La Formaggella del Luinese DOP:caratterizzazione della microfloraautoctona

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Consorzio Tutela Formaggella del Luinese

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La FormaggeLLa deL Luinese doP: caratterizzazione della microflora autoctona

Quaderni della Ricerca n. 133 - agosto 2011

lombardia. costruiamola insieme.


Sperimentazione condotta nell’ambito del progetto n.1389 di ricerca “creazione e gestione di una banca di microrganismi autoctoni per la caratterizzazione di formaggi caprini delle valli varesine: ricerca applicata alla formaggella del luinese doP (Vareseferm)” (Programma regionale di ricerca in campo agricolo 2007 - 2009).

Consorzio Tutela Formaggella del Luinese

enti Coinvolti cnr - istituto di Scienze delle Produzioni alimentari, Sede di milano comunità montana Valli del Verbano consorzio per la tutela della formaggella del luinese comunità montana del Piambello responsabile scientifico dott.ssa milena Brasca Testi a cura di milena Brasca – laura Vanoni cnr-iSPa Via celoria, 2 – 20133 milano tel. 02 50316685 - milena.brasca@ispa.cnr.it – laura.vanoni@ispa.cnr.it Paolo clarà comunità montana Valli del Verbano Via Provinciale, 1140 – 21030 cassano Valcuvia (Va) tel. 0332 991001 – paolo.clara@vallidelverbano.va.it lisa Pirovano pirolisa@hotmail.it marco imperiali onaf – delegazione di Varese imperiali57marco@alice.it

La FormaggeLLa deL Luinese doP: caratterizzazione della microflora autoctona

Foto a cura di Silvia Bevilacqua comunità montana Valli del Verbano Via Provinciale, 1140 – 21030 cassano Valcuvia (Va) tel. 0332 991001 – silvia.bevilacqua@vallidelverbano.va.it Progetto grafico www.francescogamberoni.it Per informazioni regione lombardia - direzione Generale agricoltura u.o. innovazione, cooperazione e valorizzazione delle produzioni Struttura ricerca, innovazione tecnologica e servizi alle imprese Piazza città di lombardia n.1 - 20124 milano tel: +39 02 6765.3790 - fax +39 02 6765.8056 e-mail: agri_ricerca@regione.lombardia.it referente: Gianpaolo Bertoncini e Giovanna Praderio e-mail: gianpaolo_bertoncini@regione.lombardia.it © copyright regione lombardia

Quaderni della ricerca n. 133 - agosto 2011


Ringraziamenti Sintesi dei contenuti

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1. inTroduzione 1.1 L’allevamento caprino nella provincia di Varese 1.2 La Formaggella del Luinese doP

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2. obieTTiVi deL ProgeTTo VareseFerm e Piano sPerimenTaLe

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3. risuLTaTi 3.1 analisi della realtà produttiva 3.2 Caseificazioni senza impiego di innesto 3.2.1 Parametri tecnologici 3.2.2 Analisi microbiologiche 3.3 Caseificazioni con lattoinnesto aziendale 3.3.1 Parametri tecnologici 3.3.2 Analisi microbiologiche 3.3.3 Analisi sensoriale 3.4 studio della biodiversità della microflora lattica nella Formaggella del Luinese doP 3.4.1 Identificazione e caratterizzazione dei batteri lattici 3.4.2. Formulazione delle miscele starter 3.5 Caseificazioni sperimentali con le miscele di fermenti autoctoni 3.5.1 Parametri tecnologici 3.5.2 Analisi microbiologiche 3.5.3 Analisi sensoriale

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4. ConCLusioni

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5. bibLiograFia

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6. aPPendiCe 6.1 Linee guida per la preparazione di lattoinnesto aziendale 6.2 Questionario utilizzato per la raccolta dei dati di caseificazione 6.3 scheda per la rilevazione dei parametri tecnologici 6.4 Valutazione sensoriale del formaggio 6.5 metodi analisi microbiologiche

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Presentazione Nelle Valli del Verbano e nei territori limitrofi, l’allevamento caprino destinato alla produzione di latte crudo e alla sua caseificazione è una tradizione locale da generazioni che oggi rappresenta anche una delle attività agricole più remunerative, in piena sintonia con uno sviluppo sostenibile del territorio. L’area a nord del Lago di Varese, comprendente 70 Comuni, delimita l’ambito di produzione della Formaggella del Luinese, che ha ottenuto nel 2011 dalla UE la Denominazione di Origine Protetta, decimo formaggio DOP della Lombardia, nonché unica produzione casearia italiana ottenuta esclusivamente con latte crudo e di capra. Il progetto di ricerca “Creazione e gestione di una banca di microrganismi autoctoni per la caratterizzazione di formaggi caprini delle valli varesine: ricerca applicata alla Formaggella del Luinese DOP”, finanziato dalla Direzione Generale Agricoltura, ha contribuito all’individuazione di tecnologie migliorative del processo produttivo. In particolare sono state messe a punto migliori modalità operative per la preparazione in azienda di lattoinnesto e per il suo corretto utilizzo in caseificazione, ed è stata creata una collezione di batteri lattici autoctoni a cui attingere per la produzione di miscele starter. Questo Quaderno della Ricerca raccoglie i risultati del progetto e fornisce linee guida per il miglioramento qualitativo della Formaggella del Luinese DOP, utili agli operatori del settore per un più efficace posizionamento delle loro imprese sul mercato e per conquistare un crescente numero di consumatori sensibili ai prodotti tipici del territorio. Giulio De Capitani Assessore all’Agricoltura Regione Lombardia


ringraziamenti un particolare ringraziamento e ricordo vanno a roberta lodi che ha fortemente creduto in questo progetto e il cui contributo nello studio per la domanda per l’ottenimento della denominazione di origine Protetta della formaggella del luinese è stato di fondamentale importanza. Grazie ai numerosi corsi di formazione specifici sul latte di capra svolti per la ex comunità montana Valli del luinese fin dalla metà degli anni ‘90, roberta è stata il punto di riferimento per gli allevatori locali che hanno potuto trarre da lei insegnamenti determinanti sulla qualità del latte crudo e sulla gestione delle problematiche legate alla caseificazione. il progetto Vareseferm e l’ottenimento stesso della doP non sarebbero stati possibili senza la fattiva collaborazione delle numerose aziende agricole che hanno dedicato il proprio tempo con impegno e interesse a tutte le attività.

la denominazione di origine Protetta - doP - è stata ottenuta con reg.ue n.375/2011 dell’11 aprile 2011

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sintesi dei contenuti la ricerca è applicata alla formaggella del luinese, primo formaggio doP italiano ottenuto con latte esclusivamente crudo di capra e ha previsto il diretto coinvolgimento delle aziende aderenti al consorzio per la tutela della formaggella del luinese doP. le aziende hanno effettuato tre serie di caseificazioni che sono state messe a confronto: la prima serie è stata condotta applicando le normali procedure tecnologiche, ma senza procedere all’aggiunta di innesto e la seconda ha previsto l’impiego di lattoinnesto naturale prodotto secondo un protocollo individuato quale rappresentativo della realtà produttiva. dalle cagliate corrispondenti ai formaggi giudicati migliori dal panel di assaggio sono stati isolati 50 batteri lattici che sono stati successivamente valutati per la loro attitudine ad essere impiegati quali starter. la terza serie di caseificazioni ha consentito di valutare le miscele precedentemente testate in laboratorio e di individuarne 3 in grado di condurre in modo corretto la caseificazione e di contrastare in modo efficace lo sviluppo di microrganismi indesiderati laddove presenti. l’istituzione di un panel di assaggio costituito per la maggior parte da produttori ha consentito nel corso dei due anni di sperimentazione un fattivo confronto e una efficace discussione sull’importanza dei singoli punti del processo produttivo che hanno avuto come prima importante conseguenza un miglioramento qualitativo delle produzioni e una loro maggior uniformità.

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1.inTroduzione 1.1 L’allevamento caprino nella provincia di Varese l’avvio di un progetto di ricerca applicato alle produzioni casearie tipiche della Provincia di Varese e, tra queste in particolare, ai formaggi caprini a latte crudo, risulta essere direttamente collegato allo sviluppo agrozootecnico e sociale del territorio di montagna. il latte, e in particolare quello caprino, è infatti a tutti gli effetti un prodotto trainante dell’economia di montagna locale che, per una serie di fattori legati all’orografia del territorio, è basata da sempre sull’allevamento della capra. nell’ambito geografico in esame, l’allevamento caprino finalizzato alla produzione di latte e alla sua diretta trasformazione casearia rappresenta ormai la principale attività agricola, l’unica capace di assicurare una remunerazione del lavoro, ancorché appena sufficiente, ma con buone prospettive di crescita. nelle aree marginali la permanenza delle popolazioni locali è possibile solo mediante lo sfruttamento del territorio attraverso l’allevamento della capra, animale tradizionale, rustico e di alta capacità di adattamento alla montagna. l’allevamento permette dunque il presidio della montagna, il mantenimento dell’ambiente e dei nuclei di popolazione, la loro cultura, le tradizioni e le specifiche abilità. l’ambito geografico di riferimento del progetto “Vareseferm” è rappresentato dalle valli varesine, corrispondenti alla zona nord della Provincia di Varese. tale territorio appartiene all’insubria, area delimitata dai laghi (l. maggiore, l. di como, l. di lugano e l. di Varese), caratterizzata da piogge abbondanti e scarse escursioni termiche. in questo territorio, definito come «Prealpi Varesine», vengono effettuate tutte le fasi relative alla produzione della formaggella del luinese doP, a partire dall’allevamento delle capre, alla produzione del latte, alla caseificazione e alla stagionatura del formaggio. tale area geografica comprende 70 comuni, in prevalenza montani e in qualche caso collinari e ha come limite naturale il lago di Varese. la zona in cui si svolge ciascuna delle fasi produttive è caratterizzata da terreni impervi con elevate percentuali di boschi e di aree a pascolo. l’intero territorio è stato modellato nella morfologia e modificato dalla presenza di attività che fondavano sul pascolamento caprino la loro ragione di successo. tanto le praterie di fondovalle e prossime ai nuclei rurali che assicurano i foraggi invernali, quanto i pascoli dei il territorio di Produzione della formaGGella del luineSe doP versanti più accessibili dove sono erette strutture di ricovero temporaneo (casel) e gli alpeggi in quota testimoniano come il presidio e i prelievi esercitati sulle coperture vegetali, attraverso il pascolamento di greggi, siano stati determinanti per il loro assetto fisiono-

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mico e funzionale e come, ancora oggi, il loro mantenimento dipenda da tali attività. il reticolo dei percorsi e dei tratturi, i punti d’acqua e di abbeverata, la distribuzione dei manufatti per la sosta, il ricovero dei pastori e degli animali e la stessa distribuzione delle varie cenosi vegetali, sono ancora tutt’oggi determinati, nel loro assetto e nella loro distribuzione, dal pascolamento caprino. la formaggella del luinese, formaggio appartenente alla tradizione locale e al centro della ricerca, ha ottenuto la denominazione di origine Protetta con reg. n. 375/11 del 11.04.2011 ed è il 10° formaggio doP della regione lombardia. l’unico tra le doP italiane a essere prodotto esclusivamente con latte caprino crudo. in Valveddasca, Valdumentina e Valtravaglia si concentra il maggior numero di aziende varesine dedite all’allevamento caprino e alla produzione di formaggi. tali aziende sono di piccole dimensioni e a conduzione principalmente familiare; svolgono attività agricole e, in parte, agrituristiche e allevano una media di circa 30 capi caprini per stalla, mentre i maggiori allevamenti si attestano sul centinaio di capi. il censimento effettuato nel 2006 sulle aziende agricole interessate a entrare a far parte della filiera controllata doP formaggella del luinese ha contato circa 800 capi caprini, di cui circa 650 in lattazione e, in generale, ha evidenziato una buona organizzazione aziendale in termini di gestione e di strutture a disposizione. tale organizzazione, unita alla disponibilità di latte, consente alle aziende censite di mettere sul mercato un’ampia varietà di prodotti caprini, oltre alla stessa formaggella del luinese. d’altro canto, si riscontra sul territorio locale un’elevata richiesta da parte dei consumatori, che supera ampiamente l’offerta. il Piano agricolo della Provincia di Varese (luglio 2002) ha rilevato come nel settore ovicaprino gli allevamenti primeggino in ambito regionale; in particolare, nel caso dei caprini, che contano in Provincia di Varese il 7% circa dei capi complessivi allevati in lombardia, la produzione corrisponde a circa un quarto di quella regionale. la produzione casearia rappresenta per le realtà agricole che presidiano la montagna il modo per mantenere la propria economia ancora sul mercato, non potendosi basare soltanto sulle attività forestali e sull’allevamento da carne. l’attività agrituristica, altresì in via di sviluppo, trova un elemento di forte richiamo nelle tradizionali produzioni casearie. una delle realtà agricole maggiormente attive sul territorio è rappresentata dal consorzio per la tutela della formaggella del luinese doP, partner di progetto, attivo dal dicembre 2007. costituito nel settembre 2001 come associazione di aziende agricole dedite all’allevamento caprino ubicate nelle quattro comunità montane della Provincia di Varese, oggi il consorzio svolge un ruolo di tutela, promozione e valorizzazione della doP formaggella del luinese. il consorzio rappresenta oggi una realtà di nicchia, costituita da 15 aziende agricole, di cui 14 produttrici di formaggella del luinese doP e 1 azienda produttrice di latte idoneo ai sensi del disciplinare di Produzione. al suo interno il consorzio provvede a verificare la qualità delle forme prodotte, con periodici incontri di confronto in cui i formaggi vengono valutati per verificarne sia il grado di rispondenza ai requisiti indicati dal disciplinare di Produzione, sia la qualità sensoriale. allo stato attuale, i soggetti appartenenti alla filiera controllata sono 16, di cui 12 riconosciuti sia come produttori di latte che come trasformatori, 2 come trasformatori, 1 come produttore di latte e 1 soggetto controlla-

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to come centro di raccolta. nella stagione 2010 sono stati prodotti circa 270.000 litri di latte idoneo per la formaggella del luinese, cioè corrispondente ai requisiti territoriali e di conservazione specificati nel disciplinare di Produzione. di questo volume produttivo, circa il 30% è stato trasformato a formaggella del luinese doP. la parte di latte restante viene impiegata per l’ottenimento di una serie di prodotti tradizionali quali: formaggio misto capra-vacca; caprini freschi e stagionati (Buscion); tomini di capra a coagulazione presamica; ricotta di capra; zincarlin; altre formaggelle; “Straccaver”. nel 2010, dopo la necessaria selezione, sono state marchiate circa 7600 forme, corrispondenti a quantitativo di 6.000 kg di formaggella del luinese doP, per una resa casearia calcolata intorno al 13% (fonte consorzio per la tutela della formaggella del luinese, 2010). dal punto di vista storico-culturale, la produzione di formaggella del luinese, ma anche di altre tipologie casearie, risulta fortemente radicata al territorio di origine. da sempre, infatti, l’alto varesotto si contraddistingue per gli allevamenti caprini e per le numerose produzioni di nicchia legate alla capra. Proprio il legame tra la formaggella del luinese e il territorio di origine ha spinto i produttori a richiedere al ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali la denominazione di origine Protetta, considerando necessaria la tutela del prodotto attraverso un riconoscimento europeo di tale livello. le valli varesine hanno una solida tradizione casearia e vantano un ricco paniere di formaggi a latte crudo di capra, costituito da diverse tipologie di formaggi freschi e stagionati a coagulazione lattica e a coagulazione presamica, nonché formaggi misti in cui oltre al latte vaccino viene impiegato latte di capra. il latte di capra viene spesso utilizzato crudo nelle lavorazioni e questo è reso possibile da un elevato livello qualitativo e dal rispetto delle condizioni igienico-sanitarie degli allevamenti, favorito anche dalla continua formazione proposta agli operatori del settore. in particolare, la qualità del latte caprino locale, secondo studi finora condotti, è elevata dal punto di vista microbiologico, oltre che in termini di resa della trasformazione casearia. a tale proposito si citano alcuni risultati emersi da ricerche svolte sul latte di capra delle principali razze allevate in provincia di Varese. dal confronto dei dati sul contenuto in grasso e proteine relativi ai controlli individuali effettuati dall’associazione italiana allevatori su primipare di razza Saanen, camosciata delle alpi e Verzaschese, emergono notevoli differenze a favore di quest’ultima razza (filipponi, 1999). in particolare è stato registrato un tasso medio di grasso nel latte prodotto da Verzaschesi del 3,57%, maggiore rispetto al tasso medio di grasso nel latte prodotto da esemplari di razza Saanen (3,23%) o camosciata delle alpi (3,33%). allo stesso modo, per quanto riguarda il contenuto medio di proteine, il latte di nera di Verzasca risulta nettamente più ricco, contenendo il 3,19% di proteine, contro il 2,69% della Saanen e il 2,80% della camosciata delle alpi. Queste considerazioni sono state ulteriormente confermate dai risultati ottenuti da successive analisi chimiche effettuate su campioni di latte di nera di Verzasca e di camosciata delle alpi (lodi et. al. 2001) dove si è evidenziato nel latte di Verzaschese un tasso medio di grasso del 3,44% contro il 3,18% del latte di camosciata e un tasso medio proteico del 3,22%, contro il 3,03% del latte di camosciata delle alpi. Per quanto riguarda le caratteristiche microbiologiche, il latte caprino

