Vario 80

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80 dicembre 2012 n.80 • € 4.50

Sped. abb. postale Art.1 comma 1353/03 aut. n°12/87 25/11/87 Pescara CMP

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Cantina Bosco: Il vino, una tradizione di famiglia / Vitellone bianco: Qualità made in Abruzzo

Arrosticini, profumo e gusto Un marchio per il prodotto tipico

Sangritana UNA FERROVIA PER TUTTI

dicembre 2012

Auditorium dell’Aquila SULLE NOTE DELLA RINASCITA Vincenzo Marinelli 2000 PRESENZE ALL’ADRIATICO

Il compleanno del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise



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dicembre 2012

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Rubrica BreVario

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Inchiesta Lo sport è uguale per tutti

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L’invenzione del Parco nazionale d’Abruzzo

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Dario Febbo Il Parco, un’impresa che non va mai in letargo

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Auditorium dell’Aquila Sulle note della rinascita

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Personaggi Vincenzo Marinelli

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Personaggi Ciro Immobile, Marco Verratti, Lorenzo Insigne

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Personaggi Germano Mazzocchetti

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Personaggi Pierluigi Ledda

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Personaggi Power Francers

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Sangritana Una ferrovia per tutti

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Confindustria L’unione, impresa del futuro

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Aziende Dynamin Holding

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Aziende Pelletteria Grafica

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Ribalta Arte / Mostre / Libri / Eventi / Musica VARIOGUSTO

I

Polo AGIRE Uniti per la competitività

II

Arrosticino Arrosticini, profumo e gusto

VI

Ristorante Foconé La tradizione sul fuoco

VIII XII

Vitellone bianco Qualità made in Abruzzo Cantina Bosco Nestore Il vino, una tradizione di famiglia

Direttore Responsabile Claudio Carella Redazione Fabrizio Gentile (testi), Enzo Alimonti (grafica) Hanno collaborato a questo numero Andrea Carella, Simone Ciglia, Annamaria Cirillo, Bruno Cortesi, Pierluigi D’Angelo, Antonio De Leonardis, Francesco Di Vincenzo, Elda Gattone, Giulia Mori, Massimo Palladini, Francesco Paolucci, Daniela Peca

Stampa, fotolito e allestimento AGP - Arti Grafiche Picene - Via della Bonifica, 26 Maltignano (AP) Claudio Carella Editore Aut. Trib. di Pescara n.12/87 del 25/11/87 Rivista associata all’Unione Stampa Periodica Italiana Redazione: Via Puccini, 85/2 Pescara Tel. 08527132 - redazione@vario.it

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BREVario ARTE DELL’ACCOGLIENZA: a venezia la sextantio di kihlgren In località dove ha sempre fatto fatica ad imporsi una cultura del paesaggio e dell’identità territoriale come valori da tutelare, la società “Sextantio”, guidata da Daniele Kihlgren, si è inserita da subito nel solco delle possibilità offerte dal cosiddetto “albergo diffuso”, riuscendo non soltanto a diffondere l’ipotesi di una concezione radicalmente diversa del turismo, ma addirittura ad emergere come manifesto di un modello economico sostenibile ed assolutamente nuovo e competitivo, che ben poco ha da invidiare alle nuove tecnologie della Silicon Valley o a sistemi produttivi di scala. Il borgo di S. Stefano di Sessanio ha visto, nell’arco di un decennio, le proprie strutture alberghiere aumentare da una singola unità alle 10 attuali, per un totale di più di un centinaio di stanze, e tutto questo senza edificare un singolo metro quadro di spazio ex-novo. Il valore al metro quadro, soprattutto per quanto riguarda le strutture legate alla Sextantio, è praticamente quadruplicato. L’obiettivo è quello di esportare nel meridione un modello del genere, acquistando le espressioni più significative di territori in troppi casi abbandonati a loro stessi. Quest’anno la società partecipa alla 13a Biennale di architettura di Venezia, all’interno del padiglione Italia. I partecipanti alla rassegna non soltanto rivendicano le ragioni di un nuovo modo di abitare e fare turismo, ma tentano l’impresa certamente più ardua di suggerire un nuovo prototipo di modalità insediativa, all’interno del quale identità culturale e GreenEconomy siano legate a doppio filo. Competitività e sviluppo significano anche tutto questo.

Documentare la natura

DI GREGORIO, IL SUCCESSO È DONNA

Il festival Scanno Natura Doc. – Effetto È un periodo particolarmente felice per Nicoletta Di Uomo, quarta edizione della manifestaGregorio, presidente delle Edizioni Tracce di Pescara, zione che di anno in anno riscuote un creche ha ottenuto tre importanti riconoscimenti per la scente successo, declina una necessità che sua attività manageriale, letteraria è sempre più sentita e partecipata da mole culturale. Lo scorso 20 settembre ti: quella di riappropriarsi di un più diretto le è stato assegnato infatti il Premio rapporto uomo-natura; un rapporto che Arsita organizzato dall’Associazione non soltanto ha effetti capitali sull’econoCulturale “Città di Bacucco” per la mia di un paese, ma riguarda la salute e Sezione di Concorso “Nicola Ladislao soprattutto coinvolge la sfera emozionaPartenza”, per la sua intensa e qualile, sentimentale, sociale di tutti . Il mezzo ficata attività di promotrice culturale cinematografico possiede certamente il in Abruzzo e in Italia e per le sue opepotere di scandagliare a fondo le emoziore di delicata poesia. E proprio con la ni che tale rapporto produce in ciascuno sua ultima silloge “Vertigine d’acqua” di noi, e di comunicarle, senza per questo la poetessa ha conquistato anche il dover perdere in espressività, trasformanpremio “Lago Gerundo” 2012 (già vinto nel 2004) e dosi invece in un veicolo di educazione assegnato lo scorso 29 settembre. Ma il riconosciecologica dalle potenzialità rilevanti. De- • Nella foto, il presidente del Parco Nazionale d’Abruzzo mento più prestigioso è stato il premio “Universum gli 8 documentari selezionati quest’anno Giuseppe Rossi premia Walter Torri per il documentario donna - Manager & Impresa” assegnatole dall’Univerper prendere parte alla competizione Idroeden di Daniele Cini sità della pace di Lugano che le ha anche conferito principale del festival, è emerso su tutti Le l’attestato e la nomina ad Ambasciatrice della Pace. Divinità della montagna, di Paolo Volponi, ambientato nel cuore del Parco Nazionale Scambiamoci un seme Gran Paradiso, che fotografa in maniera Dopo Demetra, Cerere e Persefone, è arrivata Feronia. Non si tratta di perturbazioni o ondate di calcruda e toccante le minacce incombenti do, ma di quattro progetti con cui il Parco nazionale del Gran Sasso - Laga è riuscito a costituire, nesul parco: bracconaggio, abusivismo ediligli anni, una rete di “agricoltori custodi” del suo territorio, attraverso la quale sostiene l’importante zio, invadenza dell’uomo. Il secondo posto ruolo svolto dai tanti agricoltori ancora presenti nell’area protetta, come pure dai piccoli orticoltori è toccato invece a Parlare con le orecchie di ed hobbisti, nel mantenimento delle pratiche agricole tradizionali e nell’uso di semi appartenenti Alberto Sciamplicotti. Per quanto riguarda a varietà a diffusione strettamente locale, magari ricevuti in eredità e custoditi gelosamente nelle le altre sezioni del concorso, riconoscicantine per l’anno successivo. L’ultimo dei progetti (Feronia, appunto) si avvia alla fase conclusiva menti sono andati anche ai lavori di Dacon la manifestazione “Seminlibertà”, durante la quale gli agricoltori custodi abruzzesi si sono riuniti niele Cini, Paolo Giardelli e Daniela Bruzzo, ad Amatrice per festeggiare l’ingresso nella Rete dei colleghi ascolani e Claudio Potestio, Giovanni Fiorani e Marco reatini e per lo scambio delle specie custodite e coltivate: un gesto di Sonnati, nonché –fa piacere dirlo– ai giogrande significato che rappresenta non soltanto un semplice baratto vani studenti del liceo statale “Don Quirico ma l’impegno concreto a farsi carico della salvaguardia dell’agrobiodiPunzi” , Presso Cisternino (Br). versità a vantaggio delle future generazioni.

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BREVario SULLE ORME DI SCOTT C’era anche l’abruzzese Vincenzo Di Giovanni, medico dell’Ospedale Civile di Pescara, tra i componenti della XXVII spedizione scientifica nazionale in Antartide. Il dottor Di Giovanni è stato Medical Leader della missione, che si è occupata di diversi progetti relativi alle scienze della vita (biodiversità, evoluzione ed adattamento degli organismi antartici), della terra (glaciologia, contaminazioni ambientali, esplorazioni), dell’atmosfera e dello spazio (cambiamenti climatici, monitoraggio della atmosfera e della ionosfera, misure astronomiche). Nel corso della sua permanenza nel continente antartico Di Giovanni ha potuto sperimentare sulla sua pelle le condizioni estreme in cui vivono i dodici scienziati che –persino durante l’inverno– abitano la stazione scientifica Italo-francese Concordia situata sull’altopiano di DOME-C ad un’altitudine di 3.233 m. slm. tra il polo sud geografico e magnetico. «L’Antartide –racconta– è un ambiente estremo pericoloso e inospitale, perché mette a dura prova la resistenza psico-fisica dell’uomo a causa della bassa saturazione dell’ossigeno atmosferico e delle temperature che, durante l’inverno, raggiungono i 90° sotto zero. “Concordia”, con la vivace colorazione delle due imponenti torri che si stagliano maestose nel candore monotono dell’altopiano, suscita entusiasmo e sicurezza consolidati, ancor più, dalla calorosa accoglienza che si riceve all’interno della base. Qui gli uomini si rapportano in termini di “noi” non tanto per la stereotipata condivisione dell’impeto di una avventura incomparabile ma, direi senza perplessità, per salvaguardare la propria e l’altrui sopravvivenza. Le relazioni sono animate da uno spirito di solidarietà davvero difficile da vivere nei comuni contesti della quotidianità urbana». Nei giorni di permanenza al Polo Sud Di Giovanni ha avuto modo anche di recarsi a visitare l’antica capanna dello sfortunato Robert Falcon Scott, protagonista sconfitto della famosa corsa al Polo Sud vinta dal rivale norvegese Roald Amundsen nel 1912.

• Alcune foto scattate da Di Giovanni durante la sua permanenza in Antartide: la base Concordia, la capanna di Scott, la bizzarra segnaletica.

Teramo-Ascoli, c’È intesa Il primo trimestre del 2013 sarà un periodo cruciale per Banca dell’Adriatico, l’istituto di credito teramano già in seno al gruppo Intesa Sanpaolo, che ha annunciato per i primi mesi del prossimo anno il perfezionamento dell’operazione che porterà alla fusione della banca presieduta dal Cavaliere del Lavoro Giandomenico Di Sante con la Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno. Con lo spostamento, fatto ormai accertato, della sede legale e della direzione generale proprio nel capoluogo marchigiano. «Ma per me non cambierà nulla –spiega Di Sante– come non cambierà nulla per i cittadini e per il territorio, che non subirà alcuna mortificazione. Si tratta di una semplice operazione tesa a promuovere l’innovazione necessaria a stare al passo con i tempi». La nuova realtà creditizia, infatti, si chiamerà proprio Banca dell’Adriatico e potrà contare su 144 sportelli nelle Marche, 99 filiali in Abruzzo e 24 sportelli in Molise, più due sedi operative a Pesaro e Pescara, per un totale di 268 sportelli, 1800 dipendenti, 375mila clienti, 6,7 miliardi di crediti alla clientela e 9 miliardi di attività finanziarie gestite. Adriano Maestri, direttore regionale di Intesa Sanpaolo: «La nuova banca punterà a rafforzare il ruolo dei due istituti come banche del territorio, consolidando e rendendo più capillare il radicamento nelle tre regioni Marche, Abruzzo e Molise».

FERROVIA E FILATELIA, OVVERO SANGRITANA

La Sangritana ha concluso il suo anno centenario ospitando, nei locali della stazione storica di Lanciano, la “Filanxanum 2012”, il tradizionale appuntamento filatelico annuale organizzato dall’Unione Culturale Filatelica “Anxanum”, una significativa esposizione dedicata al Centenario della Ferrovia Adriatico Sangritana, già celebrato lo scorso 1° agosto con un annullo speciale attivato esattamente il giorno del primo collegamento di uno sbuffante Loco Tender “Mallet” (Berlino, 2012) sulla tratta da Marina di San Vito Chetino a Lanciano. La manifestazione, svoltasi dal 3 al 9 dicembre, si è articolata in diverse sezioni, naturalmente a tema ferroviario, e ha attivato anche alcuni nuovi annulli speciali, due dei quali presentavano altrettante gloriose locomotive (una a vapore, una elettrica), che hanno svolto il loro servizio nei primi anni di vita della Sangritana.

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Viaggiamo VVda un secolo! Autolinee E. Di Febo Capuani

Orario Roseto - Pescara - Chieti scalo - Roma no stop  FR feriale - FS festivo - GI giornaliero - FS+VEN festivo e venerdì - FS EST festivo estivo (dal 15/6 al 15/9) 

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BREVario CONFINDUSTRIA PREMIA L’ABRUZZO GREEN Sostenibilità e innovazione sono i temi al centro del concorso Confindustria Abruzzo Green, indetto da Confindustria Abruzzo e teso a premiare le aziende abruzzesi più virtuose sul fronte della green economy. Che non si limita semplicemente all’impiego di materie meno inquinanti, ma riguarda anche e soprattutto l’applicazione, nei processi produttivi, di un sistema integrato di recupero, riutilizzo e riduzione di materiali, di energia e acqua. «Il Premio Confindustria Abruzzo Green –spiega Fabio Spinosa Pingue, Presidente di Confindustria L’Aquila e responsabile di Confindustria Green– è più di un concorso: è un momento di riflessione strategica, un luogo di confronto imprenditoriale, politico e intellettuale per condividere soluzioni e stringere alleanze. È l’inizio di un percorso in cui ciò che è green diventa conveniente per le imprese. È il simbolo della riaffermazione della centralità delle persone e del territorio in cui vivono». Al premio –promosso da Confindustria Abruzzo e supportato da altre realtà istituzionali, associative e private come Legambiente Abruzzo, ARTA Abruzzo, Car.Da Energia, MA&D Power Engineering, Carsa– hanno partecipato grandi imprese, Pmi, società consortili e start-up operanti in diversi settori. Nella categoria “prodotto” sono

state premiate la Di Muzio Laterizi di Alanno (PE) e la Pregimyx di Sulmona (AQ); nella categoria “processo” la Fimatex (TE) e la Eco-Repair di Pescara; nella categoria “servizio” la Wash Agency dell’Aquila. Inoltre una menzione speciale per il Ciclo integrato è andata alla Ico di Pianella (PE) e una menzione come Startup Green alla Casa Attiva di Teramo. «La sfida per il futuro –conclude Spinosa Pingue– è di inaugurare una Green Community in Abruzzo. La forza e la concretezza di tale sfida dipenderanno dal reale coinvolgimento e dal convinto contributo di imprese, mondo della ricerca e istituzioni». La cerimonia di premiazione delle imprese più virtuose, ulteriore momento di confronto e di riflessione strategica in materia di innovazione e sostenibilità, si è svolta lo scorso 29 novembre al Parco dei Principi di Pescara alla presenza di Ermete Realacci, Presidente della Fondazione Symbola che, insieme a Unioncamere, ha realizzato il Rapporto Green Italy 2012, che individua nella green economy una delle chiavi fondamentali per uscire dalla crisi. • Nella foto Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, durante il suo intervento. Alla sua sinistra Fabio Spinosa Pingue, Alfredo Castiglione, Angelo Di Matteo e Mario Amicone

QUANDO L’IMPRESA È ROSA Nove donne, nove imprenditrici che hanno visto riconosciuto il valore del loro lavoro da una giuria qualificata, composta da Guido Campana, assessore alle politiche del lavoro del Comune di Teramo, dai giornalisti Walter De Berardinis e Alessandra Angelucci, da Manuel De Nicola, Massimiliano Santonocito, Gabriella Russo, Margherita Di Marco, Valeria Mariani e Silvana Verdecchia. Il 1° Premio “Impresa Rosa d’Abruzzo”, la cui consegna si è svolta lo scorso 16 novembre nella Sala Kursaal di Giulianova, è stato ideato da Luisa Ferretti della L&L Comunicazione e patrocinato da Regione Abruzzo, Provincia di Teramo, Comune di Giulianova, Confindustria Teramo, Università degli Studi di Teramo, Comitato per le Pari Opportunità dell’Università degli Studi di Teramo, a favore dell’imprenditoria femminile abruzzese. Le nove imprenditrici premiate sono Giachetti e Branella, Soydan Munire, Stefania Pepe, Maria Iannetti e Angela D’Eusanio, Eugenia Maria Mancini, Valentina Muzii, Sara Di Silvestre, Valeria Di Felice, Nadia Moscardi. Alla premiazione sono intervenuti come relatori: Paolo Gatti, Assessore del lavoro della Regione Abruzzo; Francesco Mastromauro, sindaco di Giulianova, Antonella Ballone, Giuseppina Bizzarri, Oriana Broccolini, Ady Melles, Fabio Capolla, Monia Pecorale, Alessia De Paulis, Gabriella Russo e Pietro Rosica. (• Nelle foto, da sinistra: la giuria; Stefania Pepe ritira il premio; il tavolo dei relatori con l’assessore Paolo Gatti)

Castelli premia la tradizione Artista, insegnante e direttore dell’Istituto d’arte “Grue” di Castelli, Vincenzo Di Giosaffatte è stato uno degli esponenti più rappresentativi della nuova generazione di ceramisti del borgo teramano. Al grande ceramista scomparso nel 2006, custode dell’antica tradizione della ceramica castellana e allo stesso

tempo innovatore nel suo settore artistico, è dedicato il concorso nazionale di design ceramico indetto dalla Di Giosaffatte Art School, riservato agli studenti dei Licei Artistici (ex Istituti d’Arte per la ceramica) e agli studenti delle Scuole Superiori di Design. Il concorso è finalizzato alla ricerca di schemi nuo-

vi e originali che diano vita a produzioni artistiche attuabili, al fine di valorizzare e incentivare la formazione personale degli allievi dei nuovi licei artistici dove è viva una tradizione creativa e realizzativa in campo ceramico. Per informazioni su come partecipare contattare la Di Giosaffatte Art allo 0861970619.



BREVario La fortezza e la città Torna, in alcune iniziative recenti, l’interesse per la città storica e questo deve essere salutato con favore. Infatti si annuncia il completamento della nuova classificazione degli edifici di interesse storico, da parte dell’amministrazione comunale: questo strumento conoscitivo e di guida all’intervento è importante ed è bene che venga illustrato alla città e valutato con essa, anche al fine di possibili segnalazioni ed integrazioni, utili sia per la dispersione di questi edifici che per la compresenza di vari strati di storia urbana. Inoltre è recente la presentazione di ”Real Piazza”, un’azione organica promossa da Licio Di Biase, con altri studiosi ed esperti, per la riscoperta e la valorizzazione delle testimonianze ancora rinvenibili dell’antica fortezza di Pescara e, più in generale, per riproporne la presenza, intervenendo sull’arredo urbano e sulla segnaletica, insieme alla raccolta di documenti e con simulazioni in 3D; essa riguarda, infatti, l’area a maggior concentrazione di vestigia omogenee. Questa iniziativa raccoglie e rilancia sul piano operativo una serie di contributi, per primi quelli dello stesso Di Biase, che nel tempo hanno ricordato il ruolo di “Pescara, antica città”, una delle piazzeforti, con Civitella del Tronto e Gaeta, che Alexandre Dumas menziona come strategiche per la difesa del Regno borbonico. Credo che questo lavoro sia prezioso e meriti ogni offerta di collaborazione; esso potrà trovare, credo, un momento di bilancio e di presentazione alla città, in una grande mostra pubblica da svolgersi, magari, nei locali del futuro “Urban Center”, dove sorgeva la stazione di Pescara Portanuova, come riappropriazione di uno spazio, ahimè, perduto e per conferire effettiva funzione ad un organismo che l’Ordine degli Architetti e l’Istituto Nazionale di Urbanistica hanno tenacemente voluto. Io propongo qui di fare di questa tematica anche un obiettivo urbanistico, coerente con l’azione di “Real Piazza”, ma giocato sull’attribuzione di ruolo ad una parte di città che è decisiva per la sua identità, ma della quale non si ha esperienza, sepolta come è dal suo tumultuoso sviluppo. Propongo di restituire all’uso cittadino l’area della vecchia “caserma Rampigna”, l’area Nord della vecchia fortezza, oggi interclusa dalla mura che circondano l’attuale Questura. Le aree dismesse di origine militare sono state spesso riutilizzate come per inerzia (come già per l’ex panificio militare), senza la dovuta considerazione per il contesto urbano. Anche qui, dopo la “caduta del forte”, l’area è rimasta separata dalla città, ospitando sempre funzioni legate alla sicurezza, indispensabili ma prive di un rapporto osmotico con il tessuto urbano; infatti qui la città finisce, con negativi effetti anche sul quartiere adiacente, si imbatte in un muro che la separa dagli spazi interni e dal fiume. Riaprire alla città questa vasta area, facendone una grande piazza pubblica, sulla quale gli edifici, opportunamente recuperati, possano svolgere un ruolo urbano significa riportare nella vita sociale il luogo del precedente insediamento, l’antica chiesa e i reperti che potrebbero essere ritrovati. Ritroveremmo un grande spazio pubblico al centro della città, affacciato sul fiume, che dia nuovo senso all’intera parte urbana, come elemento fondativo e, insieme, di unione tra le due rive. Gli edifici potrebbero ospitare la Biblioteca Provinciale, come mi capitò di proporre da Presidente dell’INU ai tempi del trasferimento della Questura, o comunque una funzione urbana pregiata; i giardini potrebbero offrirsi come piccolo Orto Botanico cittadino, sul modello di altre città europee. L’obiettivo è ambizioso perché comporta, oltre che la provvista finanziaria, l’intesa tra i vari enti e la ricerca di una opportuna localizzazione per la Questura che, del resto, oggi dispone di spazi riadattati e disorganici; ma non

impossibile: a titolo di esempio, di questi tempi l’amministrazione cittadina sta redigendo il cosiddetto PP7 sulle aree che vanno dalla Tiburtina a San Donato e lì sta reperendo estese aree pubbliche che potrebbero essere idonee allo scopo; inoltre l’insufficienza degli attuali locali per la Biblioteca richiede comunque una soluzione. Altri luoghi nelle nostre città non conservano le pietre della Storia, ma rivestono un ruolo importante nella definizione del loro carattere: si pensi al prato storico del Circo Massimo a Roma o, più vicino a noi, alla riuscita operazione della Civitella a Chieti. Carlo Aymonino ha scritto su questi temi pagine importanti. Anche la nostra città può riscoprire un luogo centrale nella sua storia. Inoltre, potrebbe realizzarsi un’opera, più estesa ma anche di minor impegno, che restituisca alla città la misura delle dimensioni e dell’estensione della fortezza: il suo perimetro, documentato in tante carte antiche, potrebbe essere riprodotto a terra, posando con una fascia marmorea continua la sua traccia sull’attuale superficie moderna; in seguito l’intera area così ricompresa potrebbe avere una pavimentazione distinta ed evocatrice dell’antica presenza. Così che, passeggiando o spostandosi per le proprie incombenze, si possa incontrare il tramite tra il dentro e il fuori dell’antico recinto, e si avverta la presenza delle mura possenti che per tanti anni hanno racchiuso cittadini, guarnigioni e prigionieri tra cui alcuni, illustri, hanno meritato la titolazione delle nostre strade. Massimo Palladini, architetto

IL centro storico virtuale Da Corso Manthoné a Corsomanthone.it il passo, nell’era del web 2.0, è stato breve. Il centro storico di Pescara, ossia il luogo di ritrovo del weekend per tutti i cittadini del capoluogo e non solo, diventa anche un luogo virtuale grazie al quale conoscere e far conoscere tutte le iniziative che lo animano “di giorno, di notte, nelle quattro stagioni”. Realizzato da Inmedia, società di organizzazione eventi e comunicazione, il sito www.corsomanthone.it si presenta con una veste grafica raffinata e accattivante che rende facile e piacevole la navigazione attraverso i suoi contenuti: info, news e recensioni su ristoranti, locali, musei, negozi e altri punti d’interesse, nonché programmazioni costanti di serate danzanti ed eventi culturali, per essere sempre aggiornati sulla vita di Pescara Vecchia e dintorni. Corsomanthone.it nasce, secondo le intenzioni dei suoi realizzatori, “per raccontare ed informare tutta quella movida che ha fatto e fa della vecchia Pescara un punto fermo per lo svago e il divertimento; ma non mancano news su concerti, spettacoli, mostre, serate danzanti, incontri, rassegne ed eventi diversi presenti al di fuori di Pescara Vecchia, in città e in provincia”.

