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“Intanto la presenza di Leonardo ( 1452- 1519 ) non sarebbe un caso isolato, nel periodo che va dalla seconda metà del Quattrocento fino agli anni venti del Cinquecento, la città dell’Aquila fu meta dei massimi artisti del Rinascimento italiano “, ci dice Paolucci facendo riferimento ad un manoscritto del 1589, L’ istoria sacra delle cose più notabili della città dell’Aquila, di Giovan Giuseppe Alfieri, chierico di una nobile famiglia aquilana del XVI secolo, che illustra le bellezze architettoniche e la ricchezza di opere d’arte di alcune chiese aquilane. “ Le pitture et opere di scultura degne di grandissima meraviglia uscite dalle mani dei più famosi maestri che habbi hauto L’Italia”, scrive Alfieri che poi si sofferma sulla chiesa di Santa Maria del Soccorso richiamando l’attenzione sulla statua lignea di San Sebastiano di Silvestro Aquilano (1450-1504), e sulla rappresentazione della “… natività di Nostro Signore dipinta in un tondo da Leonardo da Vinci famosissimo pittore”. Un’altra importante opera Alfieri la descrive all’interno della chiesa di San Silvestro: “…in questo luogo si vede La Visitazione di Santa Elisabetta in un quadro dipinto da Raffael di Urbino con quella perfezione della pittura che egli ha mostrato sempre in ciascun’altra ...”. Una traccia interessante è anche il rapporto fra Leonardo e Silvestro Aquilano sul quale i critici d’arte hanno poco indagato. Carlo Pedretti, noto storico delle vicende leonardesche, in un suo elzeviro sul Corriere della Sera dal titolo Il mistero del bimbo dagli occhi di vecchio, ha messo in luce il connubio tra l’arte fiorentina e quella aquilana quattrocentesca, menzionando proprio lo scultore Silve16

stro Aquilano in riferimento ad un busto in terracotta di un Cristo fanciullo attribuito a Leonardo: “In questo caso sarà opportuno valutare anche il ruolo dell’ancora misterioso Silvestro Aquilano, lo scultore abruzzese presente in Toscana e perfino in contatto col Verrocchio, maestro di Leonardo, e che ritornato nelle sue terre, avrebbe diffuso immagini sacre dove è chiara l’eco di un modo nuovo di rappresentare la divinità, quella appunto che Leonardo, a Firenze prima e poi a Milano, avrebbe espresso attraverso l’umanità dei suoi personaggi” Una serie di indizi,dunque, confermerebbe la tesi della presenza e dell’influenza di grandi protagonisti dell’arte rinascimentale nell’aquilano. Ma l’attenzione sulla possibile attribuzione al genio di Vinci di una serie di disegni riguardanti scorci di paesaggio montano nei dintorni dell’Aquila,si accende dopo la lettura, proprio sulla rivista Vario, di un articolo del professor Franceschilli dal titolo Quando Leonardo disegnò il Gran Sasso. Il testo era corredato anche da un disegno leonardesco di montagne che Franceschilli aveva visto presso la Royal Library of Windsor a Londra ritenendo di riconoscere in quell’immagine il profilo della grande montagna abruzzese. Inoltre lo studioso pescarese, spulciando fra i manoscritti di Leonardo, era venuto a conoscenza di un viaggio fatto dall’artista in Abruzzo in compagnia di un certo Paulo Trivultio che “... tene un fondaco per a vennere le pezze de la lana che fa arrivare a Milano a a li Abruzzi a a lo paese che se chiama Solmona ”. E ancora Leonardo annota di aver eseguito su richiesta del Trivultio piccoli dipinti “...sopra a le maioliche che se fa fabbricare a Castelli de li Abruzzi dove se


Nelle immagini: i disegni di Leonardo e le foto prese dallo stesso luogo; sotto, la Gioconda con i desegni del paesaggio di fondo e la foto della roccia disegnata; a lato, Roberto Paolucci sul Gran Sasso