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prodotto negli allevamenti dell’alto varesotto è risultato avere una carica batterica inferiore al limite di 500.000 ufc/ml previsto dal regolamento 853/2004 e una percentuale di batteri lattici molto elevata rispetto alla microflora totale. d’altro canto, le analisi effettuate non sono mai state accompagnate da uno studio mirato alla caratterizzazione dei principali ceppi microbici presenti. in altre parole, non è mai stata creata, prima di questo studio, una “ceppoteca” rappresentativa della microflora autoctona presente nel latte caprino degli allevamenti varesini. ecco il motivo che spinge dunque ad approfondire questo aspetto in modo da far emergere quanto il latte locale e le caratteristiche proprie di questo territorio di produzione influenzino realisticamente le produzioni e se vi è un effettivo legame con l’ambiente di origine della materia prima. 1.2 La Formaggella del Luinese doP la denominazione di origine Protetta «formaggella del luinese» è riservata al formaggio a pasta semidura, prodotto esclusivamente con latte intero e crudo di capra, a coagulazione presamica, con stagionatura minima di 20 giorni, che presenta specifiche caratteristiche morfologiche, microbiologiche e organolettiche. Il microclima insubrico due sono gli elementi climatici che maggiormente caratterizzano questo territorio, il primo è rappresentato dall’elevata piovosità, tipica del settore prealpino, l’altro è correlato all’azione termoregolatrice esercitata dal lago maggiore che si manifesta con un effetto mitigante sulle temperature estreme. l’azione di questi due fattori determina l’insorgenza di un clima di tipo insubrico, contraddistinto da piogge abbondanti e ben distribuite e con una scarsa escursione termica. Questo tipo di clima, unito alla natura acida dei suoli, condiziona fortemente la vegetazione del territorio e soprattutto i processi evolutivi naturali della flora. La vegetazione la diminuzione dell’intervento antropico in queste aree ha determinato e determina tuttora l’espansione delle specie che meglio si adattano a queste condizioni ambientali quali: molinia (Molinea coerulea), felce aquilina (Pteridium aquilinum), Ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius), Betulla (Betula pendula), faggio (Fagus sylvatica), nocciòlo, frassino e castagno. l’alimentazione del gregge si è tradizionalmente basata sull’utilizzo di queste fitocenosi marginali in cui prevale una flora arbustiva e arborea. Queste essenze rappresentano tuttora un elemento di forte caratterizzazione della gestione alimentare.nelle aree di fondovalle prevalgono invece i prati polifiti tipici dell’arrenatereto (con specie appartenenti alle graminacee e alle leguminose) che sono utilizzate per l’alimentazione attraverso la fienagione. la «formaggella del luinese doP» è un formaggio prodotto con latte esclusivamente intero e crudo di razze caprine allevate nel territorio di origine. la variegata alimentazione delle capre fornisce al latte particolari caratteristiche organolettiche che conferiscono poi al formaggio le sue specificità. come dimostrano alcuni studi, parte del complesso aromatico rilevato sul prodotto finito deriva direttamente dalle essenze ingerite dalle capre (terpeni), in quanto alcune delle molecole aromatiche tipiche del mondo vege-

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tale si ritrovano nel formaggio, a dimostrazione di una stretta connessione con il territorio nel quale è prodotto. Un’antica cultura casearia i produttori della zona sono i depositari di un’antica cultura e tecnica di trasformazione del latte che si esprime, attraverso l’utilizzo di strumenti e tecnologie particolari, in una serie di produzioni fortemente caratterizzate dal territorio di appartenenza. tra le antiche tecniche di produzione, che ancora oggi permangono nelle fasi di preparazione della «formaggella del luinese doP», si segnalano la coagulazione presamica veloce (meno di un’ora) e la rottura fine della cagliata. tra gli utensili storicamente impiegati, in alcuni casi tuttora presenti, si ricordano strumenti per la rottura della cagliata come lo Spino (anticamente costruito con un asse principale di legno a cui venivano legati fili di ferro e rame) e la lira, o altri strumenti per la lavorazione come mestoli forati, costituiti da una rete di erbe intrecciate tra loro e stampi di legno di piccole dimensioni utilizzati per la formatura. numerose sono le testimonianze storiche, risalenti anche al secolo XVii, che comprovano come la formaggella del luinese sia da sempre presente nella tradizione casearia e gastronomica dei luoghi. la “nota della spesa fatta dalli rev.di sacerdoti di Val travaglia nella visita di mons.re ill.mo card.le Borromeo fatta l’anno 1596 del mese di agosto” riferisce come alcune libbre di formaggio comparissero regolarmente nei pranzi e nelle cene offerte al cardinale. Quello “specioso formaggio” citato dal morigia nel trattato datato 1603 “Historia della nobiltà et degne qualità del lago maggiore” e da altri storici locali in documenti dell’epoca, “prodotto nelle supreme parti delle montagne popolate da un gran numero di caprai e oggetto di scambi, donazioni e commerci ” è a buon diritto da considerarsi l’antenato della formaggella del luinese doP. Caratteristiche morfologiche la forma è cilindrica e con facce piane. il diametro può essere compreso fra 13 e 15 cm e lo scalzo tra 4 e 6 cm. il peso di una formaggella del luinese doP conforme al disciplinare di Produzione varia da 700 a 900 grammi. la crosta è naturale, non dura ed è possibile la presenza di muffe. la pasta è morbida e compatta e l’eventuale occhiatura deve essere fine. Caratteristiche fisico-chimiche la parte grassa deve corrispondere a un minimo del 41% misurato sul secco. Viene inoltre preso in considerazione l’estratto secco che deve essere almeno del 45%. Caratteristiche microbiologiche dal punto di vista microbiologico, il disciplinare di Produzione della formaggella del luinese doP non fissa dati precisi, ma pone comunque il vincolo di una spiccata prevalenza di microflora lattica mista (costituita da cocchi, bastoncini e batteri omo-eterofermentanti). tale microflora può provenire dal latte, dall’ambiente e dagli innesti. Caratteristiche sensoriali il profilo sensoriale della formaggella del luinese doP descrive le caratteristiche che riguardano il sapore, l’aroma, l’odore, la struttura e il colore

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della pasta. Per quanto riguarda il sapore, prevale il suo carattere di dolcezza (a livelli intermedi) e nel complesso risulta delicato e gradevole. con il progredire della stagionatura (minimo di 20 giorni), il sapore diventa un po’ più intenso. allo stesso modo avviene con l’odore e l’aroma, entrambi delicati nelle forme giovani e più decisi nei prodotti più stagionati. la struttura della pasta è elastica. Si tratta infatti di un formaggio a pasta semidura, con una discreta umidità e morbida al tatto. in bocca risulta piuttosto solubile. il colore, infine, deve essere omogeneo e prevalentemente bianco. Le fasi della produzione Allevamento le razze caprine prevalentemente allevate nel territorio di produzione sono la nera di Verzasca, la camosciata delle alpi e la Saanen. il disciplinare di Produzione non limita comunque la provenienza del latte a una specifica di queste particolari razze, ma lascia la possibilità che la materia prima possa provenire da una delle razze, e relativi meticci, tipiche dell’arco alpino. in ogni caso, la maggiore disponibilità di latte nel territorio di origine è legata a queste tre tipologie. le aziende locali in cui si produce latte idoneo per la formaggella del luinese doP sono tutte a gestione familiare e dispongono quindi normalmente di uno o due operatori addetti alla mungitura che avviene, in alcuni casi, a mano e in altri casi per mezzo di mungitrici. Gli allevamenti sono di piccole o medie dimensioni, con un numero di capi che raggiunge solo in qualche caso le cento unità circa. Solitamente, il gregge caprino permane al pascolo per 7-8 mesi all’anno, mentre si ha la stabulazione fissa nel periodo invernale. l’alimentazione si basa oltre che sul pascolamento, anche sull’utilizzo di foraggi affienati provenienti da prati polifiti locali, integrati con concentrati e, in alcuni casi, con foraggi affienati, prevalenti comunque nella fase stallina (4-5 mesi all’anno). i foraggi affienati derivano principalmente dalle aree di fondovalle in cui la presenza di prati polifiti mette a disposizione specie quali Dactylis glomerata, Poa pratensis, Poa trivialis, Avenula pubescens, Trifoglium repens, Trifoglium pratense. e’ escluso l’uso di foraggi insilati. Per la produzione viene utilizzato generalmente latte appena munto. Si utilizza esclusivamente latte caprino intero. Secondo quanto previsto dal disciplinare di Produzione il latte, prima di essere sottoposto a caseificazione, può essere conservato al massimo per 30 ore ad una temperatura non superiore ai +4°c. Innesto, maturazione e aggiunta del caglio una volta in caldaia, il latte viene innestato mediante lattoinnesto naturale, attraverso un inoculo semidiretto, con impiego delle colture selezionate (liofilizzate) per la produzione di fermento liquido. il progetto “Vareseferm” ha sperimentato l’utilizzo di fermenti pro-

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dotti a partire dal latte locale, distribuiti ai caseifici sottoforma di miscele specifiche le cui caratteristiche e tipo di attività sono state testate preliminarmente in laboratorio. il disciplinare di Produzione prevede l’utilizzo di un lattoinnesto naturale o selezionato, costituito in prevalenza da batteri lattici termofili, con possibile aggiunta di piccole dosi di ceppi mesofili. Per la preparazione del lattoinnesto, è stato messo a punto nel corso della ricerca un protocollo (vedi appendice, punto 7.1), adottato nel corso della sperimentazione dai diversi caseifici, che prevede l’impiego di circa 1 l di latte in contenitore sterile, l’acidificazione a 42°c fino a un pH di 4,8 e il successivo utilizzo di 50 ml di lattoinnesto ogni 10 l di latte. l’aggiunta del caglio avviene dopo aver portato il latte di massa a una temperatura compresa fra 32 e 34 °c. il caglio impiegato deve essere naturale e di vitello. non vengono fornite specifiche relative alla tipologia di caglio da utilizzare, né alla dose o al titolo, ma per questo tipo di lavorazione solitamente si utilizzano circa 25-30 ml di caglio liquido ogni 100 l di latte, con un titolo di 1:10000. Questi parametri variano comunque da produttore a produttore. Coagulazione e rottura della cagliata il tempo complessivo per ottenere un coagulo con la consistenza desiderata è di circa 30-40 minuti. il casaro verifica la “presa” cioè il momento in cui avvengono le prime interazioni tra le micelle di caseina che portano alla formazione del coagulo. Solitamente, si osserva un tempo di presa pari a circa 1/3 del tempo totale di coagulazione. tale parametro non è però previsto dalle regole stabilite nel disciplinare di produzione, ma indicativo del corretto procedere della coagulazione per questo tipo di lavorazione. la consistenza del coagulo viene rilevata con parametri soggettivi. la scelta dei casari è di procedere con la rottura del coagulo quando viene raggiunta una consistenza definita “medio-forte”. la verifica viene eseguita con l’intervento diretto del casaro, aiutandosi con la mano o uno strumento di lavorazione. anche in questo caso la valutazione è soggettiva. le operazioni di rottura del coagulo procedono per alcuni minuti, fino al raggiungimento di una grana fine, tendente alle dimensioni di chicco di mais. Viene esercitato un primo taglio della cagliata, rompendo il coagulo a cubetti di circa 4 cm di lato. dopo una breve sosta, si procede con un taglio più fine, ma sempre in maniera delicata, utilizzando la”lira” che riduce gradualmente la grana, fino alle dimensioni desiderate. Questa operazione avviene solitamente in pochi minuti. Segue un periodo di agitazione di 10-15 minuti che permette di avviare uno spurgo del siero direttamente in caldaia, anche riscaldando fino a un massimo di 38°c. al termine, la cagliata viene lasciata riposare in caldaia per circa 15 minuti. Estrazione e formatura la formatura avviene in stampi di 14 cm di diametro. la cagliata viene normalmente porzionata già in caldaia ed estratta a mano. inizia quindi un periodo di sgocciolatura che si protrae al massimo per 48 ore a temperatura ambiente. nel caso in cui la cagliata non sia stata riscaldata a 38°c in caldaia, può essere effettuata una breve fase di stufatura, mantenendo la cagliata negli stampi in cui è appena stata posta a una temperatura compresa fra 25 e 30 °c per un tempo di circa 2-3 ore. Questa operazione, quando

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applicata, serve a favorire lo spurgo del siero e stimola l’acidificazione della cagliata. l’alta temperatura aiuta anche a compattare la pasta. l’umidità che si mantiene elevata (di solito in questa fase la cagliata viene mantenuta nella caldaia stessa oppure nell’ambiente di lavorazione ancora caldo e umido) aiuta a evitare screpolature e controlla la formazione della crosta. durante la sgocciolatura viene praticata una serie di rivoltamenti successivi a distanza di poche ore l’uno dall’altro. la cagliata viene infatti girata negli stampi affinché lo spurgo del siero sia uniforme e la pasta si compatti al meglio. e’ utile misurare l’andamento del pH della pasta durante la sgocciolatura e verificare che dopo 12 ore non sia sceso al di sotto di 5,2. Salatura, asciugatura, stagionatura la salatura viene eseguita a secco o in salamoia, di norma 24 ore dopo l’estrazione dagli stampi. nella salatura a secco, il sale viene sfregato in due tempi, inizialmente su una delle basi e sullo scalzo. Quindi si lascia riposare il formaggio per alcune ore e si ripete l’operazione sulla superficie opposta. Vengono utilizzati normalmente 20 g di sale per kg di pasta. in alternativa, le forme vengono immerse in una salamoia satura di nacl a una temperatura variabile fra 14 e 20 °c per 4-5 ore (6 ore per kg di formaggio). dopo la salatura, i formaggi vengono lasciati ad asciugare a temperatura ambiente, di norma 48-72 ore, prima di essere posti nel locale di stagionatura. la stagionatura è effettuata in celle con umidità controllata a 85-95 % e con una temperatura massima di 15 °c, oppure in cantine a umidità e temperatura naturali. la fase di stagionatura si protrae per almeno 20 giorni in queste condizioni. in alternativa all’acciaio e alla plastica alimentare, il disciplinare permette l’impiego di materiali diversi sia per quanto riguarda la lavorazione (caldaie di rame e tele), sia per la stagionatura durante la quale le forme possono essere poste su assi di legno. non è tuttavia ammesso l’uso di griglie. Selezione, marchiatura a fuoco ed etichettatura oltre alle caratteristiche estrinseche della formaggella del luinese doP (dimensioni, peso, crosta) e a quelle intrinseche legate al sapore, all’aroma e alla consistenza della pasta, il formaggio viene identificato anche da due elementi fondamentali: l’etichetta e il marchio impresso a fuoco sullo scalzo, specifico del caseificio di produzione. la formaggella del luinese doP viene, infatti, immessa al consumo esclusivamente in forma intera e con un’etichetta di carta a uso alimentare di forma tonda raffigurante specifici elementi. Sul bordo circolare esterno (di colore giallo oro) deve essere indicata la sede dell’azienda produttrice e dello stagionatore. tali indicazioni devono

15 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


essere di dimensioni inferiori rispetto alla scritta «formaggella del luinese» doP. inoltre sullo scalzo del formaggio è impresso a fuoco un simbolo grafico costituito da una testa di capra (larghezza e altezza: 3 cm) affiancata da un numero di matricola identificativo dell’azienda produttrice (altezza 1,5 cm). il logo riprodotto sull’etichetta è formato da un bordo circolare esterno di colore giallo oro e da una parte interna di colore rosso. Sulla parte interna di colore rosso è rappresentata una testa di capra di colore nero sfumato, con collare e campana di colore giallo oro, contornati dalla scritta formaggella del luinese di colore bianco. la marchiatura a fuoco avviene dopo che sono trascorsi almeno 15 giorni dalla data di produzione. Successivamente, lo stagionatore seleziona le forme in base alle caratteristiche rispondenti al disciplinare e appone l’etichetta. I controlli ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli elementi in entrata e in uscita. allo stesso modo, ogni soggetto che appartiene alla filiera produttiva viene identificato in appositi registri gestiti dalla struttura di controllo accreditata che verifica il rispetto dei parametri definiti nel disciplinare di produzione, il legame tra la produzione e il territorio specifico, le quantità prodotte e la tracciabilità. tutti i soggetti coinvolti nel processo produttivo sono identificati e, nell’ambito della propria attività, annotano la quantità di latte idoneo in entrata e la sua provenienza, la quantità di latte idoneo utilizzata per la produzione di formaggella del luinese doP, il numero di forme idonee prodotte, il numero di forme idonee marchiate a fuoco e, infine, etichettate. tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte di tale ente certificatore.

