agosto - settembre 2012
Daniele Sebastiani IL PESCARA SEMPRE IN TESTA Carmine Di Ilio LA RICERCA DEL FUTURO Sangritana FERROVIA CENTO E LODE
Sportivi si nasce Sped. abb. postale Art.1 comma 1353/03 aut. n°12/87 25/11/87 Pescara CMP
agosto/settembre 2012 n.79 • € 4.50
Ristorante Café Les Paillotes
Sapori sotto le stelle 79
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Cantina Fliomusi Guelfi: La cultura del vino / La Taverna di Posidone: Il gusto della scafetta
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agosto/settembre 2012
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Rubrica BreVario
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Inchiesta Sportivi si nasce
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Edoardo Papa È nata una stella (marina)
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Luca D’Andreamatteo Una carriera sul green
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Luigi Gobbi Il sogno azzurro
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Daniele Sciarra Laureato centravanti
20
Mattia Felicetti A grandi bracciate verso il successo
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Monica Gobbi Sua altezza nazionale
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Antonio Pellegrini Sulle orme di Agassi
26
Eventi La bella stagione dell’arte
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Personaggi Carmine Di Ilio
38
Personaggi Daniele Sebastiani
42
Personaggi Angelo Fabbrini
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Personaggi Giuseppe Mauro
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Sangritana Ferrovia cento e lode
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Ribalta Teatro/Libri/Arte/Musica/Eventi VARIOGUSTO
II VIII XII
Ristorante Les Paillotes Sapori sotto le stelle Cantina Filomusi Guelfi La cultura del vino La Taverna di Posidone Il gusto della scafetta
Direttore Responsabile Claudio Carella Redazione Fabrizio Gentile (testi), Enzo Alimonti (grafica), Alessio Di Brigida Hanno collaborato a questo numero Oscar Buonamano, Andrea Carella, Simone Ciglia, Annamaria Cirillo, Valentina Cocco, Bruno Cortesi, Alessio Di Brigida, Francesco Di Vincenzo, Elda Gattone, Jenni Gomez, Marcello Maranella Stampa, fotolito e allestimento AGP - Arti Grafiche Picene - Via della Bonifica, 26 Maltignano (AP)
Claudio Carella Editore Aut. Trib. di Pescara n.12/87 del 25/11/87 Copia singola Euro 4,50 Abbonamento annuo (sei numeri) Euro 24, Vers. C/C Post. 13549654 Rivista associata all’Unione Stampa Periodica Italiana Redazione: Via Puccini, 85/2 Pescara Tel. 08527132 - redazione@vario.it
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BREVario DOPPIA FESTA PER UNA TORRE L’Area Marina Protetta della Torre del Cerrano (TE) fa festa due volte: il Parco Marino giunge infatti al suo secondo compleanno; e l’altra occasione di festa è data dall’essere stata inserita al secondo posto assoluto per efficienza gestionale nella classifica del Ministero Ambiente sulle Aree Marine Protette italiane. Il riconoscimento del Ministero è un risultato straordinario per l’Area del Cerrano, soprattutto in considerazione della sua recente istituzione e dei pochi mezzi a disposizione; grazie a questo risultato, l’Area del Cerrano riceverà maggiori fondi per proteggere la natura e per promuovere il turismo sostenibile. Nel corso dei festeggiamenti è stato anche presentato il Museo del Mare, collocato nei piani alti della Torre che ospiterà da subito vari reperti offerti dalle Istituzioni che collaborano col Parco. Il “compleanno” del Parco è stato preceduto dalla inaugurazione di una statua della Madonna nei giardini della Torre a cura della Parrocchia S. Agnese di Pineto. Al termine del convegno, consueta degustazione dei prodotti tipici, la proiezione dei filmati dell’Area Marina Protetta sulle mura della Torre e, dulcis in fundo, l’esibizione canora dell’artista Sylvia Pagni.
GIOSTRE DI SUCCESSO È la pescarese Barbara Di Gregorio, autrice del romanzo Le giostre sono per gli scemi (Rizzoli 2011) la vincitrice del premio Opera Prima del Festival letterario Il dio di mio padre, ispirato alla figura del grande scrittore italoamericano John Fante e in programma dal 24 al 26 agosto a Torricella Peligna. Il festival, diretto come sempre dalla scrittrice e filmaker Giovanna Di Lello, giunge alla sua settima edizione con appuntamenti di rilievo e prestigiose presenze, tra cui Masolino e Caterina D’Amico, Igiaba Scego, Federico Moccia e Sandro Veronesi, grande estimatore di John Fante, che sabato 25 agosto terrà, nel pomeriggio, una lectio magistralis sullo scrittore italoamericano e, la sera, un reading di brani delle opere fantiane con Ray Abruzzo, attore italoamericano di fama internazionale. Non mancheranno inoltre gli incontri e i dibattiti incentrati sulla figura e sull’opera dello scrittore e sceneggiatore John Fante e le presentazioni di libri tra cui Esecuzione di Angela Capobianchi e La paura di Francesca Bertuzzi.
I FANTASTICI QUATTRO DELL’AQUILA Il loro superpotere è il cervello. Ma all’origine delle loro doti non ci sono i raggi gamma: solo studio, tenacia e amore per la scienza. La Preside della Facoltà di Medicina Maria Grazia Cifone, il Direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche Gianfranco Amicosante, il docente della Facoltà di Ingegneria Antonio Mecozzi e la docente della Facoltà di Biotecnologie Anna Maria Teti sono i quattro docenti aquilani che figurano nella Top 100 degli scienziati italiani stilata dalla Via-Academy, classifica che valuta gli scienziati di maggior prestigio internazionale basata sia sull’attività di ricerca sia sull’impatto della produzione scientifica secondo il numero delle citazioni ricevute. Un ottimo risultato che qualifica l’Università dell’Aquila in termini di eccellenza nella ricerca scientifica e che si aggiunge ai recenti prestigiosi riconoscimenti ottenuti da Guido Visconti, membro dell’Accademia dei Lincei, da Umberto Villante, insignito del Premio “Antonio Feltrinelli” dell’Accademia Nazionale dei Lincei e da Aniello Russo Spena, socio dell’Accademia Nazionale delle Scienze. Il risultato raggiunto da Amicosante, Cifone, Mecozzi e Teti, ha commentato il Rettore Ferdinando Di Orio «è il frutto di un lavoro di ricerca assiduo e originale condotto nel nostro Ateneo, per il quale va a loro la nostra grata riconoscenza. Non dimenticando insieme con loro i tanti docenti, soprattutto i più giovani, che sono impegnati nella quotidiana attività di ricerca e che, pur in condizioni finanziarie difficili e spesso di precariato, riescono a contribuire alla crescita continua della prestigiosa tradizione scientifica del nostro Ateneo».
Qualcosa di prezioso Dipinti e gioielli uniti in un dialogo che unisce diverse forme creative (pittorica e orafa) in un unico percorso dove, se è vero che l’arte educa al bello, è anche vero il contrario. Arte pittorica accostata all’arte orafa, questa singolare mostra dal titolo “Qualcosa di prezioso”, nella quale le vetrine della gioielleria Elvio Seta ospitano una decina di piccoli lavori dell’artista Alfonso Camplone. «Unire il gioiello ad un dipinto è “comunione” –spiega Camplone– che aiuta ulteriormente a capire l’Ars, come linguaggio universale». La mostra è stata allestita presso la gioielleria Seta di via C. Battisti 36 a Pescara per due settimane durante il mese di luglio; ulteriori dipinti sono visibili sul sito dell’artista: www.alfonsocamplone.it.
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BREVario IL BIBLIOBUS DELL’AQUILA CON LA POPOLAZIONE EMILIANA Non ci sono montagne, non c’è il Gran Sasso a fare da sfondo; la parlata è diversa, diversa la cadenza così come le tradizioni, le usanze e i piatti tipici. Non ci sono arrosticini e ricotta ma piadine e parmigiano. Lo scenario però, purtroppo, è lo stesso: l’Emilia-Romagna, ferita come l’Abruzzo da un terremoto protrattosi per settimane con conseguenze dolorose. Modena come L’Aquila; Mirandola, Finale, Cavezzo come Onna, San Gregorio e Santa Rufina. È per questo che l’Associazione Bibliobus dell’Aquila –nata all’indomani del terremoto del 6 aprile 2009 per portare il conforto dei libri alle popolazioni costrette nelle tendopoli– in collaborazione con il Comitato Territoriale Arci L’Aquila, ha scelto di rendere disponibile il Bibliobus per cercare di offrire un momento di svago culturale alle persone ospitate nelle tendopoli dell’Emilia-Romagna. Un’iniziativa che ha goduto di una vasta eco sulla stampa nazionale, inclusi programmi televisivi e radiofonici che si sono occupati di documentare l’azione di solidarietà. Il Bibliobus è partito da L’Aquila per Modena il 14 luglio, accompagnato da animatori, giocolieri e clown, con un primo carico di libri, in tempo per partecipare al concerto di solidarietà tenutosi il 15 e il 16 luglio a Bosco Albergati (cui hanno partecipato grandi nomi della musica italiana come Vinicio Capossela, Frankie Hi-Nrg, Punkreas, Modena City Ramblers, Piotta, Cisco). Nei giorni successivi ha visitato, riscontrando un grande successo, 2 Centri Estivi, 1 centro anziani, 3 piazze, 1 mensa autogestita e 5 Campi di Accoglienza. Il viaggio del Bibliobus ha poi effettuato tappe in molte altre mense e campi autogestiti, centri estivi, campi delle Protezione Civile, piazze e Centri Anziani, cercando di diversificare il più possibile il proprio intervento e di raggiungere il maggior numero di persone, toccando tutti i maggiori centri interessati dal sisma come Mirandola, Cavezzo, Finale Emilia e Concordia. Per effettuare l’intervento, durato oltre un mese, sono partiti 15 volontari di cui 5 dall’Aquila e 10 provenienti dai circoli Arci di tutta Italia, come Lecco, Brescia e Roma. I libri in dotazione –cui si sono aggiunte man mano le donazioni effettuate da tutta Italia grazie a una efficace propaganda su Internet– sono stati distribuiti nei campi di accoglienza del cratere sismico in coordinamento con il Comitato Territoriale Arci di Modena.
ARRIVA alice, si parte!
ACQUA, MAI PIù senza
La nuova avventura di Alice Lizza, vj abruzzese, autrice e producer di format dedicati alla cultura underground, si chiama “Si parte!” e ha debuttato a maggio su Rai Edu. Otto puntate, «Ognuna divisa in due parti –spiega la conduttrice Alice Lizza– la prima, di dieci minuti, nella quale cerco informazioni e racconti di studenti ed esperti che vogliono studiare e specializzarsi all’estero, parlando dei progetti Erasmus, Comenius, Leonardo ed altri che danno l’opportunità di fare un’esperienza di studio o lavoro all’estero; La seconda si intitola Lost in Ny e racconta le storie degli italiani che cercano fortuna a New York. Ho girato i video e realizzato le interviste un anno fa nelle strade della Grande Mela». La giovane e dinamica conduttrice è stata inclusa anche nella squadra Rai che ha seguito, lo scorso 2 giugno, il concerto-spettacolo promosso dal Ministero della Difesa e dal Miur, per promuovere il concetto di Legalità nelle scuole. Compito di Alice è stato intervistare artisti e ragazzi partecipanti all’evento. Fondamentale per lei «l’esperienza accumulata negli anni per Rete 8 in programmi come “Yellow submarine”, concept di musica, interviste e monografie ad artisti della scena indipendente italiana, “Taggami”, dedicato al web e new generation e “Alice nella città”, che le ha permesso di intervistare, attraversando l’Italia e l’Europa, personaggi eclettici e metropolitani, legati ad una passione artistica. Il sito di Alice Lizza è: www.alicelizza.com
È il più grande serbatoio per l’accumulo di acqua in Abruzzo quello consegnato lo scorso 20 luglio dal commissario delegato per il risanamento del bacino Aterno-Pescara, Adriano Goio, al Comune dell’Aquila. La vasca da 10 mila metri cubi, pari a 10 milioni di litri, situata nella frazione del capoluogo di San Vittorino, in località Monte Caliglio, è stata realizzata in sei mesi per un importo complessivo di 4,1 milioni di euro. «È un’opera –ha spiegato il commissario Goio– pensata per entrare in funzione sia in caso di crisi delle sorgenti del Gran Sasso, sia per supportare la distribuzione idrica. Non abbiamo inventato nulla: già i romani avevano predisposto impianti del genere”. Tra poche settimane sarà inaugurato anche il nuovo serbatoio di Chieti mentre un altro è in via di ultimazione a Bussi. «Stiamo accelerando –ha concluso Goio– per completare i lavori dell’impianto realizzato sulla Majella, in località Rocca di Ferro, che servirà sei comuni dell’area montana teatina». Oltre alla fornitura idrica ordinaria, l’impianto aquilano in caso di grave emergenza idrica è in grado di assicurare 30 litri d’acqua al giorno per una settimana a 50 mila persone ed è stato predisposto per ottimizzare costi e risorse: il serbatoio, denominato “Acqua Oria”, accumulerà acqua durante le ore notturne, con un notevole risparmio energetico, e la distribuirà durante il giorno nella rete idrica aquilana.
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Viaggiamo VVda un secolo! Autolinee E. Di Febo Capuani
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BREVario EDIMO SUCCESSO moldavo L’edilizia è in crisi, si sa. Ma ci sono aziende che alla crisi reagiscono con intelligenza e mettendo in campo la competitività e il knowhow di cui dispongono, due fattori che possono fare la differenza in momenti difficili, ottenendo risultati a dir poco significativi. È il caso del Gruppo Edimo, holding aquilana specializzata nelle grandi realizzazioni chiavi in mano, che si è ritagliata un posto d’onore tra le imprese virtuose tanto da conquistare la stampa locale e nazionale per le sue iniziative imprenditoriali. La rubrica del Tg1 “Settegiorni in parlamento” ne ha parlato come “modello di delocalizzazione virtuosa”, ovvero di un esempio di imprenditoria che va all’estero per cercare capitali e dare occupazione e formazione alle maestranze locali senza chiudere gli insediamenti in patria, nel caso particolare quello di Poggio Picenze in località Varranoni. In particolare, nel corso del servizio, è stato posto l’accento sull’iniziativa della Edimo in Moldova, dove l’azienda sta realizzando alcune strade e ha costruito un impianto per la frantumazione della pietra e per la produzione di asfalti di qualità. L’attività in Moldova ha interessato anche il vice premier ucraino Borys Kolesnikov, giunto in visita all’Aquila, che non ha voluto rinunciare al tour degli impianti della Edimo a Poggio Picenze: «Stiamo scegliendo la tecnologia migliore per costruire case moderne, in tempi veloci e in economia» ha spiegato Kolesnikov alla fine della lunga visita agli stabilimenti di Varranoni. «La tecnologia italiana ha grandi possibilità di fare al caso nostro. L’Ucraina –ha poi sottolineato– è un Paese enorme e quindi un mercato enorme, per questo vogliamo garantire un futuro confortevole ai nostri cittadini con le tecnologie italiane. Ci auguriamo che le vostre aziende facciano il passo di investire in Ucraina». Gli interessi della holding in Moldova, dove la Edimo ha investito recentemente oltre 2 milioni di euro per la realizzazione di un modernissimo impianto industriale, occupando tra l’altro circa 100 persone, hanno portato poi a un altra importante conquista: la presidenza, conferita a Danilo Taddei (figlio del patron del gruppo Carlo Taddei) della Camera di commercio e industria Moldo-Italiana, ente riconosciuto dal Governo italiano. «Un grande riconoscimento non solo a livello personale –ha commentato il neo presidente– ma che premia anche l’impegno del Gruppo che rappresento. Tra i primi abbiamo individuato le potenzialità industriali della Moldova e abbiamo deciso di investire in questa nazione, favorendo anche l’integrazione tra il know-how italiano e le ambizioni di crescita e sviluppo moldave. Il mio obiettivo è di rafforzare la nostra comunità in Moldova e il rapporto tra noi e il popolo moldavo e di stabilire un clima sempre più cordiale e produttivo». Le attività del gruppo, peraltro, non si fermano qui: la holding ha appena ottenuto una commessa del valore di 46 milioni di euro per la realizzazione del ponte ad arco “Zezelj” sul Danubio a Novi Sad in Serbia, in joint-venture con le spagnole Azvi Sa e Horta Coslada Sr. Un ponte di 474 metri di lunghezza ad altissima tecnologia realizzato pezzo per pezzo all’Aquila, trasportato, montato e varato in Serbia per collegare l’Est dell’Europa alla Turchia e aprire una porta verso l’Asia.
E per celebrare questi successi e confermare la volontà dell’azienda di restare saldamente nel suo luogo d’origine, pur coltivando interessi all’estero, il gruppo Edimo ha deciso di costruire, nell’insediamento produttivo di Varranoni, una nuova palazzina uffici avveniristica di circa 8.500 metri quadrati per un investimento complessivo, già stanziato, di circa 11 milioni di euro, da inaugurare entro il 2013; il tutto per concentrare in un’unica sede centrale tutte le attività manageriali, intellettuali e amministrative di ogni azienda del gruppo per favorire un’ulteriore azione propulsiva sia nazionale che internazionale con conseguente previsione di un incremento di occupazione. Realizzata con modalità innovative e in classe energetica “A”, la struttura sorgerà all’interno del sito che già oggi ospita il cuore operativo e pulsante delle imprese che fanno capo alla famiglia Taddei, la quale ha voluto mantenere forte il legame con la terra d’origine, localizzando appunto il proprio insediamento nel nucleo industriale di Poggio Picenze. Nell’edificio, di sette piani, sono previsti tra le altre cose, una sala conferenze da 500 posti, uno spazio per il culto e uno riservato alla piscina e alla ricreazione; un piano sarà dedicato al settore estero e servirà da “torre di controllo” per monitorare e coadiuvare lo svolgimento dei cantieri internazionali e lo sviluppo delle diverse iniziative in cui il Gruppo Edimo è impegnato, per esempio nei territori dell’est Europa e dell’Africa. • Nelle foto: a fianco Danilo Taddei; in alto, il progetto del ponte sul Danubio a Novi Sad; sopra, il vice premier ucraino Borys Kolesnikov in visita agli stabilimenti del Gruppo Edimo.
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BREVario l’estate dannunziana
Solex, l’ecomotorino
Il cartellone è ricco di appuntamenti ghiotti per gli amanti del teatro, della musica, del cinema e di tutte le forme d’arte, così come la vita del Poeta che della poliedricità fece la chiave della sua produzione. Da Giorgio Albertazzi a Ute Lemper, da Michele Placido a Paolo Conte, sono tanti i nomi e gli eventi in programma al D’Annunzio festival, che per la terza edizione (curata come la precedente da Giordano Bruno Guerri, consulente culturale e d’immagine della città) propone un fitto calendario di appuntamenti che si protrarranno fino al 27 settembre negli spazi culturali più suggestivi del capoluogo adriatico: l’Aurum, il Teatro d’Annunzio, l’Auditorium Flaiano, il centro storico cittadino dove si trova la casa natale del Vate, il Matta, il rinnovato Circolo Aternino. Il Festival ha preso il via lo scorso 19 luglio con la mostra “D’Annunzio e lo sport”, ospitata nei locali dell’Aurum, e prosegue per tutto il mese di agosto alternando spettacoli di danza, teatro e musica a esposizioni e convegni.
È Pescara la città che Solex ha scelto come location per la campagna pubblicitaria di promozione e rilancio del suo gioiellino, la bici a motore rimasta nella memoria collettiva come la storica antagonista del Mosquito. Un vero e proprio cult che nel dopoguerra venne scelto da grandi artisti di fama internazionale come Brigitte Bardot e Steve MacQueen e negli anni ’70 divenne poi l’icona degli intellettuali alternativi. La nuova gamma Solex risponde completamente ai bisogni e alle tendenze del nostro mondo contemporaneo, dove è imprescindibile ormai “l’evoluzione culturale” verso i mezzi non inquinanti. E-Solex, Solexity e Velosolex sono i tre modelli che letteralmente aprono a “Nuove rotte”: spostamenti urbani di breve e medio raggio in cui motorino elettrico e bicicletta a pedalata assistita risultano comodi, veloci, “total green” (non ibridi) ed economici. A questo Solex ha aggiunto l’esclusività del marchio e la linea assolutamente trendy. Ora Solex ha come obiettivo la costruzione di una rete commerciale attraverso l’attivazione di circa 50 concessionari ufficiali distribuiti il più possibile a livello capillare sul territorio nazionale. In Abruzzo è presente a Pescara nel concessionario Del Rossi in Via Bardet (085.4515058), mentre a Giulianova è presso il concessionario Marconi in via Nazionale per Teramo, 39 (085.8001544).
AMBASCIATORI DI STILE Saranno loro i nuovi Valentino, Armani e Gucci? Ai posteri la sentenza, ma di sicuro hanno tutte le carte in regola per eguagliare, o anche superare, i successi dei citati stilisti. Sono i sedici nuovi maestri sarti “sfornati” dalla Fondazione ForModa, presieduta da Lucio Marcotullio, grazie al corso istituito dallo stesso Marcotullio (nel 1985, in qualità di Amministratore delegato della Brioni Roma Style) per “Operatore dell’abbigliamento - Sarto Confezionista di alta moda maschile”. Marco Azzola, Tatiana Cabral, Jonny D’Intino, Sonia De Simone, Tony Dell’Orso, Gabriele Delli Castelli, Angela Di Camillo, Lorenzo Di Costanzo, Francesca Di Donato, Denny Di Quinzio, Juri Di Silverio, Davide Di Tillio, Alex Frasca, Alex Iezzi, Emanuele Pomante, Dario Zicola i sedici studenti cui sono stati consegnati, lo scorso 21 luglio, gli attestati di qualifica professionale, alla presenza del governatore Gianni Chiodi, del Sindaco di Penne, Rocco D’Alfonso, del Presidente di Confindustria Pescara, Enrico Marramiero e dell’Amministratore delegato Brioni, Francesco Pesci. Il corso “Sarto Confezionista di alta moda maschile”, organizzato dalla Fondazione ForModa, in collaborazione con Brioni Roman Style SpA, è un percorso professionale altamente qualificante, e grazie al finanziamento regionale (POR Regione Abruzzo 2007/2013), gratuito per i sedici studenti ammessi.
Una nidiata reale Il 2012 verrà ricordato come una delle annate più proficue per l’Aquila Reale del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Delle sei coppie presenti, cinque si sono riprodotte con successo portando all’involo, avvenuto a fine luglio, sei nuovi giovani esemplari. La coppia di Amatrice infatti è riuscita ad allevarne ben due; cosa alquanto rara che nel Parco si è verificata solo altre due volte negli ultimi quindici anni. Il monitoraggio svolto dal Servizio Scientifico unito all’analisi dei dati degli anni precedenti conferma lo straordinario evento. (foto: P.Papa)
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Lungomare Matteotti, 13-1•65100 Pescara•Tel. 085.374196•085.374103•085.291242•Fax 085.374103•www.salushotel.it•info@salushotel.it
Sportivi si nasce
Nelle cellule dell’acido desossiribonucleico (DNA) c’è una proteina, non ancora identificata, che predispone alla pratica sportiva. È quanto abbiamo scoperto con questo servizio (che poi passeremo alla rivista internazionale Science per le dovute verifiche) in cui presentiamo alcune giovani promesse: figli d’arte, anzi di sport.
di Fabrizio Gentile
A
lle Olimpiadi di Londra non ci sono andati. Ma chissà, qualcuno dei giovani atleti che vi presentiamo nelle prossime pagine potrebbe prendere parte all’edizione 2016 che vedrà la fiamma olimpica ardere sotto l’Equatore, in terra brasiliana. Perché come diceva Muhammad Ali,“I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione”. E loro, il sogno di arrivare in alto, lo coltivano tutti: impegnati nelle discipline più diverse (dalla pallavolo al nuoto, dal golf al surf, dalla pallanuoto al tennis) desiderano raggiungere traguardi degni di nota, quanto meno per eguagliare o superare i record dei propri genitori. Ed ecco svelato il fil rouge che lega le storie di queste giovani promesse dello sport: sono tutti figli d’arte, per così dire, ovvero nati da coppie di atleti che hanno praticato, a vari e diversi livelli, attività agonistica trasmettendo per via genetica la loro passione alla prole. Passione che, assicurano i diretti interessati, sarebbe sbocciata comunque, ma che –crediamo noi di Vario– è
senz’altro stata alimentata dall’essere cresciuti in un ambiente in cui lo sport è “di casa”. Nessun condizionamento, quindi, nella scelta della disciplina; ma senz’altro un fertile humus tra le mura domestiche, che ha fatto crescere questi giovani virgulti con lo stesso amore per lo sport nutrito in passato (e in qualche caso ancora oggi) dai propri genitori. E ascoltando le storie di questi ragazzi scopriamo che, oggi come ieri, uno sport praticato con serietà è un bel fardello: allenamenti costanti, vite sacrificate, difficoltà nel mantenere i rapporti con gli amici, esistenze prematuramente girovaghe al seguito di squadre, tornei, allenatori. Quasi sempre divise tra attività agonistica e studio, le giovani leve dello sport abruzzese sono tuttavia decise ad andare avanti, spinte dal desiderio di primeggiare, di tenere alto il nome della famiglia. Che li sostiene e li affianca nelle loro imprese, che li segue e li consiglia, che li guida verso la scelta più giusta; insieme, come una squadra affiatata. Incontrando la vittoria e la sconfitta, e –come diceva Kipling– ”Trattando queste due bugiarde con lo stesso viso”.
