion unto sereno l’animo, prossima fermata una bella trattoria, profumoStIAT – Porso T rc s Pe rcor di campagna e un bicchiere di quello buono. e o P
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L’idea della ferrovia Treviso-Ostiglia nacque nei primissimi anni del XX secolo, quando il pericolo di una guerra tra Italia e impero austro – ungarico era vicino e si avvertiva la necessità di rafforzare il sistema ferroviario del nord-est. La linea, da Treviso a Ostiglia (Mantova), doveva servire principalmente a trasportare rifornimenti e truppe verso il nord. I lavori erano appena iniziati, quando la prima guerra mondiale li bloccò. La realizzazione riprese nel 1919 e si concluse il 28 ottobre 1941, quando la seconda guerra mondiale era già cominciata. La ferrovia fu bombardata nel 1944: perciò essa venne utilizzata solo per tre anni. Nel dopoguerra, alcuni tratti vennero ripristinati, ma servivano solo a un piccolo traffico locale; la linea fu completamente dismessa nel 1987. La vegetazione pian piano occupò il terrapieno, costruito come base per i binari, sino a creare una fascia boschiva di arbusti e alberi tipici della pianura padana, come l’olmo e il salice bianco, e di essenze provenienti da altri continenti che si sono talmente adattate al nostro clima da riprodursi spontaneamente, come la robinia. Sin dalla sua chiusura si cominciò a progettarne il recupero. Nel 2005 iniziarono i lavori per renderla una via ciclopedonale sicura e percorribile da tutti. Il progetto divenne realtà a stralci. 52
La Treviso-Ostiglia, una volta completata, con i suoi centodiciassette chilometri, diverrà una delle piste ciclabili più lunghe d’Italia e costituirà una delle principali attrattive del progetto Green Tour avviato dalla Regione Veneto. Il tratto padovano di trentadue chilometri è prevalentemente in territorio camposampierese. La ciclabile, ad est, inizia a Quinto di Treviso (il tratto da Quinto a Treviso non è riconoscibile) e sino al confine con il Padovano (Silvelle di Trebaseleghe) è su fondo sterrato, mentre nel tratto padovano è asfaltata. Percorrendola si incontrano, ancora perfettamente riconoscibili, le strutture di supporto alla ferrovia: stazioni precedute da tratti di palizzate in cemento, case cantoniere che presentano lo stesso impianto costruttivo, ponti, sottopassi, in molti casi opere murarie di pregevole fattura, testimonianze silenziose di quando l’infrastruttura era in funzione. Il sentiero, che percorreremo in direzione est-ovest, è facile e distensivo ed offre l’occasione per visitare serenamente alcune emergenze del territorio, scoprirne e gustarne la bellezza.
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Il percorso
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il mormorio delle fronde, il canto degli uccelli, il gracchiare delle rane in un alternarsi di voci che parlano di bellezza. La palude di Santa Cristina, estesa per 25 ettari, fa parte del Parco regionale del fiume Sile: infatti, le polle di risorgiva presenti nell’area contribuiscono ad alimentare il Sile, le cui sorgenti si trovano pochi chilometri ad ovest, nella fascia dei fontanassi (fontanili) tra Casacorba, Torreselle di Piombino Dese e Morgano e costituiscono un’altra area umida che merita una visita accurata. Per raggiungere la zona delle sorgenti è consigliabile uscire dall’Ostiglia in prossimità di Silvelle, dirigersi verso nord, imboccare in direzione ovest la provinciale 17 che conduce a Resana e svoltare a destra quando si incontrano le tabelle turistiche marroni con indicazione: Parco del Sile - Porta dell’Acqua. L’oasi di Santa Cristina, così come in generale il territorio del Parco del Sile, possiede una discreta diversità di specie vegetali, tra le quali dominano il pioppo nero, il salice bianco, il rovo e qualche esemplare di felce; più ampia risulta essere la varietà di specie animali ospiti: mammiferi come lepri, volpi, puzzole e nutrie; anfibi quali il rospo e la raganella; pesci come il luccio e la scardola, altrove scomparsi; la famiglia più rappresentata e più appariscente è però quella degli uccelli, stanziali e migratori: aironi, nitticole, tarabusi, garzette, gufi. E proprio un gufo è la mascotte dei percorsi pensati per i più piccoli. L’isola di Santa Cristina, posta tra il corso del Sile e quello del torrente Piovega non ha solo un interesse naturalistico, ma conserva anche manufatti che narrano una storia antica: l’ingresso avviene da un trecentesco mulino idraulico con la ruota ancora funzionante; inoltrandosi nell’oasi è possibile passare accanto alle vecchie peschiere che hanno sfamato tante famiglie e alla ricostruzione di un antico riparo per le imbarcazioni del Sile. Sono le recuperate testimonianze 55
La Treviso-Ostiglia
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Nel nostro tragitto incontreremo numerosi fiumi: Sile, Zero, Marzenego, Muson dei Sassi, Muson Vecchio, Tergola, Brenta. Solo alcuni di questi fiumi presentano argini attrezzati con piste ciclopedonali sulle quali sarà possibile fare delle deviazioni interessanti dal punto di vista sportivo, paesaggistico e culturale. Ma brevi digressioni a piedi, o con la bici a braccio sono comunque possibili anche lungo gli altri corsi d’acqua. Il punto di partenza del percorso Ostiglia è a Quinto di Treviso, all’incrocio tra strada dell’aeroporto e strada Boiago. Dopo due chilometri appare sulla sinistra un edificio in buono stato di conservazione: si tratta della vecchia stazione di Quinto. Nei pressi del terzo chilometro è necessario scendere dalla bici per attraversare via San Cassiano, imboccare via Baracca percorrendola per circa cento metri prima di immettersi nuovamente sulla ciclopedonale. Dopo circa cinque chilometri dalla partenza, in prossimità della chiesa di Santa Cristina, il cui campanile compare tra le fronde guardando verso destra, l’Ostiglia lambisce uno dei luoghi più belli del suo percorso, l’Oasi di Santa Cristina o di Cervara, zona umida di riconosciuto interesse paesaggistico ed ambientale, la cui imminenza è annunciata dal bel ponte Bailey a doppia parete, denominato Ponte Cervara, sotto al quale scorre placido il Sile. Con una breve deviazione dal percorso è possibile raggiungere l’oasi. Essa presenta diversi ambienti: la palude con i suoi canali e le piante acquatiche; i prati verdi e morbidi e numerose formazioni di bosco ripariale con la vegetazione tipica di ambienti ricchi di acque. L’osservatore preparato potrà scoprirne la ricchezza in termini di biodiversità, con le numerose piante selvatiche presenti solo in questa e simili aree grazie alla temperatura costante dell’acqua; il visitatore curioso potrà immergersi in un ambiente ricco di acque limpide e di piante lussureggianti, gustare nel silenzio
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Rientrati sull’Ostiglia, si entra quasi subito in territorio padovano, annunciato dal fondo del percorso che da qui in poi è in asfalto e dalla vecchia stazione Badoere-Levada che compare alla nostra destra in discreto stato di conservazione. Poco più avanti, non lontano dall’area attrezzata che si incontra sulla destra, lasciando il sedime della ferrovia, è possibile raggiungere la località Levada di Piombino Dese, dove si incontra uno splendido esempio di villa veneta: villa Maruzzi Marcello, comunemente chiamata Ca’ Marcello, la cui facciata è visibile dal percorso. La residenza, ancora abitata dai conti Marcello, fu costruita nel XVI secolo, modificata e decorata nel XVIII. La possiamo dunque ammirare nel suo aspetto settecentesco, quando da dimora per il controllo delle attività agrarie fu trasformata in villa per il soggiorno estivo e per lo svago. La villa è immersa in un parco informale (o all’inglese) di circa 9 ettari, in cui, tra piante secolari e non, sbucano statue e strutture funzionali, come la torre colombaia, la peschiera e una piccola fattoria. L’ingresso avviene dal lato del giardino all’italiana, affiancato dalle due barchesse perpendicolari all’elegante corpo padronale. L’interno della residenza, che merita senz’altro una visita, rivela il classico impianto con il salone centrale, le stanze laterali e la scala che porta al piano nobile. I proprietari chiamarono diversi artisti a decorare il primo piano: intorno al 1752, Giovanni 57
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di una vita passata lungo il fiume e insieme con esso in una confidenza di rapporti che sembra lontana secoli e fu invece realtà vissuta sino agli anni Cinquanta del XX secolo. Sono i segni di una storia fatta di un fortissimo legame con l’acqua del fiume, con un fiume che è ‘dono’ perché dà vita e benessere. Ritornando sulla Treviso-Ostiglia e proseguendo la nostra pedalata in direzione ovest, dopo circa otto chilometri dalla partenza, un bel ponte con le pareti in muratura, restaurato nel 2008, scavalca lo Zero che scorre in mezzo alla campagna disegnando col suo corso sinuoso un’elegante serpentina. Poco dopo, giunti nei pressi del nono chilometro, è necessario scendere dalla bici per attraversare la provinciale che conduce a Badoere. Una deviazione è consigliata per ammirare la celebre Rotonda di Badoere, dove ogni terza domenica del mese si svolge un colorato mercatino dell’antiquariato. La Rotonda è una delle barchesse più belle e suggestive del Veneto. L’impianto semicircolare offre infatti uno splendido effetto scenografico che non può lasciare indifferente il visitatore. La struttura è composta da un lungo porticato formato da quarantuno arcate ispirate ad un elegante classicismo. Venne fatta edificare dalla famiglia nobile veneziana dei Badoer alla fine del Seicento per fornire un luogo adatto all’importante attività del mercato del luogo, autorizzato già nel 1689. Sulla piazza si affacciano un palazzo dominicale e la chiesa.
