Vario 78 Speciale Pescara Calcio

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ECI AL SP

marzo/aprile 2012 n.77 • € 4.50

nA a E m I l l ER u S p il lla de

Sped. abb. postale Art.1 comma 1353/03 aut. n°12/87 25/11/87 Pescara CMP

A tutti!!!

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27/05/2012 ... grazie

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maggio - giugno 2012

La favola Pescara LA SQUADRA DI CALCIO DALLE ORIGINI AL RITORNO IN SERIE A


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maggio - giugno 2012

La favola Pescara LA SQUADRA DI CALCIO DALLE ORIGINI AL RITORNO IN SERIE A


Un anno da favola

Il Pescara festeggia al Marassi di Genova la vittoria contro la Sampdoria e la promozione in serie A.

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ì, è stato proprio bello andare allo stadio a vedere il Pescara. Azzeccatissimo il tormentone che ha accompagnato le ultime settimane del trionfo biancoazzurro, il ritorno in serie A dopo venti anni tra gol a raffica, vittorie, partite spettacolari e tante, tantissime emozioni. Per un’intera generazione è stato come scoprire un calcio che sembrava sparito, definitivamente perso tra tattiche esasperate, astruse strategie di presunti strateghi, scandali e valanghe di euro a gonfiare un pallone ormai preso solo a calci dai suoi stessi protagonisti. Sembrava un viaggio senza ritorno in un tunnel senza vie di uscita, Zeman e i suoi fantastici ragazzi lo hanno trasformato in qualcosa di meraviglioso che ha tirato anche fuori il meglio di una città fatta per sognare più che piangersi addosso e incupirsi tra disagi, problemi e tante troppe incertezze di un’intera società che fa sempre più fatica a ritrovare valori positivi e speranze per un futuro migliore. Un’isola felice, appunto, una stagione intera vissuta, almeno sul campo da gioco, col sorriso sulle labbra, la testa senza assilli, la gioia nel cuore. L’apoteosi è arrivata col trionfo finale. In quindicimila ad aspettare a notte fonda all’Adriatico i biancoazzurri dopo il successo di Marassi con la Sampdoria che valeva la serie A, tutta la città a far festa dopo l’ultimo atto, quello con la Nocerina, che aveva consegnato alla squadra di Zeman anche lo strameritato primo posto in

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classifica. Un sogno che in estate sembrava bello e impossibile e che invece si è trasformato in una splendida realtà. Serie A, sì, ma anche uno spot per il calcio. Il Pescara di Zeman ha dato spettacolo dall’esordio vincente di Verona fino all’ultimo acuto, ha raccolto consensi e applausi anche a prescindere dal risultato, non ha mai deluso per quello che proponeva in campo, quasi sempre ha entusiasmato, non solo gli addetti ai lavori, per la mentalità con la quale si è accostata ad ogni impegno. Una scoperta per i più giovani, quasi una liberazione per chi, un po’ più avanti negli anni, da troppo tempo viveva nel ricordo di stagioni altrettanto felici e ricche di esaltanti trionfi e di indimenticabili emozioni. La prima B con Tom Rosati, la prima A con Giancarlo Cadè, gli spareggi di Bologna con l’esodo in massa di un’intera regione, gli anni eccezionali di Gianni Galeone, da Bobo Rigotto a Insigne, Immobile e Verratti passando per Nobili e Zucchini, Orazi e Repetto, Rebonato e Pagano, Gasperini e Bosco, Junior e Sliskovic, Allegri e Massara. Una bella storia con un lieto fine arrivato dopo anni da incubo e proprio per questo ancor più esaltante. Ora l’obbligo di andare avanti senza Zeman, che resta l’artefice di questa inattesa rinascita, e con l’obiettivo di non buttar via un vero e proprio patrimonio fatto di gioia e felicità. Il Pescara è tornato quello di un tempo, facciamo il possibile per tenercelo stretto. Antonio De Leonardis

Speciale Pescara in serie A stagione 2011/12

Direttore Responsabile Claudio Carella Redazione Fabrizio Gentile (testi), Enzo Alimonti (grafica), Alessio Di Brigida (foto) Testi Francesco Di Vincenzo, Fabrizio Gentile, Federica Rogato, Claudio Carella Foto Claudio Carella (ritratti), Massimo Mucciante, Max Schiazza, Giampiero Lattanzio, Michele Morroccoli. Foto storiche dall’archivo di Luciano La Porta

Stampa AGP - Arti Grafiche Picene - Via della Bonifica, 26 Maltignano (AP) Claudio Carella Editore Aut. Trib. di Pescara n.12/87 del 25/11/87 Copia singola Euro 4,50 - Rivista associata all’Unione Stampa Periodica Italiana Redazione: Via Puccini, 85/2 Pescara Tel. 08527132 - redazione@vario.it - www.vario.it


Promossi i

I giocatori: Antonio Bocchetti, Damiano Zanon, Mario Perrotta, Simone Romagnoli, Gianluca Caprari, Danilo Soddimo, Marco Verratti, Antonio Balzano, Ciro Immobile, Lorenzo Insigne, Loris Bac Marco Martin, Emmanuel Cascione, Marco Capuano. La societĂ : Gabriele Bankowski, Fabrizio Iannascoli, Alessandro Acciavatti, Piero Di Luzio, Gianni Pagliarone, Amerigo Pellegrini, Gabriele C

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i in serie A

igne, Loris Bacchetti, Riccardo Ragni, Luca Anania, Francesco Cattenari, Andrea Gessa, Marco Sansovini, Moussa Kone, Matti Lund Nielsen, Riccardo Brosco, Riccardo Maniero, Romulo Togni grini, Gabriele Ciarcelluti, Danilo Iannascoli, Daniele Sebastiani, Antonio Martino, Nico Di Tieri, Giacomo Ortolano, Pio Gizzi, Francesco Pirocchi, Manfredo Acciavatti, Fabrizio Acciavatti.

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Una cittĂ in fe

L’incontenibile entusiasmo al termine dell’incontro casalingo con la Nocerina che consegna al Pescara la vetta della classifica

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esta

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L’entusiasmo dilaga in tutti i quartieri della città. Nella foto sotto, il sindaco di Pescara premia la squadra

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na festa in puro stile carioca durata per quasi dieci giorni. Il carosello di bandiere e maschere biancazzurre iniziato dopo la vittoria di Genova ha stregato la città, coinvolgendo chiunque in un tripudio coronato, una settimana dopo, dalla conquista della vetta della classifica. E la grande celebrazione della squadra, portata in trionfo per le strade della città sul pullman scoperto, è stata una festa non solo per Pescara ma per tutta la regione. Non a caso la squadra ha ricevuto gli omaggi delle istituzioni, dal presidente della regione Gianni Chiodi al presidente della Provincia Guerino Testa, per finire col sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia. Ma, coppe e trofei a parte, il premio più bello è senz’altro il grande affetto tributato a questa straordinaria compagine dal pubblico biancazzurro. «Tra la città e la sua squadra di calcio c’è un rapporto virtuosamente morboso, c’è una simbiosi tra calcio e cittadinanza che non

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si estrinseca solo nella partecipazione alle partite. Nel dna dei pescaresi c’è il calcio e c’è la squadra della città. I successi sportivi, poi, accrescono ulteriormente questo rapporto». Parola di Luigi Albore Mascia, sindaco tifoso che ribadisce la vicinanza dell’amministrazione «alla squadra e alla società, sostenute nei momenti più drammatici come nel trionfo della vittoria». La storia dei successi del Pescara è legata a personaggi che hanno saputo cogliere e interpretare lo spirito cittadino. «Di Galeone ho ben presenti le sue caratteristiche, che ne facevano senz’altro un tipo, per certi versi, molto dannunziano. Zeman è stato un grande comunicatore, eloquente col volto e sobrio con le parole. E Pescara, città di mare, aperta, è sempre stata disponibile ad accogliere nuove idee». Un feeling che è ricambiato: «Zeman sul palcoscenico nazionale di Fabio Fazio ha portato Pescara in palmo di mano, mettendo questa sua esperienza al primo


posto». Ora la squadra è sotto i riflettori. «Per una città come Pescara, ma anche per l’Abruzzo, è un fatto di grande importanza: bisognerà cogliere l’occasione di visibilità fornita dal calcio, un’opportunità per lo sviluppo e per il rilancio di tutti i settori, cosa di cui l’Abruzzo ha estrema necessità». Dare un calcio alla crisi, insomma. «Durante i festeggiamenti abbiamo visto come ci sia stata una larga partecipazione, si è riusciti a unire un’intera comunità sotto la bandiera biancazzurra. E se qualche comportamento è apparso a volte esagerato, io credo che sia perché questo successo è stato il

mezzo per “prendere a calci” tutti i momenti di sconforto, le difficoltà del quotidiano che tanti vivono. E ritrovarsi, per un giorno, tutti insieme sotto un’unica bandiera è un’emozione entusiasmante. Tant’è che, dall’alto del pullman che portava la squadra in giro per la città, ho avuto la sensazione che la promozione non fosse solo una conquista del Pescara e di Pescara, ma anche di tutti i 45 Comuni della provincia e forse anche di tutta la regione. Un’ulteriore dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, di come lo sport sia in grado di scavalcare qualunque confine e unire le persone».

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Il presidente Daniele Sebastiani

Nel segno della A Cominciano con la “a” le parole chiave del successo biancazzurro: amicizia e affiatamento.

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vent’anni di distanza torna in scena a Pescara il bel calcio. Era il 1992 quando Galeone riportò il Pescara in serie A, per la quarta volta. Oggi il palcoscenico è lo stesso –lo stadio Adriatico che nel frattempo è stato intitolato a Giovanni Cornacchia– ma il regista è il boemo Zeman, gli attori si chiamano Verratti, Insigne, Sansovini, Immobile, Capuano e gli altri splendidi ragazzi. Il pubblico affolla gli spalti e si gode lo spettacolo e i successi della squadra del cuore. Il merito di questa magnifica stagione è soprattutto dell’altra squadra, quella che gioca dietro le quinte: il gruppo dirigente, composto da una compagine di pescaresi, appassionati di calcio e mossi dall’amore per la loro città. A guidare la società –un gruppo dalle caratteristiche innovative che ne fanno un modello osservato con attenzione dall’ambiente sportivo e che si ispira, con le dovute proporzioni, al Barcellona– è Daniele Sebastiani, professionista e imprenditore con la passione per lo sport.«Il calcio è stato il mio primo amore, ho giocato da bambino fino ai 15 anni circa, poi per un infortunio ho lasciato il pallone e sono salito su una bicicletta, la mia seconda passione». Una passione, quella per il ciclismo, che lo accomuna ad un altro storico presidente biancazzurro, Scibilia, anche lui passato dalle due ruote con la Gis all’Adriatico. Stesso percorso quello di Sebastiani, che prima di diventare leader della Delfino Pescara è stato fondatore del primo team professionistico abruzzese di ciclismo dell’epoca post-Gis, la Cantina Tollo-Cobo insieme al cognato Stefano Giuliani e all’amico Palmiro Masciarelli, grandissimi ex gregari di Francesco Moser, ma a parte questo ben poco accomuna i nuovi vertici a quelli del passato. «Quando penso ai nomi “storici” della dirigenza pescarese mi viene subito in mente quello di Vincenzo Marinelli che come per me oggi, all’epoca riuscì a mettere insieme imprenditori pescaresi animati dalla nostra stessa voglia e che fecero vivere momenti importanti a questa società. Proprio da persone come Marinelli devo dire di aver imparato moltissimo soprattutto dal punto di vista dei rapporti con i ragazzi e lo spogliatoio. Ma devo

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ugualmente ringraziare Gabriele Gravina che in questi anni mi ha sempre dato consigli importanti: non è sicuramente un caso se questi due personaggi ricoprono ruoli importanti a livello nazionale in questo mondo». La storia calcistica di Sebastiani nasce durante la gestione Paterna: «La società versava in cattive acque, cosi’ io, Peppe De Cecco e Antonio Oliveri facemmo diversi incontri senza purtroppo poter concludere nulla; in seguito alla dichiarazione di fallimento mettemmo insieme un gruppo di amici che la rilevò, il resto è storia nota. Qualche pezzo l’abbiamo perso per strada, ma la società è rimasta ben solida ed intorno al gruppo storico –Sebastiani, Acciavatti, Bankowski, Di Tieri e Pirocchi– sono arrivati altri imprenditori quali Iannascoli, Martino, Pagliarone e D’Antonio, Gizzi, D’Onofrio, Ortolano, Fezia, Ciarcelluti, Santilli, Pellegrini e Vetta che molto hanno dato affinché questo progetto non avesse problemi a decollare. Ci tengo moltissimo a ringraziare la mia squadra di dirigenti, senza di loro il pescara non avrebbe avuto futuro». Un progetto che dopo quattro anni comincia a dare i suoi frutti, in campo e fuori; merito di un lavoro di squadra e di un mister eccezionale: «Sono molto soddisfatto di Zeman, prima di tutto per il rapporto umano che abbiamo, e soprattutto dal punto di vista tecnico perchè lui è un grandissimo insegnante di calcio, inoltre ha saputo ricreare un entusiasmo che a Pescara mancava dai tempi di Galeone. Zeman sta scrivendo la moderna storia del calcio a Pescara». Sebastiani è diplomato e sta per laurerasi in Scienze manageriali. «Non ho mai smesso di studiare, ma per motivi di lavoro ho rallentato; ritengo giusto continuare per una mia soddisfazione personale. Sono sposato, ho una splendida moglie e due meravigliose figlie, di cui una tifosissima del Pescara: è stata proprio Maria Cristina a spingermi in questa avventura, ma devo dire che anche Michela e mia moglie sono diventate tifose. Conduco una vita tranquilla e regolare, ritengo di avere tanti amici e con molti di questi condivido questa passione. Coltivo un sogno che credo si possa avverare: quello di porta-


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re in società altri tre miei amici che definisco fratelli uno dei quali maggiore, Marco Sciarra, Gianni Paglione e Vincenzo Marinelli». Successi che autorizzano a sognare: quali sono i desideri proibiti? «Leo Messi (ride, ndr). Scherzo, abbiamo tanti bravissimi giocatori e abbiamo messo su con il mister e con il DS Delli Carri una squadra di grande qualità nella quale il gruppo è superiore all’immagine dei singoli, è il risultato di un lavoro collettivo. Ora l’obiettivo è prenderci qualche soddisfazione in serie A; per riuscirci bisogna consolidare la società senza trascurare la possibilità di nuovi ingressi importanti che aiutino questo gruppo dirigente meraviglioso