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Lo sport è uguale per tutti Sono atleti, sono campioni. In gara danno il massimo, perché sono abituati a farlo anche nella vita. Dal calcio al basket, dal ciclismo al nuoto, ecco i protagonisti dello sport abruzzese che non ti aspetti di Pierluigi D’Angelo e Fabrizio Gentile

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ette secondi e ventitrè decimi. È la differenza tra il tempo realizzato dal francese Florent Manaudou (21.34) e il cinese Xu Qing (28.57) alle ultime Olimpiadi di Londra nei 50m stile libero. Un bel distacco, certo. Ma la vera differenza tra i due è che a Xu Qing mancano le braccia, il che pone il suo tempo in una luce decisamente diversa. L’atleta cinese alle Paralimpiadi ha vinto la medaglia d’oro in quattro specialità (50m e 100m stile libero, 50m farfalla e 200 misti) realizzando ben tre record del mondo e un record paralimpico. I Giochi Olimpici di Londra 2012 hanno avuto una risonanza straordinaria, ma l’appellativo di “edizione da record” è da assegnare alle Paralimpiadi, iniziate subito dopo la chiusura dei giochi “tradizionali” e –come da prassi ormai fin da Seoul ‘88– svolte nella stessa città: 2milioni e 700mila biglietti venduti (quasi un milione in più di Pechino), oltre 55 milioni di euro di entrate, 166 nazioni partecipanti, 4200 atleti in gara. Record di pubblico, record di record con 110 nuovi primati del mondo e molti nuovi record paralimpici. E record di spettacolo, perché –senz’altro anche grazie a vere e proprie “star mediatiche” dello sport paralimpico come il sudafricano Oscar Pistorius e il nostro Alex Zanardi– le Paralimpiadi di Londra hanno tenuto incollati allo schermo televisivo milioni di persone, che mai come stavolta si sono appassionate guardando prestazioni sportive che nulla hanno da invidiare a quelle degli atleti che solo quattro settimane prima avevano monopolizzato l’attenzione dei telespettatori di tutto il mondo. «È un dato di fatto –afferma Luca Pizzi, che da Londra è tornato nella sua Lanciano con un oro e un argento, conquistati in sella al tandem col fratello Ivano, ipovedente dalla nascita– che lo sport paralimpico goda di una considerazione diversa rispetto anche soltanto a dieci anni fa. È cambiata la percezione della disabilità, sia da parte degli appassionati di sport che da parte dei disabili stessi». Il grande merito di questa edizione è stato, continua Pizzi, «quello di aver saputo trasmettere il valore dell’esperienza sportiva. Abbiamo visto, grazie anche ad un dispiegamento di mezzi senza precedenti, come lo sport paralimpico sia, agonisticamente parlando, identico a quello non

paralimpico; guardare una gara tra atleti disabili è appassionante come e forse anche più di una tra atleti cosiddetti “normodotati”, la passione che li anima è identica. In più, c’è il vissuto di chi soffre di una forma di disabilità e trova nello sport un’occasione per rivalersi sulla vita stessa». La pratica delle attività fisiche, infatti, «rappresenta per i disabili un mezzo privilegiato di sviluppo individuale, di rieducazione e di integrazione sociale. È lo strumento attraverso il quale il disabile esce dal suo guscio e conquista la propria autonomia» spiega Ruggero Visini, insegnante di educazione fisica in una scuola pescarese, da anni impegnato nella promozione e nell’avviamento alla pratica sportiva dei ragazzi con disabilità fisiche e intellettivorelazionali. «Nello sviluppo del bambino l’attività motoria viene prima di quella linguistica –spiega Visini– e rappresenta il primo passo verso l’autonomia individuale, è il requisito principe per l’inizio di una vita relazionale». Visini, che ha ottenuto il riconoscimento dell’ASD De Riseis, l’Associazione da lui presieduta come Centro Federale, ha recentemente organizzato a Pescara il Torneo delle regioni, competizione nazionale di Calcio a 5, e si prepara a organizzare, per la prossima estate, gli Europei di Calcio a 5 per disabili, che vedranno il capoluogo adriatico nuovamente sotto i riflettori per un evento sportivo, dopo i Giochi del Mediterraneo. «E inoltre stiamo aprendo due Centri di avviamento allo sport per diversamente abili: uno a Pescara nella scuola di Borgo Marino, e un altro a Manoppello, perché da qualche anno è enormemente cresciuta la richiesta di attività sportive da parte delle famiglie dei disabili e da parte degli stessi ragazzi». E infatti nelle prossime pagine troverete le storie degli atleti che costituiscono il presente (e in alcuni casi il futuro) dello sport paralimpico abruzzese: dal ciclismo al nuoto, dal calcio al basket, dal judo al karate ad altre discipline sportive, l’Abruzzo ha i suoi campioni. Persone che hanno trovato nello sport il mezzo per dimostrare, a se stessi e al mondo, di essere in grado di superare i propri limiti. Perchè, come diceva Albert Camus,“la grandezza dell’uomo è nella sua decisione di essere più forte della sua condizione».


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Ciclismo/Luca e Ivano Pizzi

Fratelli d’oro Campioni del mondo per due anni di seguito, poi campioni olimpici: i fratelli Pizzi da Lanciano a Londra 2012 in sella a un tandem.

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uella di Londra è stata un’Olimpiade da record. E per la prima volta anche le Paralimpiadi, che si tengono subito dopo, hanno avuto un seguito mai registrato prima: 166 nazioni hanno portato milioni di persone a seguire dal vivo e in televisione le gesta di 4300 atleti con differenti disabilità ma lo stesso amore per lo sport che nutrono tutti i grandi campioni. Tra questi anche i fratelli Luca e Ivano Pizzi da Lanciano, che sul loro fidato tandem hanno regalato all’Italia la nona medaglia d’oro paralimpica (nella prova su strada di categoria B) e l’ottava d’argento, vinta nella prova a cronometro. «Abbiamo mancato il primo posto per soli due secondi –è il rammarico di Luca Pizzi– ma va bene così, ci godiamo il risultato». Risultato che segue quelli dei due anni precedenti, che hanno visto i fratelli lancianesi salire per due volte sul podio dei Mondiali, vincendo l’oro nell’anno dell’esordio e replicando l’exploit nel 2011. «Il tandem –spiega Luca Pizzi– è la più antica specialità di ciclismo paralimpico, ed è anche la più prestigiosa, la più lunga, la più veloce, e la più attesa e seguita dal pubblico». Ex dilettante, Luca ha iniziato a gareggiare in tandem in Italia, accompagnando suo suocero ipovedente in competizioni amatoriali. Ma a spingerlo a intraprendere la strada che porta all’oro olimpico è stato il fratello Ivano, che a 34 anni ha individuato nel tandem il mezzo per il suo riscatto. «Ivano è sempre stato quello di noi più appassionato, sportivamente parlando, e per lui è stata dura dover rinunciare ad andare in bicicletta a causa della sua disabilità: una fortissima miopia che lo ha accompagnato fin dalla nascita, e che si è aggravata progressivamente dopo un brutto incidente di gara, a soli 18 anni, con tanto di coma e distacco della retina. I medici gli avevano imposto lo stop. Ma

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non ha voluto smettere, e purtroppo ha subìto altri distacchi di retina, finché non ha perso completamente la vista a un occhio e l’altro ha seguito lo stesso declino, anche se non è ancora completamente cieco. A 22 anni, dopo un lungo calvario fatto di stop forzati, interventi chirurgici e lente riprese, ha deciso suo malgrado di fermarsi e di andare a vivere in Thailandia, insieme alla sua famiglia». Ed è lì che, dieci anni dopo, il destino di Ivano bussa alla porta, sotto forma di un suo amico di Lanciano. È un corridore professionista che come tanti altri ciclisti sceglie luoghi caldi dove allenarsi durante i mesi invernali, e Ivano si offre di accompagnarlo durante gli allenamenti, lungo le strade thailandesi. «Risalendo in sella si è reso conto che tutto sommato riusciva a fare ancora parecchi chilometri e a raggiungere anche alte velocità, e il fuoco (mai completamente spento) si è riacceso. A quel punto gli ho proposto il tandem». Detto, fatto: Ivano torna in Italia a maggio 2010 carico di entusiasmo, si reca col fratello dal grande Masciarelli e acquistano un tandem che appena 24 ore dopo è già in pista sulle strade di Piacenza, dove si svolge la Paracycling Cup, prestigiosa competizione europea. Risultato (inaspettato): medaglia d’argento per i fratelli lancianesi, appena dietro la coppia di spagnoli vicecampioni del mondo, e qualche posizione prima del team nazionale italiano. «Abbiamo gareggiato indossando una maglia dai colori simili a quelli della Germania, e anche a causa della nostra statura ci hanno scambiato per tedeschi. L’equivoco si è subito chiarito, ma il soprannome ci è rimasto. E in quell’occasione abbiamo conosciuto il CT della nazionale italiana, col quale siamo ovviamente rimasti in contatto». La vittoria di Piacenza alimenta le speranze dei due atleti che decidono di tentare un’altra


• Nella pagina a fianco, Luca e Ivano Pizzi sul podio e col Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Qui sopra, Luca con le medaglie conquistate alle Paralimpiadi di Londra e con Ivano durante la gara.

sfida: il Mondiale a Baie-Comeau, in Canada, ad agosto. Il tempo è poco, ci sono solo quattro mesi per allenarsi. Ma la tenacia di Luca e Ivano ha la meglio: salgono sul gradino più alto del podio, con l’oro al collo conquistato nella gara su strada. «Noi siamo nati a Toronto da genitori italiani, quindi era un po’ come giocare in casa. Abbiamo vinto davanti a un pubblico caldissimo, è stata una gioia immensa». E questo gli dà ulteriore fiducia: il traguardo successivo è il Mondiale del 2011 a Roskilde, in Danimarca. E ora hanno anche tutto il tempo di allenarsi. Macinano chilometri per un anno intero, e bissano il successo dell’anno precedente, conquistando nuovamente l’oro, stavolta nella cronometro. E poiché i Mondiali si tengono ogni anno tranne nell’anno Olimpico, l’obiettivo per il 2012 dei due fratelli Pizzi è Londra. «Per prepararmi alle Olimpiadi mi sono preso sei mesi di aspettativa dal lavoro –racconta Luca– perché sarebbe stato impensabile prepararsi a un evento simile correndo solo tre o quattro ore al giorno, magari sei la domenica, e lavorare contemporaneamente. Quando correvo come dilettante facevo circa 12mila chilometri l’anno, ora sono passato a 25mila. Ivano invece ha una pensione che gli consente di non dover lavorare, quindi ha potuto allenarsi con tranquillità e con costanza». Già, perché grazie a quel po’ di vista che gli rimane, Ivano può allenarsi da solo. «È la metodologia migliore –spiega Luca– per ottenere risultati. Nel tandem il trucco è di allenarsi singolarmente e poi mettersi insieme: si lavora meglio, si fa più fatica. Tutti i team più forti adottano questo metodo». L’esperienza di Londra, racconta ancora Luca, è stata «qualcosa di veramente entusiasmante, è stata una grande fortuna per noi vivere in quel contesto. Ogni gara era seguita da folle incredibili, 15-20mila per-

sone, numeri impressionanti. È stata una grande soddisfazione, anche perché per arrivarci il cammino è stato estenuante, c’è una selezione durissima: abbiamo ogni volta dovuto dimostrare di essere i migliori, perché è uno solo l’equipaggio ammesso alla competizione. Quindi abbiamo partecipato a tutte le maggiori gare internazionali, dagli Stati Uniti all’Australia, per poterci qualificare. E quando finalmente nel 2011 è uscita la graduatoria eravamo primi». Il resto è storia recente: si sono da poco spenti i riflettori sulle Paralimpiadi ma la luce delle medaglie sul petto dei fratelli Pizzi brilla ancora nei nostri occhi. «Dalle Paralimpiadi di Londra l’Italia è uscita con 28 medaglie, esattamente come dalle Olimpiadi, ma con un oro in più –racconta Luca–. E pensare che gli atleti paralimpici erano solo 98, contro i 300 non paralimpici. Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico italiano, mi ha detto che in realtà c’è un’altra medaglia, costituita dalle migliaia di e-mail giunte da tutta Italia al Comitato, da parte di persone con disabilità che chiedono come possono avviarsi a una carriera sportiva. È il risultato più bello di questa edizione, perché finalmente in tanti cominciano a capire che c’è la possibilità di vivere la propria disabilità in un modo diverso: non come un ostacolo ma come un’opportunità, grazie allo sport». Cosa c’è nel futuro dei fratelli Pizzi? «Per adesso, qualche mese di riposo (ride, ndr). Poi penseremo ai prossimi Mondiali, e vedremo che succederà. Quella di Londra era per noi un’occasione forse unica: io ho 38 anni, mio fratello 34 e una situazione clinica delicata. Non so se ci riusciremo, ma se dovessimo arrivare alla prossima paralimpiade ho già deciso che mi fermerò subito dopo».

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Torball Sandro Di Girolamo

«Il primo nemico del non vedente è la pigrizia. Io per fortuna ho un carattere forte, molto attivo, non ho mai avuto problemi di autonomia. Non mi sono mai fermato davanti a nulla, e lo sport mi è servito tantissimo perché ho imparato ad ascoltare, a stare insieme agli altri». È l’esperienza di un campione, quella di Sandro Di Girolamo. Ipovedente dalla nascita, ha semplicemente accettato la sua condizione, cercando di avere una vita il più possibile normale, «e dove non riuscivo a farcela non mi sono mai fatto pesare i miei limiti». Diventando il numero uno nel Torball, una disciplina –nata successivamente al più celebre e diffuso Goalball– che ha preso piede soprattutto in Italia negli anni Sessanta. «Ho cominciato sedici anni fa, e sono orgoglioso di aver vestito sempre la stessa maglia, quella del Teramo. Rispetto al Goalball è uno sport più tecnico e più spettacolare. Si gioca su un campo più piccolo, la palla è più leggera e ci sono regole leggermente diverse» spiega Di Girolamo, che in forze al Teramo Non Vedenti ha vinto 5 titoli nazionali, 4 Coppe Italia e 4 Supercoppe italiane, oltre ad aver partecipato, con la maglia della Nazionale, a tre mondiali (in Germania, in Argentina e in Austria) ottenendo sempre il quarto posto. «Ma è un risultato bugiardo, abbiamo una squadra fortissima e purtroppo, esattamente come capita in tutti gli sport, a volte l’arbitraggio può penalizzare una squadra meritevole. Ci rifaremo senz’altro».

Showdown Giuseppe Pizzocchia

Lo Showdown è uno sport per disabili visivi (ipovedenti e ciechi) nato in Canada negli anni Sessanta e successivamente esportato in Europa. In Italia si pratica dal 1998, ma solo nel 2008 i campionati nazionali e regionali italiani sono diventati agonistici e quindi riconosciuti a tutti gli effetti. «Si tratta di una disciplina si-

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mile al ping pong –spiega Giuseppe Pizzocchia, presidente della Polisportiva L’Aquilone (AQ)– che si gioca con una racchetta di legno oblunga e una pallina sonora su un tavolo con sponde e i 4 angoli arrotondati. Il giocatore indossa un guanto di protezione e una mascherina spessa e coprente; scopo del gioco è fare gol nella porta avversaria, delimitata da un semicerchio tattile, facendo passare la pallina sotto il divisorio trasparente posto al centro del tavolo». Pizzocchia è nato con una retinite pigmentosa che lo ha reso ipovedente, «fino a circa venti anni fa quando sono rimasto completamente al buio», racconta. «Lo sport mi ha cambiato profondamente la vita e il carattere. Ho iniziato con il tandem, poi con il progredire della disabilità ho deciso di dedicarmi ad altre discipline». Nello Showdown, a livello abruzzese, è il massimo rappresentante: ha vinto gli ultimi campionati regionali e si è piazzato quinto nelle ultime due edizioni degli assoluti italiani. «È uno sport importante per lo sviluppo dell’autonomia di un non vedente, che poi è un valore per tutti i disabili. Proprio a questo scopo la nostra associazione si sta impegnando perché lo sport per non vedenti venga introdotto nelle scuole, dove spesso avviene ciò che si verifica anche nelle famiglie, cioé l’iperprotezione del disabile. Invece bisogna stimolare il disabile a uscire dal suo guscio e affrontare la vita, e lo sport di qualsiasi genere è uno strumento straordinario per l’integrazione».

Hockey Marco Magri

È l’attaccante della squadra nonché segretario dell’ ASD Sconvolts, il team di Weelchair Hockey che sta compiendo notevoli progressi dalla sua nascita, datata 2006, e dall’esordio nel campionato nazionale. Marco Magri ha 43 anni e come gli atleti che compongono la squadra degli Sconvolts è anche lui affetto da distrofia muscolare. L’ultima stagione disputata dalla squadra pescarese in A2 li ha visti piazzarsi al secondo posto, posizione raggiunta anche nel Torneo Insuperabili organizzato dalla squadra dei Dolphins di Ancona. «La UILDM, l’Unione italiana per la lotta alla distrofia muscolare, è la nostra associazione di riferimento. Cerchiamo altri ragazzi da inserire in squadra. L’allenatore, Enrico Imperato, è anch’esso disabile. Nel team ci sono anche mia moglie Angela Ricciotti, Andrea Faieta (presidente e attaccante), Federico Della Torre (capitano e portiere), Danilo De Vincentiis, l’ammirevole Massimo Vicentini che viene ogni settimana agli allenamenti dall’Aquila, e Emanuele Remigio». Da sempre la Uildm punta a diffondere nei cittadini l’idea che le persone affette da distrofie o da altre malattie neuromuscolari vogliono condurre la miglior vita quotidiana possibile, al di là dei momenti di emergenza medica legati alla loro patologia. «Cerchiamo di rendere i nostri ragazzi


liberi di studiare, di lavorare, di divertirsi, di sognare, di scegliere, di amare, di vivere in modo pieno e indipendente, rivendicando il desiderio di essere protagonisti della propria vita, ciò che a troppe persone è negato, e cercare di trasformarlo in un fatto normale».

Judo Maria Elena Taito

Attiva da poco più di tre anni, la squadra di Judo dell’associazione Orizzonte è nata su iniziativa di Chiara Meucci, 20 anni, (al centro nella foto) membro della nazionale italiana juniores, e opera nei locali del Centro sociale di Francavilla al Mare. «Ho iniziato con delle semplici lezioni di ginnastica, e visti i buoni risultati ho deciso di provare a instradare i ragazzi al Judo, una disciplina che costringe al contatto fisico, il che è positivo specialmente per chi soffre di autismo». Ovvero per la maggior parte dei ragazzi seguiti dall’associazione, tutti di età compresa tra i 18 e i 40 anni, che dividono le loro attività tra Judo, calcio e prossimamente anche atletica leggera. «Abbiamo 17 ragazzi autistici, due con Sindrome di Down e un paraplegico, che ha compiuto progressi enormi da quando fa Judo: ora riesce addirittura a fare undici passi completamente da solo. Ma è con gli autistici che notiamo i risultati più significativi. Lo sport apre un canale comunicativo privilegiato con il ragazzo autistico, lo stimola e lo porta ad avvicinarsi agli altri, anche grazie allo spirito di competizione». Il team di Judo di Chiara Meucci ha anche la sua punta di diamante, una giovane promessa che ha già vinto diverse competizioni sia individuali che di squadra: «Si chiama Maria Elena Taito (a destra nella foto), ha 24 anni, e ha vinto il torneo internazionale di Ravenna e quello nazionale di Torino»

Danza sportiva Fabrizio Di Fabio e Federica Sairu Sonia Tarullo, direttrice della scuola di ballo Lady Sonia, è un’ex danzatrice professionista che ha avviato, sul finire degli anni Ottanta, una fiorente attività di insegnamento nella sua scuola di Cepagatti. «Prepariamo campioni della danza sportiva. Alcuni dei nostri allievi hanno conquistato titoli internazionali, siamo molto orgogliosi dei loro successi» spiega. Ma

la sua più grande soddisfazione è tutta nell’attività che ha intrapreso da pochi anni, quella di insegnare danza sportiva a ragazzi down. «È successo per caso. Ho visto Fabrizio, un giorno, ballare durante una festa, e ho chiesto a suo padre di poterlo incontrare: so riconoscere un giovane di talento quando ne vedo uno, e Fabrizio è decisamente speciale» racconta Sonia. Fabrizio, 27 anni, danza in coppia con la fidanzata Federica Sairu, di 26, ed è solo uno dei circa 12 ragazzi down che praticano danza sportiva a livello agonistico sotto la sapiente guida di Sonia. «Dopo un solo anno di scuola li ho portati ai Campionati nazionali nel 2011, e hanno vinto nelle categorie Ballo da sala e Showdance (una sequenza di balli: bachata, cha-cha-cha e merengue, ndr)».

Karate Vincenzo Gentile

«Ho conosciuto la maggior parte di questi ragazzi –racconta Andrea Liberatore, presidente dell’associazione Quadrifoglio, attiva dal 2004 e che conta 14 ragazzi con disabilità intellettivo-relazionali e due normodotati– durante i corsi di avviamento professionale che tenevo all’Enfap. Terminata quell’esperienza ho pensato di proseguire il rapporto con loro inserendoli nei miei corsi di karate. E mi hanno seguito tutti con grandissimo entusiasmo». Non solo: hanno preso la cosa talmente sul serio che ora quello che per alcuni era una semplice occasione di svago è diventata una attività sportiva agonistica di alto livello. «Nel campionato a squadre –prosegue Andrea– abbiamo vinto il titolo nel 2010 e siamo arrivati secondi nel 2011. Abbiamo anche guadagnato due terzi posti individuali ai campionati europei in Spagna. Il campione nazionale individuale è Vincenzo Gentile, ha 27 anni e ha vinto il titolo nel 2011/12».

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Nuoto/Alessandro Bruzio e Maria De Nicola

We are the champions Due atleti straordinari: il presente e il futuro del nuoto paralimpico abruzzese

• Alessandro Bruzio e Maria De Nicola

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ASD Orione nasce nel 1981 dal centro Don Orione di Pescara, con la finalità ddell’integrazione sociale dei disabili fisici e intellettivo-relazionali attraverso lo sport, in particolare nuoto e pallanuoto. Fin dalla sua prima partecipazione ai campionati italiani, datata appunto 1981, l’ASD Orione Pescara ha centrato subito l’obiettivo, conquistando il primo posto nel campionato di società e vincendo i successivi 12 campionati (tranne nell’ ’87/88 quando si è classificata seconda). «Dei titoli individuali ormai abbiamo perso il conto, per quanti sono. Ma su circa settanta società sportive il nostro piazzamento, che dopo il ’94 è sempre stato tra il 5° e l’8° posto, mi sembra un risultato dignitosissimo» spiega Matteo Iacono, presidente dell’ASD Orione. «Attualmente nella nostra struttura (che è poi la piscina provinciale di Pescara) ospitiamo settimanalmente circa 350 persone non disabili e circa un centinaio di disabili fisici e relazionali; di questi, circa cinquanta di entrambe le categorie svolgono attività sportiva preagonistica. Insieme». Particolarità infatti della Orione è sempre stata quella di favorire l’integrazione dei cosiddetti “normodotati” all’interno di “classi” frequentate per la maggior parte da disabili: «Anche se questo per noi comporta una difficoltà maggiore, dal punto di vista gestionale, è però più facile per un gruppo di disabili accettare al proprio interno atleti normodotati che non il contrario. Questo perché il disabile tende alla normalità, e non viceversa. E i risultati, sul piano dell’integrazione, sono oltremodo soddisfacenti, anche perché in vasca le differenze si annullano: gli atleti si allenano in base alle loro potenzialità, non secondo altri parametri. Così può accadere che un disabile ottenga un tempo migliore di un normodotato, semplicemente perché il disabile tende a dare tutto se stesso mentre il normodotato sfrutta magari il 30% delle sue possibilità». Tanto dal punto di vista “terapeutico” che da quello sportivo i risultati del lavoro di Iacono e del suo staff sono eccellenti. Un esempio è lo straordinario palmarés di Alessandro Bruzio, classe 1981, affetto da una disabilità di tipo relazionale fin dalla nascita e –grazie allo straordinario lavoro dello staff della Orione– capace di vincere tutti i titoli italiani dal 1994 al 2012 nel-

le specialità dei 50m e dei 100m stile libero e delfino, ottenendo inoltre ottimi piazzamenti nei 50m farfalla, nei 100m e nei 50m stile libero agli Europei di Liberec (Rep. Ceca) nel 2002 e nei 50m stile libero e nei 50m farfalla ai mondiali di Bollnas (Svezia) nel 2004. Con i suoi 185 cm di altezza per circa 120 kg di peso, Alessandro, soprannominato “il gigante buono” dai suoi compagni, a guardarlo non si direbbe un atleta. Ma in piscina dà il massimo. «Da quando pratica sport a livello agonistico la sua vita ha preso una piega diversa –spiega Iacono– e oggi si può tranquillamente dire che è un individuo autonomo. Per la sua disabilità il nuoto è stato fondamentale: ha acquisito la capacità di concentrarsi, di cercare la soddisfazione nella prestazione e ha imparato a gestire l’emotività, che costituisce il 60 per cento della resa in gara». «Ho 31 anni –dice Alessandro– e mi sono dimenticato quanti titoli ho vinto. Ma non ho intenzione di fermarmi ora, la carriera sportiva di un nuotatore è molto lunga e desidero sfruttare al meglio tutte le future opportunità che si presenteranno». Altra punta di diamante dell’ASD Orione è Maria De Nicola, ha 15 anni ed è affetta da tetraparesi spastica. «Nonostante la grave disabilità motoria Maria ha ottime capacità di deambulazione grazie ai suoi tripodi o al carrellino; per spostamenti più lunghi o per praticità usa anche la carrozzina. E in vasca si sente libera, nuota come un pesce». Matteo Iacono presenta così quella che potremmo definire, dati alla mano, una giovane promessa del nuoto paralimpico: a soli 14 anni Maria ha vinto i campionati giovanili nazionali nei 50m dorso, e quest’anno ha centrato la sua prima medaglia d’argento negli assoluti di Roma sui 50 stile libero. «Il nuoto ha cambiato molte cose nella mia vita. Affermarmi nello sport significa molto non solo per me, ma anche per tutti coloro che soffrono di una qualche disabilità e fanno fatica ad essere considerati capaci di poter ottenere qualche successo nella vita», spiega la giovanissia settimana e nelle due ore di allenamento c’è tempo anche per coltivare amicizie, stringere rapporti, una cosa che chiaramente avviene anche quando si va a fare una gara fuori città».


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Calcio/Fabio Ciarcelluti

Un calcio alle differenze Dall’’ASD De Riseis di Pescara un difensore dai grandi numeri: «Mi piace vincere, ma l’importante è partecipare»

• Nella foto a destra Fabio Ciarcelluti. Qui sopra un momento degli allenamenti nella palestra della scuola di Borgo Marino a Pescara.

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iev, Ucraina, 25 giugno 2012: allo stadio Olimpico è tutto pronto per il quarto di finale degli Europei di calcio tra Inghilterra e Italia. L’attesissima partita viene però preceduta da un’altra gara, quella tra Speranza Ucraina e Piccole Stelle. Due squadre di calcio composte di bambini affetti da disabilità motorie tra i 6 e gli 11 anni, che danno vita ad uno spettacolo emozionante che si conclude con un pareggio per 2-2. «Chi crede che un disabile non possa praticare sport è completamente fuori strada. Non ci sono che pochissime discipline, finora, che restano precluse a chi soffre di una qualche forma di disabilità. E lo sport, per questi ragazzi, è il mezzo per uscire dal guscio, per guadagnare la propria autonomia, per essere degli individui e affermarsi nella vita». Chi parla è Ruggero Visini, presidente dell’ASD De Riseis, un’associazione sportiva nata con lo scopo di avviare al calcio i figli degli associati. «Ben presto, però, ci siamo accorti che molti dei ragazzi avevano fratelli con qualche disabilità: perlopiù Sindrome di Down, ma anche qualche autistico e altre patologie. Abbiamo cominciato a svolgere allenamenti anche per loro, dapprima separatamente, poi integrando i due gruppi. Oggi ci alleniamo tutti insieme, disabili e normodotati». Un pre-

zioso aiuto nel percorso intrapreso dall’associazione lo fornisce Giandomenico Palka, docente della “d’Annunzio” e scienziato di fama internazionale che da anni si dedica allo studio della Sindrome di Down, che mette in contatto Visini con l’Associazione Bambini Down di Pescara. «A quel punto abbiamo cominciato, superando anche delle iniziali reticenze, ad avvicinare i ragazzi a sport diversi dal nuoto, che per loro è lo standard. E abbiamo ottenuto ottimi risultati». Uno dei “risultati” è Fabio Ciarcelluti, 21 anni, difensore e oggi vice capitano della squadra ASD De Riseis Pescara, che l’anno scorso si è classificata terza nel campionato nazionale di Calcio a 5. «Vengo dal nuoto, ma mi è sempre piaciuto giocare a calcio. Ho cominciato dieci anni fa con il Loreto, e da sei anni sono nella De Riseis». Fabio è appassionato di calcio e tifa Juventus, ma «non ho modelli di riferimento. Non c’è un calciatore al quale mi ispiro, perché in una squadra è importante far bene il proprio lavoro, e io cerco di migliorare me stesso, senza fare confronti». Uno spirito da leader, che non nasconde la speranza di poter realizzare qualcosa di più nel prossimo campionato: «Mi piacerebbe vincerlo, e ci sono buone possibilità. Ma nello sport è importante soprattutto partecipare».

