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Chiacchierata accademica RIAFFERMARE L’ECCELLENZA
Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia e Responsabile Marketing in Valsana dal 2003
Vladi Finotto
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è Professore di Economia e Gestione delle Imprese presso il Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia
RIAFFERMARE L’ECCELLENZA
Un’intervista a due cari amici, docenti di Economia e Management presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, per cercare di mettere in fila alcune riflessioni sul momento storico che stiamo vivendo
di Martina Iseppon
Abbiamo approfittato del rapporto di collaborazione ormai consolidato con il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari per “rubare” un’intervista ai due co-direttori Vladi Finotto e Christine Mauracher, professori presso il Dipartimento di Management dell’università veneziana. Ci piaceva l’idea di provare a dare una lettura un po’ più strutturata a ciò che stiamo vivendo, attraverso l’interpretazione di chi si occupa, per lavoro, di studiare le strategie aziendali e i consumi del mercato agroalimentare.
Qual è stato l’impatto del Covid-19 sulla filiera agroalimentare?
Sicuramente dobbiamo distinguere i diversi comparti della filiera. L’horeca è quello che ha sofferto di più, pur con alcuni elementi di continuità - il delivery prima e l’asporto poi - che hanno permesso di sperimentare nuovi modelli di business, e che probabilmente continueranno a coesistere con la riapertura. La distribuzione ha sperimentato un duplice impatto: uno spostamento delle vendite dalla GDO ai negozi di prossimità durante la prima fase del lockdown, e un cambiamento dei consumi, legati alla maggiore disponibilità di tempo, con un calo degli articoli time-saving come i piatti pronti e un incremento degli ingredienti di base come farina, uova, lievito. Ma sono cambiate anche le dinamiche all’interno del punto vendita, con una preferenza per il prodotto confezionato e quindi per il libero servizio rispetto alla vendita al banco servito, sia per un’accresciuta percezione del rischio legato al contatto con gli alimenti, sia per ridurre il tempo di permanenza nel punto vendita. L’agricoltura ha avuto un impatto più dilatato rispetto agli altri comparti della filiera: vediamo da un lato aziende in difficoltà per la mancanza di manodopera, pur avendo una domanda importante di prodotto, come l’ortofrutta; dall’altro realtà che hanno sperimentato un maggior rallentamento dovuto alla chiusura dei ristoranti: si pensi in particolare al vino. Questa crisi, rispetto a molte altre, è unica: rispetto a quella del 2008, per esempio, non parte dal settore immobiliare o finanziario per trasmettersi gradualmente all’economia reale. Ha impattato direttamente su quest’ultima, determinando la chiusura di molte attività - si pensi ancora una volta ai ristoranti, ai servizi alla persona – che forniscono lavoro a molti. La rapidità con cui la crisi si è tradotta in una compressione dei consumi è inedita. Interi settori da un giorno all’altro hanno dovuto sospendere completamente le attività, e si tratta tra l’altro di alcuni tra i più importati comparti dell’economia italiana: turismo, ristorazione, moda. Il rischio, se non viene garantita la liquidità dei piccoli produttori, è quello che diventino facile preda dei grandi player del mercato.
Cosa succederà con la riapertura? Quali scenari vi immaginate nei prossimi mesi?
Molto dipende da come si comporteranno le cur
ve del contagio. Secondo le stime del CERVED, il calo del fatturato delle imprese italiane nel 2020 sarà compreso tra il 7% e il 18%, con un parziale recupero nel 2021 a seconda che l’emergenza finisca entro l’inizio dell’estate o invece a fine anno. Il settore agricolo, tra quelli analizzati, è l’unico a non mostrare un segno negativo del fatturato nel 2020: sia la distribuzione alimentare che la produzione ortofrutticola rientrano tra i 10 settori con le performance migliori. La fase 2 è una fase di transizione, in cui saranno importanti la velocità di reazione e la flessibilità nell’affrontare i problemi tempestivamente. È fondamentale però non ragionare solo in un’ottica di breve periodo: bisogna ritagliarsi degli spazi per ragionare anche sul lungo termine, per capire cosa succederà dopo, magari riflettendo su scenari diversi, visto che l’imprevedibilità della situazione attuale rende molto difficile ogni previsione. È necessario resistere alla tentazione di tagliare tutti gli investimenti in una logica difensiva e sfruttare la discontinuità di questo momento per ragionare su nuovi canali, nuove competenze, nuovi strumenti. Per esempio: si andrà, forse, meno al ristorante ma probabilmente i consumatori saranno disposti ad accettare prezzi più alti a fronte di una maggiore sicurezza, crescerà il delivery a cui ci siamo abituati in questi mesi, cambierà il packaging dei prodotti per garantire maggiore sicurezza alimentare. Queste sono solo alcune delle ipotesi di lavoro su cui gran parte del comparto sarà chiamato a ragionare per rivedere i propri modelli di business.
Ci dobbiamo aspettare un ulteriore impatto legato al probabile calo del turismo internazionale?
