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maggio-giugno 2013 n.81 • € 4.50

Sped. abb. postale Art.1 comma 1353/03 aut. n°12/87 25/11/87 Pescara CMP

81 Allevatori Ecco l'agnello d'Abruzzo / Le pizze di Luciano Passeri Francesco

Uno scrigno chiamatoAbruzzo AGIRE - Polo d'innovazione agroalimentare

Buongiorno Francesco

maggio-giugno 2013

il Papa visto da Padre Ciro Benedettini

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Alessandro Alimonti IL SEGRETO DI PADRE GUGLIELMO Luciano D’Amico Il CAMPUS è di tutti Gabriele Gravina Il bello del nazional-culturale 22/04/13 11:18


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maggio-giugno 2013

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Rubrica BreVario

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Attualità Buongiorno, Francesco

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Personaggi Il segreto di Padre Guglielmo

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Personaggi Il Campus è di tutti

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Personaggi Il bello del nazional-culturale

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D’Annunzio Centocinquanta di questi giorni

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Aziende Sangritana

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Aziende Arpa

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Aziende De Cecco

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Ribalta

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Libri Luigi Ponziani

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VarioART Lucilla Candeloro

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Arte Manuelita Iannetti

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Cinema Gianni Di Claudio VARIOGUSTO

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Speciale Polo AGIRE Uno scrigno chiamato Abruzzo Università dell’Aquila - Delverde - Cipat - Fioravanti - Saf Allestimenti - Pasetti vini Cacao gelateria - ICO - Confcooperative - Marcafé - Gruppo Villa Elena Az. agr. Lu Piane - Associazione produttori zootecnici - Gexma - Covalpa

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Allevatori Ecco l’agnello d’Abruzzo

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Luciano Passeri Pizza Francesco

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Eventi

Direttore Responsabile Claudio Carella Redazione Fabrizio Gentile (testi), Enzo Alimonti (grafica) Hanno collaborato a questo numero Annamaria Cirillo, Bruno Cortesi, Francesco Di Vincenzo, Enzo Fimiani, Francesco Paolucci, Franco Pasquale, Marco Tornar

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Stampa, fotolito e allestimento AGP - Arti Grafiche Picene - Via della Bonifica, 26 Maltignano (AP) Claudio Carella Editore Aut. Trib. di Pescara n.12/87 del 25/11/87 Rivista associata all’Unione Stampa Periodica Italiana Redazione: Via Puccini, 85/2 Pescara Tel. 08527132 - redazione@vario.it

www.vario.it

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BREVario Vinitaly, l’Abruzzo brinda al successo Il Montepulciano d’Abruzzo è diventato la bandiera della regione, non solo in Italia, ma soprattutto all’estero: nel Nord America ad esempio è il vino più venduto e acquistato dagli americani subito dopo il Chianti. Le conferme sulle vendite che crescono a doppia cifra percentuale, soprattutto negli Usa, Paesi scandinavi e Germania, sono arrivate puntali e confortanti –specie in questo periodo di crisi economica e flessione nel consumo interno– nel 47esimo Vinitaly che si è svolto come sempre a Verona dal 7 all’11 aprile scorso. Il Padiglione 11 della Fiera, che ospitava ben 140 cantine abruzzesi, che hanno presentato 380 etichette (oltre al Montepulciano, richiestissimi sono stati i nostri Pecorini che hanno avuto un incremento nelle vendite del 233%) è stato visitato da decine di migliaia di curiosi, esperti, buyers e importatori esteri che hanno ormai un punto di riferimento nella nostra regione, che è anche il settimo produttore nazionale. A spiegare queste cifre il professor Renato Mannheimer, il celebre esperto di statistica, il quale ha sottolineato in un suo intervento come il nome Montepulciano d’Abruzzo sia ormai noto al 92% degli italiani, e che giornalmente il nostro vino è presente sulle tavole del 33% dei consumatori nazionali. Un risultato prestigioso testimoniato dalla scelta di Slow Food, che a Verona ha presentato un libro completo ed esauriente dal titolo: Montepulciano d’Abruzzo: un grande vino. Il volume è stato presentato dal direttore editoriale di Slow Food, Marco Bolasco, e si avvale della prefazione del presidente e fondatore di questa associazione-fondazione che è l’immagine stessa del made in Italy enogastronomico, Carlo Petrini.

Tollo, che musica in cantina

La cantina Tollo, oltre agli ottimi risultati (record di vendite e di fatturato negli ultimi due anni), a Vinitaly si è presentata ancora una volta con un’immagine “alta”: nel suo grandioso stand campeggiavano numerose foto del Pescara Jazz Festival, a spiegare e ricordare alle migliaia di visitatori che i vini della cantina Tollo sono da sempre lo sponsor del più antico e longevo festival europeo del jazz.

Zaccagnini, ambasciatore abruzzese nel mondo Il Tralcetto di Zaccagnini è il secondo rosso più venduto negli Usa (ossia il più grande mercato

al mondo quando si parla di vino) grazie anche –come ha scritto di recente il Wine Spectator, 15/04/13 la più importante rivista americana dedicata al vino– al suo rapporto prezzo-qualità imbattibile. E di nuovo si è scoperto, tra i tanti importatori scandinavi presenti a Verona, che i vini di Marcello Zaccagnini sono i più venduti in Norvegia e Svezia grazie ai “bag in box” di tre litri (da non confondere con i dozzinali cartoni in tetrapak che presentano sempre dei vini da tavola di bassa qualità o al massimo delle Igt).

Foto La vendemmia di Rocco, ecco il vino di Siffredi - 1 di 7 - Repubblica.it

La vendemmia di Rocco, ecco il vino di Siffredi « PRECEDENTE

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LE ALTRE GALLER DI PERSONE

Un Montepulciano “tosto”

Ilarità, curiosità, qualche mugugno e sorrisetti divertiti ha suscitato la scelta di marketing della cantina di Jarno Trulli di presentare al Vinitaly un vino sponsorizzato dal nostro attore di film hard, Rocco Siffredi. Si tratta del Montepulciano Rocco, idea dell’ex pilota di Formula Uno presente a Verona assieme all’ortonese Siffredi per il lancio ufficiale di questa nuova etichetta.

Ormai star del w eb, la "carcerata sexy" è pronta per Playboy

Roma nozz Heng invita Milian

Gaffe Bieber: ''Anna Frank, magari fosse diventata una mia fan''

''Asp cons Face paro dell'a

Il vino in rosa

Nel Padiglione 11 ha destato vera curiosità l’angolo delle donne abruzzesi del vino. Un’associazione di donne-manager che da anni guidano piccole e grandi cantine di successo, come Federica Morricone, proprietaria di Villa Medoro bottiglia nera molto elegante e dal peso di 600 ad Atri che nel 2012 ha superato il milione vetro che i produttori riservano Si chiamadi Rocco, grammi, il vino prodottoun da Rocco Siffredi e presentato durante l'ultima edizione di Vinitaly, a Verona. Accompagnato dalla moglie Rozsa Tassi e dall'amico e coproduttore Jarno Trulli, il pornoattore ha bottiglie di vendita; Stefania Pepe diventata una alla degustazione soltanto ai più importanti costosi. Sogno, partecipato del vini Montepulciano d'Abruzzo che e porta il suo nome realtà di livello nazionale con i suoi vini naturali; 4.380 giàpersone presente nel mercato scandinavo, tra pochi lo consigliano. Registrati per vedere cosa consigliano i tuoi Consiglia Marina Cvetic che guida la Cantina Masciarelli amici. mesi arriverà anche negli Stati Uniti, anche in un Repubblica sempre con piglio aggressivo, e altre produttri- “bag in box” completamente neroDivisione che Lapresenta Gruppo Editoriale L'Espresso Spa - P.Iva 00906801006 Società soggetta all'attività di direzione e coordinamento di C IR SpA ci di successo come Anna Iluminati, Perla Maria al centro un rosone color oro che richiama molto Pasetti e Stefania Bosco. A Verona ha fatto il suo la nostra Presentosa. Platinum ha presentato al debutto ufficiale una nuova cantina abruzzese di Vinitaly anche un ottimo pecorino, un cerasuolo Corropoli, Platinum, guidata da tre donne: Sonia dal gusto spumeggiante e, con molta sorpresa e Marzia Ferretti e Maria Teresa Ruccolo. Hanno dei tanti visitatori e buyers stranieri, un Procespresentato un nuovo Montepulciano, chiama- so Superiore doc (sempre in bottiglia nera) e un to Sogno (invecchiato sei mesi in legno), in una altro Processo Superiore docg millesimato. G.M.

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BREVario

a cura di Francesco Paolucci

Cronache dall’Aquila ECCO GLI “Irresponsabili” 309 vittime, migliaia di sfollati, un intero centro storico inagibile e l’occhio puntato dei media nazionali ed internazionali per molti mesi a seguire. Sono passati ormai quattro anni dalla notte del 6 aprile 2009, quando un terremoto distruttivo metteva in ginocchio la città dell’Aquila e gran parte dei paesi limitrofi. L’Aquila, per diverso tempo, è stato un catalizzatore mediatico; ad un tratto, poi, il silenzio. Via i set con telecamere e microfoni, via le luci e via molti giornalisti, tranne qualche eccezione. Una di queste è “Presa Diretta”, trasmissione di approfondimento di Rai 3 condotta da Riccardo Iacona, che ha raccontato, con estrema chiarezza, la condanna a sei anni per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose plurime che il Palazzo di Giustizia dell’Aquila ha emesso con una sentenza storica nei confronti dei sette componenti della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile. Tutti scienziati di chiara fama. Per molti mesi a livello giornalistico, prima e dopo la sentenza, è stata fatta confusione tanto da parlare di “processo alla scienza”, paragonando, addirittura, le sorti degli scienziati imputati a quella di Galileo Galilei. È tra i rivoli di questa informazione spesso torbida che la trasmissione “Irresponsabili” di Iacona si è inserita spiegando chiaramente le motivazioni che hanno portato il giudice Marco Billi alla condanna e cioè che gli scienziati non avrebbero svolto con responsabilità la funzione che lo Stato aveva loro assegnato. Non avrebbero svolto una vera analisi del rischio, sottovalutando i due mesi di sciame sismico che avevano preceduto il terremoto dell’Aquila, segnale che l’energia in accumulo si stava scaricando.

quella casa nel silenzio

NEWS from the TOWN

Uno dei simboli che ha caratterizzato la narrazione del terremoto aquilano è stato quello della Casa dello Studente di Via XX Settembre dove, a causa del crollo dell’edificio, hanno perso la vita otto studenti fuori sede. La sentenza del 16 febbraio scorso ha visto tre condanne a quattro anni e una condanna a due anni e sei mesi, quattro assoluzioni perché il fatto non sussiste e due per non luogo a procedere. La notizia ha fatto il giro, oltre del web, ormai sensibilissimo alle tematiche riguardanti le vicende del terremoto, anche delle testate nazionali: molti sono stati gli articoli, dal Fatto Quotidiano al Secolo XIX, da Skytg24 al Tgcom. Approfondimenti, però, nessuno. L’attenzione mediatica che ha ruotato intorno alla casa dello studente e alle storie delle vittime è durata poco, giusto il tempo di far affievolire l’emozione del pubblico.

C’è un nuovo giornale a L’Aquila: NewsTown, le notizie dalla città che cambia. Dallo scorso 12 marzo è online NewsTown, quotidiano di notizie, inchieste e approfondimenti, libero e indipendente, ideato e fondato da quattro giovani giornalisti aquilani con l’idea di raccontare la città da un altro punto di vista. Non inseguire le notizie ma fare informazione. Tra le pagine del sito è possibile scoprire inoltre blog tematici, video-interviste, e StudenTown, una sezione dedicata interamente agli studenti universitari in collaborazione con l’associazione Hatha Ciudad.

POST SCRIPTUM: LA CITTà che parla

TERREMOTO A FUMETTI Si intitola Il sigillo di Lazzaro l’avventura dello scorso febbraio di Dampyr, uno dei fumetti più popolari della casa editrice Bonelli. Protagonista –insieme al personaggio– è stavolta L’Aquila, con la sua zona rossa in stato di abbandono, che lo sceneggiatore Diego Cajelli e il disegnatore Fabrizio Russo hanno riprodotto fedelmente, non soltanto da un punto di vista figurativo: in diverse battute pronunciate dall’eroe c’è la denuncia delle condizioni della città (“Il terremoto ha colpito L’Aquila più di tre anni fa e da allora non è cambiato nulla… Hanno portato via le macerie, ma i lavori di ricostruzione sono ancora in gran parte fermi”). Nel fumetto compaiono numerosi luoghi della distruzione e quelli del tentativo di ritorno alla vita nel centro storico: il tendone dell’ assemblea cittadina nella piazza centrale, il primo bar riaperto, il palazzo del Governo e gli striscioni appesi dai cittadini.

L’Aquila, abbandonata, silenziosa e deserta da anni ormai, prende voce e manda rarefatti messaggi a chi ancora ha la forza, l’ostinazione e la devozione di andarla a trovare, di entrare nelle sue ferite e di cercare risposte. 
Non fantasmi, ma persone vive ancora fanno risuonare i loro passi nei vicoli vuoti.
Non fantasmi, ma persone vive toccano i muri che si sgretolano lentamente spaccati dal gelo. 
Non fantasmi, ma persone vive guardano gli

intrecci di ferro e legno che sostengono l’insostenibile.
Non fantasmi, ma persone vive, con rispetto ed un sentimento al quale si fa difficoltà a dare un nome, tornano spesso a varcare quel confine tra una nuova quotidianità e la zona dove ci sono ancora molte cose in sospeso. Tutto questo cercano di raccontare
Francesco Paolucci e Stefano Ianni
con un cortometraggio nato per caso durante un giro nel centro storico abbandonato della città.

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Nuovo CLA. Ha carisma, talento, coraggio. Tu mettici l’anima. Una rivoluzione nel mondo delle berline. Vieni a provarla. A partire da 29.900 €.* La migliore aerodinamica di tutti i tempi, con il comfort e l’abitabilità di una cinque posti. La nuova frontiera della sicurezza con DIRECT STEERING, COLLISION PREVENTION e ATTENTION ASSIST di serie.

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BREVario LINEA VERDE APPRODA A ORTONA

CASA NUOVA, CON CANTINA

Esistono comunità locali in grado di resistere alla crisi, che investe il settore economico sul quale storicamente si reggono, e la città di Ortona è una di queste. Linea Verde, rotocalco televisivo da anni impegnato nel fotografare realtà agricole e non solo, ha scelto di dedicare un’intera puntata, andata in onda lo scorso 24 febbraio, al comprensorio ortonese, spingendosi fin nell’interno. Il direttore della fotografia Nino Fezza, di provenienza ortonese, è stato particolarmente abile nel sintetizzare gli aspetti talvolta contradditori della sua città, tratteggiandone le debolezze, ma riuscendo nell’intento di catturare l’estrema vitalità del centro abitato. Dalla costa al celebre mercato ittico, dalle colture nell’interno alle cantine di fama nazionale e al celebre maniero, simbolo della città: uno sguardo d’insieme di rara suggestione. Tanto Fezza quanto la conduttrice Eleonora Daniele si sono pronunciati sulla città, sottolineando i rischi delle cementificazione selvaggia e rimarcando l’importanza di un programma consolidato come “Linea Verde”, in grado da anni di raccontare l’identità ItaliaBruno Cortesi na rivolgendosi talvolta anche ai più giovani.

Extreme Makeover - Home Edition, il popolare format statunitense dal 2013 ha un suo corrispettivo in Italia, con la conduzione di Alessia Marcuzzi. Il programma prevede che nell’arco di una settimana un team di esperti progettisti guidati proprio dalla presentatrice demoliscano e ricostruiscano l’abitazione di una famiglia bisognosa. Insomma, salvo qualche nota caratteristica, la formula è ultracollaudata. L’esordio del programma ha visto le Cantine Bosco Nestore come suggestiva location per la puntata dedicata al restyling completo dell’abitazione di una famiglia di Cepagatti. Al suo ritorno dal viaggio in Francia, la famiglia è stata ospitata presso le Cantine Bosco ed introdotta da Alessia Marcuzzi e da tutta la troupe alla scoperta della loro nuova casa, in compagnia di centinaia di bottiglie di vino pregiato. Pare che tutti si siano pronunciati favorevolmente sia sulla location che sugli ottimi vini degustati. B.C.

mancini fa spot GRAN SASSO goes Wild Laddove neanche le amministrazioni locali riescono nell’intento di valorizzare il paesaggio, forgiando nelle comunità il sentimento di appartenenza ad un territorio da salvaguardare (eventualità, questa, solo paventata), è probabile che un programma in onda in prima serata su una delle principali reti nazionali possa farcela. Wild – Oltrenatura, il programma di Italia 1 condotto dalla bella e simpatica Fiammetta Cicogna, giunto ormai alla sesta edizione, viaggia quest’anno alla scoperta di alcune aree protette d’Italia, tra cui il nostro Gran Sasso, al quale sono state dedicate ben due puntate, andate in onda il 19 e 26 febbraio. Il regista Paolo Borraccetti si è adoperato con grande attenzione nel selezionare le location che meglio si prestassero ad essere filmate. Vedere (o ri-vedere) le nostre montagne in televisione è certamente emozionante, ci riempie di orgoglio, e speriamo possa far da preludio ad una rinnovata (ma mai sopita del tutto) attenzione da parte di tutti ad una delle aree protette più estese e rilevanti dell’intera penisola. B.C.

È un magazziniere della Roma che annuncia ai giocatori la novità, e cioé che il nuovo sponsor della squadra è la Volkswagen. “Questi so’ seri, so’ professionisti”, dice; poi sfodera la sorpresa: lancia la maglietta nuova a Totti, che stupito legge il suo nome accanto al numero “10.900”, ossia il prezzo della nuova Polo. “A Francé, questo è marketing”. Con questa frase e questi pochi secondi di spot Giampiero Mancini, l’attore pescarese che ne è protagonista insieme a Totti, Osvaldo, Lamela e altri giocatori della squadra capitolina, si è guadagnato la popolarità che tanto teatro, fiction e serie tv non gli avevano ancora garantito. “Non posso più girare per Roma che vengo subito riconosciuto”, ha dichiarato Giampiero. Quando si dice che lo sport fa bene…

PESCARA A 10 EURO Come passare una giornata piacevole a Pescara spendendo in tutto meno di 10 euro. È quanto ci ha mostrato Alle falde del Kilimangiaro, il popolare programma condotto da Licia Colò, che lo scorso marzo, alla vigilia dei festeggiamenti per i 150 anni della nascita del Vate, ha mandato una troupe nel centro storico (e non solo) di Pescara, mostrando come tra musei, monumenti e luoghi caratteristici (incluso un succulento panino con la porchetta) si possa trascorrere qualche ora “a prova di crisi” nella città dannunziana. Tra i luoghi visitati, il Museo delle Genti d’Abruzzo, la Casa natale di D’Annunzio, l’Aurum (con visita alla mostra Il Cuore di Marco Mazzei); non poteva mancare anche la passeggiata conclusiva sul Ponte del Mare.

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Buongiorno, Franc

È stata una sorpresa anche per Padre Ciro Benedettini. L’ex direttore dell’Eco di San Gabriele, abruzzese d’adozione, oggi numero due della Sala Stampa della Santa Sede, racconta i primi giorni a fianco del nuovo pontefice e quelli trascorsi con Ratzinger e Woytjla


ncesco

di Claudio Carella

U

n grande evento accaduto a due passi dall’Abruzzo. Un evento che ha interessato il mondo e l’Italia. Ci siamo precipitati a chiedere un’intervista a Papa Francesco, ma i tempi non saranno brevi: la fila è lunga e comprende tutti i giornali del mondo, e se l’ufficio stampa seguisse un ordine alfabetico, quando vedrete l’intervista su Vanity Fair capirete che è arrivato il nostro turno (che precede comunque Vogue). Ma per

bruciare i nostri “concorrenti” ci siamo ricordati che in Vaticano abbiamo un amico –di Vario e dell’Abruzzo– che è molto vicino al Papa e che segue tutti i suoi passi: Padre Ciro Benedettini, vice direttore della Sala Stampa della Santa Sede, che avevamo già intervistato sul numero 34 del dicembre 1997 di Vario, all’inizio della sua attività in Vaticano, quando seguiva nei suoi viaggi intercontinentali Papa Woytjla.


• Padre Ciro Benedettini con Giovanni Paolo II; nella pagina accanto è con Benedetto XVI.

Padre Ciro, l’elezione del Cardinal Bergoglio al soglio pontificio ha sorpreso un po’ tutti. È stata una sorpresa anche per noi in Sala Stampa, non perché avessimo un nostro candidato, ma perché non era tra i papabili più citati dai media. Da notare che il conclave è l’unico caso in cui la Direzione della Sala Stampa non ha anticipazioni di sorta, ne sa quanto gli altri, non ha collegamenti segreti, perché le uniche informazioni arrivano a tutti tramite il fumo del comignolo della cappella Sistina prima e poi dall’annuncio del Cardinale protodiacono. Seguivo la telecronaca dell’annuncio nello studio del direttore, Padre Lombardi, anche lui sorpreso, pur essendo un gesuita come il nuovo Papa. La folla ha applaudito quando il cardinale ha pronunciato “habemus Papam”,ma è rimasta in un silenzio impressionante quando è stato annunciato il nome, perché non lo conosceva. L’entusiasmo è esploso poco dopo, quando il nuovo Papa è apparso sulla loggia e semplicemente ha detto: “Cari fratelli e sorelle, buona sera”. Non il classico “sia lodato Gesù Cristo”, ma un umanissimo, banalissimo “buona sera”, come si fa tra amici e conoscenti. Fin dal primo momento Papa Francesco ha manifestato il suo stile e conquistato il popolo. Ed anche i suoi “buon pranzo” al termine della recita del “Regina coeli” la domenica sono così poco papali, ma così vicini e popolari. A quale altro pontefice può somigliare Francesco? Ogni Papa è se stesso, ha la sua storia e la sua personalità distintiva, ma se proprio bisogna cercare somiglianze, mi vengono in mente senz’altro Papa Giovanni XXIII, con la sua carica di bonomia e audacia, Papa Luciani, Giovanni Paolo I, per il suo sorriso e la sua semplicità disarmante. La caratteristica principale di Papa Francesco è la genuinità, che significa soprattutto che è una persona vera, che non c’è nulla di artefatto o studiato in ciò che fa e dice. È realmente così, come lo si vede e questo lo rende vicino, alla mano, l’amico della porta accanto conosciuto da sempre, che, tuttavia, ha la straordinaria capacità di far trasparire Dio dalla sue parole e dai suoi gesti e di infondere fiducia e speranza. Questo lo

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ha fatto entrare subito in sintonia con la gente, conquistandogli una simpatia generale. Forse è una caratteristica che hanno i prelati non italiani? Non vorrei farne una questione di nazionalità, ma è vero che ogni popolo ha la sua specificità e i Latinoamericani, soprattutto brasiliani e argentini, dimostrano un calore particolare nel rapportarsi con gli altri, nel gusto di stare tra la gente, e anche per una certa “fisicità” soprattutto nei saluti (abbracci, baci, pacche sulle spalle), come vediamo fare anche da Papa Francesco, al di là da ogni protocollo papale tradizionale. Per il momento ha rifiutato di vivere nell’appartamento papale, che lo isolerebbe dalla gente, e continua a risiedere nella Domus Sanctae Martae, in Vaticano, tra gli altri ospiti, mangiando con loro, pregando con loro. Ha detto: voglio stare come tutti i vescovi tra i miei preti e il mio popolo. In pratica è un pendolare tra abitazione e luogo di lavoro, l’appartamento papale nel Palazzo Apostolico. Anche questo Papa ama lo sci e le passeggiate in montagna come Papa Wojtyla? Onestamente non lo so, ma lo escluderei. So tuttavia che il giovane Bergoglio, da buon argentino, praticava e amava il Tango, come ricorda la sorella. Papa Wojtyla il martedì, giorno in cui per tradizione il Papa non ha un’attività pubblica, amava fare escursioni e l’Abruzzo era tra le sue mete preferite. Siamo appena all’inizio del pontificato, non so se in futuro potrà concedersi il tempo per qualche escursione. Magari accompagnerà Bergoglio in Abruzzo, per esempio al santuario di S. Gabriele… Ne sarei felicissimo. L’Abruzzo è la mia seconda patria, San Gabriele il santo a me più vicino. Ma è prematura ogni ipotesi. Se dovesse descrivere Papa Francesco con delle parole chiave, quali userebbe? Debbo usare più parole: semplicità, spontaneità, sincerità, verità. Di tutte l’ultima, “verità”, è la più importante. Papa Francesco è se stesso, è una persona vera, non ha atteggiamenti artefatti.


È questa verità della sua persona che lo rende spontaneo, semplice, immediato, alieno da un protocollo che lo distanzierebbe dai fedeli. La gente intuisce immediatamente la verità della sua persona. Pensi a quello che è successo ieri (4 aprile, ndr) durante l’udienza generale: salutando i presenti si è trovato di fronte ad una bambina con una gamba ingessata e sull’ingessatura le firme dei compagni di scuola e dei familiari: non ci ha pensato due volte Francesco a scrivere sul gesso anche la sua firma di Papa. E come dimenticare quel bambino paralitico che i genitori hanno innalzato tra la folla mentre il Papa salutava dalla “papamobile”: ha fatto fermare l’auto, ha accolto tra le sue braccia il bambino, lo ha baciato e ribaciato a lungo sul volto con una intensità e dolcezza di cui forse solo le madri sono capaci. Ha commosso il mondo. I gesti così significativi sono arricchiti dalla sua parola, semplice, intrisa di vangelo; parola che va diritta al cuore delle persone, anche perché parla sempre della bontà di Dio, e spesso assume la forma di slogan, facili da capire e memorizzare:“Dio non si stanca mai di perdonare”,“non dobbiamo aver paura della bontà”,“l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita”,“chi ama perdona”, per Dio non siamo dei numeri”,ecc… Papa Francesco parla ex abundantia cordis. È povero nella sua vita privata, sobrio in quella pubblica. A Buenos Aires si preparava il cibo da solo, viaggiava con i mezzi pubblici; in Vaticano continua a portare le sue scarpacce nere di sempre, la sua modesta croce pettorale e il solito anello vescovile. È austero, ma ha un sorriso contagioso. Ecco: quando la povertà e l’austerità si accompagnano al sorriso e alla gioia siamo di fronte ad un vero uomo di Dio. La sua semplicità non deve trarre in inganno: Papa Francesco è una persona colta, di grande ricchezza spirituale e intellettuale, è amabilissimo, ma con una grande capacità di determinazione nelle cose che contano. In Italia viviamo un momento politico in cui si evidenzia la ricerca di persone con caratteristiche di umanità, di genuinità, che Papa Francesco sembra incarnare perfettamente. Il clima italiano ha influenzato il conclave nella scelta di Bergoglio? Per prima cosa vorrei sottolineare che quei 115 vecchi cardinali, provenienti dai 5 continenti, con culture e lingue diverse, in meno di 24 ore hanno saputo eleggere un Papa (e che Papa!). Spesso si criticano le istituzioni ecclesiastiche come antiquate e inefficienti ed invece hanno dimostrato una modernità, funzionalità e tempestività che le moderne istituzioni democratiche non hanno (e non mi riferisco solo all’Italia). Per rispondere alla domanda, il conclave non ha fornito una risposta solo ai problemi dell’Italia, anche se in Italia tendiamo a considerare il Papa come “nostro” –cosa che è vera, dato che il Papa è tale in quanto Vescovo di Roma– ma è stata una risposta alle attese di ogni popolo, poiché il mondo intero ha bisogno di Dio, di speranza, di amore, di vedersi rappresentato da gente “pulita”, persone che si curano soprattutto dei poveri, che s’inchinano sulla sofferenza del prossimo, che si impegnano nel proprio ambito a risolvere i problemi della gente. Per lavoro debbo leggere ogni giorno una rassegna stampa internazionale e con gioiosa sorpresa noto come praticamente dappertutto Papa Francesco sia stato accolto con simpatia, quasi fosse una persona attesa da tempo; ha fatto sprigionare un sussulto di gioia, di speranza. È come se la gente avvertisse

che i gravi problemi del mondo non si possono risolvere solo con l’economia, la produzione, la diplomazia, ma abbiano bisogno di un fondamento di moralità e dedizione che i governanti, anche quelli migliori, non riescono a dare. In effetti, il vero modo di risolvere i problemi è andare alla radice, ridare alla gente la speranza, l’energia di affrontare le situazioni difficili, l’ingiustizia che nasce soprattutto dall’invadenza dell’egoismo umano. Anche i non credenti onesti hanno un inconscio desiderio di Dio e si rallegrano quando vedono una persona che fa trasparire dai suoi gesti e dalle sue parole la bellezza ed il fascino di Dio. Bergoglio tra l’altro ha origini italiane… Sì, è nato da genitori italiani, emigrati dalla provincia di Cuneo. In casa si parlava dialetto piemontese, più che l’italiano, che ha dovuto studiare. Nella sua personalità e anche nel linguaggio c’è questo originale mix di italianità e latino-americanità che gli dona una carica di simpatia. Farà piacere agli italiani notare che, almeno finora, Papa Francesco abbia scelto l’italiano come lingua papale. E la sua esperienza con lui? Quando lo ha conosciuto? Onestamente non lo conoscevo bene, prima; di persona l’ho incontrato brevemente una o due volte, e avevo notato la sua semplicità e il suo essere alla mano. Molto più di lui sapevo dalla stampa, perché nel conclave del 2005 era presentato dai media come

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Dall’Eco di San Gabriele alla Sala Stampa vaticana Padre Ciro Benedettini è il vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede. È sacerdote passionista dal 1972, nativo della Repubblica di San Marino, ma innamorato dell’Abruzzo, dove ha trascorso una ventina d’anni, presso il santuario di San Gabriele dell’Addolorata, come direttore della rivista L’Eco di San Gabriele. Dopo gli studi teologici all’Università Salesiana e Gregoriana a Roma e quelli di giornalismo nel 1973-1975 presso l’Università degli Studi Sociali “Pro Deo” (oggi LUISS) è diventato giornalista professionista nel 1979. Ha pro-

seguito i suoi studi di giornalismo negli Stati Uniti, conseguendo un master in media studies presso l’università New School for Social Research di New York. Chiamato in Vaticano nel dicembre del 1994, ha servito come vice direttore della Sala Stampa della Santa Sede gli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, tutto il pontificato di Benedetto XVI e ora gli inizi di Papa Francesco. Era accanto a Papa Benedetto quando il 28 aprile del 2009 il Papa ha visitato le zone terremotate dell’Aquila ed ha incontrato la popolazione.

uno dei candidati più probabili, anche se riluttante ad accettare il ruolo del papato. Felicemente ha accettato nell’ultimo conclave, dicendo ai cardinali elettori: “Sono un grande peccatore. Confidando nella misericordia e nella pazienza di Dio, nella sofferenza, accetto”. Con finezza spirituale il suo primo pensiero, quando si è presentato sulla loggia, è corso a Papa Benedetto, che ha ringraziato e per il quale ha chiesto preghiere alla folla. Prima di benedire la marea dei fedeli, si è inchinato per ricevere lui la benedizione del popolo di Dio, un gesto teologicamente significativo perché è un riconoscimento che ogni battezzato partecipa al sacerdozio di Cristo. Sono gesti indicativi della sua persona e del suo stile. Per certi versi l’Abruzzo è stato menzionato, dato che la scelta di Ratzinger è stata accomunata al “gran rifiuto” di cui fu protagonista Celestino V, al secolo Pietro Angeleri da Morrone. È vero, se ne è parlato molto. Tuttavia le due figure sono molto distanti, non solo cronologicamente, ma per il diverso contesto nel quale sono maturate le due scelte. Quella di Papa Benedetto è stata una decisione maturata nella preghiera, frutto di lunghe riflessioni, e comunque prevista dal codice di diritto canonico. Una decisione pienamente libera, coraggiosa, onesta, che inizialmente ha turbato alcuni, ma che poi ha raccolto il rispetto e l’ammirazione generale. Le sue dimissioni non sono state una fuga, ma un vero un atto di governo. Benedetto XVI è stato un grande Papa, che ha guidato la Chiesa in un periodo difficile (in questo accomunato a Celestino V, sulla cui salma Benedetto nell’aprile del 2010 aveva lasciato il pallio, segno della sua autorità papale), che ha dovuto prendere decisioni coraggiose, e con mitezza ed amabilità ci ha sostenuti con la sua limpida dottrina che, da vero professore e maestro della fede, riusciva a rendere comprensibile a tutti. In fondo le figure di Papa Benedetto e Papa Francesco sono complementari. Ha usato il termine “complementari”: mai così appropriato, anche perché li abbiamo visti pregare assieme. La complementarietà possiamo vederla anche nella scelta del nome: Benedetto e Francesco, due riformatori della Chiesa in epoche di decadenza, con modalità uguali ed insieme differenti, nella linea della scelta di una vera vita evangelica. Benedetto ha scelto di far risplendere la bellezza del vangelo da quelle citta-

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delle di Dio che erano i monasteri, in un intreccio straordinario di fede e cultura, ponendo le basi dello sviluppo e della ricchezza culturale europea. Francesco ha scelto la predicazione itinerante, fra la gente, con l’esempio di una vita cristiana radicale nella povertà, nella gioia, nella sintonia con il Creato, come ha riconosciuto Papa Francesco nello spiegare perché avesse scelto quel nome: “Francesco, l’uomo della povertà, della pace, l’uomo che ama e custodisce il Creato”.Abbiamo avuto bisogno di Benedetto che ci ha fatto riscoprire la bellezza della dottrina, la sacralità dalla liturgia e ha messo in guardia la società dai pericoli del relativismo. Abbiamo bisogno di Papa Francesco che ci insegna la semplicità e la gioia del Vangelo, la necessità della sobrietà della vita, la solidarietà con i poveri ed i bisognosi. A proposito della scelta di Ratzinger: possibile che davvero voi non aveste avvertito nulla in merito? Col senno di poi si può dire che c’erano stati alcuni indizi della scelta che Papa Benedetto XVI andava meditando, ma altrettanto onestamente devo ammettere che nessuno di noi, che pure come sala stampa abbiamo le notizie in anteprima, si aspettava una decisione del genere così immediata. L’11 febbraio è festa in Vaticano perché è l’anniversario dei Patti lateranensi che segnano la nascita della Città del Vaticano. La sala stampa apriva per sole due ore, e io verso le 9 avevo telefonato avvertendo che non sarei andato in ufficio. Dopo neanche mezz’ora sono stato chiamato:“Corri in sala stampa, senza chiedere perché”. In Sala Stampa lei è arrivato durante il pontificato di Wojtyla. Ci dice quali sono secondo lei le differenze e i punti in comune tra i tre pontefici che ha conosciuto da vicino? Giovanni Paolo II era un condottiero, un comunicatore e un missionario, che aveva come orizzonte il mondo intero. Aveva una visione geopolitica della cristianità. Il mondo allora era ancora diviso tra due blocchi, che egli è riuscito a frantumare contribuendo alla caduta definitiva del comunismo. Con i suoi viaggi, i suoi discorsi, i suoi documenti, il prestigio morale che si era conquistato, salutato da tutti come il vero leader etico mondiale, era riuscito a infondere fierezza ed entusiasmo ai cattolici e ridare diritto di cittadinanza al cristianesimo nel villaggio globale. Anche nel periodo della decadenza fisica e della malattia, con la sua testimonianza ha reso


