Dino di vincenzo

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R I T R A T T I

Dino Di Vincenzo

Il Cavaliere che fece l’impresa



R I T R A T T I

Dino Di Vincenzo Il Cavaliere che fece l’impresa A cura di Claudio Carella

Vario ritratti gli Abruzzesi che fanno l’Abruzzo Una serie di pubblicazioni con l’eleganza inconfondibile dello “stile Vario”, ricche di immagini pubbliche e private spesso inedite. Una collana di “ritratti”, scritti in modo agile ed approndito allo stesso tempo, per raccontare i grandi protagonisti dell’Abruzzo di oggi: gli Abruzzesi che hanno scritto e stanno scrivendo la storia economica, civile e culturale della nostra regione. Per ricordarci che la massima e più preziosa risorsa dell’Abruzzo sono loro: gli Abruzzesi che lavorano, creano, intraprendono.

Supplemento a Vario 76 Direttore Responsabile: Claudio Carella - Aut. Trib. di Pescara n.12/87 del 25/11/87 Hanno collaborato: Francesco Di Vincenzo,Enzo Alimonti (grafica), Michele Camiscia (foto) Stampa, fotolito e allestimento: AGP - Arti Grafiche Picene - Via della Bonifica, 26 - Maltignano (AP) ©Vario 2011 - Redazione: Via Puccini, 85/2 - 65122 Pescara - Tel. 08527132 - redazione@vario.it - www.vario.it

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta o utilizzata senza l’esplicito consenso scritto da parte dell’editore


Prefazione

Dino Di Vincenzo, l’Abruzzo che sa intraprendere e competere C

i sono parole che hanno in sé una sorta di potere galvanizzante, una carica adrenalinica che mette voglia di muoversi, di darsi da fare. Intraprendere e competere sono tra queste parole “magiche”: le dici o le ascolti o soltanto le pensi e già ti senti invogliato, stimolato a progettare, a fare, a realizzare. A intraprendere, per l’appunto, e competere. Da che deriva l’effetto “propulsivo”di queste due parole? Probabilmente dalla consapevolezza “intuitiva”, cioè senza nemmeno bisogno di rifletterci troppo, che intraprendere e competere definiscono compiutamente la mission perfetta di un imprenditore e, al tempo stesso, indicano con efficacissima sintesi la formula del suo successo. Ogni imprenditore sa, o comunque impara presto, magari a sue spese, che per stare sul mercato occorrono in egual misura sapere intraprendere e saper competere. L’una capacità diventa presso-

ché inutile senza l’altra. Intraprendere e competere, dunque: oggi più che mai, in un’epoca in cui il concetto di “mercato” indica sempre più un’entità sconfinata, cioè letteralmente senza confini. In un mercato senza più protezioni (confini, dazi, leggi nazionali di favore, etc.) chi non ha capacità competitiva è destinato a scomparire o, nel migliore dei casi, a sopravvivere con gravi difficoltà e incertezza di prospettive. Dino Di Vincenzo ha saputo, in egual misura, intraprendere e competere, in Italia e all’estero, offrendo così all’Abruzzo un modello alto di imprenditore moderno, all’altezza della sfida dei nostri tempi. La nomina a Cavaliere del Lavoro, nel 2002, da parte del Presidente Ciampi è stato il meritato e altissimo coronamento istituzionale della esemplare storia imprenditoriale di un abruzzese esemplare.


Dino Di Vincenzo


Cavaliere del Lavoro, il riconoscimento più prestigioso

I

l 1923 fu un’annata prolifica di uomini e donne di grande e riconosciuto valore: Italo Calvino, Maria Callas, Giorgio Albertazzi, Henry Kissinger, Charlton Heston, Ranieri di Monaco, Sergio Zavoli, Franco Zeffirelli, don Lorenzo Milani, Cesare Romiti. E Dino Di Vincenzo. «Non scherziamo –si schermisce l’imprenditore–, questi miei illustri coetanei sono personaggi giganteschi, straordinari. Io non ho fatto nulla di speciale. Ho lavorato con impegno ed ho avuto un po’ di fortuna». Lodevole modestia ma del tutto immotivata come dimostra un altro elenco di nomi illustri: Giovanni Agnelli (Fiat), Guglielmo Marconi (radio), Alessandro Martini (liquori), Ernesto Breda (meccanica), Giovan Battista Pirelli (gomma), Ercole Marelli (elettromeccanica), Giorgio Enrico Falck (siderurgia), Luigi Lazzaroni (dolciaria), Angelo Salmoiraghi (strumenti di precisione), Giovan Battista Buitoni (alimentari). Che cosa

accomuna questi grandi, mitici imprenditori italiani? Sono stati tutti, in epoche diverse, nominati Cavalieri del Lavoro. Un riconoscimento, dunque, estremamente selettivo, che non si attribuisce certo a persone cui si riconosce solo di aver lavorato “con impegno” e aver avuto “un po’ di fortuna”. Dal 1 giugno 2002, Dino Di Vincenzo si è aggiunto a questo prestigioso ed esclusivo club di grandi imprenditori: da quella data, infatti, è Cavaliere dell’Ordine al Merito del Lavoro, insignito del prestigioso riconoscimento dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. È giusto ricordare che un provvedimento del 1986 del Presidente della Repubblica, Capo dell’Ordine, riordinò in senso ancor più restrittivo i criteri di attribuzione dell’altissima onorificenza assegnata ogni anno a soli 25 cittadini italiani “che si siano resi singolarmente benemeriti nell’agricol-


Il Cavaliere riceve l’ambito riconoscimento dal Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi.


tura, nell’industria, nel commercio, nell’artigianato, nell’attività creditizia e assicurativa”. Dino Di Vincenzo è, dunque, uno dei 2697 imprenditori italiani insigniti dell’altissima onorificenza nel corso dei 110 anni di esistenza dell’Ordine, dal 2001 al 2011: un numero di Cavalieri significativamente ristretto, a riprova dell’estremo rigore sempre usato nella selezione dei candidati all’insigne riconoscimento, ancor prima dell’ulteriore “giro di vite” del 1986. Il cavaliere del lavoro Dino Di Vincenzo ne è giustamente fiero, anche se, come sempre, usa toni pacati nel parlarne: «È una onorificenza che m’ha fatto molto piacere, anche perché arrivata quasi inaspettata. La solle-

citazione mi venne dall’allora prefetto di Pescara Andrea Gentile, che mi ha stimolato, mi ha spinto a raccogliere la documentazione necessaria per la candidatura che, tramite la prefettura, sarebbe giunta sul tavolo dei ministri dell’industria e delle politiche agricole cui spetta di sottoporre al Presidente della Repubblica l’elenco dei candidati. Devo dire che man mano che io mettevo su carta la documentazione mi rendevo conto che tutto sommato avevo dei titoli e cominciai a sperarci, anche se mi rendevo conto che forse mi mancava qualche contatto utile ai massimi livelli istituzionali. Perciò, quando mi è arrivata la notizia della nomina, la soddisfazione è stata ancora maggiore, come sempre quando si consegue un risultato contando solo sui propri meriti e capacità».

Dino Di Vincenzo con la moglie Maria davanti al Quirinale, il 1 giugno 2002, giorno della sua nomina a Cavaliere del Lavoro da parte del Presidente della Repubblica .


Il Cavaliere del lavoro Dino Di Vincenzo con Il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Un’immagine della cerimonia del 1 giugno 2002. Oltre al Presidente Ciampi e signora, si riconoscono in prima fila Silvio Berlusconi, Pierferdinando Casini e Lamberto Dini.


La “fortuna” del Cavaliere A

differenza di molti altri imprenditori che legittimamente, ma talvolta esageratamente, rivendicano solo alle proprie “eccezionali” capacità il merito del loro successo, il Cavaliere del lavoro Dino Di Vincenzo ha sempre tenuto un profilo basso e “modesto” quando s’è trattato di spiegare le ragioni della sua straordinaria vicenda imprenditoriale. Egli ha più di una volta affermato di considerarsi “fortunato”. E il concetto di fortuna ricorre spesso nelle sue parole. Qualche anno fa, nel corso di una trasmissione televisiva, Di Vincenzo ha ricordato che nel 2006, come Presidente della Camera di Commercio di Chieti, egli conferì il Premio “Fedeltà al lavoro” a Sergio Marchionne. Il famoso manager di origine abruzzese (è nato a Chieti il 17 giugno 1952), era già da due anni amministratore delegato della Fiat e dirigente stimato in tutto il mondo, ma, per

capirci, nella foto-ricordo scattata in quell’occasione, appare ancora impeccabilmente vestito in giacca e cravatta: insomma, dovevano ancora arrivare i tempi del pullover disinvoltamente indossato in tutte le occasioni, con la tranquilla sicumera di chi sa d’essere l’osannato “mito” planetario che lui, Marchionne, è diventato da quando è amministratore delegato anche della Chrysler di Detroit. Ebbene, Di Vincenzo, in quella trasmissione disse (scherzando, certo, ma lo disse): «Beh, a Marchionne gli ho proprio portato fortuna con quel premio». Come vedremo, nel racconto del suo percorso di imprenditore di grande successo ricorre spesso, nelle sue parole, espressioni come “ebbi la fortuna di “, “fui fortunato a”, etc. Il Cavaliere del lavoro Di Vincenzo è un credente, un uomo di fede, un cattolico praticante. Che cos’è la fortuna per un credente, se non l’intelli-



genza celeste e provvidenziale che decide le sorti del mondo secondo disegni imperscrutabili per la mente umana? La fortuna, dunque, non solo come buona sorte, ma anche come provvidenza. Max Weber, il grande studioso tedesco, autore di “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, scritto nei primi anni del ‘900, ha notato in quel suo famoso libro come il capitalismo si sia sviluppato prima e con più forza nei paesi investiti dalla riforma protestante. Per quale ragione? Secondo Weber una delle ragioni risiede nella convinzione calvinista che la ricchezza, il benessere, il successo professionale e sociale generati dal lavoro, sono un segno della grazia divina. Il lavoro e, soprattutto, la capacità di intraprendere, di assumere il “rischio imprenditoriale, per Calvino hanno dunque il valore d’una vocazione religiosa, d’una chiamata di Dio, di una predestinazione. La tesi di Weber, certamente criticabile per la sua oerentorietà, ha un’indubbia forza persuasiva. Ebbene, se usiamo la necessaria dose di impudenza intellettuale e sostituiamo il concetto calvinista di grazia con quello cattolico di provvidenza, ne possiamo dedurre, con qualche forzatura ma non in modo del tutto ingiustificato, che la fortuna negli affari, quando sia frutto di lavoro, impegno, onestà e rispetto delle regole, sia un segno

della provvidenza divina. È questo il senso profondo, ci sembra, che in un credente, in un uomo di fede come il Cavaliere del lavoro Dino Di Vincenzo, assume il richiamo al concetto di fortuna come origine e ragione fondante del suo successo di imprenditore. Una interpretazione fortemente avvalorata proprio dalla straordinaria vita presente, attuale, del cavaliere. Nella perdurante costanza del suo impegno, tuttora ad alti livelli di responsabilità e per progetti di grande rilevanza sociale ed economica, è sicuramente ben “visibile” la convinzione di non dover sciupare i suoi talenti, nemmeno per un più che meritato riposo in un’età che già di per sé lo giustificherebbe. Di Vincenzo, semplicemente, sa, è consapevole, di poter ancora dare molto alla società, di contribuire tuttora in modo incisivo al bene comune; e allora continua a fare ciò che ha sempre fatto: lavorare con il massimo impegno con tutte le sue capacità e le sue competenze. Possiamo chiamarlo senso del dovere, moralità, si tratta comunque di una motivazione etica profonda in cui si sommano l’antica, umanissima ambizione a migliorare continuamente la propria condizione e la profonda convinzione della natura etica del lavoro.

