luglio - agosto 2011
Vignaioli in Abruzzo / Percorsi Pollinaria a Civitella Casanova
Arte, Cultura, Gastronomia
Rosso di Sera
luglio - agosto 2011 n. 75 • € 4.50
Spedizione in abbonamento postale Art.1 comma 1 353/0 3aut. n° 12/87 del 25/11/87 Pescara CMP
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L’Abruzzo che pedala
Sangritana sui binari della ricerca Speciale Architettura Sergio Rendine Mi ispiro a D’IO
Sommario
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Luglio/agosto 2011
VARIO Direttore responsabile Claudio Carella Redazione Fabrizio Gentile (testi), Enzo Alimonti (grafica) Alessio Di Brigida Hanno collaborato a questo numero Andrea Carella, Simone Ciglia, Annamaria Cirillo, Galliano Cocco, Luciano D’Alfonso, Giacomo D’Angelo, Alessio Di Brigida, Maura Di Marco, Laura Grignoli, Mimmo Lusito, Massimo Palladini, Franco Potere, Alessio Romano, Paolo Vercesi Stampa, fotolito e allestimento AGP - Arti Grafiche Picene Via della Bonifica, 26 Maltignano (AP) Claudio Carella Editore Autorizzazione Trib. di Pescara n.12/87 del 25/11/87 Copia singola Euro 4,50 Abbonamento annuo (sei numeri) Euro 24, estero Euro 40 Vers. C/C Post. 13549654 Rivista associata all’Unione Stampa Periodica Italiana Redazione Via Puccini, 85/2 Pescara Tel. e Fax 085 27132 www.vario.it redazione@vario.it
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BreVario Inchiesta L’Abruzzo che pedala Hot lake Sulle onde del successo Scuola Classe 2.0 NEO Gli editori partigiani Paolo Angelucci La vita in un istante Simone Angelini Creatività a tre dimensioni Sergio Rendine Mi ispiro a D’Io Luciano Russi La leggerezza dell’intellettuale Thomas Ashby Reportage dagli Abruzzi Guide Centouno e lode Sangritana Sui binari della ricerca Cciaa Pescara L’innovazione parte dal web Alberto Pingitore Ho cambiato la casa Deco Spa Il lato verde della tecnologia Bcca Cappelle Piccole imprese, grandi numeri Mutualcredito Garantire le imprese Ribalta Letteratura Montesilvano scrive Libri Francesco Mancini Libri Francesca Bertuzzi Libri Eventi VarioART 2011 Emanuela Barbi VarioART 2011 Connie Strizzi Tabù Speciale architettura Gaspare Masciarelli Unico Gaspare
VARIOGUSTO Rosso di sera Il colore del gusto Vinitaly 2011 Percorsi Pollinaria
BREVario BEATO LUI In occasione delle celebrazioni per la beatificazione di Karol Woytjla Epoca ha pubblicato un numero speciale, essenzialmente fotografico, che ripercorre le tappe della vita e della carriera ecclesiastica di Papa Giovanni Paolo II. Tra le foto più belle anche un Woytjla assorto e ammirato davanti alle rocce del Gran Sasso e l’adorazione dei “papaboys” al raduno nazionale degli scout sul Sirente. Il Pontefice aveva con l’Abruzzo un rapporto intenso, durato per tutto il suo pontificato, e costellato di visite anche segrete, al riparo da occhi indiscreti. Come quelle che Papa Woytjla effettuava a San Pietro della Jenca, piccolo borgo ai piedi del Gran Sasso, che oggi per custodire la memoria del nuovo Beato ha eretto un santuario a lui dedicato. Una nuova tappa sui percorsi del turismo religioso in Abruzzo, che –come ha sottolineato il presidente del Parco Nazionale del Gran Sasso Arturo Diaconale– «grazie anche all’auspicabile interazione con il Santuario di San Gabriele dell’Addolorata a Isola del Gran Sasso, potrà senz’altro potenziare e qualificare ulteriormente l’attrattività turistica del territorio».
UN’OPERA CRUCIALE Venti croci, realizzate attraverso l’accostamento o la sottrazione di singoli elementi oppure indagando alcune possibilità costruttive grazie alla tecnologia dei materiali impiegati che vanno dall’argento al ferro battuto al tubolare d’acciaio, dalla fibra di carbonio al vetro soffiato. È la mostra Cruciale di Giulio Iacchetti, il celebre designer pluripremiato, che esibisce anche l’opera “Senza titolo” (foglio filatelico cm. 36x44 – autoproduzione, 2009) realizzata con i francobolli che recano l’immagine di Emilio Alessandrini. La mostra resterà aperta presso il Museo Diocesano di Milano fino al prossimo 12 giugno.
IL LAVORO SULLE PUNTE Due licei, centinaia di posti di lavoro. A Pescara e Teramo dal prossimo anno scolastico si danzerà, per la precisione nel Convitto nazionale “Melchiorre Delfico” a Teramo e a Pescara nello storico liceo artistico “Giuseppe Misticoni”. Nuove opportunità per glu studenti, quindi, che avranno a disposizione un percorso teorico-pratico completo, incentrato sulla musica e sulla danza, che successivamente, potranno portare avanti all’interno dei Conservatori, dell’Accademia Nazionale di Danza, delle facoltà di Discipline delle arti, musica e spettacolo proposte dalle Università. E naturalmente anche per gli insegnanti, in un momento così difficile per la scuola italiana. L’Abruzzo, dal prossimo anno scolastico 2011-2012 sarà quindi una delle poche regioni italiane ad avere ben due istituti coreutici musicali, dando la possibilità a tanti laureati di entrare a far parte a pieno titolo di posti di lavoro statali. Daniela Lamacchia
LA RESURREZIONE DI SAN CLEMENTE Un lungo articolo sull’Abbazia di San Clemente a Casauria è apparso sul New York Times del 5 maggio scorso, a firma di Elisabetta Povoledo. Nel testo, che celebra il ritorno dell’abbazia a nuova vita dopo la “convalescenza” dovuta alle ferite riportate in seguito al terremoto del 6 aprile 2009, si elogia l’intervento di recupero, operazione condotta dalla Fondazione Pescarabruzzo congiuntamente col World Monuments Fund, ma si fa anche notare come il centro storico dell’Aquila versi ancora in condizioni critiche, malgrado le dichiarazioni d’intenti di diversi Paesi esteri che avevano “adottato” palazzi storici e monumenti (ben 45, inseriti in un “registro delle adozioni” all’epoca del G8). Di questi, si legge nell’articolo, “solo 13 sono stati adottati, perlopiù da banche italiane e relative Fondazioni. E solo un pugno di governi esteri –Francia, Russia, Germania e Kazakhstan– hanno messo mano alle proprie tasche per aiutare i monumenti di questa regione martoriata”.
• In alto a sinistra: il presidente della Fondazione Pescarabruzzo Nicola Mattoscio con Bertrand Du Vignaud, presidente del World Monuments Fund. A destra Gianni Letta, presente alla riapertura del monumento restaurato.
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BREVario SEI PINTE D’INCHIOSTRO Il Groove, noto locale dell centro storico di Pescara, si trasforma in una scuola di scrittura. Gli insegnanti sono tutti giornalisti, scrittori, fotografi ed editori che hanno accolto con entusiasmo l’idea dell’associazione Montesilvano scrive, che per finanziare la terza edizione dell’omonimo festival autunnale ha lanciato Sei pinte d’inchiostro, scuola di scrittura creativa a costi decisamente contenuti (100 euro compresa la tessera dell’Associazione)Montesilvano Scrive). Questo il programma dei corsi: giovedì 7 luglio h 21.30 Vincenzo D’Aquino – giornalista Narrative Journalism da Capote a Baricco 22.30 - workshop: Come elaborare una trama giovedì 14 luglio h 21.30 Francesca Bertuzzi – scrittrice 10 regole per farla franca. Teoria e tecnica del delitto perfetto 22.30 - workshop: La scelta del punto di vista giovedì 21 luglio h 21.30 Fernanda Veron – fotografa Scatti di narrazione 22.30 - workshop: La descrizione giovedì 28 luglio h 21.30 Enzo Verrengia – scrittore Il thriller in salsa mista 22.30 - workshop: Il dialogo giovedì 4 agosto h 21.30 Barbara Di Gregorio – scrittrice L’altro tempo: il caleidoscopio delle ucronie da Philip Dick a Kazuo Ishiguro 22.30 - workshop: La riscrittura giovedì 11 agosto h 21.30 Francesco Coscioni – editore Di editing e altre perversioni editoriali 22.30 - workshop: “Consigli finali” e presentazione CONTEST. Il corso è a numero chiuso. Per info e iscrizioni: 3200433655 montesilvanoscrive@gmail.com
SE L’ARTE SI FA DOLCE Ricetta per le neole: quattro artisti, un simbolo, tanta creatività e un pizzico di solidarietà. Quest’ultimo è in realtà l’ingrediente più importante, perché è proprio dalla solidarietà con L’Aquila che parte l’iniziativa del Progetto Neola (o Gruppo Neola che dir si voglia), un ensemble di artisti nata all’interno del Museo Laboratorio di Città S.Angelo, guidata da Bruna Esposito e composta da Enzo De Leonibus, Fabrizio Sartor e Emanuela Barbi. Bruna Esposito, artista romana da tempo collaboratrice del museo diretto da Enzo De Leonibus, ha realizzato un ferro da neole che riproduce il rosone di S.Maria di Collemaggio, e il gruppo si è dotato di una cucina mobile con la quale partecipa a manifestazioni artistiche vendendo le neole (e naturalmente il ferro “artistico”, realizzato in numero limitato) raccogliendo offerte per il restauro di beni architettonici dell’Aquila danneggiati dal terremoto. L’originale iniziativa è stata battezzata al Premio Terna 03 lo scorso dicembre e successivamente ha partecipato alla mostra-evento After: per un nuovo disegno di vita negli spazi de La nuova pesa a Roma (febbraio) e a Passato/Presente – dialoghi d’Abruzzo presso il Ciac di Genazzano (Roma) lo scorso aprile. Durante queste manifestazioni sono stati raccolti fondi per il restauro delle “nicchie del primo bacio” situate lungo la scalinata antistante la chiesa di S. Bernardino a L’Aquila. Per maggiori informazioni sulle attività del gruppo: www.progettoneola.blogspot.com.
LA CULTURA DELL’AGRICOLTURA Il binomio arte-agricoltura potrebbe suonare un po’ strano, ma da diverso tempo le aziende agricole abruzzesi si fanno notare non solo per la qualità dei loro prodotti: non sono poche infatti le occasioni in cui alle produzioni si affiancano eventi musicali o artistici. È il caso di Marcello Zaccagnini, che per Cantine Aperte ha proposto anche quest’anno la manifestazione musicale “Cantautori in vigna”, celebrando la memoria di Ivan Graziani (foto 1). E di Lorenzo Filomusi Guelfi, che per lo stesso evento ha proposto, insieme alle degustazioni dei suoi eccellenti vini, un’installazione in ceramica dell’artista romana Annalisa Guerri, Drunken Forest (foto 2). Il connubio arteagricoltura è stato riproposto anche dall’azienda La Quagliera di Prisca Montani, a Spoltore, dove per festeggiare le “tre foglie” attribuite all’olio extravergine monocultivar Cucco di loro produzione (la massima valutazione) l’artista Cecilia Falasca ha esposto e realizzato, con la collaborazione dei presenti, alcune sue opere (foto 3).
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BREVario JURASSIC PARK, L’AQUILA Tranquilli, non ci sono i temibili velociraptor. E soprattutto non ci sono dinosauri vivi, ma riproduzioni in scala ridotta della fauna che 700mila anni fa popolava l’ecosistema di Pagliare di Sassa. L’affascinante habitat ricostruito nel Giardino Paleontologico di Pagliare di Sassa si basa sui rinvenimenti avvenuti nel suo giacimento paleontologico alla fine degli anni ’90: reperti fossili riferibili all’elefante antico, al mammut di steppa,
al rinoceronte, all’ippopotamo antico, alla iena macchiata, a cervidi di grande taglia, alla lepre, al cinghiale, a due piccoli roditori e uccelli indeterminati. La struttura appena inaugurata è l’inizio di un processo di valorizzazione del giacimento, la cui posizione, in un ambiente ancora integro, attigua all’area verde del nuovo complesso residenziale di Pagliare, trova oggi le condizioni ottimali per una sua fruibilità.
INVECCHIARE? SÌ, MA SENZA RISCHI
SEXY GIULIA, CON IRONIA
A qualcuno piace “usato”: il jeans, naturalmente. È il paradigma del consumismo: il tessuto nuovo veniva, fino ad oggi, colorato chimicamente e successivamente decolorato con una tecnologia chiamata “sandblasting”, che consiste nel “bombardare” il tessuto con sabbia per “invecchiarlo”. Una tecnologia che nel tempo si è rivelata doppiamente dannosa: prima di tutto per chi lavora, che rischia di contrarre pericolose malattie come la famigerata silicosi, e poi anche per l’ambiente, perché in Abruzzo sono tantissime le aziende façoniste che producono jeans per le numerose e rinomate case di moda nazionali, col risultato che gli scarichi industriali “colorati” si riversano nei nostri fiumi e inquinano i nostri terreni. C’è chi, per fortuna, investe in ricerca e sviluppo, come la Fimatex di Corropoli, che ha messo a punto un sistema di decolorazione e invecchiamento del tessuto totalmente ecologico e sicuro: «Si chiama eco-aging –spiega Mauro Cianti, direttore generale dell’azienda– ed è un composto derivante da un mix di scarti del ciclo alimentare, completamente biodegradabile, quindi con impatto ambientale pari a zero». Il sistema brevettato dalla Fimatex si prepara quindi a diventare la nuova tecnologia a impatto zero che «testimonia che il Made in Italy –prosegue Cianti– non è solo estetica, gusto e qualità, ma anche produzione intellettuale raffinata e attenzione ai principi di responsabilità sociale».
Il Burlesque, moda sexy del momento, approda in tv con Lady Burlesque, il primo talent show dedicato all’arte dello spogliarello. E tra le concorrenti anche la nostra Giulia Di Quilio, modella e attrice abruzzese apparsa in tutto il suo splendore nel numero 66 di Vario. Col nom de plume di Vesper Julie la bella Giulia si è battuta a colpi di tacchi a spillo, giarrettiere, guepiere e merletti sfoderando tutta la sua ironia ed eleganza davanti alla giuria composta da Dario Salvatori, Eve La Plume e Rosy De Palma, giungendo fino alla settima puntata, quando la sfida con un’altra Giulia, new entry del programma, l’ha vista uscire di scena. Giulia, che si è già fatta conoscere dal grande pubblico grazie ad alcuni ruoli importanti ne La sconosciuta di Tornatore, Amore 14 di Federico Moccia e Crimini 2 di Claudio Bonivento, ha voluto tentare l’avventura del Burlesque perché, dice, «è un modo per salire sul palcoscenico, ancora una volta, in una veste diversa: quella della seduttrice e femme fatale, ed anche un modo per apprendere una nuova disciplina che possa arricchire il mio bagaglio di attrice che di volta in volta indossa una “nuova pelle”».
ABRUZZESI DO IT BETTER Non c’erano i Savoia, né il premier, né il presidente della Repubblica. Tra gli invitati al matrimonio del secolo, quello tra il principe William e Kate Middleton, c’era però il Made in Italy, anzi: il made in Abruzzo, sotto forma di una scatola concepita dalla Piaemme di Pescara, che conteneva le due camicie indossate dal figlio di Carlo d’Inghilterra e Lady D durante e dopo la cerimonia, cucite da un sarto pugliese. La Piaemme (che ha commissionato la realizzazione della scatola alla Grafica Metelliana di Cava de’ Tirreni) è una società di consulenza aziendale che è recentemente stata insignita del premio TP (praticamente l’Oscar italiano della pubblicità) per la categoria Packaging, ed è proprio da quel riconoscimento che è partita la “commessa” del prezioso manufatto. Racconta Luca Aceto, responsabile delle relazioni esterne dell’agenzia: «Durante la nostra permanenza a Otranto, dove la cerimonia di premiazione è stata seguita da alcune emittenti nazionali, una nota giornalista ci ha invitato a una cena a Roma, alla quale erano presenti due gentili (e sconosciute) signore inglesi. Poco tempo dopo ci è giunta la richiesta di disegnare la scatola delle camicie, insieme a un rigorosissimo protocollo di
riservatezza». Che naturalmente, vista l’importanza dell’evento, è stato osservato scrupolosamente, finché non è stato possibile diffondere la notizia. E i media nazionali vi si sono lanciati: «La prima a contattarci è stata Radio Deejay, poi è arrivata la redazione di “Pomeriggio sul 2” della Balivo, su RaiDue. Una troupe di Sky ci ha intervistato nei nostri uffici. Abbiamo dovuto rifiutare l’invito di RaiUno, prima con Paola Perego e poi con Bruno Vespa, perché avevamo già sottoscritto l’accordo con la rete concorrente. Hanno parlato di noi numerose radio e tv locali, inclusa la Rai regionale, e diverse testate nazionali, tra cui Glamour e Vogue Italia». La scatola realizzata dalla Piaemme è un’elegante confezione a cassetti, del peso di circa 7 kg, che reca impresso in oro l’emblema della casa Tudor; una volta spenti i riflettori sull’evento, insieme agli altri oggetti legati al matrimonio entrerà a far parte della collezione del British Museum.
Viaggiamo VVda un secolo! Autolinee E. Di Febo Capuani
Orario Roseto - Pescara - Chieti scalo - Roma no stop FR feriale - FS festivo - GI giornaliero - FS+VEN festivo e venerdì - FS EST festivo estivo (dal 15/6 al 15/9)
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L’Abruzzo che pedala
di Alessio Romano
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ai voluto la bicicletta? Sì, e ne sono fiero, risponde l’Abruzzo: che pedala, senza dubbio. E che, con la grande affluenza al voto referendario e la schiacciante vittoria dei Sì all’abrogazione della legge sul nucleare, ha espresso chiaramente la volontà di procedere, in campo energetico, nella direzione delle rinnovabili e di una politica volta all’ecosostenibilità. E che le due ruote (ecologiche, of course) fossero prepotentemente tornate di moda lo dimostra anche la crescente tendenza all’associazionismo dei cicloamatori: non tanto degli sportivi, che le strade d’Abruzzo le conoscono bene, quanto di coloro che vedono nella bicicletta un’occasione per rivoluzionare in positivo la mobilità urbana, inquinare meno e quindi voler bene al pianeta. Più bici, più baci, verrebbe da dire. Ma anche “una bici in più, una macchina in meno”, e quindi un posteggio in più per chi all’auto non può proprio rinunciare. Insomma, la bicicletta è uno stile di vita, che –soprattutto in città– si traduce in meno tempo passato in mezzo al traffico, a cercare parcheggio, a consumare carissimo carburante, il tutto al prezzo di un po’ di movimento (che non guasta mai). Ed è anche un’opportunità di lavoro, come dimostrano i ragazzi di Bici Mobilità Pescara che hanno messo
a punto un servizio di consegne. E per una volta l’Abruzzo non è indietro rispetto ad altre, più pianeggianti e storicamente “ciclofile” regioni: tra cicloturismo e percorsi in mountain bike non sono affatto pochi i chilometri a disposizione dei visitatori, che sempre più decidono di utilizzare questa formula (ECOnomica) per ammirare le bellezze paesaggistiche del nostro territorio, favoriti anche dalla grande quantità di aziende agrituristiche che offrono il servizio di noleggio bici, in campagna, sulla costa e in montagna. È altrettanto vero che c’è ancora molto da fare per rendere l’Abruzzo una regione al 100% “ciclocompatibile”: per esempio, completare quella “Ciclabile Adriatica” lunga 1000 km che dovrebbe collegare Ravenna con Santa Maria di Leuca costeggiando la riviera e che per 142 km corre da Martinsicuro a Vasto. Il progetto, promosso dalla Fiab (la federazione italiana amici della bicicletta), è stato recentemente sostenuto da alcune associazioni abruzzesi che il 2 giugno hanno festeggiato la Repubblica con una “Biciclettata adriatica” che ha visto incontrarsi, a Pineto, i due gruppi di circa 500 ciclisti partiti contemporaneamente da Francavilla al Mare e da San Benedetto del Tronto. E per scoprire l’Abruzzo che pedala non vi resta che voltare pagina.
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Incontrarsi in bicicletta Amatori e ambientalisti, sportivi e dilettanti: erano 500, partiti alle 8,30 da Francavilla al Mare e da San Benedetto del Tronto, e si sono incontrati a Pineto alle 13,30 lo scorso 2 giugno, festa della Repubblica. Che per l’occasione si è trasformata in una festa della bicicletta, fortemente voluta dal Cciclat (centro di coordinamento ciclabili Abruzzo teramano) e Pescara Bici, associazioni abruzzesi che hanno così riacceso i riflettori sulla necessità di completare quanto prima il tratto abruzzese della Ciclabile Adriatica. La manifestazione, organizzata anche dai Comuni di S. Benedetto del Tronto, Giulianova e Pineto, «è stata un successo –ci dice Giancarlo Odoardi, presidente dell’associazione Pescara Bici– che ha avuto lo scopo di sensibilizzare cittadini e istituzioni sui temi della mobilità sostenibile. In sostanza, non si è trattato solo di fare una passeggiata all’aria aperta, ma di testimoniare la richiesta agli amministratori in primis di un cambiamento di mentalità che deve mettere il cittadino al centro delle politiche urbane e territoriali degli Enti: non solo piste ciclabili, ma città ciclabili. L’obiettivo di fondo, infatti, è che da questo asse portante adriatico si sviluppino, in concomitanza con i diversi insediamenti urbani, le reti locali di mobilità ciclistica in grado di soddisfare le esigenze degli utenti della strada che vogliono usare un mezzo di trasporto alternativo all’automobile». Gli fa eco Lucio De Marcellis del Cciclat: «Incentivare la mobilità dolce significa potenziare lo sviluppo economico: a Trento, per esempio, le quattro piste ciclabili hanno portato un indotto di 86 milioni di euro. Il cicloturismo è una carta che l’Abruzzo non può permettersi di non giocare. Le oltre 60 associazioni da noi co-
ordinate (che non risiedono solo nel teramano ma spaziano in tutta la regione e comprendono anche associazioni sportive oltre a Wwf e Legambiente) sperimentano ogni giorno la ciclabilità di strade che dalla costa percorrono le fondovalli, come quella del Tordino –dove è prevista la realizzazione della ciclabile Teramo-mare con l’utilizzo di fondi Fas– o del Vomano, della Val Vibrata, del Tronto. Siamo convinti che l’uso delle bici “a pedalata assistita” (ovvero quelle elettriche) si diffonderà rapidamente anche da noi come avviene già altrove, consentendo anche a chi non è più giovane –e a chi vive in zone poco pianeggianti– di avere un’alternativa all’automobile, e siamo promotori di una legge, attualmente al vaglio del consiglio regionale, per la creazione in Abruzzo di una rete per la mobilità ciclistica». La Ciclabile adriatica, con il suo potenziale in termini di indotto, è il cardine di questo progetto. Prosegue De Marcellis: «Rispetto ad altre zone d’Italia, ma anche d’Europa, la pista ha diversi punti di forza: è quasi tutta pianeggiante; la si può percorrere anche d’inverno grazie al clima mite della nostra regione; è ben servita, poiché c’è un paese ogni quattro-cinque chilometri (il che significa anche alberghi, punti di ristoro, officine per riparazioni); e infine è costeggiata nella sua interezza dalla ferrovia». Un vantaggio, questo, perché consente di avere un’alternativa in caso di maltempo o, semplicemente, di… stanchezza.
Dal treno alla bici E sul rapporto bici-treno sta scommettendo ora con grande coraggio la Sangritana, colosso regionale dei trasporti (su gomma e su binari) che –oltre ad offrire già il trasporto bici
sul treno– sta mettendo a punto un ulteriore servizio di noleggio biciclette nelle stazioni attraversate dai propri convogli. Pasquale Di Nardo, presidente della Sangritana: «L’incentivazione alla mobilità sostenibile nei nostri programmi si sviluppa in due direzioni. Una, essenzialmente turistica, è quella di approntare dei “pacchetti” che propongano percorsi di cicloturismo regionali che includano l’uso congiunto del treno e delle due ruote; l’altra implementa i servizi di trasporto pubblico fornendo, in tutte le stazioni toccate dai nostri treni, un servizio di noleggio biciclette, a prezzi contenuti e differenziate per territorio e utenze: nelle zone interne bici elettriche, sulla costa normali bici a pedali. Senza dimenticare le biciclette da donna e da bambino, perché è importante che possano usarle tutti». Un’iniziativa che dovrebbe cominciare a prendere forma proprio quest’estate: «Siamo in contatto con i sindaci dei Comuni interessati, che dovrebbero concederci il permesso di sistemare, dentro o fuori dalle stazioni, i punti di rimessa delle biciclette; questi dovranno poi essere controllati da apposito personale, creando quindi anche dei posti di lavoro».
Stregati dalle due ruote La questione della cosiddetta “mobilità dolce” è un problema cui Enti e Istituzioni non sono affatto insensibili: c’è, in Abruzzo, una grande risposta in termini di sostegno e di promozione di iniziative da parte di Comuni e Province, soprattutto da parte di quelli situati lungo il percorso ma non solo. Partendo da nord, è senz’altro il Teramano il territorio dove si registra la maggiore propensione alla mobilità alternativa: il bike
sharing, largamente diffuso in molte regioni del nord Italia e in Europa, è già presente nel capoluogo, dove un parco di 36 mezzi (che presto verrà implementato con altre bici a pedalata assistita, ricaricate con pannelli solari) è a disposizione dei cittadini, che in punti strategici della città possono prelevare le biciclette comunali utilizzando un’apposita chiave (che si può ottenere dietro cauzione di soli 10 euro, che vengono restituiti alla riconsegna): il servizio permette di utilizzare le bici dalle 7 del mattino alle 23 ed è parte di una rete nazionale che consente, con la medesima chave, di fruire di biciclette in altre 89 città italiane. «In ottemperanza al nostro programma elettorale – spiega il sindaco di Teramo Maurizio Brucchi– abbiamo avviato una serie di iniziative per la mobilità urbana sostenibile, con la realizzazione di un anello ciclabile di 11 km che corre intorno a tutta la città (e che verrà poi collegato alla ciclabile Teramo-mare) oltre a piste ciclabili cittadine; abbiamo varato il progetto “Giunta in bici”, dotando tutti gli assessori di biciclette e limitando l’uso delle auto blu allo stretto necessario. E il 15 giugno abbiamo fornito quattro biciclette anche ai vigili urbani». Il Comune di Teramo ha ottenuto, lo scorso maggio, anche la targa di riconoscimento dal ministro Stefania Prestigiacomo per essersi posizionata prima nella classifica del concorso nazionale “Bicity tutto l’anno”, nella categoria riservata alle città fino a 60.000 abitanti. Tornando sulla costa, il primato dell’ecosostenibilità urbana va ad Alba Adriatica, dove ben quarant’anni fa venne realizzato il primo tratto della ciclabile adriatica, mentre a Giulianova Legambiente –oltre a promuovere molte altre iniziative– ha sperimentato con successo il servizio
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Bicibus: «Due squadre di volontari –spiega il vicepresidente di Legambiente Alessandro Tursi– partono dal nord e dal sud di Giulianova Lido, e lungo il percorso si fermano in più punti (come uno scuolabus) per accogliere nel gruppo e accompagnare a scuola i ragazzi in bicicletta, fornendo loro una pettorina catarifrangente. Abbiamo svolto il servizio negli ultimi quattro sabati dell’anno scolastico, e trattandosi di un progetto in via sperimentale lo abbiamo limitato agli alunni di quinta elementare della scuola Don Milani. Da settembre apriremo anche ad altre classi e a un altro istituto e cercheremo di svolgere il servizio durante tutta la settimana». Più a sud, nel Pescarese, i Comuni di Pescara, Città Sant’Angelo, Silvi e Montesilvano hanno promosso il progetto Salinas, ovvero una serie di interventi volti a favorire la mobilità sostenibile attraverso la realizzazione/completamento della pista ciclabile, l’acquisto di biciclette a pedalata assistita e l’installazione di box di rimessa delle biciclette oltre che di erogazione di servizi di ottomatica. A Pescara oltre al grande risultato raggiunto con la costruzione del Ponte del Mare, mirabile opera di ingegneria che unisce le due riviere a nord e a sud del fiume, le intenzioni sono di «puntare sulla realizzazione di nuove piste ciclabili e migliorare quelle esistenti –ci spiega il sindaco Luigi Albore Mascia– tenendo conto delle difficoltà che comporta operare in una città che ha subìto un incredibile sviluppo edilizio e che deve fare i conti, comunque, con un afflusso di veicoli a motore stimato in circa 100mila mezzi al giorno, solo da fuori città. Per questo la realizzazione della filovia che correrà sulla strada parco (un mezzo silenzioso, ecologico e a percorso dedicato) è fondamentale per limitare il traffico e concentrarlo, come desideriamo, solo a ovest della strada parco, così da poter pedonalizzare ampi tratti
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della zona a est che si affaccia sulla riviera: sacrifichiamo in parte la strada parco per avere quindi una “riviera-parco”». Programmi ambiziosi di cui qualche anno fa si era visto un anticipo con l’avvio del progetto di bike sharing, poi naufragato: «Iniziative pur lodevoli vengono spesso vanificate dalla mancanza di un’educazione civica che insegni, soprattutto alle giovani generazioni, a rispettare l’ambiente e il bene pubblico. Questo è certamente anche compito delle istituzioni tutte». E la Provincia di Pescara, che ha da tempo aperto il percorso ciclabile che corre lungo il fiume per un buon tratto, ha cominciato dando il buon esempio l’anno scorso, quando l’intera giunta si è fatta ritrarre in bicicletta in occasione del Giro d’Italia, per spingere la popolazione a passare qualche minuto in sella anziché ore nel traffico. «Proprio insieme alla Provincia –conclude Mascia– stiamo cercando una soluzione per collegare Pescara all’interno con nuovi percorsi ciclabili e per proseguire la realizzazione dei tratti della ciclabile adriatica così da collegarla anche a Montesilvano e a Francavilla». Dove, purtroppo, il percorso ciclabile subisce una brusca interruzione appena fuori dal paese. Ma la Provincia di Chieti ha in cantiere, ormai da diverso tempo, la realizzazione della “Via Verde della Costa teatina”, che correrà lungo i 49 km dell’ex tracciato ferroviario interessando nove comuni da Ortona a Vasto, andando a congiungersi con la pista già realizzata dal Comuni di San Salvo con il contributo proprio della Provincia: un’opera che grazie allo splendido paesaggio della Costa dei Trabocchi si preannuncia decisamente ghiotta per tutte le aziende del territorio, assetate di turismo. L’Abruzzo già pedala; chissà che anche l’economia non riesca a ripartire, magari proprio grazie alle due ruote?