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Edoardo Papa / Surf
È nata una stella (marina) Ha solo undici anni ma cavalca le onde (e il successo) come un adulto
L’
acqua è il suo elemento. Si vede dalle immagini: serio, concentrato, attento, Edoardo Papa si avvicina all’acqua col piglio di chi sta per affrontare una prova importante. Ha l’aria di un atleta che sta per dare il massimo, quell’atteggiamento di chi punta a superare un altro scalino della strada che conduce alle vette più alte. A soli undici anni, Edoardo è un piccolo uomo dotato di un talento eccezionale per uno sport che, per ragioni ambientali e per motivi commerciali, in Italia non gode certo di grande risonanza, ma che all’estero –a poche centinaia di chilometri dalle nostre sponde, per la verità– è tenuto in grandissima considerazione. Tanto che, ci spiega il padre di Edoardo, Andrea, si pensa a un suo ingresso nelle competizioni olimpiche. Andrea Papa è stato pallanuotista nel settebello dei miracoli, quella Sisley Pescara che conquistò titoli nazionali e internazionali sotto la guida del duo Santomo-Pomilio e che fece il grande slam aggiudicandosi, nel 1987, campionato, coppa dei campioni e supercoppa: insomma, uno che in acqua ha costruito il suo successo, anche dopo l’avventura biancazzurra, diventando
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un campione di windsurf, sport che oggi insegna ai bambini che frequentano la sua scuola, la Cdv - Surfing Sports Pescara. E proprio in questa scuola hanno mosso i loro primi passi entrambi i figli di Andrea, Edoardo e Alessandro, anche lui erede di un patrimonio genetico vincente: ha conquistato il titolo di campione nazionale di windsurf nel 2007 nella categoria Under11. «Edoardo invece –racconta Andrea– ha scelto il surf da onda, che è uno sport decisamente diverso, e che difficilmente trova adepti in Italia, specialmente così giovani». Una passione nata nel 2008, quando un amico gli presta una tavola e lui ci sale sopra con una facilità che ha lasciato tutti esterrefatti. Del resto, come si legge sul suo per ora breve curriculum, Edoardo non è mai stato su un passeggino. A stare in piedi ha imparato prestissimo, e a nuotare ha iniziato a sei anni, cominciando poco più tardi a praticare la vela e il windsurf; a otto anni è uscito dall’acqua per fare freeclimbing e per salire su uno skateboard. «Ha iniziato su uno skate tradizionale –racconta orgoglioso Andrea– per poi passare su un altro tipo di skate, con le ruote anteriori che si muovono, un ottimo allenamento
• Edoardo Papa cavalca le onde. In alto la famiglia Papa al completo: Alessandro, Edoardo e i genitori Andrea e Patrizia
per il surf». A soli nove anni si è classificato primo nel campionato nazionale Techno 293 (avendo alle spalle solo sette uscite in Adriatico) ed è arrivato secondo nell’Under14 della finale del campionato italiano junior 2011, perdendo solo la heat finale a causa delle non ottimali condizioni del mare, e contro un avversario che peraltro aveva già battuto. È già apparso su alcune importanti riviste di settore e perfino Sette, il magazine del Corriere della Sera, gli ha dedicato un’intervista. Oggi il suo obiettivo è quello di “gareggiare con i professionisti e batterli”, traguardo che, stando a queste premesse, non pare affatto irraggiungibile, anche se l’ingresso ufficiale nella categoria dei “pros” avverrà solo al compimento dei 14 anni. Per adesso il piccolo Papa è un “grommet” (un giovane, nel gergo dei surfisti) tanto promettente da avere già alle spalle due sponsor importanti e davanti a sé una vita che si divide tra allenamenti e studi scolastici. «L’Adriatico, si sa, non è un mare adatto al surf da onda –spiega papà Andrea– quindi periodicamente, ogni due o tre mesi, andiamo ad allenarci a Fuerteventura, alle Canarie, dove ci sono onde degne di questo nome; significa
star fuori una settimana, magari due ogni volta, e per non perdere terreno a scuola ci siamo organizzati con internet: Edoardo si allena in piscina, poi in mare, e alla fine della giornata di sport si dedica a fare i compiti che gli arrivano via e-mail». Una vita dura, fatta di sacrifici, quella dell’atleta; una vita che è stata, in passato, la stessa di papà Andrea e di mamma Patrizia (Ricci, anche lei con un passato da nuotatrice). Praticamente una famiglia “con le branchie”, i cui membri hanno praticato il praticabile in piscina e in mare aperto, sempre con grande successo e con grande passione. E i genitori –giurano– non hanno mai condizionato le scelte dei propri figli. «Anche se –confessa Andrea– è inevitabile che i figli risentano dell’ambiente in cui crescono: in famiglia non abbiamo mai avuto passione per il calcio, mio padre è stato nuotatore anche lui e tennista, la mia ormai quasi ventennale attività con la Cdv - Surfing Sports Pescara ha portato i miei figli a frequentare le spiagge fin dalla nascita. Ma credo che la passione di Edoardo sia innata, lo vedo da come affronta le onde. Senza paura, ma mai con incoscienza».
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Luca D’Andreamatteo / Golf
Una carriera sul green Ha iniziato col basket e poi ha scoperto il golf. Oggi è tra i più giovani professionisti d’Italia e sogna la massima serie entro tre anni
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uo padre Carmine dice di lui che “è nato su un campo da golf”. Concettualmente, almeno, dato che tanto il padre quanto la madre, Luana Patricelli, sono due golfisti della prima ora, quando i campi in Abruzzo neanche c’erano. E se il loro amore è sbocciato tra una buca e l’altra, era inevitabile che il loro primogenito ereditasse una certa propensione a questo sport. Meno prevedibile era che il giovane Luca (classe 1992) scoprisse in sé una tale passione per il green da diventare professionista all’età di soli diciotto anni (primo professionista abruzzese nella storia del golf e il più giovane in assoluto), per la precisione il 15 ottobre 2010, al Centro federale di Sutri, al termine di una durissima selezione: dopo quattro giornate di gare, solo otto partecipanti su 120 conquistano l’ambito salto di categoria. Neanche a dirlo, Luca ce l’ha fatta al primo colpo, restando tra i primi in classifica fin dall’inizio e mantenendo praticamente inalterata la sua posizione. «Desideravo da tempo –racconta– passare di categoria, avere la possibilità di misurarmi coi grandi. Sono arrivato concentrato alla prova e averla superata al primo tentativo è stata una grandissima soddisfazione». Ma quello tra Luca e il golf, in realtà, non è il primo amore: il giovane D’Andreamatteo è uno sportivo fin
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da bambino, e muove i suoi primi passi di atleta nel 1997, sui campi di pallacanestro per la Amatori Basket. Il phisique du rôle non gli manca, e le gare importanti in cui farsi valere nemmeno: rappresentative abruzzesi, camp nazionali. Parallelamente, a livello puramente amatoriale, si concede qualche sortita sul green di Miglianico, al seguito dei genitori. Nel 2002 inizia a dare più continuità all’attività golfistica, ottenendo anche qualche soddisfazione (nel 2003 ha preso l’Handicap, nel 2005 diventa Brevetto, nel 2007 è Brevetto giovanile). E dopo dieci anni di basket, vissuti tra tornei regionali e interregionali, arrivano anche i primi dissapori con l’allenatore, e prende piede la voglia di dedicarsi al golf in modo più serio e professionale: «La mia strada nella pallacanestro sembrava senza sbocchi, l’ambiente non mi piaceva più come un tempo. E in più vedevo che nel golf ottenevo risultati discreti senza neanche allenarmi quanto e come avrei dovuto. Da lì ho pensato che quella poteva essere una strada percorribile, non solo per la mia attitudine, ma anche da un punto di vista lavorativo». La carriera di un golfista, infatti, è ben più lunga di quella di un atleta che pratica un altro sport più “fisico”. «Un infortunio nel basket o in qualsiasi altro sport può mettere la parola fine ai
• Luca D’Andreamatteo in azione. Qui sopra è con i genitori Carmine e Luana Patricelli sul prato.
sogni di carriera –spiega Luca– mentre col golf queste probabilità sono decisamente più basse; inoltre ho già intrapreso un percorso formativo che mi porterà a diventare insegnante, sto gettando le basi per la mia vita professionale anche dopo l’agonismo in senso stretto». Idee chiare, che dipingono un quadro della mentalità di questo giovane campione, capace di scegliere per passione (ma non senza maturità intellettuale) uno sport di nicchia come il golf. Una buona responsabilità in questa scelta ce l’hanno senz’altro i suoi genitori, che i green italiani (e quello di Miglianico in particolare) li hanno calcati un po’ tutti. «Per me era tutto normale. “Dove va papà la domenica?”“A giocare a golf”. Ci sono foto in cui impugno il ferro, a tre anni, sul campo. Io credo di non aver mai “imparato” a giocare, sono davvero cresciuto sui campi, è una cosa naturale. Sicuramente questo ha contato tantissimo per ottenere certi risultati». Ma la bravura di Luca non è solo frutto del Dna: per arrivare in cima si fanno sacrifici pesanti, forse più che in altre discipline. «Una partita di golf –spiega Luca– dura cinque ore, e per vincerla bisogna essere in grado di mantenere la concentrazione fino alla fine. È importante anche la forma fisica: se non sei al 100% la gara ne risente. Per il basket mi allenavo
due ore al giorno con lo scopo di fare una partita a settimana di 40 minuti, per il golf mi alleno sei-sette ore al giorno sul campo, poi vado in palestra per un’ora a fare stretching; in più ci sono gli esercizi di pilates, e quelli di concentrazione. Due giorni a settimana, poi, faccio anche un po’ di basket, perché serve anche il fiato… È senz’altro uno sport più di testa che di corpo, ma richiede un impegno enorme». E comunque anche il fisico conta: «Ho sempre maneggiato ferri da adulto, anche quando da bambino mi divertivo a seguire papà sul campo. Oggi ho una certa velocità di swing e posso fare 270 metri con un colpo, mentre altri miei coetanei coprono distanze molto minori. E uso i ferri più pesanti che esistano». Ambizioni? «Vorrei afferrare quest’opportunità di una carriera da professionista, farmi conoscere e sperare che qualche sponsor mi noti, perché la vita di un giocatore è bella ma anche dispendiosa. E ora che praticamente la mia vita si svolge sui campi da golf voglio tentare di salire di fascia, entrare nel circuito della massima serie senza passare per quelle intermedie. C’è una gara che offre questa possibilità, la tenterò ogni anno per i prossimi tre anni. E se non dovessi superare la selezione mi dedicherò maggiormente all’insegnamento».
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Luigi Gobbi / Pallanuoto
Luigi il magnifico Firenze lo ha accolto come un figlio e lui la ripaga a suon di gol. La star della Florentia è una giovane speranza della nazionale di pallanuoto
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acrificio e passione. La vita di un pallanuotista è fatta di scelte radicali, rese solo meno pesanti dall’amore per lo sport. È stata una scelta necessaria quella di Luigi Gobbi, ventiquattrenne attaccante pescarese, che all’indomani della retrocessione del Pescara, cinque anni fa, ha dovuto lasciare la squadra della sua città natale per trasferirsi a Firenze. «Noi giovani, alla fine del campionato, abbiamo dovuto lasciare il Pescara per poter continuare a giocare ad alti livelli. Tra le diverse offerte c’era anche quella della Rari Nantes Florentia, che dopo un periodo di difficoltà stava rinnovando il proprio assetto puntando su leve più fresche. Mi è sembrata la scelta più saggia, perché la Florentia è l’unica società a non aver mai subito una retrocessione. Oggi siamo quinti in campionato e abbiamo la squadra più giovane della serie A». A Firenze (dove gioca insieme ad altri due talenti pescaresi, i fratelli Andrea e Francesco Di Fulvio) le cronache locali lo chiamano “Gigione Gobbi”. È uno che ha conquistato –a suon di gol: mentre scriviamo le sue statistiche lo accreditano di 98 reti in 5 stagioni– il cuore dei tifosi. Ma i primi tempi, per Luigi, sono stati difficili. «Avevo solo vent’anni e tanta nostalgia di casa. Mi mancava la vecchia squadra, i vecchi compagni, e tornavo a Pescara ogni
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volta che potevo. Poi pian piano mi sono ambientato e oggi mi trovo bene, anche perché alla Florentia puntano molto sulla compattezza e sulla serenità dello spogliatoio, ti fanno sentire parte di una grande famiglia. E forse è anche grazie a questa filosofia che sono rimasti sempre a quei livelli». Figlio della pallavolista Angela Amadio e di un altro celebre pallanuotista (Maurizio Gobbi, uno che la pallanuoto a Pescara l’ha vista nascere e che ha iniziato dalla serie D per passare, di promozione in promozione, fino alla favolosa stagione del settebello delle meraviglie di Manoel Estiarte), Luigi afferma di non aver subito alcun condizionamento dai genitori nella sua scelta: «Pratico sport fin da bambino. I miei zii hanno una polisportiva, e ho fatto un po’ di tutto, dal basket al nuoto alla pallavolo. Poi, verso gli undici anni, quando si comincia a pensare a una carriera agonistica, ho scelto la pallanuoto perché era lo sport nel quale riuscivo meglio. È stata una scelta dettata dalla passione, perché da un punto di vista economico si tratta dello sport meno remunerativo, anche ai livelli più alti». Certo, il fatto che in casa si respirasse sport deve aver contato qualcosa. «Credo sia inevitabile che la passione per lo sport si trasmetta, se i tuoi genitori sono atleti. Ma i miei non mi hanno
• Luigi Gobbi in piscina per la Florentia; qui sopra è col padre Maurizio e con la mamma Angela Amadio
mai spinto verso una disciplina in particolare, la pallanuoto è proprio frutto delle mie scelte, non di condizionamenti». E così comincia l’avventura di Luigi nel Pescara: dagli undici ai diciassette anni nelle giovanili, poi finalmente in prima squadra. «A Pescara stavo facendo bene, mi sentivo a casa. E naturalmente c’era un bel clima, la pallanuoto qui ha sempre goduto di un certo seguito da quando fece quell’exploit negli anni Ottanta. Forse anche più che a Firenze. Oggi gioco in una squadra che, per fare un paragone col calcio, è ai livelli di Milan, Juventus, Inter… insomma, una grande squadra. Alle nostre partite la piscina è sempre piena, ma nonostante questo si sente che il calore della città è tutto per la Fiorentina. Ecco, a Pescara la situazione mi sembrava leggermente più equilibrata». Com’è la vita di un pallanuotista? «Sicuramente diversa da quella di un calciatore, e per certi versi non è neanche detto che sia una sfortuna. È parecchio impegnativa: ci alleniamo due volte al giorno tutti i giorni, due ore la mattina e due la sera. Dal lunedì al mercoledì si fanno allenamenti pesanti, poi si alleggerisce un po’ il giovedì e il venerdì per arrivare più freschi alla partita del sabato. Insomma, è faticoso, e quindi la passione è determinante: devi essere predisposto a reggere certi ritmi, altrimenti
è facile prendere strade diverse. Però la pallanuoto è uno sport che ti consente di vivere bene, anche se economicamente, al termine della carriera agonistica, ti lascia poco. Puoi scegliere di restare nell’ambiente, fare l’allenatore, ma non è il mio proposito. Per questo, parallelamente allo sport, porto avanti gli studi: sto per prendere la laurea triennale in Ingegneria. Faticosamente, dato che ci ho messo sei anni. Ma ne ho bisogno per quando non giocherò più». Per il momento, oltre agli studi, si coltivano sogni di gloria in piscina. «Mio padre ha iniziato a giocare in serie D, ed è arrivato fino alla serie A. Ha avuto una buona carriera, da portiere, e ha smesso intorno ai 29 anni. Io sono attaccante, e a 24 anni ho già raggiunto i suoi livelli. Quindi ho davanti a me ancora un po’ di tempo per superarlo. E voglio giocare finchè riesco a farlo». Il sogno, oltre quello di vincere uno scudetto, è di giocare in nazionale: «Sono già stato convocato a diversi allenamenti collegiali senza mai essere chiamato poi alle partite. Ma ho buone speranze». Nella vita di Luigi che posto occupa, oggi, la città natale? «Pescara è sempre la mia città, anche se le scelte che ho fatto sono andate in un’altra direzione. Mi piacerebbe tornare a giocare per il Pescara, se tornasse ai livelli di un tempo».
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Daniele Sciarra / Calcio
Laureato centravanti Un calciatore tutto studio e pallone. Il suo pallino è l’economia, il suo modello è il bomber Iaquinta e il suo sogno è giocare in serie A. Possibilmente con il Pescara
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a Roma lo ha comprato dopo averlo visto giocare un paio di volte. Direttamente, senza provini o altre trafile burocratiche. Chissà, forse è così che nascono i campioni: un po’ per caso, col “Sole sul tetto dei palazzi in costruzione / sole che batte sul campo di pallone e terra / e polvere che tira vento e poi magari piove”. Ed è così che comincia la storia di Daniele Sciarra. «Ho cominciato a giocare a calcio da bambino, come tutti, credo; il cortile, gli amici, un pallone. Poi mio fratello, che giocava in una squadra dilettantistica, convinse un suo amico a farmi entrare nel loro team e ho potuto mettermi un po’ in mostra. Ero bravino, avevo solo sette anni ma me la cavavo bene. Anzi, ero fin troppo bravo per le scuole calcio dilettanti, così all’età di dieci anni feci un provino per il Pescara e mi presero. Era il 2001. Ho iniziato coi pulcini e sono arrivato fino agli allievi nazionali. Da quando sono andato alla Roma, però, è maturata la vera passione e ha preso corpo l’idea di fare il giocatore professionista». È infatti col passaggio alla Capitale che per il sedicenne Daniele (una prima punta in stile Iaquinta) arrivano i primi veri test. Il suo allenatore nella Primavera giallorossa è Alberto De Rossi, papà
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del Daniele nazionale e “Capitan Futuro” della squadra capitolina. Durante la permanenza a Roma il nostro Daniele si allena duramente e studia altrettanto duramente, perché ha già capito che la vita dello sportivo è fatta di sfide, e non si tira indietro. Tanto da raccoglierne una importante, quella di diplomarsi alla scuola pubblica (il Liceo scientifico Primo Levi, all’Eur) mentre tutti i suoi compagni frequentano una scuola privata. «La preside era anche contenta che avessi fatto questa scelta, perché in quella scuola lo sport è tenuto in grande considerazione; ma nello spogliatoio, tra compagni e tecnici, pochi credevano che ce l’avrei fatta. Devo farmi i complimenti, perché non è stata proprio facile facile. E ora sto portando avanti anche l’università, sono iscritto a Ingegneria delle costruzioni alla Facoltà di Architettura di Pescara». I successi scolastici e quelli sportivi sono entrambi motivi di orgoglio per i genitori di Daniele, Marco Sciarra e Stefania Angelone, entrambi con un passato da atleti: lui calciatore dilettante («Ero una schiappa», confessa), lei con maggiori glorie nell’atletica leggera: campionessa nazionale a 14 anni nei 300 metri e vincitrice di diversi campionati regionali anche nella corsa campestre («Avevo 16 anni quando ho
• Un sorridente Daniele Sciarra sulla panchina del Pescara; qui sopra è con i genitori, Marco Sciarra e Stefania Angelone
abbandonato l’agonismo: avevo conosciuto un ragazzo che era una schiappa a pallone ma con le donne ci sapeva fare»). Di Daniele dicono che è un bravo ragazzo, anzi: «È il classico bravo ragazzo, forse troppo intelligente e troppo buono». Caratteristiche che in un mondo come quello del calcio sono sempre più rare. «È serio, posato, una persona molto equilibrata. Crediamo che abbia acquisito tutti i valori che insegna lo sport: ti dà senso del sacrificio, aiuta a formarti mentalmente, educa alla passione, e a gestire le emozioni. I risultati bisogna sudarseli ma non ci si deve abbattere per le sconfitte». «Io invece mi abbatto facilmente –dice Daniele– sono triste quando ricevo delusioni. Ma non mi fermo, vado avanti». E dalla Primavera della Roma Daniele è andato avanti: trasferito all’Aversa Normanna (2010/11), che dopo un periodo di comproprietà ne ha ottenuto il cartellino, è stato ceduto al Barletta nel 2011 per tornare, lo stesso anno, al Pescara. Quello di Zeman. «All’inizio sembrava che Zeman avesse deciso di ritagliare uno spazio anche per me. Per fortuna, per il Pescara –e purtroppo, per me– così non è stato, e a gennaio sono andato in prestito al Chieti». La sua esperienza col boemo più famoso d’Italia si è limitata, pertanto, ai faticosi allenamenti
ormai diventati un marchio di fabbrica del tecnico. «Ma anche in allenamento si impara molto. La mentalità di Zeman è quella di offrire sempre spettacolo, di segnare più degli altri, verticalizzare spesso e fare poche chiacchiere, per dirla in soldoni. Mi trovavo molto bene, e anche se non ho mai avuto occasione di giocare è stata un’esperienza gratificante». Ora il suo percorso sportivo lo porta al Campobasso, squadra cui è stato prestato dal Delfino. «Il mio obiettivo realistico –confessa– è quello di disputare un campionato di serie B ad alti livelli». In attesa di fare il suo esordio nella massima serie, magari con addosso i colori della sua città: «Il desiderio, chiaramente, è di tornare a giocare al Pescara. Poi voglio diventare ingegnere, e se riuscissi a giocare fino ai 34-35 anni mi piacerebbe prendere anche una laurea in Economia e Finanza». Idee chiare e piedi ben saldi per terra. E se nel suo futuro ci fosse una grande squadra? «Il sogno sarebbe di arrivare al Milan, che è anche la squadra per cui faccio il tifo. Non credo a chi parla di tradimento: siamo calciatori, è il nostro mestiere. Come si potrebbe rifiutare una simile offerta? Del resto Mister Zeman ha detto sì alla Roma, Verratti ha detto sì al PSG. Sono occasioni che non capitano tutti i giorni, bisogna saperle cogliere al volo».
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Mattia Felicetti / Nuoto
A grandi bracciate verso il successo Dal basket al nuoto il passo è breve. Soprattutto se alla prima prova in vasca batti (quasi) un campione olimpico
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suoi genitori sono stati entrambi atleti professionisti: la mamma Stefania Mariotti ha giocato a basket in serie A, il padre Massimo è un ex pallanuotista oggi campione olimpionico di nuoto nella categoria Master. E Mattia Felicetti, che oggi è una grande promessa del nuoto, ha iniziato l’attività sportiva seguendo le orme della mamma. «Ho giocato a basket in varie squadre locali, fino ad approdare alle giovanili del Roseto in serie A, dove sono rimasto fino ai diciassette anni. Era piuttosto stressante, perché facevo su e giù da Pescara tutti i giorni, ma mi piaceva e mi sentivo portato. Poi però, benché le mie prestazioni fossero convincenti, restavo spesso fuori dal campo, e questa situazione cominciava a pesarmi». Tanto da rinunciare addirittura alle finali nazionali. A quel punto si fa strada un’altra prospettiva: «Il padre di Luigi Gobbi, Maurizio, mi aveva proposto di giocare a pallanuoto, uno sport che fisicamente mi si addice: sono alto, potrei essere un buon portiere. Io però non avevo mai praticato il nuoto a livello agonistico, avevo fatto solo la scuola nuoto da piccolo. Tuttavia feci il provino per la squadra, e andò discretamente. Qualche tempo dopo, quando cominciavo a pensare di abbandonare definitivamente il basket per
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dedicarmi alla pallanuoto, ero con papà alle Naiadi, dove si allenava. Chiesi al suo allenatore di prendermi il tempo sui 50 metri, tanto per provare. Restò stupito: senza tuffo ottenni un tempo ottimo. Mi chiese di provare di nuovo, stavolta con un tuffo; fu del tutto improvvisato, dato che non avevo le conoscenze tecniche necessarie, e feci i 50 metri in 27”,6. Mio padre in 26”,8 ha vinto l’argento olimpico nella categoria M45». Una prova sorprendente che sposta le prospettive del giovane Mattia dalla pallanuoto al nuoto professionistico. «Certamente sono stato fortunato: come mio padre, ex pallanuotista che a quarant’anni ha cominciato una seconda vita nel nuoto, così anche io ho scoperto questa vocazione in tarda età (cominciare a diciassette anni non è facile) e provenendo dal basket, che fa parte del bagaglio di mia madre. Di certo c’è qualcosa che geneticamente mi appartiene». Sorprende anche se stesso, Mattia, che ottiene via via risultati sempre più alti: «Ho scalato le posizioni piuttosto rapidamente. All’inizio ero ventesimo, poi sono salito fino al dodicesimo posto in Abruzzo. Oggi sono il dodicesimo uomo più veloce in Italia. All’ultimo campionato assoluto italiano mi sono classificato terzo in finale B, scendendo di oltre 5” in sette
• La potente bracciata di Mattia Felicetti; qui sopra la famiglia pronta al tuffo: Massimo, Mattia e Stefania Mariotti
anni. È stata un’avventura fantastica e anche un riscatto dopo la delusione nel basket». Come la pallacanestro, però, anche il nuoto richiede sacrifici e impegno. E quasi sempre è una strada che conduce lontano da casa. Dopo essere passato per diverse squadre, Mattia ha finalmente trovato una stabilità nel team di San Benedetto del Tronto, al seguito di un ex allenatore di papà Massimo. «Da quando mi alleno con lui ho migliorato tantissimo le mie prestazioni, e per uno che come me ha iniziato relativamente da poco, ritrovarsi in cinque anni a gareggiare con gente del calibro di Magnini o della Pellegrini non è cosa da poco». L’esperienza, racconta Mattia, gli è servita anche dal punto di vista psicologico: «Sono passato da uno sport di squadra a uno individuale, ed è una cosa che fa crescere tantissimo. Ti rende più forte, perché ti mette di fronte ai tuoi limiti, alle tue paure, e ti spinge a superarle. All’inizio ero molto insicuro, emotivo; oggi so gestire molto meglio la tensione, e in gare come queste (Mattia nuota sui 50 metri, che è come dire i 100 metri dell’atletica leggera, ndr) è importante essere in grado di controllare tutti i dettagli, niente può essere lasciato al caso. La concentrazione e la capacità di andare sempre alla ricerca della perfezione sono
fondamentali». Fondamentale, per Mattia, è anche stato l’apporto dei genitori, due atleti che credono nel valore formativo dello sport: «Loro sanno che si tratta di un periodo irripetibile nella vita di una persona. Il loro affetto e la loro esperienza di atleti è stata importantissima, apprezzano gli sforzi che sto facendo, si rendono conto di quanto conti la passione sportiva». E per potersi dedicare con più attenzione a questa sua nuova passione Mattia ha preso casa a San Benedetto, così da proseguire con maggior serenità anche la carriera scolastica: «Quando andavo al liceo tornavo a casa da scuola, poi prendevo il treno per San Benedetto e stavo fuori dalle quattro alle nove di sera. Non avevo molto tempo per studiare, l’esame di stato l’ho praticamente preparato in treno, e la cosa è stata piuttosto complicata. Ora per fortuna tutto è più semplice: ho più tempo a disposizione anche per lo studio, mi mancano cinque esami alla laurea specialistica in giurisprudenza, poi ho davanti un dottorato e nuove sfide». Nuoto, università… e le ragazze? «Ora che sono di stanza a San Benedetto ho tempo anche per quello: sono fidanzato da due anni. Con una giovane nuotatrice».