Dino Di Vincenzo con il figlio ingegner Gianni, oggi a capo del grande gruppo imprenditoriale da lui creato e sviluppato.



Ritratto di un imprenditore da giovane IL CUGINO

I

l nome non ha importanza: chiamiamolo, semplicemente, il Cugino. «Era il mio incubo. Un bravo ragazzo, ma ai miei occhi mio cugino aveva un difetto: era troppo bravo a scuola. Bravissimo, sempre il primo della classe. Io me la cavavo, ma non è che mi ammazzavo sui libri. Facevo il mio dovere, quel tanto necessario per essere promosso ma niente di più. Lui, invece…». Lui, il Cugino, invece, andava così bene a scuola che alla fine degli anni Trenta fu mandato a Roma, ai Ludi Juveniles, dove risultò tra i migliori e ricevette dalle mani di Benito Mussolini in persona l’ambitissimo premio di ben mille lire. Erano gli anni in cui Gilberto Mazzi cantava “Se potessi avere, mille lire al mese”… «Già, era una bella sommetta per quei tempi. Da quando vinse quel premio, mio cugino divenne, senza

volerlo, il mio tormento. I miei genitori non la finivano più di sbattermi in faccia il suo esempio. Era diventata un’ossessione: vedi tuo cugino quant’è bravo, vedi come si applica, come studia, come sa farsi voler bene dai professori, prendi esempio da lui, quello sì che farà strada nella vita, non tu». Avrebbero avuto modo di ricredersi ampiamente, e con grande soddisfazione, papà Giovanni e mamma Antonietta, piccoli proprietari terrieri che conducevano in proprio, con l’aiuto di manodopera stagionale, un ampio appezzamento di terreno sul dorso della collina di Chieti, in contrada Madonna delle Grazie, dove coltivavano grano, ortaggi, frutta e allevavano diversi bovini da latte nella grande stalla annessa alla loro rustica ma confortevole abitazione. Quel loro figliolo non sarà stato uno studente modello come quella perla del Cugino, ma di strada nella vita ne ha fatta davvero tanta.

La famiglia di origine di Dino Di Vincenzo: il padre Giovanni, la madre Antonietta e Maria, una delle sue due sorelle (l’altra si chiamava Adelia) scomparsa a 21 anni.


Il padre Giovanni in un tipico ritratto fotografico dell’epoca.


UNA BELLA FAMIGLIA

CHIETI “CITTÀ APERTA”,

È

IL MIRACOLO DI

un ricordo piacevole, per il cavaliere del lavoro Di Vincenzo, quello della sua famiglia d’origine; un ricordo che ancora oggi lo commuove e intenerisce. «Eravamo molto uniti, ci volevamo tutti bene. I miei genitori andavano molto d’accordo, posso dire di non averli mai visti litigare seriamente. Si viveva in un clima di serenità e relativa agiatezza. Mio padre era severo ma giusto, ci teneva molto a che facessi il mio dovere e imparassi a dare il giusto valore alle cose e, soprattutto, all’importanza del lavoro e dell’onestà. Avevo due sorelle: Adelia, più grande di me e Maria, purtroppo scomparsa giovane, a 21 anni. Allora mi sembrava tutto scontato, normale, ma da grande ho capito di avere avuto una grande fortuna a crescere in una famiglia così sana e concorde». Il fascismo, per il giovanissimo Dino, era soprattutto un “credo”. Insomma, ci credeva. «Nel ventennio dell’era fascita l’Italia era diventata grande, rispettata e stimata. I gerarchi di Chieti che ebbi occasione di conoscere erano tutti stimabili, brave persone e bravi professionisti. Ne cito alcuni: l’avvocato Vitaliano Carusi, il Federale Nucci ed il Vice Federale Olivieri e tanti altri. Dopo la guerra ebbi occasione di conoscere l’avvocato Domenico Spezioli, primo sindaco di Chieti dopo la Liberazione, gli avvocatiAgata e Moschetti, il dott. Moscarini e tanti altri, nonché grandi politici come Spataro, Gaspari, De Luca, Mancini e tanti altri, anch’essi tutte persone stimabili».

MONSIGNOR VENTURI

L

a situazione di serenità ed armonia della famiglia Di Vincenzo che non fu seriamente turbata neanche dalla guerra. «Io ero già un giovanotto durante la seconda guerra mondiale ma, naturalmente, vivevo ancora in famiglia. Nella nostra contrada i tedeschi avevano installato una grande cucina da campo che serviva anche alcuni reparti dislocati nei paesi vicino a Chieti. Con loro instaurammo un buon rapporto, ci passavano roba da mangiare e si comportavano abbastanza civilmente. Poi si sparse la voce che Chieti sarebbe stata bombardata, così ci preparammo per sfollare ma per fortuna il nostro arcivescovo, monsignor Giuseppe Venturi, riuscì a scongiurare lo sfollamento dei chietini adoperandosi per far dichiarare Chieti “città aperta”, cioè esclusa dalle azioni dei belligeranti. Fu un vero e proprio miracolo». Monsignor Giuseppe Venturi era veneto, nato nel 1874 a Mezzane, piccolo centro del veronese di cui fu sindaco per ben 39 anni il padre di Giuseppe, Celeste Venturi Monsignor Venturi fu nominato Arcivescovo dell’Archidiocesi Chieti-Vasto nel maggio del 1931, e si fece subito apprezzare per la sua grande umanità. Ma fu nel corso della guerra che monsignor Venturi si conquistò per sempre la riconoscenza e la gratitudine dei cittadini di Chieti. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, la città fu occupata dai

Il giovane Dino Di Vincenzo in una foto del dopoguerra, tra papà Giovanni e mamma Antonietta. A fianco, con due commilitoni.


Dino Di Vincenzo con un gruppo di giovani amici.


tedeschi. Da lì a pochi mesi, l’antica Teate sarebbe rimasta, praticamente, l’unico centro abitato della provincia ancora in piedi: Ortona, per ricordare il caso più tragico, fu interamente rasa al suolo durante la terribile battaglia dell’ultima settimana di dicembre fra tedeschi e anglo-canadesi. Fu così che a Chieti nel corso dell’inverno 1943-44 si riversarono oltre 80.000 sfollati dell’intera provincia. Una situazione difficile ma mille volte preferibile all’ancora più terribile prospettiva di uno sgombero totale della città. Andare dove, con quali mezzi? Monsignor Venturi capì che l’unica via per salvare la città era garantire e proteggere la vita e i beni dei chietini facendo di Chieti una zona franca, una “città aperta”, dove i belligeranti si impegnassero a non effettuare azioni di guerra di alcun genere. Furono mesi di difficili e drammatiche trattative cui l’arcivescovo di Chieti, ormai anziano e in cattiva salute, si dedicò con tutta la sua passione per la città e per la vita umana e con tutta la sua intelligenza degli uomini e delle situazioni. Fu così che, attraverso accorte e caute “triangolazioni” tra il maresciallo Kesserling, comandante militare dell’esercito tedesco dell’Italia centro meridionale, il comando militare anglo-americani e il Vaticano, monsignor Venturi riuscì a far convergere i due contrapposti eserciti sull’obiettivo a lui tanto a cuo-

re: Chieti doveva essere considerata zona neutrale, da non coinvolgere in operazioni di guerra. Insomma, a tutti gli effetti, una “città aperta”. Non ci fu una formalizzazione ufficiale dell’accordo, ma una sorta di “tacita intesa” tra le parti che funzionò e salvò Chieti e la sua popolazione da sventure peggiori di quelle comunque patite nel corso della guerra. Larga parte nel successo di monsignor Venturi lo ebbe il suo legame con Papa Pio XII che lo sostenne con decisione e autorevolezza nelle difficili trattative diplomatico-militari. Quando, nel giugno del 1944, Chieti fu definitivamente liberata, i cittadini si riversarono in massa davanti al palazzo arcivescovile per ringraziare con grande calore monsignor Venturi. Poco più di tre anni dopo, l’11 novembre 1947, l’arcivescovo di Chieti scomparve. Dino Di Vincenzo ricorda bene quel periodo, anche perché casa sua per alcune settimane dovette ospitare molte famiglie di sfollati. «Chieti, nel ’43 contava più di 100.000 abitanti, tra residenti e sfollati. A casa nostra demmo asilo a una quarantina di persone. Per fortuna, erano quasi tutti contadini dei paesi vicini che s’erano portati dietro anche gli animali che possedevano: galline, conigli, vitelli, maiali. Così, quando i viveri cominciarono a scarseggiare, si uccideva qualche animale e si mangiava».

Dino Di Vincenzo, il secondo da sinistra, lungo il viale della Villa Comunale di Chieti, nel 1943, in compagnai dei quattro giovani che, come lui, quell’anno presero il diploma di geometra all’Istituto Tecnico “F.Galiani”.


Dino Di Vincenzo con due amici.


IL FUTURO

A SCUOLA

DEL GIOVANE DINO

COL “TRENINO”

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apà Giovanni e mamma Antonietta avevano le idee chiare per il futuro del loro Dino: «Sarò sempre grato a mio padre e a mia madre che, pur essendo coltivatori benestanti, mi spinsero sempre a studiare, a crearmi le basi per una vita diversa. I miei vedevano per me un futuro da geometra. Sono contento di avere seguito la loro indicazione. Tra l’altro, devo dire che oggi il diploma è troppo spesso solo un “pezzo di carta”, non sempre utile a trovare lavoro, ma quand’ero giovane io essere diplomato geometra significava qualcosa di importante e soprattutto di utile ai fini del lavoro. Tra l’altro, devo dire che la bravura dei miei insegnanti mi consentì di essere, appena diplomato, già ben preparato per la professione. Insomma, i miei ci hanno visto bene».