Ma dove vai se la bici non ce l’hai? A Pescara, per esempio, c’è un gruppo di ragazzi che ha ideato soluzioni nuove per ridisegnare il panorama urbano, partendo proprio dalla trasformazione della mobilità. E offrendo un servizio innovativo per la provincia di Pescara e Chieti: un corriere in bicicletta. Una vera novità per un ambito dove la mobilità motorizzata, a scapito di un territorio decisamente vocato ai pedali, è dura da battere. Ma qualcosa sta cambiando: «Sono tanti i fattori che stanno favorendo questo sviluppo: il caro benzina, il traffico sempre più collassato, e non ultimo il regime di estrema severità riguardo alla guida in stato di ebbrezza. È chiaro che in una città che non ha un uso storico della bici rimangono fattori culturali di resistenza: per tanti anni farsi vedere con il “macchinone” è stato uno status symbol irrinunciabile». A parlare è Manuel Di Tillio, che insieme a quattro amici suoi coetanei legati dalla passione per le due ruote ha fondato l’associazione culturale BMP (Bici Mobilità Pescara) con l’obiettivo di diffondere la bicicletta come mezzo primario di spostamento urbano. E, per iniziare, offre un servizio originale ai suoi soci. «È un normale corriere espresso tra privati e aziende. Solo che noi, per spostarci, usiamo solo biciclette. Il cliente chiama, noi accettiamo il prelievo (plichi, piccola pacchetteria, lettere) e lo consegniamo al destinatario indicato. Ovviamente non abbiamo la distribuzione capillare delle Poste. Siamo partiti a dicembre 2010 con attività promozionali e la risposta è stata interessante. Molti hanno già acquistato carte prepagate per le consegne. È una novità qui da noi, ma da 40 anni in America chi fa servizi di trasporto urbano ha sempre dei “pedalatori” oltre ai furgoni. In Europa, in città come Londra, Madrid o Barcellona, esistono
molte società che offrono lo stesso tipo di servizio e vanno a gonfie vele. A Milano c’è una società (UBM) che ci ha fornito molto aiuto per iniziare, soprattutto a livello di informazioni. Noi crediamo che succederà lo stesso anche a Pescara che è una città non molo estesa, pianeggiante, con tutti i servizi concentrati in zone specifiche anche queste pianeggianti». Iniziative del genere meriterebbero tutto l’appoggio possibile da parte delle istituzioni. «Il Comune di Montesilvano ci ha da poco dato il patrocinio e anche Pescara si è mostrata interessata ai nostri progetti. Di voglia di promuovere la bicicletta come mezzo ce n’è tanta da parte della politica. Però le idee sono sempre le stesse: bike sharing e piste ciclabili soprattutto. Che vanno benissimo, sia chiaro; però nessuno ha il coraggio di dire: togliamo le macchine. Bisogna forzare la riduzione del traffico privato in automobile almeno nelle zone centrali. Solo mezzi pubblici e bici, magari con un utilizzo integrato e la possibilità di salire facilmente a bordo con la propria bicicletta». Le difficoltà che un gruppo di ragazzi giovani incontra quando decide di lanciarsi nel mondo del lavoro partendo da un’idea non sono poche. «La questione non è tanto abruzzese, ma italiana. La politica locale comunque delle risposte te le dà. E neanche la burocrazia, di cui ci si lamenta tanto, è un grosso problema. Ma se vuoi fare un’attività nuova il costo amministrativo è inaffrontabile. Tasse già da pagare prima ancora di partire. Ci vorrebbero maggiori agevolazioni. Capisco chi va via, perché in grandi metropoli è più facile trovare investitori. Però anche qui ci sono possibilità. Le porte sono aperte se ci metti la voglia e l’entusiasmo». E l’entusiasmo non basta mai se l’obiettivo è riuscire a fare capire che la bicicletta è la scelta più intelligente.
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Hot Lake
Sulle onde del successo Il Cable park di Manoppello è la seconda struttura di questo tipo in Italia. Alla guida c’è Nicola Santomo, campione di wakeboard e grande appassionato di sport acquatici di Maura Di Marco foto Claudio Carella
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econdo campione nazionale di wakeboard, secondo gestore italiano di cable park in Italia e secondo frequentatore di Hot-lake a Manoppello. Ma, dalla sua parte, ci sono solo 17 anni ed un nome importante: Santomo. Lui è Nicola, figlio di Gianni, l’uomo che negli anni Ottanta ha cavalcato l’onda dell’abbigliamento come brand manager di Benetton e che adesso, con cappellino all’uncinetto colorato e Ray Ban bianchi griffati, è il primo capitano di sport e divertimento. Due generazioni a confronto ed un fiume di opportunità in comune: Gianni Santomo, sessant’anni e più con il fiuto degli affari e Nicola, appena diciassettenne, con la passione insaziabile per lo sport. Il primo ha viaggiato moltissimo tra Francia, Croazia e Germania, culle dei primi parchi acquatici sportivi; il secondo ha passato il suo tempo libero allenandosi duramente su un campo da pallavolo e nelle piscine olimpioniche. Insieme, hanno inaugurato, il 10 luglio del 2010, a Manoppello, il secondo cable park in Italia (il primo nasce all’Idroscalo di Milano). Hot lake (www.hot-lake.com) è un posto incantevole, baciato dalle acque dolci ed avvolto da una natura rigogliosa, in cui è possibile praticare il wakeboard, il wakeskate ed il kneeboard, discipline emergenti nel mondo dello sport, da qualche mese riconosciute dal CONI attraverso la Federazione nazionale di sci nautico. «Si può fare di tutto per stare in acqua –esordisce Nicola, arrivato secondo, l’anno scorso, al campionato nazionale di wakeboard junior– almeno due o tre volte al giorno mi prende la scimmia (la voglia) e mi devo tuffare». Anche il padre si è
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tuffato quando, un anno fa, ha scommesso su una struttura diversa che, ad oggi, conta oltre 1800 tesserati, raggiunti attraverso Facebook, internet ed iniziative scolastiche, e centinaia di stranieri che passano qui gran parte delle loro vacanze, attratti da quelli che loro chiamano i Caraibi del Sud Europa per via del clima e dell’acqua pulita. Il posto è aperto da marzo fino a novembre ed attrae anche moltissimi abruzzesi: «Adesso mi occupo, soprattutto, della biglietteria, della manutenzione e dei rapporti istituzionali con il mondo sportivo. Finita la scuola, mi piacerebbe iscrivermi a Scienze motorie e, quando mio padre deciderà di andare in pensione, sarò ben felice di prendere la guida di questo posto… Molto meglio qui che in un negozio o in ufficio». La maggior parte dei clienti sono uomini dai 16 ai 45 anni che, nel weekend o appena usciti dal lavoro, si mettono su una tavola con attacchi (wakeboard) o senza (wakeskate) e si muovono, legati ad un filo di acciaio, ad oltre 30 chilometri orari, fronteggiando scivoli ed ostacoli. «Ma ci sono anche le donne che, invece, preferiscono il kneeboard, la disciplina che ti permette di montare la tavola stando in ginocchio». In un posto così, non può mancare l’attenzione al tema della sicurezza e Nicola, nonostante la sua giovanissima età, lo sa bene: «Dedico molto del mio tempo alla manutenzione quotidiana degli impianti e, ad ogni cliente, faccio firmare un disciplinare sull’uso corretto degli attrezzi a disposizione. Praticando questo sport, sono perfettamente consapevole dei rischi a cui è possibile andare incontro ma, se tutto viene fatto secondo le regole, allora non resta che il divertimento». Sport di giorno e piacere di notte con delle feste a tema, orga-
nizzate in collaborazione con locali e stabilimenti, che illuminano lo specchio del fiume ed accendono le serate estive con la musica, in un posto in cui non ci sono problemi di decibel. «Mi piacerebbe che un giorno Hot-lake si dotasse anche di bungalow, ristoranti e piscine per garantire un’offerta a 360 gradi a tutti i visitatori. Tra i miei sogni nel cassetto c’è anche quello di organizzare gli eventi Redbull Wake of fame, i più seguiti ed eccitanti in tutto il mondo».
• Alcune immagini del Cable park di Manoppello. Nella pagina a fianco e nella foto in alto Nicola Santomo. Qui sotto il padre Gianni impegnato sulla tavola.
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Questione di classe 1°I Liceo scientifico Da Vinci Pescara
http://www. newscuola.edu Classe 2.0 è un progetto sperimentale per utilizzare le nuove tecnologie applicate alla didattica. La scuola del futuro è dietro l’angolo? a cura di Alessio Romano Foto Mimmo Lusito
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oi ragazzi del progetto Classe 2.0 stiamo sperimentando quella che sarà la possibile scuola del futuro utilizzando le nuove tecnologie tra i nostri banchi. Testiamo l’uso di Internet direttamente in classe e condividiamo i compiti e le varie attività grazie a un piccolissimo “social network”. Non usiamo una lavagna normale, ma una LIM (lavagna interattiva multimediale) che dà una svolta al processo di apprendimento. C’è la possibilità di una ricerca più ampia rispetto a ciò che si può fare senza un accesso a internet; oppure si possono cercare teoremi e cartine continuamente aggiornate, o date e fatti storici non riportati sui libri, cercare opere d’arte del passato e contemporanee, testi, poesie, informazioni su autori e molto altro. Le lezioni possono essere salvate sul desktop del computer principale. Noi ce le prendiamo ognuno con la propria pen drive oppure le scarichiamo dal sito personale della classe. Tutte pratiche, siamo certi, che si diffonderanno presto: roba di qualche anno! Nel futuro, appena entrati in una qualsiasi classe di liceo, vedremo file lucenti di banchi touch screen allineati e collegati tra loro. Ci sarà un’applicazione per mettere le note e una per caricare il registro o il calendario. Tutte le classi saranno in rete tra loro e con la presidenza. I compiti saranno tutti i giorni scaricabili direttamente online, assieme alla spiegazione registrata in classe e il peso della vecchia “cartella” verrà sostituito da un hard disk virtuale. Tutto molto comodo ed istantaneo! Ma che fine faranno i libri? Che fine farà la lavagna di ardesia? E gli appunti scritti? Se sarà possibile prelevare i compiti direttamente da Internet che fine faranno le telefonate del pomeriggio? Che fine farà il sentirsi? Se è il pc a disegnare un cerchio presto tutti i ragazzi scorderanno come si usa un compasso! Va bene usare internet per vedere dov’è un luogo, ma dovremmo pure sapere usare un atlante! E come siamo in grado di cercare un
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parola su Google, dovremmo sapere utilizzare un dizionario! E se manca l’elettricità? Dovremmo anche sapere come fare lezione se manca la corrente! Non si può utilizzare il dito su una LIM per scrivere, se non si sa scrivere una parola su un foglio. Bisogna trovare un equilibrio fra la tecnologia e il metodo tradizionale d’insegnamento. E i professori? Saranno pronti? Solo quando tutti i docenti collaborano nell’utilizzo delle nuove tecnologie queste si possono sfruttare al meglio. Nella classe 2.0 uno dei problemi principali è la perdita di tempo. Secondo alcuni nostri professori è necessario tornare al vecchio metodo, con libro e quaderno. Perché noi le nuove tecnologie le consideriamo come una specie di gioco: da questo punto di vista il metodo tradizionale ci impone maggiore impegno. Noi facciamo parte del primo approccio della scuola pubblica italiana alle metodologie tecnologiche; per questo non bisogna pretendere un’immediata riuscita dell’esperimento. C’è poi il discorso dei costi. Già oggi andare a scuola è diventato un lusso, in un periodo di crisi economica. Le persone, ormai, non hanno più soldi e preferiscono spenderli per beni di prima necessità e non per l’educazione scolastica. Sarebbe un futuro tremendo quello in cui chi se lo può permettere manderà i figli nelle scuole private, magari più pronte a intercettare le future nuove tecnologie. E della scuola pubblica cosa rimarrà? Le nuove tecnologie dovrebbero essere degli strumenti per la diffusione dell’apprendimento. Per fare in modo che tutti abbiano le stesse possibilità. Senza eccezioni.
• Nella pagina a fianco i ragazzi della 1°I del Liceo scientifico “Da Vinci” di Pescara che partecipano al progetto “Classe 2.0”, coordinati dalla Professoressa Silvia Di Paolo e dal dirigente Giuliano Bocchia
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Francesco Coscioni-Angelo Biasella
NEO gli editori partigiani Arroccati come partigiani tra le montagne tentano di difendere la cultura in crisi. Puntando al pubblico nazionale e con la speranza di entrare presto in classifica grazie a uscite davvero alternative di Alessio Romano foto Sara Trabucco
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rovate a immaginare una casa editrice indipendente, che punta su opere “caustiche, sarcastiche, turbative, ironiche, concettualmente forti e scomode, deliranti nel contenuto ma non nella forma, capaci di insinuarsi nell’epidermide della cultura e della società attraverso sguardi inattesi e poco considerati”. Provate a immaginare copertine colorate, pop, fresche e mai banali. Provate a immaginare che nel catalogo di questa casa editrice ci siano favole riscritte in chiave grottesca, raccolte di racconti sui terremoti di tutti i tempi, il lamento contro la guerra di un’autrice canadese che nel resto del mondo viene lodata dal Los Angeles Weekly e dal New York Daily News. Bene. La domanda ora è: dove ci troviamo? No, non davanti al laghetto di Segrate in uno degli uffici della Mondadori. Sbagliato, neanche in una palazzina liberty delle vie di Torino, di fianco alla sede di Einaudi. E neanche nella sorniona Roma, vicino alle redazioni di Minimum Fax o Fazi. La NEO edizioni ha la sua sede operativa in mezzo all’Altopiano delle Cinque Miglia, a Castel di Sangro (seimila abitanti nella provincia dell’Aquila). Qui Francesco Coscioni e Angelo Biasella, cugini e amici, uniti da sempre dalla passione per i libri hanno fatto una scelta lavorativa coraggiosa, in un momento in cui l’editoria è in crisi. «Per iniziare qualsiasi tipo di attività c’è bisogno di fondi. Noi abbiamo ottenuto un prestito grazie a Sviluppo Italia, un’agenzia paragovernativa che aiuta a prendere fondi europei. Per una casa editrice i tempi di rientro degli investimenti sono lunghi. Ma il nostro riscontro in termini di visibilità e comunicazione è stato ottimo». È allegro e fiducioso, Francesco Coscioni, e anche questa è un’anomalia nel mondo della cultura dove tutti sembrano solo capaci di piangersi addosso. Alle spalle ha esperienze lavorative in piccole case editrici campane, un master a Milano
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in Comunicazione e un lavoro a contratto (non rinnovato) nel marketing di un’azienda di moda. Il suo braccio destro è Angelo Biasella, l’uomo che pazientemente si occupa dei manoscritti in arrivo e poi sceglie quali sono i libri da pubblicare. Scelte dure, di storie potenti e originali, ma che non rinunciano ad avere una trama. La sperimentazione pura non interessa alla NEO. «Per provare a sfondare nel mondo dell’editoria il primo passo è stato fatto sulla rete, su Facebook, con il viral marketing. Creiamo curiosità tramite domande e scherzi agli oltre cinquemila contatti che ci seguono. Ma riusciamo anche a comunicare quello che amiamo e riteniamo bello dei nostri libri. Poi, sono fondamentali le recensioni. Per una casa editrice piccola è difficile entrare in contatto con la stampa nazionale. Ma già con la nostra prima uscita è arrivata una citazione di Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera. Il nostro libro Palace of the End di Judith Thompson, poi, fu recensito positivamente e quasi in contemporanea da due testate ideologicamente distanti come Liberazione e il Secolo d’Italia. Anche il rapporto con i librai è fondamentale. In ogni città c’è quello di fiducia che conosce i nostri libri e li propone ai suoi clienti. Del resto anche il contatto diretto con i lettori per noi è fondamentale. Giriamo per Fiere e Festival, presentando i nostri autori e i nostri titoli». Ai ragazzi della NEO fa onore la scelta di essere editori “veri”. Hanno rinunciato a priori alla tentazione del “Vanity Press” (case editrici che si fanno pagare dagli autori; una realtà in espansione e molto diffusa soprattutto in ambito provinciale). «Crediamo che l’editoria a pagamento sia solamente un altro tipo di business. Si esaurisce nel momento in cui l’autore paga per essere pubblicato. È un lavoro completamente diverso dal nostro che facciamo reddito solo dalle copie vendute e che per questo dobbiamo assolutamente promuovere. Oltre,
• Francesco Coscioni, a sinistra, e Angelo Biasella negli uffici della NEO edizioni a Castel Di Sangro.
ovviamente, al lavoro di editing che facciamo su ogni libro». Si dice che in Italia si legga poco. L’Abruzzo sembra avere altri problemi. «L’Abruzzo ha una popolazione bassa, ma composta da buoni lettori. Il problema è che la stampa regionale abruzzese è un po’ingessata e non dedica grande spazio alle realtà emergenti (eccezion fatta per Vario, ovviamente, ndr). Si parla sempre delle stesse cose. Se ci fosse più attenzione per proposte alternative anche il lettore sarebbe portato ad avere maggiori possibilità di scelta. Dei librai abruzzesi non possiamo che parlare bene, invece. Qui in Abruzzo noi non abbiamo un distributore (come invece per le altre regioni). Curiamo i contatti direttamente con librai disponibili e cortesi. Sia quelli indipendenti (e, aggiungerei anche, intraprendenti!) sia con quelli che lavorano per le grandi catene». Francesco e Angelo fanno davvero tutto da soli. Neanche l’intervista in corso riesce a distoglierli dalle amorevoli cure per le prime
copie del loro nuovo libro, da imbustare e spedire a giornalisti e critici. «A giugno esce Gobbi come i Pirenei di Otello Marcacci. Una storia a sfondo sportivo: la seconda parte del libro si svolge durante un’edizione del Tour de France. D’amore, ironia, ciclismo e anarchia. Con questa uscita battezziamo una nuova collana: Dry, che per simbolo ha un cavatappi che sembra danzare. Si occuperà di opere dal taglio narrativo più spiccato e più agile rispetto agli altri libri più di ricerca che pubblichiamo di solito». Così si lavora nel mondo globale stando anche a Castel di Sangro. «Qui nel paese godiamo di una certa fama e affetto. Sicuramente è più difficile avere contatti con giornalisti e scrittori. Ma grazie a internet questo non è più un grande problema. E poi qui lavoriamo in pace, rimaniamo puri e lontani da mode effimere».
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Paolo Angelucci
La vita in un
istante
È uno dei trenta fotografi in tutto il mondo scelti dalla Impossible GmbH per testare la nuova pellicola a colori Px680. Il ritratto in flash di un artista dello scatto
di Fabrizio Gentile
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edici fotografie che ritraggono Pescara col suo Ponte del Mare e alcune vedute di Caramanico sotto una coltre di neve. Sono i soggetti della serie di istantanee realizzate da Paolo Angelucci, giovane fotografo pescarese, per testare la nuova pellicola a colori prodotta dalla mitica Polaroid, oggi passata nelle mani di una società austro-olandese, che riporta in auge un modo di fotografare che stride con la diffusione odierna di tecnologie sempre più digitali. La storia di questi scatti Paolo ce la racconta così: «La Polaroid ha abbandonato le ricerche che hanno a che fare con tutto ciò che è analogico, si occupa solo di digitale e di lenti per occhiali. Il reparto analogico –stabilimenti, macchinari e dipendenti– è stato rilevato da quelli che erano i distributori per l’Europa della Polaroid: una società viennese con lo stabilimento in Olanda, la Impossible Projects. Vogliono ricreare la pellicola a colori a sviluppo istantaneo che possa sviluppare alla luce del sole, insomma la cara vecchia polaroid col fascione bianco sotto. Per questo hanno selezionato trenta fotografi in tutto il mondo –quattro in Italia– per testare questa nuova pellicola, la Px680, che uscirà a maggio. Ci hanno dato due pacchi da 8 scatti e abbiamo inviato loro i nostri lavori. Tutta questa produzione verrà probabilmente utilizzata a scopi pubblicitari, e io ho fotografato alcune vedute di Pescara e di Caramanico, in diverse condizioni climatiche e di luce». Ma come sei stato scelto? «Sono sei anni che lavoro con la Polaroid, e per forza di cose ho rapporti con quest’azienda per la fornitura delle pellicole. Nel 2006 sono stato a Vienna per una collettiva, e sono andato a trovarli per parlare dei miei lavori. Quando quest’anno ho fatto un’ordine mi hanno proposto di partecipare al test, ed è una bella soddisfazione» In un’epoca sempre più hi-tech e digitale, come mai la scelta della Polaroid? «Intanto per ragioni estetiche: a me piace veramente l’immagine Polaroid. E mi piace tutto ciò che appartiene al passato,
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• Nella foto grande Paolo Angelucci. A fianco alcuni scatti della serie realizzata per la Impossible Projects: da sinistra il Ponte del Mare, il Ponte Mazzini a Roma, di nuovo il Ponte del Mare di Pescara e uno scorcio di Caramanico Terme
come le moto d’epoca o i dischi in vinile. Insomma, sono completamente vintage, ma ci tengo a precisare che non lo faccio per moda. E sul piano artistico la mia ricerca ha sempre puntato alla realizzazione di un “pezzo unico” fotografico, ovvero di un prodotto che restituisse l’immediatezza del pensiero senza l’intervento di troppe variabili. Nella fotografia “normale” oltre alle variabili dettate dalle condizioni in cui scatti ci sono quelle del momento successivo, ossia della stampa. Magari il tuo stato d’animo è diverso, e la foto che hai scattato non è più come volevi che fosse. La Polaroid mi mostra il risultato di quanto ho fatto senza ulteriori passaggi, subito. È un pezzo unico, ed è la testimonianza di quanto accade mentre sta ancora accadendo». Tecnicamente che formazione hai? «Sono un perito elettronico e ho frequentato due anni di Ingegneria a Bologna senza riuscire a superare l’esame di chimica. L’ho provato cinque volte. Ma almeno a qualcosa è servito: oggi posso dire di non essere minimamente interessato all’ingegneria ma quanto a chimica so di cosa parlo. E mi è stato molto utile, perché sono entrato in camera oscura prima ancora di iniziare a fotografare. Il processo di stampa mi ha sempre affascinato, è stato ciò che mi ha spinto a fare fotografie, per poter stampare. Quanto alle Polaroid, tecnicamente sono obbligato a conoscerle bene, perché sono macchinette molto rare e costano una fortuna; spesso si trovano, usate, ma guaste, quindi devo comprarne quattro o cinque per tirarne fuori una funzionante. La mia preferita è una folding reflex del ’72, ma ne ho diverse». Viaggi molto per lavoro, sei stato anche a New York e hai fotografato il Chelsea Hotel. «Ci sono andato a compiere trent’anni. NY è una città che ci appartiene, più di quanto possiamo immaginare. E il Chelsea Hotel –che ha ospitato nelle sue stanze personaggi del calibro di Bob Dylan, Eugene O’Neill, Janis Joplin, Leonard Cohen, Allen Ginsberg, Arthur Miller, oltre ad essere stato teatro della morte di Nancy Spungen– è un luogo mitico: un
mio amico viveva lì da diverso tempo, e con la precedente amministrazione io e altri fotografi avevamo trattato l’invio di qualche immagine dall’Italia da inserire nella loro gigantesca collezione. Ci sono andato proprio per portare due miei scatti della serie “Feet unlimited”». Ma l’Italia è il posto giusto per lavorare? «La prima volta che una mia foto è entrata in una galleria è stato all’estero. Ho partecipato, prima della mia personale del giugno 2010 alla galleria Manzo di Pescara, a diverse collettive in Italia, ma mai in gallerie. Tuttavia ho cercato di dirigermi direttamente oltreconfine per proporre i miei lavori, perché credo che la fotografia artistica non goda di grande credito nel nostro Paese». Potremmo dire che il modo di considerare l’arte tout court in Italia sia diverso che altrove. «Infatti: a New York per esempio esistono interi condomini di gallerie, sono su piani diversi, una a fianco all’altra. Se entro da te e il mio lavoro non ti piace non devo contrattare niente,
vado alla porta a fianco. Quindi prima di metterti alla porta e magari perdere un’opportunità ci pensano due volte. E poi ragionano molto con il sistema del “win-win”, ovvero “se sei bravo vinciamo tutti e due”, io che ti promuovo e tu che lavori. È lo spirito che altrove fa muovere le cose più velocemente. E questo l’ho riscontrato anche a Vienna, a Parigi, a New York. È più semplice farsi ascoltare, sedersi a un tavolo e parlare». Come ti vedi tra dieci anni? «Se resto qui, maluccio. Io ho trentadue anni e sento molti ragazzi dire che restando qui non si può fare niente, ma loro neanche ci provano a restare; io almeno posso dire di averci provato. Certo, trasferirsi all’estero comporta una solidità economica: a New York, per esempio, non puoi restare se non hai il sostegno della tua banca. Pescara è un ottimo posto per vivere e un pessimo posto per lavorare. Io cerco di restare qui e di lavorare fuori, del resto posso prendere un aereo con pochi soldi e andare ovunque. Ma il mio futuro, come vorrei che fosse, non lo vedo qui».
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Simone Angelini
Creatività
a tre dimensioni Pescara in 3D: un progetto nato dall’inventiva di un giovane architetto che si rivela un formidabile strumento di promozione turistica
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prite Google Earth, la popolare applicazione per esplorare il pianeta; spuntate la casella “edifici 3D” nella barra di visualizzazione e digitate “Pescara, Italia”. Ecco che ai vostri occhi si presenteranno alcuni edifici del centro storico cittadino, oltre al Ponte del Mare, Villa Urania, il Municipio e la Provincia, la Cattedrale di San Cetteo, l’ex Aurum, il Porto Turistico. Dietro la modellazione 3D di Pescara c’è Simone Angelini, trent’anni vissuti all’insegna della creatività: laureato in architettura, fumettista per passione, ha pensato bene di esercitarsi sul 3D con ciò che aveva davanti agli occhi, ossia la sua città. E dato che la casa di Mountain View mette a disposizione dei navigatori strumenti come Google SketchUp, un programma apposito per la creazione di modelli tridimensionali degli edifici, Simone ha deciso di crearne alcuni e di metterli in rete, consentendone la mappatura su Google Earth. «Dopo neanche un’ora che avevo pubblicato la raccolta “Città di Pescara” ho ricevuto una mail –racconta– da un ragazzo che stava facendo la stessa cosa e che, diceva, ho battuto sul tempo: ancora pochissimo e sarebbe stato lui a realizzare il mio primo modello, il Palazzo del Governo di Pescara. Ovviamente da quell’incontro casuale ho accolto i suoi progetti nella raccolta 3d della città». E alla prima “adesione” è seguita una seconda, e così via, e oggi
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il gruppo che si è raccolto intorno all’idea di Simone conta oggi diversi elementi, tutti giovani che si sono cimentati nella realizzazione di modellini in 3D del capoluogo costiero. Ma non solo: «Un architetto inglese, Barnaby Gunning, ha lanciato un progetto per realizzare la mappatura fotografica dell’Aquila com’era prima del terremoto –spiega Simone– e Google ha implementato la modellazione 3D della città con l’utilizzo di queste foto, come ha fatto per altre importanti città italiane ed internazionali. Lo scopo di Gunning e degli utenti che hanno contribuito ad arricchire il database fotografico è di conservare una memoria storica di edifici che oggi, purtroppo, sono andati distrutti». Creatività al servizio del cittadino, quindi, oltre che del navigatore. Il lavoro su Pescara, invece, è un’iniziativa personale di Simone, alla quale naturalmente tutti possono contribuire creando altri modelli: «In questo progetto –spiega il giovane architetto– sto cercando di coinvolgere anche le principali istituzioni e alcune associazioni di categoria, perché se si comprende il potenziale dell’idea, da un punto di vista turistico e di promozione del territorio, potremmo convincere Google ad utilizzare anche per Pescara lo stesso criterio che hanno adottato per L’Aquila, consentendo così una mappatura più veloce. È un lavoro aperto alla creatività di chiunque». E di
• Simone Angelini. Nella Pagina a fianco, in alto un a tavola tratta da un suo fumetto; sotto il titolo una schermata di Google Earth con i modelli 3D realizzati per la città di Pescara. I lavori di Simone e dei suoi collaboratori sono visibili su www. simoneangelini.blogspot.com
creatività il giovane Angelini se ne intende, perché insieme alla compagna Michela Tobiolo, pittrice, illustratrice che porta con sé il desiderio di condivisione attiva vissuta in ambiente accademico e a Fabio Di Campli –altro fantasioso inventore di storie e personaggi– ha dato vita un paio d’anni fa a un progetto editoriale che, benché concluso alla fine del 2010, ha lasciato il segno (è il caso di dirlo) nel panorama un po’ stagnante dell’illustrazione e del fumetto pescarese: Carta Straccia, una fanzine che raccoglieva i talenti di un gruppo di giovani desiderosi di trovare spazi creativi dove potersi esprimere liberamente. «Qualche regola alla fine abbiamo dovuto darcela –racconta Simone– ma è stata comunque un’esperienza di libertà, che è cresciuta nell’apprezzamento e nel numero dei collaboratori». Da circa dieci che erano all’inizio sono diventati quasi sessanta al termine dell’avventura, «che abbiamo dovuto concludere per necessità: a fare il lavoro redazionale eravamo solo in tre, e coi pochi mezzi che abbiamo era molto impegnativo, non ci lasciava più spazio per fare altro. Abbiamo quindi deciso di chiudere con la rivista e di aprire una nuova fase: una specie di piccola casa editrice indipendente, una “fabbrica di mondi autogestiti” che si occuperà esclusivamente di fumetto, illustrazione e narrativa». Michela e Simone nel frattempo hanno
unito le loro personali capacità e costituito un laboratorio creativo che oltre a svolgere lavori sul fronte strettamente “alimentare” (grafica pubblicitaria, rendering 3D, creazione loghi e siti web, impaginazione) si occupa anche di progettare e organizzare eventi artistici e culturali coinvolgendo, naturalmente, le persone che hanno conosciuto durante la “prima fase” di Carta Straccia. «Ma il nostro “prodotto” di punta –spiega Michela– è l’evento chiamato “Teste Creattive”, una mostra giunta alla seconda edizione che organizziamo nelle vie del centro di Pescara, coinvolgendo i negozianti: gli artisti realizzano installazioni nelle vetrine dei negozi, cimentandosi con un tema, che quest’anno è stato “Le porte del tempo”. Siamo artisti che vogliono cibarsi di idee e cultura. Vivere per lo scambio e la condivisione. Coltiviamo il desiderio che tra tutte le menti giovani della città ci possa essere scambio, fermento, una crescita. Non siamo mercanti di arte. Lo facciamo per rivitalizzare certe strade che vivono un po’ all’ombra di quelle più importanti, e per regalare ai passanti un po’ di colore, di inventiva, di fantasia. E continueremo a farlo: vogliamo crederci e provarci qui con passione, prima di trovare luoghi o menti più fertili altrove. Perché non vogliamo andare via». M.L.
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Sergio Rendine
M’ispiro a D’io Da pochi mesi direttore artistico della prestigiosa Orchestra Sinfonica Siciliana, il grande compositore parla del suo lungo e intenso rapporto con l’Abruzzo. E di quelli (pessimi) con i politici di Chieti.
di Franco Potere Foto Claudio Carella
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l ricevimento per la Festa della Repubblica organizzato dal Prefetto di Pescara il 2 giugno scorso, c’era una new entry, un pescarese di recentissima cittadinanza invitato come personaggio illustre della città. Dal 24 febbraio scorso, infatti, Pescara conta tra i suoi residenti un nome famoso nel mondo della musica contemporanesa italiana e internazionale: il maestro Sergio Rendine, 56 anni, compositore, da pochi mesi direttore artistico della Orchestra Sinfonica Siciliana. Rendine è nato a Napoli ma da quasi trent’anni è di casa in Abruzzo: prima all’Aquila, dove ha compiuto parte dei suoi studi musicali al Conservatorio “A. Casella” (in cui è ora docente di composizione), poi a Chieti (dove per oltre dieci anni è stato il direttore artistico del Teatro Marrucino), da quattro mesi a Pescara, dove ha scelto di risiedere. Perché Pescara? Rendine sorride: «Come si dice in certi casi? Va’ dove ti porta il cuore». E lui è andato; anzi, è venuto. Ci fa piacere averla a Pescara, ma non era Chieti la sua città d’elezione? «Prima di Chieti io ho avuto, ed ho tutt’ora, un lungo e intenso rapporto con L’Aquila, prima da studente, anche se ho completato gli studi musicali al S.Cecilia di Roma, e poi come docente del Conservatorio. La mia “aquilanità” è stata tragicamente sancita dal terremoto del 6 aprile 2009: ero all’Aquila quella notte, il sisma mi ha colto nel sonno. La casa dove alloggiavo non c’è più, è crollata, io mi sono salvato per miracolo. Un’esperienza drammatica, traumatica, che mi ha segnato profondamente. L’Aquila era una città d’una bellezza straordinaria che io ho amato e amo profondamente. Mi
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creda, sarei disposto a qualunque cosa, a qualunque sacrificio personale, se servisse a farla tornare com’era». Lei è stato direttore artistico del Teatro Marrucino per oltre dieci anni. Anche con Chieti ha avuto un rapporto molto intenso… «”Intenso” è termine impegnativo eppure inadeguato nel mio caso. Ho dato l’anima a quella città e al suo teatro, dedicando tutte le mie energie, le mie capacità professionali ed artistiche, al rilancio e alla crescita del Marrucino. Ho realizzato stagioni liriche e sinfoniche da grande teatro, creando dal nulla una validissima orchestra di giovani musicisti abruzzesi. Ho inventato la Settimana Mozartiana, che dopo pochi anni è diventata l’evento culturale di maggior spicco in Abruzzo. Ho portato a Chieti grandissimi artisti come Riccardo Muti, Josè Carreras, Rajna Kabaiwanska, Massimo de Bernart, Mischa Maisky, Uto Ughi, Alberto Zedda, Salvatore Accardo, Michele Campanella, Gianluigi Gelmetti, Giorgio Carnini, Cecilia Gasdia, Lindsay Kemp. Molti di loro, Riccardo Muti ad esempio, vennero gratis, per stima e amicizia nei miei confronti». Si dice che anche lei, per molti anni, abbia lavorato al Marrucino senza prendere una lira. È vero o è una leggenda metropolitana? «È vero. Per sei anni ho lavorato gratuitamente. Ma non voglio menarne vanto: quando si insegue un sogno ogni sacrificio “è lieve al cor”, come dice il poeta». Un sogno. Quale? «Fare del piccolo Marrucino della piccola Chieti un grande teatro».
