novembre-dicembre 2013 n.83 • € 4.50
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Casadonna e Feudo antico Il vino prende quota / Speciale Le aziende del Polo Agire
L’oro dell’Aquila Lo Zafferano
Nicola Mattoscio
novembre-dicembre 2013
Economia, cultura & servizio
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Antonello Angiolillo Re del musical con rimpianti Andrea Pazienza Il mitico paz
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novembre-dicembre 2013
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Rubrica BreVario
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Personaggi Nicola Mattoscio
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Personaggi Antonello Angiolillo
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Personaggi Claudia Ciccotti
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Aziende Pastificio Verrigni
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Eventi Il mitico Paz
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Ribalta
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Eventi Ferdinando Gammelli/Alfredo Del Greco
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VarioART Veronica Francione
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Arte Fausto Marganelli
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Mostre Susi & Paolinelli/Biennale di Penne/Fato & Zanchetta/Siega/Di Lauro
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Cinema Dino Viani/Stefano Odoardi/Pierluigi Di Lallo
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Teatro Teatro Immediato/Pratola/Terrateatro VARIOGUSTO
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Gusto L’Abruzzo
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Zafferano L’oro
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Feudo Antico/Casadonna Il
che piace
dell’Aquila vino prende quota
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La Limoncella Mele
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Orti d’oro La
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Direttore Responsabile Claudio Carella Redazione Fabrizio Gentile (testi), Enzo Alimonti (grafica) Hanno collaborato a questo numero Annamaria Cirillo, Giorgio D’Orazio, Francesco Di Vincenzo, Sandro Visca
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Stampa, fotolito e allestimento AGP - Arti Grafiche Picene - Via della Bonifica, 26 Maltignano (AP) Claudio Carella Editore Aut. Trib. di Pescara n.12/87 del 25/11/87 Rivista associata all’Unione Stampa Periodica Italiana Redazione: Via Puccini, 85/2 Pescara Tel. 08527132 - redazione@vario.it
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BREVario Lo scrittore che resiste È stata la star della quinta edizione del premio NordSud lo scrittore cileno Luis Sepùlveda. L’autore di La gabbianella e il gatto, Il vecchio che scriveva romanzi d’amore e di tanti altri best seller (tutti pubblicati da Guanda, come l’ultimo Storia di una lumaca che scoprì l’importanza di essere lenta) ha ricevuto il riconoscimento per la sezione Letteratura per il suo romanzo Ingredienti per una vita di formidabili passioni. Nella sala gremita il celebre scrittore ha proferito parole di apprezzamento per il premio assegnatogli, e allo stesso tempo ha mostrato dispiacere per la situazione politica italiana: “Quello che era una grande paese con una grande cultura, mi sembra ridotto
UNO SPAZIO PER LA NATURA È il liceo linguistico “Saffo” di Roseto degli Abruzzi il vincitore del “premio speciale Istituto G. Caporale”, assegnato nell’ambito del XVIII Premio Internazionale della Fotografia Cinematografica Gianni Di Venanzo. Gli
dopo 20 anni ad essere un autentico circo”. In cui gli scrittori sono una luce da seguire: “Tutta la grande letteratura è un fenomeno di resistenza a qualcosa”. La giuria del premio – composta da Nicola Mattoscio (presidente), Stevka Smitran (segretaria), Franco Cardini, Francesco Marroni, Elio Pecora, Benito Sablone e Lucia Votano– ha assegnato inoltre i riconoscimenti per la sezione Poesia a Michael Kruger, responsabile della casa editrice Hanser, per Il coro del mondo pubblicato da Mondadori, per le scienze esatte e naturali a Giulia Biffi per il suo studio sul Dna e al pakistano Anwar Shaikh, professore di Economia all’Università di New York, per la sezione Scienze sociali. La cerimonia, presentata dalla giornalista Rai Mariasilvia Santilli, si è
studenti Zelica Allori, Diana Corvaglia, Veronica Di Gianvittorio, Chiara Di Marco, Chiara Ferroni, Chiara Forcellese, Nada Mhajoub, Cristopher Iachini, Driselma Muji e Teresa Pavone si sono aggiudicati la targa ricordo e 700€ a titolo di rimborso spese con il documentario Uno spazio per la natura,
• Luis Sepulveda durante la cerimonia. Alle sue spalle Stevka Smitran, Nicola Mattoscio, Gianni Chiodi e Carmine Di Ilio
svolta lo scorso 26 novembre nella consueta cornice della Sala convegni della Fondazione Pescarabruzzo a Pescara, alla presenza del Presidente della Regione Gianni Chiodi che ha consegnato il premio a Sepulveda. Per il 64enne scrittore si tratta della terza presenza a Pescara, dopo l’assegnazione del premio Flaiano nel 1993 e dopo la tavola rotonda
Letteratura e comunicazione alle soglie del 2000, organizzata sempre nell’ambito dei premi Flaiano, alla quale partecipò nel 2000 insieme a Andrea Camilleri, Daniel Chavarria, Giuseppe Conte, Manoel De Oliveira, Lawrence Ferlinghetti, Luciano Luisi, Ian McEwan, Mario Luzi, Dante Marianacci, Walter Mauro e Renato Minore.
incentrato sull’area costiera abruzzese del Borsacchio, riserva naturale dal 2005, con un protagonista speciale: il Fratino (nella foto), un piccolo uccello cosmopolita che vive e nidifica sulle nostre spiagge indicando con la sua presenza il buon stato di salute dell’ecosistema costiero.
Alexian, dialogo abruzzo e libano, e cultura ARTE E SOLIDARIETà “Per il costante impegno profuso nel diffondere cultura e storia del popolo Rom e perché il ricordo della strage –Porrajmos– sia sempre vivo”. Questa la motivazione con cui l’Anfe di Pescara (Associazione Nazionale Famiglie Emigranti) ha voluto premiare il celebre professor Santino Spinelli, in arte Alexian. Musicista, compositore, poeta, attore e saggista, Spinelli ha presentato durante l’evento anche il suo libro “Rom, genti libere”, appassionante viaggio nella storia e cultura del popolo Rom, oggetto di una massiccia deportazione e dello sterminio nazista, chiamato appunto Porrajmos. Premiati anche il cortometraggio I viaggiatori della Luna di Mariangela Fasciocco, i racconti La leggenda del bandoneòn di Juan Carlos, poeta argentino, La Bella Addormentata della poetessa ceca Lenka Nevrlova e Gli ideali non passano di moda della pescarese Cinzia Rossi, vincitrice del Premio per la pace e i diritti umani della Regione Abruzzo nel 2008.
Dopo due anni tornano in Libano Cam Lecce e Jörg Grünert, gli artisti della Onlus Deposito dei Segni, per svolgere attività formative e artistiche nei campi profughi libanesi. Dal 13 settembre al 6 ottobre scorso Cam e Jörg hanno svolto una serie di attività, tra cui la partecipazione alla 4° edizione del Jana Contemporary Arts Encounter, la presentazione della performance “Sonora”, basata sulla drammaturgia tratta dal libro dello scrittore francese Jean Genet “Quattro ore a Shatila”, testimone oculare del massacro di Sabra e Shatila, nell’ambito delle commemorazioni che ricordano il massacro del 1982, ed hanno portato il progetto artistico-pedagogico “Il Corpo e la Maschera” in un incontro con gli studenti del Lycee franco-libanese Verdun di Beirut. Jörg Grünert ha, infine, realizzato il ritratto di Sheikh Hammoud, uno dei fondatori del campo profughi palestinese di Buorji el Shamali. Il ritratto è stato donato da Moataz Dajani (Centro Al Jana) ad Abu Wassim, figlio di Hammoud.
• Qui sopra Santino Spinelli; a destra Cam Lecce e Jorg Grunert durante la performance “Sonora”
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BREVario SUA SANTITà il mosaico Uno straordinario mosaico dedicato a Giovanni Paolo II installato davanti a Sant’Andrea Apostolo a Pescara, la “chiesa dell’arte” che già ospita capolavori del Maestro Aligi Sassu. Martedì 22 ottobre scorso l’arcivescovo di PescaraPenne, monsignor Tommaso Valentinetti, ha inaugurato il mosaico “Giovanni Paolo II, il papa di tutti” (nella foto a sinistra) realizzato dal Gruppo Mosaicisti di Ravenna di Marco Santi, e raffigurante il dipinto dell’artista romano Stefano Di Stasio. Si tratta di una nuova donazione di Alfredo Paglione, il mecenate abruzzese che con la moglie Teresita Olivares è stato sempre profondamente legato a Papa Wojtyla. Proprio alla memoria della compianta Teresita è dedicato il mosaico: «In questa chiesa –racconta Alfredo Paglione– ci siamo sposati nel 1967, e sempre qui nel 2008 sono state celebrate le esequie di mia moglie. Questo dono è un omaggio a Giovanni Paolo II, ma anche alla memoria di Teresita, donna dolce e silenziosa che con il suo sorriso mi ha accompagnato instancabilmente nel mio lungo viaggio nell’arte. Un’opera che arricchisce la chiesa pescarese che già ospita i pregiati mosaici dedicati alla Vergine e a San Giuseppe e il grandioso affresco sul Concilio, tutte meravigliose opere di mio cognato Aligi Sassu». Il mosaico di Sant’Andrea, installato a cura di Sante e Sandro Aceto di Lettomanoppello per conto della Fondazione Pescarabruzzo, si inserisce in una serie di opere d’arte dedicate a Giovanni Paolo II che Paglione ha commissionato ad artisti di fama internazionale e che, trasformate in mosaico dai maestri ravennati, ha donato negli ultimi due anni ad altre istituzioni religiose: il Santuario del Divino Amore a Roma, la chiesa di Sant’Anna e la chiesa del Sacro Cuore di Chieti, e alla chiesa parrocchiale di Fara San Martino, nonché al museo a cielo aperto di Tornareccio dove lo stesso Paglione organizza ogni anno un concorso per opere musive. L’ultimo, in ordine di tempo, è il
capolavoro di Paolo Borghi “Giovanni Paolo II, roccia della Chiesa”, inaugurato lo scorso 6 ottobre e posto sulla facciata dell’ostello che si trova al termine della funivia di Assergi a Campo Imperatore sul Gran Sasso (foto sotto).
SAX e AFRICA
IN THE MOOD FOR PHOTO
Dopo Fabrizio Bosso, Francesco Bearzatti e Giovanni Falzone, è toccato quest’anno ad un jazzista abruzzese poco più che trentenne partire per un tour intercontinentale. È Piero Delle Monache (nella foto a fianco), sassofonista che con il suo secondo album, Thunupa, ha raccolto unanimi consensi di pubblico e critica, e che dal 5 al 19 ottobre ha portato la sua musica in sette città africane: Libreville, Addis Abeba, Nairobi, Maputo, Johannesburg, Cape Town, Harare. L’iniziativa è stata promossa dal Ministero degli Esteri, in collaborazione con Fondazione Musica per Roma. Per l’occasione gli artisti abruzzesi Elisabetta Di Bucchianico e Dario Oggiano, creatori del marchio Arago Design, hanno realizzato una scultura a tiratura limitata, Il seme di Thunupa, presentata in prima assoluta a giugno in occasione dell’Alt Music Fest (Pescara) e diventata ora il simbolo ufficiale del tour e l’omaggio per le varie sedi ospitanti.
Tre fotografi per una città. Ciò che ha spinto Stefano Schirato (New York Times, Vanity Fair), Simone Cerio (Agenzia fotografica Parallelozero) e Marco Di Vincenzo (Marie Claire, Glamour) ad unirsi è l’idea di costituire non una semplice scuola di fotografia, ma un polo importante di idee legate all’immagine, fabbrica di progetti innovativi per la cultura fotografica nel panorama italiano. Lo Spazio Mood non sarà, quindi, una semplice scuola di fotografia che organizzerà corsi (dal base al corso di paesaggio, dal metodo del linguaggio al fotogiornalismo, da photoshop alla post-produzione) ma si pone l’obiettivo di far diventare la propria sede a Pescara in via dei Marrucini 84, una vera e propria “casa della fotografia” dove organizzare workshop, incontri con autori internazionali, laboratori fotografici, promuovere mostre personali e collettive, “respirare” fotografia.
• In alto Alfredo Paglione col sindaco di Pescara Mascia durante la presentazione del mosaico a S.Andrea. Qui sopra Piero Delle Monache e la scultura Il seme di Thunupa. A destra una foto di Stefano Schirato
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BREVario LETTERATURE, PESCARA IN FESTA Fabio Volo, Silvia Avallone, Andrea Rivera, Max Gazzè, Gianmaria Testa, Giovanni Floris, Corrado Formigli. Tanti nomi eccellenti che si sono ritrovati a Pescara, insieme a un pubblico numeroso (le prime stime parlano di dodicimila presenze nei tre giorni di Festival) e variegato, durante l’XI edizione del Festival delle letterature dell’Adriatico. Con un ospite d’eccezione: Alessandro Baricco. Al loro fianco scrittori, poeti e autori di fumetti abruzzesi come Giovanni D’Alessandro, Maristella Lippolis, Enzo Verrengia, Simone Angelini, in una tre giorni che ha coinvolto la città con oltre 100 appuntamenti. Articolato in cinque sezioni (Un grande Paese, Le culture e la città, Kids, Fumetto, Eventi speciali), il Festival per la prima volta non si è concentrato soltanto sull’area di Pescara Vecchia ma ha pacificamente invaso tutta la città, dall’auditorium Flaiano alla Nave di Cascella, da piazza Salotto allo Spazio Matta per entrare poi in locali privati e circoli, come il WP Store di via Roma, il Post Bar di via Catone, LaDesigneria di via d’Annunzio e la piscolibreria “I luoghi dell’anima” di via Campobasso. Il fulcro è comunque rimasto il centro storico di Pescara, tra corso Manthoné (Circolo Aternino e casa d’Annunzio) e via delle Caserme (auditorium Petruzzi e museo delle Genti d’Abruzzo), e anche nei cinema teatri Massimo e Circus. Al timone della sezione “Un grande Paese” è tornato anche quest’anno Luca Sofri, che ha intervistato giornalisti e scrittori per conversare sul presente e sul futuro dell’Italia; Massimiliano Panarari, commentatore del quotidiano “La
Stampa”, docente e consulente di comunicazione politica e già due volte ospite del FLA ha invece diretto la sezione “Le culture e la città”, occasione di incontro tra gli operatori e le istituzioni per parlare di marketing territoriale culturale e sviluppo dell’identità urbana. Grande spazio agli autori abruzzesi, con una novità: un’intera sezione dedicata al fumetto, quasi un festival nel festival, curata dal giovane e brillante Simone Angelini. La manifestazione, dal titolo PICS (Pescara Intergalactic Comic Show) è stata ospitata nel locale La Designeria. Appuntamento speciale quello con Ilaria Cucchi nello Spazio Matta: la sorella di Stefano, il giovane ritrovato morto dopo una settimana dall’arresto per possesso di stupefacenti, ha tracciato un commovente ritratto del fratello durante la presentazione dell’iniziativa #iosonoCucchi, promossa dal graphic designer Luca Di Francescantonio e dalla community di Igersabruzzo.it: un tappeto di 100 mq steso in piazza Salotto, su cui centinaia di autoscatti dei membri dei social network hanno composto il volto di Stefano. L’XI Festival delle Letterature è stato organizzato dall’agenzia Mente Locale, esclusivamente grazie a sostenitori privati come il main sponsor Deco Spa, i partner Torri Camuzzi, Marifarma, iGien, Cantine Citra e Casal Thaulero, i media partner Il Centro, Il Post e Radio Delta 1, e innumerevoli cittadini, a partire dai singoli negozianti per finire alla squadra dei Volontari del Festival, che hanno contribuito alla sua realizzazione con attrezzature, doni, tempo e piccole quote di denaro.
• Da sinistra: Fabio Volo, Alessandro Baricco, Silvia Avallone, e Luca Sofri. Sotto, a destra Andrea Moscianese e a sinistra Meri Leone e Francesco Anello
UNA CHITARRA PER IL CINEMA
TEATRO MINIMO, SUCCESSO MASSIMO
Andrea Moscianese, affermato musicista pescarese da anni attivo sulla scena romana, torna a collaborare col regista Claudio Giovannesi, per il quale ha composto le musiche del suo documentario Wolf, in programma al Torino Film Festival. Il
Angelo Petrone, Concetta Meri Leone e Francesco Anello hanno portato Flaiano al Flaiano: lo scorso settembre a Pescara, nell’auditorium intitolato allo scrittore abruzzese è infatti andata in scena la piéce La donna nell’armadio, scritta dal grande Ennio nel 1957. Un testo che, spega Meri Leone in una nota, è “un enorme paradosso che si consuma tra situazioni assurde, in tipico stile kafkiano e dialoghi allucinati apparentemente senza né capo né coda.
documentario verte su Wolf, figlio di Benjamin Murmelstein, l’ultimo presidente del Consiglio degli anziani del “ghetto modello” di Terezín nell’ex Cecoslovacchia, rabbino accusato di collaborazionismo coi nazisti. Prosciolto dalle accuse, Murmelstein si trasferì a Roma, ma venne emarginato dalla comunità fino alla morte nel 1989, e da allora il figlio Wolf tenta di riabilitarne la memoria. Moscianese, ex Giuliodorme e oggi nei Guna insieme all’amico di sempre Giulio Corda, collabora col cinema già da qualche tempo: sue anche le musiche del precedente film di Giovannesi, Alì ha gli occhi azzurri (2012), nonché degli ultimi due film di Federico Zampaglione, Shadow (2009) e Tulpa (2012).
Ma dietro questo gioco in cui la finzione supera la realtà”, conclude Leone, “si nasconde una profonda, acuta e lucida riflessione filosofica sulla verità”. Regia (di Francesco Anello) ed interpretazione di tutti, secondo la critica teatrale Gabriella Romano, “assolutamente convincenti: a conferma sono giunti gli applausi sentiti di un pubblico attento ed eterogeneo tra cui spiccava la presenza di diversi giovani”.
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Nicola Mattoscio
Economia, cultura & servizio Dal 1996 alla presidenza della Fondazione Pescarabruzzo, ha realizzato grandi progetti in tempi brevi, tutti a beneficio del territorio. Storia di un economista fra utopie sessantottine e sogni diventati realtà di Claudio Carella
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ondazione Pescarabruzzo: presente. In quasi tutte le realizzazioni che hanno interessato il tessuto sociale, culturale ed economico abruzzese degli ultimi anni c’è la partecipazione dell’Ente diretto da Nicola Mattoscio. A Pescara, dal Ponte del Mare alla Casa dell’accoglienza gestita dalla Caritas, dal restauro della facciata del teatro Michetti all’acquisizione dei cinema Massimo e Circus, unici attivi in centro città, per passare ai numerosi premi e manifestazioni legate al mondo delle arti e infine al progetto del teatro che verrà. Ma anche dalle iniziative a difesa del patrimonio culturale del territorio (come quelle legate alla Brigata Maiella), al restauro post-sisma dell’Abbazia di San Clemente a Casauria e al salvataggio di alcune preziose tele recuperate dalle macerie aquilane. Insomma, operazioni grandi e piccole, ma pensate, progettate e realizzate per essere in breve tempo messe a disposizione del territorio. Ma cosa sono le Fondazioni? «Le Fondazioni –spiega Nicola Mattoscio– nascono nel 1992, con la legge Amato-Carli, che permise alle Casse di risparmio, allora enti morali di diritto pubblico, di diventare Società per azioni; alle Fondazioni fu affidato il ruolo di controllo e partecipazione nella Banca di riferimento. Fu il ministro dell’economia Ciampi, futuro Presidente della Repubblica, a chiarirne il ruolo innovativo, con la legge del 1999 in cui, spingendole a dismettere le quote di partecipazione delle banche controllate, attribuiva loro compiti di utilità sociale (sostegno dell’attività di ricerca, di istruzione, della cultura, della salute pubblica e della promozione dello sviluppo economico territoriale delle
comunità di riferimento), ruolo definitivamente sancito dalla Corte Costituzionale nel 2003». In questo processo il caso della Cassa di Risparmio di Pescara e Loreto Aprutino costituisce un prototipo: «Fummo tra i primi a cogliere le opportunità che la legge Ciampi offriva, dismettendo nel giro di pochissimo tempo le quote di partecipazione della banca di riferimento». Un’intuizione che ha portato la Fondazione Caripe, la più piccola in Abruzzo e tra le più piccole d’Italia, a diventare Fondazione Pescarabruzzo, la più grande non solo della regione ma di tutto il Mezzogiorno peninsulare. «Siamo stati degli anticipatori, andando controcorrente, anche in aperto contrasto con gli indirizzi della politica locale, inventando in sostanza un nuovo mestiere in capo ad un nuovo soggetto istituzionale, quello che interpreta e realizza il principio di sussidiarietà orizzontale e verticale». Del resto Nicola Mattoscio, classe 1950, nativo di Gessopalena, controcorrente c’è sempre andato. Fin da quando si iscrisse alla Facoltà di Economia e Commercio a Pescara, non per ottenere una laurea a scopo professionale, come facevano molti suoi colleghi orientati a svolgere il mestiere di commercialista, ma «per conoscere il mondo, ossia per consolidare una visione del funzionamento della vita pubblica e del sistema sociale». Argomenti che affascinavano il giovane Nicola, appassionato e idealista, leader del movimento studentesco, impegnato negli studi quanto nell’attività politica: «Non è un mistero, dato che ne esiste la tracciabilità documentale, che io sia stato uno dei protagonisti della nascita e della storia della nuova sinistra di questa regione, dal movimento studentesco universitario fino all’incontro delle forze politiche che attualmente ne delineano
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• Nicola Mattoscio nella sede della Fondazione Pescarabruzzo
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• Nicola Mattoscio con il Cardinale Angelo Bagnasco alla cerimonia d’inaugurazione della Città dell’accoglienza. A destra è con la restauratrice Cornelia Dittmar e la soprintendente ai beni storico-artistici Lucia Arbace durante la presentazione della restaurata “Madonna dell’Elcina” di Abbateggio
l’identità. E lo sono stato in una funzione meramente di servizio: nel ‘72 il Manifesto promosse una lista civica candidando Pietro Valpreda in tutta Italia (a beneficio dei più giovani, ricordo che Valpreda fu l’anarchico ingiustamente accusato della strage di Piazza Fontana, episodio che apre la fase della “strategia della tensione”, tesa a destabilizzare la vita democratica del Paese). Io partecipai a quella campagna elettorale solo e unicamente chiedendo i voti per Valpreda e soprattutto solidarietà per lui sicuramente vittima di ingiuste macchinazioni: se non è servizio questo…» In quel periodo lei era studente a Pescara? «Sì, e nel ‘75-‘76 mi specializzai a Roma. In quegli anni ero attivo anche a Gessopalena, dove fui tra i fondatori del Sangro Proletario, mentre a Pescara animavamo il movimento studentesco: c’erano anche Pino Mauro, Michele Di Vito, Claudio Palma, Massimo Palladini e tanti altri. Addirittura avemmo anche la delega da parte dell’assemblea studentesca per fare il cosiddetto “libro bianco del movimento studentesco”, sull’esempio di quello realizzato da Massimo Barone e Oreste Scalzone a Roma, a margine degli episodi di Valle Giulia. Io ero mosso dai soli ideali e dallo spirito di servizio: facevo le nottate, i presidi nelle fabbriche, nelle scuole superiori, all’università. Ma ogni volta che c’erano lezioni o esami ero puntualissimo. Dovevo essere uno studente bravo, perché all’epoca era anche quella la cosa che ti faceva guadagnare credibilità: contrariamente a quanto si pensa, il ‘68 sceglieva i suoi leader tra i migliori studenti. La mia credibilità era quindi garantita dalla mia assoluta trasparenza in merito agli esami e dall’impegno “operaio” con cui affrontavo gli studi. Casomai, dopo le lezioni io facevo delle “contro-lezioni”: il preside della Facoltà, Antonio Marzano, futuro ministro della Repubblica, mi temeva, perché spesso intervenivo durante le sue lezioni, proponendo di istituire un post corso autonomo di approfondimento. Per fare cose del genere però dovevi stare sui temi: sapere di cosa si stava parlando, conoscere gli argomenti. Essere propositivo, insomma, per tenere testa a persone di quel calibro. E con la maturità mi sono reso conto che spesso esasperavo, radicalizzavo le interpretazioni».
Un atteggiamento tipico del contestatore postsessantottino… «Nella facoltà di Economia era quasi impossibile incontrarsi con la cultura radicale e progressista. Io avevo già una mia cultura politica ed economica, avevo le mie idee ed erano senz’altro di sinistra. Durante gli studi ho immediatamente confrontato ciò che mi si proponeva con quanto avevo già nel mio bagaglio. Le prime letture suggerite nell’ambito formativo mi spinsero a fare degli approfondimenti in maniera del tutto libera, cercando sempre di privilegiare quelle tradizioni culturali e scientifiche che potessero essere di per sé occasioni di confronto, e non accettazione acritica di questo o quell’altro paradigma scientifico. In alcune occasioni scoprendo anche contraddizioni forti, come le critiche sulla teoria dell’utilità marginale di Benedetto Croce, certamente non marxista, a uno dei padri delle teorie economiche liberali, Vilfredo Pareto». Quindi oggi non si definirebbe un economista marxista? «Esattamente. Avevo letto il Capitale, ma prima ancora il Manifesto del partito Comunista: la mia formazione era più politico-sociale, filosofica che economica. E sarebbe facile obiettare che è impossibile leggere Marx senza ammettere allora il suo straordinario contributo alle teorie economiche. Ma non ero molto interessato alla coerenza delle teorie economiche quanto ero invece sensibile alle suggestioni che questa cultura aveva per il sociale, la politologia, i principi di giustizia e in sostanza un orizzonte morale, a cui tante culture hanno contribuito dopo la Rivoluzione francese. Ricordo bene che ero arrivato alle letture di Marx in maniera molto eterodossa, facendo addirittura un percorso all’inverso: prima del Capitale avevo divorato le Lettere dal carcere e i Quaderni di Gramsci. Immediatamente venni posto di fronte ad argomenti di grande prospettiva prima di tutto morale e di sensibilità per la giustizia, e meno dal punto di vista dei funzionamenti degli stati, dell’economia. Leggendo Marx con gli occhiali di Gramsci quel che emerge è la qualità umana della persona e delle persone, l’attenzione alle relazioni, le dimensioni della giustizia e dell’ingiustizia, l’orizzonte del progresso o del regresso sociale, l’ansia per la libertà o la preoccupazione per le forze
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• In alto: con i vincitori del Premio NordSud 2010 Jayati Ghosh, Kamila Shamsie e Lars Gustafsson. Sotto, un convegno con il senatore Giovanni Legnini e il presidente della Regione Gianni Chiodi. A destra: con Luciano D’Alfonso e Massimo Cacciari in visita a Pescara e una foto sul Ponte del Mare
reazionarie e l’autoritarismo. Inoltre, la prima lezione era la condivisione dell’amore per gli studi e la conoscenza. In fondo, nel DNA di quella cultura vi era il principio che ogni critica presuppone l’impegno per l’approfondimento, e che ogni emancipazione e cambiamento è tale se consapevole e quindi se si è cittadini ben istruiti e conoscenti. Un innamoramento a prima lettura. Del resto Gramsci rimane ancora oggi uno degli intellettuali più apprezzati, e non solo in Italia. E da lì ho mosso i primi passi verso interessi a problemi di ordine più generale. Forse, se mi fosse capitato in quegli anni adolescenziali di poter leggere direttamente (e capire) il Vangelo, avrei vissuto le stesse suggestioni, le stesse contaminazioni. Questo dovrebbe far riflettere su cosa sia avvenuto in quegli anni. C’erano davvero due chiese, e io fui coinvolto per pura relazione di prossimità dall’una più che dall’altra, anche se ero stato attivo in un gruppo post conciliare (di cui Enzo Ciammaichella e i fratelli Lanci erano tra i maggiori animatori). E pensare che facevo anche il chierichetto nella mia parrocchia… Il Vangelo secondo Giovanni lo lessi a 25 anni, restando affascinato dalla mirabile traduzione che ne fece dal greco Salvatore Quasimodo, ma erano anni in cui avevo già fatto letture impegnative di altro indirizzo, del tutto casualmente. Nel percorso universitario mi interessava dunque scoprire “la verità”, senza averne una mia di riferimento. A ripensarci oggi mi sembra impossibile che un ragazzo della mia età si mettesse a leggere, anche più di una volta, il Capitale, che era un mattone già all’epoca. Eppure lo feci grazie all’apertura, nel mio paese, di una biblioteca comunale istituita dalla prima amministrazione di sinistra, nel 1970. Soldi non ne avevo, non potevo permettermi di comprare i libri che desideravo leggere. E altri libri li lessi grazie a un amico che me li riportava dall’Aquila, dove studiava». Quindi che tipo di economista è? «Mi definirei eterodosso. Sia dal punto di vista della ricerca scientifica, sia da quello delle ispirazioni di politica economica, ho molto lavorato su un indirizzo di ricerca che provasse a coniugare le migliori proposte scientifiche di Keynes con alcune riflessioni rinvenibili nel marxismo, ma anche nel
liberalismo più avveduto. Sembrerebbe una sfida alle sfide, ma si tratta di andare alla ricerca delle cose che a me sono sembrate più convincenti, sostenibili e coerenti, non sotto il profilo ideologico o morale, ma sotto il profilo del rigore scientifico e dell’utilità sociale, in tutti e tre i principali filoni di ricerca. Ho pubblicato alcuni studi sulla teoria della domanda effettiva –principale contributo scientifico di Keynes– in cui provo a rinvenirne i fondamenti rintracciando coerenze di questa teoria nella Ricchezza delle nazioni di Adamo Smith, nella teoria marshalliana ma anche in alcuni intuiti della tradizione marxiana. Allora la cosa mi è sembrata affascinante, sia come programma di ricerca, sia come suggestione per ispirare le linee d’azione delle politiche economiche. Ne consegue che il ruolo dello Stato, forte, attivo e impegnato, che fa la differenza nel funzionamento anarchico dell’economia, è contemporaneamente presente nella migliore teoria liberale, ovviamente nell’economia marxista, e in particolare nell’economia keynesiana che affida al ruolo dello Stato delle gradazioni nel livello di impegno a seconda delle circostanze dell’evoluzione congiunturale dei contesti macroeconomici». Tornando al ‘68 e alla cultura di quel periodo, quanto pensa abbia influito sulla società com’è oggi? «Basta guardare ciò che è sotto gli occhi di tutti, sia a livello nazionale che internazionale, e più modestamente nella nostra regione. Molte tra le individualità più efficaci, creative e intelligenti della classe dirigente vengono da quell’esperienza. Pensiamo al giornalismo, ai volti televisivi: da Santoro a Gad Lerner, da Ferrara a Mentana all’Annunziata e altri. Ma anche personalità delle istituzioni: se pensiamo che Tremonti e Frattini erano collaboratori del Manifesto…» E secondo lei perché alcuni di loro hanno imboccato strade diverse? «Perché quell’anima creativa e sognatrice, e un po’ utopica, di quegli anni non ha davvero trovato spazio univoco nella vita pubblica e istituzionale del Paese, contrariamente a quanto avvenuto in altri. Basta pensare alla Francia: idee utopiche del movimento sessantottino sono state fatte proprie non solo dalla sinistra, ma persino dalle forze conservatrici, dal
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• 25 aprile 2013: con Nicola Troilo (secondo da destra, figlio di Ettore) e gli altri ex partigiani della Brigata Maiella, in ricordo dei comandanti Domenico e Ettore Troilo davanti al sacrario a Gessopalena. A destra con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Gaullismo. Stessa cosa in Germania. Ma soprattutto, cosa ancor più significativa e profonda, i movimenti eversivi degli anni Sessanta si sono affermati nella vita pubblica e istituzionale degli Stati Uniti: i figli dei fiori, i movimenti di emancipazione razziale, quelli di Berkeley, hanno avuto il modo di confluire nel sogno della “grande società” di Johnson, e in provvedimenti istituzionali fatti da Reagan in tema di diritti civili, e nel periodo che va da Clinton fino a Obama: molte di quelle idee diventano identità nazionale condivisa, fino a rianimare il grande sogno americano. In Italia non è avvenuto nulla di tutto ciò. Il Sessantotto ha lasciato aperte delle questioni, senza tradursi in un cambiamento irreversibile, se non negli aspetti di costume, dove invece è stato determinante. Ma nella vita politico-istituzionale è risultato poco incisivo. Questo deve far riflettere sulla tradizione politica del nostro Paese e evidenzia limiti che sono da ricercare perfino nelle modalità con cui si è arrivati all’unità nazionale. Il nostro è un Paese che, nei suoi primi cinquant’anni di vita da Stato unitario, si è permesso di confondere tutto, sovrapponendo la retorica risorgimentale a qualunque distinzione tra princìpi di destra o di sinistra, tra aspettative di emancipazione popolari e posizioni più o meno illuminate di élites, fino ad arrivare alla pessima confusione della retorica nazionalistica a margine della Prima Guerra Mondiale, che aveva visto la partecipazione indistinta dai socialisti ai cattolici, dai laici ai risorgimentali o alle minoranze di opposizione, e che porta alla tragedia del Fascismo». Ascoltandola sembra più un docente di Storia che di Economia… «Ma l’economia, per come la intendo io, è una specializzazione della cultura storiografica e filosofica: senza queste due “stampelle”, l’economia come dimensione della conoscenza scientifica non potrebbe esistere: come i fisici e i chimici hanno i loro laboratori, l’economista ne dispone nella concreta esperienza della storia». Quindi chi è oggi Nicola Mattoscio? «Un uomo di servizio. Sono sempre stato a disposizione e a supporto di tutto ciò che poteva essere innovazione utile ai cittadini e al buon funzionamento del sistema, nelle varie
trincee dove ho potuto esprimermi: quella accademica, quella economica, e quella della promozione e animazione della consapevolezza pubblica. Non ho mai avuto responsabilità istituzionali di tipo “politico”». Una risposta calzante, ma un po’ retorica. Ha un sapore da “prima repubblica”, nel senso che i politici di quel periodo si definivano più o meno così, quasi fossero dei benefattori della società. «Non bisogna però fare di tutta l’erba un fascio. Anche Almirante si definiva “uomo di servizio”, ma al servizio di una tradizione politica di destra e di idee ispirate al Ventennio, di cui addirittura rivendicava l’eredità morale e politica. E altrettanto facevano gli esponenti di spicco del comunismo, del socialismo e del mondo cattolico italiano, e di quello laico e liberale. Alcuni come Moro e Berlinguer, la storia stessa si è preoccupata di qualificarli tali al di là delle loro idee. Ma ci sono state pure altre forme e modi di interpretare lo spirito di servizio: ad esempio Adriano Olivetti, Ernesto Rossi, Vittorio Foa, Norberto Bobbio, che pur avendo avuto contaminazioni e impegni anche in movimenti politici, hanno molto animato un retroterra di riflessione, di inseminazione, di ispirazione, di promozione, le cui suggestioni –lo dimostrano i fatti– si sono rivelate spesso vincenti e anche le più coerenti. Attenzione, quindi, a eccedere in semplificazione». Noi però siamo abituati ad affermazioni di questo tipo anche da personaggi come Silvio Berlusconi. «Infatti: c’è anche chi maschera l’esercizio e l’ambizione strumentale delle funzioni di potere con lo spirito di servizio, perché gli fa comodo al di là della sostenibilità di ciò che si dice e della coerenza con ciò che si fa. All’epoca degli Anni di Piombo, ad esempio, prevalse lo spirito di servizio per tutelare le istituzioni democratiche, così come quello stesso spirito di servizio animò lo sviluppo economico italiano degli anni Cinquanta, trovando tutti –cittadini e istituzioni– uniti nell’obiettivo di superare la tragedia della guerra e migliorare le condizioni di vita di un Paese ridotto allo stremo da quattro e più anni di conflitto». Quindi Nicola Mattoscio è “al servizio” di chi?