2

.obieTTiVi deL ProgeTTo VareseFerm e Piano sPerimenTaLe i formaggi tradizionali sono solitamente prodotti in aree collinari e montane, in aziende medio-piccole secondo antichi metodi artigianali. tra questi i prodotti, i formaggi a latte crudo hanno spesso un ruolo particolare per lo sviluppo dell’economia della zona essendo conosciuti ed apprezzati anche al di fuori del territorio di produzione grazie alle loro peculiari qualità organolettiche. l’utilizzo di latte crudo per la caseificazione, da sempre punto di forza per i formaggi tipici, può oggi rappresentare il punto di maggior debolezza; se da un lato la maggiore pulizia adottata nelle diverse fasi di produzione (mungitura, trasporto latte, recipienti e locali lavorazione) e l’uso di recipienti e utensili in metallo o in plastica al posto di quelli in legno risolvono i problemi di tipo igienico-sanitario, dall’altro, riducendo il numero di microrganismi che “inquinano” il latte, lo depauperano anche di batteri filocaseari. Per questi prodotti diventa quindi necessario, pur rimanendo

16 Varese Ferm

nell’alveo delle tradizioni, adeguare le scelte tecnologiche di processo per rispondere a questi cambiamenti. l’impiego dell’innesto nella produzione di questi formaggi contribuisce a “guidare” i processi fermentativi, riducendo l’insorgenza di difetti nel prodotto. esso assicura corrette condizioni di acidificazione e spurgo della cagliata, consentendo, allo stesso tempo, lo sviluppo equilibrato delle diverse specie microbiche filocasearie presenti nella materia prima che intervengono nel processo di maturazione, garanzia di tipicità del formaggio. esistono innesti sottoforma di colture naturali (in siero o in latte) e di colture selezionate, che rappresentano una buona soluzione soprattutto in piccole strutture aziendali e in condizioni produttive difficili, dove sono in grado di garantire una maggiore regolarità nella caseificazione. nel caso dei formaggi tipici, è di notevole interesse l’uso di starter specifici isolati dalla microflora caratteristica; tali batteri rappresentano il frutto della selezione operata dall’ambiente e dalla tecnologia produttiva e costituiscono quindi un preciso legame con il territorio e le sue produzioni. il progetto VareSeferm si è posto l’obiettivo generale di valorizzare le produzioni casearie in termini di tipicità e di origine prendendo come modello di intervento la formaggella del luinese. obiettivo primario è stata l’acquisizione di nuove conoscenze sulla qualità microbiologica del latte caprino prodotto negli allevamenti locali ed utilizzato in tecnologie casearie a latte crudo. lo studio dei batteri lattici presenti, che costituiscono uno dei principali punti critici per questa tipologia di produzioni, ha perseguito l’ottenimento di una maggior comprensione del ruolo dei batteri nel processo di caseificazione e la costituzione di una collezione di batteri lattici autoctoni del latte caprino locale. Scopo finale dello studio è stata la stesura di un protocollo per la preparazione e l’impiego di lattoinnesto aziendale e la formulazione, a partire dai batteri lattici individuati, di miscele starter in grado di contribuire in modo significativo all’ottenimento di produzioni di qualità. Per garantire continuità al lavoro svolto, è stata inoltre eseguita la produzione in impianti pilota delle colture in forma liofilizzata, in modo che potessero essere rese disponibili per tutta la realtà produttiva alla fine del progetto. il progetto si è sviluppato su due anni, secondo il seguente piano sperimentale: Anno I con il coinvolgimento di 14 aziende sono state seguite complessivamente 93 caseificazioni a formaggella del luinese doP senza uso di innesto commerciale, per ognuna delle quali è stata redatta una scheda tecnica in cui sono stati registrati i parametri tecnologici e chimico-fisici di interesse caseario (es. pH, tempi, t). trentasei di queste caseificazioni, eseguite senza utilizzo di alcun innesto, hanno previsto, oltre alla verifica della cinetica di acidificazione in caldaia, l’analisi della qualità microbiologica del latte crudo, finalizzata a verificare la possibilità di produrre formaggio senza ricorrere all’impiego di microrganismi che indirizzino i processi di fermentazione. le successive 57 hanno previsto l’impiego di lattoinnesto prodotto a partire da latte aziendale e prelievi di latte, lattoinnesto naturale e della cagliata al momento dell’estrazione. i campioni di lattoinnesto e cagliata sono stati immediatamente congelati in azoto liquido, conservati sino alla valutazione sensoriale del formaggio corrispondente e, in caso di esito positivo, analizzati con la finalità di individuare i biotipi lattici con le migliori caratteristiche casearie. i formaggi ottenuti dalle lavorazioni sperimentali sono quindi stati sotto-

17 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


posti a valutazione sensoriale da un panel d’assaggio costituito da giudici addestrati. da 7 delle 43 cagliate prelevate, corrispondenti a caseificazioni che hanno portato ad ottenere dei campioni di formaggella del luinese con le migliori caratteristiche sensoriali, sono stati isolati e caratterizzati 50 ceppi di batteri lattici, tra i quali sono stati selezionati a loro volta 6 ceppi che sono stati utilizzati per la formulazione di 11 diverse miscele starter, preliminarmente testate in laboratorio. Anno II in otto realtà produttive, sono state eseguite, parallelamente alla verifica della qualità microbiologica del latte di partenza, una o più caseificazioni sperimentali per ciascuna miscela starter, oltre a una caseificazione di controllo, per un totale di 31 caseificazioni sperimentali con l’uso di starter e altrettante caseificazioni di controllo. Gli starter sono stati aggiunti al latte crudo in caldaia. le lavorazioni sono state monitorate registrando i principali dati tecnologici al fine di valutare l’attività dei fermenti innestati. i formaggi così ottenuti sono stati sottoposti all’analisi sensoriale per valutarne la qualità e la corrispondenza delle caratteristiche di tipicità. in corrispondenza di ciascuna lavorazione sperimentale, i principali parametri chimico-fisici del latte e della cagliata, ovvero pH e temperatura, sono stati misurati mediante un pHmetro munito di un elettrodo combinato in vetro per la misurazione del pH e di una sonda per il rilievo della temperatura; oltre a tale sonda, al fine di verificare un’eventuale discordanza tra i valori, sono stati utilizzati anche i termometri in dotazione di ciascuna azienda. la misurazione dell’acidità di titolazione del latte è stata effettuata mediante l’utilizzo di un acidimetro nelle sole aziende che lo avevano in dotazione. i parametri tecnologici e le relative annotazioni rilevati durante ogni processo di caseificazione sperimentale sono stati registrati nella scheda tecnica di lavorazione presentata al punto 6.3. Presso ciascun caseificio, nel corso delle lavorazioni monitorate, è stato effettuato il prelievo di campioni di latte al fine di verificarne la qualità igienico-sanitaria. tali campioni sono stati immediatamente congelati in azoto liquido con la finalità di limitare le possibili alterazioni delle caratteristiche biologiche del prodotto.

3.risuLTaTi 3.1 analisi della realtà produttiva al progetto hanno partecipato 14 aziende agricole, aderenti al “consorzio per la tutela della formaggella del luinese doP”, di cui 13 dotate di caseificio aziendale. la totalità degli allevamenti e dei caseifici è situata nella fascia prealpina della Provincia di Varese, ovvero nei territori di competenza delle comunità montane Valli del Verbano e del Piambello, ad un’altitudine compresa tra 400 e 1300 m s.l.m.. le aziende sono tutte di piccole dimensioni, costituite da un numero di capi allevati variabile da 20 a 150. in ambiente montano è allevata principalmente la razza autoctona nera di Verzasca, mentre in collina e pianura prevalgono le razze gentili, camosciata delle alpi e Saanen. i sistemi gestionali e alimentari si differenziano a seconda del territorio in cui è collocata l’azienda: in montagna predomina il modello di allevamento estensivo, basato sull’utilizzo del pascolo e dell’alpeggio quali elementi

18 Varese Ferm

cardine del sistema alimentare; in collina e pianura prevale il modello semiintensivo fondato sull’utilizzo razionale del pascolo associato all’integrazione alimentare in stalla con fieni e concentrati. il reddito principale degli allevatori deriva dalla trasformazione aziendale o dalla vendita del latte prodotto a caseifici locali. le quantità di latte caprino lavorate giornalmente da ciascun caseificio aziendale sono comprese tra i 60 e i 400 litri. la trasformazione del latte è orientata in particolar modo alla produzione di formaggella del luinese doP, ma anche ad altre tipologie di prodotto a coagulazione presamica e a coagulazione lattica, ottenute sempre a partire da latte caprino crudo. la maggior parte dei processi di caseificazione avviene in caseifici autorizzati a norma del reg. ce 852/2004, idonei alla vendita diretta ai sensi dell’art. 2 l.283/62. la stagionatura dei formaggi avviene per lo più in cantine naturali (a temperatura e umidità relativa variabili) e solo in alcune aziende e, in particolar modo, nei 3 caseifici di maggiori dimensioni, ha luogo in celle di stagionatura ad atmosfera controllata. la vendita dei prodotti generalmente è diretta, in azienda o nei mercati; in alcuni casi i prodotti sono venduti alla grande distribuzione organizzata oppure a negozi e ristoranti. al fine di monitorare la tecnologia applicata nelle diverse realtà aziendali che hanno aderito al progetto, sono state raccolte informazioni relative alla modalità di svolgimento delle singole operazioni mediante un apposito questionario (vedi punto 6.2). dalla compilazione dei questionari è stata ricavata una scheda tecnologica che è stata poi compilata nelle successive caseificazioni sperimentali (vedi punto 6.3). 3.2 Caseificazioni senza impiego di innesto Presso 14 aziende produttrici di formaggella del luinese sono state effettuate 36 caseificazioni sperimentali senza impiego di alcuna tipologia di innesto. tali lavorazioni sono state concentrate nei mesi di aprile, luglio e settembre che, dal punto di vista scientifico, rappresentano le fasi più significative dell’allevamento caprino corrispondendo rispettivamente al picco di lattazione, alla fase di massima produzione e allo stadio di fine lattazione. in alcuni periodi, il numero delle lavorazioni si è ridotto notevolmente in seguito all’asciugatura precoce degli animali negli allevamenti di montagna. durante le caseificazioni sperimentali si è proceduto al rilevamento dei principali parametri chimico-fisici del latte e della cagliata e al monitoraggio dei parametri tecnologici. Si è inoltre analizzata la qualità microbiologica del latte crudo, per verificare la possibilità di produrre formaggio senza ricorrere all’impiego di microrganismi che indirizzino i processi di fermentazione. 3.2.1 Parametri tecnologici le caseificazioni sperimentali senza impiego di innesti sono state eseguite su ridotti quantitativi di latte (20 litri), senza l’ausilio di miscele commerciali di colture starter e in ambienti e con strumenti non usuali al fine di limitare il più possibile la contaminazione del latte e del formaggio da parte di microrganismi non autoctoni. Queste condizioni hanno indubbiamente costretto i casari a prestare maggiore attenzione alla tecnologia di lavorazione e spesso a doverla modificare, talvolta con difficoltà. Acidità del latte il pH del latte è stato misurato in tutte le aziende per ciascun proces-

19 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


°C

20 Varese Ferm

minuti

Coagulazione e rottura del coagulo la durata della fase di coagulazione, così come la temperatura, la consistenza e la rottura del coagulo, oltre ad essere misure fondamentali per l’intero processo di caseificazione, sono parametri regolati dal disciplinare di produzione della formaggella del luinese d.o.P. e, pertanto, variabili entro i limiti imposti dal suddetto documento. in particolare la fase di coagulazione deve avvenire tra 32 e 34°c in un arco temporale compreso tra i 30 e i 40 minuti. la rottura della cagliata deve essere eseguita in seguito al raggiungimento di una consistenza del coagulo di intensità medio-forte. il processo di rottura della cagliata deve comportare il raggiungimento di una grana fine tendente a chicco di mais. nelle seguenti figure 2 e 3 sono riportati i parametri rilevati per quanto concerne la temperatura e il tempo di coagulazione, dato dalla sommatoria del tempo di presa (rappresentato dal tempo 36,0 che intercorre tra l’aggiunte del caglio e la visualizzazione del passaggio da sol a 35,0 gel generalmente valutata al tatto) e il tempo di indurimento. la temperatura ri34,0 portata è quella rilevata attraverso la son33,0 da annessa al pH-metro. i valori al di fuori dei limiti imposti dal disciplinare sono da 32,0 attribuirsi allo scostamento tra i valori re31,0 gistrati da tale sonda e quelli rilevati per mezzo dei termometri aziendali. 30,0 Per quanto concerne il tempo di coagulaAPRIle luglIo SettembRe zione, invece, occorre notare che il limite Fig.2 temPeratura di coaGulazione rileVata nelle caSeificazioni eSeGuite imposto dal disciplinare di produzione, Senza imPieGo di inneSto (Valori medi ± dS) pari a 30-40 minuti, è stato superato in 6 casi su 14 caseificazioni eseguite ad aprile, come evidenziato dall’elevata variabilità dei dati (figura 3). causa di ciò è da ricercarsi soprattutto nell’utilizzo di cagli liquidi di vitello poco attivi che, se non utilizzati in quantitativi quasi doppi rispetto a cagli attivi, a parità di titolo, comportano tempi di coagulazione anche superiori all’ora. in alcuni casi il prolungamento del tempo di coagulazione, è dovuto al raffreddamento del latte durante il processo di coagulazione che comporta un rallentamento dell’attività dell’enzima.

l’attività del caglio, difatti, è il fattore che maggiormente influenza il tempo di coagulazione, composto dal tempo di presa e dal tempo di indurimento. il tempo di indurimento a sua volta è funzione del tempo di presa, e il rapporto tra questi due parametri determina la tipologia di pasta del formaggio che si otterrà dal processo di caseificazione. Più il coefficiente che si ottiene dal suddetto rapporto è basso, più il formaggio derivante dalla caseificazione in questione avrà una pasta dura. Viceversa, più tale rapporto è elevato, più si otterrà un formaggio a pasta molle. il rapporto tra tempo di presa e tempo di indurimento varia generalmente da 0,3 a 5,0. nelle lavorazioni sperimentali eseguite senza impiego di innesto il rapporto tra il tempo di indurimento del coagulo e tempo di presa tempo di indurimento il tempo di presa è risultato essere molto 40 variabile con un range compreso tra 0,26 35 e 3,00. in una singola lavorazione si è ot30 tenuto un coefficiente pari a 7,00 dovuto 25 all’eccessivo dosaggio del caglio. 20 la consistenza del coagulo, valutata al tatto, è risultata essere di intensità me15 dio-forte in oltre il 90% delle lavorazioni. 10 in alcuni casi, in seguito al raffreddamen5 to della cagliata durante il processo di 0 coagulazione, si è ottenuta una cagliata APRIle luglIo SettembRe debole; in altri casi, in conseguenza ad un eccessivo dosaggio del caglio, la conFig.3 temPo di coaGulazione rileVato nelle caSeificazioni eSeGuite Senza imPieGo di inneSto (Valori medi ± dS) sistenza del coagulo presentava intensità forte. la rottura del coagulo, nella maggior parte dei casi, è risultata disomogenea; le dimensioni dei grani di cagliata, cioè, non erano uniformi e tendenti a chicco di mais come previsto, ma variavano da dimensioni pari a quelle di una nocciola alle dimensioni di un chicco di riso. ciò è dovuto al fatto che, per evitare la 50 contaminazione del latte con starter del 45 commercio, le lavorazioni sono state ef40 fettuate in ambienti e con attrezzature e 35 utensili non usuali. 30 in seguito alla rottura del coagulo, in pre25 senza di ambienti di lavorazione partico20 larmente freddi, è possibile effettuare 15 una fase di riscaldamento della caglia10 ta fino ad una temperatura massima di 5 38°c seguita, o comunque subentrata, 0 da una fase di agitazione e da una di ripoAPRIle luglIo SettembRe so di circa 15 minuti ciascuna. al termine di queste operazioni avviene il Fig.4 temPeratura aPPlicata nella faSe di riScaldamento della caGliata nelle caSeificazioni Senza imPieGo di inneSto (Valori medi ± dS) processo di estrazione e formatura della cagliata. in conseguenza del fatto che le caseificazioni oggetto di studio sono avvenute al di fuori degli abituali locali di caseificazione e al fine di evitare problemi nel processo di sineresi, la fase di riscaldamento è stata eseguita in quasi tutti i processi di lavorazione (fig. 4). il tempo di riscaldamento è variato da 1 a 14 minuti ed ha comportato il raggiungimento di temperature comprese tra i 34 e i 39°c (fig.5). contemporaneamente ed in seguito alla fase di riscaldamento, in tutte °C

ph

so di caseificazione in coincidenza delle 7,00 seguenti fasi di lavorazione: immissione del latte in caldaia, maturazione del latte, rottura del coagulo ed estrazione e for6,50 matura della cagliata. i parametri relativi al latte di massa, salvo 6,00 alcune eccezioni dovute a scompensi alimentari (latti iperacidi) oppure a latti ma5,50 stitici o di fine lattazione (latti ipoacidi), rientrano nei valori standard compresi tra 6,50 e 6,70. analizzando per singole 5,00 APRIle luglIo SettembRe aziende i valori di pH rilevati nel latte di massa, si può notare come, nel corso Valori di pH del latte, miSurato nel momento dell’immiSSione in caldaia, della lattazione, si susseguano inaspet- Fig.1 nel corSo della lattazione (Valori medi ± dS) tate variazioni di tale parametro, dovute presumibilmente a squilibri alimentari degli animali al pascolo in seguito alla variazione dei circuiti di pascolamento o a modifiche nella dieta di capre allevate con metodi semi-intensivi.

