maggio/giugno 2014
RICOSTRUZIONE L’aquila anno quinto VALAGRO LA SCIENZA AL SERVIZIO DELLA TERRA
Web e vecchi merletti The Babbionz
Sped. abb. postale Art.1 comma 1353/03 aut. n°12/87 25/11/87 Pescara CMP
maggio/giugno 2014 n.84 • € 4.50
Il ristorante della famiglia Spadone
La Bandiera della cucina abruzzese De Cecco Il grano che conquista / Ursini Così semplici, così buoni 84
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maggio - giugno 2014
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Rubrica BreVario
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Ricostruzione L’Aquila anno quinto
in copertina: The Babbionz
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Personaggi The Babbionz
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Personaggi Ada Di Vincenzo
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Aziende Valagro
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Associazioni Marco Di Martino
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Aziende Golf Club Miglianico
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Ribalta
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VarioART Giovani da collezione/Andrea Tattoni/Francesco D’Incecco/
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Mostre Casa di Dante/Cecilia Falasca/Max Mandel/Alberto Sironi/Sandra
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Arte Marino Melarangelo/Gaetano Paloscia
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Letteratura Marco Tornar
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Libri
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Cinema & Tv
Michela Di Lanzo/Millo
Sfodera/Franco Durelli/Simone Cerio/Lucilla Candeloro/Impressionisti danesi in Abruzzo
VARIOGUSTO
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Ristorazione La
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De Cecco I
Grani, prodotto dell’anno
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Ursini Così
semplici, così buoni
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Speciale Polo AGIRE Uomo e galantuomo Bda - Izsam - Dolci e Delizie - Gelco - Astra - Partner - Angelucci - Amadori - Cna Teramo Cykel - Ara - La selva d’Abruzzo - Dep Abruzzo - Cadam - Az.Agr. Sichetti
Bandiera
Direttore Responsabile Claudio Carella Redazione Fabrizio Gentile (testi), Enzo Alimonti (grafica) Hanno collaborato a questo numero Annamaria Cirillo, Anna Cutilli, Giorgio D’Orazio, Francesco Di Vincenzo, Daniela Peca, Marco Tornar
Stampa, fotolito e allestimento AGP - Arti Grafiche Picene - Via della Bonifica, 26 Maltignano (AP) Claudio Carella Editore Aut. Trib. di Pescara n.12/87 del 25/11/87 Rivista associata all’Unione Stampa Periodica Italiana Redazione: Via Puccini, 85/2 Pescara Tel. 08527132 - redazione@vario.it
www.vario.it
BREVario il vino di emidio pepe, da bastianich a WALL STREET Un vino a Wall Street. E non si trattava certo di un vino qualunque, ma di un pregiatissimo Montepulciano di Emidio Pepe del 1964: una bottiglia autografata dallo stesso storico viticoltore abruzzese, che è stata battuta all’asta dal presidente della New York Stock Exchange, Duncan Niederauer, e comprata da un broker newyorkese per 4.100 dollari. È iniziata così la grande festa per i 50 anni della cantina Pepe, la più biologica e biodinamica d’Abruzzo, dove oltre al titolare,
oggi 82enne dall’invidiabile forma, lavorano anche la figlia Sofia e la giovane nipote Chiara, responsabile marketing e vendite estero della Cantina. È stata lei a illustrare ai broker di Wall Street la storia americana del Montepulciano Pepe, presente in città da 33 anni: “Fu la signora Lidia Bastianich a servire per prima agli americani il Montepulciano di mio nonno nel suo ristorante italiano a Manhattan. Ora i nostri vini sono nei più famosi e stellati ristoranti di New York, Wa-
shington, Las Vegas e Los Angeles”. Da Wall Street i festeggiamenti sono proseguiti al ristorante Del Posto, dove è stato presentata ai giornalisti americani la versione inglese del libro di Sandro Sangiorgi Emidio Pepe, the man and his wines, (in italiano Manteniamoci giovani). Gentile e sorridente, Emidio Pepe ha partecipato con entusiasmo al party in suo onore, commentando: “Penso già alla vendemmia 2014, quest’anno ha piovuto tanto”. George Spoltore
• Qui sopra le tre generazioni della famiglia Pepe: Sofia, Emidio e Chiara. Sotto: il tipico costume scannese, l’Istituto Zooprofilattico di Teramo e una veduta di Roccaraso
IL COSTUME IN FESTA Il vestito più famoso d’Abruzzo, quello delle donne scannesi, è il protagonista della singolare rassegna dedicata al costume muliebre, giunta all’ ottava edizione e programmata dal 25 aprile al 4 maggio nel Comune montano. Il tema scelto quest’anno è “Il nostro territorio” con due importanti novità: una collettiva di fotoamatori locali e la presentazione di una nuova iniziativa estiva.
Per tutto il periodo Scanno sarà animata da mostre, proiezioni e tavole rotonde a tema, riproduzioni di quadri di vita scannese che vedono le giovani e meno giovani prima partecipare al rito della vestizione del ricco ed austero costume, poi sfilare per le vie del borgo antico sotto l’obiettivo dei numerosi fotografi che per l’occasione si danno appuntamento a Scanno.
IZSAM, la ricerca in mostra
ROCCARASO AL TOP
Gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali italiani, e quindi anche l’Istituto G. Caporale di Teramo, hanno partecipato alla manifestazione “Gli Stati Generali della Salute” svoltasi a Roma all’Auditorium “Parco della Musica” l’8 e il 9 aprile scorsi. La rete degli Istituti Zooprofilattici italiani ha presentato all’interno del percorso della Ricerca italiana uno spazio tematico dedicato all’eccellenza prodotta nei propri laboratori. La ricerca applicata in sanità pubblica veterinaria è la chiave scelta per rappresentare l’attività degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali italiani nel loro quotidiano impegno a tutela della salute del cittadino attraverso la sicurezza degli alimenti e la salute degli animali che li producono. La ricerca assume un ruolo strategico nello sviluppo di politiche di prevenzione attraverso la pianificazione dei controlli basati sulla valutazione dei rischi reali per la sanità animale e la salute pubblica. La ricerca per gli Istituti Zooprofilattici è una missione consapevole, un impegno costante verso il progresso sanitario, un valore aggiunto anche per l’economia nel settore produttivo e del comparto agroalimentare in Italia. La manifestazione è stata occasione di confronto e di dibattito tra le istituzioni, gli enti, le imprese e gli operatori pubblici e privati della sanità italiana sulle tematiche più urgenti e attuali nel campo sanitario.
Roccaraso riceve la targa “Top rated”: così il sito Paesionline.it premia la località come una delle migliori destinazioni di montagna e l’Amministrazione condivide l’importante risultato con tutta la comunità. Anche l’Istituto Alberghiero di Roccaraso condivide la giusta soddisfazione per il riconoscimento, che premia una località sciistica soprattutto per la qualità dei servizi di accoglienza turistica, alla quale la presenza storica della scuola ha sempre contribuito non solo grazie all’elevato tenore dell’offerta formativa, ma anche attraverso i progetti promossi di alternanza scuola-lavoro che hanno promosso una costante osmosi tra i qualificatissimi studenti dell’Alberghiero e le strutture sul territorio. Se non bastassero le stelle e i riconoscimenti ricevuti da tanti ex-studenti che danno lustro all’Istituto, il premio riconosciuto a Roccaraso questa è un’ulteriore dimostrazione anche della professionalità dei ragazzi e delle ragazze dell’Alberghiero, che richiama studenti non solo dall’Abruzzo ma da tutte le Regioni confinanti proprio per l’alta qualità degli insegnamenti e per le opportunità di formazione sul campo e non solo in aula. Una formazione che offre al territorio personale preparato e competente, affidabile, con elasticità di impiego a chiamata, e che da sempre arricchisce con il suo entusiasmo la qualità dell’offerta turistica di Roccaraso, contribuendo al suo successo internazionale.
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L’Aquila
Restauro e recupero di un edificio direzionale danneggiato dal sisma del 2009
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BREVario L’Abruzzo STRAVINCE AL VINITALY
LA QUAGLIERA BRILLA al SOL
È stato positivo anche quest’anno l’andamento del vino abruzzese a Vinitaly. A Verona infatti se Luigi Cataldi Madonna ha lanciato il Cataldino, un rosato a fermentazione spontanea con soli 11,5 gradi alcolici, Marina Cvetic ha presentato la nuova linea “Gianni Masciarelli”, mentre Feudo Antico ha stappato il Tullum Dop Spumante Brut Metodo Classico delle colline teatine ed Emidio
Dall’Abruzzo del vino a quello dell’olio di qualità: a Verona il Sol&Agrifood ha premiato i produttori abruzzesi registrando il successo di Prisca Montani che con la sua azienda di Spoltore “La Quagliera” si è aggiudicata il primo posto del concorso internazionale Sol d’Oro con l’extravergine da varietà Dritta e ha poi ricevuto le 3 foglie tra gli Oli d’Italia del Gambero Rosso con la particolare varietà “Cucco”. Sul podio è salito anche, al terzo posto, un altro produttore locale, l’azienda agricola di Guardiagrele “Trappeto di Caprafico” di Tommaso Masciantonio, con un olio da varietà Intosso, un premio che si aggiunge ai tanti ottenuti da Masciantonio che tra l’altro ha vinto al concorso nazionale “Ercole olivario” di Spoleto il secondo posto con la Dop Colline teatine, oltre alla menzione speciale come miglior olio biologico. La chicca da ricordare è il cioccolatino all’Olio extravergine di oliva abruzzese dello chef pluristellato Davide Oldani che a Vinitaly ha aggiunto a questa idea il nuovo cioccolatino al Montepulciano d’Abruzzo.
Pepe ha festeggiato le sue 50 vendemmie con la Medaglia di Cangrande quale “Benemerito della vitivinicoltura italiana 2014”. Sono 5 inoltre i riconoscimenti conquistati dagli abruzzesi al 21° Concorso Enologico Internazionale, con la gran medaglia d’oro attribuita al Pecorino Igp Terre di Chieti “Civitas” 2012 della Cantina Orsogna che ha ottenuto anche la medaglia d’oro per il Cerasuolo Doc “Mallorio” del 2013. Medaglia d’argento invece per il Cerasuolo d’Abruzzo Doc “Contesa” 2013 e premio speciale per la denominazione d’origine al Montepulciano d’Abruzzo Dop “Murelle”, firmato dalla Cantina Miglianico con la vendemmia 2012, che ha riportato a casa anche una medaglia di bronzo.
CIBUS: L’IMPORTANTE? È LA PASTA Una kermesse importante come Cibus 2014, una delle maggiori fiere europee dell’alimentare svoltasi a Parma, non poteva dimenticare la pasta tra i protagonisti, una punta d’orgoglio del food made in Italy che gli abruzzesi De Cecco, Delverde, Rustichella, Bioalimenta e altri hanno presentato con diverse novità. In particolare il colosso premium De Cecco di Fara San Martino, con l’occasione ha tenuto a ribadire la presenza storica dell’Abruzzo nel mondo della pasta annunciando il lancio degli “Spaghettoni quadrati”, un nuovo formato ispirato alla pasta alla “chitarra” della storia alimentare regionale: forse una risposta alla trovata dello “spaghetto quadrato” di altre aziende di fuori regione. L’argomento ha scatenato subito alcune polemiche ma per l’Abruzzo De Cecco ha rivendicato la paternità del formato di pasta lunga a sezione quadrata, ricordando anche che nel proprio catalogo prodotti l’azienda farese del 1886 vanta già tre tipi di pasta lunga a sezione quadrata: i maccheroni alla chitarra, di semola e all’uovo, e la chitarrina abruzzese all’uovo.
L’EXTRAVERGINE CHE FA BENE ALLA SALUTE “Nutraceutico” è un termine che fonde in sé nutrizione e farmaceutica, e si applica a quegli alimenti che hanno effetti positivi sulla salute umana. A questa categoria appartiene Olife, il primo olio nutraceutico d’Italia, realizzato dalla celebre azienda Ursini di Fossacesia. «Si tratta un alimento salutare –ha spiegato Peppino Ursini– che associa a componenti nutrizionali selezionate le proprietà curative di principi attivi naturali di comprovata e riconosciuta efficacia e che sarà commercializzato nel cir-
cuito farmaceutico». Partner scientifico dell’azienda, in questo specifico ambito, è stata la Fondazione Mario Negri Sud di Santa Maria Imbaro. Tommaso Pagliani, Responsabile del Centro di Scienze Ambientali della Fondazione, spiega: «Olife è il primo olio extravergine di oliva naturalmente nutraceutico e dalle proprietà antiossidanti. Il Regolamento UE 432/2012 (in vigore da dicembre 2012) relativo alla compilazione di un elenco di indicazioni sulla salute consentite sui prodotti alimentari
stabilisce che “I polifenoli dell’olio di oliva contribuiscono alla protezione dei lipidi ematici dallo stress ossidativo”. Questo vanto salutistico o indicazione può essere impiegata solo per l’olio d’oliva che contiene almeno 5 mg di idrossitirosolo e suoi derivati per 20 g di olio d’oliva. L’effetto benefico si ottiene con l’assunzione giornaliera di 20 g di olio d’oliva. Inoltre Olife è fonte di Vitamina E, che contribuisce alla protezione delle cellule dallo stress ossidativo».
• Dall’alto: Andrea Di Fabio con Gaudenzio D’Angelo durante la presentazione dello spumante Tullum Dop; Giuseppe Micozzi, presidente della Cantina Orsogna; Prisca Montani col figlio Francesco Consoli al Sol 2014; la pasta De Cecco; il nuovo olio Olife di Ursini
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BREVario GRAN SASSO ANNO ZERO
SULLE SPIAGGE CON L’OPEN VOUCHER
In un Auditorium del Parco strapieno è stato presentato lo scorso marzo alla città dell’Aquila “Gran Sasso Anno Zero”. Il progetto, promosso da diversi operatori della montagna, professionisti, associazioni e appassionati, nasce dall’amore per il Gran Sasso e per l’intero comprensorio aquilano, dall’esperienza di chi da anni si dedica alla montagna in modo professionale e dalla consapevolezza di come la gestione del Centro Turistico del Gran Sasso (CTGS) necessiti di un sostanziale sostegno. L’idea è quella di lavorare insieme, pur rispettando i diversi ambiti, con lo scopo di rilanciare il Gran Sasso e la montagna come fulcro dello sviluppo turistico sostenibile del comprensorio. Oltre alla valorizzazione turistica, si vuole ricostruire e rafforzare il rapporto tra la città e la montagna. Infatti, solo attraverso
Biglietto unico per nove località: questa la formula studiata dalla Fab-Cna Abruzzo, l’associazione delle imprese del turismo costiero, per facilitare gli spostamenti dei turisti e l’accesso alle spiagge durante il periodo estivo. «Cambiano le abitudini del turismo e l’offerta deve adeguarsi –spiega il segretario regionale della Fab-Cna, Cristiano
e sdraio fermi alle tariffe dell’anno passato, la facoltà di muoversi liberamente sul litorale abruzzese». Nove le località (Martinsicuro, Alba Adriatica, Pineto, Silvi, Montesilvano, Pescara, Francavilla, Casalbordino e Vasto) interessate dall’iniziativa “Open voucher”, già sperimentata con riscontri positivi in Romagna, in cui il turista potrà servirsi delle
una rinnovata cultura della montagna la città tornerà a vivere il Gran Sasso come bene dell’intera comunità, dal punto di vista sociale, ambientale ed economico. Presenti, tra gli altri, anche il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente e il presidente del CTGS Umberto Beomonte Zobel, entrambi entusiasti intenzionati a sostenere “Gran Sasso Anno Zero” attraverso una parte dei 15 milioni che il Governo ha stanziato per lo sviluppo del Gran Sasso. Infatti, nonostante la complessità e la ricchezza della proposta, il progetto ha un costo di avviamento triennale di appena 444mila euro. Inoltre, buona parte dei costi previsti per alcune attività sarebbero già inclusi nel piano industriale del CTGS. Il Sindaco, rispondendo alle domande dei relatori, ha promesso il finanziamento totale del progetto e l’apertura di un tavolo tecnico, che avrà luogo dopo l’approvazione del piano industriale del CTGS da parte del consiglio comunale. Per informazioni: gransassoannozero@gmail.com.
Tomei– in questo modo il cliente di una struttura turistica potrà scegliere di spostarsi da una località all’altra, scegliendo tra i vari stabilimenti che aderiscono all’iniziativa. Un modo per offrire ai bagnanti, senza complicazioni burocratiche, e mantenendo i costi di ombrelloni
strutture convenzionate. Il biglietto potrà essere ritirato presso lo stabilimento stesso o attraverso l’agenzia di viaggi di riferimento.
di secondo punto più elevato della rete FS dopo la stazione di Brennero. Tutte le informazioni, gli orari
dei treni storici e le modalità di partecipazione all’evento su: www.fondazionefs.it
• A sinistra il Gran Sasso; qui sopra una spiaggia abruzzese. Qui sotto--un tratto della Ferrovia del Parco
RINASCE LA TRANSIBERIANA D’ITALIA Lo slow food sposa lo slow tour per un evento storico. Di certo non saranno gli appassionati della velocità quelli che il 17 e 18 maggio saliranno a bordo dei treni d’epoca che percorreranno, dopo anni di inattività, i binari della Ferrovia del Parco, la Sulmona-Castel di Sangro, chiamata per la varietà di climi e vegetazione che attraversa nei suoi 76 chilometri “La Transiberiana d’Italia”. L’iniziativa si deve all’opera della Fondazione FS Italiane, che contemporaneamente ripristinerà altre tre tratte storiche italiane (in Sicilia, Toscana e Lombardia). Lungo il percorso dalla città di Ovidio fino a Castel di Sangro si terranno anche diverse manifestazioni nelle stazio-
ni attraversate, con la degustazione di prodotti tipici locali tra il verde intensissimo e i panorami mozzafiato delle montagne abruzzesi. Considerata un autentico capolavoro dell’ingegneria ferroviaria italiana, la Ferrovia del Parco fu aperta nel 1892 e subì pesanti danni durante il secondo conflitto mondiale, tanto che il suo ripristino si concluse solo nel 1960. Dai 350 metri di Sulmona, il binario conduce, in solo 25 Km di percorso, ai 950 metri di Cansano per poi attraversare il Parco nazionale della Maiella verso Roccaraso. A Rivisondoli-Pescocostanzo si raggiungono i 1.268 metri conferendo all’amena stazioncina, prossima all’altopiano, il primato
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Ricostruzione anno quinto
All’Aquila crescono
le gru
Si moltiplicano come nidi i cantieri edili e quelli per la rinascita dell’identità sociale e culturale dei cittadini di Fabrizio Gentile
• La famiglia Vittorini nella fotografia di Roberto Grillo che è diventata il simbolo della tragedia aquilana
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ltre 300 cantieri attivati nel centro storico dell’Aquila e 1.500 nelle zone periferiche; più di 11.500 addetti in campo e 1.400 imprese impegnate negli interventi edilizi. Nei comuni del cratere (54) sono 662 i cantieri nelle periferie e 138 quelli nei centri storici. Numeri che oggi, a cinque anni dal sisma, si aggiungono a quelli permeati di tristezza (309 vittime, 67mila sfollati) che tutti conosciamo, e che hanno finora caratterizzato quel 6 aprile del 2009 in cui una scossa di magnitudo Richter 5.8 durata 23 secondi ha inflitto una delle più gravi ferite al territorio e alla popolazione abruzzese che questa regione ricordi. Qualcosa, dunque, sul fronte della ricostruzione si muove: il 10% dei cantieri attivi nel centro storico dell’Aquila e il 60% in periferia sono certamente una goccia nel mare, anzi nel cratere: ma è il segno che una pur debole ripartenza è avviata. L’imprenditoria, l’edilizia, reduce dal quarto Salone della Ricostruzione appena conclusosi, “guarda con fiducia al 2015”, come dicono gli organizzatori. Ma sono stati 1.445 i giorni trascorsi prima dell’apertura del primo cantiere nel centro storico dell’Aquila: quattro anni durante i quali gli aquilani si sono confrontati con il vuoto. Un vuoto fisico, quello del centro storico, e uno spirituale, quello lasciato da chi è scomparso, da ciò che si è perduto e che non tornerà. Questo vuoto, lasciando da parte le responsabilità, è ciò che oggi si cerca di riempire, di colmare. Una città, si sa, è fatta dagli edifici, ma soprattutto dai cittadini che la vivono: è determinante quindi
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ricostruire materialmente gli edifici, ma soprattutto ridare vita all’identità aquilana, fatta di storia, tradizione e cultura. La ricostruzione dunque viaggia a due velocità: perché le ferite inferte alla città si chiudono con le ruspe e il cemento, mentre quelle spirituali bruciano ancora oggi e non si rimarginano.
Roberto Grillo «Dal terremoto non si guarisce», dice Roberto Grillo, fotografo aquilano. «Me lo hanno detto i terremotati dell’Irpinia e anche quelli dell’Umbria, e ora posso dirlo anche io. È un evento che ti segna a vita, una malattia cronica che non prevede guarigione. Questo gli aquilani lo sanno». Grillo, reduce da una mostra a Roma, nel complesso del Vittoriano la scorsa estate, è intervenuto in collegamento da Piazza Duomo a “Che tempo che fa” proprio in occasione dell’anniversario del sisma, lo scorso 6 aprile, per raccontare la situazione della città. «Siamo tutti consapevoli della necessità primaria di restituire una casa a chi non ce l’ha, ma la risoluzione dell’emergenza dal punto di vista materiale non ha contemplato l’aspetto morale: le “case di Berlusconi” sono dei ghetti, dei dormitori, privi di qualsiasi punto di aggregazione, dal negozio di prossimità allo spazio culturale. Hanno allontanato ancor di più i cittadini dal centro storico e dalla loro vita precedente, segnando un “prima” e un “dopo” e accentuando la condizione di “assenza”, di perdita». Ed è un peccato, prosegue, «perché ho sperimentato direttamente la grande
• Il regista Stefano Odoardi con l’attrice Angelique Cavallari durante le riprese del film Mancanza-Inferno, girato nel capoluogo aquilano
effervescenza culturale che si respira qui all’Aquila: c’è un’attenzione, un desiderio di vivere, di sopravvivere, che sfugge a tutto l’estabilishment politico. A una mia mostra sono venute 23mila persone, un mio collega fotografo ha avuto 5mila visitatori in una settimana. Cifre impensabili anche in una città come Roma o, per restare sul territorio, a Pescara. L’Aquila è una città di grande cultura, è nel nostro dna. E nel momento più tragico della nostra esistenza, questo viene fuori. Noi siamo meno vivi degli altri, e la partecipazione a un evento culturale ci fa sentire più vivi». Roberto è anche l’autore di quello che può essere considerato lo scatto simbolo della tragedia, realizzato nel 2013 dopo un anno e mezzo di dubbi e diffuso su Facebook lo scorso 6 febbraio. «Nella foto, in una prospettiva perpendicolare dall’alto, si vedono Vincenzo Vittorini e suo figlio, in mezzo a ciò che resta della loro casa dove hanno perso la vita la moglie e la figlia di Vincenzo insieme ad altre 27 persone. Sono seduti su reti posizionate nel punto dove si trovavano i letti, lui accarezza la vestaglia della moglie, mentre su un altro letto è disposto il pigiamino della figlia. Dopo tre anni dal terremoto, avevo la sensazione che si stesse perdendo il ricordo di quelle 309 persone scomparse, e ho chiesto al mio amico Vincenzo di poter realizzare questo scatto. Ho avuto grosse difficoltà nel realizzarlo, ma volevo testimoniare il fatto che si potrà ricostruire tutto, ma non si potrà colmare il vuoto lasciato da quelle vittime, certe macerie non saranno mai rimosse».
STEFANO ODOARDI Perdita, mancanza. Parole che non lasciano scampo, che hanno in sé il senso dell’ineluttabilità, di qualcosa che è “per sempre”, definitivo. Stefano Odoardi, regista abruzzese da anni trasferitosi in Olanda, ha finito da pochi mesi le riprese del suo ultimo film, progettato come prima parte di una trilogia, dall’emblematico titolo “Mancanza - Inferno”, altrettanto emblematicamente girato a L’Aquila. «Avevo cominciato a pensare a Mancanza –spiega il regista– già nel 2008. Volevo sperimentare un modo diverso di fare cinema, senza sceneggiatura, con attori non professionisti: una situazione in cui io stesso come autore mi ponevo in un contesto pieno di dubbi, mi privavo di punti di riferimento. Una mia personale ricerca sul vuoto, e su come l’essere umano cerchi di riempire questo vuoto attraverso la vita. Poi è venuta l’idea della trilogia suddivisa secondo mondi immaginari –Inferno, Purgatorio e Paradiso– e contemporaneamente c’è stato il terremoto. Sono andato a L’Aquila, dove ho ambientato parte del mio precedente film Una ballata bianca e dove ho molti amici, e frequentandoli ho toccato con mano la tragedia, mi sono ritrovato in una situazione surreale, per certi versi indescrivibile. Sono stato quasi “costretto” a girare il film lì, non potevo trovare una situazione più calzante: L’Aquila era diventato un inferno contemporaneo». Quel che è terribile secondo Odoardi è che «a tre anni di distanza dal terremoto, che è un evento naturale e imprevedibile, non era ancora stato fatto
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• Un cantiere aperto nel centro storico dell’Aquila
nulla. Quando accade una tragedia si inizia subito a guardare avanti, e questo consente l’elaborazione del lutto. Agli aquilani questo è stato negato: per anni sono stati lasciati nel vuoto, a confrontarsi con un vuoto che riempiva le loro anime. Sono stati privati della speranza, di una visione, il tutto per renderli manipolabili. L’uomo ha completato l’opera distruttrice del terremoto. È stato creato un vuoto all’interno di una città, e quel vuoto dura da cinque anni. Secondo me per loro il tempo è come se si fosse fermato alle 3,32 di quel 6 aprile. Ed è un peccato, perché in un mese e mezzo di riprese io ho percepito tra i giovani dell’Aquila una vitalità e una creatività che non riscontro altrove. Quello che è stato terreno di prova, laboratorio per la negazione della speranza, in mano ai giovani sarebbe stato un centro di creatività incredibile». Senz’altro complesso e a tratti onirico, com’è nella cifra stilistica del regista, il film di Odoardi si chiude con un chiaro messaggio di speranza. «Più che di speranza parlerei di visione; ciò che è mancato agli aquilani è proprio questo: una visione. La possibilità stessa di una visione gli è stata negata, e il film dimostra che il potere dell’immaginazione è quello che rende possibili cose che apparentemente non sono possibili».
ALESSANDRO CHIAPPANUVOLI Lo stesso concetto è stato espresso da un giovane scrittore aquilano, Alessandro Chiappanuvoli, intervenuto proprio il 6 aprile scorso a Bagnacavallo nell’ambito del convegno “Un paese”. La manifestazione, che ospitava venti scrittori italiani, era volta a sottolineare il ruolo centrale della cultura nella rinascita di una società distrutta. “Come nel dopoguerra –si legge nel comunicato dell’evento– anche se in modalità differenti, anche oggi un Paese ridotto in macerie va ricostruito: in quel contesto sociale e politico, in un periodo di enormi
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trasformazioni storiche, economiche e tecnologiche –analoghe, per portata ed impatto sulla vita individuale e collettiva, a quelle attuali– la letteratura e la cultura in generale hanno assolto una funzione determinante”. «Non solo all’Aquila, il bisogno di ricostruzione è generalizzato» ha detto lo scrittore aquilano nel suo intervento. «Ricostruzione morale prima ancora che materiale, del tessuto sociale, insomma. E non è seguendo la logica del “dov’era com’era”, come è stato sbandierato nella mia città, che ci tireremo fuori da questa crisi; quello è solo uno spot, uno spauracchio per mantenere ben saldo niente più che lo status quo. Serve un passo in avanti, non certo un’utopia ma un sogno, semplicemente». Chiappanuvoli –nom de plume di questo trentenne blogger che ha all’attivo una raccolta di poesie, una di racconti e un libro-denuncia sull’emergenza rifiuti in Campania– all’indomani del terremoto ha cambiato vita e ha deciso di diventare uno scrittore. Il terremoto gli ha dato una scossa di adrenalina, essere così vicino alla morte gli ha fatto capire quanto sia importante vivere pienamente la vita. «Quel che manca, quel che ci hanno tolto, sembrerebbe essere proprio la speranza. Nel domani, nel prossimo, nel sistema, perfino in noi stessi. Sembriamo condannati all’individualismo più sfrenato, o quantomeno ci viene offerto come l’unica soluzione realistica; ma è solo l’ideologia capitalistica di cui siamo purtroppo forgiati, chi più chi meno, a condannarci. Un’ideologia, credo, sento, del tutto priva di qualsiasi fondamento. Nei momenti di difficoltà, infatti, è naturale riporre la propria fiducia nell’altro, aiutarsi, collaborare. La comunità, il senso profondo della comunità non è morto come vogliono farci credere. Una comunità unita è potente, e quindi pericolosa per chi detiene il potere. Dobbiamo avere fiducia, prima di tutto, non quella di cui blaterano i politici ovviamente, dobbiamo avere fiducia
• Alcune immagini dal Salone della Ricostruzione. In basso a sinistra il sottosegretario Giovanni Legnini con Roberto Di Vincenzo, organizzatore della manifestazione; qui sopra Gian Luca Galletti, ministro dell’Ambiente, con il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente
nel prossimo. Ancora più grave della perdita di speranza e di fiducia, a condannare sia L’Aquila che l’Italia credo sia la mancanza di un’idea condivisa. Una visione d’insieme, la consapevolezza di se stessi, e quindi la responsabilità delle nostre azioni. Non abbiamo idea di quel che vogliamo essere domani perché non sappiamo quel che siamo oggi e abbiamo dimenticato ciò che eravamo ieri. Viviamo giorno per giorno, basandoci soltanto sulle sparute e misere certezze che abbiamo in mano, perpetrando così, inconsapevolmente, un sistema ormai fallimentare, giunto al capolinea. Serve un’idea per ricostruire L’Aquila, serve un’idea per ricostruire l’Italia. Una visione. È questa la nostra principale mancanza, è questa la nostra principale colpa».
SALONE DELLA RICOSTRUZIONE Spenti i riflettori sul quarto Salone della Ricostruzione, si tirano le somme anche di questo evento, promosso da Ance Abruzzo, insieme alle sezioni provinciali di L’Aquila, Chieti, Teramo e Pescara, e Carsa, agenzia di comunicazione. La manifestazione è stata ricca di incontri: le tre sale allestite per i dibattiti (Le Corbusier, Munari e Officina L’Aquila) hanno accolto una folta schiera di visitatori interessati che, nell’arco dell’intera manifestazione, sono stati più di 10mila. Gli oltre 100 espositori –nazionali e internazionali– hanno espresso soddisfazione per l’andamento dei 4 giorni che hanno consentito reali scambi nelle relazioni e crescita nelle strategie di business. È stata un’occasione di incontro e confronto sui temi di una ricostruzione all’avanguardia, green e attenta alle esigenze di sviluppo sociale ed economico del territorio e che è riuscita a provocare l’attenzione del panorama politico locale, regionale e nazionale. Dal punto di vista istituzionale si sono registrate le presenze del ministro per l’Ambiente Gian Luca Galletti,
dei sottosegretari Ilaria Borletti Dell’Acqua Buitoni e Giovanni Legnini, passando per le maggiori autorità regionali e cittadine. Gli Uffici speciali per la Ricostruzione dell’Aquila e del cratere hanno eccezionalmente trasferito i loro addetti nel Salone e da quella sede hanno operato ininterrottamente. La portata dei convegni tecnici e di indirizzo, che si sono succeduti lungo un programma ricco e ritmato, è andata oltre le aspettative. «L’obiettivo che ci eravamo prefissi è stato raggiunto –ha commentato il coordinatore del Salone Roberto Di Vincenzo– ma già nei prossimi giorni ci rivedremo per progettare le azioni future perché se è vero che col Salone si chiude un ciclo è anche vero che da esso riparte il processo di programmazione che dura tutto l’anno». Per Enrico Ricci, presidente di Ance Abruzzo, «è evidente il successo della manifestazione. Il mio particolare apprezzamento va al messaggio di buone pratiche che dal Salone emerge e mi riferisco, in particolare, all’azione di rendicontazione sullo stato dei finanziamenti e delle opere che gli Uffici speciali per la ricostruzione hanno svolto all’insegna della massima trasparenza verso la collettività. Ci muoviamo su questo filone anche per il prossimo anno, cercando di migliorare, ma partendo da un’ottima base di partenza». Gli fa eco Gianni Frattale, presidente di Ance L’Aquila: «Sono soddisfattissimo dell’andamento di questa quarta edizione che ha rappresentato un cambiamento totale e radicale all’insegna della partecipazione e della condivisione. La presenza di figure istituzionali di alto livello è il segno di una nuova comprensione che deve trovare linfa anche nella capacità di unire forze e competenze. L’iniziativa legata alla creazione di Officina L’Aquila, poi, attiva nuove possibilità di formazione, conoscenza e ricerca che ci condurrà alla definizione di un nuovo modello esportabile di prevenzione e sicurezza».
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The Babbionz
Web e vecchi
L’imprenditoria “in rosa” si tinge di nero. E di tutti gli altri colori, nessuno escluso. Anarchiche, idealiste, a loro agio con pizzi e merletti come con jeans e maximaglie, quattro ragazze pescaresi rovesciano le convenzioni e trasformano (con profitto) l’hobby della nonna in una professione. Guadagnandosi il successo e la notorietà anche all’estero 14
merletti
di Fabrizio Gentile
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li strumenti sono una Necchi, una Singer e una Vigorelli, militarmente allineate su un banco da lavoro. Alle pareti, centrini ricamati incorniciati come quadri d’autore e scritte realizzate con lana e tessuti, tra un Expedit a sedici vani pieno di stoffe e gomitoli, due specchi e un paio di stand zeppi di abiti rigorosamente handmade. Al centro della stanza un tavolo da riunioni sul quale si taglia e si cuce. I ferri del mestiere sono quelli da calza, che sanno padroneggiare ormai
con la stessa abilità delle loro nonne e mamme, vere miniere di cultura della lana dalle quali hanno estratto tutte le tecniche per diventare virtuose dell’uncinetto, artiste del ricamo, maestre di cucito e sferruzzamento. Si chiamano The Babbionz, le babbione: termine che, secondo il dizionario Sabatini-Coletti, è sinonimo di “stolto”, ma che in Abruzzo (e altrove) indica –al femminile– la donna ultracinquantenne un po’ intontita dagli anni, ormai dedita solo a occupare il suo tempo su una • The Babbionz. Da sinistra, Giovanna Eliantonio, Claudia Ferri, Valentina Natarelli e Jessica Basile
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poltrona con l’immancabile kit da sferruzzatrice in mano. Un’immagine decisamente lontana da quella di queste “bad girls” da salotto, che con una buona dose di ironia hanno scelto questo nome e hanno fatto del loro hobby un’attività imprenditoriale in progressiva crescita. Di loro ormai si è detto tutto (e di più): riviste cartacee e online, quotidiani e siti specializzati gli hanno dedicato articoli e interviste, e dopo tre anni di attività finalmente hanno raggiunto il grande pubblico anche a livello locale. Già, perché queste quattro ragazze pescaresi (Claudia Ferri, Giovanna Eliantonio, Jessica Basile e Valentina Natarelli) la
fama se la sono fatta prima all’estero che in patria: potenza della rete, la loro vetrina in cui mettono in mostra le loro creazioni e se stesse. E che gli ha garantito anche l’eco mediatica, grazie a una comunicazione estremamente accattivante che intreccia, come i fili delle loro sciarpe, la tradizione con l’attualità, l’arte con l’artigianato, la moda con la funzione sociale. Ma non solo: è un modo per non disperdere il patrimonio culturale tradizionale abruzzese, che quanto all’artigianato tessile ha voce in capitolo. «Non ci limitiamo a creare vestiti e accessori –spiegano– ma trasmettiamo ad altri le nostre conoscenze, attraverso dei workshop che organizziamo periodicamente nel nostro laboratorio e negli spazi di alcuni locali del centro storico di Pescara». Workshop affollatissimi, dedicati di volta in volta all’uncinetto, al ricamo, alla pittura su stoffa, alla realizza-
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zione di questo o quell’oggetto, e perfino all’alfabetizzazione tessile dei maschietti, «che ha avuto un inaspettato successo», raccontano, «e gli uomini apprendono più velocemente delle donne: forse perchè sono tendenzialmente più precisi, razionali, si applicano con impegno mentre le “femminucce” sono più distratte». Per quanto spicciola, un po’ di sociologia è d’obbligo, perché “babbionare” è un’arte tradizionalmente appannaggio del gentil sesso. Ma nell’operazione svecchiamento (o, per usare un termine di moda, rottamazione) del cliché “donna-taglia e cuci” rientra anche l’emancipazione del lavoro a maglia dall’ambito strettamente femminile. «Il nostro scopo è di spogliare quest’attività della patina di polvere che l’ha ammantata, rinnovarla e farla uscire dalle quattro mura in cui è tradizionalmente confinata. Vogliamo dimostrare che si può essere giovani e creative anche in un lavoro come questo e infondere tutto il nostro vissuto, la nostra cultura in oggetti che appartengono per convenzione al passato». È così che nascono i centrini che parlano, le canottiere-corsetto, le cover ricamate per l’iPhone. E ancora, le cravatte Tartan-style, i papillon all’uncinetto, le catene di lana. E perfino i cuscini di Twin Peaks e le maglie e i guanti che riproducono la cover di Unknown Pleasures dei Joy Division. Oggetti, abiti e accessori d’abbigliamento che spopolano sul web (A Little Market.com, Buru-buru.com e Etsy.com sono i portali che ospitano i negozi virtuali delle Babbionz) e che vengono richiesti dalla Francia all’Australia, dalla Norvegia alla Tunisia. E che parlano di loro, più di quanto amino farlo le stesse Babbionz, paradossalmente timide e portate a “coprirsi” con le loro creazioni, più che a scoprirsi, malgrado giochino con la loro femminilità esattamente come giocano con lane e tessuti. Abbiamo provato quindi a tracciare un loro ritratto attraverso le parole, i temi, gli oggetti che costituiscono il “mondo” Babbionz, ben consapevoli di poter offrire, su queste pagine, solo una parte della vitalità e dell’energia creativa che queste giovani vecchie babbione sono in grado di esprimere dal vivo. Vale a dire, come la differenza che passa tra ascoltare un disco e vedere un concerto di una band che ha nell’alchimia straordinaria dei suoi membri la sua forza esplosiva.