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vescovo di Treviso. L’edificio sacro fu più volte ricostruito, certamente nei secoli XIV e XV, sino a quello attuale. Entrati in questa grande chiesa a tre navate, divise da archi a sesto acuto retti da colonne, l’attenzione viene attirata da una pala d’altare, il Polittico di San Sebastiano, con la sua cornice originale in legno dorato: caso piuttosto raro. Il dipinto centrale raffigura Cristo con i santi Sebastiano, Rocco, Cosma, Barnaba, Antonio abate e Damiano, accompagnati da angeli musicanti; nella fascia superiore sono tre riquadri: san Girolamo e san Cristoforo; il Compianto sul Cristo morto; san Nicola di Bari e sant’Antonio di Padova. Sulla cimasa, sopra tutti, un ieratico, stranamente calvo Dio Padre ci benedice con una mano e nell’altra tiene il globo: è Lui il Creatore e il dominatore del mondo. Questo straordinario polittico fu realizzato, per la parte pittorica, da Andrea da Murano tra il 1500 e il 1502, da suo fratello Girolamo la carpenteria. Altra pala d’altare di un notevole interesse, nell’abside del transetto destro, è la Natività di Maria (1598 circa) di Jacopo Palma il Giovane, in cui emergono i richiami allo studio della luce di Tintoretto. Anche questo dipinto conserva una cornice imponente: una straordinaria opera di falegnameria paragonabile ad un’architettura. Ritornando sull’Ostiglia oltrepassiamo il Dese su un ponte in muratura. Lo sguardo è attirato dal corso serpeggiante del fiume e non è facile resistere 59
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Battista Crosato affrescò con la sua vena narrativa e attenta al dettaglio popolare, a volte dissacrante, le pareti del salone con Storie di Alessandro Magno (Alessandro davanti al cadavere di Dario, le Nozze di Alessandro con Rossane, Alessandro e la famiglia di Dario e Apelle ritrae Campaspe) e il soffitto con le Divinità dell’Olimpo o Apoteosi della famiglia Maruzzi. Il pittore, specialista di paesaggi, Giuseppe Zais fornì i cartoni per gli ovali in stucco della stanza “dello Specchio”; una squadra di stuccatori realizzò le decorazioni delle stanze, comprese le cornici per gli affreschi del Crosato, lasciando un saggio superbo di una decorazione fresca ed elegantissima. Inoltre la villa ha un valore aggiunto quasi unico: non è un bellissimo monumento vuoto e privo di vita, un ricordo splendido del passato, ma è tuttora una abitazione vera con i mobili utilizzati, con i mille deliziosi oggetti quotidiani e le foto di famiglia da cui sorridono eleganti dame e ci guardano austeri signori. Un arredamento che trasmette la sensazione di una villa profondamente amata dai proprietari residenti. La visita è possibile per gruppi di minimo 20 persone, su prenotazione. Il parco è visitabile da aprile ad ottobre, tutti i giorni (escluso il sabato) dalle 9.30 alle 19.30. Rientrati sulla ciclopedonale si percorre un altro chilometro verso ovest prima di intravvedere sulla sinistra, vicinissima al percorso, la chiesa di Silvelle, uscendo in prossimità della quale e compiendo una deviazione un po’ più ampia, è possibile dirigersi a sud dell’ex linea ferroviaria, alla volta di Trebaseleghe. Qui, nella grande, moderna chiesa parrocchiale di Santa Maria, costruita all’inizio del XX secolo (eretta tra il 1913 ed il 1966) in forme neogotiche, si nascondono alcune preziose memorie delle costruzioni precedenti. Una chiesa a Trebaseleghe viene citata in una bolla papale del 1152 tra le pertinenze del
Rientrati sull’Ostiglia e giunti quindi a Piombino Dese in quello che è ormai il centro del paese, quasi incastrata tra le case, incontriamo Villa CornaroGable progettata nel 1551 da Andrea Palladio per Giorgio Cornaro. La costruzione fu piuttosto rapida: il Cornaro potè abitarvi già nel 1554. Questa è l’unica villa palladiana di campagna a presentare soluzioni usate di solito nei palazzi di città. Le facciate del corpo centrale hanno due logge sovrapposte a sei colonne, ioniche al piano inferiore e corinzie al superiore, queste ultime più sottili per aumentare l’impressione di slancio verticale. 60
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alla tentazione di percorrere a piedi un tratto degli argini che conducono in mezzo alla campagna silenziosa. Rientrati sulla ciclopedonale proseguiamo in direzione Piombino Dese, che raggiungiamo dopo aver attraversato il cavalcaferrovia sopra alla linea CastelfrancoVenezia in prossimità del quale è necessario scendere dalla bici per l’intersezione di una strada d’accesso ad abitazioni private. Vale la pena deviare a destra per ammirare dal basso la massicciata che in questo punto presenta diversi ponti in muratura dall’architettura ardita, perfettamente conservata. Poco oltre, dove l’Ostiglia interseca la statale 245, imboccando sulla destra Corso Stevanato si può raggiungere l’Oasi Cornara, zona umida molto interessante.