L’assenza di stranieri sarà molto impattante per il fine dining, la cui clientela era in alcuni casi per l’80% internazionale. Sicuramente ci saranno però meno italiani che andranno all’estero, quindi in parte si potrà ripensare l’offerta ritagliandola su una clientela più locale. Ma c’è un altro risvolto da tener presente per l’agroalimentare: il turismo è un canale di promozione fortissimo per il made in Italy. L’ospitalità è un canale fondamentale per far conoscere, attraverso la cucina, l’enogastronomia Italiana. Questo ci mancherà nei prossimi mesi e dovremo essere bravi a continuare a promuovere le nostre eccellenze anche all’estero. L’Italia è il Paese che prima di tutti in Europa si è trovato a dover affrontare questa pandemia e in tanti Paesi è considerata ancora zona rossa, e quindi destinazione turistica sconsigliata. Dovremo trovare le risorse per superare questo stigma, che rischia di intaccare il percepito di qualità da sempre associato al Made in Italy, per riaffermare l’eccellenza dei nostri prodotti.
Si parla di “nuova normalità”. Quale sarà la normalità nella fase 2?
Dovremo abituarci a convivere con il virus e con regole nuove di distanziamento, ma anche con comportamenti e abitudini nuove che abbiamo probabilmente acquisito durante il lock down. Un aspetto che sicuramente va tenuto in considerazione è una maggiore attenzione alla salute, e quindi anche al rapporto tra cibo e salute. La pandemia sembra essere partita proprio dal cibo (i famosi pipistrelli nei wet market di Wuhan) e questo non fa che rafforzare l’idea di quanto sia fondamentale il rapporto tra cibo e salute. Ci sarà poi anche una richiesta di maggiore qualità non solo nel prodotto ma anche nel processo, che dovrà garantire la sicurezza dei consumatori. Due sono i temi che le aziende, oltre a garantire, dovranno saper comunicare: la rigorosità nella gestione dei processi e l’attenzione alla sicurezza dei dipendenti.
Durante il lock down c’è stata una maggiore attenzione ai temi della filiera corta e delle produzioni locali. Continuerà anche nei prossimi mesi?
Sicuramente il fatto che molte persone abbiano cucinato di più, facendo ad esempio il pane in casa, potrebbe avere un impatto positivo, in termini di maggiore attenzione nella scelta degli ingredienti. L’acquisto di prodotti locali ha avuto anche un risvolto sociale in queste settimane: “acquisto da produttori locali per aiutare a sostenere l’economia del mio territorio, così come utilizzo l’home delivery per sostenere i ristoratori locali”.
Christine Mauracher
insegna discipline economico-agrarie presso il Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia
Quali sono gli asset su cui dovrebbe investire un’azienda in questo momento storico?
Abbiamo vissuto in queste settimane un’introduzione forzata del digitale: abbiamo imparato velocemente a utilizzare nuovi strumenti e ci siamo inventati nuovi metodi di lavoro. Sarà opportuno riflettere sull’esperienza maturata in questi mesi, per consolidarla e strutturare al meglio la coesistenza di canale fisico e online, sia nella gestione delle risorse umane che nella gestione delle dinamiche commerciali e di comunicazione. Pensiamo alle fiere, ai convegni, agli eventi, ma anche alle trasferte e alle riunioni: ora che abbiamo capito che molta presenza si può sostituire, si dovranno ripensare gli eventi e le occasioni di incontro, per dare un contenuto di maggiore valore alle attività che richiedono una partecipazione fisica. Essendoci resi conto che tanti contenuti possono essere fruiti anche a distanza, per convincere le persone a fare lo sforzo di spostarsi sarà necessario rendere più efficaci e di valore le attività in presenza. Va tenuto in considerazione che il food è un prodotto high touch, dove la possibilità di toccare con mano e assaggiare resta fondamentale: questa reinvenzione degli eventi fisici rappresenta quindi una grande opportunità.
Che consiglio dareste a chi cerca di valorizzare le piccole produzioni di qualità del nostro Paese?
Continuare a lavorare molto sulla comunicazione, sulla capacità di raccontare le eccellenze italiane, su tre piani principali: rassicurare il consumatore, comunicando la qualità e la sicurezza sia del prodotto che del processo; ribadire il legame tra cibo e salute e l’importanza di scegliere in modo consapevole; trasmettere i valori legati al cibo di qualità, come prossimità, filiera corta, sostenibilità, inclusività.
Parlando del Master, come avete gestito questi mesi di lock down?
Abbiamo deciso di sospendere il Master fino a settembre. È stato portato avanti soltanto il Contamination Lab, di cui Valsana è stata partner, e quindi la parte progettuale legata ai lavori di gruppo, che ci ha fatto sperimentare nuove modalità di lavoro a distanza con i ragazzi. Nel nostro Master le visite alle aziende delle diverse filiere sono parte integrante della formazione, quindi ci è sembrato più corretto rinviare l’attività didattica. Sicuramente usciamo da questo periodo con la consapevolezza che molte attività possono essere gestite da remoto attraverso librerie di contenuti registrati e strumenti di collaborazione molto efficaci, grazie ai quali siamo riusciti ad avere ospiti e testimonianze importanti, che difficilmente avremmo potuto avere in aula. La prossima sfida sarà trovare il giusto trade off tra attività online e attività in presenza, sfruttando l’aula per le attività che richiedono maggiore interazione, ma anche per dare ai ragazzi l’opportunità di vivere appieno la relazione interpersonale tra di loro e con i docenti.