Abruzzo, naturalmente. Il territorio di provenienza delle Babbionz non manca mai di essere nominato, nelle interviste e negli articoli dedicati al quartetto pescarese. E nei progetti a breve termine delle Babbione c’è il recupero, e la necessaria reinterpretazione, di alcuni degli oggetti appartenenti alla tradizione tessile regionale. E poi Abiti e Accessori, ovvero le principali realizzazioni delle BBbz. Inevitabilmente, Babbione. Il termine, forzatamente inglesizzato, manifesta tutta la profonda autoironia che caratterizza il lavoro e la personalità delle Babbionz: come si potrebbero infatti definire “babbione” quattro belle ragazze le cui mani viaggiano alla stessa velocità dei loro cervelli? Cucina, Creatività e Comunicazione. E Claudia. Andando con ordine: alle Babbionz piace mangiare. Sfoggiano fisici invidiabili, benché lavorino di mandibole spesso e volentieri, il che dimostra che essere creative fa consumare calorie. Quanto alla Creatività, ne hanno da vendere (e la figura retorica non è casuale). La Comunicazione, invece, è affidata a Valentina per la parte “verbale”,mentre quella visuale a Claudia e Giovanna, entrambe fotografe. Claudia: «Sono fotografa di professione ma di fatto mi ritrovo a fare tanto altro. Nelle BBbZ trasformo tubi colorati in maglie XXXL, affondando con gusto sul pedale del taglia e cuci. Nei momenti più riflessivi il punto croce diventa il mio gioco di enigmistica. Devota alla terra, il mercato di frutta è verdura è la mia chiesa». Divertimento. È alla base di tutto il lavoro del team BBbZ. «Siamo nate per divertimento: io (Jessica, ndr.) conoscevo Giovanna e avevamo cominciato a vederci in casa, per delle sessioni di uncinetto e cucito. Poi è arrivata Valentina, armata di forbici e idee. Il quartetto si è composto quando Claudia ha organizzato una specie di mercatino di Natale a casa sua, e mi chiamò conoscendo la mia passione per l’handmade. Da lì, in quell’inverno del 2011, è nato tutto». Estro. Le Babbionz lavorano di fantasia, inventano, progettano e realizzano senza porsi limiti di creatività, lasciando fluire i pensieri e muovere le mani. La libertà di pensiero è la condizione necessaria per lavorare. Femminismo e Fotografia. «Non siamo femministe, o meglio non siamo fanatiche. Non rivendichiamo un ruolo nella società, siamo perfettamente consapevoli di averlo e ne siamo orgogliose. E francamente la contrapposizione tra uomo e donna, tra generi, tra sessi, è un po’ stantia: del resto nella nostra comunicazione fotografica giochiamo spesso tanto con la nostra sessualità quanto con i ruoli, e ci sentiamo donne ma anche un po’ maschiacci». Gioco, Genialità, Giovanna. Sul gioco si è già detto abbastanza, la genialità è «quell’intuizione che trasforma un oggetto d’artigianato in un’oggetto artistico»,
dice Valentina. «Non capita spesso, ma ci sono alcuni oggetti che abbiamo realizzato che trascendono la loro natura e si fanno latori di un messaggio. Io questo lo chiamo genio». Giovanna è «babbiona da generazioni. Uncinettare, tricottare e fotografare sono le mie ossessioni felici. Amo ciò che non vedo, mi piacciono i fiori, le cicatrici e le contraddizioni. Propositi: uncinettare il mare (ma non me lo lascia fare!!)». Maestra di uncinetto e ricamo, porta sempre il kit da sferruzzatrice in borsa, ed è capace di mettersi a lavorare ovunque. Hobby. Quello di Jessica era dipingere sulla stoffa, quello di Claudia e Valentina era il cucito, quello di Giovanna il ricamo. Ora che i loro hobby sono diventati un secondo lavoro, non sono più hobby. O no? Imprenditoria. Nessuna di loro aveva pensato che da quell’incontro potesse nascere un’attività imprenditoriale, ma così è stato, e dalla semplice “messa in mostra” di alcuni lavori su una pagina Tumblr si è giunti all’apertura di negozi virtuali. Per ora, anche per la scelta di non produrre oggetti “in serie” salvo qualche eccezione, «gli introiti arrivano sì e no a coprire le spese, dato che la pressione fiscale sull’artigianato è enorme. Ma confidiamo che la rinascita economica dell’Italia passi proprio per la valorizzazione delle attività che portano alto il concetto del Made in Italy: qualità dei materiali, valore della manodopera, creatività».
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Jessica. «Possiedo un attestato professionale in stilismo e sartoria. Dove c’è Babbionz c’è casa, ricamo, dipingo e coloro sui capi che le mie “mogli” realizzano… sono un “marito fortunato”,buffona di corte, figlia della primavera e se potessi vivrei in una casa fatta di pantoni, china e matite». Laboratorio. I laboratori delle Babbionz si tengono settimanalmente nel loro studio a Pescara, ma anche in alcuni locali della città. Il primo ad ospitarle è stato La Designeria, dove continuano ad accogliere apprendiste babbione ogni giovedì, ma da quell’esperienza sono nati altri appuntamenti che impegnano le ragazze (in gruppo o singolarmente) in altri luoghi. Prenotarsi è d’obbligo, naturalmente. Maschere. Rarissimo vedere i volti delle BBbZ “in chiaro” nella loro comunicazione visuale. Generalmente timide, si nascondono spessissimo dietro le loro creazioni, per mettere l’oggetto al centro dell’attenzione, un po’ per «caricare l’immagine di quel po’ di mistero che rende tutto più accattivante. E Musica: ascoltano di tutto (da Debussy ai Sepultura, per capirci, «eccetto Gigi D’Alessio»), e le canzoni della loro vita si riflettono nel loro lavoro diventando, spesso, le frasi ricamate sugli oggetti (ad esempio la serie sui Joy Division o il cuscino “I wanna be your dog”). Novità : la missione delle Babbionz è anche quella di «portare una boccata d’aria fresca in un clima paninaro piatto governato dai ritmi ferrei della globalizzazione
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che ci vuole e ci rende tutti uguali. Ecco che le nostre idee corrono sguinzagliate annusando passato e presente, proponendo e reinterpretando in maniera innovativa tutto quello in cui inciampano».
Non possiamo farne a meno. Per questo molti nostri oggetti possono finire anche appesi al muro, andando oltre la loro forma».
Opportunità. «In un clima di crisi, come quello di oggi, mettersi insieme, formare un gruppo, scambiarsi nel quotidiano, osare, appropriarsi di un linguaggio originale che trova le sue radici in reconditi intrecci, uscire fuori…tutti ingredienti, basi, per far nascere delle opportunità non solo di scambio creativo e culturale, ma sfruttarle anche come fonte di guadagno».
Riot. «Il nostro lavoro è spesso influenzato dalla letteratura, dall’attualità, dalla cronaca, e un esempio è il ricamo al punto croce che raffigura una matrioska con la scritta “riot girl”. E naturalmente abbiamo abbracciato la causa Pussy Riot, un gruppo che non conta nulla sul piano musicale ma significa tutto sul piano sociale e politico. Questo per dire che al di là della manifattura e dell’artigianato si può essere veicoli di un messaggio e creatori di significato».
Provocazione e Politica. «La provocazione è parte del gioco: rovesciare i luoghi comuni, dissacrare, è un modo per noi di infondere una nuova vita a oggetti e icone della cultura pop. Da qui nascono il centrino “Inutile” e quello col teschio, il Padre Pio colorato, la “Madre Babbiona” e altre invenzioni». Politicamente: «siamo quattro idealiste ma senza paraocchi ideologici». Quadri. «Un pittore vuole comunicare qualcosa, e dipinge un quadro. Noi facciamo lo stesso con l’uncinetto. È il nostro modo di essere, è un’esigenza.
Ada Di Vincenzo
Swinging Pescara
La giovane stilista, formatasi a Londra dove ha esordito con successo, ha scelto di tornare a lavorare nella sua città ma sempre con lo sguardo rivolto alla moda e al mercato internazionale
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orna in Abruzzo, perché è in Abruzzo che ormai realizza le sue collezioni, Ada Di Vincenzo, la giovane stilista pescarese impegnata negli ultimi mesi in due importanti esperienze espositive, lo Who’s next di Parigi, dove ha avuto la soddisfazione di vedere selezionate delle sue creazioni tra i “Must Have 2014-2015”, poi presentati al Trend forum, e il White Show di Milano, dove ha ricevuto anche la visita del sindaco di Milano Giuliano Pisapia, incuriosito dai capi di Ada. Quest’ultimo, il suo nome, è anche il suo brand, con il quale firma collezioni di moda femminile che possono contare su una decisa componente di design, inventiva di qualità che permette ad Ada Di Vincenzo di distinguersi da molte altre proposte che
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Sovversive. Chi avrebbe immaginato che ferri da calza e telai di legno potessero affascinare come chitarre elettriche? E chi avrebbe immaginato che concetti come do-it-yourself e punk potessero essere applicati al tombolo e al punto croce? «Trasformare nell’immaginario il lavoro di vecchie zitelle in quello di sgallettate da cocktail è il nostro contributo alla transvalutazione di tutti i valori».
Tradizione. «La nostra apertura al mondo ci ha riportato a casa, ci ha fatto apprezzare la bellezza del nostro paesaggio, del nostro dialetto (che è una lingua), e del nostro stile di vita. Abbiamo intuito che se il pescarese sogna di vivere a Milano e il milanese a New York, il newyorkese darebbe un rene per trasferirsi a Bolognano. La normalità è rivoluzionaria. Le bisnonne sono ampiamente sottovalutate». Universalità. «Il nostro linguaggio è leggibile da tutti ed è il nostro punto di forza essere dirette senza mezzi termini. Siamo un po’ come delle freccette». Valentina. «Ho studiato filosofia e modellismo sartoriale, lavoro come editor presso Five Service. Nelle BBbZ gioco a rivestire di lana l’alfabeto, creo carta modelli e metto in funzione le macchine. Vivo d’inverno, ho una casa di ceppi e commercio illegalmente camicie di flanella nello stato di Washington». Zodiaco. «Fatte di acqua e terra siamo quattro ma nella sfera astrale, a coppie, diventiamo due entità mitologiche, come centauri siamo delle donne Pescetoro».
cavalcano produzioni “commerciali”. Formazione al Polimoda di Firenze e dopo tre anni e mezzo ad apprendere i fondamenti del mestiere, un anno a New York per poi specializzarsi ancora di più in maglieria di lusso grazie a due stage in aziende del settore, anche se la parentesi più importante è stata quella londinese. Quando Ada ha adibito il salottino della propria casa di Londra a studio creativo: manichino, macchina da cucire e la prima collezione di soli 12 capi unici, realizzati con tessuti trovati e comprati nei vari viaggi, tutti venduti però. Ventotto anni e tanta esperienza all’estero, per crescere soprattutto, come la racconti? «Con tanta emozione perché lasciavo l’Italia da sola per la prima volta e andavo incontro ad una lingua che non mi era così famigliare, ma è stata una bellissima esperienza, ho avuto a che fare con gente di tutto il mondo, ho fatto diversi lavoretti per mantenermi e praticare la lingua e poi ho avuto la possibilità di prendere dei contatti importanti». Quali? «Un giorno avevo deciso di andare in spiaggia con un’amica, a Brighton e lì, casualmente, ho incontrato l’organizzatrice della Brighton fashion week che mi ha invitato ad esporre la mia collezione nella sezione haute couture. Proprio in quell’occasione ho conosciuto Helga Fox, agente di molti artisti, principalmente pittori e scultori anche molto famosi, le sono piaciuti i miei lavori e mi ha preso nella sua cerchia. Grazie a lei, oltre a stimolanti conoscenze, ho avuto modo di partecipare a due exhibition in centro a Londra, con i miei lavori esposti accanto a dipinti e sculture di autori celebri, come Joseph Beuys per esempio». In queste esperienze ti ha aiutato il tuo essere abruzzese, hai detto. «Sì, credo che noi abruzzesi siamo un popolo molto curioso e intraprendente, pensa che ho incontrato pescaresi in giro per tutto il mondo, dovunque, sembra incredibile. Anche i miei amici infatti, quasi tutti, sono
sparsi qua e là all’estero». Dall’estero però hai scelto di tornare, come te lo hanno fatto in molti, eppure è fuori dall’Italia che, come racconti, si possono cogliere le migliori occasioni. «Si torna principalmente perché le città che si raggiungono per queste esperienze sono “fredde”, difficili, troppo metropolitane rispetto alle nostre abitudini. Soprattutto per noi abruzzesi che viviamo in una sorta di isola felice quanto a paesaggio, clima, qualità della vita, quotidianità a misura d’uomo. Ma a determinare questa volontà di ritorno c’è anche una questione di cultura e di legame davvero sentito con il proprio paese». E così Ada (adadivincenzo.com), rientrata nella sua Pescara si è messa in proprio e oggi realizza tutte collezioni “made in Abruzzo” con una fascia di prezzo medio-alta e una “rete commerciale” che passa per la vendita online, su commissione o in conto vendita anche se, grazie alle fiere che sta frequentando, sono sempre più vicini buyer, showroom e negozi che buttano un occhio alle sue collezioni. Come si svolge adesso il tuo lavoro? «Disegno a casa e ho avuto la fortuna di trovare due aziende abruzzesi per la produzione, un façonista di Crecchio che si occupa di prime linee altamente rifinite e un maglificio davvero capace di Francavilla al Mare». Come sono realizzati questi capi? «Prima di tutto c’è il tessuto e scelgo solo tessuti di un certo valore, lana Merino, cachemire, pelle. Per la linea cerco di abbracciare target diversi, dai volumi più ampi che si prestano a qualsiasi tipo di donna ad altri un po’ più succinti, ma dietro c’è sempre un’idea molto contemporanea che però sa adattarsi ad ogni età e, per certi capi, ho riscontrato che può adattarsi anche agli uomini». Ti lancerai anche nella moda maschile allora? «Per adesso non ancora, ma ci sto pensando». Giorgio D’Orazio
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Valagro
La scienza al servizio della Terra
Realizzare prodotti dal minimo impatto ambientale per aumentare la resa e la qualità delle colture agricole. Questa la mission dell’industria abruzzese, un colosso con le radici in Val di Sangro e la testa nel mondo di Claudio Carella
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utrire il pianeta è la sfida più importante che l’umanità si è data all’alba di questo nuovo millennio. Non a caso è il tema scelto per l’Expo 2015 di Milano, un evento che coinvolgerà 130 nazioni del mondo. In molti di questi Paesi la Valagro, azienda abruzzese leader nella produzione di concimi e fertilizzanti, propone già la sua “ricetta”: prodotti dal bassissimo impatto ambientale in grado di regolare i processi di crescita delle piante e aumentare la resa delle coltivazioni in ogni clima, ambiente e latitudine. Dell’ecosostenibilità Ottorino La Rocca e Giuseppe Natale, rispettivamente presidente e amministratore delegato dell’azienda, hanno fatto fin dall’inizio la loro mission: «Realizziamo soluzioni innovative ed efficaci per la nutrizione e la cura delle piante –affermano all’unisono– nel rispetto dell’uomo, dell’ambiente e della natura». Ma la vostra non è un’industria chimica? «Sì, Valagro è un’azienda chimica che opera principalmente per il comparto agricolo. Per questo settore, infatti, la chimica rappresenta un prezioso e valido supporto, perché permette di regolare i processi di crescita delle piante. Per noi la scienza si pone al servizio della natura: in Valagro, infatti, ricorriamo alla scienza per cogliere e mettere a frutto le potenzialità della natura. Grazie alla ricerca in Valagro, abbiamo creato Geapower, un innovativo sistema di tecnologie in grado di individuare ed estrarre gli ingredienti attivi naturali che permettono di potenziare la naturale crescita delle piante. Estraiamo i principi attivi dalle materie prime vegetali che raccogliamo in tutto il mondo, selezionandole dagli ambienti migliori, e per ciascuna di esse, così come per ogni principio attivo al suo interno, i nostri ricercatori scelgono e mettono a punto il metodo di estrazione più efficace in base alla soluzione che si desidera ottenere. Solo così è possibile preservare i componenti attivi vegetali, che sono il vero punto di forza dei nostri prodotti. All’interno dei nostri laboratori, poi, esaminiamo le sostanze presenti negli estratti
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ottenuti e ricerchiamo il reale beneficio apportato da ciascun componente per capire come interagisce con la fisiologia della pianta. In questo modo siamo in grado di realizzare il prodotto che fornisce la migliore risposta all’esigenza del cliente, senza impattare né sul processo naturale né sull’ambiente in cui si trova la pianta. Per soddisfare le esigenze nutrizionali delle diverse colture nel mondo, perseguendo il minimo impatto ambientale, Valagro investe da sempre in Ricerca e Sviluppo, mettendo a punto processi e soluzioni altamente innovativi. Le idee migliori nate dalla ricerca Valagro diventano prototipi; formulati in laboratorio, vengono testati da un’accurata sperimentazione e da una severa prova in pieno campo, alle più diverse latitudini e condizioni ambientali». Quindi la Valagro può essere definita “azienda sostenibile”? «Assolutamente sì. Da sempre facciamo dell’impegno per la sostenibilità un key driver della nostra crescita e, in particolare, siamo leader nella produzione e commercializzazione di biostimolanti, prodotti che nascono con l’obiettivo di contribuire ad aumentare le produzioni agricole utilizzando meno risorse. La sostenibilità rappresenta per noi un asset competitivo strategico, che ci ha permesso di diventare leader di un settore di mercato innovativo, capace di guardare al futuro e di crescere, anche dal punto di vista economico, mantenendo però sempre alta l’attenzione per la tutela dell’ambiente e della salute e sicurezza dell’uomo. Ogni anno investiamo circa 1,5 milioni di euro per i controlli su qualità, ambiente e sicurezza. Abbiamo inoltre una serie di certificazioni che vanno dalla ormai classica ISO 9001 per la qualità dei processi e la soddisfazione del cliente, alla ISO 14001, che certifica un sistema di gestione che tiene sotto controllo gli impatti ambientali delle attività, alla OHSAS 18001, lo standard internazionale che fissa i requisiti di un sistema di gestione in grado di tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori. Inoltre, partecipiamo ai programmi Responsible Care (un
• Lo stabilimento della Valagro
programma volontario dell’Industria Chimica mondiale basato sull’attuazione di principi e comportamenti per la sicurezza e salute dei dipendenti e la protezione ambientale) e Globalg.a.p., che ha l’intento di assicurare l’integrità, la trasparenza e l’armonizzazione degli standard agricoli a livello mondiale. Infine, abbiamo sviluppato in collaborazione con l’Università di Pescara/Chieti un programma che permette di calcolare il carbon footprint, ovvero l’impronta di carbonio, di tutti gli oltre 800 prodotti dell’azienda, dalla loro origine al momento in cui varcano il cancello dello stabilimento produttivo. Grazie a questo programma, Valagro si è aggiudicata nel 2013 la nona edizione del premio “Product Stewardship” promosso da Federchimica –la Federazione nazionale dell’Industria Chimica facente parte di Confindustria– e rivolto alle imprese associate che si distinguono per il proprio impegno nella gestione responsabile del prodotto». Quali sono i settori in cui opera l’azienda? «La costante crescita di Valagro ha portato in questi anni ad una diversificazione del nostro business –interviene Giuseppe Natale, CEO del Gruppo Valagro– che si articola oggi in quattro grandi aree: Farm per l’agricoltura, Turf and Ornamentals per i tappeti erbosi e le piante ornamentali, Garden per il giardinaggio e Industrials per vendite industriali alle aziende operanti nel settore dei fertilizzanti. In particolare, la divisione Farm realizza soluzioni per la crescita, la cura e la nutrizione delle coltivazioni, con lo scopo di migliorarne la resa e la qualità. Le divisioni Garden e Turf and Ornamentals sviluppano invece prodotti per la concimazione e la crescita del verde nei giardini, nelle aree verdi, sportive e ricreative, e per le attività florovivaistiche. Quanto alla divisione Industrial, infine, quest’ultima ha una doppia anima: da un lato offre alle aziende che lavorano nel settore dei fertilizzanti speciali prodotti di altissima qualità per le proprie formulazioni, mettendo quindi
a disposizione dei propri clienti l’accesso a tecnologie uniche; dall’altro si muove verso la diversificazione in nuovi business quali l’alimentazione umana, la cosmetica e la nutrizione animale, studiando applicazioni sotto forma di estratti e polveri naturali». Quindi fornite ad altri le materie prime per le loro produzioni? «Sì, ci occupiamo anche dell’estrazione e commercializzazione di materie prime; in particolare, da alcuni anni ci stiamo specializzando nello studio delle interessanti potenzialità delle alghe. Nel 2002 abbiamo, infatti, acquisito Algea, azienda controllata situata in Norvegia, che da oltre 75 anni raccoglie e trasforma Ascophyllum Nodosum, un’alga bruna unica al mondo, che cresce nelle aree intertidali dei freddi mari del nord per estrarne preziose sostanze che vengono poi impiegate come ingredienti nei settori della nutraceutica per la nutrizione umana, del feed per la nutrizione animale, nella cosmetica, oltre che in agricoltura, per la realizzazione di prodotti biostimolanti». Collaborate anche con istituti scientifici esterni all’azienda? «La nostra divisione di Ricerca e Sviluppo lavora alacremente per studiare nuove soluzioni alle esigenze dei settori in cui operiamo –riprende Ottorino La Rocca– ma ovviamente abbiamo relazioni anche con numerosi istituti di ricerca, con i quali collaboriamo per ampliare le nostre conoscenze e stabilire le linee guida per la produzione. In Abruzzo, oltre al CRAB di Avezzano abbiamo collaborazioni con il Negri Sud, e inoltre rapporti con Università, quali la facoltà di Agraria di Milano, un’importante collaborazione da vari anni con l’Istituto Sant’Anna di Pisa, il Centro Ricerche Agrobios Metapontino di Matera, l’Istituto di agrumicoltura di Acireale e infine collaboriamo con Università straniere, dalla Nuova Zelanda alla California –Università Davis– passando per la Sabanchi University di Istanbul».
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Il 2015 sarà l’anno dell’Expo, che è dedicata alla nutrizione. Come vi confrontate con tematiche di attualità come l’attenzione alle coltivazioni biologiche? «L’Esposizione Universale del 2015 sarà un’occasione imperdibile per parlare di alimentazione, sicurezza alimentare e accessibilità al cibo da parte della popolazione mondiale che, ricordiamo, attualmente è composta da 7 miliardi di persone, ma che secondo l’ONU aumenterà fino a 9 miliardi nel 2040. Nei prossimi 20 anni si stima che per nutrire 1,2 miliardi di persone in più nel mondo, la richiesta di cibo aumenterà di circa il 50%, quella di acqua del 30% e quella di energia del 50%. Del resto è un dato di fatto che negli ultimi 20 anni l’aumento della popolazione sia stato di molto superiore all’aumento delle rese per ettaro di terreno coltivato. Oggi abbiamo bisogno di una nuova Rivoluzione Verde, che ci consenta di produrre cibo più sano e in maggiori quantità, riducendo al contempo l’impatto sull’ambiente. Per fare ciò, noi di Valagro siamo convinti che affidarsi ad un ritorno alla natura non sia una scelta realistica, né socialmente sostenibile, perché potrebbe rispondere solo ai bisogni di pochi. Siamo altresì convinti che affidarsi alla chimica in un modo eccessivo, non tenendo conto dell’impatto che ha sulla natura, non sia sostenibile dal punto di vista ambientale a lungo termine. Per questo, pensiamo che sia possibile percorrere una terza via: soddisfare i bisogni dell’umanità utilizzando meno risorse, grazie ad una nuova Co-Scienza, capace di mettere la Scienza al servizio dell’uomo attraverso l’innovazione, nel rispetto della salute e dell’ambiente». Il Gruppo Valagro è una realtà internazionale: dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti, passando per Asia, Europa e Sudamerica, siete presenti in quasi tutto il mondo. «Siamo presenti in circa 90 Paesi. Abbiamo 12 filiali e un’ampia rete di distribuzione e vendita. Il Gruppo Valagro impiega 350 persone, di cui 210 in Italia e 140 nelle filiali, e ha raggiunto nel 2012 un fatturato che si aggira intorno ai 90 milioni di euro. Oltre al sito produttivo di Atessa, conta altri 4 stabilimenti, di cui 3 in Norvegia e 1 in Francia». Viene da chiedersi come mai non abbiate scelto di spostarvi all’estero, dove peraltro si concentra la maggior parte della vostra attività. «Da più parti si sente ormai dire che fare impresa in Italia è estremamente difficile e non possiamo negare che il nostro Paese presenti dei fattori fortemente penalizzanti in tal senso, quali la burocratizzazione eccessiva, l’altissima pressione fiscale e le modalità di pagamento delle imposte, le difficoltà di accesso al credito, ma anche l’elevato costo dell’energia elettrica (il più alto d’Europa), i ritardi nei pagamenti, solo per fare alcuni esempi. Al momento, tuttavia, non avvertiamo l’esigenza di spostarci all’estero; manteniamo, infatti, radici profonde in questo territorio, l’Abruzzo, a cui siamo fieri di
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OTTORINO LA ROCCA
Coltivare la cultura Lei è un imprenditore di successo, ma i suoi interessi non si limitano all’azienda e al lavoro. Da dove viene la sua attenzione al sociale e alle iniziative tese ad elevare il livello culturale della regione? «L’arte è un mondo che mi ha sempre affascinato e al quale cerco di dedicare del tempo, nonostante le difficoltà. A mio avviso andrebbe promossa e sostenuta il più possibile, per far sì che possa essere alla portata di tutti e continuamente alimentata da nuovi influssi e idee; per questo, con Valagro, abbiamo sempre cercato di dare un contributo a chi sul territorio si occupa di arte e di cultura, sostenendo i progetti che ci sembravano più convincenti: ad esempio, la costituzione della Fondazione Museate ad Atessa, o quella della Fondazione Aria, una realtà di livello regionale con sede legale a Pescara, che vuole avvicinare il mondo dell’arte all’imprenditoria, e che sta conseguendo i suoi risultati». Del resto nella storia italiana il mondo economico ha sempre guardato con attenzione al mondo artistico, consapevole che la crescita complessiva tiene conto di entrambi questi aspetti… «Oggi però quest’attenzione non è più sufficiente: non riusciamo a valorizzare al meglio le nostre bellezze artistiche e culturali, e pur detenendo i due terzi del patrimonio mondiale, molti dei nostri beni non sono ancora accessibili al grande pubblico. Ad esempio, secondo le statistiche, il Louvre di Parigi registra otto milioni di presenze annue, mentre gli Uffizi non vanno oltre i due milioni. C’è molto da fare, quindi. Ma per poter produrre economia, l’arte deve soprattutto proporre idee e tradurle in gesti concreti. Questo è possibile se noi siamo liberi di aprire le nostre menti e dar spazio a nuove iniziative». Questo vale per l’economia interna, ma soprattutto per quegli italiani che hanno rapporti con l’estero: a chi vende un prodotto, anche un “semplice” fertilizzante, a un Paese straniero, viene riconosciuta la bontà del prodotto anche per tutta la creatività che c’è dietro. «All’estero viene riconosciuta la nostra capacità di innovare, di saper coniugare scienza e creatività, ma ancora non è sufficiente quel che facciamo: abbiamo perso grandi opportunità in passato e rischiamo di perderne ancora oggi. Bisogna fare di più per ridare centralità a ciò che ci appartiene, oggi come un tempo. La centralità dell’arte in Italia non è una mia invenzione: abbiamo prodotto talenti e opere di rilevanza mondiale che tutti ci invidiano. In ogni museo del globo credo ci sia una certa rappresentanza di opere italiane; queste, a mio avviso, è meglio che per ora rimangano in mano agli stranieri, finché non saremo in grado di custodirle e valorizzarle come meritano». Ma questo interesse per l’arte da dove scaturisce? «Il mio interesse per l’arte viene da lontano, forse è una sorta di riscatto della mia origine contadina. Mio padre aveva una sua
azienda agricola in Val di Sangro e desiderava fossi io ad occuparmene, ma io preferii intraprendere un percorso scolastico: seguii studi tecnici, poi mi iscrissi alla Facoltà di Economia e commercio di Torino, che abbandonai dopo due anni per mettermi a lavorare. Ho poi proseguito gli studi da autodidatta ed ora mi ritrovo ad essere imprenditore con grande orgoglio e soddisfazione. Negli anni ho frequentato tante gallerie d’arte, ho visitato diverse mostre e nel frattempo ho conosciuto tanti artisti, stringendo anche amicizie. La loro frequentazione mi ha sicuramente aiutato a comprendere un po’ di più, per esempio, della pittura. Vedere un quadro mi suscita sempre un’emozione; cerco di comprendere l’intimo di un artista e i messaggi che desidera trasmettere con quell’opera. Un’esperienza sempre affascinante ed emozionante, soprattutto quando credo di giungere all’interpretazione dei messaggi più nascosti. Sono felice quando posso contribuire in qualche modo a promuovere l’arte e a darne visibilità, attraverso anche il coinvolgimento di altri amici imprenditori e non solo che, insieme a me, si rendono disponibili a sostenere progetti culturali. Capisco che l’arte, per essere conosciuta e compresa, ha bisogno di tanta dedizione e studio; a volte siamo refrattari ad avvicinarci a questo ambito, consapevoli di capirne poco. Ma a mio avviso, è bello potervi dedicare anche poco tempo e risorse perché rappresenta un arricchimento culturale inestimabile». E la propensione al sociale? «Con Valagro siamo attenti anche alle realtà che operano nel sociale, sostenendo, ad esempio, alcune associazioni onlus che si occupano di aiuto a distanza e di persone diversamente abili. Tutte le nostre attività e le scelte che operiamo in questo settore sono ben documentate nel nostro bilancio annuale socio-ambientale». Come vede la nostra regione in quest’ultimo periodo? «Prendo spunto dal film “Mancanza - Inferno” di Stefano Odoardi, che, insieme alla Fondazione ARIA, abbiamo presentato in anteprima ad Atri, sul terremoto avvenuto a L’Aquila; mi rammarica vedere che si dedichino sempre meno spazio e risorse ai problemi che affliggono la città post terremoto, riferendomi in particolare ai media e alla classe politica, che non sempre fanno bene il proprio dovere. Anche la società civile, tuttavia, dovrebbe impegnarsi maggiormente e dare il proprio contributo per aiutare coloro che vivono situazioni meno fortunate. È importante essere aperti verso l’Altro e saper guardare oltre la propria realtà, nella vita privata come nel lavoro. La chiusura mentale e fisica è solo controproducente perché crea sofferenza e un pericolo sul piano della concorrenza globale. La filosofia aziendale di Valagro, infatti, va in questa direzione tanto che quasi a dieci anni dall’avvio dell’attività, il Gruppo aveva già creato rapporti importanti con l’estero, come dimostra anche l’inaugurazione della prima filiale in Spagna». Grande radicamento sul territorio, anche sul fronte sociale e culturale, senza alcun complesso di inferiorità: anzi rivendicando il valore della nostra cultura rurale… «Assolutamente sì, per noi è un vanto poter dire che siamo abruzzesi e legati ai valori dell’Abruzzo. Il mio socio, Giuseppe Natale, dice sempre “piedi per terra e testa per aria”,un motto che abbiamo fatto nostro fin dall’inizio». Cosa le piacerebbe che si realizzasse in Abruzzo?
• Ottorino La Rocca
«Vorrei vedere meno individualismo e più propensione all’unione e alla condivisione. Il vecchio detto “l’unione fa la forza” è sempre attuale. Giuseppe ed io, ad esempio, siamo due individui molto diversi, ma con caratteristiche complementari e insieme abbiamo creato una grande realtà aziendale, unita e che lavora ogni giorno per obiettivi comuni. Infatti, all’interno delle aziende vive una pluralità di persone, che l’imprenditore deve saper unire, creando sintonia. Se certe scelte vengono prese nel modo giusto si ottengono dei risultati. Noi crediamo di aver fatto il meglio per Valagro e i risultati vanno attribuiti non a noi come imprenditori, ma all’azienda come gruppo. In Valagro esiste un sentimento di attaccamento all’azienda e al proprio lavoro; lo dimostra anche il fatto che il livello di assenteismo è sotto la soglia del 2% da anni. Si considera un uomo ricco? «A parte il fattore economico che mi permette di considerarmi benestante, mi ritengo piuttosto arricchito culturalmente ed intellettualmente, grazie al percorso intrapreso in questi anni e alle tante persone incontrate lungo il mio cammino. Sono poi fiero dei miei figli, che lavorano come me in azienda; Angelo è in Valagro da 12 anni, è laureato in Economia aziendale e ha un ruolo di responsabilità che si è guadagnato sul campo, mentre Eliana è avvocato, ma ora, dopo un MBA alla Luiss, si è candidata a un ruolo manageriale e il suo impegno è quello di portare a termine l’iter formativo previsto per poter ricoprire ruoli di responsabilità».
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appartenere e a cui siamo profondamente legati, anche se le nostre filiali all’estero –i nostri rami, per così dire– arrivano oggi anche dall’altra parte del mondo. L’azienda, nata trent’anni fa in Italia, ha saputo crescere a livello internazionale facendo leva su uno spiccato spirito di innovazione, ma sempre tenendo saldi il know-how e i valori di questo territorio». Come si costruisce un’azienda di successo? «Innanzitutto con impegno, dedizione e con uno spiccato orientamento verso l’innovazione. L’innovazione è possibile solo se si investe con costanza nella ricerca; a tal proposito, riserviamo ogni anno oltre il 4% del fatturato, alle attività di Ricerca e Sviluppo, e reinvestiamo annualmente in massima parte gli utili che l’azienda realizza, con l’obiettivo di creare soluzioni e processi sempre più sostenibili e innovativi. Non solo. Negli anni abbiamo costruito una rete di importanti collaborazioni scientifiche e oggi ci possiamo avvalere del contributo di enti e istituti di ricerca nazionali e internazionali. L’innovazione è l’elemento distintivo del Gruppo e per noi non significa soltanto creare nuovi prodotti, ma anche trovare nuove applicazioni per quelli esistenti o individuare nuovi modelli gestionali. Si tratta di un processo costante al quale tutte le persone che lavorano con noi, qualunque sia la loro funzione o la loro area di competenza, sono chiamate a contribuire. Siamo così fortemente convinti dell’importanza dell’innovazione che abbiamo deciso di creare un team interno dedicato, composto da figure professionali provenienti da ogni funzione aziendale. Crediamo, poi, nelle persone, nel loro potenziale e nelle loro preziose capacità. Per questo, siamo sempre alla ricerca di giovani talenti che con entusiasmo, passione e professionalità possono dare il loro contributo alla crescita dell’azienda, e offriamo loro la possibilità di ampliare conoscenze e competenze per una formazione professionale di alto livello. Ricerca scientifica e innovazione sono alla base della nostra strategia di crescita, che parte innanzitutto dalla capacità di ascoltare i nostri clienti; solo mettendo il cliente al centro e capendo le sue esigenze possiamo sviluppare nuove soluzioni in grado di rispondere alle reali necessità. ». Quali sono le prospettive di Valagro per il futuro? «Crescita» conclude Giuseppe Natale. «Il nostro obiettivo è raggiungere un volume di vendite pari a 350 milioni di euro nel 2022. Solo nell’ultimo anno, proseguendo nel nostro percorso di espansione mondiale, abbiamo aperto una filiale in Nuova Zelanda e una in Turchia, avviando la progettazione di una in Cina e aprendo relazioni anche con l’India. Inoltre, abbiamo pianificato un investimento in Brasile di 10 milioni di euro per l’apertura di un nuovo impianto produttivo a Pirassununga, nello stato di San Paolo, il primo del Gruppo sul continente americano e il seguito si vedrà».