21 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


minuti

le caseificazioni sperimentali è stata ef12 fettuata l’agitazione o spinatura manuale della cagliata per un tempo compreso tra 10 i 2 e i 28 minuti, seguita da una fase di 8 riposo sotto siero di durata variabile da 1 a 13 minuti. la variabilità temporale di 6 quest’ultima fase è influenzata dalla tecnica di estrazione e formatura della ca4 gliata. tempi brevi sono spesso associati 2 ad una fase di estrazione di circa un terzo del siero, seguita dall’estrazione di una 0 APRIle luglIo SettembRe cagliata parzialmente depositata. tempi lunghi, invece, sono associati temPo di riScaldamento della caGliata rileVato nelle caSeificazioni all’estrazione di una cagliata ben deposi- Fig.5 Senza imPieGo di inneSto (Valori medi ± dS) ta sul fondo della caldaia, generalmente non preceduta dall’estrazione del siero che viene direttamente riscaldato per la produzione della ricotta. in seguito alla formatura della cagliata è ammessa una stufatura blanda, attuata, vista la stagione estiva, solo nelle giornate particolarmente fredde. 3.2.2 Analisi microbiologiche Latte nel processo di caseificazione un’eccessiva contaminazione batterica a carico di microrganismi psicrotrofi, per la maggior parte anticaseari, può costituire un problema sia per la competizione operata nei confronti dei microrganismi filocaseari che per eventuali alterazioni, anche gravi, delle caratteristiche dei prodotti, indotte dallo sviluppo di questi batteri e dalla presenza di loro enzimi proteolitici o lipolitici. il latte destinato alla produzione di formaggella del luinese doP senza impiego di innesto ha evidenziato una qualità microbiologica pienamente soddisfacente. la carica Batterica Standard (cBS) dei campioni analizzati è risultata mediamente pari a 5,53 log10 ufc/ml (±0,40), valore inferiore al limite di 500.000 ufc/ml previsto per la fabbricazione di prodotti a latte crudo di capra mediante un processo che non comporta alcun trattamento termico (reG. ce n. 853/2004). la presenza di coliformi è risultata sempre sufficientemente contenuta, con un valore medio pari a 2,94 log10 ufc/ml (±1,07). Questi microrganismi, la cui presenza in numero eccessivo è da attribuirsi ad insufficienti condizioni igieniche degli animali e/o delle operazioni di mungitura e lavaggio degli impianti, sono considerati fortemente anticaseari poiché dotati di una notevole azione fermentativa che, se non contrastata dall’azione acidificante operata dai batteri lattici, può determinare, oltre al sapore amaro, il “gonfiore precoce” del formaggio (mucchetti e neviani, 2006). oltre a ciò, la presenza di coliformi nel latte può comportare ulteriori complicazioni durante i processi di stagionatura del formaggio, poiché, nonostante siano microrganismi termosensibili, successivamente alla lisi cellulare liberano enzimi proteolitici e lipolitici termoresistenti. Escherichia coli, potenziale microrganismo patogeno, appartenente al gruppo dei coliformi, è risultato sempre inferiore a 100 ufc/ml, mentre gli stafilococchi coagulasi positivi, spesso non rilevati, hanno presentato un valore medio pari a 2,33 log10 ufc/ml (±0,46). i corrispondenti campioni di cagliata e formaggio sono quindi stati esaminati e descritti in termini di popolazioni presenti: batteri lattici nelle diverse componenti (mesofili e termofili, cocchi e bastoncini, enterococchi) e batteri propionici.

22 Varese Ferm

Cagliate e formaggio i batteri lattici in tutte le forme analizzate sono risultati presenti in basso numero nelle cagliate, mentre hanno raggiunto valori paragonabili alle caseificazioni con impiego di innesto nel formaggio a circa 20 giorni di stagionatura (tabelle 1,2 e 5). nelle cagliate i cocchi, mesofili e termofili, rappresentano il gruppo più numeroso, confermando l’importanza di questi batteri nelle prime fasi del processo di caseificazione della formaggella del luinese. Per quanto riguarda la componente bastoncellare, le forme mesofile prevalgono su quelle termofile (valore medio 4,64 vs 3,78 log10 ufc/g). l’analisi microbiologica delle cagliate evidenzia anche la presenza di enterococchi e di batteri propionici, in numero paragonabile a quello rilevato nei formaggi a latte crudo. diversamente da quanto osservato per le cagliate, nel formaggio a 30 giorni di maturazione i batteri lattici sono presenti in concentrazioni che poco si discostano da quelli rilevati in presenza di lattoinnesto (vedi tabella 5) risultando compresi tra 5,80 log10 ufc/g (±0,83) in mrS agar a 45 °c (bastoncini termofili) e 7,61 log10 ufc/g (±0,64) in m17 agar a 30 °c (cocchi mesofili). Gli enterococchi nel passaggio da cagliata a formaggio aumentano di circa tre cicli logaritmici, come osservato per altri formaggi (morandi et al. 2011) mentre i batteri propionici rimangono costanti, con valori mediamente inferiori a 1000 ufc/g. Quest’ultimi, oltre a produrre un’occhiatura caratteristica, grazie al loro notevole potere lipolitico liberano dal grasso del latte acidi grassi in notevole quantità; inoltre, con metabolismi collaterali, modificano gli acidi grassi stessi formando composti minori ed acidi grassi volatili, che impartiscono tipici aromi ai prodotti caseari. i formaggi ottenuti dalle caseificazioni senza impiego di innesto hanno presentato, in numerosi casi, evidenti difetti, occhiature eccessive con compromissione della struttura del formaggio, sapore molto acido, sapore amaro, note aromatiche intense di animale, di letame ecc. Per questo motivo, limitatamente a questa tipologia di lavorazione, si è proceduto ad un assaggio in gruppo seguito da una discussione. Cagliate

media

ds

cocchi mesofili (m17 30 °c)

5,09

0,63

cocchi termofili (m17 45 °c)

4,52

0,98

lattobacilli mesofili (mrS 30 °c)

4,64

0,72

lattobacilli termofili (mrS 45 °c)

3,78

1,02

enterococchi

3,37

0,6

Batteri Propionici

2,67

0,8

Tab.1 ProVe di caSeificazione Senza imPieGo di inneSto: analiSi microBioloGica dei camPioni di caGliata (Valori eSPreSSi come loG10 ufc/g)

Formaggio

media

ds

cocchi mesofili (m17 30 °c)

7,61

0,64

cocchi termofili (m17 45 °c)

6,71

1,04

lattobacilli mesofili (mrS 30 °c)

7,60

0,46

lattobacilli termofili (mrS 45 °c)

5,80

0,83

enterococchi

6,10

0,76

Batteri Propionici

2,72

0,75

Tab.2 ProVe di caSeificazione Senza imPieGo di inneSto: analiSi microBioloGica dei camPioni di formaGGio a 30 Giorni di StaGionatura. (Valori eSPreSSi come loG10 ufc/g)

23 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


Acidità del latte e del lattoinnesto il pH del latte e del lattoinnesto aziendale è stato misurato da ciascuna azienda per ogni singola lavorazione. la misurazione di tale parametro è stata subordinata alla dotazione aziendale di strumenti atti a rilevare il pH e/o l’acidità di titolazione del latte e del lattoinnesto aziendale. laddove non è stato possibile misurare il pH, è stata rilevata l’acidità di titolazione espressa in gradi SH/50 ml. in 3 aziende non è stato possibile valutare l’acidità in quanto tali aziende non sono dotate di alcun strumento di misurazione. i parametri relativi al latte di massa, salvo alcune eccezioni dovute a scompensi alimentari (latti iperacidi) oppure a latti mastitici o di fine lattazione (latti ipoacidi), sono rientrati nei valori attesi sia di pH (compresi tra 6,50 e 6,70) che di acidità (2,50 – 3,00 °SH/50ml). e’ stato invece sempre possibile misurare il pH del lattoinnesto prodotto in azienda attraverso l’utilizzo di cartine di tornasole. la maggior parte dei lattoinnesti aziendali ha raggiunto al momento dell’uso il pH 4,8, ovvero il pH stabilito dal “protocollo di preparazione del lattoinnesto aziendale”. Solamente in un caso si è verificata la mancata acidificazione del latte in conseguenza ad un eccessivo raffreddamento dello stesso durante la fase di preparazione del lattoinnesto. Coagulazione e rottura del coagulo nelle figure 6 e 7 sono riportati i parametri rilevati nelle singole aziende per quanto concerne la temperatura e il tempo di coagulazione, dato dalla sommatoria tra il tempo di presa e il tempo di indurimento. la temperatura considerata è quella rilevata per mezzo dei termometri aziendali al momento dell’introduzione del caglio nel latte. nella maggior parte delle lavorazioni la temperatura di coagulazione è risultata conforme ai limiti imposti dal disciplinare di produzione della formaggella del luinese doP; solamente in due casi la temperatura di coagulazione ha volutamente raggiunto i 35°c, al fine di evitare un eccessivo successivo raffreddamento del coagulo e la conseguente minore intensità di coagulazione della cagliata. in un caso isolato, la temperatura del coagulo era inferiore ai 32°c a causa del locale di lavorazione troppo freddo. Per quanto concerne il tempo di coagulazione, invece, il limite di 30-40 minuti, imposto dal disciplinare di produzione, è stato superato solamente nel 18% delle lavorazioni monitorate.

24 Varese Ferm

°C

minuti

3.3.1 Parametri tecnologici

rispetto alla prima serie di lavorazioni 35,0 tale percentuale si è ridotta del 7% in seguito alla sostituzione dei cagli carat34,5 terizzati da debole attività. 34,0 come evidenziato nella figura 7 che riporta i dati relativi al solo mese di giugno, 33,5 il tempo di coagulazione è risultato molto variabile tra le aziende sia per quanto ri33,0 guarda la durata complessiva che per il 32,5 rapporto tra tempo di presa e tempo di rassodamento. 32,0 gIugno luglIo SettembRe il rapporto tra il tempo di indurimento del coagulo e il tempo di presa è risultato temPeratura di coaGulazione rileVata nelle caSeificazioni eSeGuite con compreso tra 0,22 e 2,50, intervallo cor- Fig.6 imPieGo di lattoinneSto aziendale (Valori medi ± dS) rispondente a quello riscontrabile nella produzione di formaggi duri e semiduri. la consistenza del coagulo nella magtemPo DI PReSA InDuRImento gior parte delle lavorazioni è risultata di 80 intensità medio-forte. 70 in alcuni casi, in seguito al raffredda60 mento della cagliata durante il processo di coagulazione, si è ottenuta una caglia50 10 ta debole; in altri casi, in conseguenza 44 40 ad un eccessivo dosaggio del caglio, la 30 consistenza del coagulo presentava for45 5 15 20 25 25 35 22 40 20 te intensità. 20 20 10 15 la rottura del coagulo è risultata gene10 10 10 10 0 ralmente piuttosto omogenea anche b C D e g h I l m n se i grani della cagliata presentavano Aziende dimensioni, variabili tra le varie aziende, Fig.7 temPo di coaGulazione rileVato nelle caSeificazioni eSeGuite con imPieGo di lattoinneSto aziendale nel meSe di GiuGno da una nocciola a un chicco di riso. l’omogeneità del taglio è dovuta al fatto che, nonostante le lavorazioni siano state effettuate in ambienti e con attrezzature e utensili non usuali, i casari hanno acquisito una maggiore esperienza in questa tipologia di lavorazioni rispetto alla prima fase del progetto Vareseferm. nella maggior parte delle lavorazioni sperimentali effettuate con l’impiego di lattoinnesto aziendale si è effettuato il riscaldamento della cagliata. in particolare, i processi di riscaldamento hanno avuto durata variabile tra 2 e 15 minuti e la temperatura raggiunta è variata da 31 a 38°c in funzione della temperatura degli ambienti 60,0 di lavorazione, risultando meno variabile nelle caseificazioni effettuate in luglio e 50,0 settembre (figure 8 e 9). in tutte le ca40,0 seificazioni sperimentali è stata effetuata l’agitazione manuale della cagliata per un 30,0 tempo compreso tra i 2 e i 15 minuti, seguita da una fase di riposo sotto siero di 20,0 durata variabile da 2 a 10 minuti. 10,0

Estrazione della cagliata e formatura in seguito alla formatura della cagliata è ammessa una stufatura blanda, attuata, vista la stagione estiva, solo nelle giornate particolarmente fredde.

°C

3.3 Caseificazioni con lattoinnesto aziendale Presso 11 aziende aderenti al consorzio di tutela per la formaggella del luinese doP, nel periodo compreso tra inizio giugno e fine settembre 2009 sono state eseguite complessivamente 57 caseificazioni con impiego di lattoinnesto aziendale. il lattoinnesto utilizzato è stato preparato seguendo il protocollo riportato in appendice (6.1) stilato nel corso della prima parte del progetto VareSeferm. il lattoinnesto, preparato come descritto, veniva addizionato in caldaia solo in seguito alla verifica del valore di pH ottenuto e dell’assenza di odori sgradevoli derivanti da fermentazioni anomale. anche questa seconda serie di lavorazioni, come la precedente, è stata effettuata al di fuori dei tradizionali caseifici e con l’ausilio di utensili e attrezzatura non abituali, con la finalità di evitare la presenza dei batteri lattici commerciali abitualmente utilizzati dalle aziende e quindi potenzialmente presenti nell’ambiente e sulle attrezzature.