• Nelle foto di queste pagine Sergio Rendine sulla riviera pescarese
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Ci è riuscito? «Parlano i fatti. Nel 2001 una legge della Regione Abruzzo proclamò il Marrucino “Teatro lirico regionale”, con un contributo annuo superiore al milione di euro; nel 2003 ottenemmo il riconoscimento ministeriale di “Teatro di tradizione”; nel 2007 diedi vita e avviai la realizzazione di uno straordinario progetto: la Rete abruzzese dello spettacolo, facendo di tutti i teatri abruzzesi un unico circuito per le produzioni lirico-sinfoniche del Marrucino. Un bacino di pubblico da fare invidia alle maggiori realtà metropolitane del nostro paese. Un’iniziativa rivoluzionaria, che l’ostilità dei politici non mi consentì di gestire fino alla fine, costringendomi alle dimissioni».
Quali politici? «Lasciamo perdere. Dico solo che non ho mai conosciuto tanta incultura e tanta meschinità come in taluni politici di Chieti». Di destra o di sinistra? «L’ignoranza e la piccineria dei comportamenti in quella città sono perfettamente trasversali». Eppure, un anno fa, dopo la riconquista del Comune, la destra annunciò il suo ritorno alla direzione artistica del Marrucino… «Sì, nell’immediato mi chiesero di organizzare la Settimana Mozartiana. Lo feci con l’entusiasmo, la professionalità e il successo di sempre. Senza prendere un centesimo, tanto per cambiare».
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E poi, cos’è successo? Perché la destra cambiò idea? «Non l’ho mai saputo, nessuno mi ha mai comunicato alcuna decisione. Posso solo avanzare qualche ipotesi». Ad esempio? «A Chieti, cosa mai successa prima, né con Cucullo né con il pur disastroso Ricci, il potere politico ha deciso di gestire e controllare direttamente e minutamente ogni aspetto della vita del teatro, non solo quello amministrativo, com’è giusto, ma anche le questioni che, per loro natura, richiederebbero competenze e professionalità specifiche, artistiche e tecniche. Avere tra i piedi uno con la mia esperienza e competenza dava fastidio, evidentemente». Lei parla di “potere politico” ma tutti sanno che intende il senatore Di Stefano… «Beh, il senatore ha chiesto e ottenuto la delega al Teatro Marrucino, quindi…». Il senatore l’ha mai cercata? «Dal novembre 2010 in poi, mai». In compenso l’hanno cercata da Palermo… «Un riconoscimento davvero lusinghiero». Insieme con l’Orchestra Nazionale della Rai e l’Orchestra dell’Accademia di S.Cecilia, l’Orchestra Sinfonica Siciliana costituisce il trio di vertice tra le formazioni orchestrali italiane, sia per l’eccellenza artistica che per la dotazione finanziaria. Insomma, una bella soddisfazione diventarne il direttore artistico… «Una grande soddisfazione e una enorme responsabilità. Ci crede che avevo la possibilità di andare a Palermo già un anno fa?». Ma ci ha rinunciato perché aveva la prospettiva di tornare al Marrucino… «Già. Che scemo, eh?». Lei si è scontrato duramente con Ricci, il sindaco di centrosinistra, ed i suoi rapporti con la destra chietina si sono interrotti bruscamente. Ha un rapporto pessimo con la politica… «Grazie del complimento». Ma lei sta a destra o a sinistra? «In alto». Prego? «Le mie idee, la mia cultura, la mia stessa musica fanno riferimento alla dimensione del sacro, della spiritualità, del divino. La politica, anche nelle sue forme più nobili, vola molto, troppo più in basso». Eppure, anni fa lei scrisse un’opera intitolata “D’io”: a qualcuno sembrò uno sberleffo alla divinità… «Al contrario, quel titolo alludeva alla mia profonda interiorizzazione dell’idea del divino. Certo, non nego che ci fosse anche una componente di gioco intellettuale, non sono mica un bigotto. Del resto, come diceva Woody Allen, se uno deve ispirarsi ad un modello è meglio puntare il più in alto possibile…». A Dio? «Sì, a D’io».
Luciano Russi
La leggerezza dell’intellettuale Un’assenza che si fa sentire nella società abruzzese, dal mondo accademico a quello istituzionale, dall’ambiente sportivo ai tanti amici che con lui hanno condiviso la sua vita da Magnifico. Vario ha chiesto a Luciano D’Alfonso, intellettuale, politico e allievo del professore, un suo ritratto. di Luciano D’Alfonso
L’
assenza di Luciano Russi si nota, eccome! Sono due anni che ci mancano le sue riflessioni in pubblico e in privato. Bellissima la battuta che ci rivolgeva , sempre pieno di sorriso e di serenità:” mi sento un salariato senza salario, per le ragioni dell’Abruzzo!” Un modo, come sempre efficace, di esprimere la sua totale dedizione per “il discorso pubblico” a favore di un Abruzzo in cammino. Perché ci convince il suo ricordo, recuperabile solo attraverso una discussione di merito sulle sue intuizioni e soprattutto sulle lucidissime analisi che ci ha consegnato, che in questa sede possiamo solo accennare ma che il 16 giugno prossimo, alla Sala dei Marmi della Provincia di Pescara, svolgeremo con maggiore compiutezza? Quattro grandi questioni ha saputo affrontare, in totale solitudine, con una profondità di lettura che lo mantiene specialissimo nel panorama intellettuale italiano: 1) la consapevolezza sulla nascita della Nazione; 2) la piena comprensione del concetto di laicità; 3) il valore dello sport, non solo nel perimetro di gioco; 4) il significato della formazione universitaria o, meglio ancora, dell’esperienza universitaria. Per ognuna delle questioni teoriche affrontate, Luciano Russi è stato capace, ad oltranza, di una coinvolgente ed originale aggiuntività, sul piano dell’accrescimento della conoscenza collettiva. L’unico aiuto che si è sempre consentito, nella sua attività teorica (ma anche pratica), è stata la selezione accurata della parola, veicolo costante di valenza pubblica. Mi piace ricordare la prima lezione del Professor Russi, titolare della cattedra di Storia delle Dottrine Politiche, all’apertura dell’anno accademico 84/85, della Facoltà di Scienze Politiche di Teramo: si materializzò una insuperabile riflessione collettiva sulla particolarità della disciplina in esame, nel quadro di una ricostruzione
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storica della istituzione della prima Facoltà di Scienze Politiche in Italia. Tutto ruotava su una serie di domande che Luciano si poneva e ci poneva, e su una progressiva, ma soprattutto creativa, capacità di promuovere risposte all’altezza della sfida, che animava all’indirizzo degli studenti numerosi e attentissimi. Ricordo ancora il silenzio in aula di noi studenti e la sua centralità “itinerante”, rispetto allo spazio disponibile, nei fatti trasformando l’ambiente in una vivacissima piazza da confronto pubblico, oggettivamente produttivo. Il suo discorso è sempre stato geometrico, crescente, con un ruolo gigantesco riconosciuto alla parola scelta e alle immagini tratteggiate con le quali completava le sue argomentazioni. Mi ha sempre convinto di Luciano il suo precedere razionale, riuscendo facilmente a legare i punti di forza delle diverse discipline incrociate. Anzi, su questo ultimo punto, ci portava per mano per farci cogliere lo specifico della formazione universitaria. In definitiva, a fine lezione, “la cosa” spiegata era chiara, ripetibile, anche con il carico di curiosità ulteriori, che mobilitava a ragione. Di sicuro la lezione di Luciano Russi rendeva disponibile un terreno di coltura per l’innamoramento culturale, per la propensione a porsi le domande e ad accettare la difficoltà di un cammino verso la conoscenza possibile. Sulla Nazione ha insegnato a tante generazioni di studenti, non solo abruzzesi, che è servito il mito del primo stabilirsi dell’Italia, collegato alla sua rappresentazione epica, ma più di tutto l’Italia unita si è costruita sulle infrastrutture. La laicità ha percorso tutto il suo dire intellettuale, nel senso che l’evoluzione dei singoli e delle collettività, come delle istituzioni, è direttamente collegata alla capacità di entrare nel merito, prima di tutto concependo le differenze, cogliendo i particolari, in una parola distinguendo gli elementi della realtà. Su questo piano, meglio di tanti altri, il nostro Luciano ha realizzato una pacifica comprensibilità del valore aggregante della laicità.
Quanto al significato sociale dello sport, la sua passione militante ci ha permesso di ragionare sulla vocazione pedagogica dell’antagonismo, per quanto concerne l’apprezzamento dell’avversario e delle connesse regole del gioco, poiché è necessaria almeno la dualità per originarsi la competizione, per qualsiasi campo di gioco. Il Rettore, il Professore, il militante sportivo e il caro Luciano (per i tantissimi che lo hanno conosciuto e stimato umanamente) meritano univocamente un’ultima, importante, sottolineatura: si è sempre distinto per una forte carica regionalista. Mai il nostro Luciano si è collocato in lontananza, avendo studiato e lavorato sodo per aiutare l’Abruzzo a ritrovarsi, rintracciando le tante potenzialità dei nostri territori, dedicandosi alla fortezza delle giovani generazioni, riversando sul progetto di sistema universitario regionale tutto il patrimonio delle sue energie. L’assenza di Luciano Russi si nota, eccome. Quella fisica, quella della sua simpatia e della sua allegria, quella della sua “leggerezza”. L’assenza che non sentiremo mai, invece, è quella della sua intelligenza e del suo insegnamento.
Luciano Russi intellettuale in Abruzzo
all’Ateneo teramano, sono interve-
Un convegno per ricordare la figura
Mattoscio, Lorenzo Ornaghi, Rettore
del professor Luciano Russi organiz-
dell’Università Cattolica del Sacro
zato lo scorso 16 giugno a Pescara
Cuore, Francesco De Sanctis, Rettore
dalla Fondazione Europa Prossima
dell’Università Suor Orsola Beninca-
alla presenza della moglie Ornella e
sa, il giornalista Paolo Gambescia e
del figlio Edoardo. Sul tema “Riflessio-
Luciano D’Alfonso, illustre allievo del
ne politica e discorso pubblico per un
professore. La serata è stata introdot-
paese difficile” coordinato da Fabrizio
ta da un film di montaggio realizzato
Masciangioli, giornalista e docente
da Ivano Villani.
nuti Guerino Testa, Lino Nisii, Nicola
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Thomas Ashby
Reportage d 30
Archeologo e pioniere della fotografia, il viaggiatore inglese ha attraversato l’Abruzzo tra il 1901 e il 1923. Le sue immagini per la prima volta sono in mostra nei luoghi da lui visitati
e dagli Abruzzi 31
C
Thomas Ashby Viaggi in Abruzzo 1901/1923 Catalogo a cura di Vienna Tordone Silvana Editoriale, 2011, pp. 263 In alto e qui sotto due immagini di Thomas Ashby: L’Aquila, 1901 e Corfinio (Aq), festa di Sant’Alessandro, 1909. In apertura: L’Aquila, mercato del bestiame, 1901.
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ento anni fa l’archeologo inglese Thomas Ashby visitava L’Aquila e l’Abruzzo per i suoi studi. Oggi Ashby torna nei luoghi da lui visitati grazie a una mostra che propone al grande pubblico una selezione delle sue fotografie, realizzate tra il 1901 e il 1923. Lo studioso condusse le sue ricerche in Italia, perlopiù tra il Lazio e l’Abruzzo, realizzando circa 9mila immagini raccolte in diciannove album rilegati e meticolosamente riempiti di annotazioni. Questo patrimonio iconografico costituisce l’oggetto della mostra itinerante “Ashby e l’Abruzzo: immagini e memoria 1901/1923” che, aperti i battenti all’Aquila nel chiostro di San Domenico a giugno, sbarcherà poi all’ex Aurum di Pescara (luglio), al Museo Civico Archeologico di Sulmona (agosto), al Museo Archeologico nazionale di Chieti (ottobre) e al Museo Civico Archeologico di Teramo (dicembre). La mostra promossa dalla British School at Rome, e che gode dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e del sostegno delle massime istituzioni nazionali e regionali, espone –nell’allestimento curato dalla Ad.Venture di Pescara– 133 fotografie delle tante scattate da Ashby –che fu direttore della British School at Rome dal 1906 al 1925– che documentano i viaggi in Abruzzo dell’archeologo: luoghi, paesi, monumenti, piazze e paesaggi, ma anche e soprattutto persone, fotografate prevalentemente in gruppi, mentre partecipano a feste popolari o si recano al mercato. In occasione della mostra esce per Silvana Editoriale il pregevole catalogo “Thomas Ashby - Viaggi in Abruzzo 1901/1923” curato da Vienna Tordone che raccoglie, in oltre 260 pagine di grande formato, una cospicua mole di immagini (ben superiore a quelle esposte) tratte dalla documentazione fotografica realizzata da Ashby in Abruzzo, accompagnata da schede dettagliate sui luoghi oggetto di studio dell’archeologo inglese e arricchita da una sezione che raccoglie appunti e lettere tratti dall’archivio di Ashby, a cura di Valerie Scott e Beatrice Gelosia della British School at Rome. Una documentazione preziosa per il suo valore storico e antropologico:“Le rovine dell’antichità e la società del tempo –scrive Christopher Smith, attuale direttore della British School at Rome, nell’introduzione al catalogo– erano legate dallo stesso destino che le avrebbe condannate a scomparire. Incontriamo spesso personaggi alle prese con un paesaggio disseminato di ruderi antichi e, dal momento che sistemi agricoli e tradizioni locali sono perlopiù scomparsi, e lo stesso è accaduto ad alcune di quelle rovine, le fotografie ne rimangono le uniche ed essenziali testimonianze storiche”. Il progetto grafico del catalogo è a cura di Ivano Villani, Monica Giuliato e Franco Mancinelli della Ad.Venture di Pescara.
Guide alternative
Centouno e lode Cenare in un trabocco. Visitare di notte la cattedrale del santo fantasma. Ballare con la “pupa”. Purificarsi tra vapori luciferini. Seguire le orme dei briganti. Come scoprire l’Abruzzo in 101 mosse secondo la scrittrice Luisa Gasbarri • La scrittrice Luisa Gasbarri davanti alla Nave di Cascella.
di Alessio Romano
C’
è voluta una tragedia tremenda come quella del terremoto dell’Aquila perché il mondo si accorgesse delle meraviglie della nostra regione e ne piangesse la bellezza ferita. «Non credo che in passato l’Abruzzo abbia dato un’immagine di sé a tutto tondo. A volte c’è la tendenza a ridurre tutto allo stereotipo della regione verde, con i parchi, un posto dove fare una scampagnata veloce e mangiare arrosticini». Luisa Gasbarri ha lavorato con pazienza certosina alla costruzione di un manuale alternativo, 101 cose da fare in Abruzzo almeno una volta nella vita. Il suo non è lo sguardo del giornalista né dello storico né dell’operatore turistico. O meglio lo è di tutti e tre, ma con la marcia in più del narratore. È il frutto della sua passione per la scrittura che coltiva fin da bambina in modo esistenziale, come fosse la parte più profonda di lei. In passato Luisa si è dedicata alla letteratura di genere, lavorando in maniera originale e compiendo spesso rotture sulle regole. È stata anche curatrice di antologie in giallo (l’ultima è Anime Buie, Bel-Ami Edizioni). «Ho cercato di trasformare luoghi in emozioni e storie». E forse proprio questo è l’handicap principale del nostro turismo: l’incapacità di raccontarsi. «Si dovrebbe ripartire dai giovani, nelle scuole, dare loro una formazione turistica. Ogni abruzzese dovrebbe essere un ambasciatore della sua regione». Già. Ma noi abruzzesi conosciamo bene la nostra terra? O magari la guardiamo con aria di sufficienza sognando invece l’esotismo di Dubai o le coste del Brasile? «Di solito un abruzzese conosce l’Abruzzo in maniera molto settoriale. C’è l’esperto della montagna. L’intenditore di vini e ristoranti. L’appassionato di chiese e tour religiosi. Questo
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Nella pagina accanto, immagini dei temi trattati nella guida
dipende anche dalla ricchezza straordinaria della nostra terra, una bellezza mutevole, che si trasforma e cambia nel giro di pochi chilometri. È che è ricca di luoghi speciali, dell’anima». La ricerca compiuta da Luisa sarà utile anche a chi si crede esperto d’Abruzzo. Si può tentare un gioco, sfogliando il suo libro e vedere quante delle esperienze proposte dall’autrice mancano all’appello (chi scrive è a quota 69 su 101 e dopo la lettura del libro ha cambiato l’agenda dei suoi prossimi weekend). «La soddisfazione più grande che mi ha dato questo libro è venuta proprio da chi era già amante della regione, ma non conosceva un particolare posto di cui mi sono occupata». Ma se si dovesse tentare una “top 4”, una per ogni Provincia? L’imbarazzo è grande, ma ci si prova. «Per quanto riguarda L’Aquila credo sia sottovalutato il suo possibile fascino legato al “turismo del mistero”. È ricca di esoterismo, elementi arcani, numeri simbolici. Con Teramo ha la meglio la gola, grazie alla sua antica tradizione gastronomica e al vigore dei suoi sapori tra bruschette, fiadoni salati, pizze rustiche, pallotte “cace e ova”, maccheroni alla chitarra o “nghe li cepp” o le divine “scrippelle ‘mbusse”. A Pescara è impossibile non lasciarsi catturare dalla movida, dall’insostenibile leggerezza di una città moderna smaliziata e mondana. Di Chieti bisogna citare soprattutto la sua doppia faccia: mare e montagna. Da Passo Lanciano c’è una visione che ricorda i quadri di Magritte: guardare il mare stando in montagna». E se Luisa tentasse di unire la passione per il noir con quella per l’Abruzzo? «Metterei un serpente velenosissimo in mezzo a quelli di Cocullo. Sarebbe una perfetta arma del delitto». I devoti di San Domenico sono avvertiti.
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Ferrovia Adriatico Sangritana
Sui binari della ricerca L’azienda di trasporti regionale apre le porte all’università dell’Aquila. Obiettivo: sviluppare una sinergia per far viaggiare di pari passo potenziamento della mobilità e ricerca sulle nuove tecnologie
di Claudio Carella
L
o sviluppo del trasporto pubblico passa per la ricerca e la formazione. La Sangritana, colosso regionale del trasporto pubblico su gomma e su rotaie, ha aperto il 25 maggio scorso le porte dei suoi impianti alla Facoltà di Ingegneria dell’Università dell’Aquila. Un “primo appuntamento“ che si spera preluda a un fidanzamento vero e proprio, anche in forza degli studi che gli allievi del Corso di Tecnica ed Economia dei Trasporti guidati dal prof. Gino D’Ovidio stanno portando avanti: si chiama UAQ4 ed è un progetto internazionale di ricerca sul treno a levitazione magnetica, la cui tecnologia di base è stata definita e testata proprio nelle aule della Facoltà aquilana. Gli studenti sono stati accolti dal presidente della Ferrovia Adriatico Sangritana Pasquale di Nardo, dalla dirigenza e dai funzionari dei vari reparti aziendali che, con passione e competenza, li hanno guidati all’interno di una realtà complessa ma funzionale che da 100 anni opera nel settore dei trasporti. La visita è iniziata presso la sede della direzione generale, con la presentazione da parte del presidente Di Nardo della storia della Sangritana –che si appresta a festeggiare i cento anni di attività– e dei progetti futuri che l’azienda regionale vuole portare avanti a beneficio della collettività. Grande interesse ed attenzione ha suscitato il conoscere le potenzialità della Sangritana, una ferrovia che per molti si identifica ancora col “Trenino della Valle”.«Questo aspetto –ha ricordato Di Nardo– non va certamente rinnegato, ma va altrettanto sottolineato come oggi Sangritana è impegnata nel trasporto ferroviario in un campo di azione ben più ampio e cioè la dorsale adriatica, avendo come meta a sud Termoli ed a nord Giulianova, con diramazione verso Teramo. Quest’attività di Trasporto pubblico locale su ferro
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–continua soddisfatto Di Nardo– vede annualmente impegnata la Sangritana a percorrere circa un milione e 600mila km, trasportando un milione e 800mila passeggeri, grazie anche all’uso di moderni mezzi rotabili, come i sei complessi CTR S03 Minuetto». A questo primo momento, ha fatto seguito un vero e proprio “toccare con mano” i settori ed i luoghi più importanti dell’azienda, partendo dalla nuova stazione ferroviaria di Via Bergamo a Lanciano, una superficie utile complessiva di 25.760 metri quadrati comprendente il moderno fabbricato stazione, il piazzale ferroviario, i parcheggi e le aree di servizio. La stazione di Via Bergamo è il capolinea della nuova tratta ferroviaria Lanciano - Marina San Vito che, con i suoi 9 km di linea ed una velocità massima di percorrenza pari a 120 Km/h, permette di unire le due stazioni in appena 9 minuti, contro i 27 della linea storica. Questo risultato permette così di collegare Lanciano a Pescara in poco più di 30 minuti, un risultato davvero interessante e concorrenziale rispetto al mezzo su gomma, pubblico o privato, anche in considerazione del fatto che l’arrivo a Pescara avviene in pieno centro, evitando così anche le problematiche legate al parcheggio. Dalla stazione di Via Bergamo, i circa 30 studenti universitari, a bordo di una elettromotrice termica ALN 776, hanno raggiunto il nuovo Deposito Officina di Torre Madonna, destinato alle attività di manutenzione ordinaria e straordinaria da eseguire sui mezzi rotabili del parco aziendale. Nell’intera area, di oltre 5 ettari, è possibile prevedere altre attività funzionali all’esercizio ferroviario. All’interno, i giovani universitari hanno avuto modo di visitare le aree di stoccaggio dei materiali di esercizio ed il centro di manutenzione conto terzi. Nel pomeriggio il “tour Sangritana” è proseguito alla volta del De-
• Qui sopra uno dei nuovi treni Lupetto in dotazione alla Sangritana. Sotto, la visita all’azienda dei laureandi della Facoltà di Ingegneria dell’Aquila
La voce degli studenti Fabrizio Iezzi (Guardiagrele, CH) «Ho trovato l’esperienza molto formativa. Ho potuto constatare la multidisciplinarietà di settore e ho compreso la complessità della gestione di un’azienda che opera in un ambito strategico come quello dei trasporti. È stato interessante confrontare le problematiche affrontate nel nostro Corso di studio con le realtà tecnicomanageriali dell’azienda. Ho apprezzato la gentilezza dei dirigenti e dei tecnici che ci hanno accompagnato nella nostra visita ammirando la passione e dedizione che essi mettono nel lavoro. La visita mi ha dato modo di prendere contatto diretto con un mondo, quello dell’ingegneria dei trasporti, che spero possa in futuro appartenermi, data la mia passione per il settore».
Camillo Di Loreto (Montesilvano, PE) «È stato molto interessante visitare un’azienda attiva e ramificata sul territorio e confrontare le tematiche studiate nel Corso di Tecnica ed Economia dei Trasporti con le problematiche reali, sia in ambito tecnico che gestionale. Mi ritengo particolarmente arricchito dalla visita in quanto ho potuto conoscere una realtà imprenditoriale che prima non conoscevo». Ludovica Lorusso (Avezzano, AQ) «La cosa che più ci ha colpito di questo incontro è stata la passione che tutto il personale ci ha trasmesso nel mostrarci l’operato, la storia e l’evoluzione dell’Azienda. Avvicinandoci a realtà lavorative come quella della Sangritana, abbiamo avuto la possibilità di vedere realizzati concetti appresi solo a livello teorico».
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• Un autobus della Sangritana dotato di montacarichi per disabili. In basso il presidente Pasquale Di Nardo davanti alla storica stazione della Ferrovia a Lanciano.
posito Officina Autobus nella Zona Industriale di Lanciano, una moderna e funzionale struttura adibita alla gestione dei mezzi aziendali su gomma ed allo svolgimento delle attività ad essa connesse. Il deposito è composto da una superficie coperta di 3.700 metri quadrati dove hanno sede la rimessa autobus per circa 60 posti, la zona manutenzione, gli uffici amministrativi ed il magazzino ricambi, mentre altri 7.000 mq esterni vengono usufruiti per il parcheggio di altri 50 autobus ed ospitano il lavaggio automatico ed il distributore per l’erogazione di carburante. La modernità e funzionalità di questa struttura evidenzia come
in casa Sangritana anche il trasporto su gomma abbia un ruolo di tutto rispetto. Con le proprie linee urbane ed extraurbane, Sangritana serve 70 comuni, la maggior parte dei quali nel territorio Sangro-Aventino, percorrendo oltre due milioni e 500mila km all’anno. A ciò si aggiungono anche i servizi di noleggio turistico che Sangritana offre grazie alla sua flotta di 36 autobus da 16 a 77 posti e
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che, nell’anno 2010, hanno portato a percorrere in campo nazionale ed internazionale quasi 950mila km. Ma il futuro di Sangritana è legato in buona parte al trasporto merci, un’attività in grande espansione sia nell’ambito regionale su raccordi industriali e portuali in gestione e di proprietà, e sia sulla rete R.F.I., grazie anche alla sinergia con le altre imprese ferroviarie nazionali ed estere ed all’ottenimento del certificato di sicurezza. Questo andamento positivo è evidenziato anche dai dati contabili che registrano un aumento di fatturato delle attività complessive del servizio merci che nell’anno 2010 ha superato i due milioni e mezzo di euro. Ed in questo settore un punto di interesse particolare è la realizzazione della nuova tratta ferroviaria Torino di Sangro – Nucleo Industriale Val di Sangro che i giovani universitari hanno visitato raggiungendo la stazione di Saletti, una piattaforma internodale ferro/gomma per la movimentazione delle merci e per la mobilità a servizio dell’intero Nucleo Industriale della Val di Sangro. Il valore aggiunto su tale tratta è dovuto anche alla trasformazione che se ne farà ad uso passeggeri, con la creazione di una nuova stazione nell’area antistante la Sevel, dando così la possibilità a migliaia di operai impegnati nella zona di raggiungere comodamente in treno e fino ai cancelli degli stabilimenti il posto di lavoro. La visita degli studenti della Facoltà di Ingegneria è stato un momento importante di confronto, di crescita e, soprattutto di conoscenza di una grande azienda regionale con tutte le sue potenzialità ed attività in essere. Toccare con mano una realtà, visitarne i luoghi, conoscerne gli uomini, le idee e i progetti è senza dubbio il miglior biglietto da visita per un’azienda e Sangritana si sta promuovendo con grande impegno, ospitando tutti: dalla politica alla scuola, dall’associazionismo all’industria, per testimoniare così di essere davvero “una realtà in movimento”.
Prossima stazione: sviluppo Dal Trenino della valle al treno a levitazione magnetica: ecco il progetto innovativo messo a punto nelle aule della Facoltà di Ingegneria dell’Aquila dal professor Gino D’Ottavio
A
d accompagnare gli studenti della Facoltà di Ingegneria durante la visita alla Sangritana è stato il professor Gino D’Ovidio, docente del Corso di Tecnica ed Economia dei Trasporti. D’Ovidio è tra gli inventori dell’UAQ4, il treno a levitazione magnetica che attualmente, grazie alla tecnologia utilizzata, risulta essere il treno più veloce ed ecologico al mondo. La visita dei laureandi di ingegneria alla Ferrovia Sangritana è stata senza dubbio un momento importante. Quali sono state le sue impressioni da docente universitario e quali quelle dei giovani partecipanti? La visita presso la Sangritana ha rappresentato, per gli allievi ingegneri del Corso di Tecnica ed Economia dei Trasporti, un ulteriore momento di crescita all’interno del loro percorso formativo quinquennale. Gli allievi, prossimi ormai alla laurea, hanno avuto modo di confrontare, con estremo entusiasmo e curiosità, le conoscenze acquisite in aula con le peculiarità tecniche e le complessità gestionali tipiche di un azienda strutturata che opera nel settore dei trasporti sia su ferro che su gomma. Ritengo che questa occasione di reciproco incontro abbia rappresentato anche un momento di confronto e riflessione riguardo alle possibili collaborazioni per contribuire ad analizzare, definire e realizzare condizioni di mobilità, sia di passeggeri che di merci, indispensabili allo sviluppo della nostra regione. È possibile pensare a una sinergia fattiva e concreta tra la Sangritana e la Facoltà di Ingegneria dell’Università dell’Aquila? Una immediata collaborazione tra Sangritana e la Facoltà di Ingegneria potrebbe essere incentrata su attività inerenti lo sviluppo strategico del trasporto ferroviario e di quello ad esso integrativo, soprattutto nell’ambito di nuovi e più vasti scenari di mercato. Non nascondo, infine, la soddisfazione mia personale nella prospettiva di coinvolgere la Sangritana a supportare la nostra ricerca di punta che riguarda lo sviluppo del treno a levitazione magnetica UAQ4 che ci vede protagonisti in ambito internazionale. L’UAQ4, la cui tecnologia di base è stata definita e testata con successo presso laboratori della nostra Facoltà, rappresenta il primo veicolo a resistenza all’avanzamento nulla (ad eccezione di quella aerodinamica) con bassissimi consumi energetici e minimo impatto ambientale. In sintesi, come possiamo concorrere allo sviluppo della nostra Regione? Il messaggio chiave è il seguente: tutti assieme, collaborando sinergicamente, abbiamo il dovere di investire sulla ricerca e di incentivare l’alta formazione dei futuri ingegneri poiché saranno loro gli attori principali della trasformazione del nostro territorio. Quindi questa visita è stata positiva?
Certamente. Anzi approfitto per ringraziare la Ferrovia Adriatico Sangritana e il suo presidente Pasquale Di Nardo per l’opportunità offertaci. Credo sia importante sottolineare come la Sangritana sia l’unica azienda regionale, finora, ad aprire le proprie porte anche alle attività didattiche. È un segno di grande lungimiranza ed attenzione nei confronti non solo del mondo della formazione e della ricerca, ma anche dei giovani futuri professionisti. Mi auguro che questa sensibilità continui nel tempo, magari anche con un’apposita convenzione tra l’azienda e l’Università per permettere non solo visite come questa, ma anche “lezioni itineranti”, stage, collaborazioni tecnico-scientifiche e quant’altro possa essere di aiuto ai nostri studenti. • Il professor Gino D’Ottavio con gli studenti durante la visita alle strutture della Sangritana. Sotto, un’immagine dell’UAQ4
UAQ4, il treno del futuro Neanche il terremoto può fermare la ricerca. E per tutto il territorio aquilano una delle grandi occasioni di rilancio potrebbe giungere proprio dalla ricerca effettuata dai professori Giovanni Lanzara e Gino D’Ovidio, coordinatori del team che ha dato vita all’UAQ4, il supertreno del futuro. Si tratta di un treno”a via guidata”,spinto da un innovativo motore lineare a induzione, su una guidovia lungo la quale sono distribuiti dei supermagneti che interagiscono con i superconduttori che si trovano sul veicolo, consentendogli di non perdere l’assetto e guidandolo nella giusta direzione a una velocità che può raggiungere i 600 km/h. Il tutto a impatto ambierntale zero.