La chiusura è affidata ad un timpano triangolare con un piccolo oculo rotondo e stella inscritta. Addossate al corpo quadrato centrale sono due brevi ali, che presentano una struttura più compatta. L’interno ha la pianta impostata su salone centrale e stanzette laterali. Il salone quadrato del piano inferiore, dominato da quattro eleganti colonne, presenta sei nicchie in cui nel 1590 furono collocate le statue a grandezza naturale di antenati illustri della famiglia Cornaro scolpite da Camillo Mariani. Si tratta del doge Marco Corner (1281 circa-1368), il duca di Candia Zorzi Corner il Vecchio (1368 circa-1433), la regina di Cipro Caterina Corner (1454-1510), il Cavaliere e Procuratore Zorzi Corner (1454-1527), il senatore Girolamo Corner (1485 circa-1551) e Zorzon Corner (1517-1571). La ‘galleria degli antenati’ non è tanto una esaltazione delle virtù del singolo e della famiglia – che il sospettoso governo della Serenissima non avrebbe accettato – quanto piuttosto la celebrazione del valore di uomini che furono al servizio dello stato. La decorazione ad affresco, che incanta con le sue tinte tenui 61
tracciato della ferrovia per raggiungere la chiesa parrocchiale (1625-1777) e le ville Wollemborg e Rana (vedi Itinerario 1) oppure rientrare sull’Ostiglia proprio in prossimità della vecchia stazione di Loreggia, che compare in buono stato di conservazione sulla destra. Proseguendo in direzione di Camposampiero, subito dopo aver scavalcato la vecchia statale del Santo su un ponte Bailey si incrocia il percorso Muson dei Sassi, in prossimità del punto di ristoro di fronte al quale è installata la segnaletica in legno con le distanze chilometriche da Vicenza, Asolo, Treviso, Padova lungo piste ciclopedonali: essa ci dimostra come questo punto costituisca un incrocio di grande importanza per la viabilità verde del Veneto. Qui giunti è necessario scendere dalla massicciata, costeggiarla per un breve tratto (nel quale è visibile e segnalata sulla sinistra una cavità causata da uno dei numerosi bombardamenti alleati) e quindi risalire quasi in prossimità del ponte sotto al quale scorre il Muson Vecchio, detto “Ponte del fascio”, perché un fascio littorio in pietra è ancora visibile sulla parte esterna dell’arcata che guarda verso nord.
Rientrati sulla via verde, dopo la stazione di Ronchi, a circa diciannove chilometri dalla partenza a Quinto, un ponte Bailey scavalca il Marzenego e anche qui è difficile resistere alla tentazione di percorrere un tratto degli argini a piedi. Giunti a Loreggia, è necessario scendere dalla bici per attraversare via Tolomei subito dopo essere passati sotto al cavalcavia della Regionale 308. Da qui si può lasciare il 62
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ed armoniose e con gli ampi paesaggi in cui si individuano vivaci figurine allungate, risale al 1716-1718. È opera di Mattia Bortoloni, pittore in bilico tra il tardo-manierismo e il rococò, che qui realizzò la sua prima opera di ampio respiro. I dipinti, entro eleganti cornici in stucco, raffigurano episodi biblici. Al primo piano, visitabile, sono rappresentate scene tratte dall’Antico Testamento: storie di Noè nella camera lunga ovest; la costruzione della Torre di Babele e storie di Abramo e Isacco nella sala quadrata ovest; vicende di Isacco, Giacobbe ed Esaù nel camerino ovest; storie di Mosè nella stanza quadrata e nel camerino est; vicende di Davide e dell’edificazione del Tempio di Salomone nella camera lunga est. Il tema non è certo nuovo: i racconti biblici avevano ricoperto per secoli le pareti di chiese grandi e piccole; le vicende erano note anche a un pubblico non necessariamente colto; ma rappresentarle nel XVIII secolo significa affermare un legame con una tradizione millenaria e riproporre alla discussione argomenti antichi in una prospettiva moderna. La villa è visitabile il sabato dalle 15.30 alle 18.00, dal 1 maggio al 30 settembre.
Entrati in territorio di Camposampiero, l’Ostiglia affianca i Santuari Antoniani (vedi Itinerario 1), nei cui pressi si trova un’area di sosta attrezzata. Proprio di fronte al Santuario della Visione, si imbocca il sottopasso ciclopedonale che consente di attraversare i binari della ferrovia indirizzando sul sentiero che conduce nuovamente sul sedime della Treviso-Ostiglia. A quel punto si può proseguire in direzione di Santa Giustina in Colle, il cui centro si raggiunge deviando a destra dall’Ostiglia e percorrendo per poche centinaia di metri il marciapiedi che costeggia la strada provinciale 39. Qui troviamo la chiesa parrocchiale, consacrata all’inizio del ‘900. Essa sorge sull’area precedentemente occupata dalla fatiscente chiesa originaria. Le informazioni riguardanti quest’ultima sono poche e frammentarie. L’edificio è in stile “falso neoclassico”. L’interno, illuminato da ventisette finestre, è a tre navate divise da dodici colonne ed è impreziosito secondo un preciso piano iconografico di cui è autore il pittore padovano Giacomo Manzoni. 64
All’esterno meritano una sosta silenziosa le ventiquattro lapidi che ricordano l’eccidio perpetrato da truppe tedesche in ritirata che, in quel luogo, il 27 aprile del 1945 trucidarono 24 civili inermi, tra cui il parroco Don Giuseppe Lago. Poco distante dalla chiesa, si incontra l’edificio dell’antico mulino Zorzi che ha tenacemente resistito all’usura del tempo. Esso aveva tre ruote: probabilmente due “per di sotto” sul normale livello del fiume e una “per di sopra”, azionata dall’acqua che cadeva da una “rosta”. Conserva ancora al suo interno gli antichi macchinari per la macinatura: intatti, complessi, ora immobili e silenti, parlano di un mondo di lavoro faticoso e di generose relazioni umane, di sacrifici e speranza. Nella frazione di Fratte, che dista circa tre chilometri, la chiesa parrocchiale, riconoscibile per la caratteristica, bella cupola, era anticamente dedicata a San Giacomo di Paluello: il titolo alludeva alle acque che in zona scaturivano abbondanti dalle polle risorgive. La chiesa attuale, dedicata ai santi Giacomo e Sebastiano, fu eretta negli anni venti del Novecento. Presenta un’agile copertura a cupola in armonia con il campanile settecentesco. All’interno bel soffitto a cassettoni, una pala seicentesca raffigurante i santi Valentino ed Antonio, una pala settecentesca con i santi titolari. Ritornando sull’Ostiglia e proseguendo verso ovest, il tracciato dell’ex ferrovia tocca la località Ceccarello, in comune di Santa Giustina in Colle, dove a Natale viene allestito un bel presepe. Si prosegue quindi verso Arsego, 65
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Giunti a questo ponte, vale la pena uscire dall’Ostiglia per fare una deviazione sull’argine sinistro del Muson Vecchio e percorrerlo, con la bici a mano, in direzione nord. Il tratto percorribile è purtroppo breve in quanto, giunti ai binari della Castelfranco – Padova, non è possibile proseguire oltre. Tuttavia, il pur breve tratto percorso darà l’idea di quali straordinarie potenzialità paesaggistiche potrà avere una ciclabile sul Muson Vecchio, una volta realizzata. È molto probabile che in quelle poche centinaia di metri, dove il fiume si nasconde tra le fronde, vi imbatterete in aironi cinerini, garzette, e altri uccelli, mentre guardandovi intorno vi stupirete di vedere solo campagna e la punta di un campanile, lontano, sopra l’argine del fiume.