fabbricano le maioliche più belle de lo munno”. A questo punto Roberto Paolucci comincia le sue ricerche per accertare in concreto in quale punto del territorio Leonardo si fosse recato per realizzare quei disegni. Fotografa sistematicamente tutti i paesaggi che possano mostrare somiglianze con le opere leonardesche e pian piano ottiene i primi risultati. “Avendo intuito che si trattava del Gran Sasso visto dal versante aquilano, mi sono spostato in vari luoghi fino a quando ho potuto notare un certo allineamento di punti precisi rispetto ai quali si realizzava una coincidenza fra il disegno del poliedrico artista e il paesaggio reale delle vette montane che avevo di fronte. Proseguendo le mie verifiche ho individuato una ulteriore coincidenza con un altro paesaggio del Gran Sasso che, secondo me, rappresenta Corno Grande visto dalla piana di Campo Imperatore. Visionando, poi, altri schizzi, che raffigurano scorci di zone rocciose, ritengo di aver scoperto il luogo dove Leonardo si è posto per realizzare l’immagine presa in esame dal professor Franceschilli. Si tratta del paesino di Bagno, a circa sette chilometri dalla città dell’Aquila, situato sul lato opposto della conca aquilana rispetto al Gran Sasso. Un canalone di montagna, denominato Madonna delle Canale, con i lati frastagliati di rocce che si susseguono in un paesaggio incontaminato e straordinario”. Insomma tante coincidenze tra rappresentazione e realtà, tante conferme sorprendenti come quella di un sistema roccioso che coincide con il paesaggio che fa da sfondo alla celebratissima Gioconda. Un’altra traccia interessante, circa le reciproche influenze nell’ambito dell’arte rinascimentale, ci porta in una

diversa zona dell’aquilano dove si trova un complesso di rocce che il pittore aquilano Saturnino Gatti (1463 - 1518) ha riprodotto negli affreschi realizzati nel 1490 all’interno della chiesa di San Panfilo a Tornimparte. In questo caso la somiglianza riguarda alcuni disegni giovanili di Leonardo. Certo fino ad oggi non esistono né documenti inconfutabili né lavori critici di riconosciuta autorevolezza che possano puntellare con certezza le appassionate ricerche di Roberto Paolucci. Esiste però un indizio storico importante avvalorato da Raffaele Colapietra, il massimo studioso delle vicende aquilane e non solo, secondo il quale il Regno di Napoli nei primi anni del Cinquecento rientrava nei piani di conquista di Cesare Borgia. E proprio in quel periodo Leonardo da Vinci era al seguito del Borgia che potrebbe averlo inviato in Abruzzo per studiare la situazione territoriale del futuro campo di battaglia. Un percorso storiografico tutto da esplorare ma anche in questo caso Paolucci può spezzare una lancia in suo favore. “ Mi hanno sempre stupito alcuni rilievi topografici del monte che sovrasta il canalone roccioso sul lato sinistro della Madonna delle Canale, di cui ho già parlato. In questi disegni, facenti parte del Codice Madrid, Leonardo ha tracciato una strada che taglia orizzontalmente i valloni circostanti, fino a raggiungere quasi la sommità dell massiccio dove ha raffigurato un castello. Una struttura fortificata genialmente incastonata in una zona impervia e dal paesaggio mozzafiato. Dalla fortezza che si sarebbe dovuta realizzare in quel punto della montagna, infatti, era possibile controllare visivamente un vasto territorio, compreso quello della città dell’Aquila” 17


NATURA

PRIMA DELL’ORSO FU L’ELEFANTE In principio fu il Mammut. Elefanti, ippopotami, rinoceronti: questi erano i grandi mammiferi che popolavano nel Pleistocene il nostro territorio come testimoniano i resti fossili ritrovati e restaurati

di Peppe La Spada

E

’ una storia che viene da lontano quella dell’Abruzzo e degli elefanti. Esattamente dall’800. Le prime segnalazioni sono in provincia dell’Aquila e si devono a Giambattista Brocchi nel 1818 e a T. Bonanni nel 1872 che riportano rinvenimenti di resti fossili di elefante a Pagliare di Sassa, nelle vicinanze della chiesa di San Pietro. L’ultima difesa (zanna) di elefante antico “Palaeoloxodon antiquus” è esposta al pubblico dal 19 luglio a Città Sant’Angelo presso il Museo Luigi Chiavetta, a 40 anni dal suo ritrovamento, avvenuto in Contrada Fonte di Moro durante i lavori per la costruzione dell’autostrada Adriatica e dei successivi lavori condotti dai proprietari del terreno per l’impianto di un vigneto. E’ il Mammuthus meridionalis “vestinus” conservato a L’Aquila, ed esposto dal 1960 nel bastione est del Forte Spagnolo, l’esemplare più conosciuto e integro nella sua struttura scheletrica. Rinvenuto nel 1954 in località Madonna della strada, nel comune di Scoppito a circa 15 chilometri dall’Aquila. Datato a circa un milione e trecentomila anni fa (Pleistocene inferiore) rappresenta uno fra gli esemplari più completi rinvenuti in Europa; supera i 4 metri di altezza al garrese, era un maschio di 50-55 anni, pesava 10 tonnellate e lungo 7 metri dalla punta della difesa all’estremità della coda. Nel 2013 l’allora Direzione Regionale per i beni culturali dell’Abruzzo ha avviato un complesso intervento di restauro del Mammuthus, grazie al contributo straordinario di tutto il personale della Guardia di Finanza, che autotassandosi ha voluto lasciare un segno tangibile alla città dell’Aquila dopo il sisma del 2009. Appena conclusa la fase di risanamento e allestimento