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• Nicola Mattoscio a bordo della Blowcar; in basso e a destra è con Bertrand Du Vignaud, presidente del World Monuments Fund Europe, davanti all’abbazia di S.Clemente a Casauria, restaurata dopo il sisma del 2009
«Ovunque ho potuto intravedere necessità di innovazione e di cambiamento per migliorare nella direzione del buon funzionamento del sistema o della corrispondenza di bisogni di maggiore equità, giustizia e progresso nel destino delle persone, delle comunità, io ho cercato di dare il mio contributo disinteressato». Lei ha ricoperto tanti ruoli. Qual è quello che la rappresenta meglio? «Senz’altro quello accademico, congiuntamente e senza soluzione di continuità con quello di Presidente della Fondazione: è sotto gli occhi di tutti che la tradizione della “d’Annunzio” fino al mio impegno ai livelli apicali non aveva mai evidenziato nelle aree disciplinari a me più prossime la presenza di una filiera completa formativa e di ricerca, condivisa in una squadra coesa di qualità e numericamente non trascurabile, contaminata da una cultura scientifica che senza incoerenze assumesse il ruolo positivo e insostituibile dello Stato nell’economia, in un ruolo di innovatore strategico e quindi fondamentale per animare modelli sostenibili di crescita e di sviluppo. Questa prospettiva è molto diversa da paradigmi scientifici che portano ai cosiddetti equilibri generali spontanei, dove il destino del tutto è rimesso solo al libero, e anarchico comportamento delle persone in quanto individui, atomisticamente costituenti la comunità sociale. Anche nel rispetto di una tale visione mi sono impegnato affinché un corpo intermedio non lucrativo come la Fondazione, espressione delle libertà civili della comunità locale, fosse davvero e concretamente un soggetto istituzionale impegnato a realizzare quella sussidiarietà necessaria a colmare nello stesso tempo le inadeguatezze sia del mercato che dello Stato». Il commissario prefettizio della città di Pescara nel 1994 la nomina membro del Cda della Fondazione Caripe, individuando in lei caratteristiche peculiari che la porteranno ad essere eletto presidente due anni dopo. Sotto la sua guida la Fondazione è diventata una delle più importanti del Centro-Sud Italia. Merito delle sue conoscenze economiche e tecniche ma anche di grandi
capacità di gestione? «Soprattutto merito di una visione: mi sono reso immediatamente conto che questi enti nati con la legge Amato-Carli erano una straordinaria innovazione nell’ordinamento istituzionale del nostro Paese, e credo che gli autori stessi non fossero completamente consapevoli della straordinaria opportunità che questo rappresentava. Ho avuto anche la fortuna, all’epoca, di poter interloquire con chi aveva compiti e responsabilità per immaginare un processo più visionario, nel senso buono, che assumesse crescenti e strategiche funzioni in capo a questi corpi intermedi. E lo feci sia prima che a margine della validissima riforma organica realizzata nel 1999 su iniziativa dell’allora ministro dell’Economia, Carlo Azeglio Ciampi, con cui si sanciscono princìpi irreversibili e chiarificatori di quella consapevolezza che era mancata con la Amato-Carli: primo, quello che questi corpi intermedi dovevano avere una personalità giuridica privata; secondo, che si doveva gradualmente superare la funzione di holding di controllo finanziaria delle banche ex conferitarie di riferimento, recuperando lo spirito originario degli enti da cui le stesse Casse di Risparmio avevano avuto luogo, nati tra il tardo medioevo e il primo Rinascimento italiano, e che nel corso dei secoli avevano agito in una logica di sussidiarietà orizzontale e verticale (Monti frumentari, Misericordie, Monti di pietà ecc.). La riforma Ciampi fa il paio con la riforma del Titolo V della Costituzione, che introduce tale principio di sussidiarietà, e che crea i presupposti per le risolutive sentenze della Corte costituzionale del 2003. Princìpi che io avevo condiviso, avvertito e provato a sperimentare in compatibilità con le norme dell’epoca, affrontando già il tema più importante, ossia la dismissione delle funzioni di controllo della banca. Quello è stato il passo che ha differenziato il percorso della Fondazione Pescarabruzzo, oggi dotata di un patrimonio che la qualifica come la più grande dell’intero Mezzogiorno peninsulare e tale da potersi approvvigionare di risorse erogabili che sono, in confronto con le altre Fondazioni dello stesso territorio, davvero molto più importanti».
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Antonello Angiolillo
Re del musical (con rimpianti) Protagonista degli spettacoli musicali di maggior successo degli ultimi anni (da Francesco, il musical a Tutto fa BrodWay, da La Bella e la Bestia a Priscilla), il ballerino-attore-cantante chietino è al top della carriera. Ma lui continua a rimpiangere i felici anni lontani vissuti in un minuscolo paese abruzzese. E la mancata laurea in veterinaria.
di Francesco Di Vincenzo
È
un bell’uomo Antonello Angiolillo, e lo diresti bel ragazzo se l’anagrafe non lo certificasse sui quaranta. Sorriso alla Tom Cruise, dieci centimetri più alto di Tom Cruise, figura asciutta ed elastica che Tom Cruise se la sogna. «Mi tengo in forma», dice lui. Gli allenamenti quotidiani e rigorosi da ballerino, il free climbing, le escursioni in alta quota, le immersioni subacquee (con tanto di brevetto da sub), il jogging, il karate (è cintura nera terzo Dan), la boxe, il tiro con l’arco, il tiro con la pistola. Si tiene in forma, Antonello. «Ultimamente m’è venuta voglia di iniziare qualche nuova attività sportiva». Pure.
Vent’anni di successi
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È possibile ignorare o far finta di ignorare che Antonello Angiolillo è uno degli artisti più quotati e popolari dello spet-
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tacolo italiano? Diamo un’occhiata alla sua carriera. Ha studiato danza classica all’Accademia nazionale di Roma, e danza moderna; canto, recitazione e tip tap a New York. Suona il pianoforte e la chitarra. Ha una gran bella voce dal timbro chiaro di tenore leggero. Debutta nel musical nel 1990, con Saverio Marconi nella prima edizione italiana di “A Chorus Line”. Nella stagione seguente ad Amburgo prende parte a “Cats”, il mitico musical composto da Andrew Lloyd Webber sui testi “gatteschi” del grande poeta T. S. Eliot. Nel 1991 è al Sistina di Roma in “Sogni senza rete” con Gigi Proietti. Il mitico Pietro Garinei lo chiama in “Ma per fortuna c’è la musica” e in “Bobbi sa tutto” con Johnny Dorelli e Loretta Goggi. Dal 1997 al 2000 è nel cast fisso di “Ci vediamo in tv” il popolare programma di Paolo Limiti su Rai1. Nel 2000 è protagonista di “ Francesco, il musical”, lo spettacolo sul santo
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di Assisi scritto da Vincenzo Cerami. Per questa interpretazione nel 2001 vince il premio “Massimini”, come miglior attore protagonista di musical. Nella stagione 2003-2004 è in tournée (come coprotagonista e coautore insieme a Laura Ruocco, Sabrina Marciano e Fabrizio Paganini) con lo spettacolo “Tutto fa…BrodWay” prodotto dal teatro Sistina. Nell’estate 2004 è Leopoldo nell’operetta “Al Cavallino Bianco”, con la regia di Gino Landi. Nel 2004-2005 è coprotagonista, con Laura Ruocco, del musical “Metropolis”, ispirato al film di Fritz Lang, con Lucia Poli e la regia di Ivan Stefanutti. Nella stagione 2005-2006 è protagonista in “Joseph e la strabiliante tunica dei sogni in tecnicolor” con la regia di Claudio Insegno. Nell’estate del 2008 è l’Angelo nel musical “Maria di Nazareth, una storia che continua”. Dal 2008 al 2010 è Salvatore nel musical “Poveri ma belli” con la regia di Massimo Ranieri. Subito dopo è Adamo nel musical “Mi chiamo Eva”. Nella stagione 2010-2011 è la Bestia in “La Bella e la Bestia”, uno dei maggiori successi della storia del musical in Italia. Infine, ed è storia recente e corrente, è la bisessuale TickMitzi nel musical “Priscilla la regina del deserto”, record di incassi nella scorsa stagione al Brancaccio di Roma (oltre 120 mila biglietti venduti). Quando Vario sarà in edicola, Angiolillo si troverà all’Alfieri di Torino impegnato a portare in scena la sua effervescente e incasinata drag-queen. In tv, dopo la lunga esperienza con Paolo Limiti, è tornato ripetutamente come ospite dei programmi e dei conduttori più seguiti e popolari della Rai e di Mediaset: Domenica in, Domenica 5, Porta a Porta, Telethon, Gigi Marzullo, Cristina Parodi, Uno mattina, Zelig, Quelli che il calcio.
Chieti lo ignora? Lui s’impegna per Chieti Insomma, ignorare o far finta di ignorare il successo professionale e la vasta notorietà di un artista che molti considerano il re del musical italiano, pare proprio impossibile. Eppure Chieti, la città dov’è nato e vive quando non lavora, ci riesce benissimo: la città fa finta di niente, lo ignora. Chieti ha mostrato di ricordarsi di lui una sola volta: nel luglio del 2008, quando Antonello Angiolillo fu chiamato a far parte della giuria di “Emozioni canore”, un talent-show per giovani artisti che si svolse nella Villa Comunale di Chieti. Prima e dopo di allora, niente. La sua reazione? Nessuna. Anzi, dando un raro esempio di stile e generosità, ogni anno Angiolillo si impegna sempre di più (e senza prendere una lira) nella organizzazione di “Chietinstrada Buskers Festival”, la rassegna di artisti di strada che nei giorni di ferragosto richiama a Chieti una folla strabocchevole, centinaia di migliaia di visitatori. Quest’estate, a conclusione della riuscitissima settima edizione della manifestazione, l’ideatore e storico patron della rassegna, Gianni Di Paolo, ha pubblicamente dichiarato che l’apporto di Angiolillo è stato determinante: «Se non ci fosse stato Antonello –ha detto Di Paolo- quest’anno Chietinstrada non si sarebbe svolto». Angiolillo, perché lo fa? «Perché voglio bene a Chieti, perché mi piace viverci, perché penso che Chieti meriti più di quello che ha e che abbia molto da guadagnare da una manifestazione come Chietinstrada capace di richiamare
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una numero impressionante di visitatori. Chieti ha un patrimonio architettonico, artistico e storico di tutto rispetto. Condivide con il territorio una natura bellissima e varia, una tradizione culinaria invidiabile, a due passi dal mare e dal parco nazionale della Maiella. Ma purtroppo a Chieti c’è anche il deserto». Il deserto? «Sì, nella testa di quei chietini che non riescono a guardare oltre il proprio naso».
Scott, un figlio a quattro zampe Angiolillo aveva diciassette anni quando conobbe il dottor Gianni Di Paolo, oggi dirigente del servizio di veterinaria della Asl di Chieti. «Avevo un cane pastore cui ero legatissimo che era stato avvelenato. Lo portai all’ambulatorio di Gianni che lo assistette per un’intera giornata riuscendo a portarlo fuori pericolo. Mi colpirono profondamente la dedizione e la passione di Gianni, e così decisi che sarei diventato anch’io un veterinario. Mi iscrissi a Teramo, che allora era una specie di succursale dell’università di Bologna, ma al quarto anno mollai perché avevo cominciato a lavorare come ballerino ed ebbi subito buone opportunità professionali. Ma l’amore per gli animali m’è rimasto. Quando è morto Scott, il mio splendido Golden Retriever, per me è stato come perdere un figlio. Non esagero. Per dieci anni abbiamo vissuto veramente in simbiosi, non mi sono mai separato da lui, me lo sono portato dietro in tutte le tournée». Fa una pausa, sorride a qualche ricordo tutto suo, e aggiunge: «Vivendo con Scott, osservando i suoi comportamenti, ho imparato un insegnamento prezioso: affronta qualunque cosa o persona sgradevole come farebbe un cane: se non puoi mangiarla o giocarci, facci sopra la pipì e passa oltre».
Amburgo? New York? No, Castelguidone Amore per gli animali e amore per la natura, per la montagna, per la campagna. «Sono nato a Chieti ma ho trascorso l’infanzia a Castelguidone, al confine con il Molise. I miei genitori, papà Antonio e mamma Cettina, entrambi maestri elementari, insegnavano là, in quel tranquillo, minuscolo paese d’alta collina dove ci si conosceva tutti. Ho avuto modo di viaggiare molto per il mio lavoro, ho vissuto in grandi città, ho sperimentato la vita tumultuosa e affascinante di metropoli come Amburgo e New York, ma nessun luogo mi ha segnato come la piccola Castelguidone. Così come nessuno degli artisti e degli importanti uomini di spettacolo che ho conosciuto ha lasciato su di me un’impronta altrettanto forte di quella del mio nonno materno Rocco Paciocco, artista e poeta dialettale di grande talento, o di mio zio Antonio Paciocco, anche lui pittore e poeta, che mi ha fatto capire l’essenza profonda, universale dell’arte quali che siano il linguaggio e la forma con cui viene praticata. Anche i miei nonni paterni, Antonio e Giovina, sono stati importanti: avevano entrambi una bellissima voce e mi hanno trasmesso la passione per il canto».
“Zio Pietro” e gli altri Ma nel mondo dello spettacolo quale considera la persona più importante per il suo successo professionale? «Non ce n’è una sola, ce ne sono tante. C’è Diego Dalla Palma (famoso visagista e costumista, ndr) che mi ha presentato a Paolo
Limiti. Ovviamente lo stesso Limiti che ha creduto in me e mi ha insegnato il linguaggio televisivo. In “Francesco, il musical” ho avuto l’onore di lavorare con la costumista Gabriella Pescucci, lo scenografo Dante Ferretti e lo scrittore Vincenzo Cerami: tre premi Oscar! Non posso non ricordare Pietro Garinei, quello della mitica coppia Garinei-Giovannini, che ha creduto in me e mi ha sempre sostenuto. Per me è rimasto sempre lo “zio Pietro”. Anche Gino Landi è stato fondamentale per me, così come Johnny Dorelli e Gianni Ferrio, la cui recente scomparsa mi ha profondamente addolorato. A Chapman Robert’s, un arrangiatore vocale, nonché tra i migliori direttori musicali di Broadway devo davvero tantissimo. Insomma, per me è difficile scegliere una sola persona».
«Se mi fossi laureato...» Se frequenti per un po’ Angiolillo ti accorgi che in lui c’è qualcosa che lo rende diverso dal modello corrente dell’uomo di spettacolo, dell’artista che, per quanto si sforzi di dissimularlo, non esce mai completamente dal suo ruolo, per l’appunto, di uomo di spettacolo. Quando non lavora, il performer abruzzese può tranquillamente dare l’idea, che so, di un insegnante di educazione fisica, un avvocato, un produttore di vino biologico., un medico. Un veterinario, magari. E allora gli chiedi: senta, ma il suo lavoro le piace? «Certo». Lei oggi potrebbe essere un affermato veterinario anziché un affermato showman, non le è mai capitato di pentirsi della scelta fatta? «Mi piacerebbe aver finito l’università, questo sì, ma non mi sono mai pentito della mia scelta. Però…» Però? «A volte mi sorprendo a pensare che, probabilmente, se avessi fatto il veterinario, ora non starei lottando con la precarietà di un lavoro che è, sì, bellissimo, ma assai poco meritocratico e che risente da tempo della crisi».
Un outing lungo vent’anni Angiolillo, le ci sono voluti vent’anni esatti per fare outing. «Outing?Quale outing?» Per dichiararsi gay. Ride di gusto. «Sta scherzando?» Nel musical del suo debutto,“A Chorus Line”, lei era Paul, giovane gay che non ha il coraggio di rivelare la sua identità sessuale; vent’anni dopo, in “Priscilla”, lei è una scatenata drag-queen bisessuale. Insomma, in scena ha fatto outing. Ride di gusto. «Sa che è il primo a notarlo?Anche se ha dimenticato una cosa». Quale? «Che prima dell’outing con Priscilla ho avuto un periodo di santità intepretando Francesco d’Assisi».
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Claudia Ciccotti
Il calice di Colombo Un’invenzione semplice ma efficace per apprezzare fino in fondo i grandi vini, firmata da una brillante designer pescarese di Fabrizio Gentile
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i vuole coraggio nel misurarsi nella progettazione di un oggetto antico. Che sia di metallo come quello usato duemila anni fa e cercato invano dagli archeologi, o di vetro di Murano, di creta o di polimetilmetacrilato, è un oggetto citato e dipinto innumerevoli volte e che ogni uomo, in età adulta, ha sicuramente usato: il calice. L’architetto Claudia Ciccotti si è cimentata nell’ardua impresa, e soprattutto ci è riuscita. «Un conto è dare ad un oggetto solo un’immagine estetica –spiega– un altro è lavorare su qualcosa la cui forma è legata alla funzionalità. L’idea mi è venuta subito, nel momento in cui ho preso in mano un calice tradizionale e ho compiuto il gesto di avvicinarlo alla bocca: in quel momento la sua forma cambiava, ed è quella immagine che ho ricostruito». Gambo lungo ed arretrato, piede a petalo e pronunciato in avanti, coppa inclinata. Apparentemente solo innovazioni estetiche, dietro le quali però si celano i segreti di un bicchiere rivoluzionario: «Quando si inclina un calice, la superficie del liquido in esso contenuto da circolare diventa ovale, consentendo una più rapida ossigenazione. Quindi ho subito pensato alla coppa inclinata rispetto al gambo, che inoltre crea anche una sorta di invito rivolto a chi beve. E poi, agitando il vino in una coppa inclinata, si crea una turbolenza non fluida, irregolare, che sprigiona appieno il bouquet. Il nuovo design modifica anche l’estetica della tavola –con i calici che affiancati e con coppe di diversa grandezza creano quasi una scultura– e del gesto, eliminando la necessità di “alzare il gomito”.Senza contare poi la facilità di utilizzo per chi ha caratteristiche somatiche un po’ alla Cyrano… ottenuta abbassando il bevante posteriormente». L’invenzione made in Abruzzo è stata sottoposta al giudizio di alcuni sommelier che ne hanno confermato le caratteristiche innovative. D’altra parte l’idea è nata dalla sfida con un amico enologo e viticoltore, che desiderava presentare il suo Montepulciano con un calice anch’esso di grande personalità. Ma gli apprezzamenti non sono venuti solo dal mondo enologico: il progetto di Claudia Ciccotti è stato selezionato da una qualificata giuria di critici d’arte per partecipare alla Biennale Internazionale della Creatività che
si terrà nel prossimo febbraio a Verona, con la motivazione che “si inserisce a pieno titolo nel panorama artistico internazionale”. Una bella soddisfazione… «Direi di sì: quando un oggetto di design viene definito “artistico” assume un significato più alto. Per questo progetto ho depositato domanda multipla di brevetto italiano e comunitario. L’ho “spezzato” in parti, in modo da poter effettuare eventuali modifiche su ciascun componente separatamente: trattandosi di un oggetto che assolve a una funzione, deve servire per diversi tipi di vino, quindi la coppa deve essere modificabile. E anche piede e gambo possono subire variazioni. Il nome resta ancora “calice”,mi è difficile trovargliene uno. MI ricorda un po’ i volti di Modigliani, ma anche l’eleganza dei cigni, con questi colli allungati e la testa leggermente inclinata. C’è senz’altro una componente femminile». Alla selezione per la Biennale hai presentato anche altri progetti. «Oltre al calice c’erano anche un tavolo polifunzionale e un bagno free standing integrato. Il tavolo è un’ idea del 2000, cui è legata una vicenda piuttosto spiacevole. Avevo progettato questo tavolo pranzo/lavoro di grandi dimensioni con un’ampia fascia centrale, scavata in maniera da alloggiare, alle sue estremità, da una parte e dall’altra, carrello frigo e carrello forno; e centralmente un vassoio porta luci, portaspezie, o anche portamatite. Il capotavola è stato eliminato, per mettere tutti sullo stesso piano: io lo definisco un tavolo “snob al contrario”,perché pone tutti sullo stesso livello, il capo e i collaboratori, ma anche il cliente. E poiché le trattative d’affari di solito si chiudono a tavola, si ha l’opportunità di trasformare rapidamente un incontro di lavoro in un momento conviviale, e tutto assume un diverso livello di confidenza. E poi è una succursale della cucina in un ambiente di rappresentanza, anche domestico, dove la padrona di casa può ultimare la preparazione delle portate direttamente a tavola con i propri ospiti, senza far la spola con la cucina. Ottenuto il brevetto italiano nel 2004, dopo 4 anni dal deposito, sono andata in giro a proporlo a diverse aziende, finché con mia grande sorpresa me lo sono ritrovato esposto al Salone
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• Nella pagina precedente: Claudia Ciccotti con il suo Calice. Qui sopra gli altri progetti firmati dall’architetto pescarese
del Mobile di Milano, nel 2008, realizzato da una ditta tedesca. Naturalmente il mio nome non c’era, anche se pago ancora le annualità del brevetto di invenzione industriale». E il terzo progetto? «Si tratta di un bagno free standing integrato, un piccolo centro deputato al benessere e alla meditazione del suo padrone: un oggetto che si presenta in maniera anche arrogante, collocandosi al centro di un ambiente, come un iceberg che galleggia nel mare; ha una sua “presenza” in termini di dimensioni: si svolge tutto in un parallelepipedo che ha al suo centro un elemento cilindrico per la doccia e due moduli diametralmente opposti rispetto a questo, uno per il lavabo e uno per la seduta/water. Misura 2m20 di lunghezza per circa 1,20 di larghezza, che è il diametro del cilindro. L’apertura del cilindro viene ruotata per orientarsi verso i moduli o per entrare e uscire. Naturalmente le opzioni sono tante: doccia, sauna, cromoterapia, musica. È tutto personalizzabile in base a gusti ed esigenze». È un oggetto di lusso, adatto a una casa ma anche ideale per la nautica da diporto. «Il design nautico è il mio primo amore. Non sono una velista, al massimo sistemo i parabordi, ma trovo esaltante la sfida che offrono gli spazi abitativi minimi, specie se in movimento. In questo tipo di progettazione bisogna che il risultato finale sia uno spazio funzionale e sobrio, la cura dei dettagli come anche dei colori è fondamentale. Mi sono laureata con lode in Architettura a Pescara, e ho avuto la fortuna di avere come professore l’architetto Andrea Vallicelli, progettista fra le altre di Azzurra, la barca che ha vinto l’America’s Cup. Durante il corso di disegno industriale per la nautica ho partecipato ad un concorso con un progetto di barca a vela, pubblicato con menzione speciale su “Vela e Motore” a novembre 1998. È stato tra i più votati ed apprezzati, nonostante tra i concorrenti ci fossero studi già avviati nella progettazione nautica. Con Vallicelli ho fatto anche la tesi, un’altra sfida: il giorno della discussione lui mi disse “hai messo dentro una barca di 16 metri le cose che normalmente
si trovano in una molto più grande”. L’avevo sventrata, ne avevo fatto praticamente un open space con fascia funzionale centrale, spazi pubblici e privati fluivano gli uni negli altri, demandando a grandi ventagli il compito di dividere le cabine di poppa e di prua dall’ambiente dinette all’occorrenza. Avevo guadagnato spazio lateralmente, eliminando le paratie e tutti gli accessori generalmente posizionati lateralmente per concentrare tutte le funzionalità in questo elemento centrale a nastro e ricavando così due percorsi laterali lineari per consentire una migliore mobilità da prua a poppa e viceversa; svuotato e ricalibrato le sezioni di stivaggio, realizzando anche un sistema di stivaggio flessibile sulla scorta di spunti interessanti suggeriti dallo studio del modulo abitativo spaziale americano. Insomma, un lavoro impegnativo e decisamente anticonvenzionale». Oltre che designer sei anche tra i fondatori del PDA-Premio Design Abruzzo… «Il design è una delle eccellenze del Made in Italy: noi non possiamo competere in velocità né in economicità, ma sul piano della creatività, dell’eleganza non temiamo rivali. Insieme a quattro amici, 3 colleghi ed un economista, ho fondato un’associazione e istituito il Premio, quest’anno alla sua edizione zero, con ben 80 progetti in concorso, per portare un po’ di cultura del buon design nella nostra regione. Desideriamo dare voce ai progettisti abruzzesi che vivono in un territorio “ostile”, dove non c’è cultura del design, dove le aziende –pur avendo potenzialità– non hanno la mentalità e la cultura per fare innovazione e ammettono, con molta franchezza, di scopiazzare qua e là, costringendo noi progettisti a far migrare altrove idee, ricerche e brevetti. Dobbiamo provare a scardinare questa mentalità, questo timore del cambiamento: mettere in rete progettisti ed aziende può portare a reali benefici, non ultimo eliminare una serie di costi che sul singolo progettista o sulla singola azienda sarebbero castranti e consentire quindi un atteggiamento più aggressivo anche nei confronti dei mercati stranieri».
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ISIA Pescara UN PREMIO ALLE IDEE Volare: il mito di Icaro affascinò l’ingegnere abruzzese Corradino D’Ascanio, che prima di ideare l’elicottero aveva costruito un’attrezzatura per il volo, costituita da un paio di grandi ali. Sono quelle comparse davanti alla Fondazione Pescarabruzzo in Corso Umberto a Pescara, che hanno fatto da simbolo a “Le ali del Design”, decima edizione del Premio nazionale delle arti, sezione design, promossa e sostenuta dalla Fondazione PescarAbruzzo e curata dall’Isia di Roma, che proprio nei locali della Fondazione ha da cinque anni la sua sede pescarese. 50 i progetti presentati (tra cui uno di Sergio Fransin dell’Isia di Pescara) da 17 istituti di alta formazione sparsi in tutta Italia, due premi e tre menzioni speciali. Il primo premio se l’è aggiudicato il progetto “Incline” di Anna Scagnellato (Isia di Urbino), idea semplice ma efficace per tavoli e sedie che si adattano alle penden-
ze, mentre al secondo posto si è classificato Antonio Corapi (Isia di Faenza) con “Reusch Rice Supertech”, un guanto da sci che riduce il rischio di traumi. Le tre menzioni sono andate, nell’ordine, a Polina Bokova (Laba di Brescia) per le sue protesi modulari per adolescenti; Francesca Collalti (Isia di Roma) per “Squeezy food”, sistema nutrizionale per bambini; infine a Andrea Avellino, Sara Bianchetti, Eleonora Marchetti e Alessandra Ciancio per il loro Ecotransformer, un innovativo trituratore di rifiuti. Due le mostre che hanno fatto da cornice all’evento: quella dedicata a Corradino D’Ascanio e quella delle opere di Fausto Pirandello. «Abbiamo coniugato i grandi talenti del design –ha detto Nicola Mattoscio, presidente della Fondazione Pescarabruzzo– con le speranze delle nuove generazioni, per ridare un po’ di fiducia al Paese in questi tempi di crisi».
Andrea Cerceo TRA ARTE E DESIGN Avere le idee è compito di un bravo designer. Averle anche chiare sul proprio futuro è cosa rara, ed è il caso di Andrea Cerceo. A neanche 24 anni Andrea è diventato ciò che voleva essere: un designer. Studi compiuti allo Ied di Roma, una solida preparazione di base che gli ha consentito di trovare lavoro in Abruzzo, nella sua Pescara, e allo stesso tempo di prepararsi a spiccare il volo verso qualche altra destinazione, partecipando a concorsi e premi per progetti innovativi di livello internazionale. «In questi contest bisogna
• Qui sopra: Corradino D’Ascanio e due immagini della mostra tenutasi nell’ambito del Premio nazionale delle Arti alla Fondazione Pescarabruzzo. Qui sotto, Andrea Cerceo e tre suoi progetti: dall’alto la poltrona Brioche, la lampada Cube e il lavandino Blaar.
progettare quasi sempre oggetti molto raffinati, costosi» spiega Andrea, che si è classificato secondo lo scorso anno ad un concorso europeo della Giovannetti con la sua poltrona Brioche e ha recentemente progettato, per un altro concorso, un singolare lavandino «che ho chiamato Blaar ovvero “foglia” in Afrikaans, per la sua somiglianza con le foglie di certi alberi in Sudafrica». Ma ciò che preferisce «è il restyling: rivitalizzare oggetti già esistenti, oppure crearne di nuovi utilizzando cose vecchie che ho sottomano».