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Monica Gobbi / Volley
Sua altezza nazionale Ha la statura della campionessa e il portamento di una modella. Schietta, intelligente e ironica, ecco la regina azzurra del volley
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e chiamano “Azzurrine”, ma a vederle il diminutivo proprio non gli si addice: le atlete del Club Italia Volley femminile, la squadra voluta dalla Federazione Italiana Pallavolo che riunisce le migliori giocatrici italiane sotto i vent’anni, hanno tutte una statura ragguardevole. Non fa eccezione l’abruzzese Monica Gobbi, 188 centimetri e 18 anni di età, dal 2009 nell’organico della prestigiosa rappresentativa nel ruolo di opposto (un’attaccante, per i profani). Sua altezza Monica, per la verità, almeno la statura l’ha ereditata dai genitori: il papà Alessio, vecchia gloria del volley italiano, ha messo i suoi 191 centimetri al servizio di Pescara, Asti, Chieti, Falconara e Macerata in 14 indimenticabili stagioni (12 delle quali in A1) tra il 1980 e il 1995, e giocando anche due Universiadi con la nazionale; la mamma Maria Grazia Schivo, 183 centimetri, non è stata da meno nel basket, partecipando nella sua carriera ai successi della mitica Pitagora degli anni ‘80 e al torneo europeo Liliana Ronchetti nel 1993. Se sull’origine delle doti fisiche non ci sono dubbi, la passione per lo sport –assicura Monica– è tutta farina del suo sacco. «Credo che avrei praticato lo sport anche se non avessi avuto due genitori ex atleti», spiega. Certo, molto
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conta l’esser praticamente cresciuta sui campi da gioco, quelli dell’Associazione Sportiva Dilettanti Vivavilla, polisportiva nata su iniziativa dei genitori insieme a Malì Pomilio e Daniele Fontecchio, altra coppia di star provenienti rispettivamente dal basket e dall’atletica: «In palestra ci è praticamente nata –ricorda la mamma– io allenavo i ragazzi che frequentavano il nostro centro e mi portavo dietro i bambini, che a malapena gattonavano sul parquet; vivevano per metà della loro giornata in un contesto sportivo». Che –è proprio il caso di dirlo– è anche quello nel quale la “piccola” Monica muove i suoi primi passi nell’agonismo, senza alcuna forzatura da parte dei genitori. Dopo essersi fatta tentare dal basket e dall’atletica, alla fine è esplosa la passione per il volley, alimentata anche dai successi conseguiti con la squadra dell’ASD Vivavilla: campionato provinciale, trofeo delle province e trofeo delle regioni. E nel frattempo è esploso anche il suo fisico, tanto che a 14 anni faceva già ombra a tutte le sue compagne di squadra: «Quando i parametri fisici sono così diversi dalle coetanee –spiega il papà Alessio, che l’ha allenata fino a quattro anni fa– diventa difficile fare progressi, perché non ci sono più avversarie in grado di contrastarti. E al-
• Monica durante una partita; qui sopra è con la sua famiglia: papà Alessio, mamma Maria Grazia e la sorellina Lorenza
lora abbiamo capito che per migliorare bisognava cambiare». Ecco così che la quindicenne Monica, nel 2009, entra a far parte dell’élite della pallavolo nazionale, ovvero il Club Italia, trasferendosi per i primi due anni a Roma e poi a Milano. «Il Club – spiega Monica– è una specie di accademia, un college, nel quale le atlete vengono allenate permettendo loro di studiare, giocare e prendere parte a impegni internazionali. Partecipiamo anche a un campionato nazionale, quest’anno abbiamo giocato in B1. Ora il mio periodo al Club Italia è terminato e sono in attesa di sapere come (e dove) proseguirà la mia carriera». La scelta della società alla quale legarsi per il prossimo futuro è infatti connessa anche ai suoi impegni scolastici: «Frequento il liceo artistico, indirizzo grafica pubblicitaria. Ho finito il quarto anno e nel 2013 dovrò diplomarmi, e siccome non tutti i licei hanno una classe del quinto per quest’indirizzo dovrò scegliere la società anche in base alla disponibilità dell’istituto». La vita di Monica, nel “college” italiano del Centro Pavesi di Milano, si è infatti divisa tra scuola e palestra, con pochissimi momenti liberi. «Viviamo tutte insieme in una foresteria, siamo 12 ragazze. Tra di noi c’è un bel rapporto, anzi posso dire che proprio nella squadra ho
trovato le mie amicizie più forti, si stabilisce una solidarietà cameratesca. La vita che facciamo, del resto, ci limita molto nella possibilità di mantenere i rapporti con gli amici d’infanzia, quelli che ti accompagnano anche durante l’adolescenza. La nostra quotidianità è fatta di studio e di allenamenti, e non resta molto tempo per dedicarci ad altro. A volte esco da scuola alle tre e vado direttamente in palestra dove resto fino a sera, poi ceniamo e passiamo la notte a studiare. La vita sociale ne risente, ma quando c’è passione per quello che si fa, i sacrifici si fanno volentieri». Anche perché sul fronte sportivo le soddisfazioni non mancano: Monica ha disputato, con la Nazionale Pre Juniores, il torneo 8 nazioni in Svezia nel 2009, i JPII Games in Palestina, il torneo 8 nazioni in Germania nel 2010, gli Europei e i Mondiali in Turchia nel 2011. E proprio dalla Turchia, precisamente dal Fenehrbace, le è arrivata una proposta, che si somma alle altre due giunte da prestigiosi college statunitensi. «Per adesso i miei impegni scolastici non mi consentono di sfruttare nessuna di queste occasioni, ma è senz’altro incoraggiante che ci siano società straniere che mostrano interesse per me, anche se il mio desiderio sarebbe giocare in Italia».
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Antonio Pellegrini / Tennis
Sulle orme di Agassi Aggressivo e tenace, ha finora conquistato soprattutto la critica, che lo ritiene un talento. E se lo dice uno come Nick Bollettieri c’è da crederci
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veva dodici anni quando si è recato per due settimane a Bradenton (Florida), nel regno di Nick Bollettieri, insieme a un suo amico che vive a Londra. Due settimane durante le quali il giovane Antonio Pellegrini, oggi diciassettenne, ha potuto mettersi in mostra e sfoderare i suoi colpi migliori, il suo approccio aggressivo, le sue doti tecniche. «Il giudizio di Bollettieri (allenatore dell’ex numero uno Andre Agassi) e del suo staff è stato estremamente positivo, e mi ha incoraggiato a proseguire per questa strada», racconta Antonio Pellegrini, classe ‘95, tennista in cerca di opportunità. «Il primo sport che ho praticato a livello agonistico è stato il calcio –ricorda– ma dopo qualche tempo ho cominciato a disamorarmi: l’ambiente non era dei migliori, cercavo maggior serenità». Una disaffezione sicuramente ben accolta dai genitori, che pur avendo sostenuto il figlio in questa sua prima passione («Gli ho perfino allestito un campo da calcio nei nostri terreni» racconta il papà Luciano) hanno maggiore familiarità con altre discipline sportive. Luciano Pellegrini e Cristina Cataldi Madonna, infatti, sono –oltre che due ben noti viticoltori– rispettivamente ex tennista e sciatore, ed ex cestista; a distanza di dieci anni l’uno dall’altra hanno tenuto alto il nome dell’Abruzzo con ottime prestazioni,
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anche se limitate al territorio. «Il vero problema è che non ci facevano proprio andare fuori –ricorda Luciano– per mancanza di fondi, perlopiù. I tempi erano diversi da oggi, noi privilegiavamo lo studio prima di tutto; al liceo Classico di Pescara, negli anni Sessanta, se ci presentavamo un giorno con una coppa conquistata in una gara di sci o di tennis rischiavamo la sospensione. Ci allenavamo il giusto, senza sottoporci ai ritmi degli atleti di oggi, eppure qualche risultato lo abbiamo sempre portato a casa». Anche Antonio oggi è diviso tra scuola e passione sportiva: «Frequento il Liceo Classico che è una scuola molto impegnativa: sono a un anno dagli esami di maturità ed è veramente dura conciliare le due cose. Già è difficile studiare durante l’anno, figuriamoci se per caso dovessi affrontare un torneo sapendo di avere l’esame di maturità dopo pochi giorni…». La vita di Antonio Pellegrini è cambiata da quando ha scoperto nel tennis la sua vera passione. «Ho cominciato verso gli 8-9 anni, in forte ritardo rispetto ai miei coetanei che di solito prendono in mano la racchetta già intorno ai 4-5 anni. Ma ho tutte le intenzioni di recuperare il distacco, perché giocare a tennis mi piace veramente tantissimo». E il motivo della visita in Florida era proprio «di valutare se avevo le caratteristiche per poter
• Il dritto vincente di Antonio Pellegrini; qui sopra la famiglia al completo: Cristina Cataldi Madonna, Lorenzo, Antonio e Luciano Pellegrini
proseguire sulla strada del professionismo o se mi stavo infilando in un vicolo cieco. Non voglio ritrovarmi a vent’anni senza la prospettiva di poter raggiungere dei risultati significativi». Iniziata l’attività agonistica sotto la guida di insegnanti qualificati («Cesare Agresti, un ottimo maestro regionale, e Maria Orlando, titolare del Match Point 2000 di Villa Raspa, uno dei circoli più quotati per i giovanissimi») dopo tre o quattro anni Antonio ha preso contatto con un maestro privato, Fabio Sgrignoli, «un ottimo atleta di seconda categoria, che mi ha seguito per un annetto e poi mi ha portato in serie C con il Circolo Tennis Lanciano. Se tutto andrà bene l’anno prossimo potremo giocare in serie B, ma mi sono posto degli obiettivi piuttosto alti: scalare rapidamente le classifiche per passare in seconda categoria e giocare con i migliori». E per raggiungere quest’ambizioso traguardo Antonio ha partecipato a un provino per entrare all’Accademia tennistica di Giampaolo Coppo, a Roma. «Coppo è un coach di livello internazionale, supervisore dell’Italia alle Olimpiadi di Pechino, che ha seguito giocatori di primo livello come Marcello Craca, Vincenzo Santopadre, Davide Sanguinetti, Daniele Musa, Stefano Galvani, Mara Santangelo, Francesca Schiavone e Tathiana Garbin. Sono andato da lui in prova e…
mi ha accettato! Ho cominciato a settembre 2011: il ritmo di allenamenti è diverso, gioco sei ore al giorno tutti i giorni, e devo anche studiare. È un college tennistico a tutti gli effetti. Torno a Pescara ogni due settimane per giocare in serie C col Lanciano e ogni tanto partecipo ai tornei nazionali individuali». Proprio i tornei sono quelli che danno la possibilità di guadagnare punti nella classifica italiana e internazionale: «Un’esperienza molto bella è stata quella che ho fatto in Marocco, ho partecipato a un torneo 10mila ITF (significa che il premio in palio era di 10mila dollari, ndr) e al Guzzini Challenger, un torneo professionistico giocato sul cemento, che fa parte dell’ATP Challenger Tour, dove ho giocato contro un canadese numero 90 al mondo. Per prendere un punto ATP (con un punto ATP si è n.1000 al mondo) si deve superare un turno del tabellone principale. Io per ora non ho avuto ancora quest’opportunità ma il tennis mi piace davvero tantissimo, molto più di prima, e vorrei giocare tutti i giorni un’ora dopo l’altra. Voglio passare in seconda categoria entro la maturità; devo sapere che posso raggiungere obiettivi più alti, altrimenti smetterò di giocare e mi dedicherò solo allo studio. Nel caso in cui dovessi farcela, invece, sarà l’Università ad aspettare un po’».
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Eventi/Mostre
La bella stagione dell’arte
In estate maturano le esposizioni nelle città e nei borghi d’Abruzzo. Ecco il cartellone per chi ha sete di cultura e vuole visitare la regione di Simone Ciglia, Oscar Buonamano, Valentina Cocco
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os’hanno in comune un borgo medievale, il parcheggio di un palazzo in costruzione e un’antica fortezza? La risposta è: l’arte contemporanea. Per una felice congiunzione d’intenti, tutti e tre i suddetti luoghi ospitano infatti questa estate una mostra, tra appuntamenti consolidati, novità e ritorni. La novità è rappresentata dal gemellaggio tra due istituzioni –a Castelbasso e Civitella del Tronto, entrambe nel Teramano– che hanno promosso congiuntamente un progetto teso a portare la cultura contemporanea nei borghi. Ma l’estate abruzzese è calda e generosa, e propone tanti appuntamenti per tutti i gusti dell’arte.
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• Il presidente della Fondazione Carichieti Mario Di Nisio con la curatrice Elena Pontiggia all’inaugurazione della mostra di Aligi Sassu a Palazzo de’ Mayo a Chieti. Nella pagina a fianco, Alfredo Paglione
Sassu e Corrente 1930-1943 a Palazzo de’Mayo di Chieti Nel cartellone ampio e diversificato degli eventi abruzzesi Chieti ha un ruolo di primo piano: non solo grazie ai suoi appuntamenti estivi ma soprattutto alla capacità di attirare pubblico durante tutto l’anno nel settecentesco Palazzo de’ Mayo, edificio di stile barocco situato nel centro storico di Chieti, a cui la Fondazione Carichieti ha dato nuova vita grazie ad un complesso intervento di restauro e soprattutto grazie alla sua riqualificazione che ha permesso di consegnare alla collettività una “cittadella della cultura”. Già dal gennaio 2011, infatti, al suo interno si sono svolte varie mostre d’arte temporanee di alto livello, partendo con una grande mostra di sculture di Mimmo Paladino, fino ad arrivare all’inedita e poco conosciuta arte sacra di Giorgio De Chirico, mostra che ha registrato, in poco più di due mesi, successo di pubblico e critica, contando più di 5000 visitatori. A questa esposizione, chiusa il 15 luglio, ne è subito seguita un’altra, Sassu e Corrente 1930-1943. La rivoluzione del colore, inaugurata lo scorso 25 luglio e aperta al pubblico fino al 7 ottobre. Sin dall’esordio, questa mostra, nata per celebrare il centenario della nascita di Aligi Sassu, sembra mantenere la promessa di qualità culturale che finora ha contraddistinto gli eventi promossi ed organizzati dalla Fondazione Carichieti: la mostra –curata da Elena Pontiggia in collaborazione con Alfredo Paglione che di Sassu fu gallerista, mecenate e cognato– ripercorre la stagione fondamentale di Aligi Sassu (1912-2000) e documenta in modo organico, per la prima volta in Abruzzo e nell’Italia centro-meridionale, il movimento di Corrente, formatosi nel 1938 a Milano attorno all’omonima rivista fondata dal diciottenne Ernesto Treccani. 50 sono le opere in mostra, grandi oli colorati e sculture di bronzo di autori come Birolli, Cassinari, Guttuso, Manzù, Migneco, Valenti e molti altri, che attestano la partecipazione, o almeno la vicinanza culturale, a quello che è stato definito “l’ultimo dei movimenti espressionisti in Italia”, l’espressionismo lirico e colorato di Corrente. Oltre a questa mostra, visitabile per tutta l’estate nel S.E.T. (Spazio Esposizioni Temporanee) del primo piano di Palazzo de’ Mayo, è possibile vedere molto altro: nel secondo piano dello stesso Palazzo il 2 giugno scorso è stato inaugurato al pubblico il Museo Palazzo de’ Mayo, con le tre collezioni permanenti che arricchiscono il patrimonio culturale dell’intera città: la prima collezione, di proprietà della Fondazione Carichieti e della Carichieti Spa, vanta più di 50 opere rappresentative dei più grandi nomi ottocenteschi dell’arte abruzzese e non solo, come Barbella, la famiglia Cascella, Celommi, Dalbono, Fattori, Francesco Paolo Michetti (di cui si può vedere l’imponente olio su tela di quasi 6 metri, la Figlia di Jorio), fino ad arrivare ad artisti tra i più famosi nella scena artistica contemporanea, come Sughi, Vernizzi e Omar Galliani; la seconda collezione è quella
messa a disposizione dai coniugi Alfredo e Teresita Paglione: 130 dipinti e sculture di 90 artisti del XX secolo, allestite in 15 sale del secondo piano di Palazzo de’ Mayo, che contribuiscono a integrare e completare quel percorso, non solo cronologico, basato sul concetto di “bellezza” che la Fondazione Carichieti ha voluto esprimere attraverso le opere di sua proprietà; e infine, sempre nel Museo del secondo piano di Palazzo de’ Mayo, sono esposti quasi 200 pezzi di argenteria di elevato valore culturale, provenienti da tutto il mondo e soprattutto dall’Inghilterra ed espressione di una grande arte orafa rappresentata qui dal ‘600 fino ai primi anni del ‘900. Oltre al Museo e alle mostre temporanee, dal 6 luglio scorso è possibile inoltre visitare la Biblioteca d’Arte Fondazione Carichieti, una biblioteca specializzata in arte aderente al Sistema Bibliotecario Nazionale che nasce, con più di duemila testi già inseriti, come fonte di speranza e segno di ottimismo in un periodo storico che di certo non verrà ricordato per la sua grande attenzione, anche economica, verso il settore culturale. Ben presto la Biblioteca d’Arte Fondazione Carichieti si arricchirà di una sezione completamente dedicata ai ragazzi, nella quale sarà possibile anche praticare laboratori didattici. Il giardino teatro di 700 metri quadrati, invece, collocato nel retro del Palazzo, per tutta l’estate è stato sede di importanti eventi musicali e non solo: i concerti della Settimana Mozartiana (dal 9 all’11 luglio), il jazz di Chieti d’Autore (10 e 12 agosto), il Festival degli artisti di strada (14,15 e 16 agosto). Il programma estivo di Palazzo de’ Mayo si concluderà il 31 agosto, con una conferenza e l’inaugurazione al pubblico dell’antica zona sotterranea coperta, la cosiddetta “Via Tecta”, collocata nell’ipogeo dello stesso Palazzo de’ Mayo.
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Paesi, pastori e viandanti a Santo Stefano di Sessanio Si rinnova la “Condivisione di affetti” tra Firenze e Santo Stefano di Sessanio. Fino al 30 settembre, il borgo aquilano ospita una nuova mostra di opere d’arte della Galleria degli Uffizi, Paesi, pastori e viandanti. Marmi antichi e visioni dipinte dagli Uffizi a Santo Stefano di Sessanio dedicata ai temi del paesaggio e della pastorizia. Punto di forza di questa seconda rassegna è il recupero dell’antico legame che, in pieno Rinascimento, ha unito per oltre 170 anni Santo Stefano di Sessanio a Firenze, testimoniato da uno dei simboli architettonici lasciati in eredità dalla Famiglia de’ Medici: la Torre medicea, andata distrutta con il sisma del 2009. Un evento che consolida il sodalizio culturale nato lo scorso anno con la mostra Condivisione di affetti (oltre 14.000 visitatori paganti). Il percorso illustra aspetti importanti della realtà rurale: il paesaggio, i mestieri legati alla vita montana e quelli della vita contadina. Quadri del Seicento di pittori fiamminghi, olandesi e francesi, restituiscono un affresco paesaggistico lussu-
reggiante dove è la natura a primeggiare, mentre l’uomo si adatta a ruolo di comparsa. Accanto ai quadri, preziosi marmi romani raccontano mestieri antichi legati alla vita rurale. La scelta delle tele e dei marmi celebra l’integrità paesaggistica caratteristica della montagna abruzzese e in particolare di questo piccolo borgo montano, difesa dall’amministrazione comunale, dagli enti e dai privati che hanno creduto nella tutela e nella cultura come risorse fondamentali dell’economia locale. Ventinove le opere esposte, che vanno a impreziosire la sede del Municipio e alcuni suggestivi e caratteristici locali distribuiti nel centro storico del borgo, riproponendo la formula itinerante che la scorsa edizione aveva riscosso un ottimo consenso. Un’occasione per offrire un percorso di visita più ampio del borgo e consentire di ammirare le magnifiche testimonianze architettoniche lasciate in eredità dall’illustre famiglia fiorentina.
• Alcune immagini degli ambienti che ospitano la mostra a Santo Stefano di Sessanio (AQ)
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Fuoriuso in Opera, XIX edizione a Pescara “Un automobile da corsa […] è più bello della Vittoria di Samotracia”: così proclamava Filippo Tommaso Marinetti nel manifesto con cui nel 1909 teneva a battesimo il Futurismo. Sulla scorta di queste suggestioni il parcheggio di un edificio in costruzione si trasforma in luogo dell’arte: si tratta del cantiere di OperA, un progetto firmato dall’architetto Mario Botta. È il sito su cui è caduta la scelta per Fuoriuso in Opera, XIX edizione della manifestazione ideata da Cesare Manzo, che si tiene dal 1990 in spazi in disuso della città di Pescara. Il suo ritorno dopo cinque anni di assenza è legato anch’esso al nome di Di Pietrantonio, uno dei maggiori artefici dell’identità della mostra con altre quattro edizioni all’attivo (1994, 1995, 1997, 1998). Le novità di quest’anno riguardano in primo luogo la scelta del luogo espositivo, un sito che è sì fuori uso, ma non in quanto dismesso, piuttosto non ancora utilizzato. L’iniziativa interamente privata –dovuta al costruttore Caldora– è la seconda peculiarità di questa edizione: un’indicazione rilevante che dà conto della direzione verso cui si sta incamminando il sistema dell’arte nel nostro paese, in cui il privato cerca di sopperire alle carenze istituzionali. A fronte di queste novità, la mostra conferma l’impianto che l’ha caratterizzata fin dagli esordi, affiancando il lavoro di artisti più giovani con nomi più consolidati –tra gli altri Beuys, Cage, De Dominicis, Familiari, Ciang, Lowe, Pistoletto, Xhafa– e dimostrando la consueta attenzione sul territorio – Candeloro, Fato, Lullo, Sarra, Spalletti.
• La XIX edizione di FuoriUso è stata allestita nel sotterraneo del cantiere Caldora “Opera” a Pescara. Nella foto in alto Cesare Manzo con il Garibaldi di Sislej Xhafa
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Popism al Premio Michetti a Francavilla al mare L’altro appuntamento annuale della stagione artistica estiva è quello con il Premio Michetti, giunto quest’anno alla 63a edizione. Resta la stessa la sede –il Museo Michetti a Francavilla al Mare (CH)– cambia invece, come ogni anno, il curatore. L’edizione 2012 è affidata al critico Luca Beatrice, che presenta una mostra tesa a indagare l’eredita dell’arte pop nel nostro Paese, alla luce dei nuovi sviluppi tecnologici: Popism. L’arte in Italia dalla teoria dei mass-media ai social network. Le presenze quest’anno si attestano a quota 61 e come detto abbracciano il contesto nazionale. Seguendo l’ormai solito criterio intergenerazionale, i nomi –tra noti e meno noti– vanno da quelli più storicizzati come Adami, Gilardi, Salvo a quelli più recenti come Arruzzo, Monzo. Non manca anche qui uno sguardo sul territorio, rappresentato da autori come Di Carlo, Fato e Zaccagnini.
• Sopra una sala del MuMi di Francavilla. In alto alcuni degli artisti presenti al Premio Michetti: Alessandro Di Carlo, Antonio Lucifero, Simone Zaccagnini e Matteo Fato.
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La fortezza plurale dell’arte Civitella del Tronto
• Qui sopra una veduta di Civitella del Tronto. Sotto, immagini dell’allestimento della mostra nelle sale della fortezza borbonica
Un gigantesco occhio orwelliano ci scruta al di sopra di una delle porte, non appena intraprendiamo l’ascesa alla fortezza di Civitella del Tronto. Si tratta del contributo che Patrick Tuttofuoco ha pensato per la mostra Visioni. La fortezza plurale dell’arte, curata da Giacinto Di Pietrantonio e Umberto Palestini. L’evento è promosso dalla neonata Associazione Culturale Naca Arte, che esordisce così già su un ottimo livello. La mostra rinuncia dichiaratamente a qualsiasi filo conduttore, che sia di natura tematica o generazionale, presentando –come affermano i curatori– «molto più semplicemente le visioni differenti di artisti di varie generazioni che esprimono con mezzi vari una concezione personale dell’arte e quindi del mondo». Diciotto gli autori, differenti per generazione ma accomunati dalla prevalente origine italiana. Tra gli abruzzesi presenti Sandro Visca, Ettore Spalletti e Giuseppe Stampone.
La maggior parte delle opere proviene da collezioni private, e acquista nuove risonanze dalla collocazione negli spazi della fortezza: ciò è particolarmente evidente per lavori come la grande scritta di Pettena, che recita GRAZIA & GIUSTIZIA e occupa uno terrazzamenti che si apre sul vasto paesaggio, oppure il letto di Beuys, o ancora le presenze fantasmatiche che si nascondono dietro lenzuoli colorati di Lynch. Alcuni artisti poi si misurano direttamente con il contesto espositivo: ne offre un esempio l’opera sonora di Valentina Vetturi, che recupera alcune leggende popolari legate a questo luogo e le diffonde nell’aria. La sezione cinematografica della manifestazione presenta il lavoro di artisti che si sono cimentati dietro la macchina da presa: i fratelli De Serio, McQueen, Neshat, Paladino, Schnabel, Taylor-Wood, Tiravanija.
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Smarrire i fili della voce Castelbasso Proseguendo una tradizione che risale al 1997, la Fondazione Malvina Menegaz ripropone come ogni anno l’appuntamento a Castelbasso (TE). Le arti visive sono soltanto una sezione di un fitto programma di proposte culturali che spaziano dalla letteratura alla musica (antica e contemporanea) all’enogastronomia. Anno dopo anno la manifestazione è cresciuta, e da una dimensione regionalistica ha raggiunto quest’anno un respiro internazionale. Per quanto riguarda l’arte, la formula è quella doppia che si è consolidata da qualche tempo a questa parte: una mostra monografica dedicata a un grande autore e una collettiva di taglio più giovane. Nel caso della prima la scelta di quest’anno è caduta su Carla Accardi (classe 1924). La mostra a palazzo Clementi, Smarrire i fili della voce, a cura di Laura Cherubini, ne presenta la produzione più recente, che continua quell’indagine infinita sul segno e sul colore che ha impegnato l’artista fin dagli esordi nell’ambito del gruppo Forma 1. La seconda mostra, ospitata a palazzo De Sanctis, è invece affidata alla cura di Eugenio Viola. Sotto il titolo Radici. Memoria Identità e cambiamento nell’arte di oggi il curatore ha raccolto undici autori, provenienti da tutto il mondo. Una presenza particolarmente rilevante è costituita dal centro e sud America (Castro, Galindo, Garaicoa, Jaar), cui si affiancano esponenti ormai canonizzati nell’arte contemporanea come Marina Abramovic, o Santiago Sierra. L’arte contemporanea si conferma come la risposta più efficace per rivitalizzare lo spopolamento dei paesi. •Dall’alto, una veduta aerea di Castelbasso e Carla Accardi, Incontri di segni, 2009 vinilico su tela, cm 50x70. Qui sotto, Mariangela Levita, Powerful-Definition e Santiago Sierra, NO, opere esposte nella mostra Radici.
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Il paese dei mosaici Tornareccio Ventisette nuovi bozzetti, due mostre e la straordinaria Via Crucis di mosaici, che porta a cinquantasei il numero di opere installate nel “museo a cielo aperto” di Tornareccio, visibili tutto l’anno sulle facciate di varie abitazioni. L’edizione numero sette di “Un Mosaico per Tornareccio”, il progetto ideato dal mecenate Alfredo Paglione –nativo del borgo teatino– è stata inaugurata lo scorso 28 luglio e coincide con il centenario della nascita del grande Aligi Sassu, il cui mosaico “Il cavallo rosso” è da sempre il logo della manifestazione. I ventisette nuovi bozzetti a tema libero portano la firma degli artisti Paola Babini, Gabriele Boetto, Bruno Ceccobelli, Elvio Chiricozzi, Stefania Di Carlantonio, Alberto Di Fabio, Mauro Di Silvestre, Stefano Di Stasio, Salvatore Dominelli, Pablo Echaurren, Stefania Fabrizi, Sergio Fermariello, Felice Levini, H. H. Lim, Giancarlo Limoni, Gianluca Murasecchi, Luca Padroni, Claudio Palmieri, Luca Maria Patella, Claudia Peill, Salvatore Pupillo, Oliviero Rainaldi, Pietro Ruffo, Massimo Ruiu, Francesco Vaccaro, Marco Verrelli, Luca Vernizzi. Come sempre, saranno i visitatori, insieme ad una giuria di esperti, a scegliere quelli da trasformare in mosaici nel 2013. Per votare, c’è tempo fino al 28 agosto: l’annuncio del vincitore ci sarà il 30 agosto, in occasione dell’evento conclusivo. I bozzetti rimarranno comunque in esposizione fino al 23 settembre, in occasione di Tornareccio Regina di Miele.
