Vario Collezione - Arte monumentale/San Bernardino a L'Aquila

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[ VARIO COLLEZIONE ]

SAN BERNARDINO L’AQUILA

Testi di Lucia Arbace e Plinio Perilli Foto Luciano D’Angelo

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Il fantastico cielo di San Bernardino a L’Aquila

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lzando gli occhi verso l’alto, sentimenti di profonda ammirazione invadono chiunque entri per la prima volta nella monumentale Basilica di San Bernardino a L’Aquila, per devozione verso il santo senese o per mero amore nei confronti dell’arte. Del resto, la vastità e articolazione della superficie lascia veramente senza fiato dinanzi a un insieme così imponente e coerente in tutti i suoi aspetti. La grande macchina barocca svolge a pieno il ruolo di suscitare meraviglia, imponendosi soprattutto per l’alternarsi e il rincorrersi armonioso delle superfici modanate e dorate, prezioso contrappunto al fondo azzurro, ripristinato a seguito del recentissimo restauro. Il dialogo dei principali registri cromatici non è però solo un duetto tra i principali interpreti perché, nella compiuta orchestrazione generale, ampio respiro è restituito anche ai dipinti con le storie di San Bernardino e alle cornici floreali che colmano gli spessori delle travature lignee in significativo aggetto. Naturalmente la voce solista è affidata alla raggiera bernardiniana, che spicca giusto al centro del lungo asse della chiesa a pianta longitudinale. Secondo una testimonianza che risale all’Antinori, questo straordinario manufatto ha avuto una gestazione lunghissima, addirittura di quarant’anni. In realtà, verosimilmente programmato all’indomani del terremoto del 1703, costruito tra il 1724 e il 1726, agli occhi dei contemporanei dovette apparire completato solo a doratura ultimata e non certo prima del momento in cui le tre tele di Girolamo Cenatiempo, datate 1732, vennero incastonate nella monumentale struttura intagliata. L’opera fu realizzata da Ferdinando Mosca (1685-1733), un maestro di Pescocostanzo destinato a guadagnare chiara fama proprio nell’ebanisteria e nell’intaglio di monumentali soffitti. Nato negli anni in cui la comunità dell’“Atene degli Abruzzi”, con legittimo orgoglio, ammirava il nuovo maestoso cassettonato della navata

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centrale della Collegiata di Santa Maria del Colle, completato da Carlo Sabatini e compagni nel 1682, Mosca non operava certo da solo, anzi dovette essere coadiuvato da una folta schiera di collaboratori specializzati i quali contribuirono a rendere particolarmente operosa la sua bottega che da Pescocostanzo guadagnava prestigiosi appalti in Abruzzo e non solo. Per le importanti commesse della fase della ricostruzione settecentesca dell’Aquila dovette risultare indispensabile il contributo anche di esperti pittori e doratori. Sulla reale natura ed entità dell’incarico di Mosca a San Bernardino ben poco in verità è stato detto, mentre quasi nulla è emerso finora a livello documentario. In presenza di realizzazioni tanto complesse, potevano susseguirsi più incarichi dettagliati, e quasi sempre il magister era obbligato a seguire i desiderata e le indicazioni impartite con precisione dalla committenza, registrate nei meticolosi capitolati dei rogiti notarili i quali fanno generalmente menzione di un eventuale modello da emulare o di un progetto elaborato da un architetto di valore, assimilabile a un interior designer dei nostri tempi. Qualcosa di simile era avvenuto ad esempio nel tardo Cinquecento per il precedente soffitto a cassettoni messo in opera nella stessa basilica aquilana. Dinanzi al notaio Giovanni Martino Angelini, i francescani il 28 giugno 1587 si erano affidati al fiorentino Orazio Valla, faber et magister lignarius, il quale con l’aiuto di cinque aiutanti, doveva “ben repartir, armare, spondare, intagliar, ben gignerlo, et ben connetterlo insieme, ben chiodarlo, ben fortificarlo, ben lavorarlo, et ben pulirlo conforme a, quello soffitto chi hogi si trova fatto in l’Ecclesia d’ara celj nella nave maggiore senza ponervi stuccho o, rattoppamenti de colle, Item che l’armatura sia fatta de legnami condecenti talmente che sia forte ben confitta et collegata in modo che sia permanente secondo rechiede l’opera et con chiodi de grossezza convenienti et altri ferri necessari grossi et

