Quaderni aquilani
Prima che sia troppo tardi Venti secondi di rumori terrificanti, sconosciuti, provenienti dall’ignoto, dalle viscere della terra. Rumori registrati nella memoria dei testimoni di quel 6 aprile e rimasti impressi nell’amigdala, la parte del cervello che lancia segnali di pericolo. Poi lo scatenarsi di rumori sinistri ma “umani”: gli allarmi antifurto, l’acqua che fuoriesce dalle tubature, le urla e le richieste di aiuto. Quindi i rumori laceranti ma “rassicuranti” delle sirene dei vigili del fuoco e della protezione civile. Dopo qualche giorno, nel cuore del capoluogo –raccontano ancora i testimoni– si era sconvolti da un altro elemento, inusuale, minaccioso: un assordante silenzio che invadeva le strade, i vicoli, le piazze, la città deserta. A sei mesi dal sisma lo stesso silenzio incombe sull’Aquila. Sulle sorti della città. La vita è fuori, nelle tendopoli in via di
smantellamento, nei nuovi quartieri meritoriamente costruiti in tempi record e nelle “villette” in legno. Ma dei progetti di ricostruzione del capoluogo che tutto l’Abruzzo ha scoperto di amare, poco o niente. Progetti, strategie, proposte? Silenzio. Ci piacerebbe rompere questo silenzio e non perchè pensiamo di avere la formula giusta. Non ci sono formule o certezze e i proclami non servono. Cercarle però è un obbligo per tutti gli abruzzesi che hanno scoperto lo “scrigno l’Aquila”. Dopo il primo allegato a Vario, dove parlavano solo le immagini, abbiamo chiesto all’urbanista Pier Luigi Cervellati di dare un suo contributo per ipotizzare i criteri da adottare nella ricostruzione del capoluogo abruzzese. Saranno le prime pagine di appunti, di un quaderno da riempire al più presto, prima che sia troppo tardi.
I danni del sisma nel centro storico dell’Aquila documentati dalle foto di Lorenzo Nardis
In alto, piazza San Pietro; a sinistra, via Roma; sotto, interni della chiesa di Santa Caterina in piazza San Biagio
di Pier Luigi Cervellati *
Ancor prima del terremoto, il “centro storico”, la città murata, è diventata “centro urbano”. All’Aquila, come altrove. Sono stati costruiti nuovi fabbricati; altri sono stati ristrutturati e ampliati. Sempre meno abitata e sempre più “usata” per le tante e nuove funzioni (non sempre compatibili con la sua struttura), la città storica è diventata “centro”, parte sempre più ristretta dell’aggregato urbano contemporaneo. La perdita di abitanti e l’aumento di nuove costruzioni per attività direzionali, burocratiche e mercantili, è stata causa (non modesta) dell’espansione periferica avvenuta negli ultimi decenni all’interno e
«All’Aquila non servono superstar dell’architettura, il processo di ricostruzione va portato avanti
all’esterno delle mura. La mappa del 1858 riprodotta in copertina mostra la città dell’Aquila nel momento del suo massimo equilibrio fra il costruito, il perimetro delle mura, e il territorio circostante. È la città che gli storici definiscono di “ancien regime”, costruita e stratificata e modificata nel lungo periodo rimanendo inalterate funzioni e leggi (nonché il rapporto con la campagna) fino al formarsi della cosiddetta “società industriale”. Non c’è un “centro”, ci sono piazze e sagrati e altri luoghi di aggregazione (parrocchie e conventi) localizzati nelle varie parti che formano la città.
dai professionisti
La strada è vissuta come prolungamento della casa. Non c’è periferia.
locali»
Confrontata con una foto aerea di questi anni, riprodotta in ultima di copertina, la mappa mostra la metamorfosi di una città, unica al mondo per la struttura urbana, per le forme architettoniche, per il paesaggio mozzafiato che la circonda. La foto evidenzia l’espansione periferica: prima (verso fine ’800 - inizio ’900) ha occupato il territorio libero, gli orti, compreso fra l’abitato storico e le mura; poi ha inglobato borghi e casolari esterni. La città “ancien regime” diventa centro storico. Negli ultimi decenni l’urbanizzato si allarga. Gli abitanti diminuiscono ancora. Il centro storico assume il ruolo di centro urbano. Non può definirsi più storico in quanto manca un centro moderno.