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della sala del Forte spagnolo, il mammut sarà di nuovo visitabile; nel frattempo è possibile consultare il sito http://www.mammuthusmuseo.com/ e avere le informazioni complete dal ritrovamento fino al recente restauro. La catalogazione sistematica dei resti di elefanti fossili inizia nel 1940 e oggi se ne contano circa 30, sparsi tra le provincie di Chieti, L’Aquila e Pescara risalenti tra 1.300.000 e 100.000 anni fa, ovvero tra la fine del Pleistocene inferiore e l’inizio del Pleistocene superiore. All’epoca più antica appartengono sia il Mammuthus conservato a L’Aquila, così come l’esemplare rinvenuto a Giuliano Teatino nel 1973, del quale si conservano la difesa e la mandibola, esposto al Museo Geopaleontologico Alto Aventino di Palena. I rinvenimenti dei giacimenti di elefanti fossili ci fanno immaginare un territorio molto diverso da come oggi lo conosciamo. Durante il Quaternario, tra 2.600.000 e 75.000 anni fa, l’Abruzzo era popolato da grandi mammiferi come i rinoceronti, gli ippopotami e gli elefanti. I loro resti fossili sono stati ritrovati nelle conche interne, occupate da estesi ambienti lacustri, lungo la fascia collinare, attraversata, come oggi, da ampie vallate fluviali e lungo la costa, dove erano presenti vaste paludi. I proboscidati hanno avuto origine nel Nord Africa e in varie fasi migratorie hanno raggiunto l’Asia, l’Europa, e le Americhe, queste ultime attraverso la Beringia, oggi stretto di Bering. Da alcuni anni esiste presso la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio il Servizio Geologico e Paleontologico che ha studiato, catalogato e restaurato i resti di elefanti fossili rinvenuti in varie


località dell’Abruzzo, come nel caso della difesa esposta a Città Sant’Angelo che ha richiesto un lungo e delicato intervento di restauro. Le analisi dello stato di conservazione avevano rilevato una profonda frattura longitudinale e lo sfaldamento delle lamine concentriche di avorio fossile. Le operazioni di restauro si sono svolte in varie fasi: consolidamento strutturale profondo mediante infiltrazioni di collante fluido effettuate in più cicli; pulitura della superficie esterna con bisturi, specilli e impacchi di acetone; consolidamento e incollaggio delle lamine concentriche distaccate; ricostruzione di alcune parti mancanti; immersione in una soluzione consolidante; stuccatura e relativo trattamento cromatico delle parti ricostruite. Quello abitato dagli elefanti e’ un Abruzzo che difficilmente riusciamo a immaginare, se non attraverso la paleobotanica, che con le analisi del polline fossile, come ad esempio quelle eseguite nelle argille della cava di Madonna della Strada, dove è stato rinvenuto il mammut dell’Aquila, che evidenziano come intorno a 1.300.000 – 1.200.000 anni fa il paesaggio vegetale del bacino aquilano era caratterizzato da rigogliose foreste con varie specie di alberi che ora non vivono più in Italia. La scomparsa di queste specie si deve al ripetersi di cicli glaciali e interglaciali nel corso del Quaternario, ovverosia a climi complessivamente più caldi e umidi, o più freddi e aridi dell’attuale. Non è escluso che il futuro ci riservi nuovi rinvenimenti di elefanti in Abruzzo, semmai di specie diverse, come il mammut lanoso “Mammuthus primigenius” così da arricchire le informazioni scientifiche su un periodo così antico del territorio regionale. 19


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