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Rientrando sull’Ostiglia e proseguendo verso ovest, incrociamo via Cocche; qui incontriamo il piccolo oratorio di S. Maria della Mercede. Lungo il percorso ciclopedonale possiamo sostare sulle panchine messe a disposizione dal comitato di zona e nell’area attrezzata nei pressi della vecchia stazione. Gli abitanti del borgo eressero la chiesetta nel 1837 come segno di gratitudine alla Vergine per aver salvato la contrada da un’epidemia di colera. Questa cappella è ancora molto cara agli 67
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frazione di San Giorgio delle Pertiche, il cui avvicinarsi, guardando verso sud ovest è annunciato dalla chiesa e dal campanile, dietro al quale, nelle giornate limpide, compaiono i profili dei Colli Euganei. Arsego è nota per la sua importante e storica esposizione agricola e zootecnica, la Fiera di Arsego, che si svolge ogni anno intorno alla metà di ottobre. Fu autorizzata nel 1747 dal doge Pietro Grimani come fiera agricola del bestiame. Nel corso dei secoli si è trasformata, aprendosi ad altri settori commerciali-merceologici, diventando una delle principali manifestazioni del Veneto. La Parrocchiale dei Santi Martino e Lamberto risale all’inizio del XVIII secolo ed è stata ampliata alla fine del XIX secolo. L’esistenza di una chiesa, però, è attestata già nel 1161: questo indica l’antichità della presenza di una comunità cristiana. L’elegante aspetto settecentesco è stato riportato alla luce grazie ad una notevole campagna di restauro nel 1990-1992. La facciata presenta un semplice portale incorniciato da una lieve modanatura in pietra; nella parte alta il finestrone a lunetta è sottolineato allo stesso modo; al di sopra, una cornice marcapiano evidenzia l’iscrizione dedicatoria e il timpano. Affascinante è il ritmo, percepile dall’esterno, delle cappelle create ai lati della navata. All’interno, in cui gli archi di ingresso alle cappelle si alternano a leggere lesene, è conservata una tela secentesca, entro una ricca cornice barocca, raffigurante i due santi titolari della chiesa: san Lamberto, in abiti da vescovo, sta
per subire il martirio, mentre san Martino sta tagliando il suo mantello per donarne una parte al povero. Ma ciò che affascina maggiormente il visitatore è il carattere omogeneo degli altari, tutti settecenteschi. Altra deviazione merita Villa PugnalinValsecchi-CarnaroliMella, in via Signoria. Si tratta di un edificio settecentesco, privato. Oltre all’abitazione padronale, il complesso comprende un piccolo oratorio e strutture per la funzione agricola. Sulla strada si affaccia un fianco. La facciata principale è rivolta, invece, verso il giardino, in parte all’inglese. La corte della villa è stata la prima sede della fiera di Arsego, voluta dalla famiglia Soranzo, che fin dal XVII secolo aveva estese proprietà nella zona. Durante la prima guerra mondiale, dal 1915 fino al termine del conflitto, venne utilizzata come ospedale militare nel quale sostarono più di ventimila soldati feriti o convalescenti.
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caratterizza ancora oggi. A metà del XIX secolo, la proprietà venne acquistata dai Camerini, che la restaurarono e la mantennero sino al 1950. Nel 1986 diventò sede della Fondazione Ghirardi. L’edificio centrale presenta tre piani: a quello inferiore, accanto al portale centrale si aprono due brevi logge a serliana (sistema di aperture che prevede un arco tra due finestre architravate, in genere più basse) al centro delle quali sono collocate statue di divinità femminili; i piani superiori hanno una serliana al centro. Dal corpo centrale si staccano le due ali, lunghe ognuna 62 m, ornate da imponenti telamoni. L’interno della “reggia” è un inno alla musica e al teatro. Varcato l’ingresso, ci si trova nel Salone delle audizioni, sviluppato su due piani, che presenta un’apertura ottagonale sul soffitto. Al terzo piano si trova la Sala della chitarra rovesciata dal soffitto di legno dotato di lunghe scanalature, a forma di cassa armonica, in modo da favorire l’acustica. Superato il salone, l’occhio corre all’infilata delle sale. Tutte sono affrescate, alcune nel XVII secolo e altre nel XIX, in alcune i soggetti sono biblici, in altre mitologici, in altre ancora sono rappresentate scene di caccia o di giochi. Al pianterreno si trova la Galleria delle conchiglie: era nata come ingresso e deposito per le carrozze. Il pavimento e le decorazioni alle pareti sono realizzati con conchiglie e ciottoli del Brenta, quasi a simboleggiare l’unione tra civiltà marinara e agreste. Interessante per il visitatore appassionato di antiquariato, il Mercatino di antiquariato oggettistica e robevecchie che si tiene ogni ultima domenica del mese, nella piazza della villa, nelle vie circostanti e all’interno dell’ex Jutificio Camerini. Si tratta di uno dei più grandi mercatini di questo genere della regione, con centinaia di bancarelle, interessante anche per la suggestiva scenografia. L’ultimo tratto della Treviso-Ostiglia si sviluppa in comune di Piazzola sul Brenta e Campodoro, fino ad arrivare al confine con la provincia di Vicenza, dove, al momento, termina la pista ciclabile. 69
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abitanti di Arsego, che vi celebrano ogni anno la sagra della Madonna della Mercede, qui si viene a pregare, qui si portano i fiori a rendere più lieto l’altare. La piccola chiesa si presenta con una facciata scandita da quattro lesene su cui si imposta il fregio, sopra il quale si nota il timpano ornato di lievissimi stucchi. I fianchi hanno solamente tre finestrelle a spezzare la monotonia del disadorno assetto murario. Proseguendo nel nostro tragitto lungo l’Ostiglia si lambisce Curtarolo e, dopo essere passati sotto al cavalcavia della Valsugana, si giunge infine al fiume Brenta che attraversiamo in sicurezza sul ponte in territorio di Campo San Martino. Da qui è possibile proseguire in direzione Grisignano di Zocco, punto d’arrivo del tratto completato dell’Ostiglia, oppure congiungersi con l’Itinerario del Brenta, seguendo l’apposita segnaletica. Siamo giunti quasi al termine della nostra pedalata lungo l’Ostiglia ed abbiamo percorso da Quinto di Treviso, punto di partenza, poco più di quaranta chilometri (senza contare le deviazioni); ma la nostra escursione merita almeno un’altra deviazione per visitare, a Piazzola sul Brenta, la grandissima Villa Contarini, dal 2005 proprietà della Regione Veneto. Il monumentale edificio sorse nel 1546 circa come villa palladiana, sui resti del castello carrarese di Piazzola, di cui i Contarini erano entrati in possesso per via matrimoniale. Nel 1675 Marco Contarini, Procuratore di San Marco, la trasformò in sede di svago, donandole il fastoso aspetto barocco che la
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Il Percorso Tergola s’innesta nel sistema ciclabile dell’alta padovana, in particolare con il grande anello fluviale ciclabile attorno a Padova. Si collega direttamente con il “Cammino di Sant’Antonio”, lungo il Muson dei Sassi, e con l’argine sinistro del Brenta. Lungo il corso del Tergola sopravvivono preziose testimonianze storico artistiche: in particolare le numerose chiesette millenarie, sopravvissute all’ingiuria del tempo.