0,0 gIugno

luglIo

SettembRe

Fig.8 temPeratura aPPlicata nella faSe di riScaldamento della caGliata nelle caSeificazioni eSeGuite con imPieGo di lattoinneSto aziendale (Valori medi ± dS)

25 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


3.3.2 Analisi microbiologiche 12,0

log10 uFC/ml

minuti

Latte 10,0 analogamente a quanto previsto per la 8,0 serie di caseificazioni eseguite senza impiego di innesto, sui campioni di latte 6,0 prelevati in caldaia nelle 57 lavorazioni 4,0 che hanno previsto l’uso di un lattoinnesto preparato in azienda sono state 2,0 effettuate le stesse determinazioni microbiologiche volte a definire la qualità 0,0 gIugno luglIo SettembRe igienico-sanitaria del latte lavorato. a queste analisi, a seguito dell’esito non temPo di riScaldamento della caGliata rileVato nelle caSeificazioni eSesoddisfacente della serie di caseificazioni Fig.9 Guite con imPieGo di lattoinneSto aziendale (Valori medi ± dS) effettuate senza impiego di alcun innesto, si è deciso di aggiungere la determinazione dei batteri psicrotrofi, batteri in grado di produrre enzimi proteolitici e lipolitici il cui sviluppo, se non controllato, può comportare l’insorgere di difetti nel formaggio. la popolazione microbica del latte subisce inevitabilmente una modificazione durante il periodo di conservazione in tank, anche nel caso di latte refrigerato conformemente a quanto previsto dalla legislazione. i microrganismi, infatti, sono in grado di moltiplicarsi nel corso della conservazione del latte con una velocità che è in funzione della temperatura. nel corso del loro sviluppo tali microrganismi potranno agire sui costituenti principali del latte, cioè proteine, zuccheri e grassi, alterandone quindi la composizione e creando problemi sia per la sua trasformazione sia per il suo impiego alimentare (Jayarao et al 2004). Queste modificazioni avvengono soprattutto ad opera dei microrganismi psicrotrofi, ossia in grado di moltiplicarsi a temperature di refrigerazione (<7°c); il contenuto di questi batteri, in condizioni ideali, rappresenta meno del 10% della microflora totale, ma può facilmente aumentare ed addirittura prendere il sopravvento grazie alla loro capacità di resistere e proliferare alle basse temperature (Gehringer G., 1980). i dati analitici confermano quanto precedentemente osservato, ossia che ll latte destinato alla produzione di formaggella del luinese è caratterizzato da una soddisfacente qualità igienico-sanitaria. la carica Batterica Standard (cBS) dei campioni analizzati è risultata mediamente pari a 4,69 log10 ufc/ml (±0,86), valore inferiore a quello rilevato nelle prime prove. il contenuto di batteri psicrotrofi ha presentato un valore medio pari a 4,12 log10 ufc/ml (±0,88) CARICA bAtteRICA PSICRotRoFI ed in alcuni casi particolarmente elevato 7,00 in relazione alla carica batterica (fig. 10). 6,00 tali valori possono giustificare i problemi di acidificazione durante la prepa5,00 razione del lattoinnesto aziendale e gli 4,00 odori sgradevoli che talvolta si sono ri3,00 scontrati in alcuni formaggi al termine 2,00 della stagionatura. i coliformi rilevati con un valore medio 1,00 pari a 2,72 log10 ufc/ml (±0,75), evi0,00 denziano una buona pulizia degli animali b C e F g h I m n P q ed il corretto svolgimento delle operazioni legate mungitura; Escherichia coli Fig.10 carica Batterica e Batteri PSicrotrofi nei camPioni di latte nel corSo della lattazione. (Valori medi ± dS) in un unico caso è risultato superare

26 Varese Ferm

le 100 ufc/ml, con un valore comunque contenuto (2,12 log10 ufc/ml (±0,38). anche le caratteristiche sanitarie degli allevamenti, in relazione al contenuto di stafilococchi coagulasi positivi, sono risultate soddisfacenti con due soli casi in cui il contenuto di questi batteri è risultato > 1000 ufc/ml. Lattoinnesto il ruolo acidificante dei batteri lattici, presenti naturalmente nel latte o aggiunti con gli innesti, è certamente la caratteristica più importante di questi microrganismi. infatti, poiché la maggior parte dei difetti in caseificazione è da imputarsi, direttamente o indirettamente, ad un difetto di acidificazione nel corso delle prime tappe di produzione, il principale ruolo dei batteri lattici è la trasformazione del lattosio in acido lattico. l’acidità prodotta interviene infatti nella contrazione della cagliata, favorendo così lo spurgo e l’eliminazione del siero, ma agisce inibendo lo sviluppo di batteri patogeni e anticaseari, che possono creare problemi alla produzione. da qui l’importanza di descrivere la microflora lattica presente nei lattoinnesti preparati nelle singole aziende in termini quali-quantitativi, analogamente a quanto fatto in precedenza per l’analisi di cagliate e formaggio. Seppure i batteri lattici siano presenti con numeri importanti nelle forme cocciche come in quelle bastoncellari, il loro contenuto è risultato molto variabile tra un campione e l’altro (tab. 3). innesto

media

ds

cocchi mesofili (m17 30 °c)

7,92

1,02

cocchi termofili (m17 45 °c)

7,81

1,03

lattobacilli mesofili (mrS 30 °c)

7,36

1,18

lattobacilli termofili (mrS 45 °c)

7,32

1,18

enterococchi

4,30

1,37

Batteri lattici eterofermentanti obbligati

1,40

1,08

Batteri Propionici

2,68

1,02

Tab.3 analiSi microBioloGica dei camPioni di lattoinneSto PreParato in azienda (Valori eSPreSSi come loG10 ufc/ml)

interessante notare la presenza, con valore medio pari a 4,30 log10 ufc/ ml (±1,37), degli enterococchi, batteri tipicamente presenti nei formaggi a latte crudo, caratterizzati da una elevata termoresistenza, una capacità di sviluppo in un ampio intervallo di temperatura e una particolare capacità di adattamento alla tecnologia di produzione (morandi et al. 2006). i batteri lattici eterofermentati obbligati, come atteso, erano presenti con valori molto modesti (1,40 log10 ufc/ml (±1,08) mentre inaspettatamente si è rilevata una presenza di batteri propionici talvolta superiore a 1000 ufc/ml. Per 7 aziende si è scelto valutare in parallelo le performances dei singoli lattoinnesti attraverso la curva di acidificazione ottenuta nell’arco di 24 ore in latte crudo caprino inoculato in ragione dell’1% del lattoinnesto in esame (fig. 11). Pur evidenziando tra i lattoinnesti che hanno raggiunto l’acidità prefissata una discreta variabilità, sia in termini di composizione sia di attività acidificante, la maggior parte di essi è stata caratterizzata da una simile funzionalità tecnologica con produzione di cagliate che non si differenziavano particolarmente né per aroma, né per struttura.

27 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


ph

in alcuni casi si sono evidenziati problemi 7 h di acidificazione conseguenti ad un non idoneo sviluppo dei batteri lattici correla6,5 I bile ad elevati valori di pH degli innesti. 6 m a seguito della difficoltà evidenziata da alcuni produttori nell’ottenere un lattoin5,5 C nesto con un buon sviluppo batterico, sufficientemente acido da poter preveni5 n re problemi in fase di caseificazione, si è 4,5 e riprodotta in laboratorio la produzione di o lattoinnesto a partire dal latte di ciascun 4 0,00 2,00 4,00 6,00 8,00 10,00 12,00 14,00 16,00 18,00 produttore seguendo il protocollo propooRe sto. Per 3 produttori su 7 si sono evidenziati Fig.11 curVa di acidificazione relatiVa a latte crudo caPrino inoculato all’1% con 7 diVerSi lattoinneSti Prodotti in azienda problemi di acidificazione, a dimostrazione del fatto che un latte ricco di batteri psicrotrofi e povero di batteri lattici, quale quello in esame, non è sempre in grado arricchirsi naturalmente di biotipi protecnologici. tale problematica, da quanto rilevato sino ad ora, potrebbe essere la causa dell’ottenimento di formaggelle del luinese sperimentali con odori sgradevoli o dalle caratteristiche non conformi a quanto riportato nel disciplinare di Produzione. Cagliata nelle cagliate corrispondenti alle caseificazioni con impiego di lattoinnesto aziendale i batteri lattici erano presenti con valori superiori di circa due logaritmi rispetto alle cagliate in cui non era stato aggiunto alcun innesto confermando, nel contesto produttivo oggetto di studio, l’importanza della presenza di una ricca microflora lattica nelle prima fasi del processo produttivo (tab. 4.). la componente coccica, sia mesofila che termofila, rappresenta il gruppo più numeroso (rispettivamente pari a 7,34 e 7,29 log10 ufc/g), seguita dalle forme bastoncellari termofile e mesofile (6,75 e 6,67 log10 ufc/g). enterococchi (4,58 log10 ufc/g), batteri lattici eterofermentanti obbligati (3,66 log10 ufc/g) e batteri propionici (2,44 log10 ufc/g) erano presenti con valori contenuti, tali da influenzare positivamente le caratteristiche sensoriali e non comportare occhiature eccessive o sapori anomali nel formaggio. Cagliate

media

ds

cocchi mesofili (m17 30 °c)

7,34

1,57

cocchi termofili (m17 45 °c)

7,29

1,62

lattobacilli mesofili (mrS 30 °c)

6,67

1,70

lattobacilli termofili (mrS 45 °c)

6,75

2,01

enterococchi

4,58

1,40

Batteri lattitici eterofermentanti obbligati

3,66

1,20

Batteri Propionici

2,44

0,54

Tab.4 ProVe di caSeificazione con imPieGo di lattoinneSto: analiSi microBioloGica dei camPioni di caGliata (Valori eSPreSSi come loG10 ufc/g)

Per quanto riguarda i corrispondenti campioni di formaggio si osserva, per tutte le componenti analizzate, un contenuto in batteri lattici non dissimile da quello rilevato nelle lavorazioni senza uso d’innesto, a conferma del fatto che l’innesto apportato in caldaia interviene in maniera significativa

28 Varese Ferm

nelle prime 24 ore del processo di caseificazione, per poi lasciare il posto ai biotipi batterici naturalmente presenti, anche in basso numero, nel latte crudo di partenza (tab. 2 e tab.5). Formaggio

media

ds

cocchi mesofili (m17 30 °c)

7,79

0,80

cocchi termofili (m17 45 °c)

6,84

1,37

lattobacilli mesofili (mrS 30 °c)

7,53

1,04

lattobacilli termofili (mrS 45 °c)

6,79

1,20

enterococchi

5,81

0,93

Batteri lattitici eterofermentanti obbligati

3,75

1,14

Batteri Propionici

2,60

0,78

Tab.5 ProVe di caSeificazione con imPieGo di lattoinneSto: analiSi microBioloGica dei camPioni di formaGGio a 30 Giorni di StaGionatura. (Valori eSPreSSi come loG10 ufc/g)

3.3.3 Analisi sensoriale la creazione e gestione di una banca di microrganismi autoctoni per la caratterizzazione di formaggi caprini delle Valli Varesine, in particolare per la formaggella del luinese, passa attraverso una fase di sperimentazione che prevede tra i punti fondamentali la valutazione sensoriale del formaggio. Per questo motivo è stato costituito un panel d’assaggio. Parte del gruppo di persone scelte a questo scopo, aveva già svolto in passato (periodo giugno 2002 – marzo 2003), sotto la guida del dott. B. morara, un lavoro finalizzato alla identificazione dei descrittori sensoriali, alla realizzazione della scheda di assaggio (scheda 1.00) ed al profilo sensoriale della formaggella del luinese. il panel, guidato da un panel leader, era costituito dagli stessi produttori (n.9), da un libero professionista e da un ricercatore. la formazione dei giudici che hanno fanno parte del panel si è svolta secondo un programma prestabilito che ha portato ciascun componente a saper descrivere il formaggio sottoposto ad assaggio in tutte le sue caratteristiche: odore, sapore, aroma, colore, struttura. di seguito sono riportati i risultati relativi alle sedute di assaggio dove sono state descritte le formaggelle del luinese con circa 30 giorni medi di stagionatura, prodotte senza l’ausilio di fermenti selezionati ma utilizzando, per ciascun produttore, il proprio lattoinnesto naturale realizzato secondo specifiche indicazioni. in relazione a questa fase della sperimentazione sono stati analizzati 45 formaggi; il panel è stato convocato per 5 sedute di addestramento e 5 di assaggio. Per ciascuna seduta d’assaggio, il panel ha descritto il formaggio utilizzando l’apposita scheda (6.4 allegato 1) ed i risultati sono stati trattati a livello statistico con l’analisi delle componenti principali. Questo metodo consente di raggruppare ed evidenziare a livello grafico quei formaggi che hanno alcune caratteristiche interessanti e che sono stati scelti per “recuperare” i fermenti da impiegare nella seconda parte della sperimentazione. le lettere riportate nei grafici indicano il produttore, le aree di colore diverso raggruppano i formaggi in base a quanto riportato nella legenda. i produttori esclusi dalle aree avevano presentato un formaggio con una o più caratteristiche non rientranti nel disciplinare. dalle sedute di assaggio effettuate in questa fase della sperimentazione e ben rappresentate dai risultati riportati nelle figure 12-16, sono state individuate le formaggelle del luinese interessanti sotto il profilo sensoriale (aree di colore giallo). il giudizio quali-quantitativo emerso dal trattamento dei dati relativi a parametri come l’intensità dell’aroma, i sapori dolce, amaro e acido, quelli strutturali quali l’adesività e l’elasticità hanno ben rappresentato in modo oggettivo le aspettative dei produttori nelle differenti prove.

29 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


3.4 studio della biodiversità della microflora lattica nella Formaggella del Luinese doP

Formaggella con caratteristiche interessanti

Formaggella con caratteristiche poco interessanti

ASSAggIo Del 08/09/09 - biplot (assi F1 e F2: 68,29%)

ASSAggIo Del 14/07/09 - biplot (assi F1 e F2: 58,36%)

10

10

5

L

5

Dol

el

F2 (23,20%)

0

AR

h

m

ASt AC

E

-5 -10 F1 (35,16%)

AD

SAl

d Am

-5

n

PIC

I

0

5

10

Fig.12 analiSi delle comPonenti PrinciPali (PrinciPal comPonent analySiS, Pca) relatiVa alla Seduta di aSSaGGio del 14/07/09

ASSAggIo Del 05/11/09 - biplot (assi F1 e F2: 77,26%)

oD AR

Am AD AC SAl

g

Dol I

-5

-10 -12 F1 (52,00%)

-7

-2

3

Sol

ASSAggIo Del 27/04/10 - PRoD. 16-19/03/10 - biplot (assi F1 e F2: 67,65%)

el

2

Am h

Dol

5

um

ASt

0

-2

3

Am n oD

ASt

PIC

0

SAl

Du

f

SAl

AD

I

AR

5

15

um

5

b I AD Am AC SAl ASt AR

el Sol h

Sol C

0

h

E

Dol

f

m

PIC

oD

F2 (26,61%)

F2 (18,83%)

10

10

-5

-10 -15 -10 F1 (43,31%)

f

oD

0

AD I

ASt

ASSAggIo Del 15/06/10 - biplot (assi F1 e F2: 75,27%)

um Dol el

AC

Am

-5 -10 -5 F1 (49,04%)

E

AR

Dol

AC

Fig.15 analiSi Pca relatiVa alla Seduta di aSSaGGio del 27/04/10

ASSAggIo Del 27/04/10 - PRoD. 22-27/03/10 - biplot (assi F1 e F2: 62,13%) 5

Du

um n el

C

8

Fig.14 analiSi Pca relatiVa alla Seduta di aSSaGGio del 05/11/09

m

g

F2 (18,61%)

oD C

-7

PIC

Sol h

Du

-8 -12 F1 (57,25%)

m

f

SAl AC I AR AD PIC

-3

-5

0

5

Fig.16 analiSi Pca relatiVa alla Seduta di aSSaGGio del 27/04/10

Varese Ferm

8

10

L

30

m ASt C Du

Fig.13 analiSi Pca relatiVa alla Seduta di aSSaGGio del 08/09/09

7

F2 (20,02%)

b

C

Du

Sol

um

0

oD

f

PIC

Sol h el um

L

F2 (16,28%)

b

g

10

-5

Du C

-10 -15 -10 F1 (48,66%)

-5

0

lo studio della biodiversità microbica presente in un formaggio a latte crudo rappresenta il primo e fondamentale passo per realizzare una caratterizzazione puntuale del prodotto e per l’individuazione di specifici biotipi potenzialmente utilizzabili come starter (quindi con la funzione di guidare le prime fasi della fermentazione) oppure come microrganismi secondari che esplicano la loro funzionalità nel proseguo del processo produttivo ossia durante la stagionatura del formaggio. l’introduzione di una pratica tecnologicamente innovativa, quale l’impiego di starter autoctoni, in un prodotto doP deve mantenerne inalterate le caratteristiche originarie. a partire da questa considerazione, gli starter formulati nel corso della sperimentazione hanno mirato semplicemente ad assicurare il buon andamento della fermentazione lattica, ridurre conseguentemente l’incidenza dei difetti e garantire i requisiti di sicurezza del formaggio senza alterarne quelle prerogative tipiche che sono espressione del legame con il territorio. la creazione di una banca di batteri lattici autoctoni e la creazione di innesti specifici locali, in alternativa a quelli del commercio attualmente utilizzati, rappresenta quindi una possibilità di sviluppo e di valorizzazione delle peculiarità del territorio locale. il progetto ha quindi previsto, a seguito dell’analisi quali-quantitativa dei principali gruppi di batteri lattici, un’ulteriore caratterizzazione microbiologica della formaggella del luinese. limitatamente ai 7 campioni di cagliata corrispondenti a formaggi con le migliori caratteristiche valutate dal gruppo di assaggio in termini di gradevolezza e di conformità al disciplinare di Produzione della formaggella del luinese doP, si è proceduto ad isolare i batteri lattici presenti in maggior numero e quindi potenzialmente responsabili del corretto andamento della fermentazione. dai diversi terreni colturali si sono complessivamente selezionati 50 ceppi di batteri lattici ad oggi inseriti nella collezione della Sede di milano dell’istituto di Scienze delle Produzioni alimentari del cnr.