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GIUSEPPE NATALE
Tradizione e innovazione «Abbiamo iniziato quest’avventura insieme nel 1980, io avevo vent’anni e Ottorino La Rocca poco più di trenta. Ero di fronte al tradizionale bivio: andare a studiare fuori o dedicarmi all’attività di famiglia, un emporio di prodotti per l’agricoltura. Sentivo il dovere morale nei confronti dei miei genitori di assicurare loro la continuità, ma non volevo privarmi dell’opportunità di camminare con le mie gambe. E così il compromesso raggiunto è stato: resto qui, ma mi dedico a qualcosa di mio. Lavorando con i miei genitori mi ero già fatto un quadro di quali fossero le esigenze dell’agricoltura e l’offerta esistente in termini di prodotti e tecnologie, rendendomi conto che l’industria non riusciva a rispondere adeguatamente alle necessità degli agricoltori, legata com’era a scoperte scientifiche ormai vecchie. In una parola, mancava l’innovazione. Che, specialmente in una regione come l’Abruzzo, all’epoca era fondamentale. Così decisi di coinvolgere Ottorino, che già collaborava con i miei genitori, e fondammo la nostra società. Avevamo solo l’idea, per il resto mancavamo di tutto». E vi siete divisi i compiti? «È avvenuto tutto in modo naturale: siamo due personalità molto diverse, abbiamo interessi ed attitudini differenti, che sono convogliate però in un unico progetto comune; lui si è sempre occupato degli aspetti amministrativi, gestionali e produttivi, mentre io mi sono dedicato ai mercati e agli aspetti più commerciali». Quali sono i suoi interessi, le sue passioni? «Il lavoro mi ha sempre assorbito molto, ma una passione che non mi ha mai abbandonato è quella per la conoscenza; da un lato è il lavoro stesso che mi spinge ad accrescere costantemente le mie competenze tecniche, dall’altro il mio lato più personale caratterizzato da una grande curiosità per la componente spirituale dell’uomo e da un’apertura verso le diverse culture del mondo. Quando viaggio porto sempre con me tre o quattro libri». Del resto, essendo il mondo il suo orizzonte, può esserle d’aiuto. «È vero: nei primi anni Ottanta per noi il Medioriente era un importante sbocco commerciale, e conoscere usi e costumi di un popolo, la cui forte componente religiosa ha implicazioni anche dal punto di vista delle scelte alimentari, è stato senz’altro utile ed interessante. Un’altra delle mie passioni è poi la scienza, che aiuta a comprendere le leggi e i meccanismi della natura, ed è fondamentale per ciò che facciamo ogni giorno in azienda». E le sue passioni da un punto di vista privato? «Amo stare all’aria aperta, quando posso faccio sport e cerco di condurre una vita sana. La famiglia è la mia gioia e il mio sostegno: ho quattro figli tra gli undici mesi e i venticinque anni».
• Giuseppe Natale
E ai suoi figli cosa desidera trasmettere? «Credo che la nostra generazione, tra le tante cose, abbia commesso un errore: togliere ai giovani la speranza. E io ogni volta che posso cerco di restituire ai miei figli –e ai giovani in generale– la fiducia nella possibilità di farcela con i propri mezzi, senza raccomandazioni né conoscenze, lavorando con responsabilità e serietà, senza rinunciare ai propri sogni. A questo si collega un altro aspetto, quello del futuro del Paese. Quando abbiamo iniziato, negli anni Ottanta, ero orgoglioso di essere italiano: avevamo grandi prospettive di sviluppo, l’industria funzionava, c’erano sogni e speranze per tutti e possedevamo il germe della concretezza. Oggi faccio molta fatica a immaginare quale futuro possa avere l’Italia. Sarebbe facile attribuire la responsabilità alla classe politica, ma quel che mi preoccupa di più è il nostro sistema di valori: oggi chi evade le tasse viene spesso considerato come un furbo, ma per me è solo una persona che commette un grave reato; opinione questa che fortunatamente è in gran parte condivisa in tutto il mondo. Vedo tanto provincialismo, lotte di campanile, che sono totalmente anacronistiche. Mi sembra tutto assurdo e mi fa male, perché le mie radici sono qui; ma ho difficoltà a riconoscermi e spesso quando sono all’estero mi sento a disagio sapendo come vedono noi italiani. Questo non significa avere complessi di inferiorità, ma riconoscere che abbiamo sicuramente perso un’occasione importante per essere fra i primi Paesi industrializzati al mondo. Oggi non so se riusciremo mai a recuperare: i danni commessi al nostro sistema Paese mi sembrano difficilmente reversibili». Ma Valagro sembra un esempio concreto di come sia possibile in Italia lavorare senza barare… «Certo, Valagro ne è una prova. Da 34 anni non mi sono mai alzato al mattino pensando a come pagare meno tasse. Non le nascondo che però la fatica è altissima. Una volta mi sono messo a calcolare quanto avremmo risparmiato se non fossi-
mo stati un’azienda italiana, e non parlo di paradisi fiscali, ma semplicemente di essere francesi, inglesi o spagnoli. Il delta ci avrebbe permesso di aprire un’altra azienda di pari dimensioni, investire il doppio in ricerca e sviluppo, assumere il doppio del personale e produrre quindi il doppio della ricchezza. E il tempo che si spende qui per attività non produttive (per esempio per la burocrazia) è enorme. Questo è il limite dell’Italia, al quale hanno contribuito anche molto gli imprenditori, che spesso si sono rifugiati nei monopoli o si sono avvalsi dei “buchi” del sistema». E su cosa avete dovuto puntare per diventare quello che siete oggi? «La ricetta è abbastanza semplice: uno dei nostri princìpi è quello esemplificato da una storiella, che vede alcune rane in gara per salire su un palo scivoloso. La folla sottostante insiste nel dire che è impossibile, ma una rana riesce a salire in cima. Quando torna giù si accorgono che è sorda… Insomma, noi andiamo avanti con le nostre forze, ignorando chi ci dice che “non si può fare”. Le regole che seguiamo sono quelle del libero mercato, dove vince chi è bravo e riesce ad apportare maggiore valore ai propri clienti. Insieme a questa c’è una predisposizione ad allargare gli orizzonti, a guardare più in là del nostro naso e a confrontarci (non senza timori, almeno all’inizio) con i grandi colossi che dominano il mercato. E un altro aspetto è stato quello di puntare moltissimo sull’innovazione, che ritengo sia un parametro che non può mancare. Competere sulle commodities, sul costo del lavoro, sulla logistica, è difficile in questo Paese; dove possiamo dire qualcosa è proprio sull’innovazione. È facile esportare in un mercato estero, altra cosa però è essere competitivi su quel mercato. Noi esportiamo a Taiwan dalla fine degli anni Ottanta, ma siamo anche diventati competitivi su un mercato come quello cinese, che ci ha fatto fare un salto di qualità organizzativo e ci ha permesso, poi, di confrontarci anche con altri mercati».
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Marco Di Martino
Onlus
Missione sviluppo Non è beneficenza, ma un aiuto concreto per lo sviluppo dei Paesi del Sud del mondo. Grazie all’attività di una onlus pescarese l’Abruzzo è un attore di primo piano nella Cooperazione internazionale di Fabrizio Gentile
C’
era una volta il Terzo Mondo. Una definizione oggi quanto mai obsoleta, che indicava quei Paesi dove, per ragioni politiche, per continue crisi dovute a catastrofi naturali e bibliche piaghe –carestia, siccità– le condizioni di vita sono pessime, dove mancano le più basilari norme igieniche, dove il gigantismo burocratico dei governi è pari solo al disordine che regna nelle periferie. L’Africa, linea di demarcazione tra Oriente e Occidente, è oggi una terra che, a dispetto delle sue grandi risorse naturali, vive perlopiù in condizioni di povertà ed è costretta a fronteggiare una dopo l’altra grandi situazioni di emergenza derivanti dall’assenza di politiche di sviluppo. «L’Africa galleggia sul petrolio, ha immense risorse minerarie, è stata sfruttata e continua ad esserlo dai Paesi occidentali, che hanno fatto sempre più spesso della carità pelosa, elargendo aiuti per affrontare situazioni di stretta emergenza senza fornire strumenti necessari allo sviluppo. In pratica l’Occidente ha “restituito” all’Africa, sotto forma di aiuti umanitari, solo una piccola parte degli enormi vantaggi ottenuti dallo sfruttamento del suo territorio». A esprimere questa visione è Tonino Natarelli, medico abruzzese da anni impegnato nel volontariato in diversi Paesi africani. «Per fortuna oggi la parola chiave è un’altra, cioè la cooperazione internazionale allo sviluppo». Esistono due tipi di cooperazione, spiega Aldo Di Clemente, infermiere pescarese, sessant’anni, ventidue dei quali trascorsi
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al seguito di missioni umanitarie in Africa. «C’è la cooperazione nell’emergenza, che consiste nel portare aiuti alle popolazioni colpite da guerre o da eventi naturali disastrosi come terremoti o epidemie; e c’è un altro tipo di cooperazione, quella allo sviluppo, che cerca di mettere le popolazioni svantaggiate in condizioni di poter crescere e migliorare la qualità della propria vita». L’Abruzzo, in questo quadro, è tra le regioni italiane che ha ottenuto i migliori risultati nella cooperazione internazionale, grazie ad un gran numero di associazioni che operano nel settore. «E fino a poco tempo fa –prosegue Natarelli– esisteva un organismo della Regione, appositamente dedicato alla cooperazione internazionale, che aveva un budget di circa 700mila euro per finanziare i progetti; tale budget è stato attualmente tagliato a circa 60mila euro, che per una regione è praticamente zero. Resta così, a sostenere istituzionalmente la cooperazione, il Comune di Pescara, che dispone di un budget simile (istituito dalla giunta D’Alfonso e mantenuto dalla giunta Mascia), col quale finanzia progetti che, per forza di cose, sono di “piccolo cabotaggio”, pur tuttavia utili in territori dove manca tutto. Ma le associazioni devono comunque attivarsi per trovare altre fonti a cui attingere risorse». La onlus Marco Di Martino è la più grande e la più attiva associazione abruzzese, soprattutto nell’ambito della cooperazione
allo sviluppo. Fondata nel 2001 per ricordare la prematura scomparsa del giovane Marco Di Martino dal padre Giuseppe e da Tonino Natarelli e Aldo Di Clemente, l’associazione pescarese ha realizzato numerosi progetti in diversi Paesi di quello che, correttamente, viene attualmente chiamato il Sud del mondo: «Abbiamo finanziato il ripristino di una scuola in Afghanistan, siamo intervenuti finanziariamente per aiutare la popolazione irachena durante la guerra con l’invio di medicinali, abbiamo aiutato materialmente le popolazioni dello Sri Lanka colpite dallo tsunami» chiarisce il presidente dell’associazione, Giuseppe Di Martino. «Ma è in Africa, e in particolare in Angola, che la nostra attività si è concentrata negli ultimi anni, ottenendo grandi risultati grazie alla capacità di tutti i nostri collaboratori e a obiettivi precisi che ci siamo prefissati». Obiettivi che nascono dalla comprensione di quanto sia necessario, più che tamponare una falla, permettere alla nave di viaggiare da sola, ovvero di quanto sia più importante un progetto di cooperazione allo sviluppo di uno volto alla soluzione di un’emergenza. «Intervenire materialmente o raccogliere fondi in aiuto di un popolo colpito da una carestia, da un terremoto, o messo in ginocchio da una guerra –prosegue Di Martino– è senz’altro utile, ma più utile è, terminata l’emergenza, porre le basi per una rinascita, fornire a queste popolazioni gli strumenti tecnologici e conoscitivi per potersi rimettere in piedi e camminare con le proprie
gambe. Questa è cooperazione allo sviluppo, e per metterla in atto si ha bisogno di una profonda conoscenza del territorio in cui si opera, di capire quali sono le esigenze della popolazione e di avere relazioni con le autorità locali. E in questo ci è stato di enorme aiuto Aldo Di Clemente con la sua esperienza». «In ventidue anni –racconta l’infermiere di Civitella Casanova– ho lavorato per circa diciassette nazioni africane, prima al seguito della Croce Rossa, poi insieme all’Ong Intersos. Nel 2002 Intersos mi ha mandato in Angola. L’anno precedente avevamo fondato l’associazione Di Martino, e così ho cominciato a coinvolgerla nei progetti che stavo seguendo. Quando Intersos ha lasciato l’Angola, io sono rimasto e ho cominciato a lavorare esclusivamente per la Di Martino, con il sostegno “a distanza” di Intersos». La grande capacità di Di Clemente di dialogare con le istituzioni locali è stata la chiave che ha permesso alla onlus pescarese di mettere radici in Angola e di costruirsi una credibilità basata sui fatti. «Abbiamo analizzato il territorio, verificato quali fossero le esigenze, incontrato le autorità delle province dove si manifestava la necessità di intervenire e le abbiamo coinvolte nella progettazione. Questo ci ha permesso innanzitutto di stringere importanti relazioni “diplomatiche”, ma soprattutto ha responsabilizzato le istituzioni angolane, che hanno attivato così meccanismi di controllo, di supervisione e in pratica di sostegno concreto ai progetti. Tra i tanti che abbiamo realizza-
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• Aldo Di Clemente e Tonino Natarelli
to vale la pena citare quello curato da Giustino Parruti, nostro socio e primario del reparto malattie infettive dell’Ospedale di Pescara, progetto che ci ha permesso di ristrutturare e riabilitare un ospedale a Jamba, che serve un territorio dove insistono circa 90mila persone, e di formare –in Angola e anche in Abruzzo– il relativo personale medico e infermieristico. Un impegno che prosegue tuttora grazie alla dedizione di medici, tecnici, infermieri professionali e operatori dell’Ospedale di Pescara che si sono resi disponibili e hanno accolto con entusiasmo e simpatia i loro colleghi angolani». Un altro progetto significativo è stato quello chiamato “Acqua motore della vita”, che prevedeva la costruzione di circa 50 pozzi in alcune zone rurali della provincia della Huila. «Quel che rende valido un progetto di cooperazione è la sua ricaduta sulla popolazione, che dev’essere il più alta possibile. Nel caso dei pozzi noi ne abbiamo costruiti 54, portando la trivella dall’Italia e formando il personale per la loro gestione. Terminato il progetto abbiamo lasciato lì la trivella, e loro ne hanno costruiti da soli un centinaio circa. Dei beneficiari abbiamo perso il conto. Stessa cosa per il progetto col quale abbiamo installato in molte zone rurali 20 cucine comunitarie, attrezzate per ospitare sessanta persone e dotate di forni per la produzione di pane. Le cucine, gestite ciascuna da otto persone (quattro famiglie) con regolare contratto di lavoro annuale fanno da mangiare a prezzi vantaggiosi per gli operai della zona, e in più il pane che viene prodotto viene destinato, in parte, ai bambini che possono così portarsi il panino a scuola: molte famiglie non mandano i figli a scuola proprio perché non sono in grado di dargli la merenda,
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mentre in questo modo sono incentivati a mandarceli. Come si può capire, l’azione intrapresa vuole rispondere all’esigenza primaria e contingente, quella di offrire una mensa economica ai lavoratori; ma la ricaduta è estremamente ampia e riguarda il lavoro (il personale della mensa, che ottiene un contratto e uno stipendio) il benessere (il miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie degli operai), la crescita economica (è un’attività commerciale in tutto e per tutto, e deve funzionare e produrre reddito) e perfino l’istruzione. Senza contare il bagaglio di conoscenze che chi gestisce le cucine riceve e trasferisce ad altri dopo di loro. Il numero dei beneficiari è, praticamente, incalcolabile. Purtroppo ci sono onlus che da cinque anni mobilitano risorse anche ingenti per costruire e mantenere infrastrutture che –pur nella bontà dell’iniziativa, perché un pozzo in quelle zone può significare la differenza tra vivere e morire– hanno ricadute su cento, duecento persone, e non è un risultato sufficiente, anche per rispetto della generosità dei sostenitori». A questi risultati l’associazione è giunta dopo aver fatto, ammette Natarelli, «anche qualche errore. È inevitabile, gli errori in questo ambito si fanno. Ma l’importante è non commetterne di ulteriori. Una volta capito che questo tipo di progetti ci consentiva di non sprecare risorse e massimizzare i risultati abbiamo proseguito su quella strada». Quindi: esperienza, filosofia manageriale di livello, competenza professionale e credibilità sono le armi che la Marco Di Martino sfodera per perseguire i suoi obiettivi. Ma il vero cambio di marcia nelle attività della onlus pescarese è avvenuto pochi anni fa, quando il governatore della provincia della Huila, Isaac Dos Anjos, nel
• Dall’alto: Giuseppe Di Martino; giovani angolani; una donna e la sua “bancarella” in un mercato di campagna; foto di gruppo della delegazione italiana con il presidente del consiglio regionale Nazario Pagano e il governatore della Huila davanti al municipio di Lubango.
2010 è venuto in visita ufficiale in Abruzzo e ha incontrato le autorità regionali. «In seguito all’incontro –spiega Di Clemente– il presidente del Consiglio Regionale Nazario Pagano e Dos Anjos hanno firmato un protocollo di cooperazione tra la Regione Abruzzo e la Huila, teso a favorire relazioni culturali, economiche e sociali tra i due Paesi. L’accordo, sostenuto e approvato dai rispettivi governi centrali, ci ha aperto numerose possibilità, come quella di coinvolgere nei nostri progetti le Asl, il Ministero della Salute, quello dell’Agricoltura». E, nel caso specifico dell’ultimo progetto lanciato dalla onlus, l’Istituto Zooprofilattico di Teramo, una delle eccellenze regionali nella ricerca: «Come sempre, nei nostri progetti –chiarisce il dottor Natarelli– partiamo dalla valutazione di una necessità, che in questo caso è rappresentata dall’assenza di controlli sanitari sugli animali da allevamento. I Paesi africani confinanti col sud dell’Angola, cioè Botswana, Namibia e Zambia, hanno un sistema di controllo, ma essendo i confini “aperti”, spesso i bovini angolani al pascolo li oltrepassano, con la conseguenza che ogni problema legato alla salute degli animali viene attribuito all’Angola. Per ovviare a questo inconveniente abbiamo studiato, insieme allo Zooprofilattico (che opera in circa 90 Paesi del mondo e ha già seguito progetti simili) un piano che prevede: la mappatura degli animali, tramite applicazione di un orecchino ai singoli capi di bestiame; la realizzazione di mattatoi e la formazione del personale destinato a farli funzionare; l’implementazione di una catena del freddo per lo stoccaggio dei capi macellati; e, infine, il ripristino e l’upgrade tecnologico di alcuni laboratori di analisi, esistenti ma sottoutilizzati, che oltre a svolgere i controlli sanita-
ri sul territorio di competenza inizieranno a fare lo stesso anche con tutti quegli alimenti che l’Angola importa, e che mancando finora i controlli di rito non sono garantiti se non da chi li fornisce (e che quindi si attengono a norme variabili e spesso poco rigorose). Le conseguenze pratiche saranno prima di tutto il miglioramento delle condizioni igieniche di tutta la filiera, la soluzione al problema delle zoonosi, cioè delle malattie animali, e naturalmente la creazione di posti di lavoro. Infine si creerà la possibilità, per l’Angola, di iniziare una politica di esportazione delle carni, che godranno dei requisiti necessari per essere appetibili sul mercato estero. Il progetto avrà una ricaduta positiva anche per l’Abruzzo, perché agli aspetti formativi dell’operazione lavoreranno una sessantina di persone, senza contare che le attrezzature saranno tutte italiane e verranno acquistate dall’Angola. Il personale che dovrà gestire i macelli verrà a Teramo per la necessaria formazione, mentre otto veterinari teramani saranno presenti in Angola per la supervisione del progetto durante i prossimi due anni. Questo scambio porterà anche introiti allo Zooprofilattico che avrà così la possibilità di prolungare i contratti di alcuni giovani ricercatori per altri tre o quattro anni. Come si vede, le ricadute sono molteplici; inoltre si tratta di un progetto pilota, che se avrà successo potrà essere esteso a tutte le altre regioni del Paese. Il costo totale del progetto è di 22 milioni di dollari, di cui circa la metà verrà impiegata solo per la mappatura, ed è finanziato dal governo delle regioni interessate, che partecipano proporzionalmente al numero dei bovini presenti nel proprio territorio».
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Golf Club Miglianico
Un green
per tutti Si apre un nuovo corso
per la prestigiosa struttura sportiva che si propone come volano turistico per l’intera regione di Giorgio D’Orazio
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l 2014 si apre con una stagione completamente nuova per la “A. S. D. Miglianico Golf & Country Club”, ne è convinto il nuovo Presidente Mario Dragonetti, eletto di recente alla guida di un Direttivo dinamico e appassionato che ha presentato ai soci un corposo programma, diviso per deleghe affidate a Lucio Campanella, Stefano Di Properzio, Stefano Ferri, Leonardo Gravina, Marco Paolucci e Marco Tuccella, oltre che a Dragonetti stesso, già ideatore di una seguita iniziativa a metà strada tra sport e solidarietà come l’Axa Golf Cup. Un programma che guarda soprattutto al miglioramento delle infrastrutture, all’incremento delle attività sociali e all’interscambio di relazioni produttive con l’estero. «Lo spirito è quello di una rinascita che interessi l’Associazione e il Circolo ma che al contempo sappia aprirsi a nuovi ospiti e nuovi iscritti» ha spiegato Dragonetti «anche sulla scia del positivo crescendo d’interesse nei confronti del golf da parte del pubblico, in vista delle Olimpiadi del 2016. Credo che il golf vada ripensato non come sport d’elite bensì come sport accessibile a tutti, uomini e donne, adulti, ragazzi e bambini. E poi è una disciplina che consente di passare molto tempo immersi nella natura godendo, nel caso specifico di Miglianico, di ottime condizioni di campo e di un favorevole microclima, una constatazione comune a tutti i golfisti che abbiamo ospitato fino ad oggi». La strategia programmatica del team di Dragonetti, che può contare sulla fondamentale collaborazione del Comune di Mi-
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glianico, proprietario della struttura affidata in gestione alla società Non Solo Golf guidata da Claudio Ucci, mira a far diventare il Golf Club di Miglianico (www.miglianicogolf.it) un punto di riferimento per gli sportivi e gli appassionati, italiani e non, nonché un’opportunità turistica per l’intera regione Abruzzo. E per farlo fissa alcuni punti e obiettivi principali. Dalle attività di fund raising per lo sviluppo e il miglioramento dell’impianto sportivo al potenziamento dell’attività giovanile e della squadra agonistica; dall’organizzazione di campus anche multisport per bambini ad un programma di accoglienza più attenta nei confronti dei neofiti; dalle relazioni di gemellaggio con campi italiani ed esteri (Norvegia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Inghilterra e Francia) collegati con l’Aeroporto d’Abruzzo per attirare golfisti ed accompagnatori, migliorando anche le strutture satelliti come il ristorante e il pro-shop, fino ad un nuovo progetto di Club House e di sviluppo dell’intera area del golf, facendola diventare un vero e proprio pool sportivo, studiando la fattibilità di campi da calcetto o da tennis e riqualificando la zona della piscina con strutture adeguate al relax e molti servizi aggiuntivi. Una scommessa che, ha sottolineato il presidente Dragonetti, si spera possa essere compresa e condivisa anche dalla Regione Abruzzo, perché il golf abruzzese e il Golf Club di Miglianico hanno tutte le carte in regola per diventare un volano pubblicitario e anche economico per promuovere l’intero territorio abruzzese, in Italia e all’estero.
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RIECO S.p.A.
Lezione di sostenibilità Nulla si crea, nulla si distrugge, ma molto si può ottenere dalla raccolta differenziata dei rifiuti. In Abruzzo la società di servizi integrati per l’ambiente del gruppo Di Zio svolge un’intensa attività di sensibilizzazione rivolgendosi soprattutto ai più giovani
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ieco S.p.A, Società di Servizi Integrati per l’ambiente, è una delle realtà private più innovative del centro Italia e fa capo al gruppo industriale abruzzese Di Zio. Nata da circa due anni, l’azienda opera in gran parte del territorio abruzzese e non, con attività moderne e all’avanguardia, volte a garantire le più adeguate e comode metodologie di differenziazione e conferimento dei rifiuti, nonché a fornire risposte concrete alle esigenze delle utenze servite (attualmente oltre 200.000) e delle caratteristiche territoriali dei Comuni in cui opera. Raccolta e trasporto rifiuti differenziati/indifferenziati e speciali, servizi di igiene urbana, intermediazione e commercializzazione rifiuti, progettazione e gestione di servizi di “raccolta porta a porta con applicazione di transponder” (RFiD) per la definizione della tariffa puntuale, progettazione, costruzione e gestione di centri di raccolta e stazioni di trasferenza, servizi di comunicazione e sensibilizzazione ambientale rappresentano le principali attività svolte da Rieco S.p.A. L’attenta analisi del territorio e la dettagliata pianificazione operativa sono i punti di forza della società, che coniuga modernità e tecnologia nella progettazione dei servizi di raccolta “porta a porta” come dimostrato dall’applicazione del transponder RFiD, attraverso il quale ogni contenitore per la raccolta differenziata attribuito a ciascun utente viene marcato ed identificato in modo univoco al fine di individuare l’esatta quantità di rifiuti differenziati e permettere, conseguentemente, all’amministrazione comunale l’eventuale determinazione della tariffa puntuale. La stessa attenzione all’innovazione è riservata ai mezzi
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di raccolta Rieco S.p.A., tutti dotati di sistema satellitare a bordo per verificare in tempo reale il tragitto e gli itinerari percorsi e garantire il corretto svolgimento del servizio da parte degli operatori addetti. «Crediamo che per raggiungere certi risultati sia indispensabile costruire un background culturale con utenti di ogni età» spiega Valentina Di Zio, Responsabile Relazioni Esterne e Comunicazione Rieco S.p.A. «Puntiamo su una continua e chiara comunicazione con i cittadini, fornita sia attraverso metodi ormai condivisi, quali incontri informativi, didattica nelle scuole, sito internet e la vivace pagina facebook, che mediante nuovi servizi gratuiti a disposizione degli utenti a partire da giugno: il centro del riuso online Rieco S.p.A., una piattaforma web per lo scambio di oggetti e l’assistenza mediante ecosportello telematico». Non da ultimo, Rieco S.p.A. basa la sua politica aziendale sui fondamentali princìpi di sviluppo sostenibile, tutela dell’ambiente, salute e sicurezza dei lavoratori e dei cittadini fruitori dei servizi prestati. L’adozione di un “Sistema Integrato di Gestione per la Qualità, Ambiente e Sicurezza” conforme ai requisiti delle norme internazionali ISO 9001, ISO 14001 e OHSAS 18001 ha come scopo principale quello di far emergere sempre di più l’efficienza organizzativa e qualitativa delle attività aziendali, al fine di ottenere piena soddisfazione degli utenti ed alto livello di salvaguardia dell’ambiente, dei lavoratori e dell’intera collettività. Un’attenzione all’ambiente che ha avuto come risultato il riconoscimento della prestigiosa certificazione Emas.
• In alto le attivitĂ di sensibilizzazione della Rieco sulla raccolta differenziata. Qui a fianco due campagne pubblicitarie; sotto, due automezzi della societĂ
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Vario Ribalta VarioART
Piano di riconversione #01, 2009
Plauto ritrovato
Nuova linfa per l’opera del grande autore classico:
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Paride Petrei
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VarioART
un guanto di sfida all’odierno pantano editoriale Pagina
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Mostre
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ltre a confermare che ogni traduzione è un’interpretazione, e a smentire che tradurre è un po’ tradire, questa da Plauto di Sabatino Ciocca è una bella lezione letteraria che arriva dal teatro. Viene in mente il plautino Vantone di Pasolini del ‘63 – nel senso dell’interiorizzazione del testo. Traslazione il sinonimo scelto dal poeta delle Ceneri di Gramsci per l’impossessamento del Miles gloriosus, in un anno emblematico per prediche su un parlato basso in cui ci saremmo rispecchiati tutti. Mezzo secolo dopo, questa sfida rammenta che malgrado gli editors la letteratura non è morta. Non è provocazione –considerate le ciocchesche Storie di lettere e l’indomabilità dell’autore latino– ma una visione teatrale dove gli sperimentalismi possono anche susseguirsi senza però profanare l’aura di Tito Maccio Plauto un palcoscenico vuoto. Al mercato libresco sopperisce la Pseudolo maschera: la pura vocazione di Ciocca alla recita esortrad. di Sabatino Ciocca cizzante la cronaca si applica a una dimensione testuale Tabula Fati, pp 159, € 12,00 profonda, nobile, senza pari rispetto a chi oggi si propone in letteratura per infettare. La traslazione pasoliniana presagiva questa offerta di nuova linfa dal teatro alla parola letteraria. Il linguaggio spazia dal colto al gergale, dal poetico al triviale, tessendo quel “tappeto volante”,secondo l’efficacissimo Edoardo Erba nella presentazione, con cui Pseudolo viaggia “alla velocità dei nostri giorni”,e alto su di noi. Nel libro l’energetica concezione dell’arte è rispetto per sé e i maestri. Speculare alla luce dei versi latini attualizzati –dopo insufficienti traduzioni precedenti– la splendida “intervista” dove il traslatore inscena la locuzione di Plauto confermante la perizia evocativa. “Ciò di cui vado fiero è la mia scrittura che, al contrario di ciò che asseriscono i maligni, nulla ha di sermo plebeius o rusticus”: Plauto sottolinea un vocabolo oggi non colto nella giusta luce: scrittura. Secondo Shelley ogni traduzione è inutile. Come gettare una viola nel crogiolo per scoprirne il principio del colore e dell’odore. Infrangendo l’interdetto Ciocca si è spinto nel mistero dei volti innumerevoli popolanti da sempre la terra come le lingue… Shelley non è stato narratore, altrimenti avrebbe scorto come la prosa –e il teatro, Ciocca sa benissimo– esiga il conflitto, non nell’azione ma tra fantasmi del presente e del passato, nella diacronia del foglio davanti a chi intenda narrare non più a voce. Il traslatore di questo Plauto ha gettato la viola nel crogiolo con maestria e responsabilità d’artista – per far risentire il colore e l’odore non di un fiore ma del tempo. Marco Tornar
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CINEMA
Vario ART 2014
Giovani da collezione Negli spazi della Maison des arts della Fondazione Pescarabruzzo una mostra antologica ripercorre i cinque anni dell’iniziativa VarioART
• Qui sopra: Franco Summa e Nicola Mattoscio durante il vernissage della mostra nella Maison des Arts. Nella pagina a fianco le opere dei 24 artisti
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entiquattro artisti, circa 50 opere esposte che illustrano lo straordinario momento di vitalità che attraversa il mondo delle arti visive in Abruzzo. Giovani pittori, disegnatori, scultori, artisti multimediali, innovatori, che parlano (finalmente) al grande pubblico con la loro voce, facendo emergere la loro personale visione del mondo che ci circonda. Giunta al suo quinto anno, l’iniziativa VarioART, promossa dalla Fondazione Pescarabruzzo e realizzata da Vario, traccia un primo bilancio con questa esposizione, allestita nelle sale della Maison des Arts della Fondazione Pescarabruzzo che raccoglie le opere dei 24 artisti di cui, dal 2010, abbiamo pubblicato le monografie. Una formula editoriale che, sposando il testo critico con il poster, ha permesso ai lettori di Vario di familiarizzare con talenti nascosti, spesso immeritatamente, perché attivi in circuiti alternativi a quelli dell’arte tradizionale. «Le arti visive nella nostra Regione hanno sempre avuto, grazie ad artisti di valore e di caratura internazionale, un ruolo di rilievo» ha commentato Nicola Mattoscio, presidente della Fondazione Pescarabruzzo. «Ne sono testimonianza
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le numerose opere disseminate in tutto il territorio regionale cui la Fondazione non ha mancato di offrire il proprio sostegno, impegnandosi a fondo nella conservazione e nel recupero del patrimonio culturale abruzzese. Un impegno che prosegue nel tempo e che oggi si esprime anche nella valorizzazione di un panorama estremamente vivace ed interessante quale quello offerto dalle arti visive contemporanee. L’iniziativa VarioART si traduce oggi in una esposizione collettiva delle opere acquisite finora dalla Fondazione, così da fornire al visitatore e al lettore un panorama del territorio artistico contemporaneo regionale, con tutte le sue complesse sfaccettature». Questi gli artisti in mostra: Lorenzo Aceto, Marco Antonecchia, Emanuela Barbi, Lucilla Candeloro, Daniela D’Arielli, Francesco D’Incecco, Enzo De Leonibus, Alessandro Di Carlo, Michela Di Lanzo, Matteo Fato, Learda Ferretti, Franco Fiorillo, Veronica Francione, Alessandro Gabini, Francesco Giorgino (Millo), Antonio Lucifero, Marco Lullo (Raul), Paride Petrei, Lucio Rosato, Gino Sabatini Odoardi, Sergio Sarra, Connie Strizzi, Andrea Tattoni, Simone Zaccagnini.
Paride Petrei
Piano di riconversione #01, 2009
VarioART
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Andrea Tattoni
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arte come sofferenza. Non solo quella che, secondo Andrea Tattoni, è l’elemento che nella vita segna di più l’uomo, ma quella fisica, del gesto artistico: la fatica del lavoro “pittorico”, dell’impegno nella realizzazione di un’opera. E di fatica Andrea ne fa tanta, perché le sue creazioni sono realizzate su supporti non convenzionali (tavole di legno, lastre d’acciaio e, più recentemente, grandi lastre di ferro) e sono, spessissimo, di grandi dimensioni: si va dal 3 metri per 2 di “Sabbia, acrilici” del 1999 fino al monumentale Grande ferro 1, una lastra di 2 metri per 2 del peso notevole di circa 60 kg. Proprio quest’ultima opera è quella che Andrea considera il suo pezzo più importante, la summa della sua arte. Uno spartiacque, che lo pone davanti a un bivio, che fornisce quindi ulteriori interrogativi a un artista alla continua ricerca di sé. Anche per lo spettatore più smaliziato è arduo non accostare certi tuoi lavori dei primi periodi all’arte di Burri, di Fontana, di Rothko. Non temi di essere visto come un imitatore? «Inizialmente i miei quadri avevano tutti l’impronta di uno di questi autori, o di tutti insieme. In effetti le somiglianze non sono poche, ma più che essere delle vere e proprie opere, studiate e pensate, erano degli esperimenti, degli studi sulle tecniche e sui materiali. Occorre molta pratica per poter piegare al mio volere materiali che reagiscono alle sollecitazioni più estreme, come il fuoco o gli acidi. Infatti ho cominciato ad essere soddisfatto dei miei lavori solo quando, fuori dalle facili somiglianze, ho trovato una mia voce, senz’altro ispirata al lavoro di quegli artisti ma che ora se ne discosta almeno dal punto di vista estetico». E quando l’hai trovata hai anche ottenuto i primi veri successi: oggi sei un artista quotato, i tuoi lavori vengono esposti in Europa, Asia, Stati Uniti. Ti senti “arrivato”? «Mi auguro di non sentirmi mai così, vorrebbe dire che non ho più nulla da chiedere all’arte. Invece ogni volta, anche a causa dello sforzo fisico che faccio quando lavoro, a conclusione di un’opera mi sento svuotato, stanco, debole. I dubbi mi assalgono, mille interrogativi mi si pongono davanti. E allora mi rimetto al lavoro, per cercare le risposte. Quando mi sembra di averle trovate, se ne ripresentano delle altre. La mia è una ricerca costante, non solo di me stesso ma anche delle innumerevoli strade che l’arte mi fa scoprire».