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de rendere l’opera secura […]”. L’opera venne portata a termine nei tempi prestabiliti sicché il 30 dicembre del 1589, Orazio Valla riceveva l’ultimo pagamento, ma per completare il soffitto ligneo della basilica mancava l’apparato decorativo di indoratura e pittura e, per tale lavoro, nel 1597, fu incaricato il fiorentino Simone Lagi, sostituito l’anno successivo, a causa dell’eccessiva lentezza, dal romano Giovanni Santarelli, affiancato in tempi successi da ulteriori specialisti. È del tutto probabile che un’analoga compagine di maestranze specializzate abbia atteso anche al fascinoso soffitto che qui ci interessa, anzi tanto impegnativo nella sua complessa articolazione da suggerire l’intervento di uno dei principali progettisti del tempo. In merito nessun nome è finora affiorato, ma alla luce di alcune importanti tracce emerse a Napoli e in altri contesti francescani, in questa sede sembra opportuno anticipare un’ ipotesi che sarà oggetto di uno studio più approfondito. Il confronto con lo Studio di soffitto conservato presso il Gabinetto disegni e stampe del Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, delineato a penna china e acquerello e firmato Sanfelicius, non mi pare lasci molto spazio a dubbi, circa un più che probabile contributo creativo di un grande protagonista della scena artistica europea, l’architetto Ferdinando Sanfelice, che in questo caso potrebbe aver ereditato un ruolo analogo a quello conquistato decenni prima da Cosimo Fanzago nella stessa Pescocostanzo. Nel grande foglio napoletano, la cui estensione tradisce uno sviluppo longitudinale proporzionalmente affine a quello della basilica aquilana (mm 622 x 425), si ritrova la medesima rigorosa ripartizione geometrica con i fascioni a

fondo azzurro contenenti grandi rosoni in aggetto, di due diverse tipologie, una delle quali del tutto simile a quella ricorrente nel soffitto di San Bernardino. Da notarsi inoltre i tre spazi lasciati in bianco, equivalenti all’alloggiamento di tre dipinti, uno più grande e due più piccoli ai lati, come nella soluzione adottata per ospitare le tele di Cenatiempo, raffiguranti la Gloria di San Bernardino, una Scena della vita del Santo e la Corona francescana. Una struttura compositiva affine sia al cassettonato di San Bernardino sia al disegno acquerellato, è propria di un ulteriore soffitto ligneo, intagliato, dipinto e dorato che venne realizzato e messo in opera nella Chiesa del Monastero di Santa Chiara a Nola. Tale confronto assume anche un valore probante dal punto di vista cronologico, perché ciò avveniva in anni non lontani, se un documento notarile del 1720 determina come ormai avviati da parte dello stesso Sanfelice i lavori di “rifacimento” di questa leggiadra chiesa conventuale, anch’essa più volte straziata dal sisma. Riporta quindi alla grande stagione culturale della metropoli capitale del viceregno austriaco il fantastico cielo di San Bernardino, che dopo aver ritrovato i suoi originari contrappunti cromatici e recuperato la solidità perduta dall’elegante sistema di cornici ed intagli floreali, con l’equilibrata composizione a scompartimenti mistilinei e curvilinei collegati e armonizzati fra loro, dovrà presto riconquistare anche la sua malcelata funzione di cassa armonica, contribuendo a far rimbalzare le sonorità emesse dall’organo monumentale sottostante. Lucia Arbace