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Basket/Galliano Marchionni

A canestro sulle ruote Protagonista nel team dell’Amicacci, sul parquet ha trovato la strada per affermarsi nello sport e per andare oltre i propri limiti

• Una fase di gioco di una partita di Weelchair Basket. A destra Galliano Marchionni

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o sport è stato, per Galliano Marchionni, affetto da una forma congenita di piede torto, un mezzo per praticare attività agonistica ad alti livelli. «È già importantissimo per un ragazzino normale fare sport, figuriamoci per un disabile che deve affrontare, in età acerba, una ulteriore difficoltà data dalla sua condizione fisica o mentale. Se riuscissimo a far praticare sport a tutti i disabili, anche quelli più gravi –naturalmente nei limiti del possibile– comincerebbero a vedere la loro condizione sotto un altro aspetto, ad affrontare le difficoltà fin da bambini. Specialmente in Italia si verifica spesso che il disabile sia soggetto all’iperprotezione della famiglia; un atteggiamento che poi prosegue nella scuola, e che relega il disabile in un ruolo marginale nella società civile. Lo sport, invece, aiuta ad acquisire la mentalità giusta per poter vivere la propria condizione in un’altra ottica, quella di superare ogni giorno i propri limiti». Parla da campione, Marchionni, che sulla sua carrozzina tiene alto il nome della società sportiva Amicacci di Giulianova, società di Weelchair Basket abruzzese con cui Galliano ha conquistato il Trofeo CIP 2007-2008, la Medaglia d’oro ai Campionati Europei 2009, il 4° posto ai mondiali 2010 a Birmingham, la Challenge Cup 2010/11 e la Vergauen Cup 2012 a Valladolid. E si prepara, per il 2013,

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all’importante appuntamento in casa: le finali di Coppa Europa a Giulianova e Roseto. Peppino Marchionni, il papà di Galliano, è il presidente dell’Amicacci: «Questa società per disabili –spiega– che festeggia i trent’anni di attività è nata quasi naturalmente, da famiglie al cui interno c’erano persone con handicap fisico. Nel centro “Santo Stefano”,luogo di fisioterapia dove portavamo i nostri cari per le cure del caso, è nata la volontà di andare oltre, di fare materialmente qualcosa per uscire dall’emarginazione e di porgerci come modello. Soprattutto l’idea di base era, ed è, l’essere utili o meglio far sì che il disabile diventi protagonista della sua vita, dimostri e faccia capire che è importante anche essere un disabile. L’intraprendere con successo un’attività sportiva è stata un’autentica scommessa che all`apparenza sembrava un’impresa irrealizzabile e che solo grazie alla volontà ed alla determinazione è stata vinta. Abbiamo scelto tra le discipline sportive la più entusiasmante e la più affascinante, il basket, che oggi gode di un larghissimo seguito. Ricordo che durante il primo Torneo di Basket in carrozzina nel lontano 1984, la folla di persone che si assiepava sugli spalti era per lo più ammutolita e sconcertata, oggi quella stessa folla applaude e partecipa, finalmente conscia di assistere ad uno spettacolo esclusivamente sportivo».


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L’invenzione del Parco Nazionale d

Ha novant’anni ma non li dimostra. Il primo parco nazionale fondato in Italia ha cambiato il modo di vivere la natura e ha dato da vivere ai suoi abitanti. In questa intervista impossibile, Ermino Sipari, l’uomo che ha inventato il Parco, racconta come e perchè ebbe questa geniale intuizione 22


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di Fabrizio Gentile

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ngegnere, buongiorno… «Ingegnere industriale, prego». Come, scusi? «Ingegnere industriale. Anzi, per la precisione: Ingegnere industriale ed elettricista. È il mio titolo. Ci tengo molto. Ma può chiamarmi Don Mimì, è così che mi chiamano tutti». Bene, Don Mimì…

«Oppure Onorevole. Del resto sono stato deputato per quattro legislature, dal 1913 al 1929: non mi pare cosa da poco. Scelga lei». Preferirei Ingegnere. Anche se il suo lavoro come Ingegnere è, agli occhi dei posteri, ben poca cosa rispetto alla sua opera più importante: il Parco nazionale d’Abruzzo. Che, peraltro, compie 90 anni. «Auguri! Ne è passato di tempo, eh? E il Parco come va?» • Panorama notturno del Lago di Barrea.

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Gode di ottima salute. Anzi, oggi è cresciuto e si è imposto all’attenzione dell’Europa intera come un modello, grazie all’opera dei suoi successori che hanno saputo far fronte agli attacchi degli speculatori, alle intromissioni dei politici e alla sfiducia di molti nella forza delle idee che ne ispirarono la nascita. Idee peraltro sue, anticipatrici di quello che oggi viene definito “sviluppo sostenibile”, un concetto imprescindibile per ogni settore dell’economia. A questo proposito, ci racconta come nacque il Parco? «Con piacere. Intanto va precisato che della questione del Parco nazionale io non mi sono interessato fino al 1913, anno in cui venni eletto deputato nelle fila del Partito radicale, l’ala più a sinistra dello schieramento liberale. Il mio programma elettorale prevedeva, oltre alla realizzazione di ferrovie, strade e linee telefoniche che permettessero alla Marsica e all’Alta val di Sangro di uscire dal loro isolamento, progetti sull’igiene pubblica, sul rimboschimento di alcune zone della Marsica e infine, marginalmente, anche una graduale messa in valore di tutte le ricchezze del clima, di sottosuolo, di acque correnti, che rendevano questa nostra plaga, allora, una delle regioni più suscettibili di buon rendimento industriale e commerciale. Furono, invece, l’industriale, politico e viaggiatore Giambattista Miliani (col suo interessantissimo reportage dal parco di Yellowstone), lo zoologo Alessandro Ghigi e il professor Pietro Romualdo Pirotta, esimio botanico, a promuovere l’istituzione di una riserva naturale nell’Alta val di Sangro. Me ne diede conto Ercole Sarti, l’avvocato che insieme al suo collega Luigi Parpagliolo e allo stesso Pirotta venne nominato membro della commissione di studio che doveva redigere il progetto del Parco. Progetto che Sarti mi presentò nel 1914, al mio insediamento alla Camera, e che accolsi con grandissimo entusiasmo». Ma fu lei a farsi carico delle loro istanze, ed è a lei che oggi si

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guarda come al fondatore del Parco Nazionale d’Abruzzo… «Certo, ma mica potevo far tutto da solo. Anzi, la mia attenzione al problema del Parco, a ben vedere, fu distolta da due gravissimi eventi: il terremoto della Marsica del 1915, che mi vide coinvolto in prima persona tanto in veste di soccorritore (per ben ventidue giorni mi prodigai per scavare tra le macerie, organizzare squadre di soccorso e portare aiuti alle famiglie) quanto in quella di parlamentare, esprimendo aspro dissenso sui ritardi da parte delle istituzioni nelle operazioni di soccorso e sulla gestione delle prime ore dell’emergenza. La cosa mi attirò non poche antipatie, ma alla fine venni anche premiato per il lavoro svolto. Sa che fui insignito della Medaglia d’oro al valor civile?» Certo, e so che per il suo contributo durante i giorni del sisma ricevette anche la medaglia d’argento dalla Società degli Architetti e quella d’oro dal Cai e dalla Associazione Abruzzese-molisana. E so che la sua attività parlamentare divenne intensissima nei mesi seguenti: i suoi interventi erano tutti tesi a ripristinare le minime condizioni di civiltà nelle zone terremotate. E il secondo evento grave? «Che domanda! La guerra, amico mio! Pochi mesi dopo il sisma il conflitto mondiale dilagò e l’Italia entrò nell’agone bellico. Io venni richiamato alle armi come tenente di dirigibile, chiesi ripetutamente di essere mandato al fronte ma mi furono opposti costantemente rifiuti, a causa del mio incarico di parlamentare. Solo nel 1919, terminate le ostilità, ripresi in mano la questione del Parco, sollecitando l’allora ministro dell’Agricoltura, On. Riccio, a “rendere un fatto compiuto il Parco Nazionale in Abruzzo, che mira alla salvaguardia della flora mirabile delle nostre montagne”. Sono le parole con cui conclusi il discorso alla Camera del 1 marzo di quell’anno». Una mano gliela diede anche suo cugino Benedetto Croce,


• Veduta di Opi

da lei coinvolto in quanto nativo di Pescasseroli. Sa che “inventò” la figura del testimonial? «Testimone di cosa, scusi?» Non “testimone”, ma “testimonial”. È un termine oggi molto in voga, che indica un personaggio più o meno noto che offre il suo volto, la sua immagine mediatica per così dire, per veicolare un prodotto o un’idea o un’iniziativa. Croce era napoletano ma nato a Pescasseroli, lei ne sfruttò la fama e l’autorevolezza per promuovere il territorio abruzzese. «Il suo linguaggio mi è a volte oscuro, ma essenzialmente credo di aver compreso il concetto. Le cose stanno così: Benedetto, che era incidentalmente nato a Pescasseroli a seguito dello sfollamento della sua famiglia da Napoli per l’epidemia di colera del 1866, nel 1910 venne a visitare, dietro la mia insistenza e con qualche riluttanza, per la prima volta il borgo natìo, e in quell’occasione (era già un bel pezzo da novanta) fu così trionfalmente accolto dai compaesani che tenne un discorso traboccante di affetto e di smagliante intelligenza dal balcone del nostro palazzo; due anni dopo, nel settembre del 1912, lo invitai all’inaugurazione del servizio automobilistico Pescina-Alfedena, ed egli tornò senza alcun indugio: stavolta in veste ufficiale, col titolo di Senatore e forte della sua caratura di intellettuale all’apice della carriera, onorando la cerimonia della presenza di un figlio di quella valle così famoso nel mondo. E per questo gli suggerii a più riprese, incontrando il suo favore, di scrivere una monografia su Pescasseroli, che servisse a far conoscere a tutti le bellezze di quel luogo che egli –come aveva detto nel discorso– prevedeva che sarebbe diventato “familiare a tutti” al pari delle principali mete turistiche svizzere, perché vi sarebbero convenuti villeggianti ed escursionisti “e da Roma e da Napoli e da ogni parte”. La monografia fu preceduta dal disegno di legge che Benedetto presentò nel 1920,

quando era Ministro della Pubblica Istruzione, quello sulla “Tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse”, poi confluito integralmente nella legge 778 dell’11 giugno 1922, che proiettò l’Italia all’avanguardia europea in fatto di tutela naturalistica e fornì la base giuridica per l’istituzione delle prime aree protette nazionali». Ma anche durante gli anni della guerra gli studiosi non rimasero con le mani in mano: fu anzi Pirotta a condurre una capillare opera di sensibilizzazione in materia, soprattutto con gli enti locali, opera cui però i Governi dell’epoca restarono sostanzialmente sordi… «E questo ci spinse a prendere in mano la cosa e a dar vita al Parco per iniziativa privata, la cui necessità già si rendeva evidente e di cui fummo i primi ad essere convinti. Io, Pirotta, Sarti, Parpagliolo, Miliani e altri –rappresentanti dell’Enit e anche del Touring, di cui tra l’altro ero console per Pescasseroli dal 1907– accantonata l’opera di raccolta della documentazione scientifica che ormai era più che sufficiente, cominciammo a reperire i fondi, a promuovere l’immagine del futuro Ente, a stipulare i contratti di affitto coi Comuni interessati e a redigere uno Statuto che dettasse le regole per la gestione dell’area protetta; i nostri sforzi culminarono nella costituzione della Condotta Forestale Marsicana il 19 novembre del ‘21, e il successivo 25 novembre, in una affollata riunione nella sede romana della Federazione Pro Montibus et Sylvis, approvammo lo Statuto e costituimmo formalmente il Parco, insediando un Direttorio provvisorio da me presieduto. Quasi un anno dopo, raccolte le quote e risolti alcuni problemi organizzativi, potemmo inaugurare ufficialmente il Parco Nazionale d’Abruzzo. Era il 9 settembre del 1922». A quel punto mancava solo il riconoscimento statale… «…Che giunse con il Regio Decreto dell’11 gennaio 1923. A

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Erminio l’onesto

• Ritratto di Erminio Sipari

quel punto il Direttorio Provvisorio si sciolse e venne insediata una Commissione Amministratrice, che mi designò presidente. Il 17 maggio tenni alla Camera un lungo discorso d’insediamento, chiamato appunto “Relazione del Presidente del Direttorio provvisorio dell’Ente autonomo del Parco nazionale d’Abruzzo alla Commissione amministratrice dell’Ente stesso, nominata con Regio decreto 25 marzo 1923”, meglio nota…» …Meglio nota come “Relazione Sipari”, e attualmente considerata, assieme al libro La difesa delle bellezze naturali d’Italia di Luigi Parpagliolo, il manifesto della prima conservazione della natura in Italia. Il che la colloca tra i pionieri dei movimenti ecologisti, quelli che nei decenni a venire e soprattutto dopo gli anni Settanta, sosterranno la sua “creatura” e la difenderanno dagli attacchi degli speculatori. Ma non fu lei a promuovere e a incentivare lo sviluppo di un’industria turistica nel Parco? «Certamente! Fu dall’inizio il mio scopo principale, profondamente intrecciato però con quello scientifico della conservazione della integrità della natura locale. Non facciamo confusione, per favore: sono sempre stato a favore dello sviluppo, del progresso, del miglioramento di quelle zone così care al mio cuore; ma giammai mi sarei permesso di veder deturpato il paesaggio e danneggiato il patrimonio naturale da grandi insediamenti industriali e tantomeno da pochi ricchi che desideravano costruire –ancorché si trattasse di strutture turistiche– ove non fosse consentito e concordato». Ecco spiegato il motivo della sua strenua opposizione allo sfruttamento, da parte della società Carburo di Calcio, dell’area di Opi e Barrea, dove la società voleva creare due bacini artificiali sul Sangro per produrre energia idroelettrica. «Inizialmente fui favorevole, sa? Ma chiesi (e non ottenni) garanzie che alla costituzione dei due bacini non seguisse, appunto, un peggioramento delle condizioni di vita dell’area, sia per l’aspetto faunistico che floristico e, in primis, umano. La Carburo assicurò che avrebbe condotto “esperimenti relativi

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Ultimo di otto figli nati da Carmelo Sipari e Cristina Cappelli, “Mimì” Sipari nasce il 1 dicembre 1879 ad Alvito e compie i suoi studi a Roma. Fortemente incline all’arte e alle scienze esatte, frequenta il futuro Politecnico di Torino, laureandosi nel 1903 in ingegneria industriale e nel 1904 in elettrotecnica. La sua attività di giovane ingegnere amante del progresso lo pone in primo piano a Pescasseroli, dove porta l’illuminazione e l’energia elettrica e si adopera per costruire infrastrutture che ne spezzino l’isolamento. Comincia, in parallelo, l’attività nella vita pubblica, che diventerà totalizzante dopo il 1913, anno in cui viene eletto in Parlamento nelle fila del Partito Radicale. Nel 1921 costituisce il Parco Nazionale d’Abruzzo, ufficialmente riconosciuto nel 1922, e ne assume la presidenza. In seguito alla vicenda Terni/ Carburo nel 1933 l’Ente Parco viene soppresso dal fascismo e Sipari viene estromesso dalla vita pubblica. Muore a Roma nel 1968 dopo aver inutilmente tentato di essere rieletto presidente dell’Ente, ricostituito nel 1951.

alla flora per ottenere il rivestimento verde delle zone soggette a bagnasciuga”. Esperimenti! Avevamo appena costituito, come scrisse Paolo Orano su La Stirpe del giugno 1928,“una vasta zona francata dal pericolo di ulteriori manomissioni, ove paesaggio, vegetazione, sopravissute specie zoologiche già vicine a scomparire, sono salvati per sempre, in omaggio al culto del bello, degli studi, della salute morale e fisica delle nuove generazioni”, ed ora gli interessi di una Società idroelettrica dovrebbero annientare tutto ciò? Chiaro come il sole che mi opposi, e portai a favore di tale scelta una vasta documentazione sui benefici eventualmente prodotti dalla realizzazione degli invasi, che mai e poi mai avrebbero potuto compensare i danni arrecati all’habitat. Il Ministero convenne con me che i danni fossero “da temersi” e che l’opera non avrebbe dovuto esser realizzata e i permessi furono rifiutati» Anche in quest’occasione lei fu un anticipatore: inventò quello che oggi si chiama “valutazione di impatto ambientale”. Quella vicenda però, alla fine, le costò cara: fu la causa della fine della sua carriera politica. «Già, proprio quando stavo per essere eletto Senatore! Fu Arturo Bocciardo, l’amministratore delegato della ex Carburo, divenuta Terni, a influire negativamente su Mussolini. Il Duce inizialmente aveva ratificato la decisione del Ministero, cogliendo l’opportunità propagandistica legata alla salvaguardia di quell’istituzione “fortemente voluta dal fascismo” che, al termine di un’estenuante battaglia condotta contro gli individui “privi del sacro scrupolo della conservazione” era riuscita ad ottenere la “magnifica vittoria della bellezza e della religione, della terra”. Poi Bocciardo, nell’ottobre del ‘28, sottopose a Mussolini i documenti che testimoniavano la mia iniziale adesione alla proposta inoltrata dalla Carburo nel ‘22; malgrado l’incartamento contenesse anche la mia formale richiesta di quelle suddette garanzie, in assenza delle quali la mia opposizione sarebbe stata fermissima, il Duce scelse di appoggiare l’industriale e di estromettere il sottoscritto dalla vita politica, prima ancora di sopprimere l’Ente Parco nel 1933».


• In una foto d’epoca, foto ricordo dopo una battuta di caccia al lupo.

Del resto, con Mussolini e il fascismo lei non andava particolarmente d’accordo… «Le confesso che i nostri rapporti erano di reciproca tolleranza, dovuta al fatto che –per ragioni diverse– i nostri interessi coincidevano. Come le dicevo, per il Duce l’esistenza del Parco era un’occasione di propaganda; per me era una missione sociale, ispirata dall’intento di apportare progresso e sviluppo economico al territorio, grazie alla conservazione e al miglioramento delle risorse naturali». E questa missione sociale il Parco la conserva tuttora… «Me lo dica lei. Io sono morto nel 1968». Questo lo so. La stavo appunto informando di come vanno le cose oggi. «Ah, ecco. Perché quando sono passato a miglior vita le cose non andavano mica tanto bene: il Parco, che era stato ricostituito nel 1951 e alla cui guida nel 1952 era stato nominato Francesco Saltarelli, stava fronteggiando l’incontrollato sviluppo edilizio degli anni del boom economico. Saltarelli, che secondo me era una gran brava persona, si oppose strenuamente alle lottizzazioni e fu per questo fatto fuori nel 1963, proprio come me molti anni prima. Il peggio fu che al suo licenziamento seguì un lungo commissariamento, durante il quale l’invasione del cemento nel Parco toccò livelli elevatissimi». Non si preoccupi, quei tempi sono passati: nel 1969, un anno dopo la sua dipartita, venne nominato direttore del Parco un certo Franco Tassi, che forse lei non ebbe modo di conoscere, ma che ha legato il suo nome per trent’anni al destino del Parco. Sotto la sua amministrazione il Parco è tornato quello di un tempo, e anzi: ha ampliato i suoi confini e si è imposto come un modello di conservazione della natura associata allo sviluppo economico del territorio, non solo per l’Italia ma per l’intera Europa. E, come lei e come Saltarelli, Tassi ha infine pagato l’opposizione all’abusivismo e una rigorosa politica di difesa del territorio con il licenziamento, avvenuto nel 2002. Le farà piacere sapere che Tassi le ha sempre riconosciuto il merito

di aver contribuito a creare una coscienza ambientale in Italia, sfociata nella nascita di tante associazioni ecologiste e culminata, negli anni Ottanta, con la nascita di un Partito dei Verdi. «Verdi? Mi piace! Fossi ancora in Parlamento, li appoggerei, credo. E quanti seggi hanno, oggi?» Nessuno. «Come, nessuno?!» Diciamo che all’inizio della loro attività furono visti come una valida alternativa a un sistema che mostrava il suo lato peggiore: la corruzione dilagante, l’inconcludenza politica, i giochi di potere… In quello scenario i Verdi –giovani e animati dal fervore ambientalista– ebbero un discreto successo. Poi però, una volta inseritisi anche loro nel sistema, questo li ha stritolati e oggi non sono un soggetto politico in grado di attrarre larghi consensi. «Capisco. Come sa, io sono stato un uomo politico che ha avuto sempre a cuore il destino del suo territorio. Non mi ritengo un ecologista, ma ho difeso le risorse naturali dell’Abruzzo in ragione della consapevolezza che quelle risorse avrebbero potuto garantire alle popolazioni della Marsica e dell’Alta Val di Sangro (e in definitiva all’Abruzzo intero) uno sviluppo socioeconomico duraturo, legato inevitabilmente alla conservazione e al miglioramento di quelle stesse risorse. Ma i miei princìpi sono maturati all’interno di una posizione politica –e di potere, per dirla tutta– già raggiunta; non ho sfruttato i miei ideali per guadagnar voti, li ho invece messi al servizio di chi già mi aveva votato. Se si compie il percorso inverso è facile che il sistema corrompa gli idealisti e li conduca a disinteressarsi progressivamente delle problematiche ambientali e del “bene comune” per perseguire scopi privati e personali. È il male del sistema politico italiano, che vedo non essere cambiato molto dalla mia scomparsa. Spero in cuor mio che un giorno si torni a far politica con lo stesso spirito che ha animato me negli anni della mia gioventù».

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Il Parco, un’impresa c

• Dario Febbo, Direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

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ovant’anni sono tanti, e quelli del Parco Nazionale d’Abruzzo (dal 2001 Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise) sono particolarmente importanti. Intanto perché è il Parco Nazionale più antico d’Italia, e poi perché la sua vita non è stata tutta rose e fiori: dal 1922, anno della sua istituzione su iniziativa privata, ha dovuto affrontare molte difficoltà di ordine politico (come la soppressione dell’Ente nel 1933 ad opera del regime fascista), ma soprattutto di carattere sociale ed economico – la strenua lotta contro le speculazioni edilizie, contro gli impianti di risalita sul monte Marsicano, contro lo spopolamento delle zone montane e il pericolo di estinzione dell’Orso bruno marsicano. Ciononostante, oggi il Parco Nazionale d’Abruzzo è un vanto per l’intera regione e può ben dirsi una tessera fondamentale dell’economia abruzzese. Alla sua guida dal dicembre 2011 c’è Dario Febbo, già direttore del Parco nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga, uno dei personaggi di maggior peso nell’ambito della pianificazione delle aree protette. Il suo è un curriculum particolare: laureato in biologia ma di professione ecologo, si è sempre occupato di pianificazione delle aree protette. La prima grande esperienza è stata quella di pianificatore del piano paesistico della Regione Abruzzo, all’interno del quale ha redatto il piano paesistico del Parco nazionale del Gran Sasso, prima ancora di diventarne direttore, nell’‘84. Poi ha fatto i piani di molte altre riserve naturali: ideatore e direttore per dieci anni (dal 1986 al ’96) della Riserva naturale di Zompo lo Schioppo; dal 1992 al 1994 è stato consulente per i parchi del Ministero dell’Ambiente (ha lavorato con quattro ministri: Carlo Ripa di Meana, poi Rutelli, Spini e infine Matteoli); e dal 1997 è stato direttore del Parco nazionale del Gran Sasso-Laga fino al 2004. «In sei anni io e Giuseppe Rossi abbiamo speso 56 milioni di euro, con pochi dipendenti precari. Un vero miracolo». Dalla direzione del PNGSL a quella del PNALM quali sono le differenze principali?