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Vario ART 2014
Sei piuttosto inquieto. Quanto metti di te nei tuoi quadri? «Poco. Diciamo che però le mie esperienze si riflettono nel mio lavoro, almeno per quanto attiene ai sentimenti. Credo che le passioni forti, e quindi le forti sofferenze, siano ciò che lascia di più il segno sull’uomo, e così tratto i materiali –ferro, legno, acciaio– come un corpo, o un’anima, sulla quale vado a incidere, a bruciare, a strappare, così come fanno le emozioni. E nei lavori, quando li ritengo conclusi, traspare proprio la forza di questi sentimenti». Difficile dire quando un tuo lavoro sia “concluso”: torni mai su un’opera dopo averla giudicata finita? «Mi è capitato, e tuttora c’è qualcosa sulla quale mi piacerebbe tornare a intervenire. Ma in genere lascio i lavori così come sono, perché devo pur fermarmi. La mia difficoltà più grande sta nella necessità di governare gli imprevisti, una cosa che Burri sapeva fare molto bene. Ad esempio, bisogna saper trattare la fuliggine, la fiamma, le bruciature di acido, i diluenti. Tutte cose che possono agire in modo diverso da come uno si immagina. Quando lavoravo all’aperto bastava un po’ di vento a mandare la fiamma dove non doveva, creando quindi qualcosa con cui mi trovavo a dover fare i conti. Ecco perché non ho mai usato bozzetti preparatori». Ma adesso hai deciso di cominciare. Perché? «Perché il Grande Ferro 1, il mio ultimo lavoro, racchiude in sé tutto ciò che ho cercato di dire con le mie opere precedenti. È come se fosse un punto di arrivo, cui mancano però le tappe intermedie che invece sono presenti negli altri cicli. Quando l’ho finito mi sono detto: e adesso? Cosa farò dopo? E così ho pensato a cosa avrei dovuto fare prima. Diciamo che questo è il tredicesimo lavoro di una serie di “ferri”,di cui ora mi accingo a realizzare gli altri dodici». Le tue opere sono caratterizzate da una forte spiritualità, spesso accentuata anche dall’allestimento museale. «Sì, c’è sempre qualcosa di sacro. Ma è una conseguenza dell’arte concettuale: squarciare il velo della realtà fenomenica conduce all’essenza, all’anima, allo spirito. Non sono religioso, o forse sì; non credo in Dio, o forse sì. Ho molti dubbi al riguardo, e comunque mi confronto sempre con la mia parte spirituale».
• Andrea Tattoni
FRANCESCO d’incecco
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rancesco D’Incecco è rientrato sul palcoscenico dell’arte della nostra regione dopo un periodo di silenzio in cui, pur continuando a lavorare, aveva cessato di esporre. Il suo ritorno è stato segnato da una radicale riformulazione del proprio lavoro che l’ha portato a rinnegare tutto o quasi tutto ciò che aveva prodotto in precedenza. Adesso la sua opera ha trovato nella figura del manichino il nucleo tematico e iconografico fondante: l’artista realizza infatti –con una sapienza artigianale– dei manichini in legno che colloca poi negli spazi in cui è chiamato a intervenire, spesso accostandoli a oggetti di varia natura. I materiali che utilizza in queste installazioni sono quelli con cui viene a contatto nella vita quotidiana, per lo più di natura residuale: vecchi vestiti, scarti di macelleria, bottiglie e quant’altro. Questi simulacri di umanità sono ritratti in azioni o atteggiamenti diversi, con una predilezione per quelli di natura bassa, provocatoria o ancora ironicamente autolesionistica. Il lavoro che fai appare profondamente legato al luogo in cui va a insediarsi. Che tipo di rapporto s’instaura? «Il mio lavoro prende vita “dentro” il luogo: alcune opere hanno un’idea di partenza ben definita e chiara, mentre altre nascono sul posto, adattandosi allo spazio e alle diverse situazioni circostanti. Inoltre è un tipo di lavoro che richiede molto tempo, prende la sua forma e si contorce dallo spasmo, viene torto e “masticato” a pestilenza, accumula elementi seminandone degli altri, in un continuo ciclo di rimpasti e di sbiellati movimenti. Alla fine si distrugge, lasciando nudo al suo passaggio, solo il corpo marcio di uno scatto». Da dove hai ripreso il tema del manichino? «Non saprei spiegarlo bene: la mia non è una ricerca legata a personaggi storicizzati o a correnti di pensiero già definite, ma piuttosto a qualcosa di intimo, arcaico, e profondamente personale. Ho realizzato i miei manichini seguendo le proporzioni del mio corpo […] quello che faccio, passa sempre sul mio corpo, e dal mio corpo, come un secco stoccafisso si disossa. Ho utilizzato il legno per costruire “l’ossatura”, e snodi in ferro per rendere fluido e più articolato possibile il movimento. Ogni manichino è composto da un assemblaggio di circa 250 pezzi, tra barre in legno e cerniere in ferro a doppio snodo. Grazie a questa strut-
tura il manichino riesce a compiere tutti i movimenti del corpo umano. Mi piace deturpare, seppure in modo lieve, l’anatomia umana. Un lieve “storpiamento” nasconde spesso una grande potenza espressiva». La questione del significato del lavoro di un artista è sempre estremamente complessa. Come si pone nel caso del tuo lavoro? «Non amo parlare di significato, il messaggio non m’interessa, credo che la comunicazione sia solo una gravida illusione a cui facciamo tutti finta di credere. A volte mi meraviglio di come gli altri possano apprezzare le cose che faccio. Voglio lasciare che il mio lavoro sia svincolato da patetici rimandi culturali, come se poi tutto questo fosse davvero importante, gioco sulle potenziali differenze dei significati. Non mi va di tirare in ballo la società, la politica, l’istruzione o l’ecologia, non provo il minimo interesse in tutto questo: vivo la cosa in maniera più isolata e personale. Io non ho niente da dire; lascio che “l’altro”, se ne ha voglia, stabilisca un rapporto con le cose che faccio. In realtà questo lavoro non nasce per spazi museali, ma per luoghi “aperti”, dove incarna per brevi istanti qualche storia clandestina. La mia è una ricerca intima, ciò che vedono gli altri sono affari loro: non credo che io possa aiutarli in nessuna maniera». Infatti è possibile guardare i tuoi lavori da molteplici chiavi di lettura: dalla tragedia alla commedia. «Effettivamente hanno sempre questo duplice risvolto: se ci troviamo ad esempio di fronte ad un accattone scorticato e mutilato, gettato in un angolo di stada, la componente tragica e violenta è evidente, ma se lo stesso magari sfoggia un “concertino” dando fiato alla sua tromba infilata nel sedere, ecco che la tragedia sfuma lentamente nel grottesco. In altri casi è presente una forte simbologia arcaica, carnale e sanguigna che forse trova le sue radici proprio nella “broda” primordiale e maleolenta di una assurda e sverginata (r)esistenza». Il tuo lavoro sembra collocarsi su quella linea di confine tra l’arte e la vita. «In realtà non trovo differenza tra le due cose. Non cerco di creare una finzione scenica o una riproduzione della realtà, si tratta di manichini, oggetti morti e inanimati, che non nascondono a nessuno, la loro natura truce di carcasse». • Francesco D’Incecco
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MICHELA DI LANZO
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l contesto è quello dell’Abruzzo rurale: una casetta in una campagna sperduta nei dintorni di Bucchianico,“in una di quelle zone dove l’illuminazione urbana è arrivata solo negli ultimi anni”. Michela Di Lanzo nasce lì, il primo giorno di primavera del 1984, e fi n dall’infanzia comincia a dimostrare una propensione al disegno. «Inizialmente ero orientata a seguire un percorso da ceramista, ma quando mi sono iscritta all’Istituto d’arte a Chieti il corso di ceramica aveva appena chiuso i battenti. Così, a settembre, mi ritrovai iscritta al corso di Pittura e decorazione», racconta. Un corso che le ha fornito gli strumenti tecnici per poter dare corpo alle sue fantasie, e per affrontare nel modo migliore l’Accademia di Belle arti di Urbino. «All’accademia mi sono ritrovata spesso a fare da assistente ai professori, data la mia preparazione tecnica. Ho imparato tante cose ma tirando le somme è stata un’esperienza deludente. I ricordi più belli sono legati alle visite a spazi d’arte contemporanea e musei d’arte moderna, nei weekend, a Venezia». Hai creato un progetto editoriale sotto il nome di “La Ciuetta”, ovvero la Civetta. Perché? «Il progetto ha lo scopo di dare diffusione al mio lavoro attraverso un canale alternativo ai tradizionali circuiti dell’arte. Il nome? Mi chiamano così, la civetta è il mio alter ego. È la mia caricatura. Sono un animale notturno, lavoro e creo soprattutto di notte e dormo di giorno. E poi ho vissuto in campagna, e le mie notti erano riempite dal suono di queste civette». Un animale che raffiguri spesso, come nel caso di Cappuccetto Rosso nella serie “Favole crudeli”. «Per due anni ho sperimentato quello che in gergo si chiama “blocco creativo”: mi sedevo alla scrivania e non riuscivo a disegnare nulla. Poi, in una notte “buia e tempestosa”, sul foglio ho iniziato a disegnare due occhi, quelli della civetta che poi è diventata Cappuccetto Rosso. E non mi sono più fermata. Le cose nascono sempre istintivamente, poi piano piano cominci a costruirci su un discorso logico. Ho recuperato certe sensazioni infantili, ho indagato sul “bestiale” che è in noi nella vita di tutti i giorni, ho ripreso le favole classiche (che altro non sono se non una maniera per spiegare all’uomo il male del mondo) e ci ho giocato su, con molta ironia. Ad esempio i tre porcellini: nella fiaba si salva-
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no, nella mia versione muoiono. E ho voluto rendere omaggio al mio Abruzzo e alla vita di campagna, ritraendoli uno come maiale appeso, uno in posa da porchetta, e un altro è decapitato, a ricordare che del maiale non si butta via niente». Hai scelto una forma espressiva molto elaborata: usi la penna ma il risultato è quasi quello di un’incisione. «È quello che volevo: in accademia è una delle tante cose che non ho potuto approfondire. Mi è rimasto il cruccio, vorrei tanto fare calcografi a, ma non riesco a portare avanti questa ricerca personale perchè qui, sul territorio, mancano strutture e laboratori». Civette, insetti, roditori, il bosco, la notte: elementi che ricorrono spesso nei tuoi lavori. Hai paura dell’ignoto? «Sì. Mi affascina e mi inquieta. E credo che la mia generazione sia tutta segnata dalla paura di ciò che ci attende: è il male del precariato e dell’incertezza sul futuro». Come definiresti il tuo lavoro? «Aggressivo, sensibile e spiritoso. Aggressivo nel tratto e nei contenuti: sono comunque bestie considerate brutte o mostruose. Sensibile perché nasce da ricordi infantili, da suoni e rumori che sono nella mia testa e appartengono ai tempi della campagna, al susseguirsi delle stagioni, a luci soffuse, a tutta un’interiorità molto personale. Spiritoso, perché cerco di sdrammatizzare la vita attraverso i miei disegni. Un giorno stai bene, poi giri l’angolo e ti crolla il mondo addosso. Un po’ d’ironia non fa mai male, e anche prendersi troppo sul serio non è una buona cosa». Hai uno stile molto personale. Quali sono i tuoi artisti di riferimento? «Gli street artists, il filone del graffitismo, l’animazione sovietica. E poi tutta l’illustrazione dell’Est Europa: a Berlino ho avuto modo di liberarmi di tanti schemi del “fare arte all’italiana”». Ma il pennello non lo usi mai? «Qualche volta, solo per il colore. Prima dipingevo di più, durante gli studi. Ma nasco come disegnatrice, e il mio strumento preferito resta la penna. Recentemente ho però ripreso tele e pennelli, per una serie di quadri dedicati al potere erotico femminile che ci è stato fatto dimenticare dalla società».
• Michela Di Lanzo
MILLO
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olti come lui hanno scelto Pescara come sede di studio, trascorrendo un felice periodo nel capoluogo adriatico, conseguendo una laurea a pieni voti e apprezzando la vita nella città di d’Annunzio. Ma come lui, moltissimi si sono trovati, al termine degli studi, senza alcuna prospettiva di lavoro: una crisi occupazionale accentuata da quella economica, che nel 2009, quando Francesco Giorgino non è ancora Millo, appare in tutta la sua drammatica realtà. Ed è in quell’anno che il neolaureato Giorgino da Mesagne (Brindisi) decide di tentare un’altra strada, di mettere a frutto il suo innegabile talento artistico e partecipare al Premio Celeste, un’importantissimo concorso internazionale. «All’epoca disegnavo pochissimo –racconta– e dipingevo ancora meno. Tecnicamente si trattava di un percorso molto elaborato, che mi impegnava parecchio tempo. Decisi di partecipare al Premio quasi per gioco, e mi ritrovai in finale, tra i primi 50 su circa 2500 concorrenti. Allora capii che, forse, potevo intraprendere una strada diversa». I lavori presentati al Premio Celeste erano molto lontani dalle cose che fai oggi. Com’è avvenuto il passaggio stilistico da quei primi quadri alla pittura murale? «Quei quadri non mi rappresentavano. Sentivo di dover passare a qualcosa di molto più istintivo. Ed ero alla ricerca di superfici più grandi sulle quali esprimermi: quando dipingo riesco a isolarmi dal mondo, a concentrarmi totalmente sulla pittura. E chiaramente, più il quadro è grande, più dura questa sorta di trance. Dati i costi di tele di grandi dimensioni, mi sono dedicato alla pittura murale». E così sei diventato uno “street artist”.Un movimento che anche in Italia è piuttosto diffuso. «Sì, e conta nomi di rilievo molto quotati. La prima cosa importante che ho fatto è stato il Popup Festival ad Ancona: l’atmosfera era magica, il fenomeno era al suo massimo in quell’attimo prima di diventare “conosciuto”. Ho avuto la sensazione di essere al momento giusto nel posto giusto». Ora viaggi spesso per l’Europa, e alla fine sei entrato anche in una galleria a Londra. «Quella londinese è stata un’esperienza fantastica. La Hoxton Gallery a
Shoreditch è meravigliosa, e l’ambiente artistico inglese funziona molto meglio che in Italia: i visitatori non vengono solo a curiosare o a fare presenza, chi entra generalmente lo fa per comprare. Ho venduto molto più in una settimana lì che in tre mesi in Italia. Ci sono stato a Luglio per esporre la mia serie “Clumsy” e poi a dicembre, per Nero, il lavoro in tandem con Benjamin Murphy». Realizzi dei bozzetti per i tuoi lavori? «Quasi mai. In genere il punto di partenza è sempre un disegno: ne ho centinaia, alcuni dei quali li ho esposti di recente in un locale pescarese. Di questi, molti sono diventati opere (murali e non), altri sono rimasti nel cassetto. Ma quando mi metto davanti a una superficie seguo molto l’istinto. Inizio con un’idea, ma il risultato può essere completamente diverso. A volte dipende anche dal contesto: per un lavoro in una piazza a Montone ho disegnato facendomi strada tra le auto parcheggiate». Che messaggio c’è nei tuoi lavori? «Nessuno in particolare, anche se il rapporto dell’uomo con la città è sempre centrale. Spesso dipingo in periferie degradate, e mi sono reso conto che i bambini mi osservano, si riconoscono nei miei disegni, anche per il tratto sempre molto semplice, essenziale: e alla fine si divertono. Ecco, forse questo genere di arte ha un’utilità sociale, lascia a quei bambini qualcosa di bello da guardare». In effetti i tuoi personaggi hanno sempre qualcosa di non adulto: sono bambini, o tutt’al più adolescenti. «Anche io mi ritraggo sempre più giovane di quanto sono. Ma la componente ludica è fondamentale: bisogna essere un po’ bambini per dedicarsi al disegno, e poi i miei personaggi si trovano sempre in situazioni ambigue, non si sa mai se siano incastrati nel contesto urbano o se ci si divertano. Traggo ispirazione da certi giochi che si facevano da piccoli». In Europa cominci ad essere un nome importante. Ti senti un artista internazionale? «Lo sono per vocazione: non dipingo in casa, ma ovunque. E non ho nessuna intenzione di restare confinato in un Paese».
• Francesco Giorgino
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Mostre
L’Abruzzo visto dal Nord
A Roma una mostra dedicata agli impressionisti danesi che visitarono la nostra regione tra Ottocento e Novecento
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ivita D’Antino, piccolo borgo della Valle Roveto, è stata per circa trent’anni (dal 1883 fino al 1915) il rifugio e la fonte d’ispirazione di numerosi pittori danesi, che nel paese montano trovarono la loro Arcadia. Centinaia di artisti, attratti dalla bellezza del paesaggio, decisero di infrangere le convenzioni della pittura accademica sperimentando in libertà la pittura di “impressione”. Dal 1 aprile il Museo Hendrik Christian Andersen ospita la mostra Impressionisti Danesi in Abruzzo, circa 50 opere che illustrano la vita e i personaggi di un tempo ormai perduto, un’epoca di pace e serenità bruscamente interrotta dal terremoto del 1915. Capeggiati da Kristian Zahrtmann, il più prolifico e il più assiduo degli autori che visitarono Civita D’Antino, i danesi ritrassero scorci del borgo, paesaggi, momenti di vita quotidiana, affascinati dalla luce e dai colori che l’Abruzzo rurale e sconosciuto gli offriva, come dai riti religiosi –matrimoni, feste– così diversi da quelli della loro cultura protestante. Alla Prima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia del 1895 il padiglione danese, che includeva oltre a Zahrtmann altri artisti segnati dall’esperienza italiana, fu apprezzato da Gabriele d’Annunzio per la “sincerità della pittura”. Il flusso di pittori nordici in quell’Arcadia di Val Roveto continuò ininterrotto dal 1883 (arrivo del caposcuola Zahrtmann) fino al 1915 (anno del terremoto della Marsica), che ne segnò l’inizio della fine. La mostra è ideata da un comitato scientifico che include il professor Marco Nocca (Accademia Belle Arti, Roma), il professor James Schwarten (John Cabot University, Roma), il professor
Antonio Bini (esperto dei pittori danesi), e Manfredo Ferrante (curatore Archivio Ferrante). È promossa dalla Fondazione Pescarabruzzo e dal suo Presidente, professor Nicola Mattoscio, che da anni cura un incremento delle opere degli artisti nordici attraverso l’acquisizione sul mercato antiquario, e dall’Archivio Ferrante. La Fondazione Pescarabruzzo è anche il principale prestatore dell’esposizione, arricchita anche da numerosi prestiti di collezionisti privati. Partecipano con il loro patrocinio la Reale Ambasciata di Danimarca, la Presidenza del Consiglio Regionale dell’Abruzzo, la Provincia dell’Aquila, il Comune di Civita D’Antino (AQ), l’Accademia di Danimarca in Roma, l’Accademia di Belle Arti di Roma l’Università G. D’Annunzio ChietiPescara, l’Università degli Studi di Teramo, e l’Università dell’Aquila. Significativa è la sede espositiva prescelta in virtù dello stretto rapporto dei pittori danesi con l’Esposizione del 1911: il museo Hendrik Christian Andersen, dimora dell’artista norvegese a partire dal 1924, attualmente museo satellite della Galleria nazionale d’arte moderna. Il Museo, per l’originaria destinazione e per la mission contemporanea, dedica i suoi eventi prevalentemente agli artisti nordici del XIX e XX secolo. L’allestimento è curato da Stefania Teodonio. Il catalogo presenta un saggio del prof. Attilio Brilli, noto esperto del Grand Tour, sul turismo storico in Abruzzo. • Due opere esposte a Roma. In alto P. H. Kristian Zahrtmann, Corteo nuziale in Abruzzo, 1896. Olio su tavola, cm. 55,30 x 39,80. In basso: Johannes Wilhjelm, Kristian Zahrtmann dipinge in piazza a Civita D’Antino, 1905. Olio su tela, cm. 103 x 129
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Tutte le donne di Dante Corrado Gizzi, scienziato, letterato, poeta e ben noto animatore culturale, con le mostre d’arte nella sua Casa di Dante in Abruzzo ha creato un’eco arrivata anche in Russia, Australia e Canada. Sua moglie Lina, che con Lui ha condiviso il coraggio e lo spirito di sacrificio, per onorarne la memoria, ha deciso di continuare tale trentennale tradizione, con la mostra Dante e le donne del Paradiso, allestita fino allo scorso dicembre all’Aurum di Pescara. Argomentare sulla donna oggi è attuale nella nostra società sempre più spesso macchiata dal femminicidio. E come osserva Franca Minnucci, sono le mogli o le compagne a essere uccise, non le madri o le sorelle. È la sempre migliore affermazione della donna nel lavoro a far diminuire il “potere” del marito o del compagno e a volte scatenarne la reazione omicida. Ben diversa era la considerazione che Dante aveva della donna
pur nella società medioevale molto maschilista: la concezione del dolce stil novo. La donna era angelicata e costituiva il tramite per l’ascesa spirituale dell’uomo. Le donne del Paradiso presentate dagli otto artisti scelti dal critico Giorgio Di Genova confessano a Dante il loro vissuto terreno. I pittori Impero Nigiani e Edi Brancolini, pur nella raffinatezza dei loro dipinti, non hanno ritenuto necessario rendere l’atmosfera luminosa ed evanescente del Paradiso. La Beatrice di Nigiani sembra poco celestiale: ha le fattezze di una bella giovane piuttosto acerba, poco più che fanciulla e in verità molto terrena nel suo fascino quasi aggressivo. E dello stesso autore è l’opera Piccarda Donati, la donna a forza portata via dal convento. La scena è un chiostro reso con una evidenza fotografica quasi da iperrealismo per la nettezza dei contorni. Brancolini in Orazioni monastiche dipinge con la compostezza e la delicatezza di una “Annunciazione” rinascimentale:
sempre in un chiostro, presenta Piccarda e Costanza d’Altavilla che hanno subìto la stessa sorte. Danilo Fusi ci dà una prova di quella che Giorgio De Chirico definisce “la divina arte del disegno”. Con la matita e in due sole tinte soffuse ed evanescenti – un grigio chiaro e un ocra sfumato– Fusi rende immagini di una levità paradisiaca: La fronda peneia, una fanciulla avente tra i capelli fronde di alloro, pianta in cui si tramutò Dafne, figlia del fiume Peneo; Eva con in mano una mela morsicata; Cunizza da Romano, donna di grande lascivia ma emendata dal pentimento. Sicuramente originale è Romano Notari sia per le sue forme geometriche, cilindri o ovali, sia per il colore rosso arancio acceso di tali figure. Teresa Noto ci offre delicate e gradevoli immagini delle virtuose Piccarda e Costanza come delle peccatrici redente Cunizza e Raab, questa una meretrice ebrea. Per rendere il brillare del cielo e lo scintillio della luce, la Noto ha utilizzato lustrini che co-
spargono le opere. Luminita Taranu invece ha scelto il linguaggio informale: macchie festosamente colorate per diversi dipinti ma le tonalità del marrone per opere su Cunizza e Raab. Chi ha reso il Paradiso così come è nell’immaginario collettivo, è Franco Cilia con le stelle su un cielo azzurro, e, per i versi 16-18 del III Canto, rende l’indefinito dell’infinito, con una luminosità alla Turner. Chi si è allontanato del tutto dall’immagine comune del Paradiso è Giulio De Nitri che ha interpretato a suo modo, utilizzando la materia e poco il pennello. Ha creato stelle, cerchi, mele servendosi di multistrato, corpi illuminanti,smalti metallizzati… La varietà di linguaggi e materiali utilizzati dagli artisti rende la mostra interessante anche per riflettere sul percorso dell’arte nel secolo scorso svoltosi tra l’attrazione del grande passato e il bisogno del nuovo. Anna Cutilli Di Silvestre
• Da sinistra: Teresa Noto - Cunizza da Romano; Franco Cilia - Tali vid’io più facce a parlar pronte; Danilo Fusi - Cunizza da Romano; Edi Brancolini - Orazioni monastiche; Impero Nigiani - Beatrice. Qui sotto, a destra: Cecilia Falasca, Trittico 2008 (particolare); legno, polvere di marmo, grafite, terre colorate.
AlgoRITMI / Cecilia Falasca Un’ansia d’infinito domina nelle recenti opere di Cecilia Falasca. Un’ansia che contende al mare la linea delle onde nella risacca e al cielo la linea dei cirri su un azzurro sereno. Ma la tinta da lei preferita per questo ciclo di opere è quasi una non tinta, è un beige diafano segnato da poche linee sottili bene intonate e mai strillate. Sono opere materiche su tavole squadrate e rese ruvide con polvere di marmo da mani cui non manca certo il me-
stiere. La chiarezza e la purezza formale si completano nelle risonanze cromatiche di alcune linee che danno dinamicità all’insieme. Sono esempi di astrazioni di estrema eleganza che corrispondono ad una lunga attività di ricerca. Precedentemente Cecilia Falasca era nota per le sue forme geometriche dalle vivaci tinte pastello che lei componeva per le installazioni: piccoli parallelepipedi adatti anche ai bambini e lunghe aste per imponenti
composizioni. Dalla geometria euclidea con angoli e rette l’artista è passata ora alla fluidità della geometria non euclidea acquistando una dimensione spirituale e quasi onirica. Rinunciare alle forme definite, alla rappresentazione del vero dà all’osservatore la possibilità di vagare nei propri spazi interiori, nei sogni, nelle aspirazioni, influenzato e confortato dalla Bellezza delle linee di Cecilia Falasca. Anna Cutilli Di Silvestre
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VARIO
Mostre rendere opera d’arte ciò che per natura lo è già”. Romano d’adozione (ma marchigiano d’origine) è anche Franco Durelli, presente anche lui all’Aternino con Ri-cicla, personale che illustra l’ultima fase della sua pittura. In questa produzione “è il colore che comanda –scrive ancora la Di Benedetto– senza mezzi termini, senza
compromessi con la figura umana, che comunque non si arrende, anzi in alcuni casi viene fuori come se riemergesse da abissi sconfinati tentando ancora di imporsi. È la maturità artistica che si pronuncia attraverso impasti di colore”. • A sinistra: Sandra Sfodera, Genesi, tecnica mista olio su tela, cm 87x127. Sotto: Franco Durelli, Ri-Cicla n.40, tecnica mista su carta, cm 50x70
I colori della natura Scienza e arte s’incontrano nella pittura di Sandra Sfodera, artista romana approdata a Pescara con la sua personale Bioforme al Circolo Aternino. Sabbie, cristalli, polvere di rame e d’ottone, solfati, sostanze mischiate all’olio diventano strumenti dell’indagine pittorica che esalta i colori e la bellezza della natura: “Le tele –scrive di lei Nicoletta Di Benedetto– raccontano di entità
quasi impercettibili eppure capaci di stupire per leggiadria e libertà di linguaggio. Opere che eleggono la pittrice poeta di un mondo fantasioso ma che la sua sapienza artistica ha saputo rendere reale oltre che dalla trasposizione figurativa anche dalla tecnica e dai materiali utilizzati. […] Dall’immagine pura del vetrino passa alla libertà d’interpretazione crittografando la microbiologia per
C’è chi va e chi arriva È stato presentato a Pescara “When the others go away”, un progetto del fotografo Simone Cerio. In collaborazione con Emergency e con l’agenzia di fotogiornalismo Parallelozero a Milano, il trentenne abruzzese ha voluto raccontare la storia di Davide Luppi, il primo specializzando in chirurgia generale ad andare in un ospedale di guerra per completare i suoi studi. Il percorso fotografico, che include anche interviste filmate ai protagonisti e un videoreportage conclusivo,
racconta l’esperienza di Davide dalla sua partenza da Modena fino all’arrivo a Kabul, e documenta le prime settimane di permanenza in Afghanistan del medico italiano alle prese con la drammatica realtà in cui si trova. Il titolo della mostra, “Quando gli altri vanno via”, allude al previsto ritiro delle truppe americane dal Paese, a partire dal prossimo settembre, mentre c’è chi sceglie di raggiungere quel luogo martoriato. • Una veduta aerea di Kabul. Una foto di Simone Cerio dal reportage Quando gli altri vanno via
Il mondo di Lucilla Montagne, alberi, strade di campagna, mare, cielo e sabbia: il paesaggio che Lucilla Candeloro ritrae nei suoi dipinti (una novità, vista la sua precedente produzione quasi completamente orientata al disegno a matita) è “senza tempo”, come afferma il critico Giacinto Di Pietrantonio nella sua introduzione al catalogo della mostra, ospitata durante • Lucilla Candeloro, Su un tappeto di foglie illuminate dalla luna. tutto il mese di marzo nella Galleria 2014, olio su tavola, cm. 80x150
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Cesare Manzo a Pescara, che raccoglie l’ultimo ciclo pittorico della giovane e promettente artista di Casoli, già comparsa sulle pagine della nostra rivista nell’ambito dell’iniziativa “VarioART”. Circa trenta i lavori esposti, in cui –scrive Di Pietrantonio– si ritrovano echi morandiani: “Benché il realismo della sua pittura ci permetta di individuare le stagioni e quindi lo scorrere del tempo naturale, le immagini silenti che vediamo sembra che le fissino per sempre”
Il realismo di Mandel La realtà può essere molte cose nello stesso momento. Basta saperla guardare con il giusto senso di meraviglia: è questo l’insegnamento delle fotografie che Max Mandel (Milano, 1959) ha proposto a Chieti nella Bottega d’Arte, nella sala espositiva della Camera di Commercio (corso Marrucino, 148), dal 7 marzo al 7 aprile 2014. Il duplice titolo, L’altra metà del lavoro / Appunti di viaggio allude ai due percorsi espositivi, differenti eppure complementari. Il primo ha raccolto la ricerca del fotografo sul lavoro femminile, con una serie di intensi ritratti in bianco e nero, in cui lo sguardo fugge un approccio retorico per cercare l’umanità più autentica dietro il ruolo o la mansione. Persone, quindi, prima che professioni. Si va da Eleonora e Chiara, giovani musiciste, a Patrizia, parrucchiera; da Valdina, anziana contadina, a Laura, biologa; da Alfia, benzinaia, a Sara, addetta di ambasciata a Kabul, fino a Carla, Francesca, Roberta, Alessandra, disoccupate. L’ambiente, gli strumenti e il prodotto del lavoro (o la sua assenza) non sono solo il contesto ma, come nelle tele rinascimentali, contribuiscono a costruire il senso profondo del ritratto. In Appunti di viaggio, invece, Mandel coglie particolari minimi, invisibili a tutti fuorché a lui, e li traduce in immagini quasi astratte. Riflessi su un vetro o su una lamiera, giochi di luce e ombra su una parete, fiori in una vasca, aerei di carta in volo nella Galleria Vittorio Emanuele a Milano. Immagini raccolte durante viaggi, dall’Europa, al Medio Oriente, all’Asia, dove si radicano le sue origini (in lui scorre sangue turco-afghano, ebreo ed europeo). “Il suo sguardo – scrive il curatore della mostra Giovanni Gazzaneo – è mosso dalla passione della bellezza del quotidiano. Capace di coniugare sapere e vedere, vuole offrirci della realtà non la superficie, che per quanto abbagliante
Grande guerra, grande mostra Dopo i successi delle mostre dedicate a Bacon, Sassu e Greco la Fondazione Carichieti apre le celebrazioni del centenario della Prima Guerra Mondiale con una nuova esposizione dal titolo Sironi e la Grande Guerra. L’arte e la prima guerra mondiale dai futuristi a Grosz e Dix. La mostra, in programma a Palazzo de’Mayo fino al prossimo 25 maggio, ha ricevuto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, il Patroci-
nio della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell’Abruzzo, della Presidenza del Consiglio Regionale e della Provincia di Chieti. Curata da Elena Pontiggia, comprende oltre cinquanta opere e documenta come gli artisti, da Balla a Carrà, da Léger a Grosz e Dix, da Previati a Nomellini, hanno rappresentato la drammatica esperienza del conflitto.
è pur sempre scorza, ma l’essenza, la sua poesia più intima”. Accompagna la mostra, realizzata con la collaborazione del Comitato di Gestione della Bottega d’Arte della Camera di Commercio di Chieti, e di Crocevia - Fondazione Alfredo e Teresita Paglione, che l’ha ideata, un catalogo di ottanta pagine, con un testo di Giovanni Gazzaneo. «Siamo onorati di ospitare la mostra di Max Mandel, –ha affermato Silvio Di Lorenzo, presidente della Camera di Commercio di Chieti– con i suoi affreschi fotografici carichi di umanità e di struggente intimità. Con Mandel inauguriamo il rinnovato slancio delle attività della Bottega d’Arte presieduta da Aurelio Bigi. Oggi, anche con la crisi, l’investimento in cultura permette di dotarsi di quegli strumenti utili a fare economia, nuova economia; non c’è Made in Italy senza cultura».
Cuore della mostra è la figura di Sironi, di cui per la prima volta vengono analizzate organicamente la stagione 1915-1918 e la tematica della guerra, che ricorre nella sua pittura ben oltre quegli anni. Il percorso espositivo muove da maestri europei come Léger, Otto Dix, Grosz e prosegue con gli artisti italiani: da Previati e Nomellini ai futuristi Balla, Carrà, Depero, Prampolini, Dottori, fino a Bonzagni, Campigli e molti altri, tra cui Viani e Marussig. Le sale sironiane iniziano con le vignette satiriche contro gli Austro-tedeschi realizzate dall’artista nel 19151918, tra cui quelle per la rivista “Il Montello”, diretta da Bontempelli. Di rilevante interesse, in particolare, è l’ultimo numero della rivista, uscito nel novembre 1918 per celebrare la vittoria e finora quasi sconosciuto (ne esistono in Italia solo cinque copie). Tra le opere esposte, ancora, si segnalano i commoventi ritratti che Sironi esegue a soldati e ufficiali, e il drammatico paesaggio urbano Città e aereo, 1921. Di enorme suggestione sono poi due opere monumentali: la grande tela della Vittoria alata, dipinta da Sironi nel 1935, e i giganteschi Soldati, del 1936. La prima è il cartone per l’affresco L’Italia fra le scienze e le arti, realizzato per l’Aula Magna dell’Università La Sapienza a Roma, ed è oggi il più importante documento dell’idea sironiana perché l’affresco romano è stato pesantemente ridipinto. Il secondo è un’imponente composizione con due soldati della prima guerra mondiale, evocati visionariamente a vent’anni di distanza dal confitto (1936).
In alto tre fotografie di Max Mandel. Da sinistra: Carla, moglie e madre, Milano; Kashgar (Cina), mercato, 1991; Andrea, fotografa, Milano. Qui sopra tre opere esposte a Palazzo de’Mayo: da sinistra, A.Sironi, Il bersagliere, 1915; C.Carrà, Per la coscienza di una nuova Italia, 1914; P.Marussig, Soldato austriaco, 1917.