Soprintendente per i beni storici, artistici ed etnoantropologici dell’Abruzzo

In copertina: una delle tele di Girolamo Cenatiempo incastonate nel soffitto della Basilica, raffigurante un episodio della vita di San Bernardino. Nelle doppie pagine seguenti: un particolare della facciata e una panoramica della navata centrale. In queste pagine il magnifico soffitto ligneo, opera di Ferdinando Mosca. Nelle pagine successive: a sinistra particolare del soffitto con il monogramma berardiniano IHS, decorato con centinaia di ceci di Navelli; a destra l’organo monumentale costruito nel 1725 da Feliciano Fedeli, chiuso nella barocca cassa di risonanza in legno opera di Ferdinando Mosca.

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Lo splendore della Basilica dopo cinque secoli e due devastanti terremoti

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uello che davvero ci colpisce in San Bernardino da Siena (Massa Marittima, Siena, 1380-L’Aquila, 1444), nelle sue prediche così umili e insieme sapienti, è l’aver voluto come abbassare, propiziare –francescanamente– il cielo in terra, ma anche insomma costruire, ed insieme elevare, innalzare la terra al cielo – la terrestrità umana, che è dono profondo, consuetudine solidale, fraternità inestinguibile, umile fino alla Grazia… Nella famosa chiesa aquilana che porta il suo nome, invece, ci affascina esattamente l’incontrario: e cioè la fine di ogni suggestione gotica, di ogni tardo stilema romanico o, appunto, accentuatamente verticalizzato, acuto per sforzo e propensione, in nome già d’un credo, e d’una visione esemplare che è armonia e porzione di Rinascenza… Perché San Bernardino (nato Albizzeschi), ai contadini dei villaggi intorno a Siena, e poi in cattedrale, lì e a Firenze, predicò, divenne anche celebre – ma a L’Aquila morì, fece ulteriore prova e dedizione d’humilitate, tentò al solito di rappacificare due fazioni in lotta… Comincia davvero la suprema sintesi dell’Umanesimo – anche in architettura!– e questa basilica (la sua strepitosa, bellissima facciata), è di volta in volta testimone e partecipe. Basti ricordarne i tempi, fasti e nefasti: cominciano i lavori nel 1454 (dieci anni dopo la morte di San Bernardino). Si conclude la prima fase nel 1472 con la realizzazione della cupola (che consente lo spostamento delle sacre spoglie all’interno della basilica, in un’urna argentea poi trafugata nel 1799 dai francesi…). La facciata è successiva, se ne occupa Silvestro dall’Aquila, alla cui morte, nel 1504, i lavori si fermano per vent’anni. L’incarico nel 1524 viene affidato a Cola dell’Amatrice, e portato a termine nel 1542. Era finito il gotico, s’era innalzato l’umanesimo, ingloriata la Rinascenza, e poi standardizzata in manierismo. Storia d’Italia. Dopo il terribile terremoto del 1703 (oltre 6000 morti!), l’interno venne ricostruito in stile barocco, e aggiunta anche una stravagante trifora alla facciata, esemplarmente rinascimentale (si dice, ispirata a Cola dalla michelangiolesca Chiesa di S. Lorenzo, a Firenze). Figura profondamente esemplare, dei suoi tempi e nelle sue alterne, più degne volizioni, San Bernardino incarna appieno il suo tempo e la sua cultura – trovando alla Fede come una via più sicura, semplice e maiuscola, integra e pura. Colpiscono gli scritti – le celebri prediche, in purissimo volgare insieme popolaresco e devozionale (due volte egli fu processato per eresia – due volte assolto con bolla papale). Prediche, chiosa il Prampolini, “sparse di apologhi, novellette, motti arguti”, che “rimangono vivo documento di un’eloquenza sgorgata dal cuore”. Ecco il brano squisito –ribaltato a moralità contadinesca, schietta facezia naturale– di una predica intorno agli odî degli uomini: “Vedesti mai di verno gli scardiccioni? Sai, in sur un prato, quando tu guardi d’inverno, tutte le erbe sono secche senza foglia; vávi poi a primavera, e tu le vedrai tutte verzicanti; vedrai venirvi i fiori su, vedràle tutte piacevoli, gittando soavi odori. E così crescono a poco a poco. Come è cresciuto lo scardiccione colle altre erbe? Egli nacque colla spina piccola piccola, e a poco a poco è cresciuta la spina e