• Padre Ciro Benedettini in una foto pubblicata su Vario nel dicembre 1997

tutti più attenti al dolore umano, ha ridato dignità e valore alla sofferenza, testimoniando che l’uomo non vale per la sua efficienza, ma per se stesso, perché creato e amato da Dio. Ha dimostrato che l’incontro con Cristo rende appassionante ogni fase della vita. Benedetto XVI si è trovata una eredità difficile con i problemi, soprattutto interni alla Chiesa, che sono come esplosi, e che egli ha affrontato con coraggio, determinazione ed una intensa opera di purificazione. Ha individuato nel relativismo (cioè il ritenere che non vi siano verità assolute, ma solo verità provvisorie legate ai tempi) il tarlo che aggredisce e mina le società soprattutto occidentali, che quasi si vergognano delle loro radici cristiane. Il suo programma di governo lo ha espresso chiaramente al giornalista tedesco Peter Seewald nel libro-intervista “La luce del Mondo”:“Ci sono molti problemi nel mondo e tutti devono essere risolti, ma nessuno sarà risolto se Dio non diviene visibile nella società e non si riporta Dio al centro”.La sua mitezza e umiltà, unite alla determinazione si sono dimostrate nella decisione di continuare a contribuire al bene della Chiesa lontano dal mondo con la preghiera e lo studio, in perfetto stile benedettino. Gli inizi del pontificato di Francesco fanno intravedere un Papa parroco del mondo, vicino alla gente, con linguaggio e gesti alla portata di tutti, che parlano della bontà e misericordia di Dio, della bellezza della vita cristiana. Le sue parole ed i suoi gesti suscitano il fascino di Dio. Ha fatto intravedere di aver chiaro il suo ruolo: essere “pontefice”, cioè costruttore di ponti fra Dio e l’uomo, fra le persone, fra i popoli. Cosa ha chiesto Papa Francesco a voi della Sala Stampa? Il messaggio è lo stesso lanciato agli oltre 6000 giornalisti venuti a Roma per coprire il Conclave e che Papa Francesco ha ricevuto 4 giorni dopo la sua elezione. Innanzitutto, vorrei far notare il clima familiare dell’incontro, tanto da spingersi a confidare perché avesse scelto il nome “Francesco”. Ha dimostrato di avere grande fiducia nel giornalismo e nell’informazione, riconoscendo il loro ruolo “indispensabile per narrare al mondo gli eventi della storia contemporanea”.Ha lodato i giornalisti per la loro “preziosa opera”, per la “capacità di raccogliere ed esprimere le attese e le esigenze del nostro tempo, di offrire gli elementi per una lettura della realtà”. Ha paragonato il loro lavoro a quello stesso della Chiesa e cioè nel dover porre “una particolare attenzione nei confronti della verità,

della bontà e della bellezza”,perché “la Chiesa esiste per comunicare proprio questo: la Verità, la Bontà e la Bellezza in persona”.L’Aula Paolo VI, più che un incontro di giornalisti sempre un po’ diffidenti sembrava uno stadio al momento del gol della squadra del cuore. Pensa che viaggerà molto al seguito di Papa Francesco? È presto per dirlo. Per il momento c’è un solo viaggio confermato, quello a Rio de Janeiro in luglio per la giornata mondiale dei giovani. Tuttavia Papa Francesco ha ricevuto già un’infinità di inviti e credo che presto comincerà a mettere nero su bianco la sua agenda dei viaggi, che appaiono consoni al suo temperamento, e cioè al gusto di incontrare e stare tra la gente per parlare della bontà e bellezza di Dio. E L’Aquila? L’Aquila è certamente nel cuore di Papa Francesco perché è una città sofferente per il terremoto che ha provocato non solo ingenti rovine materiali, ma ancor più ha lasciato ferite aperte nei cuori per i tanti lutti e rischia ora di uccidere la speranza; una città che ha bisogno non solo dei soldi per la ricostruzione materiale, ma anche di coraggio e fiducia, di un supplemento di energie spirituali per riportare al suo splendore, negli animi e negli edifici, questa nobile città. Visita o non visita all’Aquila in fondo è secondario: gli aquilani possono essere sicuri che Papa Francesco è vicino e partecipe al loro dolore ed alla loro aspettative e sostiene la loro tenacia. Qual è stata la cosa che più l’ha colpita di Papa Francesco in questi primi due mesi? La sua capacità di comunicare, la facilità di entrare in sintonia con la gente, la sua sobrietà, il fiorire spontaneo sulle sue labbra di parole che fanno sentire Dio vicino ad ognuno. Sono rimasto impressionato, il 19 marzo, inizio solenne del Pontificato, quando, parlando di S.Giuseppe, ha invitato tutti alla tenerezza. Ha detto tra l’altro:“La tenerezza non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo aver timore della bontà, della tenerezza”.Mi sembra un messaggio semplice ma a suo modo rivoluzionario in questa nostra società incattivita dalla crisi economica e morale, in cui prevale l’invettiva, la polemica, il conflitto, in cui anche le minime regole della buona educazione rischiano di essere dimenticate.

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Alessandro Alimonti

Il segreto di Padre Guglielmo Ogni giorno all’alba, da più di trent’anni, centinaia di fedeli affollano la basilica della Madonna dei Sette Dolori, sui colli di Pescara, per assistere alla messa celebrata da Padre Guglielmo Alimonti, francescano di grande carisma, venerato come un nuovo Padre Pio. Come si spiega? Perché tante persone rinunciano alle ore migliori del sonno per assistere alla sua messa? In questa intervista le risposte del religioso, che parla anche della sua passione per i film di Sordi, i western e il calcio. E sulla scelta del nuovo Papa di chiamarsi Francesco esprime un’opinione sorprendente.

di Francesco Di Vincenzo foto Claudio Carella


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I

l silenzio. Quel silenzio assoluto che nel lungo attimo di raccoglimento che collega il Sanctus con il Pater Noster svuota la chiesa d’ogni suono, d’ogni voce, d’ogni brusìo. Un silenzio perfetto, quasi che i presenti smettano finanche di respirare, di pensare. Il celebrante è chino sull’altare, come vuole la liturgia, ma sembra svettare in tutto il suo carisma a convogliare e fondere le menti e i cuori in quel prodigioso momento di grande, limpida spiritualità. Pur se di deplorevole miscredenza, il vostro cronista ha assistito, per diverse ragioni, a decine, centinaia di messe. Eppure, mai gli era capitato d’avvertire una tale intensa partecipazione collettiva prima di quel freddo mattino di fine inverno nella basilica della Madonna dei Sette Dolori, a Pescara Colli, durante la messa mattutina celebrata da padre Guglielmo Alimonti. «Sa che sosteneva Padre Pio?», mi dice padre Guglielmo quando gli confido il mio stupore su quell’impressionante silenzio: «Se i fedeli conoscessero il vero significato della messa, affollerebbero le chiese tutti i giorni, ad ogni celebrazione, con la massima partecipazione». E qual è questo vero significato? «Non la commemorazione, non la celebrazione della memoria del sacrificio di Cristo, bensì la ripetizione sostanziale del suo sacrificio». Credere che la messa ripeta non simbolicamente ma sostanzialmente quel sacrificio è un grande atto di fede … «Appunto: un grande atto di fede. Chi compie quell’atto frequenta la messa assiduamente e con vera e totale partecipazione». È questo, allora, il “segreto” di Padre Guglielmo, la spiegazione del suo carisma, della straordinaria devozione e popolarità che lo circondano e che hanno trasformato le sue messe quotidiane in un fenomeno di costume oltre che di fede religiosa? L’aver saputo suscitare in migliaia di persone quel grande atto di fede che li porta a vivere la messa con totale partecipazione, come se davvero ogni volta ridiventassero dolentissimi, partecipi testimoni in diretta del sacrificio di Cristo? È questa, padre Guglielmo, l’origine del suo carisma? «Se ho carisma è perché Dio me l’ha dato».

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Sì, ma lei come si spiega che ogni giorno, centinaia di persone, non solo abruzzesi, si svegliano prima dell’alba per venire ad assistere alla sua messa? «È la forza della fede che in tante persone ha portato la piena comprensione del significato della santa messa». Ma perché è proprio da lei che accorrono? «Non so dare una risposta». Ci provi. «Posso dire, in tutta umiltà, che ho dedicato l’intera mia vita a uscire da me stesso, a svuotare la mia personalità dal mio io, cioè dai miei gusti, dalle mie idee, dalle mie propensioni intellettuali, per introdurre in me la forza del vangelo, della parola di Dio. Forse la gente avverte tutto questo, come se tramite me arrivasse più agevolmente a Dio, non incontrando più l’ostacolo della mia personalità umana che io ho cercatodi sostituire con la mia totale dedizione al Signore ed alla sua parola»». Dopo la messa i fedeli si mettono in fila attendendo la sua uscita dalla sacrestia. Che cosa le chiedono? «Di tutto. Una preghiera per la persona cara che soffre, un consiglio, un appuntamento per parlare più approfonditamente… Qualcuno mi invita a celebrare un battesimo, un matrimonio, un funerale…». Molti le baciano la mano, la toccano, come se avessero di fronte un nuovo Padre Pio. Avverte attese miracolistiche intorno a sé? Per dirla tutta: lei è a conoscenza di eventi prodigiosi, diciamo pure di miracoli, a lei attribuiti? Padre Guglielmo esita a lungo prima di rispondere. «Sì, è accaduto. Qualcuno mi ha attribuito la soluzione di qualche suo problema ed è venuto a ringraziarmi». Problemi anche di salute? «Sì. Talvolta, quando Padre Pio era ancora vivo ed io ero molto vicino a lui, il santo di Pietrelcina ha consigliato a qualcuno che implorava il suo intervento di rivolgersi a me. Ma, vede, è sempre opera di Dio. Assistere con l’animo giusto alla celebrazione della messa, ricevere l’eucarestia, partecipare al sacrificio di nostro Signore, significa entrare in profonda comunione con Dio, e così quello che chiedono a me, che si aspettano qualcosa da me,


• In queste pagine Padre Guglielmo, al secolo Alessandro Alimonti da Guardiagrele, nel chiostro del convento francescano annesso alla basilica della Madonna dei Sette Dolori a Pescara

l’ottengono da lui. Dio non dice mai di no a chi gli si rivolge con il cuore colmo di fede». Scandali finanziari e sessuali, casi di malcostume, lotte intestine. Sono tempi difficili per la Chiesa, spesso sotto accusa dall’opinione pubblica. «La Chiesa fa parte della società. Essa non è pura in ogni suo elemento, questo è umano, ma non è comunque giusto attribuire alla Chiesa il comportamento del singolo. Gli apostoli erano solo dodici eppure uno di essi tradì. La Chiesa può essere criticata quando nel suo complesso si stacca dal popolo, cessa di essere l’anima del popolo, ma questo non accade: la sua mano caritatevole è sempre tesa verso i poveri. L’attività di organismi come la Caritas, animata con grande abnegazione da tanti sacerdoti e laici cattolici, dimostra che la Chiesa è viva, sana ed opera rispettando la sua missione». Come valuta le dimissioni di Benedetto XVI e la successiva elezione di papa Francesco? «Io considero quelle dimissioni un grande gesto di umiltà, coraggio e sapienza guidato dallo Spirito Santo. La situazione della Chiesa di oggi richiede una guida di grande energia e Papa Benedetto XVI ha avuto il coraggio di prendere atto e confessare che egli non aveva più tutta l’energia necessaria. Papa Ratzinger, uomo di virtù silenziosa, ha dimostrato con le sue dimissioni una tempra e una saggezza forse insospettati ». Le dimissioni di Ratzinger ricordano quelle di Celestino V… «Santo Celestino è una figura che innamora. Ho scritto una poesia su di lui». “Per cinque mesi appena / portasti il grave peso/ e solo e sempre intento/ al bene della Chiesa…”. «Mi fa piacere che l’abbia letta, ci tengo molto a quella poesia». Cinque mesi appena, ma cinque mesi controversi. La sua elezione era stata salutata come l’avvento di quella Ecclesia Spiritualis che, secondo la profezia di Gioacchino da Fiore e le attese di Francesco d’Assisi e dei tanti movimenti spirituali che fiorirono in quegli anni, avrebbe dovuto soppiantare quella Ecclesia Carnalis che destava scandalo in chi voleva un rinnovamento della Chiesa sulla base di un ritorno alla

povertà e alla spiritualità delle origini. Ma i risultati del papato di Celestino non furono pari alle aspettative. «Celestino accettò la responsabilità del pontificato come obbedienza alla volontà di Dio, non pretese mai di misurarsi con tutta la vastità e la complessità dei compiti di un papa. Lui ridiede ordine alla Chiesa, potenziando il Sacro Collegio con la nomina di 12 nuovi cardinali. La rese più aperta, con una gerarchia meno arroccata sui suoi diritti e privilegi, diede indirizzi precisi e protesse i grandi movimenti spirituali. Per un uomo semplice, non aduso alle cose del mondo, sempre vissuto in romitaggio tra le grotte e i dirupi della Maiella, fece tantissimo. Poi, ritenuto concluso il suo compito, lasciò il pontificato. Ma non vedo analogie con la situazione della chiesa di oggi. La Chiesa e il mondo dei nostri giorni vivono problemi ben diversi…». Per esempio? «Se nel Duecento era il tema della spiritualità a dominare, oggi è il suo contrario: l’assenza di spiritualità nel mondo occidentale. Manca il riferimento a Dio, la forza della fede. L’Occidente corre avanti con arroganza tutta umana, in una confusione di valori e di linguaggi che sembra prefigurare una nuova Torre di Babele. L’Oriente, pur professando false religioni, ha la forza estrema della fede». Lei è un francescano. Il nuovo papa è un gesuita che ha scelto, sorprendendo tutti, di chiamarsi Francesco. Che significato dà alla scelta di papa Bergoglio? «Io lo leggo come un uscir fuori dalla sua formazione d’origine». Una sorta di “dimissioni” da gesuita? «Penso che l’abito spirituale costituito dalla cultura e dalla storia della Compagnia di Gesù sia stato avvertito dal nuovo Papa come insufficiente di fronte ai compiti e ai problemi della Chiesa nel mondo contemporaneo. La gente è affamata di bontà non di autorità, di amore non di forza. E Francesco è stato il santo della bontà e dell’amore. Non è un caso che i suoi primi gesti ed atti abbiano avuto uno schietto sapore francescano: la sottolineatura del dramma della povertà, l’esortazione ad una maggiore attenzione alle periferie, cioè ai diseredati, la scelta d’un abbigliamento e di ornamenti i più sobri possibili, i gesti fraterni nei confronti del

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papa dimissionario, la semplicità colloquiale di quel “buonasera” rivolto alla folla di piazza San Pietro subito dopo la sua elezione». Con un po’ di malizia si potrebbe sospettare una una buona dose di scaltrezza mediatica in quei gesti e quelle parole... «Ma no, lo escludo, anche perché un simile sospetto, essendo applicabile a tutto e tutti, ucciderebbe la possibilità stessa della spontaneità e autenticità». Lei parla della carità e dell’amore per il prossimo, per i poveri innanzitutto, come la missione fondante della Chiesa. Però, la lettura dei suoi tanti scritti e l’ascolto delle sue omelie, portano a pensare che lei assegni alla preghiera un ruolo centrale, pressocché esclusivo nella vita di un credente. Del resto, lei ha raccolto l’eredità di Padre Pio nella organizzazione e la cura dei gruppi di preghiera. La necessità di agire nella società sembra passare in secondo piano per lei… «È un’impressione errata. La preghiera non è isolamento, così come l’azione spirituale non è mai separata dalla società, dalla vita pratica, vissuta. Però bisogna cominciare da Dio». Prima la fede, poi la carità… «Esatto. Quando si risveglia lo spirito, quando si incontra Dio, si impara ad amare e a dare». Lei celebra messa ogni mattina alle sei… «La domenica alle sei e mezza». A che ora si sveglia? «Alle quattro». E a che ora va a dormire? «Di solito verso mezzanotte». Quattro ore di sonno sono poche. «Talvolta sì. Le racconto un episodio. Quando ero con Padre Pio mi svegliavo alle due e mezzo e scendevo con lui in chiesa per pregare. Una mattina, anzi una notte, proprio non riuscivo a vincere il sonno. Padre Pio era inginocchiato, io in piedi alle sue spalle: “Guagliò, mettiti a sedere”, mi disse…» La chiamava proprio così, “guagliò”? «Sì, quando eravamo soli mi chiamava così. Io gli risposi: “No, grazie”. In verità rimanevo in piedi per un forte dolore alla spina dorsale che mi impediva di stare seduto. Dopo un po’ mi ripetè: “Guagliò, siediti”. “Grazie, no”. Passò un quarto d’ora e lui tornò a dirmi, questa volta con tono perentorio: “Siediti”. Io, che cascavo dal sonno, mi sedetti e mi accorsi che il dolore alla schiena era scomparso». Padre Pio sapeva del suo malanno? «No». Lei è stato molto vicino a Padre Pio. «Sì. Andavo da lui per due, tre giorni alla settimana». Qual è stata la sua prima esperienza diretta, personale, delle doti sovrumane di Padre Pio? «Quello che m’è rimasto impresso dei primi tempi è un episodio forse meno significativo di altri ma che mi colpì molto. Un giorno Padre Pio mi domandò: “Ma tu di dove sei?”. Io sono originario di Guardiagrele ma risposi: “Di Pescara!”. Era una bugia ma io avevo ragionato così: “Che gli dico, che sono di Guardiagrele?

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E che ne sa Padre Pio di dove sta questo paese sperduto che non ha mai sentito nominare? Pescara, invece, sicuramente la conosce…”. Dopo alcune settimane mi ripetè la domanda: “Ma tu di dove sei?”. E io: “Di Pescara”. Dopo qualche tempo Padre Pio mi ripropose per la terza volta la domanda ed io diedi la stessa risposta. Allora scoppiò a ridere e si mise a parlare nel dialetto di Guardiagrele». Forse s’era informato... «Ma no!». Che cosa ha rappresentato per lei Padre Pio? «Padre Pio è stato per me un padre, un maestro, un fratello, un amico. È stato un dono prezioso di Dio alla mia vita. Sa che devo a lui se oggi sono qui, se la mia vita sacerdotale si è svolta in massima parte a Pescara?» Racconti. «Quando ero ragazzo se mi chiedevano che cosa volevo fare da grande, io rispondevo: il medico pilota». Medico pilota. Cioè? «Mi piaceva curare i malati e mi piaceva l’idea di volare nell’azzurro del cielo. Volevo viaggiare, insomma, conoscere popoli lontani. Ero affascinato dalla figura del cardinale Guglielmo Massaia, grande missionario in Africa, da cui ho preso il nome da religioso (Il nome anagrafico di Padre Guglielmo è Alessandro, ndr). E così, decisi che ne avrei seguito l’esempio. Studiai anche lo spagnolo per andare in Colombia. Quando si approssimò il periodo della partenza, decisi di chiedere a Padre Pio il suo parere. Ebbene, per ben due volte, in altrettante visite, dimenticai di fargli la domanda che m’ero proposto di rivolgergli: “Il Signore mi vuole missionario?”. Per la terza volta stavo ripartendo dimenticando ancora una volta di rivolgergli la domanda quando lui, abbracciandomi, mi disse: “Ma tu dove stai?”. “A Pescara, padre”. “Bene, rimani lì”. E così, ho rinunciato a farmi missionario». Molti vedono in lei un nuovo Padre Pio… «Non sono degno di una tale considerazione, ma ne sono onorato». Se dovesse dirlo con poche parole, qual è l’insegnamento più importante che le ha trasmesso Padre Pio? «Il senso di portare Cristo dentro di me e di adoprarmi per essere degno di una tale presenza». Lei che cosa mangia di solito? «Poco ma di tutto». È ghiotto di qualcosa in particolare? «Mangio volentieri qualche dolciume anche se, essendo diabetico, dovrei eliminarli completamente». Guarda la tv? «Talvolta. Trasmissioni culturali, sport, cinema…». Che film preferisce? «Quelli di Sordi mi piacciono molto. Poi i western». Il calcio le piace? «Certo, sono stato anche cappellano della Pescara Calcio per molti anni». Di recente un giornale sportivo ha proclamato Totti miglior calciatore italiano del dopoguerra. Altri gli preferiscono Del Piero. Lei chi preferisce tra i due? «Baggio».


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Il Campus è di tutti “L’Università pubblica è un presidio democratico, ed è nostra intenzione creare le condizioni perché Teramo resti piccola ma autonoma, dinamica e specialistica”. Il manifesto politico del neorettore è un omaggio allo spirito che caratterizzò la nascita dell’Ateneo e l’opera del suo illustre predecessore Luciano Russi di Fabrizio Gentile foto Claudio Carella

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illiput, come la chiamava Luciano Russi, è viva. Parola di un altro Luciano, D’Amico, che come nuovo rettore dell’ateneo teramano ha in animo di “restare fedele all’idea di Lilliput ma di declinarla in un’ottica contemporanea”, il che si traduce in “restare piccoli ma diventare più grandi”. Sembra una contraddizione, ma non lo è: il programma del neorettore, che ha raccolto intorno alle sue idee un nutrito gruppo di colleghi giungendo al risultato plebiscitario del 16 gennaio scorso (344 voti a favore su 414, pari al 75% dei 553 aventi diritto) punta sulla crescita dell’ateneo attraverso la strada della ricerca e dell’alta formazione (“la sfida sulla quale si confronterà l’università del futuro”), e su quella dell’implementazione dei servizi del campus di Colleparco e della razionalizzazione delle strutture. Il tutto per portare Lilliput, il piccolo ateneo della piccola Teramo, a diventare un grande punto di riferimento non solo per il territorio e per la Regione, ma per la comunità scientifica internazionale. Per dovere di cronaca, va detto che D’Amico non aveva concorrenti nella corsa al rettorato: la sua è stata una campagna elettorale in solitaria, coronata da un successo comunque rotondo. Il sospetto, legittimo, è che nessuno si sia voluto accollare la responsabilità di guidare un ateneo non proprio al top della forma. «In

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realtà –chiarisce il neorettore– la riforma Gelmini ha abbassato l’età dell’elettorato passivo a 64 anni, per consentire i sei anni di mandato dal momento che ora si va in pensione a settanta. È peraltro vero che in questo modo si è anche messo in moto un ricambio generazionale che è diventato necessario, perché uomini validi dal punto di vista didattico, eminenti professori che pure sono stati in grado di guidare gli atenei fino a dieci anni fa, oggi avrebbero le loro belle difficoltà a comprendere le dinamiche legate al nuovo sistema e quindi a mettere in campo le scelte giuste per affrontare il futuro dell’Università. Io, per esempio, dico che il principale concorrente di Teramo non è la D’Annunzio o L’Aquila che ci “rubano” gli iscritti, ma Shanghai che tra dieci anni farà un corso in telematica». D’Amico non le manda a dire; il suo è un parlare sereno e schietto che arriva direttamente al punto della questione. «Da oltre dieci anni sentiamo ripetere –afferma D’Amico– che in Italia ci sono troppe Università e troppi laureati, ed è una colossale serie di bugie. La verità è che la formazione universitaria non è più funzionale ad un Paese che, evidentemente, ha scelto di uscire da tutti i settori chiave dell’economia, sia in campo scientifico che umanistico. Mancano le competenze e le professionalità che hanno contraddistinto


• Luciano D’Amico, Magnifico Rettore dell’Università di Teramo, nel Campus di Coste sant’Agostino. Nelle pagine seguenti la sede dell’ateneo teramano e il Rettore nella sua veste ufficiale con la toga che fu di Luciano Russi

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l’Italia fin dai tempi preunitari, e che erano commisurate al valore del nostro patrimonio storico, artistico e intellettuale. Oggi abbiamo invece abbandonato ogni settore dell’economia, dalla chimica alla farmaceutica all’elettronica, fino anche a quelli di matrice più strettamente culturale, e ci stiamo avviando così verso un lento ma inesorabile declino. Se vogliamo competere a livello internazionale bisogna riaffermare il ruolo chiave che la formazione ha nella crescita economica del Paese. E per questo bisogna potenziare la ricerca. Un dato esemplare? In Corea del Sud il 45% della popolazione in età universitaria è iscritto all’università, in Italia il 17%. Non è un caso che se vuoi comprare un televisore di ultima generazione devi comprare un prodotto che, perlopiù, è realizzato in Corea. Bisogna invertire la tendenza, spezzare questo circolo perverso e per questo è necessario riaffermare a gran voce il ruolo chiave che la formazione universitaria riveste nella crescita economica di un Paese industrializzato». Sembra un proclama da campagna elettorale, ma a ben vedere è invece il pensiero di un aziendalista che da almeno 25 dei suoi 53 anni riveste ruoli istituzionali all’interno degli atenei di ChietiPescara (dove si è laureato in Economia Aziendale col suo mentore Giuseppe Paolone) e di Teramo, dove insegna dal 2000 e in cui ha ricoperto il ruolo di Preside della facoltà di Scienze della Comunicazione dal 2010 fino allo scorso dicembre, quando si è dimesso per concorrere alla carica di Rettore. «Il Governo taglia i fondi per l’istruzione e la ricerca, e noi dobbiamo intercettare altre forme di finanziamento, rivolgendoci all’Europa. Ma per questo servono tre cose: qualità della ricerca, qualità delle strutture e collaborazione a più livelli con istituzioni e università sia locali che nazionali e internazionali». E in questo senso va il programma di D’Amico, che mette al centro della sua azione di governo innanzitutto la collaborazione, a livello locale, con le altre realtà di eccellenza del territorio. «In primis con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale, col quale il collegamento con il polo agro-bioveterinario dell’Università è lampante. Stesso terreno di ricerca,

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stesse finalità; semmai funzioni diverse, e diverso il raccordo istituzionale (Miur da una parte, Ministero della Salute dall’altra), ma competenze e specificità comuni, che consentirebbero, se messe in collaborazione, di acquisire la credibilità necessaria proprio per accedere a finanziamenti che possono garantire non solo la sopravvivenza ma il futuro di entrambe le parti. E poi stiamo studiando le possibilità di collaborare con l’istituto musicale Braga (di cui D’Amico è presidente, ndr), un’altra realtà di eccellenza del territorio, che potrebbe essere a breve termine una spalla importante per alcuni progetti didattici della Facoltà di Scienze della Comunicazione. Più lunga, ma non impossibile, la strada per la collaborazione con l’Osservatorio di Collurania, da tempo al centro di progetti di ricerca internazionali, per il quale bisognerebbe però creare il terreno comune, magari istituendo corsi specifici in astronomia o astrofisica». E con gli altri atenei abruzzesi quali sono i possibili canali di dialogo? «Sono tanti, considerando che Teramo è un ateneo piccolo ma molto specializzato, che non ha corsi-doppione e che desidera mantenere questa sua specificità mettendola al servizio del sistema universitario abruzzese. Sono convinto che con i colleghi delle altre due università faremo cose egregie. Le possibilità di dialogo ci sono senz’altro, quelle di fusione no. Sbaglia chi pensa che le tre università abruzzesi debbano fondersi, anzi: il problema in Abruzzo non è che ci sono tre università, ma che ce ne sono solo tre. I mega atenei come La Sapienza hanno mostrato i loro limiti; autonomia e pluralismo sono i cardini sui quali si impernia la democrazia, ed è garanzia di democrazia offrire la possibilità a tutti di studiare senza dover raggiungere sedi lontane da casa, come Milano, pagando peraltro rette altissime. La scuola in Italia è pubblica, e pubblica deve restare, con tutto il suo patrimonio di peculiarità». Il che ci porta alle critiche, che a D’Amico sono state rivolte da molte delle associazioni civiche teramane, in merito alla dismissione del rettorato e al sospetto che dietro la decisione di abbandonare Viale Crucioli possa nascondersi un progetto di speculazione a lungo termine e l’ingresso di interessi privati nell’Università. «La logica privatistica è qualcosa che non mi sfiora neanche. Mio padre aveva la terza elementare, e se io ho potuto studiare e arrivare dove sono oggi è stato grazie all’istruzione pubblica, all’Università che mi ha fatto pagare tasse simboliche rispetto al costo complessivo dei servizi offerti, e in cui non valeva il censo o la dichiarazione dei redditi. La battaglia per mantenere l’università a Teramo non è di campanile, ma una lotta democratica per mantenere un presidio pubblico. È proprio per mantenere l’universi-


tà totalmente pubblica che desidero abbattere le spese superflue e razionalizzare le strutture. Abbiamo intenzione di trasferire Veterinaria a Piano d’Accio, dismettendo il costoso polo di Cartecchio, di ottenere la piena disponibilità del polo di Mosciano Sant’Angelo per Agraria e di abbandonare il rettorato, attualmente ubicato nella sede di Viale Crucioli, per trasferire tutti gli uffici a Colleparco. Viale Crucioli è una sede bella e prestigiosa, è un pezzo di storia della città: ma deve farsene carico la città, noi dobbiamo assicurare corsi efficienti e qualità della ricerca. E dobbiamo pensare in primo luogo all’incolumità dei sessanta dipendenti che dal 2009 lavorano in stanze completamente puntellate a seguito del terremoto. E poi per la messa a norma dell’edificio servirebbero circa cinque milioni di euro, mentre la vendita ne frutterebbe otto o anche di più. È impensabile tenere immobilizzati otto milioni di euro che potrebbero essere destinati potenziare la didattica e la ricerca per allestire, secondo quanto chiedono le associazioni civiche, lo studentato a Viale Crucioli per quaranta fuorisede. Dobbiamo invece fare i conti con quello che abbiamo, e Colleparco può diventare un campus vero e proprio». Il riferimento è alla proposta di tenere aperte le biblioteche fino a tarda sera? «Non solo. Quella è un’iniziativa che trae origine da un progetto più ampio di rivalutazione del capitale umano costituito dagli studenti, che devono essere visti non più come dei semplici vasi da riempire, ossia dei consumatori di informazioni, bensì come parte attiva sia in termini di formazione e didattica che di collaborazione lavorativa. Gli studenti dell’ultimo biennio non sono più degli scolaretti, hanno tre anni di studio in più delle matricole, e devono essere impegnati in attività di formazione e di gestione. Quando dico che dobbiamo riprendere il progetto degli impianti sportivi iniziato da Mattioli non penso all’assunzione di una schiera di istruttori, ma a una gestione condivisa da parte degli studenti, così come per certe attività didattiche e per le biblioteche. Questo significa responsabilizzare gli studenti, renderli partecipi anche a livello amministrativo, coinvolgendo maggiormente gli organi di rappresentanza studentesca, riportando la mensa nella sede centrale e permettendo di vivere l’università dalle otto del mattino fino a tarda sera. Io immagino un campus dove lo studente arriva, segue le lezioni, poi magari fa attività fisica, e a sera guarda un film e partecipa ad attività culturali. Per questo ho già avviato un progetto per portare all’interno del campus, sfruttando l’aula magna di Scienze della Comunicazione, i programmi dei maggiori festival cinematografici internazionali, a poche settimane di distanza dal loro svolgimento». For-

za lavoro studentesca, per creare economia di costo? «Non è solo una questione economica, si badi bene, anche se è vero che questo aspetto non è secondario. Ma il vero scopo è quello di rendere Colleparco non più una cattedrale nel deserto, ma un luogo che sia in grado di attrarre e accogliere gli studenti, un luogo di loro proprietà. È, in fondo, quel “contratto con gli studenti” di berlingueriana memoria, in cui l’Università si impegna a fornire uno standard minimo quanto all’aspetto formativo, ma anche lo studente si impegna a fornire uno standard minimo di formazione. In questo senso guardo al tanto celebrato modello anglosassone, in cui dopo due anni fuori corso l’università ti segue, ma a costi molto più elevati. Senza arrivare a questo, mi pare giusto che, dopo i cinque anni di corso durante i quali hai potuto seguire le attività formative a costi che a stento coprono il 4-5% del tuo sostentamento, l’università ti chieda una compartecipazione nelle attività di gestione. Una sorta di servizio civile, insomma. E i costi che verranno compressi in questo modo libereranno risorse per migliorare i servizi agli studenti. Del resto che questo progetto sia realizzabile lo dimostra il fatto che nel polo umanistico le associazioni studentesche hanno già in autogestione le biblioteche, il cui personale va via alle 17,30 e viene sostituito da personale studentesco fino alle 19,30. Si tratta solo di sistematizzare queste iniziative e renderle uno standard». Un concetto che avrebbe fatto contento Luciano Russi, che del campus è stato il promotore e che dell’Università di Teramo è stato (trascurando i pochi mesi di Paolo Benvenuti) il primo, magnifico rettore. «Russi, per usare una metafora, è stato il fondatore dell’impero. È stato uno straordinario rettore in un momento assolutamente impegnativo, in cui si doveva creare l’Università, sorreggerla e farle muovere i primi passi. La sua personalità esuberante è stata d’aiuto, la grandezza della sua visione ha permesso all’ateneo di raggiungere risultati di eccellenza. Altrettanto va dato merito a chi ha dovuto governarlo, l’impero: e il compito, in assoluta continuità con Russi anche se con esigenze e contesto diversi, è stato di Mattioli che con Russi è stato anche, non a caso, prorettore. Lo spirito di Russi è proprio quello spirito che oggi voglio mantenere: Teramo è piccola, e non ha bisogno di crescere quantitativamente, perché non ha complessi di inferiorità. Ma deve mantenersi dinamica e specialistica. Non servono ambizioni smisurate, non servono grandi balzi in avanti: abbiamo già un ottimo campo da coltivare, dobbiamo restare fedeli alle idee che hanno caratterizzato la nascita dell’Ateneo e cercare di declinarle in un’ottica contemporanea. Ho sei anni di tempo per provarci».