A

scuola il piccolo Dino ci arrivava con il mitico “trenino” elettrico (in realtà un semplice tram) che fino agli anni Quaranta collegava Chieti Scalo con Chieti alta, partendo dal piazzale della stazione e arrivando a piazza San Giustino. Il tram risaliva la collina con un ampio giro che toccava molte delle contrade di campagna intorno a Chieti, tra cui Madonna delle Grazie, dove abitava la famiglia Di Vincenzo. «Mi piaceva quel piccolo viaggio mattutino per raggiungere la scuola. Grazie alla cortesia del conducente, amico di mio padre, che rallentava per farmi salire, prendevo il trenino praticamente al volo, a poca distanza da casa, all’incrocio tra il viottolo che portava da noi e i binari, senza dovermi recare alla fermata che era distante qualche centinaio di metri. Scendevo alla Villetta, oggi piazza Garibaldi, la fermata più vicina alla mia scuola». Il piccolo Dino frequentava le scuole elementari di Porta Sant’Anna, allora come oggi ospitate nel bell’edifico umbertino all’inizio di via Arniense, la strada che immette nel centro storico di Chieti chi proviene dal circondario orientale. Ma com’era lo scolaro Dino Di Vincenzo? «Abbastanza discolo ma andavo bene».

Un giovanissimo Dino in bicicletta. In alto, con la moto Guzzi che gli sarebbe tornata molto utile nei suoi primi passi da imprenditore.


Il geometra Dino Di Vincenzo si fa le ossa nella professione.


STUDENTE LAVORATORE

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opo le scuole medie frequentate nella “Giovanni Chiarini”, nel cuore dello splendido parco dell’ex Villa Nolli trasformato in Villa Comunale, nell’anno scolastico 19381939 Dino Di Vincenzo si iscrive all’istituto Tecnico e per Geometri dedicato a Ferdinando Galiani, il geniale economista, letterato e grand commis del Regno di Napoli, nato e vissuto a Chieti fino all’età di otto anni. Dino scelse il corso per geometri. Il diploma arrivò nel 1943, nel pieno della guerra, tant’è vero che la classe di Dino era composta solo da cinque giovani («Ed era la più numerosa del Galiani…»). All’epoca quasi tutti i giovani erano stati richiamati sotto le armi e molti non tornarono dalle infuocate sabbie del nord Africa o dalle gelide steppe della Russia. «Io, per mia fortuna, evitai il servizio militare perché essendo l’unico figlio maschio fui esonerato». Già prima del diploma il giovane Di Vincenzo fece delle piccole ma preziose esperienze professionali. A 14 anni guadagnò i suoi primi soldi grazie a un “lavoretto” (sistemare e classificare le bollette della trebbiatura) ottenuto dal Consorzio Agrario. Compenso: cinquanta lire in un’estate. Non era granché, ma per un ragazzino una vera manna dal cielo.

Il tesserino dell’Università di Roma.

«Altrochè! Cinquanta lire per un adolescente a quei tempi bastavano per mesi. Io arrivai alla fine dell’anno senza più dover chiedere un centesimo ai miei».

IO LEGGO, TU SCRIVI

I

n quegli stessi anni gli capitò un altro “lavoretto” discretamente retribuito che, però, gli presentò una difficoltà imprevista. Dino Di Vincenzo era amico di un dirigente responsabile dell’Ufficio tecnico erariale di Chieti. Costui, conoscendo la preparazione e la serietà del giovane geometra, gli propose di dargli una mano nella redazione delle schede delle imprese edili provinciali da inserire nel nuovo elenco dell’Ufficio. Duecentocinquanta lire il compenso promesso. «Mi misi al lavoro ma ben presto sorse un problema. A quell’epoca si scriveva tutto a mano, ma la mia calligrafia era talmente illeggibile che nessuno, a parte me, riusciva a decifrare ciò che avevo scritto. L’amico che mi aveva assunto quando se ne accorse mi prese da parte e mi disse: “Lascia perdere, con la tua calligrafia non puoi fare questo lavoro”. Io non avevo alcuna intenzione di lasciar perdere e dopo averci pensato su trovai la soluzione. Avevo un amico che era uno straordinario calligrafo, si chiamava Sicari, aveva una scrittura chiarissima, perfetta, più leggibile di uno stampato. Lo chiamai, gli spiegai il mio problema e gli


Un bel ritratto diel Cavaliere da giovane.


proposi l’affare: “Senti”, gli dissi, “io leggo, ti detto e tu scrivi. Poi ci dividiamo a metà le 250 lire. Ci stai?”. Figurarsi se non ci stava, con la fame che c’era a quei tempi. E così, risolsi il problema».

UN LAVORO GRATUITO MA PREZIOSO

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e guerre, soprattutto le ultime due che hanno coinvolto l’Italia, hanno sempre causato la morte di milioni di giovani fanti. Ma neanche i santi, per così dire, se la sono cavata senza danni: i bombardamenti e i cannoneggiamenti degli eserciti contrapposti hanno causato la distruzione di una gran quantità di chiese e di edifici religiosi, oltre, naturalmente, alla quasi totalità dei centri coinvolti più direttamente dalle cruente battaglie che sconvolsero la provincia di Chieti (Ortona, Tollo, etc.). Finita la guerra, lo stato si adoperò per risarcire anche la Chiesa dei danni subiti dagli edifici di sua proprietà. Il geometra Di Vincenzo ebbe un ruolo importante per il buon fine delle richieste per i risarcimenti degli edifici di culto distrutti o danneggiati nella provincia di Chieti. «Già nel 1944, su richiesta di don Francesco De Mariniis, Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Chieti-Vasto, entrai a far parte del Comitato tecnico dell’Arcidiocesi che, subito dopo la guerra, finì per occuparsi prevalentemente della definizione e della presentazione delle pratiche per ottenere il risarcimento dei danni. Purtroppo, in quel comitato non tutti avevano la mia preparazione tecnica e così dovetti fare un gran lavoro per correggere, integrare e completare le pratiche preparate sommariamente, e spesso erroneamente, da altri: era chiaro che così com’erano difficilmente sarebbero state ammesse al risarcimento. Ci volle un anno di lavoro. Non solo mio, beninteso, ma anche di tanti preti e funzionari della Curia, per sistemare le centinaia di pratiche che alla fine furono inoltrate con successo. Quel lavoro non mi portò compensi, ma fu molto utile per la mia immagine professionale: non capita a tutti, a venticinque anni, rappresentare la Curia di Chieti presso il Genio Civile, il Provveditorato alle Opere Pubbliche, il Ministero dei Lavori Pubblici e l’Ufficio Tecnico del Vaticano, allora diretto da monsignor Giovanni Battista Alfano». Giovanni Battista Alfano, napoletano, era una originale figura di prete-scienziato, geologo e sismologo, direttore dell’osservatorio sismico di Pompei dal 1907 al 1931 e fondatore di un osservatorio sismico nel Seminario Maggiore

di Napoli, nonché costruttore di uno dei primi sismografi usati in Italia: un personaggio di altissima caratura scientifica e di grande prestigio, non solo all’interno della chiesa ma in tutta la comunità scientifica. Monsignor Alfano prese in simpatia e imparò ad apprezzare quel giovane geometra abruzzese così serio, preparato e accurato nel suo lavoro. Per Dino Di Vincenzo si rivelò una conoscenza preziosa. «Non guadagnai una lira da quel lavoro ma è indubbio che la mia carriera se ne giovò. Tra l’altro, mi fece capire che il mio avvenire era nella libera professione».

IL MISTERIOSO LANZETTA

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opo la guerra, Dino Di Vincenzo si iscrisse alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Roma. «All’epoca, era l’unica facoltà accessibile a chi, come me, aveva un diploma da geometra. Andavo di tanto in tanto a Roma con l’autobus di Di Fonzo. Si faceva il vecchio tragitto che passava per Antrodoco e Rieti. Un viaggio di oltre sei ore, tra strade dissestate e autobus malandati. Dopo due anni mi resi conto che, non potendo permettermi di risiedere stabilmente a Roma, diventava quasi impossibile studiare e dare esami con regolarità. Capii che sarei diventato uno studente di lungo corso più che fuori corso, e così rinunciai dedicandomi al mio lavoro». Il cavaliere del lavoro Di Vincenzo ricorda e racconta un episodio strano, misterioso, che lo colpì molto. «Un giorno in un ristorante vicino alla Stazione Termini, stavo mangiando una pizzetta. La sala grande aveva un grosso pilastro centrale. C’erano pochi avventori ma uno attrasse la mia attenzione, una persona dietro il pilastro che somigliava al mio amatissimo compagno di scuola Giorgio Lanzetta. A Chieti si era sparsa la notizia che Giorgio dopo aver aderito alla Repubblica di Salò era stato fatto prigioniero, alcuni lo davano per fucilato. Anche Giorgio mi vide e mi riconobbe e così ci ritrovammo abbracciati e piangenti per la commozione e lui mi disse: “Dino, sei proprio tu, Dino!”.“Sì, Giorgio, chi vuoi che sia: sono io”. Allora Giorgio aggiunse: “Non dire a nessuno che mi hai visto, non posso dirti di più”. L’abbraccio durò a lungo. Ci siamo rivisti a Chieti per festeggiare i 50 anni del diploma, che lui aveva preso insieme a me, con lui e i suoi figli e gli altri nostri compagni di scuola. Giorgio è stato un uomo fortunato, ha conosciuto e sposato Anna Maria, detta Nuccia, ha creatoe sviluppato un’ottima impresa edile ed oggi è un grande imprenditore agricolo. Bravo, bravissimo Giorgio».


Dino Di Vincenzo negli anni ‘50 con il vescovo di Chieti, mons. G.B. Bosio. e monsignor Falcucci.


Un impegno senza età, sempre coniugato al presente UNA STORIA INFINITA

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i sono tanti modi per raccontare la storia di un uomo, di un imprenditore. Il cinema, la letteratura, il teatro ci hanno insegnato che si può cominciare dall’inizio o dalla fine, da un episodio dell’età di mezzo o dal ricordo di un amico, da una vicenda pubblica o da un evento familiare. La scelta può essere casuale, oppure dettata dal genere della narrazione o dallo stile del narratore. Nel caso di Dino Di Vincenzo, per dare non solo il più ampio resoconto della sua sessantennale carriera di imprenditore, ma anche per far emergere il senso complessivo della sua vita, il modo migliore per iniziare il racconto è cominciare dalla fine (termine quanto mai improprio, vista la straordinaria longevità professionale del Cavaliere), cioè dal presente, dalla sua vita attuale, tuttora così piena di impegni e di passione

Primi anni ‘60: papà Dino con il primogenito Gianni.