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Pastificio Verrigni
La quadratura del maccherone La pasta dell’azienda rosetana è la più amata dagli chef. Merito di alcune sapienti innovazioni che innalzano ai massimi livelli la qualità del prodotto Foto e testo di Claudio Carella
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’oro d’Abruzzo. Anzi: gli ori d’Abruzzo. Perché, soprattutto nel settore alimentare, molti sono i prodotti di grande eccellenza della regione: lo zafferano, l’olio, la pasta. C’è chi ha preso alla lettera questo discorso e ha pensato di utilizzare il prezioso metallo per la produzione alimentare. Il Pastificio Verrigni ha accantonato le tradizionali trafile in bronzo per sostituirle con quelle in oro. «Questo –spiegano Gaetano e Francesca Verrigni– rende la superficie della pasta più porosa e permette un diverso rilascio di amido in cottura, con conseguente miglioramento della capacità di legarsi con il condimento. Inizialmente temevamo che potesse venire interpretato come un vezzo, come un puro discorso di marketing; ma dopo aver inviato i primi campioni ad alcuni chef stellati italiani abbiamo ricevuto il loro parere univoco positivo, confermandoci che croccantezza, profumo, mantecatura e rilascio dell’amido potevano risultare interessanti soprattutto per certe preparazioni. Quindi abbiamo mandato i campioni a un laboratorio di Modena dove hanno fatto un panel test per verificare i riscontri sui “profani”, e il
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parere è stato identico a quello degli “esperti” chef». Del resto, anche senza il metallo più prezioso, la qualità c’è sempre stata. Fin dal 1898, quando quella di Verrigni, a Roseto degli Abruzzi (anzi: a Rosburgo, come si chiamava all’epoca) era una bottega dove tutto veniva fatto a mano, senza l’ausilio di macchinari ipertecnologici. E anche dopo gli anni del boom industriale, con la crescita che negli anni Sessanta ha visto il laboratorio diventare un pastificio a tutti gli effetti, col trasferimento fuori città, l’acquisto dei macchinari della Pavan (un’azienda leader nelle forniture per pastifici) l’attività di Verrigni è sempre rimasta fedele alla tradizione. E il segreto dell’azienda rosetana sembra essere proprio questo: progredire tecnologicamente, innovando sempre ma senza perdere il filo che la lega al passato. Una filosofia che oggi, dopo più di un secolo di attività, ha portato la pasta Verrigni nei menu dei più importanti chef italiani e internazionali, stregati dalla qualità del prodotto e dalle innovazioni mai fini a se stesse; e che coincide con l’ingresso in azienda di Francesca Petrei Castelli, che si occupa del lato commerciale, dell’export e della comunicazione, e di suo marito Gaetano Verrigni, subentrati alla guida del pastificio (oggi “Antico Pastificio Rosetano”) nel 2008. «Quando abbiamo rilevato l’azienda –racconta Francesca– abbiamo deciso di puntare sulla promozione del marchio, che era fino ad allora rimasto nell’ombra: abbiamo prodotto la pasta di tanti marchi famosi nello stabilimento di via Salara. Il marchio Verrigni era utilizzato da alcuni chef pluripremiati dalle guide gastronomiche (nostri estimatori sono da sempre Igles Corelli e Mauro Uliassi) e quindi ci siamo proposti di seguire questa strada, con un nuovo logo e alcuni accorgimenti che ci hanno permesso di elevare ulteriormente la qualità del prodotto: la decisione, ad esempio, di utilizzare solo grani italiani per rafforzare il concetto di “chilometro zero”». E di• A sinistra: Gaetano Verrigni e Francesca Petrei Castelli. Nella foto grande: Francesca Petrei Castelli
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• Gaetano Verrigni con una trafila in oro
cendo “chilometro zero”, Francesca intende proprio zero, cioé grano Made in Abruzzo. Per la precisione, coltivato a Loreto Aprutino da Francesco Paolo Valentini, titolare dell’omoni�ma azienda agricola che produce uno dei vini più pregiati (e premiati) della nostra regione, rampollo di Edoardo, colui che è considerato il padre dell’enologia abruzzese. «Valentini produce anche grano duro. Noi acquistiamo la sua produzione in blocco e con quel grano realizziamo una pasta che viene commercializzata con un packaging diverso rispetto al tradizionale pack Verrigni: oltre alla presenza dei due marchi Verrigni e Valentini c’è un fortissimo richiamo al tricolore, per esaltare il concetto di Made in Italy, che ci sta molto a cuore. Sul pack della nostra pasta rendiamo tracciabile tutta la filiera produttiva: dalla zona di produzione del grano al pastificio, inclusa l’annata». L’operazione d’immagine condotta sul prodotto a doppio marchio interessa, in realtà, anche il resto della produzione aziendale: «La nostra comunicazione –racconta Francesca– aveva bisogno di un po’ di freschezza. Presentarsi sempre con la solita veste, che puntava su elementi tradizionali come i colori e le immagini convenzionalmente associate a un prodotto artigianale, era una scelta che nel terzo millennio mostrava i propri limiti. Così abbiamo applicato alla pasta la filosofia di marketing di aziende che operano in altri settori: comunicare un brand essenzialmente centrato sulla pasta anche tramite gadget e altri prodotti». Vale a dire, condendo la pasta con la fantasia. «Se si ha una storia, e noi ce l’abbiamo, ci si può permettere anche di cambiare le regole –continua Francesca– e di inventarsi un appeal più fantasioso, più attuale. Quando c’è la sostanza è anche bello curare la forma. Per esempio, sul pack della pasta che realizziamo con Valentini abbiamo inserito una sorta di “lettera aperta” ai consumatori, che cambia ogni anno, nella quale desideriamo comunicare qualcosa ai nostri acquirenti. Quest’anno abbiamo scritto ciò
che significa, per noi, il concetto di Made in Italy». Ma non solo: Verrigni ha cambiato, oltre alla confezione, anche il formato della pasta: «Abbiamo studiato nuovi formati, quelli quadrati: Ri Quadro, Soqquadro (ovvero un rigatone e un mezzo rigatone quadrato), Pi Quadro (penne) e l’ultimo nato, il bucatino quadrato, che viene utilizzato da alcuni chef in maniera estremamente divertente. Tutti trafilati in oro, come i primi prodotti Spaghettoro e Fusilloro. Ovviamente la nostra tradizione annovera già lo spaghetto quadrato, ossia il maccherone alla chitarra, recentemente apparso anche nel catalogo di aziende non abruzzesi. Ma la pasta corta quadrata e il bucatino quadrato sono autentiche novità che produciamo esclusivamente noi. Inoltre, dato che il buco interno del bucatino è piuttosto grande, questo formato ha la particolarità che cuoce in circa 2’30”, una comodità per gli chef». Che restano i principali partner dell’azienda, ormai legata a filo doppio all’élite gastronomica italiana. «Mia madre diceva che chi cucina è una persona molto intelligente, e ci credo. Gli chef sono di solito persone gradevolissime, coi quali si sta bene, stelle o non stelle. Ci hanno aiutato a crescere, a farci conoscere, il loro passaparola è stato fondamentale. Oggi sono gli chef a sceglierci: Moreno Cedroni cucina e ordina la nostra pasta per il suo locale “Madonnina del Pescatore”, sul lido di Marzocca in provincia di Ancona, e realizziamo la pasta che Massimiliano Alajmo serve nei suoi ristoranti a Padova e Venezia. Abbiamo lavorato insieme per produrla, come con la pasta di Kamut di Cedroni. E i consigli che ci danno gli chef ci sono utili anche come controllo qualità, perché ci forniscono la loro esperienza come collaudatori del nostro prodotto. La fortuna è che sono tanti e ognuno di loro ci dà indicazioni preziose su come migliorare la pasta, i formati, le caratteristiche». Consigli preziosi, come l’oro.
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Andrea Pazienza
Il mitico Paz A Città di Castello una grande mostra dedicata al fumettista scomparso 25 anni fa di Giorgio D’Orazio
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ndrea Pazienza ha lasciato un segno indelebile nella cultura artistica italiana e grazie a lui il fumetto è stato accolto a pieno titolo nel panorama delle arti figurative. A venticinque anni dalla sua scomparsa il suo personaggio rimane ancora oggi un mito, e non soltanto per le giovani generazioni. Nel mese di ottobre, a celebrare il suo genio, c’è stata una bella mostra allestita a Città di Castello, in Umbria, dall’Associazione Amici del Fumetto presieduta da Gianfranco Bellini, e da uno dei più fervidi ammiratori del talentuoso fumettista scomparso, il giornalista televisivo Vincenzo Mollica. Un’esposizione antologica che ha messo in mostra buona parte della produzione dell’artista (circa duecento opere) fin dai suoi
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primi schizzi realizzati sui quaderni a quadretti delle scuole elementari, per finire con i lavori della maturità. Gran parte dei cartoni dipinti e dei disegni esposti appartiene al periodo pescarese, gelosamente custoditi da Sandro Visca e Rita D’Emilio. Perché Pescara, si può dire, è il punto di partenza di Paz. È la città dove Andrea arriva a dodici anni, nel 1968 da San Severo, per seguire i suoi studi che troveranno un ambiente vivo e stimolante nel Liceo Artistico. Là, tra corridoi e banchi, conosce Giuseppe Fiducia, indimenticabile talento che scelse la via della pittura; Tanino Liberatore, con il quale inizia a pubblicare i primi lavori sulla rivista Cannibale, e gli artisti (amici e insegnanti) Sandro Visca (soggetto di innumerevoli disegni poi raccolti nel libro Pazienza - Visca, Fandango 2006) e Albano Paolinelli. In seguito fonda la Primo Carnera Edizioni e inizia la stagione di Frigidaire. E sempre là, non a scuola ma in città questa volta, dal 1973 Andrea Pazienza trova spazio per le sue prime mostre (la prima a Pescara), grazie alla collaborazione con il Laboratorio Comune d’Arte “Convergenze” fondato da Peppino D’Emilio. Una stagione fondamentale per la maturazione artistica di Paz, che troverà altre declinazioni e altre vie con la partenza universitaria per Bologna (1974), ma che resta criticamente uno start imprescindibile per l’opera di questo inimitabile disegnatore. E lo dimostra bene il percorso espositivo di Paz Art – L’Arte di Andrea Pazienza, salutato all’inaugurazione dai familiari di Andrea, la madre Giuliana e i fratelli Mariella e Michele, ma anche da molti amici tra i quali Francesco Guccini e i citati Liberatore e Visca. Il tutto, tra l’altro, seguito da una pubblicazione curata dagli organizzatori; un “quaderno” con alcune storie disegnate dall’Andrea studente delle scuole medie e un’agenda con vignette, disegni e dipinti, espressioni inequivocabili di quella incontenibile energia creativa che ha permesso al talento di Pazienza di diventare un mito dell’arte italiana. «Il Caravaggio del nostro tempo», come lo definisce Milo Manara, che «con la sua arte ha portato una vera tempesta di bellezza che non si placherà mai» come ha aggiunto il giornalista Vincenzo Mollica, direttore artistico della Mostra del Fumetto, presentando “Paz Art”. E se Pescara è stata solo spettatrice di questa ennesima celebrazione di Andrea Pazienza, la speranza è che la città presti maggior attenzione al suo cittadino “onorario”, che dopo il successo della mostra del 1998 allestita nei locali della stazione ferroviaria da Edoardo Caroccia, è ricordato dal 2010 solo con una Micro Biblioteca Sociale a lui intitolata, per meritevole iniziativa dell’Associazione SO.HA Giovani Cittadini Attivi e non per l’attenzione e l’impegno delle istituzioni cittadine. • In alto il giovane Andrea Pazienza con il suo insegnante Sandro Visca. Nella pagina accanto un autoritratto di Pazienza realizzato durante la sua permanenza a Pescara.
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• In alto il manifesto del film “La città delle donne” di Fellini realizzato da Andrea Pazienza; sopra un celebre disegno dedicato a Sandro Pertini. Nella pagina a fianco, in alto la madre di Andrea, Giuliana, con i fratelli Mariella e Michele; sotto Tanino Liberatore e a destra gli organizzatori della mostra Gianfranco Bellini (a sinistra) e Franco Barrese consegnano una targa ricordo a Rita D’Emilio (al centro). In basso Francesco Guccini, Raffaella Zuccari e Vincenzo Mollica alla mostra di Città di Castello.
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Lo spettacolo 32 dell’ART
EVENTI
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Alla Fondazione Pescarabruzzo la mostra sui 24 artisti della collezione VarioART
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ARTE
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arioART, la collezione di aristi abruzzesi che Vario porta avanti dal 2010 in collaborazione con la Fondazione Pescarabruzzo, si mette in mostra. I ventiquattro giovani rappresentanti delle arti visive contemporanee presentati nel corso delle cinque edizioni dell’iniziativa sono i protagonisti di un’esposizione collettiva che la Fondazione ha allestito nelle sale della Maison des Arts, al primo piano della sede di Corso Umberto I a Pescara, e che resterà aperta al pubblico per tutto il mese di dicembre. L’iniziativa VarioART ha presentato, con un’elegante soluzione grafica che unisce la praticità del poster alla completezza di contenuti di una monografia, giovani artisti abruzzesi selezionati nell’ampio bacino regionale, la cui produzione artistica parla un linguaggio universale e fortemente contemporaneo e conquista attenzioni non trascurabili nei grandi circuiti dell’arte nazionale e internazionale. «Le arti visive nella nostra Regione –ha commentato il presidente della Fondazione Pescarabruzzo Nicola Mattoscio– hanno sempre avuto, grazie ad artisti di valore e di caratura internazionale, un ruolo di rilievo. Ne sono testimonianza le numerose opere disseminate in tutto il territorio regionale cui la Fondazione Pescarabruzzo non ha mancato di offrire il proprio sostegno, impegnandosi a fondo nella conservazione e nel recupero del patrimonio culturale abruzzese. Un impegno che prosegue nel tempo e che oggi si esprime anche nella valorizzazione di un panorama estremamente vivace ed interessante quale quello offerto dalle arti visive contemporanee». L’esposizione è anche l’occasione per la presentazione di una originale agenda che la Fondazione ha realizzato con le riproduzioni delle opere degli artisti della collezione VarioART. Questi i nomi: Lorenzo Aceto, Marco Antonecchia, Emanuela Barbi, Lucilla Candeloro, Daniela d’Arielli, Francesco D’Incecco, Enzo De Leonibus, Alessandro Di Carlo, Michela Di Lanzo, Matteo Fato, Learda Ferretti, Franco Fiorillo, Veronica Francione, Alessandro Gabini, Francesco Giorgino (Millo), Antonio Lucifero, Marco Lullo (Raul), Paride Petrei, Lucio Rosato, Gino Sabatini Odoardi, Sergio Sarra, Connie Strizzi, Andrea Tattoni, Simone Zaccagnini. TItolo sottotitolo /di Autore/a cura di Autore Editore, pp 000.
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Eventi
Pescara e i suoi maestri Omaggio a due grandi artisti del novecento con due esposizioni: la pittura di Alfredo Del Greco al Mediamuseum e la scultura di Ferdinando Gammelli all’Aurum Ferdinando Gammelli È un altro scrittore, il celebre e critico francese Gérarde-Georges Lemaire, ad arricchire il catalogo della mostra dedicata a Ferdinando Gammelli (Pescara, 1913-1983), con un lungo testo che si unisce a quelli di Sibilla Panerai e di Tiziano Antoniozzi, seguiti da fotografie delle opere realizzate da Gino Di Paolo e foto storiche inedite. L’esposizione dell’Aurum è al contempo un omaggio allo scultore nel centenario della nascita ma anche e soprattutto un punto fermo con cui la città di Pescara –che patrocina l’iniziativa insieme alla Provincia di Pescara e alla Regione Abruzzo, col sostegno della Carichieti e della BCC di Cappelle sul Tavo– riscopre un interessante autore del Novecento: pescarese, formatosi tra Monza e Torino con maestri come Marino Marini e Giacomo Manzù, amico di Felice Casorati e compagno di studio di Umberto Mastroianni, fu tra i primi docenti al Liceo Artistico di Pescara e animatore della “Scuola di San Silvestro”. “Il percorso di Ferdinando Gammelli –scrive Lemaire ne Le reminiscenze di Ferdinando Gammelli– è fortemente radicato nella tradizione della modernità. […] Gammelli ha scelto di seguire la tradizione delle avanguardie del Ventesimo secolo, senza fermarsi a un riferimento preciso o scegliersi un modello formale definito. La sua arte è un esempio di libertà autentica. Che abbia optato per la figurazione non significa volontà ostinata di aggrapparsi a un passato ormai concluso. Egli vuole attingere dalla figurazione altre modalità, una forma d’espressione inedita in cui affermare con forza la propria personalità pur richiamandosi in maniera del tutto trasparente a precedenti illustri. Riesce così a creare opere originali, nel momento stesso di rendere omaggio ad altri artisti”. Un corpus di 55 sculture, la maggior parte delle quali inedite, (tra bronzi, cere e gessi più un’appendice di 7 quadri provenienti da collezioni private e pubbliche), che racconta in maniera puntuale ma non definitiva la crescita artistica e la carriera di Gammelli, dagli anni giovanili agli ultimi lavori realizzati in gesso e pronti per la fusione. «È solo il primo passo –ha dichiarato
Duccio Gammelli, figlio di Ferdinando– per tornare a ragionare criticamente sull’opera e sull’impegno didattico di mio padre, a pieno titolo partecipe di un’importante stagione della Storia dell’Arte italiana del Novecento».
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In questa pagina, a sinistra: Alfredo Del Greco, Autoritratto - situazione 27, 1957; qui sotto: Interazione T.G. (sfida n.8), 1984; Autoimmagine n.5, 1984; Giocomondo n.2, 1982. Nella pagina a fianco: Ferdinando Gammelli con Umberto Mastroianni a Torino; Testa femminile (Simonetta), 1959; Cavaliere (1975)
Alfredo Del Greco Sono trascorsi ventun anni dalla scomparsa di Alfredo Del Greco e oggi la Fondazione Edoardo Tiboni ne ricorda la figura di uomo e di artista con una bella mostra allestita nelle sale del Mediamuseum di Pescara, inaugurando un ciclo di eventi dedicati ai protagonisti abruzzesi delle arti visive del Novecento, che si concluderà nel 2015. Il lavoro di Alfredo Del Greco (Pescara, 1930-1992), pittore che in quarant’anni di attività ha attraversato diverse fasi –dal figurativo di metà anni Cinquanta all’informale dei primi Sessanta, per poi recuperare progressivamente l’immagine– è ben rappresentato nell’esposizione del Mediamuseum e nel catalogo, impreziosito da un testo critico di Giuseppe Rosato. Scrive il poeta lancianese: “Questa mostra si offre almeno come essenziale esemplificazione di un percorso ben altrimenti ampio e implicativo. Addentrarsi in esso, e quindi in un mondo non solo pittoricamente complesso ma fervido di pensiero e di inesausta riflessione, è cosa che resta da farsi, in misura compatta e risolutiva, chiamando in campo studiosi di discipline anche diverse. La configurazione così coinvolgente di questa pittura, la singolarità dei suoi percorsi, l’autonomia man mano totale da ogni credo altrui, obbligano a porsi con estrema serietà l’obiettivo ultimo della sua più piena rivelazione”. La mostra è una delle pochissime rivisitazioni dell’opera del pittore pescarese proposte in oltre vent’anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1992. “Che se ne parli –conclude Rosato– come opera ancor oggi da farsi […] si deve per buona parte al prodursi di un’opera, e di una vita, che mai in nessuna misura avevano accettato di badare a fattori (la icerca del successo, l’autopromozione, la cura del mercato) che per naturale contrapposizione si escludevano dagli interessi e dalle finalità dell’uomo e dell’artista”.
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Vario ART 2013
Veronica
FRANCIONE
Occhi d’artista: ovvero, come cercare di ritrarre una visione del mondo attraverso gli sguardi
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a prima cosa che colpisce di Veronica, del suo volto affilato incorniciato da una chioma nera come la notte, è lo sguardo. Quello stesso sguardo che da anni lei, come artista, indaga nei volti ritratti nei suoi quadri, caratterizzati da cromatismi essenziali e dal suo segno distintivo, o meglio “i segni” distintivi. Piccole sferzate di colore rosso, che somigliano a frustate, graffi, cicatrici. Partire dal dato estetico mi sembra inevitabile. Quali sono le tue cicatrici? «Quei segni rossi sono nati spontaneamente fin dal mio primo quadro. Oggi non saprei farne a meno: rappresentano l’interiorità di ogni essere umano, e quindi anche la mia. Di cicatrici ne ho tante, perché da bambina ero, diciamo, un po’ inquieta e mi attiravo rimproveri e punizioni da tutti. Ero ribelle, e la ribellione porta allo scontro. Mi arrampicavo sui pali della luce, sul davanzale delle finestre, sugli alberi… E non volevo scendere. In seguito rifiutavo la scuola e scappavo di casa. Non ho mai sopportato le convenzioni, gli obblighi, le regole. Poi, crescendo, per forza di cose sono dovuta rientrare negli schemi, anche se per me dipingere è comunque una forma di ribellione. Certo è che in questo percorso di “fuga” ho fatto molte scelte sbagliate». Ti riferisci ai tuoi studi? «Sì, soprattutto mi pento di aver intrapreso molto tardi il percorso artistico. Dopo il Liceo ho imboccato tutt’altra direzione, mossa per lo più dall’indecisione su cosa fare della mia vita. Ho conseguito una Laurea in Servizio Sociale, ma la strada è stata complessa e accidentata per i tanti cambiamenti burocratici dell’Università in quel periodo. E alla fine, dopo alcune esperienze lavorative pur interessanti, ho deciso di non proseguire in tale direzione». Questo impegno non ti lasciava il tempo per dipingere? «Era un lavoro per cui non mi sentivo adeguata, che mi svuotava emotivamente». Ma l’esperienza nel sociale ti ha arricchito: forse era necessaria per farti arrivare dove sei. «Non c’è dubbio, a partire dalla tesi sperimentale nel campo della salute mentale,che mi ha reso più attenta all’essere
umano, alle tante sfaccettature di un pensiero, di uno sguardo, di uno stato d’animo». Forse era destino. Sei fatalista? «Sì. E anche solitaria, cupa, pessimista». Lo si capisce dal progressivo restringimento della gamma cromatica delle tue opere. Grigio, bianco, nero… praticamente non spendi granché, per i colori. «Eppure amo tanto anche i colori, la luce, il contatto con la natura: i boschi, il mare, la montagna, gli animali. E poi quei grigi, quei bianchi e quei neri sono il frutto della sovrapposizione di molti pigmenti, sono “pieni” di colore! Inoltre ci sono i diluenti, gli olii, le finiture finali e così via. Insomma tanti soldi. Applico molti strati di colore; mi piace conferire spessore, sentire la materia». Sembra che tu voglia “materializzare” letteralmente il volto che dipingi. Non hai mai pensato di darti alla scultura? «Mi manca la formazione, la base tecnica. Più avanti forse. Ora sono concentrata sulla pittura, e sento di avere ancora molto da esplorare in questo campo. Ho necessità di continuare ad osservare gli altri e di fare miei la moltitudine di espressioni, sguardi, emozioni. Aldilà delle similitudini che i miei quadri possono presentare, ogni volto per me è diverso, perché diverso è il modo che quella persona ha di percepire il mondo». Il tema dello sguardo è al centro anche della tua nuova esperienza, che mescola arte e letteratura… «Scrivo spesso, lo faccio da quando ero bambina. Pensieri sotto forma di poesia; un’altra mia esigenza, più antica della pittura. Però recentemente ho scritto una fiaba e la sto illustrando insieme ad un caro amico disegnatore. Narra di due bambini provenienti da pianeti diversi. Un bimbo che abita aldilà delle nuvole trascorre un’intera giornata con una bambina terrestre. Lei gli fa esplorare il mondo e conoscere attraverso i suoi occhi la bellezza della natura e gli affetti dei propri cari, dei vivi e di quelli che non ci sono più. Gli fa scoprire l’amicizia e l’importanza del ricordo, gl’insegna a vedere oltre la semplice realtà delle cose». F.G. Veronica Francione
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Fausto Marganelli
Dinamiche psicologie La più recente produzione dell’artista abruzzese sorprende per concezione scenografica e ricchezza di contenuti
• Fausto Marganelli con l’architetto Rosanna D’Adamo nella sua galleria, che ospiterà una personale dell’artista. Per informazioni: Galleria D’Adamo, Pescara, via Ravenna 80, tel. 0852121172 - www.galleriadadamo.it - info@galleriadadamo.it.
di Annamaria Cirillo
I
l dinamismo di geometrismi, figurazione e colori nell’arte di Fausto Marganelli pare sperimentare nel profondo l’identità dell’artista. Le sue opere, rigorosamente ad olio su tela, documentano più che una realtà fisica i luoghi della mente e delle emozioni, dove si articolano intuizioni, riflessioni, idee. Esse postulano con equilibrio una poetica sospesa e filtrante tra rette di luce e delicate contrapposizioni di colori e incroci, quale controllo e selezione di una realtà astraente. Diretta attrazione compositiva legata alla contemporaneità anche nei cenni figurali. Una raffinata leggerezza del colore svela anche la valenza di una produzione del passato che è tuttora segno di una interessante indagine di neofigurazione contemporanea, ideazione creativa profondamente legata ad un diktat personale di approfondimento culturale e di legame alla natura e all’ambiente. Volti e paesaggi sono resi sulla tela in preziose tonalità coloristiche e in un disegno quasi tessuto da un filo leggero che guida l’artista verso un contesto impaginativo quasi irreale, se pur ricchissimo di umanità. Si citano l’opera del ‘66 Contadinello affacciato al balcone e le opere degli anni Settanta, in specie i paesaggi peligni e teramani ricchi di una pura atmosfera tonale, e si segnalano inoltre i suoi collages, interessante linguaggio evanescente, frammenti di memoria e cultura. Tale consistenza di tematiche d’arte di base e il lineare e raffinatissimo cromatismo di preordinate combinazioni geometriche paiono ora condursi alla ricerca di un processo di sviluppo e me-
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tamorfosi in linea con la contemporaneità, approfondendo una oggettivazione tematica nella quale l’armonia e la luminosità del colore sono esse stesse fusione di un proprio nuovo linguaggio. Questo si sviluppa in una espressione sempre più raffinata degli schemi compositivi sottolineati spesso dalle tonalità del colore arancio, come nelle opere del 2010 Dialogo ambiguo, Conflitto, Inferno e quelle del 2012 Fiori e Annunciazione. Interessantissime anche le tensioni monotonali, di grande impronta e fascino nei disegni realizzati dall’artista in bianco e nero. Tra questi si evidenzia la serie denominata Il ballo e Dantesco 1-2-3. Della produzione del 2013, nuova ed interessantissima, si segnala la serie Vento d’Autunno e l’ultima opera Mentalist. Il così espressivo e pulsante richiamarsi e contrapporsi di geometrie, colori e cenni figurali di tale produzione personalizzano l’unità formale di ogni opera, spesso sorprendendo per il contesto di una straordinaria concezione scenografica e di una simbolica tessitura di immagini vaganti. Tale capacità compositiva ha condotto l’artista ad un visus testimoniale di contemporaneità concettuale capace di collegare il passato con il presente, percorrendo l’una e l’altra storia in un contesto di freschezza e novità. Ne traspare l’unicità di una dedizione innata verso contenuti di moralità e sentimento, un’ansia di fermare e recuperare appieno quella disincantata assonanza di una cultura dell’anima. Su questo l’artista è custode di un unicum di valori raramente incontrati sulle vie dell’arte.
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Qui sopra: Dimensione urbana, olio su tela, 1982 (cm. 70x100) Nella pagina a fianco, da sinistra: Il ballo (2012), Vento d’autunno e Mentalist (2013).
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L’oro dalla tradizione all’innovazione
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Mostre Pescara Susi & Paolinelli Uno spazio recuperato per l’arte, la performance, il teatro e altre manifestazioni culturali: il Matta, l’ex mattatoio diventato contenitore per le arti cittadine, ha ospitato nei mesi scorsi Realismo astratto, una bella mostra del lavoro in tandem di due artisti pescaresi, il fotografo Danilo Susi e il pittore Albano Paolinelli. Scrive il critico Valerio Dehò nell’introduzione del catalogo: “Il termine Realismo Astratto sottintende una forma di conciliazione degli opposti. È un vero e proprio ossimoro, cioè una figura retorica in cui due termini opposti convivono. Ma si sa che l’arte è proprio la realizzazione dell’impossibile, visione di qualcosa che nel mondo
Penne Biennale d’arte Diciassette artisti internazionali, tra i quali figura il nostro Franco Fiorillo, saranno i protagonisti della prossima Biennale d’arte di Penne, giunta alla XVII edizione e incentrata, stavolta, sulla video arte. Antonio Zimarino e un team di curatori italiani e inter-
nazionali (Mario Casanova, Marco Antonini, Ilaria Caravaglio, Rossella Iorio, Valeria Ronzitti) hanno selezionato per la mostra Unexpected stories – between places and walls una rappresentanza significativa delle declinazioni della video arte contemporanea: analitica, documentaristica, narrativa, onirica, simbolica, iconica, performativa, analogica e digitale.
ancora deve esistere. Per questo i due artisti che provengono da percorsi e formazioni diverse, utilizzando la fotografia, Susi e la pittura Paolinelli, si sono messi insieme attorno a un progetto comune. Si tratta di una scelta teorica che ha la sua ragion d’essere all’interno delle reciproche poetiche e della prassi dell’operare artistico. Ma si tratta anche della volontà di costituire un gruppo di ricerca, di mettere insieme delle affinità elettive che diventano originalità e ricerca di novità nell’arte. Realismo Astratto è quindi un modo per guardare intensamente la realtà con un procedimento di analisi attento. Si tratta di far convivere con successo la volontà di osservare con quella di saper cogliere dei dettagli, dei segni, che sono estratti dalla re-
altà stessa e che quindi sono degli elementi costitutivi della realtà stessa. […] Questa però viene restituita attraverso la creazione artistica come un sogno, come una visione, come un elemento non di rappresentazione quanto di interpretazione. L’astrazione purifica le immagini, ci sottrae al “rumore” di una realtà ipercodificata, satura di immagini. Il Realismo Astratto diventa una visione del mondo partecipata, profonda ma anche distaccata e sottilmente onirica. Una prospettiva che crea un contatto con qualcosa di ulteriore che l’arte può svelare attraverso il suo potere di approfondire i costituenti della realtà, la sua struttura molecolare, senza rinunciare alla poesia e all’emozione”.
L’internazionalità delle proposte guida il visitatore attraverso le tendenze, le idee e gli approcci di culture ed esperienze molto diverse da quella italiana, per altro ottimamente testimoniata nella rassegna. La reticolarità è stato il criterio che ha guidato il percorso di costruzione critica della Biennale, intesa come scambio costruttivo con realtà ed esperienze curatoriali ed espositive nazionali e internazionali, condivisione dei temi del progetto, costruzione collettiva di significati, strategie, allestimenti, soluzioni. All’interno della rassegna una sezione curata da Marco Anto-
nini dal titolo Playscapes/Workscapes/Innerscapes: Appunti di viaggio al confine fra arte e urbanistica indaga le ricerche e gli interventi di artisti internazionali negli spazi delle metropoli contemporanee. • Dall’alto e da sinistra: A.Paolinelli, Il cielo nel cortile; Acquastratta (serie Animalia); A.Paolinelli, Angolo protetto; D.Susi, Linee (serie b/n). A sinistra: Fat Zer Performance di Franco Losvizzero e sotto 4200cmq di Franco Fiorillo
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Foconé, il ristorante braceria ideato da Luciano Passeri, festeggia il suo primo anno di vita inaugurando un nuovo spazio dedicato all’aperitivo: per accompagnare i vini abruzzesi da gustare nella fascia preserale, Foconé accanto alle tradizionali bruschette e salatini, anche focacce farcite con salumi e formaggi locali, piccoli assaggi di primi e naturalmente gli immancabili arrosticini fatti a mano. La nuova sala amplia l’offerta del ristorante, sempre improntato a una cucina robusta e casalinga, specializzato nella preparazione di piatti tipici abruzzesi e di carne alla brace.
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Mostre
Monza/Bari Fato & Zanchetta Contrariamente a quanto dichiarato nel titolo, questa non è una mostra personale. Non è neppure una sola mostra, ma due (la prima incentrata sull’attitudine artistica e l’altra su quella curatoriale). Come se non bastasse, ambedue le mostre si sono raddoppiate, diventando quattro, e coinvolgendo sia gli spazi espositivi che i depositi della galleria Cart di Monza e della galleria Artcore di Bari.Personale è un progetto che l’artista abruzzese Matteo Fato e il critico d’arte e curatore indipendente Alberto Zanchetta, trentino, hanno sviluppato attraverso la frequentazione, la collaborazione e la reciproca influenza. L’uno ha chiesto all’altro di aderire alla propria pratica professionale, di artista e di curatore, non limitandosi a scambiarsi i ruoli ma attuandoli in simultanea, e in sinergia. Nelle sale espositive delle due gallerie sono stati esposti dipinti, sculture, installazioni, fotografie,
Pescara Siega
video, collage, ma anche opere effimere, verifiche e approssimazioni che i due autori hanno realizzato di comune accordo in base alle riflessioni intercorse negli ultimi anni, le quali si sono caratterizzate per un continuo e inesausto «discorso in margine e sui margini della pittura».
La città nascosta, quella che i mass media non mostrano: la Zona rossa dell’Aquila “svelata” dall’obiettivo di Mario Siega, fotografo pescarese che ha dedicato al capoluogo ferito dal sisma del 2009 una mostra allestita in Piazza della Rinascita a Pescara. «Ascoltando la televisione, negli ultimi anni –racconta il fotografo– ho potuto notare come, dopo pochi mesi dal terremoto dell’Aquila, i media trasmettessero immagini e notizie di una città che, tutto sommato, sembrava si stesse “rialzando”. Eppure, ogni tanto, in televisione si ascoltava la disperazione di qualche aquilano che lamentava l’abbandono totale da parte delle istituzioni. Il 16 luglio 2013, grazie all’Associazione NuvolaVerde (AQ), ho avuto la possibilità di accedere alla “vera” L’Aquila, non quella vista nei media. Ho visto L’Aquila oltre il set cinematografico costruito ad hoc per nascondere una città distrutta, ed il grande spreco di denaro che c’è stato e continua ad
esserci. Con questo reportage voglio mettere in evidenza gli aspetti sociali e psicologici della ricostruzione aquilana post sisma».
Guardiagrele/Di Lauro Guardiagrele ha reso omaggio ad un suo figlio illustre, il pittore Francesco Di Lauro, nato nel borgo montano nel 1933 e scomparso nel 1999. In occasione del 150° anniversario della nascita di Gabriele d’Annunzio, l’amministrazione comunale di Guardiagrele ha voluto celebrare l’evento mettendo in mostra nella Sala Marino Auriti di via Roma “D’Annunzio Story”, la
serie di opere grafiche di Di Lauro dedicate al Vate e alcune opere di dannunziana memoria. Artista dalla sterminata produzione pittorica caratterizzata da uno stile personale e inconfondibile, ispirata dai valori della classe operaia, contadina e marinara, Di Lauro è stato uno dei massimi esponenti dell’arte del Novecento abruzzese: sue opere sono oggi esposte al Moma di New York,
al Museo d’arte moderna di Parigi e nei più importanti musei di Stoccolma, Mosca, Madrid e Roma. Nel panorama delle sue opere un posto a parte lo meritano queste 14 “vignette” umoristiche (vedi foto sotto) che ritraggono Gabriele d’Annunzio nelle sue molteplici sfaccettature: galante, eroe, sportivo, romantico, mondano, folkloristico; in veste di oratore, di scrittore “divino”, di
ammiraglio e di soldato, pigiando sul pedale dell’ironia e raffigurando il Vate in modo sempre caricaturale e grottesco. L’esposizione, curata in prima persona dalla sorella di Di Lauro, Maria Luisa (instancabile custode e promotrice dell’opera omnia dell’artista), è stata arricchita da un video su Di Lauro a cura dell’artista Gabriella Albertini.
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Cinema
Dino Viani Scrive il critico Attilio Gavini che nel cinema contemporaneo, anche in quello d’autore, “emerge una ricerca ossessiva della novità, dell’idea che può funzionare, dell’intreccio mai visto prima. Non ci sono più i sogni nè l’utopia che vedevamo realizzarsi, oramai, solo nel buio della sala cinematografica, essendo la vita scivolata in luoghi privi di orizzonte. Il cinema di Dino Viani non è allineato a queste logiche del cinema contemporaneo. Anzi, sembra vivere in una dimensione a parte. In uno iato del nostro tempo attraverso cui scorgere l’antica essenza dell’uomo. Ed è questa la sua grandezza e originalità”. Un giorno e un altro ancora è un film sulla sequenza finale della vita, sui “titoli di coda” della propria esistenza. “La vecchiaia –dice il regista– come
momento di sintesi finale in cui lo scorrere del tempo assume un significato diverso, definitivo: l’ora in cui lo sguardo si allontana dal reale e si rivolge alla propria anima, indifferente al mondo esteriore di cui ormai non ha più bisogno. Prepararsi ad andare, dunque, per il viaggio di ritorno, in attesa di quell’attimo in cui il reale si confonderà con il sogno, un meraviglioso bagliore di luce accecante”. Un giorno e un altro ancora Stimmungfilm 2009 - 40’, Colore Regia: Dino Viani Montaggio: Luca Reale, Dino Viani Musiche: Emanuel Dimas De Melo Pimenta
Stefano Odoardi «Mancanza-Inferno è il primo capitolo di una trilogia su Inferno, Purgatorio e Paradiso. Il titolo è legato all’essere umano e al vuoto che cerca di colmare. È un film dedicato alla forza del dubbio come spinta verso la vita». Così presenta il suo nuovo lavoro il regista abruzzese trapiantato in Olanda Stefano Odoardi, che ha girato MancanzaInferno a L’Aquila, città distrutta dal terremoto del 2009. Le riprese sono state realizzate nel maggio scorso grazie al finanziamento dell’ Anci e del Dipartimento della gioventù con il contributo di Hatha Ciudad Onlus e del Comune dell’Aquila. Attualmente
è stato attivato un crowdfunding (un finanziamento del pubblico) sulla piattaforma “Produzioni dal Basso” per completare la post produzione (montaggio, mix del suono, correzione co-
lore, doppiaggio, sottotitoli, pubblicità e promozione), così da dare al film l’importanza e la confezione che merita. Il film ha per protagonista l’attrice Angelique Cavallari, attualmente nelle
sale con Anni felici di Daniele Luchetti. Per contribuire al finanziamento basta seguire la procedura indicata sul sito http://www.produzionidalbasso. com/pdb_2798.html.