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a fare ancora meglio. Vorrei, dopo aver ricordato e ringraziato il gruppo di lavoro, rivolgere un caloroso ringraziamento alle istituzioni con il sindaco Albore Mascia a capo per averci sostenuto in questi anni nei limiti delle possibilità in questo grande lavoro, con la certezza che non ci faranno mancare per il futuro il loro apporto; inoltre ringrazio il Prefetto ed il Questore di Pescara perché nei nostri confronti sono stati semplicemente perfetti». I risultati sportivi raggiunti sono assolutamente eccellenti, dalla prima miracolosa salvezza in Lega Pro, alla splendida vittoria del successivo campionato sotto la guida di Eusebio


Di Francesco, lo splendido campionato di B sempre con Eusebio per arrivare a quello stratosferico con il maestro Zeman. «Penso proprio che questa classe dirigente abbia poco da rimproverarsi, ma penso ugualmente che ci sia sempre spazio per fare meglio, questo è quello che ci sentiamo di promettere alla gente, e soprattutto ai nostri meravigliosi tifosi. Ci proveremo. Per chiudere vorrei rivolgere un pensiero particolare a tutti coloro che non hanno potuto gioire con noi, ma che dall’alto ci hanno spinto verso il raggiungimento di questo meraviglioso traguardo: mi riferisco chiaramente a Franco Mancini, a Domenico Rigante e a tutti quei ragazzi

che ci hanno lasciato nel corso di questa splendida cavalcata verso la A. Vorrei ricordare due grandi tifosi del nostro Pescara anche loro scomparsi nel corso di questo anno e ai quali personalmente ero legato da amicizia e stima, Davide Fedele e Lorenzo Bonanni». • Nella foto in alto Daniele Sebastiani con la squadra dei soci. Da sinistra: Fabrizio Acciavatti, Manfredo Acciavatti, Fabrizio Iannascoli, Francesco Pirocchi, Amerigo Pellegrini, Danilo Iannascoli, Gianni Pagliarone, Antonio Martino, Gabriele Ciarcelluti, Piero Di Luzio, Nico Di Tieri, Pio Gizzi, Gabriele Bankowski, Giacomo Ortolano, Alessandro Acciavatti

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Il direttore sportivo Daniele Delli Carri

La forza dell’esperienza Ieri in campo come calciatore, oggi dietro le quinte, il futuro della squadra e della società nelle parole di uno degli artefici del successo biancazzurro

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ui la serie A la conosce bene. Ha militato nel Torino, nel Genoa, nel Piacenza, nel Siena e nella Fiorentina, e ha vissuto anche l’esperienza in maglia azzurra nella Nazionale U21 di Cesare Maldini. Il primo incontro da giocatore di Daniele Delli Carri, classe ’71, col Pescara, avviene nel 2005; diventa presto capitano della squadra e resta in biancazzurro fino al 2007, quando l’undici allenato da Ballardini (e poi da Ammazzalorso e De Rosa) retrocede in C1. «Ricordo bene quella stagione, fu un brutto momento per la società e per la squadra. E per me, che ero anche il capitano, non fu piacevole andarmene senza una possibilità di riscatto». Dopo l’addio al Pescara Daniele passa al Foggia e successivamente al Lanciano, per poi ritirarsi dall’agonismo e dedicarsi al settore giovanile. «Il primo anno ottenni l’incarico di Direttore sportivo della Renato Curi Angolana, fu un’esperienza fantastica. Ho avuto modo di capire la mentalità dei giocatori delle serie minori e di gettare le basi per il mio attuale incarico nel Pescara». Già, perché il momento del riscatto per Daniele Delli Carri è arrivato nel 2010, quando la nuova società appena costituita lo chiama come Direttore sportivo al fianco dell’allenatore Eusebio Di Francesco, cui Daniele è legato da lunga e profonda amicizia: «Con Eusebio siamo colleghi e amici dai tempi della Lucchese, dove entrambi abbiamo giocato all’inizio degli anni ‘90. Io, che sono di Foggia, quando tornavo a casa spesso mi fermavo a Pescara a trovarlo. Per me Pescara è un po’ una seconda casa». Il compito che gli viene affidato è decisamente importante: «Mi chiesero di raggiungere l’equilibrio finanziario e di rifondare la squadra. Un incarico nient’affatto facile, nel quale sono stato agevolato proprio grazie all’esperienza con la Renato Curi». E quando Di Francesco lascia il posto a Zeman, il boemo condivide il progetto in toto. «È stata una condivisione reciproca, io ho sposato Zeman e lui ha sposato il progetto. Molti pensano che sia stato lui a dettare le regole, ma la verità è che a Zeman è piaciuto il progetto già esistente. E così, insieme, abbiamo rifondato la squadra, recuperato l’equilibrio finanziario e raggiunto, in un solo anno, un obiettivo che ci eravamo prefissati di raggiungere in due». Al di là dei risultati ottenuti, nessun rimpianto? «Meglio un rimorso che un rimpianto… No, non ne ho. Certo, a gennaio mi sarebbe piaciuto prendere Paolinho dal Livorno,

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nell’ottica di preparare la squadra che si sarebbe giocata la promozione l’anno successivo; ma poi mi sono detto che l’acquisto sarebbe stato gravoso per la società, in un momento in cui tutto sommato le cose andavano per il verso giusto, e non ho voluto turbare gli equilibri. E il tempo mi ha dato ragione». Zeman ha detto che alla vittoria ci ha creduto fin da subito… «Ma no, all’inizio neanche lui credeva che ce l’avremmo fatta. E nemmeno io. Ma a un certo punto ho capito che avevamo fatto tutto troppo bene: si era creata una tale alchimia tra squadra, staff tecnico e società, che non potevamo pensare di ottenere meno di quanto abbiamo ottenuto. È stata una cosa irripetibile, io di squadre di calcio ne so abbastanza per poter usare questa parola». In base alla sua esperienza crede che il Pescara sia pronto per affrontare la nuova sfida della Serie A? «Da giocatore amavo le sfide, e continuo a trovarle stimolanti anche da dirigente. E il Pescara che conosco io è un gruppo che senz’altro può strutturarsi in modo da affrontarla. Ma bisogna cominciare oggi. Non abbiamo perso troppo tempo a crogiolarci sugli allori, il lavoro per preparare il campionato di serie A è iniziato subito dopo la vittoria di Genova, perché solo lavorando seriamente e nella giusta direzione la società può ambire a restare nel massimo campionato per molto tempo. Ma ci sono delle condizioni. La prima è puntare sui giovani, la seconda è che la società non perda la sua caratteristica principale, quella di essere un gruppo forte e coeso. Perché è vero che il merito della promozione è dei giocatori e dell’allenatore, ma per forza di cose questi elementi del progetto sono transitori; senza una società solida alle spalle non si può sperare di costruire nulla. E il mio compito, ora, è proprio di rifondare nuovamente la squadra partendo da quello che abbiamo costruito finora». Questo significa che l’organico che ha conquistato la promozione verrà smantellato? «Abbiamo 23 giocatori di cui tre (Immobile, Insigne e Kone) torneranno alle loro società di appartenenza; della rosa che resta vorrei mantenere undici giocatori, individuando i perni su cui costruire la squadra che potrà competere in serie A con tutte le altre, senza complessi d’inferiorità. E alla campagna acquisti stiamo già lavorando».


Qual è secondo lei la società di serie A che può essere paragonabile al Pescara? «Mi piacerebbe che fosse il Pescara il modello cui le altre possono ispirarsi. Questa società è un elemento completamente nuovo all’interno di un campionato in cui di solito si fa a gara a chi prende il nome più altisonante e si spendono fior di milioni. Credo

invece che la strada tracciata finora sia l’unica percorribile, e che possa essere un esempio per altre società; per quanto riguarda il campionato appena trascorso ci siamo riusciti, gli altri guardano a Pescara con ammirazione. E il risultato raggiunto è solo la ciliegina sulla torta».

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L’allenatore Zdenek Zeman

A segno al primo colpo È stato amore a prima vista tra il tecnico e la città. Un rapporto reciproco di stima e affetto che ha portato in dono una stagione indimenticabile

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l Pescara ha concluso il campionato in cima alla classifica, e Zeman conclude la sua stagione biancazzurra mettendo Pescara (la squadra, la società e l’intera città) in vetta alla sua personalissima top ten: «Non sono mai stato così bene, dentro e fuori dal campo. Pescara la conoscevo, ci ho giocato in passato, sempre da avversario. Ora, dopo un anno trascorso qui, mi piace di più, anche grazie al riconoscimento del lavoro svolto». Se dovesse descriverla con un’immagine? «Un porto di mare. Sono sempre attratto da posti come Palermo, Foggia, dove il mare è fortemente presente. A Pescara molti vengono per fuggire dal caos delle grandi metropoli, è un porto tranquillo. Io però sono un po’ schivo, e non l’ho vissuta tantissimo fuori dal campo; ma posso dire di aver incontrato sempre gente che mi ha fatto sentire bene, ho vissuto una stagione magnifica». Anche rispetto a Foggia? «Sì. Pescara è stata la mia stagione migliore, per me è al primo posto. A Foggia il primo anno si è sofferto, si costruiva per l’anno successivo. Qui, dove il percorso doveva essere simile, invece ce l’abbiamo fatta con un anno di anticipo, nessuno se lo aspettava. Pensavo che i ragazzi sarebbero cresciuti piano piano, invece mi hanno sorpreso tutti». Il momento più bello? «Il gol di Maniero all’ultima gara, che ci ha consegnato la vetta della classifica. Una ulteriore gioia in una stagione ricca di soddisfazioni». Il più brutto? «La morte di Franco Mancini. È una persona che ha lavorato per più di vent’anni con me anche alla Lazio, al Napoli, mi ha dato tante soddisfazioni anche da giocatore, eravamo sempre in contatto. Mi manca molto». Quando ha cominciato a sentire profumo di serie A? «Dall’inizio. Il mio problema semmai era di convincere la squadra a crederci, a superare qualche momento buio che arriva sempre. Invece i ragazzi hanno fatto cose eccezionali, hanno dimostrato voglia di fare anche nei momenti meno belli, e sono contento delle loro prestazioni, mi hanno dato tutti grandissime soddisfazioni, giovani e vecchi, chi ha giocato di più e chi ha giocato di meno».

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E la società? «Ci ha lasciato lavorare e ci ha sostenuto. È la condizione ideale per un allenatore. E questo tipo di società, composta di tante teste, ha sorpreso tutti, anche me, che a dire la verità ero scettico: hanno dimostrato che si può fare». Definisca il calcio “alla Zeman”. «È un calcio che diverte il pubblico e ottiene risultati, che significa la quadratura del cerchio nello sport. Per me uno stadio senza pubblico è come giocare senza pallone. Pubblico e squadra sono indivisibili, quello è il calcio. E lo sport è spettacolo, non credo a chi dice che le due cose devono essere distinte». Lei è stato l’allenatore che ha rinnovato l’entusiasmo tra i pescaresi e la loro squadra di calcio, vent’anni dopo Galeone. Come ci è riuscito? «Io faccio calcio per la gente, è chiaro che poi è il risultato che conta; noi per poter dare spettacolo lavoriamo duramente durante la settimana, e a me lavorare con questi ragazzi non ha mai dato problemi, hanno sempre fatto ciò che dovevano per garantire un grande spettacolo ogni settimana. E ci tengo a che la gente venga a vedere le partite, apprezzi il mio lavoro, quello dei ragazzi e della società». La squadra è pronta per la serie A? «Il nostro lavoro è stato costruire una squadra che avesse un futuro e che potesse competere per obiettivi ambiziosi. I risultati ci hanno dato subito ragione, segno che abbiamo fatto un buon lavoro che darà i suoi frutti anche nelle prossime stagioni, e anche con protagonisti diversi». Scommesse, doping: dove va il calcio oggi? e soprattutto ha un futuro? «Di questi problemi si parlava sempre al bar, e sono contento che oggi se ne interessino organi che possono aggiustare le cose. Oggi il calcio, specialmente in Italia, ha perso credibilità e deve riacquistarla». I miracoli nel calcio esistono? «No. È normale che il Pescara sia arrivato in cima, ha raccolto ciò che ha seminato, con grande entusiasmo e voglia di farcela».