5

10

Fig.17 analiSi Pca relatiVa alla Seduta di aSSaGGio del 15/06/10

15

3.4.1 Identificazione e caratterizzazione dei batteri lattici l’identificazione dei ceppi è stata condotta preliminarmente mediante la tecnica randomly amplified Polymorphic dna-Pcr (radP-Pcr) che consente di ottenere informazioni riguardo la collocazione tassonomica e di valutare la diversità all’interno delle specie. la reazione di raPd-Pcr è stata allestita con 3 diversi primer (tabella 6) e le condizioni di amplificazione applicate sono quelle riportate da andrighetto et al (2002) e morandi et al (2006). i 3 profili di amplificazione ottenuti sono stati elaborati mediante clustering uPGma (unweighted pair group method using arithmetic averages) utilizzando il software Bionumerics 5.1 (applied maths). l’identificazione così ottenuta è stata successivamente confermata mediante Pcr specie-specifica utilizzando le coppie di primer riportate in tabella 5 e le reazioni di Pcr sono state eseguite come precedentemente riportato da morandi et al (2011). Gli isolati per i quali non è stato possibile confermare l’identificazione mediante Pcr specie specifica sono stati sottoposti al sequenziamento di una porzione di circa 800 bp del gene 16S rrna, impiegando i primer universali P8fPl e P806r riportati in tabella 6 secondo la procedura riportata da Hosseini et al (2009). i prodotti di Pcr sono quindi stati sequenziati da Primm s.r.l. e le sequen-

31 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


ze ottenute confrontate con quelle disponibili nella Gene Bank del national center of Biotechnology information (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/ BlaSt). Per una miglior caratterizzazione i ceppi batterici sono stati inoltre sottoposti ad analisi mediante il sistema aPi 50 cHl (biomérieux) che, oltre a fornire informazioni tassonomiche sui ceppi batterici, ne descrive l’attività fermentativa. dei ceppi isolati sono state valutate la produzione di gas e la crescita a 10 e 45 °c. la caratterizzazione tecnologica dei ceppi in esame è stata fatta valutando l’attività acidificante, secondo quanto riportato da morandi et al (2011) e Brasca et al (2007). il potere acidificante dei singoli ceppi è stato espresso in relazione a tre diverse classi individuate in base all’andamento delle curve di pH nelle 24 ore: classe i, isolati con scarso potere acidificante (∆pH nell’arco di tempo di 6 e 24 ore < 1,5); classe ii, ceppi con medio potere acidificante (1,5 < ∆pH < 2,0) e classe iii, isolati con alto potere acidificante (∆pH > 2,0). Gli isolati batterici sono risultati appartenere a 10 diverse specie con prevalenza delle forme cocciche su quelle bastoncellari (tab. 7). in particolare, i 48 ceppi di forma coccica sono stati attribuiti a 8 diverse specie, mentre i 2 batteri lattici di forma bastoncellare sono risultati appartenere alle specie Lactobacillus paracasei subsp. paracasei e Lb. rhamnosus. un ceppo appartenente al genere Enterococcus, nonostante sia stato eseguito il sequenziamento parziale del gene 16S rrna, è stato identificato solo a livello di genere. le specie più rappresentate sono risultate Lactococcus lactis subsp. lactis (14/50), Enterococcus faecium (11/50) e Streptococcus thermophilus (6/50). la predominanza del genere Enterococcus (25/50), presente in tre diverse specie (E. durans, E. faecalis, E. faecium), è stata riportata anche in precedenti lavori riguardanti formaggi vaccini a latte crudo (Giraffa 2003; Brasca et al 2006; morandi et al 2010; morandi et al 2011). la tipizzazione dei ceppi, eseguita mediante raPd Pcr, evidenzia il ritrovamento degli stessi biotipi in campioni di diversa origine: i ceppi con una similitudine superiore al 90% sono da ritenersi uguali (figura 18). analizzando i dati relativi alle temperature di crescita, è interessante notare come 11 ceppi su 14 di Lc. lactis subsp. lactis sono in grado di crescere a 45 °c, Leuconostoc citreum diversamente da Ln. mesenteroides è in grado di svilupparsi a 10 °c, mentre Lactobacillus rhamnosus e Lb. paracasei subsp. paracasei non sono in grado di svilupparsi né a 45 °c né a 15 °c.

32 Varese Ferm

Target Enterococcus faecalis

Primer fae-fw fae-rev

sequenza (5’ to 3’) cGctaGGctccattGataGc cGGttGGGtcttGatcactt

bibliografia morandi et al 2010

Enterococcus faecium

fum-fw fum-rev

cGGaGactacacaatttGttttt cGGttGGGttttGatcctt

morandi et al 2010

Enterococcus durans

dur-fw dur-rev

atttaGatcGGGGccttaGc GcGGtGttctcGGtttGtat

morandi et al 2010

Lactococcus lactis subsp. lactis

lac-fw lac-rev lGa-fw lGa-rev

tcttGattGtGGGGccttaG tcacaGGttttGGtttatttatcG ccttaGctcaGctGGGaGaG ttcGcaGctttacaGaaatGtt

morandi et al 2010

Streptococcus thermophilus

St-fw St-rev

cactatGctcaGaataca cGaacaGcattGatGtta

lick et al 1996

Lactobacillus delbrueckii

deli delii

acGGatGGatGGaGaGcaGGcaG GcaaGtttGttctttcGaactcaactc

Van Hoorde et al 2008

Lactobacillus casei

Pri casii

caGactGaaaGtctGacGG GcGatGcGaatttctttttc

Walter et al 2000

Lactobacillus fermentum

lfpr fermii

GccGcctaaGGtGGGacaGat ctGatcGtaGatcaGtcaaG

Walter et al 2000

Lactobacillus paracasei subsp. paracasei Prii Pcas ii

caGactGaaaGtctGacGGacGG GcGatGcGaatttctttttctttc

Van Hoorde et al 2008

raPd-PCr

m13 d11344

GaGGGtGGcGGttct aGtGaattcGcGGtcaGatGcca

andrighetto et al 2002 andrighetto et al 2002

d8635

GaGcGGccaaaGGGaGcaGac

morandi et al 2006

p8fPl p806r

aGtttGatcctGGctcaG GGactaccaGGGtatctaat

Hosseini et al 2009

Lactococcus garvieae

sequencing

morandi et al 2010

Tab.6 PrimerS utilizzati Per l’identificazione e la tiPizzazione dei Batteri lattici iSolati dalle caGliate di formaGGella del luineSe

33 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


specie

n

Enterococcus durans Enterococcus faecalis Enterococcus faecium Enterococcus spp. Lactococcus garvieae Lactococcus lactis subsp. lactis Leuconostoc citreum Leuconostoc mesenteroides Streptococcus thermophilus Lactobacillus paracasei subsp. paracasei Lactobacillus rhamnosus

5 8 11 1 1 14 1 1 6 1 1

totale

50

Tab.7 Batteri lattici iSolati dai camPioni di caGliata ottenuti con imPieGo di lattoinneSto naturale

d11344

d86354

m13

ph

ph

% simiLiTudine

3.4.2. Formulazione delle miscele starter l’individuazione della composizione interspecifica maggiormente idonea per la creazione delle miscele starter è stata condotta scegliendo tra i ceppi precedentemente caratterizzati quelli che possedevamo le caratteristiche tecnologiche più dissimili ed interessanti. a partire dalla considerazione che per questo tipo di formaggio l’innesto deve essere costituito, così come previsto dal disciplinare di produzione, in prevalenza da batteri lattici termofili, con possibile aggiunta di piccole dosi di ceppi mesofili, e che gli enterococchi non costituiscono un genere d’elezione per il corretto avvio della fermentazione nei formaggi a latte crudo, si è focalizzata l’attenzione sulle specie St. thermophilus e Lc. lactis subsp. lactis. la valutazione delll’attività acidificante dei ceppi appartenenti a queste due specie è stata valutata in latte di capra a 30 °c. all’interno del gruppo di St. thermophilus si è evidenziato un diverso comportamento: 2 ceppi erano deboli acidificanti entro le prime 6 ore di incubazione, ma esprimevano una forte attività dopo 24 h, 2 mostravano una media attività nelle prime 7 6 ore e forte dopo 24 ed uno solo era in grado di produrre un’acidificazione tale da 6,5 abbassare il pH di due unità già in 6 h 6 (fig.19). 5,5 anche i ceppi di Lc. lactis subsp. lactis sono caratterizzati da una diversa attività: 5 6 acidificano debolemente nelle prime 6 4,5 ore e solo mediamente dopo 24; 2 abbas4 sano il pH di 1,5 unità dopo 6 ore e non acidificano ulteriormente, 1 risulta medio 3,5 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200 1300 1400 acidificante dopo 6 ore e forte dopo 24 min ore ed solo 1 esprime una forte attività Fig.19 curVe di acidificazione dei 6 cePPi di S. ThERMOPhILUS in latte a 37 °c (in già dopo 6 ore (fig.20) GraSSetto i cePPi cHe Sono Stati Scelti Per la formulazione delle miScele) numerosi studi mostrano che, in coltura su latte, si ottiene spesso una notevole stimolazione della produzione di acido lattico quando vengono associati batteri lattici diversi: i lattobacilli 7 termofili ed i lattococchi mesofili esercitano un marcato effetto stimolante sulla 6,5 produzione di acido da parte di St. ther6 mophilus; quest’ ultimo a sua volta può 5,5 esercitare un forte effetto stimolante sulla produzione di acido da parte di cer5 ti lattobacilli, quali Lb. delbrueckii subsp. 4,5 bulgaricus, Lb. delbrueckii subsp. lactis; 4 Lb. helveticus e St. thermophilus possono stimolare i lattococchi. 3,5 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200 1300 1400 nell’allestire colture starter per la produmin zione di formaggi risulta quindi necessario tenere conto di eventuali rapporti di Fig.20 curVe di acidificazione dei 14 cePPi di LC. LACTIS SuBSP. LACTIS in latte a 37 °c. (in GraSSetto i cePPi cHe Sono Stati Scelti Per la formulazione delle miScele) protocooperazione piuttosto che di competizione e/o inibizione i quali influenzano significativamente la buona acidificazione e il corretto drenaggio del siero. Per poter eseguire un significativo numero di prove in tempi ristretti, si è effettuata una prima verifica con prove pilota in laboratorio, mettendo a confronto diverse formulazioni, scegliendo i ceppi che presentavano le migliori caratteristiche per capacità di acidificazione e capacità aromatizzante. Si sono quindi inizialmente messe a confronto 11 miscele composte da 2 ceppi ciascuna e formulate in modo da ottenere una sufficiente acidifica-

Fig.18 diVerSità GenotiPica, Valutata mediante cluSter analySiS dei Profili raPd-Pcr, dei Batteri lattici iSolati dai camPioni di caGliata ottenuti con imPieGo di lattoinneSto naturale

34 Varese Ferm

35 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


3.5 Caseificazioni sperimentali con le miscele di fermenti autoctoni

Prova

Lc. lactis subsp. lactis

St. thermophilus

Composizione (%)

inoculo (%)

1

lu 20

lu 120

45-55

1

2

lu 20

lu 120

10-90

1

3

lu 41

lu 88

30-70

0,5

4

lu 41

lu 102

30-70

0,5

5

lu 20

lu 26

30-70

1

6

lu 20

lu 26

30-70

0,5

7

lu 20

lu 120

30-70

1

8

lu 20

lu 120

30-70

0,5

9

lu 20

lu 120

30-70

0,1

10

lu 41

lu 102

20-80

0,5

11

lu 41

lu 102

40-60

0,5

Tab.8 comPoSizione delle miScele Starter Preliminarmente teState in laBoratorio

ph

7 come si può osservare in figura 21 la prova 7 è quella in cui si è ottenuta la 6,5 maggior velocità di acidificazione con il 6 raggiungimento del pH minimo in sei ore. le prove 4 e 10, che prevedevano l’mpie5,5 go della stessa coppia di ceppi con diver5 sa percentuale di inoculo, raggiungono, 4,5 anche dopo 24 ore di incubazione, i valori inferiori di acidità (pH 4,82). 4 la curva di acidificazione relativa alla pro3,5 va 11 evidenzia una iniziale lenta acidifi0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 min cazione che raggiunge solo dopo 18 ore valori di pH simili a quelli raggiunti nelle Fig.21 curVe di acidificazione delle 11 miScele Starter in latte a 37 °c. (in GraSSetto le ProVe cHe Sono State Scelte Per le SucceSSiVe ProVe in caSeificio) altre prove. in base ai risultati ottenuti si è scelto di eseguire prove di caseificazione nei caseifici coinvolti: 1) con le miscele e le relative concentrazioni d’uso delle prove 1 e 2 che si sono dimostrate in grado di acidificare velocemente il latte in quanto valutate potenzialmente molto utili nei casi in cui la materia prima latte non presenti ottime caratteristiche igienico-sanitarie o sia povero di batteri lattici; un’acidificazione spinta nelle prime ore è in grado di contrastare lo sviluppo della microflora anticasearia che altrimenti potrebbe prendere il sopravvento. occorreva però verificare che tali miscele, non comportassero in caldaia una eccessiva acidificazione con conseguente anomalo spurgo della cagliata e quindi difetti di sfoglia nelle forme. 2) con le formulazioni e le concentrazioni adottate nelle prove 4,5,6, e 8 che hanno dato luogo ad una buona acidificazione non troppo spinta.

36 Varese Ferm

le 6 miscele di fermenti autoctoni individuate a seguito delle prove eseguite in laboratorio sono state successivamente valutate in caseificazioni sperimentali effettuate nei periodi compresi tra il 2 luglio e il 6 ottobre 2010 e tra il 24 febbraio e il 12 maggio 2011. Si sono programmate prove ripetute nel corso della lattazione e nelle diverse condizioni climatiche al fine di valutare l’efficacia dell’introduzione delle miscele sopra citate nel latte prodotto in tutti i differenti stadi fisiologici che caratterizzano la curva di lattazione caprina. le 6 formulazioni sono state distribuite sotto forma di lattocolture agli 8 produttori che hanno aderito a questa parte del progetto in quantitativi idonei al volume di latte lavorato ed utilizzate in parallelo ad una lavorazione condotta con la tecnologia normalmente in uso (impiego di lattoinnesto naturale o fermenti del commercio) considerata lavorazione di controllo. Sono state eseguite complessivamente 31 lavorazioni sperimentali ed altrettante di controllo. ll confronto tra le due produzioni ha consentito di attribuire eventuali anomalie ad una non soddisfacente qualità microbiologica del latte di partenza o alla non corretta tecnologia applicata e quindi di valutare l’efficacia e l’idoneità delle miscele starter messe a punto. Sia la prova sperimentale che quella di controllo sono state eseguite negli ambienti di lavorazione usuali, seppure le miscele di fermenti autoctoni, nella maggior parte delle lavorazioni, sono state testate su quantitativi ridotti di latte (10 -20 litri). di seguito sono riportati i parametri delle lavorazioni sperimentali al fine di verificarne la corrispondenza con quanto previsto nel disciplinare di Produzione. 3.5.1 Parametri tecnologici Acidità del latte e dei lattoinnesti autoctoni il pH del latte è stato misurato in tutte le aziende per singola lavorazione in coincidenza di ciascuna delle seguenti fasi di lavorazione: immissione del latte in caldaia, maturazione del latte, rottura del coagulo ed estrazione e for7,10 matura della cagliata. 7,00 i parametri relativi al pH del latte di 6,90 massa, salvo alcune eccezioni dovute 6,80 a scompensi alimentari (latti iperacidi) 6,70 oppure a latti mastitici o di fine latta6,60 6,50 zione (latti ipoacidi), rientrano nei valori 6,40 standard compresi tra 6,50 e 6,70 (fig. 6,30 22), seppure si può notare il susseguirsi, 6,20 nel corso della lattazione, di inaspettate 6,10 variazioni di tale parametro, dovute pre2-8 lug. ‘10 27-29 lug.’10 15 Sett. 24 Feb. 5-12 mAg.’11 sumibilmente a squilibri alimentari degli 6 ott.’10 4 mAR.’11 animali al pascolo in seguito alla variazio- Fig.22 Valori di pH del latte miSurato nel momento dell’immiSSione in caldaia ne dei circuiti di pascolamento o a mo- (Valori medi ± dS) difiche nella dieta di capre allevate con metodi semi-intensivi. il pH dei lattoinnesti di fermenti autoctoni è stato misurato prima dell’aggiunta in caldaia; i valori osservati sono risultati compresi tra 4,70 e 4,90, con valori estremi di 3,70 (miscela 8) e 5,90 (miscela 4). ph

zione iniziale, in grado di contrastare lo sviluppo della microflora anticasearia presente nel latte crudo. tutte le miscele erano costituite da un ceppo di St. thermophilus (lu26, lu88, lu102, lu120) e uno di Lc. lactis subsp. lactis (lu20 e lu41) anche in diversi rapporti tra loro, inoculate con diverse percentuali di inoculo in latte sterile di capra incubato alla temperatura di 37 °c. in tutte le prove è stata monitorata in continuo la curva di acidificazione con acquisizione del valore di pH ogni 10 minuti per 24 ore.