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(Foto Simone Cerio)

«Per il Gran Sasso avevamo i problemi di tutti i parchi giovani: una realtà molto complessa per la sua vastità territoriale, per le differenze socioeconomiche, con tanto lavoro da fare per la sua promozione e la sua crescita; il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise invece è un parco già avviato, un punto di riferimento per l’Italia e l’Europa. Richiede un grande impegno perché è una macchina che gira “a mille”; ha dato frutti notevoli alle comunità che lo abitano, grazie alla riconversione dell’economia agro-silvo-pastorale –che stava morendo– in turismo naturalistico. 56 tra alberghi e pensioni solo a Pescasseroli! Con gli albergatori che, nonostante la brutale crisi che investe tutti i settori, chiudono ancora i bilanci in attivo, dimostrando che il Parco è ancora un’isola felice. Quest’anno poi il bel tempo ci ha dato una mano, è stata un’ottima stagione». Quindi il Parco è una voce fondamentale del bilancio economico dell’Abruzzo? «Erminio Sipari proponeva di utilizzare le risorse naturali, le “silvane bellezze” del territorio per creare un turismo che fosse produttivo dal punto di vista economico. E quel discorso è stato portato ai suoi massimi livelli di concretezza da Franco Tassi e dalla sua squadra di collaboratori –del livello di Giuseppe Rossi, Nicola Cimini, Giorgio Boscagli, che sono diventati dei punti di riferimento nazionali nel sistema dei Parchi– un gruppo di persone validissime. È grazie a loro che oggi il Parco è lanciatissimo. Ha delle peculiarità che lo rendono unico: paesaggi affascinanti, un corredo floristico immenso, dal punto di vista faunistico poi c’è l’Orso bruno marsicano, una sottospecie di cui esistono solo 50 esemplari al mondo, tutti nel Parco, così come il Camoscio d’Abruzzo, altra sottospecie unica al mondo, che è stato reintrodotto anche in altre zone montane, così da mettere al sicuro la specie da eventuali malattie che potevano azzerarne la popolazione, e di cui se ne contano oggi 6-700 sulla Maiella, 4-500 sul Gran Sasso e circa 600 nel Parco nazionale d’Abruzzo, la popolazione madre».


a che non va mai in letargo E naturalmente il lupo… «Che gode di ottima salute: si è ripreso dagli anni Settanta, quando la popolazione era ridotta a 100-200 esemplari in tutta Italia e oggi ha risalito (e ridisceso) la dorsale appenninica arrivando anche oltreconfine, in Francia. È stato un processo naturale. Tutto questo è la base del turismo del Parco: i turisti cominciano ad arrivare a marzo, quando gli orsi bruni si svegliano dal letargo, e si possono vedere nella natura incontaminata. In alcune zone del Parco c’è un’integrità forestale che non ha paragoni in tutto l’Appennino, dovuta all’attenta gestione che ha fatto in modo che l’ambiente forestale fosse ben conservato. Il lavoro che viene fatto all’interno di una riserva generale è di tipo “attivo”: il ciclo vitale di un’area forestale viene, per così dire, controllato e pilotato in modo da mantenerne l’integrità. In una riserva integrale invece si lascia che sia la foresta stessa a compiere il proprio ciclo, senza alcun intervento dell’uomo». Il Parco ha 90 anni. Li dimostra o no? «Affatto: è un parco giovanissimo, nato dalla clamorosa intuizione di Sipari (quella di convertire l’economia montana pastorale in un sistema economico produttivo compatibile con la tutela dell’ambiente) che ha anticipato di settant’anni la legge quadro sui parchi del ’91. I promotori dell’allora “Ente autonomo parco nazionale d’Abruzzo”, Sipari, Ghigi, Pirotta, Parpagliolo e Croce, e quella federazione “Pro montibus et sylvis” che diede vita al progetto, sono persone che hanno fatto scuola in Europa, e i cui principi, le ragioni fondanti di un Parco, sono ancora oggi valide e sono diventate oggetto di studio». Ma come si fa a resistere per tanto tempo alle speculazioni, al boom economico, allo sviluppo edilizio? «Il Parco è stato istituito all’inizio per iniziativa privata nel 1922, inaugurato in forma ufficiale, e quattro mesi dopo è giunto il riconoscimento dello Stato. Poi nel 1933, col fascismo, l’Ente parco fu sciolto, e venne ricostituito solo nel ’51. Fu Francesco Saltarelli a battersi contro la speculazione edilizia nel Parco, e per questo venne allontanato. Le battaglie legali proseguirono fino alla nomina di Franco Tassi, che si insediò nel 1969 e che proseguì l’opera di contrasto alla lottizzazione anche a costo dell’impopolarità. I danni arrecati dallo sviluppo edilizio incontrollato sono stati spesso ridimensionati, se non cancellati; la natura è lo scrigno di questo Parco, è la sua risorsa principale». I movimenti ambientalisti nati negli anni Settanta sono stati favoriti dall’esistenza del Parco o il Parco se ne è avvantaggiato per portare avanti la sua opera di tutela? «Entrambe le cose: il vantaggio è stato reciproco, il Parco ha sviluppato una cultura della tutela dell’ambiente che ha favorito lo sviluppo e l’emanazione della legge quadro del ’91, una legge ancora buona dopo ventun anni. La legge detta i “principi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese”. È quella che ha dato vita ai parchi del Gran Sasso-Laga e della Maiella, istituendo quindi un sistema di tutela delle aree protette che ha messo a pari l’Italia con altre nazioni europee. Di ciò l’Abruzzo è stato beneficiato, trovandosi

al centro di un sistema di aree protette: il disegno perseguito dalle associazioni ambientaliste ed ora accettato da tutti, anche come possibilità di uno sviluppo compatibile con la conservazione degli ecosistemi. Che ci fanno vivere, assorbendo anidride carbonica e producendo ossigeno nelle foreste, conservando fauna e flora, proteggendo i suoli, producendo acqua, insomma dando servizi, come piace dire oggi, indispensabili per la nostra vita». Ma in altri Paesi il movimento dei “verdi” ha dato vita a soggetti politici che hanno anche influito a livello sociale e partecipato a coalizioni governative con un peso rilevante; in Italia invece si è risolto tutto nel giro di una decina d’anni, e oggi il partito dei Verdi è disciolto. Come mai? «Non lo so, chiedetelo ai Verdi. Ma va innanzitutto fatta una distinzione: le associazioni ambientaliste (Italia Nostra, WWF, CAI, Legambiente, Marevivo, Lipu e altre) sono, appunto, associazioni, e come tali consentono a tutti di iscriversi e partecipare alla vita associativa, e hanno fatto la cultura dell’ambiente in Italia. I Verdi sono un partito, come altri, che ha operato in parlamento, nelle istituzioni, ma il merito di aver creato una coscienza ambientale in Italia è delle associazioni, che operano da molto prima dei Verdi. È grazie ad esse se esiste una sensibilità diffusa sulle tematiche ambientali. In altri Paesi d’Europa, per esempio in Germania, il processo è stato più rapido, favorito dal fatto che la cultura mitteleuropea è molto più intrisa di natura. Questo ha favorito anche la nascita di un partito Verde che alle elezioni politiche è arrivato al 15-20% di consenso, il che ha portato anche a sviluppare una politica a tutto tondo su come dovrebbe essere una società». Ora su cosa sta lavorando per il Parco? Quali progetti ci sono in ballo? «Stiamo lavorando a tante cose, come sempre, ma per prima alla tutela dell’Orso marsicano e del Camoscio d’Abruzzo, con due progetti LIFE che ci permetteranno di mettere sotto una lente d’ingrandimento le popolazioni di queste due specie da preservare. Il Parco sta licenziando il piano pluriennale economico e sociale, ossia il piano che prevede gli interventi da farsi nel suo ambito; è in attesa dell’approvazione del Piano del Parco e del suo Regolamento. Sviluppiamo progetti per l’educazione ambientale e ospitiamo ricercatori da diversi Paesi d’Europa, che chiedono di venire proprio perchè ci riconoscono un valore, scientifico e culturale, che non si riscontra altrove. Poi ci sono le azioni di promozione, non solo dal punto di vista turistico ma anche da quello economico: economie sostenibili all’interno dell’Ente. Un lavoro fondamentale è stato fatto dal presidente Giuseppe Rossi, che ha ripristinato un rapporto collaborativo con gli enti locali. Questo fatto costituisce una garanzia per un’area di circa 130mila ettari che può contare solo su 42 guardie: non ne basterebbero il doppio per sorvegliarlo. Invece un Parco condiviso è quello in cui si ha la consapevolezza del grande tesoro che bisogna utilizzare senza andare assolutamente ad intaccarlo. È la consapevolezza di avere obiettivi comuni riguardo alla tutela del territorio: gli abitanti del Parco sanno che quella è la loro ricchezza e ne diventano i primi guardiani».

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L’Aquila - l’Auditorium del Parco

Sulle note della rinascita

Renzo Piano ha regalato all’Aquila un vero gioiello, che restituisce alla città ferita dal sisma un luogo di incontro e di aggregazione e ne onora la lunga e rinomata tradizione musicale di Francesco Paolucci

È

la notte, probabilmente, il momento in cui l’Auditorium del Parco si mostra in tutto il suo splendore. Si possono vedere tra gli alberi, nel buio, dalla strada di Via Castello che porta alla piazza dove è tornata la vita notturna in centro storico, i colori dell’abaco, i colori di una tavolozza tenue di Van Gogh. Illuminano e vivacizzano un’area della città che, a fatica e a passi fin troppo lenti, sta cercando di tornare alla bellezza. È da qui, appena fuori dalla zona rossa, che il progetto a firma di Renzo Piano prova a far cambiare marcia e dare nuovi stimoli alla ricostruzione. L’Auditorium del Parco o “di Renzo Piano”, come è stato ribattezzato, potrebbe diventare, dunque, un’ esternalità positiva per la città e per il territorio. Non sono mancate, comunque, le polemiche che il progetto ha incontrato sin dall’inizio. Le opposizioni alla realizzazione dell’Auditorium sono state diverse e trasversali:“l’auditorium impatta con il Castello Cinquecentesco”,“copre la visuale del Castello”,“c’è un consumo di suolo”,“perché si è deciso di costruirlo lì?”,“perché la decisione non è stata presa con la cittadinanza?”, ecc. Continue polemiche durate fino al giorno dell’inaugurazione, il 7 ottobre 2012, con la rinuncia all’invito di alcuni consiglieri comunali. Importante, però, è conoscere il progetto, l’idea e il lavoro che vi è dietro. L’Auditorium, donato dalla Provincia Autonoma di Trento, è composto di tre cubi pensati come volumi puri che si confrontano, il più silenziosamente possibile, con la mole del Forte spagnolo e d’autunno quasi scompaiono avvolti dagli alberi del parco. Il corpo centrale ospita 238 spettatori e circa 40 orchestrali. Gli altri due cubi sono per i servizi per il pubblico (foyer con bar, guardaroba e biglietteria) e quelli per gli artisti. La struttura ha fatto sì, inoltre, che si aprisse una piazza pubblica di fronte ad essa che accorcia la distanza tra la città e l’auditorium. La scelta di un auditorium della musica nasce da un dialogo tra il direttore d’orchestra Claudio Abbado e Renzo Piano per sostenere la cultura aquilana, forte di una rinomata tradizione musicale. Così è nata questa sala per concerti, in sostituzione

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temporanea di quella del Castello, lesionata dal sisma. La cassa armonica dell’Auditorium è concepita come un grande “Stradivari’’ e pertanto realizzato in legno d’abete di risonanza proveniente dalla Val di Fiemme, nel Trentino. La collocazione dell’opera, cosa che ha suscitato non poche polemiche, è un’aspetto fondamentale del progetto: pensato e realizzato in corrispondenza dell’ingresso della città storica, l’Auditorium interagisce sia con il forte spagnolo che con la piazza della Fontana Luminosa, punto di snodo tra il centro storico e la periferia. Una nuova piazza per la città, immersa nel parco e integrata con la vegetazione. Sono state, infatti, spostate solo tre piante durante la realizzazione, ma verranno comunque recuperate e ripiantate a poca distanza. L’Auditorium, per come è stato concepito e realizzato, supera la sua funzione di sala da musica interna e porta la musica all’esterno in maniera colorata e, forse, più democratica. Questa collocazione risponde all’esigenza di dare il via ad un processo di radicale riqualificazione e rivitalizzazione dei punti critici della piazza della Fontana Luminosa, luogo di interfaccia tra il Centro Storico e la città novecentesca, carente di punti di aggregazione, e del parco. All’esterno dell’Auditorium forse c’è la sfida maggiore: la vita della piazza con spettacoli all’aperto. L’area di fronte alla struttura può ospitare, infatti, una platea per circa 500 persone e c’è tutto il necessario per il cinema all’aperto. Poco distante dall’Auditorium è stata inaugurata la nuova sede della Facoltà di Lettere in una struttura eccellente e sicura ricavata dal vecchio ospedale. È stimolante immaginare il movimento degli studenti tra l’università e il parco dell’auditorium, magari per ascoltare un concerto, magari per un caffè nel bar o magari semplicemente per studiare o fare pausa sul prato sotto le querce canadesi. L’Auditorium, quindi, è una struttura per gli studenti, per una città universitaria, realizzata anche dagli studenti. Sì, perché 21 ragazzi della Facoltà di Ingegneria dell’Aquila hanno avuto la possibilità di fare uno stage per sei mesi all’interno del cantiere e vivere un’esperienza formativa di alto livello.


• L’inaugurazione dell’Auditorium. Al centro della foto, Renzo Piano e Roberto Benigni

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PAOLO COLONNA

L’architetto del Renzo Piano Building Workshop racconta i sette mesi di lavori che hanno consegnato alla città il nuovo Auditorium L’esperienza all’interno del cantiere dell’ Auditorium del Parco da parte di alcuni ragazzi dell’Università di ingegneria dell’Aquila ha dato, sicuramente, un valore aggiunto al progetto. Come sono stati integrati e quali risultati formativi hanno raggiunto? Il processo di costruzione dell’Auditorium è diventata un’occasione per coinvolgere alcuni studenti delle facoltà di ingegneria/architettura di L’Aquila e di Trento in stage formativi a stretto contatto con il cantiere. Questa iniziativa è stata promossa già in fase di Gara d’Appalto dove le imprese dovevano proporre metodiche e programmi di lavoro volti a promuovere concretamente l’esperienza degli studenti permettendogli di essere a stretto contatto con il mondo del cantiere. Durante i sette mesi di durata dei lavori il cantiere è stato un laboratorio didattico per 21 studenti di L’Aquila e per 2 studenti di Trento: i primi sono stati affiancati all’impresa nel seguire i lavori, sotto la guida di un tutor e secondo il preciso programma operativo di seguire la traduzione del progetto in manufatto costruito; i secondi hanno seguito da vicino le fasi della produzione di alcune componenti del progetto, con particolare riguardo alle componenti lignee prodotte in Trentino. Durante il cantiere sono stati previsti alcuni incontri negli stabilimenti di preparazione e produzione di tutti gli elementi che hanno caratterizzato il progetto.

Un vero e proprio cantiere didattico, dunque, il cui obiettivo è stato quello di fare prendere agli studenti confidenza con il mondo del cantiere reale. È stato per loro possibile seguire, in diretta, tutte le fasi del cantiere imparando come si esegue uno scavo, come si realizzano le strutture e gli impianti, e come tutto questo si combini con gli aspetti architettonici dell’edificio. Gli studenti sono entrati a contatto con gli aspetti della sicurezza e con i problemi legati alla logistica e alla gestione di un cantiere. Per la loro attività è stato previsto un apposito spazio, denominato “infopoint”, attrezzato con computers, sala riunioni e archivio. È qui che hanno svolto quotidianamente il loro stage e hanno incontrato i responsabili dell’Impresa e la Direzione Lavori. Alla fine dello stage è previsto un attestato di partecipazione da parte della Provincia di Trento, dell’impresa Collini e della Fondazione Renzo Piano. Come hanno risposto i ragazzi a questa esperienza? Gli studenti ci hanno permesso di scoprire, attraverso il loro entusiasmo e la voglia di partecipare, uno dei tratti più importanti del popolo abruzzese: la tenacia. Grazie a loro siamo riusciti ad avvicinarci alla popolazione aquilana ed a condividerne opinioni e speranze. Oltre al valore importantissimo dell’esperienza didattica, vale la pena sottolineare un elemento: il gruppo ha legato tra loro e con tutti i professio-

ROMOLO CONTINENZA

precisi e tra questi c’è quello di dare loro una formazione prevalentemente teorica. L’esperienza fatta dai ragazzi con l’auditorium è, invece, un’applicazione di quello che loro stanno studiando. Per gli studenti, capire come si realizza, ai massimi livelli, la cooperazione virtuosa di vari elementi di costruzione è un esperienza difficilmente ripetibile in un tempo così ristretto. Per l’Auditorium, come per altri argomenti cittadini, non sono mancate le polemiche. Siamo nell’epoca delle contrapposizioni ed era normale che si fosse creata questa divisione. Quello che mi ha un po’ dispiaciuto e che persone che conosco e che stimo abbiano iniziato a criticare l’opera a prescindere. Bisognerebbe uscire un po’ dalle gabbie ideologiche, ragionare sulle cose e parlare conoscendo i problemi. La localizzazione, ad esempio, mi sembra una scelta azzeccata e riguardo l’accostamento tra antico e moderno penso, usando una metafora, che noi siamo come delle formiche che si portano sulle spalle dei giganti e questi giganti pesano. Con questo voglio dire che la cultura italiana soffre moltissimo la storia e la presenza del passato e si passa da situazioni di totale negazione a situazioni di totale conservazione. Dovrem-

Il docente della Facoltà di Ingegneria dell’Aquila risponde alle polemiche sulla collocazione dell’opera Subito dopo il terremoto a Renzo Piano non è stata data la possibilità di intervenire sulla città ed è caduta nel nulla la sua proposta di una cittadella universitaria. Solo in seguito, su richiesta della Provincia Autonoma di Trento, ha realizzato l’Auditorium continuando a dare man forte all’Università. Non puo’ essere dimenticato che Renzo Piano, dopo il sisma e la sua estromissione da ogni operazione sull’antico, ha avuto grandi aperture nei confronti dell’Università: ha preso uno dei nostri neolaureati per uno stage semestrale, promosso dalla Fondazione Renzo Piano, presso lo Studio Renzo Piano Building Workshop – Genova; ha aperto per un giorno le porte della Fondazione Piano a Genova ad una settantina dei nostri studenti; nel corso dei lavori dell’auditorium ognuno dei professionisti che ha preso parte all’opera ha fatto un seminario per i nostri ragazzi. Noi nei confronti degli studenti abbiamo degli obblighi

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nisti coinvolti. Sono nate amicizie vere e sincere nonostante ruoli, età ed esperienze diverse. Questo perché tutti si sono messi in gioco con onestà e passione. Ci auguriamo che questo piccolo progetto possa contribuire a far incontrare nuovamente la popolazione, facendo ritrovare l’importanza di restare insieme. Come è stata questa esperienza all’Aquila per lo studio Renzo Piano Building Workshop? Partecipare alla progettazione e realizzazione dell’Auditorium temporaneo del Parco è stata per noi una straordinaria esperienza professionale ed umana. La sfida non era comune: dovevamo reagire immediatamente, sotto l’impulso tragico dell’emergenza, e mantenere la necessaria lucidità professionale. La fragilità di una comunità che temeva di sgretolarsi e disperdersi era, ed é ancora oggi, la preoccupazione fondamentale della popolazione abruzzese. Questa necessità, come quella di ritrovare riferimenti urbani e sociali perduti, senza ulteriori traumi o stravolgimenti ambientali, è stata da noi accolta fin dal primo incontro con i cittadini aquilani come il fondamento primo di qualsiasi intervento. Personalmente ho avuto la fortuna di partecipare ad un progetto straordinario sotto tanti punti di vista; credo che faccia parte di quelle esperienze di vita difficilmente ripetibili e spero, appena ne avrò l’occasione, di ritornare a L’Aquila per rincontrare i nuovi amici e magari ascoltare un bel concerto nell’ Auditorium del Parco. Quale è stata la genesi dell’Auditorium, la scelta della localizzazione e quali difficoltà avete incontrato per la realizzazione? Il principio fondante era quello di creare un luogo di aggregazione urbana il più prossimo possibile a quello che era

stato il naturale centro della città. In collaborazione con il Comune e il Sovrintendente Luca Maggi è stato scelto il sito dopo una selezione di potenziali luoghi nelle vicinanze del centro. Per definizione urbanistica e per la cultura mediterranea la piazza é il luogo ideale dove far nascere, crescere e sviluppare una comunità; la piazza è luogo d’incontro, di dibattito, di identificazione ed aggregazione. Per questo il progetto é stato pensato come una piazza urbana con un “magnete” attrattivo, uno spazio destinato alla cultura che potesse diventare anche un luogo di incontro per le diverse attività sociali. Abbiamo, inoltre, cercato di estendere la destinazione d’uso del nascente Auditorium ad altre funzioni come conferenze, video proiezioni all’interno e all’esterno dell’edificio ed alcuni servizi primari come caffetteria e bookshop, per rendere il luogo fruibile ventiquattrore su ventiquattro creando il mix funzionale necessario a dare vitalità ad un luogo urbano. Le tecniche costruttive, i materiali e le tecnologie scelte nascono da un lungo percorso che il nostro studio ha effettuato in diversi progetti sociali lungo trent’anni di esperienza (come il laboratorio di cantiere ad Otranto). L’utilizzo del legno, materiale eco-sostenibile per eccellenza, e la prefabbricazione sia degli elementi strutturali che degli elementi di completamento ed arredo tendono verso un’unica finalità: una ricostruzione veloce e poco invasiva sul territorio rispetto alle tradizionali tecniche di cantiere. La maggior parte degli edifici danneggiati potrebbero essere recuperati proprio da elementi prefabbricati in legno, dando vita ad una demolizione e ricostruzione selettiva auspicabile per centri storici importanti, ma difficili da gestire da un punto di vista cantieristico.

mo, dunque, acquisire una libertà di pensiero che riconosca i valori dove sono e che consenta la libertà di intervenire , ovviamente dove si può. Nel caso specifico dell’Auditorium non credo che impatti con il Castello Cinquecentesco e poi interviene in un area non eccezionalmente qualificata in precedenza, anzi la struttura in maniera più funzionale.

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Hanno lavorato per sei mesi affiancando tecnici, esperti e maestranze in cantiere, con scarpe antinfortunistishce e caschetti. Parlano Marco, Laura ed Elisa, tre dei 21 studenti aquilani selezionati per partecipare alla costruzione dell’Auditorium. Laura Quaresima

Elisa Roncari

Marco Mastrogiuseppe

27 anni, studentessa di Ingegneria civile.

23 anni, studentessa di Ingegneria Edile e Architettura.

30 anni, studente di Ingegneria Edile e Architettura .

Stando in cantiere abbiamo toccato con mano diversi aspetti. Oltre ai diari giornalieri abbiamo fatto la progettazione di un eventuale riposizionamento dell’auditorium, abbiamo dato una grande mano per l’inaugurazione, cimentandoci nella realizzazione di brochure e curato gli open day, le visite guidate durante la costruzione e nel giorno dell’inaugurazione. Per sei mesi, tutti i martedì, abbiamo accolto i curiosi per spiegare il progetto. È venuta molta gente. Inoltre, abbiamo realizzato un sito internet (www.auditoriumdelparco.it) e creato il gruppo “Quelli dell’infopoint”. Tutto quello che ho studiato in questi anni sui libri l’ho ritrovato all’interno del cantiere, ad esempio una semplice prova di rottura del calcestruzzo che non avevo mai visto. Poi c’è l’esperienza giornaliera del cantiere: indossare le scarpe infortunistiche, imparare a muoversi in sicurezza, rapportarsi con il direttore dei lavori e le altre figure. È stato un cantiere d’eccellenza e l’esperienza che abbiamo fatto è stata unica; ci siamo ritrovati all’interno di un ambiente disponibile e semplice. Renzo Piano si è messo al nostro livello: ci ha ascoltato, ci ha fatto parlare, ha ascoltato i problemi che sottoponevamo, si è sempre informato del nostro lavoro. Noi ci siamo affezionati a loro, ma credo che anche loro si siano affezionati a noi. Sono rimasti talmente soddisfatti di questa esperienza di studenti nel cantiere tanto da volerla riproporre in altri progetti.

Io, essendo la più piccola del gruppo, ho fatto un’esperienza inversa rispetto agli altri: mi trovavo a metà del quarto anno quando sono iniziati i lavori e ancora non affrontavo le materie più tecniche. Non ho avuto, quindi, il riscontro dalla teoria alla pratica, ma ho imparato prima sul campo e adesso affrontando le materie tecniche mi rendo conto che alcune cose le conosco già perché le ho imparate in cantiere. L’Architetto Paolo Colonna ci ha seguiti molto, un giorno ci ha fatto fare anche la prova dell’invecchiamento precoce del colore, eravamo sotto la pioggia. Si vedeva che teneva molto all’auditorium e che noi apprendessimo il più possibile. Una delle cose più simpatiche che è capitata, invece, è stata quando il responsabile della sicurezza, che in quel periodo non era all’Aquila, ha visto tramite una webcam montata all’interno del cantiere uno di noi senza giubbino di sicurezza. In tempo reale gli ha telefonato dicendogli di indossarlo! Un’esperienza molto bella è stata quella degli open day dove spiegavamo ai curiosi il progetto. In quelle occasioni mi sono confrontata, e mi confronto ancora, con persone che dimostrano una chiusura pregiudizievole nei confronti dell’opera. Non penso che l’auditorium debba piacere per forza, ma mi ha stupito l’atteggiamento di alcuni che non hanno voluto avere un confronto e delle spiegazioni. Le persone che si sono volute informare, però, sono state tante.

Siamo stati divisi in sette gruppi di tre studenti l’uno e ogni gruppo ha seguito i lavori del cantiere facendo dei report giornalieri che poi diventavano settimanali. Stiamo ancora finendo degli elaborati a seconda del tipo di lavorazione: opere civili, opere in legno, impiantistica, sicurezza, sistemazione esterna, prove di laboratorio. Un aspetto importante di questa nostra esperienza è l’aver affrontato temi per noi nuovi. Hanno portato qui, all’Aquila, la cultura degli edifici in legno, una tecnologia importante che conosciamo ancora poco. Questo, per me, è stato il vero dono che l’operazione di Renzo Piano e la Provincia autonoma di Trento hanno fatto alla nostra città. Inoltre, tenere dentro al cantiere ventuno studenti che adesso sanno qualcosa in più del legno è un patrimonio e questi tre cubi, isolati sismicamente in tre maniere differenti, sono la dimostrazione di come si può costruire in maniera veloce, pulita e sicura. Hanno impiegato solo 6 mesi per realizzare una grande opera.

“L’Auditorium è un diamante in mezzo ad un parco”

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“L’Auditorium è mio figlio”

“L’Auditorium è un regalo che hanno fatto alla città”


fornitura di combustibile delle centrali termiche degli edifci comunali Comune di Avezzano manutenzione ordinaria e straordinaria con fornitura di combustibile delle centrali termiche degli edifci comunali

Arpa spa assistenza tecnica e manutenzione straordinaria delle centrali termiche Saga spa global service manutentivo dell’Aeroporto di Pescara Centostazioni spa manutenzione ordinaria e straordinaria

degli impianti delle stazioni ferroviarie di Pescara, Chieti Scalo e L’Aquila Comune di Pescara manutenzione ordinaria e straordinaria con


Vincenzo Marinelli

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Duemila presenze all’Adriatico Una vita dedicata al Pescara prima, al calcio giovanile italiano poi. Ma sempre con la società biancazzurra nel cuore. E forse nel suo futuro.

P

rima al Rampigna, poi all’Adriatico. A quante partite del Pescara avrà assistito Vincenzo Marinelli? Migliaia. Duemila, almeno. Forse di più. Quando era un semplice dirigente della società, se lo staff che affiancava in panchina allenatore e riserve era al completo, era capace di travestirsi da infermiere pur di seguire le gare da bordo campo. E da quando ha potuto permetterselo (cioè da giovanissimo avendo cominciato prestissimo a lavorare e guadagnare bene) non s’è persa una trasferta dei biancazzurri, anche oggi, compatibilmente con i suoi impegni come team manager della Under 21. Insomma, la sua discesa in campo, che risale al 1962 e non è metaforica come quella del suo coetaneo Berlusconi, ha la durata di una vita ed è tutt’ora proiettata verso il futuro. Pochi personaggi possono vantare un’esperienza così completa nel mondo del calcio e sicuramente nessuno in Abruzzo. Pochi hanno la sua capacità di tessere relazioni importanti che spesso diventano radicate amicizie. Gianni Petrucci, presidente del CONI, viene a trovarlo a Pescara almeno un paio di volte al mese. Giampiero Boniperti è un suo grande amico. Antonio Matarrese, prima da presidente della Lega Calcio poi della Federcalcio, lo volle con sé negli staff dirigenziali dei due organismi. Pep Guardiola, il mitico ex allenatore del Barcellona, ogni estate è ospite per qualche giorno nella sua villa di Pescara Colli. Leonel Messi lo adora come un secondo padre

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• Vincenzo Marinelli con Gianni Petrucci, presidente del Coni. Nella pagina a fianco con Salvatore Galeota, Enzo Bearzot, Leo Messi, Tom Rosati.

