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Come si riconosce? LE DENOMINAZIONI

Giorgia Barbaresco è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari a Udine ed è Responsabile Qualità in Valsana dal 2007

Figura 1: marchio di Denominazione d'Origine Controllata ∙ DOP, facilmente distinguibile dagli altri per l'uso dei colori giallo e rosso

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Figura 2: marchio di Indicazione Geografica Protetta ∙ IGP

Figura 3: marchio di Specialità Tradizionale Garantita ∙ STG

Figura 4: marchio di Prodotto Agroalimentare Tradizionale PAT

LE DENOMINAZIONI

DOP, IGP, STG, PAT: queste sigle ormai ci sono piuttosto familiari, ma conosciamo davvero quali sono le differenze tra le varie denominazioni?

di Giorgia Barbaresco

I territori nazionale ed europeo offrono una vasta varietà di prodotti alimentari e quando un prodotto “esce” dalla zona d’origine occupando sempre maggiore spazio “fuori confine”, si trova indubbiamente a scontrarsi con altri prodotti che cercano in qualche modo di sfruttarne il nome per guadagnare terreno. Purtroppo la concorrenza sleale che ne può derivare potrebbe risultare scoraggiante per il produttore e disorientare il consumatore che potrebbe chiedersi quali sono le differenze. Nel 1992 la comunità europea ha creato un sistema per tentare di promuovere, e in qualche modo preservare, i prodotti agroalimentari, sono nate così DOP, IGP e STG. L'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall'Unione europea, ma vediamoli nel dettaglio: Denominazione di Origine Protetta ∙ DOP Identifica un prodotto originario di un luogo, regione o in casi eccezionali di un determinato Paese, le cui qualità o caratteristiche sono

dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico e le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica

delimitata.

L’ambiente geografico comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire) che consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori della specifica zona produttiva. Perché un prodotto sia DOP, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un’area geografica delimitata. La produzione, inoltre, deve rispettare rigide regole stabilite nel disciplinare, e il rispetto di tali regole è garantito dagli organismi di controllo. Attualmente sono stati riconosciuti 573 prodotti con la denominazione DOP, di cui 167 prodotti agroalimentari e 406 vini. Per completezza di informazioni, una denominazione che si sentiva un tempo nel mondo del vino è la Denominazione di Origine Controllata DOC che dal 2010 non è più in uso perché per la legge europea è compresa nella sigla DOP, tuttavia l’utilizzo è ancora consentito. Questa denominazione è stata storicamente utilizzata dal 1966 come marchio per i vini di qualità prodotti in aree geografiche di dimensioni piccole o medie, con caratteristiche attribuibili al vitigno, all’ambiente e ai metodi di produzione. Anche la Denominazione di Origine Controllata e Garantita DOCG fa ora parte della famiglia delle DOP ed è attribuita a vini già riconosciuti come DOC e ritenuti di particolare pregio. Indicazione Grografica Protetta ∙ IGP Questa denominazione identifica un prodotto anch’esso originario di un determinato luogo, regione o Paese, alla cui origine geografica

sono essenzialmente attribuibili caratteri che

conferiscono una certa qualità. Almeno una delle fasi di produzione, per i prodotti che riportano questo marchio, deve essere effettuata nell’area geografica delimitata. Anche in questo caso il produttore deve attenersi a rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione. Attualmente sono stati riconosciuti 251 prodotti come Indicazioni Geografiche, di cui 133 prodotti agroalimentari e 118 vini.

DOP e IGP: le differenze

La sostanziale differenza fra prodotti DOP e prodotti IGP, sta nel fatto che, nel caso di prodotti DOP, tutto

ciò che riguarda la realizzazione del prodotto ha

origine nel territorio dichiarato, mentre nel caso del prodotto IGP il territorio dichiarato conferisce

al prodotto le sue caratteristiche peculiari solo

attraverso alcune fasi della produzione, ma non tutto ciò che concorre al suo ottenimento proviene dal territorio dichiarato (ad esempio, le materie prime). Un esempio è la Bresaola della Valtellina che è un prodotto IGP e non DOP perché ottenuto da carni di animali che non sono allevati in Valtellina, pur seguendo i metodi di produzione tradizionali e beneficiando, nel corso della stagionatura, del clima particolarmente favorevole della zona. Un altro esempio è la Porchetta di Ariccia IGP, nel disciplinare di produzione sono specificate le razze dei suini che possono essere utilizzate ma non è citata la provenienza, sta quindi al produttore, in base al prodotto che vuole realizzare scegliere carni nazionali o meno.