37 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


min

3.5.2 Analisi microbiologiche Latte analogamente a quanto previsto nelle prove precedenti, durante le caseificazioni che prevedevano l’impiego di lattoinnesto autoctono sono stati prelevati campioni di latte in caldaia sui quali sono state svolte analisi finalizzate a verificarne la qualità igienico-sanitaria. analogamente a quanto osservato in precedenza, la carica batterica è risultata conforme a quanto previsto con un valore medio pari a 4,69 log10 ufc/ml (±1,05) e i batteri 38 Varese Ferm

psicrotrofi (valore medio pari a 4,12 log10 ufc/ml (±1,26) si confermano costituire la componente prevalente. il contenuto di coliformi era sempre modesto e pari a 2,45 log10 ufc/ml (±0,57) ed E. coli è sempre risultato inferiore a 100 ufc/ml. Gli stafilococchi coagulasi positivi, il cui contenuto medio è risultato pari a 2,91 log10 ufc/ml (±1,24), talvolta sono risultati presenti in numero superiore a 500 ufc/ml evidenziando la presenza di animali affetti da mastiti subcliniche nella mandria.

6,00 5,00 4,00 3,00

log10 (uFC/ml)

Coagulazione e rottura del coagulo la temperatura di coagulazione è risultata conforme ai limiti fissati dal disciplinare di produzione della formaggella del luinese doP, ad eccezione di 5 casi dove è risultata superiore ai 34°c, fino a casi isolati dove raggiunge i 37,8°c in seguito al mancato calcolo dell’aumento di temperatura per il fenomeno dell’inerzia termica. Per quanto concerne il tempo di coagulazione, invece, la durata stabilita dal disciplinare di produzione è stata superata nel 40% delle lavorazioni sperimentali monitorate. il prolungamento del tempo di coagulazione, conseguente un eccessivo tempo di presa, è dovuto al raffreddamento del latte durante il processo di coagulazione, che comporta un rallentamento dell’attività dell’enzima. Questo fenomeno si è verificato in particolar modo nei mesi di settembre e ottobre 2010 a causa del diminuire delle temperature ambientali e nel mese di luglio 2010 in seguito a problemi di attività del caglio. il rapporto tra il tempo di indurimento del coagulo e il tempo di presa compreso tra 0,21 e 2,62, indica che i formaggi ottenuti avranno una pasta tra il semiduro e il duro. la consitenza del coagulo nella maggior parte delle lavorazioni è risultata di intensità medio-forte. in alcuni casi, in conseguenza ad un eccessivo dosaggio del caglio, la consistenza del coagulo presentava intensità forte, mentre in rari casi, a conseguenza del raffreddamento della cagliata durante il processo di coagulazione, si è ottenuta una cagliata debole. la rottura del coagulo, nella maggior parte dei casi, è risultata piuttosto omogenea con le dimensioni dei grani di cagliata tendenti a quelle di un chicco di mais e/o di un chicco di riso. il riscaldamento della cagliata è avvenu14 to, come nelle precedenti lavorazioni con 12 impiego di lattoinnesto prodotto in azienda, nella maggior parte delle lavorazioni 10 sperimentali monitorate. 8 in particolare, i processi di riscaldamen6 to hanno avuto durata variabile tra 1 e 7 minuti (in un solo caso 15) e la tempe4 ratura raggiunta è variata da 33 a 36 °c 2 (in un caso 39,5 °c) a causa per lo più 0 di ambienti di lavorazione troppo freddi o 2-8 lug. ‘10 27-29 lug.’10 15 Sett. 24 Feb. 5-12 mAg.’11 di sistemi di riscaldamento delle caldaie 6 ott.’10 4 mAR.’11 troppo veloci. Fig.23 temPo di aGitazione manuale della caGliata (Valori medi ± dS) in tutte le caseificazioni sperimentali effettuate con miscele di fermenti autoctoni l’agitazione manuale della cagliata si è protratta per un tempo compreso tra i 3 e i 13 minuti (fig. 23), mentre la fase di riposo sotto siero è durata da 1 a 11 minuti.

2,00 1,00 0,00 CARICA bAtteRIA

PSICRotRoFI

Fig.24 carica Batterica Standard e Batteri PSicrotrofi nei camPioni di latte relatiVi alle ProVe con lattoinneSti autoctoni nel corSo della lattazione. (Valori medi ± dS)

Lattoinnesto autoctono i lattoinnesti autoctoni sono stati preparati a partire da latte di capra sterile con inoculo dei batteri autoctoni nelle proporzioni individuate nelle fasi precedenti, incubati a 37 °c fino al raggiungimento di pH 4.8 o per un tempo di 8 ore. l’analisi microbiologica di questi campioni ha avuto come unico scopo la verifica del corretto sviluppo dei batteri aggiunti. nelle condizioni sperimentali sopra descritte sia St. thermophilus che Lc. lactis subps. lactis sono risultati sempre presenti con numero minimo di 108 ufc/ml. il comportamento delle miscele in caldaia è apparso fortemente dipendente dalla qualità del latte in lavorazione e dalla tecnologia applicata. le prove eseguite con i batteri lattici autoctoni hanno evidenziato l’importanza dei singoli biotipi batterici inoculati e della concentrazione dell’inoculo stesso. la miscela 5, che differiva dalla 6 solo per il numero di cellule inoculate, è risultata, come la 8, in alcuni casi troppo acidificante, creando dei problemi di gessatura nel prodotto finito; nel contempo, in altri casi, grazie alla elevata acidificazione iniziale, tali miscele sono riuscite a contrastare lo sviluppo della microflora anticasearia il cui sviluppo ha pregiudicato le caratteristiche del prodotto della prova di controllo. 3.5.3 Analisi sensoriale Per confrontare i formaggi prodotti secondo la tecnologia utilizzata in azienda e quelli prodotti con le miscele di batteri autoctoni, primaria importanza è stata attribuita alla valuazione sensoriale. in relazione alla nuova finalità è stata impiegata una seconda scheda rielaborata e confacente al test triangolare (vedi 6.4 - allegato 2). Sono stati analizzati 44 formaggi con circa 30 giorni di stagionatura: il panel è stato convocato per 1 seduta di addestramento e 5 di assaggio. l’analisi statistica finalizzata all’interpretazione delle informazioni derivanti dai dati è stata impostata tenendo presente gli obiettivi da raggiungere come riportato in appendice (6.4). il test triangolare applicato ha consentito di confrontare ogni volta una formaggella del luinese prodotta in modo tradizionale ed una dove è stato impiegato lo “starter” realizzato con batteri selezionati. Sono state confrontate 6 differenti miscele con diversi livelli di concentrazioni d’uso. i dati sono riassunti nelle seguenti tabelle. Pur con un numero contenuto di sedute, il panel di assaggio è stato in grado di fornire il proprio contributo per raggiungere gli obiettivi indicati nel progetto.

39 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


Produzioni 02-08/07/10 - Confronto produzione tradizionale / fermenti autoctoni

Produzioni 15/09-06/10/10 - Confronto produzione tradizionale / fermenti autoctoni

Produttore-miscela

n.giudici

n.risposte corrette

esito test

Produttore-miscela

n.giudici

n.risposte corrette

esito test

H-1

8

6

eSiSte differenza

m-5

9

9

eSiSte differenza

i-1

8

7

eSiSte differenza

e-8

9

9

eSiSte differenza

m-1

8

8

eSiSte differenza

B-8

9

8

eSiSte differenza

e-1

8

7

eSiSte differenza

c-5

9

6

eSiSte differenza

B-1

8

8

eSiSte differenza

f-8

9

9

eSiSte differenza

c-1

8

4

non eSiSte differenza

LiVeLLo di sensibiLiTa’ adoTTaTo: riScHio α: 0,10 - riScHio β: 0,30 - iSo 4120:2004 LiVeLLo minimo risPosTe CorreTTe: 5 - Pd: 50% Test triangolare: scelta dei giudici rispetto ai campioni

LiVeLLo di sensibiLiTa’ adoTTaTo: riScHio α: 0,10 - riScHio β: 0,30 - iSo 4120:2004 LiVeLLo minimo risPosTe CorreTTe: 6 - Pd: 50% Test triangolare: scelta dei giudici rispetto ai campioni Produttore

n.giudici

Produzione tradizionale

Prod. fermenti autoctoni

Produttore

n.giudici

Produzione tradizionale

Prod. fermenti autoctoni

m

9

3

6

H

8

4

4

e

9

8

1

i

8

4

4

B

9

4

5

m

8

7

1

c

9

3

6

e

8

5

3

f

9

4

5

B

8

4

4

c

8

4

4

Tab.11 riSultati dei teSt trianGolari aVenti Per oGGetto i formaGGi ottenuti con fermenti autoctoni: aSSaGGio del 26/10/10

Tab.9 riSultati dei teSt trianGolari aVenti Per oGGetto i formaGGi ottenuti con fermenti autoctoni: aSSaGGio del 04/08/10

Produzioni 24/02-04/03/11 - Confronto produzione tradizionale / fermenti autoctoni Produzioni 27-29/07/10 - Confronto produzione tradizionale / fermenti autoctoni Produttore-miscela

n.giudici

n.risposte corrette

esito test

i-2

9

7

eSiSte differenza

m-2

9

9

eSiSte differenza

e-2

9

8

eSiSte differenza

B-2

9

8

eSiSte differenza

c-2

9

9

eSiSte differenza

LiVeLLo di sensibiLiTa’ adoTTaTo: riScHio α: 0,10 - riScHio β: 0,30 - iSo 4120:2004 LiVeLLo minimo risPosTe CorreTTe: 6 - Pd: 50%

Produttore

n.giudici

Produzione tradizionale

Prod. fermenti autoctoni

i

9

7

2

m

9

9

0

e

9

3

6

B

9

3

5

c

9

6

2

Tab.10 riSultati dei teSt trianGolari aVenti Per oGGetto i formaGGi ottenuti con fermenti autoctoni: aSSaGGio del 31/08/10

Varese Ferm

n.giudici

n.risposte corrette

esito test

i-4

9

7

eSiSte differenza

m-4

9

8

eSiSte differenza

H-4

9

5

non eSiSte differenza

Q-4

9

7

eSiSte differenza

c-4

9

9

eSiSte differenza

f-6

9

5

non eSiSte differenza

LiVeLLo di sensibiLiTa’ adoTTaTo: riScHio α: 0,10 - riScHio β: 0,30 - iSo 4120:2004 LiVeLLo minimo risPosTe CorreTTe: 6 - Pd: 50% Test triangolare: scelta dei giudici rispetto ai campioni

Test triangolare: scelta dei giudici rispetto ai campioni

40

Produttore-miscela

Produttore

n.giudici

Produzione tradizionale

Prod. fermenti autoctoni

i

9

4

5

m

9

4

5

H

9

3

6

Q

9

4

5

c

9

6

3

f

9

4

5

Tab.12 riSultati dei teSt trianGolari aVenti Per oGGetto i formaGGi ottenuti con fermenti autoctoni: aSSaGGio del 29/03/11

41 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


Produzioni 05-12/05/11 - Confronto produzione tradizionale / fermenti autoctoni Produttore-miscela

n.giudici

n.risposte corrette

esito test

i-6

9

9

eSiSte differenza

e-4

9

3

non eSiSte differenza

B-4

9

8

eSiSte differenza

c-6

9

7

eSiSte differenza

f-4

9

4

non eSiSte differenza

LiVeLLo di sensibiLiTa’ adoTTaTo: riScHio α: 0,10 - riScHio β: 0,30 - iSo 4120:2004 LiVeLLo minimo risPosTe CorreTTe: 6 - Pd: 50% Test triangolare: scelta dei giudici rispetto ai campioni Produttore

n.giudici

Produzione tradizionale

Prod. fermenti autoctoni

i

9

7

2

e

9

3

6

B

9

8

1

c

9

7

2

f

9

4

5

Tab.13 riSultati dei teSt trianGolari aVenti Per oGGetto i formaGGi ottenuti con fermenti autoctoni: aSSaGGio del 21/06/11

il test triangolare ha fatto emergere progressivamente durante il corso delle prove la difficoltà da parte dei giudici di riscontrare una evidente differenza tra i campioni loro sottoposti. Questo può essere letto come indicatore del raggiungimento del secondo obiettivo, cioè la realizzazione delle miscele di fermenti autoctoni adatti alla lavorazione della formaggella del luinese, addirittura migliorandone mediamente il risultato in termini di preferenza come si evince dai risultati relativi agli assaggi del 26/10/10 e 29/03/11. Va detto che in alcuni casi (es. tab. 13) la differenza tra i due metodi di produzione era evidente non tanto per cause legate all’impiego di questi fermenti, quanto per “errori” tecnologici quali lo spurgo insufficiente della cagliata con ritenzione di siero e un’eccessiva presenza di muffe superficiali. il ruolo dell’analisi sensoriale diventa sempre di più importante, si integra ed è integrata dagli aspetti tecnologici e dalla qualità della materia prima ed è elemento fondamentale nei progetti come quello realizzato. le miscele che maggiormente hanno soddisfatto le esigenze dei produttori sono state la 4, la 6 e la 8 costituite ciascuna da 2 ceppi diversi di Lc. lactis subsp. lactis e di St.thermophilus. l’impiego della miscela 8 ha sempre prodotto formaggi con le caratteristiche desiderate anche laddove batteri anticaseari erano presenti in numero elevato, quindi particolarmente adatta laddove il latte non presenti soddisfacente qualità microbiologica. le miscele 4 e 6 sono risultate in grado di condurre la caseificazione in maniera corretta in modo tale da ottenere formaggi pienamente conformi al disciplinare di Produzione e prive di difetti.

42 Varese Ferm

4.ConCLusioni il protocollo operativo messo a punto in questa ricerca applicata alla formaggella del luinese doP vuole essere il punto di partenza per un’estensione a tutto il comparto caseario caprino delle valli varesine. il lavoro svolto ha avuto come prerogativa principale una stretta collaborazione tra produttori, ricercatori e tecnici del territorio. i produttori di formaggella del luinese d.o.P. coinvolti nel progetto hanno preso coscienza del fatto che per produrre un formaggio a latte crudo è necessario un elevato standard igienico-sanitario lungo tutta la filiera, a partire dall’animale e dall’ambiente dove esso vive e non di meno occorre la disponibilità ad una continuo miglioramento. il progetto ha evidenziato come, nelle attuali condizioni operative, non è consigliabile eseguire caseificazioni senza impiego di innesto, sia per quanto riguarda la possibilità di sviluppo di microrganismi patogeni che per la conseguente elevata percentuale di formaggi con evidenti difetti. il protocollo di preparazione di lattocolture in azienda che è stato oggetto di studio rappresenta un ausilio per superare tali difficoltà, seppure occorre tener conto della difficoltà di costanza di tali colture e della possibilità della loro contaminazione. in questo senso la valutazione del pH della coltura, non ancora eseguita in tutte le aziende, rappresenta un valido strumento per verificare il corretto sviluppo della microflora lattica. tale microflora è risultata molto varia nei lattoinnesti ottenuti da latte aziendale, con una importante presenza di enterococchi e di batteri propionici il cui contributo alla definizione delle caratteristiche aromatiche del prodotto è senza dubbio di rilievo. le 3 miscele di batteri lattici autoctoni individuate per le migliori prestazioni nell’ambito del progetto Vareseferm si sono rivelate in grado di condurre in modo corretto la caseificazione e di contrastare in modo efficace lo sviluppo di microrganismi indesiderati laddove presenti. un ulteriore passo in avanti per l’utilizzo routinario di queste miscele sarà necessariamente rappresentato dallo studio della fago-resistenza dei ceppi individuati e dalla loro adattabilità ai processi di concentrazione e liofilizzazione. l’istituzione di un panel di assaggio costituito per la maggior parte da produttori ha consentito nel corso dei due anni di sperimentazione un fattivo confronto e una efficace discussione sull’importanza dei singoli punti critici del processo produttivo che hanno avuto come prima importante conseguenza un miglioramento qualitativo delle produzioni e una loro maggior uniformità. tale uniformità deve necessariamente essere letta nella direzione di una miglior identificazione del prodotto e non in un suo anonimo appiattimento. Sarebbe auspicabile che il lavoro fatto in questi due anni dal panel proseguisse anche attraverso incontri mensili o bimestrali allo scopo di monitorare le produzioni della formaggella del luinese, dando la possibilità a questo gruppo di persone, che ha seguito un percorso di addestramento, di crescere e di sviluppare ulteriormente quella sensibilità e capacità che sono caratteristiche importanti per un giudice che fa parte di un panel d’assaggio. il panel, partendo da un vocabolario e da una metodologia acquisita nell’addestramento, diventa anche uno strumento che permette la valutazione oggettiva di eventuali difetti e/o pregi del prodotto e, attraverso l’individuazione delle possibili cause, permette di consolidare un miglioramento continuo. la disponibilità delle informazioni ottenute rappresenta un prezioso strumento per definire nuove strategie di produzione e di marketing per la valorizzazione dei prodotti montani e per contribuire alla difesa del reddito delle imprese agricole locali.