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Marino Melarangelo
Biancore di memoria Nell’immaginario di una rarefatta atmosfera metafisica la lettura di un codice pittorico di futuribili identità. L’insita teatralità delle immagini sottolinea l’indagine di una irrealtà che è accesso all’assoluto, ben oltre i confini di una contemporaneità sempre più da conoscere e svelare come da un file compresso di Annamaria Cirillo
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l giovane Marino Melarangelo, nato a Teramo nel ‘78, approfondisce fin dall’adolescenza un identitario senso artistico di tradizione famigliare riferito alla migliore arte d’Abruzzo, come quella del nonno Giovanni e del padre Sandro, notissimo e saggio custode delle tradizioni e di un avvenirismo politico di alta condivisione. Fin dal ’91 l’artista, in concomitanza con gli studi Universitari nella città di Roma (Accademia delle Belle Arti e Facoltà di Lettere all’Università La Sapienza) inizia un percorso partecipativo di importanti Mostre e Rassegne (Roma, Bologna, Pisa, Teramo, Ascoli Piceno, Pescara, Milano) fino alla Biennale di Venezia 2011, prescelto ad esporre nella sezione Internazionale “Giovani Artisti Italiani” - Padiglione Italiano. Un’arte stimata la sua, come si evince anche dal testo che segue, del critico d’Arte Umberto Palestini dal catalogo H0¹ - Mostra d’Arte 2013 allestita presso il Museo di Arte Contemporanea di Teramo. “Anche gli spazi materializzati dei raffinati e pulviscolari disegni di Marino Melarangelo –scrive Palestini– sembrano ammantarsi di misteriose atmosfere in bilico tra la visione mistica e il presa-
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gio scientifico. L’autore richiama una realtà che non obbedisce alle regole di un determinismo in cui la razionalità è rigida descrizione del mondo, ma esplora le infinite e probabilistiche possibilità legate al principio di indeterminazione e casualità. Personaggi senza identità, a metà strada tra il manichino e l’automa, guardano dentro schemi oscuri in paesaggi futuribili: lande metafisiche si trasformano in palcoscenici dove prestigiatori e maghi possono materializzare sogni in un teatro dell’assurdo che fa dialogare le sospese visioni di Magritte e le accensioni metafisiche di De Chirico. L’originalità di Marino Melarangelo risiede nella creazione di un personale universo tradotto da monocrome sfumature dove i colori sono banditi; percorsi da una luce lattiginosa e opaca, i mondi evocati dall’artista si trasformano in una sorta di bassorilievi che rinnegano le trappole dell’illustrazione e si aprono alle magie degli incanti.” Un arte particolare, quella di Marino Melarangelo, che denota nella tematica surreale delle immagini l’identità e la potenza espressiva di una contemporaneità che è realtà demistificata
Alcune opere di Marino Melarangelo, dalla serie Senza titolo, 2012, cm 110x80
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nell’irrealtà. Egli ne individua l’accesso trascinandoci con forza, emotività ed inquietudine fino nei meandri più illogici ed angosciosi della coscienza. La sua figurazione colpisce nelle pose e nel contesto di un ambiente di chiara, illuminante luce che si ammanta di ombrature sfumate nel grigio. Un vero impatto psicologico che stimola l’approfondimento del suo diktat artistico. La sua figurazione infatti va oltre gli esuberi e le esplorazioni dei confini di un ego sottoposto ad un contestuale sistema di vita sempre più opprimente e che forzatamente ci ingloba nella sua mistificazione della realtà di vita. Dai primi inizi del percorso ideativo si denota in Marino Melarangelo una ricerca in linea con la corrente Citazionistica che lo induce dapprima verso le rive sicure della solennità classica e dei riferimenti storici. Ottima base di partenza verso uno sviluppo tematico di metamorfosi e trasmigrazione di diverse, intime urgenze e pulsioni fuori da una corporeità usuale e contestuale. Omologazione insoddisfacente alla completezza della propria esigenza creativa tesa all’espressione di un ardito fenomeno di ibridazione figurale, che dal passato prevarica ed oltrepassa i margini estremi di una indotta ed obbligata contemporaneità. La sua tecnica pittorica si avvale dei toni chiaroscurali del pastello, nelle tonalità del bianco e del grigio, con completa esclusione di tutti i colori, fino ad un biancore pressoché assoluto in cui pare espandersi l’identità e la potenza espressiva di una realtà demistificata in una contaminazione psicologica tra arte e realtà.
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Esplorazione dell’arte oltre i confini dell’ego.
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Gaetano Paloscia
Il pittore dei fiori Amico di Michetti, di Tosti e di Barbella, l’artista ha saputo cogliere l’essenza dell’Abruzzo e riprodurla nei suoi affreschi e nelle sue tele d’ispirazione floreale di Daniela Peca
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uarda questo quadro meraviglioso –mi disse una volta don Ciccillo– dove tuo padre ha cacciato per prodigio i frutti più belli dell’Abruzzo nostro. Guardalo ti dico, c’è dentro il sangue nostro, c’è la nostra anima, i nostri pensieri, la nostra poesia: tutte cose che per sopravvivere hanno bisogno di gente disposta a rinnovare il prodigio contro le forze che stanno mandando questo nostro mondo alla deriva. Nutrisciti di queste cose!”. Don Ciccillo era Francesco Paolo Michetti e il quadro a cui si riferiva nella frase era uno di quelli dipinti dal caro amico Gaetano Paloscia con il quale, quasi giornalmente, intavolava discorsi d’arte e di cultura. Il ragazzo, cui rivolgeva questa sua “perla di saggezza”, era Tommaso, uno dei nove figli di Gaetano, che quando il padre era costretto per impegni di lavoro ad abbandonare lo studio aveva “l’inebriante compito di rinfrescare quell’oggetto magico che era la tavolozza delle tempere, di ripulire il bicchiere con i resti di tuorlo d’uovo, usati per rafforzare il colore e renderlo più brillante, e quello riservato al latte, la cui caseina serviva a fissare i colori sulla tela”. Tommaso, detto Sisino, fu giornalista e critico d’arte per il quotidiano “La Nazione”. Oggi non c’è più, ma restano i suoi ricordi, scritti sul catalogo di una mostra d’arte che egli stesso organizzò a Firenze nel 1965 intitolata Continuità dell’arte in Abruzzo: venti dipinti di Gaetano Paloscia e venti sculture di Vicentino Michetti. “Mio padre –scrive Tommaso, che senza dubbio più degli altri ereditò il senso artistico paterno– dopo essersi nutrito di pittura alla scuola napoletana, aveva finito col piantar le tende a Francavilla a Mare dove aveva conosciuto e sposato mia madre, Vincenza Tucci. Si allontanava per lunghi periodi, sempre per ragioni di lavoro, ma neanche a casa si concedeva un attimo di riposo perché lo vedevo dipingere senza sosta quadri di fiori e di frutta o di papaveri e grano insieme. Almeno due volte alla
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settimana don Ciccillo veniva a trovarlo per vederlo dipingere e per parlargli del mondo che andava inesorabilmente a rotoli: di quel mondo che era rimasto pieno di ricordi dannunziani, di divertite estrosità di Barbella o di melodie incancellabili travasate nel suo animo dalla genialità dell’amico Tosti. Mio padre credeva nella sua pittura, così come era convinto di trovare la felicità nella famiglia numerosa. Una felicità che non riuscì ad acciuffare nemmeno dopo aver messo al mondo dodici figli, tre dei quali morti subito dopo la nascita, a causa dei tempi mutati in peggio. Lo ricordo sempre affaccendato a preparare la tavolozza delle tempere. E l’odore del suo toscano, misto a quello delle cicche, e del latte andato a male, e dei tuorli d’uovo avanzati dal giorno prima nel fondo di un bicchiere sporco di colori”. Gaetano Paloscia, il pittore dei fiori e della natura, era nato a Terlizzi di Bari nel 1871. Aveva un legame stretto d’amicizia con Francesco Paolo Michetti, più grande di lui di circa vent’anni, che intorno al 1900 lo convinse a trasferirsi a Francavilla, affidandogli un bel lavoro: la decorazione del salone del circolo cittadino “La Sirena”, di recente costruzione. I due si erano conosciuti a Napoli, dove Paloscia era andato a studiare a soli quindici anni in quell’Accademia delle Belle Arti dove si respirava aria di grande rinnovamento artistico-culturale con docenti del calibro di Domenico Morelli, Filippo Palizzi, Edoardo Dalbono. Don Ciccillo aveva proposto quindi per l’impresa il suo “giovane amico” conosciuto a Napoli, ritenendolo “un pittore moderno e già affermatosi nel campo del floreale, sicuramente in grado di rispondere in pieno alle aspirazioni dei suoi concittadini”. Purtroppo di quelle decorazioni non è rimasto nulla a causa dei bombardamenti che hanno distrutto il palazzo, ma dell’arte di Paloscia il segno è rimasto, eccome. Gaetano Paloscia dipingeva rossi papaveri delle terre d’Olanda, dalie, rose, crisantemi, garofani, siepi di sambuco con la tipica lupinella rosso porpora o rosa, campi
• Un dipinto su carta di Gaetano Paloscia a Palazzo Tibaldi, a Santi Cosma e Damiano (LT). Nella pagina a fianco il pittore in una fotografia del primo ‘900
con spighe di grano tipiche dei paesaggi abruzzesi. Fiori spesso intrecciati a grappoli d’uva o ad arance, a limoni, ad albicocche, a pesche vellutate, a mele e melagrane. Tralci di rami con uccellini e farfalle variopinte che sembrano staccarsi dalla tela e prendere il volo. Dalla sua tavolozza nasceva dunque una tale sinfonia di colori che gli fruttò il grado d’artista d’avanguardia e i proprietari delle ville patrizie, soprattutto in Campania, Puglia, Lazio, Toscana e Abruzzo, si contendevano quel talento, incaricandolo di dipingere le mura e i soffitti delle loro case. Lo chiamò anche l’editore abruzzese Nicola De Arcangelis per decorare le sale dello Stabilimento tipografico editoriale di Casalbordino, che raccolse tante firme del fermento culturale dell’epoca. A Pescara è rimasta una notevole testimonianza della sua arte nella villa di proprietà dell’architetto Anita Boccuccia, sul lungomare della pineta dannunziana, ma anche a villa Perenich di fronte al Convento Michetti, e sui muri del Circolo Aternino, accanto a Casa d’Annunzio dove attualmente è conservato il quadro di una delle cosiddette “siepi dannunziane” ispirate alla campagna abruzzese e che fino alla data del terremoto fu conservato nel Museo dell’Aquila, dono della moglie di Tommaso, Nara, e della figlia Simonetta. Anche nell’aula magna del Liceo Classico “G. d’Annunzio” di Pescara sono appese due tele di Paloscia, restaurate lo scorso anno e raffiguranti una fiori e l’altra papaveri e spighe. Ci ha pensato la preside, la professoressa Luciana Vecchi, appassionata custode d’arte e di cultura, che aveva notato le tele abbandonate e rovinate nella sala professori. In sintonia con il professor Centorame, docente di storia e filosofia nonché presidente della Fondazione Museo Michetti, e con il professor Benedicenti, docente di Storia dell’Arte, la preside ha cercato con successo i fondi per riportare alla loro bellezza originaria le tele. «Nelle siepi di Paloscia –spiega Benedicenti– c’è tutto lo spirito panico e la lirica dannunziana, che porta la sua
arte ben oltre la semplice decorazione estetica: riesce con le sue rappresentazioni a raggiungere una sorta di fusione tra uomo e natura». La pittura di Gaetano Paloscia, indicato oggi come uno degli artisti minori del Novecento, fu inserita nello stile Liberty o Floreale, una sorta allora di etichetta negativa per indicare la corrente italiana vicina all’Art Noveau, ma in effetti molti critici lo indicarono poi quale pittore dallo stile personale che ha raffigurato, con commossa partecipazione e senso del ritmo e del colore, la natura e i sapori d’Abruzzo. «Conobbe mia nonna Vincenza, detta Vincenzella, a Francavilla a Mare, se ne innamorò e ne chiese la mano» racconta la nipote Simonetta, figlia di Tommaso. «La sua famiglia si riteneva onorata che una personalità piuttosto famosa, e quindi anche abbiente, l’avesse chiesta in moglie. Pare invece che lei non ne volesse sapere, ma fu chiusa in camera sua, come si usava allora, finché non disse di sì. Comunque tanto male il matrimonio non pare sia stato: fu allietato dalla nascita di quattordici figli, anche se il numero esatto non è noto per l’alto tasso di aborti e di morti in età infantile. Di sicuro i figli vivi sono stati nove: Leonardo, detto Aldo, Mario, Giuseppe, Esterina, detta Rina, Maria Teresa, detta Sisuccia, Nino, Tommaso, detto Sisino, Jole e Sara». Sandro, noto commercialista pescarese figlio di Aldo, ha spesso tentato di ricostruire l’albero genealogico della famiglia cercando le numerose, quanto sconosciute ai più, tracce della vita del nonno che si suppone abbia avuto fratelli, forse anch’essi artisti ma meno noti. Da grande appassionato di fotografia ha anche spesso viaggiato per immortalare le opere di Gaetano con il flash. A ricordare Paloscia è anche Letizia, oggi lucida ottantottenne, figlia della sorella di Vincenzella: «Zio Gaetano era buonissimo, dolce e affettuoso. Io ero ammaliata dalla sua pittura. Andavo spesso nella sua casuccia vicino al mare e alla villetta di Fran-
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• Qui sopra e in basso altri due opere di Gaetano Paloscia. Sotto, il pittore (al centro della foto) con la moglie Vincenza e sette dei suoi nove figli sulla spiaggia di Francavilla (1915 ca.)
cavilla. Mi mettevo lì, a guardare, mentre dipingeva. Sulle pareti aveva appeso tante farfalle, enormi e piccole, con le ali di tutti i colori. Allora avevo tre anni. Lui sorrideva guardandomi, mentre io lo scrutavo curiosa quando appoggiava il braccio su un bastone di legno messo orizzontale per tenere fermo il polso e le dita col pennello». Gaetano viveva vendendo quadri, oggi sparsi per il mondo, persino in America. Li utilizzava anche per barattare vestiti dall’amico sarto Urbini che a volte gli diceva sorridendo “Gaetà, m’ serv li sold p’accattà lù pane” come racconta il nipote Leonardo, cardiologo pescarese, figlio di Nino costretto giovane ad arruolarsi per aiutare il padre nella conduzione economica della famiglia. «Si narra che a Vincenzella vennero i capelli tutti bianchi quando aprì la porta di casa e rivide dopo tanti anni di guerra mio padre Nino tornato in occasione della morte del nonno, nel 1941». Da Francavilla poi Paloscia si trasferì a Pescara dove trascorse gli ultimi dieci anni di vita vendendo i suoi quadri a 100 lire. Li vendeva anche all’amico Arturo D’Alessandro, dell’omonima storica pasticceria sita a quei tempi a Palazzo Imperato. «Mio padre gli voleva bene e comprava volentieri i suoi quadri così allegri e pieni di luce» ricorda il figlio dell’imprenditore. Paloscia ne dipingeva uno e poi se lo metteva sottobraccio, andando in giro a cercare un compratore. Arturo, all’ennesima richiesta, gli diceva sorridendo “ma che devo fare la collezione con le tue opere?” soprattutto quando gli proponeva i quadri
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più grandi, per i quali l’artista chiedeva un prezzo maggiore, 150 lire. Soldi per sfamare tutti quei figli, che lo ricordano come un padre sempre in partenza per ragioni di lavoro. Nonostante la guerra molte delle sue creazioni si possono ancora ammirare. È ancora intatta una ricca decorazione floreale con le Quattro Stagioni, realizzata da Paloscia su carta e incollata alle pareti di Palazzo Tibaldi, nel Comune di SS. Cosma e Damiano, in provincia di Latina. L’artista fu spesso incaricato anche da enti pubblici di eseguire opere da regalare a personaggi illustri ospiti del governo italiano, fu anche prescelto per decorare le pareti della “sala delegati esteri” del Ministero dell’Economia Nazionale con un’allegoria floreale delle regioni d’Italia. Persino il re Zogu d’Albania gli commissionò la decorazione della reggia di Scutari, cittadina ricca di cultura detta oggi la “Firenze dei Balcani”, che gli fruttò risonanza internazionale. Ma Gaetano Paloscia usava il suo magico pennello anche per esprimere il suo affetto e, sapendo di avere quella grande dote, aveva dipinto con tralci di fiori anche scialli di seta per le sue figlie e per l’amata moglie, e poi coperte e lenzuolini per i neonati della famiglia. Amava dipingere, e rinnovare con i pennelli la gioia di quel prodigio della natura di cui parlava don Ciccillo. Pennelli di tutti i colori che ancora oggi spiccano sulla sua lapide, a Francavilla, disposti con cura sulla tavolozza marmorea del pittore che come pochi è riuscito a catturare le sfumature del verde Abruzzo.
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VARIO
Letteratura
Marco Tornar
Ve lo dico in versi
Le regole della poesia contro un mondo senza regole
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opo dieci anni di intensa produzione narrativa (Niente più che l’amore, 2004, Claire Clermont, 2010, Nello specchio di Mabel, 2011, Lo splendore dell’aquila nell’oro, 2013) Marco Tornar fa ritorno al genere dei suoi esordi giovanili: la poesia. Lo fa con Sonetti d’amor sacro (Tabula Fati, 2014), un agile e denso volumetto che raccoglie 21 sonetti, in massima parte conformi alla struttura sonettistica canonica (14 versi raggruppati in due quartine e due terzine, con rime di diversa collocazione), in alcuni casi d’impianto libero. Il sonetto è una delle strutture formali più classiche e frequentate della poesia: da Petrarca a Dante a Shakespeare, da Gongora a Mallarmé a Luzi, non c’è grande poeta che non si sia cimentato con questo genere poetico “alto” e popolare insieme, rigoroso nelle sue regole ma, pure, aperto a deroghe e stravaganze. Carlo Porta, ad esempio, il grande poeta dialettale milanese, esternò le sue idee sul romanticismo in un sonetto (“Sonettin col covon”) di ben 191 versi, dei quali 14 costituivano il sonetto vero e proprio e gli altri 177 la coda (il “covon”). Di norma, il sonetto “caudato” si protrae per pochi versi, Porta decisamente “dismisurò” come ebbe a commentare Gadda ma, in compenso, ci ha lasciato una composizione straordinaria per originalità e vivezza di linguaggio, densità intellettuale e passione civile. Anche Marco Tornar ha chiamato un suo sonetto “Sonetto caudato”, quasi a sottolineare il suo rispetto delle regole e delle loro eccezioni. Ma perché questo ritorno alla poesia? Meglio: alle regole della poesia? Tornar non ama la modernità, detesta il mondo di oggi (tutta la sua narrativa ne è testimonianza), lo considera brutale, violento, volgare, privo dei valori fondamentali della tradizione. Un mondo senza fede e senza regole, cui Tornar oppone, nella sua narrativa più recente, la rievocazione/rappresentazione di un passato forse un tantinello idealizzato, comunque radicalmente diverso e preferibile (per Tornar) al vomitevole presente. In questi Sonetti d’amor sacro, prima ancora dei loro temi, è l’istanza formale (le regole!) a costituire una scelta di campo. Misurarsi, accettandole, con le regole della poesia è già un modo di opporsi alla sregolatezza dei nostri tempi e del nostro mondo. Un mondo dominato da quello che Tornar chiama “il ghigno stridente della cronaca” (“Cigno” p.22) con le sue brutture quotidiane. Un mondo dove “…è rotto/ormai il tempo, non c’è più poesia, / ogni pensiero è del tutto inane” (“L’abete” p.34). Non solo,
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Sonetti d’amor sacro di Marco Tornar - Tabula Fati, pp 48, € 6,00 dunque, la storia ha prodotto i guasti che Tornar denuncia, ma addirittura “è rotto il tempo”: un’espressione da brividi apocalittici (la fine dei tempi!). Esagera? Sbaglia? Non importa: questa è la sua visione del mondo. Io penso che questa sua posizione di netto rifiuto della modernità, quale si è configurata dall’Illuminismo in poi, sia di per sé di grande valore e di stimolo anche per chi pensa che il mondo di oggi non meriti un rifiuto così netto e intransigente. E quando Tornar scrive: “Pasolini… forse ora lui / starebbe dalla parte di Ruini.” (“L’addio alle rondini”, p.18), ci viene da pensare che, chissà, quel “forse” è di troppo. Forse. Francesco Di Vincenzo
VARIO
Libri
Narrativa D’Alonzo
Teatro Lucci
Poesia Di Biagio
Romanzi Di Francesco
Dieci racconti di varia struttura, ambientati in differenti periodi della storia italiana e in diverse località, da Lentini a Cinisello Balsamo, passando per Roma, Viareggio, Pescara, Ancona. L’autore, seguendo i percorsi di un fervido immaginario, vuol dimostrare come la narrazione possa di volta in volta adottare una forma aderente ai fatti, puntando soprattutto sulle risorse creative della lingua e sulla inderogabile priorità dello stile.
È un’America insieme concreta e ideale, quella che accoglie i serrati, bellissimi dialoghi con cui Gabriele Lucci, fondatore dell’Accademia dell’Immagine, approda alla sua prima esperienza come scrittore di teatro. Stazione di Transito, scrive il critico Mario Fratti, “è un solido dramma che ci rivela un mondo corrotto e crudele, quello in cui ricchi produttori ricattano giovani talenti”. Il testo è stato rappresentato a New York durante il mese della cultura italiana, ottobre 2012.
Già premiata per una precedente raccolta di poesie, in questa silloge Maria Grazia Di Biagio si fa notare per una scrittura poetica raffinata e accattivante che analizza il mistero che ci circonda. Spesso infatti siamo testimoni inermi di quanto avviene in noi e fuori di noi. Nota Dante Maffia che ne cura l’introduzione “Questa nuova raccolta … non è mai puro giuoco stilistico, ma affondo deciso nei sentimenti umani.”
La vita intensa e accidentata di un commissario di Polizia, dal 1969 fino al G8 di Genova e oltre, passando per incarichi internazionali e per l’impegno in prima persona nel sindacato. Sempre controcorrente. Quella raccontata da Ennio Di Francesco in questo libro, che esce in una nuova edizione aggiornata, è la storia-testimonianza di un uomo dello Stato, di uno «sbirro» che si è scontrato con l’opacità del potere, con il quieto vivere di molti colleghi, con approcci burocratici al tema della sicurezza.
Tridollars di Rolando D’Alonzo Tabula fati, pp 152, € 12,00
Stazione di transito di Gabriele Lucci Tracce, pp 136, € 12,00.
Nella disarmonia dell’inatteso di Maria Grazia Di Biagio Bel-ami, pp 80, € 10,00.
Un commissario di Ennio Di Francesco Castelvecchi, pp 374, € 18,50
Dedica A mio padre e mia madre, datori di vita e valori. A Emilio Alessandrini, indimenticabile compagno di scuola e di ideali. A tutti i tutori dell’ordine, magistrati, giornalisti, giuristi, politici, cittadini caduti per amore di sicurezza, giustizia, verità e democrazia
Romanzi De Carolis
Cultura Saggi Rivista abruzzese Albertini
Il racconto di un teatro che nasce è un viaggio dentro tanti mondi. Umberto De Carolis li attraversa alla ricerca delle voci narranti, le trova e le interroga, cuce meticolosamente ogni parola e anno dopo anno il Teatro Stabile dell’Aquila prende vita sotto gli occhi del lettore. Ogni storia ha un suono in queste pagine: l’idea che nasce, il pullmino che porta lo staff in giro per l’Italia, le matite che abbozzano i costumi, l’eco dei passi agili di Barrault nella sua casa di Parigi e quella degli attori nelle vie dell’Aquila. La coraggiosa avventura artistica di un teatro e dei suoi protagonisti.
L’indipendenza dalle clientele e dalle logiche di potentato è stata e continua ad essere l’unica guida di questa rivista, la quale ha veste molto semplice in bianco e nero ed è del tutto priva di pubblicità commerciale, privilegiando, più d’ogni altro, l’interesse del suo lettore-tipo: non necessariamente un erudito o un accademico, bensì una persona libera che apprezzi tutte le espressioni della cultura, in particolar modo quelle legate all’Abruzzo, purché siano state prodotte con rigore scientifico, pensiero critico e l’estrema dignità dello studio volontario..
Scena Aperta di Umberto De Carolis Textus Edizioni, pp 390, € 21,50
Rivista abruzzese AA.VV., n. 4/2013, pp 400, € 10,00.
Narrativa Coscetta
Carissimo Lettore, Il volume raccoglie gli scritti “Dovevamo partire per un lungo grazie per l’attenzione con cui ti avvicini a questo libro di cui forse hai sentito parlare; magari hai già in parte letto. Essoanni é una testimonianza, un atto di memoria e di onoresull’ verso tanti “servitori Stato” e pubblicati negli dalla pittrice reportage Abruzzo. Lodello chiamai cittadini che si sono battuti per cercare di difendere la legalità, la giustizia e la democrazia in questo Gabriella Albertini sull’opera sui scorre al telefono e lui mi chiese: «Dove ci tormentato paese. Nelle pagine chee seguono il loro impegno per permettere a ciascuno di godere ogni giorno dei diritti di sicurezza, in una società difficile per la sempre più spavalda aggressione della ricordi criminalità, legati alla famiglia di artisti incontriamo?» «Non preoccupi, organizzata, terroristica e predatoria, nonché per l’incuria di una classe si dirigente incapace di tutelare con onestà, preparazione e lungimiranza il sano convivere sociale. Vi leggerai anche della più importante d’Abruzzo: i Cascella. passo a prenderla a casa. Dove abita?» sconfitta di “poliziotti” che sono stati costretti a subire l’onta del disagio e della vergogna mentre altri si impadronivano per ambizione e interesse delle«In sofferte conquiste democratiche Scrive Nicola Mattoscio, presidente via Chinotto otto... ha nell’arcipelago presente via sicurezza. Ringrazio la casa editrice per averlo voluto ristampare. Non posso che tacere grato e commosso dinanziPescarabruzzo alle note recenti di cui mi hanno onorato Tullio Giordana, Giancarlo De della Fondazione Coca ColaMarco di Rienzo?». Il nostro viaggio Cataldo e don Andrea Gallo, che si aggiungono a quelle di Norberto Bobbio e Gino Giugni e alla frase di nell’introduzione, che “questa dinaalla scoperta dell’ A bruzzo non poteva Corrado Stajano. Questo libro è un atto di amore, memoria, gratitudine e speranza. Auguri di ogni bene a tutti e, se vorrete, buona lettura! stia […] ha espresso personalità diDi Francesco cominciare in maniera migliore”. Con Gennaio 2014 Ennio davvero notevole talento, dalla cifra queste parole Pino Coscetta rievoca stilistica ed estetica particolarmente l’amicizia durata poco più di tre anni caratterizzata, che si è impegnata col grande scrittore scomparso nel anche in forme e modi molto 1990, e traccia “una cronaca della sua diversi, dalla pittura alla scultura, riscoperta dell’Abruzzo, che aveva passando per altri linguaggi a torto fugacemente visitato da giovane in considerati minori”. Lambretta ma poi non aveva più visto”.
I Cascella, uomini d’arte di Gabriella Albertini Tracce - Fond. Pescarabruzzo, pp 200.
Viaggio in Abruzzo con Giorgio Manganelli di Pino Coscetta Solfanelli, pp 144, € 12,00.
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VARIO
Cinema & TV
Le passioni di Giampiero In televisione lo abbiamo visto molte volte, ma è grazie ad uno spot che il suo volto è entrato nelle case di tutti gli italiani. Lui è Giampiero Mancini, autentico talento nato e cresciuto a Pescara, e lo spot è quello della nuova Cross Up di Volkswagen, che lo vede in veste di magazziniere della Roma, in alcuni simpatici sketch con il mister Rudy Garcia e i giocatori giallorossi. Per lui, tifosissimo della “Magica”, è stata un’occasione d’oro quella di poter incontrare i suoi idoli, da Totti e De Rossi fino al conterraneo Morgan De Sanctis, attuale portiere della squadra capitolina. Il poliedrico attore, che ha girato recentemente la fiction I segreti di Borgo Larici, è stato l’antagonista di Raul Bova nella miniserie Angeli per la regia di Stefano Reali, che lo aveva già diretto nei panni di Giacomo Puccini in Caruso, la voce dell’amore del 2012.
Milo Vallone tra sogno e realtà Diventa un film lo spettacolo La vita è sogno che Milo Vallone, attore e regista pescarese, ha messo in scena lo scorso anno basandosi sul celebre testo di Pedro Calderon de la Barca. La trama ruota attorno alle vicissitudini di un re, Basilio, che decide di rinchiudere, alla nascita, il proprio figlio Sigismondo in una torre, escludendolo dal mondo esterno perché i suoi calcoli astrologici annunciano che si rivelerà un uomo crudele. Da questa scelta discenderanno colpi di scena, abbandoni, disvelamenti drammatici, tutti rigorosamente all’ombra del dubbio. Ne La vita è sogno non tanto la perenne lotta tra il bene e il male è messa a tema, quanto i contrasti che da questo eterno conflitto nascono: ragione e istinto, libero arbitrio e fatalismo, luce e tenebra, libertà e prigionia, tutti riassunti nel dilemma se si viva tra sogno o realtà. Il film, che segna il ritorno alla regia cinematografica di Vallone dopo l’ottima prova di Anno Zero (2011) nasce dall’esigenza «di non disperdere il lavoro svolto con l’allestimento teatrale dello spettacolo che lo scorso anno ha subìto una sospensione della tournée a causa di una scellerata gestione dell’ente teatrale committente, l’Atam, che ha messo fortemente in crisi la nostra produzione e la Compagnia tutta, con la totale insolvenza degli impegni pattuiti e proposti dall’ente stesso», ha spiegato il regista. È dalle ceneri di questa sciagura che
nasce l’idea di voler realizzare questo film. «Non volendo affidare solo alle aule di tribunali l’epilogo di questa vicenda, la nostra impresa vuole dunque essere sì un’opera cinematografica ma anche un ulteriore ed ennesimo segnale, se qualcuno non se ne fosse ancora accorto, di quante straordinarie potenzialità partorite dal nostro territorio sono mortificate se non addirittura punite da certe malsane gestioni dei denari pubblici».
Santi, poeti e scrittori Il patrimonio culturale, storico, letterario dell’Abruzzo diventa materia narrativa per il cinema. È già accaduto in passato e anche oggi que-
sta regione di santi, poeti e scrittori continua a ispirare la settima arte. Ecco quindi che D’Annunzio e Flaiano diventano immaginari protagonisti di uno scontro secolare tra forze del bene e forze del male, il primo “vampirizzato” dalla propria stessa città e il secondo in veste di “cacciatore” armato di pungente ironia, unico antidoto alla cultura imperante. Accade nel nuovo cortometraggio di Andrea Malandra Pescara 2013 - il Tipolo dannunziano, in cui il prolifico autore pescarese si diverte a giocare con i personaggi simbolo del capoluogo adriatico. Il cortometraggio (di cui si segnalano l’ottima colonna sonora di Francesco Falconi e gli inserti animati di
Simone Angelini) è stato finanziato dalla Fondazione Pescarabruzzo. Di tutt’altro genere è invece Celestino V - il Papa del gran rifiuto, un progetto teatrale e cinematografico ideato, diretto e interpretato dall’attore e regista abruzzese Franco Mannella, noto soprattutto per la sua attività di
doppiatore. Ispirato all’Avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone, il film è circondato da medievale oscurità: al momento di andare in stampa possiamo solo suggerirvi di visionarne un teaser trailer sul sito ufficiale www.celestinovilfilm.it.
• Dall’alto: Giampiero Mancini con i giocatori della Roma nello spot Volkswagen; Milo Vallone sul set del suo film La vita è sogno; la locandina del film
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Pescara 2013 di Andrea Malandra; Franco Mannella in un’immagine da Celestino V - il papa del gran rifiuto
maggio/giugno 2014
RICOSTRUZIONE L’aquila anno quinto VALAGRO LA SCIENZA AL SERVIZIO DELLA TERRA
La Bandiera della cucina abruzzese De Cecco Il grano che conquista / Ursini Così semplici, così buoni 84
Sped. abb. postale Art.1 comma 1353/03 aut. n°12/87 25/11/87 Pescara CMP
maggio/giugno 2014 n.84 • € 4.50
Il ristorante della famiglia Spadone
Web e vecchi merletti The Babbionz
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Il ristorante della famiglia Spadone
LA BANDIERA DELLA CUCINA ABRUZZESE Di generazione in generazione il locale di Civitella Casanova resta un punto di riferimento per i buongustai di tutta Italia
di Claudio Carella
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ono gemelli gustozigoti i giovani alfieri dell’enogastronomia abruzzese. Nel loro codice genetico hanno già tutto scritto: l’amore per i prodotti locali, la familiarità con i fornelli, la predisposizione all’innovazione e il rispetto della tradizione. Alessio e Mattia sono gli eredi di Marcello e Bruna Spadone, ristoratori della Bandiera di Civitella Casanova, uno dei luoghi più apprezzati e frequentati dai cultori della grande cucina, insignito recentemente anche della prima stella Michelin e menzionato sulle guide più quotate. La storia del locale, immerso tra i campi coltivati sulle colline delle terre Vestine, affonda le radici negli anni Settanta, precisamente nel 1977, quando mamma Anna, tornata da Roma col desiderio di mettere a frutto quanto appreso tra i fornelli della Capitale, trasforma un negozio di “Sali e Tabacchi” in trattoria. E in quella trattoria nasce artisticamente Marcello Spadone, che nel 1987 prende le redini del ristorante insieme alla moglie Bruna. È l’inizio di una storia di successo, che porta il nome della Bandiera all’attenzione dei gourmet di tutta Italia grazie al sapiente mix di innovazione e tradizione, alla ricercatezza degli ingredienti, accuratamente selezionati da produttori locali, all’innegabile gusto estetico di uno chef che ha sempre messo le sue doti al servizio della cucina senza cercare il protagonismo a tutti i costi. E all’eccellente servizio a tavola Spadone ha affiancato recentemente un’offerta di Bed & Breakfast, con deliziose camere con vista sulla Maiella, arredate con gusto e impreziosite –come tutti gli
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ambienti della Bandiera– dalle opere dell’artista Sandro Visca. Anche se di successi e riconoscimenti ne ha avuti e ne avrà, sicuramente, ancora molti, la più grande soddisfazione che Marcello Spadone condivide con la moglie Bruna è quella di aver trasmesso la passione, prima della competenza, ai due figli. E Mattia e Alessio di strada ne hanno percorsa già molta: non paghi degli insegnamenti ricevuti in famiglia, i due ragazzi hanno avuto importanti esperienze internazionali: Mattia ha perfezionato e allargato i suoi orizzonti nel ristorante El Celler De Can Roca, a Girona, numero uno tra i 50 migliori ristoranti al mondo (2013) e terza stella Michelin conquistata nel 2012, mentre Alessio all’Enoteca Pinchiorri di Firenze (e scusate se è poco) ha scalato posizioni su posizioni, nei ruoli di servizio in sala e sommelier. «Se non fossi uno chef –dice Mattia– sarei un fumettista. Ho frequentato il liceo artistico, disegnare è la mia passione. E sono riuscito a trasferirla in cucina». Nel rispetto degli insegnamenti paterni, spiega, «uso la mia creatività e le tecniche apprese al liceo nella composizione dei piatti, negli accostamenti, nella scelta dei cromatismi, nell’armonizzazione degli elementi: in un piatto non devono mai mancare una parte morbida e una croccante, che sono come le luci e le ombre di un disegno; e bisogna valorizzare l’esperienza multisensoriale, coinvolgendo vista, gusto, ma anche gli altri sensi. Perfino il rumore del cibo sotto i denti è importante». La formazione artistica, secondo Mattia, «è forse più utile di quella alberghiera,
• Nella pagina di apertura la famiglia Spadone: Marcello, Alessio, Mattia e Bruna. In queste pagine: una delle specialità (foto Flavio Palazzo), la sala che si affaccia sulle colline abruzzesi, una stanza del B&B
perché permette di vedere le cose da un altro punto di vista. Io ho la passione per la pasticceria, che malgrado sia una disciplina altamente “scientifica”, dove le dosi devono essere rispettate al millesimo, consente un ampio uso della creatività». Ed è proprio con un’opera d’arte pasticcera che Mattia ha conquistato, nel 2010, il titolo di Giovane chef emergente del Centro Italia, nell’ambito della manifestazione Cooking of Art organizzata dal critico enogastronomico Luigi Cremona e da Witaly. La giuria, composta da rappresentanti del Gambero Rosso, dell’Espresso, dell’Accademia Etoile e da altre personalità del settore, è rimasta colpita dalla Bolla di Mattia, «una bolla di zucchero soffiato, come fanno i vetrai di Murano, farcita di una mousse di ricotta e una mousse di cachi, poi crema di cachi e miele. È tuttora uno dei miei cavalli di battaglia». Ma il gusto per l’innovazione non intacca il legame con la tradizione. «Sono tornato in Italia perché desideravo lavorare qui, sono legatissimo alle mie origini e alla mia famiglia. E poi sono convinto che in Abruzzo, senza nulla togliere alle altre regioni, abbiamo prodotti –dallo zafferano alla ricotta– che tutti ci invidiano». Un concetto condiviso con il fratello Alessio, grande estimatore della cucina regionale e dei vini abruzzesi: «Nella mia top ten personale, accanto ai tradizionali vini francesi, c’è quello che è stato giudicato il miglior bianco del mondo, il Trebbiano di Valentini del 2007. Ma l’Abruzzo ha altre eccellenze enologiche che non possono mancare nella cantina di ogni ristorante». Alessio, contrariamente
al fratello “artista”, ha compiuto studi scientifici, ai quali ha affiancato da sempre la passione per il vino. «Durante il liceo ho frequentato il corso Ais per diventare sommelier, e dopo il diploma mi sono fatto le ossa nel ristorante con papà. Poi sono andato all’Enoteca Pinchiorri, dove ho imparato come si gestisce un’attività di altissimo livello: è un meccanismo complesso, in cui ciascuno deve fare la sua parte, come gli ingranaggi di un orologio. È stata un’esperienza formativa importante, che mi è servita anche per lavorare in famiglia». Oggi alla Bandiera è direttore di sala, si occupa della cantina e della carta dei vini: «I clienti devono sentirsi a proprio agio, e questo obiettivo si raggiunge non soltanto ospitandoli in un luogo accogliente, coordinando il servizio, prevenendo le loro esigenze in modo discreto e accontentandone le richieste, ma anche attraverso una mise en place elegante, sobria: un tovagliato raffinato, un’accurata scelta dei calici e delle posate». Gusto, arte e comfort: i colori che sventolano sulla Bandiera di Civitella Casanova.