fatta dura…” Colpisce tanto più il suo ritratto, quel viso e sguardo di rischiarante, compunta bonomìa che, a partire dal dipinto di Neroccio di Bartolomeo Landi (a Siena, Accademia di Belle Arti), irradiano sempre e la sua figura e il suo destino. Esemplare la vita, la predicazione, il suo continuo, instancabile peregrinare per tutta Italia, fondando conventi (dal 1417 al 1438) – esemplare, l’abbiamo detto, questa splendida opera, miracoloso fulcro di Rinascenza e poi via via vestigia in atto dei secoli che corrono, corrono e crollano, terremotati d’anima e pietra; poi si restaurano, s’architettano ancora, fra Storia ed eventi, guerre e paci continue… Con l’ultimo, atroce terremoto a L’Aquila del 6 aprile 2009, anche San Bernardino a L’Aquila era rimasto gravemente danneggiato, sia nell’abside che nel vecchio campanile... Dopo sei anni di lavori di ricostruzione, il 2 maggio scorso, la Basilica è stata riaperta al pubblico. Evento due volte commovente: sul piano artistico ed anche per malinconia, letizia o intimità esistenziale. C’è tutta la secolare tradizione italica –ripetiamo, lo schietto destino italiano– in una chiesa che parte umanista, gemma e fulcro di Rinascenza, la facciata composta, a tre ordini sovrapposti di colonne… e poi, nelle more della storia e della stessa edificazione, vira verso l’accensione manierista – poi l’accelerazione barocca… Usciamo ora dalla Chiesa e torniamo dunque alla pagina, alla navata interminabile della Letteratura… San Bernardino che voleva conciliare le diatribe interne del francescanesimo, per non parlare della miriade di eresie più o meno accanite e visionarie che si trovò a dover contrastare, diciamo pure combattere (il domenicano Manfredi da Vercelli, che in Piemonte annunciava la fine del mondo e la venuta dell’Anticristo; ma anche l’umanista neoplatonico Poggio Bracciolini, o l’agostiniano Andrea da Cascia), privilegiando però le ragioni degli “Osservanti” cui apparteneva. Che erano insieme ragioni della mente e del cuore. In quanto simile, pensiamoci, all’apostolato e al pontificato odierno di un Papa Francesco, cioè un Cardinal Bergoglio giunto dalla fine del mondo, che chiede ai potenti di rispettare gli umili, e agli umili, forse, di perdonare, accettare i potenti – se tutti e insieme sapranno meritarsi, e meritare in primis il conforto di Dio, la sua eterna e quotidiana redenzione... San Bernardino che predicava al popolo ma agiva con la potenza, la signorìa incorrotta dell’Umiltà. E le cui spoglie giacciono oggi in una Chiesa –questa gemma aquilana– abituata a resistere dentro, oltre ogni guerra, o terremoto, jattura o ignavia… Perché in quello spazio, grande e raccolto assieme, s’inginocchino i nostri gesti; e le parole e le attese tornino ad allietarsi, come accadeva un tempo (era il ‘400 che fece grande l’Italia, la sua idea fiorita al sommo dell’Umano) col popolino di Siena, Crema, Milano, Perugia, L’Aquila… con le sue prediche che riportavano il cielo in terra, come i piedi sporchi e le scarpe grosse, infangate dei contadini; ma la testa e i sogni veri, a svolare, salvarsi alti fra le nuvole… Anime intirizzite, o ardenti di Dio! E poi, quando sono così dure come lo scardiccione d’agosto… Plinio Perilli

Nella pagina a fianco: il mausoleo di San Bernardino, opera di Silvestro dall’Aquila, sormontato da una volta affrescata dal Cenatiempo. Nelle pagine seguenti: particolare dell’organo; il monumento funebre di Maria Pereyra Camponeschi realizzato da Silvestro dall’Aquila; la statua di San Bernardino posta a lato dell’altare maggiore.