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Gabriele Gravina

Il bello del nazional-cultura Dal calcio al teatro, dagli idoli azzurri alla Divina Commedia, dai terzini alle terzine. È la qualità che conta. È questo ciò in cui crede Gabriele Gravina, che dopo aver promosso lo spettacolo calcistico è diventato produttore di un kolossal basato sull’opera del Sommo Poeta. Sempre con grandi protagonisti di Claudio Carella

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el mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / ché la diritta via era smarrita”. Cosa c’è di oscuro nel mondo del calcio che l’ha spinta a abbandonare il Castel di Sangro? «Niente di particolarmente oscuro: credo che un progetto abbia un inizio e una fine, e quell’esperienza aveva esaurito il suo percorso, durato peraltro circa vent’anni. Ci sono iniziative che giungono a un punto in cui bisogna avere la consapevolezza, la responsabilità di interrompere quel tipo di progetto». Ma Gabriele Gravina non ha affatto lasciato il mondo del calcio, anzi ha raddoppiato, pensando ai suoi incarichi come consigliere federale, come capo delegazione della Nazionale Under 21 e come amministratore delegato di Federcalcio, la

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• Gabriele Gravina e Marcello Lippi alla fine dell’avventura mondiale di Berlino nel 2006

società che detiene il patrimonio immobiliare della Federazione. Ed è passato con disinvoltura dagli stadi ai palcoscenici, alcuni particolarmente prestigiosi come quello dell’Arena di Verona, dove ha portato in scena lo spettacolo di cui è coautore, oltre che produttore, insieme a Don Marco Frisina: la Divina Commedia, l’opera musical-teatrale che sta riscuotendo un enorme successo in tutta Italia da quattro anni a questa parte. «Anche in questa occasione la campagna acquisti è stata importante –scherza– e avere un “top player” come Carlo Rambaldi (il compianto premio Oscar, papà di E.T.) è senz’altro stato fondamentale per costruire uno spettacolo vincente». Uno spettacolo dai grandi numeri, che si appresta a tornare all’Arena per la prossima estate «e anche nei grandi templi dello sport come l’Olimpico o San Siro, dove mi piacerebbe portarlo» confessa Gravina, «anche se il mio sogno sarebbe di vederlo allo stadio di Teramo, una bella struttura e un punto di riferimento importante per tutta la regione». “La Divina Commedia”, nata da un’idea di Don Marco Frisina (autore delle musiche) e di Gianmario Pagano (autore del libretto), fonde in sé musica, letteratura, danza e arte figurativa in un’indimenticabile e suggestiva cornice. Le eccezionali creature disegnate da Rambaldi e realizzate da un altro grande nome degli effetti speciali come Sergio Stivaletti, le imponenti scenografie unite alle immagini proiettate su un grande schermo ne fanno un’esperienza unica per lo spettatore, che viene catapultato all’interno dello straordinario mondo dantesco, in uno “spettacolare viaggio in musica dall’Inferno al Paradiso” come recita il sottotitolo. Il kolossal è prodotto da una società di cui Gravina è il riferimento, e che «è stata costituita con lo scopo di organizzare e valorizzare alcuni importanti progetti culturali italiani. Lo stimolo fondamentale viene da una riflessione di gruppo

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che costituisce la filosofia dell’azienda, e che è quella della responsabilità sociale. Un imprenditore, oltre a raggiungere gli obiettivi della sua attività, deve profondere energie sul territorio o individuare un settore nel quale investire risorse. L’abbiamo individuato nello sport, con tante iniziative (fra le quali il Castel di Sangro) legate anche allo sci e al rugby a L’Aquila; e abbiamo anche pensato di sviluppare un progetto culturale importante come questo della Divina Commedia, investendo risorse ed energie in prima persona, con sacrifici notevoli, e il risultato ci ha ampiamente ripagato sotto il profilo emotivo. Vittorio Sgarbi ha detto che siamo stati bravi nel restituire alla vita l’opera di Dante nella sua giusta dimensione. Si tratta di un viaggio introspettivo: Dante parla al pubblico e parte dal pubblico, è un’opera interattiva in cui lo spettatore diventa protagonista e questo viaggio emotivo è il viaggio di ciascuno di noi». Sport e teatro sono due forme di spettacolo. Nelle sue iniziative sembra quindi esserci una costante: unire cultura “alta” e cultura “popolare” e farne un fatto sociale. Non a caso alla presidenza del Castel di Sangro aveva chiamato un intellettuale come Luciano Russi… «Per noi Russi è stato un punto di riferimento fondamentale: il calcio in sé ci interessava poco, quel che ci interessava era la molteplicità delle sue dimensioni. Abbiamo cercato di sviluppare, di capire, di governare, di fare nostre le dimensioni del calcio e dello sport in genere; e abbiamo sviluppato, con Luciano, la dimensione culturale dello sport, aprendo per la prima volta le porte del mondo del calcio all’Università (e viceversa); la dimensione sociale, come fenomeno di aggregazione sul territorio e come fenomeno di comportamento, dando una nuova identità allo spettatore; per noi la domenica era una giornata di festa, in cui dominavano


• In alto, Gabriele Gravina con Giuseppe Rossi. In basso è con Antonio Nocerino. A destra, il giovanissimo Gabriele (ultimo a destra in piedi) ai tempi dei suoi trascorsi come calciatore dilettante

sicuramente gli interessi dei volontari, con le signore che facevano a gara a preparare i migliori dolci della domenica per servirli nella tribuna centrale; c’era chi portava il caffè, chi il tè… Quest’azione di volontariato era un messaggio di servizio non solo per la crescita delle relazioni umane, ma serviva a dimostrare che il calcio, lo sport, ha anche una dimensione di accoglienza, di ospitalità. E sotto questo profilo abbiamo centrato un importante risultato, come è stato importante anche utilizzare il calcio come mezzo per comunicare un territorio verso l’esterno: il progetto della cultura abbinato ai Solisti Aquilani, per esempio, che si esibivano alle 12 in tutte le più importanti strutture architettoniche di riferimento (penso al Conservatorio di Torino, alla cattedrale a Venezia)… ascoltare le Quattro stagioni di Vivaldi suonate dai Solisti Aquilani nei Parchi d’Abruzzo, era un modo per veicolare all’esterno il nostro territorio». Poi il passaggio al Rugby, uno sport in cui non si riscontrano gli aspetti peggiori del calcio. Lo ha fatto per le delusioni nei risultati? «Come dicevo, non è il risultato agonistico che mi interessa, ma quello sociale, sportivo. E col Castel di Sangro questi risultati ci sono stati eccome, non ho rimpianti né delusioni. Semplicemente, ci siamo accorti che quell’esperienza aveva esaurito la sua forza, e non volevamo correre il rischio che tramutasse i risultati positivi ottenuti in elementi negativi. Cosa che è puntualmente avvenuta, perché quando noi abbiamo espresso l’intenzione di lasciare, proponendo che l’attività proseguisse solo nel settore giovanile, qualcun altro ha deciso di continuare ad alimentare quel progetto iniziale e alla fine si è rivelato negativo. Invece noi ci siamo dedicati a individuare altre iniziative in territori anche diversi dal nostro, perché c’erano diverse esigenze. E quando

abbiamo visto che c’erano dei localismi che potevano essere alimentati e sostenuti –a volte anche con una semplice sponsorizzazione come nel caso dell’Aquila Rugby– da noi, o con un intervento da soggetti promotori come per la società sciistica, lo abbiamo fatto e lo facciamo volentieri. Perché la filosofia è: l’imprenditore deve essere presente in termini di responsabilità sociale. Chiaro che con questo progetto della Divina Commedia, o con un’altra Fondazione che abbiamo costituito, che si chiama Artemusicoltura (proprio con la O) ci siamo prefissi lo scopo di coltivare la conoscenza, perché credo che elevare la coscienza e lo spirito degli uomini con cui ci si deve relazionare aiuti tutti a stare meglio». Veniamo a lei: è un imprenditore dai molteplici interessi, ma qual è il suo ramo di attività peculiare? «Qualche mio amico mi definisce “imprenditore irrequieto”: mi pongo sempre nuovi obiettivi, esploro sempre diversi settori in cui operare. Non mi piace l’idea di nascere e morire con una singola qualifica. Per questo ho interessi diversi. Nell’edilizia mi sono occupato di opere private e pubbliche, ma anche di energie alternative e di grandi opere specialistiche: parchi eolici, opere idrauliche, di ricostruzione, collegate a interventi della protezione civile, di ristrutturazione e recupero di importanti elementi architettonici, difese spondali, potalizzatori. E ho avuto e ho tuttora incarichi come membro dei consigli di amministrazione in istituti bancari, ho un ruolo attivo da circa vent’anni come docente di economia aziendale (nel corso di scienze politiche) e di management delle società turistiche e sportive (nel biennio specialistico) all’università di Teramo. Io sono laureato in Giurisprudenza, ho studiato a Bari e mi sono laureato a Napoli. Ho studiato dai Dehoniani, che preparano i missio-

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nari, e questo mi ha dato un’impronta culturale molto forte soprattutto nell’affrontare i sacrifici. Del resto quando esci di casa a dieci anni devi formarti per forza». E ora ha anche un ruolo in Nazionale. Come lo vive? «Sono membro del consiglio federale e capo delegazione della nazionale under 21 (sono stato anche capo delegazione anche alle Olimpiadi di Atene e Pechino, e ho seguito la Nazionale maggiore in Germania nel 2006) e amministratore delegato di Federcalcio srl, che è proprietaria di tutti gli immobili della federazione in tutta Italia: Coverciano, le sedi, i campi di calcio… un patrimonio importantissimo. Mi occupa almeno due giorni a settimana, non percepisco né emolumenti né rimborsi, è un’attività di volontariato. Per me il calcio è una metafora della vita, devo molto al calcio; i miei migliori amici –da Abete a Marinelli, per citare due estremi– sono tutti nel calcio. E non potrei prendere questa attività a scopo di lucro». E il Pescara calcio? «Conosco tutti i dirigenti, i soci, sono amici. Sono un supertifoso, e non potrei non esserlo anche perché Pescara è il progetto sportivo di riferimento della regione, non c’è posto per i campanilismi sterili. Il progetto va alimentato, presenta certo delle criticità ma spero che possa trovare le risorse per mantenere la categoria perché per l’Abruzzo è importante». Vista anche la sua notorietà non si è mai lasciato tentare dalla politica? «Non nascondo che ho ricevuto alcune proposte, che ho sempre rifiutato. Ma negli ultimi anni comincio a pensarci, non tanto in termini di opportunità quanto in quelli, consueti, della responsabilità. Io ho un modo di intendere la tutela e il governo di un territorio diverso da quello che vedo di questi tempi, in cui l’interesse comune viene fatto intendere più come la sommatoria di singoli interessi che come una concezione sistemica dell’interesse della collettività, e avverto un certo senso di disagio. Soprattutto negli ultimi tre-quattro anni, non so se a causa della politica nazionale che si ripercuote a livello regionale, ma esprimo il mio disagio nelle forme di rappresentanza di questa regione. E non è una questione di colore politico, ma di metodo, che a mio avviso è un tappo per le potenzialità vere e straordinarie dell’Abruzzo. I nostri politici li vedo scarsamente preoccupati e scarsamente lungimiranti, non proiettati verso progetti generali di un territorio, né vedo gente che indichi degli obiettivi da raggiungere. Per me contano progettazione e partecipazione, che sono elementi fondamentali per la crescita: permettono grandi forme di aggregazione e quindi attraverso questi ingredienti e uno spiccato senso di responsabilità sociale dei singoli soggetti si può avere un migliore sviluppo economico. Senza questi elementi non si va da nessuna parte». • Gabriele Gravina , presidente del Castel Di Sangro appena promosso in serie B, nella foto pubblicata su Vario nel novembre 1996

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Gabriele D’Annunzio

Centocinquanta di questi giorni Pescara ha festeggiato il suo cittadino più illustre con una immaginifica serie di eventi. Anche Vario ha voluto ricordare il compleanno del Vate affidando a Marco Tornar l’arduo compito di realizzare questa intervista impossibile

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tarda sera, non addormentarti. Porgimi prima la tua domanda, che in realtà io stesso ti suggerisco. Al tuo risveglio domattina risponderò… In quali modalità è ancora concepibile l’essenza della tua poesia, qui nella vita terrena? Nella mezza luce, in prossimità di spiagge… Nelle sospensioni tra giorno e notte, albe e tramonti tra oleandri, allori, ulivi. Però non deve esserci nessuno, solo sparuti iniziati… Ma allora funziona, possiamo dialogare… Certo. Infatti albeggia di nuovo, ti sono accanto. Come potrebbe non funzionare, il metodo di comunicazione occulta che hai scelto, quello secondo Rudolf Steiner, del 1918? Si porge una domanda ai morti prima di addormentarsi a sera, e si riceve risposta al mattino, a mente fresca. Ai tanti che pretendono di intervistarci senza credere allo spirito, buttandola così in farsa, dico invece che è penoso… Dovete smetterla con la parodia, in Italia. Per tutta la vita… sono stato attratto da una sorta di assenza superiore, splendente sempre sul quotidiano, l’avete dimenticato… Un po’ come questo dialogo tra noi, tra prima che tu prenda sonno a sera, e il tuo risveglio al mattino. È l’alba e sei già sveglio, ricorda: Fresche le mie parole ne la sera/ ti sien come il fruscìo che fan le foglie/ del gelso ne la man di chi le coglie/ silenzioso… Ieri notte mi hai interrotto, non farlo più. Rispondo a quel che dovevi domandarmi: della mia parola in Italia non è rimasto niente. Così drastico il tuo giudizio? Forse non è morta la poesia da voi? Mai vissuto dall’Italia un momento tanto misero quale l’attuale. Se la stessa politica deraglia, mancando di cultura, figuriamoci la poesia… Eppure si dice… è opinione comune che se tu vivessi

nella nostra epoca saresti un genio della pubblicità, dello spettacolo. Appariresti in tutte le televisioni… Ancora mi si insulta! Della mia parola tra voi non è rimasto davvero niente! Ammetto, sono stato un po’ esibizionista, da vivo creavo scandali… Ma non mi sono mai piegato al giogo del danaro, al contrario lo disperdevo… Invece i vostri mezzi di comunicazione son biechi strumenti del mercato, accettandoli ci si prostra ad essi, alla volgarità, perciò tutto è così scadente… L’Orbo Veggente nella televisione italiana? Guarda, se la metti su questo piano tronchiamo subito. Chiamo Pascoli e te la vedi con lui… No! Ti prego… Non m’interessa Pascoli, adoro da sempre il tuo capolavoro, il Fuoco! Perciò t’è successo quel che t’è successo. Un vero macello, sappiamo tutto qui… In un modo o nell’altro, in Italia chi ha passione per l’arte deve pagarla, ingiustamente. T’immagini se Stelio Effrena, da protagonista del Fuoco, si facesse vivo in mezzo a voi? Lo manderebbero a lavare i piatti! Peggio, sarebbe considerato un sovversivo, assieme al suo amato Wagner… Oggi si legge poco il Fuoco, o mi sbaglio? Temo che non ti sbagli… In compenso Pescara ti celebra con varie manifestazioni, l’anno scorso è stato messo in scena un Processo a tuo carico. Recitava pure il sindaco, con Giordano Bruno Guerri… Prego?… Guerra? C’è di nuovo la guerra? No. Bruno Guerri. Direttore del Vittoriale, nonché scrittore e grande esperto del tuo mito. Mai sentito nominare. Si vede che è privo di vibrazioni che possan giunger qui, non ce la fa. L’ultimo intellettuale che ha avuto l’Italia è stato Carmelo Bene, rispetto a lui i vivi si posson cesti-

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• Gabriele D’Annunzio visto dal pittore Francesco Di Lauro

nare… Se vuoi lo chiamo, Carmelo. Stiam sempre insieme, e con noi c’è Rudolf! No, capisco… non intasiamo la comunicazione. Nessuno scrittore italiano di oggi merita il tuo apprezzamento? Giorgio Montefoschi. L’unico che conosca profondamente la scrittura. Non scimmiotta la cronaca e la televisione, lui. Canta e dipinge la donna, e i Parioli. E nella cultura abruzzese? Qualche nome, prego. Solfanelli. E poi quell’altro, come si chiama, il direttore della “Delfico” di Teramo. So di non essergli troppo simpatico. Io invece lo stimo, vedi come vanno certe cose. Ah, Marco, e il dottor Ponziani! Mi fa piace… Senti Tornar, non esser così impulsivo! Senza dubbio sei volenteroso, conosci regole occulte, però manchi di distacco. Devi imparare. Guarda me: da vivo ardevo di passione, prendevo fuoco dinanzi alla nudità della donna, perché non c’è niente di più esaltante che il corpo nudo femminile, no?… appunto, siam d’accordo… Ora però da disincarnato son freddo, impassibile. Appartengo agli spiriti contemplanti… M’è parso che quando hai alluso a Pascoli il tono fosse un po’… Ci mancherebbe. Dopo quel che ha combinato! Ma come, lui, l’autore della Cavallina storna, mogio mogio, timido timido, quando poi uccidon l’imperatrice Elisabetta d’Austria, moglie di Cecco Peppe e donna eccelsa, dedica un’ode all’assassino, a Lucchetti! È il colmo. Glielo dicevo sempre a Giovanni: resta a casa, seduto sulla tua pantofola, per il resto lascia perdere… Meno male che qui bazzica poco. Io, Rudolf e Carmelo, non frequentiamo Pascoli. Un’ ultima domanda, dopo dieci o undici sere: cosa ti sta

più a cuore? A domattina! I numeri non han senso per noi. In ogni caso, mi senti? sta spuntando il sole… Tutte le apparenze innumerevoli del Fuoco volatile e versicolore –è un passo del mio effrenico capolavoro, ambientato a Venezia– si spandevano pel firmamento, strisciavano su l’acqua, si avvolgevano alle antenne delle navi, inghirlandavano le cupole e le torri, ornavano le trabeazioni, fasciavano le statue, gemmavano i capitelli… Bene, vorrei che chi visitasse la mia casa in Corso Manthoné immaginasse… la Serenissima. Nella mia infanzia la vita fittiva fluiva per me tra le volte del cortile interno, su per la scalinata, mentre al tramonto la luce bagnava i rampicanti e bruiva, perché riflessa dalla Pescara… A trentun anni ho preso a stender i primi abbozzi del Fuoco, ma le sue scintille le avevo già viste nella casa pescarese dei miei: brulicavano sull’acqua marmorizzata del fiume come in quella della Laguna, in una luce da antica vetrata… Uno scrittore è puro spirito fin da quand’è bambino! ... Oddio questi mortali! È appena mezzanotte, è sopraggiunto qualcos’altro, e Tornar dorme. E se lo chiama la sua amata?… Mi sentirà domani, perché quando ci vuole ci vuole, come dice il poeta Vito Moretti, apprezzo molto anche lui, e il poeta Giuliani, come no… Insomma, poco fa Carmelo mi parlava della nota tecnica teatrale dei suoi tanti capolavori: Riccardo III, Manfred… La “sospensione del tragico”, la chiama… A un certo punto ha strabuzzato gli occhi a quel suo modo, e io con lui! D’improvviso ci siam resi conto che oggi in Italia invece di applicare la “sospensione del tragico”, hanno instaurato la sospensione del pensiero. Marco Tornar

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Sangritana

Destinazione Europa

Da Fossacesia ad Alessandria e da lì in Francia: l’accordo con Captrain, società ferroviaria d’Oltralpe, proietta l’azienda di trasporti abruzzese in uno scenario internazionale, raddoppiando il fatturato e aprendo nuove prospettive di mercato 32


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ono oltre 20mila i furgoni Ducato prodotti nello stabilimento Sevel di Atessa che ogni anno viaggeranno verso la Francia, da Torino di Sangro-Fossacesia, su treni Sangritana. Un convoglio al giorno, sette giorni su sette, lungo 516 metri e composto di 16 vagoni sui quali trovano posto non meno di 60 mezzi. Dallo scorso 7 gennaio e per i prossimi due anni, quindi, Sangritana

si occuperà del trasporto dei Ducato prodotti in Val Di Sangro fino ad Alessandria, da dove i vagoni proseguiranno il loro viaggio fino ad Amberieu su mezzi di proprietà della francese Captrain. Quello con la Captrain –oltre ad essere un magnifico regalo che l’azienda regionale ha fatto a sé stessa per i suoi cento anni di vita– non è l’unico accordo che la Ferrovia Adriatico Sangritana ha stretto,

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• Nelle pagine precedenti e qui sopra, un convoglio della Sangritana carico di furgoni Ducato prodotti dalla Sevel di Atessa. Sotto, una delle nuove motrici e un momento della conferenza stampa di presentazione dell’accordo con Captrain (al centro il presidente della Sangritana Pasquale Di Nardo)

negli anni della sua storia recente, allo scopo di rilanciare il settore del trasporto merci, avviato fin dal 1942 e tuttora uno dei suoi principali asset. Il rapporto con la Sevel per il trasporto dei furgoni Ducato prodotti in Val di Sangro nasce infatti già nel 1990; nel 2010, la Sangritana focalizza i suoi interessi sull’Interporto di Jesi, assicurando il trasporto di barbabietole da zucchero dalle Marche al Molise (Guglionesi); e nello stesso anno, l’impresa ferroviaria abruzzese supera i confini nazionali ed assicura un trasporto eccezionale di poco meno di 3.000 tonnellate di acciaio dalla Germania a Chieti Scalo per conto della Walter Tosto. Ma l’accordo con Captrain, impresa ferroviaria francese, segna anche una novità: «Fino allo scorso 31 dicembre –ha spiegato il presidente di Sangritana Pasquale Di Nardo– abbiamo svolto questo servizio di trasporto come “condotta”, ovvero con nostri macchinisti ma su mezzi di altre compagnie. Oggi, finalmente, abbiamo i nostri mezzi, la nostra linea ferroviaria e il nostro personale a garantire la qualità e l’efficienza di un servizio targato Abruzzo». È il primo tassello, spiega ancora Di nardo, il primo anello «di una catena che speriamo ancora lunga e ricca di soddisfazioni. È un risultato per il quale stiamo lavorando da tempo, e che

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ha cominciato a concretizzarsi lo scorso mese di luglio con l’acquisto di due locomotori E483 Bombardier, che a distanza di pochi mesi sono stati abilitati al traffico ferroviario e messi in servizio. Per noi la priorità resta il trasporto passeggeri, ma anche sul fronte del movimento merci siamo in prima linea e questa importante partnership lo dimostra». Alla conferenza stampa di presentazione dell’accordo erano presenti, insieme al presidente Di Nardo, anche l’amministratore delegato di Captrain Italia, Mauro Pessano, e l’assessore ai trasporti della Regione Abruzzo, Giandonato Morra, oltre al responsabile della sezione trasporti di Confindustria Chieti, Giuseppe Ranalli. Numeri alla mano, la Sangritana rappresenta un’azienda di trasporto capace di offrire molteplici servizi, «alcuni dei quali rivolti in particolare alla Val di Sangro. Polo industriale, questo, di rimarchevole importanza non solo per la presenza di multinazionali, ma anche per gli investimenti che la Regione Abruzzo ha inteso fare per sostenere lo sviluppo dell’automotive». La partnership con Captrain, ha sottolineato Di Nardo, «non può che inorgoglirci perché contribuisce alla crescita della nostra azienda che continua a misurarsi con nuove realtà e nuovi mercati, anche stranieri.


• Qui sotto: da sinistra l’assessore regionale ai trasporti Giandonato Morra, Pasquale Di Nardo, l’amministratore delegato di Captrain Italia Mauro Pessano.

E non può essere diversamente, a riprova di come e quanto stia cambiando il complesso ed articolato mondo dei trasporti». L’assessore ai Trasporti, Giandonato Morra, ha sottolineato le positività del nuovo servizio: «Continua la striscia positiva della Sangritana e la testimonianza tangibile è data dall’importanza di questa “commessa” con Captrain, ottenuta dalla società abruzzese che si proietta definitivamente in uno scenario trasportistico merci sia nazionale che internazionale. Il valore di Sangritana viene finalmente riconosciuto da una società tra le più importanti nel settore, che ha stretto partnership di livello in molti altri Paesi europei. Lo stesso dicasi per il trasporto passeggeri: la Sangritana ha già dimostrato ampiamente di poter garantire collegamenti con l’Emilia Romagna. Questo accordo inoltre allontana dalle strade ed autostrade italiane circa 6.700 bisarche (i tipici camion a due piani utilizzati per il trasporto di autoveicoli) l’anno, con un conseguente ed importante abbattimento di emissione di CO2 (5mila tonnellate di CO2 all’anno)». Fattore non secondario è poi l’aumento del fatturato del 100%: «Prima –ha proseguito Morra– questo trasporto era garantito da Sangritana con i soli macchinisti, adesso l’utilizzo di locomotori di proprietà raddoppia il fatturato che

raggiunge così i 2 milioni di euro. Un risultato notevole in tempi di crisi, che porterà anche a ricadute positive in termini occupazionali e di ricchezza del territorio». Capacità sottolineate anche da Mauro Pessano, amministratore delegato di Captrain Italia, che ha precisato: «Abbiamo un network europeo e desideriamo offrire servizi sul territorio italiano. Cercavamo un partner nel Centro Italia e abbiamo individuato in Sangritana la realtà più solida e affidabile con la quale stringere rapporti proficui. La scelta di Sangritana, quale nostro partner in questo importante servizio di trasporto merci, è stata una scelta quasi obbligata, determinata dalla qualità che la FAS garantisce attraverso i servizi che offre: puntualità, precisione, affidabilità e grandissima professionalità. Questo porterà vantaggi bilaterali: a Sangritana, con cui speriamo di intensificare le attività consentendole di espandersi in Europa, e a noi perché la FAS ci apre le porte del Centro e del Meridione. Del resto, in un mercato di libera concorrenza, le strategie aziendali non possono che basarsi sulla qualità ed affidabilità delle imprese ferroviarie e Sangritana risponde pienamente a questi requisiti».

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Arpa

In viaggio con la tecnologia L’azienda di trasporto regionale percorre la strada dell’innovazione al servizio dei clienti: biglietto elettronico e nuovi autobus. Destinazione: azienda unica e ottimizzazione delle linee

S

i preannunciano tempi migliori per gli utenti della rete di trasporto pubblico locale: grazie a un’applicazione per smartphone si potrà dire addio alle lunghe file in biglietteria. E viaggiare sarà un’esperienza migliore grazie al rinnovamento del parco mezzi. È stato lo stesso presidente dell’Arpa Massimo Cirulli a presentare lo scorso 25 marzo, al Porto turistico Marina di Pescara, i 19 nuovi autobus acquistati dall’azienda regionale, lanciando contestualmente My Cicero, il sistema di acquisto dei biglietti tramite telefono cellulare. Dal 1° Aprile è infatti possibile acquistare biglietti e rinnovare abbonamenti scaricando la app gratuita MyCicero (disponibile su Google Play e App Store) e registrarsi al servizio. «Questa semplice applicazione –ha illustrato Cirulli– è una piattaforma informatica moderna che permette di acquistare tutte le tipologie di abbonamenti Arpa, i biglietti per Roma e per Napoli ed in questa prima fase quelli per la tratta Giulianova-Teramo. Dopo la fase sperimentale, tutti i titoli di viaggio del Tpl, cioé del Trasporto pubblico locale abruzzese saranno acquistabili in rete per mezzo degli smartphone». Investimenti cospicui, quelli effettuati dall’Arpa per rilanciare il trasporto locale: i 19 nuovi autobus acquistati dall’azienda regionale fanno salire a 208 il numero di quelli acquistati dal 2009 ad oggi per un importo di spesa pari a 42 milioni di euro, di cui 31 milioni e 300 mila euro –pari al 74%– a carico delle casse dell’azienda. Con il risultato concreto di abbassare l’indice di vetustà dei mezzi in circolazione da 15 a 10 anni e di ridurre così i costi di manutenzione, quelli di esercizio e l’impatto ambientale dovuto al maggior consumo di gasolio.

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Una strategia aziendale che al centro mette il cliente e le sue esigenze, facilitando l’acquisto dei titoli di viaggio con l’introduzione delle nuove tecnologie ed offrendo mezzi di trasporto nuovi, confortevoli e moderni. Presidente, si ritiene soddisfatto dei traguardi raggiunti? «Dopo tre anni e mezzo il livello è ampiamente soddisfacente, sia per il Trasporto Pubblico Locale (linee extraurbane) che per il commerciale (che non gode di contributi regionali), verso Roma e Napoli, sui quali impieghiamo la parte migliore del nostro parco rotabile. Con gli ultimissimi acquisti (cinque autobus a due piani) siamo su livelli di assoluta eccellenza. Il nostro cliente non è solo il viaggiatore occasionale, ma sono i pendolari, ai quali dobbiamo assicurare un collegamento dignitoso. Qualche tempo fa sulla nostra pagina Facebook è apparso un commento di un utente che chiedeva di togliere dalle strade i 370 perché inadeguati. Come dargli torto? È infatti in questa direzione che ci siamo mossi, e oggi i collegamenti sono assicurati su un livello qualitativo molto alto». Una politica in sintonia con quella delle aziende private. «Non possiamo certo permettere che la nostra offerta sia inferiore a quelle delle linee private. Ma avevamo già un ottimo livello sulle linee commerciali, sicuramente superiore a quello della concorrenza low cost: le corse verso Roma presentavano già un tasso di soddisfazione molto alto. Dove davvero abbiamo fatto passi da gigante è stato sul trasporto regionale: di queste 208 macchine nuove almeno 180 sono impiegate sulle corse regionali. Ora le prossime sfide partono proprio da questa della bigliettazione elettronica, che indubbiamente colloca


• Il presidente dell’Arpa Massimo Cirulli a bordo di uno dei nuovi pullman che attraverseranno le strade della nostra regione. Nella pagina a fianco il presidente della Regione Abruzzo Gianni Chiodi durante la presentazione delle novità aziendali; sopra, gli ultimi autobus acquistati dall’Arpa.

l’Arpa al vertice non solo regionale, ma addirittura nazionale, delle imprese di trasporto pubblico locale. Una piattaforma flessibile che, potendo essere utilizzata anche da parte di altri vettori abruzzesi, prelude all’integrazione tariffaria». La strategia è quindi quella di una fusione tra le aziende pubbliche e le società di trasporto private? «La strada da percorrere è quella dell’integrazione tra i vettori, eliminando le sovrapposizioni e istituendo un unico soggetto pubblico. Oggi, per coprire alcune tratte interne, un viaggiatore è costretto a comprare tre o addirittura quattro biglietti tra autobus e treni. Bisogna fare in modo che si arrivi al biglietto unico regionale gomma-ferro, da acquistare tramite questa nuova piattaforma. Ed è impensabile che a questo processo di integrazione non partecipino anche i vettori ferroviari. Arpa e GTM stanno già andando in questa direzione, ma una fusione tra le aziende pubbliche e il successivo consorzio resterebbero un contenitore vuoto senza l’integrazione tariffaria: non ci sarebbe utilità per il cittadino. Il trasporto deve rispondere alle esigenze della collettività». E questo passa per l’efficientamento della gestione del personale… «In questi anni, d’intesa con i sindacati e a sostanziale parità di offerta complessiva del servizio, siamo riusciti a ridurre il numero degli occupati, eliminando alcuni turni e migliorando l’efficienza dei servizi. Siamo però ancora in una fase iniziale: la legge di stabilità adesso impone alle società di aumentare le percentuali di ricavo della tariffa, e questo si traduce nella necessità di sopprimere le corse a domanda debole, cioè quelle

meno frequentate, e di trasferire quei chilometri sulle corse a domanda forte. Sopprimere 300mila km per trasferirli su una corsa produttiva non solo soddisfa 30 nuovi cittadini, ma fa guadagnare all’azienda 30 volte quel che guadagnava prima. Certo, le resistenze saranno notevoli, ma l’esigenza del singolo cittadino cui viene meno l’offerta di mobilità, non può essere soddisfatta da un autobus da 52 posti. Vanno dunque studiati sistemi sostitutivi, per esempio quelli a chiamata. Costa meno, paradossalmente, muovere un taxi che muovere un autobus». Va sostenuta la mobilità interna, ma si deve anche supportare un altro elemento strategico per la regione: il turismo. «Certo. Questa piattaforma presentata oggi va incontro anche alle esigenze del turista straniero. Indubbiamente l’area metropolitana è il cuore pulsante della nostra regione, e qui ci sono delle domande di mobilità ancora insoddisfatte, che noi dobbiamo intercettare; perché se la nuova linea di politica legislativa è sopprimere le corse a domanda debole a favore di quelle a domanda forte, dobbiamo probabilmente attuare un progressivo trasferimento di percorrenze dalle zone interne verso la costa. Si potrebbe obiettare che andiamo nella direzione opposta a quella del riequilibrio territoriale, ma prima di tutto dobbiamo osservare una legge dello Stato, che –piaccia o non piaccia– ci impone questa direttiva; e in secondo luogo dobbiamo risanare i conti aziendali, perché le perdite vengono pagate comunque dal contribuente. È una partita molto delicata quella che deve essere giocata nei prossimi mesi».