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Camera di commercio di Pescara
L’innovazione parte dal web Nasce il Centro Comunicazioni, un sistema che proietta l’Ente camerale pescarese verso una dimensione sempre più digitale dei servizi
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dicembre dello scorso anno, la Camera di Commercio di Pescara ha inaugurato un portale tutto nuovo, dotato dell’innovativo sistema “MyCCIAA”, un evoluto software di profilazione utenti volto ad offrire, automaticamente, ad ogni singola categoria di navigatori, informazioni e contenuti di proprio interesse. Ora, invece, si appresta a lanciare, nella grande rete, un servizio unico in Italia. Il Centro Comunicazioni, così come il portale istituzionale, è stato sviluppato impiegando l’architettura della piattaforma ISWEB di Internet Soluzioni srl, una delle tecnologie più diffuse nel settore web della Pubblica Amministrazione italiana. Oltre a godere dei vantaggi funzionali offerti da un ambiente integrato ed interoperabile, l’utilizzo di un’unica piattaforma consente all’ente camerale di migliorare la sua offerta all’utenza, ottimizzando, al tempo stesso, le risorse a disposizione. Il sistema, che verrà messo on line a settembre, permetterà di inviare, in modo automatico, una qualsiasi tipologia di comunicazione o di avviso, via e-mail o via SMS, a coloro che si saranno iscritti, con una propria user e password, a questo nuovo servizio. Così facendo, cittadini, imprenditori, artigiani o professionisti potranno ricevere, direttamente, sul proprio cellulare o sulla propria casella di posta elettronica, inviti ad eventi, scadenze e molto altro ancora, profilati sulle scelte effettuate al momento della registrazione, oppure pertinenti al proprio profilo. Ciascun utente registrato potrà, inoltre, consultare sul portale della Camera di Commercio di Pescara l’intero storico delle comunicazioni ricevute suddivise per categorie tematiche. In più, tutte le notizie, graficamente differenziate in base ai diversi profili alle quali sono destinate, potranno essere inviate agli utilizzatori a scadenze programmate o al fine di aggiornare tempestivamente l’utente sulle novità che lo riguardano. Il Centro Comunicazioni rappresenta un ulteriore passaggio della Camera di Commercio di Pescara verso un approccio
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sempre più 2.0 nei riguardi dei propri interlocutori, alla luce,anche, di una reale digitalizzazione dei servizi. Ad un’indagine commissionata da Confindustria Pescara, i cui risultati saranno pubblicati a breve, l’ente camerale risulta, ad oggi, una delle pubbliche amministrazione più tecnologicamente avanzate del territorio: ciò è dovuto sia ad una informatizzazione delle procedure e dei modelli di gestione, imposta a livello nazionale, sia alla consapevolezza, da parte della Camera, della grande rivoluzione sociale, culturale ed economica che internet si porta dietro. Accedere ad informazioni mirate, in modo veloce e gratuito, permette di risparmiare tempo e risorse per la propria attività, nonché di trovare soluzioni vantaggiose ed innovative per il rilancio del proprio business. Ma questo, purtroppo è il caso di dirlo, non è sempre possibile, per limiti di carattere infrastrutturale e culturale. A quest’esigenza, la Camera risponde con PuntoZero, un progetto volto a diffondere una rete di cavi e di idee su tutto il territorio. Un contenitore di eventi ed opportunità all’interno del quale rientrano tutte le iniziative tecnologiche camerali, dall’eliminazione del digital divide, in collaborazione con la Provincia e la Regione Abruzzo alla programmazione di appuntamenti sul web fino ad arrivare ad una formazione specifica per imprenditori consolidati e giovani emergenti. Il Centro Comunicazioni non è l’unica attività della CCIAA di Pescara ad alto valore tecnologico: molte altre iniziative sono state messe in atto dall’Ente per velocizzare e ottimizzare le proprie risorse interne e i servizi all’utenza. Vediamole insieme.
VOIP – Servizi telefonici Dal 2006 la Cciaa si è posta il problema di migliorare la qualità dei servizi telefonici interni con il duplice scopo di ottenere un risparmio economico e di attivare servizi avanzati che, per la telefonia tradizionale, sarebbero complessi e costosi. I
• Dall’alto: Daniele Becci insieme all’assessore provinciale Angelo D’Ottavio; un momento del convegno “L’impresa ai tempi del web” tenutosi lo scorso dicembre; il padiglione camerale allestito per PuntoZero al Porto Turistico Marina di Pescara.
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Posta Elettronica Certificata La Camera di Pescara è in prima linea nella promozione dell’uso della Posta Elettronica Certificata (PEC). I risparmi economici rispetto alla posta tradizionale sono considerevoli, perché il messaggio di PEC ha il valore della Raccomandata A.R., ma il costo è di 24 euro l’anno con invii illimitati, mentre la cartacea ha un costo a partire da €3,90 ciascuna. Inoltre sono state attivate anche le caselle PEC per ogni dipendente.
Buste Paga Elettroniche Le buste paga, dal 2008, non vengono più stampate ma inviate per posta elettronica ad ogni dipendente.
Archiviazione ottica fascicoli d’archivio
servizi attivati sono molteplici: creazione di numeri dedicati a servizi specifici (gli interni dell’ufficio squillano in sequenza, in modo che l’assenza di un dipendente non influisca sul servizio); creazione di nuovi numeri interni; caselle vocali (ogni interno ha una segreteria telefonica); doppia linea (ogni interno ha la possibilità di sfruttare 2 linee telefoniche); fax collegati ad email (i fax vengono girati direttamente su email specifiche); teleconferenze; risponditori automatici con albero di navigazione. Tutti questi servizi sono gestiti tramite interfaccia web dal referente informatico, senza alcun costo aggiuntivo per l’Ente.
Sportello unico delle attività produttive Sono stati rispettati i piani di attivazione dello Sportello Unico delle Attività Produttive (SUAP) a seguito dell’attivazione di COMUNICA: tutte le pratiche del registro imprese sono esclusivamente telematiche. Oltre al Registro Imprese, sono stati digitalizzati: ufficio Marchi e brevetti; ufficio conciliazione/mediazione; denuncia delle uve presso l’ufficio agricoltura; invio elenchi protesti dagli Ufficiali Levatori.
Dematerializzazione. Da alcuni anni l’Ente lavora per informatizzare i processi documentali interni, digitalizzando gli archivi. I motivi sono sia di limitare l’uso della carta e recuperare spazi utili, sia di semplificare i flussi.
Sito Web
Gestione documentale del ciclo delle fatture passive
Progetti Anti Digital Divide
Si è totalmente informatizzato il sistema di gestione degli acquisti: il flusso informatizzato, oltre a consentire una diminuzione della produzione di documenti cartacei e di copie dello stesso foglio, garantisce la puntualità dei pagamenti ai fornitori.
Protocollo Informatico ed Albo Pretorio on line Dal 2001 la Camera è dotata di protocollo informatico comprensivo di scansione del documento cartaceo. I documenti si “muovono” fra gli uffici solo via computer. È stato attivato anche l’Albo Pretorio on line per la pubblicazione degli atti deliberativi su sito camerale, permettendo la stampa di un solo originale cartaceo firmato delle delibere di Giunta e di Consiglio.
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Si è proceduto alla digitalizzazione dei fascicoli del Registro Imprese e dell’Albo Artigiano. In questa maniera si sono ridotti gli spazi occupati dall’archivio e si sono rese veloci le ricerche delle informazioni.
Nel 2010 è stato ristrutturato il sito istituzionale per renderlo più dinamico ed interattivo. Nel corso del 2011 sarà potenziato per essere il punto di riferimento dei servizi e della comunicazione dell’Ente.
Sul fronte infrastrutturale la Camera di Commercio di Pescara ha avviato, in collaborazione con la Provincia, un progetto di eliminazione del digital divide, proponendosi di portare la banda larga prima nei 6 comuni pescaresi del cratere aquilano, poi nel resto del territorio (ad un’analisi preliminare fatta, l’anno scorso, ben 23 comuni su 46 non sono risultati coperti da banda larga). Presumibilmente, l’infrastruttura verrà realizzata, con la guida di una commissione appositamente nominata e composta da rappresentanti dell’ente camerale e provinciale, tra il 2011 ed il 2012. A.C.
www.pescaralavoro.it
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Alberto Pingitore
Ho cambiato la casa
• Alberto Pingitore nella sede della Cesarini Costruzioni Immobiliari a Pescara. In basso un’immagine di Borgo Sant’Andrea, innovativo complesso residenziale a Sambuceto di San Giovanni Teatino.
di Fabrizio Gentile
Con la realizzazione di Borgo Sant’Andrea la Cesarini Costruzioni Immobiliari porta l’edilizia nel futuro: alle porte di Pescara nasce una nuova cultura dell’abitare, all’insegna del risparmio energetico e dell’ecosostenibilità
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na casa sicura, ad alta salubrità, autosufficiente, che abbatte i costi delle bollette e garantisce il massimo risparmio energetico. E perdipiù ipertecnologica. È la nuova cultura dell’abitare: qualcosa che i nostri concittadini europei hanno abbracciato da diverso tempo e che anche nel Sud del Vecchio Continente si sta diffondendo grazie a imprenditori illuminati come Alberto Pingitore, titolare della Cesarini Costruzioni Immobiliari, che ha realizzato Borgo Sant’Andrea, un complesso residenziale ecosostenibile al 100% a San Giovanni Teatino, alle porte di Pescara. La scelta di San Giovanni Teatino non è casuale: oltre alla sua posizione strategica e alla compatibilità con lo stile di vita promosso dalle case di Borgo Sant’Andrea, il popoloso Comune vede la Cesarini Costruzioni Immobiliari tra le aziende promotrici della futura chiesa di San Rocco progettata da Mario Botta, di cui recentemente è stata celebrata la posa della prima pietra. Pingitore è “figlio d’arte”: porta il nome di suo nonno Alberto Cesarini, che di ritorno dalla guerra in Etiopia avviò qui in Abruzzo una florida attività imprenditoriale nel settore dei lavori pubblici, e suo padre Angelo lo ha avviato al lavoro nell’azienda di famiglia, la Fidia Srl di
Cosenza, di cui Alberto si è occupato per circa dodici anni prima di dar vita alla sua creatura, un’impresa edile intitolata proprio al nonno. Una ditta che oggi si presenta sul mercato immobiliare con un prodotto innovativo, che coniuga materiali antichi e tecnologia ultramoderna, e che punta a rivoluzionare il modo di abitare. «Quella che noi chiamiamo “casa” –spiega Alberto Pingitore– è un concetto che la società ha declinato secondo diverse esigenze, spesso condizionate da scelte politiche ed economiche. La tendenza a utilizzare la struttura laterocementizia, per esempio, è frutto di una coincidenza di interessi: guadagnare spazio all’interno dell’abitazione e favorire lo sviluppo della cosiddetta industria pesante. Ma con mattoni e cemento armato abbiamo perso di vista cose più importanti, come comfort, sicurezza e salubrità. Sembra incredibile, ma una casa in legno, in caso d’incendio, preserva maggiormente l’incolumità dei suoi abitanti. E riguardo alla durata, abbiamo diversi esempi di costruzioni millenarie in legno che sono oggi perfettamente occupabili, mentre altre in pietra non lo sono affatto. Il legno, unitamente a una serie di tecnologie inerenti il risparmio energetico e l’elettronica, offre oggi garanzie di solidità e sicurezza di altissimo livello, e rappresenta il futuro dell’edilizia». La Cesarini Costruzioni Immobiliari ha dotato le case del Borgo Sant’Andrea di impianti fotovoltaici e geotermici per il riscaldamento e l’approvvigionamento energetico, oltre a un impianto domotico di base che rende la casa “intelligente”. «Ma il cuore del nostro prodotto –specifica Pingitore– è il materiale usato per l’involucro: il Cross-lam (Cross-laminated timber), più brevemente X-lam, ovvero tavole di legno laminato a strati
incrociati, spesse circa 2 cm e unite con un collante ad alto assorbimento. Con le tavole così incollate si producono solai o pareti che possono essere dimensionate e sagomate a richiesta del cliente e che vengono sovrapposte e incastrate con angolari e collegamenti in acciaio. Il nostro fornitore è la LignoAlp di Bressanone, che ha costruito circa 300 appartamenti del progetto C.A.S.E. all’Aquila». Il che garantisce anche sicurezza sotto il profilo antisismico: «Certamente. Durante il convegno “Costruire per Ecoabitare” da noi organizzato lo scorso novembre abbiamo avuto il piacere di ospitare Ario Ceccotti, direttore del CNR-Ivalsa di Firenze, che ha effettuato con successo un test antisismico su una palazzina in legno alta 7 piani (24m di altezza) sulla piattaforma di Kobe in Giappone (una struttura realizzata appositamente dagli ingegneri nipponici in grado di riprodurre qualsiasi terremoto, anche di elevatissima magnitudo), e che ha collaudato l’X-lam come materiale per la costruzione del nuovo Auditorium all’Aquila su progetto di Renzo Piano. Ceccotti ha auspicato l’introduzione dell’X-lam nella cultura dei progettisti italiani, così come già avvenuto in molti altri Paesi del mondo». Proprio all’Aquila, grazie alle sue innovative tecnologie, la Cesarini Costruzioni Immobiliari «è stata inserita nell’albo dei fornitori per i futuri impegni di Caritas Italiana», spiega Pingitore. La cosa incredibile dell’X-lam è la sua facilità d’utilizzo (e quindi l’abbattimento del rischio d’incidente sui cantieri) e la velocità di processo garantito: «Si può realizzare una struttura abitativa in 1/7 del tempo che si impiega per costruire una casa in cemento e mattoni, consentendo anche vantaggi in termini economicofinanziari. E con l’entrata in vigore delle nuove normative
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europee in materia di sicurezza e di isolamento termoacustico, utilizzando l’X-lam si ottiene la stessa superficie di spazi con minor impiego di materiale, rispetto alle tecniche tradizionali che invece dovrebbero aumentare del doppio i materiali impiegati per rispettare le norme». Le case di Borgo Sant’Andrea, grazie all’utilizzo dell’X-lam, raggiungono la classe Gold nel rating dell’agenzia CasaClima, ossia il massimo livello della certificazione di risparmio energetico. «In più, visto che non ci volevamo risparmiare, abbiamo dotato il complesso di impianti fotovoltaici e geotermici, col risultato che il privato non ha più il problema di gestire la centrale termica: tutto viene regolato informaticamente con una pompa di calore e relativi contatori installati nelle abitazioni; il consumo di energia elettrica è abbattuto dalla tipologia di involucro e da questo sistema di riscaldamento ed in ogni caso totalmente remunerato dal guadagno derivante dall’immissione dell’energia prodotta dal fotovoltaico nella rete elettrica nazionale. Insomma, il valore di queste abitazioni aumenta col tempo. Si può dire che comprare casa a Borgo Sant’Andrea sia come comprare una tela di Van Gogh». «Il desiderio del giovane Alberto Pingitore («Vorrei che Cesarini Costruzioni Immobiliari venisse ricordata come l’azienda che ha introdotto il legno in edilizia in Abruz-
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zo») ha bisogno di tempo e molte energie, per realizzarsi, perché non è facile scalzare la sopravvalutata coppia mattone-cemento. Ma il dado è tratto, indietro non si torna. Gli strumenti di comunicazione da utilizzare sono diversi, alcuni più diretti altri più lunghi. E spesso proprio questi ultimi sono quelli che danno all’imprenditore più soddisfazione». Chi parla è Chiara Arduino, titolare insieme a Vittoria Ceriani dello Studio Michelangelo, una prestigiosa agenzia di comunicazione milanese che la Cesarini Costruzioni Immobiliari ha scelto come partner per divulgare il messaggio legato alla costruzione di Borgo Sant’Andrea. Quella ideata da Alberto Pingitore e dallo Studio Michelangelo è una strategia di comunicazione che si sviluppa su più fronti e che ha preso il nome di “Progetto Eau 2011”, perché si propone di diffondere l’informazione capillarmente, portando il prodotto nelle case così come l’acqua: «Un cantiere che si apre –prosegue Arduino– e che in pochi mesi vende tutti i propri appartamenti è un ottimo messaggio, ma può essere effimero. Ciò che realmente paga è puntare sulle persone e su valori universali. L’esempio più calzante è la formazione. È indispensabile che un’azienda si apra all’esterno, accolga nuove idee e allarghi il proprio campo visivo. Da qui il lancio del progetto per la scuola media di Sambuceto e le borse di studio per gli studenti di Architet-
Il progetto di Borgo Sant’Andrea Il complesso residenziale sorge a Sambuceto di San Giovanni Teatino, nell’area metropolitana di Pescara. Situato accanto alla nuova zona verde sportiva attrezzata del Comune, che ha diverse strutture (tra cui una piscina olimpionica), comprende 20 appartamenti di sei tagli diversi, da 71 a 115 m², in due palazzine da tre e quattro piani, e 6 villette da 300 m², ciascuna delle quali con giardino privato. Ci sono poi 2 locali commerciali da 80 e 95 m², 8 garage al piano terra della palazzina di tre piani, 9 posti auto al piano interrato della palazzina di quattro piani, 7 posti auto sulla strada privata di proprietà del condominio e 18 posti auto per i visitatori. Il complesso possiede un sistema di raccolta dell’acqua piovana che riduce del 50% l’utilizzo di quella potabile. L’acqua piovana, gratuita, è
priva di calcare e di cloro; filtrata, è molto indicata per l’irrigazione, per lo scarico del wc, per le pulizie di casa, per il lavaggio auto e dei marciapiedi; inoltre annulla i depositi calcarei nella lavabiancheria garantendo la massima efficienza e durata dell’elettrodomestico. Nelle case di Borgo Sant’Andrea non si utilizza gas metano: il riscaldamento e il raffreddamento sono garantiti da un impianto geotermico, che sfrutta la temperatura del terreno, mentre l’energia elettrica viene prodotta dai pannelli fotovoltaici che beneficiano del cosiddetto Conto Energia in regime di scambio sul posto. Borgo Sant’Andrea gode infine della certificazione Gold di efficienza energetica rilasciata da Agenzia CasaClima/KlimaHaus e dal TBZ-Centro di fisica edile di Bolzano.
bello, compatibile, a 800 euro al metro quaDro
un grattacielo Di legno Sorgerà a Milano e sarà il più alto al mondo costruito con questo materiale. Lo stesso usato per una palazzina vicino aTreviso. Due edifici che in comune hanno anche il basso costo. Perché sono esempi dell’ultima tendenza del social housing: case di qualità, sostenibili e a buon mercato di Donatella Bogo er favore, non chiamiamole case popolari. Inevitabilmente, ci verrebbe davanti agli occhi la desolante immagine di tristi periferie sovietiche punteggiate di grigi casermoni-alveare. Qui parliamo di tutt’altro. Di un colorato grattacielo di 15 piani realizzato interamente in legno, per esempio. E di una palazzina di 12 appartamenti rivestita di un reticolo di liste di legno come fosse una seconda pelle. Parliamo di case belle, confortevoli e, soprattutto, sostenibili, in armonia con l’ambiente. Che non si chiamano “popolari”, ma sono edifici di “social housing”. Il termine inglese è giustificato: il social housing nasce proprio in Gran Bretagna, agli inizi degli anni 90, e si sviluppa rapidamente in tutto il Nord Europa per rispondere alla domanda di case dignitose da parte di persone che per acquistare un’abitazione non potevano affrontare i prezzi di mercato, ma nello stesso tempo erano economicamente al di sopra della soglia che dava diritto a una assistenza pubblica. Famiglie, ma soprattutto studenti, lavoratori fuori sede, giovani coppie, single. Il social housing nasce dunque per offrire case a prezzi interessanti, garantendo comunque buoni parametri di qualità. In Italia se ne parla da poco, per l’esattezza da quando, nel 2008, il governo ne ha dato definizione in un decreto. Prima la tendenza degli italiani era all’acquisto: mutui e sacrifici pur di essere proprietari della casa in cui si vive. Anche piccola, purché sia mia. Il risultato è che solo il 20 per cento degli italiani vive
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in affitto, e solo il 5 per cento delle strutture residenziali è di proprietà pubblica. Ora, però, la crisi e i suoi effetti hanno cambiato domanda e offerta; l’incremento dei prezzi non è più sostenibile dal potere d’acquisto medio delle famiglie italiane. La risposta del governo è stata il Piano nazionale di edilizia abitativa, rivolto a chi è troppo ricco per accedere all’edilizia popolare ma non abbastanza per rivolgersi al libero mercato. Nel concreto, significa per esempio che a Milano il Piano di governo del territorio prevede che il 35 per cento dei nuovi insediamenti residenziali sia destinato all’housing sociale. UNA CASA DA UNA MANCIATA DI SEMI Case belle a prezzi accessibili, dunque. Come il grattacielo che sorgerà a Milano, nella zona di viale Sarca, area Bicocca. Il progetto si chiama SMS, che sta per Social Main Street, è firmato da Urbam + Dante O. Benini & Partners, è promosso dalla Compagnia dell’Abitare, si avvale della consulenza di Vignelli Associates per quel che riguarda la “grafica” dell’edificio e ha già vinto il premio Qualità architettonica al Social Housing Awards indetto da Eire, il salone dedicato al mercato immobiliare e al real estate italiano e dell’area mediterranea. Fiore all’occhiello del progetto, l’essere il più alto grattacielo al mondo costruito in legno, fatta eccezione per i tre piani di base, in calcestruzzo, e la struttura metallica del cavedio centrale. Secondo motivo di orgoglio, il valore di efficienza, vale a dire il
rapporto tra metri quadri e superficie sfruttata, che è del 90%. Terzo, ma non ultimo, punto d’eccellenza, il prezzo: 800 euro al metro quadro. Tre fattori che fanno del progetto un esempio di costruzione “sostenibile” nel doppio significato del termine: dal punto di vista ambientale e da quello economico. «Basta una manciata di semi per costruire una casa. E la deforestazione creata si ricostituisce in pochissimo tempo. Il legno, poi, è riciclabile al cento per cento, ha un alto livello di salubrità, è permeabile all’aria, ha una bassissima dispersione termica, è antisismico», dice l’architetto Dante Benini. «Bisogna sfatare il tabù secondo il quale una casa in legno ha senso solo a Bolzano. Le qualità intrinseche di questo materiale lo rendono adatto a costruire a qualunque latitudine. Aggiungiamo poi che nel confronto diretto con il calcestruzzo l’ecocompatibilità del legno è nettamente superiore quanto a consumo di acqua e a quantità di energia necessari alla loro produzione». «Molte persone che vivono in edifici di Classe A, dove sono stati applicati tutti i sistemi di risparmio energetico e riduzione della dispersione termica, lamentano un “effetto sottovuoto”, la sensazione di vivere in una bolla. Con il legno tutto questo viene evitato», gli fa eco Michele Corrado, architetto e project director assistant dello studio. Due obiezioni vengono spontanee: il rischio di incendi e l’isolamento acustico. Subito rintuzzate: «Il legno utilizzato per la costru-
QUINDICI PIANI SUL VERDE Sopra, il rendering del grattacielo che sorgerà a Milano (il cantiere è previsto tra Ône 2011, inizio 2012), in zona Bicocca. Sotto, a sinistra, lo spaccato che mostra il dettaglio del giardino sul tetto, con i pannelli fotovoltaici sul perimetro, e il cavedio con al centro il raccoglitore delle acque e il tubo di distribuzione. A destra, il particolare di uno dei piani che si aprono sul cavedio, dove sono previste, alternate, zone giardino e zone studio, wiÔ
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tura». Oltre a realizzare un kit informativo (contenente una “Lettera alla famiglia” a firma dell’avvocato Alberto Pingitore, che presenta le case di Borgo Sant’Andrea, un accattivante dépliant descrittivo del prodotto illustrato da Angelo Ruta, e infine una cartolina, opera dello stesso illustratore) spedito a 80mila famiglie di Chieti, Pescara e San Giovanni Teatino, il piano include infatti una serie di iniziative rivolte a tutti gli strati sociali: tra queste il progetto Wood Education, per i ragazzi della Scuola Media Statale di San Giovanni Teatino, un percorso alla scoperta della relazione dell’uomo con l’ambiente in cui vive e di come questo influenzi il suo modo di costruire, le varie tecniche ed il loro rapporto con la sostenibilità dello sviluppo; e il “Premio Borgo Sant’Andrea” per progetti sostenibili edilizi e urbani, che verrà assegnato quest’anno e che vede la collaborazione con il Corso di laurea in Urbanistica sostenibile della Facoltà di Architettura di Pescara, insieme alla Fondazione Pescarabruzzo presieduta dal professor Nicola Mattoscio. «Un altro valore su cui puntare –prosegue Arduino– è la comunità locale, il rapporto con le varie voci del territorio, promuovendo eventi culturali di spessore come il Premio Michetti, organizzando convegni con luminari come Ario Ceccotti, sostenendo comitati civici come quello della chiesa di San Rocco a San Giovanni Teatino o collaborando con
Benini confessa: «Per me non c’è nulla di più affascinante che tentare di infondere qualità all’ambiente dove vivono gli uomini».
in veneto La palazzina di Motta di Livenza (Treviso) costruita su progetto di Matteo Thun & Partners per conto dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale. Tre piani dove il legno è protagonista
zione di case è ignifugo e agli edifici vengono applicati sofisticati sistemi antincendio. Quanto al rumore, basti dire che le pareti portanti hanno uno spessore di circa 50 centimetri. Sono realizzate con il sistema X-lam, pannelli a strati incrociati, che garantiscono solidità e flessibilità costruttiva insieme», spiega l’architetto Benini. L’esempio più lampante di questa flessibilità sono i bow-window colorati che caratterizzano la facciata del grattacielo di viale Sarca. «Il colore è elemento decorativo. Il posizionamento è “libero”, perché trattandosi di elementi prefabbricati possiamo metterli dove più ci piace e orientarli in modo differente l’uno dall’altro». Sul tetto, il parapetto fa da linea di gronda ed è formato di pannelli fotovoltaici che produrranno l’energia sufficiente ai servizi condominiali e alla fornitura di acqua calda. Al centro, in corrispondenza del cavedio, un grande “imbuto” fa da serbatoio per l’acqua piovana che, una volta raccolta, servirà per
l’irrigazione degli spazi verdi, il lavaggio delle aree comuni, lo scarico delle acque nere e la vaporizzazione del cavedio, attraverso un sistema automatico che utilizza un doppio tubo a camicia che scende fino a terra. VERDE SUL TETTO E NEL CAVEDIO La struttura del grattacielo, che avrà 112 unità abitative, da 48 a 100 metri quadri (e verranno affittate a 200 euro a posto letto), prevede che viverci non significhi soltanto rinchiudersi nel proprio appartamento, ma che sia possibile una socializzazione attraverso l’uso collettivo di alcuni spazi. Lungo il cavedio, per esempio, a ogni piano si aprono zone giardino alternate a zone studio, dotate di postazioni wifi. E sul tetto, in realtà un prato con un metro di terra a fare da massa termica, ci saranno una palestra e un percorso perimetrale per lo jogging. Qualcosa che va oltre l’architettura e si avvicina al concetto di benessere e qualità della vita. Non a caso,
Cinque ragioni per Costruire Con il legno più performante a «È livello energetico, offre tempi di costruzione ridotti, è antisismico, riduce i rischi di cantiere e gli infortuni sul lavoro, aiuta a gestire il sinistro in caso di incendio, perché il legno brucia, ma non si consuma immediatamente e la casa non crolla all’istante». A parlare è Giovanni De Ponti (nella foto), amministratore delegato di FederlegnoArredo, che nello sviluppo del social housing vede prospettive per il settore. «Ci sono ampie possibilità di sviluppo per
tutte le aziende della nostra Òliera, da quelle che producono prefabbricati a quelle che fanno mobili. I progetti di social housing prevedono la fornitura di abitazioni già dotate di arredamento, per rendere ancora più efÒcace il rapporto qualità/prezzo. E hanno dimostrato che con meno di 1.300 euro al metro quadro si può costruire e arredare. Lo sviluppo di questo settore, in una fase di domanda stagnante come quella che attraversiamo, è nuova linfa». Le aziende lo hanno capito. Lo dimostra il
successo registrato dal bando lanciato alla Òne dello scorso anno da FederlegnoArredo, Comune di Milano, Assimpredil, In/Arch e Ordine degli architetti di Milano per un repertorio di progetti per ediÒci residenziali a elevate prestazioni e basso costo. «Non era una gara d’appalto, ma hanno risposto 190 aziende italiane e sono stati inseriti più di 2.500 prodotti, anche da aziende di grande marchio e grande nome. SigniÒca che quando sarà il momento degli appalti veri i nostri imprenditori saranno pronti a rispondere alla sÒda del mercato».
LO SCHERMO DI UNA SECONDA PELLE Una qualità dell’abitare che è punto fermo anche del lavoro di un altro grande architetto, Matteo Thun, il cui “marchio di fabbrica” è da sempre quello della sostenibilità, della compatibilità e del rispetto ambientale. Con il suo studio ha realizzato un interessante esempio di social housing a Motta di Livenza, piccolo comune vicino a Treviso, commissionato dall’Ater, l’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale della provincia. Si tratta di una palazzina di tre piani fuori terra che appoggiano su una struttura in calcestruzzo e laterizi per svilupparsi poi, anche qui, in legno. Materiale sul quale Thun punta da sempre e che è stato utilizzato anche per il rivestimento esterno, in lamelle che formano una specie di “brise soleil” e regalano un intrigante effetto di luci e ombre che cambiano a seconda dei diversi momenti della giornata. Il disegno della casa rispetta la tipologia classica della zona, reinterpretata in chiave moderna e antica allo stesso tempo: se le soluzioni tecniche sono all’avanguardia, il richiamo “filosofico” ha radici lontane. «Abbiamo creato una corte interna seguendo l’archetipo della casa romana e ispirandoci a un concetto di architettura di introspezione. Una scelta dettata anche dal fatto che l’ambiente esterno non era granché accattivante», spiega l’architetto Thun. Anche in questo caso la sfida si è giocata sui costi. Ed è stata vinta: 995 euro al metro quadro. «È sulla riduzione dei tempi che bisogna puntare», spiega. «Attraverso l’uso dei prefabbricati, per esempio, si impiegano due mesi a realizzare quello che con un cantiere tradizionale si fa in due anni. Il prefabbricato elimina anche il problema dell’interfaccia tra i diversi professionisti, dall’elettricista all’idraulico, perché lavoriamo con “pareti intelligenti”, che arrivano già predisposte per i diversi impianti. Ultima considerazione, accorciare i tempi di lavoro significa anche ridurre quelli dell’esposizione bancaria». Niente pannelli fotovoltaici, perché, dice Thun, «bisogna fermare lo scempio della “quinta facciata”, il tetto. Visti dall’alto, certi posti sono una distesa inaccettabile di pannelli. Noi puntiamo sull’energia dalla terra, la geotermia. Come abbiamo fatto per esempio a Milano, per il progetto Tortona 37, dove un terzo del fabbisogno energetico è soddisfatto dalla falda». Benini e Thun, due grandi nomi dell’architettura al servizio di progetti sociali. Chissà se presto anche altre “archistar” si impegneranno in questo campo. Sensibili, magari, all’idea che è ormai tempo di «un “back to basic” che non sia solo slogan per il rilancio dell’economia reale, ma concreto momento di ripensamento sociale e culturale, occasione per una nuova architettura urbana a misura d’uomo». Come diceva Giò Ponti. Nel 1949. Í © RIPRODUZIONE RISERVATA
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• Nella pagina a fianco, una delle immagini realizzate dall’illustratore Angelo Ruta per la campagna promozionale di Borgo Sant’Andrea. In questa pagina, dall’alto: un’immagine della palazzina di dodici piani realizzata a Londra e un articolo apparso su Sette, il magazine del Corriere della Sera, sulle case in legno di prossima costruzione a Milano e a Treviso
la Caritas all’Aquila». Ultimo in ordine di tempo il convegno sul tema “Le tecnologie del legno in edilizia”, svoltosi lo scorso aprile e organizzato insieme all’Ordine degli Ingegneri di Pescara che ha visto la partecipazione di Thomas Schrentewein della Lignaconsult di Bolzano, autore del libro “CasaClima Costruire in legno”. «Nonno Alberto –conclude Chiara Arduino– darebbe ragione a questo suo nipote illuminato perché –ci avete fatto caso?– oggi ENI è quasi più famosa per le straordinarie mostre che regala a tutto il mondo che non per i giacimenti petroliferi che sfrutta».