Percorso Tergola
Lungo gli argini del fiume: un itinerario tra storia e fantasia
Percorso Tergola
Itinerario
Il Tergola è un fiume di risorgiva che nasce nei pressi di Cittadella e viene alimentato dalle polle della Palude di Onara. Il suo andamento in diagonale e molto sinuoso condizionò il lavoro degli agrimensori romani. Questo corso d’acqua, avendo una portata piuttosto regolare, si rivelò assai adatto alla nascita di mulini lungo il suo percorso, tanto da essere popolarmente definito in un eccesso di stima della realtà “fiume dai cento mulini”; ma era anche navigabile e le esigenze opposte di barcaioli e mugnai provocarono spesso dissidi tra le due categorie, costrette a dividersi il dominio sull’acqua. I suoi argini, nel tratto iniziale dalle sorgenti a San Giorgio delle Pertiche, non sono ancora attrezzati ma consentono ugualmente delle brevi escursioni in mezzo alla natura, a piedi o con la bici a mano. Il tratto tra Torre di Burri e Vigonza è invece un affascinante percorso ciclopedonale, caratterizzato dagli argini mantenuti col manto erboso, che può diventare ad anello, uscendo su strade secondarie. Il Percorso Tergola s’innesta infatti nel sistema ciclabile dell’alta padovana, in particolare con il grande anello fluviale ciclabile attorno a Padova. Si collega direttamente con il “Cammino di Sant’Antonio”, lungo il Muson dei Sassi, e con l’argine sinistro del Brenta. Lungo il corso del Tergola sopravvivono preziose testimonianze storico artistiche: in particolare le numerose chiesette millenarie, sopravvissute all’ingiuria del tempo. Ad Onara, frazione del Comune di Tombolo, esiste un’affascinante zona naturale: il Parco della palude di Onara. 71
Lunghezza 12 Km
da Torre di Burri (San Giorgio delle Pertiche) a Peraga
Z 50 min. X 3 ore 72
Quest’area protetta si trova nella zona delle risorgive e le polle presenti nei circa 30 ettari di palude alimentano il fiume Tergola, che nasce poco più a monte. L’acqua che emerge dal sottosuolo, ad una temperatura costante di 14o centigradi, permette la sopravvivenza di piante abituate a climi di alta montagna. Il parco presenta una discreta varietà di presenze vegetali, tra piante acquatiche e di riva, oltre a piccole zone boschive. In questo contesto protetto è conservata un’importante testimonianza storica: la piccola chiesa di S. Margherita, ultimo e unico edificio rimasto dell’antico castello dei Da Romano, una delle famiglie di feudatari più potenti della Marca tra XI e XIII secolo. Il centro del potere dei Da Onara, divenuti in seguito Da Romano, fu un castello ai margini della palude su un dosso naturalmente difeso dall’acqua abbondante. Dell’edificio, simbolo di un potere temuto, non rimase neppure una pietra; ma l’edificio sacro, luogo della fede, che sorgeva nei pressi del castello fu preservato dalla distruzione e continuò a essere frequentato. La chiesa mostra una muratura fatta con materiali romani di recupero e fasce di ciottoli del fiume Brenta, ben distinguibile dalla parte innalzata nel corso del XIX secolo quando la chiesetta fu ampliata e “girata” in modo da avere l’abside a ovest anziché a est. Rimangono all’interno sulla controfacciata che un tempo costituiva la zona absidale alcuni affreschi:
Percorso Tergola
La “Terza Via”
N
Legenda
Area di sosta Accesso Area di sosta attrezzata Punto di interesse Parco Stazione ferroviaria IAT – Punto di Informazione e Accoglienza Percorso Treviso—Ostiglia Percorso Muson Percorso Tergola 73 Percorso Tergola – in fase di realizzazione Tragitto per raggiungere i percorsi
Poco prima di Villa del Conte, dalla sponda destra del fiume si stacca il canale Piovego che affluisce poi nel Brenta. In prossimità del centro urbano si scorgono l’abside e il campanile della chiesa parrocchiale. La prima pietra dell’attuale chiesa dei Ss. Giuliana e Giuseppe fu posata l’8 marzo 1740. L’edificio di culto subì in seguito restauri e rifacimenti: in particolare al periodo 1910-13 risale l’ampliamento dell’aula. La chiesa si presenta ai nostri occhi con la sua ornatissima facciata settecentesca: su un alto basamento si impostano quattro colonne che reggono l’alto fregio; si aprono il finestrone centrale curvilineo e gli oculi laterali circolari; in alto sopra il grande timpano si stagliano sul cielo eleganti statue di angeli e santi dalle vesti mosse e dalle ali leggere. Altre statue impreziosiscono la facciata: sono collocate nelle nicchie laterali e sopra il portale a costituire un piccolo pantheon paesano. L’interno è ad unica navata, con profonde cappelle laterali, in cui sono collocati preziosi altari in pietre dure sormontati da tele risalenti ai secoli XVI-XVIII. Le tele alle pareti del presbiterio risalgono alla prima metà del XX secolo: rappresentano Il martirio di S. Giuliana e il Transito di S. Giuseppe e costituiscono con le scene mariane del transetto un povero lacerto di un grande ciclo realizzato nel 1900 da Giacomo Manzoni. Sempre a Villa del Conte merita di essere menzionata Villa Tomasini-Zara-Todesco. La costruzione nacque come casa dominicale, probabilmente nel secolo XVII. Lo denuncia l’aspetto della parte più antica, 74
quella colonica, con l’ampio cortile, un tempo aia, e la barchessa dotata di grandi arconi a tutto sesto adatti al passaggio di carri, intervallati da alte lesene appena appena emergenti dalla parete. L’edificio di residenza è una struttura a base rettangolare, costruito intorno alla metà del secolo XIX dalla ricca famiglia Zara, proprietaria di molti campi e della villa dal 1768 al Novecento. La villa, col grande salone col pavimento alla veneziana e le pareti affrescate con motivi classicheggianti di rovine e palazzi antichi, è tuttora residenza privata. Merita senz’altro una deviazione rispetto ai luoghi attraversati dal percorso del Tergola la visita al non lontano Oratorio di San Massimo. Esso sorge a Borghetto, tra il corso del Muson Vecchio e quello del Tergola, in una zona di risorgive al confine tra i comuni di San Martino di Lupari, Villa del Conte e Santa Giustina in Colle. La chiesetta è un tesoro misconosciuto dell’arte padovana, di fronte al quale il visitatore rimane quasi stupito per la spoglia ma nitida bellezza, testimonianza ed eredità di una storia millenaria. L’edificio compare per la prima volta nel documento di donazione del 29 aprile 1085; sicuramente rimaneggiato nel corso dei secoli, conserva una sobria eleganza cui contribuiscono le pietre nude di un caldo colore brunito e la struttura semplice a T caratterizzata dall’unica aula rettangolare monoabsidata semicircolare. Il ritrovamento di reperti artistici di età longobarda sposta 75
Percorso Tergola
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sono forse opera di uno dei pittori girovaghi che giravano per le campagne sperando in qualche commissione che permettesse di sopravvivere; non erano grandi e talvolta neppure aggiornati, ma esprimevano in modo toccante la semplice fede degli abitanti del borgo.
Riavvicinandosi al corso del Tergola, in prossimità di Santa Giustina in Colle, in località Tremarende, si incontra la piccola costruzione di un antico mulino. Il fiume prosegue quindi la sua corsa verso San Giorgio delle Pertiche, dove le sue acque scompaiono incanalate sotto la piazza del paese per ricomparire poche centinaia di metri più in là. Giunti a San Giorgio delle Pertiche lo sguardo è subito catturato dalla Torre Campanaria che ci invita ad ammirarla più da vicino con la forza della sua struttura. Il campanile della chiesa parrocchiale di San Giorgio, infatti, è una possente torre medievale a base quadrata (6 metri per lato, 38 76
metri di altezza), risalente all’XI secolo: è l’unica superstite delle torri del castello del vescovo di Padova, alla cui difesa contribuivano proprio le acque del Tergola. La torre in mattoni presenta poche aperture, tutte collocate nelle fasce più alte della costruzione, indice della sua antica funzione difensiva. La chiesa parrocchiale è di origine antica, ma poco rimane dell’aspetto originario. Oggi la vediamo nelle sue forme risalenti ai secoli XIX – XX, poiché la pieve subì molte modifiche nel corso dei secoli. La larga e compatta facciata a tre portali, che segnala quello centrale con due coppie di semicolonne su alti basamenti, denuncia la pianta a tre navate. La centrale, più elevata delle laterali, è conclusa da un timpano posato su una semplice trabeazione. All’interno conserva interessanti opere: quattro tele che raccontano episodi della vita di san Girolamo, attribuite a Jacopo Palma il Giovane, pittore - imprenditore a capo di una bottega molto produttiva e datate agli anni ottanta del XVI secolo. Queste opere descrivono episodi salienti della vita del santo cardinale, ritiratosi nel deserto come eremita: la sua partenza per la Terra Santa, mentre guarisce un leone, mentre viene onorato da mercanti e il suo trapasso. In località Torre di Burri, a valle del punto in cui il Muson dei Sassi si immette nel Vandura, sotto al quale passa il Tergola attraverso quella incredibile opera di ingegneria idraulica che è la “botte” del XII secolo, si nota una villa affiancata da una piccola chiesa. Si tratta di villa Prevedello. Il complesso fu costruito dalla Curia di Padova come residenza estiva per il vescovo e altri sacerdoti, nella seconda metà del XVIII secolo. Dal 1928 è abitazione privata. 77
Percorso Tergola
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indietro nel tempo, ai secoli VII-VIII, l’origine di un centro di culto in quel luogo: si tratta della sagoma di un orante in pietra tenera incisa con la tecnica del graffito e di un agnello crocifero che probabilmente conteneva delle reliquie. L’austera facciata, su cui è presente lo stemma di Giuseppe Alessandro Furietti, penultimo abate della vicina abbazia di S. Eufemia (oggi Abbazia Pisani), è ricoperta da intonaci e presenta un portale archivoltato ed una cornice che forma una sorta di timpano. Sul lato sud-est dell’abside sorge il campanile del XV secolo con cella campanaria su cui si apre su ogni lato una finestra ad arco. L’interno, visitabile preferibilmente con il custode, funge anche da piccolo museo di reperti lapidei. Durante il restauro, iniziato nel 1972, in prossimità del catino dell’abside fu trovato un affresco, al centro del quale, una volta completata la ripulitura, è comparsa la figura di un ieratico vegliardo affiancato da due personaggi che potrebbero essere santi oppure i committenti. Dal 1985 opera il Comitato per la Tutela e Salvaguardia della chiesa di S. Massimo, a testimonianza di quanto il prezioso oratorio appartenga all’identità culturale del territorio.