Dino Di Vincenzo, a destra, con il suo primo socio (e suocero) Gaetano Di Pasquale.


ATTIVO PIU’ CHE MAI

I

l Cavaliere del lavoro Dino Di Vincenzo è nato il 14 Giugno 1923. Nei giorni in cui scriviamo, dunque, ha ottantotto anni. Il grande e complesso gruppo imprenditoriale che egli ha fondato, sviluppato e consolidato in tanti decenni di intensa attività, è impegnato su moltissimi fronti sotto la guida del primogenito, l’ingegner Gianni. Per sé, il cavaliere del lavoro si è ritagliato il ruolo del saggio supervisore. Ma chi pensa che questo suo passo di lato nella conduzione degli affari di famiglia significhi, in qualche modo, una sorta di pensionamento, si sbaglia di grosso. Il Cavaliere del lavoro Di Vincenzo è più che mai attivo e impegnato in incarichi pubblici e privati di grande onere e responsabilità. Dopo essere stato Presidente della Camera di Commercio di Chieti per dieci anni, dal 1999 al 2009, su delega del suo successore, il dottor Silvio Di Lorenzo, è ora Presidente dell’Azienda speciale Agenzia di Sviluppo dell’Ente camerale di Chieti. Il Cavaliere Di Vincenzo è totalmente immerso in un fervore di iniziative in cui s’intravede il segno della sua capacità progettuale ed organizzativa. Sentiamolo: «La nostra Agenzia ha lo scopo di sostenere le piccole e medie imprese delle nostra provincia, una funzione determinante in un periodo difficile come questo. Abbiamo elaborato progetti per la internazionalizzazione, la formazione, l’assistenza e l’innovazione tecnologica. Il nostro sostegno si sviluppa attraver-

Dino Di Vincenzo con Remo Gaspari.

so un sistema integrato di servizi di informazione, counseilling, assistenza personalizzata e formazione. Alcune attività sono state già avviate, altre si concluderanno nel corso dell’anno. Si tratta di interventi che spesso ci vedono capofila e in altri casi partner privilegiati di altri enti, studiati e predisposti per incrociare le principali tematiche europee, nazionali e regionali, all’interno dei network che vedono partecipe il nostro ente, con le esigenze espresse dal mondo delle imprese della provincia». E aggiunge: «Nell’ambito delle relazioni internazionali sono previste attività di formazione sia per i professionisti consulenti di impresa che per gli imprenditori. L’Agenzia di sviluppo affiancherà le imprese tanto nella fase di ospitalità degli operatori stranieri, quanto in missioni su alcuni settori specifici e di riferimento per il territorio, tra cui l’automotive, il design e l’agroalimentare. Tra i paesi di interesse ci sono quelli del Mediterraneo, del Nord America e Cina. Questi progetti saranno sviluppati in diverse fasi. E’ il caso di Women Ambassador in Italy, promosso nell’ambito di un bando della Commissione europea, per promuovere lo spirito imprenditoriale femminile in Italia, attraverso la creazione di un network di donne imprenditrici esperte, che con la loro testimonianza nella realizzazione di una business idea, possano trasmettere alle imprenditrici esordienti, le personali esperienze maturate».


Il Cavaliere con monsignor Giuseppe Jannucci.


UN INTERPORTO DA

LA NUOVA CHIESA

FAR DECOLLARE

DI SAN ROCCO

U

A SAMBUCETO:

n’altra colossale iniziativa, destinata a rivoluzionare il sistema dei trasporti nel Centro Italia, vede protagonista il Cavaliere Di Vincenzo: parliamo dell’Interporto d’Abruzzo, sorto nel territorio di Manoppello, nell’intersezione delle province di Chieti e Pescara, in direzione Roma. Dino Di Vincenzo è il Presidente di Interporto d’Abruzzo spa. «Presto l’Interporto avrà un casello autostradale dedicato e l’operatività dell’interscambio con il trasporto su ferro; tutto ciò rappresenta una grande novità per la nostra regione. Il decollo dell’Interporto d’Abruzzo, la sinergia con gli altri interporti dell’Italia Centrale e quindi la nascita di una piattaforma del Centro Italia, contribuirà a rendere più competitiva la struttura economica non solo abruzzese, ma nazionale. Noi abbiamo lavorato per concretizzare modernità e sviluppo a servizio degli operatori economici del territorio, ora sta alla politica finalizzare questo sforzo, per rispondere al bisogno della grande mobilità che la nostra economia comincia a sentire in modo pressante». Oggi Di Vincenzo è rappresentante non solo dell’Interporto d’Abruzzo ma anche degli Interporti dell’Italia Centrale Orte, Frosinone e Jesi.

CHE BOTTA!

T

erzo esempio degli impegni correnti di Dino Di Vincenzo, sicuramente meno gravoso dei primi due ma molto significativo ed eloquente della sua scala di valori: il Cavaliere del lavoro è a capo del “Comitato Pro erigenda chiesa di San Rocco”, a Sambuceto di San Giovanni Teatino, progettata dal famoso architetto svizzero Mario Botta, e fortemente voluta dall’arcivescovo di Chieti monsignor Bruno Forte. Una iniziativa di grande rilievo culturale oltre che religioso. Mario Botta non è solo uno dei massimi architetti viventi, ma è universalmente riconosciuto come uno dei più innovativi “autori” contemporanei di edifici di culto. La sua Chiesa dedicata a Santa Maria degli Angeli, sul Monte Tanaro, in Svizzera, è considerata un capolavoro dell’architettura moderna. Dino Di Vincenzo non ha voluto far mancare il suo attivo contributo a questa grande opera. Un impegno che lascia intravedere in filigrana e ripropone all’attenzione quella profonda motivazione etica della sua attività imprenditoriale di cui abbiamo parlato in precedenza.

Monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti, l’architetto Mario Botta, progettista della nuova chiesa di San Rocco a San Giovanni Teatino, e Dino Di Vincenzo.


Con il Presidente della Giunta Regionale d’Abruzzo, Gianni Chiodi.


Nascita e crescita di un’impresa di successo

A

venticinque anni Dino Di Vincenzo decise di fare il grande passo: iniziare la carriera del costruttore. Gli mancavano ancora alcuni requisiti, però: ad esempio, non è ancora titolare di impresa iscritta all’Albo di Fiducia del Provveditorato alle Opere Pubbliche. Era un problema, perché tale iscrizione gli avrebbe consentito di aspirare all’affidamento a trattativa privata dell’esecuzioni di lavori commissionati dal Genio Civile. «Per fortuna, ebbi l’aiuto di Gaetano Di Pasquale, un vecchio ed esperto costruttore di opere pubbliche di Atessa che, tra l’altro, nel 1949 sarebbe diventato mio suocero, essendo il padre di mia moglie Maria. Grazie a lui riuscii ad aggiudicarmi prima l’appalto per la costruzione di alcune case popolari a Fossacesia, poi la ricostruzione in cemento armato di un ponte sul fiume Alento». La “dotazione” d’impresa del neo costruttore consisteva in otto dipendenti e una vecchia

motocicletta per spostamenti e piccoli trasporti. Nient’altro, ma il giovane Di Vincenzo se la cavò benissimo. «Devo dire proprio di sì: finìi addirittura i lavori del ponte con alcuni giorni di anticipo sulla scadenza. I funzionari del Genio Civile si dissero molto soddisfatti e, cosa che non guastava certo, pagate le spese e i dipendenti mi rimase in tasca una somma del tutto soddisfacente. In quanto alle case popolari di Fossacesia, le ho riviste proprio qualche tempo fa e mi sono sembrate ancora in ottimo stato». Una bella soddisfazione…«Una grande soddisfazione». Un esordio brillante, insomma, in cui c’era già tutta l’intraprendenza, la capacità di lavoro, la preparazione professionale e l’abilità organizzativa del futuro Cavaliere del Lavoro. «Certo, si lavorava duro, non meno di 12-15 ore al giorno, ma la voglia di fare non mancava, né a me né ai miei collaboratori».



IN PRINCIPIO FU LA SIPES

G

li anni Cinquanta furono un decennio di sviluppo e di crescita per l’attività imprenditoriale di Dino Di Vincenzo. La prima società, costituita con il suocero Gaetano Di Pasquale e con il cognato Francesco Cardano, operava soprattutto nel settore delle opere stradali e idrauliche. Poco dopo fu fondata la SIPES che con lungimiranza si specializzò nel settore di palificazioni e sondaggi. «Dopo la positiva esperienza dei risarcimenti dei danni di guerra subiti dagli edifici di culto, io ero rimasto anche in seguito consulente tecnico della Curia di Chieti. Nel 1956 a Chieti ci fu un movimento franoso che interessò, con un pericoloso smottamento, la nuova chiesa di Madonna degli Angeli che io stavo costruendo con la mia impresa. Per i lavori di consolidamento avevo chiamato una ditta di Roma specializzata nella costruzione e istallazione di “pali” di cemento armato. Questa ditta si serviva come consulente di un professore dell’Università di Roma, un geologo, che mi prese in grande simpatia. Diceva che somigliavo ad un suo nipote cui lui era molto affezionato. Insomma, grazie a lui capii molti “segreti” di quel lavoro e così, con il suo aiuto e i suoi consigli, fondai la SIPES, una società il cui oggetto sociale era, appunto, l’attuazione di impianti e scavi per l’edilizia. Ben presto mi feci un buon nome nel settore, anche perché quel geologo docente universitario non mi fece mai mancare il suo aiuto. “La facoltà di geologia è a tua disposizione” mi ripeteva sempre». In quegli anni e nei successivi, l’attività di Dino Di Vincenzo si allargò ad altri settori. «Costruii acquedotti rurali finanziati dalla Comunità Europea e laghi collinari». Un settore, quello delle infrastrutture idrauliche e

per l’irrigazione delle campagne, dove il lavoro non mancava, ma spesso tutto si complicava per la difficile reperibilità dei componenti necessari ai lavori. Ricorda Di Vincenzo: «All’epoca per avere i tubi bisognava raccomandarsi, pagare un terzo all’ordine, un terzo alla consegna e un terzo all’approntamento. In pratica, si pagava quasi tutto anticipato: la richiesta era enorme e le ditte fornitrici avevano il coltello dalla parte del manico. Io spesso mi trovavo in difficoltà perché oltre alla difficile reperibilità dei tubi non avevo tutti i soldi necessari per versare gli anticipi e i successivi acconti. Un giorno ebbi la fortuna di conoscere un importante rappresentante della Falck, che all’epoca era uno dei maggiori produttori di tubi per acquedotti e irrigazione, che mi prese in simpatia. Io gli feci presente le mie difficoltà e gli dissi che se non mi avessero fatto credito a più lungo termine, senza pretendere quegli onerosi anticipi, mi avrebbero messo nei guai. Quel signore venne a Chieti, andò al Credito Italiano, la banca con cui lavoravo, s’informò, mi telefonò e mi disse: “Puoi prendere quello che ti pare, mi pagherai quando incassi”. Fui davvero fortunato a suscitare la benevolenza di quel rappresentante della Falck». I tubi arrivarono ma erano tanti che Di Vincenzo non sapeva dove metterli. Allora si fece camminare il cervello e trasformò, come sanno fare gli imprenditori di talento, un problema in una opportunità positiva. «Era il mio primo lavoro in quel settore: un grosso acquedotto per la zona di San Salvo. Quando arrivò quella montagna di tubi sorse un problema perché mi impedirono di immagazzinarli nella zona del Consorzio Industriale. Allora feci una mossa azzardata che, per fortuna, andò a buon fine e mi fruttò anche un cospicuo guadagno accessorio. Quei tubi mi costavano 1000 lire al metro, li rivendetti in parte a 1200 lire e feci il lavoro con quelli rimasti, comprandone man mano gli altri necessari a 1000 lire».