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Vedo Bianco e Azzurro Il gioiello del Pescara ha piedi fenomenali, semplicità e talento. E negli occhi, il sogno della Nazionale

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gli ha consegnato le chiavi di una maturità calcistica e fisica, i lanli occhi grandi e azzurri. Trasparenti come il suo caratci millimetrici per Immobile e Insigne, la convocazione in under tere, grandi come il suo talento, azzurri come la maglia 20, la chiamata, a sorpresa, di Ferrara che l’ha voluto per le gare che ogni calciatore italiano sogna. Marco Verratti a novembre compirà venti anni, ma nonostante la giovane età, può di qualificazione agli europei in under 21 e poi, il doppio salto, direttamente a fianco delle grandi stelle del calcio del Bel Paese considerarsi uno dei “veterani” dei biancazzurri. con gli azzurri della nazionale maggiore. A 15 anni ha esordito tra i professionisti con la maglia del suo Quest’anno anche il primo club biancazzurro a lui dedicato, amato Pescara e da quel giorno, quel campo che per lui è stato sempre un prato dove correre e divertirsi, si è trasformato nel suo pagine intere di giornali nazionali e locali, interviste su tutte le principali testate nazionali, ma Verratti sembra non subire il lavoro. E, ci potete scommettere, continua a correre e a divertirsi. fascino delle luci della ribalta; chi lo conosce mette la mano sul Quando era piccolo dare i calci al pallone era la sua passione; a fuoco che è il Marco di sempre: «Sono un ragazzo semplice, che si quattro anni già scorrazzava nel campetto di Manoppello, il suo diverte con poco: mi piace stare con gli amici, con la mia fidanzapaese, e nonostante fosse il più piccolo del gruppo, già riusciva a ta, trascorrere del tempo con la mia famiglia. Mi piace la tranquilfar girare la testa ai suoi amichetti a suon di dribbling. lità. Ogni tanto ci penso che fino a qualche anno fa ero in curva a Lo hanno scoperto i talent scout del Pescara, quando, un giorno, tifare il Pescara e che invece, oggi, sono io a stare in campo. È una in una partitella di periferia, aveva reso la vita impossibile agli sensazione difficile da decifrare, forse perché quando scendo in avversari di turno. campo penso solo a giocare e non mi rendo conto di tutto quello La “leggenda” narra che arrivò a Pescara per qualche pallone e che c’è intorno. Poi quando finisce la partita e mi guardo intorno una manciata di biglietti di Pescara-Juventus regalati ai dirigenti e vedo lo Stadio pieno di persone felici per una nostra vittoria mi della squadra del paese. sento orgoglioso di far parte di questo gruppo, di giocare per la Considerato una grande promessa del calcio italiano, Marco maglia della mia città e per i nostri magnifici tifosi». Verratti è, con gli anni, divenuto una splendida certezza. Molti dicono che il merito della sua esplosione sono stati gli inseIn camera il poster di Del Piero, sulla schiena anche lui il numero 10, ma dagli addetti ai lavori e dagli appassionati di calcio è consi- gnamenti di Zeman anche se lo stesso mister ceco minimizza con un «deve dire grazie a mamma e papà che lo hanno fatto con derato l’erede di Pirlo. «Questo accostamento mi lusinga –spiega quei piedi». Verratti però non è completamente d’accordo: «RinMarco– ma di Pirlo ce n’è solo uno e devo lavorare veramente grazio tutti gli allenatori che ho avuto: ciascuno mi ha lasciato tanto per cercare di somigliargli». qualcosa di importante, sia a livello tecnico, sia a livello caratteSempre con i fari puntati addosso, qualche anno fa anche un ceriale. Mister Zeman mi ha dato tanti consigli e mi ha insegnato a lebre gioco per consolle, Football Manager, lo aveva reso pressoessere meno lezioso e a non fare troppi colpi di tacco!». ché invincibile, con caratteristiche da stella del calcio moderno. I programmatori sono stati lungimiranti, perché a distanza di poco Marco è cresciuto a pane e pallone ed è il beniamino del pubblico pescarese che vorrebbe tenerlo per sempre in biancazzurro: più di settecento giorni, Marco è arrivato, a sorpresa, alla corte «Amo questa città e la sua di mister Prandelli. «Quando gente; ho sognato la maglia da mi hanno detto della convotitolare sin da bambino e portacazione ero felice, sorpreso e re il Pescara in serie A sarebbe la incredulo. Ho pensato in un nato a Manoppello (PE) il 5 novembre 1992 mia più grande aspirazione e la attimo a tutti i sacrifici che ho segno zodiacale: scorpione stato civile: fidanzato con Laura migliore soddisfazione. Quando fatto per allenarmi, a quelli che ruolo: attaccante ero più piccolino tanti club ha fatto la mia famiglia per achobby: a cena con gli amici blasonati mi volevano, ma io compagnarmi tutti i giorni al automobile: non ho la patente! avevo in testa e nel cuore solo il campo. Un sogno di bambino assist vincenti: a tre cifre delfino. E la testa e il cuore, cari che si sta realizzando». portafortuna: gufetto miei, avevano ragione». Questa stagione zemaniana sogno: la nazionale

Marco Verratti

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www.marcoverratti92.com


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Lorenzo il magnifico Le 18 reti in campionato gli hanno garantito la riconoscenza dei tifosi. Ora guarda al futuro e punta ad eguagliare il mito di Alex Del Piero

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dove il calcio viene vissuto in maniera passionale come a Napoli. l boemo lo ha lanciato nel calcio professionistico, a lanciarLa prima volta che ho giocato all’Adriatico e ho visto tutta quella lo a rete, invece, ci pensano la sua fantasia e gli assistmen gente mi è sembrato di respirare l’aria di casa e ho pensato che biancazzurri. Lorenzo Insigne ha divertito il popolo peera tutto meraviglioso». scarese con le giocate in velocità e con i suoi balletti post rete Camaleontico per vocazione e capigliatura, Insigne si è dilettato che puntualmente finiscono sul piccolo schermo della Striscia a sorprendere tifosi e simpatizzanti con hair sculpture degne di preprimaserata di Antonio Ricci per l’unicità e la simpatia architetti tutt’altro che minimalisti; poliedrico e imprevedibile, il dell’improvvisazione. giovane giocoliere partenopeo è cresciuto con un mito lontano Spensierato, tatuato e dal piede dorato, il furetto di Frattamagdalle pendici vesuviane, ovvero sir Alex Del Piero che «cerco di giore deve tanto alla sua tenacia e alla voglia di emergere: «Non imitare nei tiri a giro, per ora con risultati altalenanti, ma mi sto nascondo che quando ero più piccolo spesso ho pensato di impegnando». smetterla con il calcio –ha confessato una volta ai cronisti–. Il paragone con i piccoli geni del calcio moderno è presto fatto, I piedi buoni, dicono, li ho sempre avuti, ma ho fatto provini ma anche qui, al di là dei lusinghieri accostamenti, Lorenzo su provini e la risposta bene o male era sempre la stessa: ero rivendica uno stile tutto personale, sebbene derivante da un troppo “bassino”. Anche quando sono arrivato al Napoli pieno di compendio di potenziali similitudini. La tenacia di Giovinco, la belle speranze mi sono ritrovato negli Allievi regionali, diciamo rapidità di esecuzione di Messi, il senso del gol di Di Natale, la la seconda scelta rispetto ai Nazionali; un po’ mi ero abbattuto, velocità di Lavezzi e i “gol a giro” di Del Piero: a ciascuno rubepoi finalmente un giorno è arrivato il mio momento con la Primavera con due reti e un assist e da lì non sono più uscito dal rebbe un talento, ma poiché nella realtà non è possibile, si allena per avvicinarsi il più possibile a cotanta perfezione. Ma non campo!» Tante emozioni anche per l’esordio in prima squadra, chiamatelo fenomeno, perché lui vi guarderà dritto negli occhi e contro il Livorno sebbene fossero solo trenta secondi, e poi l’invi dirà «sono soltanto Lorenzo Insigne». Soltanto, dice lui. Eppure contro con Zeman che ha segnato il suo recentissimo passato. i numeri sul rettangolo verde e quelli su facebook (la sua pagina Il maestro del 4-3-3 ha voluto fortemente a Foggia Lorenzo noufficiale ha più di venticinquemila “mi piace”), fanno veramente nostante arrivasse da una stagione non molto esaltante con la Cavese dove, al suo attivo, aveva appena 19 presenze e neppure pensare a un potenziale fenomeno del calcio italiano, anche se “Il Magnifico” –epiteto che s’è guadagnato per le sue splendide un gol: statistiche che agli appassionati del delfino fanno strabuzzare gli occhi se non altro per lo stupore di non riconoscere i marcature– si prende poco sul serio e scherza asserendo che l’Insigne “vero” è suo fratello Roberto che gioca con la Primavera numeri di quel Lorenzo “Il Magnifico” conosciuto all’Adriatico. A suon di gol Lorenzo ha giganteggiato in Lega Pro e, ovviamen- del Napoli e con il quale un giorno vorrebbe giocare. Per la nazionale di Ferrara è te, l’estate scorsa, non si è launa pedina imprescindibile, il sciato scappare l’occasione di suo sogno è quello di giocare una serie b con il Pescara dove in serie A e di finire in Nazionai giovani e gli esperti potevano nato a Frattamaggiore (NA) il 4 giugno 1991 le maggiore. I club e i tifosi di convivere e misurarsi con il segno zodiacale: gemelli segni particolari: troppi tatuaggi mezza Italia se lo contendono, calcio zemaniano. Il risultato? stato civile: single Ma quale sarà il futuro del Gol a grappoli e una stagione ruolo: attaccante furetto biancazzurro? Al calesaltante per la squadra e per hobby: cambiare pettinatura ciomercato l’ardua sentenza. i tifosi: «Pescara è una città automobile: una Mini bellissima, dove si vive bene e

Lorenzo Insigne

gol: 18 sogno: lo stadio San Paolo

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Eppur si muove Cresciuto in casa Juventus, il bomber biancazzurro dal ciuffo biondo ha stregato tifosi e società con un gioco spettacolare

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anche al campo di allenamento. Ci vogliono bene e hanno a saggezza antica ci dice che in nomen est omen. E creduto sempre in noi e nelle nostre potenzialità». dunque se fosse vero che il nome è un presagio, il Topscorer del Pescara e della Serie bwin sin dall’inizio del nuovo capitolo della Zemanlandia pescarese non campionato si è messo in mostra a suon di gol e tanti club stava iniziando nel migliore dei modi. “E tu dovresti essere il hanno puntato occhi e osservatori su questo ragazzone di mio attaccante con questo cognome?”. Zeman dixit. Ciro ImTorre Annunziata dai tratti normanni che con savoir faire da mobile, classe 1990, raggiunge i suoi nuovi compagni a ritiro calciatore navigato ha glissato tutti gli assalti di radiomercainiziato, dopo aver partecipato a una tournée in America con la vecchia Signora di Conte. Ad accoglierlo la sottile ironia del to ribadendo la sua unica volontà di portare il Pescara nella massima serie. Per sè ha scelto il numero 17, in barba a ogni mister che dovrà plasmare il suo centravanti dimostrando a sorta di scaramanzia partenopea che sembra non contatutti che i nomi, alla fine, sono solo un caso. giarlo. Insieme a Insigne e Verratti è stato uno dei calciatori Ciro, che ha tutte le intenzioni di smentire la casualità del suo biancazzurri più cercati dalla stampa locale e nazionale: mai cognome, lavora sodo e si mette subito a disposizione dei banale, sempre schietto e sincero, “Ciro a papà”, che ammette suoi compagni. «Sono arrivato a Pescara dopo una stagione di non poter stare giorno senza sentire mammà, in realtà non deludente diviso tra le piazze di Siena e Grosseto. Ho fatto ama le luci della notorietà e preferisce, nel suo tempo libero, solo un paio di gol, giocavo seconda punta e pur di scendere stare con i suoi compagni di squadra, che sono anche i suoi in campo mi sono adattato. Ma nasco prima punta. E quando mi hanno proposto di venire a Pescara non ci ho pensato due amici, magari giocando alla playstation per una cenetta o un cinema. Ma qual è il segreto del successo di questo Pescara? volte perché tutti mi hanno parlato bene della società, della «Il segreto è il gruppo. Noi siamo uniti sia fuori e sia dentro città e dei suoi tifosi». il campo. Tra di noi non ci sono invidie o rivalità e ciascuno E poi, diciamoci la verità, con il gioco di mister Zeman gli di noi si mette a disposizione degli altri. Abbiamo fiducia attaccanti ci vanno a nozze: «Ho fatto una scommessa con reciproca e questa fiducia l’abbiamo anche in campo. I miei Quagliarella prima di vestire la maglia biancazzurra: ho detto gol? Sono frutto di un lavoro di squadra e tocca a me, come che avrei segnato più di venti gol». Pronostico abbondanteattaccante, metterla dentro. Quando uno di noi segna, gioiamente superato anche se non ci è dato sapere cosa fosse in palio. «Con il gioco del mister noi attaccanti siamo messi nelle mo tutti perché vuol dire che ciascuno ha fatto la sua parte». Cresciuto nelle giovanili del Sorrento e trapiantato giovaniscondizioni di ritrovarci con facilità davanti alla porta perché simo a Torino, sponda bianconera, Ciro rivela che tutta la sua giochiamo molto con le verticalizzazioni e le azioni sono famiglia ha sempre e solo tifato Juve sebbene siano napolerapide e veloci. Sta solo a noi mettere il pallone in porta». tani doc: immaginate quale gioia, quando, dopo strepitose Ragazzo generoso e amato dal pubblico biancazzurro, non prestazioni in Primavera e al torneo di Viareggio dove vinse si è mai sottratto alle attenzioni dei suoi sostenitori: foto, il titolo, manco a dirlo, di capocannoniere, esordisce in A nel autografi, quattro chiacchiere, strette di mano. La bellezza di marzo 2009 in un Bologna-Juventus subentrando al capitano questo giovane bomber dal “ciuffo biondo che fa impazzire Del Piero e a novembre in Champions League. il mondo”, come recita uno striscione creato ad hoc per lui, Il suo futuro calcistico si sta è la sua umiltà e la capacità disegnando, il suo curriculum di riuscire a dare sempre da campione si sta scrivendo, attenzioni ai suoi sostenitori. il suo cognome non è un «Il pubblico pescarese è stranato a Torre Annunziata (NA) il 20 febbraio 1990 presagio, ma piuttosto uno ordinario. Allo stadio ci incisegno zodiacale: pesci segni particolari: un bacio tatuato sul braccio scherzo del destino. Perché tano dall’inizio alla fine sia stato civile: in attesa del grande amore le cose non sono mai come se vinciamo, sia se perdiamo. ruolo: attaccante sembrano. Ci fermano per strada anche hobby: playstation solo per scambiare qualche automobile: una Mini battuta, vengono numerosi

Ciro Immobile

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gol: 28 portafortuna: un bacio dalla mamma sogno: la serie A


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Capitano coraggioso Autorevole in campo e fuori a indicare la giusta rotta per la serie A