Da Torre di Burri, si prosegue un centinaio di metri lungo la SR 307 (ex Statale del Santo), attraversata la quale si imbocca a sinistra via Pontecanale e si seguono le indicazioni del Percorso Tergola: proprio da qui inizia infatti il tragitto attrezzato e percorribile sull’argine del fiume. In poco più di 1 km si arriva davanti alla piccola chiesa di S. Maria in Campanigalli o Panigale, in territorio di Campodarsego. Risalente all’VIII - IX secolo, questo antico e prezioso edificio è noto anche come “chiesa degli alpini”, perché intorno al 1980 l’associazione degli alpini di Campodarsego si prodigò per il suo restauro. Osservandola, è possibile scorgere sulla muratura, alcuni mattoni con timbri di fabbrica: si tratta di mattoni di epoca romana, prodotti in fornaci dell’agro centuriato e qui riutilizzati, secondo la 78
consuetudine a riusare tutto ciò che era recuperabile. Girando attorno alla chiesetta si può notare anche una pietra rotonda: è una formella di trachite; si potrà notare anche un’altra singolare ed antica tecnica costruttiva: alcuni mattoni sono posti “a spina di pesce”. Vicino alla chiesetta, si trova l’ingresso ad un singolare percorso “Arte e natura”, Tergolandia: per un chilometro circa, in un prato alberato, si incontrano strane creature realizzate con materiali di recupero, per lo più naturali. Sono sculture di artisti e artigiani residenti nel Padovano, raggruppate in sei luoghi: “I colori”, “Madre Natura”, “Il paese dei cappelli a punta”, “I giganti”, “I guardiani” e “Gli spiriti della natura”. Rappresentano un’immersione nel mondo dell’infanzia, ad un periodo della vita in cui si credeva alle fiabe e all’esistenza di creature magiche, di alberi, funghi e animali parlanti. Per tornare sul percorso Tergola conviene puntare la vicina chiesa di Bronzola, davanti alla facciata della quale si svolta a sinistra e si percorrono circa duecento metri. Giunti alla rotonda, si imbocca via Due Capitelli; una volta oltrepassato il cavalcavia sulla SR 308 si ritrovano le tabelle e si può proseguire sugli argini del Tergola, raggiungendo in breve Sant’Andrea di 79
Percorso Tergola
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La casa di villeggiatura, due piani e sottotetto, presenta facciate semplici dalla perfetta simmetria, con una lieve incorniciatura alle finestre ed una linea marcapiano ad individuare i vari livelli. La facciata rivolta verso l’acqua, presenta il pianterreno ornato da un leggerissimo bugnato, mentre al piano nobile si spalanca una portafinestra ad arco e la parte alta è conclusa da un timpano triangolare. A fianco, si trova la piccola chiesa di S. Maria Maddalena: un tempo costituiva l’oratorio della villa aperto alla comunità. Era infatti costume dei patrizi veneziani e dei proprietari padovani erigere un oratorio accanto alla villa, che veniva aperto anche alla devozione e alla preghiera dei fittavoli: i proprietari erano infatti consapevoli che la cura dell’anima dei lavoranti e l’avere un luogo in cui pregare contro le avversità climatiche e contro le epidemie erano aspetti importanti nel mondo rurale. La facciata dell’oratorio è lineare, salvo due lesene ai lati e il portaletto sormontato da un timpano aggettante. Alzando lo sguardo, questo viene fermato dalla cornice del fregio, sul quale si imposta la base del timpano dotato di piccolo rosone.
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piani e questi dal frontone. Il semplice portale, ai cui lati si notano due lesene, è sormontato da un grande timpano. La chiesa sorge all’incrocio tra un cardo e un decumano dell’antico agro centuriato e nel punto in cui il fiume Tergola si biforca: probabilmente lì vicino sorgeva il castello Dalesmanini. Era un punto strategico: con due lati già protetti dalle acque del fiume sarebbe stato facile difendere la parte lasciata “scoperta”. Il Percorso Tergola lambisce anche Fiumicello di Campodarsego, il borgo natio del beato Giacinto Longhin (1863-1936), un frate cappuccino (fra Andrea da Campodarsego) che fu vescovo di Treviso dal 1904 sino alla morte, avvenuta nell’agosto del 1936. Il beato è ricordato da un monumento bronzeo posto di fronte alla chiesa parrocchiale ed eretto nel 1961. Il vescovo fu beatificato nel 2002, dopo un lungo procedimento iniziato nel 1964. Egli fu guida e riferimento per Treviso negli anni della prima guerra mondiale: la città era sulla linea del fronte, ma egli restò ed invitò i parroci a fare altrettanto, anche nei momenti più critici. Si prodigò in opere di carità nei confronti dei profughi della guerra e fu saldo reggitore della diocesi. Gli abitanti di Fiumicello manifestano un forte legame col loro beato che va soppiantando nella religiosità popolare san Nicola cui è intitolata la settecentesca chiesa parrocchiale. Lungo uno dei cardini della centuriazione romana sorge l’Oratorio di S. Giuliano, preziosa testimonianza della carità cristiana nei confronti dei pellegrini. L’oratorio era infatti annesso a un piccolo ospedale, dotato di una manciata di posti e destinato ai pellegrini che potevano sostare per pochi giorni e riprendere forza prima di intraprendere un nuovo tratto del cammino. 81
Percorso Tergola
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Campodarsego, un tempo Sant’Andrea di Codiverno. Il nome dell’antico borgo compare nella Divina Commedia: il sommo Dante cita, nel XIII canto dell’Inferno, Iacopo da Sant’Andrea, il figlio ed erede di Speronella Dalesmanini, potente feudataria di queste terre alla fine del XII secolo, ricordato per aver scialacquato in breve tempo il patrimonio di famiglia. In questa località, oggi frazione del Comune di Campodarsego, circondata da un ampio parco si trova la secentesca Villa Dalesmanini-Da Rio. L’accesso è annunciato da una cancellata affacciata su un viale di pioppi. L’edificio padronale presenta le facciate maggiori dalla perfetta simmetria: al centro, il portale ad arco, in linea con il quale si imposta la serliana del salone, e a chiusura a dare risalto, la parte sopraelevata, conclusa dal timpano raccordato ai tetti attraverso grandi volute; ai lati della sezione centrale, le finestre in linea, a distanze regolari conferiscono un tono assai elegante all’edificio. La villa è bella e imponente; diventa ancor più affascinante se si riesce a percepire quello che suggeriscono le vecchie pietre. Parlano di un castello situato a un tiro di freccia dalla chiesa; raccontano di una fortificazione protetta dall’acqua e dai molti uomini armati di quella donna che ebbe in eredità e portò orgogliosamente “il Gonfalone” che faceva di lei la prima tra i grandi feudatari padovani. Una breve sosta merita anche la chiesa di Sant’Andrea, costruita tra il 1898 e il 1911. L’ampia e singolare facciata presenta una netta divisione tra i tre livelli, sottolineati da poderosi cornicioni marcapiano a separare i
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Il Tergola scende in direzione S. Andrea di Campodarsego; il corso d’acqua comincia ad essere più rettilineo e i meandri si fanno più rari. Il fiume si avvicina a Pionca, frazione di Vigonza. Continuando nel loro percorso, le acque raggiungono Peraga, altra frazione di Vigonza, dove sorge Villa Bettanini con un grande parco annesso. Oltrepassata Peraga, il fiume si dirige verso la Chiusa dei Salgarelli, dove conclude il suo percorso; al di là della Chiusa, in direzione di Fiesso, ha inizio il Terraglio, che porta le acque del Tergola, assieme a quelle di alcuni scoli, verso Stra.