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De Cecco

L’importante è la pasta La storica azienda di Fara S.Martino rilancia e raddoppia:

due nuovi impianti a Ortona e una linea di prodotti da forno per ampliare il mercato nel segno dell’innovazione

B

uone, anzi buonissime notizie per l’economia abruzzese: in un momento mai così grave per le industrie italiane, ecco che De Cecco guarda oltre la crisi e rilancia sul piatto (di pasta) della produzione, consolidando la sua secolare presenza sul territorio. Due nuove linee produttive, una per la pasta corta e una per quella lunga, con una capacità pari a 40 quintali l’ora, sono state inaugurate alla presenza delle massime rappresentanze istituzionali locali e regionali lo scorso 10 aprile a Villa Caldari di Ortona, nello stabilimento attivo dal 1997 dove l’azienda ha realizzato i nuovi impianti. «Uno standard produttivo che è alla base del futuro sviluppo del pastificio», ha detto il patron Filippo Antonio De Cecco inaugurando le nuove creature ad alto tasso tecnologico progettate dall’ingegner Enrico Fava, “papà” degli impianti del colosso di Fara S.Martino fin dal 1966; 30 milioni di euro il costo dell’investimento, finanziato per il 7 % dalla Regione Abruzzo, per una capacità produttiva che aumenta così del 35% (+2mila quintali in 24 ore, ovvero 1 milione e 200mila quintali annui nel solo stabilimento ortonese) e va a insidiare la vetta della classifica dei produttori mondiali di pasta dominata (finora) dalla Barilla. Un aumento di produttività reso necessario dallincremento della domanda di pasta De Cecco in tutti i mercati mondiali in cui l’azienda è presente, senza togliere

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nulla agli standard qualitativi propri dell’antica tradizione pastaia di cui l’industria di Fara è fedele interprete fin dal 1886. I nuovi impianti applicano infatti le cosiddette “mild technologies”, cioé processi delicati che preservano al meglio il patrimonio qualitativo della materia prima. Delle nuove linee, prodotte dalla Fava di Cento (Ferrara) colpiscono soprattutto le dimensioni, ben maggiori rispetto a quelle dello stabilimento di Fara (dove tuttora sono in funzione ben 13 linee di produzione). Ma i tempi lunghi di lavorazione, che costituiscono il segreto della pasta De Cecco e portano alto il nome dell’Abruzzo in tutto il mondo sono rimasti invariati, preservando così la qualità del prodotto. E non è tutto. Con l’apertura dei nuovi impianti produttivi la De Cecco lancia anche una nuova linea di prodotti da forno,“I grani”, con l’obiettivo strategico di diventare in cinque anni il secondo brand del mercato dopo Mulino Bianco. Tre Pan Soffice nel segmento dei pani morbidi, due tipi di grissini, due di cracker, uno di grissinotto e uno di tarallini, tutti caratterizzati dall’alta qualità dei cereali utilizzati: grano duro, grano tenero, ma anche kamut e grano saraceno, realizzati esclusivamente con olio extravergine di oliva e senza l’impiego di grassi idrogenati, coloranti e ogm. A festeggiare l’evento, oltre al presidente della Regione Gianni Chiodi –che ha definito il pastificio De Cecco, «una delle


• I nuovi impianti inaugurati nello stabilimento De Cecco di Ortona. Nella foto al centro il patron dell’azienda Filippo Antonio De Cecco con il presidente della Regione Gianni Chiodi durante la cerimonia

eccellenze imprenditoriali che ha fatto sì che l’Abruzzo fosse più forte o meno debole in questi anni difficili per tutti»–, l’assessore regionale alle Politiche agricole Mauro Febbo, il presidente della Provincia di Chieti Enrico Di Giuseppantonio, il Prefetto di Chieti, i sindaci di Fara San Martino e Ortona, nonché i rappresentanti delle forze di polizia, le autorità ecclesiastiche e naturalmente la famiglia De Cecco: il Cavaliere Filippo Antonio in testa, seguito dall’AD dell’azienda Saturnino, e dai consiglieri Peppe (ex presidente della Pescara Calcio) e Adolfo. Una famiglia della quale fanno virtualmente parte anche le maestranze, ossia i 1600 dipendenti del pastificio, equamente suddivisi tra gli stabilimenti abruzzesi –di Fara S.Martino, Pescara e Ortona– e quelli russi a Mosca, San Pietroburgo e Smolensk. Diciotto mesi fa, infatti, la De Cecco ha acquisito il controllo della First Pasta Company (Pmk), secondo produttore russo, un gigante da un milione di quintali di pasta annui. Una politica espansionistica che testimonia l’intenzione dell’azienda di proseguire sulla strada dello sviluppo, di cui dipendenti e collaboratori sono parte essenziale: «Le scelte e gli investimenti che abbiamo fatto ci garantiranno il futuro –ha detto Filippo De Cecco nel suo accorato intervento– sono 127 anni che siamo sul mercato, ci saremo anche tra 127 anni». E che il mercato risponda positivamente lo dicono le cifre,

tutte con il segno “più”: la produzione complessiva di pasta è stata di oltre 1 milione e mezzo di quintali (+6% rispetto al 2010); dei 380 milioni complessivi di fatturato netto del 2011 (+11%), 135 compongono la voce dell’export, che nel 2010 ha visto una crescita esplosiva in Russia (+64%), seguita da Francia (+20%), Usa e Belgio (appaiati a +19%) e Gran Bretagna (+13%). Il segno “meno” invece lo troviamo alla voce “impatto ambientale”: la lunga tradizione pastaia della De Cecco va a braccetto con il rispetto della terra che l’aiuta da oltre un secolo a generare prodotti di qualità; un rispetto che nel 2011 le è valsa la prestigiosa certificazione EPD per la bassa emissione di CO2 e gas serra. L’evento del 10 aprile è stato coronato da un pranzo speciale: per un giorno le tre mense aziendali delle rispettive sedi di Ortona, Fara e Pescara sono diventate teatro delle prodezze gastronomiche di tre chef “stellati“: Heinz Beck della Pergola di Roma (tre stelle Michelin), Gennaro Esposito della Torre del Saracino di Vico Equense e Mario Uliassi dell’omonimo ristorante di Senigallia (entrambi a quota due stelle). I tre maestri si sono cimentati in diversi menu a base di pasta De Cecco, coordinati dal gastronomo Luigi Cremona e serviti in contemporanea nelle tre mense.

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R Vario

LETTERATURA

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VarioART Pagina

L’impresa di Daniela

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ARTE

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MUSICA Pagina

Tutta l’Italia celebra Gabriele D’Annunzio a 150 anni dalla sua nascita. Molti riconoscimenti anche per i “dannunziani”: in particolare per Daniela Musini, che del Vate è una delle più importanti studiose ed esperte. Il prestigioso “Premio Speciale Golden Selection” del Pegasus Literary Awards di Cattolica è stato assegnato alla scrittrice, attrice e musicista pescarese lo scorso 20 aprile presso il Teatro Regina di Cattolica alla presenza di alti esponenti della cultura italiana.Una serata speciale, che va ad aggiungersi a quella che si è svolta lo scorso marzo a Gorizia presso la Kulturni Dom (la Casa della Cultura): le parole, i gesti, le opere dell’Immaginifico hanno riacquistato vita grazie al recital/concerto L’Abruzzo nel cuore: omaggio a Gabriele d’Annunzio e alla sua terra natìa scritto e interpretato dalla versatile artista. La Musini, acclamata in tutto il mondo quale interprete dell’opera dannunziana e della figura della Duse, ha scelto «la splendida e dannunziana terra friulana, da cui il Vate partì per la storica conquista di Fiume, per cominciare la mia personale celebrazione del 150° della nascita del poeta –dice l’attrice abruzzese– creando un recital/ concerto incentrato sul forte e indissolubile legame che lui sempre avvertì con il suo e mio Abruzzo e che magnificò attraverso capolavori immortali; nello spettacolo interpreto, pertanto, le pagine più vibranti ed emozionanti dedicate alla sua terra, a sua madre, alla sua Pescara, al suo mare. Uno spazio importante è riservato ad alcune sue amanti, come Daniela Musini Barbara con cui visse una carnalissima stagione d’amore a San Vito Chietino, Maria Gravina, che lo seguì a Francavilla e, naturalmente, la Duse che avrebbe voluto essere la ferina Mila di Codra de La figlia di Iorio». Daniela Musini prima del recital/concerto ha consegnato al sindaco della città friuliana Ettore Romoli, a nome del sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia, un’opera in cristallo con l’effige di Gabriele d’Annunzio a suggellare l’amicizia tra le due città in nome del grande Poeta.

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Pagina

Agli ottant’anni di Gigino Falconi e alle tre mostre che celebrano la sua carriera in occasione del compleanno il Corriere della Sera del 20 gennaio scorso ha dedicato un’intera pagina firmata da Sebastiano Grasso. Le esposizioni di Barbizon (Besharat Galerie) e di Roma (6° senso art gallery) hanno preceduto di poco quella di Ascoli Piceno (Centro L’Idioma), curata da Giuseppe Bacci, e giudicata da un rating a 4 stelle per allestimento, rigore scientifico e catalogo. Del pittore giuliese nato nel 1933 si ripercorre l’opera mettendone in luce le assonanze con la pittura romantica, specialmente quella preraffaellita, e le forti influenze esercitate sui suoi quadri dalla letteratura, soprattutto da quel d’Annunzio di cui Falconi –dice Grasso citando Carlo Bo– respira la memoria.

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CINEMA Pagina

Romantico Falconi

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Ribalta

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EVENTI 22/04/13 10:38


fornitura di combustibile delle centrali termiche degli edif ci comunali Comune di Avezzano manutenzione ordinaria e straordinaria con fornitura di combustibile delle centrali termiche degli edif ci comunali

Arpa spa assistenza tecnica e manutenzione straordinaria delle centrali termiche Saga spa global service manutentivo dell’Aeroporto di Pescara Centostazioni spa manutenzione ordinaria e straordinaria

degli impianti delle stazioni ferroviarie di Pescara, Chieti Scalo e L’Aquila Comune di Pescara manutenzione ordinaria e straordinaria con


VARIO

Letteratura

Il ruolo del sapere di Enzo Fimiani

Letterati, libri e lettori: come si è formata la cultura abruzzese durante il tramonto del Regno delle Due Sicilie

• Luigi Ponziani. Qui sopra, da sinistra: Nicola Mattoscio, Luciano D’Alfonso, Ponziani, Enzo Fimiani, Luciano D’Amico e Marco Presutti

È

possibile che un libro di storia, incentrato su temi ed epoche all’apparenza lontani dai nostri tempi, riesca a suscitare un appassionato dibattito, con ampie ricadute sull’attualità? Sì, quando a scriverlo sia uno storico vero e a discuterne in pubblico vengano chiamati personaggi in grado di tessere collegamenti tra dimensione storica e urgenza del presente. Il volume: Letterati libri e lettori nell’Abruzzo della Restaurazione, pubblicato a fine 2012 da Ricerche&Redazioni di Giacinto Damiani editore, è stato di recente presentato nel palazzo della Provincia di Pescara a cura della “Scuola di Regione” animata da Luciano D’Alfonso (con il patrocinio dell’Amministrazione provinciale e interventi di D’Alfonso, Luciano D’Amico, Nicola Mattoscio, Stefano Trinchese, Marco Presutti e l’Autore). La corposa opera, di quasi cinquecento pagine e un vasto apparato documentario, è l’ultima fatica di Luigi Ponziani, direttore della Biblioteca Provinciale “M. Delfico” di Teramo, nonché tra i pochi storici abruzzesi di spessore

nazionale. Vi si narra del ruolo che i saperi culturali – libri e riviste, editori e lettori, associazioni e luoghi di cultura ed educazione– hanno avuto lungo il quasi quarto di secolo trascorso dalla fine dell’influenza francese in Italia nel 1815 all’unificazione nazionale raggiunta nel 1860. Epoca a torto considerata sinonimo di retrivo decadimento e invece percorsa da fermenti non trascurabili anche nella periferia abruzzese del regno delle Due Sicilie che si degradava, durante la quale si sono formati molti degli assetti e delle “identità” degli Abruzzi contemporanei. Tra molto d’altro, dalla ricerca emerge soprattutto che un’intera classe dirigente abruzzese ha visto nelle possibilità di accedere alla conoscenza, di entrare (a volte anche da protagonista) nei circuiti culturali italiani e perfino europei, di parlare un codice di linguaggio alto e comune al mondo dei “dotti” sparsi nella penisola, le leve che consentissero di aprire se stessa e gli Abruzzi nel loro complesso al più ampio contesto della civiltà italiana. In una paro-

la, fu guarda caso proprio nella “cultura” che essa scorse la via maestra dell’incivilimento e della gestione “politica”. Quel ceto dirigente, pur in mezzo a limiti di vario tipo, seppe comprendere e praticare l’inscindibilità del legame tra libri, sapere, educazione collettiva, e miglioramento della vita “pubblica”. Qui sta l’attualità del messaggio che si legge nel volume di Ponziani: la classe dirigente abruzzese (e italiana) in generale, e il suo ceto politico in particolare, hanno invece registrato negli ultimi decenni un degrado eticocivile e di spessore personale-culturale, prima ancora di ogni Luigi Ponziani altro possibile fattore Letterati, libri e lettori su cui si discute nell’Abruzzo spesso a vanvera. della Restaurazione Ricerche&Redazioni, 2012, pp. 464, € 40,00

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VARIO

Libri

a cura di Bruno Cortesi

Gialli/Amati

Poesia/Rosato

L’argomento è di quelli collaudati, ma l’autore, Ugo Amati, si è dimostrato in grado di reggere il confronto con personalità d’un certo rilievo, tradendo una perizia tecnica e stilistica non comune. Volendo azzardare un paragone forse ardito, Affinità Assassine si inserisce nel solco aperto da Maj Sjowall e Per Wahloo, quello cioè in cui l’indagine poliziesca fa solo da preludio e da sfondo ad una disamina sociale e psicologica ben più ampia. La trama è abbastanza semplice: l’aver ucciso un uomo manda in crisi l’esistenza del protagonista, il quale, in preda ad uno sdoppiamento di personalità, è incapace di sentirsi completamente carnefice o completamente vittima. Muovendo da questa sorta di primordiale menabò, Amati ci trascina in un gorgo di inquietudini e dubbi, dal quale pare arduo trovare una via d’uscita, complice l’esplosione di clamorosi colpi di scena. L’autore, psicanalista lacaniano di lungo corso, ha lavorato in Francia presso la clinica “La Borde”. Alcuni suoi scritti sulla follia sono stati tradotti in altre lingue e pubblicati all’estero.

Giuseppe Rosato da anni si distingue per il suoi numerosi scritti in dialetto abruzzese, per la narrativa, per l’ampia produzione da critico d’arte. Dopo aver insegnato lettere e dopo un periodo di militanza nella Rai, ha co-diretto numerose riviste d’arte, senza mai venire meno al suo lavoro di scrittore e poeta sorprendentemente prolifico. È autore di alcune antologie per le scuole e fondatore di vari alcuni premi letterari nazionali. Una personalità onnivora e continuamente capace di reinventarsi, dunque. Con Le cose dell’assenza Rosato ci regala l’ennesimo lavoro interessante: un libro particolarmente intenso in cui l’autore è stato capace di plasmare le memorie, di costruire a partire da uno spazio rimasto vuoto, di mostrare come dal dolore dal dolore e dal distacco dell’amore di una vita possa fiorire un dialogo intimo e commovente con il lettore. Il tutto, condito dalla tecnica di poeta navigato che neanche in questo libro viene meno, fascinosa ed affabulatrice ma misurata e lucidissima.

Ugo Amati, Affinità assassine Solfanelli, 2012, pp. 144, € 12,00

Giuseppe Rosato Le cose dell’assenza Book Editore, 2012, pp. 71, € 12,00

Narrativa/Sablone Cambia la forma, ma Benito Sablone non si smentisce neanche questa volta. Egli è poeta, e poeta rimane finanche in questa raccolta di racconti. La meditazione dura e profonda sul linguaggio, la capacità di illuminare l’istante, di nettarlo dalla sua patina polverosa, mostrandocelo nella sua vividezza talvolta accecante, scavando tra pieghe del tempo e dello spazio che credevamo dimenticate, testimoniano la convivenza quasi millimetrica di sapienza stilistica e gravità morale che trasuda da queste pagine. Egli, dunque, è poeta dell’illuminazione, della rivelazione, ma anche della metamorfosi. I personaggi di questi racconti sembrano riassumere in maniera essenziale ma efficacissima un messaggio, quasi urlato: il confine tra Verità e Menzogna è labile, incerto, impalpabile. Un libro ed un autore prezioso, dunque.

Benito Sablone, La casa del tempo Tabula Fati, 2013, pp. 128, € 11,00

Reportage/ Ruggieri Ciò che chiamiamo “reportage” è in grado, pur raccontando gli eventi nella loro esattezza, di mostrarli come fossero illuminati da una luce vividissima. Nella crudità dei fatti risiede, talvolta, una potenza espressiva travolgente. Il progetto di Corrispondenze dal Cairo nasce nella mente di Luisiana Ruggieri, laurea in filosofia presso l’Università G. D’Annunzio di Chieti, scrittrice, giornalista eclettica, già collaboratrice dell’università del Cairo, svariate pubblicazioni all’attivo, e viene poi realizzato da Maurizio Lorenzi, direttore del portale online “A modo mio - tempo reale”. Esso si propone come una raccolta di interviste, corredate da fotografie. È utile, utilissimo, tuttavia, nel mediare la comprensione di fatti destinati a rimanere nella memoria storica e in quella collettiva, penetrando tra le maglie del presente, e riuscendo nell’intento di forzarle, complice la possibilità di avvicinarsi a personalità di rilievo della primavera araba, come Aly Afifi, fratello di uno dei capi della rivoluzione egiziana. Abbiamo bisogno di simili produzioni.

Luisiana Ruggieri Corrispondenze dal Cairo. Un’inviata a piazza Tahrir Tabula Fati, 2012, pp. 88, € 10,00

Romanzi/De Simone Esordio letterario per la giovane aquilana Annalisa De Simone, attrice e coreografa. Un romanzo “di tracolli e di speranze, dove c’è spazio per l’amore, la perversione e il disincanto”. La storia tormentata di Edo, scrittore, e di Anne, gallerista parigina dalla vita sregolata, porta il lettore in un torbido intreccio di passioni sullo sfondo della Ville Lumiére. “C’è tanto di me in ognuno dei personaggi che racconto” dice la De Simone. “La me che ero, che sono stata e che sono, la me che potrei essere oppure quella che vorrei non diventare mai, una me iperbolica, deformata, potenziale o romanzata”.

Annalisa De Simone Solo andata Baldini & Castoldi, 2013, pp. 191, € 13,90

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Ritratto di un’artista che indaga la natura, rigorosamente in bianco e nero

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on quello sguardo un po’ così, con quella bocca un po’ così, Lucilla Candeloro appare subito per quello che è: timida, schiva, riservata. Tradisce il proprio imbarazzo in ogni situazione in cui sia necessario manifestarsi in pubblico. Fosse per lei, probabilmente vorrebbe starsene chiusa nel suo grande spazio a Casoli, lo studio che da qualche tempo le permette di dare libero sfogo alle sue pulsioni artistiche, che spesso si dirigono verso tele o superfici di grandi dimensioni. I suoi ultimi lavori, dopo anni di studio sulla figura umana e sui volti, si sono rivolti alla natura, in particolare agli alberi; il bianco e nero, prevalentemente a matita, resta la sua tecnica preferita di disegno. Qual è stato il tuo approccio al mondo dell’arte? È un desiderio che ho sempre avuto. A 14 anni dissi a mio padre che avrei fatto il liceo artistico o non sarei più andata a scuola. Così mi trasferii a Pescara, dove ho cominciato a vivere da sola. Il liceo però era ancora in una fase sperimentale, disegnavamo pochissimo… Allora andai al Dams di Bologna, e lì capii che non potevo fare a meno dell’arte. Scelsi così l’Accademia, ho fatto l’Erasmus a Berlino, prolungando di un anno il soggiorno previsto. Poi sono tornata a Bologna, mi sono laureata, sono tornata in Abruzzo, sono stata tre anni in Umbria e ora sono tornata qui perché ho uno studio bellissimo. Anche se è dura perché vivo in un paese molto piccolo. Come ti vedono, a Casoli? Non mi vedono, perché non esco mai, e se lo faccio esco in macchina. Ma la gente mi conosce da quand’ero piccola, mi vogliono tutti bene… Sei stata a Berlino, la mecca per tutti gli artisti contemporanei… perché sei tornata in Italia? Il mio sogno è ancora quello di emigrare, e non è escluso che lo faccia. Ma qui avevo in ballo alcune cose con Cesare Manzo e con Enzo De Leonibus, avevo carte da giocare che a Berlino mi mancavano. E Berlino è sovraffollata di “giovani artisti”: farsi spazio senza contatti (e senza uno studio dove potersi concentrare sul proprio lavoro) è parecchio difficile. E in Italia invece è più facile? Affatto, qui è un disastro: le gallerie chiudono una dopo l’altra, e quelle che restano puntano su artisti storicizzati perché garantiscono le vendite. Purtroppo i miei lavori non hanno un gran mercato. Le mie mostre vanno così: tantissimi complimenti ma alla fine nessuno vuol mettersi in casa un lavoro così inquietante. E a me non va di svendermi, di fare qualcosa di diverso per vendere di più. Per questo ho deciso di affiancare un altro lavoro alla mia passione artistica. Lavoro da casa, faccio

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rendering 3D al computer. In attesa che le cose cambino, che in Italia si ricominci a guardare all’arte con più attenzione. Il tuo lavoro precedente sui volti ha una continuità con quello sugli alberi? Sì, l’elemento antropologico è sempre presente. I primi lavori sulla natura –dei tronchi bruciati– erano partiti da una riflessione sulla società: sulla malattia e sulla morte, sia del singolo che della società, che attraversa un momento di crisi profonda. Emotivamente c’è sempre qualcosa di inquietante. Cos’è che ti fa paura? A volte niente, a volte quasi tutto. Non mi spaventa l’ignoto: nei tronchi, nei boschi, non c’è da parte mia una percezione negativa. Ma nei volti sì: mi spaventa l’idea che una persona che conosci possa cambiare da un momento all’altro. Credo faccia parte della nostra natura. Sei anche tu un essere umano, quindi puoi cambiare anche tu. Sì, certo, e sono dei Gemelli: non credo nell’astrologia e non ho una doppia personalità, ma mi accorgo di poter essere in un modo e nel modo opposto. Quando ho fatto i ritratti li avevo messi tutti insieme in una stanza, e l’idea era che lo spettatore si sentisse osservato. Volevo indagare quanto ci si senta soli in mezzo alla gente. Io a volte mi sento più sola in mezzo a persone che conosco che a gente sconosciuta ma con cui ho interessi in comune. Non mi spaventa la solitudine, ma l’idea di non stare mai da sola mi terrorizza. E con il colore che rapporto hai? Ogni tanto li uso. Ma il mio studio è enorme e luminosissimo, e dentro quasi tutto è “in bianco e nero”; paradossalmente, casa mia è piccola e coloratissima. Allora sei proprio dei gemelli. Già! Il mio colore preferito è il rosso. Sei passionale? Sì. Cioé affronti tutto con passione? No. Gemelli. Dai! Voglio dire che ci sono cose nelle quali riesco a profondere molta passione, perché mi piacciono, ma so essere anche molto fredda. Dipende dalle sutazioni. Gli imprevisti ad esempio mi mandano in bestia. Nei prossimi numeri pubblicheremo le interviste con gli altri protagonisti della collezione Vario ART 2013: Franco Fiorillo, Veronica Francione e Marco Lullo



Manuelita Iannetti

VARIO Arte

L’inquietudine della vera arte Irrequieta e poliedrica, l’artista pescarese si distingue per la capacità di scavare nella psiche umana in nome della creatività di Annamaria Cirillo Artista di nuova generazione, sensibile, raffinata e bella da copertina quanto fortemente determinata, fin dagli esordi, ad una ricerca ampia ed approfondita di una propria dimensione artistica di compenetrazione tra classicità e modernismo contemporaneo. Dimensione, la sua, votata ad un traslato dell’ego che indaga il confronto e la misura di una autostima psicologica di pulsante valenza creativa. Pittura, grafica, installazioni e soprattutto scultura testimoniano da sempre i codici di una individualità ideativa ed operativa tesa all’identità personale di soluzioni innovative. Le sue sculture sono veri e propri episodi di un immaginario femmineo ideato in volumetrie corporee dentro e soprattutto “oltre l’involucro”, costituito da leggere retine metalliche di zinco, quasi a costituire una pelle o tessuto trasparente, traspirante contenitore di intriganti ipotesi immaginarie di femminee corposità. L’eterea ma forte attrazione plastica di queste sculture costituisce un interessantissimo livello di tipologia d’arte scultorea che opera su un suggerito presupposto ideativo, sottile filo di una libertà estetica di pensiero personale del fruitore, così che questo stesso pensiero immaginario costituisce l’essenza dell’opera resa viva nell’involucro. Una dinamica innovativa di tendenza avanguardistica ha sempre guidato in tutte le sue sperimentate diversificazioni l’arte di Manuelita Iannetti, un’arte seguita e testimoniata da recensioni e pubblicazioni, a partire da quella, del 1990, con

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testo critico di Leo Strozzieri e a seguire tanti altri cataloghi legati a mostre su territorio nazionale come a Bologna, Perugia, Arezzo, Firenze, Roma. Basti citare in merito, nel 2005, la drammatica installazione del suo “Cristo” in rete di ferro esposta a Torre Strozzi Parlesca di Perugia per il progetto “Mille mani per la pace”, (VIII Biennale d’Arte Sacra). A seguire, nel 2007, l’apertura al pubblico del suo atelier-studio “Emm-Art”, in Via Bastioni, nel cuore della Vecchia Pescara: piccolo laboratorio divenuto in breve spazio diversificato, centro di sperimentazione e ricerche specifiche interagenti con nuovi settori operativi, quali ceramica, scultura, specie in bronzo di piccolo e medio formato, pittura in varie tecniche, in specie acquarello ed anche oggettistica e design d’arte. Fili conduttori di ricerca sino alla recente inaugurazione dell’attuale atelier studio-laboratorio di Via Vespucci 20 (tel.340-4661947) sempre a Pescara Porta Nuova, ove l’artista opera a tutto campo, territorio polivalente anche per grandi installazioni, mostre, presentazioni letterarie e corsi di pittura e scultura. Ma soprattutto, caso unico a Pescara, polo culturale anche aperto ad una personale condivisione espositiva di livello, come recentemente avvenuto con le magnifiche opere, a tema “donna”, dell’artista Sandra Peraglie o con la partecipata presentazione letteraria, del 23 dicembre 2012, del nuovo, avvincente libro giallo “Esecuzione” della nota scrittrice Angela Capobianchi.


• Nella pagina a fianco Manuelita Iannetti al lavoro. In questa pagina, dall’alto: Oltre l’involucro n.1, 2004, 59x40x51; Riflessione, 2008, bronzo; Spazio interiore, 2010, tela 100x160

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L’hotel SALUS è l’indirizzo giusto a Pescara per chi vuole soggiornare in ambienti esclusivi ed eleganti, con uno staff preparato e cortese. L’hotel si trova nel centro della città, sulla riviera di Pescara proprio di fronte il mare, a fianco ad un grande parco cittadino e vicino ai luoghi di shopping, divertimento e cultura, facilmente raggiungibili a piedi. Le 19 stanze e la suite sul mare sono tutte arredate con gusto raffinato e cura nei dettagli. L’hotel è dotato di tutti i principali confort e connessione wireless gratuita, di una sala per meeting e ricevimenti e di una sala riunioni attrezzata con video proiettore per soddisfare ogni esigenza dei nostri graditi ospiti. In estate il ristorante SALUS A TAVOLA e il beach club SALUS A MARE, sono a disposizione degli ospiti dell’hotel per un’indimenticabile vacanza all’insegna della buona cucina, del relax e del divertimento.

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VARIO

Arte

Torna a casa, Dante

In una atmosfera densa di una memoria che non potrà scomparire, quale quella nobilissima del professor Corrado Gizzi recentemente scomparso, dopo 3 anni dal terremoto si è di nuovo svolta a Torre de’ Passeri nel museo “Fortunato Bellonzi” presso l’antico Castello Gizzi (dal 1980 sede istituzionale della “Casa di Dante in Abruzzo”), l’inaugurazione della XXIII edizione della mostra di pittura dedicata a Dante e la presentazione del volume “Dante e i fraudolenti”, ottava bolgia dell’ottavo cerchio dell’inferno. Rilevante nel volume il primo articolo del professor Renato Barilli che costituisce una vera e propria celebrazione dell’impegno culturale di Gizzi. L’evento (curato in parte dallo stesso Gizzi a ben 97 anni, con anticipatrice professionalità prima della sua scomparsa), è stato celebrato nella Sala Consiliare del Comune di Pescara, durante una cerimonia condotta da Franco Farias, giornalista Rai e con la presentazione del critico d’arte Giorgio Di Genova, che ha personalmente scelto gli artisti partecipanti (Ezio Flammia, Rosario Genovese, Gino Guida, Angelo Liberati, Teresa Noto e Mikulas Rachlik). Sono stati presenti numerosi rappresentanti istituzionali, dal Sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia, che all’evento ha personalmente dato voce con la lettura del canto di Ulisse, a Nicola Mattoscio, Presidente onorario della Casa di Dante in

Abruzzo e Presidente della Fondazione Pescarabruzzo. Presenti alla cerimonia anche Nazario Pagano, Presidente del Consiglio Regionale, Guerino Testa Presidente della Provincia di Pescara, Giovanna Porcaro Assessore alla cultura del Comune di Pescara e l’avv. Fabrizio Rapposelli, Assessore alla cultura della Provincia di Pescara, il quale già in una precedente occasione aveva auspicato la continuità di questo appuntamento annuale con la cultura dantesca (come pure delle altre inerenti iniziative) con il naturale passaggio di testimone, assolutamente meritorio, alla signora Lina De Lutiis Gizzi, già Presidente della Fondazione “Casa di Dante in Abruzzo”. Presenza sempre a fianco del marito, • Il professor Corrado Gizzi con cordialità e simpatia, nella condivisione della cultura e nel supporto con la moglie Lina De Lutiis di una propria professionalità manageriale, ricca di grande capacità comunicativa e personalità, dedita e finalizzata all’approfondimento degli studi danteschi. Storicità, contenuti morali e soprattutto invito culturale ai giovani, alla conoscenza ed all’approfondimento delle opere del grande poeta Dante, culla delle origini e degli sviluppi della lingua italiana.

Lorenzo Filomusi Guelfi e la teologia di Dante Alighieri Il noto critico letterario Sandro Sticca, nativo di Tocco da Casauria ma residente a New York, ordinario di letteratura comparata presso la State University of New York at Binghamton, torna ad onorare la terra d’Abruzzo con la sua nuova pubblicazione di ricerca storica, corredata da una ricca bibliografia, dal titolo “Lorenzo Filomusi Guelfi interprete di Dante” sul casato Scamolla – Filomusi Guelfi (Centro internazionale di studi e ricerche “Il melograno”). Un illustre conterraneo questo letterato, anch’esso nativo di Tocco da Casauria (18561923), il quale, nella unicità e singolarità analitica di un proprio metodo di esegesi dantesca e nel supporto di una evidente indipendenza intellettuale, illumina i più difficili concetti della dottrina di Dante e della sua Commedia traendone una autentica verità di informazione morale e messaggio non solo storico, scientifico e filosofico ma anche essenza di umana, pura spiritualità. Si evidenzia in merito la scelta del prof. Sandro Sticca di riportare integralmente, nel capitolo quarto –La struttura morale del Paradiso–, la conferenza inedita tenuta dal Filomusi a Sulmona nel 1921 in occasione del VI Centenario della morte di Dante. A Vito Moretti

a cura di Annamaria Cirillo

spetta il merito (come espresso nella prefazione al libro) di aver scritto l’unico volume critico esistente sugli studi danteschi di Lorenzo Filomusi Guelfi, in specie quando puntualizza che “il fondamento su cui si erge la solida analisi della commedia operata dal Filomusi sia la teologia, quale compimento delle riflessioni della Scolastica scorto da Dante nella Summa Teologica di Tommaso e nei testi della teodicea duecentesca”. Un filo conduttore di una storia di studio e conoscenza che perviene sino alle nuove generazioni, un humus fertile che il prof. Sandro Sticca, autore di oltre quaranta libri in inglese ed in italiano, ben conosce e che porta avanti nel suo straordinario percorso di docente e letterato con basi giovanili di illustre formazione umanistica, dalla Sorbonne di Parigi fino alla prestigiosa Columbia University di New York, dove giovanissimo conseguì il PhD, il più alto titolo di studio anglosassone. L’attualità di questa nuova pubblicazione evidenzia quanto sia vivamente sentito il rapporto intellettuale con le opere dantesche, tale da costituire un incentivo alla continuità della grande opera di diffusione della cultura dantesca operata da anni dalla Casa di Dante in Abruzzo a Torre de’ Passeri dal prof. Corrado Gizzi, recentemente scomparso. Ci si augura che tale suo annoso impegno possa essere proseguito a lungo dalla consorte, signora Lina De Lutiis, curatrice assidua insieme al marito di ogni evento dedicato all’opera dantesca.

Donato Di Zio raddoppia Importante catalogo dell’artista Donato Di Zio, realizzato per due mostre a settembre 2012, una negli spazi della Biblioteca Marucelliana di Firenze e l’altra in quelli della Biblioteca Sormani di Milano. Più che un catalogo un libro d’arte, ricchissimo di importanti testimonianze della critica e del giornalismo contemporaneo. Tra le tante ricordiamo l’approfondita ed illuminante intervista a Gillo Dorfles, realizzata da Matteo Galbiati. A seguire l’ultima, preziosa lettera inviata all’artista Donato Di Zio da Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina ed infine tra i tanti, parimenti importanti, il testo critico del noto giornalista fiorentino Giovanni Pallanti (La Nazione), incisivo in una puntuale introspezione esistenziale, matrice d’arte. Nelle ultime pagine il catalogo si completa anche di una esauriente monografia dell’artista, il quale si accinge attualmente a nuovi traguardi nazionali ed internazionali. In realizzazione un nuovo catalogo, sempre a cura di Gillo Dorfles, dedicato alla sua arte incisoria, oggetto di una mostra che si terrà presso il Palazzo Medici- Riccardi di Firenze da ottobre 2013 a gennaio 2014. Un’arte la cui valenza è espressa fin dalla produzione degli anni Novanta dedicata anche alla commemorazione figurale dei più noti personaggi danteschi. Un’arte quindi che, pur polivalente ad una propria ben definita specificità ideativa, dimostra e testimonia contestualmente l’ampiezza unitaria e molteplice del proprio percorso artistico, entro e fuori la contemporaneità, ricco di esperienze intime e formative, di grande profondità morale, ideativa e segnica. • Donato Di Zio (a sinistra) con il giornalista Giovanni Pallanti della Nazione di Firenze

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Cantina FILOMUSI GUELFI

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Tocco da Casauria (PE) • Via F. Filomusi Guelfi, 11 www.filomusiguelfi.it

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VARIO Musica Classica/Officina Musicale

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Un concerto speciale, quello che si è tenuto lo scorso 29 gennaio nel Ridotto del Teatro Comunale dell’Aquila: l’Officina Musicale Italiana diretta da Orazio Tuccella ha eseguito per intero The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, il celeberrimo album dello storico gruppo britannico, nella trascrizione per orchestra da camera voluta e commissionata all’ensemble aquilano da Alberto Giannangeli, il noto farmacista prematuramente scomparso nel 2008. Giannangeli, che all’attività professionale ha affiancato sempre un vivo interesse per le arti, è stato ricordato durante la serata da un ospite d’eccezione, Cochi Ponzoni (protagonista dello spettacolo Sentimental che proprio da Giannangeli fu prodotto nel 1988 per la regia di Ugo Gregoretti) che ha portato un suo personale ricordo del mecenate aquilano. Dal concerto è stato tratto un cd live prodotto dalla stessa Officina Musicale con il sostegno del Comune dell’Aquila.

Classica/D’Arcangelo

Jazz/Angelucci

Una flautista teatina alla conquista degli Usa: si intitola Allegro con Brio il doppio cd di Rita D’Arcangelo, giovane artista già affermata in campo internazionale, che ha ottenuto il prestigioso premio Award of Excellence, categoria Instrumental Performance Solo, assegnato dal Global Music Award (GMA) di Los Angeles, USA. Doppio cd e doppia soddisfazione per l’Abruzzo, perché abruzzese è anche il co-protagonista della registrazione, il pianista teatino Giuliano Mazzoccante. Il Global Music Award è una tra le più prestigiose istituzioni internazionali che seleziona i migliori progetti discografici di talenti musicali provenienti da tutto il mondo.