Fotografia a Loreto, Pescara e Francavilla
“Fotografiamo la morfologia degli esseri umani, per vedere come siamo fatti, che faccia abbiamo, per capire le differenze. Prendiamo impronte somatiche e catturiamo i volti dell’umanità”. È così che Oliviero Toscani descrive la sua mostra Razza umana, inaugurata lo scorso 20 luglio e in programma fino al 20 ottobre in piazza della Rinascita a Pescara. Organizzata dalla Fondazione ARIA, la mostra è curata da Achille Bonito Oliva e prevede molti incontri con autori di fama internazionale, come gli stessi Bonito Oliva e Toscani, Mario Botta, Elio Fiorucci, Silvia Evangelisti, Anna Mattirolo, Gabriele Basilico. Ben più interessante risulta essere Loretoview, il primo Festival di Fotografia del Paesaggio –inaugurato il 20 luglio e in
programma fino al 20 settembre– promosso dalla Fondazione dei Musei Civici e dal Comune di Loreto Aprutino: cinque sezioni, otto mostre, venti fotografi che disegnano percorsi inediti all’interno del centro storico di Loreto, svelandone campi nascosti, panorami segreti, orizzonti emozionanti. La fotografia vissuta dal borgo, il borgo vissuto attraverso la fotografia. Al di là del fuorviante titolo (“Quel certo modo di porre lo sguardo”, banale poetese scopertamente ammiccante a “Un certain regard”, il nome di una delle sezioni del Festival di Cannes), la mostra di fotografie di Bruno Impastaro (foto a fianco) d’inizio estate, al Museo Michetti di Francavilla ha esposto un quarantennio di scatti del fotografo, dimostrando come la macchina non sia per lui un mero strumento del suo sguardo, ma sia essa stessa lo sguardo. Suo grande merito è la capacità di “annullarsi” nella macchina, di assecondarne il linguaggio specifico, la meccanicità, la sua apparente, ingannevole neutralità che banalizza le immagini di tanti supponenti fotografi che amano sentirsi (chiamare) “autori”. Impastaro sì, è un autore vero, proprio perché dimostra consapevolezza del limite del proprio sguardo soggettivo che solo attraverso lo sguardo altro della macchina fotografica riesce a “vedere” la realtà.
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Carmine Di Ilio
La ricerca del futuro Eletto Rettore a grandissima maggioranza, l’ex preside di Medicina e Chirurgia è chiamato al delicato compito di guidare l’ateneo “d’Annunzio” in un momento di grandi cambiamenti che preludono a un nuovo assetto della società
Testo e foto di Claudio Carella
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on un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”. Carmine Di Ilio, 64 anni, preside della facoltà di medicina dal 1997, si presenta con questo slogan (preso in prestito dalle parole del cantautore Pierangelo Bertoli) al suo nuovo incarico come Magnifico Rettore dell’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti e Pescara. Lei ha ottenuto 497 voti, pari al 65,22% dei voti validi, con cento voti in più rispetto al quorum richiesto per l’elezione. I suoi competitor, Gaetano Bonetta, Raffaele
Tenaglia e Michele Vacca hanno ottenuto rispettivamente 94, 90 e 80 voti. La percentuale di affluenza al voto è stata dell’89%. Praticamente un plebiscito. Se lo aspettava? «Avevo raccolto consensi trasversali tra i colleghi, ma un risultato così supera ogni aspettativa. Credo che abbia contato molto aver stilato un programma che punta sulla riorganizzazione della macchina amministrativa, sulla riqualificazione dell´offerta formativa, sulla competitività della ricerca, sull´internazionalizzazione dell’Ateneo. Con un occhio particolare ai giovani studenti e ai giovani ricercatori».
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L’Università italiana attraversa un momento di trasformazione radicale. Il compito che l’attende si presenta piuttosto impegnativo. «È del tutto evidente che il modello di Università a cui siamo abituati, anche in forza dei provvedimenti ministeriali, sta definitivamente tramontando. Alle Università ora viene chiesto di comportarsi in modo “virtuoso”: esse dovranno essere gestite secondo i principi di efficienza, efficacia ed economicità, nella produzione dei migliori laureati, di buoni prodotti della ricerca, assicurandosi la piena collaborazione degli studenti, dei docenti e del personale tecnico-amministrativo e sempre agendo in stretta simbiosi con il sistema scolastico, a monte, e con le imprese e gli enti del territorio, a valle. Siamo tutti consapevoli che dovremo operare in un quadro di maggiori ristrettezze economiche rispetto al passato. Occorre avere il coraggio di praticare scelte rigorose e di responsabilità. Quella che ci accingiamo a compiere è una sfida culturale entro la quale mi pongo con passione e impegno civile e con grande determinazione, consapevole della necessità di dover costruire alleanze, trovare sinergie, ascoltare con attenzione i suggerimenti di tutti per mettere l’università al centro della crescita culturale, economica e civile del territorio. Non sarà facile ma è mia ferma volontà riuscirci con la consueta serenità e con l’ottimismo che mi caratterizza». L’università “d’Annunzio” è pronta per questa nuova sfida? «Negli anni in cui è stata guidata dal Prof. Franco Cuccurullo la “d’Annunzio” è cresciuta quantitativamente (passando da 7 a 12 Facoltà con un aumento della popolazione studentesca da circa 17.000 a circa 32.000 studenti negli ultimi dieci anni) e qualitativamente, ben figurando nel panorama nazionale, con positive ricadute sulla ripartizione del Fondo di Funzionamento Ordinario e in termini di efficienza. Un’eredità notevole, positiva, da non disperdere; piuttosto, da valorizzare in una logica evolutiva, che prevede una politica di intenso rinnovamento. Sarà necessario avviare una serie di interventi di ristrutturazione organizzativa che consentano di alleggerire la
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spesa corrente a vantaggio di altre voci di bilancio quali ricerca, servizi agli studenti, informatizzazione, internazionalizzazione razionalizzazione degli uffici amministrativi il tutto per consentire all’ateneo di affrontare con serenità il futuro rendendolo fortemente integrato con il territorio nel quale opera». Come vede l’Ud’A nei prossimi anni? «Anche in un quadro di maggiori ristrettezze economiche, praticando una politica responsabile e sostenibile, la nostra Università dovrà rimanere pubblica ed autonoma da qualunque potere esterno –politico, economico o confessionale– e avulsa da politiche clientelari, capace di riaffermare la sua centralità nei rapporti con gli enti pubblici, con le imprese e con il territorio. L’Università deve restare un servizio pubblico, riferimento essenziale e fondamentale del sistema educativo e formativo e di sviluppo civile e culturale della collettività». Qual è, secondo lei, il ruolo del Rettore in questo contesto? «Il prossimo mandato rettorale avviene in un momento di grave congiuntura per il paese e per il sistema universitario nazionale. Diviene a questo punto condizione essenziale sviluppare un solido meccanismo di condivisione delle scelte. Il Rettore dovrà essere il promotore e sostenitore del cambiamento, coinvolgendo e motivando i collaboratori ed indirizzando i delegati ad un confronto attivo con le strutture amministrative. Non è possibile che la figura del Rettore possa occuparsi in prima persona di tutte le problematiche connesse ad una gestione molto articolata sia sul piano organizzativoamministrativo sia territoriale. Non basterebbero autorevolezza, determinazione, rigore e sacrificio personale. È necessario il contributo sostanziale di una squadra, la più ampia e rappresentativa possibile, senza il quale sarà impensabile poter dirigere l’Ateneo. Ed è necessario formare un gruppo solidale di persone, non costruito sul principio dell’esclusione, ma sul metodo dell’inclusione, in una prospettiva di condivisione di obiettivi e di valori. Pur rappresentando e garantendo l’unità dell’indirizzo, il Rettore deve essere il coordinatore della squa-
Carmine Di Ilio Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi dell’Aquila nel 1972, ha successivamente ottenuto un PhD in Biotechnology presso il Biotechnology Center di Cranfield, all’Università di Cranfield (GB). La sua carriera accademica, tutta interna alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Chieti, è iniziata nel 1973. Dal 1991 è Professore ordinario di Biochimica Sistematica Umana e dal 1997 ha ricoperto l’incarico di Preside della facoltà di Medicina e Chirurgia. Dal 2005 è stato Rettore vicario. Lo scorso 27 luglio è stato ufficialmente nominato nuovo Rettore della “d’Annunzio” dal Ministro dell’Istruzione.
dra di governo dell’Ateneo. Sarà pertanto necessario raccogliere le idee, i suggerimenti e le intuizioni di tutte le componenti universitarie ed è opportuno proporre modalità e strumenti che rendano percepibile il rinnovamento». Quali le strategie per raggiungere gli obiettivi che si prefigge? «Innanzitutto implementare un sistema che consenta di premiare l’impegno, il merito ed i risultati conseguiti. La politica di sostegno alla ricerca finora seguita dal nostro Ateneo deve essere mantenuta e possibilmente potenziata tentando di renderla più efficace migliorando le procedure e i metodi di assegnazione dei finanziamenti. Ognuno deve però sapere che d’ora in poi le risorse giungeranno prevalentemente in funzione della qualità della ricerca svolta e della didattica effettuata e verso tale fondamentale obiettivo si dovrà tendere tutti. La politica della qualità dell’offerta formativa e dei servizi agli studenti dovrà costituire elemento distintivo della nostra Università. Occorrerà rendere efficace il sistema della valutazione della didattica per poter intervenire sui punti deboli della nostra offerta formativa. Sul fronte amministrativo mantenere il bilancio in pareggio dovrà essere il nostro costante obbiettivo. Bisognerà essere preparati a grandi sacrifici senza operare, però, tagli indiscriminati; anzi, si dovranno favorire i giovani ricercatori e agevolare i legittimi avanzamenti di carriera. Avere due campus e quindi due Poli universitari è un valore o costituisce elemento di dispersione? «L’Ud’A è un Ateneo medio/grande distribuito su due sedi (campus) nettamente separate: quella di viale Pindaro (Pescara) e quella di Madonna delle Piane (Chieti). La separazione contribuisce a rendere numerosi e di grande complessità i compiti progettuali, gestionali ed organizzativi. È evidente che sarà necessaria un’equa attenzione dell’amministrazione centrale sulle differenti problematiche strutturali che le due sedi possono presentare. Un esempio di complessità organizzativa è dato dalla recente nascita di dipartimenti composti da docenti che svolgono la loro attività didattica e scientifica
a Chieti e da docenti che la svolgono a Pescara. Per essi sarà necessario predisporre una idonea organizzazione atta ad alleviare i possibili disagi gestionali». Le nuove tecnologie che ruolo avranno nell’Ud’A del futuro? «Sul piano didattico l’Ateneo deve assicurare una piena disponibilità di docenti, di laboratori didattici, di biblioteche e di servizi informatici in grado di garantire agli studenti quelle opportunità formative che in genere i mega-Atenei non riescono ad offrire. Dovremo impegnarci per migliorare e potenziare le nostre aule didattiche, dotandole di strumenti didattici moderni e di un puntuale servizio di supporto e di assistenza al corpo docente circa l’uso delle attrezzature tecnologiche che dovranno essere sottoposte a una puntuale e corretta manutenzione. Dovranno essere potenziate soprattutto le soluzioni organizzative atte al decongestionamento dei servizi amministrativi e didattici rivolti agli studenti. L’Ateneo nel 2015 taglierà il traguardo dei suoi primi 50 anni. Come si appresta a vivere questo importante evento? «Io sono entrato nella grande famiglia della “d’Annunzio” nel 1972, sotto il rettorato del professor Renato Balzarini. Ho conosciuto tutti i suoi successori: Bruno Cavallo, Aldo Bernardini, Uberto Crescenti e naturalmente Franco Cuccurullo, al quale sono legato oltre che dall’appartenenza alla stessa area scientifica, anche da profonda amicizia e da un rapporto di stretta collaborazione. Dal 1965, anno in cui venne giuridicamente riconosciuta dal Presidente della Repubblica, l’università “d’Annunzio”è cresciuta qualitativamente e quantitativamente, grazie all’apporto di tutti i miei predecessori. Il 2015, anno in cui si celebrerà il cinquantenario dell’ateneo (che in realtà cominciò la sua attività dieci anni prima, nel 1955) rappresenta una tappa importante: ed è proprio da quanto fatto finora che intendo partire per proiettare l’università in una dimensione al passo con i mutamenti e le esigenze della società, senza perdere il legame col passato ma con lo sguardo rivolto al futuro, che immagino pieno di sfide ma anche di opportunità di crescita».
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Daniele Sebastiani
Il Pescara sempre in testa Essere presidente di una squadra di calcio è un compito difficile, ma se sei tifoso la fatica si fa più lieve. Se poi passi in due anni dalla serie C alla A tutto diventa entusiasmante di Claudio Carella
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ue mesi di fuoco: festeggiamenti, incontri con il gotha del calcio internazionale a Parigi, a Torino, a Napoli; acquisti, cessioni, polemiche; dolorosi addii e nuovi arrivi carichi di speranza. Ora per Daniele Sebastiani, presidente della Delfino Pescara 1936 e amministratore della Interservices Leasing è il momento di godersi il meritato riposo, che per lui significa rituffarsi nel lavoro abituale. I suoi dipendenti tornano a vederlo nell’ufficio di Viale Bovio e a parlare con lui di questioni di lavoro nel suo ambiente tradizionale, familiare. Alle sue spalle una grande foto delle figlie Maria Cristina e Michela e sulla scrivania una foto della moglie Luana. Il 20 maggio a Genova il Pescara è stata una giornata particolare per tutti i tifosi del Pescara. Come hai trascorso quella notte? «In giro, tra Genova, la festa allo stadio a Pescara, poi la cena… sono gioie che capitano poche volte, come quando ti nasce un figlio. L’abbiamo passata tutti insieme, coi ragazzi, da Franco –un altro tifoso storico– a mangiare, ridere, scherzare. Pensavo solo che avevamo compiuto un’impresa, dopo tante difficoltà che avevamo dovuto affrontare. Siamo riusciti a infondere serenità sia ai soci che alla squadra, e questo ha fatto sì che con il grande valore dei giocatori e del tecnico si arrivasse a questo risultato». Hai parlato di serenità: un elemento che consente di realizzare imprese altrimenti impossibili. Come qualche gol spettacolare. «Di belli ce ne sono stati tanti: quello di Insigne a Bari, quelli di Immobile o il colpo di Maniero all’ultima partita. Nonostante mi si prenda spesso in giro quando dico “state sereni”, ammetto che la serenità ha aiutato molto. Società ben più attrezzate di noi hanno infatti mancato gli obiettivi prefissati. Per me al primo posto c’è la società, se quella funziona il resto viene da sé». E con serenità hai vissuto il distacco di Zeman. «Certo, mi è dispiaciuto, un po’ ci sono rimasto male. Nel calcio di oggi però c’è da osservare una regola: mai innamorarsi dei giocatori e degli allenatori. Purtroppo il turn-over è una necessità, e
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bisogna essere predisposti ad accettare che un giocatore che sta un anno con te l’anno seguente non ci sarà o magari dopo sei mesi vestirà un’altra maglia. Se capisci questo, vivi serenamente anche i distacchi più dolorosi. Per questo dico sempre che le cose più importanti per un club sono la società e i tifosi». Quindi non definiresti quello di Zeman “tradimento”. «Assolutamente no. Tra l’altro il mister mi aveva già confessato a gennaio, in tempi non sospetti, che sarebbe rimasto con noi, a meno che nella sua vita non fosse passato un treno che si chiama Roma. Mi ero illuso, perché un mese prima avevo parlato con Montella che mi aveva dato per quasi certo il suo ritorno nella Capitale. Poi l’accordo è saltato e la Roma, che secondo me sta muovendosi bene sul mercato ma non poteva acquistare giocatori di grande richiamo, aveva bisogno di una persona che avesse un certo appeal sui tifosi, e quindi ha forzato la mano su Zeman». Che però deve a Pescara e alla squadra un notevole rilancio della sua immagine, che si era un po’ appannata negli ultimi anni. «Credo che lui lo sappia, e non sono certo poche le manifestazioni di riconoscenza da parte sua nei nostri confronti. Ci sentiamo spesso, ci verrà presto a trovare, abbiamo ottimi rapporti. Sappiamo di esserci concessi delle opportunità reciproche e le abbiamo sfruttate al meglio. Ricordo bene quando tornammo da Milano, con Di Francesco –che ci lasciava– e Daniele Delli Carri. Fu proprio Eusebio a suggerire il nome di Zeman per sostituirlo, dicendo che avrebbe fatto al caso nostro. E Delli Carri si mise subito al lavoro, incontrammo Zeman a Roma. Fu una serata molto simpatica che portò all’accordo, e a quel punto dovemmo sfoltire la rosa per togliere tutti quei giocatori che non rientravano nei progetti del mister: un compito gravoso, sia psicologicamente che economicamente, in un momento di forte crisi economica. Anzi, devo dare atto a Daniele Delli Carri e a Guglielmo Acri di aver fatto un ottimo lavoro riuscendo a piazzare i vecchi giocatori in altre squadre consentendo
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• Il presidente Daniele Sebastiani alla presentazione delle nuove maglie sponsorizzate dall’Acqua Santa Croce, indossate da Marchegiani, Dicara e Pagano
al tecnico di lavorare su una rosa ristretta come lui ama fare. Abbiamo fatto tanti sacrifici per lui, e sono stati ripagati da una grande annata. Che va ascritta soprattutto ai giocatori che avevamo in squadra, senza nulla togliere a Zeman». Galeone citava Allodi e la sua regola aurea: “Vinci e vattene”.Vale per gli allenatori, parzialmente per i giocatori. E a te è mai venuto in mente di uscire da vincente? «Noi non siamo entrati per vincere, goderci un momento di gloria e andarcene. Il risultato sportivo mi interessa relativamente, quel che voglio è che Pescara possa avere la sua squadra di calcio, e voglio occuparmene. Se un giorno uscirò, voglio che accada per altre ragioni, magari problemi personali, ma non “per lasciare un bel ricordo”. Quel che voglio lasciare è una società sana che possa andare avanti anche senza di me. E magari che sia ancora in serie A. Mi interessa la continuità del Pescara». Quindi quali sono i progetti della società? «Ho sempre detto, e credo molto onestamente, che noi non abbiamo la possibilità di sperperare: siamo imprenditori che la mattina si alzano e vanno a lavorare, non possiamo comportarci come i grandi magnati che hanno le spalle coperte. Abbiamo fatto fatica anche a trovare le persone per poter chiudere il 100% del capitale. Quindi l’obiettivo è lavorare nella giusta direzione, scovando talenti, cercando di ottenere il massimo risultato e poi mettendoli di nuovo sul mercato, che è il corebusiness di ogni società di calcio». Sembra una strategia molto precisa. «Un progetto molto preciso, direi. Al di là delle malignità, certi risultati non si ottengono per caso. Passare dalla salvezza a fare due ottimi campionati di serie B facendo parlare del Pescara il mondo intero non è cosa da niente: dietro c’è un grande lavoro di tutti i reparti, del direttore sportivo, della società, dei collaboratori, del settore giovanile. Ci accusano di non avere un settore giovanile all’altezza, e io dico invece che è uno dei migliori d’Italia. Per ogni categoria abbiamo uno o due nazionali, abbiamo ottenuto risultati discreti nei campionati ma, ripeto, vincere le partite non è il nostro obiettivo primario: il settore giovanile deve lavorare in funzione della preparazione ad entrare in prima squadra». Che effetto fa, da presidente di un club di provincia, entrare in contatto con i miti del calcio? «Credo che i miti ce li creiamo grazie ai mass media. Da Moratti, De Laurentiis, Agnelli, Nasser Al-Khelaïfi sono in realtà persone come noi, verso le quali nutro grandissimo rispetto ma nessu-
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na soggezione. Guardiamo all’ambiente del calcio senza alcun complesso d’inferiorità». E dal punto di vista sportivo quali sono gli obiettivi per il prossimo campionato? «Il nostro scopo è per adesso mantenere la categoria, in modo da conoscerne i meccanismi. Questo ci consentirà poi di lavorare più serenamente per l’anno successivo. Stiamo prendendo giovani già pronti ma anche talenti su cui lavorare in prospettiva, perché ci interessa costituire un patrimonio per la squadra. E crediamo che questa sia la strada sulla quale una società come il Pescara possa andare avanti. A meno che non si presenti l’emiro di turno, ma la possibilità mi appare piuttosto remota». E poi c’è il legame con la tifoseria e con la storia del Pescara, come dimostra la scelta di chiamare le vecchie glorie Pagano, Dicara e Marchegiani a presentare le nuove maglie. «A queste cose cerchiamo di porre sempre una certa attenzione; qualche volta ci riusciamo, altre meno. Non dimentichiamo che appena siamo entrati noi abbiamo preso subito nel gruppo Vincenzo Zucchini, cosa che ci ha attirato anche qualche critica. Ma cerchiamo sempre di circondarci di persone che hanno avuto un ruolo nella storia del Pescara, che hanno dato molto alla città e alla squadra. Con gli ex abbiamo ottimi rapporti, e nel futuro mi piacerebbe avere sempre più gente nel nostro progetto». Una sola squadra non è stata modificata: quella societaria. Trasformazioni in vista? «No, la nostra squadra in questo momento è più che solida. A settembre abbiamo attraversato un momento di crisi con l’uscita di scena dell’ex presidente, ma il gruppo si è fatto carico di acquistare le sue quote ricapitalizzandole. Non nascondo comunque che ci sono altri che mi piacerebbe vedere nel gruppo: uno su tutti, Vincenzo Marinelli. Ma il nostro è un team compatto e tranquillo, che ha sposato il progetto societario e ne condivide aspirazioni, obiettivi e difficoltà». Per Marinelli saresti disposto a fare un passo indietro e cedere il posto di presidente? «Non c’è mai stato un problema di poltrone o di scudetti: voglio lavorare per la squadra della mia città e lo farei lo stesso. Il passo indietro lo farei per Vincenzo, che spero possa unirsi al gruppo, ma anche per tutti gli altri soci: se un giorno si decidesse che per il bene della società bisogna cambiare la figura del presidente, non esiterei a cedere il passo».
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Angelo Fabbrini
Nei segreti del pianoforte Cosa hanno in comune Arturo Benedetti Michelangeli, Daniel Barenboim, Alexis Weissenberg, Maurizio Pollini e Keith Jarrett? Hanno suonato su uno strumento eccezionale: uno Steinway & Sons di Angelo Fabbrini
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l rumore di una Fiat 500 sta al rombo di una Fiat 500 Abarth come il suono di un pianoforte Steinway & Sons sta all’armonia di un pianoforte Steinway & Sons di Fabbrini. Per chi non l’avesse capito la differenza la fa il preparatore. Angelo Fabbrini fa questo: prepara, accorda, personalizza i suoi pianoforti per consentire al musicista di esprimersi al meglio. Quando Angelo ha iniziato, quarant’anni fa, ereditando questo mestiere dal padre, era già bravo; poi è diventato, semplicemente, il punto di riferimento di Arturo Benedetti Michelangeli, Alexis Weissenberg, Maurizio Pollini, Lang Lang e Marta Argerich, Claudio Arrau, Andràs Schiff e molti altri. Quest’estate Angelo Fabbrini si è meritato anche un concerto, pensato appositamente per i suoi pianoforti e per la sua sala espositiva a Pescara, con le grandi vetrine affacciate sul mare: un “Divertimento in bianco e nero” scritto dal Maestro Piotr Lachert –compositore di origini polacche che vive e lavora da tempo in Abruzzo– eseguito a quattro mani dal duo Maclé, accompagnato da un’orchestra di 40 pianoforti. «È stata una bellissima esperienza, sono venuti in tanti che volevano suonare; alla fine erano circa 55 pianisti, e sarebbero stati molti di più se non avessero chiuso le iscrizioni. Forse lo spazio non era proprio perfetto, anche perché ha limitato molto la presenza di pubblico; ma ho gradito molto vedere tanti giovani di talento venuti da tutta l’Europa esibirsi in questa singolare performance». Ai giovani Fabbrini dedica la sua professionalità esattamente
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come ai grandi esecutori: «Sono musicisti, e meritano lo stesso identico trattamento. Anzi, spesso è proprio al giovane che va affidato lo strumento migliore, perché le loro capacità non devono essere frenate da cattivi strumenti». D’altra parte era giovanissimo e semisconosciuto il Keith Jarrett che nel 1974 suonò il suo jazz in una memorabile serata del Pescara Jazz Festival proprio su un pianoforte sul quale campeggiava il logo inconfondibile del maestro Fabbrini. Quello stesso strumento che il grande pianista usò in altri concerti e che volle per la registrazione del live La Scala nel tempio milanese della musica. Angelo Fabbrini non è solo presente con il suo lavoro nelle note e nelle immagini che accompagnano i dischi più importanti del jazz e della musica classica, ma ha ispirato anche la letteratura: Roberto Cotroneo, nel suo romanzo d’esordio Presto con fuoco (Editore-anno) chiude il suo racconto su uno spartito di Chopin ritrovato da un anziano e illustre pianista con il commento del suo stretto collaboratore che ne accordava lo strumento. Pur non essendo citato, tutti gli esperti hanno riconosciuto nei due personaggi il grande maestro Arturo Benedetti Michelangeli e il suo inseparabile Angelo Fabbrini. «Il maestro era molto esigente con tutti i suoi collaboratori, come con se stesso. Era instancabile nel provare e nel cercare ogni minima sfumatura della partitura, e a noi chiedeva di seguirlo nella sua maniacale ricerca della perfezione. Non ho mai capito
• Angelo Fabbrini nel suo atelier. Nella pagina a fianco: i 40 pianisti che hanno accompagnato il duo Maclè; Angelo Fabbrini e Piotr Hanzelewicz con Sabrina Dente e Annamaria Garibaldi, ovvero il duo MaclÊ. Nella pagina seguente: Fabbrini al lavoro con Arturo Benedetti Michelangeli e il giovane Keith Jarrett al Festival Jazz di Pescara nel 1974.