vista interna della chiesa di San Marco
Il paesaggio e ciò che rimane della città storica conferiscono all’Aquila una singolare identità, rappresentano ancora il carattere, la bellezza di questa città. Il resto, la periferia, in continua estensione, senza qualità, priva di qualsiasi espressione di “modernità”, è omologa a tutte le periferie… La catastrofe ha distrutto molto. Ha svuotato il vecchio e il nuovo. L’attonito sbigottimento di non sapere cosa fare si traduce nel secolare dilemma: ricostruire altrove, magari fare una new town, o com’era e dov’era? Lo sappiamo tutti: è un falso problema. Nel Settecento, quando avvenne l’altro grande sisma, la città fu ricostruita, ed è stata in grado di durare fino ad oggi malgrado le continue sollecitazioni:
«È fondamentale che la ricostruzione sia un processo partecipato:
nessuno ha mai pensato di ricostruirla altrove. Si guardi a Gibellina, in Sicilia, e a Gemona in Friuli, entrambe distrutte dai terremoti. La prima fu ricostruita per intero a 20 chilometri di distanza dal sito originario; la seconda è rimasta dov’era. La ricostruzione fedele ha gratificato gli abitanti e ha mitigato il dolore delle perdite perché ha ristabilito
devono essere
l’identità dei luoghi e ha rilanciato le attività economiche. In Sicilia il
i cittadini a voler
concorso delle star dell’architettura e dell’ingegneria ha prodotto danni
rientrare nelle case»
non inferiori a quelli causati dal sisma: la nuova Gibellina è una città modernissima (?), ma desolante e desolata più della vecchia, diventata ammasso di ruderi in disfacimento. L’Aquila oggi, però, non è quella del ‘700. L’Aquila storica è vuota. Inaccessibile. Rientrare in una città per lungo tempo disabitata (e forse continuerà a rimanerlo), porta il rischio (quasi la certezza) che non sarà mai più abitata dagli aquilani. Nei tempi lunghi, diceva Keynes, siamo tutti morti. Chi dovrebbe tornare perde il senso dell’attaccamento e dell’appartenenza. Il rientro nella propria casa, oggi tanto auspicato, deve essere soddisfatto prima che sia troppo tardi. La ricostruzione –intesa quale restituzione– è un processo partecipato, voluto, è un sentimento corale, altrimenti diventa solo rivendicazione politica, che si spegne con il passare dei mesi. Ma la partecipazione, per quanto necessaria, indispensabile, non è sufficiente.
In alto da sinistra, via Roma; interni di uno studio professionale in via San Marciano; condominio in via Campo di Fossa; via degli Scardassieri.
Occorre avere un’idea di città. La parte storica –per recuperare la sua identità– non dovrebbe essere trattata come lo è stata negli ultimi decenni “centro urbano”, dovrebbe ritornare ad essere “città”. Oggi all’interno del tracciato delle mura ci sono monumenti civili e religiosi, palazzi, strade e piazze che hanno
«Si demoliscano le parti che non stanno più in piedi e si ricostruisca, con materiali e tecniche
mantenuto la loro fisionomia, ma c’è anche una parte di fabbricati ampiamente ristrutturati o sostituiti; e ci sono molte costruzioni moderne. Gli interventi non possono essere identici anche se la gravità dei danneggiamenti può essere analoga. È rilevante il censimento/graduatoria dei danni, ma ancor più significativo, in un progetto di restauro urbano, è individuare dimensione e struttura della parte coincidente con la città storica. E qui si apre un tema tecnico che richiede competenza e collaborazione. Il progetto di restituzione
della tradizione.
urbana non si esaurisce nel definire gli interventi strutturali o formali
È l’occasione
sui singoli edifici: si deve progettare il rapporto fra la “città storica” e
per addestrare maestranze al recupero edilizio, creando un incentivo occupazionale non indifferente».