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Deco Spa
Il lato verde della tecnologia È la più virtuosa delle aziende abruzzesi che trattano rifiuti, e l’unica a gestirne il ciclo completo. E oggi è anche impegnata a diffondere la cultura dell’ecosostenibilità ai giovani che erediteranno il pianeta
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on ci sono più le gite di una volta. O meglio, non ci sono solo i Fori imperiali, il castello di Gradara, gli Uffizi e Pompei a disposizione della scuola per le classiche “gite d’istruzione”, ma anche –oggi che l’attenzione all’ambiente è un tema importante e quanto mai attuale– aziende virtuose che si occupano di gestire il ciclo integrato dei rifiuti, ricavandone, peraltro, energia. E benché l’accostamento appaia un po’ azzardato, il gruppo Deco, con un personale impiegato di circa 400 unità, non sfigura tra le architetture romane e i musei nazionali, perché si tratta di un monumento all’imprenditoria sostenibile. Dalla sua nascita, datata 1989, la Deco si è ritagliata un posto d’onore tra le industrie che trattano, smaltiscono e “trasformano” i rifiuti in energia, grazie al costante impegno progettuale e operativo volto a diffondere la consapevolezza che il rifiuto può essere trasformato da problema a risorsa. E –cosa molto importante– operando secondo un livello di qualità tale da aver consentito a Deco S.p.A. di raggiungere lo stadio conclusivo di registrazione EMAS, ossia il sistema ambientale che non solo fornisce al pubblico (e alle autorità di controllo, o agli organi d’informazione, insomma ai cittadini) dati sulle prestazioni ambientali dell’impresa, ma la vincola ad una politica ambientale di miglioramento continuo, viste le procedure di monitoraggio e controllo, nonché le periodiche verifiche a cui è sottoposta per attestarne la conformità.
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Dall’adozione di tecnologie d’avanguardia applicate al settore ecologico all’apertura dei propri impianti alle visite guidate per farle conoscere, il passo è stato breve: i programmi di visita sono partiti ormai da anni, quando ancora il “problema” dei rifiuti non aveva invaso le pagine dei giornali e l’ecologia era ancora appannaggio di pochi illuminati; ma è proprio negli ultimi anni che i progetti di sensibilizzazione ed educazione ambientale hanno subìto un’accelerazione, portando, in breve tempo, migliaia di studenti di ogni fascia di età a visitare le strutture della Deco, ubicate in diverse località tra Pescara e Chieti o a chiedere interventi di educazione ambientale a scuola. «Gli impegni assunti con l’adozione del Protocollo di Kyoto ed il recepimento di importanti normative europee in materia ambientale –spiega Valentina Di Zio, responsabile delle relazioni esterne e della comunicazione del gruppo– non possono prescindere dalla loro divulgazione e dalla necessità di sensibilizzare la collettività ad una filosofia di vita ecosostenibile. Anche per questo, l’impegno di un’azienda che lavora nel settore ecologico non può fare a meno di educare all’ambiente, partendo proprio dai più piccoli, perché la cultura della sostenibilità diventi cultura dell’ uomo come tale. E a fianco al percorso teorico in ambito scolastico c’è la visita ai nostri impianti,“toccare con mano” cosa accade ai rifiuti che escono dalle nostre case». Le visite si svolgono prevalentemente negli
• Il nuovo dvd multimediale “Deco educational”. In basso, l’impianto di trattamento meccanico biologico (TMB) in contrada Casoni a Chieti. A fianco lo stand Deco alla manifestazione Ecomondo 2010 a Rimini e gli uffici dell’impianto TMB di Casoni.
impianti di Casoni (CH) dove si concentrano la discarica controllata per rifiuti urbani, l’impianto di recupero energetico da biogas e l’impianto di trattamento meccanico biologico, visite pensate e strutturate in maniera tale da offrire una visione completa dell’intero ciclo integrato dei rifiuti, con particolare attenzione alla produzione di energia elettrica da biogas ed al trattamento dei rifiuti indifferenziati dai quali si ottiene CDR (combustibile da rifiuto), utilizzato per alimentare impianti di vario tipo, quali, ad esempio, cementifici o termovalorizzatori. «Strutturiamo visite guidate diversificate in base alla fascia di età dei giovani e forniamo supporti didattici tali da permettere di continuare anche a scuola l’approfondimento delle tematiche affrontate in Deco: un “quaderno Energia” –pensato e realizzato in due versioni, una per i grandi con grafica 3D e linguaggio più tecnico ed una per i più piccini, con disegni e concetti semplici ma immediati– e presto anche un dvd interattivo, dove il protagonista –una “mascotte” che si chiama Energon– guiderà i ragazzi nel mondo delle enegie alternative
con giochi multimediali di vario genere, che verrà divulgato a partire da settembre». Altra novità saranno i corsi gratuiti di teatro ambientale che, sempre a partire da settembre, verranno attivati per i ragazzi delle scuole medie e superiori: «Un modo nuovo di rendersi, anche qui,“attori nell’ ambiente”. Ma ci preme sottolineare che l’ apertura dell’ azienda all’ esterno non è esclusiva prerogativa dei ragazzi: l’ azienda ha infatti ospitato delegazioni di persone provenienti dall’ estero (Danimarca, Angola, India, Germania, Svezia, Inghilterra) ed è ben lieta di ospitare anche gruppi di persone semplicemente interessate a conoscere meglio il ciclo dei rifiuti e le nostre attività». Pensare ai giovani, inoltre, significa anche fornire opportunità di lavoro: è da qui che nasce l’iniziativa dell’ateneo Luiss Guido Carli di Roma –alla quale ha partecipato anche la Deco– che organizza l’ormai noto Career Day: due giornate di incontri dedicate ai giovani laureati che intendono avvicinarsi al mondo del lavoro per valutarne eventuali stage formativi e lavorativi all’interno delle proprie aziende. A.C.
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BCCA di Cappelle sul Tavo
Piccole imprese, grandi numeri Bilancio positivo per le attività dell’Istituto di credito che da oltre cinquant’anni opera per lo sviluppo del territorio e per il benessere dei suoi soci
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rano in poco più di 40 nel 1957, oggi sono migliaia. I soci della Banca di Credito Cooperativo Abruzzese di Cappelle sul Tavo, piccole e piccolissime imprese che sono il tessuto di eccellenza della compagine sociale, sono la forza di quest’Istituto che da oltre cinquant’anni dedica tutte le sue energie alla crescita responsabile e sostenibile del territorio nel quale opera. E se nel corso del 2010 una massiccia campagna di comunicazione (quella col claim “È la mia banca perché pensa come me”, che utilizzava proprio i soci come testimonial della Bcca) ha rilanciato il rapporto con il tessuto sociale, il 2011 vede concretizzarsi diverse iniziative a vantaggio proprio degli affiliati, soprattutto in termini di leasing (grazie alla preziosa partnership con Banca Agrileasing Spa) e di interbanking. « Negli ultimi anni –spiega orgogliosamente il Direttore generale della Banca Rocco Finocchio– la vocazione della Bcca al sostegno del settore agroindustriale si è rafforzata a livello quantitativo e qualitativo: copriamo il 17,6% del finanziamento al settore agricolo (dati 2010) rispetto al 10,4% del 2000». Numeri che si inquadrano nel complesso dei risultati positivi ottenuti dall’Istituto di credito lo scorso anno, snocciolati con soddisfazione nel corso dell’assemblea dei soci tenutasi lo scorso 30 aprile: «Il risultato di esercizio 2010 –prosegue Finocchio– ha sfiorato i 500 mila euro. Inoltre si è registrata una crescita della base sociale con 106 nuovi soci. A questo dato vanno aggiunti anche un incremento della raccolta diretta che ha raggiunto la consistenza di 293 milioni di euro, in crescita del 2,4% rispetto al 2009, mentre gli impieghi verso la clientela sono cresciuti del 4%, attestandosi sui 230 milioni di euro. Il risultato di esercizio, consistente in un utile netto di 421mila euro, testimonia la decisa ripresa di redditività. A supportare questo incremento nei numeri positivi della Banca ci ha pensato anche la complessiva riorganizzazione che ha interessato
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l’area del personale: dietro un direttore generale opera adesso un vice-direttore e insieme sovrintendono a un team di 4 capi area; parallelamente operano ben 3 uffici di staff che offrono un aiuto costante e concreto ai nostri 9 capi filiale. In questa maniera abbiamo completato il quadro delle responsabilità, mettendo ogni tassello del mosaico della Banca al posto giusto». A sostenere le cifre enumerate da Finocchio ci pensa Elvio Di Giandomenico, fresco di nomina come Direttore Commerciale: «Sono alla guida di una nuova area con un team molto affiatato. Abbiamo una grande varietà di prodotti da sottoporre all’attenzione dei clienti: nella nostra area abbiamo la possibilità di offrire alla clientela, e a condizioni particolari per i soci, operazioni di leasing, factoring, noleggio, grazie alla partnership con BAL (Banca Agrileasing Spa), società del gruppo che ci permette di poter soddisfare richieste anche di entità rilevanti; da poco abbiamo cominciato un progetto per il sostegno delle imprese nel mercato estero. Uscire dai confini nazionali è una esigenza sempre più sentita dalle aziende e superare le frontiere diventa spesso indispensabile per espandersi. La Banca di Credito Cooperativo Abruzzese di Cappelle sul Tavo di conseguenza ha deciso di dotarsi di una specifica struttura, un’area che non sempre viene considerata di importanza strategica dai vari Istituti». Grazie alla crescita della struttura tecnica, conclude Finocchio «siamo stati in grado di rafforzare i rapporti con i partner, e ci prepariamo a una imminente, ulteriore evoluzione, nella logica consulenziale della nostra attività. Siamo pronti a impegnarci per il futuro con lo stesso spirito che ci ha permesso di trovare in questi mesi uno spazio sempre maggiore in un mercato molto competitivo. I numeri positivi ci hanno dato ragione, dimostrando come l’aver creduto nella qualità del fattore umano sia stata una scelta azzeccata e sempre più determinante per lo sviluppo». M.L.
Michele Borgia: «Guardiamo al futuro con ottimismo» La Bcc Abruzzese di Cappelle sul Tavo, come spiega Michele Borgia, Presidente dell’Istituto di credito, «è al servizio della collettività che opera fra la Val del Tavo e la Val Fino e Chieti. Con le ultime modifiche statutarie si è voluto rinnovare il carattere assolutamente localistico ribadito nell’obbligo di operare prevalentemente (oltre il 97%) a favore dei piccoli imprenditori, capifamiglia, professionisti che operano nella zona di competenza. Il risparmio raccolto dalle famiglie nostre clienti e socie viene reinvestito per legge e per statuto a sostegno dell’economia dei nostri territori. Pertanto, avere rapporti in qualità di soci o di clienti con la nostra banca assume una forte valenza di attenzione affettiva verso le nostre realtà locali. I benèfici ritorni dovuti alle iniezioni di liquidità a favore del sistema economico che l’operare della banca procura, riducono il fenomeno del razionamento del credito altrimenti subìto dalle nostre micro-imprese». Anche sotto il profilo mutualistico la Bcca è stata antesignana di un ambizioso progetto di Microcredito: «In partenariato con Caritas che
ha visto già deliberate ed erogate decine di pratiche a favore di famiglie in temporanea difficoltà e poi in partenariato con Microcredito Centrale per l’erogazione di numerosi finanziamenti accompagnati da primaria fideiussione a favore delle imprese». Borgia annuncia soddisfatto anche altri preziosi obiettivi raggiunti. «Importantissima nell’ambito delle relazioni con i soci è l’attivazione dell’Albo dei soci fornitori, con la ricezione di circa 400 candidature da parte di ditte individuali, società e liberi professionisti che sono in pole position nelle forniture di beni e servizi di cui la Banca avrà bisogno. Cresce un sentimento di orgoglio per aver raggiunto una posizione di forte visibilità, conoscenza e considerazione nel territorio in cui la Bcca opera. Quello di continuare a far segnare un’autorevole presenza è un impegno che va portato avanti con determinazione ed i cui vantaggi diverranno quanto prima anche di natura economica, con benefiche ricadute sui potenziali di offerta commerciale e sulle condizioni praticate a favore dei soci e della clientela in generale».
• In alto il Presidente della BCCA di Cappelle Michele Borgia con i nuovi soci entrati nel 2010. Qui sotto il Responsabile Area Commerciale Elvio Di Giandomenico davanti alla sede di Montesilvano.
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Confidi Mutualcredito
Garantire le imprese agevolando la concessione di finanziamenti Il primo Confidi 107 della regione, che conta più di seimila aziende consorziate, garantisce l’accesso al credito alle imprese di Abruzzo e Molise • Giorgio Di Rocco, presidente di Mutualcredito.
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on le sue 6614 imprese associate e un patrimonio netto di oltre 20 milioni di euro (a fronte di un capitale sociale di 15,8 milioni) il Confidi Mutualcredito è una delle realtà più importanti del panorama finanziario abruzzese. Nato nel 1977 come organismo rivolto soprattutto ai commercianti al dettaglio di Pescara e provincia, si è trasformato recentemente in Confidi 107, diventando così il primo Confidi 107 di Abruzzo e Molise e l’unico Confidi 107 italiano (dei 50 esistenti sul territorio nazionale) a sud di Pescara, isole escluse. Alla guida della società c’è Giorgio Di Rocco, presidente dal 1996, affiancato dai consiglieri Maria Luisa Abate, Bruno Ciccocioppo, Pierino D’Orazio e Mariano Graziosi. Il Confidi ha 26 dipendenti di cui 24 donne armonicamente organizzate dalla direttrice generale Stefania Battaglini. Mutualcredito è la struttura finanziaria del sistema servizi di Confindustria di Chieti e Pescara e della Legacoop Abruzzo. «La politica aziendale negli ultimi anni –spiega il presidente Di Rocco– si è concentrata nel diventare un intermediario finanziario vigilato da Banca d’Italia per favorire concretamente l’accesso al credito da parte delle imprese, attraverso una impegnativa riorganizzazione aziendale e un importante programma di ricapitalizzazione. Parallelamente abbiamo aumentato il numero delle aziende garantite di medie dimensioni, senza per questo diminuire l’impegno nell’assistenza alle microimprese, segmentando in modo analogo la nostra politica nei confronti degli Istituti di credito, cercando cioè di convenzionare sia piccole banche locali, più attente alle realtà imprenditoriali di ridotte dimensioni, sia primarie
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banche nazionali che possono supportare l’attività delle aziende socie più importanti». Attualmente, tra gli Istituti di credito convenzionati, ci sono: Bls, Caripe, Carichieti, Tercas, Carispaq, Mps, UniCredit Banca, Bcc di Abruzzo e Molise, Credem, Banca delle Marche, Banca dell’Adriatico, Banca Etruria, Carisap, Banca Popolare di Puglia e Basilicata, Banca Apulia, Banca Serfina, Carim, Banca Popolare delle Province Molisane, Banca del Fucino. Prosegue Di Rocco: «Nell’ultimo anno 2010, nonostante la pesante restrizione operata dalle banche, sono stati erogati finanziamenti convenzionati per oltre 50 milioni di euro. Il Confidi, grazie ad un’attenta politica di valutazione dei rischi, è riuscito a contenere al minimo le sofferenze, sui finanziamenti ordinari, che ammontavano, a fine 2010, a circa il 3% del totale delle garanzie in essere (oltre il 5% il dato delle molisane l’ottenimento di finanziamenti ordinari per tutte le esigenze aziendali (investimenti e liquidità) e in tutte le forme tecniche (mutui, prestiti, ant.crediti, ecc.); rilascia fideiussioni, del medesimo valore delle fideiussioni bancarie e/o assicurative, nei confronti di Enti/soggetti Pubblici, Amministrazione Finanziaria, Regioni ecc.; fornisce il servizio di asseverazione dei piani economico finanziari. Inoltre, conclude Di Rocco, «si prevede un convinto intervento finanziario convenzionato a sostegno della produzione di energia attraverso fonti rinnovabili, dopo la recente tragedia nucleare giapponese e il risultato del referendum». Confidi Mutualcredito Via Ravenna, 9 telefono 085429661 mail: info@mutualcredito.it www.mutualcredito.it
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Giuseppe Fiducia
Venezia, capitale dell’arte abruzzese
Quegli occhiali spessi, a fondo di bottiglia, dietro i quali guizzavano due occhi piccoli e brillanti, illuminati dal sacro fuoco dell’arte. E quel cappello, diventato un elemento stilistico, quasi del tutto svuotato del suo significato e della sua funzione abituale. Non li vedremo più, quegli occhiali e quel cappello, appartenuti a un uomo orgoglioso delle sue virtù e del suo unico vizio, la sigaretta che accendeva sempre volentieri quando si presentava l’occasione per fare un po’ di conversazione. Era uno simpatico, Peppino Fiducia. “Un pittore”, si definiva, aborrendo ogni altra classificazione del suo essere artista. Quando cominciammo l’avventura di questa rivista Giuseppe Fiducia era uno della squadra. Consegnava l’ultima pagina con la regolarità che gli era peculiare, autore di pungenti satire e di graffianti critiche sociali. Poi, come accade spesso, abbiamo avuto l’onore di ospitare soltanto le notizie delle mostre che lo vedevano impegnato, e che lo richiamavano da Pescara, sua città d’adozione, in altri luoghi dell’Abruzzo, o a Roma, Milano, Perugia, Siena, Ancona, Cagliari… ha girato tutta l’Italia; ha esposto in Francia, Spagna, Svizzera. Insieme all’amico di una vita, Sandro Visca, fu protagonista di una mostra itinerante che percorse, nel 2003, il Canada e gli Stati Uniti. È stato amico di Andrea Pazienza, del quale condivise l’esperienza scolastica a Pescara, e di Tanino Liberatore, altro grande artista col quale aveva in comune l’ispirazione fumettistica delle sue opere, create con una raffinatissima tecnica pittorica. Opere che sono state esposte nella sua più recente antologica, Albe disattese, nel Forte Spagnolo dell’Aquila (2008), mentre la sua produzione più recente è rimasta a farsi ammirare nella mostra Fotogrammi di vita, presso la galleria Forlenza di Teramo, da febbraio a marzo di quest’anno. Quando un tragico incidente, la sera del 18 giugno, lo ha strappato ai suoi affetti, alla compagna Mariella, al suo lavoro, alla sua arte, Fiducia stava preparandosi a partecipare –con la dedizione costante e quotidiana che era la regola di ogni suo impegno pittorico– alla sezione regionale della Biennale di Venezia. Vogliamo ricordarlo con una frase che lo dipinge perfettamente, come se fosse un autoritratto: «Dipingere… non saprei e non vorrei fare altro. È una sorta di condizione umana voluta. In questa società dell’apparire mi sento sempre più uno stupendo sconfitto, nel senso che non esiste un’ipotetica vittoria, ma una agognata consapevolezza».
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utrita rappresentanza abruzzese quella che quest’anno trova spazio nei padiglioni della Biennale d’arte di Venezia: la 54esima edizione della prestigiosa manifestazione, curata per l’occasione da Vittorio Sgarbi, vedrà la partecipazione, nel padiglione Italia, di un quartetto composto da una fra le presenze più significative della giovane arte contemporanea in Italia, Gino Sabatini Odoardi (con l’opera Senza titolo + cubo con rumore segreto, nella foto in alto; vedi Vario 74, collezione Vario ART), Sergio Sarra (vedi Vario 72, collezione Vario ART), Silvio Formichetti e Marcello Mariani. Accanto a loro, nella sezione Accademia del padiglione, anche Matteo Fato e Daniela D’Arielli (vedi Vario 72), Marino Melarangelo e Domenico Boffa. Ma la vera novità di questa edizione della Biennale, che si annuncia come una delle più imponenti in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, è la scelta del curatore di coinvolgere i singoli territori regionali, individuando alcuni poli espositivi per ospitare gli artisti locali. Circa cinquanta nomi hanno ricevuto l’invito di Sgarbi ad esporre nella Fortezza di Civitella del Tronto, nell’Aurum di Pescara e nel Museo Santo Spirito di Lanciano. Tra questi, molti artisti comparsi sulle pagine del nostro giornale: Ettore Spalletti, Emanuela Barbi, Angelo Colangelo, Luciano De Liberato, Diego Esposito, Nunzio, Paride Petrei, Enzo De Leonibus, Giuseppe Fiducia, Franco Summa e anche Sandro Visca, che –oltre a esporre due opere nell’Aurum e nella Fortezza di Civitella– presenta per l’occasione il suo film “Un cuore rosso sul Gran Sasso”, lavoro datato 1975 che documenta l’omonima performance dello stesso anno. Il film, rimasto inedito e custodito negli archivi dell’Istituto Luce per 36 anni, è stato sottoposto a un meticoloso lavoro di restauro e verrà proiettato in agosto a Santo Stefano di Sessanio come evento speciale nell’ambito della Biennale.
Raccontare la guerra Quando la letteratura incontra la solidarietà: l’edizione speciale di Montesilvano scrive dedicata ai “Racconti contro la guerra” ha devoluto il ricavato della serata al progetto di Emergency in Sierra Leone. Ecco il racconto vincitore ZVONIMIR di Manuela Chiavaroli
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uesto ospedale è strano, non è grande e luminoso come quello dove portarono la nonna l’anno scorso. Qui è sporco e i grandi piangono come bambini. Mi sono fatto male alla gamba mentre giocavo a pallone. Ho sentito un botto e sono caduto. Per fortuna se ne è accorto il signor Dejan e mi ha portato qui. Ho una ferita bruttissima, ma non ho pianto tanto, ormai ho 6 anni. Lui lo dirà alla mamma, che non c’era perché era a far spese con la mia sorellina. C’era solo la nonna, che è quasi sorda e non ha sentito nulla. Papà invece è partito per un lungo viaggio, non sappiamo per dove. > Spero di giocare presto a pallone. Tifo per l’FK Sarajevo, una delle due squadre della città, ma il mio giocatore preferito è Zvonimir Boban, che gioca nel Milan. Mi piacerebbe diventare come lui e magari andare pure io in Italia. Se ci riuscirò diventerò ricco. Porterò tutti lì e i miei amici mi verranno a trovare. Alcuni bambini più grandi dicono che Boban ora è un nemico perché è croato. Sono scemenze. Anche il mio migliore amico, Davor, è croato. Lui crede in un Dio strano, che non gli fa fare digiuni e gli permette di mangiare il maiale. Però gioca benissimo a pallone. Mi ha detto che loro e noi bosniaci eravamo alleati contro i serbi, ma io non li voglio uccidere perché non mi hanno fatto nulla e lui è d’accordo con me. La mia compagna di banco, Milka, mi ha detto che la sua famiglia è di Belgrado e mi ha chiesto se siamo ancora amici. Certo, perché non dovremmo esserlo? Lei mi aiuta nei compiti e io le regalo i fiori che le piacciono tanto. Parliamo tutti la stessa lingua, solo che loro pronunciano le parole in modo buffo ed è divertente. Davor mi ha anche detto che ora neppure i nostri due popoli sono più alleati. Allora ho pensato che non è vero che i grandi sono più intelligenti di noi. > Chissà quando verrà la mamma. Il dottore mi ha detto che mi deve tagliare la gamba. Era rattristato, io invece sono contento perché era malandata, ma quando mi crescerà quella nuova non avrò più ferite. Così sarà più facile fare il calciatore. > Oggi ci hanno sgridati perché abbiamo preso delle bende nuove, le abbiamo arrotolate e ci siamo messi a giocare a pallone. La porta era il mio letto e la traversa l’avevamo segnata a matita sul muro. Forse avevano ragione, ma qui non ci sono giocattoli, mi annoio, io non mi posso alzare mai, anche per andare in bagno mi devono aiutare. E mamma non viene…
• Manuela Chiavaroli, vincitrice del concorso con Alessio Romano, presidente del premio.
– Dorme Faruk? – Sì, ma abbassa la voce. – Le ho trovate a casa. Nude e coperte di sangue. – Anche la nonna e la bimba? – Hanno fatto un macello. La bimba era ancora viva, ma non me la sono sentita di portarla. Non si staccava dal corpo della mamma, era uno strazio. Non dobbiamo far sapere che queste cose le fanno anche alle bambine di due anni. Dobbiamo evitare crisi di panico e litigi. – Hai sbagliato: abbiamo il dovere di curare tutti. – Ormai ho fatto così. Discorso chiuso. –Il vicino di casa che l’ha portato qui ha detto che il bambino può tenerlo lui. Non è sposato, non ha figli, ma se la sente. Rogne sue. Per il padre gli hanno detto che è in viaggio. – Non è molto credibile. – Dovrà crederci. Siamo invasi dai bambini, ci manca solo che si lamentino. > Oggi mi hanno tagliato la gamba, sopra il ginocchio. Ci metterà tempo per ricrescere tutta. Mi hanno detto che anche la nonna, la mamma e Jasmine hanno raggiunto papà, ma non ci credo. Papà era in una località segreta. Mi stanno dicendo un sacco di bugie. Mi è venuto a trovare il signor Dejan, mi ha detto che tra poco uscirò e potrò andare a stare da lui. Ma io voglio tornare a casa mia. > Sono a casa del signor Dejan. Dalla finestra posso vedere che nel mio giardino ci sono tre mucchietti di terra, chissà chi li ha scavati. Il mio pallone c’era ancora, e l’ho ripreso. Gli ho detto che anche quando la gamba mi sarà ricresciuta non vorrò giocare a pallone finché non torneranno tutti. Lui allora è scoppiato a piangere e mi ha abbracciato. Ho chiamato Davor e Milka, non mi ha risposto nessuno. > Sto a letto, insieme al mio pallone. Cerco di alzarmi, ma è difficile alzarsi e camminare con le stampelle. Sarà difficile per tutta la vita, ma mi abituerò. Voglio andare nel mio giardino, tanto sulla rete c’è un buco e io ci passo. Facevo così anche quando giocavo a calcio nel nostro giardino e il pallone mi finiva in quello del signor Dejan. Ecco, ce l’ho fatta, posso avanzare con un ginocchio solo. Ora scavo una quarta fossa e ci metto dentro il mio pallone.
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VARIO Letteratura
La Storia ritrovata Tre abruzzesi, due guerre, un’Italia: la saga dei Mancini
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rugando per intima curiosità o per necessità d’archivio tra le carte di famiglia, avventurosamente sopravvissute a traslochi e pulizie pasquali, capita che da quel museo-colombario casalingo di «oggetti desueti», di memorie polverose, di reliquie inabitate, affiori un tesoro. Non rutilante di dobloni d’oro come nell’isola di Stevenson, ma sentimentalmente più prezioso: la piccola storia di famiglia mescolata a quella più ampia della patria, lungo passaggi cruciali di mutamenti generazionali, vicende d’amore, impegni di lavoro, lutti, guerre. La singolare scoperta di un simile peculio di documenti del passato l’ha fatta quasi casualmente (ma il caso ci rassomiglia, secondo Bernanos) Francesco Mancini, oggi stimato dirigente d’azienda, al di là ormai della conradiana linea d’ombra, un tempo (ahinoi, lontano) sessantottardo sotto il vessillo di Marx, figlio irrequieto di una famiglia borghese di rango, studente ingordo di scienze politiche e insieme praticante di culturismo fisico, quasi un «atleta-filosofo», per li rami di eredità familiari: un assiduo dei classici del marxismo, un divoratore dei padri dell’economia e del diritto e contestualmente un lottatore. Il neo-sacerdote di Clio –la musa della storia– invaghito della ricerca non estetizzante delle sue origini, ha avuto la fortuna di imbattersi nelle lettere dello zio Armando e in un diario del padre Antonio, i due fratelli Mancini (ma ce n’è un terzo, Luigi), assunti a impagabili cronisti di un periodo storico dal 1936 al 1944, che registra l’epilogo del fascismo e la seconda guerra mondiale, vissuti da soldati, l’uno, lo zio, nel mare Egeo dove s’inabissa tragicamente in una morte misteriosa, «combattendo i tedeschi, a fianco degli inglesi contro i quali era andato a fare la guerra», l’altro, il padre, che parte “a domanda”per la Corsica, in zona occupata, nel luglio 1943,dopo la caduta di Mussolini. Già vinti nel cuore. Un carteggio famigliare (1936-1944, presentazione di Lorenzo Ornaghi, editore Solfanelli) è il titolo del libro che su tali materiali ha imbastito l’autore con l’ambizione di disegnare, nell’ambito di corrispondenze legate alla sfera degli affetti, una trama di fatti, di comportamenti e di valori che hanno caratterizzato contegni, sentimenti e idee degli italiani, in quegli anni drammatici e sconvolgenti. Se da un lato affiora la saga di un ceppo familiare, diviso tra l’alveo amniotico del paese d’origine, Serramonacesca, ai piedi della Maiella, e lo sradicamento in luoghi lontani, che da uno status di piccoli possidenti di poderi via via sempre meno redditizi si trasforma in una famiglia borghese di professionisti, dall’altro versante emerge l’affresco di un Paese dilaniato e man mano contrapposto in lotte ideologiche, con «Italie differenti, talora estranee e sin ostili l’una all’altra» (Guido Crainz). I due fratelli, figli di Francesco, che è podestà di Serramonacesca e imprenditore estroso ma non fortunato, vivono, negli anni della grande depressione del 1929, un’adolescenza economicamente difficile, «solitaria, randagia», che li pone dinanzi alla necessità di conciliare studi e lavoro. Di formazione cattolica, rivelano subito un interesse profondo per gli studi («Io compresi che lo studio doveva avere per noi una grande importanza…», scrive Antonio nel diario), da autodidatti consapevoli che l’elevazione culturale è un mezzo di riscatto sociale, di lotta per combattere la povertà. «La loro formazione –si legge nel libro– è una corsa ad ostacoli, una gincana di scuole per corrispondenza, di corsi irregolari, di esami da privatista, di cambi di istituti-operai, professionali, “normali”». Armando è naturaliter educatore, ha la pedagogia nel dna, a sedici anni è maestro, un anno dopo supera l’esame di Storia della Filosofia con Guido De Ruggiero, il suo progetto –condiviso con un altro fratello, Gino– è quello di formare insegnanti per la nazione e per l’impero. A differenza del fratello più grande, rimane legato al borgo natìo, rimpiange il tempo felice di quando la famiglia conosceva gli agi, aderisce al fascismo con pienezza di convinzioni e la sua costante ideologica non si discosta dai valori tradizionali del nazionalismo cattolico.