Dino Di Vincenzo con Carlo Azeglio Ciampi, durante la visita dell’allora Presidente della Repubblica a Chieti, nel 2006.



I CONSIGLI DEL COMMENDATORE, I DUBBI DEL CAVALIERE

M

olti chietini non lo sapevano, ma il Commendator Arrigo Chiavegatti, uno degli uomini più importanti e potenti di Chieti e dell’Abruzzo nel trentennio post bellico, non era abruzzese, bensì veneto. Chiavegatti, infatti, era di Melara, un piccolo comune in provincia di Rovigo, dove era nato all’inizio del ‘900. Laureato in scienze commerciali, fu da giovanissimo vicino ai socialisti, poi, messosi in luce per le sue notevoli doti intellettuali e culturali divenne un personaggio di rilievo del fascismo: nel ’34 Mussolini lo chiamò a Roma quale responsabile dell’ufficio stampa e propaganda del Pnf. A Chieti, città d’origine della moglie, Chiavegatti arrivò nel dopoguerra. Divenuto stretto collaboratore di Giuseppe Spataro, l’indimenticato ministro vastese cofondatore della DC, Chiavegatti fu, negli anni, Presidente dell’Unione Provinciale Industriali, Presidente della Camera di Commercio e Presidente dell’Ente Provinciale per il Turismo, oltre che dirigente di un ente nazionale che si occupava dei danni di guerra. Per molti anni ricoprì anche la prestigiosa carica di Vice Presidente della Cassa per il Mezzogiorno. Il Cavaliere del lavoro Di Vincenzo ebbe sempre un rapporto molto stretto con il commendator Chiavegatti e lo ricorda ancora con affetto e riconoscenza, anche se quel ricordo riaccende in lui vecchi dubbi. «Quando mi conobbe, mi prese subito a benvolere

e divenni un suo stretto collaboratore. In pratica gli facevo da portaborse, lo accompagnavo dappertutto. Lui mi diede sempre dei preziosi consigli per la mia attività. Mi spinse anche a cercare di prendere i lavori per l’insediamento della SIV, ma la cosa si rivelò complicata. Comunque qualcosa feci, ma piccoli lavori, anche con la SIV. Invece, sempre grazie ai preziosi consigli del commendator Chiavegatti, presi i lavori per l’acquedotto del Trigno, un grosso lavoro, per l’epoca: dovetti costruire 5 chilometri di condutture per un importo di circa 100 milioni di lire. Una cifra di tutto rispetto, all’epoca. In più, fui agevolato molto in quel lavoro perché riuscii ad ottenere 20 milioni di acconto, il che mi facilitò molto il compito evitandomi di espormi troppo con le banche. Ebbi un altro genere di problemi perché i contadini non volevano far passare i tubi dell’acquedotto sui loro terreni. Per fortuna ebbi l’aiuto di Vitale Artese, che fu deputato Dc e sindaco di San Salvo, che seppe convincere i contadini a desistere dalla loro opposizione». Eppure, nonostante questi exploit imprenditoriali, Dino Di Vincenzo ha qualche rimpianto che non esita a confessare: «Forse in certe occasioni sono stato troppo prudente, forse dovevo essere più avventuroso, lanciarmi di più. Ma io ho sempre preferito muovermi con una certa cautela. Il mestiere dell’imprenditore è già di per sé caratterizzato dall’inevitabile rischio d’impresa, io non volevo accrescere quel rischio con mosse troppo azzardate. A volte ripenso al commendator Chiavegatti che mi spingeva a cercare di prendere i lavori di costruzione dello stabilimento SIV: aveva ragione lui? Ho sbagliato io a non provarci perché mi sembrava un impresa troppo grande per le mie dimensioni di allora? Oppure ho fatto bene ad agire con cautela? Non lo so, ho ancora molti dubbi».

Dino Di Vincenzo, nella sua veste di Presidente della Camera di Commercio di Chieti, in una cerimonia per il conferimento dei diplomi per la “Fedeltà al lavoro”.


Sopra, con l’imprenditore abruzzese Carlo Toto. In alto, Dino Di Vincenzo è con Luca Cordero di Montezemolo e Sergio Marchionne.


UN SESSANTENNIO DI SUCCESSI

I

dubbi e la cautela, segni, in realtà, di saggezza personale e di grande coscienza professionale, non hanno certo impedito a Dino Di Vincenzo di infilare un successo dietro l’altro e una serie di ammirate realizzazioni in tutti i settori dell’ingegneria civile: dalle grandi opere pubbliche all’edilizia abitativa e direzionale, dai complessi commerciali ed alberghieri a quelli ospedalieri e di ricerca scientifica, dalle opere idrauliche ed impianti di depurazione alle grandi infrastrutture di collegamento. A questa ricca articolazione di settori operativi, agli inizi degli anni ’90, si sono aggiunti nuovi campi d’azione della “Di Vincenzo Dino & C. spa”: edilizia, project development, gestione servizi gas e acqua. A metà degli anni ’90 il

Gruppo di riorganizza: nasce la holding industriale IGEFI srl e viene portata a compimento una riorganizzazione del Gruppo collocando i diversi business nell’ambito di autonomi contesti societari. Di grande rilievo e successo l’attività della società CEIT che opera nel settore impiantistico e delle telecomunicazioni. Oggi è tra le prime cinque società italiane del settore con oltre 100 milioni di euro di fatturato e 600 dipendenti. Oltre sessant’anni di attività che hanno portato il Cavaliere del Lavoro Dino Di Vincenzo ad essere unanimemente riconosciuto come uno dei massimi imprenditori del centro-sud e, per molti aspetti, dell’intera Italia. In ben 17 regioni italiane su 20, infatti, è oggi presente un cantiere della Dino Di Vincenzo spa. Un dato che da solo testimonia il livello professionale, la capacità competitiva e la forza espansiva della società.

Dino Di Vincenzo con Silvio Di Lorenzo, suo successore alla presidenza della Camera di Commercio di Chieti e con l’imprenditore Mauro Trevisan.



Le grandi realizzazioni L

a Di Vincenzo Dino & C. spa è una Impresa Generale di Costruzioni operante da oltre 50 anni, sia in Italia che all’estero, in tutti i settori dell’ingegneria civile. Oggi, dal punto di vista organizzativo-societario, la Di Vincenzo Dino & C. spa è la società specializzata nel settore delle costruzioni del Gruppo Igefi srl, la holding che opera anche nei settori delle telecomunicazioni e della progettazione, sviluppo e gestione immobiliare, attraverso la DV Real Estate srl. Il gruppo Igefi, inoltre, possiede il 50% della società Bonatti Holding srl che controlla la Bonatti spa, società leader nei pipelines, impiantistica per il settore petrolifero e nelle costruzioni. La vastissima esperienza della Di Vincenzo Dino & C. spa spazia dalle grandi opere pubbliche all’edilizia abitativa e direzionale, dai complessi commerciali ed alberghieri a quelli ospedalieri e di ricerca scientifica, dalle opere idrauliche ed impianti di depurazione alle grandi infrastrutture di collegamento. Un’esperienza che ha prodotto un know how formidabile, che consente al Gruppo Di Vincenzo di essere protagonista non solo nel momento esecutivo delle opere, ma anche nella nascita, nella gestione e nella concretizzazione dei progetti. Ma quali sono state le opere più significative realizzate dal Cavaliere del lavoro Di Vincenzo? Ne elenchiamo e descriviamo sinteticamente alcune, limitandoci all’ultimo quarto di secolo.

1990. IL MARIO NEGRI SUD Il 1° Settembre 1987 iniziarono le attività scien-

tifiche dell’Istituto Mario Negri Sud di Santa Maria Imbarco, vicino Lanciano. L’Istituto è un Centro di Ricerche Biomediche e Farmacologiche, realizzato da un Consorzio tra l’Istituto Mario Negri di Milano e la Provincia di Chieti. Una struttura che nei suoi 24 anni di vita ha saputo conquistarsi un ruolo di grande rilievo e autorevolezza in seno alla comunità scientifica internazionale. Merito dei suoi ricercatori e degli enti che ne sostengono l’attività, ma anche della razionalità e funzionalità degli edifici. Merito, dunque, anche di Dino Di Vincenzo: sono state infatti due delle società a lui facenti capo (la Dino Di Vincenzo spa e la Sipes spa) a realizzare l’edificio principale (terminato nel 1990) e a ristrutturare e ampliare e adeguare quelli esistenti. Le opere edilizie furono realizzate dalla Dino Di Vincenzo spa e gli impianti dalla Sipes. Il lavoro di impiantistica è stato particolarmente complesso e delicato, data la natura delle attività svolte nel campus scientifico di Santa Maria Imbarco. Oltre agli impianti idrico-igienico-sanitario, elettrico, antincendio, termico e produzione vapore, condizionamento gas e medicali, fu infatti realizzato un impianto speciale per l’abbattimento dei liquidi radioattivi utilizzati dall’attività di ricerca. Tale impianto consente lo smaltimento di questi liquidi nelle rete fognanti collegate ad un impianto di depurazione generale di tipo biologico, realizzato a servizio dell’intero complesso. «Un’opera molto impegnativa e complessa –sottolinea oggi Dino Di Vincenzo- che le mie società hanno realizzata al meglio. Dopo quasi 25 anni di funzionamento posso dire con orgoglio che le opere edilizie e l’impiantistica si sono rivelate funzionali ed efficienti, senza mai creare problemi di alcun genere all’attività del Mario Negri Sud».


Il Mario Negri Sud.