quella moderna, contemporanea. Questo studio doveva essere iniziato da tempo. Ancor prima del terremoto (ci si preoccupa –anche quando la popolazione non cresce– di “regolare” l’espansione, mai di riqualificare l’esistente). A Varsavia all’indomani della barbarie nazista i cittadini hanno voluto ricostruire la loro piazza. Com’era e dov’era. La cultura italiana ha giustificato l’intervento come risarcimento dell’offesa nazista. Lo ha però “bollato” come “falso storico”. Oggi la parte storica ricostruita e la più qualificata, quella moderna, nonostante gli ultimi interventi firmati da archi-star, è una banale periferia. Ripristinare, ripetere modalità costruttive e tipologiche non significa fare una copia conforme. Un banale “com’era, dov’era”. Il piano di restituzione della città storica è parte di un progetto generale; occorre agire con consapevolezza (con conoscenza e coscienza) diversa rispetto al ripetere gli stereotipi limitati all’inserimento di architettura (moderna o contemporanea) pubblicata sulle riviste di moda, o alla diatriba sul restauro architettonico. Sul vero storico e il falso moderno.
In alto, la chiesa delle Anime Sante; sotto, Piazza della Prefettura
Il progetto di restauro urbano, il piano dunque di restituzione della città storica, è l’unico strumento che può garantire un risultato accettabile. Sia per la parte individuata come storica, sia per la parte realizzata negli ultimi decenni, la periferia interna ed esterna al tracciato delle mura. Restauro urbano invece di nuova espansione. Si pensi alla Berlino ricostruita dopo l’unificazione con l’ovest. La ricostruzione è andata di pari passo con una pianificazione strategica coinvolgente tutta la città. La pianificazione dell’Aquila negli ultimi decenni non è stata esemplare –come in nessuna città italiana–, fondata sul consumo del territorio e sul surplus di asfalto e di cemento, senza la capacità di individuare una
«Dopo 6 mesi
città moderna capace di convivere con quella storica. All’Aquila la città
dal terremoto
storica dovrebbe ritornare ad essere quella di prima, e la città moderna
perché non si discute sul futuro dell’Aquila?
diventare tale. Le new town non sono moderne. Si riducono ad ampliamenti della periferia. Non siamo stati in grado, non soltanto noi urbanisti, di costruire la città moderna mentre siamo stati abilissimi nel distruggere quella storica.
Perché si auspica
In senso programmatico, discutiamo l’idea di città che può scaturire
solo la costruzione
dalla tragedia. Il centro storico, come tale, non è mai esistito: è frutto
di nuove case? Chi abiterà la città storica?»
dell’espansione urbana, della periferia che ha “centralizzato” e alterato la città storica. La periferia non si può eliminare. Neppure dovrebbe aumentare: altrimenti, lo si ripete, la città storica non sarà mai più abitata dagli aquilani. L’Aquila può ritornare ad essere città, appunto, storica se e in quanto la periferia trova, al suo interno, altre centralità, altre municipalità che insieme alla città storica formano una “città di città”. Il terremoto non è da considerare l’occasione, quanto la sfida, per affrontare il tema della città moderna investendo gli aquilani, i tecnici, gli artigiani e chi conosce l’arte muraria, tutti coloro interessati a definire un’organizzazione urbana “altra” rispetto a quella realizzata e oggi martoriata dal terremoto. L’emergenza non è mai buona consigliera; le nuove case, pur necessarie, pur costruite con i crismi della sicurezza, graviteranno sulla
In alto da sinistra e in basso, la chiesa di San Flaviano.
città storica, accentuando la sua trasformazione in centro urbano, accentuando la mercificazione del territorio, in quanto manca (ed è grave) un progetto di ricostruzione, di “restituzione” della città. La città del passato era un bene “immateriale”. Apparteneva a tutta la comunità. La bellezza era ricercata quanto singolare. Non sto andando fuori tema. La restituzione del centro storico non può limitarsi a stabilire metodologie d’intervento alternative. Accanirsi sul mantenimento di un muro diroccato (che si traduce in uno scempio strutturale e formale o nell’innesco di dissonanze di materiali; il tutto
«Manca una proposta metodologica dettagliata circa gli interventi da fare per recuperare la città storica. Per evitare una ricostruzione avulsa da un progetto/idea di città».