• L’autore Francesco Mancini e la professoressa Elena Aga Rossi
Antonio non è da meno in quanto a vivacità intellettuale, ma la sua personalità è più forte, improntata ad un pragmatismo duttile e proteso verso la conoscenza degli uomini e delle cose, non ha nostalgie pasoliniane del passato rurale, anzi comprende che la civiltà contadina è agonizzante e il futuro di antico ha solo il cuore. La proclività verso la tecnica lo spinge verso altri studi, a pieni voti conquista la maturità scientifica, eccellendo in matematica: insegnerà balistica alla scuola d’artiglieria. Ma è anche lettore di romanzi ed è tentato dalla poesia (il libro riporta alcune sue prove di versi). Precoce nel rapporto con il mondo del lavoro, vince una borsa di studio a Chieti, frequenta la scuola per operai ed elettricisti, le sue lettere «sono piene di camere in affitto e abbonamenti a trattorie a prezzo fisso». Le lettere di Armando al padre e alla famiglia dai vari luoghi d’Italia e infine da Coo sono calde di affettuosità che non scivola nel sentimentalismo e inclini a vedere la realtà con ottimismo e fiducia negli altri. Si apprende dei suoi studi, della partecipazione agli Agonali –fase dei Littoriali– e della vittoria sul tema delle politiche educative, delle necessità di danaro («Mi dispiace pesare eccessivamente sulla famiglia…», scrive al padre da Iglesias), delle speranze future («Dopo la vittoria la vita della nostra famiglia potrà riprendere con quell’agiatezza che tutti meritiamo, ma soprattutto tu e la mamma…»), del piacere ricevuto nel sentire che nell’ambiente militare si parla del fratello Antonio «come di un portento», dell’orgoglio «del sacrificio per una causa grande e nobile». «Pensate –scrive alla madre nell’aprile ’43– che qui ci sono soldati che non sono tornati a casa da oltre quattro anni. Eppure, se domandate loro che cosa desiderano, vi rispondono: prima la Vittoria, poi la licenza». Circola nelle lettere, di cui è riportata una selezione, un empito di speranza e di «certezza» nel «migliore avvenire» del popolo italiano, che non crolla neanche dopo la «terribile prova» dei mutamenti. Nell’ultima lettera al fratello Gino si legge: «Tieni alta la fiducia nelle nostre armi e la necessità, il diritto alla vittoria. Come abbiamo fatto sempre». Forse i sentimenti verso il fascismo sono cambiati, ma non verso la Patria. Muor giovane chi agli dei è caro, recitava l’Antico, e il destino tragico di un’anima bella come Armando non sembra avere diverso esito. Trasferito a Pesaro, conosce, nell’estate ’40, Tina, figlia di un maresciallo dei Carabinieri: una donna spigliata, di gusti moderni, amante della musica. Cattolica. Per pregiudizi dei genitori di entrambi non c’è incoraggiamento al loro rapporto, ma Tina «cambia» la vita di Antonio, diviene il centro dei suoi pensieri, la sua confidente, il suo legame più profondo con la realtà e lo schermo su cui riflette gli avvenimenti e i progetti. Verso il fascismo non ha ostilità, riconosce meriti e capacità di Mussolini, ma non ne fa un idolo, non ha simpatia verso il corporativismo che sa di medioevo, l’autarchia, «buffonate» come la campagna del grano (apprezzata invece da Armando), non vibra di slanci irenici verso la guerra ma la trova ingiusta, incapace di risolvere i problemi dei popoli. Il diario di Antonio è un lungo colloquio d’amore con la sua donna, in cui la meditazione della vita e dei suoi drammi fa quasi da controcanto, da antifonario di un sentimento che occupa l’animo e la mente di Antonio. Ad esso si accompagna il valore della scelta che Antonio non esita a fare: dinanzi al fascismo franante, mentre vigoreggiano il «tutti a casa» e l’attendismo o la fuga dai doveri di cittadino, rimane a combattere. A quale Italia apparteneva Antonio Mancini, se si prende per valido lo schema delle «tre Italie» dello storico Gianni Oliva, che le divide in quella dei vinti, quella dei vincitori e quella di tutti gli altri? Tra l’Italia che andò a Salò, l’altra che scelse la Resistenza e «quella di mezzo», l’Italia della «zona grigia», del disimpegno, dell’astensione, dell’attendismo, della «diserzione da compiti e responsabilità istituzionalmente richiesti all’individuo» (Raffaele Liucci, La tentazione della “casa in collina”), in quale catalogare l’Italia di Antonio Mancini, «già vinto nel cuore» ma Giacomo D’Angelo civilmente non dimissionario.
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Francesca Bertuzzi
VARIO Letteratura
L’anima nera dell’Abruzzo
di Alessio Romano
FRANCESCA BERTUZZI è nata a Roma nel 1981. A 22 anni ha conseguito il master biennale in “Teoria e Tecnica della Narrazione” alla Scuola Holden di Torino. Successivamente ha seguito un laboratorio di regia diretto da Marco Bellocchio e Marco Müller. Negli ultimi anni, si è dedicata alla scrittura cinematografica, vincendo premi e riconoscimenti internazionali con diversi cortometraggi. Al momento sta lavorando al backstage, da lei diretto e montato, del film Vallanzasca - Gli angeli del male di Michele Placido.
Progetto grafico Falcinelli&Co. Foto © Gettyimages www.newtoncompton.com
QUANTO PAGHERESTI PER AVERE UNA RISPOSTA ALLE TUE DOMANDE PIÙ INCONFESSABILI?
FRANCESCA BERTUZZI
di ritmo che deriva da qui. Ma anche di “ganci” alla fine di ogni capitolo che derivano dallo studio della sceneggiatura. Tu hai frequentato scuole molto famose: prima la Holden di Torino fondata da Alessandro Baricco e dopo il Barbarano CineLab di Bellocchio e Muller. Che giudizio dai di queste due esperienze formative? Due anni alla Holden mi hanno dato tantissimo. Non so come sia ora, ma quando avevo 19 anni per me è stata un’esperienza veramente entusiasmante: la possibilità di rapportarsi con persone che FRANCESCA BERTUZZI avevano la stessa passione la scrittura e con tutti i “big” delle letteratura. Barbarano è stata un’esperienza più rapida, comunque molto bella e utile. È possibile sfondare nel tuo mondo anche per un aspirante scrittore o regista che viva in Abruzzo? Oppure andarsene verso città più grandi è indispensabile? Si può scrivere ovunque. Però io sono una persona che prende N molto dalla vita. Ho bisogno di conoscere persone e posti diversi, farmi raccontare storie e appropriarmene e poi restituirle nel mio lavoro. •Francesca Bertuzzi Però, alla fine, il vero esotismo lo hai rintracciato nella pro- Il carnefice Newton Compton vincia e nella tua infanzia, non trovi? Avevo bisogno, come protagonista del libro, di una donna che 2011, pp. 288, € 9,90 fosse totalmente indifesa, ma che ponesse tutte le sue forze per L’autrice sarà alla non diventare una vittima. In un posto puro come San Buono, poi, Feltrinelli di Pescara il poteva vivere nella salvezza assoluta. Da un punto di vista narra- 16 lugio alle 19.00 tivo volevo metterla di fronte al male per farla reagire nel pieno spirito abruzzese che io conosco: cioè con orgoglio, fierezza e testardaggine. Come pensi che gli abitanti reali di San Buono prenderanno l’uscita del tuo libro? Io San Buono l’adoro perché penso che sia uno dei pochi posti rimasti liberi da un certo genere di contaminazione urbana. Ho lì gli amici d’infanzia. Avere messo il male all’interno di San Buono è stato un modo per esorcizzarlo e rendere San Buono un posto totalmente salvo. QUALI FANTASMI DEL PASSATO TORMENTANO IL TUO PRESENTE?
UN THRILLER INQUIETANTE AMBIENTATO NELL’OSCURA PROVINCIA ITALIANA
COSA SARESTI DISPOSTO A FARE PER SALVARE CHI AMI?
SCOPRI, COME L’INTREPIDA DANNY, IL GUSTO DOLCEAMARO DELLA VERITÀ. SEGUI LA SUA AVVENTURA IN UNA TORBIDA ESTATE DI PROVINCIA, CERCA IL CARNEFICE
NUOVA NARRATIVA NEWTON Il carnefice
Francesca Bertuzzi
Euro 9,90
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l libro di punta targato Newton Compton per l’estate 2011 è ambientato a San Buono, piccolo borgo della provincia teatina, scelto per il suo esordio da Francesca Bertuzzi, neanche trent’anni e già una carriera nel mondo del cinema e una solida preparazione letteraria. Un noir fresco, adrenalinico e “tarantiniano” a San Buono, un migliaio di abitanti nella montagna vastese. Come mai questa scelta? È il paese di origine della mia famiglia materna. Io sono cresciuta a Roma, ma tutte le vacanze estive fino all’adolescenza le ho passate a San Buono. Una location perfetta che in ogni pagina fa pensare ai grandi maestri americani del genere. Io sono un’appassionata di romanzi e film noir (penso ai fratelli Coen o ai romanzi di Lansdale). Ho trovato grandi affinità tra i sobborghi texani di queste opere e l’Abruzzo della mia infanzia. Non solo: anche caratteristiche antropologiche, come una certa schiettezza delle persone e l’uso di armi da caccia piuttosto diffuso. Mi è sembrato di raccontare il Texas in Italia. Il Carnefice è il tuo romanzo d’esordio, e da tempo sei alle prese con lavori importanti nel cinema. Di cosa ti stai occupando ora? In questo momento sto ultimando il backstage di Vallanzasca - Gli angeli del male, l’ultimo film di Michele Placido. Devo dire che avere avuto l’opportunità di vedere grandi maestri al lavoro è stato sicuramente un input in più per non demordere lungo una strada che può sembrare incerta. Il cinema influenza molto il tuo libro sia per il montaggio narrativo che hai scelto, sia per la capacità di creare immagini nella mente del tuo lettore. Sembra un romanzo destinato a diventare un film… Il mio libro è raccontato per immagini. Non a caso una delle caratteristiche che ho dato a Danny, la protagonista, è la passione per i B-movie horror. Per me, comunque, sarebbe un sogno che si realizza vedere Danny e Drug Machine muoversi per le stradine di San Buono. Finora l’Abruzzo è stato raccontato in tante sfaccettature, ma questo potrebbe essere un inedito punto di vista. Quanto all’influenza, è un rapporto di scambio reciproco. Sono partita dal fascino dello scrivere storie. Poi ho fatto montaggio per anni e mi sono abituata a raccontare per immagini. Nel mio libro c’è un idea
ISBN 978-88-541-2973-3
9 788854 129733
Newton Compton Editori
ROMANZO
NEWTON COMPTON EDITORI
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n uno di quei picco all’apparenza tranquill cui il male esiste, si nut sce fra le vie strette, le ca denti e i bar semibui, sta inizio l’incubo. È qui c Danny, una ragazza di ori cane, arrivata in Italia anc bina, insieme alla madr sorella. Una sera, dopo a so il bar in cui lavora, Da ne aggredita. Fa appello forze che ha per difende brutale violenza, finché la arriva Drug Machine datore di lavoro e l’amico ro. Ma il peggio per lei cora arrivare e la sta asp proprio sulla soglia di ca ragazza trova uno stra saggio che fa d’un tratt rare i dolorosi fantasmi d infanzia: una sorellina e dre scomparse troppo troppo in fretta, violenz e taciute, difficili da r re… Chi ha lasciato qu sciante messaggio e per vuole riportarla indietro po, insinuando in lei dubb di sconvolgerle la vita? In scendo di colpi di scena r ranno, uno dopo l’altro segreti e sepolte bugie. sarà la più scomoda e inq che si possa immaginare
VARIO Libri Narrativa/Di Iorio
Narrativa/Aquilio
Romanzi/Capobianchi
Un libro intenso e coinvolgente. Ironico e pieno di dettagli. Un libro in cui Roberta Di Iorio, abruzzese di Popoli, classe 1975, narra l’appassionante storia d’amore tra Ludovica e Lorenzo, giovane studente universitario di quattordici anni più giovane di lei. Il dramma e la bellezza di una comune liaison dei nostri giorni, tra differenze generazionali inestinguibili e volontà di creare un ponte (di amore) affinché la differenza scompaia.
Alessandro Aquilio descrive la tragedia collettiva di un’intera città e della sua comunità attraverso le vicende della propria famiglia: dai 23 secondi della scossa mortale, per passare alla condizione di sfollati e approdare all’inizio di un difficile cammino verso una nuova vita. Paola Turci, una delle cantanti che hanno partecipato al progetto “Amiche per l’Abruzzo”, ha curato la prefazione del libro che ha già riscosso un notevole successo di pubblico e critica in occasione delle presentazioni a Londra, Milano, Basilea, Genova, Varese.
Una ragazza trovata morta in un parco, un’insegnante di pianoforte altera e distaccata, un commissario di polizia dal passato oscuro e tormentato che tutto vorrebbe meno avere a che fare con un temibile avversario, un assassino spietato. Sullo sfondo, in ogni pagina, una città di provincia coi suoi misteri, le sue trame, piccoli egoismi e rivalità. Il nuovo thriller di Angela Capobianchi, nelle cui pagine è facile riconoscere la sua amata Pescara, è un romanzo a tinte forti che conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, il talento di quest’ex avvocato che ha lasciato la professione per dedicarsi alla scrittura. I suoi romanzi Le ragioni del lupo (1998) e I giochi di Carolina (2006) sono stati tradotti in diverse lingue.
Roberta Di Iorio Tutta colpa del Granduca Cosimo III Tracce, 2011 pp. 120, € 11,00
Alessandro Aquilio 23 Secondi Kellerman, 2010 - 256 pp., € 13,00
Angela Capobianchi Esecuzione Piemme, 2011, pp. 456, € 18,50
Saggi/Di Tizio Uomini e fatti che contribuiroRomanzi/Scheri Poesia/Rosato no all’epopea risorgimentale in Pittrice e autrice di poesie, Anna Giuseppe Rosato ci regala un’altra Abruzzo, regione che “ha partecipato Rita Scheri narra di una donna silloge di poesie dialettali dopo attivamente e largamente al grande “determinata all’amore e dall’amore Ecche lu fredde (1986), L’ùtema lune processo unitario”, scrive Di Tizio nella imprigionata”, con una scrittura “sec- (2002), La ’ddore de la neve (2006) e premessa. Un libro che, lungi dall’inca e armoniosa” che “non trasuda di Lu scure che s’attonne (2010, Premio tenzione di essere esaustivo, vuole minimalismo” (dalla presentazione). Pascoli). Una delicata raccolta di cominciare un processo di riscoperta Un romanzo bello e coinvolgente sensazioni e pensieri legati dai di un oscuro periodo storico, “nella che torna al romanticismo puro colori dell’inverno e impreziosita dai consapevolezza che conoscere il pasregalandoci un ritratto appassionato disegni del figlio Lucio. sato e la grandezza delle generazioni di una donna nella quale è difficile che ci hanno preceduto aiuterà noi non ritrovare un po’ di noi stessi. Giuseppe Rosato abruzzesi ad affrontare con maggiore La nève Anna Rita Scheri vigore il futuro”.
Protagonista di vita Aracne 2011, pp. 227, € 15,00
Carabba editore, 2010, pp. 45, € 9,00
Luciano Di Tizio L’Abruzzo nel Risorgimento Ianieri Edizioni – Fondazione Pescarabruzzo, 2011, pp. 95
Manuali/Colletti Come inventarsi un lavoro “fai-daweb”: dalla pianificazione della fuga all’organizzazione della sopravvivenza in dieci passi, spiegati in decine di testimonianze dal giovane Giampaolo Colletti, egli stesso parte della schiera dei wwworkers, ovvero coloro che hanno deciso di affrontare il mare virtuale e di cercarvi un’isola di successo, spesso abbandonando (come lo stesso autore, ex dipendente di un’azienda di telecomunicazioni) una precedente occupazione.
Giampaolo Colletti WWWorkers - I nuovi lavoratori della rete Gruppo 24Ore, 2011, pp. 180, € 18,00
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VARIO Eventi
OGNI DOVE
DINAMICHE CONTEMPORANEE
Dopo circa trenta brani firmati per etichette internazionali, Andrea Gabriele ha rilasciato la sua prima produzione autonoma: “Ogni Dove“, dedicato all’opera dello scomparso Mario Masullo, uno dei pionieri della musica elettronica europea. Il disco, in vinile e cd e in edizione limitata, vede la preziosa collaborazione di Marco Mazzei, Max Leggieri, Andrea Di Cesare e Bianco-Valente. Andrea Gabriele, amico e collaboratore di Masullo, ha messo in questo lavoro tutto se stesso, “decuplicando l’onda di energia generata dalla scomparsa prematura di Masullo”, scrive Luigi Pagliarini. “Sette brani incredibilmente complessi che Gabriele ha composto e arrangiato sentendo profondamente accanto a sé la presenza dell’amico”.
Cinquanta artisti nelle varie sezioni di pittura, scultura, ceramica, disegno, grafica, fotografia, design su oggetistica in porcellana, videoinstallazioni e fumetto selezionati dalla curatrice della bella mostra Anna Maria Cirillo. Le luminose sale dell’Aurum hanno fatto da cornice alla mostra che ha ottenuto un’ottimo successo e che è stata visitata da un numeroso pubblico di appassionati d’arte. Presenti artisti storici e giovani emergenti: Giorgio Acerra, Gabriella Albertini, Alessandro Biondo, Alfea Ciccone, Angelo Colangelo, Mario Costantini, Mauro De Rubeis, Donato Di Zio, Guido Giancaterino, Anna Maria Magno, Sandro Melarangelo, Gaetano Memmo, Albino Moro, Albano Paolinelli, Massimina Pesce, Danilo Susi, Giuseppe Tanzi, Italo Tenaglia, Vittorio Verderosa, Vinicio Verzieri, Gianfranco Zazzeroni, Bruno Zenobio, Andrea Carella, Noemi Caserta, Sabrina D’Arcangelo, L’INCIPIT DI ARMANDO DI ANTONIO Paolo De Felice, Sogna Del Ciotto, Guido Di Marzio, Antonella Disanti, Armando Di Antonio, fotografo teramano di caratura internazionale, ha re- Learda Ferretti, Anja Kunse, Vilma Maiocco, Andrea Tattoni, Michela Tiberi, centemente prodotto una sua personale fotografica al Centro Electa di Tera- Bruno Colalongo, Camilla Di Fulvio, Loris Speziale, Iolanda Di Bonaventura. mo dal titolo Incipit, nata dall’incontro dell’artista con il mondo della danza: l’inizio di un percorso personale e creativo in continua evoluzione. DA CALVINO A LORETO APRUTINO La mostra è il risultato di una attenta selezione dell’autore che, nel proporre il Quattro città invisibili, quattro approcci differenti e quattro mesi per una rassuo lavoro al pubblico, narra una storia nuova: “Una volta scattate, lascio che segna che vede protagonisti quattro giovani talenti della fotografia abruzle foto decantino, perché è facile scegliere un’immagine preso dall’emozione zese volti a ritrarre ciò che è impalpabile ad occhio nudo ma reso possibile del momento, ma è controproducente. A freddo colgo dei particolari, delle attraverso l’obiettivo. Liberamente ispirata al testo di Italo Calvino Le Città sfumature, che mi fanno vedere le cose con occhi diversi. Quando ciò che Invisibili, la rassegna seguirà un percorso diviso in quattro tappe: partita il 13 vedo nella foto è diverso da ciò che pensavo di trovarvi, allora so che funzio- giugno da Loreto Aprutino e dintorni con il reportage di Giorgio Liddo legato na e sono pronto per raccontare questa nuova storia”. al territorio e al futuro dell’agricoltura, proseguirà l’11 luglio con Parigi e le polaroid di Paolo Angelucci, poi dall’8 Agosto ci sarà Beirut con il Gaza Hospital per il lavoro sociale di Iacopo Pasqui, per terminare il 5 settembre con lo straniamento estremo di Tokyo immortalata da Massimiliano Costantini. La rassegna si svolgerà nelle meravigliose stanze del Castello Chiola di Loreto Aprutino. Per informazioni www.castellochiola.com.
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Vario ART 2011
EMANUELA
BARBI
La dimensione umana tra spirito e materia: il coraggio di essere artista
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uardi Emanuela Barbi e ti senti subito contagiare da quello sguardo glaciale. Ha l’espressione tipica di chi è forte delle proprie idee, di chi non ha paura di dire quel che pensa. Dietro quegli occhi c’è un vissuto, una consapevolezza rara, raggiunta in anni di lavoro su se stessa. Poi, ad un tratto, su quel viso piccolo assemblato su un corpo solido ma minuto si apre spontaneo un sorriso, ed è come un raggio di sole che squarcia un cielo denso di nubi. E non sono casuali le similitudini naturalistiche, perché la ricerca artistica di Emanuela si è indirizzata, negli ultimi anni, verso una sorta di misticismo uomo-natura che l’ha portata (come di consueto nella sua lunga vita d’artista) a mettere in gioco se stessa, anima e corpo, per raggiungere un ulteriore tappa nella fortificazione spirituale. L’arte e la ricerca artistica come elevazione verso il divino. «Ho trascorso gli ultimi dieci anni in un progressivo isolamento, sono andata a vivere in campagna, mi sono sempre più allontanata dal cosiddetto “giro”, da un sistema che ti vuole sempre presente. Mi serviva per lavorare su me stessa e per seguire la mia ricerca artistica, tesa al raggiungimento di un benessere spirituale. Sono passata da un periodo in cui lavoravo sul travestimento, sulle maschere, sulla trasformazione, a uno in cui ho avuto necessità di spogliarmi completamente di tutto ciò che ero per liberarmi di ogni convenzione. Ritengo emblematico il video Tenero grano duro (2001), in cui mi rotolo giù da una collina in mezzo a un campo di grano. Sintetizza la ricerca di una mimesi estrema, un approccio quasi francescano alla natura». A cosa ti sei dedicata? «Mi sono occupata di nutrimento, fisico e spirituale. È fuori di dubbio che siano due cose che vanno di pari passo: non si nutre lo spirito senza nutrire il corpo, ma un certo tipo di nutrimento può aiutare a raggiungere un benessere spirituale. Ho sperimentato anche lunghi digiuni, non senza conseguenze; poi mi sono avvicinata alla macrobiotica, un concetto che mi ha portato a vivere un rapporto molto forte e diretto con la natura, rapporto che è al
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centro dei miei ultimi lavori. È stata un’esperienza, una fase della mia vita. Che poi essenzialmente coincide con la ricerca, per me è difficile scindere la vita dall’arte. E un’altra esperienza, derivata da questa, è stata la ricerca sulla follia, un tema che da sempre mi affascina tantissimo. Per raggiungere uno stato psicofisico che mi aiutasse a capire quella condizione mi sono spinta così oltre fino al punto di vivere un’esperienza in Psichiatria». Un’esperienza pericolosa. Ma hai sempre bisogno di “toccare con mano” quello che cerchi? «È stato necessario. Forse ho rischiato un po’, ma è stata un’esperienza che mi ha dato moltissimo. E comunque io sono un’integralista, in un certo senso. Se mi dedico a qualcosa lo faccio al cento per cento, senza compromessi. Anche perché vivo molto nel presente, non sono in grado di fare programmi a lunga scadenza. Quindi oggi sono così, magari un domani riuscirò a lavorare su qualcosa con minore coinvolgimento». Intanto però hai rischiato parecchio. Come sapevi che ne saresti uscita? «In realtà non lo sapevo. Ma non ho un approccio masochistico all’arte (e alla ricerca), non sono di quelli che si autodistruggono, ho un forte istinto di conservazione; e poi ho molta fede: in un’entità, qualcosa di superiore, insomma una “mano” che mi salva ogni volta che mi spingo troppo oltre». E magari oggi sei anche più matura. In cosa sei cambiata, con gli anni? «Senz’altro ho raggiunto una maturità, ma soprattutto credo di essere cresciuta nella consapevolezza. Per esempio, restare “fuori dal giro” per un lungo periodo poteva essere penalizzante, ma per me non è stato così. Ora che sono tornata nel circuito dell’arte ho visto con piacere che nessuno mi aveva dimenticata, che è tutto tornato esattamente come prima. Credo sia la prova che se faccio il mio lavoro con passione, le cose “tornano” sempre».
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Vario ART 2011
CONNIE
STRIZZI Coraggio e paura, profondità e frivolezza: l’infinita alternanza dei sentimenti in una pittura dalle forti connotazioni psicanalitiche
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riccioli biondi che le contornano il viso ricordano le volute dei suoi disegni, fitte trame colorate che rivelano (o nascondono) forme vaghe, spesso riconducibili a figure femminili. Quella di Connie Strizzi è una pittura che rispecchia completamente la sua personalità, caratterizzata da forti contraddizioni, da una continua lotta tra gli opposti, tra punti e linee, tra colore e monocromia, tra pieno e vuoto. «Mia madre è stata sempre il mio critico più severo, a volte mi capitava di dover nascondere dei lavori perché diceva che le mettevano ansia. Va detto che ho cominciato col figurativo, che resta la mia base anche per i lavori attuali. Alcune opere, a guardarle bene, evocano figure che a volte, malgrado i colori vivaci e il tratto delicato, sono tutt’altro che rassicuranti». Ci sono delle cose più vaghe e alcune più definite. Ti piace più il vuoto o il pieno? «Viviamo in una società satura di immagini. Io ho paura del vuoto (una sorta di vuoto ancestrale che si è attenuato solo con la nascita di mia figlia Alice) ma allo stesso tempo ne ho bisogno come spazio creativo. La mia casa-studio è dominata da un caos razionale, spazi ampi definiti, essenziali. Ho bisogno di un ambiente neutro per poi riempirlo con le mie immagini». Come è cambiato il tuo lavoro rispetto agli inizi? «Credo che quello che faccio oggi sia la naturale evoluzione di ciò che dipingevo in passato. Ho una predilezione per la figura femminile, che prima era spesso avvolta in panni e drappeggi. Oggi si può dire che l’obiettivo sia puntato solo su quei segni che un tempo formavano i drappi. La figura ora è sedimentata, nascosta; non è detto che prima o poi non riemerga dalla trama del segno». Ma sai dove ti sta portando questa strada? «Certamente no, e penso che il bello sia proprio questo: è l’unico vuoto/ignoto che non mi spaventa, anzi mi stimola. Cavalco l’onda emotiva del momento, con uno sguardo al passato poiché penso che in ogni opera presente ci sia l’embrione dell’opera futura. Ogni lavoro in sé racchiude la propria madre (il passato) e la propria figlia (il futuro).Tanto per rimanere in ambito femminile».
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La tua pittura è emotiva, fantasiosa, apparentemente “frivola”, ma per realizzarla ti circondi di serietà, di linee e di razionalismi. «La razionalità è un’arma per contenere le paure. Io ne ho tantissime – paure ancestrali che solo un occhio attento riesce a cogliere. Qualcuno mi ha detto “parli di mostri con il sorriso”, e anche questa è una strada che approfondirò in futuro. Ho una sensibilità particolarissima alla luce e sono meteoropatica: il tempo grigio mi deprime, vorrei vivere in un’eterna primavera. Se potessi, mi trasferirei a Fuerte Ventura: paesaggi lunari e luce meravigliosa». E cosa porteresti con te? «La mia famiglia, naturalmente. Io credo molto nella famiglia. E il mio taccuino, sul quale prendono forma le idee. È l’origine del processo creativo che mi porta a realizzare un’opera». Chi sono i tuoi modelli di riferimento? «Senz’altro Unica Zürn, un’artista tedesca i cui lavori mi hanno particolarmente ispirata per il segno, l’apparente caos, per il moto creativo che si percepisce osservando la sua folle, geniale opera. Un’arte, la sua, che mi fa pensare anche alla solitudine». Hai paura di restare sola? «Penso che sia la paura che ognuno di noi si porta dentro. Anche se – come per il vuoto– nel mio caso ho bisogno di solitudine per coccolarmi, per riflettere su me stessa. Parafrasando Bob e Roberta Smith, due artisti inglesi,“I do my damn art”». Ma come concili quest’indole solitaria e le tue paure con l’aspetto mondano della vita artistica? «È di vitale importanza essere informata su cosa accade nel mondo dell’arte contemporanea ma partecipo a pochissime mostre. Le personali le trovo particolarmente stressanti, è un mettersi a nudo quasi imbarazzante. Mi piace moltissimo, invece, mostrare i miei lavori alle persone a me vicine, soprattutto ai miei“ragazzi”del centro anziani dove lavoro. Mi piace creare immagini che alludono a qualcosa ma il cui senso non appare evidente, quindi spesso facciamo una sorta di gioco. Ed è bello sentirli parlare di ciò che vedono nei miei lavori. Non è forse questa la magia dell’arte?»
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VARIO Tabù
Traghetti senza Caronte di Laura Grignoli “Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore: fecemi la divina potestate, la somma sapienza e ‘l primo amore. Dinanzi a me non fur cose create Se non eterne, e io eterna duro. Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”. (Inferno, Canto III, vv. 1-9) Dovremmo affiggere sul molo di Lampedusa queste parole, quelle che Dante vede scolpite sulla sommità di una porta, all’ingresso dell’Inferno, quando si trova sulla soglia del mondo delle anime dannate. La povertà è in fuga. Verso la ricchezza e il benessere. In migliaia si ammassano come sardine su una bagnarola alla ricerca di un paradiso perduto. Eh, già. Il paradiso è sempre lontanissimo, nell’imma-
ginario è lontano, là oltre il mare. I poveri derelitti che sbarcano sui nostri lidi non sanno che a loro la ricchezza è passata sotto il naso quando è stata loro sottratta. Loro che avrebbero maneggiato diamanti e si sarebbero sporcati di petrolio. Scappano per raggiungere il paradiso ma trovano un altro inferno. Meno feroce di quello lasciato, meno cruento forse, ma l’inferno del rifiuto e dell’emarginazione è un inferno che brucia a fuoco lento. Non c’è Caronte che accerti che le anime da trasportare abbiano la monetina sotto la lingua, ma dei caronti disgraziati che di “monetine” ne vogliono tante e senza assicurazione sull’arrivo sicuro all’altra sponda. Sempre di anime “morte” si tratta. Il nuovo Caronte ha impresse sul volto avido inutili speranze: “Non isperate mai veder lo cielo; i’ vegno per menarvi all’altra riva ne le tenebre eterne, in caldo e ‘n gelo.” (Inferno, Canto III, vv.82-89) Ma nessuno sa leggere…
La passività: cosa comporta essere defilati di Galliano Cocco Come anticipato nello scorso articolo entriamo nello specifico della descrizione dei principali atteggiamenti che, nelle relazioni interpersonali, mettiamo in campo nella nostra quotidianeità. Ribadendo che non intendiamo dire che le persone sono in un modo o in un altro - etichettando banalmente comportamenti sempre complessi - ma semplicemente presentare e applicare un modello a cui fare riferimento per comprendere al meglio i nostri e gli altrui comportamenti. Lo scopo è ovvio: comprendere la realtà per potervi agire nel migliore dei modi possibili. Facciamo qualche esempio. Molte volte, nel corso di una situazione di gruppo, una riunione di lavoro o la semplice scelta di un luogo dove passare una serata con gli amici, avremmo voluto assumere un atteggiamento diverso e abbiamo pensato: “perché non sono intervenuto? Avrei voluto dire la mia …..Sapevo che quel tipo di cena non mi sarebbe piaciuto!!”. Però non l’abbiamo fatto e abbiamo attuato, in questa occasione, un modo di relazionarci di tipo passivo. Lo stesso ragionamento si può immaginare riferito all’atteggiamento improntato all’aggressività, alla manipolazione o all’assertività. E’ intuibile che nessun essere umano esprime modi di essere “sempre” e “totalmente” di un tipo: nel corso della gior-
nata o di una qualsivoglia attività noi possiamo passare da una modalità all’altra anche nel breve volgere di pochi attimi. Individuare in quale modalità prevalente stiamo ‘giocando’ la nostra relazione in quel contesto e con quel ricevente aiuta a comprendere quale dev’essere la modalità più efficace per far sì che la relazione vada nella direzione auspicata. Entrando nello specifico dell’atteggiamento improntato alla passività notiamo che esso è caratterizzato, come indica il termine stesso, dal fatto che la persona è in genere poco motivata e disinteressata. Ripiegata su se stessa tende ad indugiare nel prendere iniziative e, quasi sempre, permette agli altri di decidere per lui e/o manipolarlo. Il soggetto può apparire emotivamente inibito e con tendenze ad isolarsi. Spesso si sente insicuro ed insoddisfatto, a volte frustrato e, nei casi più patologici, anche depresso. Non raggiunge - o lo fa con fatica e frustrazione - i propri obiettivi personali e di lavoro. Preferisce ricevere comunicazioni a una via, non dà molti feedback e nel corso della comunicazione può generare nell’interlocutore sensazioni di imbarazzo, noia o irritazione. L’atteggiamento di passività è una sorta di “fuga” dalla realtà ed è il meno proattivo e gratificante; è anche quello che soddisfa poco sia l’individuo stesso che l’in-
terlocutore, incrinando o danneggiando quasi sempre le reciproche relazioni. Anche in questo atteggiamento, però, vi è un qualche aspetto positivo poiché, ad esempio, permette di recuperare energie psichiche e fisiche: rilassandosi e “chiamandosi fuori” dagli impegni si allontanano le situazioni di stress, soprattutto nel senso del distress, lo stress negativo che provoca reazioni disfunzionali per l’organismo. A conclusione possiamo sintetizzare questo primo tipo di atteggiamento preso in esame proiettandolo in una tipica situazione di lavoro. Siamo nel nostro ufficio, piuttosto saturo di impegni e sotto pressione, e un collega - noto per la sua proverbiale disaffezione al lavoro - vi chiede di sbrigare una pratica che toccherebbe a lui ma che, come al solito, cerca di sbolognare ad altri! Di fronte a questa situazione le risposte messe in campo possono essere improntate, appunto, alla passività, aggressività, manipolazione o assertività. In questo caso l’atteggiamento attivato sarà di questo tipo: con tono di voce remissivo, mentre si prende in consegna la pratica, rispondiamo: “Ma lo sai che sono oberato anch’io di pratiche…comunque lasciamelo, cercherò di farlo in giornata”. Vedremo, nei prossimi articoli, quali saranno le altre modalità di comportamento.