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“Figura profondamente esemplare dei suoi tempi e nelle sue alterne, più degne volizioni, San Bernardino incarna appieno il suo tempo e la sua cultura trovando alla Fede come una via più sicura, semplice e maiuscola, integra e pura”.

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Nuova luce alla Basilica

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a Basilica di San Bernardino è il simbolo de L’Aquila, ed è il primo restauro portato a termine dopo il terremoto di sei anni fa. I lavori, durati quattro anni, sono un risultato estremamente importante se si considerano le grandi dimensioni della chiesa e le numerose e ragguardevoli opere d’arte che conserva. Un traguardo raggiunto grazie alla sinergia tra strutture pubbliche e private. In particolare la Fondazione Carispaq, presieduta da Marco Fanfani, ha interamente finanziato, con un consistente stanziamento, il restauro del prezioso soffitto ligneo, opera dello scultore Ferdinando Mosca di Pescocostanzo (1723 – 1727) e del pittore Girolamo Cenatiempo, artista allievo di Luca Giordano, che vi ha raffigurato episodi della vita di San Bernardino. L’intervento, diretto da Lucia Arbace, Soprintendente ai Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per l’Abruzzo ed eseguito dalle imprese Iciet Srl e Carnicelli Dario Srl, ha permesso di riportare alla luce l’originario aspetto della grande opera che oggi si presenta con il fondo di un azzurro intenso. Il restauro dell’edificio di culto appaltato dal Provveditorato interregionale alle Opere Pubbliche per Abruzzo, Lazio e Sardegna (sede coordinata di L’Aquila diretta da Roberto Linetti) eseguito dalla ATI Donati Spa ed EME restauri Srl, ha riguardato per prima la cupola gravemente lesionata e poi il resto della Basilica. Particolare attenzione è stata posta al campanile, colpito da diversi e vasti crolli, mentre la torre campanaria è stata restaurata recuperando le pietre cadute grazie ad un minuzioso lavoro di monitoraggio e catalogazione. Un lavoro realizzato in stretta collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Abruzzo e la nuova Soprintendenza unica istituita per L’Aquila e il cratere diretta da Alessandra Vittorini. Capitolo a parte quello sull’illuminazione affidata all’architetto Francesca Storaro, figlia d’arte del premio Oscar –e “cittadino onorario” dell’Aquila– Vittorio Storaro. L’importante e innovativo progetto realizzato con luci a led tende a valorizzare le architetture della Basilica, settecentesche (all’interno) e rinascimentali (della facciata) che rimarrà illuminata anche di notte. L’imponente facciata è caratterizzata da una doppia illuminazione: una morbida, diffusa, di tonalità bianca neutra che sale dal basso verso l’alto mettendo in risalto gli elementi orizzontali attraverso una proporzionata ombra, dandone la giusta evidenziazione tridimensionale; e una d’accento, di tonalità bianca calda, come il Sole del cristogramma JHS di San Bernardino, che sottolinea le 24 colonne, andando a rivelare i nove quadrati di cui la facciata è composta. Gli stessi basamenti del piano terra delle colonne sono illuminati per rendere il concetto di attacco a terra. Questa illuminazione d’accento mette in risalto anche i 3 oculi che caratterizzano la facciata ed il portale principale con la rappresentazione della Madonna e di San Bernardino, formando la sottolineatura di 4 elementi, a simbolo del quadrato e della Croce. La trifora sopra il portale principale, essendo un elemento settecentesco, è illuminata in controluce. La cupola retrostante è illuminata solo nelle parti più significative, i costoloni e la lanterna; mentre il campanile è illuminato solo all’interno delle arcate delle bifore. L’interno della Chiesa, ricostruito nel Settecento sulla