43 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


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44 Varese Ferm

45 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


6.aPPendiCe 6.1 Linee guida per la preparazione di lattoinnesto naturale Prerequisito per la realizzazione di un lattoinnesto è l’igiene di processo 1. Selezionare di una o più capre in buono stato di salute e indenni da mastite (basso contenuto di cellule somatiche e assenza di stafilococchi coagulasi positivi) da mungere separatamente; 2. utilizzare circa 1l di latte di massa possibilmente appena munto; 3. raccogliere il latte in un piccolo contenitore sterile (bottiglia di vetro o thermos) ponendo tutte le necessarie attenzioni a evitare contaminazioni (pulizia delle mani, indumenti puliti, pulizia della mammella e dello sfintere del capezzolo, eliminazione dei primi getti); 4. chiudere bene il recipiente usato per il prelievo e immergerlo a bagnomaria ad una temperatura dell’acqua di 40-45°c per il tempo necessario a far scendere il pH del lattoinnesto fino a 4,8. il pH può essere misurato con pHmetro o con cartine indicatrici; 5. Se possibile utilizzare il lattoinnesto appena il pH raggiunge il valore di 4,8. Se ciò non è possibile, abbattere rapidamente la temperatura immergendo il recipiente in acqua fredda (se necessario, aggiungere all’acqua dei cubetti di ghiaccio) e conservare in frigorifero a +4°c; 6. innestare 50 ml di lattoinnesto ogni 10 litri di latte. Se possibile utilizzare il latte appena munto, se si impiega latte conservato nel tank di refrigerazione, portarlo ad una temperatura di almeno +15°c prima di aggiungere il lattoinnesto; 7. non aggiungere il lattoinnesto al latte troppo freddo; 8. Preparare il lattoinnesto la sera prima della lavorazione oppure la mattina stessa, nel caso la lavorazione venga svolta nel pomeriggio; 9. Seguire la normale tecnica di lavorazione nelle fasi successive alla fase di innesto.

6.2 Questionario utilizzato per la raccolta dati di caseificazione

Programma regionale di ricerca in campo agricolo 2007-2009 Progetto VareseFerm QuesTionario di LaVorazione da riConsegnare debiTamenTe ComPiLaTo e soTTosCriTTo aL serVizio PianiFiCazione e sViLuPPo deLLa ComuniTa’ monTana VaLLi deL Luinese azienda:________________________________________________

data:______________

domande sulle caratteristiche del latte e conservazione: 1) Quanti litri di latte sta per lavorare complessivamente?_______litri 2) Ha tenuto da parte un po’ di latte crudo e di lattoinnesto per i prelievi? 3) tari il piaccametro e misuri il pH del latte in caldaia prima di iniziare a scaldare: pH=_____ 4) misuri con l’acidimetro l’acidità del latte in caldaia prima di iniziare a scaldare:_____°SH/ml 5) misuri la temperatura del latte in caldaia prima di iniziare a scaldare: t =____°c 6) a che ora inizia la lavorazione?_________ 7) da quante munte deriva il latte di massa (1 munta, 2 munte, 3 munte)? _____ 8) Può specificare il tempo di conservazione del latte per ogni singola munta? 1a munta: _____ ore; 2a munta: ______ ore; 3a munta: ______ ore. 9) Se si lavora latte appena munto, quanto tempo è passato dalla mungitura alla lavorazione? _____ 10) e a quale temperatura è stato conservato il latte appena munto prima di essere lavorato? t=___°c 11) Se si lavora latte conservato, a quale temperatura è stato tenuto prima di essere lavorato? t=___°c domande sul lattoinnesto: 12) Per la preparazione del lattoinnesto ha usato latte appena munto o latte conservato? ______________________________________________________________ 13) nel caso abbia usato latte conservato, può indicare il tempo di conservazione e la temperatura di conservazione del latte? _________________________________________ 14) Quanto misura il pH del lattoinnesto, prima di aggiungerlo al latte in caldaia? pH=_____ 15) dopo quanto tempo dall’inizio della sua preparazione il lattoinnesto ha raggiunto il pH che ha misurato?_____ore 15bis) a quale temperatura ha lasciato maturare il lattoinnesto e per quante ore? t = ___°c ____ore domande sulla lavorazione: 16) a che temperatura del latte aggiunge il caglio? t=____°c 17) che ore sono quando aggiunge il caglio?_________ 18) il caglio è liquido, in pasta o in polvere?__________ 19) Qual è il titolo del caglio? 1:___________ 20) Quanto caglio aggiunge?______________ 21) Può scrivere la marca del caglio che sta usando?___________ 22) dopo quanti minuti misura la presa? _____min 23) a che ora inizia a la rottura del coagulo? _______ 24) Quanto misura la temperatura °c del coagulo? t=___°c 25) Quanto misura il pH del coagulo? pH=_____ 26) fino a che dimensioni viene portata la grana del coagulo? (nocciola, mais o riso?)________ 27) in quanto tempo dall’inizio della rottura viene ottenuta la grana desiderata?____min 28) Se è stato effettuato un riscaldamento durante la rottura, a che temperatura ha scaldato? t=____°c

46 Varese Ferm

47 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


29) Quanti minuti è durato il riscaldamento?____min 30) Per quanti minuti continua ad agitare dopo il riscaldamento?____min 31) Per quanto tempo la cagliata riposa sotto siero prima di essere estratta?____min 32) durante il riposo, viene tolta parte del siero?______ 33) a che ora inizia ad estrarre la cagliata?________ 34) Quanto misura il pH della cagliata appena messa in forma? pH=____ 35) Quanto misura la temperatura della cagliata appena messa in forma? t=____°c 36) Ha messo in una formina più piccola una parte di cagliata che servirà per il prelievo? 37) Quanto misura la temperatura del locale in cui avviene la fase di sgocciolatura? t=___°c 38) con che frequenza effettuerà i rivoltamenti? uno ogni_____________ 39) dopo quanto tempo inizia la salatura? ______ore 40) Quale valore di pH ha raggiunto la cagliata prima di effettuare la salatura? pH=______

6.3 scheda per la rilevazione dei parametri tecnologici

41) Prelievo di cagliata: prima di effettuare la salatura, mettere in un sacchettino tipo domopack la cagliata che ha lasciato da parte per il prelievo. avvolgere il sacchettino a formare un cilindro, chiuderlo bene e scriverci sopra il codice relativo alla sua azienda (costituito da una lettera e da un numero) che le è stato comunicato. Quindi congelare in azoto liquido. Se non è possibile congelare in azoto liquido, consegnare il sacchettino di cagliata prima possibile in comunità montana Valli del luinese dove sarà congelato (prima avvisi il tecnico: tel. 0332-536520 int. 106 Paolo clarà). 42) la salatura sarà effettuata a secco o in salamoia?_________ 43) Può specificare la dose di sale?_______ 44) Se usa la salamoia, per quanto tempo restano immerse le forme?_____ore 45) nel caso della salamoia, qual è la temperatura della salamoia? t=___°c e il pH? pH=____ 46) Per quanto tempo rimangono le forme nel locale di sgocciolatura prima di essere messe a stagionare? _____ore 47) la stagionatura avviene in cella o in cantina?___________ 48) Quanto misura la temperatura del locale di stagionatura? t=___ °c

l’umidità relativa?_____%

49) Vi sono particolari note da segnalare relative alla lavorazione effettuata? ___________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________ __________________________________________________________________

data di lavorazione

48 Varese Ferm

timbro dell’azienda e firma

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6.4 Valutazione sensoriale del formaggio Per l’applicazione dell’analisi sensoriale del formaggio sono state impiegate le regole di base che rappresentano gli strumenti fondamentali utilizzati per standardizzare l’analisi stessa: •

allestimento dei locali di valutazione idonei per luminosità, temperatura, umidità relativa, qualità dell’aria e rumori; applicazione di metodologie standardizzate, ossia utilizzo di un metodo ufficiale di analisi per ottenere un risultato standardizzato; coinvolgimento di giudici selezionati ed addestrati (Panel); impiego dell’analisi statistica per la valutazione dei dati.

• • •

le sedute di assaggio della formaggella del luinese sono state precedute da quelle di formazione dei giudici. durante questi incontri è stato effettuato un percorso che ha toccato gli aspetti fondamentali, della preparazione di un giudice facente parte di un paneldi seguito riportati:

inTroduzione illustrazione degli obiettivi del progetto - descrizione del lavoro svolto da un Panel di assaggio – metodologie applicate saPore - test di identificazione dei sapori: dolce, amaro, acido, salato, astringente e piccante. - test di sequenza dei sapori - test di rilevazione dei sapori a differenti concentrazioni. odore ed aroma descrittori degli odori e degli aromi: illustrazione della “ruota dei descrittori di odore/aroma classificati in famiglie e sottofamiglie”. descrizione della scheda impiegata per la valutazione dei formaggi: parte relativa all’odore e all’aroma. test di riconoscimento degli odori : analizzati 20 campioni con odori differenti. test descrittivo dell’aroma: descrizione di due formaggi, analizzati separatamente, impiegando la parte della scheda di valutazione relativa all’aroma ( compilazione della scheda da parte di ciascun componente del gruppo di assaggio). sTruTTura descrittori della struttura: metodologia da utilizzare per l’analisi dei formaggi; taratura del gruppo di assaggio con dei campioni di riferimento. descrizione della parte della scheda che tratta la struttura. test descrittivo della struttura: con i campioni di riferimento a disposizione, analisi e descrizione di due formaggi trattati separatamente, impiegando la parte della scheda di valutazione relativa alla struttura (compilazione della scheda da parte di ciascun componente del gruppo di assaggio).

Sia i test di addestramento che i test di assaggio sono stati eseguiti secondo le metodiche messe a punto da tecnici europei nei progettidi ricerca ce nell’ambito dei programmi di ricerca coSt 95 e air-ct94-2039. in tutte le sedute le forme di formaggio pervenute sono state misurate e tagliate a metà per essere poi mostrate in modo anonimo ai giudici che sono per la maggior parte dei produttori. l’osservazione consentiva la valutazione di parametri non inseriti nell’analisi sensoriale, quali le dimensioni del formaggio, la forma dello scalzo e dei piani, l’aspetto della visivo e tattile della crosta, il suo colore, l’aspetto visivo e tattile della pasta con la rilevazione di eventuale presenza dell’occhiatura, della sua distribuzione, della forma e dimensione della stessa, la struttura della pasta (schiacciandola tra le dita ), la ricerca di eventuali difetti (es. sfoglia, distacchi, presenza di siero, ecc.), secondo uno schema utilizzato dall’o.n.a.f. per la descrizione dei formaggi. la formaggella del luinese veniva poi tagliata e privata della crosta in modo da ottenere porzioni di prodotto rappresentative del campione stesso, messa in contenitori salvaroma trasparenti, contrassegnati da un numero casuale alla temperatura di 16°c. i giudici avevano a disposizione acqua minerale non gasata inodore e insapore quale mezzo di neutralizzazione nel passaggio da un campione all’altro. l’ordine di presentazione è stato randomizzato giudice per giudice e seduta per seduta. nella prima fase della sperimentazione i giudici compilavano una scheda descrittiva di seguito riportata (allegato 1) messa a punto in un precedente lavoro e avevano a disposizione dei campioni di riferimento relativi alla struttura, al sapore e all’ odore. nella seconda fase è stata impiegata una seconda scheda rielaborata e confacente al test triangolare (allegato 2). la tecnica statistica utilizzata per la prima fase della sperimentazione è l’ “analisi delle componenti principali ” (detta pure Pca o cPa): trasforma in modo lineare un insieme di variabili in un insieme più piccolo di nuove variabili intercorrelate tra loro, consente di sintetizzare l’informazione a disposizione in un insieme ridotto di variabili. dal punto di vista grafico permette di visualizzare ed individuare delle aree in cui si possono raggruppare prodotti interessanti per alcuni descrittori e viceversa distinguere quelli non interessanti o addirittura fuori dal disciplinare di produzione. il test triangolare è stato scelto per valutare eventuali differenze nei formaggi prodotti nella seconda fase. il test triangolare, definito dalla norma iSo 4120:2004, è il metodo discriminante qualitativo più largamente impiegato sia nel corso della selezione e dell’addestramento del panel sia per la valutazione dei prodotti alimentari. esso ha lo scopo di determinare differenze sensoriali non specificate tra due campioni. È applicabile solo se i prodotti da confrontare sono abbastanza omogenei, non generano affaticamento sensoriale o adattamento. Per l’esecuzione del test vengono presentati tre campioni diversamente codificati (ciascuno con un codice a tre cifre), di cui due uguali e uno diverso. l’assaggiatore deve identificare quello diverso.

in tutte le sedute è stato dato spazio alla presentazione dei risultati dei test, alla discussione, al confronto e all’introduzione di eventuali correttivi. il progetto Vareseferm ha occupato il panel dal mese di giugno 2009 fino al mese di giugno 2011 e alla ripresa di ogni anno è stata fatta una seduta di addestramento. all’inizio di ogni seduta di assaggio della formaggella del luinese è sempre stata fatta una taratura del panel su un altro campione di formaggio.

50 Varese Ferm

51 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


ALLEGATO 1 - Scheda analisi descrittiva

52 Varese Ferm

 

53

la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


ALLEGATO 2 Ð SCHEDA TEST TRIANGOLARE ALLEGATO 2 - Scheda analisi ANALISI test triangolare

6.5 metodi analisi microbiologiche

Formaggella del Luinese -Panel

Preparazione dei campioni e delle diluizioni: secondo norma iSo 8261/ idf 122:2001

carica Batterica Standard: Petrifilm aerobic Plate count (3m) con incubazione a 30°c per 72 ore secondo norma iSo/fil 4833:2003.

coliformi: Petrifilm coliform count Plates (3m) con incubazione a 30°c per 24 ore.

escherichia coli: Petrifilm e.coli count Plates (3m) con incubazione a 30°c per 24 ore e 37°c per 48 ore.

Stafilococchi coagulasi positivi: secondo norma iSo 6888-2/idf 145a:1997.

Batteri psicrotrofi: Petrifilm aerobic Plate count (3m) con incubazione a 6,5°c per 10 giorni secondo norma iSo 6730/idf 101:2005.

lattobacilli mesofili (laB in mrS a 30°c): mrS agar (Scharlau microbiology) a 30°c per 72 ore in condizioni di anaerobiosi (anaeroculta mercK).

lattobacilli termofili (laB in mrS a 45°c): mrS agar (Scharlau microbiology) a 45°c per 72 ore in condizioni di anaerobiosi (anaeroculta mercK).

cocchi lattici mesofili (laB in m17 a 30°c): m17 agar (Scharlau microbiology) a 30°c per 48 ore.

cocchi lattici termofili (laB in m17 a 45°c): m17 agar (Scharlau microbiology) a 45°c per 48 ore.

enterococchi: Kaa agar: (Scharlau microbiology) a 37°c per 48 ore.

Batteri lattici eterofermentanti obbligati in mrS (Scharlau microbiology) con campanella di durham, incubato a 30°c per 72 ore e successivamente a 37°c per 48 ore e valutazione del mPn in triplo secondo norma iSo 7218:2007.

SCHEDA TEST TRIANGOLARE

NOMINATIVO : ………………………………………………………….. DATA

1.

: …………………………….

DUE DEI TRE CAMPIONI SONO UGUALI : INDICARE QUALE VIENE PERCEPITO COME DIVERSO (BARRARE CON X , SOLO QUESTÕ ULTIMO)

………………..

…………………

………………….

Indicare una preferenza anche nel caso in cui non si percepisca alcuna differenza

2.

INDICARE PERCHEÕ IL CAMPIONE EÕ RITENUTO DIVERSO :

(BARRARE CON X, SOLO CIOÕ CHE SI PERCEPISCE COME DIVERSO)

ODORE : pi• intenso - meno intenso AROMA : pi• intenso - meno intenso COLORE : pi• intenso - meno intenso SAPORE : dolce, salato, acido, amaro, piccante, astringente STRUTTURA : elasticitˆ , durezza, adesivitˆ , umiditˆ , solubilitˆ

3.

INDICARE IL CAMPIONE CHE SI PREFERISCE ED IL MOTIVO :

CAMPIONE PREFERITO - SCRIVERE IL NUMERO :

…………..

(BARRARE CON X, SOLO CIOÕ CHE INTERESSA) ODORE

AROMA

COLORE

SAPORE : dolce, salato, acido, amaro, piccante, astringente STRUTTURA : elasticitˆ , durezza, adesivitˆ , umiditˆ , solubilitˆ

NOTE :……………………………………………………………………………………………….. ………………………………………………………………………………………………………… MI Ð ONAF VARESE

54 Varese Ferm

55 la formaGGella del luineSe doP: caratterizzazione della microflora autoctona


la ricerca in agricoltura www.agricoltura.regione.lombardia.it


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