Pierluigi Di Lallo Un appuntamento a due tappe, Chieti e Atessa, con tanti ospiti e volti noti, per presentare il corto di Pierluigi Di Lallo “Punti di vista”, interpretato da Matteo Branciamore (Marco della fortunata serie televisiva I Cesaroni), Emy Bergamo, Laura Freddi e Riccardo Graziosi. Il corto, una commedia brillante sul tema delle relazioni tra uomo e donna, sta partecipando alle selezioni di importanti festival nazionali e internazionali e si fa apprezzare, oltre che per la confezione curata e la bravura degli interpreti, anche per le splendide location abruzzesi: dalla Costa dei trabocchi con il Trabocco Pesce Palombo di Rocca San Giovanni, al centro storico del Comune di Atessa, fino al Castello di Semivicoli e alla cantina Masciarelli, già teatro di posa per un breve film con Gerard Depardieu.
• Dall’alto: due frame da Un giorno e un altro ancora di Dino Viani; Angelique Cavallari in MancanzaInferno di Stefano Odoardi; manifesto e foto di gruppo del cast di Punti di Vista di Pierluigi Di Lallo.
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degli impianti delle stazioni ferroviarie di Pescara, Chieti Scalo e L’Aquila Comune di Pescara manutenzione ordinaria e straordinaria con
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Libri
Romanzi Bosica
Romanzi Tacconelli
Poesia Novacco
Romanzi Lupo Timini
Al suo secondo romanzo dopo l’ottimo Irregolare, Vincenzo Bosica cambia completamente genere regalandoci una vicenda comica attuale e pepata, a tratti sprezzante, focalizzata sui rapporti di coppia. Il protagonista Drake Vörson è un Uomo Perfetto: ci racconta della strada percorsa per diventarlo e dispensa utili consigli a tutti coloro che desiderano diventare come lui. A tratti sembra un manuale di autostima, a tratti un’autobiografia, a tratti un romanzo rosa-erotico; di sicuro ne L’uomo perfetto non si fa altro che ridere.
Due storie parallele, una legata a una dimensione onirica, l’altra a una dimensione reale, che solo nel finale s’incontrano e permettono al lettore di connettere tutti i pezzi o, se vogliamo, indizi seminati nel corso della narrazione. Gianni Tacconelli è nato nel 1970 a Chieti, dove vive tuttora. Innamorato della musica e dei racconti surreali, è autore di canzoni e poesie in cui rispecchia un’anima sensibile e tormentata da mille perché. Dalla sua attività lavorativa e dalla passione per i viaggi ha tratto spunto per creare le sue storie. “Ombra e il Vecchio” è il suo primo romanzo.
Quelle presenti in questa raccolta sono “poesie per andare in scena”: un taccuino di viaggio, appunti poetici, disegni, riflessioni, che ripercorrono un tempo prezioso per l’autrice, parte del suo lavoro nel teatro e nella danza. È un viaggio in un mondo altro, diviso, dove accadono cose le cui fattezze risentono sempre di un tendenziale squilibrio tra concretezza e fantasia. In una dialogica fittizia, ogni parola rimanda altrove, come suono prima che come senso o significato.
“Seguire il protagonista nel suo addentrarsi tra le pieghe della vita – scrive Francesco Durante nell’introduzione– è come assistere a una scissione dell’atomo; a un’operazione a cuore aperto e senza anestesia. […]Non c’è tregua, gli eventi che normalmente accadono nella vita di un uomo qui si condensano quasi a voler mettere alla prova la fibra umana; come se in un solo giorno facesse estate e inverno, vincere la lotteria e scoprire di avere il cancro”.
Vincenzo Bosica L’uomo perfetto Tabula Fati, 2013, pp 152, € 10,00.
Poesia Di Renzo, Pasquale, Zappacosta
Gianni Tacconelli Ombra e il vecchio Tabula Fati, 2013, pp 80, € 8,00.
accompagnate da altrettante analisi critiche di Filomena Di Renzo e dai commenti di Giancarlo Zappacosta. I quadri, riprodotti con buona In principio fu Omero, con la sua stampa nella pubblicazione, sono minuziosa e poetica descrizione stati scelti tra le opere di grandi dello scudo di Achille, nel libro artisti d’ogni epoca: da Caravaggio XVIII dell’Iliade. In epoca moderna a Casorati, da Rubens a Magritte, da l’esempio più illustre è l’Ode su Masaccio a De Chirico, da Tiziano un’urna greca, la famosa poesia a Van Gogh, Kokoschka, Munch e di John Keats con il celebre verso altri pittori d’indiscussa grandezza, “Bellezza è verità, verità bellezza”. compreso il nostro Teofilo Patini Parliamo della ècfrasi, termine di (forse non grande come gli altri ma evidente derivazione greca che certamente significativo più di altri). indica la riflessione/creazione Di particolare profondità e crudezza poetica su un’opera d’arte visiva. Un psicologica la poesia di Franco bell’esempio di ècfrasi collettiva è Pasquale ispirata a “La sposa del questo volumetto edito da Carabba, vento” del pittore e drammaturgo Affinità (s)elettive, che raccoglie austriaco Oskar Kokoschka, che venti poesie di Franco Pasquale raffigura due amanti nel postispirate da altrettanti quadri, coitum. Ma se “La sposa adagiata /
Simona Novacco Le ore della sera che seguono alla cena 2013, pp. 56, € 6,50.
appagata / s’affida”, dicono i versi di Pasquale, “…l’uomo sconvolto / da crudi pensieri / ha già perso / la quiete. (…) Un’ombra lo porta lontano / i muscoli pronti alla guerra. / Una guerra qualunque gli basta”. Filomena Di Renzo non esita a individuare nelle due figure dipinte lo stesso Kokoschka e Alma Mahler, vedova del compositore Gustav Mahler, e parla di amanti “sedotti e vittime della loro stessa passione”. Giancarlo Zappacosta sottolinea come in questo dipinto “Kokoschka incede con larghe, nervose pennellate in un turbine avvolgente di gesti incurvati, con improvvise spigolosità” e sottolinea acutamente come quest’opera richiami la poetica dell’angoscia di Munch. F.D.V.
Angelo Lupo Timini Presuntuoso come il pranzo di Natale Tabula Fati, 2013, pp 80 € 8,00.
Filomena Di Renzo, Franco Pasquale, Giancarlo Zappacosta Affinità (S)elettive. Quando la poesia incontra la pittura. Ed. Carabba, 2013, pp 125, € 12,00.
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Libri
Critica D’Angelo
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«Sono un grafomane di provincia. Uno dei tanti», scrive D’Angelo nella “avvertenza” a Gli scrittori non esistono, denso volume di 4oo pagine che ripropone molti suoi testi, in gran parte di argomento letterario, già resi pubblici in forme diverse: articoli per quotidiani e riviste, relazioni e interventi a convegni, prefazioni, etc. Grafomane di provincia? Giacomo D’Angelo è l’esatto contrario di un grafomane e di un provinciale. Il grafomane gira a vuoto, si ripete, di volta in volta (e di caso in caso) collettore di idées reçues o di stentoree ostinazioni su innocui dettagli di gratuito interesse. Il provinciale è, semplicemente, un ignorante, spaventato e inerme di fronte alla complessità del mondo e dei saperi. Gli scritti di Giacomo D’Angelo, anche
quelli più occasionali o tignosamente polemici, hanno sempre il crisma della necessità e sono sempre sorretti e nutriti dalla più vasta e profonda conoscenza del tema. Si prenda il caso della sezione di questo volume che lui denomina “Dannunziana”. Sono scritti polemici in difesa di D’Annunzio contro i tanti detrattori del Rapagnetta. La sua tesi è semplice: passi per la critica al D’Annunzio “politico” ma sono inammissibili le stroncature in toto della sua opera, tanto più che vasta e profonda è la sua influenza in autori (antidannunziani!) anche di sommo livello come Gadda e Consolo. Come dargli torto? Certo, stupisce la sua intransigenza, quasi che solo il riconoscimento senza condizioni del valore e dell’importanza di D’Annunzio possa emendare le usate detrazioni. Tuttavia, confessan-
Poesia Pasquale
Romanzi Marciani
Seconda silloge dell’autore teatino dopo l’apprezzato Tu eri come il fiume inevitabile, anche questa raccolta denota “stile e ductus propri dell’autore classico, e fa di quell’approccio all’opera un esercizio del pensiero educato alla ricerca fedele e costante della verità, espressione dell’etica, una e individuale, di cui ciascun poeta si dovrebbe far carico per contribuire al miglioramento della vita mediante il canone rigoroso della bellezza” (Massimo Pamio, dalla postfazione).
Un grande albero ultrasecolare, testimone di storia e tradizioni di una comunità, le ripercussioni di una grave crisi politica nazionale nella provincia italiana, un personaggio inquietante, avvertito come personificazione del male nei sogni e negli incubi dei co-protagonisti, che tesse i fili di un capovolgimento del potere. Nel primo romanzo di Marciani, autore di saggi a tema storico e folcloristico “la disposizione a scrivere –osserva Rolando D’Alonzo nell’introduzione– è sollecitata da un robusto empito politico, di impegno
Franco Pasquale L’amore è un contrattempo Ed. Noubs, 2013, pp 70, € 13,00.
do l’autore il passato disinteresse per il poeta pescarese, anche questa sua sorprendente difesa senza se e senza ma assume il carattere della necessità, testimoniando la sua profonda onestà intellettuale. Di grande interesse, oltre che di godibilissima e utilissima lettura, i testi raccolti nella sezione “autori”: dal prediletto Arbasino a Manganelli, da Fante a Flaiano, a Mastronardi, Rosato, Savinio, passando per i tanti dimenticati o semisconosciuti, soprattutto abruzzesi (Valentino Ceneri, Gennaro Manna, Gina Gaspare Napolitano), Giacomo D’Angelo propone una galleria di autori di ribadito o sorprendente interesse, tutti trattandoli con grande competenza e F.D.V. originalità critica.
Poesia Smitran “Molta vita batte in queste poesie”, afferma il critico Davide Rondoni nel risvolto di copertina dell’ultima raccolta dell’autrice slava. “C’è l’eredità del miglior Novecento ma, per così dire, con una nuova urgenza dentro… Passano molte cose in questi versi come in uno specchio che ha misteri dentro e rimanda frammenti senza lasciarli andare privi di una luce, di un’ombra nuove”.
Stevka Smitran Le ciglia d’Oriente La vita felice, Milano 2013, pp 60, € 10,00.
Giacomo D’Angelo Gli scrittori non esistono Ed. Noubs, 2013, pp 402, € 15,00.
Romanzi Costanzo civile, che nutre ininterrottamente il pensiero di Marciani. Tra l’altro, non possiamo sottacere il suo pluriennale attivismo nelle campagne ambientaliste, in manifestazioni contro guerre, genocidi, violenze e altri misfatti che hanno insanguinato l’Africa, il Medio Oriente, il Mediterraneo”.
Sergio Marciani Il baffo del diavolo Tabula Fati, 2013, pp 192, € 14,00.
Dopo tanti sacrifici l’affascinante Marta Bellomo è diventata un’abile avvocato che vive da sola a Roma e lavora con successo in un rinomato studio legale della capitale. All’improvviso, una serie di eventi clamorosi sconvolgeranno la sua vita: il matrimonio lampo della giovane figlia, le indagini di un bravissimo detective su di una famiglia misteriosa e l’incontro, dopo tanti anni, con l’unico uomo che lei abbia mai amato e con cui intreccerà una pericolosa relazione. Tanti colpi di scena in cui i vari personaggi della storia si imbatteranno a testimonianza che le emozioni non muoiono mai.
Antonella Costanzo Le emozioni non muoiono mai Ed. Tracce, 2013, pp 312, € 15,00.
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Teatro Immediato Una nuova era si apre per il gruppo teatrale pescarese guidato da Edoardo Oliva. Dopo un lungo percorso nella città di Pescara, la compagnia Teatro Immediato giunge a Città Sant’Angelo per curare la nuova stagione dal titolo Legami, che si snoda attraverso percorsi drammaturgici che hanno come filo conduttore “la
cultura dei legami”: con la Storia, o con le proprie storie ed origini, con i temi che attraversano i grandi classici e che legano lo spettatore ai protagonisti, legami con una terra qualche volta amara. Un lavoro che vuole sottolineare un filo rosso, l’importanza di una cultura che accomuna più generazioni, che mantiene salda la propria presenza nel
tempo e nel luogo di appartenenza. Nove gli eventi in programmazione: 2 produzioni della Compagnia del Teatro Immediato, 3 letture dei Classici all’ora del the e 4 spettacoli ospiti per la stagione che segna il primo anno di lavoro del gruppo pescarese all’interno del Teatro Comunale e che pone l’accento sulla drammaturgia contemporanea e sulle importanti esperienze teatrali del territorio abruzzese. Apertura affidata al rodato spettacolo Sophie, scritto e diretto da Oliva, protagonista accanto alla brava Valeria Ferri del dramma ispirato alla vicenda del gruppo di resistenza La rosa bianca,
Pratola a teatro
Terrateatro
Si è alzato il sipario sulla nona stagione teatrale di Pratola Peligna, promossa dal Comune e dal Florian Teatro Stabile d’Innovazione di Pescara, in collaborazione con ATAM, sotto la direzione artistica di Giulia Basel. Anche quest’anno il Teatro Comunale di Pratola propone un doppio cartellone, uno dedicato ad un pubblico adulto, Pratola a Teatro, con spettacoli molto variegati che accontenteranno un po’ tutti i gusti degli spettatori, ed uno per un pubblico più giovane, Pratola per i ragazzi, con spettacoli la domenica pomeriggio per le famiglie e in matinée per gli alunni delle scuole della città, dall’infanzia alle medie, su tematiche importanti e attuali che invitano le insegnanti e gli alunni a una riflessione. Parallelamente è iniziata, con la riapertura dell’anno scolastico, anche una fervida attività di laboratori nelle scuole primarie e secondarie della città di Pratola, curata dal regista e pedagogo teatrale Mario Fracassi, attivo da anni nel teatro dentro la scuola. La novità della programmazione di quest’anno è il Premio Città di Pratola Peligna che si rivolge alle compagnie di teatro del territorio. Il Teatro di Pratola ospiterà cinque spettacoli di compagnie abruzzesi, che presenteranno dei lavori, sia in italiano che in dialetto, e saranno seguite da una giuria di esperti e da una giuria popolare che decreteranno interpreti ed allestimenti.
Riparte a Giulianova il festival Terre di teatri, sostenuto dall’Ente Comunale che riconosce la singolarità di una iniziativa che resiste e che copre un vuoto dato dall’assenza delle stagioni più ufficiali, dalla Fondazione Tercas e dal BIM. Quest’anno le proposte della compagnia Terrateatro, che organizza la manifestazione, si dipanano in tre location: la prima è l’Officina (l’arte e i mestieri), sede della omonima associazione, che ospita la mostra fotografica di Fabio Di Evangelista Foto di Scena 2012 e che è stata palcoscenico dell’evento inaugurale Il limbo dei devoti, reading in musica a cura di Domenico Galasso e il Piccolo Teatro Orazio Costa di Pescara. Nella sala Kursaal in zona Porto gli appuntamenti col teatro contemporaneo: Andrea Cosentino con Not Here Not Now e Saverio La Ruina (premio Ubu 2012 come miglior attore Italiano) in Italianesi. Infine, il centro socioculturale Annunziata dedica il suo spazio al teatro per ragazzi: primo appuntamento con
nella Germania nazista. Il 6 dicembre primo evento di punta della stagione con Lei dunque capirà, spettacolo di Claudio Magris con la regia di Antonio Calenda, prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia che segna l’inizio della collaborazione con il prestigioso Teatro Rossetti di Trieste. Lo spettacolo è un viaggio dentro il mito di Orfeo che scende nell’Ade in cerca della sua Euridice e approda in Abruzzo in prima regionale dopo una lunga tournée nei maggiori teatri italiani e in quelli d’importanti capitali quali New York, Il Cairo, Budapest e Vienna.
Dr Jekyll e Mr Hyde (compagnia Terrateatro di Giulianova) seguito da Il Vecchio Principe del Teatro Presente e conclusione, il 15 dicembre, con Pinocchio e il diritto a non essere burattino del Teatro Lanciavicchio. L’impegno di Terrateatro continuerà anche dopo la rassegna con attività legate alla scuola e al sociale. • In alto Edoardo Oliva e Valeria Ferri in Sophie. A sinistra Oscar Strizzi ne Le stanze di Cechov e qui sotto Domenico Galasso
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Casadonna e Feudo antico Il vino prende quota / Speciale Le aziende del Polo Agire
L’oro dell’Aquila Lo Zafferano
Nicola Mattoscio
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Antonello Angiolillo Re del musical con rimpianti Andrea Pazienza Il mitico paz
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L’Abruzzo che piace Quando l’impegno premia: la prestigiosa Guida Michelin ha lanciato Niko Romito nel firmamento della grande cucina. Un riconoscimento al lavoro di squadra e alla valorizzazione del territorio
• Niko Romito con il suo team di collaboratori
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Abruzzo è sempre presente nelle cronache nazionali. Non ci facciamo mancare niente: dall’immagine satirica data dal berlusconiano Antonio Razzi raccontato dalla straordinaria imitazione di Maurizio Crozza, alla “cultura” dell’assessore regionale De Fanis, simboli entrambi di un’Italia che non vuole saperne di cambiare marcia, stile e filosofia. Ma per fortuna ci sono anche persone come Niko Romito, che col suo lavoro e con la sua passione contribuisce a costruire l’immagine di un Abruzzo in grado di superare la dimensione locale e proiettarsi in un contesto di eccellenze di livello nazionale e internazionale. Romito è il simbolo di un territorio che di queste peculiarità, specialmente in ambito enogastronomico, è ricchissimo: lo dimostra, ad esempio, il convegno sullo Zafferano e il bel volume di Luciano D’Angelo e Sandro Visca sul prezioso bulbo, gloria del comprensorio aquilano; e lo dimostra l’esperimento che a Casadonna sta conducendo Feudo Antico, dinamica realtà vitivinicola che persegue la qualità; e che Romito sia in buona compagnia lo attestano i premi ricevuti da altri chef premiati dalle guide nazionali e personaggi come Fabrizio Camplone, mastro pasticcere il cui bar Caprice festeggia dieci anni ai vertici delle classifiche nazionali, e da aziende come la De Cecco, che porta alto il nome dell’Abruzzo nel mondo diffondendo la cultura della pasta. Il giovane Romito (non è ancora quarantenne), cui è stata conferita lo scorso 5 novembre a Milano la terza stella dall’autorevolissima Guida Michelin, ha tenuto a precisare che «si tratta di un riconoscimento alla squadra di Casadonna, un team formato dalla sorella Cristiana e un nutrito gruppo di giovani talentuosi che stanno compiendo progressi enormi nell’applicazione della nostra filosofia». Una filosofia
che, prosegue Romito, «vuole legare l’eccellenza della ristorazione alla tradizione e alla valorizzazione del territorio. Ora dobbiamo metterci al lavoro sui tanti progetti che abbiamo per Casadonna e per la scuola di alta formazione per giovani chef». Proprio la scuola, avviata solo lo scorso anno, sta dando grandi soddisfazioni ai fratelli Romito: «I ragazzi sono bravissimi, il percorso che seguono non è facile ma si stanno impegnando tantissimo, e i risultati sono eccellenti. Pochi mesi fa abbiamo aperto il ristorante Spazio a Rivisondoli, una sorta di laboratorio pratico dove gli allievi completano il percorso formativo. E stiamo lanciando un’iniziativa web-based che partirà in Italia a fine novembre e da gennaio sarà disponibile anche nel resto del mondo: si tratta di “Unforketable”, un progetto digitale che, attraverso video molto dettagliati, insegna a cucinare i veri piatti della cucina italiana». Romito, autodidatta, è il primo abruzzese e il più giovane italiano a conquistare le vette delle classifiche nazionali e internazionali con la sua cucina, sinfonia di gusti, colori e sapori profondamente legata al territorio. Il conferimento della terza stella segue l’altro grande risultato ottenuto dalla Guida ai Ristoranti d’Italia dell’Espresso, che ha premiato con “tre cappelli” il ristorante guidato in tandem da Niko e da sua sorella Cristiana, al suo fianco fin dagli esordi nel ristorante Reale di Rivisondoli, che il padre aveva aperto con notevole lungimiranza all’età di sessant’anni. La prima stella Michelin è arrivata nel 2007, e la seconda nel 2009, a coronare un decennio di studi e innovazioni che hanno portato i Romito, due anni fa, all’apertura di Casadonna, la nuova sede del Reale a Castel di Sangro: un antico convento cinquecentesco ristrutturato che oggi ospita anche la scuola di alta formazione ideata da Niko. Probabilmente la scuola che egli stesso avrebbe voluto frequentare.
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Zafferano
L’oro dell’Aquila Un libro firmato D’Angelo e Visca e un convegno per riportare all’antico splendore un prodotto di eccellenza e un mondo che rischia di scomparire di Claudio Carella
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ro rosso dell’Abruzzo. Così viene chiamato enfaticamente lo Zafferano. Ma le riserve auree della nostra regione hanno seguito il passo di quelle della Banca d’Italia e nel corso degli ultimi decenni si sono drammaticamente esaurite. Bastano due numeri per fotografare la situazione: 70 kg prodotti lo scorso anno (secondo le stime più ottimistiche) a fronte delle quattro tonnellate e mezza di inizio Novecento. E dire che la qualità e la fama della preziosa spezia coltivata all’Aquila non hanno perso in brillantezza, in Italia come nel resto del mondo, tra i masterchef come tra le comuni casalinghe. Perché quest’oro si sia opacizzato e soprattutto quali siano i rimedi per riportarlo alla sua antica lucentezza sono tematiche che devono interessare la società, l’economia e le istituzioni regionali. Ma a riaccendere i riflettori su questo mondo dimenticato giungono un libro e un convegno, dal titolo Zafferano-Zaafran, ideati da Luciano D’Angelo e Sandro Visca e promossi dalla Fondazione Aria in collaborazione con la Cooperativa Altopiano di Navelli e con il Consorzio per la tutela dello Zafferano dell’Aquila, con il sostegno di numerose aziende regionali: in primis la Valagro del mecenate Ottorino La Rocca, seguita da Alma Cis, Camera di Commercio di Chieti, Cantina Zaccagnini, BCC, Reale Mutua assicurazioni di Chieti, CFI Advisors, Dell’Aventino mangimi, Deco, Villa Maria, Hiteco, Rustichella d’Abruzzo, Zecca e L’Altro gelato e caffé. Il bel volume stampato dalle edizioni LD, magistralmente realizzato dalla Poligrafica Mancini di Sambuceto, fornisce un quadro affascinante del mondo legato alla produzione dello Zafferano: l’artista Sandro Visca si occupa di narrare la storia dello Zaafran, che arriva dall’Oriente nei secoli passati in Italia e che trova il suo habitat ideale nella piana di Navelli, illustrando lo Zafferano aquilano con preziosi acquerelli; il fotografo Luciano D’Angelo con un puntuale reportage riprende i luoghi, i produttori, le varie fasi della produzione: dalla semina alla delicata raccolta nei campi, dalla minuziosa lavorazione al confezionamento dei singoli pistilli. A completare l’artistica descrizione, brevi incursioni poetiche di Marco Tornar. Il convegno, organizzato dall’agenzia di marketing e comunicazione Delloiacono e tenutosi nella splendida cornice dello
Sporting Hotel Villa Maria di Francavilla al Mare ha sviluppato tutti i temi sensibili per la rinascita del prodotto. Alla discussione, moderati dal giornalista RAI Lucio Valentini, hanno contribuito Giovanni Piscolla, presidente dell’Associazione Zafferano Italiano che si occupa delle realtà produttive italiane difendendone l’autenticità; Giuseppe Ruberto, membro del CNR e dell’Istituto di Biochimica Molecolare di Catania che ha illustrato le proprietà dello zafferano dal punto di vista metabolico, e Giovanni Povero di Valagro SpA che si è occupato degli aspetti agronomici. La nutrizionista dell’Agenzia Spaziale Italiana Vania Griffo ha invece affrontato gli interessanti aspetti legati alle proprietà terapeutiche e agli effetti benefici sull’umore, mentre una riflessione sull’uso culinario di questa spezia è stata affidata allo chef di origini abruzzesi Sergio Maria Teutonico, titolare della Scuola di Cucina “La palestra del cibo” e conduttore della trasmissione “Colto e Mangiato” su Alice TV. Ospite d’onore il giornalista Federico Fazzuoli, grande esperto della tradizione agroalimentare italiana e ideatore per la RAI della trasmissione Linea Verde, che ha parlato dell’importanza dello Zafferano abruzzese e di ciò che potrebbe rappresentare per lo sviluppo anche economico della nostra regione. A fargli eco Giulio Borrelli, abruzzese doc –ex direttore del Tg1 e inviato negli Usa– che è intervenuto sulle produzioni di eccellenza e di nicchia regionali che andrebbero maggiormente protette e valorizzate. Hanno arricchito il dibattito gli interventi di docenti universitari, esperti del settore e produttori di Zafferano come Gina Sarra, sorella dell’indimenticato Silvio Sarra, promotore della Cooperativa Altopiano di Navelli, e giovani produttori come Dina Paoletti e Silvia Rosa, che hanno preferito a prestigiosi incarichi professionali la vita dei campi. Interventi anche di alcuni rappresentanti istituzionali come il presidente del Consiglio Regionale Nazario Pagano, l’assessore regionale Carlo Masci, Valentino Di Marzio, presidente della Cooperativa Altopiano di Navelli, Giovanni Mastropietro, Presidente del Consorzio per la tutela dello Zafferano dell’Aquila e Giuseppe Marulli, sindaco di Capestrano.