La Bandiera Ristorante con camere 65010 Civitella Casanova (PE) C.da Pastini, 4 Tel. +39 085845219 fax +39 085845789 www.labandiera.it email: info@labandiera.it
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De Cecco
IL GRANO CHE CONQUISTA
La nuova linea bakery dell’azienda abruzzese si aggiudica il premio per il miglior prodotto dell’anno
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uando la qualità incontra l’innovazione non si può fare a meno di applaudire. Ed è proprio un applauso, lungo e caloroso, ad accompagnare l’entrata in scena dei Grani De Cecco, il primo sub brand del pastificio abruzzese conosciuto in tutto il mondo per l’alto livello dei propri prodotti. A Milano, nello spazio dell’Alcatraz, l’intera linea dei sostitutivi del pane –bakery, in gergo tecnico– lanciata pochissimi mesi fa dalla De Cecco è stata eletta, a metà febbraio, Prodotto dell’Anno 2014 per l’Innovazione. I Grani, come la celeberrima pasta di semola, la pasta all’uovo, l’olio, i sughi pronti e i rossi della De Cecco sono un prodotto di fascia premium. Quella, per intenderci, alla quale i consumatori riconoscono un livello qualitativo superiore alla media. L’azienda di Fara San Martino ha scelto il nome Grani per un motivo semplicissimo: il grano è l’essenza di una storia ultracentenaria iniziata in un molino dell’entroterra abruzzese e, capitolo dopo capitolo, successo dopo successo, raccontata e apprezzata in tutti i continenti. «Questa nuova linea dimostra, ancora una volta, la straordinaria capacità della famiglia De Cecco di selezionare i migliori grani del mondo e farne prodotti di eccezionale qualità», sottolinea Luciano Berardi, direttore commerciale Europa del-
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la De Cecco. «Dallo scorso settembre, senza mai forzare la mano e senza nessun impegno pubblicitario degno di nota, abbiamo immesso sul mercato nove referenze di alta gamma, prodotte esclusivamente con olio extravergine d’oliva, senza grassi idrogenati, conservanti e ogm. I consumatori hanno apprezzato questa filosofia e il riconoscimento del premio “prodotto dell’anno” ne è la testimonianza. Vincere al primo colpo, tra l’altro, rappresenta una soddisfazione nella soddisfazione». L’ossessione della qualità, che da sempre distingue la famiglia De Cecco, ha fatto sì che per creare un bakery unico e vincente nello scaffale dei negozi venisse scelto un consulente dal nome altisonante, Mauro Gobbi. Di fatto è lui il papà dei Grani. Anzi, come ama ripetere lo stesso Gobbi giocando sulla carta d’identità un po’ sgualcita dagli anni, il nonno. «Definita la gamma e la strategia dei prodotti, abbiamo sancito un fil rouge per tutti che contemplasse la sapienza De Cecco nella scelta dei migliori grani, il contenuto nutrizionale elevato, l’utilizzo esclusivo di olio extravergine di oliva come unica materia grassa, la garanzia di essere fonte di fibra e di non contenere conservanti, coloranti, grassi idrogenati e materie prime non considerate qualitative, seppur permesse, dai nutrizionisti», dice
• Alcune immagini dell’evento milanese. Nella pagina a fianco e nella foto grande, Francesco Garufi e Luciano Berardi. A lato, lo chef Chicco Cerea con i Grani De Cecco
Gobbi. «Per il momento, i Grani sono rappresentati da tre tipi di Pan Soffice, due di Grissini, altrettanti di Cracker, e da un tipo ciascuno di Grissinotti e Tarallini, tutti caratterizzati dalla varietà dei cereali utilizzati: kamut, grano duro, grano tenero e grano saraceno». Quando usa l’espressione “per il momento”,Gobbi allude ai nuovi item che, nei prossimi mesi, saranno presentati dall’azienda di Fara San Martino, come nei programmi del presidente Filippo Antonio De Cecco e degli amministratori delegati Giuseppe Aristide De Cecco e Saturnino De Cecco. Ricette e nomi per ora sono top secret, ma dalle indiscrezioni trapelate nella città meneghina si sa già che verrà lanciata una linea di grissini torinesi. Tornando al premio Prodotto dell’Anno 2014, che garantisce da adesso fino a marzo 2015 l’utilizzo del caratteristico marchio rosso oramai ben noto ai consumatori, non si può fare a meno di ricordare che la De Cecco ha creato un evento nell’evento. Il giorno dopo la kermesse dell’Alcatraz, infatti, nell’incantevole ed esclusiva cornice della Società del Giardino, sempre a Milano, il responsabile delle Relazioni esterne Marco Camplone e il consulente Giorgio D’Orazio hanno organizzato una conferenza stampa e un cocktail curato dallo chef pluristellato Chicco Cerea del ristorante “da
Vittorio” di Brusoporto (Bergamo). «Ancora una volta la De Cecco ha dimostrato cosa significhi essere un’azienda di eccellenza nel campo alimentare», sono parole di Cerea. «In appena due anni, cioè da quando è stato messo su il progetto, i Grani hanno raggiunto traguardi importantissimi, neppure sognati da altre grandi industrie. Il premio Prodotto dell’Anno rimarca la fidelizzazione del consumatore al brand De Cecco, fidelizzazione tutt’altro che casuale». Francesco Garufi, il direttore vendite Italia, definisce le strategie aziendali con lucido pragmatismo: «Gli obiettivi che ci poniamo sono quelli di presidiare in maniera definitiva il segmento premium dei sostitutivi del pane. L’obiettivo quantitativo nel medio-lungo periodo è quello di una quota del 5 per cento di questo mercato. Siamo partiti col piede giusto grazie anche a questo importante Premio che, vorrei sottolineare, ci è stato attribuito proprio dal consumatore finale». Infatti, per la nona edizione, la società Marketing e Innovazione Italia che organizza il Premio ha contattato, in rappresentanza della popolazione italiana, circa 12 mila consumatori. Trenta le aziende vincitrici nei diversi settori. Sul bakery, per un anno (almeno), sventolerà la bandiera della De Cecco.
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Ursini
COSì semplici, così buoni La tradizione dei contadini abruzzesi arriva sulle tavole di tutto il mondo. Dai manicaretti sott’olio ai sughi, dall’extravergine d’oliva agli agrumati e speziati, dai pestati alle confetture: l’attenzione alla scelta delle materie prime e la cura nella preparazione è la ricetta alla base del successo dell’azienda di Fossacesia, che si propone con una nuova veste e nuovi prodotti
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n packaging da leccarsi i baffi. Ursini, l’azienda abruzzese produttrice di specialità all’olio più apprezzata e conosciuta nel mondo rinnova la sua immagine e presenta nuovi prodotti, tutti all’insegna della qualità e della bontà made in Abruzzo e made in Italy. L’azienda di Fossacesia è stata nel suo settore fra le prime selezionate dal gruppo Eataly di Oscar Farinetti, che ha con grande successo valorizzato e tutelato in tutto il mondo il prodotto agroalimentare nazionale di qualità. Dopo le strutture aperte in Italia (ben undici da Torino a Bari, oltre al grande store di Roma) e le sedi all’estero (nove negozi in Giappone, due negli Stati Uniti, oltre a Istanbul e Dubai) prossimamente il gruppo torinese porterà i prodotti Ursini anche a Mosca e San Paolo in Brasile. «Fin dall’inizio abbiamo presentato i nostri prodotti con una confezione che ne richiamasse la forte componente artigianale, ma che fosse anche moderna ed elegante. Una formula che in molti hanno preso a modello e che oggi abbiamo deciso di rinnovare per identificare meglio il nostro prodotto», spiegano alla Ursini. Che presenta anche altre novità, come «una linea di prodotti chiamata “Alimentari per te”,sulle cui etichette compaiono i volti degli anziani contadini di Fossacesia: olio extravergine d’oliva, passata di pomodoro, ma anche triti, conserve e sughi pronti che comunicano la realtà di un paese di campagna come quello dove risiede la nostra azienda, fatta di persone che ci “mettono la faccia”». Un altro salto di qualità è quello che porta Ursini dal suo settore tradizionale, ossia i contorni e i conservati, a quello dei pasti completi, con la linea “Altri Pasti”: «Si tratta di pietanze a base di prodotti dell’orto, come zuppa di ceci o di fagioli, Polpettine di melanzane, fino alle tradizionali “pallotte cace e ove”,sempre racchiusi in barattolo e quindi facili da consumare
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specialmente in viaggio. Fanno parte infatti del menu proposto sui treni Italo (i nuovi treni ad alta velocità di Luca di Montezemolo), un’idea che è piaciuta anche ad Alitalia che l’ha sperimentata l’anno scorso sul volo Roma-New York. Sono ricette nostre, che abbiamo sviluppato con l’affiancamento tecnico di un grande nome della cucina abruzzese, il pluristellato chef Niko Romito». La sinergia con Romito e con la sua accademia di alta ristorazione ha dato anche altri deliziosi frutti: «Insieme a Niko, che è bravissimo a trattare le materie prime, abbiamo studiato anche alcuni nuovi sughi che presto proporremo al pubblico, come quello al Baccalà e Zafferano o quello come il “Contropesto” alle Cime di Rapa o ancora il Gran Sugo alle Olive; ma la novità più importante è costituita da quelli che abbiamo chiamato “oli assoluti”,che a breve presenteremo al Taste di Firenze, il salone dedicato alle eccellenze del gusto e del food lifestyle. Si tratta di una serie di oli aromatizzati grazie ad una specifica tecnica di cottura. In pratica l’olio viene accompagnata ad una temperatura controllata e poi viene scaricata in un abbattitore. In questo modo gli aromi della spezia si fissano nell’olio, che funziona come una spugna; poi l’olio viene filtrato e imbottigliato. In questo modo eliminiamo il cosiddetto “testimone”,cioé la spezia all’interno della bottiglia, che porta più danni che benefici all’loio extra vergine di oliva come tutti ormai sanno, quindi utilizziamo una bottiglia scura per proteggere l’olio dalla luce. La particolarità è che si tratta di una lavorazione completamente artigianale, che quindi non può essere replicata se non utilizzando gli stessi macchinari. Un prodotto unico nel suo genere. Abbiamo già realizzato oli alla Menta, al Rosmarino, alla Maggiorana, ai Capperi e al Finocchietto, a cui presto si aggiungeranno quello allo Zafferano e al Pepe rosa».
• Nelle immagini i contadini abruzzesi che coltivano i prodotti confezionati da Ursini
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Cantina FILOMUSI GUELFI
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Tocco da Casauria (PE) • Via F. Filomusi Guelfi, 11 www.filomusiguelfi.it
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SPECIALE POLO AGIRE
UOMO E GALANTUOMO Un commosso ricordo di Salvatore Di Paolo, presidente del Polo Agire e direttore generale della Gelco, scomparso lo scorso 21 marzo.
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n uomo d’altri tempi, nobile nell’animo oltre che nei modi. Così dicevano di lui. E così era Salvatore Di Paolo, direttore generale della Gelco e presidente del Polo di innovazione dell’agroalimentare d’Abruzzo “Agire” (oltre che di Confindustria Teramo e della Fondazione Its Agroalimentare Teramo), venuto a mancare lo scorso 21 marzo, a Pescara, in una sera profondamente triste per l’intera comunità abruzzese. La notizia si è diffusa rapidamente gettando nello sconforto chi lo conosceva e gli voleva bene in privato e chi ne apprezzava le doti professionali nei contesti pubblici e istituzionali in cui, spendendosi sempre al massimo, operava. Salvatore Di Paolo era una persona con una forza e una determinazione straordinarie che, spesso, contraddicevano la sua innata umiltà. Erano qualità rare la sua integrità e la sua professionalità, apprezzate anche da chi per ruolo istituzionale a volte gli si contrapponeva. Chi lo ha ricordato come una mente illuminata non poteva offrire una definizione migliore. Anche se qualsiasi definizione stava stretta a una persona come lui, capace di aggregare e di costruire consenso attorno a progetti che volavano così in alto da non avere soltanto l’ambizione di cambiare le cose ma da imporre facilmente, naturalmente, il cambiamento. «A lui –recitava una nota della “sua” Confindustria Teramo all’indomani della scomparsa– avevamo affidato la speranza di poter interpretare il cambiamento in questa congiuntura così difficile e piena di insidie per le imprese teramane ed abruzzesi. Di Paolo era una persona dalle grandi qualità umane e professionali e sapeva offrirci quella fiducia che a volte è indispensabile per guardare con occhi diversi il futuro di una comunità». «Sotto la sua Presidenza –così la nota della Fondazione Its Agroalimentare Teramo– si è conclusa positivamente la fase pioneristica di questo nuovo Istituto, nel quale ha fermamente creduto nell’ottica dell’inserimento nel mondo del lavoro e della costruzione del percorso professionale dei giovani studenti, ricordando loro che “si conclude un percorso di studio ma ne inizia uno di vita”». Salvatore Di Paolo era anche l’anima e il motore del Polo agroalimentare d’Abruzzo, un progetto la cui realizzazione sarebbe stata impensabile senza di lui. Dalla nascita del consorzio, avvenuta tre anni fa sotto la sua guida, il Polo ha infatti compiuto, soprattutto grazie alla sua tenacia e ai suoi sforzi, passi in avanti fondamentali in favore dell’innovazione e dell’internazionalizzazione delle imprese agroalimentari abruzzesi. «Siamo profondamente colpiti da questa perdita» ha detto il vice presidente del Polo Agire, William Di Carlo, interpretando il dolore dei componenti di Consiglio d’Amministrazione,
Collegio Sindacale, Comitato Tecnico Scientifico, dei soci, dei dipendenti e dei collaboratori. «Con Salvatore Di Paolo se ne va un amministratore capace di organizzare e gestire programmi complessi di lavoro con la facilità propria solo dei grandi manager e, al contempo, un amico delle imprese abruzzesi. La sua signorilità, il suo stile, i suoi modi pacati ed eleganti, creavano un clima unico all’interno delle nostre riunioni. Andare avanti con la stessa determinazione sarà il modo migliore per onorare la sua memoria».
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BdA
tutto arrosto, niente fumo Arrosticini, spiedini, bistecche e salsicce. Ma anche verdura, pesce, formaggi e frutta. In pratica, tutto ciò che potete cuocere alla brace oggi si può cucinare direttamente sulla tavola, grazie a un innovativo strumento creato e commercializzato dalla BdA di Luca Forcella: il Braciere dell’Amicizia
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ove c’è fumo c’è arrosto, di solito. Ma la tecnologia (e un’intuizione semplice come l’uovo di Colombo) oggi ribaltano il vecchio adagio e danno vita a un prodotto che permette di avere l’arrosto… senza fumo. Dite la verità: quante volte avete pensato, mentre arrostivate carne sulla griglia all’aperto, “sarebbe bello poterlo fare in casa, se solo non ci fosse tutto questo fumo”? Detto, fatto: a risolvere il problema arriva oggi il “Braciere dell’Amicizia”, un innovativo sistema di cottura brevettato, che permette di cuocere sulla tradizionale brace –ma senza alcuna sgradevole emissione di fumo– qualunque tipo di carne: dagli spiedini agli hamburger, dalle bistecche alle salsicce, oltre naturalmente agli arrosticini cari a qualunque abruzzese “Doc”. Abruzzese è anche Luca Forcella, una carriera decennale come export manager al servizio di diverse aziende regionali, che dallo scorso 2013 ha intrapreso un’attività propria decidendo di realizzare e commercializzare questo innovativo strumento che si propone come una vera rivoluzione a tavola. «Il prodotto non sarebbe mai nato se non fossi stato supportato da due cari amici che mi hanno sostenuto e incoraggiato.
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L’idea –spiega Forcella– nasce dall’unione della tradizione abruzzese con la filosofia dei Paesi nordici, la cui consuetudine è di riunirsi tutti intorno ad una tavola già imbandita e di consumare il pasto insieme fino alla fine senza che i padroni di casa siano costretti ad alzarsi ripetutamente per cucinare. Il Braciere dell’Amicizia è dotato di un sistema di cottura verticale, grazie al quale i cibi cuociono senza venire a contatto con i propri grassi come invece avviene nei barbecue tradizionali: si allontana così la possibilità che residui della precedente cottura vadano ad aderire ai nuovi alimenti, alterandone caratteristiche e sicurezza. Il grasso liberato dalla cottura non finisce sulla brace ma si deposita nella pirofila, senza l’emissione di fastidiosi fumi, lasciando i cibi più sani e gustosi e permettendo così di cucinare la carne direttamente sulla tavola». È innegabile che la presenza della brace a tavola porti con sé una particolare atmosfera ed è questo uno dei punti forti del Braciere dell’Amicizia. «In base alla mia esperienza –prosegue Forcella– ho scelto, per intraprendere una mia attività, di puntare su un prodotto innovativo, di alta qualità e Made in Italy, che esaltasse il gusto della convivialità.
Ho fatto tesoro della nostra tradizione regionale e l’ho messa al centro di un prodotto che offre grandi opportunità commerciali». Il Braciere (il cui acronimo BdA è anche il nome della ditta di cui Forcella è titolare) è ideale infatti non solo per cucinare la carne, ma anche verdure, pesce, formaggi o frutta caramellata, e la sua praticità e facilità di utilizzo lo rende un prodotto destinato non soltanto all’uso casalingo ma anche nei pub e nei ristoranti. «Ha tempi di accensione molto rapidi, è semplicissimo da utilizzare, è facilmente trasportabile e garantisce una cottura sana, rapida e omogenea. È stato concepito per essere facilmente portato a tavola e il suo design segue canoni ergonomici (corretta altezza dal tavolo, corretto posizionamento degli spiedini, ecc) ed estetici di assoluto valore. Naturalmente, come ogni sistema di cottura, deve essere tenuto lontano dalla portata dei bambini sia durante che dopo l’uso. A parte queste precauzioni d’obbligo, il Braciere dell’Amicizia è stato dotato di un sistema di spegnimento brevettato che permette, dopo l’uso, l’inertizzazione e la segregazione della brace, fino al suo totale spegnimento. Infine è completamente smontabile perciò
molto facile da lavare». Niente più fumo, niente più lunghe sessioni di cottura sul caminetto o sulla fornacella: finalmente, il piacere di stare a tavola tutti insieme e di veder cuocere il cibo gustandolo appena pronto. «Abbiamo raccolto la sfida di fare un prodotto che fosse ideato e realizzato in Italia. Lo diciamo con orgoglio perché già questo è per noi sinonimo di qualità. Oltre a ciò, ogni componente è certificato per uso alimentare ed è prodotto con canoni di assoluto rigore e precisione. Siamo nati da poco ma vogliamo provare a crescere valorizzando le tradizioni dell’Abruzzo». E proprio per conseguire questi obiettivi Luca Forcella ha aderito con la sua BdA al Polo Agire, consapevole delle opportunità di sviluppo che il Polo d’Innovazione porta alle aziende associate: «Per una piccola ditta come la mia, è fondamentale essere supportata da un ente come il Polo. In questi mesi sono stato costantemente informato su tutte le iniziative potenzialmente utili per incrementare il business della mia ditta e a tal proposito vorrei ringraziare tutto lo staff per la professionalità e la cortesia dimostrate fino ad oggi».
• Qui sopra: Luca Forcella con la figlia Gloria. Nelle altre immagini, alcune dimostrazioni dell’utilizzo del Braciere dell’Amicizia
BDA Assemblaggio e commercializzazione di un sistema di cottura alla brace portatile, utililizzabile anche dentro casa perchè, grazie all’utilizzo di un braciere verticale, non provoca fumo durante la cottura degli alimenti. Via Gian Battista Valentini, 13 65017 Penne (PE) Tel. +39 388 9845 812 Fax +39 085 8279 981 www.my-bda.it email: forcella.l@my-bda.it
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IZSAM “G. CAPORALE”
DA TERAMO AL MONDO Il benessere dell’uomo passa attraverso la tutela della salute degli animali. È la filosofia che guida l’attività dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise, una delle realtà scientifiche più importanti d’Italia Istituto Zooprofilattico Sperimentale “G.Caporale” Ente Sanitario di diritto pubblico che opera al servizio dello Stato e dell’Abruzzo e Molise, garantendo i servizi veterinari pubblici, le prestazioni analitiche e la collaborazione tecnico-scientifica necessarie all’espletamento delle funzioni in materia di Sanità Pubblica Veterinaria. Via Campo Boario, 64100 Teramo (TE) Tel. +39 0861332460 Fax +39 0861332251 www.izs.it email: wmaster@izs.it
È
il più giovane, a dispetto dei 70 anni di età, tra i suoi “colleghi” italiani (dieci in tutto, distribuiti dal Piemonte alla Sicilia) e opera in un territorio che è, tuttora, quello con la più bassa popolazione umana e animale d’Italia. Ciononostante, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise è una realtà di assoluta eccellenza nel panorama scientifico mondiale: nel corso degli ultimi vent’anni le più importanti Organizzazioni internazionali che operano nell’ambito della Sanità Pubblica Veterinaria, quali l’Oms, la Fao e l’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (Oie) hanno attribuito all’Izsam il ruolo di Centro di Collaborazione e Laboratorio di Referenza in specifici ambiti di attività. Inoltre, l’Unione Europea lo ha riconosciuto come uno degli strumenti operativi per l’assistenza tecnica ai Paesi candidati all’ingresso nella UE. «L’Istituto può vantare oramai una consolidata collaborazione con tutti i 27 Paesi dell’Unione Europea, con l’America del Nord e il Medioriente, ed ha una forte attività progettuale nelle aree in via di sviluppo –America Latina, Africa ed Europa dell’Est– dove fornisce assistenza tecnica e trasferisce conoscenze per l’adeguamento alle norme internazionali, il controllo delle malattie trasmissibili
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all’uomo, il commercio degli animali e dei prodotti derivati a tutela dei consumatori». È Fernando Arnolfo, il direttore generale dell’Istituto, a disegnare il ritratto di quella che, dall’unica piccola sede teramana con cinque impiegati del 1941 è oggi una struttura complessa che conta oltre 400 tra dipendenti e collaboratori, distribuiti tra la sede centrale di Teramo e le 5 sedi diagnostiche territoriali, in Abruzzo e Molise, dislocate ad Avezzano, Pescara, Lanciano, Campobasso e Isernia. A Termoli ha inoltre sede il Centro Regionale per la Pesca ed Acquacoltura, mentre le strutture del Cifiv, il Centro Internazionale per la Formazione e l’Informazione Veterinaria “Francesco Gramenzi”,sono ospitate all’interno di una residenza di campagna a Colleatterrato Alto e presso la Torre di Cerrano di Pineto. «L’Izsam è nato nel 1941 –racconta Arnolfo– per fornire assistenza tecnica e supporto diagnostico di laboratorio ai veterinari e agli allevatori per la lotta alle malattie del bestiame nel territorio di Teramo e Ascoli Piceno. Nel 1946 fu chiamato a dirigere l’Ente Giuseppe Caporale che è stato il vero artefice del suo sviluppo (e al quale è oggi giustamente intitolato l’istituto) riuscendo, ad esempio, a far costruire una nuova sede, imponente e funzionale, già nel 1949. Il duro lavoro, le mutate condizioni socio-
politiche e la volontà di uscire dalla palude melmosa del dopoguerra che portò al boom economico, fecero sì che l’Istituto divenisse in breve tempo una pedina fondamentale nello scacchiere della medicina veterinaria del Paese. Nel 1974 estese la sua giurisdizione alle province di Isernia e Campobasso, ma perse la provincia di Ascoli Piceno, assumendo così la denominazione attuale.Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, con l’avvicinarsi al Mercato Unico, si impose una profonda riflessione sui ruoli e sulle funzioni di tutte le componenti della Veterinaria italiana di cui gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali rappresentavano il fiore all’occhiello. L’Izsam intuì che c’era bisogno di una nuova politica aziendale ed avviò così un processo di sviluppo che ha portato l’Istituto a rivolgersi al mondo e non più soltanto al territorio di riferimento». Mutano i tempi e il modello organizzativo, ma la mission dell’ente resta la stessa: il benessere fisico, mentale e sociale dell’uomo attraverso la conoscenza e l’applicazione delle scienze veterinarie. «Il nostro lavoro è garantire ai cittadini risposte adeguate ai bisogni di salute pubblica, avvalendoci di una concreta e incessante azione di ricerca e sperimentazione, rivolta al sistema integrato “benessere e sanità animale - sicurezza alimentare - tutela ambientale”.È questo
il sistema di riferimento che guida l’Istituto nella realizzazione dei progetti e nell’identificazione delle strategie di sviluppo». Ricerca e sperimentazione, insieme alla cooperazione internazionale, sono quindi alla base dell’attività dell’Izsam, che ogni anno produce presidi per la diagnosi e la profilassi in milioni di dosi, necessari a rilevare e contrastare l’attività patogena di batteri, virus e altri organismi pericolosi per l’uomo. «Terreni di coltura, kit diagnostici, sieri e vaccini vengono forniti a organizzazioni pubbliche e private, in Italia e all’estero, per la protezione e il miglioramento dello stato sanitario degli animali. Per conto del Ministero della Salute l’Istituto produce e fornisce ai veterinari e agli allevatori vaccini per contrastare alcune malattie, e lavora incessantemente alla produzione e all’esportazione dell’innovazione in tutto il mondo nel campo dell’analisi del rischio, sicurezza alimentare, benessere animale, formazione, organizzazione, realizzazione e gestione di banche dati anagrafiche degli animali». Come altri importanti attori della scena scientifica del territorio, anche l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo ha scelto di entrare nel Polo Agire. «Aderire al Polo Agroalimentare è importante –chiarisce Arnolfo– innanzitutto perché è assolutamente necessario realizzare una vera “rete”
fra le aziende, sia di produzione primaria, sia di trasformazione. La crisi sta evidenziando un quadro economico del settore in leggera risalita rispetto ad altri comparti, ma la competizione internazionale sarà sempre più intensa e affrontarla da soli, con le realtà dimensionali medio-piccole non è più consigliabile. Il paradigma “piccolo è bello” sta dimostrando, nonostante tutto, i suoi limiti. Le altre ragioni sono da afferire all’utilità di disporre di servizi qualificati, sia in campo agronomico, sia nel settore della sicurezza alimentare e in quello della promozione. Il sistema consortile, se politicamente sostenuto, costituirà sempre più il veicolo di finanziamento per l’innovazione e la ricerca, nonché per la promozione sui mercati esteri. E lo si nota dalle impostazioni dei bandi europei che privilegiano sempre più le associazioni d’impresa per finanziare ricerca, innovazione e sviluppo, promozione e commercializzazione. Infine il sistema consortile permetterà di sollecitare e indirizzare le politiche regionali verso obiettivi concreti e maggiormente attinenti alle problematiche dei produttori. La frammentazione delle voci è oggi maggiormente dannosa rispetto al passato e, forse, anche inutile rispetto ad una dirigenza politica che ha sempre meno risorse da elargire».
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DOLCI & DELIZIE
BUONO COME IL PANE Più di un semplice panificio e più di un laboratorio artigianale: i prodotti da forno della famiglia Caprioni si vendono in tutta la regione e portano la tradizione teramana sulla tavola di tutti gli abruzzesi
Dolci & Delizie Panificio Caprioni Commercio e produzione dolciaria artigianale. Via S. Allende, 20 64023 Mosciano S.Angelo (TE) Tel. +390858071715 Fax +390858071715 www.capridelizie.com info@capridelizie.com
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ngredienti: sale, acqua, farina, passione e sacrificio. Impastare con qualche innovazione e un po’ di originalità, far lievitare, e mettere nel forno della tradizione. Quello del panificatore è un mestiere antico, un lavoro fatto di gesti rituali, che racchiude un sapere che si tramanda fin dalla notte dei tempi. Una tradizione che Nathan Caprioni, titolare con la sua famiglia della “Dolci e Delizie” e Panificio Caprioni ha infuso nella lavorazione di ricette locali per creare pane e biscotti che contenessero tutto il gusto e il profumo della regione da cui provengono. Lucio e sua moglie Nunzia, coadiuvati dal figlio Nathan, hanno rilevato all’inizio degli anni Novanta un vecchio panificio a Montone, piccolo borgo del Teramano, e con il passare degli anni –e la crescita del volume d’affari– si sono successivamente spostati in un più ampio stabilimento a Mosciano S.Angelo, idoneo ad ospitare le attrezzature di quello che oggi è un panificio semi-industriale: circa 400 metri quadrati di superficie su due livelli, in cui trovano posto il laboratorio di pasticceria, il forno e anche una piccola rivendita. All’interno, ogni giorno, la famiglia Caprioni conduce con passione quest’attività avvalendosi delle
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competenze di due soli dipendenti: «La lavorazione del pane è ormai quasi tutta meccanizzata –spiega Nathan – mentre quella dei prodotti da forno viene condotta ancora in modo completamente artigianale: tutto ciò che produciamo è come se fosse fatto in casa». Questo spirito casalingo la famiglia Caprioni se lo porta dietro da anni, avendo trascorso un lungo periodo nella gestione di un’attività agrituristica a Giulianova. Poi, oltre vent’anni fa, la possibilità di occuparsi di una struttura alberghiera o l’opportunità di rilevare il vecchio panificio. «Siamo felici della scelta fatta: è una vita molto sacrificata, ma ci fa piacere contribuire a diffondere la cultura della nostra terra», spiega Nathan. I prodotti del panificio Caprioni raggiungono, infatti, tutto l’Abruzzo e vanno anche oltre, a Nord, fino ad Bologna. «Abbiamo numerosi contratti per il servizio di fornitura pane nelle mense di grandi strutture aziendali, ospedaliere, scolastiche. I prodotti da forno, cioé i dolci, hanno invece una diffusione più limitata, circoscritta al Teramano e parzialmente al territorio costiero fino a Pescara. Qualche anno fa –precisa Nathan– abbiamo conferito una veste accattivante a certi prodotti di più
largo consumo, come cantuccini, lingue di gatto, biscotti tradizionali natalizi, e li abbiamo cominciati a proporre in diversi negozi: drogherie e rivendite di prodotti dolciari da regalo, case del caffé, botteghe di prodotti artigianali. Il riscontro è stato ottimo». Tanto da spingere proprio il rampollo della famiglia a lanciarsi in un’avventura ardita: aprire un punto vendita in uno dei paradisi naturali più belli d’Italia, Capri. «Ci sono riuscito nel 2010, e la cosa è durata circa due anni e mezzo. L’idea era di diventare un punto di riferimento per i prodotti abruzzesi nel cuore della mondanità partenopea: oltre ai nostri prodotti (che portavano il nuovo marchio Dolci & Delizie) avevamo in esposizione e in vendita un ampio corredo di altri prodotti regionali, soprattutto vini, a far concorrenza alle specialità campane». Un’esperienza importante, alla quale la famiglia Caprioni decide di rinunciare per convogliare nel laboratorio di Mosciano S.Angelo tutte le energie, in modo da consolidare il marchio. E così, rimandati per il momento i sogni di espansione, la famiglia si è rimessa a lavorare in Abruzzo, per i suoi clienti abituali: Grande Distribuzione (per la quale produce soprattutto pane di ogni
formato), commercianti al dettaglio, ristoranti e bar, «ai quali serviamo sempre un prodotto artigianale di alta qualità. Del resto è ciò che ci contraddistingue, e non vogliamo perdere questa caratteristica». Dalla ricca e prestigiosa tradizione dolciaria teramana, passando per le mani e il cuore della famiglia Caprioni, nascono così manicaretti deliziosi come i cantuccini (realizzati in diverse versioni: alle mandorle, con gocce di cioccolato, con cacao e vaniglia), il tarallo teramano con olio e vino, i tozzetti (speciali cantuccini con uva sultanina e cioccolato a gocce) le prelibate e ricercatissime scrocchiaerelle (simili alle lingue di gatto ma con aggiunta di spezie e ingredienti particolari che le rendono uniche), i classici biscotti frollini per la prima colazione, i biscotti per le festività natalizie, come sfogliatelle ripiene e bocconotti (questi ultimi simili a quelli di Montorio ma leggermente modificati dalle sapienti intuizioni di Donna Nunzia). E proprio a Donna Nunzia è dedicata una linea un brand di pasticceria secca che viene commercializzata presso punti vendita specializzati in prodotti artigianali da forno: «Un’altro tentativo, da parte nostra, di elevare il biscotto al rango di un
prodotto da regalo, cosa che riusciamo a fare solo grazie all’alta qualità dei nostri prodotti». L’ingresso nel Polo Agire è, in questo senso, per il Gruppo Caprioni un’opportunità «per conoscere e stringere rapporti con aziende del territorio, per sfruttare le occasioni di incrementare e certificare la qualità dei processi, per allinearci insomma con la realtà industriale del territorio in cui lavoriamo. Perché siamo convinti che senza un’attenta politca di sviluppo e di crescita aziendale la qualità, purtroppo, non sia sufficiente a mandare avanti l’attività».