“Il migliore con cui ho suonato in Europa” sono le parole di stima del grande sassofonista Benny Golson per il batterista abruzzese Nicola Angelucci. Con la sua formazione (Paolo Recchia, sax alto e soprano; Roberto Tarenzi, piano; Francesco Puglisi, contrabbasso) il batterista –nativo di Selva di Altino (CH)– ha presentato lo scorso 28 marzo al Kabala di Pescara il suo nuovo cd Beyond the drums, un lavoro sintesi di capacità e talento. Le composizioni avvolgono con suoni mediterranei e trascinano ricordando il Soul e l’R&B degli anni ‘70. «Si tratta del mio secondo album» dice Nicola Angelucci. «Ci sono i miei fidati compagni di viaggio, grandi artisti ed anche grandi amici fuori dal palco». Nicola Angelucci, 33 anni, ha cominciato fin da bambino a dedicarsi alla batteria. A 21 anni ha vinto una borsa di studio al Columbia College di Chicago e a seguire, nonostante la giovane età, ha realizzato 30 dischi come sideman, due come solista e vanta prestigiose collaborazioni internazionali.

Casoli emoziona Jovanotti «Oggi, girando in rete, mi sono imbattuto su un video fatto utilizzando Ora, la mia canzone, da un gruppo di studenti di una scuola di Casoli, Chieti (l’istituto statale ISS Angelo Marino, così si legge nelle info del video). Non sapevo niente, pura casualità mi ha condotto alla visione di questo lavoro bellissimo che mi ha emozionato. Grandi! Grazie per aver usato la mia canzone, per me è una grande gioia quando mi accorgo che la mia musica entra nella vita reale delle persone, tutto prende senso. Altro che chiacchiere! Se avete 5 minuti guardatelo, è fatto molto bene». Questo il commento su Facebook di Lorenzo “Jovanotti” Cherubini, il popolare cantante che arriverà col suo Backup Tour, Lorenzo negli Stadi 2013 il 10 luglio allo Stadio Adriatico di Pescara, per una grande giornata di musica che partirà già dal pomeriggio con l’esibizione degli artisti che precederanno il live del poliedrico artista toscano. Risultato: in poche ore, oltre 13mila visualizzazioni e un’immediata notorietà per i ragazzi di Casoli (sotto, nelle foto di Andrea Gatopoulos), protagonisti del video realizzato da Walter Nanni. Non è la prima volta che Jovanotti lega il suo nome all’Abruzzo: ricordiamo la sua recente partecipazione a “Domani 21/04/09” il progetto di 56 artisti italiani uniti per l’Abruzzo, dopo il terremoto del 2009, con l’obiettivo di devolvere i proventi alla ricostruzione e al restauro del conservatorio “Alfredo Casella” e della sede del teatro stabile d’Abruzzo dell’Aquila, impegno di cui Lorenzo Jovanotti si è fatto promotore in prima persona, con la sensibilità e attenzione che contraddistinguono da sempre la sua arte. L’attesa per Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti è altissima; l’appuntamento è per il 10 luglio allo Stadio Adriatico di Pescara (per informazioni: www.alhena.it )

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VARIO Cinema

C’era una volta Ortona Gli eventi della II Guerra Mondiale e in particolare la sanguinosa battaglia durata oltre un mese nelle strade della cittadina abruzzese sono al centro di due film di Gianni Di Claudio, un veterano della settima arte

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ettant’anni sono passati da quell’ormai lontano dicembre 1943, ma il ricordo della sanguinosa battaglia –tra le più lunghe e cruente dello scontro bellico in Italia– è ancora vivo in molti dei sopravvissuti a quei tragici giorni. Lo conferma Tarda Estate, un film del regista Gianni Di Claudio, che ha raccolto testimonianze dirette sulle vicende che si svolsero lungo la Linea Gustav, convalidate da foto, filmati e documenti d’epoca. Gli scontri sul Sangro, la Battaglia di Ortona, l’8 Settembre, il dramma di migliaia di soldati lasciati allo sbando privi di ordini, i bombardamenti alleati su Pescara, Penne e Loreto Aprutino, il mitragliamento del trenino Pescara - Penne, la lotta partigiana e le azioni della Brigata Maiella; ma anche le battaglie di Tobruk e El Alamein, i campi di prigionia in Inghilterra, India, Marocco e Germania, la Campagna di Russia, la ritirata tedesca, i campi di sterminio, la liberazione: questi i temi toccati dai racconti, frutto di esperienze dirette, dei 16 testimoni –tutti abruzzesi– scovati dal regista tra gli abitanti di Ortona, Lanciano, Castelfrentano e degli altri paesini coinvolti nelle operazioni belliche. Un lavoro meticoloso e un documento importante che testimonia l’impatto tremendo della guerra sulle popolazioni civili: «Ci sono particolari –ha affermato Di Claudio– che solo un testimone diretto può evidenziare, dettagli altrimenti non percepibili, orrori che sfuggirebbero a qualunque documento fotografico e che invece risaltano nelle interviste da una esitazione, da un gesto inconscio, da un non detto, dal timbro di voce che cambia». Il titolo, Tarda estate, è stato scelto «perché queste interviste avvengono oggi, a distanza di tanti anni quando è tarda anche l’età dei testimoni, tutti sui

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novanta anni; Tarda estate perché tutti hanno testimoniato che l’estate del 1944 stentava ad annunciarsi in pieno: la guerra sembrava finita, ma i militari feriti, internati, sbandati non riscaldavano ancora col loro ritorno i cuori delle loro famiglie». La Seconda Guerra Mondiale è al centro anche di un’altra produzione di Di Claudio: La valle di marmo, un film di fiction sulla Resistenza in Abruzzo, commentato da musiche verdiane (nel 2013 ricorre il bicentenario del “cigno di Busseto”) con attori provenienti dalla scena teatrale abruzzese e arricchito della presenza di due nomi eccellenti della cinematografia mondiale: Enzo G. Castellari e Luca L. Krstic. «Si tratta di un film corale –spiega il regista, che ha firmato La valle di marmo insieme alla figlia Valeria, fresca diplomata del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma– composto da più quadri che nell’insieme ci restituiscono il sapore di un periodo, la Seconda Guerra Mondiale, e di una civiltà, quella contadina, all’epoca unico baluardo alla barbarie e rifugio di profughi e sfollati. Non si tratta sicuramente di un “film di guerra”, piuttosto di un film sulla distanza dalla guerra». TARDA ESTATE Regia Valeria e Gianni Di Claudio Italia, 2011 - 118’ LA VALLE DI MARMO Regia Valeria e Gianni Di Claudio Italia, 2011 - 106’ Produzione: Associazione Ciak Cinematografica, Via Martiri Ungheresi 22 65019 Pianella ( PE )


Documentari/D’Anolfi e Parenti Sorpresa a Berlino: nella sezione Forum del festival diretto da Dieter Kosslick, è stato presentato un film italiano. La cosa stupisce non solo perché la sezione è quella dedicata al cinema più innovativo, ma anche perché, tra le pochissime pellicole italiane presenti, questa parla abruzzese. Si tratta infatti di Materia Oscura, un documentario (dal taglio assolutamente cinematografico, sia chiaro) realizzato dal regista pescarese Massimo D’Anolfi e dalla sua compagna Martina Parenti, sugli effetti provocati sulla popolazione e sull’ambiente dall’uso di armi radioattive nel poligono sperimentale del Salto di Quirra in Sardegna, ipertecnologica struttura che copre un’area vastissima della regione dell’Ogliastra e del Sarrabus. Il Poligono, sorto nel 1956, è sotto sequestro (è stata avviata un’inchiesta per disastro ambientale nel 2011) ma prosegue la sua attività: è area di addestramento per la NATO e teatro di esperimenti militari anche per ditte private. «È un film –ha commentato D’Anolfi nell’intervista rilasciata a Giovanna Di Lello per il Centro– sulla stupidità degli uomini, sulla banalità del male e su una realtà orribile: il contrasto tra una natura apparentemente incontaminata che convive con le sperimentazioni belliche. Ma è anche un film sul cinema, una riflessione sui generi cinematografici. È un film sull’invisibile: crediamo che il cinema possa farci vedere tutto ciò che non si vede».

Corti/Immagini Memori L’Aquila e il cinema: un rapporto indissolubile e duraturo, che oggi cresce grazie alla nascita nel capoluogo abruzzese della sede distaccata della Scuola nazionale di Cinema – Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, che all’Aquila ha deciso di istituire, dal 2011, il Corso di reportage storico d’attualità. Quest’anno sono stati presentati i primi risultati: otto reportage cinematografici, scritti, ideati e realizzati dagli allievi della sede abruzzese del CSC, sotto la supervisione dei docenti, che spaziano dagli aspetti della ricostruzione e del restauro del capoluogo ai tentativi di ricomposizione sociale. I lavori sono stati presentati lo scorso 27 marzo presso il nuovo Auditorium del Parco e il 5 aprile nella sede del CSC in via Rocco Carabba. Questi i titoli e i temi: L’Aquila, un anno dopo (2010) sullo stravolgimento umano e urbanistico subito dalla città dell’Aquila; La città vuota (2011) sulla vita di una famiglia aquilana dopo il terremoto del 2009, piccole storie quotidiane di chi è costretto ad inventarsi

una nuova vita; Anna (2011), la storia di una donna costretta ad abbandonare casa per un nuovo alloggio “provvisorio”; Lo stazzo (2011) sui luoghi in cui si riuniscono i ragazzi più giovani all’Aquila; Suono Piano (2012) sull’auditorium del Parco progettato da Renzo Piano; La voce di Collemaggio (2012), un’ipotesi di restauro della Basilica danneggiata dal sisma; Moderato cantabile (2012), un viaggio nel conservatorio “A. Casella” dell’Aquila; L’oro di Eva (2012) sul villaggio ecosostenibile di Pescomaggiore, e infine Ri-composizione (2012), che indaga il complesso rapporto tra centro storico e centri commerciali.

Documentari/Contento L’Acma, Associazione Cinematografica Multimediale Abruzzese, ha organizzato la quinta edizione del Festival del documentario d’Abruzzo – Premio internazionale Emilio Lopez: iniziato il 3 marzo, il Festival si protrarrà fino a giugno. Organizzato in quattro sezioni (Sperimentario, sui nuovi linguaggi; Visti da vicino, sulle opere documentaristiche italiane e internazionali; Panorama Italiano, riservata ai documentari italiani d’autore, e Abruzzodoc, dedicata a opere girate nel territorio abruzzese e/o realizzate da autori nati o residenti in Abruzzo), il concorso ha riservato una gustosa chicca agli appassionati di musica: nella sezione Panorama Italiano è stato proiettato alla Libreria Feltrinelli di Pescara Parallax Sounds, di Augusto Contento, Premio Speciale della Giuria al 30° Torino Film Festival. “A partire dagli anni Novanta –recita la sinossi del film– Chicago si è imposta come una delle città musicalmente più interessanti degli Stati Uniti, nonostante la sua posizione decentrata rispetto al classico binomio West/East Coast. Merito di personalità quali Steve Albini, giornalista, critico e produttore oltre che leader degli Shellac, David Grubbs, Damon Locks, Ken Vandermark e Ian Williams, che hanno dato vita a un sound connesso all’architettura della città, in cui è stato possibile l’incontro tra diverse correnti della musica underground dell’epoca”. Augusto Contento, lancianese trasferitosi a Parigi dal 2000, ha realizzato il primo film, Onibus, nel 2007 in Brasile, vincendo come miglior documentario a Bellaria e a Sulmona. L’anno successivo ha firmato Strade d’acqua, girato in Amazzonia e presentato, tra gli altri festival, al Rencontres internationaux eau et cinéma di Marsiglia, al Brésil en mouvement di Parigi e alla Festa del cinema di Roma.

• Due fotogrammi da Parallax Sounds di Augusto Contento. Nella foto in basso il musicista Ian Williams

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VARIO Eventi Un tè con pianoforte

Tollo fa rima con vino

Le note della musica di Debussy e di Mozart si diffondono nell’aria, mentre le note esotiche di un té solleticano le narici e deliziosi pasticcini appagano il gusto degli astanti. Sembra un quadro impressionista, ma non siamo a Parigi o a Vienna nel Seicento, ma a Lanciano ai giorni nostri, dove un pubblico colto e attento ha partecipato con interesse alla IV edizione degli “Incontri d’ArTè” – lezioni concerto” organizzate nel mese di marzo dalla pianista Angela Giancristofaro, nel polo museale S.Spirito. Domenica 10 marzo, la pianista, coadiuvata dal giovane flautista Mauro Colantonio, ha fatto sì che gli intervenuti si immergessero nel clima della Parigi degli impressionisti, proponendo musiche di Debussy, Faurè, Chaminade e Gaubert, mentre la professoressa Filomena Chiara Di Renzo illustrava opere di Monet, Renoir e Degas. La domenica successiva la serata è stata dedicata a I misteri di Mozart, cioè alla scoperta dei codici nascosti nelle sue opere. Ad illustrare il tema il professor Alessandro Giovannucci, docente nella Facoltà di Scienze della Comunicazione di Teramo, mentre al violino, nel repertorio mozartiano, si esibiva Andrea Castagna ed Angela Giancristofaro, come al solito, al piano. Ultimo incontro, il 24 marzo, su Le follie di Montmartre, dal Moulin Rouge al resto d’Europa sulle più celebri note di Offenbach, Lehar, Ranzato e Stolz. La professoressa Giancristofaro ha potuto contare, per dar vita a questa IV felice edizione , sulla preziosa collaborazione della associazione culturale Maja e sul patrocinio del Comune di Lanciano. Franco Pasquale Appuntamento alla prossima edizione.

Giovani poeti crescono tra le vigne. Che la produzione vitivinicola sia la risorsa principale di Tollo è cosa ben nota; meno nota, almeno fino allo scorso 16 marzo, era la capacità di questo piccolo paese del Chietino, che da sempre lega il suo nome al vino, di produrre nuovi virgulti anche nel campo della poesia. Due concorsi –uno dei quali espressamente dedicato ai ragazzi– hanno decretato infatti che la vocazione del territorio tollese sia senza alcun dubbio anche quella letteraria. Sabato16 marzo, presso l’Auditorium comunale di Tollo, alla presenza del sindaco Angelo Radica, si è svolta la premiazione dei vincitori del 1° Concorso di poesia per ragazzi “I diritti umani tinti di verde”, e del 1° Concorso di poesia dal tema “Il sapore goliardico del vino”. Il felice abbinamento fra un concorso riservato ai ragazzi delle scuole medie e a poeti di tutte le età ha fatto sì che la sala risultasse gremita e festosa. Il 1° concorso di poesia Città di Tollo, “Il sapore goliardico del vino” è nato infatti dal desiderio di conciliare la risorsa tipica del territorio tollese con la cultura e la promozione del genere poetico. Si è scelto di dare un taglio goliardico per rendere piacevole la composizione e risvegliare quel lato frizzante che il vino ha insito in sé. Ad esso è stato inoltre abbinato un concorso riservato ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado dell’Istituto comprensivo “N. Nicolini” di Tollo incentrato sulle tematiche della difesa dei diritti dell’infanzia e la tutela ambientale. La partecipazione alle due iniziative è stata notevole: 32 poeti per la prima e tutti i ragazzi di tutte le classi per la seconda. Il sindaco, Angelo Radica, si è detto soddisfatto del risultato ottenuto: la prima edizione ha voluto rilanciare all’interno del paese lo spirito e la partecipazione culturale per avviare una serie di attività legate appunto a questo tema da distribuire nel corso dell’anno. Inoltre la giuria ha voluto dedicare una sezione del concorso a Luca Patricelli, giovane enologo poliedrico scomparso prematuramente tre anni fa. Luca era un vivace sostenitore ed intenditore dell’autenticità del prodotto e un’instancabile e curioso ricercatore e studioso sia nel campo enologico che in altri settori, tra i quali la musica e la letteratura. Primo classificato per la sezione in vernacolo: Tiberio La Rocca, di Subiaco; primo classificato per la sezione in F. P. lingua italiana, l’abruzzese Antonio Di Michele.

INTEGRARSI GIOCANDO

state: l’ ASD Olimpic Paiadeia di Campobasso, la Polisportiva Dilettantistica Picena NV di Ascoli Piceno, l’ ASD L’ Aquilone de L’ Aquila e l’ ASD Terma NV (5 volte Campione d’ Italia). La manifestazione ha coinvolto gli alunni delle scuole elementari e medie nel gioco, consentendo loro di interagire con persone meno fortunate ma tutt’ altro che sconfitte dalla vita. Inoltre c’ è stata anche un’esibizione di showdown, un particolare tipo di tennis da tavolo per non vedenti. Dopo gli interventi del presidente Regionale del CONI Enzo Imbastaro, del Delegato CIP di Pescara Pierluigi D’Angelo, dell’ Assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Pescara Valter Cozzi, del Presidente Provinciale di Pescara dell’ UIC Marcello Antonacci e del titolare del Centro Sportivo Yale Gino Baldassarre si è giunti alla finale del torneo di torball con la vittoria arrisa alla squadra aquilana per 2-1, che si è aggiudicata la Coppa dell’ Amicizia, il trofeo che viene messo ogni anno in palio.

È stato il PalaRoma di Montesilvano il teatro dell’edizione 2013 di Sport & Disabili nel Nuovo Millennio. La manifestazione, al terzo anno di vita, è nata da un’ idea del presidente dell’associazione culturale “Città Nuova” di Montesilvano Emiliano D’Astolto in collaborazione con il delegato CIP provinciale di Pescara Pierluigi D’Angelo, e ha lo scopo di sensibilizzare la cittadinanza alle problematiche dei disabili attraverso la promozione delle discipline sportive ad essi riservate, per favorire l’ integrazione sociale tra normodotati e disabili. Quest’ anno si è dato spazio a una disabilità specifica, quella visiva, con un torneo maschile di torball, sport di squadra molto praticato tra i non vedenti, in cui si fronteggiano due team da 3 giocatori, di prossimo inserimento nel programma dei Giochi paralimpici. Le squadre in scena (tutte militanti nelle due massime categorie nazionali) sono

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uno scrigno chiamato Abruzzo Un patrimonio enorme di conoscenze, tipicità, know-how e tradizioni. Un settore fondamentale dell’economia regionale che ritrova vitalità grazie a una concreta politica di innovazione basata sulla condivisione delle risorse

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più recenti dati dell’Istat dimostrano, se ce ne fosse mai stato bisogno, l’importanza strategica e cruciale del comparto agroalimentare per l’economia abruzzese. 66mila sono le aziende agricole, 2300 quelle che si occupano di lavorare e trasformare gli alimenti; cresce l’export dei nostri prodotti, in particolare di pasta, vino e carne (che costituiscono circa i tre quarti degli oltre 500 milioni di fatturato della voce esportazioni) ma incrementi a due cifre vengono registrati anche negli scambi commerciali dei prodotti delle colture agricole, sia permanenti (+13 per cento) sia non permanenti (+17 per cento), della frutta e ortaggi lavorati e conservati e dei prodotti delle industrie lattiero-casearie. «Con un fatturato complessivo dell’industria alimentare di circa 2 miliardi e mezzo di euro, una produzione agricola che si aggira sul miliardo e 100 milioni di euro e oltre diecimila occupati nel settore, il comparto agroalimentare – afferma Salvatore Di Paolo, presidente del Polo Agire– riveste un ruolo centrale per lo sviluppo economico e territoriale, nonché per l’equilibrio ambientale, della nostra regione. L’Abruzzo è una regione vocata all’agricoltura. Ma non si tratta solo di una vocazione su base storica: l’Abruzzo è uno scrigno di prodotti tipici, di produzioni agricole di qualità, di sapori; e naturalmente anche di saperi, di conoscenze, che finalmente con il Polo d’Innovazione Agire (sigla che sta per Agroindustria, Ricerca e Ecosostenibilità) vengono messe in rete con l’obiettivo di una crescita complessiva dell’intero comparto». È da questo patrimonio di risorse –naturali, imprenditoriali, di ricerca– che nascono i Poli d’Innovazione, un’occasione di rilancio per l’economia regionale basata sul concetto di condivisione di alcuni elementi dell’attività aziendale –in termini di know-how, di strutture e di strategie di crescita– che si differenziano da altre forme di aggregazione (come i vecchi consorzi o le reti d’impresa) per una caratteristica: «I Poli –spiega Donato De Falcis, Amministratore Delegato del Polo– mettono insieme tutti i soggetti strategici appartenenti a un determinato settore produttivo, in modo che le aziende possano cooperare tra loro, insieme alle strutture di ricerca e a quelle che presidiano le strategie di innovazione e di competi-

tività, per mettere in comune la loro esperienza, le loro conoscenze, le proprie reti di relazioni e di rapporti. È un concetto innovativo notevole, che tende a trasformare quella che prima era la competizione tra le imprese in cooperazione. Fatte salve alcune strategie che restano nell’ambito delle politiche interne, il Polo può essere d’aiuto per molti altri aspetti dell’attività aziendale: in questo modo anche due aziende che per core business siano in concorrenza tra loro possono sedere allo stesso tavolo. È questa la grande novità, che si basa sul principio che la grande battaglia per la competitività non si può vincere da soli: o si vince tutti insieme o si perde tutti insieme». Ad oggi il Polo Agire ha raccolto le adesioni di oltre cento soggetti, tra imprese agroalimentari e strutture di ricerca, che da questo numero di Vario cominceremo a presentare uno per uno. «Dal punto di vista delle imprese –prosegue De Falcis– sono rappresentati tutti i settori, da quello vitivinicolo a quello oleicolo, da quello dolciario a quello della pasta; per quanto riguarda le strutture di ricerca abbiamo in pratica gli attori più importanti del settore agroalimentare della regione».Tra le prime figurano piccole, medie e grandi imprese, aziende che erogano servizi, associazioni di categoria, consorzi e organismi di sviluppo territoriale, mentre tra le seconde va segnalata la presenza di alcune eccellenze del territorio regionale come l’Istituto Zooprofilattico di Teramo, le Università di Teramo e dell’Aquila, il Crab (Centro di ricerche applicate alla biotecnologia) e il Cotir (Consorzio per la divulgazione e sperimentazione delle tecniche irrigue). «Il meccanismo in atto –conclude il presidente Di Paolo– che ha senz’altro uno sviluppo graduale, ci consentirà di portare le nostre aziende a un livello più alto di competitività tramite un progetto innovativo in diversi campi, da quello dell’organizzazione a quello di prodotto e di processo, che servono ad essere strategici sui grandi mercati: poniamo particolare attenzione all’aspetto dell’export, dato che sul fronte interno ci sono problemi abbastanza stagnanti. Sul mercato estero ci sono invece ancora molte opportunità che le imprese possono cogliere tramite un progetto di ristrutturazione, di competitività e di innovazione, che è la mission del Polo Agire».

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UNIVERSITÀ DELL'AQUILA

DOVE NASCE LA TECNOLOGIA Nei laboratori dell’ateneo aquilano si sviluppano idee, si progettano strumenti e si producono conoscenze. E si stringono rapporti col territorio e con il suo tessuto imprenditoriale Università dell’Aquila Con 9 Facoltà distribuite su 3 Poli Universitari, 18 Dipartimenti, 2 Centri di Eccellenza per la Ricerca (CETEMPS e DEWS) e 2 Centri di Ricerca (CERFIS, M&MOCS), l’Università degli Studi dell’Aquila rappresenta una realtà propulsiva nel panorama italiano ed europeo della formazione e della ricerca accademica. Via G. Falcone, 25, 67010 Coppito (AQ) Tel: 0862432749 - 0862432765 Fax 0862432766 www.univaq.it

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osa accade nei laboratori di un’Università? A questa domanda il nostro immaginario immediatamente si popola di occhialuti ricercatori, di mad doctors da B-movies anni ’50, di pericolosi esperimenti che danno vita a creature fantastiche. Molto più prosaicamente, nella nostra realtà quotidiana, i laboratori di ricerca sono popolati (sempre meno, in verità, a causa dei tagli inferti al sistema) di giovani brillanti e di belle speranze, che quando non decidono di emigrare all’estero per trovare il successo che meritano, con molta umiltà svolgono un lavoro importantissimo per il loro territorio: inventare prodotti e tecnologie utili allo sviluppo delle imprese. Come dei moderni Archimede, dei giovani Leonardo Da Vinci, dei futuri Guglielmo Marconi. Solo che la ricerca che l’Università svolge non può nascere da un’intuizione, da un caso o dalla volontà del singolo: deve anzi essere mirata e guidata da alcuni principi fondamentali. Ogni ateneo abruzzese ha un suo ufficio dedicato, appunto, al “trasferimento tecnologico, brevetti e spin-off”, e quello dell’Università dell’Aquila è stato istituito nel 2005. «Il trasferimento tecnologico –spiega il dott. Alessandro

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Di Cesare, responsabile dell’ufficio– è la terza “mission” dell’Università, dopo la didattica e la ricerca. Nello specifico, l’ufficio si occupa di promuovere la valorizzazione economica del know-how sviluppato all’interno dell’Ateneo e il trasferimento di tecnologia dall’Ateneo verso le imprese, e cura la realizzazione di società spin off dell’Università e le partecipazioni dell’Ateneo in strutture esterne (consorzi, società consortili, centri interuniversitari di ricerca). L’ufficio, in parole povere, svolge la funzione di coordinamento tra il laboratorio e il territorio, o comunque tra l’Università e il possibile destinatario del prodotto della ricerca». Per fare un paragone di tipo aziendale, diciamo che l’Università “produce” in base a una richiesta del mercato, e l’ufficio si occupa di “vendere” il prodotto della ricerca a chi può averne bisogno. «Il primo requisito per un progetto di ricerca è che conduca a risultati utili alla collettività, ma non va trascurata una componente altrettanto importante: tali risultati devono produrre un valore economico per l’Ateneo. La ricerca, quindi, è “applicata”, non solo di base e svolta esclusivamente con fini scientifici. Anzi, i fondi comunitari destinati alla ricerca, che il nostro ufficio ha


CNOLOGIA il compito di individuare e intercettare, sono destinati a progetti che facciano crescere le imprese esistenti o ne creino di nuove». Che sarebbero i cosiddetti spin-off, ossia «imprese costituite da un ricercatore per la valorizzazione commerciale del know-how maturato nella sua attività di ricerca e delle proprie competenze scientifico-tecnologiche: nella maggior parte dei casi lo spin off utilizza un brevetto di cui l’Università è titolare. L’impresa assume la forma di società costituita tra ricercatori universitari, l’Università e uno o più enti esterni, e non differisce da una normale società con fini commerciali. La particolarità sta nel fatto che lo spin-off da ricerca è promosso, costituito e animato da gruppi che hanno condiviso l’esperienza di ricerca e intravedono l’opportunità di valorizzare i risultati della loro attività con applicazioni commerciali». Ne sono un esempio la Novatec, che sviluppa prodotti e servizi nel settore metalmeccanico, o la West Aquila, che lavora nel campo delle telecomunicazioni, dell’elettronica e dei sistemi wireless, o la Ita (Imaging Technology Abruzzo), che si occupa di sviluppare e commercializzare strumentazioni diagnostiche nel settore sanitario. «La forte vocazione

ingegneristica e sanitaria dell’ateneo aquilano –prosegue Di Cesare– ha fatto sì che molti dei brevetti registrati, e quindi degli spin-off universitari ad essi collegati, siano stati realizzati in questi due settori. Di conseguenza è facile capire perché l’Università dell’Aquila sia un attore importante in quasi tutti i Poli d’Innovazione abruzzesi, e svolga un ruolo cardine soprattutto in quelli dell’automotive e dell’ICT. Ma anche all’interno del Polo Agire, nel quale siamo entrati dalla sua istituzione, possiamo portare il nostro contributo. Sono stati registrati di recente due brevetti, frutto di ricerche nel settore dell’ingegneria chimica: il primo riguarda una speciale pellicola per il confezionamento di prodotti alimentari e farmaceutici, in grado di proteggere il contenuto dagli agenti esterni in modo più efficace, così da prolungarne la durata; il secondo è un film edibile da applicare sui tartufi freschi, che ne prolunga la conservazione e quindi i tempi di commerciabilità». Risulta facilmente intuibile, quindi, quali possano essere i vantaggi per le imprese aderenti. Ma quali opportunità si aprono invece per l’Università dalla partecipazione al Polo? «Innanzitutto si ha la possibilità

di indirizzare la ricerca verso le necessità del territorio. Uno dei compiti dell’ufficio di cui sono responsabile, al momento di intraprendere un progetto di ricerca, è proprio quello di individuare attraverso un dialogo con le aziende quali siano le esigenze del tessuto industriale e quindi fissare gli obiettivi della ricerca. Questo contribuisce a non sprecare risorse. Un altro aspetto positivo è l’ampliamento delle possibilità di ricerca e quindi del ventaglio di finanziamenti disponibili per il sostegno ai progetti. Data l’esiguità delle risorse disponibili soprattutto a livello nazionale, è senz’altro importante per l’ateneo avere più opportunità di attrarre finanziamenti in ambito comunitario. Un terzo vantaggio, anche se in misura minore rispetto agli altri, è l’occasione di interloquire con altri organismi (siano essi enti, istituzioni o aziende) che entrano in contatto col Polo tramite l’attività di internazionalizzazione. Pur avendo l’Università dell’Aquila numerosi rapporti di collaborazione e scambio con altri atenei transfrontalieri, costruiti in autonomia nel corso della sua attività, questo aspetto non è da trascurare».

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DELVERDE

La forza della natura Con 30 milioni di fatturato e 130 tipi di pasta prodotti, il pastificio Delverde realizza sul mercato estero il 60% dei suoi ricavi, esportando in tutto il mondo i valori legati allo splendido territorio incontaminato dell’Abruzzo montano

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all’Abruzzo all’Australia ci sono 16mila km in linea d’aria. Una distanza enorme, che si annulla entrando in un ristorante di Melbourne o di Sydney, dove alla vostra italianissima richiesta di un piatto di spaghetti al ragù vi verrà servito un ottimo piatto di pasta Delverde. L’azienda di Fara San Martino, un pezzo importantissimo della storia pastaia d’Abruzzo, è oggi una delle maggiori realtà industriali della regione, che realizza sul mercato estero il 60% del suo fatturato totale, esportando in 52 paesi in tutto il mondo. I principali mercati in cui realizza la maggior parte dei consumi esteri sono la Francia, la Germania, l’Olanda e l’Inghilterra, ma Delverde è anche attiva negli Stati Uniti (con una filiale a Miami) e in Canada, dove conserva il primato tra i marchi di pasta più importati; Sud America, Brasile ed Argentina rappresentano i principali paesi di riferimento nei quali si stanno registrando importanti trend di crescita; in Asia, grazie ad una trentennale presenza sul mercato giapponese, Delverde si sta proponendo con successo ad Hong Kong e Singapore. L’Australia e la Russia rappresentano le nuove frontiere dell’export. La qualità del prodotto è la forza vincente dell’azienda, e proprio

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le caratteristiche della pasta Delverde hanno attirato l’attenzione di una delle più importanti multinazionali della scena mondiale nel settore agroalimentare: la Molinos Rio de la Plata, gigante argentino da fatturati stellari (circa 3 miliardi di dollari nel 2011) che nel 2010 ne ha acquisito la totalità delle quote, rilanciando una già florida attività di export del pastificio abruzzese. «Molinos Rio de la Plata –spiega Luca Ruffini, CEO - Managing Director di Delverde– cercava un brand in grado di fornire un prodotto di altissima qualità, ed è stata quasi una scelta obbligata orientarsi verso uno dei più noti distretti della pasta, Fara San Martino. Il fatto che Delverde operi in Abruzzo, dove la tradizione della pasta è consolidata da secoli, e dove i “segreti” della produzione si tramandano di generazione in generazione, rappresenta sicuramente un valore aggiunto. Così come un altro elemento di forte richiamo, unico nel caso di Delverde, è il posizionamento dell’azienda all’interno del Parco nazionale della Maiella, in un territorio incontaminato, che offre alla produzione l’acqua purissima della sorgente del Fiume Verde». Ma una volta entrata in scena, la Molinos non ha semplicemen-


ura te acquistato un’azienda: ha invece puntato sul Made in Italy legato al prodotto, valorizzando il marchio abruzzese. Ed è stata una scelta vincente: i dati ufficiali parlano chiaro, con un incremento del 18% in Europa, 50% negli Usa e 25% nel resto del mondo. «Poter contare su un gruppo forte come il colosso argentino –commenta Ruffini– dà alla nostra azienda una garanzia importante di solidità per rafforzarsi sul mercato italiano e inoltre, inevitabilmente, genera importanti network utili al potenziamento dell’export». Una crescita che non sarebbe possibile, prosegue Ruffini, se l’ampliamento del mercato internazionale avesse portato a una progressiva perdita d’identità del prodotto, a uno “svuotamento” delle sue connotazioni geografiche: «Mantenere l’identificazione con l’Abruzzo è sicuramente un aspetto importantissimo per Delverde, proprio perché a questa regione rimandano tutti i valori cui facevamo riferimento prima, e quindi la lunga tradizione pastaia e la natura incontaminata, senza i quali la pasta Delverde non sarebbe quella che è». Nata all’inizio degli anni ‘70 nel solco di una tradizione pastaia che si è sviluppata a partire dalla metà dell’800, Delver-

de è diventata oggi una delle aziende leader mondiali del settore, l’unica in Italia con posizionamento premium sia nella pasta secca sia nella pasta fresca. «Con un fatturato di circa 30 milioni di euro –prosegue Ruffini– l’azienda produce 130 formati diversi tra pasta di semola, all’uovo, biologica e integrale-bio, utilizzando trafile di bronzo e processi di essiccazione a bassa temperatura, che consentono di preservare i valori nutrizionali e il gusto del grano naturale e conferiscono alla pasta la giusta ruvidità e consistenza». E oggi Delverde, con tutto il suo know-how aziendale e la lunga e consolidata esperienza in campo internazionale è entrata a far parte delle aziende agroalimentari associate al Polo Agire. «Con l’adesione al polo –conclude Ruffini– Delverde conta di poter dare e allo stesso tempo ricevere importanti stimoli per la sua attività di ricerca e sperimentazione, e di diventare sempre più parte di un radicato tessuto imprenditoriale capace di sfruttare importanti sinergie nel campo del marketing territoriale, della comunicazione e della logistica».