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Luciano D’Angelo/Sandro Visca
Effetto Zafferano Un volume per raccontare la storia della preziosa pianta con gli acquerelli e le foto di due affermati artisti abruzzesi
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a copertina rigida completamente bianca, con due semplici parole scritte in color giallo e oro: ZafferanoZaafran. All’interno 144 pagine dedicate all’oro d’Abruzzo, raccontato con la pittura, la fotografia e la poesia di Sandro Visca, Luciano D’Angelo e Marco Tornar. Come nasce questo libro? «Da molto lontano –dice Luciano D’Angelo, fotografo che ha all’attivo numerosi volumi sull’Abruzzo e su Paesi di tutto il mondo– ma ha preso forma dopo l’incontro con Sandro Visca. All’epoca io stavo già lavorando a un progetto sullo Zafferano di Navelli, e Sandro ne restò fortemente attratto. Decidemmo quindi di affrontare l’argomento a quattro mani. Apparentemente si trattava di raccontare un fiore. Sembrava semplice ma non lo è stato, perché ci siamo trovati a descrivere un mondo e una cultura». Per Sandro Visca la cultura che vive all’ombra del Gran Sasso ha un fascino particolare… «A prescindere dal fascino che senz’altro lo Zafferano ha per un fatto estetico, formale, narrativo, poetico, con le storie e le leggende che lo circondano, a noi interessava centrare l’attenzione sul problema che questa produzione corre grossi rischi di estinzione. Siamo giunti in questi ultimi anni al minimo storico: a detta di qualche produttore si parla di 60/70 kg annui, ma non si arriva in realtà a superare i 30/35 kg in tutto il comprensorio aquilano. Ed è una tragedia, perché molti dei produttori sono persone anziane e stanche che stanno abbandonando l’attività svendendo i bulbi a produttori di altre regioni italiane. La cosa grave è che da decenni le istituzioni non se ne occupano nella misura dovuta. Per noi l’unico ruolo possibile è stato quello di evidenziare il problema con la pubblicazione di un libro e un convegno sullo Zafferano». E pensate che queste iniziative contribuiscano ad accendere i riflettori sullo Zafferano? «Personalmente –risponde Luciano D’Angelo– sono abbastanza scettico. Ormai viviamo una realtà economica dove il debole soccombe. E in Abruzzo ci sono purtroppo molte altre priorità: salvare una produzione di eccellenza come quella dello Zafferano significherebbe rimodulare il sistema culturale, ancor prima che quello economico, del nostro territorio, e questo mi sembra davvero difficile». «Ma potrebbe valere tantissimo dal punto di vista dell’immagine della regione –interviene Visca– e dei suoi prodotti di eccellenza, come fanno altri. Norcia, ad esempio, è diventata
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famosa per i tartufi abruzzesi della nostra Valle Subequana. Non possiamo sperare di tornare ai livelli produttivi dell’Ottocento o dei primi del Novecento, ma salvare un prodotto che è famoso nel mondo e gode di un riconoscimento scientifico che ne attesta l’unicità è doveroso oltre che proficuo. Lo Zafferano può diventare un volano per rilanciare un territorio anche dal punto di vista turistico e culturale». Addentrandovi nel mondo dello Zafferano cosa avete trovato? «Ricordavo la famiglia di Silvio Sarra –racconta D’Angelo– il promotore della Cooperativa Altopiano di Navelli, e tutti i produttori che lo frequentavano negli anni Novanta: contadini d’altri tempi. Oggi trovo molti giovani, anche laureati, che scelgono di dedicarsi a questa produzione, e alcuni sono anche tornati dall’estero. È un cambiamento culturale molto importante che rispecchia quello che avviene oggi nella nostra società. È vero, d’altra parte, che lo Zafferano e queste terre dovrebbero rappresentare un aspetto attrattivo dell’Abruzzo». «Ma è anche compito del governo regionale e dei Comuni del comprensorio aquilano –precisa Visca– sostenere i produttori, ma purtroppo l’Abruzzo ha serie difficoltà nella promozione e nella conservazione delle sue eccellenze. Spero che questo convegno serva a riportare l’attenzione sulla coltura e la cultura dello Zafferano»
• In alto gli autori del libro “Zafferano-Zaafran” Sandro Visca e Luciano D’Angelo. Qui sopra e nella pagina precedente, alcune immagini di Luciano D’Angelo tratte dal libro
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libro
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Zafferano-Zaafran
Bello da mangiare Dall’Asia Minore all’antica Grecia, dalla Spagna all’Aquila: storia e leggenda del Crocus Sativus, il fiore da cui si ottiene lo Zafferano
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a suggestiva e avvincente storia dello Zafferano si intreccia e si perde negli albori della storia dell’umanità. La coltura del violaceo fiore di Croco –Crocus Sativus, pianta della famiglia delle iridacee, già menzionata in un papiro egiziano del 1550 a.C.– è conosciuta fin dai tempi più remoti; Virgilio, Plinio e altri cronisti della classicità, la citano spesso nelle loro opere e Ovidio, il poeta latino di Sulmona (43 a.C.) nelle Metamorfosi la menziona addirittura alle origini delle Favole, quando parla dell’amore di Croco e di Smilace che vennero entrambi trasformati, dai Numi, nel fiore che dal primo prese il nome. Citato da Omero nell’Iliade, lo Zafferano godeva di grande popolarità presso i Greci secondo i quali i fiori di Croco servivano da giaciglio a Zeus, mentre gli antichi scrittori narrano che i Romani lo scioglievano nel vino per spruzzarlo nei teatri, sui roghi, nei talami e nei capelli. Si narra anche che gli stessi Romani ne utilizzassero i fiori per coprire le strade al passaggio dei Principi e degli Imperatori e la leggenda vuole che Isocrate, prima di coricarsi, solesse profumare con lo Zafferano i guanciali del suo letto. Grande è il disaccordo tra i vari scrittori che si sono interessati alla sua origine: ma è ormai accertato che lo Zafferano è arrivato a noi dall’Asia Minore dove si coltivava estesamente in Cilicia, Barbaria, e Stiria. Scano, infatti, scrive che i Sidoni e gli Stirî se ne servivano per colorare di giallo i veli destinati alle spose e che i sacerdoti e i sacrificatori erano soliti cingersi il capo con i fiori di Zafferano durante i riti propiziatori e nelle cerimonie religiose. Dall’Asia la coltura del Croco si estese alla Grecia e a quasi tutta l’Africa Settentrionale, dove diede vita ad un largo commercio di esportazione mentre in Tunisia si coltivava nella località di Testour, situata nel Medjez-el Bab e Teboursouk, un po’ a Sud del corso della Medjerda. Nel 1500, lo Zafferano di Tripoli godeva di una certa rinomanza sia per il particolare profumo che per il colore che lo distinguevano dalla produzione di altre zafferaniere; sembra che nella zona del Garian, più che in altri luoghi, venisse coltivato in ragguardevole quantità, soprattutto per le favorevoli condizioni ecologiche e ambientali del territorio. Prodotto anche in vaste aree del Marocco, nel secolo VIII furono gli Arabi a introdurlo in Europa attraverso la Spagna dove a tutt’oggi la coltura dello Zafferano è ancora largamente praticata; anche se alcuni ritengono che a portarlo in Spagna siano stati i Fenici che in quel periodo godevano di una sorta di monopolio nel commercio. Il nome spagnolo Azafràn deriva, infatti, da quello arabo Al Zafarân, tutt’ora in uso nella penisola Iberica e nelle Repubbliche Ispano-Americane, mentre nel resto del mondo ancora si usa il nome persiano Zaafran, più o meno modificato. Nonostante l’interessamento degli agronomi, l’anno d’introduzione della
coltura dello Zafferano in Italia, non è stato mai precisato a riguardo. Infatti Plinio Secondo nel suo De Croci cultu si domanda: «Quis, tamen, attulerit peregrinae / semina messis primus, et illius quo / tempore coeperit usus, quis novit?» (Chi pertanto recato abbia per primo / i semi a noi della straniera messe, / e quando invalso ne sia l’uso, è ignoto). Nel Sìnodo di Toledo, officiato nel 1229 e approvato da Papa Gregorio IX, fu istituita per la prima volta l’Inquisizione ma di essa si incominciarono a trovare i primi atti in Spagna verso il 1251. In quell’epoca faceva parte del Tribunale d’Inquisizione un Padre Domenicano della famiglia Santucci di Navelli, in provincia dell’Aquila, grande appassionato di tecniche e pratica delle coltivazioni. La passione per la piccola pianta di Zafferano, già da tempo estesamente coltivata in Spagna, indusse il Santucci a studiarne accuratamente tutte le esigenze colturali e la tipicità dei terreni dove potesse meglio germogliare. Durante i momenti di studio e di riflessione i suoi pensieri andavano spesso ai campi fertili e scuri della sua amata Navelli, all’operosità dei suoi laboriosi compaesani e agli ottimi risultati che la coltura dello Zafferano lì avrebbe potuto dare; e pian piano, iniziò a nutrire nel suo cuore di profondo studioso un vivo desiderio di speranza. Difatti, non molto tempo dopo, in occasione di una licenza accordatagli, come sembra, per motivi di salute, trasportò clandestinamente, nonostante le severissime leggi dell’epoca prevedessero la prigione o la morte per chi tentava di far uscire lo Zafferano dai confini spagnoli, una quantità di bulbi di Croco a Navelli per poterne sperimentare una coltivazione. Con le cognizioni acquisite in Spagna il Padre Domenicano si prodigò con impegno e in ogni modo a coltivarlo, sicuro di ottenere felici risultati. La sua speranza non fu vana poiché i terreni e il microclima del comprensorio aquilano, risposero egregiamente alla coltura del prezioso Croco. Tanto è vero che il prodotto abruzzese risultò di gran lunga superiore a quello spagnolo e ancora oggi ne fa fede l’attuale valutazione da parte di grandi studiosi, che considerano lo Zafferano dell’Aquila il migliore del mondo. Basta pensare che il regista statunitense Brad Bird lo nomina nel suo film Ratatouille, del 2007, premiato con l’Oscar come miglior film d’animazione. Rapidamente, da Navelli, la coltura dello Zafferano si propagò con successo per tutto il territorio aquilano e le famiglie notabili dell’epoca: le famiglie Bonanni Caione di San Demetrio, Ciolina Biaggi, Signorini, Calore e Betti dell’Aquila, Piccioli di Navelli, diedero vita a un ampio commercio con le città di Venezia, Milano, Marsiglia e molte altre città europee, riuscendo a commerciare oltre 20.000 libbre all’anno di Zafferano. Più tardi, la coltura del Crocus Sativus si diffuse anche nella fertile vallata di Sulmona dove prese il nome di Crocus Sulmonensis. In Abruzzo nel
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1300 il commercio dello Zafferano era già molto sviluppato e procurò agli aquilani ricchezze non indifferenti. Durante le vicende vissute o raccontate nella storia, lo Zafferano ha avuto gli usi più disparati; in principio fu usato solo come colorante per tingere le sete destinate ai ceti elevati o per dipingere; infatti, durante il Rinascimento si diffuse, soprattutto in Italia, l’uso di mescolarlo alle polveri degli affreschi per conferire ai colori una particolare luminanza, ma in seguito fu utilizzato per una vasta molteplicità di impieghi. Come sostanza medicamentosa i vecchi zafferanieri affermavano che era un calmante come l’oppio e un eccitante come il vino, ma era anche consigliato come leggero analgesico, mediante frizioni gengivali, per i
dolori della dentizione e in dosi moderate come stimolante dell’appetito; inoltre, era anche usato come calmante degli spasmi e in cosmetica per la produzione di polveri, creme e oli per la pelle. A tutt’oggi lo Zafferano continua a essere utilizzato nell’industria cosmetica per la realizzazione di prodotti naturali. Quando lo Zafferano entrò a far parte dell’economia domestica, diventò un utile e piacevole ingrediente per cibi e bevande adattando il suo luminoso colore dorato e la sua eccezionale fragranza, ai dolciumi, alle paste, ai formaggi e al riso dal quale nacque una delle più note ricette italiane: il “Risotto allo Zafferano”. Sandro Visca (testo tratto dal libro Zafferano - Zaafran)
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Feudo Antico/Casadonna
IL VINO PRENDE QUOTA Prima vendemmia per il vigneto sperimentale di Castel Di Sangro realizzato dall’azienda vinicola tollese e dallo chef Niko Romito
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l paesaggio abruzzese ha un fascino particolare, con le sue alte montagne a poca distanza dalla costa; e nel mezzo le verdi colline ricoperte di vigneti, che si affacciano sull’azzurro del mare e che cambiano colore di stagione in stagione. Ora si aggiunge un nuovo scenario: il vigneto d’alta quota. Grazie all’iniziativa di uno chef a due stelle e di una giovane e dinamica realtà vitivinicola, la vite diventa un elemento caratteristico anche del paesaggio montano. Viticoltura eroica, così viene chiamata la coltivazione della vite in alta quota: e di coraggio gli “eroi” Niko Romito e Andrea Di Fabio (rispettivamente patron di Casadonna e direttore generale di Feudo Antico) ne hanno avuto, a voler sperimentare un vigneto di uva Pecorino alla ragguardevole altitudine di 860 metri, che ne fa il vigneto più alto di tutto il centro Italia. Un ettaro di terreno che lo scorso 24 ottobre è stato teatro della prima vendemmia, tenuta a battesimo proprio dagli stessi “eroici” promotori dell’iniziativa e testimoniata dalle decine di giornalisti invitati a documentarla. Se Niko Romito, chef e proprietario della nuova tenuta Casadon-
na (un antico convento del 1500 che oggi ospita un ristorante e una scuola di alta formazione per giovani chef) è stato il promotore dell’esperimento, va a Feudo Antico il merito di aver creduto nella possibilità di realizzarlo, investendo cospicue risorse in quello che oggi è, per usare le parole del presidente di Feudo Antico Tonino Verna,“un’opera di interesse sociale per il territorio, resa possibile grazie alla sinergia tra aziende e università”. L’investimento iniziale, nel 2010, è stato di 50mila euro, lievitati a 80mila nel corso di questi quattro anni «a causa della gelata del 2012, che ha distrutto tutti i germogli e il 25% del vigneto, causando un ritardo di un anno alla prima vendemmia», hanno spiegato Di Fabio e l’agronomo Antonio Sitti illustrando il progetto. Che include, oltre all’ettaro di terreno coltivato a Pecorino, altre quattro sperimentazioni su vitigni di Pinot Nero, Riesling renano, Sylvaner verde e Veltliner, un vitigno tipico dell’Alto Adige che un tempo fece capolino anche nell’Aquilano. «Si tratta –ha sottolineato il professor Lucio Brancadoro dell’Università di Milano, partner del progetto– di un esperimento
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intrigante, che ci permette di capire cosa può succedere in un territorio così difficile con un vigneto autoctono. Questo non è solo un vigneto di montagna, ma una sperimentazione che punta all’alto profilo, a livelli di grande eccellenza nazionale». Gli ha fatto eco Riccardo Brighigna, enologo di Feudo Antico, che ha illustrato le caratteristiche del vino che verrà: «Il Pecorino che viene coltivato in Abruzzo ha grandi qualità minerali, e di solito si trova tra i 200 e i 400 metri di altitudine. Quello coltivato a quasi mille metri sarà senz’altro caratterizzato da un’acidità fresca e salina, con aromi agrumati e una mineralità più spiccata, in linea con i grandi bianchi di montagna. Sarà senz’altro un vino di carattere». Un vino che probabilmente porterà il nome della tenuta, Casadonna, il progetto ideato da Niko Romito e sua sorella Cristiana. «Quella di Casadonna non è solo una scuola, né solo un ristorante: è una filosofia» ha spiegato Romito. «In questo luogo costruiamo il futuro della grande cucina italiana, si fondono insieme storia e sperimentazione, arte e innovazione, tradizione e ricerca.
In linea con questa filosofia abbiamo scelto un vitigno autoctono come il Pecorino, fortemente caratterizzante dell’Abruzzo: il vigneto è parte integrante del progetto Casadonna, così come l’orto, il frutteto, il giardino delle spezie. Avviare un vigneto ad alta quota vuol dire tornare alle origini di questo territorio, quando la coltivazione della vite avveniva in condizioni estreme». I grappoli raccolti durante la vendemmia sono già stati conferiti negli impianti di Tollo, precisa Giancarlo Di Ruscio, direttore della maggiore azienda vinicola abruzzese, «dove saranno lavorati per dare vita a un vino a fermentazione naturale che verrà affinato in botti di acacia di provenienza austriaca». C’è grande attesa e curiosità per il nuovo vino che amplierà l’offerta enologica regionale. L’unica certezza è che sarà un vino prestigioso. • Nelle foto nella pagina accanto i giornalisti impegnati nella vendemmia Casadonna. Dall’alto Andrea Di Fabio e Niko Romito con due grappoli di pecorino. La famiglia Romito intenta nella vendemmia. Giancarlo Di Ruscio e Riccardo Brighigna illustrano le caratteristiche del nuovo vino.
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La Limoncella
MELE E BUOI DEI PAESI TUOI La valorizzazione delle produzioni locali e il recupero delle attività agricole in un’iniziativa che promuove i valori della cultura rurale di Claudio Carella
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a mela ha cambiato la storia del mondo: da quella di Eva a quella di Newton, fino a quella più recente dei Beatles e di Steve Jobs, in ogni latitudine produce diverse varietà. E anche in Italia ogni regione ha la sua: si va dalle Deliziose e Renette della Val di Non alle Annurche campane, e l’Abruzzo anche in questo settore è una terra generosa. La mitica Mela Piana (compare anche nella copertina di VarioGusto) si affianca alla Zitella, alla Gelata e alla Limoncella tipica delle zone montane. E proprio quest’ultima è stata protagonista di una bella iniziativa che unisce il turismo sostenibile alla riscoperta delle pratiche agricole e alla valorizzazione delle produzioni locali. La raccolta delle mele nella Valle del Giovenco, pratica di antica tradizione, torna in auge grazie ad alcune aziende agricole a conduzione familiare che hanno rivitalizzato negli anni i terreni incolti, restituendo a queste zone la loro tradizionale vocazione, e che coltivano in modo naturale, cioé senza l’aiuto di concimi chimici o fertilizzanti: solo acqua, sole e buona terra. Nunzio Marcelli, allevatore da sempre in prima linea nella difesa della tradizione agropastorale e promotore della famosa iniziativa “adotta una
pecora”, è a fianco degli agricoltori anche in questo frangente.. Parafrasando il detto: quanto è buono il cacio con le mele? «Come i formaggi assumono diverse sfumature di gusto a seconda del pascolo, così anche le mele traggono profumo e sapore in base ai metodi di coltivazione e alle caratteristiche del terreno. La Valle del Giovenco ha sempre avuto la vocazione alla coltura delle mele, in diverse varietà; dopo l’ubriacatura del periodo industriale e del posto pubblico, che ha falcidiato la cultura del lavoro dei campi, è grazie alla buona volontà di qualche ragazzo che ha ancora l’orgoglio di provenire da una terra che ha dato da vivere ai suoi genitori che oggi si sta recuperando la tradizione di queste zone. Non solo questa valle, ma tutto l’Abruzzo un tempo produceva mele di varietà diversei che vanno recuperate: la Mela piana, la Limoncella, la Zitella, la Gelata, la Mela di san Giovanni…» Tu promuovi quest’iniziativa pur non essendo un produttore di mele. «Bisogna mantenere la propria identità senza aver paura del confronto. Il nostro progetto prevede un calendario di attività
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agricole che recuperi il concetto di stagionalità, perché il consumatore non percepisca il variare delle stagioni solo come un fatto climatico, ma lo leghi alla maturazione di alcuni prodotti e alle pratiche agricole ad essi collegate. Vogliamo fornire l’opportunità a chi vuole di vivere direttamente quest’esperienza per capire da dove proviene il cibo: è un discorso di formazione e informazione del consumatore. Il calendario che proponiamo consente ai consumatori, attraverso un contatto col network di “adotta una pecora” di sapere quando si attuano certe pratiche, e potervi partecipare. Ora si raccolgono le mele e si vendemmia, poi viene la raccolta delle olive. In primavera si prepara l’orto, poi viene la raccolta delle ciliegie a maggio, e infine la tosatura delle pecore e il ciclo della lana, per concludere con la transumanza». E la proponete a un pubblico nazionale e internazionale? «Sì, attraverso il sito e a mezzo stampa. La risposta è già stata soddisfacente: per raccogliere le mele sono arrivati da tutte le parti d’Italia, e ci sono anche due ragazzi californiani, che hanno vissuto l’esperienza in cambio di vitto e alloggio. L’esperienza agricola come sempre ha meno riscontro a livello locale di
quanto non accada all’estero, perché al di fuori del nostro Paese l’ambiente rurale viene visto come elemento regolatore del ciclo umano, non come un disvalore». E in più c’è l’elemento turistico: accoglienza unita alla promozione delle tipicità del territorio… «Io non parlerei di “tipicità” ma di “eticità”. Il concetto di “tipico” è stato attribuito dai mass media a tutta una serie di prodotti che di rurale hanno ben poco: la mia stessa attività è “atipica” rispetto alla produzione agroindustriale. La cultura borghese dominante è “usa e getta”: consuma, sfrutta, e butta via. La cultura agricola, rurale, è invece fondata sul “riuso”: ogni cosa viene razionalizzata, riutilizzata, non si butta via niente perché tutto serve ad assicurare la continuità della vita. Noi vogliamo essere portatori di questi valori, della capacità dell’uomo di saper sopravvivere con determinate risorse –anche scarse– contro un concetto di abuso delle risorse del territorio. Da un punto di vista etico, la cultura agricola richiede un maggior impegno». • Nunzio Marcelli (in alto a sinistra) con i produttori della Valle del Giovenco
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Orti d’oro
La terra ritrovata La bella iniziativa dell’associazione Domenico Allegrino Onlus arriva all’ottavo anno. Piccoli appezzamenti di terreno improduttivi diventano orti per la famiglia e palestra per l’attività fisica
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n 40 hanno risposto all’appello per l’assegnazione degli Orti d’oro, iniziativa giunta all’ottavo anno di vita e promossa dall’associazione Domenico Allegrino Onlus. Un progetto dedicato a pensionati appassionati di agricoltura o con la voglia di socializzare e impiegare il proprio tempo libero in modo creativo. Ma soprattutto un progetto «che è anche un modo concreto di fare qualcosa per una fascia sensibile e del tutto vitale della popolazione, a cui spesso le iniziative pubbliche non arrivano», spiega la presidente dell’associazione Antonella Allegrino. «Se il Comune di Pescara raccogliesse l’invito a portare sui terreni incolti di proprietà pubblica un progetto come il nostro e scegliesse di costellare il territorio cittadino con gli orti facendone crescere uno in ogni quartiere e dandolo in affidamento ai pensionati, cittadini e cittadine che hanno tempo e disponibilità per mettersi alla prova e rimettersi in gioco potrebbero contribuire in modo solido alla crescita sociale e al decoro urbano. Così, si potrebbero recuperare sia terreni dall’incuria che persone dalla solitudine e dal senso di inutilità che spesso si accompagna alla fine del periodo lavorativo». Gli orti d’oro, infatti, nascono nel 2006 nel cuore di Fontanelle, una delle zone sensibili della città di Pescara (via Fosso Cavone, tra Tiburtina e Fontanelle), su un terreno privato di 5.000 metri quadri, dato in concessione gratuitamente per un anno a chi fa richiesta di uno dei 40 appezzamenti di terreno. Un progetto ancora unico in tutto il centrosud dopo 8 anni dal suo avvio, per rispondere al bisogno di socialità e di sostegno anche economico delle persone della terza e quarta età, persone che hanno tempo ed esperienza per mettersi in discussione con una sfida singolare, coltivare un proprio orto anche senza averlo mai fatto prima e godere gratuitamente dei frutti del proprio impegno. «La nostra Associazione –prosegue Allegrino– è disponibile a contribuire fattivamente con l’Amministrazione Comunale di Pescara per estendere gli Orti su terreni pubblici. Pescara è città in cui migliaia di cittadini “insospettabili” per condizio-
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ne economica e posizione hanno sempre più bisogno di un intervento sociale o semplicemente di sentirsi ancora utili. Una risposta pubblica è possibile, oltre che necessaria, sia perché sono sempre di più i cittadini in età avanzata e anche perché essi sono una risorsa viva, attiva, che attraverso gli orti riesce ad essere impiegata in modo positivo, come dimostra l’esperienza fatta in molti Comuni virtuosi d’Italia, dove progetti simili sono già decollati o stanno decollando». Lo stesso appello è rivolto ai privati proprietari di terreni «che non utilizzano o che restano incolti e che sono compatibili, per essere pianeggianti, ad un utilizzo agricolo come quello realizzato in località Fontanelle. Metterli a disposizione, perché riprendano vita, offrendo anche la possibilità di vivere meglio a concittadini che hanno tempo e voglia di realizzarsi in un traguardo singolare come può apparire quello di un orto, è un nuovo modo di fare qualcosa per gli altri». Gli orti assegnati, tutti delle stesse dimensioni (75 mq) sono forniti di impianto di irrigazione e portano il nome di un valore: fratellanza, amicizia, gioia, pace. Dallo scorso anno inoltre sono dotati di un arredo urbano non impattante realizzato dal Corso di Urbanistica del Prof. Alberto Ulisse, finalizzato a valorizzare l’idea degli orti urbani. «La solidarietà –ha concluso la presidente Allegrino– ha tanti modi per esprimersi e porta sempre frutto. L’orto è uno strumento importante della solidarietà perché insegna a coltivare valori oltre che frutti e alimenta sentimenti nuovi nel veder crescere entrambi, grazie al proprio impegno, al proprio contributo. Questa iniziativa è un segno tangibile di premura, di amicizia, oltre ad essere per molti un aiuto economico discreto e silenzioso perché ciò che l’orto produce è di appannaggio delle famiglie destinatarie del terreno. Infine costituiscono una sfida personale che ogni ortolano intraprende con se stesso per rispondere al bisogno di dare sfogo alla propria longevità attiva, per vincere la solitudine, per dare al tempo libero che incombe alla fine di un percorso lavorativo, un senso concreto, utile».
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Gli orti e gli assegnatari
Campo della Gioia Ass. “D. Allegrino” Campo dell’Amicizia Rosito Giovanni Campo del Sorriso Sergio Di Luzio Campo della Tenerezza Roberto Dottore Campo della Luce Marisa Betto Campo del Perdono Lops Guido Campo della Vita Baldassarre Carlo Campo della Solidarietà Desiderio Roberto Campo della Giustizia Umberto Petrella Campo della Lealtà Bruno Di Giammatteo Campo del Rispetto Mario Giannini Campo della Tolleranza Nicolino Di Giacomo Campo della Costanza Sabatino Di Cesare
Campo dell’Allegria Antonio D’agostino Campo della Felicità Giuseppe Curia Campo della Letizia Angelo De Luca Campo della Serenità F. Loreto Camardo Campo della Beatitudine Donato Di Marzio Campo dell’armonia Ruzzi Giuseppe Campo della Concordia Vittorio Folchi Campo della Fratellanza Tommaso Ricci Campo della Benevolenza Luigi Gagliardi Campo della Carità Mario Gabriele D’ettorre Campo dell’Ottimismo Spiritoso Luigi C. della Comprensione Massacesi Gabriele Campo della Sincerità Tullio Pirocco Campo della Generosità Antonio Capozzucco
Campo dell’Altruismo Carmine Giuliani C. della Pazienza Adriano Di Giacomandrea Campo della Disponibilità Croce Naccarella C. della Temperanza Gabriele Di Giacomo Campo della Clemenza Giglioia Troia Campo dell’Umanità Valentino Passarelli C. Misericordia Michele Di Marcoberardino Campo della Semplicità Ludovico D’onofrio Campo della Saggezza Ennio Cipollone Campo della Fortezza Aquilino Colasante Campo della Fiducia Dionisio Gasparroni Campo della Pace Antonio Costanzo Campo del Dono Mario Bracciale Campo della Cordialità Fioravante Lauterio
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Caprice De Cecco Al vertice della bontà Pasta da leggere Anche quest’anno, dopo nove consecutivi, il bar pasticceria Caprice di Fabrizio Camplone a Pescara è riuscito –unico in Abruzzo– a confer-
mare il suo posto tra i 40 migliori bar della Penisola, su ben 1750 pubblici esercizi recensiti all’interno della guida “Bar d’Italia del Gambero Rosso 2014”. Punteggio pieno, quindi, ossia “tre tazzine” (che identificano i bar giudicati eccellenti per offerta, servizio, ambiente e igiene) e “tre chicchi” (che attestano il servizio di un caffè eccellente) per il maestro pasticcere pescarese Fabrizio Camplone (a sinistra nella foto), che insieme alla moglie Antonella guida con passione lo storico locale, a partire dagli anni Ottanta, seguendo la strada avviata nel 1957 dal padre Tullio, con il rinomato laboratorio artigianale.
Importante riconoscimento per la De Cecco. Nella giornata conclusiva di Food&Book, il Festival della cultura gastronomica svoltosi a Montecatini, è stato assegnato all’azienda abruzzese il premio FoodCult, istituito da Agra Editrice con il mensile “Leggere: tutti”, per segnalare le aziende del settore agroalimentare impegnate nella realizzazione di iniziative in campo culturale e artistico. La giuria era composta dai giornalisti Bruno Gambacorta (Rai Tg2), Giuseppe Marchetti Tricamo (Leggere:tutti) e Alessandra Moneti (Ansa). Nella motivazione del premio si legge: “per aver sviluppato, negli anni, un importante progetto attraverso la pubblicazione di volumi (l’ultimo Pasta Damare), tradotti in più lingue”, con l’obiettivo di diffondere la cultura della pasta in Italia e nel mondo”.
• Nella foto: Fabrizio Camplone riceve il prestigioso riconoscimento.
Ristorante Les Paillotes Sfilata di stelle
Uno dei luoghi più chic della ristorazione pescarese, dove si gustano prelibati piatti della cucina italiana comodamente seduti in riva all’Adriatico, mette in mostra le eccellenze d’Abruzzo. In scena, sulla prestigiosa passerella del Café Les Paillotes, ristorante con una stella Michelin, cinque giovani chef, provenienti da altrettanti ristoranti stellati regionali: Valerio Centofanti del ristorante L’Angolo d’Abruzzo di Carsoli, Mattia Spadone dalla Bandiera di Civitella Casanova, Nicola Fossaceca dal Metrò di San Salvo, William Zonfa della Magione Papale dell’Aquila e il padrone di casa Davide Pezzuto hanno dato vita a una “Cena a dieci mani” che ha proposto un menu
ispirato ai piatti della tradizione abruzzese rivisitati nell’ottica “Street food - Finger food”. Ha preso il via così, con una parata dei più giovani talenti della regione, una vera sfilata di stelle che fino alla fine dell’anno proporrà alla clientela del Café Les Paillotes e a quella della pizzeria Granchio Royale speciali soirée in compagnia di alcuni dei più prestigiosi rappresentanti della cucina italiana tradizionale. Le prime serate si sono svolte all’insegna della cucina toscana, con Filippo Saporito della Leggenda dei Frati di Castellina in Chianti (al Café Les Paillotes) e Luca Cai (al Granchio Royale), della tradizione napoletana, con il pesce di Alfonso Caputo
del pluristellato La taverna del Capitano di Marina del Cantone e le pizze del giovane Enrico Lombardi, e della cucina romana con Angelo Troiani dal Convivio di Roma al Café Les Paillotes e Stefano Callegari al Granchio. In programma anche serate “fusion” , ovvero incontri tra la cucina italiana di Davide Pezzuto e alcuni chef stranieri come Alba Esteve (Spagna) e Huang Qiuwei (Cina), mentre a dicembre è prevista una serata con Heinz Beck.
• Nella foto, da sinistra: Davide Pezzuto, William Zonfa, Mattia Spadone, Nicola Fossaceca e Valerio Centofanti
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Premio Masciarelli Mimmo oltre la vite Gad Lerner, Bruno Vespa, Oliviero Toscani e Francesco Moser. Sono i personaggi che negli anni scorsi hanno ricevuto il premio “Gianni Masciarelli - Oltre la vite”, assegnato a personaggi che si sono particolarmente distinti nella promozione del territorio e dell’enogastronomia nazionale. All’elenco si aggiunge quest’anno il popolare cantautore Mimmo Locasciulli (nella foto a sinistra), con la seguente motivazione: “Medico per passione, artista poliedrico, sublime musicista e sensibile poeta dell’animo umano, poco incline alle mode per la grande onestà intellettuale, sincero interprete dell’autenticità delle tradizioni della nostra gente, ha saputo tradurre le proprie convinzioni nell’impegno personale nell’attività vitivinicola, realizzando un vino rispettoso delle stesse, in nome della naturalità e delle prerogative dell’ambiente; promuovendo efficacemente, nel contempo, anche grazie alla
propria popolarità, il nostro territorio e rispondendo all’esigenza di comunicare l’eccellenza dell’offerta enogastronomica e paesaggistica del nostro Abruzzo”. Il premio, istituito su iniziativa dell’Amministrazione comunale di San Martino Sulla Marrucina, si ispira a quei valori di autenticità, tenacia e impegno, tipici della terra e delle persone d’Abruzzo, che hanno guidato la vita di Gianni Masciarelli, (nella foto a destra) scomparso prematuramente nel luglio 2008. L’azienda Masciarelli, guidata oggi dalla compagna del grande viticoltore Marina Cvetic, ha recentemente ottenuto altri prestigiosi riconoscimenti: la Guida Vini d’Italia 2014 del Gambero Rosso ha attribuito i Tre Bicchieri al Montepulciano Marina Cvetic 2010, mentre la Guida Bibenda - Vini e Ristoranti d’Italia 2014 ha conferito 5 Grappoli al Trebbiano d’Abruzzo Marina Cvetic Riserva 2011 e al Trebbiano d’Abruzzo La Botte di Gianni Riserva 2010.
SlowWine Grandi vini in abbazia Un appuntamento per degustare insieme i grandi vini d’Abruzzo e godere della bellezza di un monumento nazionale. L’occasione l’ha fornita la presentazione di Slow Wine 2014, la guida ai vini d’Italia di Slow Food, avvenuta nella magnifica cornice dell’Abbazia di San Clemente a Casauria il 15 novembre scorso. Alla serata hanno partecipato Raffaele Cavallo, presidente di Slow Food Abruzzo e Molise, Fabio Giavedoni, curatore della Guida, e Davide Acerra, responsabile della nostra regione per la guida. Alla serata, che proponeva la degustazione di oltre 50 vini in abbinamento a una selezione di prodotti tipici abruzzesi, hanno fatto da apripista le autorità: dal sindaco di Castiglione a Casauria Gianmarco Marsili a Guerino Testa, presidente della Provincia di Pescara, da Mauro Febbo, assessore regionale all’agricoltura, a Daniele Becci, presidente della Camera di Commercio di Pescara, fino a Lucia Arbace, soprintendente ai Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici dell’Abruzzo. Tra gli altri interventi anche quello del presidente della Fondazione Pescarabruzzo Nicola Mattoscio, personalmente impegnatosi con la Fondazione nel restauro dell’Abbazia, pesantemente danneggiata dal terremoto del 2009 e riportata all’antico splendore dopo meno di due anni di lavori l’8 aprile del 2011.
Le donne del vino Brindisi ai 25 anni
ExpoItalia L’Abruzzo in mostra
Ancora una volta aziende abruzzesi protagoniste ad ExpoItalia, il più importante evento italiano che si tiene ogni due anni a Bruxelles. La kermesse che si è svolta a novembre presso il Parc des Expositions dell’Heysel ha visto la partecipazione di molte aziende del comparto agroalimentare di API Pescara-Chieti, gruppo Agroalimentare e del turismo. In mostra i vini dell’azienda Colle del Sole, gli arrosticini di Spiedì, il Pecorino di Farindola dell’azienda Martinelli e prodotti abruzzesi. Soddisfatto il presidente del gruppo agroalimentare dell’ Api Chieti-Pescara Claudio Cosanni: «Ancora una volta –ha dichiarato– gli addetti ai lavori e il pubblico hanno apprezzato i nostri prodotti, le nostre aziende, il nostro territorio».
Le Donne del Vino compiono 25 anni. La delegazione abruzzese, per festeggiare il compleanno dell’associazione nazionale, ha organizzato lo scorso 12 novembre all’Aurum di Pescara un aperitivo speciale: un percorso multisensoriale attraverso tutte le sensazioni provocate da un bicchiere di vino. Il percorso partiva dalla vista, con la performance pittorica Bevi ad arte con Mae, per proseguire con l’udito con il pianista Fabio D’Onofrio, per passare all’olfatto e il tatto con giochi “alla cieca”, alla ricerca degli aromi e delle peculiarità tattili del vino. Per concludere, naturalmente, il gusto, con la degustazione di vini autoctoni messi a disposizione dalle produttrici, accompagnati dalle mousse di frutta e la selezione di prodotti tipici abruzzesi
a cura di Angela Di Crescenzo (Villa Maiella di Guardiagrele, CH) e i finger food di Nadia Moscardi (Elodia di Camarda, AQ). Sponsor tecnico della manifestazione è stato il caseificio Reginella d’Abruzzo. La Delegazione abruzzese dell’associazione Le Donne Del Vino è composta da 18 produttrici (tra cui Stefania Bosco, nella foto)e 7 tra sommelier, giornaliste e ristoratrici il cui raggio di azione ruota intorno al settore vitivinicolo.
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SPECIALE POLO AGIRE
ORIZZONTE GLOBALE La presenza dei prodotti agroalimentari abruzzesi sui mercati esteri va incrementata e rafforzata. Gli obiettivi del Polo Agire, entrato nella sua fase operativa, si focalizzano sull’internazionalizzazione delle imprese e sulla qualità dei processi produttivi
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nternazionalizzazione, qualità dei processi, competenze specialistiche e alta formazione. Sono le leve sulle quali Agire, il Polo d’innovazione dell’agroalimentare d’Abruzzo, lavorerà nel prossimo biennio allo scopo di far crescere appeal e speranze delle aziende che ne fanno parte. Un orizzonte temporale che vedrà di nuovo impegnato il presidente, Salvatore Di Paolo, confermato nelle scorse settimane alla guida della società consortile che gestisce il Polo. Insieme a quella del presidente, sono state rinnovate anche le altre cariche del Cda di Agire Scarl con un organigramma sostanzialmente invariato. Sono stati infatti confermati vice presidente William Di Carlo, amministratore delegato Donato De Falcis, consiglieri Simone Caruso, Paolo D’Amico, Giovanni Di Giosia, Mauro Di Zio, Carmine Falcone, Costanzo Fellini e Mario Nucci. Consiglieri di nuova nomina, invece, risultano essere Alessandro Nicodemi, Massimiliano Volpone e Antonio Zaritto. Del Polo di innovazione Agire, il primo a vedere la luce in Abruzzo e finora il più attivo, fanno parte oltre cento tra piccole e grandi imprese del comparto agroalimentare a livello regionale; le università di Chieti-Pescara, L’Aquila e Teramo; l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G.Caporale”; alcuni tra i principali centri di ricerca abruzzesi. Numerosi sia i progetti di ricerca avviati dal Polo insieme alle Università sia i servizi gratuiti che il consorzio mette a disposizione dei propri soci. I servizi riguardano in particolare la comunicazione, la sicurezza alimentare, la consulenza per il recupero di efficienza o per l’innovazione e la competitività, la partecipazione a fiere e le certificazioni. Inoltre i consulenti di Agire sono a disposizione delle aziende per l’elaborazione di strategie e business plan riguardanti nuove iniziative imprenditoriali. In pochi mesi, il Polo ha già guadagnato la fiducia sul campo di stakeholders, imprese e cittadini. Ad essere premiata, in particolare, è l’idea della condivisione di intenti e obiettivi tra grandi e piccole realtà produttive che, insieme ad università e centri di ricerca, hanno scelto di unire le forze in nome della qualità e dell’innovazione. Sull’internazionalizzazione, in questa fase, sono concentrate molte delle energie che il Polo riserva ai progetti considerati strategici. Nei prossimi mesi sono previste missioni per lo sviluppo di relazioni commerciali in alcuni importanti mercati quali
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quello americano (Brasile a metà ottobre e New York e Stati Uniti nella primavera del 2014) e asiatico (Corea e Taiwan prima dell’estate). Confermata anche per il prossimo anno la presenza al Cibus di Parma, prevista sempre in primavera. Una serie di impegni che vedrà di nuovo le imprese del Polo Agire operare insieme per l’affermazione di un marchio e di una identità unica. Lontano da qualsiasi finalità tesa alla delocalizzazione delle aziende, l’Abruzzo agroalimentare punta decisamente il timone verso una nuova avventura sondando l’interesse di nuovi mercati ad accogliere un prodotto genuino e spesso legato a tradizioni antiche, ma realizzato con procedimenti che rispettano standard di qualità elevati e le attese migliori del cliente finale. «A un anno e mezzo dall’avvio delle attività del Polo Agire –afferma il presidente Di Paolo– siamo orgogliosi di aver contributo a creare un’identità dell’agroalimentare d’Abruzzo e, ancor di più, di aver reso una realtà l’unione delle forze tra piccole e grandi imprese. Nell’orizzonte temporale dei prossimi due anni, che vedrà di nuovo all’opera un Cda sostanzialmente invariato, riteniamo di dover centrare ulteriori e preziosi obiettivi. Tra questi, il potenziamento delle iniziative per l’internazionalizzazione delle nostre imprese, la certificazione di qualità dei processi e l’alta formazione dei nostri addetti. Vogliamo che nel prossimo futuro le imprese agroalimentari abruzzesi siano non solo unite, ma anche molto preparate e competitive». Che la presenza sui mercati esteri sia la strada giusta da percorrere, in senso politico e strategico, lo indicano anche le recenti indagini di Cna sull’export abruzzese, in forte flessione su tutti i settori tranne proprio per quanto attiene al comparto agroalimentare, cresciuto dai 33 milioni del 2012 ai 35 del 2013. «Non solo è la strada giusta –precisa Donato De Falcis, amministratore delegato del Polo– ma parzialmente è anche una strada obbligata: il mercato interno è ancora in sofferenza, quindi non offre sbocchi per la crescita e lo sviluppo, quantitativo ed economico, delle nostre imprese; e inoltre la costante presenza sui mercati esteri di prodotti dall’Italian Sound, ovvero prodotti non italiani ma che ne richiamano l’origine sta ad indicare che il Made in Italy, nell’agroalimentare, è molto ricercato. Se non mettiamo l’originale, le copie occuperanno quello spazio nel quale è necessario per noi inserirci».