(“A papà Vincenzo” è la dedica che la “pulce” ha vergato di suo pugno su una foto che li ritrae insieme al Camp Nou di Barcellona). E tralasciamo Manuel Estiarte, il leggendario “Maradona della pallanuoto”, diventato prima suo amico e poi suo genero (e qui, il merito è tutto della figlia Silvia). Ma la sua capacità di avere buoni rapporti non si limita ai grandi personaggi del calcio nazionale ed europeo, Marinelli ha sempre avuto ottimi rapporti con tutti: allenatori, giocatori, dirigenti di altre società. Gentile e disponibile, dai modi schietti ma pacati, l’imprenditore pescarese (opera da decenni nel settore dei farmaci e delle forniture ospedaliere) ha saputo conquistarsi la stima, e spesso l’affetto, di tutti i protagonisti di quel mondo complesso e difficile che è il calcio. Rampollo di una modesta famiglia di coltivatori diretti di Carpineto della Nora, piccolo borgo del pescarese impresiosito da una splendida abbazia medioevale dedicata a San Bartolomeo apostolo, Vincenzo Marinelli ha cominciato a lavorare giovanissimo. A vent’anni era già una figura famigliare negli studi medici abruzzesi: al mattino, prendeva la sua borsa di cuoio piena di medicinali-campione e via scarpinando su e giù per scale e marciapiedi, suonando decine di campanelli, pazientando in centinaia di sale d’attesa, persuadendo i medici, infine, con la sua parlata dal forte accento pescarese («Ne vado fiero») e con robusti argomenti professionali, le virtù dei farmaci da lui rappresentati. Riuscì così, in pochi anni, a costruirsi una solida posizione economica, tanto da essere in grado, nell’estate del 1962 di versare un milione di lire per diventare socio della società sportiva del Pescara calcio. Una bella somma, a quei tempi, per un giovane di poco più di vent’anni… «Altro che, però già guadagnavo bene all’epoca. Comunque tirai fuori volentieri quei soldi. Per me era un sogno che si avverava…» …o forse cominciava. «Be’, sì. Allora, però, non potevo immaginare che il calcio avrebbe avuto un ruolo nella mia vita ancora più grande di quello che io

speravo». Eppure, Vincenzo Marinelli non esita a riconoscere che la grande passione della sua vita, il calcio, gli è stata utile anche nella sua professione. «Perché tacerlo? Il calcio mi ha consentito di conoscere un sacco di gente importante, di diventare amico di persone che contano, gente influente, talvolta potente, ed io ne ho beneficiato». Quanti, tra i tanti che hanno tratto vantaggio dalla frequentazione del mondo calcistico, sarebbero capaci di tanta franchezza? Lui lo è. Non solo: Marinelli non esita a raccontare un aneddoto che conferma e sottolinea la sua leale ammissione. «Io ho conosciuto e sono diventato amico, tra i tanti, di Giampiero Boniperti, il grande attaccante ed ex presidente della Juve. Ebbene, tanti anni fa ero interessato ad acquisire la rappresentanza di una grande multinazionale dell’industria farmaceutica. Così andai a Milano per un colloquio. Mi ricevette il capo del personale. Andammo fuori a pranzo, passeggiammo, tornammo nel suo ufficio, continuammo a chiacchierare, ma di tutto si parlava fuorché di lavoro. Allora presi coraggio e dissi: “Scusi, ingegnere, io dovrei riprendere l’aereo per Pescara. Il colloquio…”. Non mi fece finire: “Ma quale colloquio, non c’è bisogno di nessun colloquio. Ieri sera mi ha telefonato Boniperti e non la finiva più di tessermi le sue lodi e convincermi che ci mettevamo in buone mani. Perciò adesso andiamo su e firmiamo il contratto”. Ecco, io queste cose non le nascondo». 1962 – 2012: cinquant’anni nel mondo del calcio, e sempre ai massimi livelli. Non so se se ce ne sono altri, in Italia, a poter vantare una tale longeva e ancora vitalissima presenza. «In questo momento non saprei dire, non mi viene in mente nessuno. Ma non m’interessano i record personali, m’interessa di aver sempre operato per il bene di Pescara, del Pescara e del calcio italiano, nella massima correttezza e al massimo delle mie capacità». Lei è sicuramente il pescarese, anzi: l’abruzzese, più noto nel mondo del calcio locale, nazionale e internazionale… «No, adesso c’è Verratti. Nel Paris Saint Germani ha una grandissima visibilità a livello europeo. E se lo merita perché non è solo un grandissimo talento ma è anche un ragazzo intelligente e serio».

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Peccato che le società italiane, non diciamo il Pescara, ma quelle più grandi, se lo siano lasciato sfuggire… «Cosa vuole, il nostro calcio vive un momento difficile, inutile negarlo. Anzi, io dico una cosa: mi dispiace che Verratti non sia rimasto in Italia, però la sua andata via è anche il segno che le società italiane hanno cominciato a fare seriamente i conti. Il cosiddetto fair play finanziario è una cosa seria, un passaggio obbligato per risanare tante situazioni difficili che se si fossero prolungate avrebbero creato problemi davvero molto pesanti. Tra l’altro, questa sorta di austerity del campionato italiano ha già avuto una conseguenza positiva: il lancio di tanti giovani e giovanissimi in prima squadra. E questo non può che far bene al futuro del nostro calcio». Comunque, Verratti a parte, lei è ormai un dirigente di lungo corso della Lega Calcio, da anni team manager della nazionale italiana Under 21, è stato presidente Pescara dal 1980 al 1986, dopo esserne stato per vent’anni, dal quel lontano 1962, socio e dirigente responsabile del settore tecnico. Un curriculum straordinario… «La ringrazio…» … che farebbe di lei il presidente ideale della società biancazzurra. «Ma no, Sebastiani è un ottimo presidente. Non esistono presidenti ideali». Ma la scorsa estate si è parlato di un suo possibile rientro in società, e certo non come semplice socio. «I tempi non erano e non sono tuttora maturi, per i miei impegni calcistici e per motivi personali» O, forse, le difficoltà che i biancazzurri stanno incontrando nel massimo campionato l’hanno un po’ demotivato? «Be’, questa è una piccola cattiveria. Tutta la mia storia sta lì a dimostrare che non ho mai fatto questo tipo di calcoli. Dimentica, forse, che sono stato ai vertici del Pescara, da dirigente e da presidente, per venticinque anni? E non sono mica state tutte annate trionfali per i biancazzurri. Anzi. Nei primi anni Settanta eravamo in quarta serie…».

E lei chiamò Tom Rosati che in due stagioni riportò il Pescara in serie B. «Appunto». E dieci anni dopo, nel campionato 1982-83, con il Pescara in serie C, lei richiamò di nuovo Rosati… «Che ci riportò in B. Insomma, come vede, non si può di certo dire che io sono rimasto nel Pescara solo quando le cose andavano bene. Non sono il tipo che molla o che scappa davanti alle difficoltà». Questo glielo riconoscono tutti. «Meno male». Ma è vero che lei voleva Ferrara come allenatore del Pescara? «Ferrara ha tutta la mia stima, così come Stroppa. Ma che c’entro io con la scelta dell’allenatore? Io oggi sono un semplice tifoso del Pescara e la mia opinione, nel caso la esprimessi, è l’opinione di un tifoso che vuole bene alla squadra. Del resto, lo ripeto, Sebastiani ha dimostrato di saper fare benissimo il presidente e di sapersi circondare di validi collaboratori». Senta, lo confessi: lei c’ha provato anche con Pep Guardiola… «A fare cosa?». A convincerlo a passare il suo anno “sabbatico” a Pescara. «La mia casa è sempre aperta per un grande amico e un grande allenatore come Guardiola». Non faccia finta di non capire… «Ma insomma, secondo lei io andavo a proporre all’ex allenatore del Barcellona di allenare il Pescara?». Sì. «Magari gratis». Proprio gratis no. Comunque lei c’ha provato. «Chi lo dice?». Qualcuno molto ben informato. «Allora perché me lo chiede? Un giornalista deve fidarsi delle persone molto bene informate. O no?». Claudio Carella

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Ciro Immobile / Marco Verratti / Lorenzo I

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o Insigne

Un, due, tre stelle Erano tre amici in biancazzurro e davano spettacolo all’Adriatico. Si ritroveranno in azzurro per il gran carnevale dei Mondiali di Rio? di Antonio De Leonardis

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l calcio li ha messi insieme e li ha divisi in fretta, difficilmente cancellerà un’amicizia fatta di sogni e di trionfi, di gol e di prodezze ma anche di scherzi, risate, complicità nel corso di un anno vissuto meravigliosamente, non solo in mezzo al campo. I tre ragazzi nel pallone che hanno scritto una delle pagine più belle della storia del calcio pescarese sono Marco, Lorenzo e Ciro, ovvero Verratti, Insigne e Immobile. Poco più di 60 anni in tre, la meglio gioventù di una squadra da favola che dal biancoazzurro hanno spiccato il volo verso platee più importanti e un futuro che si preannuncia particolarmente radioso. Due piccoletti e un “gigante”, la classe di Verratti, il genio di Insigne, la potenza di Immobile, una miscela esplosiva, da fuochi di artificio, che presto si potrebbe anche ricomporre, magari in azzurro, magari in Brasile quando l’Italia di Prandelli sarà impegnata nel mondiale. I primi passi in questa direzione, del resto, li hanno già fatti tra Nazionale e Under 21, probabilmente è la promessa che si son fatta al momento dei saluti e che hanno ribadito in uno dei tanti sms che continuano a scambiarsi tra Parigi, Napoli e Genova.“Sì - conferma Immobileci sentiamo spesso, la lontananza non incrina un rapporto solido di amicizia e di reciproca stima. Marco è un fuoriclasse e ci ha messo poco a dimostrarlo trovando subito posto e considerazione in una delle squadre più forti d’Europa, Lorenzo è sulla sua strada visto che è entrato in fretta nel cuore dei tifosi del Napoli, conquistando la fiducia del suo allenatore. Stanno ottenendo quello che meritano ed è ovvio che sono contento per tutti e due”. “Ma sta facendo benissimo pure Ciro - spiega Insigne- e vedrete che farà valere in pieno le sue grandi doti di goleador anche in serie A”. Immobile di gol col Pescara ne ha segnati 28, sfruttando al massimo le sue qualità ma anche la straordinaria intesa raggiunta con i suoi due speciali compagni d’avventura. Questione di feeling e di qualità, andando anche oltre gli schemi, il lavoro e le scelte di Zeman, il loro indiscusso maestro:“Ci ha dato tantissimo -dicono in coro- sicuramente ha segnato un svolta nella nostra carriera e non finiremo mai di essergliene grati. non solo noi ma anche tutti gli altri protagonisti della splendida cavalcata che ha portato il Pescara in serie A. Il segreto, più che nelle qualità di ognuno di noi era nella testa che ci ha portati a giocare di squadra e per la squadra prima che per noi stessi”. Belli, giovani e spensierati, la voglia di divertirsi per azzerare stress e tensioni, una serenità condivisa anche fuori dal campo che probabilmente ha dato ad ognuno anche qualcosa in più al momento di affrontare i problemi e le insidie della partita. Tre fenomeni per i tifosi, dal loro punto di vista semplicemente tre amici, tre bravi ragazzi:“E’ vero - spiegano Insigne e Immobile -questo rapporto di stima che ci unisce va al di là di quello che possiamo valere come calciatori, certo ci ha aiutati anche per esprimerci al massimo delle nostre possibilità”. Sì, o meglio, oui, potrebbe confermare Verratti da Parigi: in tre “c’est plus facile...”

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Germano Mazzocchetti

Volevo Strehler Lanciato da Antonio Calenda, ha scritto musica per per i più grandi nomi del teatro italiano, da Gassman a Mauri, da Squarzina a Pagliaro a Mauri. Ma il pluripremiato compositore abruzzese ha un rammarico: non aver mai lavorato con il grande regista milanese

di Francesco Di Vincenzo Foto Claudio Carella

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abbè, diciamo che duettare con Umberto Eco un passaggio del Don Giovanni di Mozart durante l’esame di semiotica poteva capitare a chiunque fosse stato studente del Dams a Bologna nei primissimi anni ’70. Diciamolo. Ma intanto è capitato a lui, all’allora ventenne Germano Mazzocchetti da Città Sant’Angelo, simulare voce da basso per cantare («Canticchiare», precisa lui) con il già famoso docente quei tre versi con i quali il Commendatore, nella terrifica penultima scena del secondo atto, blocca Leporello comandato da Don Giovanni ad apprestare la più surreale delle cene:“Ferma un po’! / Non si pasce di cibo mortale / chi si pasce di cibo celeste”. Del resto, quanti tra gli stu-

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denti del Dams sarebbero stati in grado di discettare sul motivo per cui Eco e il suo bravo allievo s’erano soffermati su quel breve passaggio del capolavoro mozartiano? «Quella frase musicale è considerata il primo esempio di musica dodecafonica, scritta da Mozart ben più di un secolo prima che il suo connazionale Arnold Schönberg ne teorizzasse i principi». Insomma, il giovane Mazzocchetti , figlio di un dipendente del Tribunale di Pescara e di una insegnante elementare, si trovò come un cicio nel neonato Dams. La sua passione e la sua cultura musicali ebbero di che nutrirsi ed affinarsi con docenti come Franco Donatoni, Mario Bortolotto, Aldo Clementi, Luigi Rogno-


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ni, Roberto Leydi (con quest’ultimo si laureò, con una tesi su “Continuità e presenza del blues nella musica afroamericana”). «Mi sono iscritto nel 1971, l’anno dopo la costituzione del Dams. L’anno accademico 1970-71 ebbe un carattere sperimentale, i corsi iniziarono ufficialmente l’anno in cui io arrivai a Bologna». La Bologna che incubava i furori del ’77, la vitalissima città “ombelico di tutto” come la cantava Guccini, densa di personaggi eccentrici e straordinari, dalla vita culturale intensissima, ogni sera un evento, ogni sera grandi artisti. «Mi colpiva che i grossi nomi non si esibissero solo nei teatri e nei locali del centro ma anche nei quartieri. Io ricordo ancora i memorabili concerti jazz dell’Art Ensemble of Chicago in zone periferiche della città».

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l jazz, la grande passione di Mazzocchetti. «Sono decisamente un patito del jazz. Ricordo ancora con emozione la prima edizione di Pescara Jazz nel ’69 e, nel ‘73, il mare di gente del primo anno di Umbria Jazz». Il suo jazzista perferito? «È una scelta difficile ma dico Charlie Mingus». Mingus l’arrabbiato, il jazzista che amava Schönberg e Ravel, il libertario detestato dai bianchi e trattato con diffidenza dai neri perché meticcio. «Il suo uso innovativo del contrabbasso, non più suonato solo come strumento d’accompagnamento, la sua capacità di fare dell’impegno civile un elemento propulsivo per comporre musica jazz di grande complessità e assoluta qualità musicale, fanno di lui un grande musicista in senso assoluto, oltre ogni distinzione di genere». E della musica cosiddetta “alta”, “colta”, l’opera eccetera, che ne dice? Le piace? «Premesso che per me la musica è solo buona o cattiva non alta o bassa, io sono un melomane. L’opera mi piace da morire». Preferenze? «Verdi, Puccini». E Mozart? «Be’, è come dire che da appassionato di calcio mi piace Maradona. Banale, no?»

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era dell’ultima domenica dell’ultimo agosto, Teatro Comunale di Città Sant’Angelo. In programma un concerto di Germano Mazzocchetti e del suo Ensemble. La burrasca d’acqua e di vento del pomeriggio ha indotto gli organizzatori a spostare il concerto dall’ampio Giardino delle Clarisse al riparo del piccolo teatro cittadino. È così, sono solo 198 (tanti sono i posti a sedere) i fortunati che possono godersi e applaudire le splendide esecuzioni del gruppo che da anni accompagna Mazzocchetti nelle sue esibizioni dal vivo. Composizioni vecchie e nuove, tutte del maestro angolano, presente in scena con la sua amatissima fisarmonica, strumento che suonato da lui ribalta in finezza la rusticità della sua immagine. Nei brani eseguiti si colgono fraseggi colti e cantilene popolari, sonorità etniche mediterranee e cadenze da singspiel novecentesco, incursioni jazzistiche e sobrie melodie, di vena malinconica anche quando gaie. Eppure, la complessa e raffinata architettura di citazioni, echi, rinvii a linguaggi e stili musicali tanto diversi, confluisce, nei singoli brani, in esiti totalmente altri, originali, freschi, e tutti con una identità stilistica riconoscibile e forte. Gran bella musica, maestro Mazzocchetti.

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ppure, bizzarria d’un destino artistico, la “chiamata”, la scoperta della sua vocazione di musicista, per lui era precocemente arrivata, pensa un po’, nel corso della burrascosa Canzonissima del ’62 quando Dario Fo e Franca Rame furono buttati fuori dopo sette puntate per uno sketch sulle morti bianche nell’edilizia giudicato “scandaloso” dai dirigenti Rai. Ma non fu la satira impegnata del futuro premio Nobel a colpire il decenne Mazzocchetti. «Furono le musiche scritte per Fo da Fabio Carpi, il grande compositore, il musicista preferito da Strehler, a impressionarmi». All’epoca, il giovanissimo Germano studiava musica e imparava a suonare la fisarmonica con tastiera armonica (quella “a bottoni”, per intenderci). «Non avevo certo maturità di ascolto, a quell’età, ma le musiche di Carpi, così diverse e singolari nella loro composizione, mi affascinarono. Fu allora che cominciai a pensare che mi sarebbe piaciuto


fare quello che faceva lui, cioè comporre musica per la scena, fosse teatrale, televisiva o cinematografica». L’ha poi conosciuto di persona, Carpi? «Sì, nel ’91. Il critico teatrale Rodolfo Di Giammarco organizzò una serata sulle musiche di scena al teatro Parioli invitando Fiorenzo Carpi, Nicola Piovani e me. L’accostamento a quei due grandi compositori mi sembrò una consacrazione, fu come ricevere la laurea di musicista. Carpi l’ho conosciuto quella sera, e da allora ci siamo incontrati spesso fino alla sua scomparsa nel ‘97». Com’era, di persona? «Perfettamente equivalente alla sua musica: essenziale, senza fronzoli, schivo, e nello stesso tempo dotato di grande umanità e profondità di pensiero». Vittorio Gassman, Egisto Marcucci, Luigi Squarzina, Walter Pagliaro, Glauco Mauri, Beppe Navello, Vittorio Franceschi, Fabio Grossi, Massimo Venturiello, Alessandro D’Alatri, Armando Pugliese, Luca Zingaretti, Arturo Brachetti.
 È l’elenco, certamente incompleto, di uomini di teatro per cui ha scritto musiche di scena. Eppure, un nome, di sicuro, manca. Il più importante per lei, credo… «Già, Antonio Calenda. È lui che mi diede la mia prima, grande occasione, chiedendomi di scrivere alcuni brani per la “Rappresentazione della passione” con Elsa Merlini, prodotto dal Teatro Stabile dell’Aquila nel 1978». Da allora iniziò un lunghissimo sodalizio... «Che dura tutt’ora». Conoscendo un po’ Calenda, la sua profonda cultura teatrale, il suo rigore, il suo essere regista esigente e intransigente, penso che la durata e la solidità del vostro matrimonio artistico sia per lei un implicito, grande riconoscimento del suo valore di musicista… «Non sta a me dirlo, ma penso di sì. E comunque, non ho alcun dubbio che Calenda stimi il mio lavoro di musicista. Non è proprio il tipo da continuare per tanti anni una collaborazione che non lo convinca».

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el resto, non sono certo i riconoscimenti a mancare al maestro Mazzocchetti. Ha vinto i maggiori premi teatrali ita-

liani: nel 2003, 2005 e 2009 “Gli Olimpici - Oscar del Teatro” come miglior autore di musiche di scena; nel 2005 il Premio Scanno, nel 2006 il Premio Flaiano per le musiche di scena e nel 2009 il RomaFictionFest per la migliore colonna sonora. Quest’anno ha rucevuto il premio “Le maschere del teatro italiano” per le musiche dello spettacolo Le allegre comari di Windsor. Lei ha lavorato anche per il cinema, scrivendo le musiche del Viaggio della sposa di Sergio Rubini, e per la televisione, come autore delle musiche della serie “Carabinieri”… «Meno male che ho lavorato per la televisione…» Perché? «Intanto è stata un’esperienza professionale molto interessante. E poi, grazie alle repliche, ho tirato su qualche euro in più del solito. Sa, con il teatro non è che si guadagni granché. È un po’ di anni che le repliche sono sempre di meno e con i diritti Siae non ci si arricchisce di certo». Con la tv, invece, è diventato ricco? «Ricco? Diciamo che non ho la vocazione né la capacità di diventarlo. Ma va bene così, soprattutto se mi guardo intorno». C’è un regista con il quale si rammarica di non avere avuto l’opportunità di lavorare? «Sì, Giorgio Strehler». Da quasi trent’anni lei vive stabilmente a Roma. Come si trova? «Bene. È una città incasinata ma anche vivace, ricca di eventi culturali interessanti. Da quando c’è il Parco della Musica, ogni sera c’è la possibilità di assistere a qualcosa di interessante». Lei torna spesso a Città Sant’Angelo. La trova diversa rispetto ai suoi anni giovanili? «Ovviamente». Qual è il cambiamento che più la colpisce? «Le sembrerà una stupidaggine ma mi dà malinconia vedere poche persone in giro. Io ricordo una Città Sant’Angelo, come dire, “gremita”, le strade piene di gente. Comunque, è sempre un bellissimo paese. Qui ho ancora tanti amici, mia madre, mio fratello e la sua famiglia. Torno sempre molto volentieri». Lei si è mai sposato? «No, sono single».

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Pierluigi Ledda

L’uomo dei Ricordi È tra i manager più giovani d’Italia e suo è il compito di gestire l’archivio storico musicale più grande del mondo di Elda Gattone

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ra Eminem e Pavarotti; tra l’house e l’opera lirica, tra la musica sparata a palla in discoteca e quella soffusa dei quarantacinque giri in vinile, il passo è breve. Parola di Pierluigi Ledda: non un divoratore di musica qualsiasi, ma uno degli uomini di punta della leggendaria casa discografica Ricordi. È tra i manager più giovani d’Italia e suo è il compito di gestire l’archivio storico musicale privato più importante del mondo. Ricordi, uno degli editori musicali più importanti in Italia e nel mondo, ha puntato tutto su questo ex dj, affidando a lui il compito di valorizzare quello che è considerato un patrimonio culturale dal valore inestimabile. A diciotto anni dj di tendenza, a ventotto archivista di musica classica: i due ruoli non steccano tra loro? «In verità, credo che siano due sfumature di tonalità di uno stesso colore da sempre ricorrente nella mia vita: l’amore per la musica. Già da ragazzo avevo il bisogno compulsivo, a tratti morboso, di collezionare, catalogare e conservare la mia musica in modo scrupoloso, ascoltando di tutto, esplorando generi apparentemente lontani senza discriminazioni, guidato solo dalla mia curiosità. Da Steve Reich ai Talking Heads, dal pop all’avanguardia, si tratta di ascolti solo apparentemente lontani. Posso dire di aver fatto molta strada da allora, tuttavia le attività che fagocitano tutte le mie energie non sono mutate poi molto, visto che sono passato dalla cura del mio archivio personale alla direzione di un altro archivio, ma di ben altre dimensioni e importanza. Sento la responsabilità di un tale compito e per questo mi dedico anima e corpo al mio lavoro. Faccio tutto ciò con passione e non con sacrificio, anche se non nascondo che è qualcosa di necessario quando si devono gestire documenti tanto importanti e imponenti nei numeri: cinquemila partiture, seimila foto, più di novemila libretti di opere, più di diecimila bozzetti delle scenografie e dei costumi delle prime e quindicimila lettere di musicisti e librettisti». E con la polvere come vi regolate? (Sorride vivace il suo sguardo intelligente tra l’ampia montatura corvina degli occhiali) «Capisco che sia facile fraintendere, ma attenzione: archivio storico non fa necessariamente rima con musealizzazione. I documenti storici della Ricordi, anche i più antichi, ci dicono molto dell’industria musicale odierna, di quella che oggi viene comunemente detta economia dell’entertainment, del po-

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tere contrattuale degli artisti e dello star system, di temi attuali come il diritto d’autore e la sua protezione. È per queste ragioni, ma ce ne sarebbero tante altre, che musicologi e amanti della musica in generale continuano a studiare questi documenti, ricavandone talvolta una chiave di lettura del presente. Inoltre l’Archivio sta vivendo un’importante e profonda fase di modernizzazione, indirizzata alla digitalizzazione dei documenti e all’uso efficace di internet per la sua valorizzazione. È un processo avviato nel 2006 grazie a una convenzione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali che ha permesso la pubblicazione online dei documenti di Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini sul portale di Internet Culturale. Le nuove tecnologie accorciano le distanze e permettono la fruizione dei documenti anche negli angoli più remoti del pianeta, cose impensabili fino a pochi anni fa. Questa epoca pone sfide importanti al mondo degli archivi e, più in generale, al modo in cui i contenuti, di ogni tipo, vengono letti e messi in relazione tra di loro». L’Archivio è quindi un passaggio obbligato per gli amanti della musica? «In generale, non si può amare ciò che non si conosce e non si può conoscere l’opera lirica italiana se non si visitano almeno una volta i caveau dell’Archivio Ricordi, ospitato nella Biblioteca Nazionale Braidense di Milano. Certo, si può vivere lo stesso senza aver mai avuto il piacere di imbattersi in personaggi come Rossini, Bellini, Donizetti, Paganini, Donatoni, Francesco Paolo Tosti o nei libretti di Gabriele D’Annunzio, come si può sopravvivere benissimo anche senza aver mai guardato il mare o il cielo o senza aver mai avuto il piacere di assaggiare quello che sarebbe potuto diventare il nostro piatto preferito: ma è davvero vita questa? La Tosca, per esempio, è per i sensi un’esperienza totalizzante, delicata e allo stesso tempo intensissima, qualcosa che tutti dovrebbero provare una volta nella vita! Dalle lettere che abbiamo in archivio, si comprende che un Puccini non solo compositore ma anche regista delle sue opere, la volle così: con un protagonista che muore ricordando un momento tenero, dolce, non eroico, ma vero, quale può essere la vista della donna amata e con sulle labbra un solo grido: “muoio disperato!” Le partiture originali di questo grande compositore, che divenne alla morte di Verdi, l’uomo di punta di quella che per più di due secoli fu la casa editoriale più potente d’Italia, sono per noi una fi-


nestra spalancata sulla mente dell’artista lucchese». A tal proposito, ci racconti qualche segreto su Puccini? «Ormai di segreti ne sono rimasti ben pochi viste le tante biografie scritte su Puccini. Il suo privato è stato ampiamente eviscerato, spesso e volentieri alla ricerca del sensazionalismo e del pettegolezzo. Quello che posso dire su Puccini è che era una persona profondamente innamorata della vita e un artista vero, un innovatore. Se penso ai documenti custoditi in archivio, mi vengono subito in mente le foto che era solito spedire a Giulio Ricordi, per vantarsi dell’ultimo viaggio o per ostentare l’ultima auto acquistata, il nostro era un amante dei motori. Sono testimonianze di un uomo che sapeva apprezzare le cose belle ma, soprattutto, di un rapporto editore-artista che andava ben oltre la sfera puramente commerciale. Sulla genialità di Puccini non ci sono dubbi ma è altrettanto vero che non sarebbe diventato il compositore universalmente noto se non avesse avuto a guidarlo e a sostenerlo, anche economicamente, un imprenditore geniale come Giulio Ricordi. Più che un impresario fu per lui un padre putativo. Giulio era a sua volta il nipote dell’uomo che contribuì più di ogni altro nell’Ottocento a introdurre il concetto di “diritto d’autore” nell’editoria musicale italiana. Con Giovanni nasce la figura di editore-impresario. Prima di lui i compositori percepivano solo e unicamente un forfait dagli impresari teatrali alla consegna della musica, erano quindi obbligati a produrre molto per avere rendite costanti. Ricordi invece iniziò a corrispondere ai propri autori una percentuale sui noleggi dell’opera, garantendo rendite costanti nel tempo e tutelando i compositori dalla pirateria che già nell’Ottocento era un fenomeno assai diffuso. Questa è solo una delle geniali intuizioni imprenditoriali che hanno permesso alla famiglia Ricordi di restare sulla cresta dell’onda per oltre due secoli, trasformandosi da semplici copisti in multinazionale dell’editoria musicale con sedi in tutto il mondo. Negli anni Ricordi ha acquistato i cataloghi degli editori minori, ampliando il proprio catalogo e con esso lo sfruttamento editoriale delle musiche, noleggiando le grandi opere ai teatri di tutto il mondo e gettando le basi del mercato musicale di oggi. Ciò che resta a noi oggi è questo imponente archivio musicale, un tempo magazzino funzionale dell’azienda Ricordi, oggi appartenente al colosso societario tedesco Bertelsmann». Parli di creatività e spirito imprenditoriale. Ma arte ed economia non viaggiavano su due binari paralleli? «Certo che no! E attenzione, non è un fenomeno del nostro tempo, è sempre stato così. Non lo dico da ex-bocconiano, ma da operatore del settore culturale. L’arte ha sempre avuto bisogno di avere alle spalle un soggetto economico e organizzativo che le consentisse di arrivare al più vasto pubblico possibile. Ormai il mito romantico dell’artista è morto. Gli artisti, soprattutto quelli alle prime armi, devono essere manager di se stessi, devono saper vendere il proprio “prodotto”. L’aveva capito bene Andy Warhol che nella New York degli anni ’50 e ’60 presenziava i migliori party per poter promuovere la sua arte. Tuttavia, anche il miglior imprenditore e il più generoso degli investimenti in un prodotto artistico non può garantirne il successo. Un brutto film, anche supportato da ingenti campagne promozionali, rimarrà sempre un brutto film. Qualità artistica e imprenditorialità culturale vanno quindi a braccetto, sono facce della stessa medaglia». Qual è il pubblico dell’Archivio Ricordi?