Specialità Tradizionale Garantita ∙ STG Caso a sé è la Specialità Tradizionale Garantita STG che non fa riferimento a un'origine, ma vuole

valorizzare una composizione tradizionale del

prodotto o un metodo di produzione tradizionale. I prodotti riconosciuti STG seguono specifici metodi di produzione e ricette tradizionali. Le materie prime e gli ingredienti utilizzati tradizionalmente rendono questi prodotti delle specialità, a prescindere dalla zona geografica di produzione. Attualmente sono state riconosciute 3 Specialità Tradizionali Garantite: la Mozzarella, la Pizza Napoletana e l'Amatriciana Tradizionale. Prodotto Agroalimentare Tradizionale ∙ PAT Per concludere ci sono i PAT Prodotto Agroalimentare Tradizionale. Questo marchio viene utilizzato solo in Italia per contraddistinguere i

prodotti tradizionali e di nicchia con una diffusione

così ridotta da non concorrere all’assegnazione di DOP e IGP. È l’unica sigla di qualità che è attribuita dalla Regioni con l’obiettivo di valorizzare le specialità locali ottenute con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura tradizionali.

Inoltre...

Tutte queste produzioni vengono tutelate appunto dai relativi Consorzi di Tutela o dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Verifiche continue vengono effettuate anche dai Carabinieri, in particolare dal Nucleo Antisofisticazioni e Sanità (NAS). Tutti concorrono a preservare i prodotti con i marchi citati sopra dalla contraffazione.

Particolare attenzione la si deve fare nell’utilizzo

delle denominazioni di vendita perché alcuni prodotti, soprattutto DOP, sono talmente famosi che il loro nome a volte viene utilizzato per definire una categoria di prodotti. È il caso, per esempio, del Gorgonzola: questo nome è specifico per il prodotto DOP e non può essere utilizzato per identificare un qualsiasi formaggio erborinato. Lo stesso vale per il Grana Padano o per il Parmigiano Reggiano, e in questi casi addirittura la denominazione non può essere utilizzata per il prodotto “smarchiato” perché proprio in quanto tale non ha superato i controlli del Consorzio e non soddisfa le caratteristiche che deve avere il prodotto DOP. Anche l’utilizzo del nome di un prodotto DOP contenuto in un’altra denominazione deve essere autorizzato dal Consorzio, ad esempio se vengono preparati dei ravioli ripieni di Gorgonzola e noci potranno essere denominati “Ravioli Gorgonzola e noci” solo previa autorizzazione. Etichettatura e confezionamento infine, per alcuni prodotti DOP, possono essere effettuati solo ed esclusivamente nelle zone di produzione: è il caso ad esempio del Parmigiano Reggiano, della Fontina, del Castelmagno, ecc. In tutti gli altri casi, soprattutto per le porzioni, deve esserci comunque l’autorizzazione da parte del Consorzio. Ovviamente i furbetti ci sono sempre e rispettare i disciplinari ha un costo. È chiaro che acquistare un formaggio frazionato all’origine ha un costo differente rispetto all'acquisto di una forma intera da frazionare in autonomia, anche se non è permesso. Tuttavia insisto nel sottolineare che è

responsabilità di tutti noi, per il posto che occupiamo all’interno della filiera, rispettare e far rispettare queste regole che tutelano i

prodotti e i produttori dalla concorrenza sleale. Imparare a rispettare il lavoro di tutti ci offre la possibilità di migliorare il territorio in cui viviamo. Ancora una volta quindi, attenzione all’etichetta!

DOP

CASTELMAGNO DOP DI ALPEGGIO

Uno dei più famosi formaggi piemontesi a latte vaccino crudo, Presidio Slow Food. Molto profumato, leggermente sapido con note erbacee e floreali

cod 31029M19 | peso 5 kg ca

IGP

MORTADELLA DI PRATO IGP

Mortadella toscana speziata all'alkermes, Presidio Slow Food. Il sapore è inconfondibile, intenso e con profumi esotici e di spezie cod 78730 | peso 2 kg circa

PAT

FAGIOLO BALA ROSSA

Antica verità del Feltrino, appartenente alla famiglia dei Borlotti. Il gusto è intenso con note leggere di castagna cod 93721 | peso 500 g

Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com

IL DOLCE NATALE IN ITALIA E NEL MONDO

I dolci portano sulla tavola gioia e colore, specie nei giorni di festa. E’ per questo che non mancano mai nella stagione natalizia, quando in tutto il mondo cristiano si arricchiscono di tanti ingredienti, un tempo considerati preziosi come i canditi, le spezie e la frutta secca

di Vittorio Castellani

LE TRADIZIONI ITALIANE...