Delverde Industrie Alimentari SpA Dalla natura incontaminate del Parco nazionale della Maiella, Delverde produce oltre 130 tipi di pasta unendo alla lunga e consolidata tradizione pastaia d’Abruzzo la moderna dotazione tecnologiuca di un’azienda di livello internazionale. Zona Industriale 66015 Fara S.Martino (CH) Tel: 08729951 Fax: 0872994000 www.delverde.it info@delverde.it

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CIPAT ABRUZZO

COME TI FORMO L'AGRICO Cos’è e cosa fa lo storico ente che dal 1982 eroga formazione per gli operatori e gli imprenditori del settore primario. E oggi è sul mercato con un’offerta formativa ad ampio raggio

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n netta controtendenza rispetto all’industria ed ai servizi, l’agricoltura è l’unico settore dell’economia italiana che soffre meno i devastanti effetti della crisi globale. Le ricerche dell’Istat così come quelle delle associazioni di categoria mostrano che il comparto è l’unico ad aver registrato, nello scorso 2012, il segno “più” tanto sotto il profilo della produzione quanto sotto quello strettamente lavorativo (assunzioni di personale) e, dato ancor più confortante, sotto l’aspetto dell’apertura di nuove imprese (soprattutto al femminile), mentre cala il numero delle chiusure. In pratica, molti giovani che vogliono avviare un’attività scelgono proprio il settore agricolo, spinti anche dall’ampio ventaglio di opportunità che offre oggi il comparto, che ha esteso le sue competenze dalla produzione alla trasformazione e vendita di prodotti alimentari, dalle agroenergie fino all’offerta di servizi alle scuole come le fattorie didattiche, ma anche alle pubbliche amministrazioni per la cura del verde e dei sistemi di governo ambientale/territoriale. Certo, non basta avere un orto per diventare un imprenditore agricolo: lo sa bene il Cipat (Centro Istruzione Professionale ed Assistenza Tecnica), l’ente di formazione della Cia (non l’Intelligence statunitense ma la nostrana

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Confederazione Italiana Agricoltori) che dal 1982 eroga formazione proprio per il settore agricolo e degli indotti a questo collegati. Ma non solo. Spiega Roberto Furlotti, direttore generale dell’ente, che il Cipat «è l’ultimo rimasto, in Abruzzo, tra gli enti storici oggi sciolti, diretta emanazione di un’organizzazione politico-sindacale. Oggi infatti progettiamo e realizziamo formazione anche per altre associazioni, come Confagricoltura e Copagri. Ma il settore agricolo/agroalimentare, che resta comunque il nostro ambito principale, non è più l’unico nel quale ci muoviamo, a causa dei processi evolutivi del territorio, della regione e degli scenari di programmazione comunitaria». Nato appunto con il compito di formare gli imprenditori ed il personale delle aziende agricole e dei comparti vicini all’agricoltura, il Cipat oggi svolge un’autonoma attività di formazione che ovviamente lo ha portato ad occuparsi anche di altri settori ed ha ampliato molto il ventaglio delle sue possibilità. Nel 2010 ha ottenuto anche il definitivo accreditamento come ente formatore dalla Regione Abruzzo, il che lo autorizza ad erogare anche formazione superiore. «Ci siamo occupati con successo di sviluppo locale (abbiamo fatto formazione sulle politiche programma-

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torie dell’UE ai dipendenti dei Comuni di Pescara e Teramo e delle Province di Pescara e Teramo, ai Comuni dell’Unione teramana o ai dipendenti della Provincia dell’Aquila) e dei processi di modernizzazione della pubblica amministrazione (e-democracy ed e-government). Per anni abbiamo gestito i processi di recupero e reinserimento socio-lavorativo dei soggetti svantaggiati, svolgendo formazione nelle comunità terapeutiche del privato sociale (ad esempio di grande successo sono stati gli interventi per formare gelatieri o panificatori); abbiamo gestito processi importanti come Equal, che è stata la strategia dell’UE per ridurre i divari e incentivare l’innovazione del mercato del lavoro; siamo stati protagonisti dell’apertura di un centro multietnico con il progetto Celine, e ci siamo occupati anche di ricerca e sostenibilità ambientale. Siamo stati protagonisti dei processi di sviluppo della cooperazione transfrontaliera adriatica con il programma INTERREG. Stiamo animando, unitamente alla CIA, un progetto importante finanziato dall’Inail, che si chiama “agricoltura sicura”,sulla sicurezza e prevenzione nelle aziende agricole e agroalimentari. Ci occupiamo anche di formazione per la trasformazione e valorizzazione dei prodotti agroalimentari


CIPAT Abruzzo Agenzia formativa regionale che eroga corsi di formazione professionale, finanziati dai fondi strutturali e ministeriali, in agricoltura e nell'ambito dei programmi di sviluppo locale.

AGRICOLTORE e di territorio grazie alla consulenza specialistica di una delle tecnologhe migliori d’Italia, la dottoressa Antonella Baccari e questo mediante una serie di progetti propedeutici a formare gli imprenditori agricoli sui processi non solo di qualità e valorizzazione del prodotto tipico, ma soprattutto sulla sicurezza alimentare e sulla salubrità degli stessi». Tutte queste attività ne giustificano l’adesione al polo d’innovazione Agire, di cui il Cipat fa parte insieme ad altre aziende del terziario. «La scelta di partecipare al polo –prosegue Furlotti– è dettata dalla convinzione che la formazione e la sperimentazione metodologica siano strumenti importanti per far crescere le imprese, non solo sotto l’aspetto delle competenze, ma anche delle abilità, perché saper produrre e trasformare un prodotto sono componenti strategiche nei processi di valorizzazione e vendita dello stesso». Il Cipat è organizzato «secondo regole dettate dalla Regione per poter conferire l’accreditamento come Ente formatore, per poter realizzare formazione superiore, formazione continua, formazione permanente e formazione delle stesse tipologie anche per i soggetti svantaggiati». C’è un presidente, che in questo caso è Domenico Falcone; il dottor Roberto Furlotti è il direttore generale, che

Via Raffaello 26 Pescara Tel. 085/388255 Fax 085/4293972 www.cipatabruzzo.it

svolge anche attività di progettazione e rendicontazione, nonché di formazione su politiche europee, gestione fondi e processi di qualità. «C’è Paola Mosca, coordinatore e responsabile dei processi di valutazione e monitoraggio; poi Luca De Fabritiis (consulente informatico, docente, tutor e webmaster), la dottoressa Tiziana Vitullo (responsabile amministrativo e dei processi rendicontativi) e non ultimi Massimiliano Natale e Federica Venditti (addetti alle funzioni di segreteria e tutoring). A queste figure si aggiungono i circa 50 docenti, iscritti in una apposita long list/ albo di collaboratori: liberi professionisti, professionalità che appartengono al mondo accademico ed a quello delle imprese. Soprattutto devono rispondere a due caratteristiche: avere elevate competenze e capacità di trasferimento dei saperi e delle abilità. Non ci interessa il formatore cattedratico, che fa la sua lezione in aula e basta. Cerchiamo anzi di evitare caldamente questo tipo di persone». Dal 2012 il Cipat ha conseguito la certificazione di qualità UNI EN ISO 9000, «il che significa che nei nostri servizi, processi e modalità operative dobbiamo rispettare dei criteri definiti a monte: selezione delle professionalità attraverso l’analisi dei curricula, o quella dei fornitori in base alla qualità

del prodotto che ci danno, in termini sia formativi che oggettivi, in pratica tutto deve poter essere tracciabile e rendicontato. Dobbiamo garantire l’organismo finanziatore su tutto ciò che facciamo». I corsi, è bene specificarlo, sono principalmente gratuiti, essendo finanziati dai fondi strutturali: «Tutte le nostre più importanti attività formative sono legate ai bandi europei, ministeriali e regionali sono prioritariamente finanziate dall’UE mediante lo strumento del Fondo Sociale Europeo (FSE) oltre naturalmente alle opportunità legate ad un altro strumento importante che è rappresentato dal Piano di Sviluppo Rurale della Regione Abruzzo (PSR 2007-2013) che, attraverso la misura 111, consente agli imprenditori agricoli di aggiornarsi ed ai giovani imprenditori ed imprenditrici di conseguire le capacità professionali frequentando un’azione formativa obbligatoria della durata di 150 ore ». A queste opportunità CIPAT può offrire una vasta gamma di linee di interventi formativi “a pagamento” mediante le quali gli imprenditori, gli addetti e le forze lavoro possono migliorare le proprie competenze, conoscenze ed abilità oltre ad ottemperare a direttive obbligatorie previste per le diverse filiere economico produttive.

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FIORAVANTI

OLIVA MON AMOUR Produzione industriale ma qualità artigianale: ecco l’azienda alimentare che valorizza la produzione tipica locale. Con tanto di Dop

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linio le considerava le migliori, utili anche come rimedio contro la renella e la carie; Nerone ne restò colpito quando le assaggiò durante il banchetto di Trimalcione, e Marziale le degustava come aperitivo in salamoia. In tempi più recenti, le olive Picene, ovvero le Tenere Ascolane, contarono numerosi estimatori come Garibaldi (che addirittura tentò di coltivarle a Caprera), Rossini e Puccini. E papa Sisto V se le faceva spedire in Vaticano. «Ma è solo dal 1870 circa che si hanno testimonianze della tradizionale ricetta delle olive “all’ascolana”, perché nell’Italia preunitaria lo Stato Pontificio regolava il consumo di carne su base stagionale: il manzo e il maiale non potevano essere utilizzati contemporaneamente. E poiché la ricetta prevede l’uso di entrambe le carni dobbiamo aspettare l’unificazione per poter assistere alla diffusione di questo importante prodotto tipico della zona». Chi parla è Maria Cristina Piccioni, oggi uno dei vertici dell’azienda di famiglia, la Fioravanti alimentari, che da circa 25 anni produce olive all’ascolana, cremini e mozzarelline panate (ovvero gli ingredienti base del tradizionale fritto misto “all’italiana”) su scala industriale. Per prima cosa sgombriamo i dubbi sul nome dell’azienda, «che è quello del socio che

insieme a mio padre diede vita all’attività. Anche se dopo pochi anni ne diventammo gli unici proprietari, decidemmo di mantenere il nome che ormai era già noto sul mercato». Scelta saggia, perché la Fioravanti è oggi l’azienda italiana più antica tra quelle che producono olive all’ascolana, diffuse su tutto il territorio nazionale. «Non siamo certo gli unici: l’oliva all’ascolana è ormai un prodotto che si trova ovunque, dall’Etna alle Alpi, anche se il cuore della sua produzione artigianale resta la zona del Piceno. Di sicuro noi siamo tra quelli che cercano di mantenere il più possibile le caratteristiche artigianali del prodotto, pur declinandole in un’ottica industriale. Si tratta di un’economia di scala, più che di costo, perché la qualità esige costi elevati». Tant’è che l’oliva all’ascolana era presente «sulle tavole dei ricchi, delle famiglie nobili, era un prodotto riservato ai ceti più alti proprio per la presenza di carne e anche per la varietà pregiata delle olive utilizzate. Pian piano il prodotto, anticamente riservato ad eventi e occasioni speciali come banchetti, matrimoni o visite di alti prelati, si è diffuso tra i diversi strati sociali ed è diventato più accessibile. L’idea alla base della nostra azienda, quando nacque nel 1989, era proprio quella di portarlo nelle case di

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tutti, contribuendo a globalizzarlo ma valorizzandone la tipicità, la sua identità territoriale». E da quello che nell’‘89 era poco più che un laboratorio artigianale, la Fioravanti ne ha fatta di strada, diventando oggi un’azienda capace di dialogare non solo con un mercato interno nel quale giocano altri attori importanti, ma riuscendo a valicare i confini nazionali grazie ad un percorso teso alla qualità e quindi in grado di imporsi in Paesi dove questo argomento è tenuto in grande considerazione. «L’Italia è un Paese in cui i controlli sul cibo sono severissimi, quindi le aziende alimentari hanno bisogno di rispettare certi parametri se vogliono continuare a fare il loro lavoro. Nel 2000 abbiamo conseguito la certificazione ISO 9000, ma lo scorso dicembre abbiamo ottenuto altre due certificazioni: la BRC e la IFS: il primo (British Retail Council) è uno standard di qualità severissimo tipico dei Paesi anglofoni; il secondo è lo standard dei Paesi di lingua tedesca e francese. Questo per permetterci di accedere ai mercati europei più importanti con delle credenziali di prim’ordine. Va precisato che mentre l’ISO si ferma alla qualità di prodotto e di processo, questi altri due standard comprendono anche la sicurezza alimentare, ovvero garantiamo


il consumatore finale sotto tutti i punti di vista. Il nostro prodotto quindi rispetta gli standard qualitativi, nutrizionali, microbiologici e anche quelli di sicurezza alimentare». Sempre nell’ottica della qualità rientra, tra i prodotti dell’azienda, la Dop ottenuta per una speciale linea di Olive all’ascolana, prodotte in quantità limitata e realizzate «con l’oliva tipica del territorio, la Tenera Ascolana, mentre per le altre utilizziamo la Greca, che è praticamente quella il cui gusto si avvicina di più alla Tenera Ascolana e ci garantisce una grande disponibilità dal punto di vista quantitativo. Il conseguimento della Dop è legato al rispetto di un disciplinare di produzione: carne Dop di manzi e suini allevati nel bacino del Tronto e macellati in zona, trifolata con sedano, cipolla, carota e vino bianco secondo la ricetta, olive di varietà Tenera ascolana Dop. Il disciplinare è severissimo, e il costo di produzione di un’oliva Dop è quattro volte superiore a quello delle olive che realizziamo senza la certificazione». Ma ne vale la pena: «Aver ottenuto il marchio Dop per un nostro prodotto non è certo un’azione intrapresa a scopo di lucro, data la sua quasi inconsistenza in termini di fatturato: è, invece, un ulteriore passo verso la salvaguardia di una tipicità che altrimenti è destinata

a scomparire». Chissà che la produzione della Fioravanti non contribuisca a diffondere (e a salvare) altre tipicità italiane? Del resto l’azienda, che negli anni ha diversificato la sua offerta, si è rivolta anche ad altre ricette regionali per realizzare i suoi prodotti: «Non ci poniamo limiti culturali. Il mercato richiede prodotti diversi, e quindi noi ci ingegniamo a produrli. Si va per esempio dall’oliva all’ascolana ripiena di pesce, che è una variante costiera della classica oliva ascolana, alle verdure panate che fanno parte del fritto misto all’ascolana, per passare a supplì e arancini, che appartengono a un’altra tradizione culturale, tipica del Lazio e della Sicilia, e ai Panzerotti che si basano sulla ricetta pugliese, per finire con prodotti inventati da noi come i Golosetti, mini wurstel panati che stanno riscuotendo un grande successo pur essendo sul mercato da poco tempo. Siamo aperti, insomma, a qualunque proposta esca dal nostro laboratorio, in cui lavora un grand chef, ovvero un formatore di nuovi chef, che collabora con noi per la progettazione di nuove ricette. E siamo anche molto attenti a rispondere alle esigenze di una società che si diversifica sempre più, con la presenza importante di nuovi gruppi etnici e con le differenze culturali (e quindi le diverse

richieste di mercato) che questo comporta. Ad esempio, molti dei nostri prodotti sono studiati per soddisfare le richieste dei vegetariani».

Prodotti alimentari Fioravanti & C. S.r.l. Produzione e commercializzazione in Italia e all'estero di olive all'ascolana, cremini e mozzarelline panate e altre specialità regionali e italiane fritte o da forno Via Piane Tronto, 5 64010 Ancarano (TE) Tel. +390861870044 Fax +390861870040 www.buonissimo.com E-mail: info@fioravantisrl.com

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SAF ALLESTIMENTI

DA LANCIANO NEL MOND Da New York a Sydney, da Mosca a Marrakech, dal Cairo a Mumbai. La giovane ditta frentana porta il made in Italy ai quattro angoli del globo. Ma il cuore dei fratelli Paolo e Francesco Spoltore è legato all'Abruzzo Saf allestimenti Progettazione, realizzazione e allestimento di stand fieristici, negozi, showroom, gallerie d'arte e musei in tutto il mondo. Via Mario Spoltore, 11 66034 Lanciano (CH) Tel. +390872717492 Fax +390872702087 www.saf-allestimenti.com info@saf-allestimenti.com

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nsegnante con la passione per la storia, soprattutto quella degli eventi tragici che segnarono Lanciano e i paesi vicini durante la II Guerra Mondiale, Mario Spoltore non avrebbe mai pensato di vedersi intitolare una via. L’onore glielo ha tributato la sua città, Lanciano, nel 2011, dodici anni dopo la sua scomparsa. E forse non avrebbe neanche mai immaginato quanto lontano sarebbero arrivati i suoi due figli, Paolo e Francesco, che negli anni della sua vecchiaia muovevano, non senza difficoltà, i primi passi nel mondo del lavoro. «Io sono architetto, mio fratello è geometra. L’edilizia, al tempo, era già in forte crisi, così decidemmo di cambiare strada. Abbiamo fondato la Saf nel 1998, utilizzando un piccolo e scomodo magazzino in affitto. Ci siamo proposti all’Ente fiera di Lanciano come allestitori in occasione degli eventi fieristici. La qualità del nostro lavoro e del servizio offerto ci ha fatto guadagnare credibilità e contatti». E negli anni la Saf si è distinta non solo nella realizzazione di allestimenti e stand per fiere e manifestazioni, ma «abbiamo ottenuto importanti commesse soprattutto all’estero, come quella per la realizzazione di una galleria d’arte per il re del Bahrein, o di uno showroom di 1500 metri quadrati per Alfa Laval in Marocco; senza

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dimenticare il lavoro per il Museo delle Meraviglie marine di Pescara e uno stand di 3 piani per la Aicon Yachts al Salone di Genova». Paolo Spoltore parla con entusiasmo del suo lavoro, che –spiega– è basato «su quello che noi italiani sappiamo fare meglio: il design. Non facciamo una produzione di massa, ma creiamo di volta in volta allestimenti personalizzati, un po’ come il sarto d’alta moda cuce il vestito su misura del cliente, interpretandone lo spirito e la personalità, rendendolo unico». Il paragone può apparire azzardato, ma uno stand fieristico allestito dalla Saf ha davvero qualcosa in più. «Quando abbiamo cominciato il nostro fatturato arrivava a 150 milioni di lire, oggi fatturiamo 2,5 milioni di euro (di cui il 60% è realizzato all’estero), abbiamo un laboratorio per la progettazione, due magazzini per lo stoccaggio di nostra proprietà e diamo lavoro a 20 persone, che diventano oltre 40 in occasione degli eventi fieristici. Abbiamo una falegnameria interna, nella quale prendono corpo i nostri progetti, che fondono moda, creatività e design secondo la più classica delle ricette, quel made in Italy così apprezzato perché davvero difficile da imitare». Inutile, secondo Paolo Spoltore, fare concorrenza sul low cost: bisogna puntare sulla qualità. «E


MONDO la qualità ha un prezzo, specialmente se è italiana. Un esempio è il negozio che stiamo realizzando in Cina, che per design, materiali e finiture ha un costo elevato, ma che il committente è stato ben lieto di affrontare pur di avere un prodotto di alto livello». Servizio e innovazione sono le chiavi della competitività. «Stiamo cercando di valorizzare sempre più il nostro know-how. Ci teniamo costantemente aggiornati, siamo curiosi, dedichiamo molto del nostro tempo alla ricerca di soluzioni innovative, sia dal punto di vista tecnologico che da quello dell’ammodernamento dei nostri sistemi di produzione, e ci circondiamo di personale che condivida questo spirito. Al cliente cerchiamo di dare sempre il massimo, andando ben oltre la semplice progettazione, che potrebbe fare qualsiasi architetto: quando possibile, e specialmente per il mercato estero, forniamo la “prototipizzazione” degli elementi di design, ovvero spieghiamo come realizzare ciò che abbiamo progettato. Grazie all’ausilio di avanzati software tridimensionali, siamo in grado di creare rendering foto-realistici estremamente curati nei dettagli, così che il committente possa avere una visione precisa dell’allestimento dello spazio espositivo in corso d’opera. Riserviamo

cure particolari alla scelta e alla ricerca dei materiali: il legno è quello che preferiamo, ma lavoriamo anche con ferro, acciaio, laminati, alluminio e nuove fibre. Alla resa finale contribuisce anche l’uso combinato di materiale grafico e decorativo, audio e video, cosicché lo spazio espositivo viene concepito come uno “strumento multimediale” per comunicare con efficacia il messaggio aziendale. Una volta definito il progetto e realizzato il prodotto effettuiamo un premontaggio qui in sede, così da mostrare al cliente il risultato; poi montiamo lo stand direttamente in fiera, una volta terminato l’evento lo smontiamo e lo riportiamo in magazzino dove viene stoccato fino alla fiera successiva». Una copertura integrale del ciclo di vita del prodotto, quindi, che aumenta il valore dell’azienda in termini di credibilità e di affidabilità e che ha aperto a questa piccola ma dinamica realtà lancianese le porte dei mercati internazionali. Da Toronto a New York, da Stoccolma a Mosca, da Madrid a Parigi, da Marrakech al Cairo, e poi Jakarta, Shanghai, Mumbai e Sydney: la Saf non conosce confini. «Far bene le cose crea valore e fa guadagnare. I nostri clienti più importanti sono ormai fidelizzati, sanno come lavoriamo e mantengono il rapporto vivo e proficuo.

Molti dei nostri nuovi contratti nascono all’estero anche perché con la crisi le aziende, anche quelle italiane, hanno cominciato a concentrare la loro politica di visibilità su tre o quattro eventi di portata internazionale piuttosto che parcellizzare la presenza in fiere di minor risonanza, e capita spesso che nascano opportunità di lavoro proprio in seno agli eventi fieristici. Ad esempio, il nostro stand allestito per il salone nautico di Genova del 2010 fu l’unico rimasto in piedi dopo il nubifragio che si era scatenato durante l’evento. Da buoni abruzzesi, avevamo fatto le cose perbene. Un’importante famiglia araba, apprezzando la solidità del nostro allestimento, ce ne commissionò uno simile da realizzare a Jeddah, in Arabia Saudita per il Boat Show». Nonostante la vastità del mercato di riferimento, Saf è entrata nel Polo Agire per uno scopo ben preciso: «Desideriamo radicarci maggiormente nel nostro territorio, mettere la nostra esperienza e le nostre competenze al servizio delle aziende abruzzesi. Ci farebbe piacere diventare un punto di riferimento per le tante aziende della nostra regione, con le quali potremmo stringere rapporti vantaggiosi. È sempre meglio lavorare con chi ti conosce e condivide i tuoi stessi valori».

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Pasetti

storia di vite Nata oltre un secolo fa, l'azienda Pasetti porta avanti da vent'anni un percorso improntato alla ricerca della qualità. Un percorso che da Francavilla al Mare, sede storica della cantina, si snoda lungo le strade che portano nell'entroterra, dove oggi si trovano i 60 ettari di vigneti immersi nella natura tra il Parco del Gran Sasso e quello della Maiella

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a parola “Storia” associata al nome Pasetti non è mai fuori luogo. Intanto perché quella della famiglia è un’attività che si snoda lungo un arco di tempo che, a ritroso, dai giorni nostri arriva fino all’Italia post-unitaria, quindi lungo la Storia, quella con la esse maiuscola. E poi perché il nome Pasetti è oggi parte della storia (con la minuscola) dell’enologia abruzzese. Ma c’è un altro motivo: la storia della viticoltura è una delle passioni –e delle competenze, ça va sans dire– di Domenico “Mimmo” Pasetti, al timone dell’azienda di famiglia da vent’anni, enologo di razza che ha legato la sua attività a due altre parole, spesso usate con troppa facilità: tradizione e innovazione. Se c’è un’azienda che ha saputo innovare (nel senso del migliorare i propri prodotti) traendo dal passato (e quindi dalla tradizione) gli insegnamenti più utili, questa è proprio l’azienda di Domenico Pasetti, che con la moglie Laura e i figli Francesca, Massimo e Davide (che studia da enologo come suo padre) ha portato avanti l’operato del padre Franco e ha compiuto, oltre 15 anni fa, una scelta coraggiosa: spostare i vigneti dalle colline di Francavilla, in contrada Pretaro, nell’entroterra, su circa 60 ettari tra

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Pescosansonesco e Capestrano. «La storia –spiega Domenico– ci dice che circa 150 anni fa questi terreni erano tutti vitati. È stata la comparsa della fillossera, che ha devastato alla radice tutte le coltivazioni di vite, a generare lo spostamento delle stesse sulla fascia costiera, dando inizio –unitamente ad altri fattori sociali– al progressivo spopolamento delle campagne e all’abbandono della coltivazione della vite in queste zone. Nell’ottica del miglioramento del nostro vino, abbiamo individuato in questi areali, che hanno una forte escursione termica nel periodo di maturazione dell’uva, e con terreni ricchi di minerali le caratteristiche ideali per ottenere un prodotto di qualità». Perché è dall’uva buona, che nasce il buon vino, dice Domenico. «E il vino buono si fa in campagna, non in cantina. Bisogna distinguere tra eredità immobiliare e vocazione del territorio. C’è chi afferma che il suo territorio è “vocato” alla viticoltura perché su quel terreno la sua famiglia produce vino, e c’è invece un territorio che, per le sue caratteristiche pedoclimatiche, presenta le condizioni migliori per poter ottenere un’uva di alta qualità. Quello sì, è un terreno “vocato” alla viticoltura». Composizione del terreno, mineralità,


forte drenaggio, esposizione al sole, alta escursione termica tra notte e giorno durante il periodo di maturazione: ecco quali sono i segreti del vino Pasetti. «Quando ho preso le redini dell’azienda di Francavilla volevo imbottigliare tutto il vino che avevamo. Mi sono chiesto quindi se quel prodotto avesse le caratteristiche necessarie per poter essere imbottigliato e per posizionarsi su una fascia di mercato medio-alta, e alla fine mi sono dovuto rispondere che non era così. Le caratteristiche del terreno sulla fascia costiera, il clima e altri fattori che influenzano il comportamento della vite non potevano dare il prodotto che desideravo. Quindi, con una scelta cruciale per la nostra azienda, ho deciso che dovevamo trasferire le vigne su terreni effettivamente vocati alla coltivazione della vite». Il terreno montano, le condizioni “estreme” in cui la vite si viene a trovare, ne mettono alla prova la resistenza. La vite passa precocemente da una fase “vegetativa” a quella di accumulo delle riserve, tesa alla conservazione della specie, facendole assumere sostanze di qualità che, di conseguenza, producono un’uva di qualità. Nascono così i cavalli di battaglia dell’azienda, il più noto dei quali è il Testarossa, un

Montepulciano che trae il suo nome dalla nonna di Domenico, «che aveva i capelli rossi e che tutti, in paese, chiamavano “coccia roscia”. Quel gene ha saltato due generazioni e si è ripresentato nei miei figli, così quando è nata Francesca ho voluto regalarle questo vino che evoca la nostra origine, esprime con la sua forza, eleganza e schiettezza ciò che nel tempo ci è stato tramandato attraverso l’amore e la passione per il vino». Da sempre orientato alla produzione da vitigni autoctoni, Pasetti ha nel Pecorino un’altra punta di eccellenza della sua produzione. «Il Pecorino è un vitigno antico, che fa parte del corredo storico dei vitigni abruzzesi, del quale erano rimasti pochissimi esemplari, e che è stato riportato in auge alla fine degli anni Ottanta; viene chiamato così perché matura a settembre, periodo di transumanza, e veniva spesso “apprezzato” dalle greggi di passaggio. Il nostro Pecorino, che oggi raggiunge le 200mila bottiglie, è un vino fresco, profumato, gradevole, che si sposa benissimo con piatti di pesce, ma anche con carni bianche e formaggi stagionati». Un discorso a parte lo merita, poi, il Moscatello di Castiglione a Casauria. «Quando sono arrivato a Pescosansonesco ho co-

minciato a lavorare sulla selezione dei vitigni di Moscatello, un’uva nella quale ho sempre creduto. Ho impiantato un vigneto, ho fatto le mie prove e alla fine abbiamo ottenuto questo vino speciale, che si distingue nella grande famiglia dei moscati per il suo affascinante aroma di frutta e fiori, ottimo per accompagnarsi a dolci di ogni tipo. È un prodotto del quale andiamo orgogliosi».

Soc. Agricola Pasetti s.s. L'azienda nasce a Francavilla, ma nel corso degli anni si estende nell'entroterra abruzzese, trovando la sua dimora ideale a Pescosansonesco (550 m slm) e a Capestrano (450 m slm), nella natura protetta del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Produce esclusivamente da vitigni autoctoni come Montepulciano, Passerina, Pecorino e Moscatello di Castiglione a Casauria. Via S.Paolo, 21 66023 Francavilla (CH) Tel.: +3908561875 Fax: +390854519292 www.pasettivini.it info@pasettivini.it

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CACAO GELATERIA

ELENCO AZIENDEGUSTO D L'IRRESISTIBILE Tutto il sapere dell'arte gelatiera in un prodotto genuino, sano, dal sapore inconfondibile. Capace di stregare anche il parterre del concorso più bello d'Italia

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l bacio delle miss: dolce, fresco e leggero, sensuale e avvolgente. Ma attenzione, non parliamo di un vero bacio, bensì di un… gelato. Si chiama così, “il bacio delle miss”, il gusto appositamente creato da mastri gelatai per Cacao Gelateria, in occasione del concorso di bellezza più famoso del Belpaese, che durante l’edizione 2009 ha visto sfilare in passerella il consueto gruppo di aspiranti al titolo di Miss Italia e, nelle sale del Palacongressi di Salsomaggiore, ha tenuto a battesimo l’esordio di una nuova realtà della produzione artigianale di gelato, appunto Cacao Gelateria. Quella del 2009 è stata la prima apparizione pubblica della Cacao srl, nata appena un anno prima da un’idea di Bruno Randi, imprenditore abruzzese dal nome quanto mai importante: si tratta infatti dell’erede di quel Potito Randi, patriarca dell'imprenditoria teramana, industriale e mecenate, che diede vita nel 1942 alla Spica, la più importante industria ceramica del dopoguerra, con sedi a Castelli e –dal 1954– a Teramo, e che nei vent’anni passati a ricoprire il ruolo di Presidente del Consiglio di Amministrazione della Scuola d’Arte di Castelli, è stato

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il maggior artefice della trasformazione della Scuola in Istituto d’Arte per la Ceramica, contribuendo all’ammodernamento delle attrezzature per garantire la continuità di una delle più belle tradizioni d’arte della maiolica d’Italia. Bruno, imprenditore anche lui, ha ottenuto il successo in un altro settore, quello della ristorazione: sua è la Pap di Sant’Atto, uno dei principali attori del food regionale (roba da trecento dipendenti, che non sono bruscolini), e sua anche Alice Catering, una società per l’allestimento "chiavi in mano" di banchetti, matrimoni e cerimonie, in grado di organizzare eventi di grandi dimensioni legati alla ristorazione. «L’idea alla base di Cacao Gelateria –racconta Randi– è nata proprio dall’esigenza di completare l’offerta di Alice Catering con un prodotto di alta qualità come il gelato artigianale. Mi sono avvalso della grande professionalità di pochi ma validi collaboratori e abbiamo creato un prodotto di nicchia che sta prendendo piede e cresce di anno in anno». Cacao, che non ha ancora un punto vendita proprio (“ma speriamo di aprire presto un nostro esercizio su Teramo” anticipa Randi), distribuisce il


GUSTO DELL'ESTATE suo prodotto in circa 40 tra gelaterie, bar, pasticcerie, ristoranti del Teramano, spingendosi lungo la fascia costiera fino a San Benedetto del Tronto. «La nostra politica aziendale, trattandosi di un’attività complementare, è di produrre un gelato che risponda a criteri di alta qualità. Ci riforniamo esclusivamente di materie prime selezionate (ad esempio il pistacchio è quello di Bronte, le nocciole sono piemontesi), adottiamo criteri di filiera corta e di tracciabilità del prodotto (uova, latte e panna sono freschissimi, la frutta viene da fornitori della zona), esigiamo il rispetto delle più stringenti norme di sicurezza alimentare. Il risultato è un gelato che si distingue dalla massa dei prodotti industriali e che si posiziona in una fascia alta anche all’interno delle produzioni artigianali. Insomma, è un prodotto costoso per noi che lo produciamo, ma stiamo attenti a mantenere i prezzi al consumo all’interno del range tradizionale di mercato». Dallo scorso anno Cacao è entrata a far parte delle aziende raccolte sotto il polo d’innovazione agroalimentare d’Abruzzo: «La scelta di partecipare al polo Agire –spiega Randi– è dettata dalla presenza, all’interno del consor-

zio, di altre aziende del ramo, i cui prodotti sono complementari al nostro, e che quindi possono essere interessate a costruire percorsi di crescita comuni, soprattutto in termini di trasferimento tecnologico e di internazionalizzazione». Nel laboratorio di Cacao, che si trova all’interno dello stabilimento di Sant’Atto che ospita la Pap, la produzione è stagionale (da aprile a circa metà ottobre) e si avvale delle più recenti apparecchiature tecnologiche. «Ma trattandosi di un prodotto artigianale la tecnologia è esclusivamente un sostegno al know how e all’esperienza, l’elemento umano è imprescindibile se si vuol dare vita ad un prodotto che faccia della qualità la sua bandiera e il suo punto di forza».