Polo di Innovazione Agroalimentare d'Abruzzo
• Nella foto, da sinistra, l’amministratore delegato Donato De Falcis e il presidente di AGIRE Salvatore Di Paolo con l’ingegnere Marta Valente.
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ANFRA
PASSIONE DI FAMIGLIA Piccole aziende crescono: Antonello e Francesco Savini, titolari della cantina teramana, hanno innovato e portato al successo parte dell’attività ereditata dal nonno e oggi puntano a una presenza sempre più ampia sui mercati internazionali
Società agricola Anfra Azienda vinicola, produce ed imbottiglia vini Igt, Doc e Docg. Via Colle Morino, 8 64025 Pineto (TE) Tel/Fax: 085/9156271 www.anfra.it info@anfra.it
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uarantaquattro anni fa, sulle colline alle spalle di Pineto, un imprenditore cominciò ad impiantare sulle proprie terre i primi vigneti, concentrando i suoi sforzi nella ricerca della qualità delle uve, anche a scapito della quantità. Prendeva così il via una storia che dal 1969 ha visto crescere progressivamente quella piccola azienda, oggi diventata una realtà vitivinicola da 80mila bottiglie annue. Il nome Anfra viene da Antonello e Francesco Savini, attuali amministratori, che hanno ereditato dal nonno l’attività: «Per diversi anni le uve prodotte nei nostri vigneti sono state conferite alle vicine cantine o vendute a privati –racconta Antonello– fino a quando nel 1997 abbiamo deciso, sulla base della qualità delle nostre uve, di dare una svolta all’azienda, prendendo la strada della trasformazione e quindi della commercializzazione dei nostri vini. Un ulteriore impulso alla crescita e anche un segno tangibile della strada che abbiamo deciso di percorrere è stata la ristrutturazione della cantina, realizzata nel 2000 secondo i dettami dell’architettura sostenibile». La tecnologia a disposizione di Anfra è infatti quella di una cantina all’avanguardia: «Ci siamo dotati di
un nastro di cernita vibrante, tamburi diraspanti in gomma, controllo di fermentazione computerizzato, follatori ad aria compressa, microssigenatori per mosti, pressatura soffice, vari sistemi di filtrazione e stabilizzazione. Abbiamo anche fatto particolare attenzione alle barriques: per la scelta dei legni è stata fatta una lunga ricerca sulle varie tipologie di rovere, sulle diverse provenienze –Francia, Ungheria, Americhe– e sui vari livelli e gradi di tostatura, fino ad arrivare a trovare le barriques migliori e più armonicamente compatibili con i nostri vini». Alla guida dell’azienda ci sono Francesco e Antonello, insieme ai loro familiari, coadiuvati nel lavoro quotidiano da un enologo, un agronomo e un cantiniere: un gruppo di lavoro giovane e dinamico, sempre attento alle novità e proiettato verso il futuro. «Ciascuno ha la propria professionalità, competenza ed autonomia. Ci unisce un denominatore comune: la passione per la viticoltura prima e per il vino poi», commenta Antonello. Una passione che ha dato vita, negli anni, a prodotti di alta qualità: «Ogni annata trasmette le proprie caratteristiche, esprime la filosofia produttiva di Anfra e porta con sé tutte
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A le caratteristiche e le qualità del vitigno. I nostri vini rossi parlano del nostro territorio, come Reilla, il Montepulciano d’Abruzzo Docg Colline Teramane (Medaglia di Bronzo al Vinitaly 2011), o il Montepulciano Doc Nero dei due mori (Medaglia d’Argento al Vinitaly 2009). Recentemente abbiamo rivisitato le etichette della linea classica, dedicata ed ispirata ad alcuni dei famosi mitici venti, per cogliere anche graficamente il respiro e il gusto della nostra magnifica terra d’Abruzzo. La linea comprende Astreo (Montepulciano d’Abruzzo Doc), Calai (Cerasuolo d’Abruzzo Doc), Zete (Trebbiano d’Abruzzo Doc), Zefiro (un Pecorino IGT Colli Aprutini) e infine Borea, da uve Passerina IGT Colli Aprutini». L’attaccamento alla tradizione e al territorio si accompagna a idee innovative, alla voglia di guardare al futuro sperimentando produzioni che rifiutano le convenzioni. Anfra è una cantina giovane, che ricerca la qualità e non ha paura di scoprire nuove strade. «Il nostro Astreo –spiega Antonello– è decisamente controcorrente, in quanto vinificato, affinato e proposto senza apporto di legno, a differenza di quanto si è abituati ad assaggiare con questa tipologia di vino. Abbiamo ottenuto
un Montepulciano d’Abruzzo Doc molto intenso, ampio e fragrante, secco, caldo e garbatamente tannico. E tra i nostri prodotti di punta c’è la Passerina Borea: un vino molto piacevole, di bassa gradazione alcoolica, allegro,“beverino” come si dice in gergo». Questa capacità di essere innovativi e allo stesso tempo fortemente attaccati alla tradizione e alla storia del territorio è valsa ad Anfra numerosi riconoscimenti sul panorama nazionale e internazionale; riconoscimenti che confermano l’impegno continuo della cantina volto ad ottenere un prodotto sempre di qualità: «Non essendo un cantina di grandi dimensioni abbiamo la possibilità, oltre alle capacità tecniche grazie al nostro team giovane, affiatato e preparato, di curare la qualità del prodotto in maniera meticolosa. Fino ad oggi abbiamo deciso di vinificare ed imbottigliare solo una parte del nostro potenziale produttivo al fine di mantenere sempre alto e costante il livello qualitativo; la restante parte della produzione di uve viene ancora conferito, come facevamo un tempo, nelle cantine dei dintorni o vendute a privati. In un prossimo futuro si raggiungeranno le capacità per poter vinificare a pieno la produzione, mantenendo gli elevati
standard interni». Ed è proprio grazie alla qualità dei suoi prodotti, sostenuta da un ottimo rapporto col prezzo (riconosciuto anche dal Gambero Rosso, che ha conferito nel 2010 il premio Berebene LowCost alla cantina teramana) che Anfra è riuscita ad affermarsi anche all’estero: l’attività di management e di export viene gestita in tandem da Antonello e Francesco, il cui obiettivo è quello «di esportare la filosofia del made in Italy nel mondo e la cultura del buon vino. Attualmente siamo presenti in alcuni mercati europei come in Svizzera, in Austria, in Inghilterra e Belgio; per quanto riguarda i mercati extra UE siamo presenti da diversi anni negli Stati Uniti». • Nella pagina a fianco, da sinistra: Francesco e Antonello Savini
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CONFINDUSTRIA TERAMO
INSIEME PER CRESCERE Circa 400 aziende associate su un territorio fatto di piccole e medie imprese: il cuore pulsante dell’industria manifatturiera abruzzese. Il ruolo essenziale dell’associazione di categoria teramana, che lavora per garantire il futuro a tutto il tessuto imprenditoriale
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ra le numerose associazioni di categoria presenti all’interno del Polo Agire, Confindustria Teramo è quella che ha proposto con determinazione la creazione del Polo Agroalimentare e, dopo il riconoscimento da parte della Regione Abruzzo, lo ha sempre sostenuto «in quanto il comparto aveva bisogno di un progetto strategico che ponesse al centro due azioni fondamentali: l’aggregazione delle imprese settoriali (piccole e grandi) e l’avvio di progetti di ricerca e di innovazione». È il presidente della sezione teramana di Confindustria, Salvatore Di Paolo, a esprimere con queste parole le motivazioni dell’adesione al Polo, di cui lo stesso Di Paolo è presidente. «Oggi il Polo Agroalimentare è una realtà di rilievo che conta tra i propri soci le più importanti Imprese del settore a livello regionale, Università, Centri di Ricerca ed Associazioni. Confindustria Teramo ha aderito al Polo di Innovazione Agire perché crede negli obiettivi che il Polo stesso si è dato, ovvero perché convinti che la tenuta e la crescita delle imprese passi attraverso le aggregazioni, l’innovazione e la costituzione di reti». Diretta diramazione di Confindustria
nazionale, con circa 400 aziende nei settori metalmeccanico, agroalimentare, gomma/plastica, tessile/abbigliamento, servizi, turismo, ecc. Confindustria Teramo associa e rappresenta, sul territorio provinciale, imprese di tutte le dimensioni e di qualsiasi appartenenza merceologica, proponendosi di contribuire, insieme alle istituzioni politiche ed alle organizzazioni economiche, sociali e culturali, alla crescita economica delle imprese ed al progredire sociale del Paese. «Siamo profondamente impegnati –prosegue Di Paolo– verso tale obiettivo, ottimizzando ogni risorsa per essere a fianco delle aziende e della collettività in una logica di sviluppo». La mission di Confindustria Teramo è, principalmente, quella di fornire alle aziende associate servizi di informazione, assistenza e consulenza in diversi ambiti: sindacale e lavoro, economia e finanza, ambiente e sicurezza, formazione, ecc. «Per le imprese, associarsi significa potersi avvalere di un organismo che rappresenta gli interessi generali e particolari del mondo produttivo provinciale nei confronti di istituzioni, forze politiche e sociali, enti economici, aziende di servizio, organi di informazione. La tutela dei diritti delle
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E imprese viene garantita dalla presenza dei rappresentanti dell’Associazione in enti pubblici e privati». Essere associati favorisce, altresì, l’incontro e le relazioni tra gli imprenditori, l’aggregazione su progetti, l’interscambio di idee ed informazioni, ovvero dinamiche che si ritrovano anche all’interno del Polo Agire, nato con lo scopo proprio di mettere in relazione organismi scientifici e di ricerca col mondo delle imprese, favorendo interazioni e quindi crescita economica e di conoscenza. «Per le piccole imprese, in particolare –precisa Di Paolo– essere associate a Confindustria Teramo significa poter veicolare istanze e rappresentare problemi con la certezza di utilizzare un canale privilegiato, di ricevere dagli organismi con cui si desidera interloquire l’attenzione normalmente manifestata nei riguardi di grandi complessi produttivi». Confindustria Teramo, da anni, intrattiene ottimi rapporti con gli stakeholders a livello provinciale e regionali. Punto di forza dell’associazione sono la capacità di ascolto dei propri interlocutori ed una rete di rapporti basati su correttezza e massima trasparenza.
«Nel corso del 2012 abbiamo partecipato attivamente al progetto provinciale di rilancio dell’area Val Vibrata che, com’è noto, in questi anni ha registrato forti tensioni sul piano occupazionale e produttivo. L’associazione svolge, inoltre, un ruolo attivo all’interno della Fondazione I.T.S. di Teramo, con proposte innovative sul versante della formazione di nuove figure professionali per il comparto agroalimentare». Ma non solo: l’associazione teramana da anni svolge sul territorio un’intensa attività tesa a promuovere, tra gli associati e non, i temi dell’innovazione e della ricerca, come dimostra l’iniziativa “White Information”, promossa nell’ambito delle attività del Gruppo Giovani Imprenditori: una importante iniziativa a carattere nazionale che ha visto anche la selezione e premiazione di idee imprenditoriali ritenute di grande importanza sul piano innovativo. Ma le azioni di Confindustria Teramo, negli ultimi tempi, si sono rivolte soprattutto a fronteggiare i problemi che riguardano le piccole imprese, di cui è ricco il territorio, e che versano in gravi condizioni in conseguenza della crisi economica, e a cercare soluzioni che permettano di ampliare le oppor-
tunità di mercato. «Abbiamo pertanto predisposto un progetto di internazionalizzazione per consentire, soprattutto alle piccole e piccolissime imprese, di vendere i propri prodotti sui mercati internazionali. In ottobre sarà ospitata a Teramo una delegazione imprenditoriale e governativa serba. L’iniziativa consentirà di approfondire le opportunità offerte da questo Paese ad operatori economici della provincia di Teramo, i quali, successivamente, si recheranno in Serbia per verificare le reali possibilità di investimento e di collaborazione». • Nella pagina a fianco, la sede di Confindustria Teramo. Qui sopra il presidente Salvatore Di Paolo
Confindustria Teramo La principale associazione di categoria degli imprenditori rappresenta le imprese del territorio, di tutte le dimensioni e di qualsiasi appartenenza merceologica. Zona Industriale Servizi 64100 Sant’Atto (Teramo) Tel: +390861232417 Fax +390861232458 www.confindustriateramo.it info@confindustriateramo.it
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VISION DEVICE
OCCHIO ALLA QUALITà La vista lunga di un ingegnere, un’idea innovativa e un’azienda che guarda al futuro. E che dall’Abruzzo porta il suo know-how ipertecnologico in tutto il mondo Vision Device Progettazione, realizzazione, installazione e assistenza di sistemi dedicati di Controllo Qualità e di Automazione Industriale Flessibile ad altissimo contenuto tecnologico, utilizzando le tecnologie della visione artificiale, della robotica e della acquisizione di dati multisensoriali Via Fondovalle Alento 17, 66010 Torrevecchia Teatina (CH) Tel/Fax +390871361636 www.visiondevice.com
paolo.raschiatore@visiondevice.com
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isione artificiale: ovvero, un computer in grado di vedere qualcosa e di interpretare l’immagine secondo parametri stabiliti. In pratica, una vera e propria intelligenza capace di stabilire se il componente prodotto risponda o meno ai criteri di qualità necessari per poter essere messo in commercio. Ciò che solo trent’anni fa sembrava appartenere all’immaginario fantascientifico proprio della letteratura e del cinema è oggi, nel terzo millennio, una delle tecnologie più impiegate nei processi produttivi delle aziende di ogni settore: da quello dell’automotive e meccanica in generale, all’industria del vetro, della carta, dell’elettronica, farmaceutica, cui si è aggiunta da qualche anno anche quella alimentare, in crescita per la sempre maggiore attenzione alla qualità e sicurezza dei prodotti. Uno dei pionieri di questa tecnologia è Paolo Raschiatore, ingegnere laureato al Politecnico di Torino che ha conseguito il titolo nel 1982, proprio quando la visione artificiale, in ambito industriale, cominciava a diffondersi in tutto il mondo. Assieme alla moglie Marilena Genobile, Raschiatore è titolare della Vision Device, innovativa azienda di Torrevecchia Teatina che progetta, realizza, installa ed assiste sistemi dedicati di Controllo Qualità e di Automazione Industriale Flessibile, ad
altissimo contenuto tecnologico. «La visione artificiale –spiega l’ingegnere– è una tecnologia che consente di simulare in modo automatico il comportamento visivo di un operatore umano, al fine di compiere azioni altrimenti non possibili ad un sistema di automazione industriale tradizionale. Nella realizzazione di sistemi per il Controllo Qualità e per l’automazione flessibile, la nostra azienda fornisce in genere impianti completi, partendo dallo studio del problema sino ad arrivare all’impianto installato “chiavi in mano”,con complete competenze interne per tutte le fasi di progettazione applicativa, elettrica, meccanica, software, impiantistica». La particolarità ed il punto di forza dell’azienda è l’elevato know-how specifico, interamente dedicato alla visione artificiale e allo sviluppo delle applicazioni, «senza disperdere energie nello sviluppo di prodotti hardware dedicati, per i quali ci si rivolge ai migliori produttori mondiali, mentre il software è interamente proprietario e sviluppato in azienda». Nata ufficialmente nel 1988 Vision Device ha avuto uno sviluppo sensibile negli anni 90, e nel 2000 ha ottenuto la certificazione di qualità ISO-9000 e il riconoscimento dal Ministero della Ricerca come “Laboratorio di Ricerca Altamente Qualificato”.
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«Attualmente sono molti i progetti di ricerca in corso o svolti con successo, molti dei quali ritenuti meritevoli e cofinanziati con fondi regionali, nazionali e comunitari. Collaboriamo con numerose Università e Centri di ricerca pubblici e privati (CNR, ENEA, TRAIN, CRAM ecc.) e con aziende di tutto il mondo: si tratta di una tecnologia che può essere virtualmente utilizzata in tutti i settori manufatturieri, dove sono presenti operazioni produttive che richiedono personale umano per svolgere ripetitive ed a volte non efficaci operazioni di controllo qualità». Vision Device ha installato i suoi sistemi in 26 paesi nel mondo in tutti i continenti, direttamente o in collaborazione con costruttori di macchine ed impianti. «I sistemi di visione artificiale –spiega l’ingegner Raschiatore– hanno tre funzioni principali: la messa a punto della produzione, in quanto potente strumento di diagnosi preliminare che permette la misura oggettiva delle caratteristiche e dei miglioramenti in messa a punto; l’ispezione del prodotto al 100% durante la normale produzione, con l’eliminazione del prodotto difettoso e la documentazione della qualità del prodotto; la conduzione ottimale degli impianti, in quanto la pronta segnalazione di condizioni anomale di
funzionamento porta ad un intervento immediato e quindi riduzione degli scarti e dei fermi macchina. I maggiori vantaggi si hanno in presenza di processi produttivi già fortemente automatizzati, produzioni intensive e con elevate cadenze, produzione su più turni di lavoro giornalieri, oppure produzioni critiche negli aspetti qualitativi e con necessità di controllo al 100%». Nell’ambito delle aziende dell’agroalimentare l’azienda ha sviluppato sia sistemi ed impianti automatici per il controllo di produzioni industriali (ad esempio la pasta alimentare) che diretta dei prodotti (come uova e frutta), così come numerose applicazioni per il controllo qualità del packaging dei prodotti. «Abbiamo condotto anche complesse ed innovative ricerche nell’automazione agricola, in particolare realizzando un robot autonomo per la raccolta degli agrumi, così come un impianto per la potatura automatica di vigneti predisposti per la meccanizzazione agricola». Anche se l’azienda di Torrevecchia guarda al mondo molto più che alla nostra regione (il fatturato locale è ridotto e derivante dalle più grandi aziende regionali, mentre il fatturato del resto d’Italia è maggiore), Raschiatore ha deciso di entrare nel Polo Agire, individuando nel “fare sistema” «una importante opportuni-
tà per operare all’interno di uno specifico settore o mercato di riferimento, cercando sinergie e collaborazioni tra aziende che operano a vario titolo nel settore. Queste sinergie e collaborazioni sono sempre più riconosciute ed aiutate attraverso disponibilità di risorse pubbliche locali e comunitarie, che già negli ultimi anni ed ancor più nel futuro dirigeranno i propri sforzi per aiutare progetti ed iniziative che vedranno coinvolti pluralità di soggetti operanti insieme, piuttosto che frammentare interventi in una miriade di piccole iniziative spesso inconcludenti. Proprio la capacità di operare come unico sistema, sia nel valorizzare i territori, con la loro cultura e le loro produzioni, che nel valorizzare le competenze diffuse ed integrate, sarà l’elemento che consentirà di espandere l’operatività e la competitività nella più ampia scala geografica. In questo il Polo Agire consente sicuramente di creare opportunità, in quanto un elemento fondamentale è la conoscenza reciproca, favorita dall’appartenenza ad una organizzazione con obiettivi comuni come il Polo stesso». • In alto, Paolo Raschiatore. Nelle altre foto alcune delle applicazioni e delle macchine realizzate dalla Vision Device
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REGINELLA D’ABRUZZO
UNA CORONA PER TRE Dall’Abruzzo in Puglia, poi di nuovo in Abruzzo e oggi sulla tavola di tutti i buongustai. Lo storico caseificio di Sulmona è sinonimo di freschezza e qualità da quattro generazioni Reginella d’Abruzzo Srl Industria casearia da oltre 50 anni specializzata nella produzione di fiordilatte, scamorze e formaggi tipici del territorio. Via Aroto 1 67039 Sulmona (AQ) Tel. +39086433419 Fax +39 086456579 www.reginelladabruzzo.it info@reginelladabruzzo.it
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a scena è quella del paesaggio montano di Campo di Giove, il tempo è l’inizio del secolo scorso e il protagonista è Venanzio D’Amico, un giovane allevatore che unisce alla pastorizia l’attività di produzione di formaggi freschi e stagionati. Inizia così, come in un film, la storia di Reginella d’Abruzzo, uno dei caseifici più importanti della nostra regione, inscindibilmente legato alla vita della famiglia D’Amico. È infatti al figlio Paolo che Venanzio trasmette tutto il suo sapere e la passione per il suo lavoro, e il giovane si nutre dell’esperienza paterna facendone una ragione di vita. Nel 1947 Paolo D’Amico, affiancato dai figli Filippo, Mario, Angelo e Salvatore, si trasferisce in Puglia, a Manfredonia, dove fonda l’azienda casearia “Paolo D’Amico & Figli”. Bisognerà attendere il 1963 perché l’attività torni nella terra d’origine grazie a Filippo, che fonda e stabilisce a Sulmona la sede della sua azienda casearia, contraddistinta dalla corona che diventa il logo aziendale. La ricerca costante di un prodotto di qualità, la professionalità e l’impegno profuso nel lavoro, la capacità organizzativa e gli alti risultati economici raggiunti valgono all’azienda, nel 1974, il prestigioso
Mercurio d’oro, riconoscimento nato nel 1949 come premio di qualità per le imprese, per ridare, dopo la seconda guerra mondiale, fiducia e spirito di competizione al sistema produttivo ed economico italiano. Negli anni Ottanta, poi, avviene il cambio di denominazione, e l’azienda assume il nome definitivo di Reginella d’Abruzzo. Dal 1991 il timone dell’azienda è passato in mano a Paolo D’Amico, figlio di Filippo, che con i fratelli Simone e Incoronata dirige quella che è oggi una delle maggiori realtà casearie regionali, un mercato per il 90% concentrato sul territorio nazionale ma con ambizioni che guardano oltreconfine: «Per adesso –afferma Paolo D’Amico, amministratore delegato dell’azienda– esportiamo in Gran Bretagna, Australia, Stati Uniti, ma presto allargheremo il mercato. Desideriamo portare alto il nome del Made in Italy, sinonimo di qualità ed eccellenza, attraverso la promozione dei prodotti Reginella d’Abruzzo oltre i confini nazionali». Proprio per questo tutte le attività del caseificio Reginella d’Abruzzo sono guidate da una politica basata sul continuo miglioramento, dove controlli, attenzione e formazione interna non
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mancano mai. «Tutti i processi aziendali, produttivi e non, vengono costantemente monitorati al fine di migliorare le nostre performance e ottenere sempre la soddisfazione dei nostri clienti. Ci siamo impegnati nel conseguire le certificazioni di qualità più importanti: oltre all’ISO 9001:2000 abbiamo anche la BRC FOOD- Global standard, requisito fondamentale richiesto da molte catene di distribuzione al dettaglio europee. La ricerca spasmodica dell’alta qualità nei nostri processi produttivi è una vera e propria missione, che viene riconosciuta giornalmente dai nostri clienti». I prodotti Reginella d’Abruzzo nascono da gesti antichi, frutto della sapiente arte dei mastri casari abruzzesi. Modellare l’impasto di latte, caglio e sale nelle forme ereditate dalla tradizione è il quotidiano segreto che ha portato le specialità Reginella sulla bocca di tutti. «I nostri raccoglitori –spiega Simone D’Amico, responsabile della produzione– dopo aver prelevato il latte dagli allevatori, lo consegnano presso il nostro stabilimento dove viene pastorizzato. Solo il giorno successivo il latte viene lavorato con l’aggiunta di fermenti lattici e caglio, indispensabili per creare la cagliata. La cagliata viene poi deposita-
ta nella filatrice dove viene sminuzzata e filata ad alte temperature per essere poi formata con apposite bobine. Il prodotto ottenuto per compattarsi deve effettuare un ulteriore passaggio nelle vasche di rassodamento». L’ultima fase del ciclo produttivo è il confezionamento. «Se parliamo di mozzarelle queste vengono confezionate in soluzioni a basso o nullo contenuto salino chiamato liquido di governo, che scioglie in parte il sale assorbito precedentemente dal formaggio. Una volta confezionato il prodotto può essere depositato in apposite celle frigorifere». Da lì le oltre 60 referenze del catalogo di Reginella raggiungono quotidianamente i negozianti al dettaglio e la grande distribuzione organizzata, garantendo sempre la freschezza del prodotto, qualità e rapidità nelle consegne. «Ma la diffusione dei prodotti a livello locale non ha però perso importanza. L’attenzione al mercato abruzzese è rimasta viva negli anni, garantendo un servizio di consegne giornaliero in tutte le province. La nostra filosofia è realizzare prodotti di altissima qualità, eccellenti, dal sapore antico, rispettando sempre il territorio da cui provengono» spiega Incoronata D’Amico, responsa-
bile marketing dell’azienda casearia. «Il nostro impegno è rivolto alla valorizzazione del territorio attraverso una costante attenzione verso l’ambiente con una proposta di prodotti che rievocano l’atmosfera di un tempo grazie all’antica tradizione casearia. La nostra passione si traduce nella dedizione per la lavorazione del latte e nel rispetto della nostra amata terra».
• In alto, Venanzio D’Amico, fondatore dell’azienda; a fianco Paolo, Incoronata e Simone D’Amico, attuali titolari del caseificio
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TERRANOSTRA
IL NOSTRO ABRUZZO Rispettare l’ambiente, valorizzare la cultura e le tradizioni locali, marcare il legame col territorio. Ecco i parametri che l’associazione ha stabilito per definire l’agriturismo di qualità. Con il reciproco vantaggio per azienda e consumatore Terranostra Associazione per l’agriturismo, l’ambiente e il territorio promossa dalla Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti Via Po, 113 66020 S.Giovanni Teatino (CH) Tel. +390854449453 Fax +390854449641 abruzzo@coldiretti.it
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n “insieme armonico di iniziative e di attività agricole, turistiche, ricreative e culturali ispirate al rispetto dell’ambiente naturale e del patrimonio paesaggistico e storico del mondo rurale, alla valorizzazione delle potenzialità ricettive espresse dalle imprese agricole e delle tipiche e genuine produzioni agricolo-alimentari e artigianali, nonché delle tradizioni rurali e delle colture locali”. È la definizione del concetto di “agriturismo” secondo Terranostra, l’Associazione per l’agriturismo, l’ambiente e il territorio promossa dalla Coldiretti, che negli ultimi anni ha intrapreso un percorso di certificazione per aziende agrituristiche (Caratterizzate dal marchio “QA”,ossia agriturismi di qualità) avente l’obiettivo di garantire standard omogenei nell’accoglienza degli ospiti e migliorare il servizio offerto. «La mission di Terranostra –spiega David Falcinelli, che dell’Associazione nazionale è il responsabile per l’Abruzzo– è di promuovere, sostenere e diffondere l’esercizio dell’agriturismo e la valorizzazione dei mondo rurale, attraverso iniziative ed attività ispirate alla difesa della natura, del territorio agrario e del patrimonio paesistico e forestale, al fine di creare migliori rapporti tra uomo ed ambiente, agricoltura e turismo, imprenditori agricoli e consu-
matori, mondo rurale e mondo urbano». Ambiente, agricoltura, turismo e cultura: i punti cardinali della filosofia associativa. «Su di essi va costruito un nuovo rapporto uomo-ambiente, agricoltura-turismo, produttori-consumatori, città-campagna. Il soggiorno a scopo di vacanza presso un’azienda agricola associata a Terranostra lo si intende quale contatto diretto con quanto avviene, si produce e si esprime nell’azienda stessa». Bando, quindi, ai semplici ristoranti “mascherati” da agriturismo, ai B&B spacciati per aziende agricole, ai “relaxing resort” nascosti da uliveti di facciata: la vacanza come la concepisce Terranostra è un contatto vero, vivo e diretto con la realtà rurale, con le tradizioni della terra che ospita il turista, con la sua storia e la sua gente, la sua gastronomia e i suoi usi e costumi. «Gli agriturismi “QA” –prosegue Falcinelli– organizzano visite guidate all’azienda e percorsi didattici ricreativi e culturali rivolti a bambini e adulti, al fine di favorire la conoscenza dell’attività agricola e coinvolgere attivamente gli ospiti nella conoscenza del mondo rurale (colture, origine delle materie prime e dei prodotti, allevamenti ecc.). La famiglia rurale accoglie l’ospite instaurando da subito una relazione cortese, calda e coinvolgente. Chi giunge in agriturismo trova così uno spirito
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di iniziativa e di collaborazione motivato e stimolante, in grado di farlo sentire a proprio agio ed in contatto diretto con lo stile di vita legato alla produzione agricola e con le tradizioni del territorio». Una filosofia che muove anche da alcune considerazioni relative ai dati sulle abitudini turistiche, ormai segnate da un profondo cambiamento rispetto al passato: «Terranostra opera nella consapevolezza che il turista sarà sempre più in grado di valutare la qualità delle strutture, dei servizi e dei territori e che la sua scelta sarà condizionata da un insieme di valori».Tra questi, chiarisce il responsabile, «maggiore correlazione tra prezzi praticati e servizi resi; diminuzione delle vacanze organizzate a favore del “fai da te” (opportunità cresciuta grazie a Internet); differenziazione e specializzazione delle vacanze; qualità ecologico-ambientali delle località; qualità e tipicità dei prodotti alimentari; grado di integrazione delle strutture ricettive con la realtà locale; capacità di rispondere alle esigenze di vacanze più brevi, più frequenti e fuori dai periodi di alta stagione; capacità di offrire vacanze più naturali e meno consuete. Se la domanda si sta indirizzando verso luoghi e forme turistiche in cui rientrano l’agricoltura e il territorio rurale, il nostro impegno di Associazione è quello di
fornire gli strumenti e i servizi adeguati per soddisfare questa domanda e per offrire ai consumatori garanzie che i luoghi e le strutture ricettive posseggano quei caratteri distintivi che l’hanno alimentata». Ovvero: ambiente sano, salvaguardia della biodiversità, rintracciabilità dei prodotti alimentari, stretto legame tra prodotto alimentare e territorio, agricoltura come espressione di cultura e stile di vita condivisibile. Questi i contenuti del patto che l’agricoltura italiana di qualità ha stretto con i consumatori. «Con il “Sistema Agriturismo di Qualità” l’azienda agrituristica diventa anche una vetrina dell’agricoltura italiana nelle sue più qualificate espressioni di multifunzionalità». Tra i compiti dell’associazione infatti rientra anche lo sviluppo dell’agricoltura mediante la promozione e l’assistenza alle attività di ospitalità agrituristica nei fabbricati rurali, di somministrazione di pasti e bevande costituiti da prodotti aziendali e tipici della zona, di organizzazione di attività ricreative, culturali, sportive e faunistico-venatorie nell’ambito aziendale, e di trasformazione e vendita diretta dei prodotti dell’azienda. «Il nostro obiettivo è anche quello di promuovere e diffondere, in agricoltura, metodi, tecnologie e sistemi produttivi ecocompatibili che assicurino un basso impatto ambientale, e di favorire l’interscam-
bio culturale tra mondo rurale e mondo urbano anche mediante l’organizzazione di manifestazioni culturali, iniziative e sistemi di vendita dei prodotti agroalimentari tipici e di fattoria». Le aziende agrituristiche aderenti a Terranostra sono oltre 150 e di queste attualmente circa 50 operano con il marchio “Agriturismo di Qualità”.«Oggi occorre dare certezze, professionalità e serietà ai turisti che scelgono la vacanza in agriturismo» conclude Falcinelli. «La Qualità Agrituristica di Terranostra non è una qualità comparativa, non è legata a parametri come per esempio aria condizionata, tv, parquet, mobilio di lusso ecc.; se questi parametri ci sono ben vengano, ma non sono le necessità per essere certificate. Per ottenere il marchio occorre mantenere un legame rispettoso con la storia, la cultura e la struttura geografica dell’ambiente in cui si trova l’azienda, valorizzare la gastronomia locale, le tradizioni e prestare la massima attenzione e cura al paesaggio e alle risorse naturali. Non è un caso, in tal senso, che da oltre un anno Terranostra si sia affiancata alla Fondazione Campagna Amica per rafforzare i concetti di cui sopra e favorire lo sviluppo dei propri associati nel pieno rispetto, anche quando si parla di approvvigionamenti di materie prime, del legame con il territorio e della tutela dello stesso».