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iniziato il mio percorso calcistico. Ogni tanto facevamo qualche apitano, mio capitano. Non saranno saliti sui banchi di amichevole con la prima squadra, ma non ho mai avuto modo scuola come nell’Attimo fuggente, ma i tifosi biancazdi mettermi veramente in mostra». E oggi, per uno scherzo del zurri hanno sperato –sognato– applaudito il ritorno di Marco Sansovini a Pescara dopo dodici lunghi mesi di mancanza destino, Marco Sansovini è uno degli uomini del tridente della nuova Zemanlandia: corre, taglia, segna. «Roba da non crederci. Il e di mancanze. lavoro paga e anche se gli allenamenti sono duri, la soddisfazioIl “sindaco”, come è stato denominato a furor di popolo, era stato ne è tanta soprattutto quando esci dal campo con i tre punti e grande protagonista del Pescara pre fallimento. Quel Pescara una grande prestazione». E se di soddisfazione vogliamo parlare, che per un solo punto non era riuscito a raggiungere i playoff quella per una splendida tripletta è certamente la più grande: per conquistare la serie cadetta, che aveva fatto infervorare la curva e che, purtroppo, qualche mese dopo, si era visto spogliare «È la prima volta che ne realizzo una con tanto di pallone da riportarsi a casa. Ovviamente è dedicata a mia moglie Greta e a della sua magnificenza e lottare contro debiti e cattive gestioni. Marco torna in riva all’Adriatico dopo un anno strepitoso in serie mia figlia Annalisa che mi sono sempre vicine, mi supportano e sopportano». La bellezza di uno stadio pieno, di un campionato B con il Grosseto dove realizza quindici gol e diventa l’uomo strepitoso fino a raggiungere il primo posto il 31 gennaio dopo mercato per eccellenza: «Sono tornato a Pescara carico di entula gara con il Crotone, tutto arrivato senza aspettative di sorta, siasmo: una città che mi aveva dato tanto, mi aveva riempito di ma solo grazie al lavoro, all’impegno e a una programmazione affetto. A Pescara mi sento sereno, a casa; è molto importante certosina, non basta per lanciare in un volo pindarico Sansovini per noi che facciamo questo lavoro, dove veniamo giudicati settimana per settimana e dove la gente ha un gran cuore e ti incita & Co.: «Purtroppo il nostro momento più incredibile è coinciso con la pagina più triste della nostra storia. Prima la morte di anche quando i momenti non sono dei migliori». Franco Mancini, poi quella di Piermario Morosini, la scomparsa di Sansovini sceglie dunque di tornare in serie C, ormai Lega Pro, Domenico Rigante, tutti accadimenti che ci hanno resi più vulgrazie alla nuova solidità societaria e al progetto ambizioso del nerabili. Poi la svolta è arrivata nella gara con il Padova all’EugaPescara dei pescaresi: «La chiamata mi ha lusingato e non ho neo, quando ci siamo guardati negli occhi e abbiamo deciso di pensato due volte a fare le valigie e a trasferirmi con mia moglie voltare pagina e di vincere insieme anche per chi non c’era più». e mia figlia e cominciare questa splendida avventura». Il Pescara torna a vincere, a segnare e a divertire, lasciando poco Il Pescara di Di Francesco vola e Sansovini è uno dei grandi traspazio a coloro che avevano sentenziato la fine dello spettacolo scinatori nella doppia sfida finale contro il Verona. In due partite targato Zemanlandia; un rullo compressore e una macchina da il futuro, il sudore e la fatica di una stagione intera, ma la missione è compiuta. La città esplode di gioia. Finalmente i biancazzur- gol, questo Pescara che con una giornata di anticipo si toglie lo sfizio della massima serie all’ombra della Lanterna: «Sono ri tornano in serie B al primo colpo: «È stato un sogno. Abbiamo orgoglioso di essere il capitano di questa squadra e di far parte regalato e ci siamo regalati una stagione indimenticabile». È di questo splendido gruppo. seguita poi una stagione altaAbbiamo lottato contro le avlenante con qualche rammariversità e ci siamo sacrificati per co di troppo e poi quest’anno raggiungere insieme questo qualcosa di inaspettato. Dopo nato a Roma il 17 giugno 1980 traguardo che a Pescara manl’addio di Eusebio diretto verso segno zodiacale: gemelli segni particolari: trascinatore cava da troppo tempo. Spero la massima serie, sulla panchistato civile: sposato con Greta che questo sia solo l’inizio di na dannunziana arriva Zdenek e papà di Annalisa una serie di successi». Zeman: «Il mister l’ho conoruolo: attaccante sciuto quando ero alle giohobby: la famiglia vanili della Roma, quando ho

Marco Sansovini

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automobile: Dodge Journey gol: 16 sogno: il Pescara in A (realizzato!)


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Forza Pescara Il gigante buono della difesa: un figlio d’arte che ha coronato il sogno di giocare per i colori della sua città e della sua squadra del cuore

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era più un giovane di belle speranze, ma una realtà del calcio essuno è profeta in patria. Si dice. A meno che non ti pescarese: «L’anno scorso ho giocato terzino sinistro, poi con chiami Marco Capuano, hai poco più di venti anni e i mister Zeman sono tornato a centrale difensivo. Ma chi ha detto tifosi ti hanno ribattezzato “the wall”, il muro. «A dare i che con Zeman si pensa più all’attacco che alla difesa? Noi dicalci a un pallone ho iniziato da subito: mio padre Pietro era un calciatore professionista, un attaccante. Sono cresciuto a pane e fensori abbiamo lavorato e corso come matti: durante la partita stiamo molto alti e per riuscire bene dobbiamo correre a perdipallone». A sette anni inizia la trafila nelle giovanili del Pescara, fiato senza perdere la concentrazione. All’inizio commettevamo poi due anni con l’Angolana e l’esperienza con la Primavera del più errori perché non eravamo entrati nei meccanismi giusti, Torino: «Avevo fatto bene, ma per vari motivi non mi avevano ma una volta preso il ritmo e la sincronia giusta con i compagni riscattato. Se all’inizio c’ero rimasto male, oggi sono felice per il siamo andati una meraviglia. No?». E come dare torto al gigante percorso che ho fatto con il Pescara, la squadra della mia città pescarese che quest’anno ha sfoggiato anche un’ottima forma e di cui sono stato sempre tifoso». Infatti Marco sin da piccolo fisica: «Con Zeman ho imparato anche a capire come e cosa ha sempre seguito il Pescara dalla curva: «Per me era bellissimo mangiare, ma all’inizio dovevo ancora prenderci la mano con la andare allo stadio e seguire i nostri campioni e incitarli. Mi hangiusta alimentazione: una mattina stavamo facendo il controllo no fatto vivere dei momenti fantastici quando ero sugli spalti e sono felice di poter regalare con i miei compagni le stesse emo- del peso e io ero soddisfatto per i progressi, seppur minimi visto che eravamo solo nelle prime settimane di preparazione. E lui zioni. All’esordio all’Adriatico ero frastornato, mi sembrava così mi sorride e mi dice:“Bravo Poldo!”. Scoppiamo tutti a ridere strano essere dall’altra parte». Tornato dall’esperienza torinese, perché dal mister non te l’aspetti, ma da quel giorno lo staff e i il momento della svolta per Marco è l’esonero di Cuccureddu: sulla panchina biancazzurra arriva Eusebio Di Francesco, tecnico miei compagni mi chiamano come il mangiapanini di Braccio di Ferro!». Sin dai primi momenti vissuti con i compagni e i tecnici della Berretti che decide di portarlo in prima squadra. L’esordio Marco ha avuto la sensazione che tutto sarebbe andato per il è bagnato non da champagne, ma da un’interminabile pioggia meglio: «Eravamo una squadra giovane, ma sin da subito ho che si è abbattuta su Frosinone. «Quando durante la riunione pensato che avremmo disputato un buon campionato e che la tecnica ho visto il mio nome nell’undici ho pensato subito a salvezza poteva arrivare agevolmente. Poi, partita dopo partita, uno scherzo di Francesco Tomei; invece mi si avvicina il mister, tutti noi abbiamo preso coscienza che eravamo uno splendimi dà una pacca sulla spalla e mi dice di stare tranquillo perché do gruppo di persone e di professionisti e i risultati ci stavano sapeva che avrei fatto bene. Le gambe mi tremavano. Dalla giodando ragione. Quello che abbiamo “combinato” quest’anno ia, non dalla paura. Sono entrato in campo per il riscaldamento è unico e irripetibile, è il sogno del bambino che tirava i calci al e non mi sembrava vero. La partita è durata solo un tempo pallone nel campetto sotto perché il campo era troppo casa. Sono felice per tutti noi, pesante e la palla si perdeva per me, per la mia famiglia nelle pozzanghere, ero fradicio che ha il calcio nel Dna alla e sporco di fango: ma è stato il nato a Pescara il 14 ottobre 1991 quale dico grazie. Un grazie momento più bello della mia segno zodiacale: bilancia segni particolari: 2 tatuaggi (per ora) particolare al mio papà che vita calcistica». stato civile: innamorato di Valeria ogni giorno, sin da piccolo, si è Marco ha ripagato con gran ruolo: Difensore centrale fatto in quattro per aiutarmi a successo la fiducia che gli hobby: playstation realizzare il mio sogno». aveva concessa mister Di Franautomobile: in trattativa per una X6 cesco e da quel giorno non

Marco Capuano

portafortuna: il numero 5 sogno: la nazionale

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Un gol da incorniciare La sua rete nell’ultima sfida ha regalato al Pescara la vetta della classifica e a lui l’eterna gratitudine di tutta la città

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difesa dalla Nocerina. In quel gesto tecnico tutta la rabbia, la uando si dice l’uomo giusto al momento giusto. Riccardo Maniero era partito per il ritiro di San Marti- voglia di scrivere la storia di Riccardo Maniero, autore del gol numero novanta del Pescara che ha regalato la vittoria più no al Cimino con una sola sicurezza: sarebbe stato importante della stagione: vittoria che è valsa il primo posto. l’attaccante di punta del tridente biancazzurro. Ha lavorato, «Un’emozione stupenda segnare quella rete, è stato un modo sudato, corso, fatto i gradoni con i pesi sulle spalle ed era pronto ad affrontare da protagonista la sua seconda stagione per ringraziare i miei compagni, la società, il mister per una in serie B con il Pescara. Ma alla prima giornata di campionato stagione che non dimenticheremo mai per le grandi emozioni che ci ha dato». contro il Verona al Bentegodi, quando tutti pensavano che sarebbe sceso in campo come gladiatore nell’arena, qualcosa Cresciuto nel settore giovanile juventino, Riccardo Maniero ha nel suo curriculum uno scudetto, una Coppa Italia e una non è andato esattamente come preventivato. Si narra di un Supercoppa Primavera oltre che un torneo di Viareggio e, problema fisico, altri insinuano un provvedimento disciplinaora, anche un campionato vinto in serie B. Le sue grandi doti re; fatto sta che “Pippo” come lo chiamano compagni e staff pescarese, si è accomodato senza colpo ferire in panchina per tecnico-tattiche confermate da quegli ultimi splendidi minuti di Pescara-Nocerina gli hanno consegnato le chiavi dell’olimcedere il suo posto all’alter ego partenopeo Ciro Immobile. po biancazzurro, ma le sue inconfondibili capacità di uomoSedici partite, quattro gol: sembra uno score non troppo esaltante per un attaccante; eppure per Riccardo “Pippo” Maniero spogliatoio saranno tramandate ai posteri come uno degli ingredienti fondamentali di questo Pescara vincente che non è stata una vera stagione da incorniciare. ha mai nascosto di fare del gruppo la sua forza: «Io e Insigne Partiamo dalla fine: il Pescara contro la Sampdoria conquista la matematica certezza che nella prossima stagione sarà nelle siamo come fratelli, con Immobile, Balzano, Verratti passo i miei momenti liberi: siamo così legati che tra di noi non c’è top venti del campionato più bello del mondo insieme al rivalità, anzi, ci alleniamo per migliorarci insieme. Anche con Torino. Un traguardo che la città aspettava ormai da un veni ragazzi più grandi ci troviamo benissimo, siamo come una tennio, il miracolo si era compiuto tra lacrime e sudore con famiglia e questo ci ha aiutato anche e soprattutto dentro il grande soddisfazione di tutti. Poi, a novanta minuti dalla fine del campionato bwin, i biancazzurri sembravano ormai paghi campo». di una stagione che li aveva consacrati protagonisti indiscussi One man show per vocazione, Maniero è famoso per i suoi indi un calcio che, a detta di qualcuno, si giocava solo in paradi- trattenimenti di ironia sottile quando la truppa biancazzurra so; una meraviglia per gli occhi profani degli appassionati che torna in pullman dalle trasferte vincenti: nel ruolo di speaker poliedrico, presenta i suoi compagni con esilaranti epiteti e hanno riscoperto nel calcio un puro divertimento. Sul campo giri di parole suscitando risadell’Albinoleffe, ultima in te e ilarità. Signore e signori, classifica che qualche giorcon il numero 19, è solo lui, nata prima aveva bloccato la l’unico, l’uomo che ha rearincorsa dell’Hellas, un Toro nato a Napoli il 26 novembre 1987 lizzato il sogno di tanti pur incredulo sente il triplice segno zodiacale: sagittario altezza:183 cm rimanendo sveglio: Riccardo fischio sullo zero a zero, menpeso:80 kg Maniero. L’uomo che ha tre all’Adriatico, contemporanumero:19 riscritto, in un sol tiro, la storia neamente, un missile lanciato stato civile: fidanzato di un club e di una città. in orbita allo scadere si perde ruolo: attaccante nel microcosmo della rete

Riccardo Maniero

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portafortuna: un regalo dell’amico Insigne automobile: Audi Q5 gol: 4


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Pirata, ma con gambe buone Sulla fascia sinistra non teme confronti e muove all’arrembaggio dell’area avversaria