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Architettura / Vario
Editoriale di Massimo Palladini Presidente dell’Ordine degli Architetti e PPC della provincia di Pescara
Premio Gaspare Masciarelli Vincitori ex aequo sezione Opera Prima Matteo Bosio Rachele Fosco Residencia Ilha Santa Rita, Alagoas / Brasil
L
a città è una foresta; la città è un mare ondoso: queste metafore accompagnano, in certi passi della letteratura, la descrizione della condizione urbana, questa complessa, difficile, affascinante dimensione che l’uomo si è costruito. Gli architetti sono lì in mezzo e cercano di tracciare un sentiero o di tenere una rotta. Non sempre riescono:la vegetazione è troppo folta o un “cavallone” è troppo alto. I passeggeri o gli escursionisti avvertono la difficoltà e, spesso, la attribuiscono a questi tecnici anomali, costruttori e teorici, muratori acculturati. Essi evocano immaginari, a volte, diffusi e condivisi, altre, coltivati minoritariamente, inseguendo ossessioni: poche volte traspare il lavorio, la costruzione del pensiero che sta dietro alle forme e, perciò, è alterna la loro fortuna. Questo non è capitato, tuttavia, a Gaspare, il nostro amico e collega che ci ha lasciato: egli ha attraversato e solcato la città con la leggerezza che gli è stata riconosciuta, ma comunicando sempre ai suoi compagni di viaggio il senso di quel che faceva, la direzione e, anche, l’ostacolo. La rivista presenta altrove un suo profilo più ampio: io qui lo ricordo come scolaro dei colleghi più esperti e maestro disponibile per i più giovani. Ecco perchè vogliamo che ci sia il Premio di Architettura “Gaspare Masciarelli”: perchè la foresta ed il mare chiedono sapienza ed umiltà e noi vogliamo dirlo ai più giovani di noi, ai nostri interlocutori ed alla più vasta opinione pubblica. I partecipanti alle due sezioni, dedicate ai colleghi neo-iscritti ed a quelli under 35, hanno presentato progetti di notevole livello, curati nella grafica e, sopratutto, espressivi di sostanza tecnica e compositiva. La giuria ne ha apprezzato la qualità e, per decantazione progressiva, ha scelto i premiati che, direi, hanno vinto per un’incollatura su un bel gruppo. Tirando le somme, l’iniziativa ci sembra buona ed ha prodotto i suoi primi frutti, che esporremo presto in un’apposita mostra, dove questi lavori saranno affiancati da quelli dei migliori giovani italiani. Ne esce rafforzato il segnale che volevamo dare: la qualità architettonica serve all’affermazione professionale del progettista ed, insieme, alla città, con dentro i suoi abitanti.
Emanuele Luciani Giovanna Di Virgilio Ambulatorio Polivalente “I tre angeli per la vita” a villaggio M.A.P. San Gregorio - L’Aquila con menzione speciale per progetto legato ad evento calamitoso
Vincitore sezione Tesi di laurea Roberto Catalano Recupero del Centro Storico a Miglianico
Menzioni sezione Tesi di laurea Danilo Mancini / Walter Nobile Il paesaggio riciclato: la cava accoglie il centro culturale
Viola Serafini Nuove centralità urbane a Roma - Torre spaccata: abitare la centralità
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Architettura
Gaspare L’architetto nel ricordo commosso di un amico col quale ha condiviso le passioni di una vita, dall’architettura al basket. di Paolo Vercesi
«Z
oppichi, come mai?». «Sì, mi fa male un po’ la gamba, m’è uscito fuori un altro acciacco, ma tra due giorni entro in ospedale per rimettere tutto a posto». «Animo campione, chissà, saranno forse acciacchi che tornano dai vecchi tempi del basket, in bocca al lupo». Questo botta e risposta poco più che banale, durato il tempo di una discesa in ascensore –dal quarto piano dell’Urbanistica del Comune al piano terra– ha segnato il mio ultimo incontro con Gaspare Masciarelli. Era lo scorso dicembre e da quel momento le notizie che si sono susseguite sul suo stato di salute sono state tanto sorprendenti quanto gravi, purtroppo, fino all’estremo. Sì perché Gaspare –l’architetto, il consulente, il collega, l’ex compagno di squadra e l’amico di tanti a Pescara– ci aveva abituato a vederlo vincere nelle sue battaglie pur durissime. Il destino lo ha beffato nella fase più delicata e decisiva, quella in cui insieme con la battaglia si vince o si perde la guerra. A fine gennaio, a 58 anni, è uscito di scena in silenzio, come a non voler dare troppo fastidio. In altre parole, Gaspare se n’è andato come aveva vissuto, con discrezione e pudore: di se stesso, dei sentimenti, pudore di quel male tremendo di cui non amava parlare. Pur di cambiare argomento, preferiva piuttosto essere lui a sdrammatizzare la situazione di fronte agli amici con una battuta. «Quella contro la malattia è una battaglia che uno combatte da solo» ripeteva a chi in quel
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periodo cercava di dargli conforto. Agli occhi di chi non lo conosceva, Gaspare Masciarelli poteva forse apparire burbero, ma la sua era solo discrezione e riservatezza ovvero timidezza, retaggio di un’educazione fondata su valori solidi, che oggi definiresti d’altri tempi. Sotto questo aspetto la mamma Elvira è stata per lui una fonte inesauribile di forza, di saggezza, di cultura e di fermezza. «Lui è la leggerezza, che gli ha permesso di esprimersi con delicatezza», così l’amico e collega Franco Feliciani ha voluto definire Gaspare Masciarelli il giorno dell’addio nella chiesa di Santa Caterina, gremita di colleghi, amici, imprenditori. Parole condivise da chiunque lo avesse conosciuto. Generoso e disponibile con tutti, Gaspare. «Un talentuoso professionista, un maestro che sapeva porsi al livello dell’allievo, sempre pronto ad ascoltare con la massima umiltà» ha detto di lui l’architetto Pasquale Felicetti, che lo aveva preceduto alla presidenza dell’Ordine provinciale degli Architetti. Serviva un cambiamento, serviva una spinta, nuovi impulsi, e Gaspare non s’era tirato indietro, puntando su lavoro e innovazione, diventando una stella polare soprattutto per i giovani architetti. Sognava una Pescara più bella e si faceva in quattro perché lo diventasse. Discuteva, combatteva quasi fisicamente con gli imprenditori del mattone perché lo seguissero, lo assecondassero nel suo genio. «È dura; a volte ci riesco, altre volte
mi sento un po’ tradito, deluso» raccontava. Mi capitava d’incontrarlo all’Urbanistica del Comune a sostenere e difendere i progetti che per una ragione o per l’altra si impantanavano nelle sabbie mobili della politica. La passione per il basket e i trascorsi sui campi ci ha avvicinato sin dal nostro primo incontro, una quindicina d’anni fa, favorendo un contatto altrimenti superficiale. Ricordo con quale viva emozione, poco prima di andarsene, mi aveva raccontato di quando, 35 anni prima, in una partita decisiva per la promozione in A contro il Brill Cagliari lui giovanissimo si ritrovò in campo a dare filo da torcere ad avversari ben più quotati: «Li costringemmo al terzo supplementare, alla fine restammo in campo in tre e perdemmo la partita, ma fu un’esperienza indimenticabile. Unico Gaspare. Non serviva far parte della cerchia più ristretta dei suoi amici –quelli dei tempi dell’Università, del Thomas Cafè, quelli della palma da Jambo o i 17 che ancora oggi tengono in vita il suo profilo su Facebook– per avere accesso alla cortesia, alla saggezza e alla competenza di quest’uomo autentico, oltre che bravissimo architetto. Scambiarci due parole, che parlassimo di architettura, di pallacanestro o di libri, non faceva differenza: ogni incontro con lui mi ha lasciato arricchito sul piano professionale e umano. E allo stesso modo è stato per i tanti che mi hanno confidato d’aver condiviso questa stessa impressione. Di recente c’eravamo incontrati in redazione al Messaggero,
a Pescara, «ti vengo a trovare, abbiamo vinto un premio importante» mi disse per telefono. Insieme con l’amico e collega di studio Gianni Casati, Gaspare Masciarelli aveva meritato per la seconda volta in tre anni un prestigioso riconoscimento –una menzione speciale– al Grand Prix, concorso internazionale di architettura indetto dalla Casalgrande Padana. «La prima volta l’avevamo ottenuto per il progetto di Piazza Accademia a Pescara Porta Nuova, stavolta per Piazza dei Popoli, a San Giovanni Teatino, progetti con facciate realizzate in ceramica, realizzati entrambi per la Dino Di Vincenzo Spa» mi aveva spiegato quel giorno, mostrando nel volto e negli occhi, pur segnati dal male, una gioia e un entusiasmo che neppure un esordiente neolaureato. Ci ritrovammo poco tempo dopo, ancora in redazione, a discutere di idee e progetti per Pescara, all’indomani della sua elezione a presidente dell’Ordine. Un aneddoto che ci lega, e a me molto caro, è di sei anni fa. Visitando un cantiere edile mi ritrovai in uno degli appartamenti in costruzione. Cemento grezzo ma pianta già definita. Mi bastarono pochi particolari, pochi dettagli per riconoscere la firma di Gaspare Masciarelli sul progetto. «Tra questi muri avverto un’atmosfera speciale –dissi al costruttore–. Mi sento a casa». È in quella casa che oggi ho la fortuna di abitare e per la quale ho fatto mille complimenti all’architetto progettista. È a casa mia che ogni giorno penso e mi sento vicino all’amico Gaspare Masciarelli.
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Filomena Acquaviva
Progetto di ampliamento della Scuola Materna del Comune di Orsara di Puglia La realizzazione del progetto rappresenta un’innovazione di rilievo per il territorio comunale di Orsara, poiché provvede a dotare il territorio di un servizio attualmente del tutto inesistente (la realizzazione di un micro – nido), intervenendo su un fabbricato comunale che è stato adeguato alle nuove esigenze ed ulteriormente migliorato nella sue caratteristiche morfologiche e spaziali. La scelta di lavorare su questo edificio è determinata dalla possibilità di concentrare l’accessibilità dell’educazione infantile in un unico sito nel quale ormai da anni si concentra l’attività di assistenza per i più piccoli. Il progetto ha provveduto all’ adeguamento dell’edificio esistente ampliando e riorganizzando gli spazi interni, nella prospettiva di migliorarne le relazioni e quindi la fruizione dell’intero edificio.
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Matteo Bosio Rachele Fosco
Residencia ilha santa rita, maceiò / alagoas / brasil Nel 2005 il committente decide di acquistare un lotto di terreno a Santa Rita e lancia una sfida a sé stesso e ai progettisti: realizzare 10 unità abitative destinate ai turisti, utilizzando materiali e manodopera locale, superando le difficoltà legate alla conoscenza di un lavoro (la sua è la prima esperienza di costruzione), di un paese, di una lingua e di una mentalità assolutamente sconosciute. I progettisti accettano la sfida: la scoperta del luogo, dei materiali e delle tecniche costruttive disponibili, l’impiego di manodopera locale; il controllo delle fasi di costruzione reso difficile dalla distanza e dall’inesperienza del costruttore. I primi contatti con il sito e con il cantiere avvengono via e-mail; due brevi permanenze permettono loro di dirigere le fasi più delicate dei lavori.
Carmelo Cagnetta
Edificio residenziale/commerciale/direzionale in Strada Comunale Piana nn. 3/5 - Pescara L’edificio “Saligia”, commissionato dalla ditta Mediterranea life s.r.l., è parte di un intervento architettonico più ampio, localizzato su un lotto fondiario sul quale insistono cinque edifici, di cui quattro adibiti all’uso residenziale ed il quinto che ospita la destinazione abitativa, quella commerciale e direzionale. “Saligia” è, architettonicamente, l’edificio più originale dell’intero intervento e si sviluppa su nove livelli, di cui uno interrato ed i rimanenti otto fuori terra. La scelta formale architettonica adottata nella progettazione dell’involucro esterno segue quella funzionale e si esplica nella bicromia del rivestimento, che nella parte di edificio adibita ad uffici è nero, mentre in quella ad uso residenziale è bianco. Il tema progettuale principale adottato è quello dell’intersezione tra piani trasparenti (facciate vetrate strutturali) e opachi (rivestiti con pareti ventilate), che creano sui vari prospetti dell’edificio setti verticali o inclinati e forme geometriche irregolari.
Gianna Cieri
Realizzazione di un edificio per negozi, uffici e abitazioni in via Giulio Cesare a Vasto (Ch) Il palazzo spicca per la sua geometria e forma semplice, perfettamente simmetrico rispetto al vano scala che fa come da cerniera per lo sviluppo di tutti gli spazi che lo costituiscono. L’essenzialità, il concetto di volume chiaro e ben definito, è stato raggiunto eliminando il più possibile strutture che potessero interrompere, frammentare il volume; ecco perchè la scelta nei parapetti dei balconi completamente in muratura ed intonacati, che si fondono diventando un’unica cosa con l’edificio, anzi sono questi a dare il carattere, lo stile al fabbricato; tutto ciò viene ancor di più avvalorato con la scelta del colore , il bianco, un “non colore” , che ha la capacità di risaltare e perseguire gli obiettivi di semplicità e purezza delle forme. L’unica nota di contrasto al bianco, il nero posto al piano terra, primo piano e vano scala, per sottolineare e far distinguere già dall’esterno, le diverse funzioni di questi piani , cioè la presenza di attività commerciali ed uffici dalle abitazioni, ed il vano scala che fa da fulcro, da cerniera agli spazi realizzati.
Lorenzo Di Felice Giuseppe Sipala
Emanuele Luciani Giovanna Di Virgilio
Showroom Globo Ceramiche Complesso commerciale “Grillo cento affari” ,Strada provinciale 259 – Martinsicuro – Teramo
Ambulatorio polivalente “I tre angeli per la vita” nel villaggio M.A.P. San Gregorio - L’Aquila
Lo spazio espositivo è un semplice parallelepipedo di 22 metri per 45, alto 3.9 metri. All’ interno di questo openspace il progetto prevede volumi puri, lineari, e un’ illuminazione studiata, con tagli di luce creati da fari direzionabili installati su blindosbarra e grandi superfici luminose. I colori dei volumi sono il bianco e l’arancio ed è la luce che, diffondendosi uniformemente nell’ambiente, sottolinea, con sfumature e chiaroscuri, le facce e le superfici di questi solidi che indicano agli avventori le postazioni venditore, caratterizzate da un ambiente open più intimo, con arredi di design, sedie di Verner Panton e scrivanie e librerie studiate e disegnate su misura dagli architetti, il tutto incentrato sulla riconoscibilità aziendale. Il core del progetto è la struttura chiamata “Casa Globo”: un progetto nel progetto, che sfruttando l’altezza dell’ambiente, crea uno spazio nello spazio, un habitat di lavoro intimo, un luogo dove rilassarsi, un luogo dove socializzare ed in fine un luogo dove organizzare eventi.
La richiesta della committenza di progettare una struttura temporanea in legno da destinare ad Ambulatorio, ha richiesto particolare attenzione alla tradizionale tipologia che nell’immaginario comune si associa alla casa in legno. Ciò ha portato ad una strategia progettuale che gioca con la tipologia della “casa a capanna” generando forme dinamiche che vogliono dialogare con il contesto paesaggistico in cui sono inserite. La scelta del sistema strutturale a pannelli prefabbricati ad assi incrociati in legno ha uno stretto legame con la strategia progettuale, finalizzata anche alla ottimizzazione della risposta sismica del fabbricato ed alla praticità e velocità costruttiva. Il sistema costruttivo, le scelte dei materiali e degli impianti hanno tenuto in considerazione l’esigenzadi limitare i costi. A partire dalla struttura in legno si è cercato di utilizzare materiali completamente riciclabili o di riciclo, ad esempio le doghe di rivestimento in legno/plastica sono ottenute dagli scarti della lavorazione dei mobili e dai tappi in plastica delle bottiglie.
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Mario Mauro
Nicola Cacchione
Roberto Catalano
Edificio residenziale in Via Raffaello Sanzio, Pescara
Polo Museale a Francavilla Al Mare
Miglianico, recupero del Centro Storico
Il progetto del polo museale si colloca lungo le sponde del fiume Alento, nella città di Francavilla al Mare. L’impianto è caratterizzato dalla presenza di 4 Biomi (edfici all’interno dei quali sono riprodotti i climi presenti sul pianeta), 3 disposti sulla sponda destra del fiume e uno sulla sponda opposta, connessi tra loro mediante un ponte sospeso il quale percorre i biomi al loro interno in maniera sospesa su cavi d’acciaio attaccati alle travi di copertura. Questa passerella sopraelevata tocca terra mediante l’uso di ascensori e rampe dislocati all’interno dei biomi. Lungo la passerella sono distribuite delle cellule (realizzate con una struttura principale in acciaio e con rivestimenti in alluminio) all’interno dei quali è possibile avere una visione tridimensionale di contesti naturali particolari come tornado, oceani profondi,deserti ecc. I 3 biomi sono rispettivamente il Bioma della Foresta pluviale, il secondo è il Bioma Mediterraneo e il terzo ospita il Planetarium. Il bioma sull’altra sponda ha un carattere prettamente scientifico, infatti dentro di esso sono riprodotti artificialmente i vari fenomeni naturali come la generazione delle nuvole, dei venti, neve ecc ecc.
L’ipotesi di progetto prevede la riorganizzazione della mobilità e della sosta per riconsegnare al sistema urbano i luoghi simbolo della cultura locale, riportando l’uomo al centro delle logiche di organizzazione degli spazi pubblici. Il disegno complessivo della piazza-belvedere è costituito dalla sistemazione su più livelli collegati da rampe e gradini, un sistema di illuminazione e una copertura che si integra nella struttura muraria che ha la doppia funzione di chiudere il parcheggio interrato e di definire il margine del nucleo. Il progetto prevede la rifunzionalizzazione del corpo di fabbrica che fiancheggia il percorso pedonale di accesso alla piazza attraverso l’inserimento di laboratori didattici. L’intervento, caratterizzato da sistemi di affaccio in acciaio e paramenti in vetro colorato per creare effetti cromatici all’interno e caratterizzare l’organizzazione delle funzioni negli ambienti, contribuisce a qualificare l’immagine complessiva del nucleo. Per il ripristino dell’unità volumetrica preesistente a chiusura dei laboratori didattici è previsto l’inserimento di un centro informativo da realizzarsi con materiali di qualità quali il legno, l’acciaio e il vetro che consentano la definizione di un volume moderno ben riconoscibile all’interno del contesto.
L’edificio si colloca in un’area di tessuto urbano mediamente densa al ridosso del cavalcavia ferroviario. La richiesta della committenza era centrata su diverse tipologie nello stesso edificio: due duplex con giardino privato; due appartamenti bilocali ed un unico appartamento al sottotetto. Alla luce di queste richieste gli obbiettivi progettuali sono stati incentrati su alcuni elementi in comune tra tutte le tipologie. Il punto più evidente è stato quello di contraddistinguere i due lati lunghi del terreno: lato est più aperto e soleggiato; lato ovest più chiuso e meno luminoso a causa del cavalcavia ferroviario. Le scelte progettuali hanno così portato ad allocare la scala condominiale e gli spazi di servizio (bagni, lavanderie, ripostigli) sul lato a ridosso della ferrovia, mentre le stanze servite si aprono maggiormente sul lato est e in parte sui lati nord e sud. La configurazione architettonica prevede così un prospetto più “cieco”ad ovest ed uno più “aperto” ad est.
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Danilo Mancini Walter Nobile
Ludovica Persichitti Lucia Secondo
Il paesaggio riciclato: la cava accoglie il centro culturale
Pescara, progetto di trasformazione dell’ex Ferrhotel in Casa dello studente
Il progetto prevede di dotare l’area montana della Majella di un contenitore culturale dedicato alla storia e alle tradizioni locali, un centro di documentazione artistica e un auditorium. Una grande struttura raccorda la parte superiore della cava con quella ipogea per un dislivello di 90 metri. La struttura ospita nella parte ipogea il complesso museale con quattro sezioni, ognuna dotata di sala conferenza di ottanta posti e sale sotterranee per proiezioni ed esposizioni. Il percorso museale che lega le varie sezioni segue la continuità dell’elica che dalla quota d’ingresso scende fino alla base pur lasciando la massima flessibilità funzionale alle sezioni tematiche. Mediante sistema di risalita si arriva all’anello corrispondente alla quota di ingresso, posto a mezz’altezza, che ospita una shopping line e una galleria dedicata a mostre d’arte temporanee. I livelli superiori accolgono il centro di documentazione artistica con la scuola d’arte, le aule i laboratori e la sala conferenze di duecento posti. Dal secondo al settimo livello si sviluppa l’auditorium di milleottocento posti.
L’ ex Ferrhotel è da decenni inutilizzato, sia per la decaduta necessità dei ferrovieri di trascorrere la notte nella città, sia per la miseria degli spazi ricettivi. Considerato l’aumento degli studenti fuori regione iscritti alle facoltà di Pescara dell’Università ed essendo la città priva di studentati o strutture similari, ho ritenuto vantaggioso rifunzionalizzare l’ex Ferrhotel in Casa dello studente. Valutato anche il fatto che Corso Vittorio Emanuele sia un’ arteria commerciale e per lo shopping importante, il piano rialzato è stato riprogettato come spazio pubblico per la ristorazione con area attrezzata all’ aperto al quale accedere dal nuovo prospetto verso la stazione. L’ ingresso agli alloggi e agli spazi dedicati agli studenti avviene invece dall’ attuale accesso sul corso. Questo, insieme allo spazio interno, sarà ribassato alla quota della strada al fine di rimuovere i gradini che attualmente servono il piano rialzato, ostacolo per i portatori di handicap. Tutta la progettazione ha tenuto in considerazione l’ abbattimento delle barriere architettoniche, inserendo l’ascensore nel nuovo corpo scala e prevedendo alloggi e servizi adatti anche ad un’ utenza diversamente abile.
Intervento di edilizia residenziale e terziaria a Pescara – progetto e sperimentazione di un sistema di prefabbricazione leggera L’impostazione planimetrica del complesso residenziale è il risultato di due approcci metodologici, il fattore solare e l’osservazione della morfologia insediativa. La mappa delle ombre all’interno dell’area determina l’identificazione di aree più o meno illuminate da luce naturale, fondamentale per l’orientamento dell’intero edificio. Questo insieme all’osservazione della forma del costruito rispetto agli assi viari, hanno dettato il posizionamento di una griglia quadrata pari al modulo dimensionale di un appartamento. Su questa si compone l’edificio modulare che lascia spazio a corti interne e ad un’ampia zona di verde sul lato nord-ovest. La struttura portante è un sistema in acciaio. Il sistema di chiusure verticali ed orizzontali è interamente a secco, con la definizione di pacchetti stratificati fono e termo isolanti. Il risultato è un edificio in linea su 4 livelli che si snoda nell’area, creando spazi pubblici all’interno. Gli alloggi seguono nelle dimensioni e nelle aperture logiche modulari proprie della prefabbricazione, ma l’aggregazione e i materiali per i rivestimenti offrono variabili che mediano tra la costruzione ed il contesto.
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Enzo Maria Serafini Rossella Ugliola
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Integrazione e manutenibilità degli impianti nella progettazione negli office building
Complesso di edilizia residenziale sociale nell’area dei depositi dismessi Di Properzio a Pescara
La storia dell’architettura, più delle volte si è focalizzata sul lato formale e strutturale degli edifici, trascurando la parte dedicata agli impianti. Molto spesso, si sono verificati casi in cui l’architetto, una volta completato il progetto, ha lasciato all’impiantista il compito di occuparsi del dimensionamento e della distribuzione degli impianti, senza aver previsto precedentemente gli spazi necessari. Questa procedura ha creato molti problemi, sia all’impiantista, che si è ritrovato a non avere a disposizione spazi sufficienti, sia all’architetto, costretto ad accettare i rimedi estremi dell’ingegnere, e infine all’utilizzatore finale a causa dell’aumento dei costi di manutenzione, legati a problemi di accessibilità, ergonomia, ecc.. Per ottimizzare al meglio gli interventi manutentivi, la collocazione degli impianti deve avvenire sulla cornice esterna dell’edificio, garantendo una facile sostituzione delle componenti e un alto livello di “congruenza di durata”, avendo la parte tecnologica in posizione periferica. La cornice flessibile è stata proposta in tre varianti adattate alle tre tipologie di office building: lineare, a torre e a piastra.
L’edificio progettato presenta 5 livelli: un piano interrato con box garages e locali tecnici, un piano terra con attività commerciali, l’accesso ai livelli residenziali superiori e degli spazi pubblici, tre piani dedicati alla residenza e agli spazi comuni. Per risolvere il problema dell’introspezione dei singoli alloggi, si è deciso di abbassare i ballatoi di 30 cm rispetto ai piani delle unità abitative, così da traslare il cono visivo delle persone di passaggio sui ballatoi. Le rampe delegate al superamento di questo dislivello e all’accesso ai vari alloggi sono state collocate in volumi colorati che individuano una fascia filtro fra ballatoi e unità abitative. All’interno degli alloggi si è deciso di organizzare per fasce funzionali gli ambienti. A ridosso dello spazio filtro e del ballatoio si trovano i servizi e la cucina; lo spazio di connessione interna è separato dagli ambienti principali della residenza da un’altra parete attrezzata contenente armadi e librerie. La fascia principale incorpora la zona notte e il soggiorno. Quest’ultimo, creando un unico ambiente con la cucina, riesce a sfruttare l’irraggiamento solare e la ventilazione naturale su ambo i lati dell’edificio.
Viola Serafini
Nuove centralità urbane a Roma - Torre spaccata: abitare la centralità Questa tesi è un’interpretazione del lavoro sullo studio delle centralità urbane nell’ambito “progetto e contesto” della Facoltà di Architettura di Pescara, applicato nello specifico all’area di Torre Spaccata a Roma. Nella prima parte della ricerca si definisce Roma come città di assi, monumenti e recinti. Questa parte lascia in consegna alla successiva l’accostamento tra Pirro Ligorio e Le Corbusier. È la prima operazione di collage, esaminato come tecnica compositiva. La tesi poi ritorna su Roma individuando nella sua storia 12 recinti, su cui viene svolto un lavoro non privo di interesse nell’identificare i contorni, la fonte più opportuna, e infine una scelta tecnica di ridisegno interpretativo che renda il collage utilizzabile. La soluzione scelta, ad una osservazione a grande scala, ha l’effetto di una grande saldatura, una presa di posizione netta contro la costruzione della periferia di Roma per parti staccate e autosufficienti che ha caratterizzato tutto il dopoguerra. La cucitura tuttavia aumenta progressivamente la scala degli isolati, permettendo di ridurre e gerarchizzare le strade di attraversamento.
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Rosso di sera
Il colore de Sulle colline di Francavilla, a poca distanza dal Convento Michetti, un nuovo circolo culturale che declina l’arte nelle sue numerose espressioni, dalla gastronomia alla musica di Alessio Di Brigida
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er assistere ad uno spettacolo eccezionale basta salire sulle colline di Francavilla, a poca distanza dal Convento Michetti. Qui, immersi nella quiete di uliveti e vigneti, si può godere di un mare che si fonde magicamente con il cielo, aspettando il momento del tramonto reso indimenticabile da un’armonia di colori che sfuma dal rosa al rosso intenso. In questa splendida cornice l’associazione culturale “Rosso di Sera” ha scelto di mettere le radici, in un vecchio frantoio situato in cima ad una delle colline di Contrada Piane sapientemente ed elegantemente ristrutturato dai simpatici Walter Marrone e Barbara Pagnini, uniti nella vita dall’amore e dalla passione per il bello, per il buono, per il gusto. Ed è proprio Barbara che ci spiega come: «Abbiamo deciso di creare un luogo dove tutti potessero sentirsi a proprio agio, alternativo alla mondanità della riviera. Il nostro è un locale dove si può riscoprire l'interesse per l'arte nelle sue svariate forme, dove si vuole creare l’ambiente giusto per dialogare e confrontarsi con libertà, magari insieme ad un buon vino o davanti ad un buon piatto». Alla gastronomia “Rosso di Sera” dedica un’attenzione particolare
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perché la cucina regala ogni giorno proposte nuove e squisite, in prevalenza tipiche della tradizione abruzzese ma anche pescate nei vari giacimenti golosi delle diverse tavole regionali. «Il nostro è un mix di tradizione e innovazione –continua Barbara– lasciamo spazio alla creatività e alla fantasia, senza però cadere in eccessi di protagonismo che andrebbero a discapito del cibo, gradito protagonista di ogni serata insieme agli eventi culturali proposti agli ospiti». Gusto e qualità quindi, binomio strategico su cui “Rosso di Sera” ha puntato con decisione per formulare le sue offerte, prediligendo in cucina la produzione stagionale e locale, quella cosiddetta a “km zero”, e spaziando coraggiosamente anche verso delizie solitamente poco presenti sui nostri tavoli, come l’oca e l’anatra o come i formaggi a pasta morbida e i salumi di cacciagione affumicati, tipici del nord. Il momento della cena è fondamentale nella filosofia del “Rosso di Sera” e Walter lo spiega così: «Io credo che il cibo sia una delle poche cose in grado di farci stare assieme in un contesto quotidiano dove si ha sempre meno tempo per socializzare veramente. Da che
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mondo è mondo attorno alla tavola sono state fatte le cose migliori (e anche quelle peggiori,) quindi quale luogo migliore di una conviviale per parlare, confrontarsi, respirare arte? “Rosso di Sera” è il posto dove ci piace pensare che tutti riescano a stare bene insieme passando un po’ di tempo in serenità, magari ascoltando musica dal vivo, circondati da quadri, sculture, fotografie, o assistendo ad una performance teatrale o alla presentazione di un buon libro». «Tra le pareti colorate ci sono sempre quadri a fare da sfondo alle nostre serate –riprende Barbara– i colori rivivono con noi e si mescolano alle luci, si riflettono nei nostri piatti,sempre nuovi, vari come le stagioni, come il tempo che cambia». Alla cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità è improntato tutto il “Rosso di Sera”, cominciando dal giardino dove Walter, esperto in botanica, è riuscito a far coesistere ed armonizzare oltre 130 specie di piante differenti, per passare agli interni di quello che una volta era un frantoio, scrupolosamente recuperato in base alle antiche forme e materiali, miscelati con tocchi di modernità e giochi di luce capaci di creare un’atmosfera morbida e intima, stimolante come il buon vino e l’ottima cucina servita agli ospiti insieme agli eventi dell’associazione culturale. «Per questa estate abbiamo studiato e organizzato un palinsesto di spettacoli che soddisfino il gusto di tutti» ci informano Barbara e Walter «serate accompagnate da musica,poesia, spettacoli tetrali che si susseguono sul nostro piccolo palco che possano allietare i dopo cena dei nostri soci acquisiti e di quelli che ancora verranno. Abbiamo anche lasciato spazio al sociale, coinvolgendo altre associazioni, le amministrazioni locali, e serate di beneficenza per chi è meno fortunato di noi». Insomma un luogo speciale e positivo, diverso dagli altri, dove il tempo si ferma perché ci si sta talmente bene che l’orologio non si guarda più e dove parafrasando il proverbio diventato il nome del locale… buon tempo si spera!