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BATTAGLIA ROBERTO
TERRA E IDENTITà Un’azienda tornata alla vita dopo trent’anni di abbandono, una produzione biologica certificata e una filosofia che punta alla qualità del prodotto. Ma soprattutto alla riscoperta di specie antiche per restituire al territorio la sua naturale vocazione
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e colline di Roseto, di fronte al mare, vedono crescere ville e palazzi più che piante e alberi da frutta. Roberto Battaglia ha invertito questa tendenza, sottraendo terreno alla speculazione edilizia e restituendo alla vita un’azienda agricola in disuso. Quella che porta il suo nome è oggi un’azienda olivicola biologica, dedita nei mesi estivi anche alla produzione di ortaggi, e durante l’anno anche alla manutenzione del verde privato, secondo la normativa che prevede la multifunzionalità dell’imprenditore agricolo. «In collaborazione con un socio da quest’anno abbiamo anche attivato il recupero delle potature per la trasformazione in pellettato, che riutilizziamo parzialmente per il fabbisogno energetico aziendale» spiega Battaglia. Il 45enne imprenditore rosetano ha speso la prima parte della vita prima in una sua attività commerciale e poi come dipendente in fabbrica, prima di dedicarsi completamente alla sua nuova avventura. Un percorso singolare, iniziato nel 1995 con l’acquisto di un paio di ettari di terreno appartenente ad un’azienda agricola in disuso: «A quell’epoca avevo ancora la mia attività commerciale, quindi non gestivo direttamente l’azienda. Dal 2002 ho iniziato ad acquistarne gli altri lotti
e oggi l’ho recuperata completamente, inclusi i manufatti. I corpi aziendali erano in disfacimento, e una volta intervenuto su quelli ho dotato l’azienda di una rete irrigua, ho apportato miglioramenti strutturali, e ho impiantato due ulteriori ettari di uliveti». La filosofia sottesa a quest’azione di recupero è la stessa che lo guida nella gestione dell’azienda: «In Italia non abbiamo aziende che permettano di fare produzione massiva, quindi dobbiamo puntare alla produzione di qualità. Io credo nella filosofia del “bio”, e come imprenditore ho scelto di entrare in una nicchia di mercato che a scapito della ridotta quantità offre un prodotto di alta qualità, che permette anche di spuntare dei prezzi leggermente superiori. Ovvio che bisogna anche maturare le competenze, perché le problematiche da affrontare sono molteplici». Competenze che Battaglia ha conseguito attraverso «molto studio e molta passione. L’agricoltura non è un mestiere facile, e anzi io forse sono stato avvantaggiato perché, provenendo da un settore completamente diverso, non ho avuto resistenze ad imparare il mestiere ex novo. Per chi invece ha un’esperienza pregressa è più difficile adattarsi alle novità, e in questo campo tra leggi, mercato e tecnologie c’è
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veramente un gran lavoro da fare per tenersi aggiornati. Un esempio banale è che l’olio, trent’anni fa, si vendeva sfuso; oggi se non lo etichetti, non hai la tracciabilità e non lavori con mezzi informatici non vendi». Un valido aiuto allo startup aziendale, in termini soprattutto di consulenza, è venuto a Battaglia dall’essere entrato a far parte della Cia di Teramo, della quale oggi ricopre anche la carica di presidente. «Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con un’organizzazione molto attenta alle problematiche dei giovani agricoltori. Mi ha permesso di crescere, di formarmi e mi ha prospettato un percorso di sviluppo aziendale che, a distanza di dieci anni, posso dire che è stato utilissimo. Nel corso degli anni ho cercato di approfittare di ogni opportunità che la Confederazione mi ha proposto, inclusa la partecipazione a bandi per ottenere finanziamenti, fino alle certificazioni e all’orientamento al biologico. E gli eventi organizzati sui diversi temi dell’agricoltura sono stati importanti, perché mi hanno permesso di entrare in contatto con altri imprenditori, fornitori e potenziali clienti». A proposito di certificazioni, l’azienda di Roberto Battaglia non ha perso tempo: «Ho ottenuto la certificazione di azienda biologica da Suolo e Salute, uno dei massimi organismi
di certificazione del settore; e per l’olio potrei ottenere anche la Dop, ma per adesso preferisco attendere: le politiche di comunicazione della nostra regione sono ancora molto indietro e i costi richiano di essere maggiori dei benefici». La produzione di olio, peraltro, si attesta «tra i 10 e i 13 quintali annui su 4 ettari di oliveto, a seconda delle annate. Ma l’azienda è ben più vasta: 15 ettari in tutto, di cui 3 coltivati a ortaggi e il resto, otto ettari circa, destinati al seminativo. La particolarità –chiarisce Battaglia– sta nella sperimentazione che conduciamo, sia sull’ortivo che sul seminativo, insieme ad un istituto di Monsampolo del Tronto, sul recupero delle specie autoctone». In pratica un progetto che si inserisce appieno non solo nella filosofia del biologico, ma in quella del recupero dell’identità agricola del territorio sul quale insiste l’azienda. «L’intento è quello di individuare quali specie di ortaggi e di sementi siano più adatte alle caratteristiche del terreno, puntando quindi alla qualità del prodotto piuttosto che alla quantità. Questo anche in forza del fatto che in azienda, attuando processi di coltivazione biologica, non usiamo fitofarmaci o concimi chimici. Di conseguenza le nostre coltivazioni devono consentire una buona resa ma
soprattutto essere le più idonee rispetto al tipo di terreno. Questo ci sta portando a riscoprire alcune varietà antiche, come il “pomodoro a pera d’Abruzzo”, tipico della zona e scomparso alla fine degli anni Settanta, che ha duplice valenza: può essere consumato al naturale o trasformato in salsa. Essendo una varietà non ibridata pecca in quantitativi, ma ha grandi caratteristiche». Una filosofia che viene accompagnata anche da un’azione di comunicazione nei confronti dei clienti: «Cerchiamo di far capire ai consumatori che il prodotto ha una sua stagionalità, che ovviamente scompare nell’offerta della grande distribuzione. Per noi oggi è normale consumare pomodori a gennaio, ma bisogna essere consapevoli che il loro periodo è tra giugno e ottobre».
Az. Agr. Battaglia Roberto Azienda agricola biologica. Produce olio extravergine di oliva, ortaggi e sementi. Strada Fonte Maione, 1 64026 Roseto degli Abruzzi (TE) Tel.: +393356697196 roberto_battaglia@libero.it
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COTIR
LA SCIENZA AL SERVIZIO D Il centro di ricerca vastese svolge studi e attività formative a sostegno del territorio e delle aziende del settore agroalimentare. Con la missione di migliorare l’ambiente Cotir Centro di Ricerca creato per studiare gli aspetti collegati all’irrigazione sul territorio italiano e nel bacino del Mediterraneo, in particolare le tecniche irrigue e le necessità idriche delle colture. S.S. 16 nord 240 66054 Vasto (CH) Tel. +390873310059 Fax +390873310307 www.cotir.it presidenza@cotir.it • Nelle foto le strutture del Cotir. In alto, il presidente del consorzio Alberto Amoroso
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a 25 anni al servizio del territorio. E non solo di quello abruzzese, perché il Co.t.ir. (ovvero Consorzio per la Divulgazione e Sperimentazione delle Tecniche Irrigue) è un centro di ricerca creato per studiare gli aspetti collegati all’irrigazione sul territorio italiano e nel bacino del Mediterraneo: in particolare le tecniche irrigue e le necessità idriche delle colture. «Il nostro centro –illustra il dottor Alberto Amoroso, Presidente del Co.t.ir.– effettua studi e ricerche sulle risorse naturali, la conservazione ed il miglioramento del paesaggio, i modelli idrogeologici, le colture che producono biomassa per avere energia rinnovabile e biodiesel, la compatibilità e sostenibilità delle colture e la loro origine geografica». Con i suoi trenta dipendenti (un coordinatore tecnico scientifico, 7 ricercatori tra agronomi, biologi, chimici, geologi, economisti, 10 tecnici tra periti agrari, chimici e geometri, 8 impiegati amministrativi e 4 operai suddivisi tra generici e agricoli) il Co.t.ir. svolge la sua attività di ricerca in due sedi distinte: un’azienda sperimentale in pianura a Vasto di circa 25 ettari e un’altra di quasi 25 ettari in collina a Scerni, più una serra sperimentale di 3700 metri quadrati: un autentico gioiello dal cuore ultratecnologico, basato sul modello olandese e diviso in settori (4
grandi e 8 più piccoli) «in cui si effettuano gli esperimenti e gli studi relativi all’irrigazione, la gestione del suolo e delle colture in ambiente irriguo e non, la modellistica di simulazione delle colture e le pratiche agronomiche conservative» spiega il dottor Amoroso. «Nelle nostre strutture svolgiamo ricerca applicata e sperimentale in tre aree principali: Ecologia, Ambiente e Territorio; Irrigazione, gestione del suolo e delle colture; Studi e Ricerche Agro-Alimentari. A queste si aggiunge una quarta area, la più recente, sulle Filiere Bioenergetiche, di cui abbiamo iniziato a occuparci qualche anno fa stilando un programma di ricerca dal titolo: Analisi territoriali e prove sperimentali a supporto dello sviluppo di filiere bioenergetiche nella Regione Abruzzo». L’area di studi in campo agroalimentare è entrata a far parte delle attività di ricerca del Co.t.ir., soprattutto «da quando ci siamo dotati di un sofisticato spettrometro (un FT-NMR a 600Mhz), capace di analizzare tramite risonanza magnetica nucleare campioni liquidi e semi-solidi di frutta, carne, pesce, formaggi, farine ecc.. Con questo spettrometro possiamo analizzare numerose caratteristiche: si va dalle caratterizzazioni geografiche degli alimenti alle caratterizzazioni dell’origine vegetale o animale del prodotto, alla definizione dell’impronta
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O DELL’AGRICOLTURA digitale di uno specifico alimento (caratterizzazione che potrebbe essere sfruttata nelle frodi), all’individuare di particolari composti presenti nel prodotto (in modo da definirne ad esempio la qualità), alla caratterizzazione dei processi di congelamento, al miglioramento della lavorazione di un prodotto e tanto altro ancora». Un patrimonio di conoscenze e tecnologie che ha un ruolo essenziale nella politica dei Poli d’Innovazione. «Attualmente il Co.t.ir. è presente –prosegue il dottor Amoroso– come socio in tre Poli d’Innovazione: quello agroalimentare, quello energetico e quello chimico-farmaceutico. Siamo stati tra i soggetti promotori dell’iniziativa per la costituzione del Polo d’Innovazione Agire. L’iniziativa dei Poli promossa dalla Regione Abruzzo infatti aveva come obiettivo l’integrazione del tessuto produttivo con il mondo della ricerca scientifica. Va da sé che il Co.t.ir., quale Centro di Ricerca regionale principale soprattutto nel campo della sperimentazione agraria, abbia ritenuto di collaborare all’iniziativa mettendo a disposizione la propria struttura come sede operativa del Polo Agire. Ma siamo partner anche del Gal Maiella verde del Consorzio Itqsa, e tra i soggetti promotori dei Daq per alcune delle filiere di interesse regionale. Tra le principali collaborazioni
possiamo ricordare Cra-Cat di Scafati, Cra Cer di Foggia e Cra-Gpg di Fiorenzuola, l’Università di Foggia, quella di Teramo e dell’Aquila, l’Inea, l’Enea - Laboratorio NMR Trisaia, solo per citarne alcuni». A fianco dell’attività scientifica, inoltre, il Co.t.ir. svolge anche formazione: «Attraverso l’attivazione dei laboratori territoriali promossi da Unioncamere Abruzzo e dalla Simulimpresa sono stati rafforzati i contatti e le collaborazioni soprattutto con i giovani attraverso le scuole. Stage, attività divulgative e tirocini vengono realizzati in collaborazione con le scuole primarie e secondarie, scuole si specializzazione ed istituti universitari. Sono stati inoltre realizzati importanti tavoli tecnici con gli operatori delle filiere bioenergetiche delle biomasse e bio-oli. Il legame con il territorio ha consentito di realizzare e presentare numerosi progetti di ricerca e sperimentazione all’interno dei bandi PSR (sia nel PSL che nella misura 124). Le attività analitiche del laboratorio chimico sono rivolte anche agli agricoltori e alle loro organizzazioni oltre che agli enti pubblici e privati. Con alcuni giovani agricoltori sono stati elaborati interessanti progetti di ricerca proposti su bandi del Ministero delle Politiche Agricole». Il personale del Co.t.ir., conclude il dottor Amoroso, «tra il
1998 e il 2005 ha organizzato e svolto corsi per Tecnico di base dei processi produttivi eco-compatibili, con l’obiettivo di formare una figura professionale in grado di ricercare e proporre all’agricoltore le soluzioni tecniche ottimali relative ai mezzi tecnici, ai sistemi di prevenzione e cura ed alle tecniche colturali sulla base di principi ecocompatibili; Tecnico della qualità nel settore agro-alimentare per formare personale da inserire come esperto della qualità nel settore agroalimentare; Tecnico qualità per le filiere agroalimentari per preparare personale qualificato a supporto delle aziende o nell’ambito dei servizi alle imprese per la realizzazione ed implementazione di sistemi di gestione qualità e ambiente e Tecnico agricoltura sostenibile con lo scopo di formare una figura che ricerca e propone all’agricoltore le soluzioni tecniche ottimali per l’azienda agricola vista nel suo insieme e nel suo rapporto con il territorio e l’ambiente circostante. Come si può comprendere, l’ampiezza dei campi sperimentali e la dotazione di macchine, attrezzature e strumentazioni scientifiche unite alla competenza ultradecennale dei nostri tecnici e dei ricercatori fanno del Centro un sito sperimentale unico non solo a livello regionale per la realizzazione di attività sperimentali e la loro divulgazione».
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RUSTICHELLA D’ABRUZZO
UN MONDO DI QUALITà Dal 1924 a oggi la ricetta è sempre la stessa: l’eccellenza. Un’azienda che è stata capace di portare un prodotto artigianale in tutto il mondo con le armi del gusto e della tradizione Rustichella d’Abruzzo Pastificio artigianale: produzione di pasta, farine, olio e altri alimenti. Piazza dei Vestini, 20 65019 Pianella (PE) Tel. +39085971308 Fax +39085972521 www.rustichella.it pasta@rustichella.it
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n Italia dire “pasta” significa dire “Abruzzo”. Nel mondo la stessa parola vuol dire, spesso, Rustichella: un pastificio che da Pianella, sulle colline dell’hinterland pescarese, ha costruito passo dopo passo un piccolo impero, conquistando con le armi del gusto e della qualità mercati importanti come quello statunitense, quello canadese e, oggi, anche quello asiatico e del Sud America. «Siamo presenti sui mercati esteri fin dall’inizio della nostra attività. Era la fine degli anni Settanta –ricorda Stefania Peduzzi, titolare del pastificio Rustichella d’Abruzzo– quando ricevemmo la visita di Dean e De Luca, proprietari di un famoso store market newyorkese, giunti a Pianella incuriositi da quella pasta integrale che per noi, in Italia, era un prodotto dal difficile piazzamento, ma che negli States era richiestissimo. Sono trent’anni che siamo sui loro scaffali e su quelli di tanti altri esercizi tra Stati Uniti e Canada». E ora la dinamica famiglia Peduzzi –Gianluigi, Stefania e figli vari– ha aperto le finestre su un altro importante mercato, quello dell’Asia e dell’estremo oriente. «La pasta –spiega Stefania– è un alimento in forte crescita, la cui
diffusione aumenta ogni giorno, grazie soprattutto ai giovani e al fatto che la crescita economica dei Paesi emergenti sta favorendo la nascita di una classe media, che fa la spesa nei supermercati e si rifornisce di prodotti di provenienza internazionale. Inoltre la pasta viene sempre più utilizzata come sostituto del riso, in molte culture». Risale allo scorso gennaio l’inaugurazione, da parte della famiglia Peduzzi, di un nuovo stabilimento in India, dove produrrà sotto il brand Gustora pasta realizzata con grano duro locale. «Non è una delocalizzazione –dice Gianluigi Peduzzi– ma un trasferimento di know how. L’India è un paese di circa 1 miliardo e mezzo di persone e soprattutto i giovani apprezzano la pasta. La produzione interesserà inizialmente il mercato indiano, successivamente l’ obbiettivo sarà quello di estendere l’esportazione nei paesi confinanti. L’ interesse primario del Pastificio Gustora è quello di produrre una pasta di qualità destinata alla ristorazione ad ai canali della moderna distribuzione. La capacità produttiva iniziale sarà di 25000 quintali nel primo anno, ma ulteriori investimenti sono previsti per il 2014 per aumentare la produzione».
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Una novità che va di pari passo con le innovazioni sui prodotti, un fronte sul quale Rustichella d’Abruzzo è particolarmente impegnata: «In collaborazione con l’Università di Verona, Parma, Foggia, e i CRA di Fiorenzuola d’Arda, Roma e Foggia abbiamo intrapreso un progetto sugli alimenti funzionali, ovvero quelli ricchi di molecole con proprietà benefiche e protettive per l’organismo, importanti nella pratica nutrizionale perché, se inseriri in un regime alimentare equilibrato, svolgono un’azione preventiva sulla salute. Il risultato è una linea di prodotti chiamata “Pasta Young”, intesa come opportunità di restare giovani con l’alimentazione: pasta funzionale arricchita di principi alimentari biologicamente attivi in grado di ottimizzare il nostro benessere fisico. È ideale per chi pratica sport di resistenza, non a caso è stata sponsor del Challenge Roth, una manifestazione di triathlon che si tiene in Germania». Ma non solo. «Un’altra importante novità è rappresentata dai prodotti per bambini. È noto che ogni famiglia incontra difficoltà a inserire nella dieta dei propri figli alimenti importanti come frutta o verdure, pertanto abbiamo creato, in aggiunta
ai prodotti biologici già presenti in catalogo (integrali, al farro e di semola di grano duro) anche una speciale linea di pasta, Zerotre, che contiene il 35% di purea di verdure 100% Bio, quindi ricca di vitamine e sali minerali. Una novità assoluta, in quanto a differenza di altre linee già esistenti, vengono utilizzate solo materie prime 100% Biologiche. La vera innovazione, che si inserisce in questa filosofia e sarà protagonista al prossimo Cibus di Parma a maggio, è la pasta Zerotre con la frutta. La prima ad essere stata prodotta è stata quella con i frutti rossi (ribes, lamponi e mirtilli), alla quale seguiranno presto quella con kiwi e con la pera. Nel realizzare questi prodotti abbiamo scelto i frutti con alto contenuto di vitamine (A,B,C), acido folico e sali minerali. Col laboratorio che ci sta aiutando a perfezionare le formule potremo calibrare la percentuale di frutta in base agli effetti desiderati. Nella linea Zerotre non mancano anche i prodotti senza glutine, rivolti ai bimbi celiaci, che naturalmente produciamo anche per gli adulti, in altri formati». Ma Rustichella non produce solo pasta: da diversi anni è impegnata anche nella produzione di olio extravergine d’oliva.
«La realtà territoriale è particolarmente vocata all’olivicoltura –precisa Stefania– e nella nostra produzione non poteva mancare anche un ottimo olio Dop aprutino pescarese. Possediamo tre ettari di terreno sui quali coltiviamo diverse varietà. In particolare attualmente stiamo promuovendo un olio prodotto con olive di varietà Intosso, tradizionalmente consumate come olive da tavola. E ci stiamo impegnando anche nella riscoperta di prodotti legati alla tradizione agricola del territorio, come il pomodoro a pera d’Abruzzo»
• In apertura la famiglia Peduzzi; in questa pagina una panoramica dei prodotti Rustichella d’Abruzzo e il nuovo pastificio Gustora a Jaipur, in India
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FATTORIA NORA
LA COLLINA DEI CONIGLI Ai piedi del Voltigno, a poca distanza da Carpineto della Nora, sorge una bella azienda agricola “in rosa”, guidata da due dinamiche e spigliate imprenditrici
Società agricola Fattoria Nora Azienda agricola specializzata in allevamento, macellazione e vendita carni cunicole. Cda San Bartolomeo,20 65010 Carpineto d. Nora (PE) Tel. 3392900040 – 3282735336 Fax +39085849268 Email fattorianora@gmail.com
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on circa 150 milioni di capi avviati alla macellazione ogni anno (i dati sono della Fao e risalgono al 2009) l’Italia si attesta al primo posto in Europa tra i Paesi produttori di carne di coniglio, e al secondo nel mondo dopo la Cina. Gli allevamenti di conigli sono più diffusi nelle regioni del Nord (Veneto su tutte, poi Emilia-Romagna, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Lombardia) ma l’Abruzzo occupa nel settore un posto di tutto rispetto, piazzandosi all’ottavo posto (dati Istat 2010). Tra i poco più di 250mila conigli allevati nella nostra regione, circa tremila si trovano nell’azienda di Daniela Lucia e Antonina Abate, ovvero Fattoria Nora: un’azienda agricola specializzata nell’allevamento cunicolo che da diciassette anni alleva due razze di conigli, la Californiana e la Bianca di Nuova Zelanda. «La Bianca è la razza pura, quella dalla quale, con gli opportuni incroci, si ottiene la Californiana. Entrambe sono considerate le razze da carne per eccellenza: la carne è magra, ricca di vitamine e di minerali (selenio, potassio, ferro e calcio, il che la rende adatta anche a bambini e donne in gravidanza) e con livelli molto bassi di
sodio e colesterolo». A parlare è Daniela Lucia, giovane e spigliata imprenditrice che ha conseguito sul campo la sua ampia conoscenza dell’allevamento cunicolo. «L’azienda è nata nel 1996, io ci ho lavorato per dodici anni. Poi nel 2009 con mia cognata Antonina abbiamo costituito la società. Ci siamo dedicate a questo lavoro con passione, ma si tratta di un’attività molto laboriosa, che richiede notevoli sacrifici anche quando l’azienda è medio-piccola come la nostra» spiega Daniela. «Da un anno, inoltre, il mattatoio dal quale ci servivamo ha chiuso i battenti, quindi abbiamo dovuto dotarci noi di un impianto di macellazione. Oggi siamo quindi un’azienda che copre il ciclo completo della produzione, dall’allevamento alla vendita al dettaglio». I conigli, prosegue la titolare, «sono animali molto delicati, che hanno bisogno di cure e attenzioni. Inoltre hanno un ciclo riproduttivo frequente, che ci impone ritmi elevati di lavoro». L’ allevamento sorge a ridosso della vallata del Nora, in una località poco distante dal centro abitato di Carpineto, a circa un chilometro dall’Abbazia cistercense di San Bartolomeo (X secolo, monumento nazionale). «I conigli, che soffrono
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molto degli sbalzi di temperatura, vivono all’interno di strutture dotate di idonei impianti di ventilazione con sistemi automatizzati di raffrescamento e riscaldamento. Rientra nella categoria degli allevamenti intensivi, ma siamo ben lontani dagli allevamenti di tipo industriale, per nostra scelta. Preferiamo offrire un prodotto di alta qualità, cosa che ci viene ormai riconosciuta da tutti i nostri clienti». Clienti che sono negozi della zona, qualche supermercato, e naturalmente privati cittadini che ritrovano puntualmente, ogni fine settimana, il banco della Fattoria all’interno del mercato di Campagna Amica a Pescara. «Il conumo di carne di coniglio non è elevato –spiega Daniela– perché, specialmente nelle grandi città, si tende a procurarsi carni di facile cottura. Il coniglio invece ha bisogno di una cottura lenta, elaborata, incompatibile coi frenetici ritmi odierni. Ma il risultato, per chi ha pazienza, è speciale». Soprattutto se si seguono i consigli di Daniela, che ricerca e propone ai suoi clienti ricette sempre nuove per gustare ottimi piatti a base di carne di coniglio. «Una ricetta l’abbiamo anche inventata noi: si chiama “Coniglio alla carlona”, perché
è nato un po’ per caso, con quello che avevamo sottomano –racconta– ma è una delle mie preferite. È un rollé di coniglio farcito con pancetta, macinato di maiale, sedano e carote, cotto con vino e birra e guarnito con pomodorini e olive nere. Un piatto davvero prelibato». Anche perché la carne è garantita: «I nostri conigli non vengono trattati con medicinali o altri prodotti chimici, cosa che accade purtroppo in numerose realtà non sottoposte ai rigorosi controlli delle autorità sanitarie come in Italia. Dal canto nostro, in aggiunta
al rispetto delle regole per l’allevamento, utilizziamo esclusivamente mangimi No Ogm, ossia non contenenti prodotti geneticamente modificati. La ricerca del massimo benessere animale e l’altitudine dell’impianto (circa 600 m.s.l.m.) garantiscono una produzione di qualità, della quale andiamo orgogliose».
• In alto: Daniela Lucia e Antonina Abate al lavoro nella Fattoria Nora. Qui sotto una suggestiva immagine dell’abbazia cistercense di San Bartolomeo
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CONSORZIO DI TUTELA COLLINE TERAMANE
CONTROLLATO? DI PIù: G I migliori nomi della viticoltura abruzzese in difesa dell’unica Docg regionale: cos’è e cosa fa l’associazione più pregiata d’Abruzzo
Consorzio di tutela Colline teramane
Tutela, promuove, valorizza, cura e coordina le attività della filiera di produzione della denominazione di origine controllata e garantita vini Montepulciano d’Abruzzo Colline teramane. Via Carlo Lerici, 3 64023 Mosciano S.Angelo (TE) Tel. +390858072853 Fax +390858071699 www.collineteramane.com info@collineteramane.com
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uando entriamo in un’enoteca e ci accingiamo a scegliere un vino il nostro occhio si sofferma quasi sempre sull’etichetta per scorgervi la sigla “Doc”, garanzia di qualità. Ma ci sono vini che godono di un’ulteriore certificazione, la Docg (Denominzione di origine controllata e garantita) riservata a quelle Doc in elenco da almeno cinque anni e considerate di particolare pregio. In Italia sono meno di un’ottantina, e in Abruzzo l’unica Docg è quella di cui può fregiarsi il Montepulciano delle Colline teramane, vino che nasce in quella fetta d’Abruzzo tra le vette del Gran Sasso e il mare Adriatico che, grazie ad un particolare microclima e al sottosuolo calcareoargilloso, ottimo per la vite, produce le uve migliori di tutta la regione. Insieme alla DOCG nasce nel 2003 il Consorzio di Tutela del Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane, una libera associazione di viticoltori, produttori di vino ed imbottigliatori che condividono la medesima passione e lo stesso orgoglio per questo splendido vino e per il suo meraviglioso territorio. «Con ferma volontà e incessante impegno –afferma Alessandro Nicodemi, presidente del consorzio per
il terzo mandato consecutivo e titolare insieme alla sorella Elena dell’omonima azienda vitivinicola di Notaresco– il Consorzio combatte tutti i giorni su diversi fronti per garantire la qualità e la superiorità della nostra unica DOCG, verificando costantemente che la produzione vitivinicola delle “Colline Teramane” avvenga nel rispetto di un disciplinare tanto rigido quanto prezioso e sostenendo tutta una serie di iniziative promozionali e divulgative a beneficio sia del nostro prodotto, sia dell’intero territorio teramano, sia dell’intero patrimonio agroalimentare abruzzese». Ed è proprio grazie al lavoro attento svolto in questi dieci anni che oggi la provincia di Teramo e tutti suoi comuni sono in grado di offrire ai loro cittadini e al mondo intero un’ulteriore eccellenza: una Denominazione di Origine controllata e garantita dal marchio di un Consorzio che, con il bagaglio di esperienze e notorietà accumulato negli anni, è garanzia di qualità per tutta la produzione delle cantine associate. Del Consorzio fanno parte nomi illustri della viticoltura abruzzese: Cerulli Irelli, Marina Cvetic, Farnese, Santone, De Angelis Corvi, Anfra, San Lorenzo, Lepore
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: GARANTITO e molti altri. «Sono stati i produttori del Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane –spiega Nicodemi– ed in particolare i componenti del primo Consiglio di amministrazione a dar vita al consorzio: Illuminati, Nicodemi, Villa Cervia, Lepore, Monti, Montori, Cornacchia, Strappelli, Cantina di Colonnella, Villa Medoro, Castellotti Scialletti; un importante sostegno è stato offerto poi dalla Camera di Commercio di Teramo ed in particolare dal presidente Giustino Di Carlantonio». Obiettivo dell’associazione è, conclude Nicodemi, «quello di tutelare, prima che aziende, produttori, viticoltori ed enologi, tutti i consumatori che vorranno apprezzare e sostenere questo ambizioso percorso per esaltare le specificità e la riconoscibilità dei nostri vini. Ma dobbiamo soprattutto mantenere e migliorare i requisiti richiesti dal disciplinare, vincolando i consorziati ad una condotta “esemplare” in ogni fase della produzione, in vigneto come in cantina, per diventare un vero modello di efficace opera di garanzia, tutela e promozione, verificabile sì dal Ministero delle Politiche Agricole e dal Comitato Nazionale per la denominazione di origine dei vini, ma
soprattutto da tutti gli appassionati e gli operatori del mondo del vino, ai quali il nostro lavoro è rivolto. E, allo stesso tempo, proteggere e mantenere anche le diversità precipue che identificano il vino di ogni singola azienda, riuscendo nel contempo ad armonizzarle con le connotazioni proprie della denominazione. Quasi racchiudendole in una cornice corale che accompagni e ponga in risalto ogni voce solista». Dal 2003 il Consorzio, oltre a svolgere le necessarie attività di tutela e vigilanza, consente a tutte le imprese associate di promuovere i loro prodotti in Italia e nel mondo, organizzando e partecipando a fiere, mostre e degustazioni. «In questi anni –illustra il vicepresidenteEnrico Cerulli Irelli– numerose sono state le iniziative e molti sono stati i Paesi visitati dal nostro Consorzio, tra i quali un ricordo particolare va ai grattacieli e le strade di New York, la maestosità di Washington, l’energia e l’allegria del Brasile, dove presto torneremo a farci sentire». Ma anche il Vinitaly è da sempre teatro delle attività promozionali del Consorzio, che quest’anno ha portato all’interno di questo importante palcoscenico
«mostre fotografiche, rassegne, degustazioni e convegni, tra cui, in particolare, vanno ricordate la seconda edizione dei “6 giganti delle Colline Teramane” e la manifestazione “Cucina e Vini delle Colline Teramane”». La consapevolezza, accresciuta dai successi di questa e altre iniziative, che “l’unione fa la forza” ha spinto il Consorzio ad entrare nella schiera dei soci del Polo Agire: «Oggi più che mai –precisa ancora Cerulli Irelli– la globalizzazione e la spietata concorrenza dei Paesi asiatici richiedono di unire le forze e lavorare in sinergia con altre realtà locali per promuovere e valorizzare la qualità e la superiorità dei nostri prodotti e per affrontare con forza e coraggio la crisi globale che ci ha colpito, trovando proprio in essa nuove opportunità». A partire da novembre il Consorzio si appresta anche a festeggiare il suo primo decennale, con una serie di iniziative e di eventi che si protrarranno per tutto il 2014, iniziando con una favolosa festa di compleanno proprio a Teramo, nel capoluogo delle Colline Teramane.
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F.lli CANDELORI
MESTIERE ANTICO, T Da quattro generazioni la famiglia di mugnai produce farine di qualità sulle colline di Atri. Con tanta passione e oggi anche con l’aiuto dell’innovazione tecnologica Molino F.lli Candelori s.n.c. Produzione di farina per l’alimentazione umana e derivati per la zootecnia, esclusivamente mediante l’utilizzo di grano tenero 100% italiano e No Ogm. Via dell’Industria - Zona Industriale 64032 Casoli di Atri (TE) Tel. +390858709140 Fax +39085/8701940 www.molinocandelori.it molinocandelori@libero.it
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imenticatevi Antonio Banderas e le sue galline: il lavoro in un molino è ben diverso dall’immagine edulcorata che la pubblicità ci offre. Lo sa bene la famiglia Candelori, che da quattro generazioni si dedica alla molitura con tenacia e passione, ma non senza sacrifici. Erano i primi anni del secolo scorso quando Massimo Candelori, conosciuto come un esperto mugnaio, lavorava presso alcuni mulini del teramano, mostrando serietà ed interesse per il proprio lavoro. Nel 1958 i fratelli Luigi e Tiglio, figli di Massimo Candelori ed Elisa Di Nicola, costituirono una società, e nacque così ufficialmente il primo molino a cilindri della “F.lli Candelori s.n.c.” a S. Margherita di Atri. Nel 1964 l’impianto fu trasferito a Casoli di Atri, all’interno di uno stabile di cinque piani ed altre macchine andarono ad aggiungersi alle precedenti, rendendo il nuovo molino più moderno ed efficiente. Il testimone passa poi, nel 1981, a Massimo Candelori, nipote di Luigi, che nel corso degli anni è riuscito a rendere l’azienda sempre più competitiva ed affidabile sul piano della qualità e della genuinità, incrementando il fatturato e raggiungendo picchi eccellenti di vendite in Abruzzo e nelle Marche, grazie anche all’intraprendenza e all’attivismo del
figlio Gianluca, da alcuni anni al fianco del padre nella conduzione dell’azienda. Nel 2003 l’ultima fase del processo di evoluzione: la società F.lli Candelori, sotto la guida di Massimo Candelori e dei figli Gianluca ed Andrea, si è trasferita nel nuovo stabilimento (sempre a Casoli di Atri) con impianti rinnovati e nuovi macchinari tecnologicamente idonei e necessari per una maggiore competitività e qualità delle farine. «La sicurezza e la genuinità dei nostri prodotti –chiarisce Pierluigi Candelori, responsabile qualità dell’azienda– passano attraverso l’attenta macinazione dei migliori grani e la voglia di efficienza, serietà e competenza che hanno contraddistinto da sempre il lavoro della nostra famiglia» Accanto a lui, nella società, ci sono Gianluca (legale rappresentante e responsabile dell’area commerciale) e Andrea Candelori (responsabile della produzione). Nella modernissima struttura a tre piani trova spazio l’impianto di produzione, «costituito –prosegue Andrea– da un sistema di pulitura del grano in entrata in modo da renderlo privo di impurità quali polvere, veccia, piccoli sassi e dunque prepararlo alla macinazione. La materia prima (grano tenero 100% italiano e no ogm) prelevata tramite trasportatori a tazze dai silos di
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, TECNOLOGIA MODERNA stoccaggio, viene sottoposta al primo ciclo di pulitura che permette la totale eliminazione di polveri ed impurità. il grano viene poi inumidito attraverso un sistema meccanico di nebulizzazione e lasciato a riposo in apposite celle; dopo circa 13 ore avviene il 2° ciclo di pulitura sulla base dello stesso procedimento del primo. Al termine il grano è pronto per la macinazione e viene trasportato, tramite tazze a coclee e dosatori, ai laminatoi a rulli orizzontali che eseguono 12 passaggi di macinatura. Il derivato della macinazione viene successivamente setacciato, classificato e inviato a specifici silos di riferimento. Tutto il processo viene gestito da un sistema computerizzato». Un lavoro antico, quello del mugnaio, oggi agevolato dal progresso tecnologico: «Siamo molto attenti alla qualità dei nostri prodotti –spiega Andrea– e per questo ci siamo dotati di un laboratorio interno, un Laboratory Mill: una macchina dotata di macina a rulli per la macinazione del campione di grano. La farina derivante dal campione viene poi analizzata mediante l’utilizzo di macchine quali il falling time (che misura il tempo di caduta o di resistenza della farina, con l’obiettivo di valutare se la farina deriva o meno dalla macinazione di grano germinato)
e l’alveografo, che consente di misurare l’estensibilità di un impasto e la resistenza esercitata durante il periodo di riposo. Abbiamo anche un Cropscan 2000B, cioè un analizzatore di grano per valutare il grado di proteine, umidità e glutine contenuto nel campione di riferimento». Gianluca Candelori, responsabile commerciale, illustra le caratteristiche dell’azienda: «Abbiamo cinque dipendenti: un mugnaio, tre autisti e un impiegato amministrativo. Il volume di produzione annua si aggira attorno ai 50.000 quintali di farina di grano tenero (tipo “0”,“00”, “0M”,“0S”,“2”e integrale) e 18.000 quintali di derivati/cruscami (crusca, farinaccio, cruschello e tritello) destinati al consumo animale. Negli ultimi quattro anni si è registrata una crescita di fatturato, che è salito dai 2 milioni e mezzo di euro dell’anno 2008 ai quasi tre milioni del 2011». Il tutto restando sostanzialmente nell’ambito regionale. «Il nostro obiettivo –prosegue Gianluca– è quello di affermarci come una delle aziende leader del settore soprattutto sul territorio regionale. Ovvio che se ci fossero serie opportunità di sviluppo non disdegneremmo certo di affacciarci anche oltre i confini del nostro mercato di riferimento, che per il momento è costituito dal bacino Abruzzo-Molise.