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atuaggi, orecchini, teschi sulle t-shirt e borchie. In abiti civili suo ex compagno di squadra alla Reggina gli ha lasciato addosso una ferita profonda: «Un pensiero doveroso a Mario e Franco che sembra uno tosto, ma in campo, chiedetelo agli avversari, sono scomparsi davanti ai nostri occhi». lo è ancor di più. Emmanuel Cascione è a Pescara da due Protagonista indiscusso del campo lo è stato anche nello anni dopo aver vissuto un’esperienza a Reggio Calabria che lo spogliatoio insieme al capitano Sansovini, i più anziani, o meglio, aveva logorato: «Ho voluto fortemente venire a Pescara perché saggi del gruppo: «La grande qualità che ci dobbiamo riconosceavevo bisogno di una piazza calda come piace a me, ma che re è stata quella di aver creato subito un ambiente sereno, con sapevo che avrebbe accolto bene me e la mia famiglia, dove avrei persone che con tranquillità, quando ce n’è stato bisogno, si sono potuto giocare con serenità e dimostrare tutto il mio valore. E poi guardati negli occhi e si sono detti quello che non andava, pronti Pescara è una bella città, c’è il mare, che io amo molto, e la gente a dare pacche sulle spalle per dire a un nostro compagno di non è aperta e spontanea». E Pescara lo ha accolto a braccia aperte incoronandolo il re del centrocampo, mentre il Pescara risolveva la preoccuparsi o di ridere insieme nei momenti di allegria. L’avranno detto tutti, ma credo veramente che l’unione tra di noi sia stato comproprietà assicurandosi il gigante toscano per un altro anno. l’ingrediente giusto per far bene anche in campo». Figlio d’arte –il padre Armando aveva giocato in serie A con il Napoli e il Catanzaro– è molto legato a suo fratello Davide: si dice che Durante la stagione, il momento di crisi biancazzurra è stata nella sua prima stagione in B con il Rimini avesse voluto indossare considerata da molti anche il momento di flessione personale di Emmanuel Cascione: «Non credo che le due cose coincidano il numero 87 proprio in onore della sua data di nascita. Adora le sue due donne, sua moglie e sua figlia che sono tra le più perché siamo stati tutti indispensabili nella costruzione di questo contente per la vittoria di questo campionato del Pescara “così ora miracolo biancazzurro. È pur vero che in un campionato così si dedica tutto a noi”,ha detto in un’intervista a un quotidiano loca- lungo con turni infrasettimanali, con noi che abbiamo dovuto le la sua bellissima Eva dopo la gara contro la Sampdoria, gara che recuperare anche due partite a distanza ravvicinata, un momento di stanchezza ci possa essere. Poi abbiamo dimostrato di essere ha riportato dopo diciannove anni il Pescara nella massima serie. usciti alla grande da quella situazione tanto da guadagnarci la Ma per Emmanuel questo è certamente l’anno della consacraziopromozione in serie A e la vittoria del campionato». ne nonostante abbia già nel suo curriculum stagioni in A e B: «In questa stagione ci siamo espressi su livelli incredibili. Credo che sia Ma c’è stato un momento in cui questo sogno sembrava essersi frantumato: «In realtà noi ci abbiamo creduto sempre nell’opporstrameritata questa promozione. Sono davvero felice, un’emozione indescrivibile. Dopo tante sofferenze abbiamo gioito finalmen- tunità di raggiungere la massima serie, abbiamo fatto un calcio troppo bello e spettacolare che sarebbe stato un vero peccato te». La gara contro la Sampdoria, al Marassi, è stata una delle gare non riuscire a guadagnarci la serie A; ma le varie disgrazie che più belle dei biancazzurri dove la voglia di vincere per raggiungeci hanno colpito nel giro di re un obiettivo, tanto ambito poche settimane, i risultati che quanto desiderato era più non arrivavano e le altre che forte, di un qualsiasi avversario: avanzavano a un certo punto ci «È la vittoria di uno splendido nato a Catanzaro il 22 settembre 1983 avevano lasciato un certo peso gruppo e il coronamento di un segno zodiacale: bilancia segni particolari: figlio d’arte sulle spalle. Poi finalmente ci sogno». Per lui tante gioie in un stato civile: sposato siamo scrollati di dosso tutto e anno, comunque, devastante: la ruolo: centrocampista abbiamo pensato solo al cammorte di Franco Mancini, prehobby: lettura po». Bentornato in serie A! paratore dei portieri biancazautomobile: una Mini zurro e di Piermario Morosini,

Emmanuel Cascione

sogno: l’isola che non c’è

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Il giaguaro a guardia della porta Ex attaccante, oggi portiere, i suoi guanti sembrano saracinesche. E ogni tanto si concede qualche dribbling

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noi». La meravigliosa cavalcata verso la serie A ha lasciato, però, o chiamano il giaguaro. In porta si muove con fare felino, un segno indelebile nella vita personale e calcistica di tutta la ma fuori dei pali ha la prontezza e anche il dribbling dei squadra e in particolare di Luca. La morte di Franco Mancini: «Era migliori difensori. Luca Anania è la grande sorpresa di il mio allenatore. Ogni giorno abbiamo condiviso allenamenti, questo Pescara targato Zeman. In poco tempo si è conquistato risate, rimproveri, miglioramenti. È stato un grande colpo per me il favore della piazza e la fiducia del tecnico boemo che lo ha la morte del Mancio. Rimarrà per sempre con me e lo porterò fortemente voluto dopo aver testato le sue capacità negli anni con me in qualunque posto andrò». di Lecce, identificando nel portierone milanese l’emblema della Voltare pagina, in queste situazioni non è facile, anzi, è quasi modernità fatta a guantoni. impossibile: «Abbiamo deciso di giocare per lui, di dedicargli le Dopo alcuni anni passati in Lega Pro, Luca sposa il progetto Pescara e in un solo anno insieme ai suoi compagni raggiunge la nostre vittorie, le nostre parate, i nostri gol. Siamo andati avanti, sì, ma per lui e con lui». massima serie e il calcio italiano riscopre un talento per troppo Dopo un momento di crisi di risultati, il Pescara è tornato più fortempo rimasto nell’ombra: «Un anno straordinario. Ci siamo messi subito sotto a lavorare e ci siamo scoperti un grande grup- te di prima: «Siamo migliorati strada facendo, ci abbiamo sempre po. La voglia di fare bene era tanta e abbiamo capito l’importan- creduto. La partita della svolta è stata la vittoria a Padova per 6-0. Ci siamo resi conto che potevamo arrivare in serie A senza passaza di mettersi a disposizione del mister e del suo gioco». re dai Play Off». E pensare che da piccolo giocava attaccante e sognava di mettere la palla in porta, poi ha chiuso la saracinesca e di vedere A crederci nella promozione non è solo Luca, ma anche Matteo, fratello del numero 22 biancazzurro: difensore del Perugia ha il pallone alle sue spalle non ne vuole proprio sapere. Ricoprire vinto con la sua squadra il campionato approdando in Lega il ruolo di portiere con il gioco all’attacco del mister non è stato Pro 1: un’annata d’oro per i fratelli milanesi, entrambi beniamini certo facile: «I rischi del mio “mestiere” sono molti –dice Luca–. delle rispettive tifoserie: «Con questa promozione il Pescara Ma, come si dice, il gioco vale sicuramente la candela! Oltre a e Pescara ha coronato un grande sogno che veniva coltivato parare, nel gioco del mister il portiere deve saper leggere le da venti anni. I tifosi sono contentissimi, una città intera ci ha situazioni che si creano fuori area, deve essere in grado di anticiaccolto al nostro ritorno da Genova in uno stadio gremito e poi pare le mosse di tutti e giocare molto alto». il giorno della festa c’erano Luca para, esce di testa sulla centomila persone in piazza, trequarti, dribbla l’avversario: uno spettacolo. Spero ci stiano con il passare dei giorni e delle sempre accanto e ci diano il partite, Luca diventa il punto nato a Milano il 21 giugno 1980 loro supporto perché per noi di riferimento dell’undici segno zodiacale: gemelli altezza: 190 cm sono importantissimi». adriatico: «Noi portieri non stato civile: fidanzato E tra i flash, gli autografi e le abbiamo mai vissuto con rivaruolo: portiere strette di mano Luca saluta i lità la possibilità di giocarci il Gol subiti: 43 suoi tifosi pronto per la nuova posto, anzi è stato uno sprone dribbling: 16 avventura in serie A. per dare sempre il meglio di

Luca Anania

hobby: interior design sogno: finire la carriera a Pescara

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Dal Mare del Nord all’Adriatico Sbocciato con il clima caldo e ospitale di Pescara. Una fioritura durata tutto il campionato

È

compagni tanto che dal momento in cui è entrato in campo, nearrivato a Pescara qualche settimana prima di Natale. anche un infortunio alla caviglia lo è riuscito a tenere lontano dal L’uomo venuto dal freddo, ha riscaldato i guantoni dei terreno di gioco: «Quando mi sono fatto male eravamo a Crotoportieri a suon di missili scagliati dal suo sinistro. Matti Lund Nielsen parla in danese e sottovoce con il suo agente John ne, credevo di essermi rotto la caviglia per il dolore. Quella sera abbiamo vinto ed è stata la prima volta che siamo stati primi in Sivebaek, vecchia conoscenza del Pescara degli anni ‘90, con Caclassifica; all’aeroporto, alle 2 di notte, c’erano quasi duemila perscione, Romagnoli e Gessa dialoga in un fluente inglese. Il fatto sone ad attenderci. Lì ho capito che stava succedendo qualcosa straordinario è che dopo appena venti giorni di permanenza in riva all’Adriatico, Matti si presenta ai giornalisti per la sua presen- di straordinario e che la serie A non poteva scapparci». Zeman non lo conosceva, ma di lui aveva sentito parlare un gran tazione ufficiale con un’invidiabile inflessione italica. bene: «Quello che mi avevano raccontato su di lui è confermato «Quando ho saputo che sarei rimasto a Pescara mi sono messo dalla mia esperienza: è un grande allenatore, che fa giocare le subito a studiare italiano. Come lingua è molto differente dalla sue squadre con questo modulo sempre all’attacco, sempre mia, ma quando mi pongo un obiettivo mi impegno al massipronti a mettere la palla in rete e che si deve correre tanto. Sono mo perché devo cercare di raggiungerlo». Simone Romagnoli contento che il mister mi ha dato fiducia perché ho imparato scambia nozioni grammaticali del Bel Paese con quelle di scandinava provenienza: «Faccio molte domande a Simone e cerco di tantissimo con lui». Qualcuno lo chiama il soldatino, perché durante l’allenamento è imparare parlando il più possibile, però devo dire che quelli che attento, preciso e si applica svolgendo perfettamente il compito mi confondono di più sono Verratti e i nostri napoletani che mi vogliono insegnare il dialetto. Ma sto imparando anche quello!». che gli è stato affidato in campo: «Ho tanto da imparare e cerco di carpire il più possibile i movimenti e le traiettorie giuste. Certe Fuori dal rettangolo di gioco Matti appare discreto, composto, volte non mi riesce, soprattutto in partita, ma con l’esercizio si etereo grazie anche ai tratti somatici prettamente nordici, ma migliora sempre». in campo il centrocampista dai piedi buoni e dal fisico roccioso, colpisce per l’irruenza e la grinta da vero vichingo, caratteristiche Oltre al diverso modo di giocare al quale si è dovuto abituare, è che avevano impressionato anche il direttore sportivo Delli Carri dovuto scendere a compromessi anche con la città: «Pescara mi piace moltissimo, è una città a misura d’uomo con il mare, belle che lo aveva individuato quasi un anno prima in un impegno passeggiate. Non l’ho vissuta tantissimo perché, ovviamente, internazionale. dopo gli allenamenti torno a casa a riposarmi: il momento in cui Nonostante siano molte le differenze tra il campionato italiano ho avuto modo di conoscerla meglio è quando è venuta a troe quello della sua terra, Matti non sembra aver sofferto troppo varmi la mia fidanzata, ma non ci siamo trovati troppo in sintonia questo nuovo modo di giocare: «In Danimarca solitamente il con gli orari. In Danimarca noi gioco è più fisico che tecnico, mangiamo presto tra le sei e ma nel Nordsjaelland, squadra le sette del pomeriggio, qui i in cui ho militato prima di arriristoranti a quell’ora sono chiuvare in biancazzurro, l’impostanato a Odense (DAN) l’8 maggio 1988 si per i clienti e non si mangia zione di gioco è molto simile a segno zodiacale: toro segni particolari: italiano fai da te prima delle nove. Il ritmo qui quella del Pescara dove palla stato civile: fidanzato è più lento, tutto più allargato, a terra e velocità sono le caratruolo: centrocampista mentre noi siamo più frenetici. teristiche principali». Matti si è hobby: imparare l’italiano Ma non preoccupatevi, mi sto subito integrato negli schemi automobile: in prestito abituando!». di gioco del mister e con i suoi

Matti Lund Nielsen

Gol: 2 sogno: la serie A con il Pescara

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Il ragazzo che va in meta Nato nella terra del rugby e cresciuto sui campi di calcio di serie B e C, affronta il nuovo campionato con un sogno: fermare Ibra

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na scommessa vinta. Damiano Zanon, abruzzese doc, era Balzano, mastino pugliese, ennesima scommessa vinta della società abruzzese che lo aveva scovato in Lega Pro: morale della arrivato a Pescara tre stagioni fa dal Celano, squadra di favola, anche questa volta Damiano ha tolto ogni dubbio dimoLega Pro 2 allenata da Modica. Il terzino aquilano aveva strando il suo valore. Entrambi meritavano di giocare e il mister, conquistato la dirigenza biancazzurra per il suo modo di giocapur di tenerli in campo, ha adattato Balzano a sinistra: «Nel nostro re ed era stato ingaggiato come alternativa a Stefano Medda, esperto e roccioso difensore sardo chiamato in riva all’Adriatico su spogliatoio regna la serenità e la serietà. È ovvio che tutti vorremmo scendere in campo, ma, come è logico, i posti sono solo undici indicazione dell’allora tecnico Antonello Cuccureddu. e in allenamento c’è una competizione sana tra di noi per cercare Con il passare del tempo riuscì a ritagliarsi uno spazio anche grazie ai notevoli miglioramenti e alla sua tenacia: subentrato Di Fran- di meritarci una maglia». Anche per Damiano l’arma vincente di questo campionato è stato il gruppo: «La nostra era una squacesco sulla panchina pescarese, Damiano ha convinto il tecnico dra molto giovane con un bel mix di più esperti. Nonostante la sul campo rivelandosi uno dei protagonisti della cavalcata dalla Lega Pro alla serie B: «Quell’anno ho coronato un mio sogno, visto differenza di età abbiamo dimostrato di essere un gruppo molto coeso e credo che il segreto di questo successo sia dovuto anche che avevo sempre giocato in categorie inferiori, e quelle di una alla grande armonia che c’era tra di noi». piazza che aspettava di tornare grande. Poi abbiamo disputato Una cavalcata straordinaria per un ragazzo che ha giocato praun campionato di serie B da protagonisti, ma sul finire non siamo riusciti a entrare nei playoff per una manciata di punti disputando, ticamente in tutte le categorie fino a raggiungere quest’anno la serie A; e pensare che una volta, in una intervista, aveva confessacomunque, un campionato straordinario. Oggi siamo qui dopo to di aver pensato di voler smettere: era passato dal Castrovillari una stagione meravigliosa che ci ha però dato anche tanti dolori: al Giulianova, si era infortunato e per qualche mese era rimasto abbiamo lottato e ci siamo meritati questo grande successo, per lontano dal campo. Ha tirato fuori il carattere, è ripartito dall’Eccella squadra, le famiglie che ci sono state sempre vicine, per la città, i nostri tifosi inimitabili e per coloro che non sono più qui con noi». lenza, si è rimesso in gioco e ha continuato a coltivare il suo sogno. L’approccio con Zeman, o meglio, con i metodi di allenamento del E, a distanza di anni, guardando dove si trova ora certamente non rimpiangerà nulla delle sue scelte. boemo, per lui non è stato così difficile: «Mi sono trovato subito Fermato dal giudice sportivo e da un paio d’infortuni, Damiano benissimo con il mister. Anche perché a Celano ho avuto Modica, quest’anno non è riuscito a raggiungere quota “100” in maglia suo allievo e che ora è con lui alla Roma e sapevo che tipo di biancazzurra, ma è certo che ci riuscirà nel prossimo campionato: preparazione dovevo aspettarmi! Abbiamo corso come pazzi, ma non sapete quanta soddisfazione durante le partite nel vedere gli «Raggiungere la serie A con il Pescara per me è stato un sogno e mi piacerebbe continuare a sognare e dare ancora il mio contriavversari che arrancano e tu hai ancora tanta forza nelle gambe: buto per questa maglia». Anuna condizione necessaria per che perché il terzino aquilano tutti i calciatori di Zeman, ma non nasconde di avere un anche per noi terzini che con altro sogno: «Vorrei affrontail mister giochiamo sempre nato a L’Aquila il 9 febbraio 1983 re Ibrahimovic. Dicono che all’attacco, sempre in avanti segno zodiacale: acquario segni particolari: occhi magnetici sia immarcabile e provare a con sovrapposizioni continue». stato civile: fidanzato fermarlo potrebbe essere una Anche quest’anno ha sbaragliato ruolo: difensore grande sfida per me». la concorrenza dei suoi compahobby: a cena con gli amici gni di reparto: avrebbe dovuto automobile: Range Rover contendersi il posto con Antonio