«In prima battuta direi gli appassionati di musica classica e in particolare di opera lirica. Più in generale tutti gli amanti della musica e chiunque voglia approfondire un capitolo fondamentale della cultura italiana. L’Archivio ospita studiosi che vengono appositamente da ogni parte del mondo, dalla Cina come dall’America, per prendere contatto con i pezzi storici del nostro archivio. Spesso inoltre, concediamo alcuni oggetti in prestito per diverse mostre, come ad esempio “Bohemes”,mostra che si terrà a Parigi a settembre sul tema della vita bohémien, e che sicuramente non sarebbe stata la stessa senza il materiale legato alla Bohème di Giacomo Puccini. Inoltre ci sono anche artisti di altri campi, come quello cinematografico o pittorico, che hanno bisogno delle lettere di autori e librettisti e dei bozzetti originali delle scenografie originali, per documentarsi e portare a compimento le proprie creazioni. L’Archivio è un’entità trasversale che tocca, oltre ovviamente alla musica, molti campi della creatività: la grafica, la fotografia, l’arte della scenografia e della costumistica teatrale, la regia, l’illuminotecnica. Aggiungo a questo che molti giovani compositori e musicologi che muovono i primi passi nei rispettivi ambiti si prenotano ogni giorno per visionare le nostre partiture, guidati dalla regola immortale per cui per innovare il presente con intelligenza bisogna prima di tutto conoscere il proprio passato». Quanto è cambiata la vita del giovane dj che dopo la maturità classica, lascia Chieti per andare a studiare a Milano? «Moltissimo. I ritmi e le responsabilità sono molto diversi da allora. Tuttavia, la continua ricerca del nuovo, la voglia di viaggiare e la curiosità sono elementi del mio modo di essere che non mi abbandoneranno mai, così come la musica resterà sempre il mio rifugio personalissimo, di tutte le forme di evasione è sicuramente quella che più ha segnato la mia vita, sia personale che professionale».

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Power Francers

Tutto rap, tattoo e mamma A lei è dedicato il rap dei tre ragazzi di Guardiagrele che fanno ballare tutta Italia con la loro canzone sui bamboccioni di Elda Gattone

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a mamma, si sa, è sempre la mamma: ci ama e ci conosce meglio di chiunque altro e, le parole con le quali ci ha cresciuti, rimbomberanno nella nostra testa e guideranno, direttamente o indirettamente, le nostre scelte per tutta la vita. Forse è per questo che è così difficile, specialmente per noi italiani, lasciare il nido e volare verso una casa propria e forse, è sempre questa la ragione per la quale spesso veniamo additati con l’appellativo di “bamboccioni”. Ma ci meritiamo sul serio di essere messi alla berlina così? Per saperlo non potevamo che chiederlo ai tre ventenni di Guardiagrele che con la loro Mamma, canzone vincitrice morale dello scorso Sanremo Social e scelta come sigla dal programma di Italia Uno, Mammoni, stanno facendo ballare fiumi di adolescenti, ma anche adulti, nelle discoteche di tutta Italia: i Power Francers, ovvero Davide “Pacchiani” Di Martino, Antonio “Goldentrash” Pelusio e Caterina “Katerfrancers” Di Sciascio. Ciò che loro ignorano però, è che per avere un confronto diretto con le loro risposte intervisteremo, a porte chiuse, anche le loro mamme, rispettivamente Maria, Nadia e Assunta… Power Francers: perchè una canzone sulla mamma? Caterina: «Perchè, come ci ha detto anche Morandi a Sanremo, parlare della mamma in una canzone porta sempre bene! (ride, ndr). In verità era difficile non parlare di loro, visto che sono onnipresenti nella nostra vita. Mia madre, per esempio, mi telefona spessissimo per sapere come sto ed è curiosissima: non appena mi vede connessa su facebook inizia con l’interrogatorio:“Com’è Enrico Ruggeri dal vivo? E Jovanotti? Cosa vi ha detto Arisa?” e via così per ore!» Antonio: «La nostra canzone è diventata il simbolo dei giovani “mammoni”, ma in realtà, è ispirata alla figura della “mamma chioccia” che, come mia madre crede ancora nella droga nel bicchiere. Mamma è nata durante il viaggio di ritorno da Campovolo: noi eravamo andati per aprire il concerto di Ligabue ed in quella occasione ci hanno accompagnato tutte e tre le nostre mamme: è stata una raccomandazione continua!» E le mamme, cosa pensano del fatto che da un viaggio con i

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propri figli è nata una canzone ispirata a loro? Risponde Assunta: «Ne siamo contente e lusingate, anche se, a dir la verità, per me il concerto di Campovolo simboleggia il momento in cui ho smesso di sentirmi in colpa con mia figlia. Fino ad allora mi rimproveravo continuamente di aver trasmesso io a Caterina la passione per il canto, riempiendogli l’infanzia con i musical di Gene Kelly, Fred Astaire o John Travolta… Poi però, quando sono arrivata in questo enorme aereoporto dismesso ed ho visto più di centomila persone che con le mani al cielo ballavano e cantavano a memoria i versi di Pompo nelle casse con lo sguardo rivolto verso i nostri tre ragazzi che, da un palco lungo quasi ottanta metri, parlavano con il pubblico con la stessa naturalezza con cui si scambiano battute nel salotto di casa, mi sono commossa ed ho capito che potevo anche smettere di prendermela con me stessa». Power Francers, a proposito di Pompo nelle casse: questa canzone con 8.500.000 di visualizzazioni su Youtube vi ha fatto conoscere al grande pubblico. Come vi spiegate tanto successo? Davide, riflessivo: «Forse perchè in Italia prima di noi, nessuno era mai riuscito a portare il rap sui ritmi dance: qualcuno aveva provato ad inserire qualche rapper in un pezzo elettronico, altri invece, avevano provato ad utilizzare una strumentale elettronica su un pezzo rap, ma senza crederci mai veramente. Noi, stanchi del solito rap, abbiamo provato ad inventare, quasi per gioco, un genere nuovo e lo abbiamo portato in giro per le discoteche dove suonavamo. Fino a quando, ad un party a Pavia, qualcuno ha deciso di fare un collage delle nostre esibizioni con Pompo nelle casse come colonna sonora e di metterlo su internet: ci sono state migliaia di visualizzazioni in pochi minuti, così i dj di tutta Italia hanno iniziato a conoscerla con il passaparola ed a utilizzarla per le loro serate. Dopo poco abbiamo deciso di fare un video ufficiale con un’etichetta vera e di pubblicarlo su Youtube: da lì, il pezzo è esploso». Antonio, frizzante come


• I Power Francers, al secolo Davide Di Martino, Caterina Di Sciascio e Antonio Pelusio.

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• Nadia, Maria e Assunta, le mamme dei Power Francers.

sempre: «Tutto è successo davvero per caso. D’altronde anche oggi le cose per noi seguono il loro corso spontaneo: le nostre canzoni per esempio, nascono da situazioni, immagini, momenti che ci ispirano senza che noi le cerchiamo o le vogliamo». Mamme: è davvero così? Assunta: «Nessuna costruzione, loro scrivono cose che comunemente dicono a casa, come per esempio la frase che è piaciuta talmente tanto a Stefano Gabbana da pubblicarla sul suo twitter:”Meglio morta sui tacchi, che viva in ballerine!” e che è diventata il ritornello di una loro canzone, è una litania che Caterina ripete ogni volta che le propongo di provare un paio di ballerine, scarpe che io invece adoro». Nadia interviene zelante:«Che Antonio non sia spontaneo in tutto quello che dice e pensa la trovo una cosa impossibile. A volte mi chiedono se è così anche lontano dalle telecamere: ma certo che sì! Fin da piccolino amava i tatuaggi, la barba lunga e ci costringeva a comprargli jeans di dieci taglie superiori alla sua». Puntualizza Assunta: «Anche Caterina da bambina era com’è adesso: odiava i vestitini e crescendo, ha iniziato a mettere i pantaloni del padre. Vizio che gli è rimasto a dir la verità, anche perchè ha la grande abilità di riciclare i nostri vestiti vecchi e di indossarli in un modo da farli apparire sempre all’ultimo grido». Non avete paura che la notorietà li cambi? Risponde pacata, ma decisa, Maria: «A volte quando li vedo in televisione o li ascolto alla radio, mi pongo questa domanda, ma la risposta è sempre negativa. I nostri sono e resteranno sempre, ragazzi semplici, legati da un’amicizia vera che li tiene uniti 24 ore su 24 tutti i giorni, da più di dieci anni ormai. Non sono certo tipi che si montano la testa: basti pensare che Davide, nonostante il contratto con una delle case discografiche più importanti d’Italia, fino a pochi mesi fa, finita una serata ripartiva subito per casa e, senza dormire neanche un minuto, andava ad aprire il bar nel quale lavorava solo per tenere fede all’impegno preso con il titolare che non avrebbe saputo con chi sostituirlo». Nadia: «Li conosco troppo bene per preoccuparmi: erano e sono i migliori amici di tutti. E forse, è proprio la loro genuinità che fa in modo che siano i mostri sacri della musica pop a cercarli per una foto

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ricordo insieme e non il contrario. La vita di Antonio è mutata un pò, certo, ma lui non lo farà mai: mi manda ancora il messaggio del buongiorno ogni mattina, prima dell’uscita di ogni canzone ci chiede un parere e si fida ciecamente dei consigli musicali del fratello e poi, per portarci sempre tutti con sé, si è tatuato addosso il nome di ognuno di noi». Assunta: «Stessa cosa ha fatto Davide con le sorelle, Veronica e Deborah, e Caterina che si è fatta tatuare sul polso la firma della nonna Maria. A dir la verità, qualcosa per la mia famiglia è cambiato: per casa ci sono sempre in giro valigie da disfare o da preparare e centinaia di vestiti, cappellini e scarpe da tennis ammucchiati sul letto o sparsi qua e là. Per il resto, quando chiedo a Caterina delucidazioni sugli ambienti che frequenta, la sua risposta è sempre la stessa: ”Mamma, stai tranquilla: drogarsi significa solo appartenere ad una massa di antichi e cominciare a farlo è da stupidi”. Spesso inoltre, mi chiedono se sono preoccupata per il loro futuro, ma io credo di parlare a nome anche di Maria e Nadia nel dire che a noi non importa se questo momento di fama continuerà, l’unica cosa che conta è che i nostri ragazzi siano sereni e felici come lo sono oggi». Power Francers: voi cosa vi aspettate dal futuro? Antonio, vulcanico: «Il doppio dei tatuaggi che ho ora». Caterina: «Chissà, ci piacerebbe lavorare in radio, anche se quelli che ci criticano perchè non facciamo musica impegnata, risponderebbero che non ce lo meritiamo. In verità, non capiscono che la nostra spensieratezza è una scelta che si rivolge a coloro che hanno voglia di distrarsi e rilassarsi in modo pieno e sano. D’altronde, ha ragione il nostro “zio”, Luca De Gennaro (responsabile del dipartimento Talent&Music di MTV): “fare una canzone banale è facile, ma scriverne una semplice non lo è affatto”.Tuttavia, noi cerchiamo di non rovinarci il presente con martellanti domande sul futuro, che senso avrebbe?» Davide: «In fondo, nessuno sa cosa gli riserverà il futuro. Perchè, tu sì?» Alzo gli occhi al cielo, mi fermo per un istante e penso che a guardare in profondità hanno ragione loro: l’importante è scegliere il proprio presente perchè il futuro è troppo fragile ed incerto per permettergli di influenzare totalmente la nostra vita.


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Sangritana

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Una ferrovia per tutti Il ripristino della rete storica della Sangritana e l’evoluzione verso sistemi ecosostenibili al centro del progetto di riqualificazione dei centri urbani

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entotto Comuni, (dalla costa adriatica fino a Castel di Sangro), tre Province (quelle di L’Aquila, Chieti ed Isernia) e l’Ater di Lanciano hanno accolto l’invito rivolto dalla Ferrovia Adriatico Sangritana a condividere un progetto di riqualificazione e valorizzazione dei territori attraversati dai binari della F.A.S.. Il progetto è stato presentato alla stampa dal Presidente della F.A.S., Pasquale Di Nardo, dai Sindaci e dagli amministratori degli altri Enti che hanno aderito all’iniziativa. Tra questi, in particolare, il Presidente della Provincia di Chieti, Enrico Di Giuseppantonio, l’Assessore Florindo Di Lucente, in rappresentanza della Provincia di Isernia, il Commissario dell’Ater di Lanciano, Tobia Monaco ed infine, non per importanza, il Presidente del Consiglio della Regione Abruzzo, Nazario Pagano. Il progetto promosso dalla Sangritana ed accolto con favore

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• Nelle pagine precedenti: la rete ferroviaria della Sangritana. Qui sopra un treno della Sangritana. In basso il presidente della Sangritana Pasquale Di Nardo con l’Assessore regionale ai trasporti Giandomenico Morra (a destra) e il presidente commissione Trasporti al Senato Luigi Grillo; la Sevel di Atessa.

dai numerosi Enti rappresenta, già di per sé, un risultato unico, soprattutto di questi tempi, in cui la difesa del campanile sembra prevalere su una visione d’insieme più ampia e capace di favorire lo sviluppo del territorio. «Il dialogo tra gli Enti ha prevalso, andando anche oltre i colori della politica, nell’interesse esclusivo della crescita delle diverse realtà sociali», ha precisato il presidente della Sangritana, Pasquale Di Nardo. Gli ha fatto eco il Presidente del Consiglio della Regione Abruzzo, Nazario Pagano, il quale ha messo in evidenza che «si tratta di un progetto immediatamente cantierabile e che ha grandi chance di essere approvato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La Ferrovia Adriatico Sangritana –ha proseguito Pagano– è riuscita a mettere in rete realtà diverse, territori di tre Province e due Regioni, che hanno concorso insieme con una strategia ed una mission comuni. Solo così i territori diventano competitivi». Ma di che cosa si tratta? Nell’ambito del Decreto per lo Sviluppo, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha predisposto il Piano Nazionale delle Città. Le comunità locali sono state invitate a proporre programmi per riqualificare il territorio e migliorarne la vivibilità. Come? Attraverso la realizzazione di nuove infrastrutture, costruzione

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di parcheggi, alloggi e scuole. Insomma, con l’ausilio di quegli interventi tesi a migliorare la qualità urbana ed ambientale, rendendo anche più efficiente il trasporto urbano e garantendo la sicurezza della viabilità. Tutto questo anche per ridurre lo spopolamento delle aree interne, (dove si cerca anche di favorire il turismo) e migliorando le infrastrutture nelle aree industriali, (dove si tende, di contro, ad aumentare il grado di competitività delle realtà produttive). Nello specifico, il progetto di riqualificazione proposto dalla F.A.S. viene ad interessare il territorio dei Comuni attraversati dai binari della Sangritana che, per quasi un secolo, ha collegato le aree interne del Sangro-Aventino alla costa adriatica. Infatti la linea ferroviaria della Sangritana parte dai Comuni costieri di Fossacesia, San Vito Chietino ed Ortona per raggiungere il comune di Castel di Sangro, a sua volta collegato, tramite Rete Ferroviaria Italiana (RFI) alle principali realtà produttive ed urbane della dorsale tirrenica, quali Napoli, Salerno, Roma e Civitavecchia. Castel di Sangro diviene, così, la “porta di accesso” naturale del traffico ferroviario dall’Adriatico al Tirreno. Nel corso degli anni, il trasporto su ferro ha ceduto il passo a quello su gomma. Oggi, alla luce dei gravi problemi d’inquinamento causato dall’emissione di CO2, appare quanto mai opportuna la possibilità di recuperare e potenziare la tratta storica della Ferrovia


• In queste foto i convogli destinati al traffico merci; in basso a destra il convegno sui trasporti all’auditorium Diocleziano di Lanciano con Giandomenico Morra, Pasquale Di Nardo, il presidente della Regione Gianni Chiodi e Luigi Grillo.

Adriatico Sangritana, progettata e realizzata 100 anni fa, lo ricordiamo, proprio per collegare l’Adriatico al Tirreno. Il trasporto ferroviario è stato rivalutato anche dalle aziende della Val di Sangro, dove si produce il Pil più importante dell’intero Abruzzo per la presenza anche di multinazionali come Sevel e Honda. È proprio qui che la Sangritana ha un importante snodo ferroviario, quello di Saletti, prospiciente lo stabilimento dove si producono i Ducato che l’azienda della Regione Abruzzo trasporta verso il confine francese. Da tempo i piani di sviluppo della Sangritana guardano oltre i confini regionali, ma il C.d.A. presieduto da Pasquale Di Nardo intende ripristinare la rete sociale da impiegare, nelle aree di maggiore densità abitativa, (è il caso della tratta San Vito-Castel Frentano), con mezzi leggeri ed ecosostenibili, come il tram treno. Un progetto, questo, che favorisce, in particolare, la mobilità interna verso la costa dei pendolari, siano essi studenti, lavoratori o turisti. La tratta storica San Vito-Castel Frentano attraversa le zone maggiormente urbanizzate dei comuni di San Vito Chietino, Treglio, Lanciano, Castel Frentano e diversi punti d’interesse pubblico e sociale, interessando un bacino di utenza pari a più di 47.500 residenti. Proprio questo progetto del Tram treno è stato selezionato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per essere presentato dal Presidente della F.A.S., Pasquale Di Nardo, durante i lavori del V Convegno Nazionale

Sistema Tram in programma a Roma, nella sede del Ministero, per il prossimo mese di gennaio. L’esercizio ferroviario trasformato in tranviario contribuirà al miglioramento dell’arredo urbano e del verde pubblico. Nell’area della stazione storica di Lanciano, ad esempio, in un contesto di riqualificazione del Parco del Mancino, il vecchio deposito-officina lascerà il posto al “museo del treno”, dove avrà sede anche l’archivio storico della Ferrovia Adriatico Sangritana, (già sotto vincolo del Ministero per i Beni Culturali), ed una sala conferenze polivalente. La vicinanza di altre strutture comunali di carattere culturale, (biblioteca “R.Liberatore” ed il Polo Museale di S.Spirito), creerà, di fatto, un polo culturale nel cuore della città di Lanciano. Tutte queste aree d’intervento sono legate da un filo conduttore: la Ferrovia Adriatico Sangritana che continua a rappresentare una risorsa per il territorio. 100 anni fa, come oggi, l’obiettivo è lo stesso: favorire lo sviluppo complessivo del territorio. Diventa indispensabile, però, dotare le aree interessate d’infrastrutture adeguate che da un lato devono stimolare lo sviluppo e dall’altro arginare lo spopolamento delle aree interne. Elementi, questi, che fanno da volano a qualsiasi attività produttiva, commerciale o di servizi. In altre parole un’opportunità che di questi tempi… va colta.

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Enrico Marramiero e Paolo Primavera

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L’unione, impresa del futuro

Le Confindustrie di Chieti e Pescara accorpano i loro servizi per fornire una risposta concreta alle esigenze del tessuto imprenditoriale. In barba ai campanilismi Testo e foto di Claudio Carella

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quello che si chiama un momento di grande confusione: economico, politico e istituzionale. Per cercare le soluzioni si procede a tentoni e le risposte sono anch’esse nebulose. Unico copione sembra essere quello di scaricare su altri costi o responsabilità. Atteggiamento diverso è stato quello delle Confindustrie di Chieti e Pescara, che hanno cercato soluzioni tenendo conto esclusivamente delle esigenze collettive. Superati a pié pari gli antichi e sciocchi campanilismi, hanno imboccato la strada verso l’unificazione delle loro strutture, nell’ottica di fornire migliori servizi e costi più bassi ai loro associati. È un segnale importante non solo per l’utilità che ne avranno le aziende interessate ma soprattutto, forse, per evidenziare che in certi momenti la crisi va gestita, non subita. In quest’intervista i due presidenti di Confindustria Chieti e Pescara, Paolo Primavera e Enrico Marramiero, spiegano il loro progetto, rispondendo con una sola voce. E non poteva che essere così, visti gli obiettivi della loro iniziativa. La fusione delle province di Chieti e Pescara sta creando non poche contestazioni, prima fra tutte quella legata alla sede del nuovo Ente. Voi come avete risolto il dilemma?

«Non ci siamo neanche posti il problema, che poi è un falso problema: anche per le Province, che con questa riforma sono state sostanzialmente svuotate di contenuti e funzioni. Alcuni settori anche importanti sono rimasti di loro competenza: l’ecologia, i trasporti, l’edilizia scolastica. Ma altri non meno essenziali come il lavoro, i centri per l’impiego, i servizi sociali, l’acqua e l’energia, gli sono stati sottratti. Un modo diverso, sano di agire sarebbe stato quello di organizzarsi, unirsi, dando dimostrazione di efficienza. Dispiace vedere che le Province abbiano perso l’occasione per disegnarsi un ruolo, ad esempio per offrire servizi ai Comuni inferiori ai 5mila abitanti, che spesso non hanno i mezzi per soddisfare le esigenze dei cittadini; ma anche nel settore dell’acqua e dell’energia, che spesso hanno reti interprovinciali. Si deve andare decisamente verso una sburocratizzazione che è tesa a migliorare l’efficienza del sistema e a fornire migliori servizi ai cittadini; quindi bisogna tornare a capire a cosa servivano le Province e non a pensare alle sedi: è questa la vera sfida da affrontare e da vincere. Dispiace invece assistere all’ennesima occasione persa, quella di conferire una veste istituzionale all’area metropolitana Chieti-Pescara».

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Èd è in quest’ottica che avete avviato il processo di unificazione delle due Associazioni? «Sì: un processo di aggregazione che si basa su una logica industriale, quella di offrire migliori servizi ad un costo più basso. Seguiranno poi diverse fasi per arrivare infine all’ultimo dei problemi da risolvere, quello della sede, che verrà collocata nel luogo meglio accessibile da tutte le nostre imprese: se si troverà a Chieti, a Pescara, a Spoltore o San Giovanni Teatino questo ha francamente ben poca importanza». Il provincialismo sembra essere un male endemico della regione. La vostra iniziativa sarà più utile sul piano della concretezza o su quello culturale? «Ci auguriamo che lo sia su entrambi. L’abbiamo fatto perché crediamo che innanzitutto sia nostro dovere andare incontro alle esigenze dei nostri associati; e senz’altro vuol essere un messaggio alla politica, perché superi le rivalità e si concentri sui problemi reali della regione». L’area metropolitana Chieti-Pescara costituisce circa il 65/70% dell’economia regionale. Ma i problemi non mancano… «La situazione è fortemente negativa sul piano della produzione industriale e ancor più drammatica dal punto di vista occupazionale. C’è senz’altro bisogno di una svolta. Stiamo assistendo all’abbandono del nostro territorio delle multinazionali perché queste grandi aziende investono dove possono spendere meno, e ormai la nostra area non presenta più caratteristiche in questo senso appetibili. Abbiamo un costo dell’energia superiore del 30% rispetto ad altri Paesi, il sistema burocratico è ancora poco snello, e ci sono altri problemi che hanno messo in crisi questo modello e spingono verso una risposta di altro genere. Secondo noi c’è bisogno di unirsi, e per questo spingiamo molto sulle reti d’impresa e sui Poli d’Innovazione che possono offrire alla piccola impresa la possibilità di lavorare in sinergia con altre (ancor meglio se grandi) su innovazione e internazionalizzazione: le due grandi sfide dell’Abruzzo». Puntare sull’innovazione, sulla capacità di comunicare al mondo il proprio lavoro: internet, quindi. Ma anche i sistemi di comunicazione “tradizionali” come ferrovie, porti