1991. IL PORTO TURISTICO “MARINA DI PESCARA” Uno dei “gioielli” di Pescara, il Porto Turistico, è stato realizzato con la partecipazione del Gruppo Di Vincenzo e consegnato alla città nel luglio 1991. Il “Marina di Pescara”, dotato di moderne infrastrutture, conta 850 posti barca dai 6 ai 30 metri su uno specchio acqueo di 180.000 mq con pescaggio fino a 3,5 metri.

funzione idraulica, sulle sponde del canale collettore sono stati realizzati ex-novo un Arboreo didattico, un’Oasi faunistica, un Bosco spondale e un Orto botanico. Grazie a questi interventi, il grande canale è diventato un vero e proprio parco fluviale. L’intervento sulla Galleria ClaudioTorlona, già in forte degrado, ha restituito integralmente la storica struttura non solo alle sue specifiche funzioni idrauliche, ma anche a quelle storico-archeologiche, configurandosi oggi come un vero e proprio parco archeologico.

1995. PROJECT FINANCE

1993.

E RISTRUTTURAZIONE

RESTAURO E RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE DEL COLLETTORE DEL FUCINO Era il terzo lago d’Italia per estensione, ma nel 1878 il principe Torlonia portò a compimento quello che non era riuscito all’imperatore romano Claudio: il prosciugamento del Fucino. Oggi, la vasta piana del Fucino è una delle più fertili e redditizie aree agricole del mondo, grazie anche alla funzionalità del grande canale collettore che assicura l’equilibrio idrogeologico della zona. Una infrastruttura idraulica fondamentale, dunque, che ha bisogno di frequenti interventi di manutenzione, restauro e riqualificazione. Operazioni complesse, che necessitano di una pluralità di competenze. La Di Vincenzo Dino & C. spa e la Sipes spa hanno avuto un ruolo determinante nella realizzazione del restauro e della riqualificazione ambientale del territorio. Nel sito del canale collettore centrale si sono utilizzate le più aggiornate tecniche operative, quali il consolidamento mediante jet-grouting, le mantellate inerite, l’applicazione di manti protettivi biodegradabili (graticciate vive, geostuoie, etc.), le idrosemine, le irrigazioni estive, che hanno consentito una immediata riqualificazione del territorio su eccellenti standard di copertura vegetale. Oltre al pieno recupero della sua

DEL TIRANA INTERNATIONAL HOTEL A riprova della sua dimensione internazionale, la Di Vincenzo Dino è stata decisiva co-protagonista di un’operazione immobiliare di grande rilievo, avviata agli inizi degli anni ’90 dalla BERS (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo). La banca, con sede a Londra, si rese promotrice della ristrutturazione di un hotel nella capitale albanese, intervento considerato prioritario per l’avvio di relazioni commerciali fra l’Albania e i paesi europei. Il Gruppo Di Vincenzo, attraverso la controllata Di Vincenzo Estero srl, venne inizialmente selezionato come developer del progetto. Queste le attività di development e project management curate dal Gruppo Di Vincenzo: elaborazione degli schemi progettuali; iter di approvazione urbanistica presso le autorità locali; coordinamento delle relazioni tra i partners per la costituzione della project company; coordinamento dei rapporti con il gestore selezionato (Turin Hotels International). Tutte le operazioni furono completate nei tempi stabiliti. Successivamente venne affidata alla Di Vincenzo Dino & C. spa l’esecuzione dell’intervento di ristrutturazione che fu completato nel febbraio 1995, dopo poco più di 12 mesi di lavori.

Nella pagina a fianco, in basso, il Tirana International Hotel; in alto, il porto turistico “Marina di Pescara”.



1996.

1999.

COMPLESSO

IL RECUPERO DEL

ARCHEOLOGICO “LA

PALAZZO STORICO DI

CIVITELLA” DI CHIETI

SANTA MARIA

Una realizzazione complessa, ultimata nel settembre 1996, che ha comportato lo scavo archeologico, il restauro e la ricomposizione dell’Anfiteatro Romano di Chieti, la realizzazione del Museo Archeologico dedicato alla città di Chieti e del Parco Pubblico attrezzato annesso. Nell’area adiacente al monumento antico, delimitata da un muro ottocentesco in laterizio, è stata realizzata una struttura museale completamente ipogea coperta da un giardino pensile attrezzato a parco pubblico.

AUSILIATRICE, VENEZIA Il complesso risale agli anni 1000, quando la “Casa di Maria Ausiliatrice” era stata eretta per ospitare i pellegrini diretti in Terrasanta. Dal 1300 l’edificio fu utilizzato come ospedale per indigenti. Acquistato l’immobile, la Di Vincenzo lo ha ristrutturato integralmente, salvaguardando tutti i tratti artistici, storici e culturali ad esse connessi. Lavori conclusi nel gennaio 1999.

1998.

2001.

IL SEMINARIO

IPERMERCATO CENTRO

INTERDIOCESANO DI

D’ABRUZZO DI SAN

SCUTARI (ALBANIA)

GIOVANNI TEATINO (CH)

Appena caduto il regime comunista, nel biennio 1990-91, si manifestò subito il desiderio del Papa e dei cattolici d’Albania di riaffidare ai Gesuiti l’attività del seminario di Scutari. Il nuovo fabbricato realizzato dalla Di Vincenzo Dino fu dotato di tutti gli impianti necessari per la vita di una comunità numerosa e varia. I lavori furono ultimati nel giugno 1998.

La Di Vincenzo Dino acquistò a metà degli anni ’90 un’area di circa 9 ettari in territorio di San Giovanni Teatino. La Coop manifestò presto l’interesse a realizzarvi un grande ipermercato che si tradusse in realtà nel 2001. Di Vincenzo eseguì la realizzazione del Centro, di 28.000 mq, supportato da un amplissimo e funzionale parcheggio a raso e sotterraneo.

Il Seminario Diocesiano di Scutari. A lato, il “Centro d’Abruzzo” a San Giovanni Teatino (CH).


In alto, il complesso archeologico “la Civitella” di Chieti. Sopra, il palazzo storico S.Maria Ausiliatrice, a Venezia, “prima” e “dopo” l’intervento di recupero.


2003.

2006.

L’HOTEL SAN CLEMENTE IL COMPLESSO PALACE DI VENEZIA Era un antico ospizio per i pellegrini diretti in Terra Santa, ubicato sull’Isola di San Clemente, oggi è un prestigioso hotel a 5 stelle, tra la Giudecca e il Lido, a 10 minuti di battello da Piazza San Marco. Per conto di Beni Stabili spa, la Di Vincenzo Dino & C. ha curato la progettazione e la ristrutturazione dell’antico complesso edilizio. Risultato: 26.000 mq di superficie a più livelli, 24.000 mq di parco, oltre a 13.000 mq di cortili interni attrezzati e allestiti secondo le più moderne soluzioni tecnologiche ed impiantistiche a servizio dell’hotel. Tutti gli elementi architettonici, strutturali e tipologici esistenti sono stati integralmente salvaguardati dalla ristrutturazione, avvenuta con la collaborazione della Sovrintendenza a i Beni Ambientali di Venezia. Lavori ultimati a maggio 2003.

IMMOBILIARE SAN GIOBBE DI VENEZIA Un complesso residenziale di elevata qualità ricavato dal recupero di alcuni ex opifici, presso l’area ex Saffa, a Venezia, nel quartiere Cannaregio. Dai vecchi capannoni sono stati ricavate 42 unità abitative che si affacciano su una corte comune di particolare pregio. Lavori ultimati a marzo 2006.

2007. LA RIQUALIFICAZIONE URBANA DELL’EX GASLINI DI PESCARA.

2004. LA SIXTY SPA DI CHIETI L’intervento, completato nel luglio 2004, ha interessato il complesso di un edificio industriale dismesso acquistato dalla Sixty spa, il famoso marchio d’abbigliamento giovanile. L’impresa del cavaliere Di Vincenzo ha realizzato un complesso industriale destinato allo stoccaggio, imballaggio e successiva spedizione di capi d’abbigliamento con annessa attività produttiva. La superficie utile realizzata è stata di oltre 40.000 mq.

Si tratta di un ex stabilimento industriale, situato in una zona semicentrale di Pescara, a ridosso del complesso universitario di Viale Pindaro e prossimo al nuovo Palazzo di Giustizia, che Di Vincenzo ha acquistato e riconvertito in un “polo del tempo libero”. La prima ristrutturazione venne effettuata nella prima metà degli anni ’90, assumendo direttamente la gestione delle attività avviate. Nel 2001 fu aperto un Fitness Center. Nel 2003 fu avviata la realizzazione di nuove strutture direzionali, commerciali e residenziali. Lavori ultimati nell’ottobre 2007.

La Sixty di Chieti e l’ex Gaslini di Pescara. Nella pagina a fianco, il complesso immobiliare San Giobbe a Venezia.



2007.

2008.

LA RISTRUTTURAZIONE

LA CENTRALE

E IL RESTAURO DELL’EX TURBOGAS DI GISSI AURUM DI PESCARA Si tratta dell’edificio “storico” più prestigioso di Pescara, di singolare forma circolare, nel cuore della Pineta dannunziana, progettato da uno dei più celebri architetti italiani del ‘900, Giovanni Michelucci. La Dino Di Vincenzo ha curato la progettazione e la realizzazione delle opere di ristrutturazione dell’ex distilleria. «La difficoltà nel recupero dell’Aurum –sottolinea il cavaliere Di Vincenzo- è consistita nella necessità di operare senza snaturare i caratteri originari dell’edificio, mantenendo intatte le linee progettuali ereditate». Si tratta, infatti, di un edificio-cerniera, non finito, irripetibile nella sua unicità, che la ristrutturazione della Dino Di Vincenzo ha rispettato pienamente. La destinazione d’uso di tipo museale, individuata per l’Aurum, rispetta il suo valore urbano in quanto elemento qualificante per la Pineta e i suoi rapporti con la città e, insieme, il suo valore pubblico in quanto luogo civile espressione della collettività. I lavori sono stati ultimati nel marzo 2007.

La Dino Di Vincenzo & C. spa ha partecipato prima allo sviluppo e poi alla realizzazione della Centrale Turbogas, a ciclo combinato, da 800 MW, realizzata dalla società Abruzzoenergia controllata da A2A spa. L’ATI tra la Dino Di Vincenzo e la SM Sud ha realizzato le opere civili e gli edifici in carpenteria metallica. I lavori sono stati ultimati a dicembre 2008.

2009. LAVORI DI RIQUALIFICAZIONE PER IL G8 DELL’AQUILA Un po’ di merito per la riuscita organizzativa del G8 dell’Aquila, nel luglio 2009, tre mesi dopo il tragico terremoto di aprile, è anche del cavaliere Di Vincenzo È stata infatti la sua spa a realizzare i lavori di riqualificazione funzionale della palazzine P1 e P2 e del parcheggio esterno. Le palazzine già esistenti sono state ristrutturate e sono stati predisposti gli allestimenti necessari per ospitare, in 28 appartamenti, altrettante delegazioni di paesi partecipanti al summit. È stato riqualificato il parcheggio esterno di oltre 25.000 mq, realizzando 120 stalli per autobus.