Cacao gelaterie Produzione artigianale di gelato di elevato livello qualitativo; rifornisce gelaterie, bar, pasticcerie, ristoranti nell'area abruzzese-marchigiana. Nucleo Industriale S. Atto, Teramo Tel. 0861/587645 Fax 0861/588038 www.cacaogelateria.it info@cacaogelateria.it

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ICO

CARTONE, IL TUO COLORE Un imprenditore coraggioso e “illuminato”, un sogno che diventa realtà. Un’idea semplice come una scatola di cartone. E un’azienda che oggi fa dell’ecosostenibilità la sua filosofia ICO - Industria Cartone Ondulato L'azienda, tra le prime dieci in Italia e leader del CentroSud, copre l'intero ciclo della produzione di carta, cartone e scatole per imballaggi. Contrada Conoscopane, 65019 Pianella (PE) Tel. +39085444481 Fax 199152171111 Fax +39 08544698111 www.ico.it info@ico.it

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l “villaggio di cartone” del film di Ermanno Olmi era una metafora. La “città del cartone” della ICO è invece una realtà: quella di uno stabilimento che integri tutto il processo produttivo per la lavorazione delle materie prime e la successiva trasformazione in fogli di cartone da destinare agli usi più diversi. Difficilmente Loreto Lancia poteva immaginare cosa sarebbe diventata quella fabbrica da lui fondata nel lontano 1952, quando decise di impiantare un piccolo scatolificio in quel di Sambuceto, alle porte di Pescara. Il cartone ondulato era un prodotto che nella nascente società dei consumi trovava terreno fertile per una rapida espansione. Nacque così la ICO (Industria Cartone Ondulato), che grazie alla gestione “illuminata” del suo fondatore e proseguita dal figlio Leonida attuale A.D. dell’azienda, capace di reinvestire gli utili nella crescita e nello sviluppo tecnologico, si è evoluta ed ingrandita fino a diventare oggi uno dei dieci attori più importanti a livello nazionale nel settore. Un vero e proprio colosso, con tre stabilimenti produttivi: a quello storico di Sambuceto si sono aggiunti di recente il sito di Foggia e, ultima tappa della crescita aziendale, la “Città

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del cartone” di Pianella (a pochi chilometri da Pescara) dove i grandi spazi a disposizione consentono lo stoccaggio dei cartoni prodotti. Una crescita che segue quella del prodotto stesso, il cartone ondulato: «Da semplice imballaggio –spiega Manlio Cocchini, direttore dell’azienda– oggi il contenitore in cartone è diventato uno strumento anche di comunicazione, grazie all’evoluzione della tecnologia di stampa: oggi siamo in grado di stampare il marchio di un’azienda sul cartone, utilizzando i colori propri di quel marchio, e perfino di configurare l’imballaggio come un vero e proprio espositore, con le applicazioni ben immaginabili nel settore soprattutto della grande distribuzione. E questo apre la strada a nuovi e diversi utilizzi del prodotto, col quale possiamo realizzare oggetti di vario genere». Ne sono una dimostrazione le poltrone, le sedie, gli scaffali e i tavolini che fanno bella mostra di sé nel salottino della reception dello stabilimento di Pianella. Nel 2012 la ICO ha festeggiato i sessant’anni dalla sua fondazione e da circa 15 anni è diventata leader nel centro Italia: il suo mercato si estende attualmente dalle Marche e l’Umbria a Nord, fino alla Calabria e alla Sicilia a Sud. E questo


ORE È GREEN ha mosso gli interessi di una grande multinazionale, entrata nella ICO come socio minoritario. Ma a giustificare questa crescita e questo successo non bastano le pur significative innovazioni tecnologiche: «Un’azienda che si limitasse a produrre imballaggi –spiega Cocchini– non avrebbe futuro. Quel che offre la ICO in termini di servizi è il valore aggiunto che fa di questa azienda un partner affidabile per tutto il tessuto produttivo del territorio in cui opera. Grazie ai nostri software siamo in grado di diventare un elemento del processo produttivo dei nostri clienti più grandi, multinazionali che hanno bisogno di forniture in tempi strettissimi, al di sotto delle 24 ore. Per far questo dobbiamo conoscere le loro esigenze nel momento stesso in cui si verificano, partecipando al processo produttivo grazie a piani di lavoro condivisi. Per tutti i clienti entra comunque in gioco la nostra capillare rete di vendita, in grado di essere fisicamente al fianco delle aziende per occuparsi in toto delle esigenze in materia di imballaggi: praticamente un servizio “chiavi in mano”. Attraverso il nostro software Netbox, inoltre, il cliente può verificare lo stato del suo ordine collegandosi al nostro sito e inserendo

i dati di accesso che gli vengono forniti dal nostro personale. Tutti i nostri clienti, poi, hanno la piena disponibilità del nostro reparto ricerca e sviluppo, composto da tecnici altamente specializzati che mettono il know-how aziendale al servizio delle loro esigenze, progettando e ottimizzando i prodotti per fornire un servizio completamente personalizzato sulla base delle loro necessità». Innovazione tecnologica sul prodotto, servizi di altissimo profilo e crescita del mercato di riferimento. Ma il vero fiore all’occhiello della ICO è l’attenzione che pone alla questione ambientale. «Fin dall’inizio della sua storia –spiega orgogliosamente Cocchini– la ICO ha puntato sull’utilizzo di carta riciclata per realizzare i suoi prodotti. A coronamento di questa filosofia lo scorso dicembre abbiamo ottenuto un prestigioso riconoscimento: il premio Confindustria Abruzzo Green, “per il complesso delle innovazioni tecnologiche dei processi produttivi in un’ottica di sostenibilità”. In un Paese privo di materie prime i rifiuti sono una risorsa: è per questo che la ICO realizza la quasi totalità dei suoi prodotti riciclando la carta proveniente dalla raccolta differenziata». Tanto da potersi fregiare anche della certifica-

zione FSC (Forest Stewardship Council) che è il principale ente di garanzia sull’origine del legno e della carta. «Si tratta di un sistema di certificazione internazionale che garantisce che la materia prima usata per realizzare un prodotto in legno o carta proviene da foreste dove sono rispettati dei rigorosi standard ambientali, sociali ed economici, o che la produzione avviene utilizzando materie prime riciclate». E nell’ottica della sostenibilità vanno anche le innovazioni tecnologiche: «Stiamo lavorando, all’interno del polo Agire di cui facciamo parte, ad un progetto teso alla riduzione del 50% del peso della carta utilizzata per produrre il cartone ondulato, il che oltre ad abbattere i costi di produzione consente di ridurre radicalmente le emissioni di CO2 in tutto il ciclo del prodotto». Lunga vita al cartone, quindi. «Grazie alle innovazioni che hanno interessato questo materiale non esiste un’alternativa in grado di assicurare gli stessi standard performativi e la stessa sostenibilità economica e ambientale. Sono certo che se la ICO proseguirà su questa strada il futuro non potrà che riservare soddisfazioni».

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CONFCOOPERATIVE

la cooperazione da co Un mondo in crescita, un modello di imprenditoria sostenibile, un'occasione di creare occupazione e di favorire la crescita del territorio. Ecco il ritratto delle cooperative nelle parole del presidente regionale di Confcooperative Abruzzo Franco Ricci

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uello delle cooperative è un modello imprenditoriale che sempre più si afferma come modello di economia sostenibile. La sua capacità di creare reddito, occupazione, sviluppo e benessere sociale è testimoniata anche da recenti ricerche (prima fra tutte quella condotta nel 2008 dall'Euricse, l'Istituto europeo di ricerca su cooperative e impresa sociale) che fotografano un mondo in costante crescita, con un'elevata concentrazione di imprese nelle regioni del Sud Italia e in quelle più popolate come Lazio e Lombardia. Anche in Abruzzo il modello cooperativo ha riscosso negli anni un grande successo, con una crescita costante del numero di imprese, e oggi –secondo il presidente regionale di Confcooperative Abruzzo Franco Ricci– riveste un ruolo fondamentale proprio in uno scenario di crisi come quello attuale: «A differenza delle società di capitale che possono andar via e spostare la loro produzione altrove, le cooperative restano sul territorio, creando occupazione e aiutandolo a crescere». Confcooperative Abruzzo è l’organo territoriale regionale della Confederazione delle Cooperative Italiane, associazione nazionale di rappresentanza, assistenza, tutela e revisione delle imprese coo-

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perative. «Siamo autonomi rispetto a partiti e movimenti politici e ci ispiriamo ai principi della dottrina sociale della Chiesa. Promuoviamo la nascita di nuove cooperative, sosteniamo il loro sviluppo e consolidamento erogando loro servizi di formazione e rappresentandole anche a livello istituzionale». Articolata in quattro Unioni provinciali, Confcooperative Abruzzo, che conta circa 30.000 soci che operano nelle quasi 400 imprese cooperative associate, il cui fatturato complessivo si aggira intorno ai 600 milioni di euro, «opera a livello regionale nei diversi settori della cooperazione tramite le rispettive Federazioni: Fedagri per il settore agricolo ed agroalimentare; Federabitazione per quello dell’edilizia abitativa; Federlavoro e servizi opera nel settore produzione beni e servizi; Federcultura, Turismo e Sport si occupa del settore culturale; Federsolidarietà di quello socio-sanitario ed educativo; Federcoopesca gestisce le imprese di pesca ed acquacoltura; Federconsumo agisce nel settore consumo e distribuzione e Federcasse in quello del credito cooperativo». Tra le tante attività e iniziative svolte in questi anni, occorre in primo luogo ricordare l’impegno immediato e concreto preso da Confcooperative Abruzzo in se-


coltivare guito al grave sisma del 6 Aprile 2009 con la creazione di un Comitato avente come obiettivo quello di promuovere la solidarietà e di raccogliere fondi e beni a favore delle cooperative rimaste coinvolte nella tragedia. «Impegno che non si è ancora concluso in quanto Confcooperative continua costantemente a portare avanti tutti i progetti finalizzati alla ripresa economica del cratere sismico. Diversi sono inoltre i progetti che Confcooperative Abruzzo promuove in ogni suo settore. In ambito sociale, ad esempio, a favore dell’integrazione nel mondo del lavoro dei lavoratori svantaggiati e dei detenuti oltre alle tante altre iniziative volte a promuovere l’ecosostenibilità ambientale, l’imprenditoria femminile ed ovviamente uno tra i nostri settori più importanti, quello vitivinicolo». Ricci, presidente regionale dallo scorso marzo 2012, chiarisce in che modo Confcooperative svolga un ruolo attivo anche all'interno del Polo d'Innovazione agroalimentare: «Il Polo Agire è stato il primo polo di innovazione abruzzese fondato da alcune tra le più importanti aziende del settore agroalimentare che riunisce e continua a riunire piccole e grandi aziende del territorio. Confcooperative Abruzzo, aderendo insieme ad altre associazioni di categoria, ha voluto raccogliere la sfida

lanciata dalla Regione nel nome dell’innovazione e della sua diffusione nel settore agroindustriale. Confcooperative Abruzzo vuole dare il suo contributo attraverso diverse attività di assistenza, consulenza e promozione delle imprese in modo da rendere il settore agroalimentare altamente competitivo dal momento che ad esso è strettamente collegata gran parte del resto dell’economia abruzzese. Il fine è quello trasformare le esigenze del mercato interno ed internazionale in nuove proposte tramite servizi di miglioramento dell’efficienza delle operazioni produttive e tramite ricerche di mercato finalizzate all’introduzione di nuovi prodotti». Una strategia economica basata sul "fare rete" che può davvero diventare un motore essenziale per la nostra regione. «Il ruolo dei Poli d’Innovazione è fondamentale nel futuro dell’economia abruzzese se si pensa ad essi come veri e propri promotori di sviluppo; vien da sé che il “fare rete” non può che essere un fattore positivo dal momento che l’attività innovativa è incoraggiata proprio dall’interazione intensiva, dal continuo scambio di conoscenze ed esperienze attraverso la messa in rete e la diffusione delle informazioni tra le imprese aderenti».

Confcooperative Abruzzo Rappresenta, assiste e tutela il movimento cooperativo abruzzese. Conta oltre 30mila soci in più di 400 imprese associate. Via Paolucci, 3 65121 PESCARA Tel. +390854511249 Fax +390854511312 abruzzo@confcooperative.it www.abruzzo.confcooperative.it

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TORREFAZIONE ADRIATICA - MARCAFÉ

ELENCO AZIENDE UN ESPRESSO MONDIALE L’azienda teramana guidata da Silvestro Marcozzi ha ottenuto importanti risultati nell’export grazie a un prodotto di prima qualità e a un’attenta politica di relazioni con l’estero. Quando si dice che il caffè ti dà la carica… Torrefazione Adriatica S.p.A. Marcafè L'azienda produce caffé di qualità che esporta in circa 20 Paesi in tutto il mondo. Commercia anche in spezie, coloniali, dolciumi, zucchero, dolcificanti e bevande; completa l'offerta fornendo i necessari macchinari e arredamenti per bar. Via Ripoli 64021 Giulianova (TE) Tel. +39 085 8072141 Fax +39 085 8061928 www.marcafe.it • info@marcafe.it

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otrebbe capitare anche a voi, se vi recaste al Lounge di Shanghai o al Pelikan di Skopje, di ordinare il caffè a fine pasto e di sentire sprigionarsi da quella piccola tazzina tutto l’aroma di un buon espresso italiano. Grande sarebbe la vostra sorpresa sapendo che quel caffè non è solo italiano, ma abruzzese: Marcafé, per la precisione, il marchio che da Giulianova esporta i suoi prodotti in circa 20 Paesi ai quattro angoli del mondo, e che potete trovare anche a Tokio, a Seoul, San Pietroburgo, Patrasso, Kiev, solo per citarne alcune. E naturalmente in tutto il territorio del teramano. «La dimensione delle torrefazioni, quanto alla distribuzione commerciale, è essenzialmente territoriale –spiega Emilio Marcozzi, responsabile del settore export di Marcafé– salvo poi estendersi direttamente oltreconfine, e lì non ci sono limiti alle possibilità di espansione. Anche le aziende più piccole, andando all’estero, si confrontano con altre realtà e crescono sotto l’aspetto metodologico, cosa che le avvantaggerà anche in patria; e intessendo rapporti con questi possibili mercati troveranno senz’altro anche il modo per aumentare la produzione, senza per questo rinunciare alla qualità.

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Bisogna solo mettersi le gambe in spalla e lavorare». Cosa che i fratelli Marcozzi hanno fatto egregiamente, visto che dal 2005, da quando cioè è iniziata l’espansione all’estero dell’azienda, l’export ha raggiunto la ragguardevole cifra del 20% del fatturato. «Siamo presenti in circa venti Paesi: i tre Stati baltici, la Germania, la Russia, la Polonia, Cecoslovacchia, Grecia, Bosnia, Croazia, Macedonia, Arabia Saudita, Sudafrica, e poi si va in Oriente. Lavoriamo anche in Cina, ma paradossalmente è un mercato difficile per il nostro settore, e preferiamo il Giappone e il Sud-Est Asiatico, ricchi soprattutto di prospettive. Altre aziende abruzzesi, nostre concorrenti, hanno raggiunto percentuali più elevate, ma hanno anche cominciato a esportare più di vent’anni fa», spiega Emilio, valorizzando ancor più il risultato ottenuto. La Torrefazione Adriatica, invece, nata nel 1948 dall’idea del nonno Silvestro Marcozzi, ha attraversato un periodo buio, sopravvivendo comunque al declino dell’altra attività di Silvestro, un ingrosso di alimentari, e ai cospicui investimenti assorbiti dall’altra azienda di famiglia, la M+M, una grande azienda metallurgica specializzata in reti metalliche, fondata a Tortoreto da Vittorio


ALE Marcozzi (il padre di Emilio e Silvestro) che si è distinta per dimensioni («200 dipendenti, negli anni Settanta non erano pochi; esportava anche in Estremo Oriente») e per know-how prima di essere venduta a una grande multinazionale; le redini della torrefazione, nel frattempo, vennero prese in mano dal fratello di Vittorio fino alla metà degli anni Ottanta, quando i due nipoti sono subentrati al timone dell’azienda, mettendola a pieno regime e riportando in auge il marchio Marcafé, uno dei più noti della regione. Oggi il “piccolo” ma bellissimo stabilimento tra Giulianova e Mosciano ospita 18 dipendenti in tutto, compreso lo staff amministrativo, e custodisce al suo interno un potente cuore tecnologico che permette all’azienda giuliese di produrre una grande varietà di miscele destinate –oltre che al mercato estero– a circa 1100 esercizi tra bar, ristoranti e alberghi, diffusi in un raggio di poche decine di chilometri dall’azienda. «Per un certo periodo –spiega Emilio– abbiamo avuto anche qualche cliente a Roma, ma abbiamo rinunciato per l’impossibilità di poter fornire la necessaria e tempestiva assistenza tecnica che è parte integrante della nostra attività, e ne costituisce

il 40% del fatturato. Quando si rompe una macchina non puoi impiegare due o tre ore solo per portare un pezzo di ricambio, più il tempo che serve per la riparazione. Ecco perché generalmente le torrefazioni lavorano in ambiti molto ristretti». L’azienda infatti fornisce ai propri clienti italiani anche tutto il corredo tecnologico («Cimbali e Faema, i marchi con cui lavoriamo») e garantisce una costante assistenza post-vendita, mentre all’estero esporta soltanto il caffè. «Il nostro lavoro consiste nell’importare i grani a crudo, ripulirli, tostarli, eventualmente macinarli (perlopiù produciamo caffè in grani) e selezionarli per ottenere le diverse miscele e i diversi prodotti. Il tutto seguendo un processo che tiene conto non solo delle più recenti norme igienico-sanitarie, ma soprattutto stando attenti a non dequalificare le caratteristiche delle diverse varietà di caffè. Per questo è necessaria l’intermediazione tecnologica, che consente di ridurre al minimo le variabili e di offrire, quindi, un prodotto sempre all’altezza delle aspettative del cliente». Le miscele ottenute sono destinate agli usi più diversi: da quelli professionali a quelli domestici, dalle cialde per macchine espresso alle confezioni

sottovuoto, dal biologico al decaffeinato. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. «Ma il gusto è qualcosa di molto personale –precisa ancora Emilio– che varia di Paese in Paese e va quindi alimentato con un prodotto di qualità». Tutto, nella Torrefazione Adriatica, è improntato alla qualità. Dalle materie prime (ovvero i chicchi, provenienti da piantagioni sparse tra Centro e Sud America, Africa e Asia) al processo produttivo (certificato ISO 9001) che utilizza macchinari di ultimissima generazione; dall’ambiente lavorativo al personale. E il risultato è un caffè sopraffino, la cui massima espressione, secondo i vertici aziendali, è Opera Prima: una miscela delicata, morbida al palato, raffinata nell’aroma, che mantiene intatte le proprietà del caffè grazie all’attenta tostatura, realizzata ad aria calda, e che sposa il fascino dell’arabica indiana e la sapienza tutta italiana del gusto. «Opera Prima è il top di gamma, ma il nostro prodotto più venduto è il Perla Nera Special, sintesi perfetta di un’accurata selezione dei migliori caffè arabica colombiani e brasiliani, dei processi attenti di tostatura, della profonda cultura italiana del caffè».

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HOTEL VILLA ELENA

VACANZE DI GUSTO ELENCO AZIENDE

Un hotel 4 stelle, un ristorante, un bar, uno shop e una pizzeria: il gruppo Villa Elena è il simbolo dell'offerta turistica integrata, che unisce la qualità della ricettività a quella del territorio

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na scommessa: lasciare la strada vecchia per la nuova, in un momento in cui la vecchia (l’edilizia) viveva una fase espansiva che oggi molti rimpiangono, visti i tempi che corrono; e in cui la nuova (la ristorazione) aveva già i suoi player di prim’ordine. Ma la famiglia Vagnozzi di Tortoreto, nel 1986, non si è gettata in un’impresa con la benda sugli occhi, anzi: ben cosciente delle proprie risorse, ha profuso nella nuova attività tutta la passione e l’impegno che avevano caratterizzato quella precedente, e il risultato è che la scommessa è vinta. Oggi il Gruppo Villa Elena costituisce non solo una delle eccellenze nella ricettività della fascia costiera, ma anche un unicum all’interno del polo d’innovazione Agire. Dal 1986, quando decide di investire nel settore dei pubblici esercizi abbandonando quello dell’edilizia residenziale, la famiglia Vagnozzi ha fatto passi da gigante. Appena cinque anni dopo, nel 1991, esordisce nel settore della ristorazione collettiva (oggi si direbbe banqueting) per aprire, nel 1996, l’hotel Villa Elena. Nel 1998 è stata la prima azienda in Abruzzo –e la terza in Italia– a conseguire la certificazione ISO 9000. L’ultima ristrutturazione, avvenuta nel 2010, ha elevato la categoria a 4 stelle e ampliato il ventaglio

delle attività rivolte al miglioramento dei servizi accessori al cliente. Intorno all’attività portante, quella alberghiera e della ristorazione collettiva, sono stati creati un piccolo ristorante, un angolo shop-bazar, una pizzeria e un bar con ristorazione veloce, attività che vedono alla direzione di ciascuna un diverso membro della famiglia. Nel luglio 2012, in conseguenza degli ultimi interventi strutturali, giunge un altro primato: la doppia certificazione. Il gruppo Villa Elena è, a tutt’oggi, l’unica struttura ricettiva in Abruzzo a fregiarsi dell’ISO 14000, ovvero la certificazione di qualità ambientale. «Per noi è un credo – spiega Giuseppe Vagnozzi, presidente del Gruppo che comprende al suo interno le diverse attività sopra descritte– anche se il mercato non ce l’ha mai riconosciuto, esistendo a monte la classificazione a stelle. Abbiamo coinvolto il nostro personale, e sono loro i veri portatori di questa cultura della qualità. In un momento di economia contratta come quello che stiamo attraversando, le aziende sono portate a tagliare il superfluo, e la certificazione di qualità viene definita come un accessorio. Io invito le aziende a rimanere sul percorso che hanno strutturato seguendo gli obiettivi che si sono prefissate, perché l’Europa parla

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in termini di qualità, di norme UNI, di ambiente e di procedure: procedure che diventano le linee guida per poter gestire le proprie aziende, tenendo sotto controllo i processi in termini di lavorazione, di filiera o di gestione. E coinvolgendo il personale nel bene, quindi fissando gli obiettivi, ma anche nel male, perché non si perda il controllo dell’attività in un momento caratterizzato da indecisioni che non vengono sicuramente dalla classe imprenditoriale ma da quella politica». Anche per questo il gruppo Villa Elena ha deciso di entrare nel Polo d’innovazione Agire e non in quello del turismo. «È evidente che costituiamo un elemento di diversità all’interno del sistema –ammette Vagnozzi– perché è un ingresso del comparto turistico nell’agroalimentare. Ma il mio concetto, che ho portato avanti anche all’interno di Confindustria come rappresentante di Federturismo Abruzzo, e che ho espresso durante la fase embrionale della costituzione del Polo, è che il turismo sia trasversale a tutto. Ancor di più l’Abruzzo, che può vantare le sue perle nell'agroalimentare e nell'enogastronomia non può permettersi di non convogliare in un ambito turistico questi elementi, che diventano attrattori e possono servire a distinguerci in un


mercato sempre più esigente che guarda all’offerta in maniera sempre più internazionale e globalizzata». La certificazione, precisa Vagnozzi, «è stata importante per l’ottimizzazione di tutti i processi, per l’implementazione di sistemi che non sono dettati dalla proprietà, ma sono stati creati insieme al personale, fissando gli obiettivi della qualità e della soddisfazione del cliente, seguendo quella che si chiama customer satisfaction. Tutti i nostri interventi, sia di investimento, che di controllo di gestione o di processo, sono mirati a soddisfare le richieste della clientela. Facciamo tesoro delle non conformità, delle osservazioni del cliente, in un’ottica di miglioramento. Questo è stato il vero risultato: stare sempre in sintonia con ciò che ci chiede il mercato». E il mercato, ovvero la clientela, risponde positivamente. «In Abruzzo, nel nostro dna, abbiamo il gene dell’ospitalità. Che viene dalla nostra cultura contadina, e qui entra in ballo l'agroalimentare. Il cittadino abruzzese non è ostile all’ospitalità, all’accoglienza. Anzi: la cordialità degli abitanti è diventata un vanto, e costituisce parte dell’offerta turistica che non può mai essere disgiunta dal territorio. Purtroppo va ascritta alla classe politica del passato la colpa di aver lasciato soli gli operatori

ricettivi, che in maniera del tutto spontanea sono riusciti a stare sul mercato grazie ad un prodotto che essi stessi hanno costruito, anche e proprio in virtù delle caratteristiche degli abitanti. Insomma, se oggi abbiamo un “prodotto Abruzzo” da promuovere e da offrire al turista, lo si deve all’iniziativa degli operatori e della cittadinanza, non certo a una politica che si è lasciata sfuggire non poche opportunità. Quella fascia media costituita dal turismo familiare, e che oggi a causa della contrazione economica risulta anche la più colpita, oggi sceglie le nostre località perché trova il miglior rapporto qualitàprezzo. Insieme a sicurezza, cordialità e soprattutto cultura agroalimentare ed enogastronomica». Oggi, spiega Vagnozzi, «il cliente viene in Abruzzo in cerca di emozioni, di esperienze. E in questo senso è impossibile non offrirgli il “prodotto territorio” nella sua integrità: sarebbe come se un fornaio, al cliente che gli chiede il pane, vendesse la farina e l’acqua. Il Montepulciano, per esempio, è un fortissimo attrattore: in primo luogo perché è un prodotto, spendibile come tale e in grado di generare pil e fatturato con forti ricadute sulle aziende territoriali; e in secondo luogo perché c’è un turismo che vuole vedere i luoghi dove si

produce il vino. Dal vino all’olio il passo è breve: abbiamo sperimentato, in Austria, un pacchetto turistico sulla raccolta delle olive che ha avuto un ottimo successo. Insomma, il comparto agroalimentare ha ancora un ampio margine di sviluppo in senso turistico sul quale si può e si deve lavorare concretamente. La Regione ha recentemente messo a disposizione dei fondi per caratterizzare l’offerta turistica regionale in base a prodotto e destinazione, e anche se siamo appena partiti si cominciano già a vedere i primi eccellenti risultati».

Villa Elena Group Il gruppo si compone di un Hotel a 4 stelle con 45 camere dotate di tutti i comfort, un piccolo ristorante, una sala per eventi da 400 posti, uno shop-bazar, una pizzeria e un bar con ristorazione veloce, al centro di Tortoreto Lido e a 400 metri dal mare. Viale Adriatico, 136/138, 64019 Tortoreto Lido (TE) Tel. +390861787266 – 774408 Fax +390861786294 www.hotelvillaelena.it info@hotelvillaelena.it

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AZIENDA AGRICOLA LU PIANE

IL GRANO CHE FECE L'ITA Innovare in agricoltura significa ecosostenibilità. Una piccola fattoria ai piedi della Maiella produce, con le tecniche della tradizione, cereali e legumi con metodi biologici.

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ualcuno ricorderà un famoso cinegiornale dell'Istituto Luce che mostra Benito Mussolini, a torso nudo, dare inizio alla trebbiatura del grano. È la famosa "battaglia del grano", parte del progetto autarchico del regime, teso ad assicurare l'autonomia produttiva all'Italia che all'epoca (era il 1925) acquistava il frumento in gran parte dall'Unione Sovietica e dagli Stati Uniti. Quel grano che il Duce si apprestava a mietere era della varietà detta "Senatore Cappelli", dal nome di Raffaele Cappelli, abruzzese di San Demetrio nei Vestini, marchese latifondista con numerosi poderi nelle Puglie, che nel 1906 decise di dedicare uno dei suoi possedimenti alla coltivazione sperimentale. A questo scopo il Ministero dell’Agricoltura gli fece il nome di Nazareno Strampelli, un agronomo e genetista marchigiano, che conduceva ricerche ed esperimenti sul frumento per crearne delle varietà in grado di resistere alle intemperie e alle diversità dei climi italiani e aumentare il ricavato dei raccolti. Il grano “Senatore Cappelli” fu uno dei suoi più grandi successi, la cui produzione nel Centro-Sud Italia durò fino agli anni Sessanta, quando venne poi soppiantata da varietà più produtti-

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ve. Ed è proprio quel grano che, insieme al farro e alla solina, è tornato a essere prodotto ai piedi della Maiella dall'azienda Lu Piane di Catuscia Sissa, impegnata da anni nella ricerca e nella coltivazione di varietà di cereali antichi. «Abbiamo aderito al progetto “Coltiviamo la biodiversità" del Parco della Maiella –spiega Catuscia– e ci siamo dedicati al recupero e alla conservazione di questi antichi cereali utilizzando metodi biologici. Le colture si estendono su circa 12 ettari e vengono effettuate a rotazione, così da apportare ai terreni il giusto nutrimento; il grano viene macinato esclusivamente in mulini a pietra per lasciare alle farine gusto e odori inalterati; con queste farine produciamo diversi tipi di pasta e pane cotto nel forno a legna, preparato col lievito madre, come si faceva un tempo. E il nostro forno è alimentato da legna proveniente dalla potatura dei nostri ulivi, che ci danno un ottimo olio extravergine. Oltre alla pasta realizziamo anche dolci, fatti con olio, uova, miele e farina». La filosofia di Catuscia e di suo marito Vincenzo Giangiulio è semplice come la vita dei campi: tramandare un modo sano di fare agricoltura, recuperare la tradizione per guardare al futuro in un'ottica di sostenibilità. «La nostra è una


ITALIA piccola azienda. Siamo figli e nipoti di contadini, desiderosi di mantenere viva la cultura dei nostri avi. Non siamo interessati tanto a crescere quantitativamente quanto a ottenere prodotti di qualità, di cui c'è una richiesta più alta di quanto si possa immaginare». È per questo che Lu Piane, situata nelle campagne attorno a Palombaro, è entrata a far parte del Polo d'innovazione agroalimentare. «Alla parola "innovazione" –precisa Catuscia– oggi si tende spesso ad associare l'alta tecnologia, ma non è sempre così: si può innovare anche tornando alle origini; significa anche cambiare cultura imprenditoriale, rimodellare la propria sensibilità ascoltando l'esigenza del mercato. La richiesta di prodotti genuini, coltivati in modo sano, nel rispetto dell'ambiente, è figlia della dequalificazione delle produzioni, intensificate nell'ottica del profitto, che hanno dato origine a quei fenomeni sempre più diffusi di intolleranze e disturbi alimentari, e che oggi determinano la crescita dell'agricoltura biologica. Basta fare un giro nelle regioni del Nord per capire che la nuova frontiera dell'agricoltura è tutta nelle coltivazioni biologiche e biodinamiche». Al visitatore che passa in azienda Catu-

scia offre in degustazione i suoi prodotti, generalmente disponibili direttamente in fattoria o reperibili in alcuni negozi specializzati della zona. «Promuoviamo i nostri prodotti in modo autonomo, vendendoli via internet o grazie a iniziative del Parco come fiere e manifestazioni a carattere gastronomico. Ma siamo ancora agli inizi, c'è tanto da fare. L'ingresso nel Polo Agire, oltre a darci la possibilità di migliorare qualitativamente i prodotti grazie al confronto con altre aziende e al fondamentale apporto scientifico degli istituti di ricerca presenti al suo interno, ci può offrire la possibilità di partecipare con le nostre competenze ai diversi progetti comunitari, e può allargare il ventaglio dei nostri canali di comunicazione per conferire maggiore visibilità alla nostra azienda e ai nostri prodotti». La risposta del pubblico, tuttavia, non si è fatta attendere: «Pane, pasta e olio hanno ottenuto finora sempre ottimi riscontri; nel nostro piccolo, possiamo dire di aver conseguito per il momento dei buoni risultati. Non possiamo ancora vivere di questo lavoro, ma ci stiamo dando da fare per la promozione dell’attività. Bisogna dare atto al Parco di aver sostenuto la diffusione della cultura

sostenibile all'interno delle aziende, accrescendo la sensibilità dei produttori e quella dei consumatori, che oggi tra un prodotto industriale e uno artigianale spesso scelgono quello più genuino, consapevoli anche del lavoro che c'è dietro e di quanto con la loro scelta contribuiscano a tenere viva la tradizione. Una tradizione che, spesso, appartiene anche a loro».

Az. Agr. Lu Piane di Sissa Catuscia L’azienda svolge un’attenta opera di recupero e coltivazione con metodi biologici di grani antichi come Farro, Solina e Senatore Cappelli. Produce e vende olio extravergine di oliva, farine, pane, pasta e dolci. Via Piano Laroma, 14 66010 Palombaro (CH) Tel. +393331722953 catusciasissa@gmail.com

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Associazione Produttori Zootecnici

DOP, DOP, URRà Organizzazione di Prodotto, difesa della qualità del Made in Italy, salvaguardia delle tipicità regionali: le battaglie di Aprozoo a tutela del consumatore

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i fronte a una mozzarella quanti di noi si soffermano a controllare sull’etichetta se la sua provenienza sia o meno italiana? O, nel caso in cui il marchio sia italiano, quanti di noi si domandano dove sia stata prodotta? E con che latte, con quali metodi? Quello della certificazione di filiera, della tracciabilità del prodotto, è un problema che torna ad occupare le prime pagine dei giornali ogni volta che un nuovo scandalo o una nuova epidemia investono il settore dell’agroalimentare. Basta ricordare qui solo i casi della “mucca pazza”, o della sindrome aviaria –casi che hanno interessato le cronache per lungo tempo– ma anche quelli di Bresaola della Valtellina fatta in Uruguay, o del Pecorino Romano di provenienza… rumena: si tratta, spiega David Falcinelli, presidente dell’Aprozoo abruzzese, «di eventi che sconvolgono non tanto per la gravità del fatto in sé, ma quanto per l’impossibilità da parte del consumatore di poter stabilire se la bistecca che ha in frigo sia un alimento "a rischio" oppure no, o se dietro il marchio italiano ci sia o meno della materia prima effettivamente italiana. Oggi, nel caso della carne bovina o avicunicola, come anche dell’olio o di altri prodotti agroalimentari, questo rischio non c’è, dato che

è stata resa obbligatoria la tracciabilità del prodotto. Ma in altri casi, come per esempio nel latte, il rischio esiste ancora oggi». Ed è su questo fronte, ossia quello della difesa del Made in Italy, che Coldiretti e Aprozoo stanno lavorando con maggior impegno. «La linea politica di Coldiretti a livello nazionale –prosegue Falcinelli– è quella di mettere il Made in Italy al centro dei valori dell’agroindustria, e quindi di tutelarlo. Aprozoo spinge perché questa difesa non sia solo un atteggiamento, ma perché si riempia di contenuti, diventi concreta, garantisca il consumatore e gli consenta di effettuare scelte sempre più consapevoli e quindi di poter aggiungere, all’atto dell’acquisto, un elemento passionale, ossia la scelta di un prodotto in base alla sua identità». Aprozoo, che combatte per affermare la necessità di un’organizzazione ferrea della produzione, inizia la sua storia nel 1986, proprio come organismo dedicato alla organizzazione della produzione del latte. «Il regime delle quote latte, istituito dall’UE allo scopo di evitare gli sprechi, è sempre stato visto come un legaccio, come un ostacolo alla crescita da parte di quelle aziende che, effettivamente, sono in grado di produrre più latte. Di conseguenza, un'associazione (Aprolat, in origine) che nasce con

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lo scopo di organizzare l'offerta veniva vista come un'estensione burocratica di una norma mal tollerata. Con gli anni le cose sono cambiate: la vecchia Aprolat è diventata Aprozoo, e grazie ad una felice intuizione, dal 1996 è anche entrata nel mercato, diventando il primo acquirente del prodotto a livello territoriale. Raccoglie, cioè, il latte dei diversi allevatori e lo distribuisce –in base alle sue caratteristiche– ai diversi centri di trasformazione. Una scelta vincente, dato che oggi Aprozoo Abruzzo è l’unica associazione sopravvissuta delle cinque esistenti sul territorio regionale. «Certo, oggi anche noi scontiamo la crisi del mercato, come chiunque, ma abbiamo ben chiari gli obiettivi che ci poniamo, forse andando oltre il concetto di semplice cooperativa di raccolta. Intanto –ed è il motivo per cui siamo nel Polo Agire– sappiamo che l’innovazione, se condotta dal singolo, ha due grossi rischi: quello di innovarsi nella direzione sbagliata o, se anche si prende la strada giusta, di non massimizzare il risultato; se invece ci si innova in rete o in filiera la maggior relazione con la realtà territoriale porta all’ottimizzazione dei risultati, sia per chi ci precede nella filiera che per chi ci segue. Oggi il risultato è che rappresentiamo il 18% del latte abruzze-


se, siamo l’unica società cooperativa che ha lo statuto adeguato alla normativa europea in materia di Organizzazione del Prodotto e, dal 2015, quando scomparirà il regime delle quote latte, saremo gli unici a poter lavorare nel nuovo ambito normativo del “pacchetto latte”». Già, perché se il controllo sulla produzione ha ottenuto dei risultati, continuano le difficoltà nell’aggregazione dell’offerta. «La OP (Organizzazione di Prodotto) Aprozoo è una goccia nel mare magno del latte italiano, ma farà parte di una AOP (Associazione di Organizzazioni di Prodotto) che sta costituendo Coldiretti e che rappresenterà il 27% del latte italiano. Il che ci proietta verso gli obiettivi previsti da questa nuova normativa. Ma quest’aggregazione, che conta 170 soci e oltre 170mila quintali di latte sconta la mancanza d’identità». Che è il secondo punto sul quale Aprozoo sta conducendo una battaglia senza quartiere in difesa delle tipicità territoriali. «Il problema, una volta che l’offerta sia stata aggregata e collocata sul mercato, è la difficoltà da parte del consumatore di riconoscerla. L’etichettatura di Origine Obbligatoria che Coldiretti ha indicato come via per la difesa del Made in Italy non è ancora legge cogente tranne che per alcuni prodotti come olio

e carne bovina, ma ci sono volute sempre gravi crisi per arrivarci, come mucca pazza e aviaria. E il danno subìto in quei casi non è rimasto confinato agli allevatori di mucche effettivamente “pazze”, ma si è esteso anche a quegli allevatori di marchigiana o di chianina italiani che avevano animali completamente sani. Quindi certificare la provenienza e attribuire un’identità ai prodotti consente al consumatore di fare scelte consapevoli e di aggiungere, a quel punto, anche un elemento di passionalità nella scelta». L’Aprozoo sta lavorando, quindi, per un controllo della filiera portato all’estremo, e le innovazioni che sta progettando sono in funzione di questa riconoscibilità. «Pensiamo per esempio che l’Abruzzo non ha prodotti caseari Dop, il che espone le nostre tipicità a grandi rischi in questa crisi d’identità, rispetto a prodotti d’importazione. Le sofisticazioni e i furti dell’identità sono dietro l’angolo: un’azienda che vede all’orizzonte la crisi non ci mette molto a delocalizzare la produzione, mandando a casa i propri pastori e producendo, magari in chissà che Paese, un formaggio sul quale poi appone comunque il suo marchio. Quello è un prodotto realizzato con “criteri” italiani, ma non con le materie prime italiane di cui tutti andiamo fieri, e

che sono sottoposte a controlli severissimi a garanzia del consumatore. I casi di cronaca più eclatanti hanno fatto scattare i controlli e rivelato gli inganni, ma non bisogna attendere questi eventi per tutelare l’identità dei nostri prodotti. L’Aprozoo sta lavorando a innovazioni che garantiscano il mantenimento della tipicità, cercando di salvaguardare l’identità dei singoli territori». Il prossimo passo, prosegue Falcinelli, «sarà pertanto quello di entrare anche noi nella vendita diretta, sfruttando la rete di Campagna amica che è l’unico marchio nazionale che valorizza il territorio e le produzioni tipiche invece di annullarlo dietro un brand».