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come facesse a percepire infallibilmente infinitesimali variazioni del suono; le prime volte credevo si trattasse di un caso, ma mi dovetti poi ricredere perché compresi quanto grande fosse la sua sensibilità ai minimi particolari; era così sensibile all’aria condizionata perché il grado di umidità, che può oscillare dal 30 al 70% ed oltre, cambia l’insieme del peso della tastiera. Inoltre il cambiamento di umidità può far variare la reazione delle molle, ma anche l’aderenza della meccanica sul tavolaccio squinternando tutto il lavoro sin lì fatto e provocando una disuguaglianza che il Maestro non poteva assolutamente tollerare. In certi momenti avevo l’impressione che cercasse nel pianoforte il contatto della corda che si ottiene col clavicordo, tanto viscerale era il suo rapporto col suono». Angelo Fabbrini non parla volentieri degli esecutori con i quali ha avuto rapporti di collaborazione, e non perché non abbia aneddoti o episodi che potrebbero riempire un libro, ma per la sua naturale riservatezza e sobrietà, che lo spinge a riservarsi esclusivamente il ruolo di grande artigiano al servizio di grandi artisti. Ma come è cominciato il rapporto con la Steinway & Sons, prestigiosa casa americana che costruisce i migliori pianoforti al mondo? «Quello con la Steinway –racconta Angelo– che è un rapporto oggi consolidato da stima e amicizia, è iniziato quando ero molto giovane, e mio padre lavorava con Bechstein, la loro storica rivale. Volevo acquistare un pianoforte e mi vollero conoscere, e così incontrai il dottor Istvàn Vertès, un profondo conoscitore di musica, ma anche di lingue e culture, al quale chiesi il
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permesso di poter portare il pianoforte dove fossi stato chiamato. Lui, credendomi un giovane di belle speranze ma di scarse prospettive, accordò il permesso non senza una velata ironia. Ma dovettero subito mangiarsi le mani perché il mio pianoforte venne richiesto non solo in Italia, ma in Germania, in Francia, e addirittura negli Stati Uniti». Il binomio Steinway-Fabbrini è oggi indissolubile e fa della ditta la prima concessionaria ufficiale al mondo per l’acquisto di Steinway Gran Coda, record mondiale che la Casa statunitense ha voluto celebrare personalizzando il D-274, il duecentesimo Gran Coda acquistato da Angelo Fabbrini con il logo dell’artigiano e con un album fotografico che racconta la genesi del prezioso strumento passo per passo. Strumenti come gli Stradivari usati da Uto Ughi o Accardi vengono conservati in cassaforte e a temperatura controllata, ed escono solo per i grandi concerti. «Il D-274 lo conservo nel mio atelier, dal quale è uscito solo in poche grandi occasioni, ma che diversi autori sono venuti a provare appositamente qui a Pescara». Quando arrivò a Pescara tanti anni fa, il giovane Angelo aveva un sogno: metter su una fabbrica di pianoforti. Un sogno sublimato dalla “collezione Fabbrini” e rimasto chiuso in un cassetto. «Per ora, ma è ancora vivo. Quello che vorrei costruire è uno strumento completamente innovativo. Anni fa trovai anche un finanziatore, ma non mi sono sentito in grado di ripagare quella generosità con la sicurezza dell’investimento. Ma se avessi io quella possibilità finanziaria non esiterei a lanciarmi nell’impresa, fossero anche gli ultimi giorni della mia vita». Claudio Carella
Giuseppe Mauro
L’economia torna nella finanza Un tecnico alla presidenza della Banca Caripe per restituire all’istituto il senso del radicamento sul territorio e accompagnare la crescita del tessuto imprenditoriale. di Claudio Carella
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rofessore Ordinario di Politica economica all’ateneo “Gabriele d’Annunzio”, già presidente della Fira e consigliere d’amministrazione della vecchia Caripe, lo scorso maggio Giuseppe Mauro è stato nominato presidente dell’istituto bancario pescarese, nomina unanimemente apprezzata dal mondo economico e imprenditoriale cittadino per le sue indubbie e riconosciute capacità professionali. Lei che ha seguito le vicende economiche della regione negli ultimi trent’anni, già vent’anni fa era tra coloro che auspicavano una fusione tra le quattro Casse di risparmio locali per dare vita ad un unico polo che avesse la forza di competere con i colossi nazionali e accompagnare la fase espansiva che la società abruzzese viveva in quegli anni. «Si trattava di un progetto lungimirante, che poggiava sulla forza delle Casse di risparmio dell’epoca, sia in termini di raccolta che di impieghi economici, e dove la stessa Tercas svolgeva una funzione di primaria importanza. Purtroppo il progetto non trovò terreno fertile nel mondo politico regionale, ancora legato ai retaggi del campanilismo. In quest’ultimo periodo la velocità dei cambiamenti è cresciuta in modo esponenziale: già col decreto Amato le banche si sono scisse dalle Fondazioni e con l’ingresso dei privati si è ampliata la concorrenza. In più lo scenario è diverso perché sono mutate le condizioni. Prima era molto facile per il sistema bancario accordare crediti al di là della raccolta dei singoli istituti, perché si era in grado di intervenire sull’interbancario: se una banca non aveva liquidità sufficiente per fare impieghi poteva comunque fare affidamento sulle risorse provenienti dal mercato. Oggi questo rapporto si è quasi annullato, per non parlare della raccolta, drasticamente ridottasi sia per la crisi finanziaria in atto, sia per la caduta del potere d’acquisto dei
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consumatori. È chiaro che in quest’ottica cambiano anche i comportamenti delle singole banche: una banca che prima aveva una adeguata e crescente redditività, ottenuta dalla differenza tra costi e ricavi, oggi deve essere sempre più efficiente, sempre più pronta e capace di rapportarsi con le esigenze del mercato». Non tutto però è naufragato: Tercas ha acquisito Caripe riportandola in Abruzzo dopo diversi passaggi di proprietà. «Lo sforzo di Tercas è senz’altro un fatto positivo. Del resto Caripe è stato l’istituto che dalla mancata fusione delle Casse di risparmio ha pagato il prezzo più alto, finendo in mano prima alla Banca Popolare di Lodi, poi al Banco Popolare di Verona, e tornando in Abruzzo solo un anno e mezzo fa. Certo, ora gli istituti locali (che venti anni fa controllavano il 70% del mercato regionale) oggi non arrivano al 40%. Poi i cambiamenti introdotti dalla Banca d’Italia nella direzione di una maggior concorrenza hanno determinato questa situazione nuova in cui bisogna fare i conti con le economie di scala, con prodotti nuovi e con prezzi competitivi». In questo quadro di grandi cambiamenti si cercano strade nuove. Non è ancora chiaro come bisogna unirsi e collaborare: accorpamento dei Comuni, delle Province, fino a progetti come quello della cosiddetta Marca Adriatica. Il sistema bancario ha un modello in questo senso? «Tercas e Caripe stanno cercando di costruirlo attraverso una progettualità che per il momento parte dalla Tercas ma via via deve accogliere anche la Caripe. Cioè creare un modello di operatività che non sia squilibrato tra le due realtà ma che sia il più possibile unitario, per attenuare la crescita dei costi, creare figure professionali funzionali all’altezza della situazione e soprattutto per essere competitivi sul mercato creditizio, in modo da venire incontro ai bisogni e alle esigenze del sistema produttivo. Si
• Il Professor Giuseppe Mauro, nuovo presidente di Banca Caripe, nella sede di Corso Vittorio Emanuele II a Pescara
parla tanto di accorpamento, che in generale non va visto solo in funzione dell’abbattimento dei costi. Penso che ciascuna realtà creditizia abbia un solo obiettivo: offrire servizi in maniera efficiente indipendentemente dalla sua dimensione. L’importante è creare una struttura competitiva, un modello operativo capace di reagire alle intemperie e alle sorprese che il mercato riserva. Tuttavia c’è una storia alle spalle, c’è il radicamento sul territorio, c’è un rapporto molto stretto con la piccola impresa, c’è una volontà di crescere: aspetti sui quali sta lavorando in maniera encomiabile il Commissario Riccardo Sora». I territori di Teramo e Pescara possono essere le locomotive per trainare l’economia regionale nei prossimi anni? «Sono aree dalle grandissime potenzialità che hanno caratteristiche interdipendenti: la loro economia è basata su piccole imprese endogene e non sulla presenza di grandi multinazionali. Teramo è la provincia della piccola impresa collettiva, del distretto industriale, nei settori dell’abbigliamento, della meccanica, dell’agroalimentare; e Pescara è centrale, nevralgica per ogni traffico che si possa configurare: è una città particolare, perché potrebbe essere quella che offre servizi avanzati a un tessuto industriale in cambiamento, in evoluzione che potrebbe rapportarsi proprio alle esigenze dell’industria. Un terziario quindi non isolato, ma che si connette al tessuto industriale fornendo servizi di un certo spessore, anche sotto il profilo bancario o finanziario. Un terziario non stagnante ma in grado di offrire servizi capaci di accompagnare l’evoluzione del sistema economico; accompagnare un’economia che cresce e quindi anche un’impresa che cresce, che si allontana dalla piccola dimensione con aggregazioni e alleanze strategiche per conquistare nuovi mercati e per essere più concorrenziale».
Del resto lei da tempo sostiene che “piccolo” non è più “bello”, in riferimento alle dimensioni delle imprese abruzzesi, e che il problema economico vada oltre la specificità della banca. «Coinvolge la regione, che risente moltissimo dei cicli negativi. Tutti i dati ci dicono che nel momento in cui si verifica un andamento verso il basso la regione viene pesantemente coinvolta. Per converso, appena c’è una piccola ripresa riesce ad accodarsi: se l’Italia cresce dell’1% l’Abruzzo va all’1,5-2%. Se, viceversa, come si prevede, per il 2012 l’Italia dovesse avere un Pil negativo intorno all’1,9%, l’Abruzzo è già attorno al 2,2%. Quindi abbiamo un problema serio di come costruire il futuro economico di questa regione. E quando dico “serio” intendo che da un lato dobbiamo fare i conti con una grande impresa esogena che potrebbe (e mi auguro che non sia così) modificare alcune strategie operative, e dall’altro abbiamo una piccola impresa che è talmente piccola che non riesce ad essere protagonista sui mercati internazionali». Quali sono i cambiamenti che pensa di apportare nella gestione della Caripe? «Seguo le indicazioni del Commissario, secondo una strategia di gruppo, tesa al ripensamento degli attuali squilibri e all’obiettivo di risanamento prima e di rafforzamento dopo. In questo quadro la Caripe, in quanto parte integrante del Gruppo Tercas, può svolgere una funzione di non secondaria importanza. Occorre operare per ridurre la rischiosità, per aumentare la redditività e per rendere la banca più efficiente grazie al contenimento dei costi. Solo così la Caripe può innalzare l’asticella della competitività e allargare la sua presenza sul mercato del credito. Bisogna operare affinché la Caripe torni ad essere la banca di tutti i pescaresi, restituendole il senso del radicamento sul territorio». C.C.
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Sangritana
Ferrovia cento e lode Da un secolo al servizio dell’Abruzzo: l’azienda regionale di trasporti festeggia il suo centenario e celebra l’evento con l’acquisto di due nuovi locomotori
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na signora d’altri tempi, dal fascino un po’ vintage, ma che torna di moda quando meno te lo aspetti. Piace perché esprime carattere. È così che appare la Ferrovia Adriatico Sangritana il giorno del suo centesimo compleanno. 1 agosto 1912: viene aperta all’esercizio la tratta marina di San Vito-Lanciano. Si concretizza, così, dopo alterne vicende storiche e non, un’idea che nasce a metà dell’Ottocento. Un progetto ambizioso che prevede la realizzazione di una ferrovia capace di collegare il mare Adriatico al Tirreno con lo sbocco diretto su Napoli. Sono passati secoli ed il progetto risulta essere ancora di estrema attualità, oggi che si parla di ridurre i costi della logistica per rendere più competitivi i prodotti realizzati in Val di Sangro, dando un motivo in più a colossi come Honda, Sevel, Denso e Pilkington di restare in Abruzzo. Le celebrazioni del centenario della Ferrovia Adriatico Sangritana sono iniziate ufficialmente il 20 giugno scorso, al cospetto di Sua Santità Papa Benedetto XVI. Si, proprio nella Santa Sede di Città del Vaticano, nella sala Nervi, una folta delegazione dell’azienda di trasporto è stata ricevuta in udienza dal Santo Padre che ha impartito loro la sua benedizione.
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Il Presidente della FAS, Pasquale Di Nardo, ha reso omaggio al Papa, facendogli dono di un modellino di un treno “Lupetto”. Benedetto XVI ha apprezzato il dono e si è mostrato interessato a conoscere la storia della Sangritana e dei suoi progetti per il futuro che il presidente Di Nardo gli ha illustrato. 100 anni peserebbero a chiunque, ma non alla F.A.S., l’unica azienda della regione Abruzzo specializzata nel trasporto ferroviario, che non si lascia dissuadere dall’aggredire nuovi mercati fuori dai confini regionali, anzi. La verve è quella giusta, la strategia aziendale quella vincente. Nell’era delle liberalizzazioni e di un’apparente libera concorrenza (il colosso Trenitalia continua a fare il monopolista), la creazione di sinergie, di network tra aziende di trasporto regionale risulta opportuna. Alla vigilia della riforma del trasporto pubblico, la Ferrovia Adriatico Sangritana si è confrontata con quanti operano nell’ambito del trasporto su ferro sul tema:“come cambia il trasporto pubblico dalle liberalizzazioni al Tram Treno”. L’occasione è stata offerta dall’incontro pubblico, promosso proprio dalla F.A.S., nell’ambito delle celebrazioni del suo centenario e che si è svolto a Lanciano, nell’auditorium Diocleziano. La spending review impone tagli, ma i servizi essenziali devono essere garantiti. Ed in una regione orograficamente complessa come l’Abruzzo, alcuni collegamenti vitali per il nostro entroterra diventano commercialmente poco appetibili per il colosso Trenitalia, ma non per le aziende regionali.
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Contatti e tavoli di fattibilità sono stati avviati tra la Ferrovia Adriatico Sangritana e le aziende di trasporto su ferro di Toscana ed Umbria. In questo caso le tre società si metterebbero in rete non solo per garantire maggiori servizi di qualità, ma anche per la formazione del personale e la manutenzione dei mezzi rotabili. Le regioni limitrofe, Marche e Molise, non disponendo di una propria azienda di trasporto regionale, non vogliono rimanere tagliate fuori e strizzano l’occhio alla Sangritana ormai da tempo. Trenitalia sembra aver fatto la sua scelta, privilegiando la dorsale tirrenica, lungo la quale si sviluppa l’alta velocità, rispetto a quella adriatica. Sangritana, dal canto suo, ha dimostrato con la realizzazione di treni speciali per il Motor Show di Bologna ed il Meeting di Rimini che può fare trasporto passeggeri verso Bologna, così come per Bari. Sangritana è anche trasporto merci. Facendo un breve excursus, nell’estate 2010, Sangritana ha integrato il cargo effettuando due nuovi servizi: viene sottoscritto il primo contratto di trasporto merci internazionale, gestito interamente dalla F.A.S., con la W.T.S. di Chieti, per il trasporto di lamiere di acciaio da Salzgiter (Germania) a Chieti Scalo. Subito dopo, nell’arco di circa un mese, Sangritana garantisce a Eurofer 80 treni per trasportare barbabietole da zucchero dall’interporto di Jesi allo zuccherificio di Termoli.
Nel 2011, le sinergie della F.A.S. con Nord Cargo (trasporto dei furgoni Ducato della Sevel), con Crossrail e Ferrotranviaria confermano ed aumentano le commesse di Sangritana, che viaggia sulla dorsale adriatica, superando i confini regionali sia verso nord sia in direzione opposta. In questo anno, Sangritana ha effettuato quasi 1000 treni, con una percorrenza, solo sulla tratta nazionale RFI, di circa 270.000 km. Numeri alla mano, il CdA ha deciso di investire su questo ramo d’azienda. Ed è per questo che l’azionista unico, la Regione Abruzzo, ha acquistato due locomotive che consentiranno alla Sangritana di garantire una valida offerta ad una domanda che il mercato registra sempre più in crescita. Un investimento, questo, di sei milioni di euro. Il 6 luglio scorso, i due nuovi mezzi rotabili sono stati consegnati dall’Amministratore Delegato, nonché Presidente della Bombardier Italia, Roberto Tazzioli, all’assessore Giandonato Morra, in rappresentanza della Regione Abruzzo, ed al presidente della Ferrovia Adriatico Sangritana, Pasquale Di Nardo. Un momento storico, questo, per l’azienda di trasporto regionale che si concretizza proprio nel centenario della sua fondazione. La consegna ufficiale ha avuto luogo nella nuova stazione di via Bergamo a Lanciano. Tante le autorità presenti, assieme alle maestranze che hanno manifestato interesse e apprezzamento per i nuovi mezzi che saranno impiegati sia per il trasporto merci sia per quello passeggeri. Un orgoglio per l’azienda, dai cantonieri ai macchinisti fino ai dirigenti.
Entusiasmo e passione sono essenziali per vincere ogni grande sfida. Non fa eccezione la Sangritana che si è messa in gioco, raccogliendo la sfida lanciata dal mercato e dalla libera concorrenza. Ed è per questo che si sta lavorando senza sosta per ripristinare l’esercizio lungo la tratta Archi-Bomba. Un risultato che tutti i comuni della vallata del Sangro aspettano ormai da anni. L’Aquilotto, il diesel dal cuore coriaceo di casa Sangritana, sta già facendo le prove e tornerà a “volare”, con la sua imponenza, da Bomba a Lanciano. Una data importante, non c’è che dire, quella del 1 agosto 2012, quando, sempre nell’ambito delle celebrazioni del suo centenario, la F.A.S. intitolerà la piazza antistante la stazione storica di Lanciano all’ing. Camillo Dellarciprete, eminente tecnico ferroviario, che sollecitò l’ing. Ernesto Besenzanica a redigere il progetto definitivo della nuova linea ferroviaria Sangritana. Prossima fermata? Rimini in occasione del meeting, partendo questa volta da Termoli. Il Lupetto fermerà nelle stazioni di Vasto-San Salvo, Lanciano-San Vito, Ortona, Pescara, Giulianova, Ancona e Rimini fiera. Le prenotazioni possono essere effettuate anche on line sul sito www.sangritana.it. • Nella pagina precedente: il presidente della Sangritana Pasquale Di Nardo con Sua Santità Benedetto XVI. In questa pagina, dall’alto e da sinistra: la consegna dei nuovi locomotori alla presenza delle autorità e del personale aziendale; il presidente della Regione Gianni Chiodi; l’assessore regionale ai trasporti Giandonato Morra; Pasquale Di Nardo relaziona al convegno nell’auditorium Diocleziano di Lanciano..
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La ricostruzione, almeno quella sociale, dell’Aquila procede a passi sempre più lunghi: dopo essersi riappropriata di gran parte del suo centro storico, col Corso che si è rianimato grazie all’iniziativa dei tanti locali che vi si affacciano, la città si riprende anche gli spazi periferici. Sono stati infatti la fontana delle 99 Cannelle e il chiostro della chiesa di San Domenico ad ospitare, rispettivamente il 5 e l’8 agosto, i primi due appuntamenti della stagione artistica aquilana del progetto Archeo.S. Nel suggestivo scenario della fontana più nota della città è andato in scena il “Il Crazy Paradis” dell’Ente Manifestazioni Pescaresi, seguito il 6 agosto da “Dekontekst - visual and performance art” (Comune di Pazin, Croazia) e il 7 agosto da “La parola padre” (Cantieri Teatrali Koreja, Lecce). Il Chiostro di San Domenico ha fatto invece da palcoscenico d’eccezione per “Maria de Buenos Aires” (Società della Musica e del Teatro “Riccitelli”), l’8 agosto, mentre il 9 è stata la volta di “ANIMA_Il respiro del Mediterraneo” (ResExtensa e Unità C1, Bari/Roma); il 10 “Thalassa … Stay Human…”, proposta de L’Uovo Teatro Stabile di Innovazione onlus ha concluso gli appuntamenti nel capoluogo. La kermesse si è conclusa sabato 11 agosto nel centro storico di Santo Stefano di Sessanio con un evento speciale a cura di L’Uovo, Ente Manifestazioni Pescaresi e “Riccitelli” che hanno presentato alcuni brani delle loro produzioni “Thalassa”, “Il Crazy Paradis” e “Maria de Buenos Aires”.
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L’Aquila si fa teatro
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CINEMA
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GABINI
Dalla matita al basso, dal disegno alla musica: la contaminazione come segno
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rtista eclettico, nasce con la matita in mano e non se ne è più separato. Almeno finché non ha scoperto altre forme espressive che hanno coinvolto i pennelli, il legno, il cartone, e da lì la performance e l’installazione. E la musica. Alessandro Gabini, in arte Gaben, a diciassette anni ha iniziato a suonare il basso e ha deciso che la sua vita sarebbe stata divisa tra questi due “strumenti”. «In Italia oggi non paga specializzarsi in un solo campo espressivo, a meno di non essere già identificati con un’attività precisa. E comunque non soddisfa me, che amo spaziare da una forma d’arte a un’altra, da un mezzo all’altro, senza fossilizzarmi, esplorando le diverse possibilità fornitemi dai diversi strumenti». L’approccio, peraltro, resta lo stesso sia che si tratti di realizzare un’opera artistica o che si tratti di scrivere una canzone. «Il difficile è solo portare avanti entrambe le cose, concentrarsi allo stesso modo sull’una e sull’altra. Per il momento, ad esempio, sono molto concentrato sulla musica, ma durante la giornata raccolgo anche gli stimoli per concepire poi il prossimo disegno o la prossima scultura. La realizzazione mi porta via poco tempo, la progettazione richiede un’attenzione maggiore. Ma alla fine il risultato deve avere una freschezza, un’immediatezza, una spontaneità insomma, che cerco di mantenere in tutto quello che faccio, nell’arte come nelle canzoni». Sei un artista dalle molteplici sfaccettature. Una caratteristica che potremmo attribuire anche a Pescara, la tua città: capace di accogliere favorevolmente tutti gli stimoli che l’attraversano. «L’attraversano, infatti. E di solito, come i turisti, si fermano per un po’ e poi passano oltre. Pescara non riesce a trattenere nulla se non per brevi periodi, vive tutto in modo molto passeggero. Anche dal punto di vista culturale, forse proprio perché manca di una vera identità storica, difficilmente riesce a capitalizzare le tante influenze che in un modo o nell’altro la permeano, e le lascia scorrere via. Ed è un peccato perché spesso Pescara anticipa altre province, accogliendo influenze (in genere provenienti dagli Stati Uniti, nei cui confronti noi italiani siamo molto ricettivi) che attecchiscono quel tanto che basta per aprire
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un negozio o due. È una città molto “modaiola”: è la sua vocazione commerciale che gli fa consumare tutto ciò che cattura». Tu invece non sei così? «Le influenze io le trattengo, le incamero e le metabolizzo. E poi le trasferisco necessariamente in tutte le mie espressioni artistiche, perché ormai fanno parte del mio bagaglio culturale: la street art, la cultura hip hop, le culture urbane underground. Ma sono piuttosto selettivo, non assorbo tutto come una spugna. E comunque il problema di Pescara è senz’altro un problema politico: altrimenti non si capisce perché certe cose che hanno una loro forza culturale, iniziative lodevoli come per esempio Fuori Uso, vengano cavalcate per un po’ per poi essere totalmente dimenticate». Già, Fuori Uso. Del resto tu hai cominciato a muoverti artisticamente proprio nella galleria di Cesare Manzo. «Era un posto in cui l’arte si viveva, gli artisti si incontravano lì e le cose nascevano anche da quegli incontri. Oggi questi spazi mancano: c’è un museo, il Colonna, che non ha molte ragioni di esistere. O l’Aurum, che è un contenitore vuoto. Intendiamoci, non parlo di queste strutture come di luoghi “brutti”, ma come spazi funzionali alla crescita artistica sono pressoché inutili. Oggi vedo molta più dispersione, ognuno lavora per sé e se vuol fare qualcosa deve attrezzarsi da solo. Un luogo che invece mantiene la caratteristica di “cenacolo” è il Museo Laboratorio di Città Sant’Angelo. Mi piacerebbe avere dei punti di riferimento dove le cose artistiche possono prendere forma, uno spazio attivo in cui si lavora e si producono eventi». Ma questa dispersione non è frutto anche della contaminazione di cui vive oggi l’arte contemporanea? «Temo che sia il contrario. È proprio per la mancanza di luoghi deputati che l’arte si è spostata fuori dagli spazi convenzionali. Ma il risultato è appunto quello di una dispersione di energie, di risorse, che spesso sono finalizzate alla realizzazione di una singola opera/mostra che resta purtroppo relegata a un momento e a un luogo precisi». F.G.