Damiano Zanon

sogno: fermare Ibra

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iacale: segno zod no d’America ia d In ta da ingle gio e cres g a to civile: s ore tu ta s ta ri: la o ic rt s a n p i segn ruolo: dife ol: 1 G oletani b dei nap rie A lu c : y b b ho ta in se rotagonis sogno: p

Mastino abruzzese

È l’anima della difesa: con lui a guardia della porta non ce n’è per nessuno

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il mastino della difesa. L’anima, il cuore e le gambe della fascia. Che sia stata quella di destra o quella di sinistra a lui poco è importato: quello che contava era solamente scendere in campo e mostrare i denti agli avversari per difendere la porta biancazzurra. Quando lo scorso anno il Ds Delli Carri aveva messo gli occhi su questo venticinquenne barese che s’è giocato nei playoff –con l’Atletico Roma– la chance di arrivare in serie bwin, forse aveva capito che la sua sarebbe stata una scommessa vinta. Portato in riva all’Adriatico come un’alternativa al più esperto Zanon, con il passare del tempo mister Zeman lo ha ribattezzato terzino di sinistra pronto a sovrapporsi al folletto di Frattamaggiore: «Mi sono allenato con costanza e impegno: volevo ritagliarmi uno spazio e ci sono riuscito. Il mister prima e i miei compagni poi, mi hanno dato fiducia e sono stato contento di ripagarli». Antonio è cresciuto nelle giovanili del Bari, ma,

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sembra strano, la sua prima volta al San Nicola è stata proprio quest’anno in biancazzurro: «È stata una sensazione bellissima, e allo stesso tempo strana, quella di esordire nello stadio della mia città con la maglia del Pescara: ma questa maglia la sento mia e sono orgoglioso di far parte di questo gruppo; dopo tanti anni di sacrifici e lavoro, essere chiamato a giocare in una piazza così importante, ti fa sentire che tutti i tuoi sforzi stanno per essere ripagati». E dalla serie C passando per la serie B, poche settimane fa è arrivata la promozione in A che per Antonio rappresenta un obiettivo che non credeva di poter raggiungere così presto: «Più che un sogno, la voglia di raggiungere importanti palcoscenici calcistici per me era un obiettivo. È importante prefissarsi una meta e cercare di raggiungerla: io ho lavorato e continuerò a lavorare sodo per riuscire ad esprimermi sempre al meglio. Sono felice che con i miei compagni abbiamo conquistato la massima serie perché ce lo siamo meritati».


oli n g a m o 1990 imone R febbraio

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mona il 9 uario nato a Cre egno zodiacale: acq otto s olari: d segni partic ile: single stato civ nsore ruolo: dife rte nofo hobby: pia prare : da ricom automobile rsi in filosofia rea sogno: lau

Da Kant a Zeman È il filosofo del gruppo: un punto di riferimento per tutti, in campo e fuori

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nôthi seautón, conosci te stesso. A incuriosire i cronisti è un’impeccabile pronuncia greco arcaica durante una consueta intervista settimanale. Simone Romagnoli ha ventuno anni ed è l’uomo dalle mille risorse: vince un campionato di B, viene convocato in under 21 da Ferrara ed esordisce in Irlanda all’inizio di giugno, studia filosofia e per un do ut des da accademico, si diletta a imparare qualche frase in danese elargendo sintassi italiana al suo compagno di squadra Nielsen. L’etichetta del filosofo se la porta dietro con fare sbarazzino: «Per me è normale studiare», ha spiegato con la sua proverbiale semplicità. «Credo che la cultura sia importante e noi calciatori che abbiamo la fortuna di fare un lavoro che per altri è divertimento dovremmo essere degli esempi positivi. Certo che allenarsi due volte al giorno e studiare non è facile, ma è giusto farlo per cultura personale e per darsi un’opportunità dopo la fine della carriera», aveva detto Simone in un incontro con degli studenti tra gli ap-

plausi degli insegnanti e le smorfie non convinte dei ragazzi che con quella dichiarazione avevano frantumato le proprie personali fantasie alla Lucignolo. Simone inizia a giocare con la Cremonese, squadra della sua città e il Milan non può non notare centonovantatrè centimetri di pura strategia difensiva e nel 2007 sbarca a Milanello dove vince un titolo nazionale Allievi e nel 2010 una coppa Italia Primavera. Lo scorso anno per farsi le ossa il diavoletto finisce in Lega Pro alla corte di Zeman che sceglie di portarlo anche in B con il Pescara: «Mi telefonò l’estate scorsa, quando passò al Pescara e mi disse che mi voleva con lui di nuovo. Gli devo molto». Una scelta azzeccata perché con Brosco e Capuano, Simone è il muro invalicabile biancazzurro.

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Riserve D.o.c. Giovanissimi, pieni di entusiasmo, amici in campo e fuori: ecco le quattro braccia che custodiscono la porta dei padroni di casa

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ono tanto “estremi” e pochissimo “difensori”. Francesco Cattenari e Riccardo Ragni sono i due giovanissimi portieri dei biancazzurri alla corte di mister Zdenek Zeman. E si sa, con il 4-3-3 del boemo i portieri sono chiamati continuamente all’azione fuori dall’area di porta e se non hai i piedi buoni e la capacità di reazione di una pantera devi cambiare mestiere. Entrambi abruzzesi, Ragni di Tortoreto e Cattenari di Roccavivi, un paesino tra Balsorano e Avezzano, sono cresciuti nel settore giovanile biancazzurro: i due portierini, di età, ma non di altezza, si sono ritrovati insieme a gennaio dopo la partenza di Pinsoglio per Vicenza e il ritorno in biancazzurro di spider-Ragni dal “tour fatti le ossa”. E le ossa se l’è decisamente fatte nei campi del Chieti, Ebolitana e Andria, e quest’anno, ogni volta che è stato chiamato in causa, si è fatto trovare pronto e non ha fatto rimpiangere Luca Anania. La sua trasferta a Cittadella era iniziata come tutte le altre trasferte: rifinitura al Poggio, pranzo insieme e poi partenza per il Veneto. E, a dire il vero, non avrebbe mai immaginato che avrebbe esordito in B proprio quel sabato: «Ho sognato a occhi aperti l’esordio, ma all’improvviso sono stato catapultato in campo per un piccolo infortunio di Luca. All’inizio ho capito ben poco di quello che stava accadendo, poi Luca all’orecchio mi ha detto: vai Riccà, stai tranquillo e sereno! E io sono entrato carico perché volevo contribuire al mio meglio. Ma per un attimo mi sono girato a vedere se stessi sognando o e stesse succedendo realmente, un’emozione enorme». E questo era solo il suo esordio lontano dall’Adriatico. L’esordio casalingo non si è fatto attendere, ma è stato uno dei più difficili: Pescara vs Torino e ci si gioca il primo posto. «Luca era squalificato, quindi o io o Francesco (Cattenari) dovevamo

Francesco Cattenari nato a Sora (FR) il 17 gennaio 1990 segno zodiacale: capricorno segni particolari: inspiegabile accento toscano stato civile: single ruolo: portiere hobby: musica numero: 57 esordio in B: stagione 2011/2012

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scendere in campo: davanti a oltre ventimila persone, davanti a una delle squadre più blasonate e forti del nostro campionato… ci giocavamo il primo posto. Credo che questa sia stata l’esperienza più bella e incredibile della mia vita». Dunque con il Torino era sceso lui in campo, ma in settimana il ballottaggio era l’argomento anche dei media locali e nazionali: «C’eravamo preparati entrambi con grande impegno», spiega Cattenari, «era “la partita”, quella che vale una stagione: entrambi l’avremmo voluta giocare, ma entrambi facevamo il tifo per l’altro: siamo diventati grandi amici fuori dal campo e anche in campo tra di noi c’è uno splendido rapporto, corretto e con la giusta competizione e qualunque fosse stata la scelta del mister l’avremmo vissuta con serenità». Con il fiato sospeso fino a qualche minuto prima di scendere in campo per il riscaldamento: «Sì, il mister ti diceva la formazione solo dopo aver fatto ricognizione sul campo, ma vi assicuro che né io né Riccardo siamo riusciti a prender sonno la notte precedente!». Francesco ha iniziato tardi con il calcio, a 11 anni nella vicina Avezzano dove è stato avvistato dai talent scout pescaresi e dal 2004 è arrivato in biancazzurro dove ha fatto tutta la trafila nel settore giovanile con una parentesi a Cecina per poi approdare in prima squadra come terzo portiere. Nonostante la differenza di età hanno legato molto anche con Anania che li ha presi sotto la sua ala protettrice: «Abbiamo stretto un forte legame soprattutto dopo la morte del nostro mister Franco Mancini. È a lui che abbiamo dedicato ogni nostro momento e la vittoria di questo splendido campionato. Ci manca, ma è sempre con noi».

Riccardo Ragni nato a San Benedetto del Tronto (AP) il 23 giugno 1991 segno zodiacale: cancro segni particolari: taciturno numero: 1 soprannome: Spider ruolo: portiere hobby: stare con gli amici esordio in B: col Cittadella, 10 marzo


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Che musica a Pescara Uno viene dal Brasile, l’altro dalla Costa d’Avorio. E in campo fanno ballare gli avversari

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l ritmo ce l’hanno nel sangue: uno brasiliano, l’altro della Costa d’Avorio, ma entrambi metronomi del centrocampo biancazzurro. Moussa Kone e Romulo Eugenio Togni sono stati le scommesse/certezze di questo strabiliante campionato targato PescarA. Con la A maiuscola. Giovane, ma già con presenze nella nazionale maggiore del suo Paese, Moussa cresce, calcisticamente parlando, nelle giovanili dell’Atalanta (lo tradisce anche il suo perfetto accento bergamasco!). Lo scorso anno Zeman era rimasto impressionato dalla gazzella classe ‘90 e lo aveva portato con sé a Foggia come punto fermo della linea mediana pugliese e si regala anche quattro reti prima di ripartire con la Dea per il ritiro estivo. Ma il tecnico ceco ha riconfermato Moussa tra i suoi 24 calciatori e l’ha portato di nuovo in riva all’Adriatico: «Sono una mezzala che gioca indifferentemente a destra o a sinistra, mi ispiro a Yaya Tourè del Manchester City, ma mi piacciono molto anche Montolivo e Cigarini». Il momento più bello della sua carriera forse è stato il gol di tacco contro Israele lo scorso agosto, ma il momento più emozionante è stato conquistare la serie A sullo caldo campo della Sampdoria: «Un’emozione incredibile. Abbiamo sognato questo risultato per tanti mesi. Abbiamo inseguito il sogno e lo abbiamo conquistato con merito. Quando sono arrivato a Pescara conoscevo alcuni ragazzi perché avevamo giocato insieme a Foggia (Insigne e Romagnoli), altri come avversari: ma la prima sensazione che ho avuto quando siamo scesi in campo è stata che avremmo vinto

Romulo Togni nato a Porto Alegre (BRA) il 9 settembre 1982 segno zodiacale: vergine segni particolari: silenzioso e pensoso stato civile: sposato ruolo: centrocampista hobby: architettura automobile: BMW Coupé

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perché tra di noi c’è stata subito sintonia». E poi la festa… «Un grazie a tutta Pescara che ci ha accolto in un grandissimo abbraccio, quello che hanno fatto non l’ho visto in nessun altro luogo: dei tifosi fantastici!». All’espansivo Kone si contrappone un più introverso Togni: occhi chiari come il mare del suo Brasile, ma dal carattere riservato, caratteristica atipica per un carioca. «Stare a Pescara mi piace. Mi ricorda Porto Alegre, la mia città. Il mare, il calore delle persone, la tranquillità, sono qualità che mi hanno fatto appassionare a questa città». Anche Romulo, che ha fatto della gavetta calcistica la sua fortuna, non avrebbe mai immaginato di poter raggiungere un simile obiettivo: «Ho iniziato a giocare a calcio per strada, come tanti bambini del mio Paese e poi nelle squadre cittadine; poi un giorno c’è stata la possibilità di venire in Italia e l’ho presa al volo. Tanti anni nelle serie inferiori, poi è arrivata la chiamata del Pescara e per me è stata una grande opportunità. Non ho avuto alcun dubbio nel vestire la casacca biancazzurra, sapevo che avrei preso un treno importante perché ho seguito la rinascita del Delfino e sapevo quale club importante fosse e a quanta ambizione ci fosse in una piazza che voleva tornare ad alti livelli; sin dai primi giorni di allenamento con mister Zeman ho sempre detto che questa squadra aveva qualcosa di speciale, che quando giochiamo lo facciamo con spensieratezza, ma con impegno. Avevamo qualcosa in più delle altre e lo abbiamo dimostrato. Una gioia immensa per tutti noi che ci abbiamo messo i piedi, la testa, il cuore e l’anima».

Moussa Kone nato a Anyama (CDA) il 12 febbraio 1990 segno zodiacale: acquario segni particolari: accento bergamasco numero: 23 stato civile: fidanzato ruolo: centrocampista hobby: musica Gol: 3


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Attenti a quei 2 I due giovani difensori hanno avuto poche occasioni per mettere in mostra tutti gli insegnamenti ricevuti dal tecnico Zeman. Ma sono pronti.