Associazione Produttori Zootecnici d'Abruzzo scrl Associazione sindacale volta a tutelare, valorizzare e commercializzare le produzioni zootecniche delle specie animali bovine, ovinocaprine, suine e avicunicole nonchè dei relativi sottoprodotti. Via Po, 113 - 66020 S.Giovanni Teatino (CH) Tel 085 4213620 abruzzo@coldiretti.it

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GEXMA

PROFESSIONISTI DELL'IN Dal cuore dell'Abruzzo una giovane società che guarda al futuro: una nuova realtà nell'automazione industriale, con competenze elevate e voglia di crescere insieme alle aziende del territorio GEXMA s.r.l. Società di engineering e costruzione macchinari; progetta e realizza impianti di automazione industriale "chiavi in mano", specializzata nella movimentazione delle merci per i settori agroalimentare, farmaceutico e sanitario. Via Pietro Nenni, 138 San Giovanni Teatino (CH) Via Gorizia, 18 Sulmona (AQ) Tel. 0864212387 • 0854408705 Fax 0861212387 www.gexma.it • info@gexma.it

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ggi, dice Fausto Perilli, le aziende che sopravvivono alla crisi sono quelle che fanno innovazione. «Studiare nuovi prodotti, migliorare i processi di produzione interni, crescere qualitativamente e proporsi sul mercato a testa alta, sicuri della forza delle proprie idee». Ma da soli è difficile: «Solo chi ha già una struttura di una certa dimensione è in grado di affrontare autonomamente le sfide lanciate dalla complicata situazione economica in cui ci troviamo. È qui che entra in gioco l’idea vincente che è alla base della costituzione dei Poli: mettere le aziende in rete, facendole collaborare tra loro alla realizzazione di nuovi prodotti, nuovi processi, migliorare quelli esistenti. Solo attraverso l’innovazione possiamo affrontare le sfide che ci attendono nei prossimi anni». Fausto Perilli è un professionista dell’innovazione: insieme a Tony Feriozzi e Massimo Massimiano ha costituito, nel 2010, la Gexma Srl, società di engineering e costruzione macchinari “chiavi in mano” con sede a Sulmona, nel cuore dell’Abruzzo, e che opera a fianco di autentici top player della nostra regione. «Siamo uno studio di ingegneria e costruzione macchine: in pratica progettiamo

e produciamo macchinari per diversi settori, dall’alimentare al farmaceutico al sanitario, per aziende che necessitano di modifiche o di implementi delle proprie linee produttive. Io mi occupo di progettazione e della parte commerciale, Feriozzi e Massimiano sono ingegneri veri e propri. Il nostro mercato spazia tra Marche, Abruzzo, Molise e Lazio. Siamo specializzati su tutto ciò che riguarda la movimentazione prodotti, come elevatori, deviatori, nastri trasportatori; ma la nostra flessibilità e l’esperienza ci permettono di progettare ed eventualmente realizzare prototipi e macchine speciali per gli usi più disparati richiesti dal cliente. Utilizziamo automazioni elettroniche, pneumatiche ed idrauliche grazie alle quali riusciamo a proporre costantemente soluzioni innovative. Le macchine speciali che abbiamo concepito e realizzato vanno da impianti di trasporto e movimentazione a macchine per lo stampaggio fino alla realizzazione di macchine in grado di rispettare le più stringenti norme dell’industria alimentare e farmaceutica». Potrebbe sembrare strano che una società di questo tipo sia entrata a far parte del polo d’innovazione dell’agroalimentare, ma «è proprio nel settore

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'INNOVAZIONE alimentare che abbiamo il maggior numero di clienti» spiega Perilli. «Anzi, la nostra presenza nel Polo Agire è dovuta proprio alla richiesta di un’azienda nostra cliente, che ha intuito la possibilità di mettere le nostre competenze al servizio di progetti di più ampio respiro». Scopo della Gexma, infatti, non è quello di entrare nel Polo semplicemente per ottenere nuovi incarichi. «Crescere quantitativamente fa sempre bene, è inutile nasconderselo –afferma Perilli– ma la vera ragione per cui siamo entrati, due anni fa, nel gruppo di aziende del Polo è che ci piacerebbe lavorare a qualcosa di nuovo. Per adesso il nostro contributo è stato minimo, ma sono certo che appena i Poli funzioneranno a dovere si avrà senz’altro la capacità di andare oltre la semplice partecipazione di gruppo a fiere internazionali o l’intercettazione di finanziamenti. Tutte attività utilissime, sia chiaro, ma non è per questo che sono nati i Poli. Quello che ci piacerebbe davvero sarebbe poter dare il nostro apporto all’invenzione di un prodotto nuovo, che possa nascere dalla collaborazione di tante realtà interne al Polo e che mostri al mercato tutto il valore della creatività e dell’imprenditorialità made in Abruzzo».

E l’apporto della Gexma non potrebbe essere più gradito: gli ingegneri della società (che conta, oltre ai tre soci, anche cinque collaboratori) sono in grado di “risolvere problemi” di diverso genere. Le attività spaziano dalla progettazione meccanica e consulenza fino alla realizzazione, installazione e collaudo dell’automazione industriale. «Forniamo alle aziende consulenza, progettazione ed eventuale realizzazione per la soluzione di diverse problematiche in ambito industriale. Portiamo le nostre esperienze, ottenute in anni di lavoro sul campo presso realtà differenti e complesse, al servizio dei clienti, per fornire non solo le migliori soluzioni progettuali, ma anche per affiancare il cliente durante le scelte tecniche più critiche e cercare la soluzione migliore a tutti i problemi che possono nascere nell’automazione in ambito industriale». Tutte le fasi della progettazione sono eseguite con procedure collaudate volte a velocizzare i tempi di realizzazione e minimizzare la possibilità di errore. «Naturalmente tutto questo non può certo prescindere da una attenzione costante allo sviluppo di un mercato in continua trasformazione, al quale guardiamo mantenendo un continuo

aggiornamento di conoscenze e mezzi sempre all’avanguardia». E proprio guardando al mercato odierno, riflette Perilli, «sarebbe auspicabile una maggior collaborazione anche tra gli stessi Poli d’innovazione, oltre che tra le aziende al loro interno. Non dobbiamo limitarci a cercare le soluzioni all’interno dei Poli, possiamo trovarle anche dialogando con gli altri. È questo che fa la differenza tra chi cresce e chi resta uguale a se stesso. Credo che questa sia la strada sulla quale ci stiamo incamminando: quella di un cambiamento di mentalità che vede, in un futuro sempre più presente, le aziende, le società di servizi, gli istituti di ricerca, le università collaborare insieme guardando tutti verso un obiettivo comune, che è la crescita economica della regione. Una regione che, secondo la nostra esperienza, possiede aziende come la nostra che fanno della tecnologia e del know-how il loro punto di forza, e che se messe in condizione di collaborare con altre realtà possono raggiungere un livello adatto a rispondere alle sfide che la competizione mondiale ci propone. Vincendole»

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CO.VAL.PA

La terra dell’abbonda Innovazione tecnologica unita alla qualità e alla sicurezza alimentare. Ecco come opera il Consorzio di Valorizzazione dei prodotti agricoli abruzzesi che ha centrato la sua attività nella piana del Fucino CO.VAL.PA s.r.l. Cooperativa agricola che organizza, trasforma, valorizza e commercializza la produzione orticola della piana del Fucino. Conta oltre 500 soci tra aziende agricole e associazioni tecniche settoriali. Borgo Strada 14 n° 87 67043 CELANO (AQ) Tel. 0863/79501 Fax 0863/7950297 e-mail op@covalpabruzzo.it

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l centro della piana del Fucino, in quelle terre descritte da Ignazio Silone con tanto vigore letterario, oggi non vivono più i “cafoni” di Fontamara. Vivono e operano, invece, aziende agricole che hanno saputo organizzare la loro attività; imprenditori del nuovo millennio che hanno saputo guardare lontano e hanno individuato nell’organizzazione di prodotto una strada per crescere e creare ricchezza. Costituita nel 1989, Co.Val.P.A. Abruzzo (sigla che sta per Consorzio di Valorizzazione delle produzioni agricole d’Abruzzo) è una organizzazione di produttori, che dal dicembre 2004 si è trasformato in cooperativa agricola, e che raccoglie, trasforma e commercializza la maggior parte della produzione agricola delle aziende operanti nella conca del Fucino. Patate, carote (i prodotti più noti del bacino) ma anche spinaci, biete, cicoria, pomodori, finocchio, indivia, radicchi, lattughe, cavoli, sedano vengono conferiti dai soci e avviati per l’80% alla trasformazione per il comparto dei surgelati. «La nostra mission –spiega Mario Nucci, responsabile dell’associazione– è quella di promuovere valori orientati allo stile di vita del consumatore, ai bisogni di qualità e sicurezza alimenta-

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re, alla ricerca di uno stile di vita sano e, non ultimo, alla riscoperta dell’italianità e della sostenibilità della produzione alimentare». Covalpa conta oggi più di 500 associati (circa 100 soci produttori di ortaggi e oltre 400 soci produttori di patate) e si pone come obiettivo l’unione tra innovazione tecnologica e industriale e la qualità e la sicurezza del prodotto agro-alimentare. La parola “qualità” associata alle produzioni agricole nella piana del Fucino non è usata a sproposito. In questa terra dal particolare microclima, circondata dal Parco Nazionale del Gran Sasso e ricca di sorgenti che sgorgano in quota, la vocazione all’agricoltura ha radici profonde. «La bonifica operata dal principe Alessandro Torlonia nel 1875 regalò alla popolazione terreni particolarmente fertili e fu così che iniziarono ad essere coltivati cereali, patata, bietola e, dagli anni Settanta del ’900 fino ad oggi, gli ortaggi. Le condizioni pedoclimatiche influenzano le caratteristiche dei vegetali, tanto da attribuirgli una qualità e una bontà ineguagliabili: la struttura limo-argillosa delle terre; i suoli ricchi di elementi nutritivi quali l’azoto, il fosforo, il potassio; la capacità di ritenzione idrica dei terreni e la risalita idrica delle


ndanza falde sottostanti; l’escursione termica nel periodo produttivo, sono solo alcune delle condizioni tipiche della zona che permettono alle colture di esprimere il meglio del loro potenziale». È per queste peculiarità che la carota del Fucino –ad altissimo contenuto di vitamine e dal tipico colore arancione vivo– ha ottenuto la denominazione IGP. «Alle tradizionali carote e patate, e agli altri ortaggi tipici della zona, si aggiungono anche alcune colture che, grazie al clima di montagna, vengono prodotte in modo destagionalizzato (i finocchi, i cavolfiori estivi) ed altri ortaggi minori». Le aziende agricole operanti nella conca del Fucino presentano dimensioni produttive ragguardevoli e, una volta supportate da un settore agro-industriale in grado di assorbire economicamente i volumi prodotti, prospettive di sviluppo molto interessanti. «L’agricoltura – prosegue Nucci– rappresenta per l’area un’importante voce della produzione lorda vendibile complessiva. la presenza di Covalpa sul territorio ha portato a notevoli vantaggi, che vanno dalla certezza di collocamento del prodotto avviato alla trasformazione ad una migliore gestione della fase di relazione con il mercato; la surgelazione dei

prodotti, infatti, consente di soddisfare le richieste della domanda in maniera contestuale al verificarsi del bisogno. Questo aspetto permette di ottimizzare le quantità di materie prime impiegate nel processo produttivo, evitando le perdite connesse con il processo di assestamento della domanda e dell’offerta». In questo contesto, Covalpa svolge anche numerosi servizi rivolti ai propri associati, che consistono «in una serie articolata di attività che riguardano la sfera produttiva (orientamento degli indirizzi colturali, assistenza tecnica e fitopatologica, organizzazione della raccolta, divulgazione delle innovazioni tecnologiche ed organizzative, formazione e consulenza tecnica), quella della trasformazione (conservazione e stoccaggio dei prodotti), quella commerciale (commercializzazione della produzione sia quella destinata al fresco che quella destinata all’industria di trasformazione, consulenza commerciale), e infine quella amministrativa (consulenza fiscale, legislativa economica, amministrativa e contabile)». All’interno dello stabilimento produttivo sono presenti numerose linee di trasformazione: una linea “fogliame” per la produzione di spinaci, bieta e cicoria

surgelati; una linea polivalente per la produzione di minestrone, carote e pomodoro; una linea per la produzione di carote e linee per la produzione di patate, anche prefritte. «Accanto a queste – prosegue Nucci– sono state inserite due linee di condizionamento per i prodotti destinati al mercato del fresco, una per le carote e una per gli altri ortaggi (lattuga, radicchio, indivia, finocchio, ecc.). Inoltre disponiamo di celle frigorifere per lo stoccaggio dei prodotti finiti sia per i surgelati che per la conservazione del prodotto fresco. Abbiamo inoltre un impianto di depurazione delle acque industriali, capace di depurare una carica inquinante equivalente a 20.000 abitanti». Specializzandosi nelle attività connesse con la produzione e trasformazione di prodotti orticoli, Covalpa ha lasciato ad altri soggetti il compito di gestire la fase distributiva e commerciale dei prodotti finiti. «Circa l‘80% del prodotto complessivo confezionato viene commercializzato attualmente attraverso l’Agrifood Abruzzo, con sede in Montichiari (BS). La restante quota viene commercializzata a marchio Agrifood o a marchio di grossisti distributori del catering».

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LE AZIENDE DEL POLO AGIRE • Abruzzo Vini srl • Agriverde Srl • Ali d’Oro Srl • API Pescara - Chieti • Associazione Italiana Sommeliers Abruzzo • Associazione Marsicana Produttori di Patate • Associazione Produttori Zootecnici d’Abruzzo scrl • Associazione Regionale Allevatori d’Abruzzo • Associazione Regionale Terranostra Abruzzo • Astra srl • Aziend’UP srl • Azienda Agricola Angelucci Srl • Azienda Agricola Battaglia Roberto • Azienda Agricola Chiusa Grande di D’Eusanio Franco • Azienda Agricola Di Francesco Mirko • Azienda Agricola Di Giorgio Antonio • Azienda Agricola Giacomo Santoleri • Azienda Agricola Il Bosco degli Ulivi di Pracilio Vittoriano • Azienda Agricola La Sorgente di Remartello di Carota Luigi • Azienda Agricola Masciarelli Sas di Masciarelli M. & C. • Azienda Agricola Sichetti Nicola Antonio • Azienda Agricola Sissa Catuscia • Azienda Agricola Thai Farm di Meepanya La Ongdao • Azienda Marramiero srl • Azienda Vinicola F.lli De Luca Srl • Bellizzi 1906 Srl • C.A.D.A. - Consorzio Agrario d’Abruzzo • C.N.A. - Confederazione Nazionale Artigianato • Cacao s.r.l. • Carlo e Gianfranco Iubatti & C sas • Casal Thaulero

• CIA Abruzzo - Confederazione Italiana Agricoltori • CIPAT Abruzzo • CITRA VINI - Consorzio Coop. Riunite d’Abruzzo • CO.VAL.PA. - Abruzzo Soc. Coop. Agricola • COLDIRETTI Abruzzo - Fed.ne Reg.le Coltivatori Diretti • Confcooperative Abruzzo • CONFINDUSTRIA TERAMO – Unione degli Industriali della Provincia • Consorzio DEP (Distretto Economico Produttivo) Abruzzo • Consorzio di Tutela Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane • Consorzio Patto Territoriale della Marsica • Consorzio per la Divulgazione e Sperimentazione delle Tecniche Irrigue CO.T.IR. S.R.L. • CRAB - Consorzio Ricerche Applicate alla Biotecnologia • D&D CORPORATION S.R.L. • Dedinvest srl (già Agriverde srl) • Delverde Industrie Alimentari SpA • Eat Arte s.r.l. • EDF S.R.L. • Eurobic Abruzzo e Molise SpA • Federazione Italiana Esercenti Specialisti dell’Alimentazione - FIESA Regionale d’Abruzzo • F.lli De Cecco di Filippo di Filippo SpA • Frantoio Montecchia di Montecchia Gennaro & C • GAL Terre Aquilane Srl • Galeno RP S.r.l. • Gelco srl • Gesco Consorzio Cooperativo Soc. Coop. Agricola • Gexma Srl • Hotel Villa Elena di Buonasorte Maria • Ico srl Industria cartone ondulato

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• Impresabruzzo Srl • Industrie Riunite Confetti William Di Carlo srl • Industrie Rolli Alimentari SpA • ISTEMA Group sas di Franco Esposito & C. • Ist. Zooprofilattico Sper.le Abruzzo e Molise “G. Caporale” • L.G. International Srl • Le Virtù d’Abruzzo S.r.l. • Luigi D’Amico Parrozzo sas • MATER FOOD srl • Metron Srl • MoDiv s.n.c. • Molino F.lli Candelori s.n.c. • Nepa Florindo Packaging srl • Novatec Srl • Oleificio La selva d’Abruzzo snc • Oleificio Matalucci Ortenzia • Outsourcing Group srl • Partner Srl • v Srl • Prodotti Alimentari Fioravanti & C srl • Reginella d’Abruzzo srl • Rustichella d’Abruzzo SpA • S.Ole.M A. snc • SAF ALLESTIMENTI srl • Siros - Sistemi Sas di R. Di Gianfilippo&C. • Soc. Agricola Pasetti s.s. di Domenico Pasetti • Società Agricola Anfra • Società Agricola Colle d’oro s.s. • Società Agricola Fattoria Nora S.S. • Tenuta Strappelli di Strappelli Guido • Terre dei Peligni Soc. Cons. Coop. a r.l. • Testingpoint 10 srl • Torrefazione Adriatica Spa • Università degli Studi dell’Aquila • Università degli Studi di Teramo • Victoria di Vittoria Travia sas • Vision Device srl

P.O. FESR Abruzzo 2007-2013. Attività I.1.2. Approvato con D.D. n. DI9/55 del 08/08/2011 P.O. FESR Abruzzo 2007-2013. Attività I.1.2. Approvato con D.D. n. DI9/55 del 08/08/2011 22/04/13 10:36


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Ecco l’agnello d’A Dall’Associazione regionale degli allevatori arriva il disciplinare che permette il controllo della filiera, a garanzia totale del consumatore

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gni anno, all’approssimarsi della Pasqua, i banconi dei supermercati e delle macellerie si riempiono di carne d’agnello. Ma che agnelli sono? E da dove provengono? Come sono stati allevati e qual è la loro affidabilità in termini di sicurezza alimentare? Individuare, tra i diversi tipi e tagli proposti, una carne di qualità è cosa senz’altro difficile per il consumatore meno esperto, che da oggi però ha uno strumento in più per districarsi tra le possibili scelte: il marchio “Buongusto l’Agnello d’Abruzzo” che certifica gli agnelli nati,

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allevati e macellati in Abruzzo. L’operazione, che rientra in una politica di tutela delle produzioni zootecniche abruzzesi, è stata condotta con successo dall’ARA (Associazione Regionale Allevatori d’Abruzzo) che ha iniziato a lavorare già dal 2009 per la messa a punto del disciplinare e la registrazione del marchio. Considerando i famigerati tempi della burocrazia, si tratta di un risultato eccellente, che permette finalmente al consumatore di ottenere ogni possibile garanzia sul controllo della filiera produttiva anche


Abruzzo

per la carne d’agnello, così come accade per altri prodotti agroindustriali. «Quello della mancanza d’identità dei prodotti tipici abruzzesi –spiega Francesco Cortesi, direttore dell’Ara d’Abruzzo– è un annoso problema, cui associazioni come la nostra stanno cercando di porre rimedio. È indispensabile, infatti, differenziare origine e caratteristiche dei diversi prodotti presenti sul mercato, aiutando i consumatori ad effettuare scelte d’acquisto consapevoli». L’Associazione degli allevatori in Abruzzo svolge dagli anni ‘50

compiti importanti nel campo del miglioramento genetico, per delega del Ministero delle Politiche Agricole, e attua da oltre 30 anni programmi di assistenza zootecnico-veterinaria affidati dalla Regione Abruzzo. «È grazie alla capillare conoscenza del comparto zootecnico regionale, ed in forza proprio del nostro ruolo “istituzionale” che abbiamo pensato di poter fornire un valore aggiunto alla nostra attività di controllo e sostegno della produzione zootecnica locale. Per questo da qualche anno è iniziato un

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cammino verso la creazione di marchi collettivi –identificati dalla parola “Buongusto”– che possano contraddistinguere le produzioni dei nostri allevatori: dall’arrosticino ai formaggi, dall’agnello al suino nero allevato all’aperto. Essi si aggiungono alla filiera del Vitellone Bianco I.G.P. (vedi Vario n. 80) arricchendo notevolmente l’offerta dei prodotti garantiti della nostra regione». Il disciplinare di produzione, che va rispettato in pieno per poter apporre il marchio “Buongusto l’Agnello d’Abruzzo”, garantisce al consumatore l’acquisto di una carne certificata, prodotta dai soci dell’Ara nel rispetto di una filiera produttiva in cui tutti i passaggi sono codificati e controllati. Dall’allevamento al trasporto, fino alla macellazione e al consumo, ogni singola fase è rintracciabile ed eseguita nel rispetto delle specifiche stabilite dall’associazione. «Gli agnelli vengono allevati esclusivamente all’interno del territorio regionale, seguendo tecniche e metodiche tradizionali, a cominciare dalla base alimentare, costituita esclusivamente dal latte materno, integrato da foraggi e concentrati vegetali (orzo, granturco, fave)». Ma non è solo il metodo di allevamento che determina l’idoneità dell’agnello ad essere

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inserito nella certificazione “Buongusto”: «È importante anche il tipo genetico, per questo preferiamo agnelli nati da ovini specializzati nella produzione della carne (principalmente di razza Appenninica, Bergamasca, Merinizzata Italiana) tradizionalmente allevati in Abruzzo e nelle regioni del centro Italia ed apprezzati dai pastori per la loro capacità di fornire buona conformazione, colore rosa delle carni e modica presenza di grasso». Una volta raggiunto il giusto stadio di crescita, gli agnelli vengono avviati alla macellazione, per ottenere carcasse del peso medio di 10-12 kg. È possibile la certificazione di soggetti più leggeri ma comunque a partire dagli 8 kg, a sottolineare la differenza tra il classico agnello dei monti abruzzesi e l’abbacchio romano. Presso gli impianti di macellazione aderenti alla filiera è presente un tecnico Ara che sottopone i capi alla verifica dei requisiti previsti dal disciplinare, procedendo quindi con l’identificazione e marchiatura delle carcasse. «Si tratta di un lavoro accurato ed impegnativo, specie se riferito a migliaia di capi all’anno, ma fondamentale per garantire al consumatore che la carne che troverà sul bancone del punto vendita sia effettivamente abruzzese». E a quel punto, su ogni capo che


esce dal mattatoio, vengono apposte le relative etichette che ne costituiscono praticamente la “carta d’identità”: oltre al marchio “Buongusto l’Agnello d’Abruzzo” verranno indicati il nome e cognome dell’allevatore, la località e la provincia in cui si trova l’azienda, i vari codici sanitari, nonché nome e località dell’impianto di macellazione, così da fornire tutte le informazioni atte alla completa tracciabilità del prodotto. «Le carni proseguono da qui verso i punti vendita (macellerie, supermercati…) o di consumo (ristoranti, mense) sia direttamente che per il tramite di laboratori di lavorazione e distribuzione, scortate ad ogni passaggio da specifici documenti emessi da un sistema informatico on-line regolato da accessi selettivi per i diversi operatori della filiera». In ogni caso al punto vendita giungerà il prodotto corredato da un Attestato d’identità che contiene le informazioni destinate al consumatore finale, e cioè: il logo del marchio “Buongusto L’Agnello d’Abruzzo”; il numero univoco dell’attestato di identità; il codice identificativo della partita aziendale; le informazioni sull’azienda di allevamento (geografiche e sanitarie); la data di macellazione; luogo e impianto di macellazione; il nome dell’incaricato Ara presso il macello; i dati relativi

alla movimentazione del lotto (o sub-lotto), ovvero il Punto vendita di destinazione, numero dei capi e loro peso; il nome del responsabile della certificazione. E a quel punto gli agnelli d’Abruzzo possono finire sui banconi dei punti vendita, che “dovranno porre ogni accuratezza –recita il disciplinare– al fine di garantire che la carne identificata possa essere conservata, lavorata e commercializzata in modo tale da prevenire commistioni, anche accidentali, di prodotto con altre tipologie di carne di agnello”. Anche nel caso in cui la carne venisse confezionata (preincartata, in vaschette o altro contenitore) o ulteriormente lavorata (con l’aggiunta di aromi e spezie, come si usa per i tagli pronti da forno o tegame), «dovrà avere prestampate –conclude il direttore Cortesi– direttamente sul materiale di imballaggio della carne o su una etichetta adesiva, il marchio “Buongusto L’Agnello d’Abruzzo”, e dovrà essere corredata del relativo Attestato d’identità. Lo stesso dicasi per i luoghi di ristorazione». Quindi, cari consumatori di carne d’agnello, da oggi avete la possibilità di scegliere cosa mangiare. E se scegliete di mangiare l’Agnello d’Abruzzo, la vostra sarà senz’altro una scelta di gusto.

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Luciano Passeri inforna

Pizza Francesco Un’esplosione di sapori e colori nella pizza più “solare” del campione del mondo. Un gustoso mix di tradizioni gastronomiche che porta il nome più italiano che ci sia • La Pizzeria Milù

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l nome è certamente tra i più attuali, citati e “simpatici” di questo periodo. Ma non è al neoeletto Papa che Luciano Passeri ha voluto dedicare la sua ultima creazione, bensì all’ultimo arrivato nella sua famiglia, il tanto atteso maschietto: Francesco, appunto, che come da tradizione di casa Passeri ha una pizza che porta il suo nome. Già le due gemelle, Martina e Michela, avevano avuto quest’onore, con due pizze di poco diverse tra loro: base bianca con mozzarella e stracchino e, all’uscita dal forno, rucola e grana, con l’unica differenza del prosciutto cotto per la “Michela” e della bresaola per la “Martina”. Ora arriva “Francesco”, ed è un tripudio di sapori che uniscono in un design a forma di sole diverse tradizioni culturali italiane: «La base è la margherita, con pomodoro, mozzarella e basilico cui si aggiunge sempre in cottura del prosciutto crudo. Il cornicione è a forma di sole, i cui raggi sono costituiti da fagottini di pasta di pizza ripieni di ricotta con pesto alla genovese e mozzarella. A fine cottura sfilacciamo un po’ di stracciatella di burrata al centro, guarniamo con mais e pomodori Pachino tagliati a dadini e serviamo su un letto di rucola». Una pizza, commenta lo stesso Passeri, «mediterranea, solare, colorata e profumata come la nostra Italia. “Francesco” è dedicata alla nascita di mio figlio, che porta

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un nome tipicamente italiano, capace di unire Nord e Sud. Il suo gusto è dato dal sapore dell’esperienza e della vita di un intero territorio, perchè racchiude in sé molte tipicità della gastronomia italiana: dai pomodori siciliani al prosciutto di Parma, dalla burrata che è un prodotto pugliese al pesto di tradizione ligure. Questi ingredienti, miscelati fra loro, ci manifestano la bellezza della terra in cui viviamo. Per una volta non ho voluto rifarmi alla cultura gastronomica abruzzese». Pizza nazionale quindi, da accompagnare però con una specialità locale come «un Cerasuolo d’Abruzzo: giovane, fresco, anche leggermente mosso; anche un bianco va bene, ma il Cerasuolo d’Abruzzo è, come si dice, la morte sua».

PIZZERIA MILÙ Viale Amendola 19/21 Sambuceto-CH (lungo la Tiburtina, da Pescara in direzione Chieti, dopo il centro commerciale Auchan) Tel. 0854409031-3408436051 www.pizzeriamilu.it


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VarioGUSTO/Eventi CITRA tra presente e futuro

D’annunzio Enogastronomo

Più invecchia, più è buono, si dice del vino. E il Consorzio Citra, giunto alla soglia dei 40 anni, dimostra il teorema in modo inequivocabile. Nove cantine sociali, 3mila soci e circa 6mila ettari di vigneti, un milione di ettolitri di vino prodotti: cifre che fanno di Citra una delle realtà più importanti del panorama vinicolo della regione, e il numero uno dell’export abruzzese del settore: presente in ben 50 Paesi dislocati in quattro continenti (Europa, Asia, America e Oceania), deve il 67% del suo fatturato al mercato estero, grazie all’ottimo rapporto qualità/prezzo dei suoi prodotti. I dati sono stati presentati da Valentino Di Campli, presidente del consorzio, durante l’evento organizzato lo scorso 26 marzo per celebrare l’importante compleanno. «Il ringraziamento più importante –ha detto Di Campli– va ai soci, che in questi 40 anni, con il loro impegno quotidiano, hanno contribuito a questo piccolo, grande miracolo, facendo crescere la nostra azienda che ha portato i vini abruzzesi in tutto il mondo». Citra, esempio di cooperativa virtuosa, che assicura il pieno controllo di tutta la filiera, ha da tempo intrapreso un percorso di innovazione tecnologica e di scelte aziendali volte all’ecosostenibilità: nel 2011 ha attivato un impianto fotovoltaico da 200 kwh a impatto zero per alimentare i propri processi produttivi.

“Il più grande cuoco d’Abruzzi. Gabriele d’Annunzio enogastronomo” è il tema della conferenza tenuta da Enrico Di Carlo, giornalista e insigne studioso del Vate, lo scorso 23 marzo, presso la Fondazione Masi (Villa Serego-Alighieri), a Gargagnago di Valpolicella, in provincia di Verona. L’incontro ha chiuso una settimana di studi dedicata al poeta, organizzata dall’Istituto Internazionale per l’Opera e la Poesia. Di Carlo, autore di Gabriele d’Annunzio e la gastronomia abruzzese, pubblicato da Verdone nel 2010, ha raccolto nel libro le passioni gastronomiche di Gabriele d’Annunzio, legate alla sua terra di origine: il brodetto di pesce, il Parrozzo di D’Amico, l’Aurum, la Cerasella e il Corfinio di Barattucci, liquore le cui bottiglie a forma di anfora sono state disegnate da Francesco Paolo Michetti.

Due conduttori FUORI DI GUSTO Da anni deliziano gli ascoltatori di Radio Due con il loro Decanter, contenitore di notizie e dibattiti centrati sull’enogastronomia. Oggi Fede e Tinto, al secolo Federico Quaranta e Nicola Prudente svelano i loro volti e insieme a una partner simpatica e spigliata, Vladimir Luxuria, esplorano l’Italia alla scoperta delle meraviglie agroalimentari e paesaggistiche del Bel Paese. Fuori di Gusto, questo il nome del divertente roadshow enogastronomico di La7, ha fatto tappa lo scorso inverno in Abruzzo, dove i due conduttori si sono cimentati nella preparazione della ventricina a Guilmi, hanno attraversato i terreni della Cantina Tollo a cavallo e sperimentato la pesca su un trabocco, mentre “Vladi” ha preparato gli arrosticini nel Pescarese, ha discusso di vino insieme a Franco D’Eusanio e si è destreggiata nella preparazione di un tortino di alici.

LINEA VERDE, puntata reale Appuntamento abruzzese per Linea Verde, la celebre rubrica di Raiuno dedicata ad agricoltura, enogastronomia e turismo. Nella puntata andata in onda lo scorso 27 gennaio la troupe guidata dalla conduttrice Eleonora Daniele ha fatto visita a Casadonna, la tenuta nei pressi di castel di Sangro che ospita il ristorante Reale di Niko Romito, dove lo chef stellato ha creato una scuola di cucina all’avanguardia, in grado di attirare professionisti dell’enogastronomia e viaggiatori da tutto il mondo. Spazio anche per Feudo Antico, la cantina che proprio a Casadonna, a quasi mille metri di altitudine, ha impiantato un vigneto sperimentale.

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