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e aeroporti hanno ancora un loro peso… «Ma incentivare l’uso e la diffusione di nuovi canali di comunicazione non significa trascurare l’esistente: le infrastrutture classiche devono anzi andare al passo con lo sviluppo delle nuove tecnologie. Purtroppo l’Abruzzo, che aveva un ruolo centrale sia per i traffici tra Sud e Nord che tra versante tirrenico e Paesi balcanici, oggi rischia di essere messo da parte: le regioni limitrofe si stanno attrezzando per raggiungere Roma direttamente, e sappiamo qual è lo stato delle nostre ferrovie, del Porto di Pescara, dei Porti industriali di Ortona e Vasto e dell’Aeroporto (non più considerato nel piano di riordino, né strategico né primario). Dobbiamo assolutamente riconquistare il ruolo di “cerniera” che è importantissimo per tutti i settori, industriale, commerciale e turistico, e per farlo è necessario crescere, unirci con altre regioni per ridefinire all’interno di un’area più vasta quello che deve essere il ruolo della macro-regione adriatica. Bisogna riprogettare la regione così da fissare le infrastrutture strategiche e cedere qualcosa per guadagnare di più a livello complessivo». Eppure agli inizi del secolo scorso l’Abruzzo, ancorché arretrato e isolato, ha partorito progetti assolutamente innovativi e lungimiranti. È il caso della Sangritana, idea per certi versi molto all’avanguardia, e del Parco Nazionale d’Abruzzo, che nacque con lo scopo del tutto “imprenditoriale” di rendere economicamente fruttifero un patrimonio naturale. È forse venuta meno la capacità degli abruzzesi di avere idee di questa portata? «Non è il nostro pensiero. Crediamo, piuttosto, che oggi il panorama sia molto più complesso e si faccia decisamente più fatica ad affermarsi. Questo è un altro punto sul quale dovremmo riflettere: dovremmo cercare di rendere l’Abruzzo un territorio nel quale le idee possano trovare facilmente realizzazione. Ma se da un lato siamo completamente d’accordo nell’individuare un modello di sviluppo economico improntato alla sostenibilità e nel puntare su turismo e valorizzazione dell’enogastronomia come leve per la ripresa economica, dall’altro non possiamo rinunciare allo sviluppo di un’industria manifatturiera che in questo momento costituisce l’ossatura della nostra economia. Del resto c’è una frase


di Francesco Morace, nel suo libro Il talento dell’impresa, che dice che “un’azienda non può produrre un prodotto che vale in un territorio che non ha valore”. Sembra scritta pensando all’Abruzzo, dove per esempio ai terreni che danno origine a produzioni agroalimentari di eccellenza spesso si affiancano zone abbandonate se non deturpate e fiumi inquinati, prevalentemente dall’abuso di prodotti chimici in agricoltura e dal cattivo funzionamento degli impianti di depurazione comunali, e solo in percentuale minore da scarichi industriali. Lo dicono anche alcuni studi di Legambiente. Si punta sempre l’indice contro le attività industriali, ma noi non possiamo accettare che un’azienda che rispetta tutte le regole e che cerca di produrre e sopravvivere venga messa alla berlina come se avesse commesso chissà quale reato». Il riferimento è alle vicende che coinvolgono la Fater e il cementificio? «Questi sono due esempi eclatanti: l’impianto di cogenerazione progettato dalla Fater consentirà all’azienda di ridurre il carico di inquinamento globale e di risparmiare sui consumi energetici. È un impianto progettato secondo le regole ed ha diritto ai certificati verdi eppure c’è qualcuno che pregiudizialmente espone qualche dubbio. Stessa cosa per il cementificio: a prescindere dalla richiesta di nuove autorizzazioni, questi signori hanno investito moltissimo per ridurre le emissioni inquinanti, e peraltro nel 2012 sono rimasti rimasti inattivi per la maggior parte del tempo. Eppure la città gli è saltata addosso nonostante insistano sul nostro territorio da ben 52 anni. E se non possiamo certo difendere un’azienda che non rispetta le regole, ci sentiamo tuttavia legittimati a difendere chi le rispetta. Fino alla fine». E per quanto riguarda i nuovi insediamenti? Per esempio nel caso della Forest Oil sul lago di Bomba? «Non solo in questo caso, ma in generale crediamo che si debba aprire una nuova era basata sul concetto di trasparenza. Bisogna capire di volta in volta quali possono essere realisticamente le ripercussioni sul territorio di un progetto industriale, evitando confusioni e allarmismi: ho un progetto, ti mostro l’impatto ambientale che ha, le ripercussioni sul territorio, e poi sta agli organi preposti e competenti in materia

e riconosciuti dalla legge valutarlo. La tutela del territorio è importante ma la vera rivoluzione parte dal comportamento di ognuno di noi, dobbiamo imparare a fare le cose giuste a prescindere da quel che fanno gli altri. L’etica è fondamentale, sia per le industrie che a livello individuale». Il che rimanda a un altro problema come quello dell’acqua, con acquedotti che perdono il 50-70% dell’acqua potabile… «Quello poi è un caso esemplare: è stato fatto un referendum che è stata una colossale mistificazione. Nessuno ha mai detto di voler privatizzare l’acqua, che è un bene inalienabile della comunità; ma non si può accettare che esistano aziende pubbliche che gestiscono male il bene stesso, e se c’è una perdita così elevata questa inefficienza mi pare evidente. Quindi perché non creare sistemi di controllo pubblici che coesistano con l’efficienza del privato? Un sistema in cui il pubblico controlla, il privato investe in efficienza della rete, migliora la qualità delle acque e ottiene un riscontro economico dal canone. La verità è che oggi non siamo in grado di risparmiare risorse, e spesso utilizziamo l’acqua potabile per gli usi più disparati. Una nuova sfida per i costruttori abruzzesi sono, in quest’ottica, i tanti sistemi di riciclaggio delle acque di scarico della doccia o dei lavelli, che hanno costi irrilevanti, e che rappresentano comunque una forma di innovazione e di risparmio, non energetico ma di risorse, che oggi è un dovere morale del cittadino. Sono piccole cose, ma queste sono le sfide importanti per gli imprenditori. Come anche il riciclaggio dei rifiuti, che non è solo importante per la tutela dell’ambiente, ma è una fonte di business. Il problema è sempre quello: si dice “no” a tutto, ma poi magari si accettano le caldaie malfunzionanti che comportano emissioni anche peggiori. Invece le aziende serie esigono controlli seri, che fanno bene anche all’azienda stessa. E se creiamo un sistema serio di controlli e investiamo nelle tecnologie “pulite” sarà più facile per noi poi far valere la nostra civiltà, il nostro patrimonio naturale e artistico e anche i nostri sistemi di risparmio energetico e di risorse naturali».

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Aziende/Dynamin

Una holding da serie A Dall’Abruzzo all’Europa e prossimamente oltreoceano: il successo della giovane e dinamica società di servizi pescarese diretta da Antonio Martino, Giuseppe Marucci e Giuseppe D’Alessandro non conosce confini. Geografici, ma anche tematici: dall’energia all’informatica all’impegno nella Pescara Calcio, con lo stesso entusiasmo e con grande passione di Claudio Carella

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utte le grandi storie hanno un punto di partenza. Quella della Dynamin comincia nel più classico dei luoghi, il garage di casa. «Ce lo siamo dipinto e arredato, avevamo 25 anni. E in soli dieci anni abbiamo raggiunto una dimensione internazionale. Noi non produciamo tecnologia informatica, ma ce ne serviamo per produrre comfort». Siamo nell’Abruzzo valley, non nella Silicon; e non stiamo parlando di una delle aziende fiorite sull’onda della cosiddetta New Economy, ma di una delle realtà più importanti dell’imprenditoria nazionale made in Abruzzo. L’avventura dei tre amici che oggi guidano la Dynamin Holding comincia nel 2006. La loro prima creatura, la Dynamin Energia, nasce appunto in un piccolo garage e da lì inizia una scalata verso il successo che porta Antonio Martino, Giuseppe Marcucci e Giuseppe D’Alessandro – compagni di scuola prima e di lavoro poi– in soli dieci anni a capo di una società complessa che conta circa 300 dipendenti, quattro sedi operative (a Milano, Roma e Ivrea oltre a quella principale di Pescara, nel centralissimo palazzo

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Quadrifoglio) e interessi che valicano i confini nazionali. Ma restando con i piedi (e la testa) saldamente in terra d’Abruzzo. «La Dynamin Holding , di cui Antonio Martino è l’Amministratore delegato– controlla tre società: la Modus Fm, che si occupa di Facility management; la Quinary, che opera nei servizi informatici e sviluppa tecnologie per la telefonia mobile; e infine la Dynamin energia, che svolge servizi alla cittadinanza come quello della manutenzione e verifica degli impianti termici». Amministratore delegato di Modus Fm è Giuseppe D’Alessandro, entrato nel cda della holding dal 2008 e legato da una lunga amicizia a Martino, conosciuto ai tempi dell’università. «Il cosiddetto “facility management” (da cui la sigla FM accanto al nome della società) è la gestione di patrimonio immobiliare dal punto di vista manutentivo e di fornitura di combustibile per soggetti privati e soprattutto per gli enti pubblici –ospedali, scuole, Comuni, Province, Regioni– che affidano a terzi le funzioni legate alla fornitura di energia per il loro patrimonio immobiliare. In pratica, vendiamo comfort: forniamo combu-


stibile, ci occupiamo della manutenzione della centrale termica e facciamo in modo che il ciclo di funzionamento risponda alle esigenze dell’edificio interessato. Ma non solo: al termine del nostro mandato, generalmente quinquennale, consegniamo l’edificio migliorato sotto l’aspetto dell’efficienza, perché la nostra squadra –composta da persone di grande professionalità, ingegneri specializzati e tecnici capaci e competenti– provvede non solo a fornire il servizio richiesto, ma tende a un miglioramento dei servizi e delle infrastrutture così da ridurre i consumi e di conseguenza i costi. Abbiamo come clienti l’ospedale di Rimini, quello della Versilia, l’Agenzia delle Entrate di Bolzano; l’aeroporto di Pescara, molte stazioni ferroviarie di Abruzzo, Molise, Marche, Puglia, Calabria e Sardegna per Centostazioni spa, oltre a scuole, enti locali e aziende municipalizzate per un totale di circa 150 edifici di grandi dimensioni. E il mercato, che in questo settore è dominato da grandi multinazionali, conta pochissimi competitor italiani di dimensioni paragonabili alla nostra. Siamo piccoli rispetto a certi colossi, ma

proprio per questo oggi viviamo con minori sofferenze la crisi, che colpisce soprattutto le industrie di grandi dimensioni, che perdono pezzi e favoriscono il nostro core business». Altro asset aziendale è quello dell’ICT, ovvero Information and Communication Technology, rappresentato dalla Quinary: «La Quinary –spiega Giuseppe Marucci, Consigliere d’ Amministrazione – è una società storica delle telecomunicazioni nata nel 1984 che sviluppa tecnologia applicata al settore mobile; il gruppo Tiscali la comprò nel 2000, per entrare nel mercato dell’Umts (la banda larga per i telefonini), ma poi l’azienda di Soru dedicò le sue attenzioni ad altre iniziative e Quinary cominciò a perdere fatturato. Un grande potenziale in termini di competenze, di knowhow abbandonato e poco sfruttato. L’abbiamo acquisita nel 2008, quando fatturava due milioni e perdeva circa un milione di euro l’anno; oggi ne fattura 14, con un importante risultato economico a fine anno. È un’azienda leader nei servizi di Mobile Application (le App scaricabili sugli smartphone) ed è il quarto fornitore italiano di Vodafone,

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• Armando Losappio

• Carmine Martino

• Simone Perseo

• Antonello Zagaroli

• Federico Vacca

• Stefania Capuzzi

• Simona Cucchia

• Ettore Piacucci e Roberto Silvagni

• Valentina Di Nicola

• Cristina Nardone

• Fabio Sergio Rossi

per la quale Quinary ha sviluppato la web tv (dopo averle fornito il servizio di sms all’alba della comparsa dei telefoni cellulari); gestisce il sito Shopping24 del Sole24Ore; un sistema di formazione e-learning per Pfizer (la casa farmaceutica che commercializza il Viagra, ndr); abbiamo risorse che operano nel building del prepagato di Telecom Italia, un altro dei nostri grandi clienti; siamo tra i principali fornitori di Engineering, la più grossa società di Information Technology per la pubblica amministrazione in Italia, con personale in Inps, Inpdap, Inail. Circa il 70% dei 180 dipendenti di Quinary sono ingegneri e il restante 30% è costituito comunque da laureati». Modus Fm e Quinary sono distanti solo all’apparenza. «Crediamo che in futuro questi due rami d’azienda, ovvero l’ICT e il Facility Management, andranno sempre più a incrociarsi, quindi avere le risorse interne per fare un’offerta comune in termini di global service sarà estremamente importante». Nel computo delle società controllate dalla holding va inclusa anche la Dynamin

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• Antonio Pizzonia

energia, una piccola azienda che svolge un servizio magari meno “nobile” delle sue “sorelle maggiori” ma molto più utile al cittadino: la manutenzione e verifica degli impianti termici e di climatizzazione dei privati, con circa 3mila famiglie sotto contratto. E nel prossimo futuro del gruppo ci sono anche interessi oltreconfine: «Abbiamo anche qualche attività all’estero. Vodafone ci ha incaricato di sviluppare i piani tariffari per Malta, mentre da un paio d’anni stiamo lavorando con la divisione inglese di Pfizer. Soprattutto Quinary è l’azienda che ha in essere un progetto serio di internazionalizzazione, dato che l’IT è un settore che non conosce confini. Abbiamo in programma per Quinary l’apertura di una sede a Londra entro la fine dell’anno; a livello ancora embrionale c’è poi il progetto di impiantare una sede anche in Brasile, dove alcune grandi industrie italiane stanno già investendo e dove si aprono prospettive di mercato, soprattutto a livello tecnologico, molto stimolanti, anche in concomitanza con eventi come i Mondiali di


• Ludovico Farano

• Eduardo Maiello

• Marco Pistilli

• Bruno Ciamarone

• Fabrizio Di Cretico

• Fabio Lanza

• Liviana Masciantonio

• Maurizio Mucci

• Antonio Martino

• Giuseppe Marucci

• Giuseppe D’Alessandro

calcio e le Olimpiadi». Ecco il segreto del successo di questo terzetto di giovani e affiatati imprenditori: la loro capacità di vedere oltre il breve termine, di guardare al futuro più che al presente. «Siamo persone in grado di gestire processi aziendali e manageriali» precisa D’Alessandro. «A volte la capacità di produrre non è collegata a quella di collocare un prodotto. Quando noi acquisiamo un’azienda cerchiamo di replicare dei processi organizzativi che possano produrre risultati e performance di successo. La Dynamin Holding è, in pratica, una società di service management delle partecipate, nella quale la gestione delle imprese è stata ristrutturata attraverso la distribuzione organizzativa delle attività e delle competenze. Giuseppe Marucci si occupa da sempre di amministrazione finanziaria e controllo, Antonio ha sempre lavorato nel settore dello sviluppo commerciale, mentre io ho competenze nel coordinamento degli affari generali, legali e della gestione degli acquisti. I compiti ce li siamo divisi in base alle nostre attitudini ma fondamental-

• Fabrizio Taglieri

mente coordiniamo delle aree in cui operano dei manager che gestiscono operativamente i diversi settori. Una suddivisione dei compiti che tende a un obiettivo comune, proprio come in una squadra di calcio». A tale proposito una menzione speciale la merita proprio la presenza della Dynamin Holding nella società Delfino Pescara 1936, ovvero la Pescara Calcio guidata da Daniele Sebastiani, di cui la Dynamin è stata da subito sostenitrice e in cui oggi riveste un ruolo di primo piano: «Con il Pescara –precisa Antonio Martino che riveste anche la carica di vicepresidente della Pescara Calcio– siamo andati oltre ogni aspettativa. Dovevamo partecipare con una quota standard, oggi invece siamo il secondo azionista di maggioranza. L’abbiamo fatto per due ragioni: la prima è la passione calcistica che ci ha contagiati tutti; la seconda è che, pur lavorando prevalentemente fuori regione (per circa l’80% del nostro fatturato), siamo tutti abruzzesi e tifosi del Pescara Calcio».

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Pelletteria grafica

Vera pelle veri artisti Violacorallo è un’idea completamente made in Abruzzo che spopola nelle più importanti fiere italiane e internazionali: borse d’autore firmate Visca e Cotellessa

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nnovazione tecnologica e valorizzazione delle risorse territoriali: ecco gli strumenti con i quali un’idea semplice può trasformarsi in un business capace di mettere in moto un processo economico vincente. A partorire l’idea è la mente vulcanica di Constantino Fidanza, 55 anni, giunto da San Paolo del Brasile a Pescara nel 1987 e stabilitosi definitivamente sulle rive dell’Adriatico. «Sono venuto in Abruzzo per riportare in Brasile mio fratello Dante Fidanza che lavorava qui, ma mi sono innamorato di questi luoghi e non sono più riuscito ad andarmene», racconta. Col fratello ha messo a frutto la pregressa esperienza lavorativa in Brasile dando vita a Graf Color Srl, un’azienda leader nella prestampa e sempre al passo con i tempi, che da qualche anno si è specializzata nella stampa digitale in grande formato. La tecnologia oggi a disposizione, unita alla sua enorme esperienza nel settore, gli ha permesso

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di raggiungere risultati altissimi dal punto di vista qualitativo nella stampa sui materiali più diversi; e poiché l’imprenditoria ce l’ha nel sangue, Constantino non si è adagiato sugli allori dei successi raggiunti nel suo settore, ma ha cercato nuovi modi di sfruttare la dotazione tecnologica della ditta. «Il plotter digitale –racconta– consente di stampare su qualsiasi materiale, ma finora nessuno era riuscito a stampare su pelle vera, per le difficoltà che comporta. Infatti il mercato della pelletteria, dai più piccoli marchi alle griffe più prestigiose, è pieno di borse stampate, ma si tratta di prodotti realizzati in ecopelle: una pelle sintetica, artificiale. Così ho cominciato a lavorare su quest’idea». Che ben presto trova una sua prima concretizzazione, grazie a un sistema che consiste nello stampare direttamente su ogni singolo pezzo di pelle. «Una volta individuato il processo produttivo abbiamo contattato un talentuoso stilista, Berardi-


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Dove trovare le borse Violacorallo In Abruzzo a Silvi Marina: Metamorfosi non solo moda, Via arrigo rossi 131; Francavilla al mare: Friz, Via Nazionale adriatica 386; Pescara: Via Carducci 58/60; Ortona: Serafini Claudia Boutique, C.so Vittorio Emanuele 105; Avezzano: L’atelier Graziosi, Via Garibaldi 63. In Lombardia: a Brescia (Calzature Ilario) Bergamo (Simone Padion Atelier) Vigevano (Moda Giovane); in Campania: Salerno (Di Martino, Ranucci), Sorrento (Roberta Leather), Napoli (Maria Martignoni), Caserta (Mariba Boutique), Pompei (Pim UP); nel Lazio: Frosinone (Laura Boutique), Roma (Boutique Clara, Cruciani Michel, Rf 2008, Silvana Enei, Luigia Boutique), Viterbo (Perazzini abbigliamento, VentidueXI), Lavinio (Gisel Boutique); in Calabria: Capo Rizzuto (Tendenze), Cosenza (Orbita), Reggio Calabria (Effelle Fashion); in Puglia: Brindisi (Le Firme), Bari (Hermanas, Elena Priore, Il bagaglio); in Friuli Venezia Giulia (Maxim Pelletteria); in Liguria: Genova (Blue Road); in Emilia Romagna (Les Follies).

no Candelori, per disegnare le borse; il fornitore della pelle, che è una ditta italiana, e una ditta artigianale della Val Vibrata per cucire, in un regime di altissima qualità, i pezzi che vengono stampati». Innescando così un processo virtuoso che coniuga l’innovazione tecnologica con il know-how del territorio per realizzare un prodotto degno del miglior made in Italy. La prima linea di borse viene realizzata con una grafica fresca e accattivante, «ma ci siamo subito accorti che era qualcosa di riproducibile, chiunque poteva copiarla. Allora ci è venuta l’idea delle “borse d’autore”». Gli “autori” in questione sono Sandro Visca, il celebre pittore aquilano, e Oscar Cotellessa, giovane artista emergente pescarese, che forniscono a Constantino e al suo team i primi disegni con cui la collezione “borse d’autore” fa il suo esordio al Mipel di Milano lo scorso settembre. «Il nostro stand –racconta Constantino– ha ottenuto un successo enorme. In quell’occasione abbiamo conosciuto Mario Amendolagine, professionista dalla lunga esperienza con grandi ditte

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dell’abbigliamento, al quale è piaciuto il nostro progetto e che oggi è il nostro direttore commerciale». Dopo il successo della fiera Constantino cerca –e trova– una partnership con un suo cliente, il gruppo Tasso dell’Ingegner Mario Tasso. Nasce così la Pelletteria Grafica Srl, che comincia a commercializzare le borse d’autore col brand ViolaCorallo. Pelletteria Grafica conta nove persone al suo interno, tra dipendenti e titolari, e si propone quindi sul mercato con un prodotto completamente innovativo e capace di coniugare alta qualità con prezzi competitivi, il che ha creato un’emozione sul mercato. «Siamo presenti in oltre quaranta punti vendita su quasi tutto il territorio nazionale e ci stiamo espandendo anche all’estero: Sudafrica, Russia, Stati Uniti, Australia, Brasile. E siamo stati contattati dalla fiera di Parigi e dalla fiera di Mosca, dove presenteremo la seconda collezione sempre con prodotti firmati Visca e Cotellessa, che sarà ancora più bella».




R Vario

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ARTE

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LIBRI

• Stefano Taglietti

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La Serva, in breve

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Si chiama Sartina ed è –anche se non dichiarato– un vero e proprio remake in chiave moderna dell’opera buffa La serva padrona: un’opera breve (20 minuti appena) per soprano, baritono e clavicembalo musicata dal compositore Stefano Taglietti su libretto di Chiara Coppa Zuccari, scrittrice e poetessa pescarese qui alla sua prima prova in ambito musicale. Commissionata dall’Accademia Musicale Pescarese e curata da Ivan Fedele (direttore tra l’altro della sezione musicale della Biennale di Venezia), l’opera, per la regia di Anna Maria Talone, è andata in scena in prima mondiale lo scorso 24 novembre al Matta, l’ex mattatoio di Pescara, recentemente restituito alla città come spazio culturale. «Abbiamo scelto un linguaggio pulito, senza fronzoli, molto ritmico –spiega Taglietti– e il risultato è un’opera in continua evoluzione, come un caleidoscopio in cui nessuna forma si ripete: ogni situazione del testo viene musicata in modo originale, senza temi ricorrenti».

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MOSTRE

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EVENTI Pagina

Dopo Baarìa, ecco di nuovo un film di Giuseppe Tornatore che vede come fotografo di scena il bravo Stefano Schirato. «In realtà questa sarebbe la seconda volta e mezza –scherza Stefano– perché prima di Baarìa Giuseppe mi aveva concesso di stare con lui sul set de La Sconosciuta per qualche settimana». Il regista siciliano, premio Oscar per Nuovo cinema Paradiso (che ha firmato la presentazione del libro fotografico di Schirato Né in terra né in mare) ha girato La migliore offerta in tre mesi e mezzo tra Vienna, Bolzano, Trieste e Praga. Il film segue le vicende di Virgil Oldman (Geoffrey Rush), un esperto d’arte che trascorre la sua vita lontano dai sentimenti. Tutto cambia, però, quando incontra Claire (Sylvia Hoeks), che lo invita nella sua villa per valutare un’opera d’arte. Nel cast anche Donald Sutherland e Jim Sturgess. «Vivere sul set con Tornatore –commenta Schirato– è sempre un’esperienza fantastica. Si ha l’occasione di vedere al lavoro mostri sacri come Geoffrey Rush, capace di dare vita a personaggi straordinari; e con Giuseppe, che ha l’occhio “fotografico”, si è ricreato, come in precedenza, un rapporto umano e professionale bellissimo. Ora sto lavorando per allestire, a Pescara, una mostra con gli scatti realizzati sul set». Il film uscirà in Italia a gennaio 2013.

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Obiettivo Tornatore

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Ribalta

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MUSICA


VarioART

Quattro passi nell’arte abruzzese La Fondazione Pescarabruzzo e Vario presentano la quarta edizione dell’iniziativa che porta i giovani artisti abruzzesi nelle case di tutti

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uattro giovani artisti, quattro opere d’arte contemporanea che dallo scorso 3 dicembre sono entrate a far parte della collezione della Fondazione Pescarabruzzo, che per il quarto anno consecutivo sposa l’iniziativa della nostra rivista, dedicata appunto alla rappresentazione del panorama complesso e sfaccettato dell’arte visiva abruzzese. VarioART, alla quarta edizione, presenta le monografie di Lucilla Candeloro, Franco Fiorillo, Veronica Francione e Marco Lullo (in arte Raul), raccolte in un elegante cofanetto che verrà distribuito a partire da questo numero e per tutto il 2013 in allegato alla rivista. Gli artisti e le loro opere (che si aggiungono a quelle dei protagonisti delle passate edizioni: aggiungendosi a quelle degli altri artisti protagonisti delle passate edizioni: Sergio Sarra, Simone Zaccagnini, Paride Petrei, Lorenzo Aceto, Daniela D’Arielli, Matteo Fato, Gino Sabatini Odoardi, Emanuela Barbi, Connie Strizzi, Enzo De Leonibus, Learda Ferretti, Lucio Rosato, Marco Antonecchia, Alessandro Di Carlo, Alessandro Gabini e Antonio Lucifero) sono stati presentati alla stampa in una conferenza tenutasi lo scorso 3 dicembre nella sala convegni della Fondazione Pescarabruzzo, alla presenza del direttore di Vario Claudio carella e del presidente della Fondazione Nicola Mattoscio. «Sostenere, promuovere e valorizzare il patrimonio artistico abruzzese –ha detto il presidente durante il suo intervento– è uno dei compiti istituzionali che la Fondazione Pescarabruzzo porta avanti con più passione e impegno, investendo risorse ingenti nella realizzazione di mostre (come la bella esposizione recentemente ospitata nei locali del museo Vittoria Colonna di Pescara su “il sentimento della natura”)

e di altre iniziative di pari valore. Ed è con questo spirito che abbiamo sposato anche quest’anno la proposta della rivista Vario, in cui crediamo molto e che ha il pregio di far uscire “allo scoperto” tanti giovani talenti». Talenti che, rivela il presidente Mattoscio, «presto cercheremo di inserire nel museo virtuale che verrà lanciato nei prossimi giorni, costituito da una selezione del patrimonio artistico di tutte le Fondazioni di origine bancaria italiane». L’iniziativa VarioART, ha sottolineato Franco Fiorillo, «è tanto più meritevole in quanto va controcorrente, perché sfrutta un mezzo che è sempre meno utilizzato: la carta. Oggi, per dirla con le parole di Walter Benjamin, viviamo nell’epoca della riproducibilità dell’opera d’arte: basta fare una semplicissima ricerca in rete e si può trovare qualunque cosa. Il valore dell’operazione condotta dalla Fondazione e da Vario è proprio quello di restituire una sorta di unicità alle opere d’arte, consentendo alle stesse di entrare nelle case e di essere ammirate». «È nostra intenzione –ha concluso Mattoscio– esporre le quattro opere per tutto il periodo di Natale nelle nostre vetrine, e presto speriamo di dare vita ad una esposizione permanente che illustri, grazie alle ormai 20 opere che ci sono state donate grazie a quest’iniziativa, come la realtà attuale dell’arte abruzzese discenda in maniera inequivocabile dall’attività di quegli artisti che tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento diedero vita ad una “scuola abruzzese” ingiustamente e troppo frettolosamente liquidata dalla storia dell’arte come un fenomeno prettamente locale, e che invece si configura come perfettamente correlata a quel fenomeno culturale di grande respiro europeo che fu il movimento impressionista».


• Nella pagina accanto la conferenza stampa di presentazione di VarioART 2013. Da sinistra, gli artisti Marco Lullo e Lucilla Candeloro, Claudio Carella di Vario, il presidente della Fondazione Pescarabruzzo Nicola Mattoscio e gli artisti Franco Fiorillo e Veronica Francione. In questa pagina dall’alto i poster di Marco Lullo (Raul), Lucilla Candeloro, Franco Fiorillo e Veronica Francione. In basso: il presidente Mattoscio con gli artisti e le loro opere.