• In alto a sinistra: Nathan Caprioni con uno dei suoi cantuccini. Nelle altre foto, immagini dei prodotti del panificio di Mosciano
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GELCO
La fabbrica di caramelle L’azienda più golosa d’Abruzzo si trova a Castelnuovo Vomano e produce dolcezza dal 1980. Partita con poco più di una dozzina di dipendenti, oggi è una realtà di primo piano dell’industria dolciaria italiana e internazionalecon milioni di caramelle vendute in circa 20 Paesi del mondo
• Nelle foto lo stabilimento Gelco a Castellalto e alcuni momenti della produzione. Nella pagina a fianco, in alto a destra: Massimiliano Bolognesi, direttore dello stabilimento
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ilioni di caramelle, di diverse forme e gusti, colorate e invitanti. Il sogno di ogni bambino. Entrare nello stabilimento della Gelco ti fa sentire un po’ come Charlie Bucket nel romanzo di Roald Dahl La fabbrica di cioccolato, con la differenza che nell’azienda di Castelnuovo Vomano non lavorano grotteschi personaggi di fantasia, ma autentici professionisti dell’industria dolciaria, dediti alla produzione di caramelle gommose e liquirizia estrusa fin dalla metà degli anni Settanta, quando lo stabilimento inizia la sua attività con il nome di Lif Sud. È solo dal 1980, infatti, che il nome Gelco comincia a comparire sulle confezioni delle caramelle made in Abruzzo, ed entra nelle case di tutta Italia grazie al più celebre dei suoi prodotti, la doppia caramella gommosa Goleador. In oltre trent’anni la produzione si è ulteriormente diversificata e moltiplicata, fino a raggiungere oggi cifre da capogiro: il fatturato dell’azienda nel 2013 ha toccato i 52 milioni di euro, di cui il 20-25% viene realizzato all’estero, in Europa ma anche negli Stati Uniti, in Brasile, Medio Oriente, NordSud Africa, Asia ed Australia. «Una data
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fondamentale per la vita dell’azienda è il 1987» racconta l’Ing. Massimiliano Bolognesi, nuovo Direttore dello stabilimento che ha sostituito Salvatore Di Paolo al timone dell’azienda dal 1980 al 2013. «In quell’anno la Gelco è stata rilevata dal Gruppo Perfetti di Lainate, l’attuale Perfetti Van Melle Group, azienda multinazionale leader nel settore della confectionery, divenendo così l’unica azienda italiana del gruppo a produrre liquirizie estruse e gelatine in un’amplissima varietà di formati e proposte. Il nuovo assetto aziendale permise un primo ammodernamento degli impianti e un potenziamento dell’organizzazione commerciale, cui seguì il lancio di nuovi prodotti e una crescita notevole del personale dipendente, oggi arrivato a circa 300 unità. Un ulteriore ampliamento del sito produttivo è stato realizzato nel 2006, con l’acquisizione di un terreno adiacente e la realizzazione di una nuova ala dello stabilimento per un totale di superficie coperta di 20mila metri quadrati, che ha comportato nel 2009, per esigenze di ottimizzazione delle lavorazioni e di efficienze produttive, il trasferimento del sito produttivo Caremoli, in Lombardia,
presso la sede di Castelnuovo Vomano». La crescita dimensionale è andata di pari passo con l’ampliamento della gamma di prodotti: nello stabilimento abruzzese prendono forma le ormai classiche Fruittella, i Chupa Chups, quasi tutte le Golia (Morositas in testa), le gommose Lupo Alberto, le più recenti (e decisamente appetitose) Cola Xplosion e Cherry Xplosion, insomma circa la metà delle caramelle e delle liquirizie che vediamo ammiccare dai banchi dei supermercati o dagli espositori di bar e tabaccherie. Questi risultati sono dovuti, oltre che alla direzione dell’ingegner Bolognesi, al direttore del reparto ricerca e sviluppo dottor Roberto Bergogni e ai vari responsabili di settore, componenti di una squadra che ha saputo compiere scelte importanti e individuare le politiche giuste per incidere sul mercato. «Da qualche anno –prosegue Bolognesi– la scelta aziendale, circa l’ingredientistica utilizzata nei prodotti, è quella di sostituire, ove possibile, tutti i coloranti artificiali con coloranti naturali e concentrati vegetali. Il nostro obiettivo è quello di offrire standard di qualità elevati, sia in termini di prodotto che di servizi. È per questo
che abbiamo implementato il sistema di gestione qualità, certificato ISO 9001:2008, il sistema di gestione ambientale certificato ISO 14001: 2004, l’accreditamento EMAS e le certificazioni BRC e IFS. Abbiamo inoltre un sistema di autocontrollo HACCP che garantisce un elevato standard di igiene e sicurezza dei prodotti alimentari, un reparto ricerca e sviluppo che consente di offrire una gamma di prodotti costantemente ampia e diversificata e soprattutto un team di produzione competente, dinamico e fortemente motivato, rivolto a soddisfare le aspettative di mercato». Non ultimo, nell’organizzazione aziendale, «un sistema di formazione di tutte le risorse umane impiegate al fine di promuoverne sia le conoscenze che le competenze». La Gelco è stata tra le aziende fondatrici nel 2010 del Polo d’innovazione Agire, acronimo di AgroIndustria Ricerca Ecosostenibilità: «Lo scopo di Agire –chiarisce Bolognesi– che costituisce un raggruppamento temporaneo d’imprese, è quello di promuovere, attraverso l’aggregazione di piccole medie e grandi imprese, di centri di ricerca ed università, la diffusione, la condivisione e la generazione di
innovazioni di prodotto, di processo, gestionali, di marketing, logistiche ed organizzative nel settore agroalimentare. Proprio all’interno di Agire la Gelco è capofila di un progetto di ricerca industriale denominato R.I.S.C.A. il cui scopo è quello di studiare la stabilità degli aromi e dei coloranti negli alimenti. Il progetto iniziato nel 2012 vede insieme a Gelco altre due aziende e l’Università degli studi di Teramo ed è finanziato in parte da fondi europei, in parte da fondi regionali».
GELCO Azienda del gruppo Perfetti Van Melle, leader nel settore della confectionery, che produce liquirizie estruse e gelatine, per brand del Gruppo tra i quali Goleador, Fruittella, Lupo Alberto, Cola Xplosion, Cherry Xplosion, Chupa Chups, Golia, Golia Bianca, Menta Fredda e Morositas. Via E. Mattei, 4, 64020 Castellalto (TE) Tel. / Fax +39086157223-4 www.gelco.it email: segreteria@gelco.it
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ASTRA
PRIMI IN CHIMICA Qualità, ambiente, sicurezza: tre parole che oggi sono l’Abc di ogni imprenditore che voglia confrontarsi con la dura realtà della concorrenza globale. All’interno del Polo Agire esistono strutture in grado di affiancare le aziende nel miglioramento e nell’innovazione dei loro sistemi produttivi
• Alcune delle attività quotidiane nei laboratori dello studio Astra. Nella pagina a fianco, in alto a sinistra, foto di gruppo per lo staff; in prima fila, al centro, i tre soci: da sinistra Michele De Berardis, Valter Zeppillo e Alfio Di Domenico
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ra le tante aziende presenti all’interno del Polo Agire ci sono anche realtà che operano al fianco delle imprese dell’agroalimentare. La ricerca –insieme all’innovazione– è del resto uno dei cardini sui quali si è costituito il Polo Agire, e la presenza di uno studio chimico della statura di Astra è un vanto per il Polo e una grande opportunità per i suoi soci. Docenti e professionisti di lunga esperienza, maturata nell’arco di oltre quarant’anni di attività, i titolari dello studio Astra sono il dottor Alfio Di Domenico, il dottor Michele De Berardis (entrambi laureati in chimica industriale) e il perito chimico Valter Zeppillo. Nel 1981 le loro strade si sono unite per dar vita a questo studio dotato di un laboratorio per le analisi chimiche e microbiologiche, offrendo da subito –e in questo sono stati tra i pionieri– consulenze anche in campo ambientale e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. «Nel 1987 –spiega il dottor Di Domenico– abbiamo poi allargato l’offerta, costituendo la società di servizi Astra Srl, che si occupa di gestione di impianti di depurazione, di acque reflue, sia civili che industriali, oltre che di impianti per l’abbattimento degli inquinanti aeriformi con personale e attrezzature proprie; svolge attività di con-
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sulenza ambientale e di consulenza per sistemi di gestione certificati (ISO 9001, FSC, ETICA, OHSAS 18001, 14001, EMAS)». Nel tempo l’Astra è cresciuta ampliando competenze, servizi e personale, assumendo un ruolo di primaria importanza nel territorio di riferimento. Oggi la società, che occupa circa 15 dipendenti oltre a numerosi collaboratori esterni, dispone di un modernissimo laboratorio di analisi dotato di attrezzature all’avanguardia, grazie al quale si occupa di analisi fisiche, chimiche e batteriologiche, svolge attività di consulenza ambientale, effettua rilievi e misurazioni per la salubrità degli ambienti di lavoro, caratterizzazione e bonifica dei siti inquinati. La grande attenzione delle aziende ai problemi della sostenibilità ambientale ha fatto crescere molto l’attività di Astra in questo campo: «In questo settore della nostra attività –spiega il dottor Di Domenico– offriamo servizi di analisi chimiche e fisiche, con un laboratorio qualificato su tutte le matrici ambientali (aria, acqua, suolo). Forniamo servizi di assistenza per il rilascio di tutte le autorizzazioni previste dalla legge e per l’espletamento di tutte le pratiche ambientali, necessarie all’azienda per esercitare la propria attività. Inoltre offriamo assistenza per
l’ottenimento e il mantenimento di certificazioni in campo ambientale». Michele De Berardis, teramano di nascita, ci illustra invece le attività dello studio in materia di sicurezza: «In questo campo offriamo un servizio completo che va dall’assunzione di responsabilità RSPP, alla stesura di documenti di valutazione del rischio, alla gestione della sicurezza con assistenza al Servizio interno di prevenzione aziendale e alla implementazione di sistemi di gestione secondo Standard Internazionali riconosciuti come l’OHSAS 18001:2007» Naturalmente non poteva mancare una serie di servizi legati alle attività delle aziende agroalimentari, che rende la presenza di Astra all’interno del Polo una grande risorsa per le aziende associate. «Il settore –prosegue De Berardis– offre assistenza ad aziende del comparto sia con analisi chimiche e microbiologiche su materie prime e prodotti finiti, sia con servizi di assistenza per ottenere le autorizzazioni necessarie allo svolgimento delle proprie attività. Curiamo anche la sicurezza alimentare con elaborazione di piani HACCP ed esecuzione di controlli per l’igiene e la sicurezza dei prodotti, dell’ambiente e dei materiali». Il laboratorio di analisi di Astra «figura
tra quelli accreditati da Accredia» spiega Valter Zeppillo, perito chimico industriale. «Accredia è l’Ente unico nazionale di accreditamento designato dal Governo italiano, ossia l’unico ente riconosciuto in Italia ad attestare che gli organismi di certificazione ed ispezione, i laboratori di prova, anche per la sicurezza alimentare, e quelli di taratura abbiano le competenze per valutare la conformità dei prodotti, dei processi e dei sistemi agli standard di riferimento. Il nostro laboratorio è dotato di strumentazione all’avanguardia, anche in versione “portatile” per le misurazioni da fare sul luogo. L’accreditamento ISO 17025 garantisce l’efficienza costante di tutta la strumentazione e la taratura (ove richiesto) con frequenza prestabilita, presso i centri di taratura Accredia». La decisione di entrare nel Polo Agire è stata presa subito, all’alba della costituzione della società consortile. «Il Polo costituisce una grande opportunità per rafforzare il sistema imprenditoriale» affermano all’unisono i soci titolari. «Per il nostro studio è ovviamente importante disporre del know-how del Polo Agire, partecipare all’attività di ricerca e sviluppo della società e farsi conoscere dagli associati, ai quali possiamo offrire
consulenza per i campi inerenti alla nostra attività; ma siamo anche stati attratti dalla possibilità di crescere, partecipare a fiere e studi di mercato, al marketing promozionale; di essere collegati con il tessuto economico e le imprese, l’Università, i centri di ricerca e sviluppo pubblici e privati a livello regionale, nazionale e internazionale, nell’ambito dei progetti e servizi di interesse strategico per il sistema economico».
ASTRA Srl Prestazione di servizi nel settore dell’inquinamento ambientale, progettazione, realizzazione, gestione e/o conduzione impianti di depurazione acque reflue, civili e industriali, oltre che di impianti per l’abbattimento degli inquinanti aeriformi. Progettazione e consulenza aziendale per l’implementazione qualità, ambiente e sicurezza Via Potito Randi, 6 64100 Teramo (TE) Tel +390861413103–212201 Fax +390861222240 www.astrastudio.it email: info@astrastudio.it
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PARTNER
FORMAZIONE VINCENTE La profonda trasformazione del sistema imprenditoriale si riflette anche nel mondo della consulenza. La Partner di Fabrizio Luciani sta interpretando al meglio questo cambiamento: informatizzazione, partnership con il cliente, success fee, outsourcing Partner Srl Servizi di consulenza e formazione per le aziende e la pubblica amministrazione. Via E. Berlinguer, 26, Pagliare del Tronto – 63036 Spinetoli (AP) Tel. +390736892375 Fax +390736892476 www.partnerconsul.com info@partnerconsul.com
L
eggere la trasformazione in atto e la “crisi” come opportunità per crescere e rivedere il proprio modello di business: da qui parte il percorso di cambiamento intrapreso dalla Partner srl, società di consulenza di direzione, progettazione finanziaria e formazione ed illustratoci dall’Amministratore Unico, Fabrizio Luciani. «Credo –ci dice– che i grandi cambiamenti cui assistiamo giorno per giorno, con l’uscita dal mercato di aziende e la perdita di posti di lavoro –dolorosa sotto il profilo economico, sociale e pertanto meritevole di attenzione ed interventi appropriati– si possa anche leggere sotto l’angolazione delle cause che ne sono alla base, ma soprattutto sul piano degli effetti che sta producendo e produrrà, con interi settori di attività che stanno cambiando pelle, nuovi mercati e nuove opportunità che stanno emergendo, nuovi player aggressivi». La Partner, società con sede a Spinetoli (AP) e operante prevalentemente in Abruzzo e Marche, ma con una presenza ed un’esperienza significativa in Veneto, Lombardia, Puglia, Basilicata e Campania, da qualche mese ha anche aperto una propria sede a Bruxelles, con il chiaro intento di approcciare “da vicino” il mondo della progettazione europea per guidare e sostenere finan-
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ziariamente i progetti di innovazione e di cambiamento dei propri clienti. La società propone infatti interventi “chiavi in mano”,dove cioè all’analisi e alla progettazione segue l’attività di fund raising e di reperimento delle risorse (umane, tecniche, finanziarie), senza le quali i progetti resterebbero scatole vuote e mera produzione di carta. Ma la partnership con i propri clienti, prevalentemente PMI, ma anche grandi imprese ed Enti Pubblici, va ben oltre. Sempre più ampia è infatti la gamma di servizi in cui il compenso della consulenza è articolato su una parte variabile (success fee), preventivamente concordata con il cliente, anche attraverso il ricorso alla formula dell’outsourcing: finanza agevolata, formazione, sistemi informativi, acquisti e logistica aziendale sono alcuni degli ambiti di applicazione, con risultati indiscutibili, che premiano la professionalità e la competenza di un team motivato, composto da oltre 15 professionisti. Altrimenti non sarebbe stato possibile ottenere nei quasi venti anni di attività (la società nasce infatti nel 1996 da un’esperienza decennale del fondatore nel settore del management consulting) un tasso di successo nella finanza agevolata pari all’83%, una riduzione dei costi aziendali su
forniture compresa tra il 15 ed il 30%, una formazione efficace oltre il 90%. Da sempre consapevole che uniche e vere protagoniste del cambiamento (e quindi di diffusione del “sapere” e del “saper fare”) sono le risorse umane, la Partner ha introdotto da anni la gestione in outsourcing dei piani formativi aziendali, curando la rilevazione dei fabbisogni, la progettazione, la ricerca delle risorse finanziarie, l’organizzazione degli eventi e la valutazione di efficacia, incrementando in maniera notevole l’efficacia e l’efficienza delle risorse impegnate, con notevole soddisfazione dei clienti, tra cui primari gruppi imprenditoriali a livello nazionale. «Nell’ambito della finanza agevolata – prosegue Luciani– l’outsourcing è parziale, in quanto ci interfacciamo costantemente, oltre che con l’imprenditore, con le aree aziendali maggiormente impegnate, quali la progettazione, la Ricerca & Sviluppo, l’Amministrazione, occupandoci anche di consulenza per l’interpretazione e –a corretta applicazione delle norme vigenti– l’impostazione dei sistemi di rilevazione e contabilizzazione dei costi, del monitoraggio, dell’organizzazione delle formule di partenariato e della relativa strumentazione». Con l’apertura della sede di Bruxelles, conclude Luciani, «quest’atti• In queste pagine lo staff della Partner Srl nella sede della società. Al centro Fabrizio Luciani
vità ha visto un ulteriore impulso anche a livello qualitativo». La ricerca di formule di collaborazione e la compartecipazione ai risultati insieme al cliente spinge l’azienda ed i consulenti a confrontarsi con i risultati ed a migliorarsi costantemente innescando un processo molto impegnativo, ma virtuoso e gratificante. «Sono approcci e strumenti che ci auguriamo di poter sperimentare anche all’interno di alcuni Poli d’Innovazione promossi in Abruzzo, tra cui Agire di cui siamo soci, in quanto le reti e le aggregazioni tra imprese e tra PMI ed Università, Centri di competenza sono in molti casi una via obbligata». Ma non sono solo questi gli elementi di innovazione che rendono la società marchigiana peculiare nel panorama attuale: piattaforme ERP, soluzioni CRM e strumenti di Business Intelligence sono solo alcuni esempi di una profonda informatizzazione dei processi primari e secondari e di alcuni prodotti consulenziali, per i quali la Partner rappresenta un laboratorio di sperimentazione e prototipazione rispetto a soluzioni e servizi che vengono poi immessi sul mercato. L’attività della società non si ferma al settore privato, ma si estende anche alla Pubblica amministrazione: «Ad una domanda tendenzialmente crescente di formazione
nella P.A. –pur con crescenti difficoltà di copertura finanziaria– non si accompagna sempre un’offerta formativa di alto profilo: le piccole realtà amministrative per poter accedere a programmi e proposte formative rispondenti alle proprie esigenze debbono spesso sostenere costi proibitivi, anche in termini di tempo e di distanza per raggiungere la sede formativa. Da queste constatazioni e dall’esperienza maturata in dieci anni di attività è nata l’idea di dar vita a Meta, un centro di formazione all’insegna di concretezza, innovazione e qualità che si rivolge a Comuni (singoli ed associati), Comunità Montane, Province, Sanità locale e altre Amministrazioni Pubbliche, con un’offerta formativa strutturata in due grandi ambiti: un’area “normativa” comprendente informazione, aggiornamento su dispositivi di legge, norme finanziarie, e un’area “manageriale”, comprendente formazione a catalogo, assistenza e consulenza di direzione, progettazione per lo sviluppo delle organizzazioni e dei servizi, analisi e valutazione dei fabbisogni formativi, piani annuali e pluriennali di formazione».
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Azienda Agricola Angelucci
RECUPERARE LE ECCELLENZE L’azienda di Castiglione a Casauria ha contribuito alla rinascita di un vitigno autoctono destinato all’estinzione. L’antico Moscatello è oggi tornato a far parte della grande famiglia dei vini abruzzesi, conquistando pubblico e critica nei maggiori concorsi internazionali
• Nella pagina a fianco, in alto Antonio Angelucci. Sotto, il figlio Mauro con la famiglia durante la vendemmia; a fianco due prodotti aziendali
«L
’aver contribuito a salvare dall’estinzione il Moscatello di Castiglione a Casauria è stato il modo più naturale per ricordare le origini contadine della nostra famiglia e per compiere un gesto d’amore verso il nostro territorio straordinario». Così Antonio Angelucci, titolare dell’azienda agricola che porta il suo nome, motiva l’impegno nel recupero e nella commercializzazione di questo famoso e delicato vitigno, un impegno che comincia all’inizio degli anni Duemila e che oggi, a cinque anni dalla prima vendemmia (2009), è prodigo di risultati. «Il “biotipo Casauriense”, –spiega orgoglioso Angelucci– cioè il clone dal quale si ottengono le uve Moscatello, è il frutto del lavoro svolto dall’Agenzia regionale per i servizi di sviluppo agricolo della Regione Abruzzo in collaborazione con il Crivea Abruzzo e con le Università di Foggia e di Bari, in virtù dell’opera di sensibilizzazione avviata dal Consorzio di Tutela e proseguita dalla nostra famiglia, col supporto della preziosa documentazione storica dello studioso Antonio Alfredo Varrasso». Questo impegno congiunto ha portato al riconoscimento del clone da parte del Ministero delle politiche agricole ed
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economiche, e ha scongiurato il rischio di estinzione per quello che è considerato «non solo un patrimonio della viticoltura nazionale ma anche un importante simbolo di un’identità sociale e di conservazione delle antiche tradizioni produttive». La presenza del Moscatello in terra d’Abruzzo è attestata già intorno al 1600, quindi addirittura preesistente al Montepulciano, al Trebbiano e al Pecorino: «La prima testimonianza è rintracciabile nel Libro degli affitti, case e vigne dell’Illustrissima Camera Baronale di Castiglione alla Pescara del 1747 dove si riporta che tali Pietro Cristallini e Gesmino Gesmini pagavano l’affitto “per il Moscatello alle Coste di San Felice”. Filippo Fasulo di Napoli, impegnato a valutare a fini essenzialmente fiscali e nell’interesse statale, il feudo della famiglia de Petris-Fraggianni situato in Castiglione alla Pescara (diventata Castiglione a Casauria nel 1863), scrive nel 1766 che “Vi è in tempo di estate la vendita di moltissimi frutti gentili ed un Moscatello di buonissima qualità, che si trasporta fino all’Aquila, donde ne riportano una considerevole somma di denaro ogni anno”. Notazioni analoghe, rinvenute anche in atti notarili, si ripetono negli anni immediatamente
successivi e consentono di individuare altre zone di produzione e il loro pregio –Coste di San Felice, Costa delle Forche, Vicennola, Fornaca– ma anche l’importanza economica che questo vino riveste per il territorio, almeno fino ai primi venti anni del 1900, quando fu abbandonato a causa della fillossera e del fenomeno della forte emigrazione all’estero di molti abitanti delle zone interne dell’Abruzzo». Dopo anni di ricerca genetica e di sperimentazione nelle storiche tenute di famiglia, oggi il clone originario “Casauriense” è coltivato dall’azienda Angelucci insieme al Montepulciano, al Trebbiano d’Abruzzo e al Pecorino, altri tre vitigni storici della zona, su gran parte dei circa 30 ettari situati tra 250 e 350 metri nella zona di Casauria, a circa 40 km dal mare e a immediato ridosso delle montagne del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e del Parco Nazionale della Majella, precisamente nelle contrade storiche Vicenne di Tocco da Casauria e Coste San Felice e Colle delle Forche di Castiglione a Casauria dove è situata la cantina. Se è vero che i vini sono figli della terra dalla quale provengono, nel caso dell’azienda Angelucci questo è ancora più evidente perché sono
decisamente influenzati dalle particolari caratteristiche pedologiche e climatiche che rendono unica la zona di produzione. «Questa zona –spiega Angelucci– è da sempre famosa per le sue particolari condizioni pedoclimatiche caratterizzate soprattutto dalla costante presenza del vento e dalla notevole escursione termica tra il giorno e la notte. Due elementi che, insieme ai terreni calcareo-argillosi, agevolano l’adozione di tecniche agronomiche a basso impatto e trasferiscono un’identità forte alle uve e, di conseguenza ai vini, agendo in maniera determinante nelle fasi di maturazione e, come nel caso del Moscatello, nell’importante periodo di appassimento sulla pianta, consentendo di conservare adeguati parametri di acidità e di ottenere livelli superiori sia di tenore zuccherino sia di contenuto in terreni che esaltano i profumi aromatici tipici della varietà moscato». Con le uve del Moscatello, Angelucci produce anche altri due vini sorprendenti tutti caratterizzati da un’intrigante mineralità: un delicato Spumante Dolce (metodo Charmat) e un raffinato vino secco gradevolmente aromatico. Dal vitigno Montepulciano si producono i vini rossi Montepulciano d’Abruzzo,
capaci di dimostrare il loro valore sia se bevuti giovani sia con l’invecchiamento, e il Cerasuolo d’Abruzzo, un vino rosato piacevole e di media struttura. Gli altri bianchi sono rappresentati dal Trebbiano d’Abruzzo, espressivo nelle sue fragranti note fruttate e dal Pecorino, un altro dei vitigni autoctoni riscoperti di recente, che regala un vino di forte personalità, di buona struttura, fresco e longevo.
ANGELUCCI VINI Azienda vitivinicola il cui principale prodotto è il “Moscatello di Castiglione”, un vino passito naturale ottenuto dall’originale clone Casauriense le cui notizie storiche sono addirittura precedenti alla coltivazione del Montepulciano d’Abruzzo. Contrada Vicenne, 7 65020 Castiglione a Casauria (Pe) Tel. +390857998193 Fax +390857998194 www.angeluccivini.it email: info@angeluccivini.it
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AMADORI
IL VOLTO DELLA QUALITà Tra i primi a “metterci la faccia”, Francesco Amadori è diventato oggi uno dei leader nazionali nell’agroalimentare. Un’azienda innovativa, un catalogo ricchissimo per gustare tutta la qualità del pollo 100% italiano, garantita dalla filiera integrata
• In alto: Francesco Amadori con un allevatore di Campese, pollo allevato all’aperto, lavorato presso lo stabilimento di Mosciano S. Angelo. Nelle altre foto alcune immagini degli stabilimenti e dei principali prodotti dell’azienda.
P
arola di Francesco Amadori. Il celebre slogan, apripista per tutta una serie di personaggi che autotestimoniano la bontà dei loro prodotti, è entrato nelle nostre case dall’inizio del nuovo millennio, ma la storia di questo gruppo – anzi, di questa famiglia – risale agli anni Trenta, quando Ondina e Agostino Amadori di Cesena insieme ai figli Francesco, Arnaldo e Adelmo, incominciano a commercializzare, in ambito locale, pollame e animali da cortile in genere. Nel giro di poco tempo i fratelli decidono di dedicarsi anche all’allevamento: è l’inizio di un processo di miglioramento continuo che si svilupperà nel corso degli anni successivi. A metà degli anni Cinquanta, i primi esempi di agricoltura post-rurale convincono Francesco e Arnaldo Amadori a dedicarsi all’allevamento. Pochi anni dopo, l’iniziativa dà già buoni frutti e da lì a poco verranno realizzati molti altri allevamenti. Negli anni Sessanta, conquistati i primi posti in Italia nel settore dell’allevamento, gli Amadori decidono di completare l’intero sistema di filiera: costruiscono il primo mangimificio (1965), il primo incubatoio (1966) e il primo impianto di macellazione (1968). Il decennio successivo è caratterizzato
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da una crescita costante e Amadori riceve il premio Mercurio d’Oro (1973); sono gli anni in cui la distribuzione dei prodotti diventa nazionale e nasce un secondo polo produttivo in Abruzzo, a Mosciano S.Angelo (TE). In quest’area – dai primi allevamenti costruiti nel 1979 – si arriva in poco tempo alla gestione della filiera completa (allevamenti, incubatoi, mangimifici, macellazione e commercializzazione). Il 1981 segna un importante balzo in avanti: si muovono infatti i primi passi verso le innovazioni di prodotto. Compaiono così i primi prodotti preparati tipici delle “aziende alimentari”. Negli stessi anni inizia il processo di valorizzazione del marchio con le prime campagne pubblicitarie nazionali. Gli anni Novanta sono quelli caratterizzati dalla specializzazione: entra in funzione un nuovo impianto per la produzione degli impanati (Teramo, 1993) e würstel (Cesena, 1998). E si arriva nel nuovo millennio, nel quale l’azienda continua a rafforzare la presenza sul mercato, acquisendo la “Del Campo” , un’ importante azienda del settore (2005). Sono gli anni nei quali l’azienda afferma il proprio marchio con la comunicazione pubblicitaria. Francesco Amadori, grazie alla sua instancabile propensione
al lavoro, nel 2002 riceve dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il titolo di Cavaliere del Lavoro. Amadori è oggi uno dei principali leader nel settore agroalimentare italiano, un’azienda innovativa, con 7mila dipendenti tra stabilimenti industriali, filiali e agenzie e un fatturato 2012 di oltre 1,2 miliardi di euro. Alla base del successo di Amadori c’è la decisione del Gruppo di gestire direttamente l’intera filiera integrata. Questa scelta consente un controllo approfondito e certificato di tutte le fasi produttive: selezione delle materie prime, allevamenti, incubatoi, mangimifici, trasformazione, confezionamento e distribuzione. Tradizione e innovazione sono i due elementi che contraddistinguono il Gruppo sul mercato: una squadra di professionisti che, con passione ed esperienza, propone soluzioni gastronomiche innovative e lavora per garantire ai consumatori, ogni giorno, prodotti buoni, freschi e sicuri. Oggi Amadori ha intrapreso un importante percorso di innovazione che sta trasformando il Gruppo, nato 40 anni fa come realtà avicola, in una vera e propria azienda alimentare italiana, punto di riferimento per i piatti a base di carne e specialista del settore avicolo, mossa
da una passione che è rimasta la stessa fin dalla nascita, ma con un modello di gestione sempre più orientato al futuro. Attraverso una solida struttura, consolidata sull’intero territorio nazionale, miglioriamo continuamente i nostri prodotti per rispondere alle esigenze dei consumatori moderni. Perché Amadori entra nel Polo Agire? Perché crede nelle opportunità che il Polo offre e perché è consapevole di poter fornire il proprio contributo all’interno del Polo, in termini di conoscenze, di idee e di esperienza. Il sistemache Amadori ha sviluppato nella regione Abruzzo è strategico per l’intero Gruppo: attualmente i dipendenti Amadori in Abruzzo sono circa 1.800, e rappresentano il 25% del totale dei dipendenti Amadori in tutta Italia. In Abruzzo Amadori ha una quarantina di allevamenti e tre insediamenti produttivi: un incubatoio (a Castellalto), una unità produttiva di disosso e produzione di elaborati crudi (a Controguerra) e uno stabilimento di trasformazione alimentare (a Mosciano Sant’Angelo). In questo stabilimento vengono realizzati sia prodotti impanati, sia tagli di prima e seconda lavorazione di pollo (busto, cosce, petto a fette, ali…). In particolare, è proprio in
questo stabilimento che viene lavorato Il Campese, il pollo allevato all’aperto, la punta di diamante della linea di prodotti Amadori. Il Campese, allevato in Puglia, è 100% pollo italiano, libero di razzolare all’aperto in ampi spazi verdi, è alimentato con mangimi senza farine e grassi di origine animale e senza OGM ed è lavorato con energia proveniente al 100% da fonti rinnovabili.
AMADORI Una delle aziende leader nel settore dell’agroalimentare nazionale, specializzata nella produzione di alimenti a base di carne, con un fatturato di 1,2 miliardi di euro, Amadori conta circa 7mila dipendenti in tutta Italia. La sua peculiarità è quella di gestire direttamente tutta la filiera produttiva. Strada Provinciale, 22, 64023 Mosciano Sant’Angelo (TE) Tel. +3908580701 Fax +390858070235 www.amadori.it info@amadori.it
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CNA Teramo
INSIEME PER CRESCERE Artigiani, Pmi, commercianti e pensionati: la Cna di Teramo rappresenta da 44 anni un punto di riferimento sicuro e affidabile per i cittadini di tutto il territorio provinciale
• In alto: il presidente della Cna di Teramo Gianfredo De Santis e il direttore Gloriano Lanciotti (al centro, seduti) insieme allo staff dell’Ente. Nella pagina a fianco la sede teramana e l’inaugurazione della nuova sede di Giulianova
S
ono i numeri a definire l’importanza di un ente come la Cna di Teramo, diventata nel corso degli anni un concreto punto di riferimento per il tessuto imprenditoriale del territorio. Tremilacinquecento imprese, tre sedi periferiche (Roseto, Giulianova e Alba Adriatica) e 10 unioni di settore fanno di quella teramana la più grande fra le associazioni di categoria provinciali. «Rappresentiamo gli artigiani, le piccole e medie imprese e i commercianti» spiega Gloriano Lanciotti, direttore dell’Ente dal 1979. «Ne rappresentiamo gli interessi, promuoviamo economicamente le imprese ed eroghiamo servizi non solo per gli associati, ma anche per i cittadini». Servizi di supporto, consulenza fiscale e di patronato, stando sempre attenti alle questioni politico–sociali della comunità e cercando di dare il proprio contributo nella ricerca del benessere collettivo. «Perseguiamo il nostro obiettivo, quello di dare valore al tessuto produttivo locale, tramite un’organizzazione strutturata e diffusa, un sistema che offre servizi integrati e consulenze personalizzate sia per la creazione che per la gestione dell’impresa». Servizi che oggi sono essenziali per
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la vita imprenditoriale: finanziamenti agevolati, organizzazione e gestione di corsi per la formazione professionale, consulenza e supporto contabile, assistenza fiscale; e naturalmente servizi di sostegno alla vita aziendale, come l’elaborazione delle buste paga, l’assistenza contrattualistica, la tutela sociale, previdenziale, assicurativa, nonché servizi di consulenza in materia di ambiente, sicurezza e qualità, progettazione europea. «In questo periodo, in più di un’occasione, la CNA ha manifestato la preoccupazione per la situazione delle imprese e più in generale della situazione economica del territorio. Per un’organizzazione di categoria c’è amarezza per la consapevolezza che, al netto di tutte le difficoltà del momento storico che viviamo, qualcosa in più poteva essere fatto. Ad esempio rendere più efficiente la macchina regionale, mostrare una maggiore sensibilità da parte delle amministrazioni locali nella distribuzione del gettito fiscale alle imprese e potremmo continuare. Ma preferiamo ricordare che così come è necessario prestare attenzione alle scelte dei nostri decisori politici e rivendicare diritti e opportunità che il
nostro sistema istituzionale prevede costituzionalmente, altrettanto importante è trovare il coraggio di mettersi in discussione. Parlo in particolare alle aziende, anche e soprattutto a quelle con una lunga storia e che hanno contribuito alla ricchezza di questo territorio. Qui non è in discussione la capacità individuale dell’imprenditore o le competenze delle sue risorse umane, ma c’è un mondo che è cambiato, un mercato globale aggressivo, un modo di fare impresa da reinventare». Tutto questo ovviamente non lascia immuni le organizzazioni di rappresentanza, e quindi anche la CNA, che per continuare a sostenere le imprese ha avviato un percorso di rinnovamento, che oltre all’organizzazione interna e allo sviluppo di nuovi servizi porta anche alla creazione di nuove iniziative tese ad offrire un più ampio orizzonte alle imprese della provincia. È recentissima, a tal proposito, l’apertura della nuova sede di Giulianova, presso il centro commerciale “I Portici”, inaugurata dal presidente di Cna Gianfredo De Santis e dallo stesso Lanciotti: «La nuova sede della Cna significa maggiori servizi ai nostri associati ed innovazione di qualità mediante percorsi mirati e
continui». Come il corso in Visual Merchandising “Impara a vendere con stile”, lanciato proprio in occasione dell’inaugurazione e offerto gratuitamente agli associati. Ma non solo. «L’economia teramana –prosegue Lanciotti– guarda con grande interesse ai mercati in via di sviluppo. Abbiamo sentito parlare tante volte di Brics, i cinque Paesi (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) con tassi di crescita tra i più elevati al mondo. E proprio con gli operatori brasiliani abbiamo recentemente organizzato un incontro chiamato Business to Brazil: opportunità commerciali e di lavoro per le nostre imprese per favorire l’internazionalizzazione delle imprese teramane e l’apertura di nuovi canali commerciali con l’estero». Un’iniziativa perfettamente in linea con la filosofia e le attività del Polo Agire, al quale la Cna teramana ha aderito dall’inizio sposandone gli obiettivi e le finalità: «Come associazione di categoria –spiega Lanciotti– è importante essere presenti dove è possibile rintracciare opportunità per le imprese e successivamente coinvolgerle in progetti di crescita. La CNA di Teramo ha svolto fin da subito un’azione di animazione per informare le aziende sulla nascita dei Poli, così
come sono assistite durante la fase di iscrizione. Inoltre, è sempre da considerare positiva e formativa l’aggregazione tra tutti gli attori del territorio locale».
CNA Teramo La CNA è il sistema unitario di rappresentanza degli artigiani, delle piccole e medie imprese e del commercio. Opera per l’affermazione dei valori dell’impresa e del lavoro nella società, nelle Istituzioni e nella politica nel suo complesso. Via F. Franchi, 9/23 64100 Teramo (TE) Tel. +39086123941 Fax +390861250780 www.cnateramo.com segreteria@cnateramo.com
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CYKEL SOFTWARE
WEB SENZA CONFINI Fare della propria passione il proprio lavoro non è cosa da tutti. Giammaria de Paulis, giovane imprenditore teramano, ci è riuscito grazie a caparbietà, impegno e un innegabile talento per le nuove tecnologie
• In alto Gianmaria De Paulis. Nella pagina a fianco, De Paulis con i suoi più stretti collaboratori.