Un’immagine “storica” dell’ex Aurum di Pescara. A lato, le palazzine dell’Aquila oggetto di lavori di riqualificazione per il G8 del luglio 2009.


La centrale turbogas di Gissi (CH). Nelle due foto in alto, l’interno dell’ex Aurum di Pescara dopo i lavori di ristrutturazione.


2009.

2010.

IL “PROGETTO WHITE & L’INTERPORTO GREEN”, A MILANO Nell’ultimo decennio, a Milano, nella vecchia zona industriale intorno a Via Tortona, si è sviluppato un importante processo di riqualificazione degli spazi resi disponibili dai vecchi insediamenti industriali. Oggi, in quella zona, hanno sede le più importanti firme della moda e del design italiano. Uno degli spazi più prestigiosi, di oltre 25 ettari, è il “White & Green”, progettato dal famoso architetto Matteo Thun. Esso ha trasformato una vecchia fabbrica con una costruzione di grande qualità, caratterizzata da interpiani di sei metri ed un elevato livello di finiture e dotazioni impiantistiche, oltre ad un parcheggio interrato di oltre 400 posti macchina. La prestigiosa opera è stata realizzata dalla Dino Di Vincenzo & C. spa e “riconsegnata” nel settembre 2009.

2010. LA RIQUALIFICAZIONE DELLA STAZIONE DI PARMA Novantotto milioni di euro. A tanto ammonta l’appalto per i lavori di riqualificazione dell’area della stazione ferroviaria di Parma che la Dino Di Vincenzo & C. spa si è aggiudicata in Associazione temporanea d’impresa con la Bonatti spa. Un’opera di imponente dimensione, progettata da Oriol Bohigas, l’archistar catalano noto anche a Pescara per i suoi progetti di riqualificazione dell’area di Porta Nuova. L’intervento di Parma comprende la ristrutturazione della stazione, la realizzazione di un sottopasso stradale al disotto dei binari, la riqualificazione di Piazzale Dalla Chiesa, una nuova piazza a nord della stazione, un nodo di interscambio con parcheggi e due complessi edilizi per un totale di 28.400 mq di superficie, suddivisa tra funzioni direzionali, ricettive e residenziali.

D’ABRUZZO DI MANOPPELLO SCALO (PE) L’ATI Di Vincenzo Dino 6 C. spa – Toto spa, oggi Società di Progetto “Intermodale srl”, si è aggiudicato una concessione per la progettazione e realizzazione dei lavori relativi all’ampliamento dell’Interporto Chieti – Pescara e delle opere esterne di collegamento alla viabilità principale. La concessione prevede la gestione di tutte le opere per 28 anni. In fase di realizzazione magazzini per oltre 67.000 mq, una piattaforma intermodale ed il collegamento alla adiacente autostrada con la realizzazione di un nuovo svincolo. I lavori ammontano a 60 milioni di euro.

LE OPERE SPECIALISTICHE NEL SOTTOSUOLO. Il Gruppo Di Vincenzo ha, inoltre, partecipato o sta ancora partecipando, con interventi specialistici nel sottosuolo, alla realizzazione di opere infrastrutturali di grande rilievo. Ci limitiamo a ricordarne le principali: Nuova Stazione Alta Velocità di Torino; Nuova Stazione Alta Velocità di Bologna; Riqualificazione urbana “Stazione F.S. – Ex Boschi” di Parma; Raddoppio Linea Ferroviaria / Parma-La Spezia (Solignano); Opere di fondazioni speciali linea Alta Velocità Roma – Napoli; Autostrada Aosta – Monte Bianco, Viadotto Verrant; Ferrovie dello Stato. Galleria Rio Rido, Linea Domodossola – Iselle.


Dino Di Vincenzo con il Presidente della Giunta regionale d’Abruzzo, Gianni Chiodi, e l’Assessore regionale ai trasporti, Gianfranco Morra, durante un sopralluogo all’Interporto d’Abruzzo. Nelle altre foto, immagini di alcune realizzazioni del Gruppo Di Vincenzo.


IL “SEGRETO” DI UN SUCCESSO.

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i fronte a questo impressionante elenco di grandi realizzazioni, la domanda è d’obbligo: qual è il segreto? Il cavaliere Di Vincenzo risponde così: «Non ci sono segreti ma solo una riflessione, un ragionamento da fare e trarne tutte le conseguenze: se il lavoro che hai fatto non soddisfa pienamente il committente/cliente, privato o pubblico che sia, puoi dire tutto quello che vuoi, puoi trovare le più argomentate motivazioni per spiegare che qualcosa è andato storto, ma la verità è una sola: hai fallito. Punto e basta». Chiaro e senza fronzoli, come sempre. Rimane la voglia di una ulteriore domanda: ma come si fa a soddisfare p ienamente il cliente in un setto-

re così complesso come quello delle costruzioni, delle infrastrutture, dell’impiantistica, etc.? «Bisogna capire le esigenze dei committenti, assistendoli e guidandoli nelle scelte più efficaci fra le possibili alternative, stimolando la ricerca e la definizione delle soluzioni più adeguate. Bisogna fornire le migliori soluzioni progettuali e organizzative, realizzando così le opere nei tempi minimi concordabili. Serve, poi, la capacità di raccogliere intorno a sé una rete ampia, consolidata e qualificata di professionisti esperti in ogni settore e disciplina, per arricchire di ogni competenza specialistica i propri uffici tecnico, legale, commerciale». Infine, l’ultimo consiglio che esprime nel modo migliore la freschezza, lo spirito giovane, aperto, del Cavaliere del lavoro Dino Di Vincenzo: «Bisogna fare quotidianamente tesoro di ogni esperienza, soprattutto di quelle più innovative, senza impigrirsi nelle vecchie consuetudini e convinzioni».


Dino Di Vincenzo con i figli Roberto, a sinistra, e Gianni, a destra.

Insieme con la figlia Marinetta e la moglie Maria.


Alla guida della Camera di Commercio di Chieti, dieci anni memorabili I

l 22 febbraio 1999, Dino Di Vincenzo viene eletto all’unanimità alla Presidenza della Camera di Commercio di Chieti. Sarà riconfermato per acclamazione il 19 ottobre 2004. Un lungo decennio denso di impegni, spesso gravosi e complessi, ma portati a termine con risultati davvero esaltanti. La presidenza di Di Vincenzo coincide con l’attuazione della riforma degli enti camerali, il cui fulcro centrale è costituito dall’introduzione di un nuovo modello di istituzione fondato sul principio di autonomia funzionale, dotato di potestà statutaria, finanziaria e gestionale. Le Camere di Commercio si configurano ora come punto di raccordo tra comunità economica e istituzioni del territorio, un vero e proprio “ponte” tra pubblico e privato, tra imprese e Stato. Non più, dunque, ente preposto soltanto all’espletamento di compiti meramente burocratici ma

soggetto attivo, con un ruolo propositore ed attuatore di programmi e di politiche per lo sviluppo dell’economia locale.

L’UOMO GIUSTO AL POSTO GIUSTO

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ino Di Vincenzo, nel corso del suo decennio di presidenza, s’è rivelato l’uomo giusto al momento giusto per attuare tali principi riformatori: la Camera di Commercio di Chieti, sotto la sua guida, recepisce ed attua pienamente il nuovo ruolo, definendo le opportune e più efficaci linee di intervento strategiche. La sua amministrazione agisce sempre cercando il massimo coinvolgimento possibile delle categorie economiche rappresentate nella Camera di Com-



mercio. La bussola che orienta buona parte delle scelte è ben chiara e definita nella visione e nella pratica operativa del Presidente Di Vincenzo, come ricorda lui stesso: «Il mio obiettivo è stato costantemente la valorizzazione delle eccellenze della provincia di Chieti. Un obiettivo perseguito e realizzato attraverso piccole iniziative e grandi interventi che hanno avuto come tratto comune la volontà di fornire servizi innovativi e nuove opportunità di sviluppo alle 48.000 imprese che compongono il nostro tessuto imprenditoriale ». I risultati di questa politica lungimirante, ma sostanziata di piccoli e grandi passi molto concreti, sono stati davvero sorprendenti ed hanno inciso realmente e vantaggiosamente nella vita delle imprese. Un esempio? La semplificazione dei servizi e il miglioramento della loro qualità, al fine di rendere sempre meno gravosi gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese. Una politica che sarebbe poi stata sancita a livello legislativo dalla “comunicazione unica” per la nascita delle imprese, obbligatoria dal 1 aprile 2010 anche per le imprese individuali ed artigiane. Insomma, un rinnovamento profondo dei rapporti tra impresa e publica amministrazione che la Camera di Commercio di Chieti ha attuato e, in qualche misura, anticipato.

Dino Di Vincenzo con ufficiali della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri.

UN FIORE ALL’OCCHIELLO. ANZI TRE

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l cavaliere Dino Di Vincenzo non è tipo da parlarne con enfasi, ma è evidente la sua soddisfazione quando parla della realizzazione del Centro Espositivo e di Servizi, a Chieti Scalo. Una struttura che dimostra lo “sguardo lungo” dell’imprenditore capace di guardare oltre l’impresa, verso quel “bene comune” che dovrebbe essere oggetto di attenzione costante anche da parte di chi, giustamente, si dedica innanzitutto a sviluppare imprese sane, competitive e redditizie. «Con il Centro Espositivo e di Servizi –dice Di Vincenzo- abbiamo voluto mettere al concreto servizio della comunità una struttura moderna, polivalente, attrezzata per ospitare manifestazioni promozionali e attività congressuali e convegnistiche, in grado di qualificare ulteriormente il sistema economico e produttivo non solo della nostra provincia ma dell’intera area metropolitana Chieti-Pescara». Il Centro Espositivo, ormai da qualche anno pienamente operativo, è il risultato dell’imponente opera di riqualificazione dell’area dell’ex Foro Boario, di oltre 63.000 metri quadrati, di proprietà della Camera di Commercio. Il Centro sorge in una zona che gode di una felice posizione strategica, trovandosi in prossimità di importanti svincoli stradali e autostradali, nonché della stazione ferroviaria, dell’aereoporto e dell’interporto.


2002: Dino Di Vincenzo consegna a Remo Gaspari il diploma “Fedeltà al lavoro”.