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arco Martin e Marco Perrotta, al di là del nome di battesimo e di essere compagni di reparto, non sembrano aver nulla in comune. Eppure, loro malgrado, sono legati da un filo sottile, dallo sliding door delle opportunità e da un pizzico di sfortuna. Marco Perrotta è un giovanissimo, classe 1994 che ha colpito mister Zeman per la grande determinazione e le doti tecniche, seppure da affinare vista la poca esperienza. Sin dal ritiro estivo di San Martino al Cimino il tecnico ha aggregato Perrotta al gruppo facendogli assaporare tutta la fatica della preparazione tanto temuta dai discepoli del boemo. Difensore nativo di Campodipietra, poco lontano da Campobasso, è finito sulle maggiori testate nazionali perché conteso da diversi club di prima fascia:“Ogni tanto il mio procuratore mi dice qualcosa, ma non mi vuole far montare la testa e alcune volte leggo il mio nome sui giornali: fa piacere l’interessamento di squadre importanti, ma io rimango con i piedi per terra perché non ho ancora fatto niente”.Già, non ha fatto niente, è il caso di dire: Perrottino, come lo chiamano i suoi compagni di squadra più grandi, avrebbe avuto l’occasione di esordire i primi di ottobre all’Adriatico contro l’Albinoleffe visto che infortuni e squalifiche avevano decimato il reparto difensivo biancazzurro. Il caso ha voluto che Marco subisse qualche giorno prima della gara un grave infortunio che lo ha tenuto lontano dal terreno di gioco per oltre quattro mesi. Sono i casi della vita e a giocare per 270 minuti consecutivi è stato l’altro giovanissimo difensore centrale Loris Bacchetti che grazie a quell’infortunio di Perrotta ha potuto dare

Mario Perrotta nato a Campodipietra (CB) il 14 febbraio 1994 segno zodiacale: acquario segni particolari: tackle micidiale ruolo: difensore centrale numero: 28 hobby: la musica

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il proprio contributo e mettersi in mostra:“Mi è dispiaciuto non esordire, ma fortunatamente sono uscito alla grande dall’infortunio e poi ho ancora tanto tempo davanti. Anche se non ho giocato mi sono sentito parte integrante di questo gruppo e la vittoria del campionato la sento anche mia anche perché alla fine una decina di panchine il mister me le ha fatte fare e quindi a tutti gli effetti la conquista della serie A è anche opera mia”. Capitolo a parte per Marco Martin, venticinquenne di Pordenone che è arrivato in Abruzzo nel mercato di “riparazione di gennaio”. “Giocavo in Lega Pro con il Sud Tirol, squadra allenata da Giovanni Stroppa, neo allenatore biancazzurro: il Pescara mi teneva d’occhio già da un po’ di tempo e quando mi hanno proposto di giocare in B con il Pescara non mi è sembrato vero: un sogno che si realizzava. Ero entusiasta della squadra che avevo avuto modo di vedere all’opera e che giocava un calcio splendido e pimpante, poi avevo proprio voglia di conoscere mister Zeman di cui avevo sempre sentito parlare, ma che non avevo mai incontrato: quello che vedevo in televisione era un’immagine diversa da quel mister che abbiamo conosciuto noi, simpatico e affabile, una grande persona”.Arrivato a Pescara per dare respiro alle fasce, anche Martin ha dovuto soccombere all’inaspettato: dopo il suo esordio contro la Juve Stabia, inizia ad avere problemi al ginocchio fino a operarsi alla fine di marzo:“Stavo bene, avevo voglia di mettermi in gioco e invece ho dovuto fermarmi: sono comunque contento che i miei compagni hanno dato tutto il meglio di loro stessi e abbiamo vinto un campionato tra mille difficoltà. Spero di potermi giocare una possibilità nel prossimo campionato”.

Marco Martin nato a Pordenone il 25 dicembre 1987 segno zodiacale: capricorno segni particolari: occhiali alla Clark Kent ruolo: terzino sinistro numero: 24 hobby: la lettura


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Andrea G nato a Mil

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ano (MI) il 1 segno zod 3 gennaio 1980 iac segni partic ale: capricorno olari: equ stato civile ilibrato ruolo: cen : sposato troc hobby: arc ampista h automobile itettura : Fiat 500 G portafortun a: il nume ol: 2 ro 20

Un surfista sull’erba L’architetto che gioca a calcio e per hobby cavalca le onde. Anche quelle del successo

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e non avesse fatto il calciatore sarebbe stato certamente un architetto o un interior designer. Posato, “quello che sa parlare bene” come dicono i suoi compagni, è uno dei giocatori più amati del Delfino. Punto fermo del Pescara del 4-4-2 delle ultime due stagioni, Andrea Gessa ha trovato meno spazio di quanto avrebbe voluto nelle trame di gioco di Zeman, ma con professionalità e dedizione si è messo a disposizione del mister e dei compagni facendosi trovare sempre pronto: «Ho fatto molti sacrifici con la mia famiglia per coltivare questo sogno; quando ero piccolo facevo il pendolare, prendevo 3 treni e rientravo a casa distrutto. Studiavo in treno, ma il più delle volte crollavo». Dopo la Serie A sfiorata con il Grosseto arriva a Pescara in Prima Divisione scommettendo su se stesso: «Quando sono arrivato avevo detto che Pescara è una piazza destinata ad arrivare al successo, con un passato glorioso ed un pubblico

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eccezionale: non mi sbagliavo di una virgola». Nonostante a inizio anno fosse tentato dalle sirene della serie A, Andrea ha voluto continuare la sua avventura a Pescara, città che lo ha accolto con calore e che lo ha incoronato quale modello da seguire: non è un segreto che Gessa, insieme alla sua famiglia e coinvolgendo anche i compagni di squadra, si dedichi alla beneficenza. Un gol contro il Sassuolo, 1333 minuti giocati, e sempre punto di riferimento di questa squadra insieme ai più “anziani” del gruppo: «All’inizio di quest’anno nessuno ci avrebbe mai scommesso che saremmo riusciti in questa impresa. Eppure adesso siamo qui a festeggiare la conquista di questo meraviglioso traguardo»… e Gessa si lascia andare a un balletto stile surfer sul rullo bagagli dell’aeroporto e, come un vero leader, tutti sono pronti a seguirlo!


Antonio Bocchetti nato a Napoli (NA) l’11 giugno 1980 segno zodiacale: gemelli segni particolari: saggezza stato civile: sposato ruolo: difensore hobby: la famiglia automobile: Range Rover sogno: la serie A a Pescara

Je so’ ‘o Pazz È il “papà” di tutta la squadra. Già alla corte di Zeman a Napoli, lo ha ritrovato a Pescara. E insieme hanno creato un gruppo spettacolare

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e gli chiedete chi è Bocchetti, lui scherza e dice che il Bocchetti vero è suo cugino Salvatore, calciatore azzurro “prestato” al campionato russo. Qualcuno lo chiamava “o’ pazz”, certamente per il suo modo di essere estroverso, con un approccio alle situazioni fuori e dentro il campo in maniera spensierata, ma con raziocinio. Antonio è stato l’ultimo acquisto, in ordine di tempo, della sessione estiva del calciomercato: con lui il reparto difensivo aveva certamente acquistato di esperienza visto che sommando l’età dei tre centrali si raggiungeva a stento quota sessanta. Bocchetti ritrova il tecnico boemo dopo tanti anni: «Zeman è stato un allenatore molto importante per la mia crescita: mi ha dato la possibilità di mettermi in mostra a Napoli nel 2000 e credeva nelle mie doti di difensore centrale, anche se nel corso della mia carriera e nell’ultima parte di questo campionato con il Pescara ho sempre giocato terzino». L’equilibrio di questo splendido gruppo si deve anche a lui che

è stato il vero collante, il trait d’union tra gli uomini esperti e i giovani; un vero uomo spogliatoio che ha saputo mettere a disposizione di tutti la propria esperienza di vita e calcistica. Qualche acciacco lo aveva tenuto fuori dal campo, ma si è sempre allenato con spirito di abnegazione attendendo il suo momento: Zeman ha chiamato e lui non ha deluso. La promozione era il suo sogno perché non aveva mai vinto il campionato di serie B. «In un mese è capitato di tutto. La morte di Mancio, poi la tragedia di Morosini. È stata davvero dura, ma abbiamo avuto la forza di andare avanti. Abbiamo dato prova che stavamo bene e abbiamo preparato un bel finale di campionato. Il segreto è stato non mollare mentalmente e affrontare ogni squadra mantenendo i piedi per terra senza sottovalutare mai l’avversario. Sono felice per questo grande risultato perché era il desiderio di tutti raggiungere la serie A: ci abbiamo creduto e abbiamo lottato tutti insieme».

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Il gigante in difesa

Un metro e novanta di passione calcistica. E nel suo futuro vede solo il Pescara

È

stato l’ultimo acquisto della campagna estiva del calciomercato. Avrà tirato un sospiro di sollievo pensando che i suoi compagni si erano consumati le suole delle scarpe a forza di ripetute sui mille metri e sui gradoni del centro sportivo. Riccardo Brosco, difensore di oltre un metro e novanta, però, non se l’è del tutto scampata visto che al suo arrivo mister Zeman l’ha buttato subito nella mischia per fargli recuperare il tempo perduto. Sei anni nel settore giovanile della Roma con qualche panchina in prima squadra, poi due anni a Trieste per vestire la maglia alabardata fino ad approdare a Parma in comproprietà con il Pescara per giocarsi questa chance nel parco giochi del bel calcio. Il gigante buono e taciturno della difesa biancazzurra ha trascorso le sue partite sul filo millimetrico del fuorigioco

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avversario, facendo l’equilibrista su una linea immaginaria insieme ai suoi compagni di reparto Capuano e Romagnoli con i quali si contendeva settimanalmente il posto: «In passato ero abituato a giocare in un altro modo –ha raccontato in una sua intervista–. Zeman vuole che noi difensori stiamo sempre molto alti per lasciare in fuorigioco gli attaccanti: a volte stiamo talmente avanzati che lasciamo dietro pure i due di centrocampo, ma con il passare del tempo capisci i meccanismi e tutto diventa più semplice». Nelle due ultime gare, quelle per così dire decisive, è stato schierato da mister Zeman e Riccardo ha ripagato la fiducia del tecnico con delle prestazioni eccellenti: «Sono felice per noi, per la città, per i tifosi –aveva detto nel post Samp–. Ora non vedo l’ora di prendere l’aereo e tornare a Pescara per festeggiare tutti insieme. Il futuro? È con questa maglia».


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Semplicità ed eleganza Si è fatto trovare pronto al momento giusto e non ha deluso le aspettative

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i dice che nulla succeda mai a caso. Loris Bacchetti, difensore diciannovenne guardiese doc cresciuto nelle giovanili biancazzurre deve, però, al caso il suo esordio in B con parole di elogio di mister Zeman e degli addetti ai lavori. La storia è semplice quanto incredibile: tra squalifiche e infortuni mister Zeman deve fare i conti con le defezioni dei suoi centrali difensivi. Capuano, Romagnoli e Bocchetti avevano dato forfait; unici a disposizione Brosco e Perrotta, quest’ultimo fresco di campionato Allievi, 18 anni e candidato naturale al subentro. Per una combinazione di fattori infausti, Perrotta in uno degli ultimi allenamenti prima della gara contro l’Albinoleffe subisce un infortunio grave, lasciando al mister pochi dubbi sull’impiego di Loris. Trecento minuti consecutivi e sette punti in classifica il bottino per uno dei giovani più inte-

ressanti del panorama italiano, che sfoggia inconsapevolmente una semplicità disarmante davanti ai cronisti quando nel suo primo post gara da protagonista dedica la vittoria al suo amico Marco Perrotta e alla sua famiglia: «All’esordio era più agitato mio padre che io», confida. Per lui, dopo la promozione in serie A del Pescara, è arrivata anche la convocazione in under 20 agli ordini di Gigi Di Biagio: «Un’emozione unica, cercherò di sfruttare al meglio questa occasione». Lui che ha scelto il 33 come numero di maglia, un po’ perché “faceva molto” Thiago Silva, calciatore cui si ispira, sogna un futuro da protagonista nel calcio, ma intanto continua a studiare e a tenere i piedi per terra: «Quello che mi è successo quest’anno è un punto di partenza e non di arrivo. Cercherò sempre di dare il massimo per conquistarmi un posto».

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Core biancazzurro L’autore dei due gol di Genova: nato nella Roma e cresciuto col Pescara

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i pupone, lo sappiamo tutti, ce n’è solo uno; ma al di là dei troppo facili accostamenti, il giovanissimo Gianluca Caprari, classe 1993 e romano de Roma, ha impressionato per la sua determinazione e grinta mostrata in campo. Doti nascoste e inaspettate per un ragazzino apparentemente timido fuori dal rettangolo verde, ma certamente apprezzate dai tifosi ai quali il numero 16 biancazzurro ha consegnato la massima serie. Standing ovation per lui nella gara contro la Sampdoria per aver messo a segno due perle preziose incastonate in un’annata da sfoggiare con orgoglio: «Sono contento per la squadra e per il mister e anche per me che ho segnato due gol importantissimi per questo Pescara. Ce lo meritiamo. Ne abbiamo passate tante e ora è giusto festeggiare». Caratterialmente parlando una sorpresa,

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tatticamente una certezza per il settore tecnico biancazzurro che volle portare Gianluca a Pescara a tutti i costi nel mercato invernale. Quando arrivò a gennaio, durante la presentazione alla stampa, con un filo di voce aveva dichiarato «Io nella serie A ci credo: sono venuto a Pescara perché voglio dare il mio contributo per far tornare questo club nella massima serie», una dichiarazione audace per un poco più che diciannovenne che era stato catapultato nella nuova realtà carico di aspettative, ma mai caricato di responsabilità. E ora il suo futuro è certamente in serie A: diviso tra Pescara e Roma, il club del presidente Sebastiani farà di tutto per tenere il baby dai piedi d’oro in riva all’Adriatico. «Per ora mi godo questo splendido traguardo, poi al mio futuro ci penseremo».