vetro, acciaio e cemento, contro il “falso storico” tutto archi e colonne post moderne) isterilisce il dibattito. Non aiuta la restituzione del senso di città e di comunità. La città storica, stabilito cosa si deve considerare “città storica”, non più “centro urbano” deve essere restituita, innescando un processo pianificatorio –partecipato– in cui al ripristino dell’identità storica corrisponda la trasformazione della periferia in un insieme di luoghi dove lo “stare insieme”, la vita di relazione, scusate la retorica, l’orgoglio di appartenenza, ritorni ad essere aspirazione condivisa da tutti gli aquilani. Oltre alla città storica c’è un ambiente agricolo, ci sono borghi e municipi, in parte abbandonati ancor prima di essere distrutti dal sisma. C’è un paesaggio, ambiente, territorio intaccato dall’assenza di una strategia progettuale che in questi anni ha coinvolto tutte le istituzioni. Gli amministratori comunali –non solo dell’Aquila, ma in generale– hanno confuso la qualità con la quantità. E la quantità di case realizzate (molte, troppe, quelle sfitte e invendute anche all’Aquila) è inversamente proporzionale alla loro solidità e sostenibilità. Anzi. È opportuno affermare che lo sviluppo urbano è stato uno sviluppo “INsostenibile”. Come insostenibile è stato lo sviluppo dell’Università. È corretto ipotizzare un ateneo in continua crescita? Non è l’alto numero degli iscritti a fare di un’università una “grande” università. L’università è una componente importantissima per la città, storica e
In alto, Piazza Palazzo; al centro, interni di uno studio professionale; sotto, Piazza San Pietro
«Nella foto aerea
contemporanea. Non può essere un’istituzione a sé stante come lo
(nella pagina accanto)
erano le caserme fino a non molti anni fa.
fra il tracciato delle mura (rosso) e il perimetro (blu) dell’abitato storico di 150 anni fa ricavato dalla mappa del 1858 non ci sono segni di discontinuità formale. Questi sono invece evidenti con i fabbricati a ridosso del perimetro murario. Questo territorio consumato negli ultimi 30/40 anni va esaminato per delineare alcune linee guida per la nuova organizzazione urbana».
La partecipazione dei cittadini e dei tecnici, le Istituzioni tutte, devono concorrere a quel processo progettuale teso a realizzare una città degna di questo nome, facendo ciò che non è stato fatto finora. La città cioé storica e contemporanea, la “città di città” –senza periferia e con centralità non rappresentate dai supermercati– una “città” proiettata verso il territorio e gli altri municipi per formare un sistema urbano e metropolitano in cui si riflette la natura dei luoghi, la storia, il lavoro e i sentimenti di chi qui ci abita e vuole continuare ad abitarci, prima che sia troppo tardi.
* Pier Luigi Cervellati, Architetto e urbanista, insegna Recupero e riqualificazione urbana e territoriale nella Facoltà di Pianificazione a Venezia. Si occupa di alcuni temi inerenti la progettazione urbana e ambientale con particolare riguardo al recupero della città storica e alla tutela della campagna. Ha elaborato progetti di risanamento, recupero e ripristino di città storiche e di alcuni fabbricati non sempre monumentali. Ha disegnato piani paesistici e parchi. I “centri storici” e i parchi sono diventati così la sua passione. Autore di numerosi volumi e saggi, tra i quali La nuova cultura delle città (Mondadori 1977), La città bella (Il Mulino 1991), L’arte di curare la città (il Mulino 2000); ha tenuto seminari e lezioni in varie università italiane, europee e americane. Nel 1984 è insignito della Laurea honoris causa - Honorary Doctor of Science Engineering dalla Chalmer University di Goteborg (Svezia) e nel 1992 riceve il diploma di Laurea dalla Facoltà di Architettura di Merida (Yucatàn/Mexico).
Quaderni Aquilani 2 allegato a Vario 70 direttore responsabile Claudio Carella Aut. Trib. di Pescara 12/87 del 25/11/87 Sped. abb. post. GR.IV(70%) Tassa riscossa• Uff. P.T. Pescara Italia