•Alessandro Gabini
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Vario ART 2012
MARCO
ANTONECCHIA Si muove tra video, installazioni e disegni e non si separa mai dalla sua bicicletta
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ultimediale, nel senso stretto del termine, è l’aggettivo che più gli si addice. Del suo lavoro di artista, che spazia dal disegno alla pittura, dalla scultura all’installazione per trovare una sintesi nei video, il trentaseienne Marco Antonecchia dice che «È incoerente, almeno all’apparenza, ma è in questa varietà di mezzi e di tematiche che trova la sua ragione». Restare ancorato alla bidimensionalità del dipinto o del disegno non era per lui necessario, così ha cominciato ad esplorare nuovi canali espressivi. «Per anni ho dipinto, ero arrivato alla saturazione e i miei lavori perdevano di freschezza. Oggi preferisco altri mezzi, anche se il disegno non l’ho mai abbandonato». Tra gli artisti di questa nuova edizione di VarioART è l’unico ad aver seguito un percorso di studi, questo sì, coerente: liceo artistico a Pescara e poi Accademia di Belle arti a Urbino, ma quella dell’università «è stata una bella esperienza ma non la riterrei fondamentale. Il mio percorso artistico è del tutto personale, e si fonda sulla street culture, sul pop degli anni Novanta. Il lavoro con i video è invece fortemente influenzato dal mio immaginario cinematografico e visivo, che appartiene comunque a quel periodo». E naturalmente anche dalla musica, componente fondamentale della vita di Marco che ogni tanto si fa anche apprezzare dietro una consolle a mischiare dischi. I tuoi lavori sembrano molto ragionati, nella loro semplicità. Quanto conta la progettazione nella realizzazione di un’opera? «Tantissimo, soprattutto da quando ho cominciato a lavorare in video. Mi sono subito reso conto che per ottenere il risultato che cerco ho bisogno di studiare bene ogni aspetto del lavoro, anche perché durante la realizzazione sopravvengono problemi tecnici legati alla luce, alle condizioni atmosferiche. Il concetto invece viene subito, e generalmente non sto tanto a pensarci». Nelle tue opere non c’è mai un riferimento preciso a un territorio, ad esdempio a quello da cui vieni e nel quale,
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fondamentalmente, ti muovi. Qual è il tuo rapporto con Pescara? Pescara è molto diversa da altre città di provincia, è molto attenta e ricettiva; ma tutto resta in superficie, resta tutto molto effimero e non viene reso fruibile. E c’è molta arroganza, mentre altre province –ad esempio Ravenna, o alcune città nelle Marche– sono più umili ma riescono ad essere più concrete, sia che si tratti di musica o di arte. Qui invece si creano sempre delle sottotrame un po’ borghesi che inquinano ogni cosa positiva che prova ad attecchire. A livello istituzionale, poi, la città è culturalmente morta; e la cosa che mi rattrista di più è che è morta anche nel tessuto sociale». Vale a dire? «I giovani. Parlo anche dei miei coetanei, ma soprattutto dei ragazzi più giovani: non hanno più stimoli, non hanno idee. È vero che le istituzioni se ne disinteressano, ma ci sono tanti ragazzi che sembrano iperattivi e invece non hanno una coscienza che gli permetta di capire ciò che è qualitativamente valido. Questo, a mio avviso, accade perché sono cresciuti in una città nella quale da anni la parola qualità non si sa neanche più scriverla. Invece in altre province si realizzano un sacco di cose: magari si scopiazza qua e là, ma con umiltà». Qual è il tuo desiderio nascosto? «Vorrei realizzare una mostra dentro un cinema, riuscire a fare qualcosa di valido che possa essere proiettato su uno schermo grande». In quale Paese ti stabiliresti definitivamente? «In questo momento il Canada è senz’altro un luogo molto stimolante dal punto di vista artistico. Anche la California non è male: San Francisco mi piacerebbe, ma per uno che si muove in bicicletta è un po’ complicato». Ultimo libro letto? «Sto leggendo La conquista dell’inutile, sono i diari di Werner Herzog durante la lavorazione di Fitzcarraldo». F.G. • Marco Antonecchia
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VARIO Arte
Paolo De Felice
Oltre il tempo Nella scelta della pittura il giovane artista aquilano ha espresso il suo talento in pochi ma significativi anni che oggi gli hanno aperto prospettive internazionali di Anna Maria Cirillo
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olto interessante individuare ed approfondire lo sviluppo in fieri dell’arte propositiva e d’avanguardia del giovane artista aquilano Paolo De Felice. Una tipologia d’arte fuori dai correnti schemi, non aderente agli abituali canoni dell’estetica artistica ma tesa e raccolta ad evidenziare le molteplicità intimistiche di una comunicazione interiore, in specie tra uomo e donna, realizzata in una contemporaneità d’atmosfera quasi metafisica e surreale che suggella un crisma di impersonalità ed universalità. Ciò al di fuori ed oltre l’istinto genetico della coppia. I suoi profili figurativi acconsentono chiaramente a tale dictat nella formale essenzialità delle pose e nel contesto di un graffitismo segnico che appare scrittura di rimando al passato, quasi a collegare in uno spazio temporale totale ed universale l’essenza di un rapporto umano espresso e contenuto nel minimalismo di una figurazione, mai frontale e non aggressiva, ma evidenziata nelle sfumature di un caldo colore sanguigno, sostanzialmente ed essenzialmente lirico. Ne traspare la dolcezza profonda di uno sguardo donato all’altro, di un sorriso, la richiesta di una verità protesa all’essere ed all’esistere, l’attesa di una risposta. Un’arte che pone interrogativi e postula tante domande, un’arte che il maestro Antonio D’Acchille, mediatore entusiasta dell’incontro con l’arte di De Felice, intende “pittura rinnovata” che fonde memoria, storia, presente al di fuori di linguaggi consueti aderenti all’estetica dell’oggi. Ma quanta dolcezza nelle sue figure femminili e quanta arte forte, interiore ed espressiva nell’attonito stupore del suo Adamo (opera
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2011 - tecnica mista su tela). In una incisiva intervista pubblicata a gennaio 2012 su AbruzzoWeb, a firma di Annalisa Cascinai, dal titolo “La pittura dell’aquilano De Felice – Un cammino non al centro” sono state poste tante domande all’artista, tra le quali “Paolo quando hai capito di essere un artista?” domanda chiave pertinente ad una iniziale conoscenza ma problematica nella individuazione di un preciso inizio. In verità Paolo De Felice artista c’è nato; figlio della grande pittrice e scultrice aquilana di fama internazionale quale è stata Massimina Pesce, ed ha respirato fin dalla nascita (1973) l’aria avveniristica di una spiritualità poliedrica ed anticipatrice di forte comunicazione artistica. Diplomato all’Istituto d’Arte egli si è poi laureato in letteratura con 110 e lode, amando e praticando nel contempo esperienze ed interessi coinvolgenti, vicini al professionismo, nel campo della musica, della cinematografia, della multimedialità culturale, della grafica d’arte e finanche dell’arte del restauro, scoprendo e reinventando se stesso in sempre nuove ed identitarie scoperte del suo “essere artista”. Nel 2009, in tendopoli dopo il terremoto, Paolo De Felice ha collaborato alla realizzazione del lungometraggio “INTO THE BLEU” di Emiliano Dante, come assistente alla regia, co-autore della colonna sonora ed attore. Nel 2011 prende il via la consapevolezza del voler essere propriamente un “artistapittore” incoraggiato inoltre dal supporto di importanti testi critici ed ottime considerazioni artistiche da parte di Antonio D’Acchille, Emiliano Dante, Luigi Tallarico, Gianfranco Mascelli, Annalisa Casciani, Gianfranco Zazzeroni. È presente in primis nella sezione artisti emergenti della Rassegna “Dinamiche Contemporanee” del 2011, (50 artisti in 7 sezioni ) presso l’Aurum di Pescara e subito a seguire una fittissima ed incalzante partecipazione a mostre collettive e personali di rilevante qualità sul territorio regionale e nazionale. Ricordiamo la sua prima personale, in agosto 2011, presso l’Hotel Castello dell’Aquila con la pubblicazione del suo primo catalogo a cura di Emiliano Dante, autore del magnifico, intimistico testo di presentazione “Il profilo di un pittore” e a seguire, sempre nel 2011, la personale presso il Media Museum di Pescara a cura di Gianfranco Zazzeroni, poi mostre a Roseto, Teramo, Roma. Attualmente, per contatti e richieste già in atto, Paolo De Felice è già in volo verso l’internazionalità, … magico ripetitivo evento di essere un’artista per sempre in viaggio per un mondo senza frontiere.
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Arpa spa assistenza tecnica e manutenzione straordinaria delle centrali termiche Saga spa global service manutentivo dell’Aeroporto di Pescara Centostazioni spa manutenzione ordinaria e straordinaria
fornitura di combustibile delle centrali termiche degli edifci comunali Comune di Avezzano manutenzione ordinaria e straordinaria con fornitura di combustibile delle centrali termiche degli edifci comunali
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degli impianti delle stazioni ferroviarie di Pescara, Chieti Scalo e L’Aquila Comune di Pescara manutenzione ordinaria e straordinaria con
VARIO Mostre Gino Sabatini Odoardi Nella lussuosa cornice dello splendido Collegio Armeno di Cà Zenobio a Venezia trovano spazio undici stanze che ospitano undici artisti e le loro opere. Undici allunaggi possibili è il titolo di questa mostra collettiva ispirata alla missione dell’Apollo 11 che nel 1969 ha toccato la Luna. «L’immagine in diretta della scoperta –spiega la curatrice Martina Cavallarin– della sua attesa, della sua rivelazione è, in Undici allunaggi possibili, l’invito al contatto tra colui –lo spettatore– che transita distratto nel mondo e colei –l’arte– che lo accoglie tra sconcerto ed emozione, raccapriccio e fascino, timore ed aspettativa». Tra gli undici, anche Gino Sabatini Odoardi, artista pescarese che ha intrapreso un percorso teso a rimettere in discussione la realtà, insinuare il dubbio, rompere gli equilibri su cui poggia la nostra cultura, scardinando le nostre sicurezze, in un gioco di specchi infiniti, un continuo rimando senza risposta. Per l’occasione Sabatini Odoardi ha realizzato Senza titolo in wireless, 12 inginocchiatoi laccati bianchi
che accolgono altrettanti gamepad playstation in termoformatura bianca per un lavoro in equilibrio tra ludico e sacro. «Il modo in cui affronto il concetto di sacro –spiega l’artista– poggia su un atteggiamento agnostico, sulla ferma convinzione che l’assoluto sfugga alla mente umana e, di conseguenza, non sia possibile parlare di ciò che non si conosce. L’intenzione, piuttosto, è quella di mettere in discussione l’indiscutibile –anche quando si tratta di scomodare la storia– per contestare l’accettazione passiva dei fatti». “Termoformatura in polistirene” è la definizione tecnica del procedimento sfruttato da Gino Sabatini Odoardi per realizzare gran parte dei suoi lavori. Con un artificio « plastico » tecnologicamente avanzato (rispetto alla tradizionale artigianalità artistica), Sabatini Odoardi porta a dei limiti estremi la condizione di esistenza degli oggetti-simbolo che risultano così completamente estraniati dal mondo esterno di cui facevano parte. Questo straniamento li rende muti fantasmi di se stessi, annullando la loro funzione pratica all’interno di un’enigmatica sospensione spazio-temporale, come se si volesse bloccare quel processo di verità assoluta cui soprattutto le religioni ci abituano, al fine di sviluppare una verità personale, individuale.
• Nelle foto: dall’alto Gino Sabatini Odoardi, Senza titolo in wireless, (2012) (panoramica e particolare); a sinistra: Luigi D’Eugenio, Untitled (Kiss), (2008); a destra lo spazio della mostra Minima Marginalia a Belluno; in basso: la locandina.
Corpo 2012
Minima Marginalia
Una mostra-cerniera per far dialogare le due edizioni, quella passata e quella presente, del primo e più importante festival di arte performativa d’Abruzzo. L’indagine anatomica della viva carne atta a dare consapevolezza del proprio corpo nello spazio, tema centrale di CORPO 2011, diventa catarsi e percorso ascetico nell’edizione del 2012. In questo modo la collettiva Aprire il CORPO per cercare lo Spirito, firmata da 12 autori italiani (Marco Casolino, Valerio Baraccani/Angela Belmondo, Francesca Fini, Mandra Cerrone, Simone Ialongo, Marco Flamminio, Francesco Di Santo, Luigi D’Eugenio, Francesco Toppeta, Dario Carratta, Corrado Anelli e Sergio Pancaldi) descrive il passaggio che pone in contatto due realtà ben distinte tra loro, di cui però l’una non può prescindere dell’altra: il corpo svuotato dello spirito non è più corpo e l’anima priva del suo involucro diventa volatile, distante e lontana. La mostra, allestita presso il MAAAC di Nocciano, è caratterizzata da opere grafiche, pittoriche, installazioni e video e ogni lavoro, attraverso modalità diverse, indaga il corpo per entrare in contatto con lo spirito.
Matteo Fato e Paride Petrei, giovani e ormai ben più che promettenti artisti abruzzesi, sono tra i protagonisti della mostra Minima Marginalia, inaugurata il 4 agosto e in programma fino al prossimo 9 settembre nell’ex fabbrica Visibilia di Taibon Agordino, a Belluno. Prendendo a pretesto il nome dell’ex insediamento industriale, il progetto fa leva sul desiderio di vedere, di conoscere, di sapere, ossia su quell’interesse ozioso che non è altro che la possibilità di prendersi il tempo necessario per pensare o fare qualcosa che ci piace. In questo senso la mostra ruota intorno ai marginalia, che potremmo definire come una sottocategoria dei mirabilia; a differenza degli “oggetti di meraviglie”, i marginalia sono “oggetti di curiosità”, intendendo qui per curiosità quell’esercizio critico che sollecita i nostri processi intellettuali e manuali. La curiosità – che è sinonimo di “stranezza” e “stravaganza” – viene accentuata dal rendez-vous tra gli artisti, oltre che dalla strana mésalliance delle loro opere (che sono sempre di piccole dimensioni, quindi “marginali” rispetto alla capienza dello spazio espositivo). Tenendosi a debita distanza dal ludico gigantismo e dal facile sensazionalismo, le opere cercano di instaurare con i visitatori una sorta di [in]discreta empatia, a riprova del fatto che la curiosità deve essere sia incoraggiata che soddisfatta.
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L’Aquila
Restauro e recupero di un edificio direzionale danneggiato dal sisma del 2009
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VARIO Architettura
Premiare la bellezza I vincitori del Premio Ad’A manifestano la volontà degli architetti di restituire alla pratica del progetto la sua dignità professionale e di perseguire la valorizzazione del territorio
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ono cinque i lavori premiati dalla giuria tecnica del Premio Ad’A, ovvero Architettura d’Abruzzo, promosso da Carsa srl e dall’Agenzia per l’Architettura d’Abruzzo, con il patrocinio di CNAPPC – Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori e ANCE Abruzzo. La giuria, presieduta dal prof. architetto Marco Mulazzani, ha consegnato i premi a Salvatore Colletti e Michela Giammarini per Edificio bifamiliare, Pescara; Ettore De Lellis per Edificio rurale, Spoltore; Lùcio Rosato per Casa che guarda il mare, Ortona; Giovanni Vaccarini per Edificio polifunzionale ex Arena Braga, Giulianova e Marco Volpe per Auditorium “Luigi Sciarretta” Montesilvano. Quattro invece i lavori premiati dagli Ordini Professionali degli Architetti e degli Ingegneri delle province di L’Aquila, Pescara, Chieti e Teramo (patrocinatori del premio insieme alla Presidenza del Consiglio Regionale d’Abruzzo, alla Provincia di Pescara e alla Provincia di Chieti): Angelo Campo per Complesso parrocchiale S. Giovanni Battista e S. Benedetto Abate a Pescara (Ordine di Pescara); Riccardo Mascetta per Trasformazione del complesso del Castelforte di Palena in “Polo museale dell’alto Aventino”, Palena (Ordine di Chieti); Fabio Andreassi Complesso residenziale “le 2 città”, L’Aquila (Ordine de L’Aquila) e Roberto Di Pizio, Marco Gramenzi per Struttura finalizzata all’inserimento lavorativo di persone disabili, Giulianova (Ordine di Teramo). Per il premio AAA (Agenzia per l’Architettura d’Abruzzo), Giovane Architetto ha vinto l’opera: Casa Scotto di Palombo, Santo Stefano di Sessanio. Alla conferenza stampa erano presenti l’allora presidente dell’Ordine degli Architetti di Pescara Massimo Palladini, Roberto Di Vincenzo, coordinatore generale del Salone della ricostruzione dell’Aquila, Domenico Potenza, coordinatore di AAA, Agenzia per l’Architettura d’Abruzzo, Oscar Buonamano, direttore editoriale Carsa Srl. «Questa prima edizione del Premio Ad’A ci rende felici e orgogliosi –ha sottolineato l’architetto Domenico Potenza, coordinatore di AAA, Agenzia per l’Architettura d’Abruzzo– perché manifesta le ragioni per cui abbiamo deciso di fondare l’Agenzia per l’Architettura d’Abruzzo. Le attività da essa svolte, infatti, esprimono la volontà degli architetti abruzzesi di restituire alla disciplina e alla pratica del progetto il suo senso etico e la sua dignità culturale e professionale. Le finalità sono quelle di contribuire al rinnovamento dell’architettura in Abruzzo, nella
convinzione che questo passi anche attraverso un dialogo continuo con la società civile, con il mondo della produzione e con le istituzioni preposte al governo delle città e del territorio». «Il premio nasce dalla necessità di dare visibilità alla qualità dell’architettura abruzzese –ha spiegato Roberto Di Vincenzo, coordinatore del Salone della Ricostruzione e presidente di Carsa Srl– un vero e proprio patrimonio in evoluzione che riassume identità, aspirazioni e trasformazioni del territorio. Non a caso il primo premio Architettura d’Abruzzo è stato lanciato a L’Aquila nell’ambito dell’edizione 2011 del Salone della Ricostruzione e la premiazione si svolgerà nella nuova edizione: è un segnale forte di qualità che l’Abruzzo esprime, sia nel valore delle opere realizzate, sia nel talento dei professionisti che stanno dietro alle opere. Una realtà che non può passare inosservata nell’ambito di un processo importante e coinvolgente per l’Abruzzo quale è la ricostruzione dal sisma del 2009». La premiazione dei lavori si è poi effettuata appunto nel contesto del secondo Salone della Ricostruzione (L’Aquila 24 - 27 maggio). Durante l’esposizione è stato inoltre presentato il Catalogo delle opere e la mostra itinerante del Premio, partita proprio dal Salone dell’Aquila. Oscar Buonamano, direttore editoriale di Carsa Srl e co-curatore del catalogo della mostra con l’architetto Domenico Potenza, ha posto l’accento sul ruolo dell’architettura nella costruzione del paesaggio urbano: «La bellezza, intesa in tutte le sue accezioni e quindi non soltanto in relazione alle valenze estetiche, ha la caratteristica di attirare altra bellezza e per questo svolge spesso una funzione maieutica. Aiuta e accompagna una comunità nella costruzione di un senso estetico condiviso e perciò è determinate per la crescita e lo sviluppo di un territorio. In questo senso l’istituzione di un premio di architettura che come Diogene cerca “cristalli” depositati nelle nostre città, assume una valenza determinante e insieme un aiuto per tutti coloro che si occupano dello sviluppo di un territorio, siano essi soggetti politici o imprenditori privati, cittadini o istituzioni pubbliche. In questo senso il catalogo delle opere che hanno partecipato al premio costituisce un primo, importante, regesto di ciò che c’è e ci auguriamo che possa fungere da stimolo da stimolo e suggerimento per ciò che ci sarà». • Nella foto in alto: Oscar Buonamano (al centro), curatore del catalogo, con i vincitori del Premio Ad’A
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L’oro dalla tradizione all’innovazione
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VARIO Letteratura
Renato Minore
Intervista con la grande poesia La promessa della notte raccoglie le conversazioni del critico e scrittore abruzzese con i maggiori poeti italiani del Novecento. di Francesco Di Vincenzo
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enato Minore è critico letterario tra i più autorevoli, poeta molto apprezzato e romanziere di talento (i suoi Leopardi e Rimbaud sono due gioielli letterari irriducibili alla pur dignitosa categoria delle biografie romanzate). Un autore, dunque, a pieno titolo. Come autori sono i poeti (Bertolucci, Betocchi, Buttitta, Caproni, Cergoly, Fortini, Giudici, Giuliani, Guerra, Loi, Luzi, Merini, Pagliarani, Pierro, Porta, Raboni, Rosselli, Roversi, Sanguineti, Spaziani, Zanzotto) da lui intervistati nell’arco di un trentennio ed ora presenti in La promessa della notte pubblicata da Donzelli. Interviste? Autori? Un autore che intervista altri autori? Ma non erano scomparsi gli autori? Non aveva Mallarmé postulato la “disparition” del poeta? Non lo aveva invitato a cedere il passo alle parole, all’io-linguaggio che più dell’io-autore e del suo “ancient souffle lirique”, è capace di calarsi in una più profonda, oscura e diversa conoscenza? Dopo Mallarmé, schiere di poeti, scrittori, artisti, studiosi e critici (e filosofi, linguisti, psicoanalisti, semiologi, etc.) hanno trattato il tema della marginalizzazione dell’autore, quando non della sua scomparsa tout court (Roland Barthes, La mort de l’auteur). Michel Foucault ha parlato di funzione-autore, in luogo dell’individuo-autore, e sembra, la sua, una profezia oggi tristemente realizzata e svilita nella letteratura mainstream, dove il successo di certe opere appare sempre più frutto di funzioni aziendali delle case editrici (la funzione-editing, la funzione-marketing, la funzione-distribuzione, etc.) che del talento dell’individuo-autore dell’opera. E allora, “scomparso” l’autore, ha ancora senso intervistarlo sulla sua vita e sulle sue idee? Già Proust, in polemica con Sainte-Beuve, sosteneva che la conoscenza dell’autore non ha alcuna utilità nella comprensione della sua opera, essendo questa prodotta da un io diverso da quello che si manifesta nelle sue abitudini, nella sua vita sociale, nei suoi vizi. Intervistare un poeta significa, dunque, attardarsi in una pratica obsoleta? Minore ha scritto di recente (Il Messaggero, 7 luglio) che l’intervista, pur da aggiornare nei suoi codici, resta uno strumento di conoscenza “preci-
• Qui sopra Attilio Bertolucci. A sinistra la copertina del libro di Renato Minore
so e attendibile”. E nella introduzione a La promessa della notte spiega di aver rifiutato, nelle interviste raccolte nel volume, sia il vicino “di un’inutile e fuorviante anedottica” sia il lontano “di molte asettiche ricognizioni critiche o filologiche” optando per “il maieutico, per nulla rituale, format della conversazione critica”. Insomma, un format innovativo tra gossip e vivisezione critica, che comunque Minore non esita a mollare quando consideri più efficace una formula diversa. E così, nelle sue “conversazioni critiche” mai Minore riduce la distanza critica né rallenta l’incalzante con garbo che dà il tempo alle sue accensioni polemiche, ma non sempre mantiene il canonico schema dialogico. Il vivido, bellissimo “ritratto” di Ignazio Buttitta è un racconto; un conte critique, si potrebbe chiamarlo. La “conversazione” con Tonino Guerra è per buona parte un torrenziale monologo dell’autore romagnolo (“Ma sì, lasciamo andare a ruota libera Tonino Guerra…” annota sornione Minore). Asciutte e tese, invece, le conversazioni con Fortini e Sanguineti. Non esita, Minore, a riproporre a Fortini le sue contraddizioni di poeta che ha voluto farsi anche profeta politico e morale. Di Sanguineti registra impassibile la cattiveria ai danni di Giudici e Zanzotto definiti “incarnazioni del poetese contemporaneo”, ma rimpalla al poeta genovese la corrosiva osservazione di Giudici: “In un certo periodo, tutti scrivevano alla maniera di Sanguineti”. Struggente il pur sobrio racconto (ché d’un altro conte critique si tratta) dell’incontro con Giorgio Betocchi, “un uomo provato che vive in un albergo per persone anziane”. Un uomo che, ricorda Minore, Luigi Baldacci ha indicato come l’unico poeta del Novecento italiano che sia riuscito “ad abolire il proprio io pur conservando una visione drammatica, spesso sconvolta del mondo”. Abolire il proprio io. Ci ritroviamo, forse, dalle parti della disparition del poeta? Come quando Caproni parla a Minore della parola “che va proprio giù, come un minatore, e può trovare una zona dell’io che è di tutti”, ribadendo così che è la parola, il linguaggio, e non le buone intenzioni del poeta a fondare l’universalità della poesia.
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VARIO Libri
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veva quattordici anni, ma ne dichiarò 18, Ennio Pantaleo. Per arruolarsi nella Brigata Maiella. «Mio padre –racconta– era un ferroviere socialista e durante gli anni del fascismo a Sulmona pagava la sua avversione al regime con discriminazioni che riguardavano anche noi altri della famiglia. Quando Sulmona fu liberata nella tarda primavera del 1944, e la guerra terminava in Abruzzo, per me la gioia fu solo momentanea: mio padre morì in agosto per le conseguenze di turni di lavoro massacranti cui era stato ripetutamente costretto dai fascisti. Avevo solo quattordici anni, diventavo improvvisamente il maschio a capo della famiglia, dentro di me c’erano rabbia e voglia di vendicare mio padre: così mi arruolai nella “Maiella” che proseguiva la sua guerra liberatrice oltre i confini dell’Abruzzo». Dal desiderio di vendetta personale alla scoperta dell’amore per la Patria che animava i suoi commilitoni ai quali, per un breve periodo, Ennio riuscì anche a celare la sua giovanissima età (ai minorenni non era consentito l’arruolamento). Poi l’incontro con il comandante Ettore Troilo, gli incarichi presso diversi fronti di battaglia e presso il Comando della Maiella, la paura e il dolore della guerra, ma anche il ricordo commosso del sorriso e del coraggio di altri giovani e giovanissimi “maiellini” caduti in battaglia come il concittadino Oscar Fuà. “Rifarei tutto” dice Pantaleo, con l’orgoglio di chi ha scelto di lottare a quattordici anni per un’Italia libera e democratica. Ennio Pantaleo Avevo solo quattordici anni
L’Aquila 2007, pp.250, € 16,00
Romanzi Francesconi
Ambiente Manzi
Poesia Margiovanni
Il prof. Emidio De Fanis, stimato sociologo, scompare misteriosamente in Siria. Andrea Benatti, il determinato ma affabile detective abruzzese incaricato di ricercarlo, si mette sulle tracce di una scomparsa che sembra una fuga, un isolamento volontario per dimenticare il meschino ambiente accademico e la noia del quotidiano.
Uno studio accurato del territorio abruzzese e dell’Appennino centrale, corredato da materiale inedito frutto di una minuziosa ricerca sul territorio. Una disamina vista con gli occhi e gli strumenti del naturalista Aurelio Manzi ma anche dell’ecologo, che riesce a cogliere l’importanza dell’interazione tra uomo e ambiente per delineare una storia “umana” del nostro territorio.
Giovane e promettente, l’abruzzese di Atri Giampiero Margiovanni pubblica la sua prima opera: non “una selezione di testi, ma un progetto poetico articolato in diverse tappe, con un filo logico costante” (dalla prefazione di Ubaldo Giacomucci). L’autore –prosegue– dimostra “una ricerca espressiva di qualità, con una particolare attenzione allo scavo lessicale e alla dimensione linguistica”.
Aurelio Manzi Storia dell’ambiente nell’Appennino Centrale
Giampiero Margiovanni Le punte del cerchio
Armando Francesconi La scomparsa di Emidio De Fanis Tabula Fati, 2012, pp.136, € 11,00
Tracce, 2012, pp.60, € 10,00
Meta edizioni, 2012, pp.316, € 25,00
Gialli Gallucci
Saggi Consoli
Pittura Falconi
Costretto a letto da una frattura alle vertebre riportata durante il terremoto del 6 aprile 2009, il neuroradiologo aquilano Massimo Gallucci ha approfittato della lunga degenza in ospedale per scrivere un libro, che lo aiutasse a superare il trauma fisico e spirituale e a non dimenticare quella terribile notte. Il risultato è la storia di un commissario deduttivo e di una ragazza intraprendente con la vocazione dell’investigatrice e una competenza ossessiva su cinema e musica rock. un’opera prima tesa e sorprendente che si legge d’un fiato.
Il rapporto tra cinema e storiografia, riletto attraverso le commedie monicelliane più popolari. Da L’armata Brancaleone alla Grande guerra, rocambolesche storie di coralità disgraziate, perdenti, plebee, votate comunque al fallimento. Nell’intervista inedita che apre il testo di Consoli, Monicelli tratteggia la propria concezione della Storia, il conflitto col presente, il suo rapporto con la morte. Le sue commedie nell’Italia dei primi anni Sessanta svolsero una vera e propria funzione sociale: quella di fornire alle masse popolari urbanizzate una consapevolezza storica attraverso l’intrattenimento.
Singolare operazione, quella del pittore Gigino Falconi, che in questo libro unisce 42 opere (dedicate a quelle che lui chiama “ragazze per sempre”: prostitute parigine che vivevano i loro drammi nella Ville Lumiére dell’epoca romantica) con i versi di Sebastiano Grasso, poeta siciliano di chiara fama, trovando una comune ispirazione per l’immagine e la parola. A sintetizzare il contrappunto tra le due arti interviene, al termine del percorso, il racconto La Chambre Rose di Caterina Falconi, figlia del pittore.
Gian Piero Consoli Mario Monicelli: la storia siete voi
Lisciani, 2011, pp.140
Massimo Gallucci La puntura di Atlante Tracce 2010, pp.248, € 16,00
G.Falconi, S.Grasso, C.Falconi La chambre rose
Carocci, 2011, pp.164, € 18,00
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VARIO Libri Ragazzi Melchiorre
Saggi Di Lisio
Davvero la vipera è da annoverarsi tra gli animali più pericolosi? E la iena: solo un animale ripugnante o “spazzino” della savana? Il gatto nero porta veramente sfortuna? Risponde Roberto Melchiorre ne Il re della savana e altre storie di animali poco amati edito da Le matite colorate. L’intento è quello di scardinare convinzioni popolari che credevamo sepolte ma che troppo spesso si ripresentano, operando nel senso di un bel po’ di igiene mentale. Il tutto con grande leggerezza. Se poi la prefazione è di Giorgio Celli, padre dell’etologia italiana e non solo, capiamo di trovarci di fronte ad un messaggio che merita la nostra attenzione. Il volume (bilingue, in italiano e in inglese) è rivolto ai più piccoli; risulterà tuttavia piacevole a molti, ma soprattutto utile, nel tentativo di appropriarsi di una lezione di etologia, di ecologia, di buon senso, che Celli definisce “uno dei grandi pilastri scientifici del pensiero ecologico.” Bruno Cortesi
La cultura passa spesso per strade meno battute, per un sottobosco di riti, simboli, canti. Ce lo dimostra Grazia Di Lisio in questa raccolta di testi del folklore sardo musicati dal maestro Antonio Piovano. Manca la volontà di classificazione tipica di altri volumi, ma permangono gli intenti. Se parlare di poesia sarebbe, in questo caso, certamente azzardato, va ribadito il valore di una ricerca che richiama un passato dalle radici profonde i cui echi perdurano tutt’oggi.