Un vero “fiore all’occhiello”, insomma, che già da sola basterebbe a connotare positivamente la politica infrastrutturale dell’Ente camerale sotto la presidenza di Di Vincenzo, ma il Centro Espositivo non è l’unica realizzazione del genere. Nel centro storico di Chieti, nella bella palazzina bianca in stile rinascimentale (un “falso” architettonico che piace molto ai chietini e ai visitatori), sede “storica” della Camera di Commercio, nella centralissima piazza G.B.Vico, sono stati attuati interventi di ristrutturazione e conservazione che hanno restituito alla città due ulteriori spazi: nel 2003, dopo un lungo periodo di chiusura, è stata riaperta la Bottega d’Arte, storica e prestigiosa sala espositiva per mostre d’arte figurativa; nei primi mesi del 2009, è stata inaugurata l’Expo Room, ricavata nei locali a pianterreno della sede, destinata ad eventi di promozione dei prodotti e delle imprese della provincia e ad altre iniziative. «Ci tengo a sottolineare –dice Di Vincenzo- che tutto questo l’abbiamo realizzato con l’utilizzo di risorse interne, senza pesare ulteriormente sulle nostre imprese, alle quali non è stato mai chiesto, pur avendone la facoltà, alcun aumento del diritto annuale d’iscrizione. Voglio anzi ricordare che nel mio decennio di presidenza l’86 per cento delle somme incassate come diritti annuali d’iscrizione è ritornato alle nostre imprse sotto forma di contributi, di servizi amministrativi e promozionali, di iniziative per l’internazionalizzazione, di formazione, e, soprattutto, sotto forma di nuove infrastrutture al servizio di tutti i settori economici». Insomma, un decennio di Presidenza esemplare, memorabile, di cui il Cavaliere del lavoro Dino Di Vincenzo può (anzi potrebbe, se fosse meno schivo) davvero menare vanto.

QUEL GRAN CONCERTO PER L’UNITA’ D’ITALIA Non poteva esserci modo migliore, per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, del magnifico concerto eseguito dalla Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri nella nuova sede della Camera di Commercio di Chieti. Un evento fortemente voluto dal Cavaliere Di Vincenzo che in quell’occasione pronunciò un alto e commosso intervento. «E’ per noi motivo d’orgoglio -disse tra l’altro- avere l’onore disponibilità della prestigiosa Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri..Aabbiamo voluto dare un ulteriore senso a questo Anniversario con l’allestimento di alcune tavole d’arte sulla tradizione bi-millenaria di Chieti, l’antica Teate Marrucinorum della “terra italica”, curate dall’artista e poeta Raffaele Fraticelli. Alla soprintendeza dei Beni Archeologici d’Abruzzo, che ha messo a disposizione le immagini dei reperti museali, va il nostro ringraziamento. Con un po’ di autoironia, mista a gioia e a malinconia, posso dire di aver vissuto ben oltre la metà dei 150 anni di storia dell’Italia e posso dire che, anche nei momenti più brutti, il nostro Paese ha saputo trovare la forza di reagire e di andare avanti, proprio come fecero gli eroi del Risorgimento. Allora si fece l’unica Italia “possibile”, ha scritto qualcuno. Poi l’Italia è cresciuta a diverse velocità tra nord e sud, spesso con eccessivo individualismo e con una cronica difficoltà a fare sistema. Ora è il momento di dimostrare che la nostra pluralità faccia finalmente rima con unità, affinché si stabilisca quell’unità di intenti, attraverso la quale filtrare le scelte decisive ormai non più rinviabili di fronte a un mondo che cambia velocemente. Oggi sono risuonate parole importanti e mai desuete: libertà, indipendenza, democrazia, giustizia, unità, patria, memoria. Ognuna di esse dense di un significato profondo, pietre sulle quali abbiamo costruito la nostra storia e, ci auguriamo tutti, anche il nostro futuro».


In alto, il Cavaliere alla presentazione di una pubblicazione sull’Abruzzo. Sopra e nella pagina a fianco, durante il concerto della Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri eseguito presso la Camera di Commercio di Chieti in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia.


Il Cavaliere e la sua famiglia UNA FORTUNA DI NOME MARIA

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a persona più importante della mia vita?». Dino Di Vincenzo ripete la domanda come se volesse guadagnar tempo, sembra esitare. Poi… «Mia moglie Maria». E da come lo dice, dal suo tono di voce, si capisce che l’esitazione è stata causata non da incertezza sulla risposta, ma da una profonda commozione, da un breve ma intenso turbamento. Come se in quel nome («Maria…»), già di per sé potentemente evocativo, soprattutto per un credente, si condensasse un tumulto di sentimenti (amore, tenerezza, riconoscenza…) e di ricordi condivisi (le difficoltà, i dolori, le gioie, i figli piccoli…). «Mia moglie è una persona straordinaria, meravigliosa. È tosta, non ha un carattere facile, come tutte le persone di valore, del resto. Se dovessi raccontare di lei non saprei da dove cominciare… Mi ha dato in cinque anni quattro figli meravigliosi… Ha superato difficoltà indicibili quando io mi sono amma-

lato piuttosto seriamente. Ha dimostrato bravura, abnegazione, generosità e mille risorse per superare difficoltà di ogni genere. È stata, e lo è ancora, una madre e una moglie affettuosa, sempre vicina a chi più aveva bisogno, e non solo ai suoi famigliari più stretti: non c’è stato parente o amico che in caso di bisogno non abbia ricevuto da lei attenzioni, aiuto e conforto. L’intera nostra famiglia, a cominciare da me, le deve tutto. Lei mi ha consentito di dedicarmi totalmente al mio lavoro. Quando i miei figli erano piccoli ed io tornavo a casa distrutto dalla fatica e avevo solo la forza di mangiare un boccone e buttarmi sul letto, qualche volta mi meravigliavo della quiete che regnava in casa. Certo che questi bambini, mi dicevo, sono proprio buoni e tranquilli. Solo dopo qualche anno scoprii che Maria aveva assolutamente proibito loro di fare chiasso e soprattutto di piangere quando io tornavo a casa la sera. “Vostro padre è stanco e deve riposare”, diceva ai figli, “perciò guai se strillate o frignate”. A dire la verità, è come se io avessi conosciuto i miei figli all’età di dodici-quindici anni, prima ero troppo occupato a lavorare per interessarmene. Per fortuna che c’era Maria».

Nonno Dino e i suoi nipoti. Nella pagina a fianco, la famiglia Di Vincenzo al completo: Roberto, Marinetta, Valerio, Gianni, la signora Maria e il Cavaliere.


Infine, l’ultimo consiglio che esprime nel modo migliore la freschezza, lo spirito giovane, aperto, del Cavaliere del lavoro Dino Di Vincenzo:



La famiglia Di Vincenzo “e parenti vari nel “buen retiro” di Palena.


I FIGLI, QUALCHE (INEVITABILE) DISPIACERE E TANTISSIME GIOIE.

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ino e Maria Di Vincenzo hanno, dunque, quattro figli, tutti nati nei primi anni cinquanta: il maggiore, Gianni, ingegnere, oggi capo operativo delle aziende di famiglia; Marinetta, medico; Roberto, fondatore e patron di Carsa, una società per azioni che opera con successo nei settori della comunicazione integrata e dell’editoria; Valerio, laureato in medicina con la passione dell’informatica. «Sono molto contento di loro – dice il Cavaliere Di Vincenzo –, tutti hanno studiato e lavorato sodo, riuscendo ad operare con successo nei rispettivi settori». I problemi, come in ogni famiglia, non sono mancati. Ricorda Dino Di Vincenzo: «Negli anni intorno al ’68 qualcuno di loro ha scalpitato un po’ troppo, almeno per un periodo, ma poi hanno pensato soprattutto ad impegnarsi nella propria professione». Con il primogenito, Gianni, il rapporto ha conosciuto momenti particolarmente vivaci, come quando il Cavaliere si sentì dire dal figlio neo universitario: “Papà, ti chiedo scusa ma ti ho dato una fregatura: mi sono iscritto, sì, a ingegneria ma a ingegneria meccanica non edile”. A Dino Di Vincenzo la cosa non fece piacere ma senza batter ciglio replicò: «Guarda, Gianni, che la fregatura te l’ho data io: ho appena vinto l’appalto per la costruzione di un grande depuratore, perciò un ingegnere meccanico è quello che ci vuole, è proprio la professionalità di riferimento. Ti

chiedo solo di fare la tesi sulle strutture e sulle problematiche della depurazione». Evidentemente, però, nel giovane Gianni la voglia di “emanciparsi” dal padre era forte, e del resto la psicologia c’insegna che i figli crescono e formano la propria identità e il proprio carattere anche attraverso il conflitto con i padri. Perciò, una volta laureato, l’ingegner Gianni disse al padre che non voleva lavorare nelle aziende di famiglia e che intendeva, bensì, seguire un proprio autonomo percorso professionale presso altre imprese. «Beh, non mi fece piacere. Cercai di dissuaderlo, facendogli capire che lavorando con me avrebbe subito avuto delle opportunità e delle responsabilità professionali che l’avrebbero aiutato a crescere mentre in un’altra azienda avrebbe dovuto, ovviamente, seguire una trafila che avrebbe rallentato la sua crescita professionale. Gianni insisteva, diceva che, no, non gli andava, che preferiva misurarsi con le difficoltà e le problematiche di un percorso autonomo. Anch’io insistevo perché venisse con me. Discussioni su discussioni che non approdavano a nulla, finché gli feci una proposta: “Vieni con me a fare un periodo di prova di tre mesi, alla fine se non ti piace te ne vai”. Lui accettò e alla fine dei tre mesi venne da me e mi disse: “Papà, resto con te”». Papà Dino, ovviamente, ne fu felice, eppure… «Eppure quella decisione di Gianni fu, sì, una grande gioia per me e mia moglie, ma allo stesso tempo una “mazzata” terribile. Il primo giorno io e Maria non dormimmo per l’angoscia. Io mi rendevo conto che stavo passando a mio figlio un tipo di lavoro che, al di là delle soddisfazioni, comportava grandi responsabilità, grandi fatiche, pochissimo tempo per sé, tutta una vita dedicata al lavoro e all’azienda senza poter godere della famiglia e degli altri privilegi, come appunto era capitato a me. Ma Gianni, per fortuna, col tempo mi persuase che aveva il carattere e le capacità necessarie per reggere senza crollare alle enormi pressioni e al carico di lavoro che comporta questo tipo di lavoro imprenditoriale».

La signora Maria e Dino Di Vincenzo. Nella pagina a fianco, il Cavaliere e signora attorniati dai nipoti.


Infine, l’ultimo consiglio che esprime nel modo migliore la freschezza, lo spirito giovane, aperto, del Cavaliere del lavoro Dino Di Vincenzo:


Dino Maria consiglio che esprime nel modo migliore la freschezza, lo spirito giovane, aperto, del Cavaliere del lavoro Dino Di Vincenzo: Infine,el’ultimo



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