Nelle Marche siamo fornitori di farina di grano tenero per la produzione di prodotti da forno e dolci presso panifici medio-grandi, industrie dolciarie e pizzerie; il mercato estero rappresenta per ora una nuova mission ancora da valutare e dunque in fase di sviluppo». E proprio per questo, conclude Gianluca, «abbiamo colto l’opportunità di entrare nel Polo Agire: farne parte significa sentirsi membri di una grande famiglia, di non sentirsi isolati e di acquisire una maggiore sicurezza nell’osare per il bene della propria azienda. Osare significa attivarsi per vagliare e sviluppare le proprie idee di crescita, aprirsi ad altre realtà, anche più grandi, e apprendere da esse sempre nuove strategie organizzative e di mercato, favorendo così lo sviluppo di una solida mentalità imprenditoriale. Inoltre, all’interno del Polo, si ha la possibilità di condividere le proprie conoscenze con altre aziende, proporre idee innovative e ricevere assistenza sotto questo punto di vista al fine di valutarle e possibilmente realizzarle. In questo modo si costruiscono le basi per una crescita personale e per quella della propria impresa». •Alcune immagini del Molino Candelori e dei suoi prodotti. In alto a destra: Gianluca Candelori durante il 1° corso per panificatori
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al fianco delle imprese Un’azienda per tutte le stagioni: dalla fabbrica all’officina, dal ristorante al bar, dall’hotel alle grandi comunità, la dinamica azienda di Eliseo Di Furia è in grado di soddisfare qualsiasi esigenza per tutti i settori lavorativi e commerciali
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’acronimo è quello del titolare, Eliseo Di Furia. La mission è quella di supportare le aziende del territorio (e non solo) fornendo loro tutto ciò che può essere utile a condurre la propria attività: dal materiale per gli imballaggi alle attrezzature antinfortunistiche e ai materiali per garantire la sicurezza sul luogo di lavoro, dai prodotti per la pulizia e l’igiene personale al materiale di consumo per mense aziendali come tovaglie di carta, piatti e stoviglie in plastica, contenitori per alimenti. Un magazzino di grandi dimensioni (2mila metri quadrati coperti all’interno della sede aziendale, 7mila metri quadrati complessivi a Castelnuovo Vomano, nel nucleo industriale del paese del Teramano) consente di stoccare notevoli quantità dei principali prodotti, tali da assicurare la continuità e puntualità delle forniture in ogni periodo dell’anno. Insomma, la carta d’identità della EDF descrive un’azienda efficiente e moderna, capace di soddisfare quasi tutte le esigenze dell’imprenditoria strutturata, che si propone quindi come un partner indispensabile per numerose realtà aziendali abruzzesi. «Ma abbiamo importanti rapporti anche con scuole private e statali, nonché con diversi enti pubblici» spiega il titolare Eliseo Di Furia, che nel 2000 ha
dato vita a questa dinamica attività che ha acquisito una notevole esperienza nel corso del tempo. «Negli ultimi anni abbiamo attivato, dove possibile, il servizio Kanban (Just in Time), ovvero il monitoraggio costante delle scorte di alcuni prodotti di più largo consumo al fine di evitare di restarne sprovvisti causando così spiacevoli e controproducenti ritardi nelle consegne. Ci siamo anche dotati di una rete di automezzi per svolgere le consegne su tutto il territorio regionale, nel quale effettuiamo la vendita con agenti diretti. La rete commerciale e distributiva è comunque attiva su tutto il territorio nazionale, a mezzo di corrieri e mezzi propri». La capacità di evolversi e di seguire le richieste di un mercato sempre più esigente e dinamico ha consentito alla EDF di consolidare ed accrescere negli anni il proprio fatturato. «I rapporti ultradecennali con i nostri clienti e la conoscenza sempre più approfondita delle loro necessità hanno fatto si che la EDF oggi possa offrire un vero e proprio servizio di consulenza, di affiancamento nei processi di ricerca e sviluppo ed essere un partner di riferimento per i propri clienti, specie per quelli più importanti in termini di fatturato. E proprio l’allungarsi dell’elenco di questi clienti sta diversificando sempre
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imprese più il rischio d’impresa, permettendoci di selezionare la nostra clientela». Che, è bene precisarlo, è diffusa su tutto il territorio nazionale, percorso ogni giorno dai mezzi aziendali che trasportano i prodotti da un capo all’altro del Belpaese. «Grazie al nostro collaudato sistema di logistica raggiungiamo in brevissimo tempo ogni località italiana» afferma orgoglioso Di Furia, che ha deciso di entrare nel Polo Agire per essere vicino alle imprese del territorio, mettere al servizio delle aziende dell’agroalimentare il suo know-how, la sua esperienza e tutti i prodotti commercializzati dalla Edf. «Una delle esigenze principali di un’azienda è quella di garantire un adeguato confezionamento ai propri prodotti. Dopo un lungo e a volte complesso processo di lavorazione, si ha la necessità di stoccare i beni in magazzino e successivamente consegnarli e distribuirli al cliente finale. È quindi opportuno dare a questi preziosi beni la giusta ed adeguata protezione: la Edf è in grado di offrire una vasta gamma di imballaggi industriali, film estensibili, tubolari in bobina, film a bolle d’aria, termoretraibili, nasti adesivi e profili e angolari in polietilene con cui soddisfare ogni esigenza di imballaggio». Oltre a quella dei prodotti, anche la sicurezza dei
lavoratori è importante in una moderna realtà imprenditoriale: «La sicurezza sul lavoro è divenuta ormai una priorità e un tema di importanza assoluta all’interno di qualsiasi azienda o ambiente lavorativo. In questi ultimi anni le normative introdotte a livello governativo italiano ed europeo hanno imposto regole molto rigide a tutela della sicurezza del lavoratore, a partire dalla prevenzione. La Edf è particolarmente sensibile a queste tematiche ed è in grado di offrire tutta una serie di prodotti ed articoli per la prevenzione degli infortuni e per la protezione della persona sul posto di lavoro. Disponiamo inoltre di una vasta gamma di prodotti di abbigliamento, anche monouso, per i più disparati settori lavorativi, oltre a pacchetti e set di valigette per il primo soccorso e la medicazione dei piccoli infortuni». Un altra esigenza è poi quella della pulizia: «Almeno un terzo della nostra vita quotidiana viene trascorso negli ambienti lavorativi; operare quindi in un ambiente di lavoro pulito e ordinato è essenziale per la nostra salute, il comfort e la produttività. Che siate in ufficio, fabbrica, magazzino, officina, cucina, palestra, attività commerciale oppure hotel, la Edf offre una vastissima gamma di prodotti ed attrezzature per qualsiasi esigenza di
pulizia ed igiene. Abbiamo anche una gamma di prodotti per l’igiene della persona e una “linea Cortesia” appositamente pensata per hotel e strutture turistiche». E proprio questi sono i principali clienti della Edf per quel che riguarda il settore Food & Beverage: «Possiamo fornire tutto il necessario: dalla carta per la pulizia e l’igiene, strofinacci industriali, rotoloni, carta igienica, tovagliette di vari tipi e dimensioni, anche con pratici e funzionali dispenser, fino ad arrivare alla carta e agli imballaggi per alimenti, tovaglie, sottopiatti e tovaglioli, contenitori e vaschette in plastica e alluminio, buste per alimenti».
EDF s.r.l. Distribuzione e commercio all’ingrosso di imballaggi in carta e cartone, in plastica e altri materiali; di prodotti, materiali ed attrezzature per la pulizia (per la casa, la persona e i locali) e per la sicurezza sul lavoro, antinfortunistica, articoli sanitari. Via Carlo Pisacane Zona Industriale 64021 Castelnuovo Vomano (TE) Tel. 0861.508057 Fax 0861.507512 Email edf.edf@tin.it www.edf-forniture.com
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VICTORIA Sas / ISTEMA GROUP
GUSTO ITALIANO Esportare nel mondo il Made in Italy attraverso i suoi prodotti più ricercati: pasta, olio, vino, tutti rigorosamente abruzzesi Victoria S.a.s. L’azienda realizza ed offre pasta e sughi precotti, pizze, gelati e brioches; commercializza all’estero prodotti tipici abruzzesi. Via Chieti, 35 - Montesilvano (PE) Tel. / Fax +390854454612 info@gustoitaly.net
Istema Group S.a.s. Società che realizza studi, progetti e ricerche indirizzati alla promozione del territorio e delle imprese operanti nelle regioni del medio Adriatico. Tel. +3908611751153 istemagroup@gmail.com
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biettivo: esportare nel mondo il meglio del Made in Italy, ovvero la cucina italiana. Pasta, pizza e gelati, nello specifico, che attraverso una joint venture tra due aziende, la Victoria Sas di Antonino Travia e Istema Group di Franco Esposito vengono diffusi attraverso una rete di punti vendita in franchising a marchio Gusto Italy. «Il carattere innovativo dell’azienda –spiega Antonino Travia, che con Franco Esposito è il creatore del marchio– risiede nel fatto che in Abruzzo esistono numerosi produttori nel settore della ristorazione, ma con pochissime opportunità di sbocco commerciale all’estero o comunque miranti solo al mercato locale e nazionale. Con la nostra iniziativa desideriamo creare una rete di affiliati a marchio Gusto Italy diffusi sul territorio internazionale, in particolare nei mercati emergenti. A tale scopo abbiamo già intessuto una rete di contatti, alcuni dei quali più che avviati, con Paesi come Hong Kong, Dubai, Giakarta, Londra, New York, Abu Dhabi, Seoul, Casablanca». L’idea, però, non è quella di entrare semplicemente nel settore della ristorazione veloce con prodotti di alta qualità. «La nostra –chiarisce Travia– è in pratica una società di servizi che sviluppa e realizza
progetti imprenditoriali per la ristorazione. Essendo in grado di fornire un prodotto che garantisce un elevato standard qualitativo, grazie a un’opportuna dotazione tecnologica, l’ambizione è quella di offrire un modello imprenditoriale di ristorazione che sia vantaggioso economicamente per chi decide di affiliarsi. In sostanza vogliamo applicare al mercato dei prodotti tipici e qualitativamente elevati il concetto di “glocal”, ossia trasferire ciò che è “locale” in un mercato globalizzato abbattendo i costi del personale». Tutto ciò è possibile, spiega Franco Esposito, «grazie ad un accordo commerciale che abbiamo stipulato con il fornitore del macchinario cuocipasta, brevettato a livello internazionale, che consente la cottura del prodotto congelato in tempi rapidissimi (circa 2 minuti) mantenendo un elevatissimo standard qualitativo e senza la necessità di cuochi professionisti, con un netto vantaggio di flessibilità e di costi per l’esercente». Alla qualità dei prodotti offerti quindi Gusto Italy unisce «la qualità dei locali, del servizio e del personale addetto. I punti vendita saranno selezionati, in modo da consentire ai gestori la certezza di una elevata redditività. La dislocazione di nuovi punti vendita sarà pertanto
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studiata con i franchise che si offriranno, in modo da verificare con essi l’esistenza di tutte le condizioni di fattibilità. Scelta la localizzazione, al franchise sarà chiesto unicamente un minimo d’investimento per acquisire i principali elementi d’arredo. Il nostro team offrirà tutta la propria esperienza ed assistenza per consentire al franchise l’avvio più rapido degli incassi, oltre a svolgere nella zona prescelta un’adeguata campagna pubblicitaria». All’imprenditore viene dunque richiesto un investimento iniziale per il noleggio dei locali e per l’acquisto delle attrezzature, che comprendono «tutto ciò che serve per produrre gelati artigianali, primi piatti e pizza; i prodotti vengono spediti dall’Italia congelati, mediante una tecnologia che consente di mantenerne inalterate le caratteristiche organolettiche, il gusto e le proprietà nutritive. In ogni città o Paese, poi, ci sarà un “master franchise”, ovvero un coordinatore che si occuperà della distribuzione dei prodotti nei diversi punti vendita. Puntiamo alle città con un minimo di 40mila abitanti per avere la possibilità di aprire almeno tre negozi». I risultati, economicamente, «sono interessanti: a fronte di una spesa iniziale che si aggira sui 30mila euro, l’affiliato –gra-
zie all’elevato indice di gradimento del prodotto Made in Italy e alla dotazione tecnologica di cui dispone– può contare su un giro d’affari che durante il primo anno si attesta intorno ai 60/90mila euro, per raddoppiarsi nell’arco di cinque anni. Il guadagno del master franchise, così come quello del singolo esercente, verrà dal maggior numero di punti vendita che verranno aperti sul territorio di riferimento». Una moltiplicazione, un effetto a caduta, sul quale Travia ed Esposito sono pronti a scommettere: «Il valore aggiunto della nostra proposta sta anche nella qualità dei prodotti che destiniamo a questo mercato, provenienti da produttori abruzzesi sinonimo di eccellenza: Zaccagnini per il vino, Delverde per la pasta, Mirro per l’olio extravergine d’oliva. Una scelta che ci caratterizza e ci differenzia da altri operatori italiani che offrono al mercato del fast food prodotti di scarsa qualità». Fondata nel 2012, la società ha partecipato ad un bando europeo ed è risultata finanziabile, piazzandosi al 41mo posto su oltre 1300 domande. «Abbiamo anche costituito una rete di imprese di cui siamo capofila, e abbiamo partecipato ad un bando classificandosi al 3° posto finanziato, il primo per l’internazionalizzazione. Ora
vogliamo partecipare alla prossima Expo di Milano 2015, che sarà dedicata proprio al food».
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FIESA REGIONALE D’ABRUZZO
MANGIAR BENE, M È un’associazione nata da un gruppo di imprenditori del settore aderenti a Confesercenti e lotta su due fronti: tutelare le imprese e difendere i consumatori
FIESA regionale d’Abruzzo Federazione di categoria, promossa e organizzata sindacalmente da Confesercenti, che opera in rappresentanza degli operatori del settore alimentare associati alla Confederazione. Via Mons. Luciano Mercante 3 67039 Sulmona (AQ) Tel./Fax +390864567696 sulmona@cescotabruzzo.it
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alorizzare i prodotti tipici locali, individuando il percorso più idoneo per raggiungere quest’obiettivo, verificandone la provenienza ed esaltandone il legame col territorio. Ma anche sviluppare un’azione informativa forte, allo scopo di diffondere la cultura del mangiar sano e contribuire quindi alla prevenzione di patologie e rischi derivanti dalla cattiva alimentazione. Questa, in sintesi, l’attività della Federazione Italiana Esercenti Specialisti dell’Alimentazione, un’organizzazione nata in tempi recentissimi (25 novembre 2012) su iniziativa di un gruppo di imprenditori del settore alimentare aderenti a Confesercenti. Per quanto riguarda il primo “ramo di attività”,se così si può dire, la FIESA ha attuato alcune interessanti iniziative, come il progetto di valorizzazione dei prodotti tipici e tradizionali e la battaglia per l’ottenimento delle cosiddette DCO, le Denominazioni comunali d’origine: «Il progetto di valorizzazione –chiarisce Vinceslao Ruccolo, presidente della FIESA Regionale– prevede di attuare iniziative in grado di mettere a disposizione degli operatori del settore e del Governo regionale nuove conoscenze relative alla valorizzazione e comunicazione della qualità nella produzione di specialità agroalimentari
legate a risorse genetiche e a saperi produttivi locali. Direttamente collegato a questo è il progetto di valorizzazione delle attività agroalimentari tradizionali che risultano presenti nella realtà territoriale: la Denominazione Comunale di Origine non è un marchio di qualità, ma la carta d’identità di un prodotto, un’attestazione che lega in maniera anagrafica un prodotto/produzione al luogo storico di origine. In altri termini, è un certificato notarile contrassegnato dal sindaco a seguito di una delibera comunale, che certifica, con pochi e semplici parametri, il luogo di “nascita” e di “crescita” di un prodotto e che ha un forte e significativo valore identitario per la Comunità. Purtroppo attendiamo ancora in merito il sostegno della Regione, conduciamo questa battaglia con le nostre sole forze». Sul fronte della prevenzione delle malattie e dei disturbi alimentari e della diffusione della cultura del “mangiar sano”,la FIESA è protagonista soprattutto in due progetti strategici del Ministero della Salute:“Guadagnare salute” e il “Progetto cuore”.«Il primo prevede investimenti nella prevenzione e nel controllo delle malattie croniche per migliorare la qualità della vita e del benessere degli individui e della società in generale, promuovendo stili di vita sani e
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, MANGIAR SANO agendo in particolare sui principali fattori di rischio delle malattie cronico-degenerative di grande rilevanza epidemiologica. Il secondo mira a divulgare le regole di una alimentazione corretta ed equilibrata, essenziale per il mantenimento della salute. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nutrizione adeguata e salute sono diritti umani fondamentali. Inoltre una dieta corretta è un validissimo strumento di prevenzione per molte malattie e di trattamento per molte altre». In questo ambito la Fiesa ha in essere un progetto chiamato “Pane, amore e tradizioni”,che si propone di contrastare il fenomeno dell’obesità infantile: «Negli ultimi 25 anni –spiega Ruccolo– la prevalenza dell’obesità nei bambini è triplicata ed è in continuo aumento. La prevenzione del sovrappeso/obesità richiede corrette politiche sociali di informazione ed educazione alla famiglia, interventi nella scuola di educazione e prevenzione della salute sui temi dell’autostima, dell’immagine corporea, dell’attività fisica e, non ultimo, interventi per genitori e famiglia mirati all’educazione e prevenzione sul tema». Strettamente connessa a questo progetto è un’importante conquista della FIESA: la riduzione, in accordo con Assopanificatori, del quantitativo di sale nel pane. «Abbia-
mo anche presentato una proposta di legge regionale per la regolamentazione del “Sistema Panificazione” su tutto il territorio regionale, che preveda innanzitutto il riconoscimento di “prodotto fresco” al nostro pane, così da distinguerlo da quello precotto e congelato spesso in vendita nella Gdo, e corsi di formazione e aggiornamento per i “Responsabili dell’attività produttiva”,nuove figure introdotte nel processo produttivo». E non va dimenticata la mission del vendere e bere bene il vino, del consumo responsabile ed informato e della professionalità degli operatori che l’associazione ha messo al centro della propria attività. «Troppo spesso il vino si vende con una sostanziale ignoranza delle specifiche caratteristiche tra le diverse uve, delle tipicità delle Regioni e aree di produzione e quindi delle importanti differenze qualitative tra i tantissimi vini prodotti. Inoltre, se da un lato è presente una scarsa o nulla attenzione alle ricadute sulla salute dei clienti di un consumo superficiale, dall’altro si osserva spesso un incapacità a rispondere e promuovere una domanda di consumo sempre più attenta e articolata». Naturalmente, trattandosi di una normale associazione di categoria, pur se interna a Confesercenti, la Fiesa ha anche altri
compiti: oltre a tutelare e rappresentare la categoria degli operatori del settore alimentare (anche sindacalmente), indirizza e coordina le iniziative e le attività delle imprese aderenti, promuove la fornitura dei servizi necessari alle attività degli associati, e infine sviluppa, tramite apposite strutture, opportune iniziative sul piano economico, tecnico e professionale nell’interesse delle imprese rappresentate. È quindi nell’interesse degli associati che la FIESA ha scelto di far parte del Polo Agire: «L’associazionismo tra le imprese è sicuramente un’azione strategica che permette di razionalizzare tutte le azioni di mercato. Pertanto, l’aggregazione di aziende nel contesto del Polo Agroalimentare consente di generare esternalità positive tali per cui ciascun associato, in funzione della propria mission, può servirsi di un pacchetto di servizi ad elevato contenuto specialistico, con la possibilità di utilizzare le innovazioni immediatamente “cantierabili”,ovvero già oggetto di sperimentazione da parte degli Organismi di ricerca aderenti al Polo, oltre all’opportunità di aderire a futuri progetti di ricerca e di beneficiare delle politiche di marketing territoriale, comunicazione e logistica attuate a beneficio del tessuto imprenditoriale del sistema».
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Peltuinum
una tradizione Una cultura, quella dello Zafferano, che l’azienda di Pier Paolo Visione diffonde in tutto il mondo. Un’arte che da millenni si tramanda di generazione in generazione insieme all’amore per la terra e per le cose buone della natura PELTUINUM Srl L’antica azienda agricola Peltuinum srl produce, selezione e confeziona lo zafferano de L’Aquila, secondo i canoni di un’arte che si tramanda di generazione in generazione da secoli. Via Peltuino, 19 67020 - Prata d’Ansidonia (AQ) Tel. +39086262413 www.peltuinum.it info@peltuinum.it
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o Zafferano: una cultura, molto più che semplice “agricoltura”. Quello di Navelli, poi, è il più famoso nel mondo: registrato all’Albo Nazionale dei Sementi come Crocus Sativus L. cv Piano di Navelli – L’Aquila, consigliato in innumerevoli ricette, ricercato dai gourmet di tutto il mondo è stato citato perfino da un celebre film di animazione Disney, Ratatouille, tra i più grandi successi degli ultimi anni. «Lo Zafferano è emozione, esperienza, impegno ed esclusività oltre che bontà per il palato, calore per la vista e benessere per il corpo» spiega Pier Paolo Visione, amministratore unico della Peltuinum, azienda che dal 2000 produce e confeziona Zafferano dell’Aquila a Prata D’Ansidonia, in provincia dell’Aquila, sulla Piana di Navelli. «Prima di tutto bisogna capire perché lo Zafferano dell’Aquila sia così diverso dagli altri in commercio» spiega con entusiasmo Pier Paolo Visione. «La principale caratteristica che distingue e rende unico lo Zafferano dell’Aquila da tutti gli altri è che solo quello dell’Aquila viene coltivato da più di 700 anni con la tecnica della produzione annuale che si distingue da quella utilizzata in tutto il resto del mondo che è la tecnica po-
liennale. In parole povere, questa tecnica consiste nel selezionare e reimpiantare nel mese di agosto di ogni anno solo i migliori bulbi. Ciò è stato fatto per 700 anni rendendo la specie dello Zafferano dell’Aquila una specie superiore grazie alla selezione replicata negli anni. In altri posti lo zafferano non viene selezionato e si raccolgono solo i fiori con un risparmio in termini di risorse economiche ma con una perdita in termini di qualità». Lo Zafferano dell’Aquila, pertanto, si caratterizza per la lunghezza degli stimmi, per l’alto contenuto in safranale che ne determina il potere aromatico, nonché per l’elevato potere colorante e per le maggiori dimensioni dei bulbo-tuberi. «La nostra mission –spiega Visione– è quella di mantenere vive nel tempo queste caratteristiche senza compromessi in termini di quantità e di crescita nel breve periodo. Per far ciò è necessario guardare e pianificare nel lungo periodo e nel nostro caso siamo agevolati dal fatto di essere un’azienda a conduzione familiare». Oggi, in un contesto globale sempre più competitivo, «la sfida –prosegue Visione– è quella di coniugare la tradizione di una spezia antica con le nuove frontiere della biotecnologia. In questo senso la Peltuinum sta investen-
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tradizione da coltivare do in ricerca e sviluppo grazie ad accordi e collaborazioni con università di tutto il mondo ed in particolare con l’Università dell’Aquila che vanta dei gruppi di ricerca stimati in tutto il mondo per lo studio dello Zafferano. Il risultato del processo innovativo è il “lifestyle Peltuinum”. I nostri valori sono rimasti sempre gli stessi nella volontà di accompagnare i nostri clienti nell’esperienza culinaria e curativa per il corpo dello Zafferano dell’Aquila. Oggi e sempre di più in futuro la Peltuinum vuole creare momenti di felicità, a tavola e nella vita di tutti i giorni grazie a prodotti di alta qualità per clienti che cercano e valorizzano le proprie esperienze culinarie». Fin dall’inizio della sua attività la Peltuinum è diventata un punto di riferimento per numerose famiglie della Piana di Navelli, produttrici di Zafferano dell’Aquila, le quali venivano e vengono tutt’oggi accompagnate nella produzione di qualità dello Zafferano cercando di privilegiare aspetti di qualità piuttosto che rese quantitative. «Nessuno, qui intorno, ha estese coltivazioni di Zafferano –spiega Visione– e del resto, storicamente, non c’è mai stato un solo grande produttore, ma tante famiglie con piccoli appezzamenti, che riescono a tirar su dai 250 ai
400 grammi di Zafferano ciascuna. A noi interessa che il prodotto sia di qualità, quindi premiamo l’attenzione che le famiglie conferitrici prestano al fattore qualitativo. Sono partner strategici della nostra azienda» E anche la famiglia di Pier Paolo Visione faceva parte di quei microproduttori, fino a poco tempo fa: «La formalizzazione di un nostro business con il marchio Peltuinum e con un packaging innovativo e funzionale per servire alcune nicchie particolari di clienti attenti alla qualità è avvenuta nel 2000 prima con la nascita della ditta individuale Peltuinum Antica Azienda Agricola e successivamente con la nascita nel 2009 della Peltuinum Srl, di cui oggi sono titolari mia moglie, Linda Giuseppina Giordani e mio figlio Remo». Lo Zafferano prodotto dall’Antica Azienda Agricola Peltuinum è confezionato sia in stimmi che in polvere. Le confezioni sono da 5, 1 e 0,3 grammi oltre a confezioni in barattoli da 50 e 100 grammi per clienti della ristorazione. La distribuzione in tutto il mondo è effettuata direttamente dalla stessa azienda attraverso il sito internet www.peltuinum.it, ma è possibile trovare lo Zafferano Peltuinum anche in negozi qualificati
del settore e gastronomie. Certamente uno sforzo notevole per l’azienda, alla quale non sarebbe sgradito un aiuto da parte istituzionale. Ma, come evidenziato anche in un recente convegno a Francavilla proprio sul mondo dello Zafferano e sui suoi storici produttori, dai palazzi di governo giungono solo promesse. «La decisione di aderire alla Società Consortile Agire –precisa Visione– si è basata sulla consapevolezza che per competere su un mercato globale sempre più competitivo, ferma restando la necessità di basare la propria strategia di mercato sulla qualità riconosciuta dai clienti nei propri prodotti senza sperare e aspettarsi di poter competere grazie a dei finanziamenti pubblici, è necessario condividere e fare squadra con tutte le altre eccellenze del settore agroalimentare abruzzese per ridurre alcuni costi fissi presenti in tutti i business, grazie ad economie di scala gestite per tutti da persone e professionalità competenti presenti all’interno del Polo oltre ad usufruire di alcune economie di rete che si possono creare grazie all’incontro di varie aziende all’interno dello stesso Consorzio». •Nelle foto: Pier Paolo Visione e i prodotti dell’azienda
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LE AZIENDE DEL POLO AGIRE • Abruzzo Vini srl • Agriverde Srl • Ali d’Oro Srl • API Pescara - Chieti • Associazione Italiana Sommeliers Abruzzo • Associazione Marsicana Produttori di Patate • Associazione Produttori Zootecnici d’Abruzzo scrl • Associazione Regionale Allevatori d’Abruzzo • Associazione Regionale Terranostra Abruzzo • Astra srl • Aziend’UP srl • Azienda Agricola Angelucci Srl • Azienda Agricola Battaglia Roberto • Azienda Agricola Chiusa Grande di D’Eusanio Franco • Azienda Agricola Di Francesco Mirko • Azienda Agricola Di Giorgio Antonio • Azienda Agricola Giacomo Santoleri • Azienda Agricola Il Bosco degli Ulivi di Pracilio Vittoriano • Azienda Agricola La Sorgente di Remartello di Carota Luigi • Azienda Agricola Masciarelli Sas di Masciarelli M. & C. • Azienda Agricola Sichetti Nicola Antonio • Azienda Agricola Sissa Catuscia • Azienda Agricola Thai Farm di Meepanya La Ongdao • Azienda Marramiero srl • Azienda Vinicola F.lli De Luca Srl • Bellizzi 1906 Srl • C.A.D.A. - Consorzio Agrario d’Abruzzo • C.N.A. - Confederazione Nazionale Artigianato • Cacao s.r.l. • Carlo e Gianfranco Iubatti & C sas • Casal Thaulero
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• CIA Abruzzo - Confederazione Italiana Agricoltori • CIPAT Abruzzo • CITRA VINI - Consorzio Coop. Riunite d’Abruzzo • CO.VAL.PA. - Abruzzo Soc. Coop. Agricola • COLDIRETTI Abruzzo - Fed.ne Reg.le Coltivatori Diretti • Confcooperative Abruzzo • CONFINDUSTRIA TERAMO – Unione degli Industriali della Provincia • Consorzio DEP (Distretto Economico Produttivo) Abruzzo • Consorzio di Tutela Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane • Consorzio Patto Territoriale della Marsica • Consorzio per la Divulgazione e Sperimentazione delle Tecniche Irrigue CO.T.IR. S.R.L. • CRAB - Consorzio Ricerche Applicate alla Biotecnologia • D&D CORPORATION S.R.L. • Dedinvest srl (già Agriverde srl) • Delverde Industrie Alimentari SpA • Eat Arte s.r.l. • EDF S.R.L. • Eurobic Abruzzo e Molise SpA • Federazione Italiana Esercenti Specialisti dell’Alimentazione - FIESA Regionale d’Abruzzo • F.lli De Cecco di Filippo di Filippo SpA • Frantoio Montecchia di Montecchia Gennaro & C • GAL Terre Aquilane Srl • Galeno RP S.r.l. • Gelco srl • Gesco Consorzio Cooperativo Soc. Coop. Agricola • Gexma Srl • Hotel Villa Elena di Buonasorte Maria • Ico srl Industria cartone ondulato
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• Impresabruzzo Srl • Industrie Riunite Confetti William Di Carlo srl • Industrie Rolli Alimentari SpA • ISTEMA Group sas di Franco Esposito & C. • Ist. Zooprofilattico Sper.le Abruzzo e Molise “G. Caporale” • L.G. International Srl • Le Virtù d’Abruzzo S.r.l. • Luigi D’Amico Parrozzo sas • MATER FOOD srl • Metron Srl • MoDiv s.n.c. • Molino F.lli Candelori s.n.c. • Nepa Florindo Packaging srl • Novatec Srl • Oleificio La selva d’Abruzzo snc • Oleificio Matalucci Ortenzia • Outsourcing Group srl • Partner Srl • v Srl • Prodotti Alimentari Fioravanti & C srl • Reginella d’Abruzzo srl • Rustichella d’Abruzzo SpA • S.Ole.M A. snc • SAF ALLESTIMENTI srl • Siros - Sistemi Sas di R. Di Gianfilippo&C. • Soc. Agricola Pasetti s.s. di Domenico Pasetti • Società Agricola Anfra • Società Agricola Colle d’oro s.s. • Società Agricola Fattoria Nora S.S. • Tenuta Strappelli di Strappelli Guido • Terre dei Peligni Soc. Cons. Coop. a r.l. • Testingpoint 10 srl • Torrefazione Adriatica Spa • Università degli Studi dell’Aquila • Università degli Studi di Teramo • Victoria di Vittoria Travia sas • Vision Device srl
P.O. FESR Abruzzo 2007-2013. Attività I.1.2. Approvato con D.D. n. DI9/55 del 08/08/2011 P.O. FESR Abruzzo 2007-2013. Attività I.1.2. Approvato con D.D. n. DI9/55 del 08/08/2011 03/12/13 10:41