Roberto Melchiorre Il re della Savana e altre storie di animali poco amati Ianieri, 2012, pp. 88, ita/eng, € 9,50
Grazia Di Lisio Sa terra sonadora Noubs, Chieti, 2011, pp. 180, € 20,00
SA TERRA SONADORA
Grazia Di Lisio, di formazione classica, è appassionata di ogni espressione d’arte. Oltre all’insegnamento, concluso al Liceo Scientifico “Einstein” di Teramo, si è dedicata all’approfondimento di discipline archeologiche, alla conoscenza tecnico-pratica del linguaggio teatrale e cinematografico. Ha pubblicato micro-testi per il Teatro-Scuola, poesie-immagini-ritratti sul sito online di Lietocolle e quattro raccolte di
SA TERRA SONADORA Grazia Di Lisio
Grazia Di Lisio
Poesia D’Amato Ha ragione Massimo Pamio quando scrive nella sua sobria prefazione a questa seconda raccolta di poesie di Federica D’Amato che di lei “sentiremo parlare molto nei prossimi anni”. Ma perché aspettare i prossimi anni? Parliamone ora, e tanto, perché la giovane poetessa abruzzese dimostra, in queste sorprendenti Poesie a Comitò, non solo di avere un talento raro ma già compiutamente e proficuamente domato alle ragioni della scrittura poetica. Non si tratta, insomma, solo di afflato lirico, ricchezza di immaginazione, facilità di scrittura. Federica D’Amato dimostra di sapere bene che la poesia è nella parola. La poesia è la parola. Sentimenti, emozioni, esperienze, idee? Quando sanno farsi compiutamente parola, come nel caso di D’Amato, essi trapassano la propria umana finitezza per fondersi in una conoscenza altra, ben più profonda, oscura e inquietante, dunque più ricca e più vera, di quella che il nostro io spaurito dalla realtà sia in grado anche solo di concepire e meno che mai Francesco Di Vincenzo di sopportare. Federica D’Amato, Poesie a Comitò Noubs, 2012, € 10,00
Noubs Edizioni
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poesia “Voci e silenzi” (Sigraf-2003), “Le accese solitudini” (Tracce2005), “Annoda fili acquei” (Gedit-2008) e “Compresenze” (Tracce2009, finalista al Premio Internazionale Ida Baruzzi Bertozzi 2010 e Premio Astrolabio 2011). Elabora performances interdisciplinari e collabora a percorsi d’arte e poesia. È presente in varie Antologie poetiche, in cataloghi e riviste d’arte. Ha collaborato con ABC, attualmente scrive su riviste abruzzesi.
Scodella emisferica con scena di danza da Monte d’Accoddi, Sassari (IV millennio)
Con musiche trascritte dal Maestro Antonio Piovano
Poesia Ferri Certamente sarà soddisfatto Alfredo Paglione, cognato e gallerista di Aligi Sassu, mecenate dal 2000, che dona opere all’Abruzzo sperando di gettare dei “semi di bellezza” che possano ispirare negli altri e soprattutto nei giovani l’amore per l’arte contemporanea. Uno di questi semi è germogliato nella fertile anima di Teresa Ferri, discendente della nobile famiglia atessana, nel cui antico palazzo è ospitata la collezione di 210 opere su carta del grande artista, donata appunto da Paglione nel 2010 al Comune teatino. Toccata in profondità dal mondo evocato da Sassu, la docente di Italianistica all’università di Urbino Teresa Ferri si rende artefice di una singolare operazione –50 poesie ispirate a 50 opere di Sassu– in cui narrazione poetica e catalogo d’arte si fondono, diventando il modo più originale per ricordare Sassu nel centenario della sua nascita.
Teresa Ferri Precipizi di luce. Dialoghi con Aligi Sassu Interlinea edizioni, Novara 20120, pp.133, € 16
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Teatro
Il cuore nero della terra La tragedia di Marcinelle raccontata in un’opera che mette al centro della narrazione la storia di due minatori italiani, simbolo di un’intera generazione
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ntonio e Sandro sono due fratelli, partiti alla volta del Belgio, con in tasca la domanda di emigrazione e nel cuore tutti i sogni, le speranze, i rimpianti di due ragazzi qualunque. Nel pozzo numero uno, quella maledetta mattina dell’8 agosto del ’56, scopriranno che in realtà avevano imboccato la strada che li conduceva inesorabilmente verso il loro destino. Quella che racconta “L’uomo carbone”, dramma scritto a sei mani da Michele Di Mauro, Marco Finucci, Federica Vicino e diretto da quest’ultima, apprezzata scrittrice e autrice teatrale, è una storia dura e toccante, dai risvolti neorealistici, che qualcuno ha definito “verghiana”, i cui protagonisti non sono però delle trasposizioni sceniche del clichè del minatore o dell’emigrante, ma persone. Il nucleo centrale della storia de “L’uomo-carbone” si snoda attorno alla necessità di rivelare questa semplice, ma non trascurabile, incontrovertibile verità: i minatori di Marcinelle, prima che minatori, erano persone. Con le loro storie, le loro vite, i loro sentimenti, le loro speranze, le loro paure. E il loro destino.
• Alcune foto di scena dello spettacolo L’uomo carbone, diretto da Federica Vicino
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Teatro
Va in scena la satira
Una piéce di Francesco Anello, direttore del Teatro Minimo Atri, racconta come sia diventato oggi inutile e dannoso credere in un mondo migliore, attraverso un linguaggio che fa dei luoghi comuni l’arma e il bersaglio della sua energia demistificatrice
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crivere è, secondo Francesco Anello, l’alternativa al “girare su se stessi con una mazza chiodata una volta giunti all’ingresso libero di un centro di gravità permanente”. Questa frase restituisce appieno la poetica di Anello, quarantacinquenne attore e regista teatrale di Atri che oltre a dirigere una scuola di teatro è anche il direttore artistico della compagnia Teatro Minimo Atri. Ed è proprio con questa nutrita compagine di attori che è andata in scena la commedia E.n.p.a.e.d. – Ente nazionale personaggi amareggiati e delusi, una parodia in stile nonsense che frulla gli ingredienti della Locandiera di Goldoni e delle Intellettuali di Moliére con elementi tratti dall’attualità, ottenendo una satira pungente e dissacrante della società al tempo della crisi. Crisi che non è solo economica, ma di idee, di energie, di pensiero, sembra voler dire Anello col suo linguaggio fatto di calembour, di paradossi, di “neologismi ed echi fono-etimologici, di termini specialistici e dialettismi”. È la sua amica e collega Concetta Meri Leone a descriverne la poetica nell’introduzione al libro intitolato, appunto “La poetica filosofica scettico abrasiva de l’ermetica sottovuoto a perdere”, raccolta di scritti pubblicata nel 2010 in cui il drammaturgo atriano dà ampia prova della sua capacità dialettica: “dagli scritti d’occasione, passando attraverso flash di vita quotidiana fino ai testi di più largo impegno politico
e sociale, il sorriso divertito diviene, a mano a mano, sempre più amaro: il comico si fa grottesco, l’ironia diviene satira, la rottura dell’orizzonte di letterarietà diviene critica implicita alla cultura ufficiale spesso chiusa nelle proprie rigide regole intellettualistiche”. Tutti elementi che si ritrovano nella piéce E.n.p.a.e.d., portata in scena al Comunale di Atri il 18 e 19 maggio scorsi, e interpretata –oltre che dallo stesso Anello– da Angelo Petrone, Concetta Meri Leone, Annarita De Felicibus, Nicole Giuliani, Olga Matilde Merlini e Marta Lupoletti. F.G.
• Meri Leone e Francesco Anello nella piéce da lui diretta.
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VARIO Musica
Cantina Tollo bianco, rosato e Jazz • Nelle foto la suggestiva atmosfera del Jazz Village all’Aurum; a destra, il pianista Tony Pancella in concerto
Il connubio tra musica e vino, tra il festival più famoso d’Abruzzo e la Cantina più grande regala a Pescara un evento indimenticabile
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ra i tanti matrimoni vip cui abbiamo assistito negli ultimi anni, ce n’è uno che su questa sponda dell’Adriatico riveste una particolare importanza. L’annuncio è di quelli che fanno notizia: il festival più famoso d’Abruzzo ha portato all’altare Cantina Tollo, cioé la più grande azienda vinicola della regione, che negli ultimi anni miete successi nei più prestigiosi concorsi enologici nazionali e internazionali grazie alla qualità dei suoi prodotti. E “qualità” è ciò che hanno in comune i due neosposini: “lui” è ormai considerato l’evento di maggior richiamo internazionale in materia di jazz della regione, e ha alle spalle una lunga tradizione che in quarant’anni ha portato a Pescara personaggi del calibro di Herbie Hancock, Keith Jarrett, Ella Fitzgerald, Duke Ellington (per tacer degli altri); “lei”, classe 1960, è divenuta oggi una delle realtà più importanti non solo per l’Abruzzo ma anche per l’enologia italiana: riconoscimenti come Miglior vino rosato del mondo (all’Hedòs Cerasuolo d’Abruzzo Dop), il premio assegnato dal Club de la Presse di Bordeaux, Cantina dell’Anno 2009 per Gambero Rosso, Decanter Red Regional Trophy, sono solo alcuni dei successi che porta in dote. Il viaggio di nozze l’hanno fatto negli Stati Uniti: in un soggiorno breve ma intenso, dal 24 al 27 aprile PescaraJazz ha infatti presentato la sua quarantesima edizione a Chicago, in una serie di incontri e concerti tesi a promuovere sia le iniziative musicali che le eccellenze enologiche del territorio abruzzese, rappresentate da Cantina Tollo. Il Pescara Jazz Ensemble ha tenuto due concerti al Chicago Jazz Showcase il 24 ed il 25 aprile, mentre la giornata del 26 è stata tutta per la conferenza stampa di presentazione del Festival presso l’Istituto Italiano di Cultura. Doppio appuntamento al Columbia College, invece, per il giorno di chiusura: la presentazione di un pacchetto turistico ad hoc ed un concerto del Pescara Jazz Ensemble con la Columbia Jazz Orchestra insieme a un ospite prestigioso, il chitarrista Mike Stern. Un matrimonio che si rispetti non poteva non essere coronato da un lieto evento. Il nuovo arrivato si chiama 409, come l’altitudine media dei vitigni di collina selezionati per la produzione di questo protagonista del gusto, “magnetico come un assolo, suadente come le note di uno
standard, raffinato e sincero come una jam session”. Un vino d’autore, certamente, che ha allietato gli ospiti intervenuti alle serate nella nuova casa della coppia: il Pescara Jazz Village, allestito all’interno dell’Aurum, che per una settimana è divenuto la sede d’elezione di concerti, jam session e di degustazioni delle eccellenze dell’enogastronomia abruzzese. Grande successo ha avuto in particolare la serata del 10 luglio, promossa da Cantina Tollo, apertasi con il seminario “Jazz e Management”, organizzato dalla community abruzzese Plan People e dedicata all’incontro fra il mondo del jazz e quello del management. Un incontro che ha dimostrato concretamente come community, social network e rete possano contribuire attivamente alla crescita del territorio e della comunità, anche attraverso momenti di incontro improntati allo svago e al divertimento. Per l’occasione Cantina Tollo, nel fine settimana di chiusura del PescaraJazz Village, ha voluto ospitare anche alcuni rappresentanti della stampa nazionale, che per tre giorni sono andati alla scoperta delle bellezze del territorio, dalle colline al mare, dove hanno potuto conoscere ed ammirare anche i tradizionali trabocchi che rendono unica la costa abruzzese. E proprio la tradizione dei trabocchi è stata protagonista della puntata di “La Terra”, trasmissione radiofonica di Rai Uno che sabato 14 luglio ha visto una diretta telefonica realizzata proprio a bordo della “Flying Fish” che ospitava i giornalisti partecipanti al press tour. Immancabile, nel programma dedicato alla stampa, la serata musicale, in cui il presidente di PescaraJazz, Lucio Fumo, ha raccontato storia, curiosità ed aneddoti legati all’evento. A seguire i giornalisti hanno potuto godere dello spettacolo Mostly Monk. An evening with 4 pianos, uno dei principali appuntamenti del Pescara Jazz Festival, concluso con la performance di Joe Lovano and Dave Douglas Quintet: Sound Prints, due dei talenti più nitidi emersi nella New York bianca degli anni Ottanta. Ma la collaborazione tra Cantina Tollo e PescaraJazz Festival non terminerà qui: dopo la serata conclusiva del 3 agosto, molte altre sorprese allieteranno l’autunno, sempre all’insegna della promozione del territorio e delle eccellenze abruzzesi. Andrea Carella
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VARIO Musica Recital Musini Tra i 19 italiani riconosciuti come “personalità eccellenti che hanno reso importante l’Italia nel mondo” in vari campi e settori, troviamo anche la pescarese Daniela Musini, vincitrice del Premio Internazionale Globo Tricolore 2012, premio assegnato nel corso del Gran Galà dell’Imprenditoria Italiana svoltosi nella suggestiva cornice della Rocca Flea a Gualdo Tadino in Umbria e presentato dalla Giornalista RAI Patrizia Angelini e dal conduttore del TG di RAI 3 Giuliano Giubilei.
Fra le 19 eccellenze l’attrice, autrice teatrale, scrittrice e pianista abruzzese è stata premiata “per le sue doti di artista poliedrica e talentuosa che ne hanno fatto in tutto il mondo l’acclamata ambasciatrice dell’arte dannunziana e superba interprete della figura di Eleonora Duse”. La sua straordinaria carriera internazionale, infatti, l’ha portata ad allestire i suoi recital/concerti presso gli Istituti Italiani di Cultura di Kyoto, Colonia, Berlino, Istanbul, Ankara, San Pietroburgo, l’Ambasciata d’Italia a Cuba, l’Accademia di Musica di Bielorussia a Minsk, il Teatro dell’Opera di Varsavia, i Consolati d’Italia di Philadelphia e Pittsburgh. Il prestigioso riconoscimento, che si è avvalso del Patrocinio, fra gli altri, dell’Università La Sapienza di Roma, dell’Ambasciata d’Italia in Brasile e dell’Istituto Italiano di Cultura di San Paolo in Brasile, ha ricevuto gli apprezzamenti dello stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha dichiarato: “Il premio Globo Tricolore è indubbiamente di stimolo ad estendere ed approfondire la ricerca su pagine di storia che tanto hanno influito sulla vita sociale”.
• A sinistra Daniela Musini col “suo” Gabriele d’Annunzio. In basso Claudio Filippini
Jazz Filippini Claudio Filippini, pianista pescarese ormai consacrato nella scena jazz contemporanea, si è esibito in agosto in due concerti esclusivi al fianco di due giganti della musica: Wynton Marsalis e Stefano Bollani. Il primo concerto, in data 6 agosto, si è svolto ad Andria in memoria di Daniela D’Ercole, cantante andrianese recentemente scomparsa in un incidente a New York e celebrata con l’esibizione di Filippini al fianco di Marsalis, trombettista di fama mondiale; il 9 agosto invece Filippini ha risposto all’invito di Stefano Bollani ad esibirsi con lui sul palco di Bollani & Friends, evento inserito all’interno del Festival Busoni a Bolzano. Due appuntamenti chiave per Filippini che arrivano, non a caso, in un momento molto particolare della sua carriera artistica. Forte di uno stile personalissimo e di un pianismo eccelso, ricco di estro, fantasia e intimità, Filippini ha costruito la sua carriera con passione e devozione, ottenendo risultati e riconoscimenti internazionali. Maturata ormai l’etichetta di giovane promessa, grazie anche ai due dischi editi per la Cam Jazz (The enchanted garden, del 2011 e Through the journey, registrato e pubblicato quest’anno assieme al trombettista Fulvio Sigurtà), Claudio Filippini si è imposto rapidamente tra i pianisti italiani più acclamati e richiesti. Impegnato oggi nella promozione del disco in duo con Fulvio Sigurtà e in numerosi concerti estivi al fianco di Mario Biondi e Fabrizio Bosso, Filippini ha inciso già un altro album con il contrabbassista svedese Palle Danielsson
e il batterista finlandese Olavi Louhivuori che uscirà, sempre per la Cam Jazz, all’inizio del 2013. Già nel 2001, Stefano Bollani aveva già individuato le potenzialità dell’allora diciannovenne Filippini. Ascoltandolo per caso durante un concerto ad Atessa, aveva dichiarato: «Ha subito sorpreso tutti i presenti per la maturità e l’intelligenza musicale. Solitamente quella è un’età in cui, non solo in musica ma nella vita, ci si trova a imitare stili e modelli preesistenti, miti personali o di una intera generazione di musicisti. Claudio suona già come Claudio. L’augurio è che continui a rincorrere se stesso e che non si raggiunga mai».
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VARIO Cinema
Le Isole che convincono Il nuovo film di Stefano Chiantini conferma il talento del giovane regista di Avezzano e sfrutta il web per raggiungere un pubblico più vasto
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educe dagli applausi dei festival di Toronto e di Londra, Isole –nuovo lungometraggio dell’avezzanese Stefano Chiantini, vedi Vario n.57– approda nelle sale dopo una premiére al Nuovo Sacher di Nanni Moretti. Il film, interpretato da Asia Argento, Giorgio Colangeli e Ivan Franek (già visto nei precedenti film di Chiantini L’amore non basta e Una piccola storia, 2007), ruota attorno a tre anime (i)sole, segnate dall’incomunicabilità, nel magnifico scenario delle Tremiti. Lo scorso 11 maggio il regista marsicano, sempre fortemente legato alla sua terra d’origine, ha presentato il suo lavoro al cinema Astra di Avezzano, in contemporanea con l’uscita nazionale, insieme alla protagonista Asia Argento, cui Stefano ha regalato un ruolo diverso da quello che spesso le viene assegnato. «È il mio film più sincero –ha confessato Chiantini– sia con me stesso che con gli spettatori. Quello che più mi interessa mostrare sono le relazioni tra le persone, specie quelle che per vicissitudini diverse si sono discostate da ciò che oggi viene definito “normale”, ritrovandosi così automaticamente ai margini della società. Da ciò nasce la scelta della location: l’isola, rendendo subito evidente ad un primo sguardo il suo “essere a parte” e il suo dipendere dal rapporto e dai collegamenti con “l’altro” (la terraferma), si pone come immediata metafora della condizione umana, la cui unica possibilità di salvezza è data dalla interrelazione». Dal 16 maggio la pellicola, prodotta da Gianluca Arcopinto, è stata resa disponibile in download gratuito sul sito di Repubblica per una settimana, in modo da superare le difficoltà che spesso le pellicole indipendenti (e purtroppo anche i precedenti lavori del bravo regista) incontrano in fase di distribuzione.
• Nelle foto Ivan Franek e Asia Argento nel film “Isole” di Stefano Chiantini. In basso la locandina del cortometraggio “I viaggiatori della Luna” di Mariangela Fasciocco
INTEGRAZIONE E DIVERSITà Si chiama “I viaggiatori della Luna” ed è il primo film di Mariangela Fasciocco, 29 anni, nata a Castelnuovo Vomano. Prodotto dall’associazione Officin Art in collaborazione con il Cineforum di Teramo, la FederArte Rom, la Federazione Rom e Sinti, è anche il primo film in lingua romanì. “Il corto” ha spiegato Fasciocco in occasione della presentazione avvenuta lo scorso aprile presso la sala polifunzionale della Provincia di Teramo “affronta la tematica delle minoranze etniche in Abruzzo e punta all’universalità. È una storia tipicamente abruzzese, nella quale due vite si incontrano e scoprono di non essere poi così tanto diverse tra loro”. La storia è quella di una famiglia di giostrai rom abruzzesi impegnati nell’allestimento di un parco divertimenti; tra problemi burocratici e di adattamento, scopriranno la solidarietà di un anziano del luogo che stranamente conosce la loro lingua. Unico cortometraggio italiano in finale al Brooklyn Film Festival, l’opera prima della Fasciocco è “un gioiellino, per quello che dice e per come lo racconta” secondo Gianni Gaspari,
autorevole critico cinematografico di Rai2. “La recitazione di un veterano sapiente come Beppe Chierici –prosegue Gaspari– e di un esordiente in gamba come David Di Sabatino dà a I viaggiatori della luna un intenso sapore di verità. E i contributi tecnici sono preziosi, a cominciare dalla sagace fotografia di Gianni Chiarini”. In concorso al premio David di Donatello 2012, è stato selezionato da Ettore Scola per il Bif&st 2012 ed è giunto tra i finalisti al Capua Cine Festival 2012 e al Sarno Film Festival.
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agosto - settembre 2012
Daniele Sebastiani IL PESCARA SEMPRE IN TESTA Carmine Di Ilio LA RICERCA DEL FUTURO Sangritana FERROVIA CENTO E LODE
Sportivi si nasce
Sapori sotto le stelle 79
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agosto/settembre 2012 n.79 • € 4.50
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Cantina Fliomusi Guelfi: La cultura del vino / La Taverna di Posidone: Il gusto della scafetta
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VarioGusto
Guida al mangiar sano Cosa comprare, come e dove: un manuale per la spesa consapevole nel territorio protetto più grande d'Abruzzo
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n lungo e paziente lavoro, quello portato avanti dal Servizio Agro Silvo Pastorale dell’Ente Parco, impegnato a tutto campo nella realizzazione dei numerosi programmi di conservazione e valorizzazione del patrimonio agricolo e zootecnico e delle produzioni tipiche. Nel tempo, grazie a una costante azione di assistenza e formazione nei confronti delle aziende, i nostri tecnici hanno conquistato la fiducia dei produttori, portandoli anche a condividere i fondamentali principi di sostenibilità ambientale. Il territorio del Parco esprime un’eccezionale ricchezza biologica e colturale, varietà agricole e prodotti antichissimi altrove scomparsi, ma che qui, invece, contribuiscono a formare una variegata e apprezzata offerta di sapori genuini e tipicità agroalimentari, tutti da conoscere e da gustare. Le attività agricole e zootecniche sono dunque in primissimo piano in questa grande area protetta; tra le montagne più belle e maestose dell’Appennino, una popolazione che non ha mai avuto vita facile oggi finalmente vede la possibilità di rivalutare il lavoro agricolo, l’allevamento e la stessa pastorizia. In questa guida abbiamo voluto compendiare tutti i principali prodotti agroalimentari del Parco, nell’obiettivo strategico di accorciare la filiera di prodotto, promuovendo il più possibile il rapporto diretto con “chi produce nel Parco”. Così, ai prodotti ormai famosi, come il celebre Pecorino di Farindola o la rinomata Mortadella di Campotosto, se ne affiancano altri meno conosciuti, vere e proprie chicche da scoprire, come la Mela Roscetta di Montereale, il Fagiolo di Paganica, la Patata Turchesa, la Pastinaca di Capitignano, solo per citarne alcuni. La provenienza da territori protetti e lontani da fonti di inquinamento, l’utilizzo di un tipo di agricoltura e di allevamento non intensivi, il ricorso sempre più frequente a pratiche biologiche ed ecocompatibili, fanno di questi prodotti degli straordinari alimenti che meritano davvero di essere apprezzati; e il modo migliore per farlo è proprio andando a conoscere di persona chi li produce, visitandone le Aziende, entrate a far parte di questa vera e propria “rete di produttori” del Parco. Marcello Maranella, Direttore del Parco
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n utile vademecum alla scoperta, o meglio, riscoperta, delle tipicità agroalimentari del territorio. Attraverso un elenco dettagliato dapprima delle produzioni caratteristiche del parco, seguito da schede relative a 145 aziende, il volume curato dal Servizio Agro Silvo pastorale del Parco del Gran Sasso non mira a stilare una graduatoria che identifichi il miglior prodotto o produttore, ma a valorizzare le aziende che meglio rispondono agli obiettivi che l’ente parco si propone. La pubblicazione, edita da Ricerche&redazioni - Teramo per conto dell’Ente Parco Gran Sasso - Monti della Laga, risulta utile ai fini di un consumo ragionato, che abbia nel rispetto dell’ambiente e del ciclo delle stagioni, nonché nell’accorciamento della filiera produttiva e in un più diretto rapporto produttore-consumatore i suoi punti fermi. La spesa nel Parco a cura del Servizio Agro Silvo Pastorale del PNGSL Ricerche&redazioni, 2012, pp. 143
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CafĂŠ Les Paillotes
Sapori sotto
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o le stelle La notte pescarese brilla per la qualitĂ dell'alta cucina: quella del ristorante piĂš raffinato della costa, guidato da una coppia di giovani talenti entrambi affermatisi alla corte del celebre Heinz Beck
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Testo e Foto Claudio Carella
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aranno le stelle, quelle che si riflettono sul mare Adriatico. Saranno quelle che ne attestano la qualità della cucina, o le star che si alternano ai fornelli; ma una serata a Les Paillotes è sicuramente un'esperienza memorabile. Tutto, nel ristorante diventato punto di riferimento per i gourmet dell'Abruzzo, è realizzato pensando all'eccellenza: dall'ingresso che ti accoglie tra ambienti e profumi esotici al comfort e alla piacevolezza degli arredi, per culminare con la bontà delle proposte culinarie. Il locale nato dieci anni orsono dall'idea del re della pasta Filippo Antonio De Cecco ha conquistato nel tempo pubblico e critica, tanto da meritarsi l'ambita stella assegnata dalla Guida Michelin e tanti altri riconoscimenti dalle riviste di settore. E senza adagiarsi sugli allori ha continuato nella sua ricerca della qualità, offrendo sempre nuove emozioni. È recente il cambio generazionale che ha portato due giovani talenti sulla spiaggia pescarese: lo chef Davide Pezzuto e il direttore Andrea La Caita, entrambi provenienti da quella che è considerata, per certi versi, una scuola di cucina internazionale: la Pergola, il tempio romano di Heinz Beck, pluridecorato chef molto legato a Pescara. Che subito nota nel venticinquenne Davide Pezzuto, appena giunto alla Pergola, una dote innata nel preparare la pasta fresca: «Heinz ha visto che è la mia specialità. È una passione che in parte deriva anche dalla mia famiglia: in casa non ho
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mai visto arrivare un sacchetto di farina dal supermercato, ci rifornivamo direttamente dai molini, con farina macinata di fresco. Alla Pergola sono stato sei anni, due dei quali li ho passati a fare la pasta. Poi su mia insistenza Heinz mi ha offerto l’opportunità di sperimentarmi anche in altre cose. A Roma sono arrivato da professionista, non mi ha formato lui; ma mi ha insegnato molto e grazie ai suoi consigli sono cresciuto tantissimo, affinando il gusto e il palato». E proprio grazie a Beck Davide ha conosciuto il suo attuale luogo di lavoro, la cucina de Les Paillotes: «Con Heinz spesso partecipavo ad eventi esterni, banchetti e altre manifestazioni come per esempio l’Expo 2010 di Shanghai, dove abbiamo preparato una cena per 150 persone organizzata dalla De Cecco. E ogni tanto venivo qui a Pescara ad aiutare Antonio (Strammiello, lo chef che lo ha preceduto ai fornelli del ristorante pescarese ndr), che conosco bene, tanto che l’estate scorsa mi sono trattenuto quindici giorni. E sono venuto spesso anche con Heinz in occasione di alcuni eventi gastronomici». Tra specialisti della pasta è naturale che ci si intenda; e quindi quello di Davide è stato il primo nome a cui il patron del ristorante Filippo De Cecco ha pensato per sostituire Strammiello trasferitosi a Firenze. «Evidentemente era destino che prima o poi Pescara diventasse un capitolo importante della mia carriera. Se penso a quando avevo vent’anni neanche immaginavo che
• Nelle foto immagini delle Paillotes. A sinistra lo Chef Davide Pezzuto con Martino Ruggieri Sotto due piatti preparati da Pezzuto.