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uando una passione diventa lavoro: è la storia di Giammaria de Paulis, teramano classe 1976, destinato dai suoi genitori alla professione medica ma presto dirottato dalla propria peculiare attitudine verso un’attività totalmente diversa. «Fin dalla tenera età ho sempre avuto una particolare predilezione per i videogames e per l’informatica –racconta– e alla fine la passione ha avuto la meglio sulle aspettative della mia famiglia. A 14 anni avevo già deciso che avrei fatto l’informatico, e l’impegno profuso negli studi alle scuole superiori ha convinto anche genitori e insegnanti». Primo studente italiano a sostenere l’esame di Maturità Classica utilizzando tecnologie multimediali, de Paulis si laurea in Informatica all’Aquila nel 2004 e successivamente consegue il dottorato di ricerca in Epistemologia dell’Informatica e Mutamenti Sociali presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione nella sua Teramo. Nel frattempo, però, la sua passione non resta confinata agli studi: a soli 22 anni, nel 1998, de Paulis fonda la Cykel Software, una pionieristica web agency, e realizza il portale web “www. interamo.it” dedicato alla presentazione dell’intera provincia di Teramo; due anni più tardi lancia anche il sito “manuali.it”,
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giudicato da numerose riviste specializzate “il più importante portale italiano di manualistica”, e inserito dal Sole24Ore tra i primi dieci siti italiani per la categoria “Arte e cultura” e tra i primi venti nella categoria “Information & Technology” per il prestigioso “Premio www” edizioni 2001, 2002 e 2007. Il sito, che ottiene anche successivamente ulteriori riconoscimenti e tuttora mantiene la leadership nella manualistica online, conferisce alla Cykel e al suo creatore una grande notorietà e gli spalanca le porte del business digitale: progetta, realizza e gestisce siti per diverse aziende e associazioni private, e parallelamente ottiene incarichi per la realizzazione dei portali web di molti enti locali e di altre realtà della pubblica amministrazione: Comuni, Provincie, Unione Industriali e Istituti di Credito gli affidano importanti compiti che de Paulis, grazie anche al supporto di un valido team di collaboratori, porta a termine con successo, diventando ben presto un punto di riferimento per il territorio e facendo della Cykel Software una delle web agency più importanti del Centro Italia. L’eco sulla stampa, specializzata e non, è enorme, e porta lustro non solo al vulcanico de Paulis, ma anche a chi si avvale dei suoi servizi: agli Italian
Web Awards 2006 “comune.teramo.it” viene premiato come il miglior portale in Italia nella categoria “Usabilità ed Accessibilità”; anche altri progetti, negli anni precedenti, erano rientrati tra i siti di eccellenza quali il “premioteramo.it” nella categoria Arte e Cultura e “omceoteramo.it” nella categoria Scienze. E l’attività della Cykel varca i confini regionali: nel 2011 il sito “www.lagodigarda.it”, portale web turistico realizzato per la Comunità del Garda, viene selezionato come oggetto di studio per il turismo in Italia ed inserito nel volume “Caccia ai tesori - corso di lingua e civiltà italiana per stranieri” edito dalla prestigiosa casa editrice Loescher; nel 2012 un altro progetto della Cykel viene presentato nel libro “Progetti di Comunicazione - Digital PR e Social Media” edito da Franco Angeli. Sono solo alcuni dei riconoscimenti nazionali che hanno permesso all’azienda teramana di divenire, attraverso i suoi prodotti, uno dei leader del mercato. Tra incarichi di docenza (presso enti di formazione locali ed Università) e interventi come relatore in numerosi convegni di livello nazionale, oltre a collaborazioni con riviste di settore, l’inesauribile de Paulis ha recentemente trovato il tempo anche di scrivere un libro di grande attualità: si
chiama “Facebook: genitori alla riscossa”, edito dalla Galaad Edizioni, e si propone come un utile “vademecum per non smarrire i propri figli online”. «In Italia, 7 ragazzi su 10 sono registrati su Facebook che, con la sua comunità di oltre 900 milioni di iscritti, può essere considerato il social network più importante a livello globale. Anche se i nostri figli hanno più dimestichezza di noi con le nuove tecnologie, non è detto che siano in grado di comprendere i rischi sociali e legali che possono derivare dalla pubblicazione online di contenuti e informazioni personali. Nel libro offro non solo una panoramica completa e aggiornata dei pericoli connessi all’uso di Facebook da parte dei minori, ma anche gli strumenti per educarli a un uso corretto e consapevole del social network, aiutarli a proteggere la loro sfera privata da intrusioni malevole e agire nel rispetto delle regole di comportamento e della privacy». Oggi Cykel Software «è arricchita –illustra lo stesso de Paulis– da uno staff di professionisti, orientati verso l’utilizzo delle nuove tecnologie come strumento innovativo e di ottimizzazione; tali esperti hanno come obiettivo quello di creare servizi online secondo precise dinamiche che diano la possibilità di
trasformare il proprio sito internet in un vero strumento di business, secondo le più innovative strategie». Inoltre la Cykel, in questi ultimi anni, si è specializzata nella realizzazione di applicazioni mobile per smartphone e tablet ampliando il ventaglio della propria offerta. «Siamo sviluppatori e fornitori di Giano Evo, un Content Management System di ultima generazione, sviluppato al fine di interfacciarsi e modellarsi sulle esigenze di e-business di ogni singolo cliente».
Cykel Software Web e digital agency specializzata nella realizzazione di portali e servizi online per imprese, banche e pubbliche amministrazioni e nella consulenza e pianificazione professionale di pubblicità online e webmarketing via Renato Molinari, 3 - 64100 Teramo Tel. +390861212512 Fax +390861412294 www.cykel.it email: info@cykel.it
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ARA Abruzzo
ALLEVARE LA QUALITà Dal 1972 a oggi il settore zootecnico si è profondamente evoluto. In questo percorso è stato fondamentale il sostegno dell’Ara, l’associazione regionale degli allevatori che affianca le aziende zootecniche col suo apparato tecnico e scientifico. E che oggi promuove e valorizza i prodotti abruzzesi con programmi comunitari
L’
ultimo censimento generale dell’agricoltura, i cui dati sono stati pubblicati lo scorso luglio, restituisce un’immagine ormai lontana da quello stereotipo legato al passato che vedeva l’Abruzzo come terra di “pecore e pastori”: le aziende zootecniche regionali costituiscono infatti solo l’11,6% del totale delle aziende censite, con le province di L’Aquila e Teramo a spartirsi il 65% degli allevamenti. Di queste, più della metà alleva bovini (51%), mentre gli allevamenti ovini sono il 41%. Consegnata quindi alla storia l’immagine bucolica, dannunziana (e anche un po’ stantia, diciamolo) dell’Abruzzo da “intervallo Rai”, va evidenziata invece l’importanza che il settore della zootecnia riveste all’interno del quadro generale regionale: «Il dato più significativo –chiarisce Francesco Cortesi, direttore dell’ARA Abruzzo– è certamente che l’agricoltura abruzzese, soprattutto in ambito zootecnico, si è profondamente evoluta. Nel quadro generale che vede una diminuzione del numero di allevamenti (una tendenza in sintonia col dato nazionale) non si riscontra una corrispettiva diminuzione dei capi, quindi le aziende
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aumentano per dimensioni: non a caso il fatturato complessivo registra un considerevole aumento a fronte della bassa percentuale di aziende. Certo, non si raggiungono i numeri da capogiro del settore vitivinicolo, ma le produzioni di latte e carne non sono meno importanti». In questo quadro evolutivo l’Ara, associazione regionale degli allevatori costituita nel 1972 (e che dal 2007 ha assorbito i compiti precedentemente svolti dalle ormai sciolte Associazioni Provinciali), è vicina alle aziende zootecniche abruzzesi col suo supporto tecnico e informativo, ma soprattutto «cerchiamo di non perdere di vista –sottolinea Cortesi– gli aspetti positivi della tradizione. In pratica, pur guardando al progressivo miglioramento tecnologico del settore, in Abruzzo cerchiamo di valorizzare gli elementi positivi del nostro sistema di allevamento: meno esasperato che in altre aree del paese, maggiormente rispettoso dell’ambiente e legato alla tradizione. Cerchiamo, ad esempio, di far apprezzare al consumatore i valori storici e culturali legati alla tradizionale pastorizia abruzzese, ed i vantaggi per i cittadini di poter usufruire di prodotti freschi e genuini provenienti da
allevamenti locali eco-sostenibili: latte, formaggi e carni di elevata qualità che integrano e completano l’offerta turistica del nostro territorio regionale». In quest’ottica l’attività dell’Associazione, oggi, oltre che sui compiti “istituzionali” che le sono stati affidati dal Ministero per le politiche agricole o dalla Regione, di cui è il braccio operativo nel settore zootecnico (tenuta dei Libri Genealogici del bestiame ed esecuzione dei Controlli Funzionali della produttività animale, oltre all’assistenza zootecnica e veterinaria) si concentra anche sulle esigenze di tracciabilità ed autocontrollo della produzione, presupposto fondamentale per le iniziative di valorizzazione commerciale dei prodotti. «Da alcuni anni –spiega il presidente Giuseppe Valente– l’ARA ha intrapreso un percorso per la valorizzazione delle filiere zootecniche regionali attraverso la partecipazione e il supporto ad iniziative riguardanti marchi comunitari, nazionali, collettivi per la certificazione dei prodotti zootecnici, come il marchio I.G.P. “Vitellone bianco dell’Appennino centrale”, il marchio I.G.P. “Agnello del Centro Italia”, o il marchio collettivo “Buongusto l’agnello d’Abruzzo”, e molti altri». Al
fine di facilitare i rapporti commerciali tra il mercato e le aziende zootecniche associate, inoltre, «l’Ara ha da ultimo costituito una s.r.l. a socio unico, la “SCA Abruzzo – servizi commerciali allevatori” che opera sia in fase di approvvigionamento di mezzi tecnici e materiali per l’allevamento, che rispetto alla collocazione dei prodotti finiti». E in questo senso si legge anche la partecipazione dell’Associazione alle attività del Polo Agire, «per sviluppare meglio i contatti con gli altri operatori del mondo agricolo regionale, e per ottenere supporto negli interventi di promozione del comparto zootecnico abruzzese, rivolti in Italia e all’estero». Con circa duemila soci, una settantina di dipendenti tra agronomi, veterinari, controllori zootecnici, fecondatori, addetti alla gestione dati, addetti laboratorio analisi, e strutture operative dislocate su tutto il territorio regionale (L’Aquila, Avezzano, Castel di Sangro, Teramo, Bellante, Chieti, Casoli), l’Associazione Regionale Allevatori d’Abruzzo ha il merito fondamentale «di aver concretamente contribuito al sostegno del comparto zootecnico, affiancando gli allevatori e supportandoli in un percorso di crescita professionale, di mi-
glioramento genetico del bestiame, di adeguamento di strutture ed impianti, di aggiornamento delle tecniche di allevamento. Tra le azioni di maggiore importanza svolte in passato vanno ricordati il piano di lotta all’ipofertilità bovina, il piano di miglioramento della qualità del latte, i programmi di fecondazione artificiale, il rilancio della carne bovina di razza marchigiana». • In alto a sinistra: Francesco Cortesi, direttore ARA Abruzzo
ARA ABRUZZO L’Associazione Regionale Allevatori d’Abruzzo svolge compiti per delega del Ministero per le Politiche Agricole e dell’AIA, e servizi a favore degli allevatori gestiti prevalentemente nell’ambito di programmi regionali di assistenza tecnica. S.S. 17 Est - 67100 Onna (AQ) Tel. +390862441738 Fax +390862442736 www.araabruzzo.it segreteria@araabruzzo.it
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LA SELVA D’ABRUZZO
FRATELLI D’ORO Sessant’anni fa iniziava l’avventura della famiglia Di Massimo nella produzione di olio extravergine d’oliva. Dopo più di mezzo secolo la storia continua nel segno della qualità e dell’innovazione, due cardini imprescindibili sui quali ruota l’attività dell’azienda
• Nelle foto di queste pagine alcune immagini dell’azienda e dei suoi principali prodotti; nella pagina a fianco Mauro Di Massimo con i suoi figli
S
essant’anni di vita dedicati all’olio. È trascorso più di mezzo secolo da quel 1954, quando Giuseppe Di Massimo, sotto la guida di suo padre Luigi, dava vita alla Selva d’Abruzzo, un’azienda agricola di soli sei ettari in contrada Santa Maria a Moscufo, che produceva e vendeva olio extravergine d’oliva. «La produzione dell’epoca –racconta Mauro Di Massimo– era destinata al consumo familiare, e come molte altre realtà della zona anche noi avevamo un mercato costituito in gran parte da famiglie del Nord Italia». L’attività dell’azienda, sostenuta da buoni risultati commerciali, cresce e si sviluppa: nel 1971 l’ispettorato agrario di Pescara, dopo aver effettuato alcuni sopralluoghi nei terreni di proprietà, premia l’azienda di Giuseppe Di Massimo con un riconoscimento alla “Super Produzione”, consistente in una somma di 700mila lire. «In seguito acquistammo altri terreni e migliorammo la dotazione tecnologica per la trasformazione delle olive, incrementando la produzione, sempre nell’ottica del miglioramento costante del prodotto. Nel 1980 avevamo 18 ettari di terreni e decidemmo di affittare un frantoio
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a presse nelle vicinanze dell’abbazia di S. Maria del Lago». In quello stesso anno a Giuseppe Di Massimo subentrano i figli Mauro e Luciano, agronomo che con le sue competenze permetterà all’azienda di compiere un importante salto di qualità. Nel 1996, infatti, avviene la conversione dell’azienda all’agricoltura biologica e l’acquisto di un moderno frantoio a due fasi.«Abbiamo sempre desiderato portare sulla tavola del consumatore finale un prodotto dalle qualità ineccepibili e ad un giusto prezzo», spiega Mauro Di Massimo. «L’innovazione è sempre stata al centro della nostra filosofia aziendale, così come l’attenzione verso la qualità delle olive e dell’olio extravergine d’oliva da noi prodotto». I risultati non tardano ad arrivare, e ai principali concorsi oleari nazionali l’azienda ottiene numerosi riconoscimenti per il suo olio biologico. Nel giugno del 2000 la Camera di Commercio di Pescara conferisce a Giuseppe Di Massimo il diploma di Benemerenza con Medaglia d’oro per la fedeltà al lavoro e allo sviluppo dell’economia locale. Oggi La Selva d’Abruzzo coltiva 62
ettari di oliveti con circa 10mila piante d’olivo, dà lavoro a 3 dipendenti fissi e 25 dipendenti stagionali diretti da Mauro, con un ufficio amministrativo e uno per i rapporti con i clienti il cui responsabile è Luciano. Tre le tipologie di olio extravergine d’oliva prodotte: Biologico, Aprutino Pescarese D.O.P. e a rintracciabilità di filiera. La trasformazione delle olive, effettuata per conto proprio e per conto terzi, avviene in un moderno impianto di molitura con sistema continuo a due fasi dove tempi e temperature di lavorazione sono costantemente monitorate al fine di tutelare la qualità dell’olio prodotto. «Note aziende olivicole del nostro territorio ci affidano le olive, e noi cerchiamo di offrire un servizio efficiente, al fine di tutelare il loro lavoro di un intero anno e riconsegnare un prodotto di qualità. Il servizio conto terzi riguarda tutte le fasi: molitura, deposito e confezionamento». Al frantoio è annesso un locale di stoccaggio climatizzato con cisterne in acciaio inox sotto azoto, oltre ad un locale confezionamento ed un punto vendita e degustazione. La Selva d’Abruzzo accoglie ogni anno nume-
rosi gruppi di turisti o consumatori che visitano le strutture e partecipano a degustazioni guidate. «I consumatori principali del nostro olio extravergine d’oliva biologico sono famiglie fidelizzate con le quali si è instaurato un rapporto di reciproca fiducia e cordialità», spiega Mauro. «La Selva d’Abruzzo è cresciuta negli anni grazie a diversi fattori concomitanti: sicuramente la vocazione dei terreni, la particolare qualità delle olive (le cultivar Dritta e Leccino) ma anche grazie all’intuito dei fondatori, allo spirito di collaborazione che lega la nostra famiglia ai dipendenti dell’azienda, e a una buona dose di innovazione tecnologica, sia sulla filiera che sul prodotto. Inoltre l’interesse di consumatori, consapevoli e istruiti sulla qualità dell’olio extravergine d’oliva, regalano continuamente stimoli positivi alla nostra azienda per continuare sulla strada della qualità totale, consci di produrre un alimento di grande valore salutistico». Proprio lo spirito innovativo, la storica propensione al miglioramento della qualità del prodotto e le opportunità di crescita non solo commerciale ma in termini di know-how e di tecno-
logia, hanno convinto la famiglia Di Massimo ad aderire al Polo Agire.
La selva d’Abruzzo Azienda agricola specializzata nella produzione, trasformazione e confezionamento di olioextravergine d’oliva dop e biologico. Cda Santa Maria, 3 65010 Moscufo (PE) Tel. / Fax +39085979181 www.laselvadabruzzo.it dimassimomauro@libero.it
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DEP ABRUZZO
UNITI PER LO SVILUPPO Un territorio produttivo, forte, dinamico e vitale: è quello in cui opera il Dep Abruzzo, che promuove lo sviluppo locale attraverso azioni e progetti innovativi Consorzio DEP Abruzzo Consulenza alle imprese relativa al miglioramento della capacità produttiva dell’efficienza, dell’economicità, della fiscalità, della ricerca e dello sviluppo della semplificazione amministrativa e di ogni forma di finanziamento alle imprese. Piazza Torlonia, 15 67051 Avezzano (AQ) Tel. 0863/451436 Fax 0863/442695 dep_abruzzo@alice.it
V
enti imprenditori abruzzesi, il 6 marzo del 2007, hanno dato vita al Dep (distretto economico produttivo) Abruzzo. Obiettivo: lavorare in sinergia per far crescere le aziende e sviluppare nuova occupazione. Il consorzio con sede ad Avezzano, costituito ai sensi della legge 266 del 23 Dicembre 2005, «mira a costruire un sistema comune tra le imprese per migliorare capacità produttiva, efficienza, ricerca, sviluppo, accesso al credito e a ogni forma di finanziamento. Il Dep punta anche all’aggiornamento professionale». Parole di Lorenzo Berardinetti, già al timone del Gal Terre Aquilane e designato presidente anche del Dep Abruzzo. Accanto a lui, nel Cda dell’ente, Marco Cipriani, Emanuele Ermili, Carlo Floris, Mimmo Di Benedetto, Ermanno Natalini e Sergio Di Cintio. Il consorzio, secondo statuto, opera “ai fini di permettere alle imprese, consorziate e non, di accedere alle agevolazioni fiscali, semplificazioni amministrative, reperimento risorse finanziarie e diffusione di diverse tecnologie e relative applicazioni industriali, di accesso al credito sia del distretto stesso che delle imprese consorziate”. Che attualmente sono ben 52, ripartite tra i diversi settori: com-
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mercianti, ristoratori, aziende agricole, fornitori di servizi. Una compagine eterogenea che rende bene l’idea di come, spesso, unirsi per crescere sia un obiettivo comune e travalichi le categorie, superi gli individualismi, si faccia beffe delle convenzioni. «Il Dep –afferma il presidente Berardinetti– è uno strumento di grande potenzialità per dare più forza al sistema delle imprese e impulso alla crescita socio-economica e occupazionale». Tra le varie attività svolte finora il Dep Abruzzo si è occupato di valorizzare le filiere agro-industriale, turistica, elettronica e farmaceutica, ad esempio attraverso la partecipazione a bandi regionali e comunitari. Importante è anche l’attività svolta tramite lo sportello operativo per le imprese, creato per soddisfare la domanda di servizi qualificati nell’ambito della progettualità di impresa, della gestione di bandi per finanziamenti pubblici i e privati, di altre aree progettuali e di servizio. Tale sportello è stato fondamentale per i vari bandi in uscita nel territorio aquilano dopo il sisma del 6 aprile 2009, oltre all’accompagnamento delle aziende ai vari bandi sia regionali che nazionali e comunitari.
Ma i progetti più importanti seguiti dal Dep in questo momento sono quelli nell’ambito dell’internazionalizzazione, come quello che –grazie all’avvenuto finanziamento delle Reti per l’internazionalizzazione da parte della Regione Abruzzo- consente alle aziende aderenti al Dep del settore edile e sue componenti fino all’arredamento di attivarsi «per la promozione sui mercati esteri in generale e dei paesi arabi e dell’area del Maghreb in particolare » spiega Carlo Floris, architetto, consigliere d’amministrazione del consorzio. «Abbiamo in essere progetti di internazionalizzazione anche sui mercati cinese, statunitense e dell’Est Europa, sempre tramite la partecipazione a contratti di rete o consorzi per l’export». Come il progetto MITALY, ovvero l’attivazione del processo di internazionalizzazione sul mercato statunitense di un significativo gruppo di produttori italiani di eccellenza, che per dimensione e struttura non hanno potuto farlo autonomamente, tramite un approccio di vendita basato sulla valorizzazione della cultura enogastronomica e del “life style” italiani, con il supporto di eventi promozionali incentrati sulla degustazione dei prodotti e la presentazione delle aziende.
«E sempre sullo stesso fronte, ma in ambito finanziario, stiamo attivando un progetto di sostegno alla liquidità delle imprese basato sull’introduzione di una moneta complementare, sull’esempio del Sardex, ovvero la possibilità di scambiare beni e servizi (il baratto, in sostanza) secondo valori stabiliti. È un progetto attivato dal Dep ma non rivolto solo ai soci, che avranno comunque delle agevolazioni». Il Dep, nato con lo scopo di intercettare fondi regionali ed europei per sviluppare il tessuto imprenditoriale del territorio, si è negli anni evoluto, e grazie all’ausilio di varie figure professionali –progettisti esperti, ingegneri, architetti, commercialisti– sta realizzando progetti che mirano allo sviluppo imprenditoriale attraverso altri strumenti. È il caso del progetto Mentoring che prevede, per quelle aziende che ne avessero la necessità, di inserire nell’organico figure di alta professionalità che si sono ritirate dal lavoro (per varie ragioni) affidandogli il ruolo di tutor. Questo consentirebbe alle aziende di avvalersi di figure competenti a costi contenuti, e ha anche l’utilità sociale di non disperdere il bagaglio di esperienza che tali professionisti detengono, reinserendoli in pratica nel mercato del
lavoro. Una pratica, assicura il Presidente del DEP, piuttosto diffusa in Europa e anche in Italia, ma un’assoluta novità per l’Abruzzo. Di non secondaria importanza è poi l’avvio di una “Fiera mercato” permanente del prodotto abruzzese di qualità: «La struttura che ospita lo showroom –afferma il Presidente DEP– si trova a Carsoli, in una posizione strategica per l’apertura verso il mercato romano. Dispone di circa 2mila metri quadrati di superficie coperta, dove trovano posto circa 26 stand di 30-35 mq, nei quali le aziende espongono in conto vendita i propri prodotti. L’esposizione copre tutti i settori merceologici, mentre negli spazi antistanti il centro avranno luogo, periodicamente, fiere temporanee monotematiche su questo o quel prodotto, in pratica la Porta commerciale da Roma, per l’Abruzzo di qualità».
• In alto a destra: Lorenzo Berardinetti, presidente del Consorzio DEP (Distretto Economico Produttivo) Abruzzo
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CADAM ABRUZZO-MOLISE
OBIETTIVO SOSTENIBILITà Per un’agricoltura sana e competitiva occorrono competenze, tecnologia e innovazione in tutte le operazioni colturali. Il Consorzio, in un continuo rinnovamento di strutture, mezzi tecnici e professionalità è al fianco dei produttori abruzzesi per la risoluzione di tutte le problematiche aziendali
A
umentare e migliorare i raccolti, ridurre i costi di produzione, sostenere e aiutare le aziende in tutti gli aspetti della loro quotidianità. Sono gli obiettivi principali dell’agricoltura moderna, ben diversi da quelli che nel 1899 hanno visto nascere i Consorzi Agrari, organizzati su base provinciale e finalizzati perlopiù alla modernizzazione del settore. All’epoca infatti, e per molti anni successivi, la principale attività dell’ente era quella di implementare la meccanizzazione, massimizzare la produzione, “industrializzare” cioè un settore che faticava a stare al passo coi tempi. Venute meno queste esigenze, e trascorso un ventennio burrascoso che ha portato ad un lungo commissariamento di molti Consorzi provinciali (in seguito al fallimento della Federconsorzi nel 1991), oggi queste realtà hanno assunto compiti diversi e hanno subìto una sostanziale modifica della loro struttura. Ne è un esempio il Cadam, ossia il Consorzio Agrario d’Abruzzo e Molise, nato nel 2013 dalla incorporazione nel vecchio Consorzio Agrario interprovinciale Chieti-Pescara (datato 1966) già fuso con quelli di L’Aquila (2005) e Teramo (2010), di quello interprovinciale di Campobasso e Isernia. «Un processo –
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spiega Domenico Pasetti, presidente del Cadam e titolare dell’omonima azienda vitivinicola– che rientra in una logica di aggregazione di più realtà consortili, nata dall’esigenza di creare sul territorio entità strutturate e dimensionate in grado di fornire prodotti, servizi e assistenza al mondo agricolo. Un percorso teso a mettere questi enti nelle condizioni di poter fornire servizi più adeguati ai numerosi clienti alla ricerca della giusta competitività sul mercato globale». Oggi il Consorzio è guidato da un consiglio d’amministrazione del quale fanno parte Pasetti, il vice presidente Giovanni Monaco, già alla guida del Consorzio molisano, e cinque consiglieri che costituiscono i referenti per ciascuno dei cinque precedenti ambiti provinciali. Due sedi regionali (a Bellante e San Giovanni Teatino), un sementificio (sempre a Bellante) e venti agenzie disseminate su tutto il bacino di competenza offrono il quadro delle strutture a disposizione di quella che è attualmente una società cooperativa, al fianco dei produttori abruzzesi per la risoluzione di tutte le problematiche aziendali. «Le imprese agricole abruzzesi –prosegue Pasetti– vivono, forse più che in altre regioni, gravi difficoltà
sia dal punto di vista gestionale sia da quello degli sbocchi commerciali. Esistono però delle eccezioni, imprese che si sono collocate sul mercato in modo eccellente e sono anche riuscite ad uscire dagli stretti confini regionali: segno che in Abruzzo le opportunità ci sono. Bisogna, pertanto, creare le condizioni affinché il maggior numero di aziende possa raggiungere questi traguardi». Per farlo, il Cadam si è dotato di una squadra fatta in larga parte di tecnici specializzati, che periodicamente forniscono assistenza alle aziende in termini di consulenza sulle sementi, piani di concimazione, trattamenti antiparassitari, consulenza commerciale e fiscale: in pratica, tutto ciò che consente alle aziende di far fronte alle problematiche della quotidianità, «ma soprattutto svolgiamo una consistente attività in merito agli aspetti commerciali dell’attività aziendale», come spiega Giacomo Di Pietro, responsabile commerciale del Cadam. «Una delle più grandi difficoltà delle aziende è la loro capacità di collocare sul mercato i propri prodotti. Tramite contratti di filiera noi acquistiamo parte della produzione che rivendiamo a grandi produttori: ne sono un esempio il contratto stipulato
con la Barilla, che acquista circa il 40% del grano duro abruzzese, 80mila quintali l’anno, da 1500 soci conferitori del Consorzio, o i contratti di coltivazione che stipuliamo con i produttori agricoli, allo scopo di orientare la produzione di cereali su caratteristiche qualitative ben determinate e certificate». Come nel caso del progetto “Durabruzzo”, che il Cadam conduce da due anni in collaborazione col Cotir, con il Polo Agire e con la De Cecco, per individuare e coltivare nuove varietà di grano duro. Sempre in ambito commerciale, il Consorzio «svolge anche un’altra importante funzione, quella cioé di costituire un’alternativa per gli agricoltori quanto alla fornitura di attrezzature e sementi. La nostra è una filosofia improntata alla sostenibilità, e siamo guidati dalla necessità di conseguire risultati, non profitti. Pertanto quando vendiamo un prodotto a un’azienda non cerchiamo semplicemente di vendere, ma di offrire il miglior prodotto per quella determinata coltura e per quel terreno con lo scopo di migliorare la qualità della produzione e conseguentemente l’aumento della redditività aziendale». Per una realtà fortemente improntata all’innovazione di prodotto e di filiera,
e già ampiamente rodata nel favorire e innescare collaborazioni tra aziende e mercati, aderire al Polo Agire è stata una decisione quasi “naturale”. Il Direttore del Consorzio, Fabio Colonna, spiega: «Il Polo ci consentirà di portare avanti le nostre politiche per valorizzare i prodotti del territorio, e fornire ai nostri associati non solo prodotti, consulenza e assistenza tecnica, ma anche opportunità di sviluppo».
CADAM - Consorzio Agrario d’Abruzzo e Molise Servizi utili all’agricoltura, consulenza tecnica e fitoiatrica alle aziende, vendita di tutti i prodotti occorrenti all’attività agricola. Via Aterno, 21 - Loc. Dragonara, 66020 S.Giovanni Teatino (CH) Tel. +39085440081 +390861610321 (Bellante) Fax +3908544008250 www.cadamabruzzomolise.it email: segreteria@ cadamabruzzomolise.it
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AZIENDA Azienda Agricola Sichetti
LA COSTA DELL’OLIO Venti ettari di terra che guardano il mare, in uno dei più suggestivi paesaggi della regione. Un’azienda attenta alla valorizzazione delle tipicità e alla qualità dei propri prodotti
Azienda Agricola Sichetti Nicola Antonio Produzione di frutta, vini ed olio con relativo imbottigliamento e confezionamento. Via Piantonata, 4 66022 Fossacesia (CH) Tel. +39086260460 n.sichetti@virgilio.it
C
osta dei Trabocchi: un angolo d’Abruzzo di suggestiva e intramontabile bellezza, che evoca storie, sapori e profumi d’altri tempi. È il panorama che si gode dall’alto della tenuta Sichetti, 20 ettari di terreno a San Martino di Fossacesia, a soli 4 chilometri dall’Abbazia di San Giovanni in Venere. Qui, su queste amene colline davanti al mare, Nicola Antonio Sichetti coltiva vite, olivo e alberi da frutta dal 1984, quando è subentrato al padre nella gestione dell’azienda di famiglia, attiva fin dagli anni Sessanta. «In azienda abbiamo tre produzioni importanti: otto ettari di terra sono vitati, e l’uva viene conferita a una cantina locale per la produzione vinicola; la maggior parte del restante terreno è coltivata a olivi, dai quali otteniamo l’olio extravergine “Costa dei Trabocchi”, ottenuto da varietà Gentile e Leccino, circa 3mila litri annui che commercializziamo direttamente, e infine abbiamo gli alberi da frutta, la cui produzione viene conferita alla GDO». Attività e produzione sono stati notevolmente incrementati dall’entrata in scena di Sichetti, che ha cercato di garantire un sicuro sbocco commerciale alle proprie produzioni, «so-
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prattutto per quanto riguarda quelle estive: ho ottenuto dei contratti con la media e grande distribuzione che mi consentono di destinare la gran parte della produzione a questi circuiti e di conservarne solo una minima parte per la vendita diretta. Quanto al vino, sono socio della Cantina Frentana, a cui conferisco uve Pecorino, Trebbiano e Montepulciano. Sono stato tra i primi a impiantare uve Pecorino, lo faccio dal 2003. Ho creduto negli ecotipi locali e ho fatto quest’investimento, che ha dato ottimi risultati». Un altro salto di qualità è quello che ha portato l’azienda a trasformare in proprio le olive, che prima venivano vendute come materia prima, per produrre direttamente l’olio extravergine che oggi imbottiglia: «Abbiamo reinvestito parte degli utili nel processo di imbottigliamento, mentre la molitura viene fatta da terzi. Questa scelta, però, ha consentito una crescita in termini di fatturato, che da qualche anno si mantiene stabile e si aggira intorno ai duecentomila euro annui». Sichetti, oltre che titolare dell’omonima azienda, è anche presidente provinciale della Cia, ruolo che ricopre dal 2010 e nel quale è stato riconfermato per i prossimi tre anni. «Secondo
le linee dettate dai vertici nazionali, la Cia sta cercando di rendere gli imprenditori agricoli più partecipi della vita associativa conferendo loro incarichi di responsabilità, anche in quelle posizioni che prima erano ricoperte da funzionari amministrativi. Una scelta forte che condivido in pieno, e che pone l’agricoltore al centro della vita associativa. Si tratta di una vera investitura, non di una riforma di facciata, che si concluderà a fine febbraio con il congresso nazionale nel quale anche il ruolo presidenziale verrà affidato a un rappresentante della categoria». Aderire al Polo Agire, per Sichetti, è stata una decisione motivata «dalle opportunità di crescita che il sistema consortile offre, in merito all’innovazione di filiera e di prodotto. Va detto che, finora, le iniziative del Polo si sono concentrate sul fronte dell’internazionalizzazione, piuttosto che su quello dei mercati locali. Ma sono sicuro che presto le politiche del Polo prenderanno in considerazione anche esigenze più attinenti con le problematiche delle piccole imprese, che ne costituiscono la maggioranza societaria».
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LE AZIENDE DEL POLO AGIRE • Agriverde srl • Ali d’Oro Srl • Carlo e Gianfranco Iubatti & C Sas • Delverde Industrie Alimentari SpA • F.lli De Cecco di Filippo SpA • Gelco srl • Industrie Riunite Confetti William Di Carlo srl • Luigi D’Amico Parrozzo sas • Oleificio Matalucci Ortenzia • Prodotti Alimentari Fioravanti & C srl • Relais del Vino Agriverde di Fania Basciani • Società Agricola Anfra • Confindustria Teramo • Testingpoint 10 srl • Università di Teramo • Vision Device srl • Cacao srl • Frantoio Montecchia di G. Montecchia & C • Reginella d’Abruzzo srl • C.N.A. - Confederazione Naz.le Artigianato • Astra srl • Azienda Agricola Giacomo Santoleri • Galeno Engineering • S.Ole.M A. snc • Conf. Cooperative Abruzzo • Nepa Florindo Packaging srl • Torrefazione Adriatica Spa • Abruzzo Vini srl • AMPP Soc. Coop. Agricola • API Pescara - Chieti • Associazione Prod. Zootecnici d’Abruzzo scrl • Associazione Regionale Terranostra Abruzzo • Az. Agr. “La Sorgente di Remartello” di Carota Luigi • Az. Agr. Battaglia Roberto • Az. Agr. “Chiusa Grande” di D’Eusanio Franco • Az. Agr. Di Francesco Mirko • Az. Agr. Di Giorgio Antonio • Masciarelli Tenute Agricole s.r.l. • Az. Agr. Meepanya La Ongdao • Az. Agr. Il Bosco degli Ulivi di V. Pracilio • Az. Agr. Sichetti Nicola Antonio
• Az. Agr. Sissa Catuscia • Az. Vinicola F.lli De Luca Srl • Bellizzi 1906 Srl • Casal Thaulero • CIA Abruzzo - Conf.ne Italiana Agricoltori • CIPAT Abruzzo • CITRA VINI - Cons. Coop. Riunite d’Abruzzo • CO.T.IR. Srl - Consorzio Divulgazione Sperimentale Tecniche Irrigue • CO.VAL.PA. - Abruzzo Soc. Coop. Agricola • COLDIRETTI Abruzzo - Federazione Regionale • C.A.D.A.M. - Consorzio Agrario d’Abruzzo e Molise Soc. Coop. A.r.l. • Consorzio DEP • (Distretto Economico Produttivo) Abruzzo • Consorzio Patto Territoriale della Marsica • CRAB - Consorzio Ricerche Applicate alla Biotecnologia • Eurosviluppo SpA • GAL Terre Aquilane Srl • Hotel Villa Elena di Buonasorte Maria • Impresabruzzo Srl • Ist. Zooprofilattico Sper.le Abruzzo e Molise “G. Caporale” • L.G. International Srl • Metron Srl • Outsourcing Group srl • Partner Srl • Rustichella d’Abruzzo SpA • Siros - Sistemi Sas di R. Di Gianfilippo & C. • Tenuta Strappelli di Strappelli Guido • Soc. Agricola Franco Pasetti Soc. Semplice • Soc. Agr. Fattoria Nora S.S. • Oleificio “La selva d’Abruzzo” snc • Gesco Consorzio Coop. Soc. Coop. Agricola • D&D Corporation srl • Università degli Studi dell’Aquila • Novatec Srl • Az. Agricola Angelucci Srl • Gexma Srl • Industrie Rolli Alimentari SpA • Pescaradolc Srl
AGIRE • Polo di Innovazione Agroalimentare d'Abruzzo
• Consorzio di Tutela Vini Colline Teramane • Terre dei Peligni Soc. Cons. Coop. a r.l. • MoDiv s.n.c. • LeVirtù d’Abruzzo Srl • Ico srl Industria cartone ondulato • F.lli Candelori s.n.c. • EDF srl • AZIEND’UP srl • EatArte srl • SAF ALLESTIMENTI srl • Associazione Italiana Sommeliers ABRUZZO • Società Agricola Colle d’oro • Victoria sas • ISTEMA Group srl • Associazione Regionale Allevatori d’Abruzzo • Azienda Marramiero srl • FIESA Regionale d’Abruzzo • MATER FOOD srl • Innova Solar Energy srl • Made in Bio srl • Straccia Packaging srl • Cykel Software di Giammaria de Paulis • Peltuinum Antica Azienda Agricola • BDA di Luca Forcella • Università “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara • Glocal Foods srl • Spinosi Marketing Strategies srl • Pastificio Di Lullo Davide & C. s.a.s. • Camera di Commercio di Teramo • Abruzzo Consulting per l’Export srl • Aprol Abruzzo Soc. Coop. Agr. • San Tommaso Specialità Alimentari • Spiaggia d’Argento srl • Punto Energia srl • Pasticceria Mariella • FADISA FOOD (Abruzzè) • Soc. Agr. F.lli Spinosa ss • Soc. Agr. Di Mercurio Costantino e Dante • Coop. Agricola Masserie del Parco • Ambra sas di De Ovidiis Rita & C. • It’sitaly srl • Azur srls
P.O. FESR Abruzzo 2007-2013. Attività I.1.2. Approvato con D.D. n. DI9/55 del 08/08/2011