VARIO Mostre

C’era una volta il Quadrivio

“5

novembre 1972: oltre quel muro a nordest di Usomagazzino, Giuseppe Rosato, mio padre, inaugurava Il quadrivio: galleria d’arte e luogo di incontro, curando in tre anni sei mostre di scultura; pensavano vendesse tubi, come qualcuno oggi pensa che Usomagazzino si occupi di spedizioni; con 6 lavori che raccontano quell’avventura apro la terza semina ancora felicemente in periferia: 5 novembre 2012”. Con queste parole Lucio Rosato, figlio del grande poeta, critico d’arte e scrittore lancianese, inaugura la “terza semina” (ovvero il terzo anno di attività) della sua galleria/laboratorio, con una giacenza espositiva dedicata alla galleria d’arte Il Quadrivio, attiva dal 1972 al 1975. In poco più di tre anni di attività la galleria Il Quadrivio ha rivolto la sua attenzione esclusivamente alla scultura organizzando sei mostre personali dedicate ad alcuni dei protagonisti italiani dell’arte di quel periodo: Angelo Colangelo, Paola Levi Montalcini, Beppe Sesia, Amilcare Rambelli, Elio Di Blasio, Carmelo

Cappello, e una collettiva di dodici scultori tra i quali: Pietro Consagra, Antonio Ligabue, Luciano Minguzzi, Giò Pomodoro, coinvolgendo nel lavoro di critica una personalità attenta e autorevole come Lara Vinca Masini. Per la città di Pescara i primi anni Settanta sono stati un periodo di grande fermento culturale e l’attività della galleria d’arte Il quadrivio ha dato il suo significativo contributo, proponendo occasioni di incontro e dibattito tra operatori locali e nazionali sulla condizione dell’arte in Italia, ponendosi come specifico obiettivo la possibilità di individuare altre centralità oltre i confini della periferia. Quarant’anni da IL QUADRIVIO a cura di Lúcio Rosato usomagazzino PER ALTRE ARCHITETTURE via Silvio Spaventa 10/4, Pescara www.usomagazzino.it info@usomagazzino.it

• Qui sotto: l’inaugurazione della galleria Il Quadrivio, 5/11/1972, con una personale di Angelo Colangelo. A fianco Giuseppe Rosato (a sinistra) con Paola Levi Montalcini in occasione della personale a lei dedicata. (foto di Giuseppe Iammarrone)

Gino Sabatini Odoardi in ContrOrdine Profondamente legata alla vita di San Francesco –che nel “Tugurio” collocato in pieno centro storico passava molte delle sue notti– e alla nascita del Terzo Ordine, Cannara è un paese umbro dalle tradizioni radicate, ma aperto e propositivo sul fronte dell’arte contemporanea, in una proiezione rivolta alle straordinarie contaminazioni possibili tra arte, natura, leggenda, sacro, laico, passato e futuro. La mostra III° ContrOrdine, personale di Gino Sabatini Odoardi, s’innesta in questo spirito,

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con una ricerca che il giovane artista intraprende da anni portando ai limiti estremi la condizione di esistenza degli oggetti-simbolo collocati nelle stanze del Museo di Cannara, inaugurato nel 2009 e contenente reperti archeologici riguardanti un insediamento romano denominato “Urvinum Hortense”. Per questa esposizione Sabatini Odoardi ha voluto alcune delle sue opere più rappresentative (i dodici inginocchiatoi bianchi con gamepad Senza Titolo in wireless, l’opera Senza titolo con ciotola, le lapidi Senza titolo 2007, la Coca-santiera Senza titolo 2010) e ha creato anche una serie di opere inedite tra le quali un’installazione posizionata sul grande mosaico romano dell’Urvinum Hortense, il ciclo provocatorio degli Offertori che prendono spunto dalla vicina città di Assisi, due video, l’opera presentata all’ultima Biennale di Venezia (Senza titolo + cubo con rumore segreto), una grande installazione a pavimento con giostra nera rotante; tutte opere trattate attraverso la tecnica principale dell’artista, ovvero la termoformatura in polistirene.

Schegge d’artista È consuetudine ormai per Alfonso Camplone creare connubio e sinergia tra la pittura e altre arti. In Schegge e frammenti di tutta una vita, esposizione curata dal critico d’arte Christian Dolente, pittura e musica s’incontrano nella “magnificante” location della Scuola Civica Musicale “Città di San Giovanni Teatino”, fucina per artisti diretta dal M° Giuliano Mazzoccante. L’esposizione si prefigge di indurre i visitatori in uno stato d’animo di puro godimento dove la sensibilità del musicista, nell’interpretazione dei brani scelti, ricama incantevoli note in “accordo” con i “personaggi, gli stati d’animo, le emozioni e le memorie” suggerite dai lavori pittorici. La mostra resterà aperta fino al 15 dicembre.


Così lontani, così vicini

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n dialogo fra generazioni nel segno dell’arte contemporanea. Non una semplice esposizione, ma uno sguardo profondo nell’arte informale, un confronto fra due grandi artisti, lontani anagraficamente, ma accomunati dalla stessa visione originaria, cosmogonica, sorgiva. Cinquant’anni separano il bolognese Vasco Bendini, oggi novantenne, dal quarantenne romano Matteo Montani. Bendini, già negli anni 50 riconosciuto dalla critica come uno dei padri dell’informale italiano e artista fra i più significativi del ‘900, studente di Virgilio Guidi e Giorgio Morandi nonché amico e collaboratore di Francesco Arcangeli e Bruno Sargentini della Galleria L’attico, vanta a tutt’oggi notevoli e numerose partecipazioni alle maggiori esposizioni nazionali e internazionali. Matteo Montani, grazie al suo innato genio artistico e all’importante incontro con Fabio Sargentini nel 2005, si impone come uno dei maggiori artisti emergenti in Italia. La mostra Vasco Bendini/Matteo Montani. Così lontani, così vicini, ideata e curata da Gabriele Simongini, ha aperto i battenti il 30 novembre a Palazzo de’ Mayo, nuova e prestigiosa sede della Fondazione Carichieti, e sarà visitabile fino al 20 gennaio 2013. Presenta più di trenta capolavori dei due

artisti, che propongono le loro migliori opere risalenti a periodi di produzione differenti, ma intrise di quella forza generatrice, carica di respiro e lucentezza che da sempre li contraddistingue. Vasco Bendini/Matteo Montani. Così lontani, così vicini A cura di Gabriele Simongini Palazzo de’ Mayo, Corso Marrucino, 121 - Chieti Promossa e organizzata da Fondazione Carichieti www.fondazionecarichieti.it set@fondazionecarichieti.it

• In alto Bendini e Montani. Qui sopra l’allestimento a Palazzo de’ Mayo.

Tutti a Roma! Tre grandi nomi dell’arte abruzzese in trasferta nella Capitale. Tre progetti distinti, tre percorsi creativi che hanno portato Emanuela Barbi, Claudio Di Carlo e Sergio Sarra a esporre a Roma i loro lavori quasi in contemporanea. Sergio Sarra è il protagonista della doppia personale Monsūno (Épisode I & II): la Galleria Pio Monti e il Garage Carcani ospitano 400 disegni, 200 in ciascuna sede, e una scultura di alluminio, “Corrimano per film cubista”, accolta negli spazi del Garage Carcani. I lavori dialogano con la struttura della galleria replicando la “geografia” dei luoghi dai quali sono scaturiti, ossia le planimetrie degli elementi naturali e delle strutture umanizzate che caratterizzano il territorio che circonda lo studio dell’artista in Abruzzo. “Ci sono progetti che giacciono nel cassetto per anni fino a che non trovano il loro luogo appropriato per prendere una reale forma e concretizzarsi”, dice Emanuela Barbi. Il luogo in questione è la Galleria Gallerati di Roma, dove l’ artista pescarese ha allestito In punta di piedi, mostra dedicata alla forza della natura e all’amore nei suoi confronti. “Dal suo erbario urbano –spiega la curatrice Noemi Pittaluga– che raduna le piante che il cittadino normalmente calpesta o vorrebbe veder estirpate da uno zelante spazzino, l’artista raccoglie la malva e il tarassaco per rivestire il pavimento della galleria con lo scopo di realizzare un lavoro site specific in cui i vividi colori della vegetazione selvatica si mescolano alle tonalità cupe della ghisa di un tombino e del bitume del manto stradale. Togliersi le scarpe e immaginare di fare una passeggiata in un campo rigoglioso di erbe selvatiche, oltre a sovvertire l’usuale modalità di fruizione dello spettatore è un’esperienza artistica dal carattere performativo che il visitatore vive da protagonista”. La mostra La femme est l’avenir di Claudio Di Carlo, presso lo Studio Soligo, è composta da un video inedito dal titolo KK11 –realizzato in collaborazione con l’attrice Angelique Cavallari, il violinista Diego Conti e prodotto da Gianluca Stuard– e sei tele dipinte, che hanno come oggetto la figura femminile, simbolo ed icona della nostra società, strumento per mettere a nudo desideri ed inquietudini di una intera generazione e non solo. La percezione della sensualità, la bellezza femminile, la sua magia eterna, ci serve a capire in realtà tutta la negatività dello sgretolamento delle basi della nostra società che si evince dalle stragi, l’ambiente offeso, la lotta politica.

Da Caravaggio a Basquiat È iniziato alla fine di ottobre e proseguirà fino al prossimo maggio 2013 il ciclo di conferenze sull’arte moderna e contemporanea promosso da L.A.CU.A.S. (Libera Associazione Culturale Amici della Scuola) e curato dal professor Giovanbattista Benedicenti, dal titolo “Da Caravaggio a Basquiat”, nelle sale dell’Aurum di Pescara. Il grande successo Ciclo di conferenze promosso da L.A.CU.A.S Libera Associazione Culturale di pubblico dei primi Amici della Scuola a cura di appuntamenti, andati oltre Giovanbattista Benedicenti ogni più rosea aspettativa e ben oltre la capienza massima della sala, hanno spinto gli organizzatori a introdurre la prenotazione obbligatoria e a fissare repliche delle conferenze per permettere a tutti gli interessati di seguire gli incontri in assoluta comodità e sicurezza. L’Assessore alla Cultura, Giovanna Porcaro Sabatini, estremamente soddisfatta del successo che le conferenze hanno avuto sino ad oggi, assicura che rafforzerà nuove progettualità culturali con l’obiettivo di una sempre maggiore condivisione del “valore cultura”. Per informazioni: segreteria dell’Aurum 085/4549508 e 333/5252833. Con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Pescara

Ogni venerdì, ore 18.00 Aurum, sala Tosti ingresso libero

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VARIO Libri Ragazzi Melchiorre

Poesia Pasquale

L’opera prima di Franco Pasquale si inserisce con personalità nel solco di coloro Nuova avventura scaturita dall’inesauribile vena narrativa di Roberto che credono nel ruolo salvifico del poetare, e che vedono in un ritorno all’efMelchiorre, Manga contro Ercole è l’ultima fatica dello scrittore pescarese fimero e alla gratuità dei rapporti umani una sorta di protezione, di rifugio, di che da anni si dedica alla divulgazione, in forma divertente e accattivante, rimedio. L’autore, più volte ha ribadito questa sua difficile fede: come è scritto in della storia abruzzese. La letteratura per ragazzi si arricchisce così di un’altra IV di copertina, “la poesia gli scrolla di dosso le polveri dei calcinacci che giornalstoria che vede protagonisti Manga, Alice e Nutella, i tre personaggi già in- mente si posano su di sé “, in un ironico rimando alla sua professione di piccolo contrati nel precedente Manga e il segreto dell’abate Leonate, anche questo immobiliarista. Colpisce l’intenso lirismo, una lingua capace di auliche puntate pubblicato da Le Matite Colorate e illustrato dalla brava Marta Monelli. In verso l’alto ma anche di fraseggi semplici, limpidi e discorsivi. Il libro contiene questa avventura Manga esplora il Museo Archeologico nazionale di Chieti, 48 poesie, tutte imperniate sui temi della memoria, della percezione del tempo, punto di partenza per uno straordinario viaggio nel tempo che porterà i del complicato rapporto tra passato, da cui il presente trae continua ispirazione, piccoli protagonisti a fare la conoscenza del mitico Ercole. e futuro. Ad instillare nell’autore l’urgenza di trascrivere in poesia una parte Roberto Melchiorre, Manga contro Ercole della propria vita è stata la dolorosa scomparsa della moglie Anna. A lei e ai suoi Le Matite Colorate, 2012, pp. 120, € 11,50 due figli Lorenzo e Alessandro sono indirizzati gran parte dei componimenti. Il libro assume dunque i toni profondi e meditativi di un diario intimo. Il libro sarà presentato Martedì 11 Dicembre alle 19 presso l’”archeoclub” di Termoli e Giovedì 20 Dicembre presso la “Casa di conversazione” di Lanciano, alle 17.30.

Franco Pasquale, Tu eri come il fiume inevitabile Noubs, Pescara 2012, € 10,00

Gialli Cordoano L’omicidio feroce della donna che pedinava per conto del marito getta Fabrizio Bono nello sconforto. Il senso di colpa lo attanaglia per non essere stato capace di prevedere le mosse di un assassino che miete vittime con una frequenza allarmante. Chi è quell’uomo con la faccia di una formica? Cosa significa il disegno rinvenuto nell’agenda di una delle donne ammazzate? Quale è il significato del rituale raccapricciante che segue l’uccisione? E perché gli sembra di essere il pesce più grosso della rete del serial killer? Il maresciallo Marella, titolare dell’inchiesta, lo vuole al suo fianco. La loro assodata amicizia è il salvagente a cui aggrapparsi per risalire dal buio profondo in cui sta precipitando. Fabrizio Cordoano, ex carabiniere, collaboratore della Guardia di Finanza di Roma, dal 1999 è titolare di un’agenzia investigativa a Pescara. Un mazzo di Gerbere è il suo secondo romanzo dopo l’esordio L’investigatore privato di provincia (Opera Editrice, Pietranico 2007). Fabrizio Cordoano, Un mazzo di gerbere Tabula Fati, 2012, pp. 152, € 12,00

Fumetti Taddei & Angelini Una strana invasione di gatti. Una colonia di creature senza forma. Un pozzo al centro di un campo abbandonato. Un nobile debosciato attorniato da servi. Un mistero occultato all’interno di un chiostro. L’impietosa routine di ogni giorno. Questi sono gli incipit di una raccolta di racconti che uniscono l’assurdo alla più infima normalità alla ricerca di un orientamento in un mondo che la trebisonda l’ha perduta da un pezzo. Marco Taddei (Vasto, 1979) e Simone Angelini (Pescara, 1980), entrambi provenienti dal gruppo creativo all’origine della fanzine Carta Straccia, danno alla luce un libro di fumetti in cui dieci piccole –a volte piccolissime– storie di eroi “ai margini della società e della ragione” (scrive Ratigher nella prefazione) portano il lettore in un mondo “in bilico tra crudeltà e compassione, realtà e surrealtà, disillusione e speranza” (R.Iadevaia).

Marco Taddei e Simone Angelini, Storie brevi e senza pietà Bel Ami Edizioni 2012, pp. 80, € 10,00

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VARIO Eventi Premio NordSud della Fondazione Pescarabruzzo

Un ponte tra le culture del mondo

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• A sinistra, Jean Paul Fitoussi durante il suo intervento. In alto i premiati Giovanni Fabrizio Bignami, Maram al-Masri, Aleksandar Hemon e J.P. Fitoussi con Stevka Smitran e Nicola Mattoscio. Sotto, Maria Silvia Santilli, Stevka Smitran, Nicola Mattoscio, il sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia, il vicepresidente della Regione Alfredo Castiglione e Daniele Becci, presidente della Camera di Commercio.

remiare le eccellenze della letteratura, dell’economia, della scienza per costruire un ideale ponte tra culture e discipline, tra Nord e Sud del mondo. Questo il senso del premio “Nord Sud” ideato e realizzato dalla Fondazione Pescarabruzzo, giunto alla quarta edizione, che dal 2009 rende Pescara, come afferma il presidente della Fondazione Nicola Mattoscio, “più internazionale”. La giuria diretta dal presidente Mattoscio e composta da Stevka Smitran, Franco Cardini, Francesco Marroni, Elio Pecora, Lucia Votano e Benito Sablone ha assegnato i premi di quest’anno a Aleksandar Hemon (sezione narrativa), Maram Al-Masri (sezione poesia), Giovanni Fabrizio Bignami (sezione scienze esatte) e all’economista Jean Paul Fitoussi (sezione scienze sociali). A Fitoussi, noto al pubblico italiano per il suo intervento nella prima puntata di Rock Economy, il programma tv di Adriano Celentano, è stato assegnato un premio alla carriera: professore emerito all’Institut d’Etudes Politiques de Paris (Istituto di Studi Politici di Parigi) e alla LUISS di Roma, editorialista per La Repubblica e Le Monde, Fitoussi è attualmente direttore di ricerca all’Observatoire Français des Conjonctures Economiques (Osservatorio Francese per la Congiuntura Economica), istituto di ricerca economica e previsione. Classe 1942, l’economista tunisino di nascita ha condotto studi sulle teorie dell’inflazione, sulla disoccupazione, sul commercio estero, e sul ruolo della politica macroeconomica. «Il Pil è cresciuto per l’1% della popolazione. Ma a che serve una crescita se mette da parte il 99% della popolazione?» ha osservato Fitoussi durante il suo intervento, irrorato del suo caratteristico spirito critico verso la crisi mondiale e un’economia ingiusta. «La crescita mette in pericolo la democrazia, è una rottura forte dell’uguaglianza che ne è un principio fondamentale. Anche in Europa la democrazia perde colpi: cambiano i governi ma i politici fanno sempre le stesse cose. Perdiamo molto più di quanto guadagnamo, e se questo non è sostenibile per la democrazia lo è invece per i mercati, perché fa scendere lo spread».

La serata di premiazione, svoltasi lo scorso 9 novembre nella sala convegni della Fondazione Pescarabruzzo, ha poi visto salire sul palco a ritirare il suo riconoscimento la poetessa siriana Maram al-Masri, premiata per la sua raccolta Le anime scalze. Al-Masri, nata in Siria nel 1962 ma trapiantata in Francia dal 1982, ha affrontato nella sua poesia diverse tematiche, concentrandosi soprattutto su quelle sentimentali (con una sensibilità che ha spinto alcuni critici a paragonarla a Emily Dickinson) ma toccando anche la solitudine dell’immigrato, la nostalgia della propria terra, la libertà e la difficile condizione della donna. È poi stato il turno di Giovanni Fabrizio Bignami, astrofisico di fama internazionale, già presidente dell’Agenzia Spaziale Italianae attualmente al vertice del Cospar (Comitato per la Ricerca Spaziale) e dell’Inaf (Istituto Nazionale di Astrofisica). La notorietà l’ha raggiunta con il lavoro ventennale che ha portato all’identificazione ed alla comprensione di Geminga, la prima stella di neutroni senza emissione radio; la Fondazione Pescarabruzzo ha voluto premiarlo per il suo libro Cosa resta da scoprire (Mondadori, 2011). «Il lavoro di un astrofisico –ha detto alla platea– ha il vantaggio di essere allietato da una grande ignoranza: c’è ancora circa il 96% dell’universo da scoprire. La contemporaneita? La brucerei, per quanta voglia ho che arrivi il futuro». È toccato allo scrittore bosniaco (naturalizzato statunitense) Aleksandar Hemon chiudere la serata, ritirando il premio della sezione narrativa per la sua opera Il progetto Lazarus. Pubblicato da Einaudi nel 2010, il romanzo narra la storia –vera– di un immigrato ucciso dalla polizia nella Chicago del 1908 e quella di uno scrittore di oggi che attraversa l’Europa per ricostruirne la vicenda, insieme ad un amico fotografo. Il libro è arricchito infatti da numerose fotografie di Velibor Bozovic, amico di infanzia di Hemon. La letteratura, ha detto lo scrittore nato a Sarajevo, «è sempre contemporanea: l’unico punto fermo nella grande tempesta che è la storia».

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VARIO Eventi

X Festival delle Letterature dell’Adriatico

Scrittori, che passione! Il bilancio della decima edizione del Festival delle Letterature dell’Adriatico rivela un tessuto cittadino decisamente sensibile al confronto con autori, fumettisti, scrittori e giornalisti

• Nelle foto di Stefano Rossoni: Erri De Luca con Giovanni Di Iacovo e Paola Maugeri durante gli incontri col pubblico nell’Auditorium Petruzzi

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uelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”, dice Holden Caulfield nel capolavoro di Salinger. E quel che il Festival delle Letterature dell’Adriatico fa, e che lo rende diverso da tutte le altre manifestazioni pescaresi (e non solo) è proprio permettere al pubblico di incontrare gli autori non soltanto nel momento a loro dedicato, ma di farli vivere con loro, per qualche giorno, in mezzo alle stradine del centro storico di Pescara, nel cuore pulsante della vita culturale e notturna della città. «Vogliamo che gli autori –spiega Giovanni Di Iacovo, scrittore anche lui e fondatore, con Vincenzo D’Aquino, della manifestazione– si confrontino col pubblico, che si concedano senza riserve». Giunto alla decima edizione, il Festival è diventato grande: 72 ospiti, 4 giornate fitte di appuntamenti dalle 16 a notte fonda, oltre 7mila partecipanti che hanno riempito, dal 15 al 18 novembre, le 5 diverse location –l’auditorium Petruzzi, la casa natale di d’Annunzio, il Circolo Aternino, il lounge bar dell’hotel Plaza, il locale Mami Wata, oltre al Cinema teatro Massimo e al Città Sant’Angelo Village– in cui si svolgevano gli incontri, gli aperitivi e le cene letterarie, i concerti, le mostre e le performance teatrali. A completare l’elenco dei numeri, quasi 1.000 calici di vino serviti durante l’aperitivo letterario, 700 bambini che hanno partecipato alla sezione Kids, quasi 600 persone al concerto finale di Simona Molinari e oltre 500 libri raccolti per il reparto chirurgia pediatrica dell’ospedale di Pescara. «Una crescita –commenta Di Iacovo– segno non

tanto della nostra bravura, quanto del fatto che in questa città, se insisti e continui a fare qualcosa in cui credi, la popolazione si accorge di te, si interessa, si affeziona e alla fine ti segue. Ne sono testimonianza anche le decine di giovani che hanno voluto aiutarci come volontari nell’organizzazione». Dopo personaggi del calibro di Corrado Augias, Massimo Carlotto, Niccolò Ammaniti, Andrea De Carlo, Jonathan Coe, Stefano Benni, Carlo Lucarelli, protagonisti insieme a molti altri delle passate edizioni, quest’anno la direzione artistica, affidata a Luca Sofri, ha portato nel capoluogo adriatico Erri De Luca, Daria Bignardi, Daniela Farnese, Paola Maugeri, Filippo La Porta, Concita De Gregorio, Bruno Tognolini, Luca Sofri, Mattia Feltri, Sofia Ventura, per citare i nomi più popolari. «Il tema di quest’anno era “Leggere il presente”: abbiamo cercato di affrontare temi di attualità, coinvolgendo scrittori e giornalisti per analizzare gli aspetti di un momento storico che vede il nostro Paese in grande trasformazione. In un’Italia in ginocchio siamo convinti che dalla crisi si possa uscire anche e soprattutto grazie alla cultura». Mattatore dell’evento è stato senz’altro (e con sua grande sorpresa) Erri De Luca, che domenica 18 ha raccolto attorno a sé, in uno stipatissimo Auditorium Petruzzi, una folla da stadio: «Nessuno, lui compreso, si aspettava una tale partecipazione. Purtroppo –continua Di Iacovo– non avevamo a disposizione uno spazio più grande, e moltissime persone sono rimaste fuori. Nel dispiacermi per il disagio, trovo altresì confortante che ci fosse tanta gente in fila per ascoltare le parole di un anziano scrittore napoletano che non va quasi mai in televisione piuttosto che per l’uscita del nuovo iPhone».

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VARIO Musica Il complesso di Tristano

Fumo a Lamezia

Marco Di Battista, affermato pianista e insegnante di piano jazz, pubblica un libro approfondito e dettagliato su C-Minor Complex, uno dei brani più importanti composti dal pianista (non vedente) Lennie Tristano. Il libro propone una ampia biografia del pianista e una disamina storica al contesto musicale in cui si è mosso Tristano, per giungere, infine, alla trascrizione e all’analisi del brano. Il testo mette in evidenza sia la filosofia di Tristano che le sfumature utili ai pianisti di oggi per eseguire il brano o per scavare all’interno del proprio mondo espressivo alla ricerca di nuove soluzioni.

L’esperienza come organizzatore di festival, di stagioni concertistiche e teatrali, e infine quella al vertice dell’associazione che raggruppa 76 istituzioni musicali che su tutto il territorio nazionale promuovono la cultura musicale nel nostro paese. Lucio Fumo, il nome che nel capoluogo adriatico significa soprattutto Pescara Jazz, ha raccontato e spiegato la sua esperienza a 15 giovani partecipanti al corso di alta formazione per “Esperti in organizzazione progetti ed eventi nel settore dello spettacolo” organizzato a Lamezia Terme dall’ AMA Calabria, l’associazione nata nel 1978 che sostiene e promuove la diffusione della cultura musicale nella regione. Fumo nelle sue due lezioni ha ripercorso le tappe fondamentali di Pescara Jazz, ma anche la storia e le esperienza alla guida della Società del Teatro e della Musica Luigi Barbara e il ruolo ricoperto a livello nazionale alla presidenza dell’AIAM. La storia gloriosa del festival jazz ha catalizzato naturalmente l’attenzione degli studenti. Fumo ha mostrato fotografie e filmati di archivio realizzati nel corso delle quaranta edizioni del festival, dalle prime storiche immagini di Duke Ellington, Ella Fitzgerald e Miles Davis fino alle incredibili istantanee delle jam session degli anni ‘70 ai video realizzati da Gian Piero Consoli per il documentario Sotto le stelle del Jazz e dalla troupe americana per la trasmissione Studio Jams. «In un momento come questo, con il panorama musicale dominato da pop e musica commerciale, ero curioso di vedere chi fossero i corsisti», racconta. «Con mia grande sorpresa ho trovato giovani molto motivati, determinati a imparare, animati da sincera passione. E intelligenti nel capire come questo sia un cammino che può offrire anche opportunità di lavoro».

Marco Di Battista Lennie Tristano: C-Minor Complex pp. 80, € 10,00

• Nelle foto: da sinistra Marco Di Battista e il suo libro su Lennie Tristano; Lucio Fumo durante il corso tenuto a Lamezia Terme; Leonardo Pierdomenico col suo pianoforte.

Leonardo e la Fenice La musica è una questione, a volte, di famiglia. E quella di Leonardo Pierdomenico, giovane promessa (ampiamente mantenuta) del pianoforte, è una famiglia che con la musica ha un rapporto privilegiato: il fratello Matteo studia violino al conservatorio, la mamma Stefania Chiola è soprano nel coro del Maestro Pasquale Veleno. Dal canto suo, Leonardo a sei anni ha scoperto la passione per il pianoforte, nel quale ha potuto esprimere il suo straordinario talento; tredici anni dopo, lo scorso 5 ottobre, ha inaugurato la stagione sinfonica 2012-2013 del Teatro la Fenice di Venezia con il Concerto 466 in Re minore di Mozart, sotto la direzione del Maestro Diego Matheuz. Il successo di Leonardo Pierdomenico è indiscutibile, e la grande occasione di Venezia giunge dopo una vita fatta di sacrifici e impegno, cominciati in tenera età con le lezioni private e poi con l’ingresso al Conservatorio di Pescara “Luisa D’Annunzio” dove si diploma a soli 17 anni con 10 e lode e menzione ministeriale. Nel 2011 accede di diritto a partecipare al prestigioso concorso pianistico “Premio Venezia“ al Teatro La Fenice, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, vincendolo e conquistandosi così il posto d’onore al pianoforte nel concerto inaugurale. Primo abruzzese a vincere il prestigioso riconoscimento, è anche stato ricevuto –proprio a seguito di questo ambito traguardo raggiunto– al Quirinale in udienza privata dal Presidente Napolitano. Attualmente Leonardo prosegue gli studi a Fiesole.

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