base delle strutture della chiesa quattrocentesca, è una celebrazione ed esaltazione attraverso la luce della figura di San Bernardino. Al centro del meraviglioso soffitto ligneo, esattamente in asse con il mausoleo del santo, troviamo il cristogramma JHS in tutto il suo splendore, in tutta la sua rappresentazione simbolica della figura del Sole e di Cristo. Una luce bianca di tonalità calda avvolge il soffitto ligneo e la cupola del corpo centrale, e come i raggi del Sole avvolge di luce indiretta anche le volte delle navate e delle cappelle laterali. La luce morbida e diffusa, che si espande, si dirama e avvolge tutta la Chiesa, è l’elemento caratterizzante l’illuminazione. Per il soffitto ligneo, come per il resto della Chiesa, sono stati utilizzati corpi illuminanti a LED, la cui luce non presenta componenti di raggi ultravioletti o infrarossi e non è quindi dannosa per gli oggetti illuminati, elemento molto importante in merito ai Beni Culturali. Inoltre la lunga durata dei corpi illuminanti a Led (20 anni), le dimensioni compatte e l’alto rendimento consentono una razionalizzazione e un risparmio energetico ottimali. Nella cappella contenente il mausoleo di San Bernardino, è messo in risalto il soffitto con l’affresco del Cenatiempo grazie ad una illuminazione morbida ed uniforme di tonalità bianca calda, mentre il mausoleo realizzato da Silvestro Dall’Aquila nel 1505, è illuminato con una luce d’accento di tonalità bianca neutra per esaltare la tonalità bianca della pietra. Il prezioso organo di Ferdinando Mosca in controfacciata e l’altare maggiore settecentesco, sono invece illuminati con una luce d’accento di tonalità bianca calda. In tutta l’illuminazione della Chiesa abbiamo quindi un contrasto fra luce bianca calda e luce bianca neutra: un sapiente gioco che ci permette di evidenziare, sottolineare, distinguere i vari elementi architettonici, pittorici e decorativi, donandoci equilibrio ed armonia.

Bibliografia essenziale -La Basilica di S. Bernardino a L’Aquila di U. Chierici. Ed. Carispaq 1964 -La riedificazione di San Bernardino all’Aquila e il problema della pianta quattrocentesca di Damiano V. Fucinese s.l, s.n., 1996 -Basilica di San Bernardino all’Aquila: guida storico-artistica di G. Marinangeli. L’Aquila, Convento S.Bernardino, 1980 -La costruzione della cupola di San Bernardino all’Aquila tra 15° e 18° secolo di Simonetta Ciranna, 1997 -Basilica di San Bernardino a L’Aquila: guida storico-artistica di V. Di Virgilio. L’Aquila, Convento S. Bernardino, 2007 -La basilica di San Bernardino di Antonella Lopardi e Graziella Mucciante. L’Aquila, Soprintendenza BAAAS, 1987 -Il Complesso Monastico di San Bernardino a l’Aquila: studi e rilievi per la valorizzazione a cura di C. Cundari. Roma, Edizioni Kappa, 2010 -La basilica di San Bernardino a L’Aquila: cronaca della messa in sicurezza e del restauro del tamburo e della cupola di Maria Benedetta Bossi. Castelli (Te), Verdone editore, 2012

A fianco una veduta integrale della facciata al tramonto. In questa pagina Padre Marco Federici, rettore della Basilica di San Bernardino, davanti all’altare maggiore. Nell’ultima pagina la facciata con la nuova illuminazione realizzata da Francesca Storaro (Ph. Francesca Storaro).

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allegato a Vario 87 agosto - settembre 2015

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