Nonostante la sua dimensione, relativamente piccola,

l’Italia è probabilmente il Paese al mondo che ospita

la più grande varietà di dolci natalizi. Se è vero che siamo universalmente noti per il panettone di Milano e il pandoro di Verona, da nord a sud dello Stivale sono tantissime le specialità che nelle diverse regioni segnano la più importante festa dell’anno. In Trentino Alto Adige l’influenza austro-ungarica e tedesca è evidente nei biscotti altoatesini spitzbuben e lebkuchen, che riprendono anche nella forma personaggi di queste tradizioni, forse meno noti dello zelten e del buchteln farciti con marmellata o frutta secca, ma altrettanto buoni. La frutta secca, lasciataci in eredità dalla dominazione araba, la fa da padrone anche nei diversi pandolci liguri e in altre specialità meno note della Valle d’Aosta e del Piemonte: il mecoulin di Cogne ed il crescenzin, della Val Vigezzo. Spostandoci in Emilia Romagna e Toscana la frutta secca si arricchisce dei sentori delle spezie, con il panspeziale bolognese profumato dalla cannella e dai semi d’anice

Panforte senese o il pampepato ferrarese per trovare la sua massima espressione nel panforte senese. Scendendo dal centro Italia, verso sud prendono piede anche i biscotti. Impossibile elencarli tutti, mi limiterò a citare i ricciarelli un’IGP senese, i caggiuniti abruzzesi, ripieni e fritti, i subiachini laziali, glassati e usati come decorazione dell’albero di Natale, i mostaccioli e i bocconotti, che troviamo con ricette diverse a macchia di leopardo, in varie regioni del sud, dalla Puglia alla Calabria. Le tradizioni si fanno più forti al sud Italia, dove il Natale si festeggia con dolci locali come le zeppole o gli struffoli napoletani. La dominazione spagnola poi ci ha regalato i suoi dolci natalizi preferiti: i torroni, duri o morbidi, così importanti da Cremona a Benevento, ma anche in Sardegna. Tra i dolci più curiosi troviamo le cartellate pugliesi, praticamente identiche alla shebakya marocchina del mese di Ramadan e il panmorrone ligure, di farina di castagne.

... E QUELLE EUROPEE

Parlando dell’Europa, molte sono le tradizioni natalizie

che condividiamo con alcuni Paesi, specie con i nostri

Struffoli napoletani

Christmas Pudding inglese

cugini spagnoli. A parte il turrón, una specialità alicantina che ci ha conquistati nei secoli scorsi, in questo periodo dell’anno le pasticcerie si riempiono di biscotti e dolcetti mazapán a base di pasta di mandorle, alcuni decisamente curiosi come il polvorón che sostituisce lo strutto di maiale al burro dei mantecados.

Qua l’eredità arabo andalusa è particolarmente evidente nell’uso generoso delle mandorle e della frutta secca, ma anche nei nomi, come l’alfajor. Nella lingua spagnola infatti le parole che iniziano con il suffisso “al” sono di origine araba. Spostandosi verso il confine francese, lungo la costa mediterranea, le ciambelle candite di roscón de los reyes fanno il verso alla courrone des rois provenzale. Decisamente più ricche e opulente le tradizioni anglosassoni dei xmas cakes, dominate dalla frutta secca, spesso rinvenuta in liquori come l’apricot brandy del christmas pudding o lo scotch scozzese del whisky dundee. Nei paesi scandinavi le spezie come lo zenzero, la cannella e talvolta il cardamomo, sono le protagoniste dai ginger biscuits a forma di omini o di renna alle torte glassate pepparkaka.

CHE DIRE DEGLI ALTRI CONTINENTI?

I dolci natalizi sono presenti in tutti i paesi di fede cristiana dove si festeggia il Natale. In America latina sono spesso rivisitazioni di grandi classici della tradizione spagnola o portoghese, se parliamo di Brasile, mentre negli Stati Uniti i christmas cakes s’ispirano a preparazioni inglesi o irlandesi ma sono stati ribattezzati fruit cakes.

E’ curioso osservare come anche in Asia, la presenza

coloniale, specie quella inglese, abbia influito sulla

diffusione di dolci europei come l’allahabadi cake indiano o lo sponge christmas cake giapponese, un roll farcito con panna e fragole, che richiama per certi versi un grande classico natalizio francese: la bûche de noël, il tronchetto natalizio.

IL PANETTONE MILANESE

Tra la comunità ebraica russa di Milano circola una storiella, secondo la quale il panettone milanese che tutti conosciamo, sarebbe frutto di una rielaborazione suggerita dalla tradizione aschenazita. L’indomani della rivoluzione russa del ’17 si rifugiarono nel capoluogo lombardo diverse famiglie ebraico-russe. Dovendo trovare un forno dove cucinare per la comunità il kulich, il dolce tradizionale della Pasqua ortodossa, assai simile al panettone, si rivolsero a un noto pasticcere milanese. All’epoca la forma del panettone era assai simile a quella del pandolce ligure, largo e basso. Il pasticcere osservando la cottura del kulich, alto e stretto, pensò che se avesse dato quella forma al suo panettone, avrebbe potuto sfruttare meglio il piano di cottura del forno per cuocere più panettoni contemporaneamente.

Quel pasticcere si chiamava Motta e da allora si dice che il panettone milanese sia diventato più stretto e più alto.

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