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Percorso Tergola
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Non lontano dal percorso Tergola incontriamo Villanova di Camposampiero. Villa Ruzzini, oggi sede municipale, fu eretta probabilmente alla fine del XVI secolo dai nobili Ruzzini in sostituzione di una più antica casa dominicale utilizzata per amministrare le vaste proprietà nell’area. La villa, a due piani più soffitte, ha la fronte rivolta verso sud, mentre sulla strada si affaccia il retro. La facciata principale presenta un avancorpo con portico al piano nobile, cui si accede da due scale aggiunte nel secolo XVIII. Varcando la soglia, ci si trova in un salone a T, adibito a sala consigliare, dalle pareti completamente affrescate. I dipinti raffigurano episodi della vita di Marco Ruzzini, comandante navale della Serenissima sconfitto durante una battaglia nel 1350 e per questo condannato alla “damnatio memoriae”. Il tema è singolare: tra XVI e XVII secolo non si poteva celebrare un personaggio, a meno che non avesse ricoperto un’alta carica della Repubblica. Il pittore, anonimo, ci restituisce drammatiche scene di scontro navale, con marinai impegnati in duri corpo a corpo a bordo delle navi, mentre molti compagni sono precipitati tra i flutti; ci porta a Venezia, attraverso le bocche di porto del Lido con le riconoscibili mura dell’Arsenale e le torri dei forti, per farci capire come la flotta malconcia sia tornata in Patria; infine, l’artista ci mostra Marco Ruzini presentare ricchi doni al doge davanti a Palazzo Ducale. Gli episodi sono inquadrati da eleganti finte architetture, secondo il modello proposto dal Veronese a Maser. Di grande interesse storico artistico è l’antica Pieve di San
Prosdocimo Oltrebrenta, oggi affiancata dalla nuova, ampia chiesa parrocchiale. La piccola chiesa, risalente all’XI secolo, fu aperta al culto sino al 1956. Nel corso dei secoli subì alcuni rifacimenti, non ultimo quello che ha spostato alcuni altari nella nuova parrocchiale. L’antica pieve romanica ha una struttura a navata unica, leggibile anche dall’esterno: la facciata presenta un unico portale, protetto da un elegante protiro retto da colonne, sormontato da un timpano. Le pareti laterali sono lisce, con finestre a lunetta che donano movimento all’insieme.
Tra storia, arte e cultura
Tra storia, arte e cultura
Il Museo della Centuriazione Romana Il Tiepolo a Villa Baglioni Periferico rispetto ai percorsi Muson, Ostiglia e Tergola, Borgoricco merita una visita soprattutto per il nuovo centro urbano caratterizzato dalla presenza di due prestigiosi edifici pubblici, il Municipio e il Centro Civico, progettati da Aldo Rossi, architetto di fama internazionale e per la presenza del Museo della Centuriazione Romana. Il complesso architettonico che ospita la sede municipale reinterpreta in chiave moderna la tipologia della villa veneta con un corpo di fabbrica centrale e due ali laterali che inquadrano la piazza, inserendosi armonicamente all’interno delle linee regolari della centuriazione romana, la suddivisione agraria realizzata nel I sec. a.C., ancora ben leggibili nella viabilità attuale, nella partizione dei campi e nel reticolo dei fossati. Il Centro Civico è situato sul medesimo asse di simmetria del Municipio ed è costituito da quattro diverse parti: l’ingressofoyer a tripla altezza, il grande teatro a pianta circolare, le sale polivalenti al piano terra e le sale che ospitano il Museo della Centuriazione Romana al primo piano.
L’esposizione si articola in un percorso scientifico cronologico e tematico che inizia con la prima frequentazione del territorio da parte dell’uomo in età preistorica, continua poi analizzando diversi argomenti legati alla suddivisione agraria di età romana e alla vita quotidiana in ambito rurale e si conclude con le testimonianze di insediamento in epoca medioevale e rinascimentale. 85
Orari di apertura Da martedì a sabato: 9.00 - 12.30 Mercoledì, venerdì e sabato: 15.00 - 18.00 Domenica e lunedì su prenotazione
Il Museo della Centuriazione, inaugurato in questa sede nel 2009, espone reperti archeologici provenienti dal territorio della centuriazione a nord-est di Padova, che risalgono prevalentemente all’età romana, ma vi sono anche reperti di età preistorica, protostorica, medioevale e moderna. L’esposizione si articola in un percorso scientifico cronologico e tematico che inizia con la prima frequentazione del territorio da parte dell’uomo in età preistorica, continua poi analizzando diversi argomenti legati alla suddivisione agraria di età romana e alla vita quotidiana in ambito rurale e si conclude con le testimonianze di insediamento in epoca medioevale e rinascimentale. L’allestimento è stato pensato in prospettiva didattica: la presentazione dei reperti è corredata da pannelli colorati e 86
A Borgoricco, in località Favariego, vicino al confine con Massanzago e non lontano dal corso del Muson Vecchio, sorge la Chiesetta di San Nicolò, edificata intorno al Mille probabilmente con materiale di recupero di età romana su una piccola altura che fungeva da base di una fortificazione di epoca imperiale. La prima notizia storica della chiesa si trova nel testamento di Speronella Dalesmanini del 1192. Il luogo ameno ed accogliente e la grazia dell’edificio invitano alla sosta per ammirare la chiesetta amatissima dalla popolazione del luogo, restaurata a più riprese a partire dal secondo dopoguerra. I due snelli campaniletti, di epoca recente, non hanno pregiudicato la grazia della facciata, semplice ma elegante, articolata su tre arcate. L’interno è caratterizzato da un’unica navata luminosa con copertura lignea. Degni di nota i due affreschi del Trecento che raffigurano s. Nicolò e s. Cristoforo e la pala ottocentesca che ritrae la Madonna col Bambino ed i santi Lucia e Nicola. 87
Tra storia, arte e cultura
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arricchita da alcune ricostruzioni, come quella del telaio per la filatura, della fornace per la cottura dei laterizi e dell’aratro, che contribuiscono a rendere immediatamente fruibili e comprensibili anche ad un pubblico non specialista i diversi temi affrontati.