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sarei arrivato dove sono ora». E anche qui Davide ha avuto modo di dimostrare di saperci fare con la pasta: «Abbiamo in menù un piatto che propongo spesso, i Maccheroncini al ferretto con farina di grano arso, una farina che si ottiene dalla tostatura dei chicchi che acquistano così un profumo molto consistente; i maccheroncini vengono conditi con carciofi, gamberi rossi di Gallipoli, e pane croccante, una mollicata siciliana ricca, con un fondo di acciuga, aglio, cipolla e passato di pomodoro. All’apparenza è un piatto semplice, ma c’è un grande lavoro dietro: pensare che solo il pane viene sottoposto a tre tipi di cottura diversi. Ovviamente molti dei primi piatti li prepariamo usando la pasta De Cecco, che usavo anche alla Pergola: un prodotto veramente di alta qualità». Il talento di Davide si esprime anche nella preparazione del pesce, che a Les Paillotes ha un posto d’onore: «Cucinare il pesce mi piace tantissimo, perchè non amo manipolare troppo i cibi, preferisco trovare prodotti della massima qualità e trattarli con rispetto. Per esempio uno dei miei piatti forti è il trancio di tonno scottato con un cipollotto arrosto cotto alla carbonella e maionese al wasabi e salsa di ryaki, un piatto che unisce Oriente e Occidente in una fusione molto innovativa. E l’astice al lampone, che lega la dolcezza del crostaceo all’acidità del frutto di bosco». Piatti che, spera Davide, «ci aiuteranno a confermare la stella già ricevuta grazie all’eccellente lavoro svolto da Antonio. Io e lui, pur provenendo dalla stessa scuola (quella appunto della Pergola e di Heinz Beck) abbiamo mani completamente diverse. Ora la mia intenzione è
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quella di garantire lo stesso livello qualitativo della precedente gestione, coadiuvato anche dall'ottimo staff tra cui brilla Martino Ruggieri, ma proponendo piatti per tutti i gusti». Un obiettivo condiviso dal neodirettore del ristorante, Andrea La Caita: romano, trentacinquenne, La Caita ha un passato da accademico (con due lauree e due master, altro che bamboccioni) e una già avviata carriera nella ristorazione: «Sono proprietario di due ristoranti a Tivoli: il Sibilla che è lo storico ristorante di famiglia, nato nel 1730, e il Vesta, attualmente chiuso per restauri, col quale ho conquistato la mia prima stella Michelin nel 2009. Ho avuto diverse esperienze in alcuni ristoranti stellati di Roma e poi sono arrivato alla Pergola, alla corte di Heinz Beck. Da lì a Pescara il passo è stato breve». Pescara, dice Andrea, «è un po’ tradizionalista dal punto di vista gastronomico, nonostante dei format decisamente innovativi; e questo comporta qualche difficoltà per chi, come Les Paillotes, fa un lavoro anche di ricerca sulla ristorazione. Il nostro è un tipo di cucina un po’ diversa e non tutti sono in grado di apprezzarla subito, perché si affidano spesso a sapori omologati (aglio, pomodoro, peperoncino) perdendo così il gusto della materia prima. Ma la strada che abbiamo deciso di intraprendere con questa nuova gestione è quella di trovare un rapporto più diretto con i clienti e osare qualcosa di più anche in cucina». Ecco spiegato il cambio generazionale che ha investito tutti i reparti del ristorante. «Abbiamo un’età media, tra cucina e personale di sala, decisamente bassa. Questo perché desideriamo dare spazio alla creatività,
• Nelle foto immagini delle Paillotes negli appuntamenti con i migliori Chef. A sinistra il direttore Andrea La Caita con i suoi collaboratori di sala.
alla freschezza, alla fantasia, affidandoci a giovani che non hanno paura di sperimentare, di proporre qualcosa di diverso. E pur mantenendo alto lo standard, che è comunque ciò che caratterizza la struttura, il nostro approccio vuole rendere il ristorante sempre più accogliente e informale». E proprio nell'ottica dell'offrire sempre serate di alto livello, Les Paillotes ha organizzato per quest'estate un cartellone con le grandi star della cucina internazionale: a cominciare dal maestro che ha dato la sua impronta al locale, Heinz Beck, e dal padrone di casa Davide Pezzuto (che ha proposto un succulento Festival dell'Aragosta) per finire con Enrico Cerea, chef da tre stelle Michelin, passando per Andrea Ribaldone (una stella Michelin), Michele Biagiola (una stella Michelin), Stefano Masanti (una stella Michelin), Gennaro Esposito (due stelle Michelin), senza trascurare le serate a tema: quella dedicata alla Spagna con lo chef Oliver Balteo, quella della fusion orientale con Martino Ruggeri e la serata del Baccalà con Arrieta Quintela Andoni.
Olio Fantasia
Pane, olio e creatività
Packaging innovativo e qualità sopraffina: così l'azienda di Raiano nobilita l'olio di Jenny Gomez
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na bottiglia di champagne per conservare ed esaltare il pregio dell’olio extravergine ottenuto da due varietà olivicole autoctone della Valle Peligna: la rustica e la gentile dell’Aquila. Idea ingegnosa con cui l’azienda agricola Fantasia –di tradizione secolare e ubicata nel comune di Raiano (Aq)– ha nobilitato un olio capace di aggiudicarsi riconoscimenti molto ambiti. L’ultimo dei quali annunciato in anteprima a Vario: il terzo posto all’Orciolo d’Oro, importante concorso nazionale. Fa seguito alla medaglia di bronzo, nella categoria oli con fruttato leggero, conquistata al concorso internazionale Sol d’Oro (svoltosi in concomitanza con il Vinitaly 2012), alle Tre Foglie della guida Gambero Rosso e alle Tre Gocce della guida Slow Food. Abbinare un packaging innovativo a un olio pregevole costituisce una strategia di marketing che indirizza il prodotto a un target di fascia alta o di lusso, come spiega Sandra Fantasia, giovane figlia del titolare (Francesco) e artefice della “trovata”. «Ci piaceva l’idea di arricchire un prodotto di uso quotidiano come l’olio rendendone l’utilizzo ancora più piacevole. Siamo i primi ad associare il mondo olivicolo a quello del lusso, ma nel contempo il nostro prodotto è accessibile a chi desidera, ad esempio, fare un bel regalo a un costo relativamente contenuto». Oltre al riscontro avuto sul territorio nazionale, presso ristoranti di lusso e catene alimentari di fascia alta, ci sono segni incoraggianti dal mercato estero, Russia e Giappone in testa.
VIII • Sandra Fantasia
Gusto: Caprice
Vissani in Abruzzo T
our abruzzese per la nota trasmissione di La7 “Ti ci porto io”, condotta da Gianfranco Vissani e Michela Rocco, frizzante contenitore che unisce il viaggio nelle tradizioni culturali delle regioni italiane alla scoperta delle ricette tipiche e della gastronomia dei luoghi visitati. I due popolari personaggi hanno visitato alcuni ristoranti di Pescara (Taverna 58 e Pescion) e di Ortona (Al vecchio teatro), dove il celebre chef ha assistito alla preparazione di alcune specialità regionali: pallotte “cace e ovo”, seppie alla sanvitese e le tradizionali neole. La puntata dedicata all’Abruzzo è andata in onda lo scorso giugno ed è reperibile interamente sul sito www.la7.it
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afferano, pecorino e spumante: è uno dei nuovi e sorprendenti gelati dell’estate 2012, un tripudio di sapori unici creati dall’inventiva e dal genio di Fabrizio Camplone, pluripremiato proprietario del bar Caprice in piazza Garibaldi a Pescara. Il nuovo gusto ha particolarmente soddisfatto Davide Oltolini, critico gastronomico esperto di analisi sensoriale, che, intervistato da Vanity Fair.it, ha stilato la classifica delle migliori gelaterie d’Italia, citando anche il bar pescarese. Si tratta dell’ennesimo attestato di stima per Caprice, segnalato dal critico nella categoria “Dolce e un po’ salato”, un risultato ottenuto grazie alla qualità degli ingredienti e all’estro di Camplone, membro dell’Accademia dei Pasticceri Italiani. Caprice, da ben 7 anni consecutivi, si colloca ai vertici dell’ospitalità italiana della caffetteria e della pasticceria, ricevendo da Gambero Rosso l’ambito riconoscimento di “Tre chicchi e Tre tazzine”. Da sempre impegnato nella sua personale ricerca nel segno della tradizione abruzzese, Fabrizio Camplone ogni anno crea gelati legati ai gusti e ai colori della sua terra, con l'obiettivo di far riscoprire in maniera originale il bocconotto frentano, la presentosa, la liquirizia di Atri. Questi ed altri ingredienti mescolati con maestria a spezie preziose, ricercate e selezionate, danno vita a stuzzicanti ricette create ad arte nel suo laboratorio artigianale. Il successo di Caprice è l’ennesima conferma di un cambio sostanziale di tendenza nel settore dei bar e dei ristoranti: in tempo di crisi, si vince solo puntando sulla qualità e valorizzando il territorio.
Il Pecorino a Gessopalena
Cibus N
el segno del successo la partecipazione delle aziende abruzzesi al Cibus di Parma, la più importante manifestazione nazionale dedicata all'enogastronomia: segnali positivi per le produzioni nostrane, capaci di conquistare l’interesse dei nostri connazionali e di numerosi importatori soprattutto europei (Germania, Svizzera, Austria) ma anche dal mercato asiatico, in particolare giapponesi. «I nostri produttori –ha dichiarato Silvio di Lorenzo, presidente del Centro Interno delle Camere di Commercio d’Abruzzo – sono molto soddisfatti dei riscontri ottenuti, a dimostrazione del fatto che nonostante la crisi, con le nostre produzioni di qualità possiamo essere altamente competitivi su tutti i mercati».
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n un itinerario paesaggistico-gastronomico che si snoda nel centro storico di Gessopalena, i visitatori vengono guidati attraverso mercati tipici, esposizioni e lezioni di degustazione, con l’intento di contribuire alla creazione di una coscienza critica che guidi le scelte dei consumatori verso prodotti che conservano il gusto artigianale rispettando elevati standard qualitativi. Con la rassegna Buon Gusto l’Abruzzo avvia un percorso di educazione al gusto e di educazione sensoriale che coinvolge non solo appassionati di formaggio e del gusto, ma anche amanti della buona musica e delle arti figurative, che potranno godere di un vero momento culturale da assaporare tra paesaggi suggestivi e scorci del passato.
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Lo stile italiano della pizza
Luciano Passeri campione del mondo di pizza classica
Le nostre pizze premiate
Le nostre offerte
Mamilù
Las Vegas
PIZZERIA
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Agriturismo vuol dire qualità Giunge al quarto anno il progetto di Terranostra Abruzzo per la certificazione delle aziende agrituristiche
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uando si dice agriturismo si dice qualità. Questo è, in sintesi, l'obiettivo del progetto "Agriturismi di qualità", un'iniziativa tesa a riunire sotto una certificazione "Doc" le aziende agrituristiche abruzzesi. È Simone Ciampoli, direttore di Coldiretti Abruzzo e segretario regionale dell'associazione Terranostra, a spiegare di cosa si tratta: «L'associazione Terranostra Abruzzo, in collaborazione con l'Arssa e l'assessorato all'agricoltura della Regione ha intrapreso quattro anni fa questo percorso di certificazione per aziende agrituristiche, che vuole garantire standard omogenei nell'accoglienza degli ospiti e migliorare il servizio offerto. Siamo estremamente soddisfatti dei risultati di questi primi anni di lavoro, e i dati che giungono dalle aziende stesse confermano la bontà del percorso intrapreso». Ciò che accomuna le aziende, prosegue Ciampoli, «è la presenza imprescindibile dell'attività agricola e dell'imprenditore agricolo; ciò che le diversifica è la propensione personale e la capacità relazionale degli operatori, la varietà delle produzioni, la peculiarità delle architetture rurali e del contesto ambientale in cui sono inserite». Il progetto ha finora certificato ben 52 aziende in tutto l'Abruzzo, e molte sono ancora le domande che continuano ad arrivare. «Naturalmente non decidiamo noi chi entra a far parte di questo coircuito, ma un Ente terzo di certificazione, il CSQA, che interviene a garanzia dei risultati e concede all'azienda di potersi fregiare del marchio "QA"». Da Martinsicuro a San Salvo, da Carsoli a Roccaraso,
gli agriturismi certificati "Qualità Abruzzo" sono diffusi in tutto il territorio regionale. «La certificazione è importante –prosegue Ciampoli– perché costituisce un ottimo biglietto da visita tanto per l'azienda che per il turista che usufruisce dei servizi: chi espone il marchio QA garantisce degli standard elevati nell'accoglienza, chi entra in un azienda QA sa di poter contare su servizi come le visite guidate all'azienda, percorsi didattici per bambini e adulti, opportunità uniche di visitare il territorio circostante». La famiglia rurale quindi accoglie l'ospite «instaurando da subito una relazione ispirata alla massima cortesia, calda e coinvolgente. Chi giunge in agriturismo trova uno spirito di collaborazione e di iniziativa decisamente stimolante, in grado di farlo sentire a proprio agio e in contatto diretto con lo stile di vita legato alla produzione agricola e alle tradizioni del territorio». Naturalmente anche l'aspetto enogastronomico è compreso nel marchio di qualità: «I menù proposti –conclude Ciampoli– pèrivilegiano e valorizzano i prodotti aziendali, gli ingredienti della gastronomia locale e le ricette tipiche della tradizione familiare del territorio. La ristorazione offre cibi improntati alla stagionalità dei prodotti, nel rispetto di sapori e ricette tipiche. Inoltre la genuinità degli ingredienti e degli alimenti è sempre collegata alla ritualità delle feste, delle ricorrenze e delle tradizioni locali, offrendo così una completa compenetrazione tra F.G. soggiorno turistico e vacanza culturale».
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Cantina Filomusi Guelfi
La cultura del VINO Vignaioli fin dal 1766, giuristi, letterati e amanti dell'arte, i Filomusi Guelfi tramandano da secoli la passione per i prodotti della terra di Alessio Di Brigida foto Gino Di Paolo
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l vino è una storia antica, si sa; e antica è –spesso– la storia di chi il vino lo fa, come quella di Lorenzo Filomusi Guelfi. Giuristi, letterati, appassionati di agronomia e studiosi di medicina e storia dell’arte, i Filomusi Guelfi hanno legato il loro nome alla contrada Ceppete, un territorio a ridosso della collina sulla quale sorge Tocco da Casauria, sul versante nordorientale della Maiella: i dieci ettari che oggi sono coltivati a vigneto compaiono nei documenti storici della famiglia già nel 1766. Quando Lorenzo, attuale titolare dell’azienda di famiglia, riceve dal padre l’attività nel 1983, si rende conto di aver ereditato ben più che un’azienda agricola, ma un intero patrimonio culturale che arricchisce il gusto di un vino destinato al successo. In pochi anni, con impegno e passione, Lorenzo porta l’azienda a livelli mai raggiunti prima e imbottiglia il primo Montepulciano nel 1990. Da allora il vino diventa il biglietto da visita della famiglia, che pone sulle etichette sobrie ed eleganti delle bottiglie il cavallino rampante e alato che campeggia nello stemma del casato. Comincia così un percorso di studio che porta Lorenzo a penetrare i segreti della terra, a scoprire le caratteristiche geomorfologiche dei possedimenti, insieme a un sapiente lavoro di razionalizzazione e trasformazione dei vigneti che culmina nell’introduzione –mai tentata in provincia di Pescara– della coltivazione del vitigno Sauvignon, che va ad aggiungersi a quelli di Chardonnay, Malvasia Toscana e Cococciola; e che si affianca alla caparbia conservazione di due impianti a spalliera di Montepulciano, datati oltre 60 anni. È da questi impianti che nasce il Montepulciano Riserva “Fonte Dei”, il vino di punta dell’azienda, che porta con sé le caratteristiche del suo
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viticoltore e della regione stessa: un vino schietto e orgoglioso, testardo e generoso al quale fanno seguito gioielli dell’enologia come il Perlei (un innovativo 100% Sauvignon), Le Scuderie del cielo (blend di Cococciola, Chardonnay, Malvasia Toscana e Sauvignon), e gli intramontabili Montepulciano d’Abruzzo e il Cerasuolo, tutti vinificati nella cantina situata nel centro storico di Tocco da Casauria. L’edificio, sottoposto oggi a vincolo architettonico, ospita nelle sue antiche mura tutta la moderna tecnologia di cui Lorenzo Filomusi Guelfi ha bisogno per ottenere i suoi vini: sul pavimento in lastre di pietra della Maiella trova posto una moderna centrale di produzione del freddo, utilizzata per controllare la fermentazione e la conservazione dei vini stoccati; le splendide volte a crociera proteggono lo scambiatore di calore per la refrigerazione dei mosti e il sistema di automazione temporizzata, mentre le pregiate botti di rovere di Slavonia, le barriques e le vasche di acciaio e cemento vetrificato convivono con gli arredi antichi nei locali capaci di contenere fino a 1550 ettolitri. La cornice è poi l’inesauribile energia di Lorenzo Filomusi Guelfi, la sua verve e la sua irresistibile capacità di intrattenere gli ospiti con cortesia e gentilezza, senza mai trascurare di illustrare con dovizia di particolari la storia della famiglia e della cantina, e le caratteristiche di ogni singolo prodotto nato dalla passione che trasmette a tutti coloro che visitano l’azienda. Un amore, quello di Lorenzo, che caratterizza tutta la sua attività e che traspare nella lucentezza dei colori del vino, ricchi di sfumature naturali, nei profumi che riportano alla memoria gusti e retrogusti dimenticati, attraverso sapori decisi e raffinati.
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La Taverna di Posidone
Il gusto della scafetta I sapori della tradizione marinara sono protagonisti in un accogliente ristorante nel cuore della città
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n piccolo e accogliente angolo di mare, nel centro di Pescara. Entrando nella Taverna di Posidone si ha l’impressione, guardando anche i suggestivi trompe l’oeil che adornano le pareti, di uscire dal caos delle affollate vie commerciali per entrare nella rilassante atmosfera di uno chalet affacciato sull’Adriatico, e i profumi che si sprigionano dalla cucina solleticano l’olfatto con la promessa di sapori antichi. Del resto Alfredo Papponetti, il titolare del ristorante che ha aperto i battenti poco più di un anno fa, ha alle spalle non solo una lunga attività commerciale nel settore della gastronomia marittima, ma anche una tradizione familiare importante: «Generazioni di Papponetti si sono avvicendate a bordo dei pescherecci, siamo stati tra i primi pescatori della Marina Sud», racconta con orgoglio. E la tradizione, quella della cucina marinara “di una volta”, è la pietra angolare su cui si regge l’offerta della Taverna di Posidone, che già da quel nome “taverna” evoca la piacevole sensazione di trovarsi tra le mura di casa. «Si potrebbe affermare che, paradossalmente, proporre cucina tradizionale marinara sia qualcosa di innovativo nel panorama della ristorazione cittadina. Oggi i ristoranti tendono a stupire i clienti con proposte che si rifanno all’alta cucina, con sapori che si allontanano dall’identità del luogo e accostamenti arditi che spesso strizzano
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SPECIALITÀ PESCE Via Perugia 17/19 • Pescara tel. 085 6921990
l’occhio ai gourmet; le nostre sono proposte più semplici, che recuperano la tradizione locale, con qualche piccola variazione. Personalizzazioni dello chef che comunque rispettano il gusto delle ricette originali». Lo chef, Maretto (quando si dice “il destino nel nome”) è anche lui discendente di una famiglia, gli Orsini, dalla lunga storia marinara. È a lui che si devono le idee, le invenzioni e le preparazioni di tutto ciò che esce dalla cucina della Taverna di Posidone. «Facciamo tutto in casa – prosegue Alfredo– inclusa la pasta e i dolci, perché Maretto è anche pasticciere. E utilizziamo solo prodotti locali, non solo per quanto riguarda il pesce (tutto proveniente dai mercati quotidiani di Pescara, Ortona e San Benedetto del Tronto): l’olio è di Civitella Casanova, le verdure vengono da produttori della zona, i vini sono esclusivamente abruzzesi; sui nostri tavoli giungono i prodotti delle migliori cantine: Zaccagnini, Filomusi Guelfi, Pasetti, Chiusa Grande, e un’ottima cantina vastese che produce vini biologici, Jasci & Marchesani». Ottimi per accompagnare la grande quantità di piatti che compaiono sul menù, sorprendentemente ricco: oltre a una ampia offerta di antipasti sia crudi che preparati dalla fervida fantasia dello chef, si va dalle intramontabili pappardelle al sugo di granchio alle linguine con rape e panocchie; dagli gnocchetti con la pescatrice alle fettuccine al sugo di seppia
ripiena; dal guazzetto di cozze con peperone secco in bianco al classico dei classici, il brodetto alla pescarese. «Per i secondi, la tradizione parla di frittura di paranza, mista di scampi e calamari e l’arrosto. Le caratteristiche del prodotto dell’Adriatico e quella dell'avere piccole pezzature ma di grande sapore. La Taverna di Posidone propone il miglior pescato della nostra costa secondo le ricette tradizionali dei pescatori come le seppie arrostite con peperoni, frittelle di alici in pastella, cozze ripiene al sugo, mazzancolle scottate in padella con funghi e peperoni e polipo con carciofi e pachino. Singolare e originale, infine, l’idea di promuovere il ristorante attraverso serate a tema (gastronomico, ovviamente) che si sono susseguite durante tutto l’inverno, allietate spesso da musica dal vivo (“rigorosamente d’atmosfera”, specifica Alfredo) e da degustazioni di vini. E per chi non ha il tempo di fermarsi a cena, «proponiamo ogni sera un aperitivo a base di pesce: un ricco buffet di antipasti con qualche assaggio di primi e secondi piatti, accompagnati da vini al bicchiere. In un momento di crisi economica come questo, molti rinunciano al piacere di mangiare pesce; noi offriamo la possibilità di gustare le delizie del mare a prezzi contenuti. È un modo per riavvicinare le persone al mangiar sano e alla buona cucina». • Nelle foto La Taverna di Posidone e Alfredo Papponetti con Maretto Orsitti
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Istituto Zooprofilattico di Teramo
Vent'anni eccellenti Un esempio di gestione aziendale, un punto di riferimento essenziale per la ricerca. Primo bilancio di un'istituzione che fa grande l'Abruzzo di Bruno Cortesi
L'
istitituto Zooprofilattico dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”,pur operando nell’area italiana a minor popolazione animale e umana, rappresenta oggi un’eccellenza, un punto di riferimento per numerosissimi utenti e non solo. Esso vanta un personale dipendente di circa 282 unità, un personale volontario che si aggira attorno alle 120 unità, e ha all’attivo una media di circa 50-60 pubblicazioni scientifico-divulgative l’anno (Dati relativi al ventennio 1990/2010). Nel tempo non sono mancati i riconoscimenti, e gli occhi delle istituzioni nazionali e internazionali sono stati puntati più volte sull’istituto “G.Caporale” . Le attività di cui esso si occupa sono varie e molteplici, e comprendono la ricerca sperimentale circa le malattie infettive e diffusive degli animali domestici e selvatici, l’igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche, la produzione di vaccini, reagenti e prodotti immunologici, la formazione, l’informazione, l’assistenza. Eppure, strano a dirsi, non è stato sempre così; l’istitituto ha vissuto alterne vicende, nonostante l’entusiasmo e la disposizione al cambiamento non siano (quasi) mai mancati, si è trovato a dover operare in circostanze talvolta poco rosee, confrontandosi con sfide ardue, in un settore che negli anni ha subito una rapida espansione e ha acquistato sempre maggior rilevanza agli occhi delle organizzazioni sanitarie di gran parte del mondo. A raccontarci tutto questo, a raccontarci i protagonisti di un cambiamento radicale, e i punti fermi attorno cui negli ultimi anni ha ruotato la politica aziendale dell’istituto, è Manuel Graziani, che nel suo volume “Vent’anni” ripercorre col senno di poi il periodo che va dal 1990 al 2010, soffermandosi con particolare attenzione sull’avvento del mercato unico, sui problemi a cui si è dovuto far fronte, sul modo di affrontarli da parte dell’istituto. Dopo una breve quanto
Manuel Graziani Vent'anni. L'Istituto Zooprofilattico Sperimentale d'Abruzzo e Molise dal 1990 al 2010 Teramo 2012, pp.174
doverosa introduzione sul ruolo che ad’oggi gli istituti zooprofilattici ricoprono all’interno del panorama sanitario italiano, il libro si apre raccontando la genesi del “G. Caporale”,avvenuta in un momento storico gravido di contraddizioni, segnato da strascichi del secondo conflitto mondiale, ma anche dalla mancanza di basi legislative solide. Protagonista indiscusso Giuseppe Caporale. Poi gli 80, gli anni della stasi, dell’immobilismo politico e amministrativo, del malcontento. Con l’avvicinarsi del mercato unico nel 1990, ci dice Graziani, concretizzatosi nel ‘92, ci si rese conto in tempo di come una simile trasformazione imponesse una politica aziendale radicalmente nuova e diversa. Ed è da qui che è nata l’esigenza, suffragata da una volontà ferrea, di dedicare quote di risorse sempre maggiori alla ricerca , al miglioramento organizzativo, alla formazione , all’utilizzo sempre più massiccio delle nuove tecnologie, web in primis, ad un intrattenimento più oculato dei rapporti con le istituzioni del nostro paese e con la comunità internazionale, Complice un’amministrazione regionale probabilmente più partecipe delle precedenti. Al giro di boa, allo scoccare dei vent’anni da quel fatidico ’90, il giudizio dell’autore coincide con quello dei più, e può certamente dirsi positivo. Mentre altre organizzazioni si sono trovate impreparate, perdendo la loro capacità di innovazione, l’istituto “G. Caporale.” ha saputo reagire con cipiglio e determinazione, senza mai adagiarsi sui propri successi. Un libro interessante, una fotografia lucida e ad un tempo appassionata, che tratteggia un periodo, un ente importante nella nostra regione, gli uomini e le donne che lo hanno reso tale. In conclusione, le parole di Vincenzo Caporale, attuale direttore dell’istituto e figlio di quel celebre Giuseppe a cui la struttura deve il proprio nome.