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Rosso di Sera Contrada Piane, 74 Francavilla al Mare (CH) Tel. 085.4919073/333.7235623 www.rossodiseraclub.it Circolo privato ingresso riservato ai soci Tesseramento gratuito obbligatorio Indicazioni stradali Dalla cattedrale di San Franco a Francavilla alta, prendere Salita San Franco e poi a destra per Via dei Caprini, proseguire per 1 km e imboccare Contrada Piane a sinistra; proseguire per circa 2 km e poi i cartelli vi indicheranno la strada che porta al locale.
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Vinitaly 2011
Abruzzo terra di vini
Al Vinitaly di Verona il padiglione Abruzzo si conferma tra i più vivaci (e premiati). Un mercato in forte crescita grazie a vini straordinari a un prezzo davvero competitivo; per qualcuno pure troppo. Aziende attente alla diffusione della cultura del bere bene. E che sono sempre più “green”. Abbiamo posto tre domande ad alcuni tra i principali operatori del settore: • Quale sia l’andamento del mercato • L’importanza della consapevolezza del consumatore • La strada di una produzione biologica, biodinamica e rispettosa della natura. di Alessio Romano Angelo Sissa, Casal Thaulero
re i vini è l’istituzione di nuovi disciplinari come la DOP d’Abruzzo. • Per quanto riguarda il discorso del km zero abbiamo uno spaccio aziendale e una quota di coltivazioni biologiche e biodinamiche. E sicuramente per i tappi dei nostri vini non adotteremo mai la plastica o il silicone. Sabatino Di Properzio, La Valentina
• Le quote di mercato si sono alzate sia per il Montepulciano d’Abruzzo che per il Cerasuolo. I vini abruzzesi consentono di bere meglio e spendere meno. Gli Stati Uniti e il Giappone sono tra i mercati più interessanti. • L’obiettivo dovrebbe essere quello di bere meno, ma meglio. Ogni famiglia dovrebbe consumare solo una bottiglia a settimana, ma ricercando un prodotto di qualità. Un buon modo per valorizza-
• Confermo il trend in crescita dei vini abruzzesi nel mondo, soprattutto verso
gli Stati Uniti. • Quando c’è una moda il rischio è quello di una distorsione e anche del proliferare eccessivo di associazioni che si fanno promotrici di piccole iniziative senza una coordinazione che dovrebbe essere nazionale. • Abbiamo in progetto una forte diminuzione del Co2 emesso e al momento ben 98 mq di nostre coltivazioni seguono un protocollo ecologico.
Menè Diodato, Cantina Sociale Ortona
• Il 2011 è stato un anno record per la qualità dei nostri vini; una qualità che sarà certificata con l’introduzione l’anno prossimo di nuove DOP. Il trend positivo delle esportazioni che dura da anni si conferma e si consolida. • Per noi la sensibilizzazione del consumatore è fondamentale: cerchiamo di stimolare la cultura del vino attraverso corsi e comunicazione. Però il ruolo principale dovrebbe essere quello svolto dai mass media. • C’è stata nel tempo una drastica riduzione dei fondi europei all’agricoltura che dal sud Italia sono stati dirottati verso l’est Europa. Ci sarebbe bisogno di maggiori incentivi per aumentare e ampliare produzioni più ecologiche. Da parte nostra abbiamo una linea biologica certificata, seguendo una politica aziendale che va avanti da più di 20 anni e ci ha reso una delle prime aziende a muoversi verso questa direzione. Tonino Verna, Cantina Tollo
• Io credo ci sia un problema di fondo. Su
alcune tipologie di prodotto si è lavorato male in passato. Penso al Montepulciano d’Abruzzo, un vino straordinario, che però viene esportato a un prezzo troppo basso, di sicuro al di sotto del suo valore qualitativo. Spero che l’introduzione dal 2012 della DOP Abruzzo possa servire. Così come l’introduzione di un disciplinare che preveda l’imbottigliamento del nostro vino solo qui da noi. • Prima di tutto ci deve essere la qualità del prodotto. È su quello che i nostri 900 soci lavorano con impegno per una garanzia totale nei confronti del consumatore. • Io sono per una filosofia di praticità. La difesa del territorio si fa sul campo, senza tutta quella demagogia che spesso accompagna discorsi fumosi su biologico e biodinamico che rappresentano una sfida ambiziosa del futuro. Valentina Di Camillo, Tenuta i Fauri
Gialuca Galasso, San Lorenzo
• Il trend è sempre più in crescita grazie all’espansione della conoscenza della qualità del vino d’Abruzzo nel mondo. Un vero e proprio cambio di rotta dei vini di tendenza che fa aumentare le esportazioni del nostro vino in America e Canada che si confermano tra i mercati più interessanti. • L’Abruzzo attira i consumatori più consapevoli per la dinamicità della sua produzione. Noi ricerchiamo scelte originali che uniscono innovazione e tradizione. • Abbiamo realizzato un alleggerimento del vetro delle bottiglie che diminuisce il consumo di vetro e fa scendere le emissioni per il trasporto. Per quanto riguarda il biologico è una scelta coraggiosa di noi produttori, perché la natura non fa sconti. Mario Cordischi, Cantina Miglianico
• Ogni anno si aprono nuovi mercati, penso per esempio alla Cina, grazie al buon rapporto qualità/prezzo dei nostri vini. • Noi in azienda teniamo corsi che hanno grande successo. C’è il rischio che questo interesse crescente per il vino possa essere solo una moda e quindi passare in fretta. Il ruolo delle istituzioni, dei mezzi di comunicazione e dell’istruzione è fondamentale. Anche per evitare una banale criminalizzazione del vino, che è invece un mondo di cultura e desiderio di vivere bene. • Noi seguiamo la strada della saggezza del contadino che rispetta la natura perché dipende dalla sua terra e mai farebbe nulla che possa danneggiarla.
• Il 40-45 % delle nostre esportazioni è verso i mercati d’America e d’Europa, attratte da un vino che ha un rapporto di qualità/ prezzo unico nel mondo. • La pubblicità è l’anima del commercio. C'è la necessità di far conoscere tutto il valore del nostro prodotto al consumatore e
facendo questo comunque creiamo e diffondiamo cultura. • La ricerca sul biologico è fondamentale e noi ci puntiamo molto. Qui al Vinitaly abbiamo lanciato “Donna Luna”, un bianco IGT senza solfiti aggiunti.
Stefania Bosco, Bosco
Carlo D’Agostino, San Nicola
• I mercati che ci danno maggiori soddisfazioni sono gli Stati Uniti e il Canada, dove sono stati introdotti nuovi vini. Ma non è un processo nuovo, siamo nel mercato mondiale da moltissimi anni. • È importante il rapporto che le cantine devono avere con le associazioni di intenditori e degustatori. Ma non bisogna sottovalutare neanche il rapporto diretto con il cliente, penso a iniziative come “Cantine aperte”che sono straordinarie occasioni di divulgazione.
• Confermo lo straordinario trend positivo del Montepulciano d’Abruzzo, che continua a farla da padrone nel mercato mondiale. Ma si può sfondare meglio e si possono raggiungere livelli ancora più competitivi. • Ogni anno a Pollutri organizziamo un minicorso gratuito per aumentare consapevolezza e cultura del consumatore, che sono una carta vincente per il futuro del settore. Suggerisco anche alle altre aziende di fare altrettanto per formare la cultura del vino. • Abbiamo 50 ettari circa che sono destinati alla produzione di vino da uva biologica.
Perla Pasetti, Contesa
• Il nostro trend positivo iniziato 5/6 anni fa è confermato anche per quest’anno. In Inghilterra il Cerasuolo e il Pecorino vanno fortissimo. L’immagine del Montepulciano d’Abruzzo nel mondo qualche volta viene danneggiata da politiche di prezzo troppo aggressive portate avanti da cooperative e produttori che svendono un prodotto di qualità. • La consapevolezza del consumatore è importante; anche per aumentare il numero di acquirenti. Bisogna trovare un equilibrio tra l’innovazione e la tradizione. Cercare novità che attirino l’attenzione, senza dimenticare l’importanza della memoria. • La natura va rispettata e può portare anche vantaggi. Penso alla tecnica di “confusione sessuale” che usiamo per la lotta ai parassiti. Grazie ai ferormoni femminili rilasciati possiamo far scendere la popolazione di farfalle che danneggiano l’uva. Una tecnica più costosa, ma anche più naturale che non porta conseguenze negative all’ambiente.
Danilo Giampaolo, Abruzzo Vini
Francesca Pasetti, Pasetti
• Le nostre produzioni sono al 90% dirette verso il mercato estero: soprattutto Inghilterra, Stati Uniti e Giappone (che nonostante il recente disastro si conferma un mercato importante). • È importante che ci sia consapevolezza nella scelta del vino, non solo al ristorante, dove spesso la scelta è mediata dal ristoratore, ma anche a casa durante i pasti. • Al momento, purtroppo, una scelta totalmente biologica rimane, per il prezzo, una pura utopia.
• Per quanto riguarda l’estero lavoriamo molto bene in California e Stati Uniti in generale. Ma anche in tutto il Nord Europa, a Singapore, in Cina, Perù. La lista è lunga e in un momento di crisi italiana (e con tutte le problematiche relative ai divieti sull’alcol) abbiamo puntato molto sull’esportazioni verso l’estero come forma di compensazione.
• Credo che l’importanza della cultura si debba fondare sulla conoscenza del territorio: andare in azienda a visitare le vigne, toccare con mano il prodotto. Poi noi siamo stati tra i primi a impegnarci anche sul sociale: sul retro della nostra etichetta c’è scritto “Se bevi non guidare”. • Anche per un discorso ambientale è fondamentale la conoscenza e il rispetto del territorio. Noi abbiamo riserve che vengono da zone incontaminate come il Parco del Gran Sasso. Gaspare Lepore, Lepore
tare la visibilità. I premi e i riconoscimenti di settore sono utili per aumentare il prestigio e non richiedono grandi risorse se non quelle di avere un buon prodotto. • La cultura del vino cresce grazie all’ottimo lavoro svolto dalle cantine. Anche noi puntiamo a visite con degustazioni: un’esperienza che crea entusiasmo. Puntiamo a trasformare gli abruzzesi in ambasciatori del gusto. • Quello dell’ecologia è un discorso che va affrontato a 360 gradi: ci sono vantaggi e problemi. Da tempo usiamo la biodinamica per molti ettari di coltivazioni. In più cerchiamo ridurre il più possibile lo spreco di materie prime. Gianluca Zaccagnini, Zaccagnini
• Abbiamo colture “semi biologiche” e su questo si può continuare a impegnarsi. Il riciclo è difficile, così come politiche dirette di vuoto a rendere. Il compito di facilitarle deve rimanere delle istituzioni e delle amministrazioni, a cominciare dai Comuni. Enrico Marramiero, Marramiero
• La grande qualità e il prezzo che non aumenta rendono il vino abruzzese sempre più concorrenziale nel mondo. È importante anche la comunicazione per aumen-
• Mercati in crescita sono quelli americani. Penso all’Argentina o al Brasile che sono la nuova frontiera del mercato. • La cultura del vino si favorisce soprattutto puntando su due aspetti: qualità e immagine del prodotto. • L’agricoltura biologica per noi è importante. Lavoriamo in un’area incontaminata (Parco Nazionale della Maiella) e il rispetto della natura è un nostro impegno. Da quest’anno abbiamo piantato delle querce per bilanciare le nostre emissioni di CO2.
Elena Nicodemi, Nicodemi
• L’80% dei nostri vini sono venduti all’estero, in Europa (Germania, Svizzera, Olanda, Belgio, Regno Unito), ma anche USA, Brasile e Giappone. Mi preme sottolineare l’affidabilità e l’orgoglio dei giapponesi che nonostante la tragedia che li ha colpiti recentemente hanno già provveduto al pagamento di tutti i loro ordini. • Il mio motto è: Cantine Aperte sempre! La divulgazione più importante è quella diretta verso i clienti privati, il consumatore finale del vino. • La nostra è un’esperienza decennale di agricoltura biologica certificata. Per scelte aziendali siamo usciti dal consorzio del certificato biologico, ma continuiamo ad attuare un protocollo di coltivazione biologica dei nostri vini. Enzo Pavone, Tenuta Barone di Valforte
• I punti di forza delle nostre esportazioni sono Stati Uniti, Svizzera, Belgio e Germania. Sono stati attirati dalla qualità del nostro vino e dal prezzo basso. Non c’è stato bisogno di uno sforzo: sono venuti loro a cercarci.
• Bisogna fare capire la differenza tra il bere e il bere bene. Il Montepulciano d’Abruzzo è importante che sia percepito per quello che è: un ottimo vino che il consumatore non deve sottovalutare, ma anzi deve conoscere per le sue grandi qualità. • Non nascondo un certo scetticismo verso l’ecologia a parole. Abbiamo fatto scelte concrete, come quella di non usare solfiti e utilizziamo materie prime riciclate per packaging ed etichettatura. Alessio D’Onofrio, La cascina del colle
• Una problematica importante, rispetto al successo delle nostre esportazioni, è quella di non svendere un prodotto di qualità. Ad esempio, abbiamo una serie di bottiglie numerate a mano, garanzia di un prodotto esclusivo e curato fin nei minimi dettagli. • Bisogna educare il cliente: il nostro deve essere un servizio anche culturale e non solo commerciale. • Puntiamo su bottiglie “eco”: vetro riciclato e peso ridotto. E tutta la lavorazione in vigna viene fatta con certificazione biologica. Umberto Buccicatino, Fattoria Buccicatino
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• Le nostre esportazioni sono in crescita verso Belgio e Gran Bretagna. Un lieve calo, forse colpa della crisi, è nei confronti di Canada e Stati Uniti. Ma l’ottimo rapporto qualità/prezzo è la chiave di un successo che continua ad aumentare. • Basta poco per noi: abbiamo un buon vino e dei buoni clienti. • Da 19 anni (e da 7 anche certificata) abbiamo una produzione biologica. Senza rispetto della natura non c’è futuro. E per i tappi diciamo no al silicone.
• Questa è la nostra prima volta al Vinitaly. C’è un mercato grande e ancora in espansione, per esempio in Germania. • Ci deve essere uno sforzo congiunto di aziende, istituzioni di categoria e non, per valorizzare a favorire i prodotti di qualità. E bisogna farlo passando soprattutto dall’educazione del consumatore. • La richiesta di prodotti biologici è in crescita e penso sia un bene. Franco D’Eusanio, Chiusa Grande
Biase Di Tommaso, Vinoè
• La mia azienda non imbottiglia. Produciamo vino sfuso (300mila ettolitri annui circa) e il 90% è venduto fuori Abruzzo. C’è una forte richiesta in tutto il mondo. Il consumatore sempre più consapevole è il futuro del mercato. • L’impegno sul biologico deve essere in prima battuta della ricerca nel campo Universitario. • Produciamo in biologico certificato. Una scelta positiva non solo per la natura, ma anche per gli affari. Serena Paolucci, Venea
• L’export all’estero rappresenta un 80% del nostro fatturato. Purtroppo c’è un pregiudizio che vuole: “Abruzzo = cheap wine”. Ci vorrebbe maggiore attenzione per i nostri marchi e anche maggiore organizzazione tra i produttori per dei disciplinari più severi e selettivi. Credo che una DOP Abruzzo potrebbe essere un buon primo passo. • Con me, definito “vinosofo” si sfonda una porta aperta: sull’etichetta e sul retro etichetta di alcune mie bottiglie c’è una descrizione poetica del vino. Il vino non è solo cultura. È arte. È sopratutto filosofia. Ho ideato degustazioni multisensoriali, cercando di mettere in musica i miei vini. • Da anni, e tra i primi in Abruzzo, noi produciamo a zero emissioni.
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Civitella Casanova
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Agricoltura +arte +scienza di Simone Ciglia
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Pollinaria Un’azienda per la coltivazione biologica e una residenza per artisti: queste due identità apparentemente inconciliabili si incontrano in un luogo unico nato nel 2007 nel cuore dell’Abruzzo, ideato da Gaetano Carboni. XII
er raccontare Pollinaria si deve risalire alla seconda metà dell’Ottocento quando Raffaele Baldini Palladini avviò l’azienda agricola. «Il mio trisavolo -racconta Gaetano Carboni- produttore e commerciante di olio di oliva riuscì a conquistare mercati lontanissimi come gli Stati Uniti e la Russia. Alla fine del XIX secolo ospitava nella sua casa di Loreto Aprutino amici artisti, alcuni dei quali collaborarono anche al design di oggetti legati all’olivicoltura. Ad esempio, l’espositore che veniva utilizzato in occasione delle fiere fu disegnato da Francesco Paolo Michetti. Da queste origini, l’identità attuale di Pollinaria si delinea dunque in primo luogo come quella di un’azienda che segue i criteri dell’agricoltura biologica e tenta di recuperare la biodiversità agricola abruzzese con produzioni quali vite, olivo, cereali». Pollinaria si trova in località Torre delle Valli a Civitella Casanova. Quali sono le caratteristiche del luogo in cui sorge? «Anche questo aspetto è legato alle vicende storiche. Il sito in cui sorge Pollinaria faceva parte di un feudo appartenuto originariamente a un conte di Penne, e poi a Baldini Palladini. I terreni sono rimasti sempre gli stessi e il paesaggio attuale corrisponde alla vecchia struttura agraria divisa per appezzamenti facenti capo a diverse masserie. Queste furono abbandonate già dagli anni sessanta tranne una, la più vicina alla strada, abitata fino al 2006 e diventata poi la prima sede della residenza per artisti. Il luogo rap-
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presenta anche un caso emblematico dell’ambiente rurale contemporaneo: si tratta infatti di un territorio di confine tra un’area protetta, il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, e un’area agricola a rischio urbanizzazione. Questo è stato un dato importante, dal quale sono scaturite una serie di riflessioni e ipotesi sul futuro del luogo stesso». La seconda anima di Pollinaria è quella di residenza per artisti che sviluppano progetti al confine tra arte e scienza. Quali sono i progetti ospitati finora? «L’evento iniziale è stato un vero e proprio rituale, un concerto della musicista elettronica Mira Calix realizzato appositamente per l’origine e sviluppato in quella sola giornata. Il primo progetto è stato My Sunshine (Il mio sole) dell’artista di origine serba Nikola Uzunovski, che ha rappresentato fortemente, anche a livello visivo, le componenti fondamentali di Pollinaria. L’idea su cui si basa è quella di realizzare una sorta di pallone aerostatico che rifletta la luce del sole nei territori al di sopra del Circolo Polare Artico, i quali ne sono sprovvisti per gran parte dell’anno. La parola chiave è quella dell’utopia, ma allo stesso tempo si tratta di un progetto legato a solide basi scientifiche. Dopo aver verificato allo stadio preliminare la fattibilità e aver proceduto all’analisi scientifica dei dati, l’artista è passato ad una fase successiva, dedicata alla sperimentazione: questa è stata incentrata sulla
costruzione di un prototipo iniziale del pallone e sulla esecuzione dei primi test con la luce solare a varie ore del giorno. Uno degli aspetti peculiari dell’interazione con Uzunovski è consistito nella realizzazione degli esperimenti sia sul posto che in luoghi più incontaminati come Campo Imperatore e altre aree comprese nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Alcuni mesi più tardi, Pollinaria ha ospitato il Collettivo Etoy per la produzione di una fase importante del loro Mission Eternity (Missione Eternità), un progetto intimamente connesso all’essenza umana. Anche in questo caso la componente utopica è molto forte: si tratta infatti di un tentativo di assicurare l’eternità attraverso l’uso delle nuove tecnologie. I partecipanti registrano una serie di dati di varie tipologie in formato digitale (immagini, audio, parametri vitali) che vengono quindi conservati negli hard disk di figure denominate Angels, i quali li tramandano di generazione in generazione fino teoricamente all’eternità. L’aspetto più bello di questa operazione è quello di poter regalare a chiunque la possibilità di trasmettere un ricordo, un’emozione, un’esperienza potenzialmente per sempre. Ho trovato Mission Eternity molto legato alla storia di Pollinaria, perché anch’esso ha radici nel passato, e utilizza la tecnologia di oggi per cancellare l’oblio. Questa a mio parere è la componente più interessante. Nello specifico, a Pollinaria si è fatto un primo esperimento di incapsulamento
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dati: in due giorni di lavoro venti persone hanno registrato dati a piacere, destinati al successivo inserimento nel database condiviso. Ciascuno dei partecipanti ha potuto consegnare all’eternità un suo ricordo qualsiasi. Una delle particolarità era costituita dalla possibilità di registrare anche dati in diretta, tra i quali ad esempio il proprio battito cardiaco (tra i membri del gruppo Etoy era presente anche un medico). Il primo progetto capace di stabilire un rapporto con la parte agricola di Pollinaria, a livello autenticamente organico, è stato quello successivo della coppia HeHe (Helen Evans e Heiko Hansen), tuttora in corso. Gli artisti sono venuti per scrivere un libro su un progetto che portano avanti da molti anni, Man Made Clouds (Nuvole fatte dall’uomo), nel quale è raccolta tutta la loro opera relativa alla riflessione sulle emissioni umane. Una prima fase della residenza è stata dedicata alla scrittura del volume; in un secondo momento si è pensato di realizzare una versione speciale del libro utilizzando fibra di tabacco, ricavata da piante coltivate a Pollinaria. Questo lavoro appare interessante per un duplice ordine di ragioni: innanzitutto, esso consente di generare una sorta di cortocircuito con quello che è di solito il ciclo di produzione del tabacco, sottraendo quest’ultimo alla sua consueta destinazione di prodotto associato ad un consumo negativo e trasformandolo in un veicolo di critica ambientale; in tal modo viene rivalutata anche la specie della pianta, che diventa un soggetto di cultura. In secondo luogo, la creazione del libro coincide con il far crescere fisicamente il lavoro degli artisti dalla terra, attraverso un processo molto lungo, ancora in corso, che si chiuderà quest’anno con la produzione del libro in un numero limitato di copie. Il penultimo progetto, risalente allo scorso anno, è stato forse quello più forte dal punto di vista emozionale, perché maggior-
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mente legato al luogo sotto il profilo delle radici, delle persone, della comunità. This is Not a Trojan Horse (Questo non è un cavallo di Troia) dei Futurefarmers ha travalicato i confini della parte artistica di Pollinaria per fondere entrambe le sue identità. Gli artisti hanno costruito una scultura mobile, una sorta di cavallo meccanico da utilizzare come veicolo di raccolta e condivisione di pensieri, esperienze, progetti di vita delle persone che abitano ancora il territorio rurale. È un tentativo di capire cos’hanno nella mente e nel cuore queste persone: quali e dove siano le speranze di salvezza per un territorio molto spesso abbandonato e per i suoi abitanti. Il tour del cavallo attraverso l’Abruzzo ha fatto sì che Pollinaria potesse uscire dai suoi confini per poi riportare all’interno tutte le esperienze raccolte, coinvolgendo anche le persone che ad esse hanno preso parte. Questo è stato anche il progetto che finora ha avuto maggiore risonanza, anche all’estero. Le opere prodotte (fotografie, video, disegni, ecc.) sono state acquistate dal Nevada Museum of Art e verranno esposte nel settembre di quest’anno in una mostra che si terrà in contemporanea con una conferenza biennale sul tema del rapporto tra arte e ambiente (Art + Environment Conference). In questa occasione, noi e i Futurefarmers siamo stati invitati a parlare del progetto svolto in Abruzzo». Quali sono i progetti di Pollinaria per questo anno? «Il programma di quest’anno prevede la conclusione del libro di HeHe e la realizzazione di un progetto nuovo dell’artista tedesca Agnes Meyer-Brandis: The Moon Goose Colony (La colonia delle oche lunari). Si tratta di un lavoro al confine tra finzione e realtà, basato su studi di etologia ed in particolare sull’instaurazione di un rapporto di imprinting con una colonia di oche. L’idea nasce da un romanzo di fantascienza del ‘600, The Man in the Moone
(L’uomo sulla luna) di Francis Godwin, che narra la storia di un avventuriero partito alla volta della luna su un mezzo di fortuna trainato da oche. Al cuore del progetto c’è un’operazione mai tentata a Pollinaria, che porta con sé notevoli implicazioni dal punto di vista etico: il lavoro a stretto contatto con degli animali e, in particolare, il tentativo di stabilire un rapporto il più possibile istintivo, diretto e paritario tra animali di diverse specie. L’artista eseguirà una varietà di test comportamentali: da semplici passeggiate al ruscello, a esperimenti di volo». Pollinaria si trova in una regione che occupa una posizione periferica rispetto al sistema dell’arte contemporanea; inoltre, si trova in un luogo piuttosto isolato all’interno di essa. Qual è stata finora la risposta del territorio alle proposte di Pollinaria? Che rapporto è stato instaurato? «Anche questo è un elemento interessante. Dipende naturalmente dal punto di vista che si assume: a livello agricolo c’è una grande interazione tra le persone che lavorano in azienda. Anche la filosofia di vendita dei prodotti si fonda principalmente su una rete di distribuzione locale. Dal punto di vista dei progetti artistici invece, la situazione è diversa: con i primi il rapporto è stato di non facile integrazione. Quando abbiamo fatto le prime escursioni all’esterno con il modello di sole artificiale elaborato da Uzunovski, Pollinaria era percepita come una realtà aliena. Nei primi tempi, la maggior parte delle persone interessate a partecipare ai progetti artistici proveniva da Pescara, la città più vicina, dove c’è una maggiore apertura. Gli abitanti del posto intervenuti erano guidati per lo più da una curiosità particolare: ad esempio, sempre nel caso di My Sunshine, abbiamo ricevuto la visita di un gruppo di membri di un centro di ufologia dell’area vestina. Il primo progetto con il quale questo muro si è rotto completamente (e speriamo di poter andare avanti in questa direzione) è stato quello dei Futurefarmers, che si basava proprio sull’incontro e l’interazione con la comunità locale: dalle masserie circostanti Pollinaria fino ai luoghi più lontani raggiunti dal cavallo, la conoscenza del territorio è stata molto più intensa e profonda. Da quel giorno si è stabilito un rapporto realmente più integrato. L’auspicio è quello di continuare su questa linea, tuttavia i progetti sono sempre diversi tra loro ed è difficile prevedere come si svilupperanno. Se si cerca di condensare tutte le anime che formano Pollinaria, si delinea un obiettivo unitario, quello di realizzare un disegno di rigenerazione rurale; non si può prescindere dalle persone che abitano questo ambiente e dalle generazioni che stanno sbocciando adesso: l’integrazione è fondamentale».
• In queste foto l’artista tedesca Agnes Meyer-Brandis. Agnes ha un background in mineralogia, scultura e new media art. Il suo lavoro è stato presentato in centri di arte contemporanea e istituti di ricerca scientifica in vari luoghi del mondo. A Pollinaria sta portando avanti il suo progetto chiamato The Moon Goose Colony (La colonia delle oche lunari). Si tratta di un lavoro al confine tra finzione e realtà, basato su studi di etologia ed in particolare sull’instaurazione di un rapporto di imprinting con una colonia di oche.
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Il paese
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Piccolo paese dall’antica storia, Civitella Casanova si stende sul dorso di una collina a 400m. di altitudine, alla confluenza del torrente Schiavone con il Festina e al centro di una zona in cui abbondano le coltivazioni di vite e olivo. Il borgo è tagliato in due dalla strada maestra; nella parte più antica, chiamata Terravecchia, sorgeva un tempo il Castello di Civitella, distrutto da un terremoto nel 1456; altri eventi sismici di minore intensità hanno causato, nel corso dei secoli, il progressivo abbandono della parte vecchia del paese a favore del nuovo nucleo abitativo. Terravecchia, con le sue tortuose stradine e ripide scalette, mantiene comunque inalterato il suo fascino.
COME CI SI ARRIVA Da Pescara: Prendere l’Asse attrezzato in direzione Chieti; uscita Piceno Aprutina, seguire le indicazioni per Penne sulla Ss81, poi si trovano le indicazioni per Vestea e Civitella Casanova. Il tragitto è di 41 km per un tempo medio di 45 minuti. Per Pollinaria: da Civitella andare in direzione Vestea, sulla Sp33, e attraversare le contrade Fornace, Riedi, Fontebruna, fino a Torrevalle, poi svoltare a destra seguendo la direzione Pescara. Lungo il rettilineo, sulla pianura, svoltare a destra al cartello che indica la residenza. Per chi ha il navigatore le coordinate sono N 42° 23' 23'' E 13° 54' 45''.
Accoglienza Ristorante La Bandiera
Uno dei più rinomati ristoranti abruzzesi, segnalato sulle più importanti guide gastronomiche, guidato dalla famiglia Spadoni e attivo fin dal 1977. Cucina tradizionale ma anche ricette innovative, basate comunque sulle materie prime offerte dal territorio: gallo al vino bianco, quadrucci con ceci di Navelli, fracchiata con cicoriella e baccalà, faraona farcita con puré di fagioli della val di Tavo e una lunga lista di delizie. La Bandiera - Contrada Pastini, 4 - 65010 Civitella Casanova, Pe - 085845219
Pollinaria
Pollinaria è anche un agriturismo, dedito all'agricoltura biologica e alla conservazione di specie autoctone: solina, farro e grano ma soprattutto vino e olio. Le camere, ricavate nella originaria struttura muraria di una masseria tardo settecentesca, portano i nomi dei capostipiti delle famiglie patriarcali che un tempo vi risiedevano: l’Abbate, lu Pizzute, Peppine lu Mocculose. Una vecchia porcilaia è ora una dimora indipendente: il Trogolo. Tutti gli spazi presentano antichi arredi e manufatti propri della più ispirata cultura materiale abruzzese. Pollinaria - Contrada Torre Valle - Civitella Casanova, Pe - 085846142
Da vedere
Zoo parco La Rupe
Interessante Parco Faunistico nato nel 1980 e dotato di habitat diversi, nei quali, alla fauna più autoctona come orsi, lupi, linci, si sono aggiunte in seguito specie esotiche come tigri, leopardi, scimmie e altre. Zoo Parco La Rupe - c.da Fornace 5 - 65010 Civitella Casanova PE - 085845192/3931299854
Museo dell'Olio A Loreto Aprutino, nell'antico frantoio di Raffaele Baldini Palladini sorge oggi il Museo che testimonia il grande impegno e l’infinita passione per la terra e l’olio di Loreto Aprutino.
Museo dell'olio - Via C. Battisti, Loreto Aprutino (PE) Tel e FAX +39 0858291589
Loreto Aprutino
Il paese è un piccolo gioiello, pieno di antichi palazzi, chiese e scorci suggestivi. A poca distanza da Pescara, è il più famoso centro di produzione olearia del territorio. Da visitare anche il Museo Acerbo della Ceramica di Castelli, una collezione unica di maioliche curata da un architetto d'eccezione: Leonardo Palladini.
Valentini
XVI
La più prestigiosa cantina abruzzese, premiata per la qualità dei suoi vini già nel 1868. L'azienda, un mito dell'enologia regionale, è guidata oggi da Francesco Valentini che segue l'insegnamento del padre Edoardo. Valentini - Via del Baio n2 – 65014 Loreto Aprutino (PE) Tel. 0858291138