Tra storia, arte e cultura
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Anche Massanzago come Borgoricco è defilato rispetto al tragitto dei tre percorsi ciclopedonali, ma è facilmente raggiungibile e merita senz’altro una visita, per l’importanza delle testimonianze storico artistiche presenti nel suo territorio, a cominciare da Villa Baglioni, che attualmente ospita il Municipio. Villa Pegolotto Lombardo Baglioni è un edificio risalente al XVII secolo composto dal corpo padronale, due ali e un oratorio. La nobile famiglia Baglioni lo acquistò nel 1718 e vi apportò alcune modifiche e, soprattutto, affidò parte della sua decorazione ad affresco (1719) ad un pittore veneziano ancora “alle prime armi”, Giovanni Battista Tiepolo. Il committente, Giovanni Battista Baglioni, chiese al futuro cantore del mito di Venezia di raccontare col suo pennello il Trionfo di Aurora ed episodi del mito di Fetonte: dovevano essere una esaltazione della famiglia, ma al tempo stesso rappresentare un monito ai discendenti, invitati a riflettere sulla facilità della caduta. Il Tiepolo, nel salone del primo piano, realizza le scene immerse in cieli dall’azzurro lievissimo con nubi dalle tinte pastello, su cui si stagliano le dinamiche figure delle divinità. Le sale al piano terra furono 88
dipinte verso la metà del XVIII secolo con scene che esaltano la bellezza della natura. La residenza presenta il classico impianto del palazzo veneziano, intuibile anche dalle facciate: il salone centrale è riconoscibile grazie alla presenza della balaustrina davanti alle tre finestre; le sale hanno solo finestre, distribuite simmetricamente ai lati. Sulle rive del Muson Vecchio, non molto distante dalla villa, si incontra uno degli angoli fluviali più affascinanti dal punto di vista paesaggistico e storico: il mulino, oggi noto come mulino Baglioni, perché fu proprietà della famiglia che edificò il maestoso edificio. In realtà esso è molto più antico, come denuncia il contesto singolare in cui sorge, una sorta di isola circondata dall’acqua del fiume. Esso si trovava al centro di un minuscolo centro abitato chiamato Mazzacavallo,
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Tra storia, arte e cultura
costituito da poche abitazioni eppure molto vivace proprio per la sua posizione nel punto d’incrocio di due importanti strade antiche e di un ponte sul fiume che ne avevano favorito il destino di centro di scambi commerciali. Allontanandosi verso ovest da quello che è ora il centro del paese, in cui si trovano la nuova chiesa parrocchiale e il municipio, si può notare emergere, sopra i tetti, un campanile: è quello della vecchia parrocchiale, la Chiesa di Sant’Alessandro. Essa, all’edificazione della nuova (eretta tra il 1956 e il 1972) divenne la chiesa del cimitero. L’edificio di culto è dedicato a sant’Alessandro martire: questo titolo ha indotto alcuni ad ipotizzare la presenza di una chiesa già nel IV-V secolo, ma si tratta solamente di ipotesi. Certo è che una cappella a Massanzago esisteva nel XII secolo e fu ricostruita intorno al 1620. La facciata è liscia, con solo sei alte lesene a creare leggeri giochi di luce ed ombra, una singolare decorazione poco al di sopra del piccolo rosone ed una cornice dentellata sotto il tetto a capanna. L’antica parrocchiale è ancora circondata dal perimetro del cimitero, indicato da un basso muretto, a dividere l’antico spazio riservato alle sepolture dalle nuove tombe. Questo aspetto ci ricorda l’uso precedente l’avvento delle norme napoleoniche, spesso mantenuto nei paesi di montagna, di creare i cimiteri appena all’esterno della chiesa, o addirittura al suo interno. La chiesa, che conserva belle tele seicentesche, viene aperta solo in occasioni speciali. 90
I mercati e le fiere di Valle Agredo Borgoricco - Sagra del Pomodoro e dell’Agricoltura 2a settimana di luglio Campodarsego - Fiera dell’Angelo e Fiera degli Uccelli lunedì di Pasqua Camposampiero - Settimana dell’Agricoltura Fiera della Zootecnia, Festa della Fragola 1a e 2a settimana di maggio Loreggia - Sagra di San Rocco 2a e 3a settimana di agosto Massanzago - Sagra del Melone 3° fine settimana di luglio Piombino Dese - “C’era una volta… il giardino dei bimbi” 3a e 4a domenica di maggio San Giorgio delle Pertiche - Fiera di Arsego 3a e 4a settimana di ottobre Santa Giustina in Colle - Festa dei Fiori 3a domenica di aprile Trebaseleghe - Fiera dei Mussi dall’ultima settimana di agosto fino alla 2a settimana di settembre Villa del conte - Fiera di Villa del Conte ultima settimana di giugno e 1° di luglio Villanova - Antica Sagra del Santo Sepolcro 1a domenica di settembre
Contatti e numeri utili IAT - Informazioni Accoglienza Turistica Camposampiero, via Cordenons 17 - c/o Villa Querini tel. 049.9303809 - www.valleagredo.it Federazione dei Comuni del Camposampierese Camposampiero, via Cordenons 17 - c/o Villa Querini tel. 049.9315600 - www.fcc.veneto.it Biblioteche del Camposampierese Borgoricco tel. 049.9337930 - biblioteca@comune.borgoricco.pd.it Campodarsego tel. 049.9299880 - biblioteca@comune.campodarsego.pd.it Camposampiero tel. 049.9300255 - bibliotecacsp@libero.it Loreggia tel. 049.5790551 - lorebib@provincia.padova.it Massanzago tel. 049.5797001 - bibliotecamassanzago@libero.it Piombino Dese tel. 049.9369420 - piombino@provincia.padova.it San Giorgio delle Pertiche tel. 049.9370076 - biblioteca@comune.sangiorgiodellepertiche.pd.it Santa Giustina in Colle tel. 049.9304440 - biblioteca@comune.santa-giustina-in-colle.pd.it Trebaseleghe tel. 049.9385350 - bibliotbs@tiscali.net Villanova di Camposampiero tel. 049.9220166 - ufficio.cultura@comune.villanova.pd.it Villa del Conte tel. 049.9390140 - biblioteca@comune.villa-del-conte.pd.it
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Indice Introduzione.......................................................................................................................... 7 Premessa storica Dall’agro centuriato, alla podesteria, a… Valle Agredo.......11 L’età romana..............................................................................................................11 Il Medioevo, età di castelli e di monasteri......................................12 Il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia: civiltà rurale di villa..............................................................................................15 Dal 1797 a oggi: l’età moderna................................................................17 …La ‘ri’scoperta di Valle Agredo.............................................................19 Prima di partire…..........................................................................................................23 Itinerario 1 - La Via del Muson dei Sassi Sulle orme di Antonio Percorso Muson dei Sassi Cammino di Sant’Antonio.....................................................................................27 Itinerario 2 - La Treviso-Ostiglia Da ferrovia a ciclopedonale: una linea verde per scoprire il territorio..............................................49 Il percorso............................................................................................................................53 Itinerario 3 - Percorso Tergola Lungo gli argini del fiume: un itinerario tra storia e fantasia..................................................................71 Tra storia, arte e cultura Il Museo della Centuriazione Romana Il Tiepolo a Villa Baglioni.....................................................................................85 I mercati e le fiere di Valle Agredo................................................................92 Contatti e numeri utili...............................................................................................93
Iniziativa finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale per il Veneto 2007-2013 Organismo responsabile dell’informazione: Federazione dei Comuni del Camposampierese Autorità di gestione: Regione del Veneto Direzione Piani e Programmi del Settore Primario
Muson dei Sassi, Ostiglia, Tergola: tre piste ciclopedonali immerse nel verde e nella storia di un territorio da riscoprire.
Una guida utile per un modo diverso di fare turismo, da sfogliare con calma lungo i tragitti. Soste, deviazioni, partenze e ritorni, luoghi dell’arte, della natura, dello spirito: un mondo da scoprire‌ a portata di bici.
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CuriositĂ , informazioni, notizie utili per approfondire la storia e le bellezze di un territorio da visitare con occhi nuovi.
Per percorrerle vi basta una buona bici e la giusta voglia di pedalare, meglio se lentamente, o semplicemente la voglia di passeggiare, da soli o in compagnia.
La guida turistica di Valle Agredo Percorsi di natura, arte e storia nel Camposampierese
Spegnete i cellulari, rasserenate gli animi; qualsiasi sia il motivo che vi spinge a muovervi: turistico, sportivo, culturale, a piedi, in bici, coi bastoncini della camminata nordica, spingendo una carrozzina o facendovi trascinare dal vostro cane, in ciascuno di questi itinerari troverete delle buone risposte.