Danilo So

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Il romano volante I

l calcio lo ha portato via da casa a 14 anni per coronare un sogno di bambino, quando per le strade del quartiere di San Basilio tirava calci a un pallone e pensava che sarebbe diventato un campione. Lascia Roma, la sua mamma, la sua famiglia e finisce in Liguria per indossare la maglia della Sampdoria: «Ho fatto tanti sacrifici così come la mia famiglia e sono felice di essermi regalato un sogno». Alla seconda promozione con il Pescara, Danilo Soddimo nel giorno della festa davanti a tutta la città scherza sul palco in piazza Salotto sul suo impiego con il contagocce: «Sono stato più un tifoso che un giocatore quest’anno, ma sono felice di aver giocato e sofferto per questa maglia» e intona un coro da stadio e i

Il suo gol col Vicenza ha spianato la strada alla vittoria del campionato centomila supporter biancazzurri lo seguono accompagnandolo con la voce e con le mani. Generoso e tatuato come pochi, un cuore grande e tanta voglia di scendere in campo, Danilo ha cercato in tutti i modi di conquistare un posto nell’undici di Zeman e, nonostante il suo poco utilizzo in questa stagione, il tecnico boemo ha sempre mostrato interesse per le sue qualità che spesso sono rimaste inespresse, ma non è mai mancato il suo impegno in allenamento e si è fatto trovare pronto quando è stato chiamato a combattere: splendido il suo gol contro il Vicenza che ha regalato ai biancazzurri un punto prezioso in un momento della stagione dove il Toro sembrava dover prendere il volo.

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Tutti gli uomini del p Non hanno il numero sulla maglia, ma sono sicuramente una squadra affiatata. Il Pescara ha raggiunto il traguardo desiderato anche grazie a questa formazione che gioca dietro le quinte

• Nella foto il tecnico Zdenek Zeman con i suoi collaboratori, in piedi da sinistra: Francesco Zulli, Ernesto Sabatini, Vincenzo Salini, Roberto Ferola, Franco Mancini, Vincenzo Cangelosi, Vincenzo Zucchini, Beniamino Flacco, Claudio D’Arcangelo.

Lo staff tecnico

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incenzo Cangelosi è stato suo portiere a Palermo, il suo secondo portiere. Zeman lo ha visto sempre seduto vicino a lui in panchina e gli è sembrato quasi naturale trovarselo di nuovo accanto anche come allenatore in seconda. Taciturno, preferisce il fare al dire; ha sempre un sorriso per tutti e quando Franco Mancini, portiere di Zemanlandia prima e preparatore dei portieri poi, ha lasciato tutti all’improvviso in un pomeriggio di marzo, la vita non ha tolto a Vincenzo un amico, ma lo ha privato dell’amore di un fratello. Franco lo chiamavano “Orso” per i suoi modi un po’ burberi, ma era l’uomo più buono al mondo, generoso, che amava la sua famiglia e suonare la batteria sulle note di Bob Marley. Con i capelli lunghi rendeva di più come musicista, ma l’essere diventato un collaboratore tecnico di Zeman imponeva anche un “taglio” con il passato, con i riccioloni che sfoggiava in porta. Roberto Ferola è il preparatore atletico, lo specialista del recupero degli atleti infortunati: grazie a Dio quest’anno ha dovuto rimettere in sesto roba di poco conto perché a parte un paio di casi “pesanti”, il resto per lui è stata ordinaria amministrazione. Amante del 2.0, è l’uomo tecnologico del gruppo. I tre moschettieri, i tre di Zeman, 3 is the magic number: purtroppo per loro e per tanti altri, nulla sarà più come

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prima dopo la morte di Mancini, ma una cosa è certa, ogni vittoria e ogni gioia d’ora in poi sarà dedicata solo e soltanto a lui. A proposito di ordinaria amministrazione degli infortuni: merito del fantastico stato di salute dei biancazzurri è anche dello staff sanitario guidato dal professor Vincenzo Salini, responsabile dell’area medica e primario di Ortopedia dell’Ospedale clinicizzato di Chieti. Dell’equipe biancazzurra fanno parte i medici sociali Ernesto Sabatini, Andrea Natale e Beniamino Flacco, il fisioterapista Claudio D’Arcangelo e il massaggiatore Francesco Zulli che sono stati, come ogni anno, il valore aggiunto per i calciatori. Prevenzione, rapidità nelle scelte, negli esami, nelle diagnosi e nelle cure hanno fatto sì che il lavoro dello staff medico rendesse la vita più semplice allo staff tecnico consegnando quotidianamente al campo giocatori in forma. Una menzione particolare poi, al team manager Vincenzo Zucchini: storica bandiera del Pescara degli anni ‘70 e oggi dirigente biancazzurro. Figura d’unione tra il campo e la società, Vincenzo è una persona dalle qualità umane e professionali eccezionali, sempre pronto a dare una mano agli altri. Come ha detto un giorno qualcuno, Zucchini è il capitano dei capitani.


l presidente

• Nella foto in piedi da sinistra: Zdenek Zeman, Vincenzo Zucchini, Francesco Zulli, Luigi Gramenzi, Roberto Ferola, Vincenzo Cangelosi, il presidente Daniele Sebastiani, Vincenzo Salini, Ernesto Sabatini, Gabriele Colantonio, Beniamino Flacco, Francesco Troiano, Federica Rogato, Mimmo Ventura, Claudio D’Arcangelo, Andrea Marco Natale, Luciano Palombi.

Lo staff amministrativo

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i dice che dietro a un grande uomo ci sia una grande donna. Ma dietro a tanti uomini, nella fattispecie calciatori, ci sono tantissime persone che nell’ombra operano affinché la macchina organizzativa vada avanti per il meglio. Dipendenti, collaboratori, consulenti, volontari, tutti proiettati verso un unico obiettivo: fare in modo che il meccanismo complicato di una società calcistica abbia gli ingranaggi tutti funzionanti e al proprio posto per andare avanti con la precisione dei proverbiali orologi svizzeri per contribuire alla realizzazione di quello che per il Pescara è stato un vero e proprio sogno che si è realizzato. Dietro le quinte del Pescara c’è una sede che vive “tutto il calcio biancazzurro minuto per minuto”: lo storico segretario, Luigi Gramenzi, meglio conosciuto come Gigi, che da vent’anni cerca di far quadrare i conti e, nei periodi più bui della storia del delfino ci ha spesso “messo la faccia”; poi c’è Federica Rogato dell’ufficio stampa biancazzurro che conosce vite, calci e miracoli di tutti i tesserati, Francesco Troiano dell’ufficio biglietteria che ha stampati nella sua mente tutti i posti e i settori dell’Adriatico; Mimmo Ventura del settore Logistica che riesce a trovare il miglior albergo a prezzi vantaggiosissi-

mi anche nel posto più sperduto della terra. Trait d’union tra il settore giovanile e prima squadra il segretario sportivo Paolo D’Ercole, Paola Maturo che riesce a rispondere con cortesia anche a tre telefoni contemporaneamente, l’amministratrice Elena Di Stefano che, sebbene solo da qualche mese, si è ben inserita nei ritmi incalzanti dell’azienda. Gli operativi, le braccia della società, sono loro, ma sono tanti ancora quelli che non vanno dimenticati: se per alcuni gli scatti sono quelli da 100 metri, a noi, invece, viene subito in mente Massimo Mucciante che, con i suoi scatti, ha immortalato i momenti più esaltanti della nostra stagione; la Gsport, la concessionaria pubblicitaria che tramite il responsabile Alessandro Talamoni, cura la parte commerciale delle partnership e sponsorizzazioni.; da quarant’anni, ad attendere i direttori di gara all’Adriatico, c’è il grande Vittorio Azzarà: tutti lo conoscono e tutti gli vogliono bene per la sua disponibilità e competenza. Vittorio pensa a dargli il benvenuto e Maurizio Scarlatto pensa, con i massaggi, ai loro muscoli. E poi i magazzinieri, Fernando De Amicis, Luciano Palombi, Gabriele Colantonio e Andrea Blasioli che seguono come angeli custodi la squadra per tutta Italia. Ultime solo per caso, Catia Crocetta e Valentina Fortunato: sono le regine dell’Official Store del Pescara.

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Danilo Iannascoli

Una vita da tifoso

Il calcio è nel Dna della sua famiglia: il padre Valter, dirigente e gestore dello stadio; lo zio Giancarlo giornalista sportivo. Lui stesso speaker del Pescara fin dai tempi della prima promozione

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n famiglia mangiavamo pane e calcio: mio padre Valter è stato proprietario della Virtus Pescara (che ha sfornato giocatori di livello come Bruno Pace) e mio zio Giancarlo era cronista sportivo per il Corriere dello Sport. Con loro ho cominciato a seguire il Pescara, era l’anno di Tom Rosati. Da allora non ho mai perso una partita». E poi hai cominciato tu a fare il cronista. «Iniziai nella stagione 1972-73, l’anno dello schiaffo a Cozzella. In quell’anno ricevetti un rimprovero da Tom Rosati perchè all’ultima partita in casa, a un quarto d’ora dalla fine dell’incontro, avevo annunciato per radio il risultato della squadra che competeva con noi per il titolo. Cosa che oggi non accadrebbe, i risultati vengono annunciati in diretta. Ma era un calcio diverso: c’era il “turismo sportivo”, le trasferte erano occasioni per gite fuori porta con gli amici o con la famiglia; in quelle più sentite, come con l’Ascoli o la Sambenedettese, capitava che qualcuno si azzuffasse, ma al massimo volava qualche insulto. Poi il proliferare di episodi di violenza ha cambiato le cose, allontanando molte famiglie dagli stadi: un danno enorme per lo sport e per il calcio. Del resto abbiamo visto tutti, quest’anno, come sia bello uno stadio pieno di ragazzi». Perchè il calcio è sì uno sport, ma è soprattutto spettacolo… «Sì, insegna la vita. Da ragazzo il primo insegnamento fuori dalla famiglia te lo dà lo sport. E spesso, con certi ragazzi un po’ difficili, lo sport ottiene risultati migliori della scuola». Questa con Zeman è la quinta promozione che vivi in prima persona. Cosa ricordi delle altre? «Quella di Cadé fu fantastica. Ricordo tutti gli stadi dove sono stato. La promozione giunse al Dall’Ara col Bologna, ricordo bene quando scendemmo tutti in campo, fu un’emozione bellissima, c’era tutta Pescara. Altrettanto bella fu la promozione in casa col Parma con Galeone. Quella con Angelillo, invece, la ricordo con meno entusiasmo, forse anche perchè l’anno dopo, in Serie A, non fu una stagione particolarmente brillante. Questa con Zeman è per me la più importante, la metto senz’altro al primo posto. Ho dato tutto sia da tifoso che da dirigente per raggiungere quest’obiettivo». Anche perchè non era scontato che arrivasse.

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«Io però ci ho creduto fin dall’inizio. E dopo i primi due mesi ne ero convinto, ho capito che per le altre non c’era storia». E ha contato molto anche il clima che si è ricreato, la sintonia tra società, squadra e città… «Al mio ingresso in società sentivo che la città ci era riconoscente per quel che stavamo facendo, ma mancava qualcosa. Quando poi il gruppo ha vissuto momenti difficili abbiamo fatto quadrato, ci siamo compattati in maniera incredibile. E la città l’ha apprezzato. Farci rappresentare da Daniele è stata la scelta migliore. In questo gruppo non esistono singoli individui, non c’è un “patron”, siamo tutti amici e ci si aiuta a vicenda». Guardiamo al futuro. Che si deve fare per restare in serie A? «L’uscita di scena di Zeman non può mettere in crisi l’intero progetto, che va avanti; abbiamo bisogno di un mister che voglia farne parte, che esprima un bel gioco offensivo, e di puntare su giovani di qualità». Che possono garantire spettacolo senza spese folli. «In questo momento di crisi è impensabile fare la serie A con un budget ricchissimo. Per questo è importante puntare su giovani affamati di occasioni, che abbiano voglia di raggiungere determinati obiettivi. Per farlo devi però avere una struttura importante a livello tecnico, e in questo ci aiuta tanto avere come DS Daniele Delli Carri, un giovane che conosce il calcio, preparato e umile. Comunque vada, le nostre scelte saranno sempre improntate al bene della squadra. La città sa che siamo tutti pescaresi e che siamo tifosi, prima di essere dirigenti». Raggiunta la Serie A da dirigente, qual’è ora il sogno sportivo che hai nel cassetto? «Sono uno sportivo ed il mio sogno è poter contribuire per riportare nell’elite dello sport anche le altre discipline, penso soprattutto al basket, alla pallanuoto ed alla pallavolo. Ho già una Polisportiva “in stile Barcellona” che è già presente nel calcio, nel calcio a 5, nel ciclismo, nel triathlon e nel pattinaggio; oggi con la carenza degli impianti e con la situazione economica mondiale solo insieme, cercando di ottimizzare costi e gestione si può cercare di ottenere risultati altrimenti impossibili. Ce la farò?»


Alessandro Acciavatti

Passione biancazzurra Da Loreto a Pescara, dall’edilizia al calcio, sempre con grande impegno. E con il sogno di restituire ai bambini la bellezza dello sport

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ono cresciuto in una famiglia che ha sempre avuto a che fare col calcio: mio zio Manfredo è stato giocatore, poi dirigente e infine presidente del Lauretum Calcio, e molti miei familiari hanno avuto ruoli in società anche come giocatori. La mia passione è nata alla fine degli anni ’70, da ragazzino, a Pescara. E quando qualche anno fa si cominciò a paventare l’ipotesi del fallimento, fui tra i primi ad essere contattato da Daniele Sebastiani, al quale ero già legato da rapporti di amicizia e di lavoro». Per uno che come te è cresciuto col calcio che emozione dà essere dirigente del Pescara? «È emozionante ma anche molto impegnativo; la società è un’azienda, che nel fine settimana si trasforma in passione sportiva. E poi sono sempre stato convinto della necessità che la classe imprenditoriale faccia qualcosa per la propria città. Devo dire che quando sono entrato in società credevo che il mio impegno, anche in termini di tempo, sarebbe stato più leggero; invece, spinto dalla passione che è cresciuta con i primi risultati raggiunti, mi ci sono buttato anima e corpo, e oggi metà della mia giornata di lavoro è dedicata alla Pescara calcio. E il weekend è tutto per il Pescara. Non siamo solo i finanziatori di questo progetto, ne siamo parti attive». La più grande soddisfazione? «Quando abbiamo vinto i playoff col Verona: un mese estenuante ripagato da un risultato clamoroso, anche per la caratura della squadra avversaria: vincere col Verona non è cosa da poco. La seconda è senz’altro la conquista della serie A, un ambiente di cui ho avuto un assaggio osservando lo stadio Marassi durante la trasferta di Genova, e che ora vivrò da dirigente. Infine anche il rapporto con i ragazzi della squadra e col Mister, persone serissime con tanta voglia di giocare». E con la città. «La città sente che siamo diversi rispetto ai dirigenti del passato, sempre in qualche modo “altri” rispetto all’ambiente. Noi siamo pescaresi e tifosi del Pescara, e vogliamo fare il bene della squadra». Infatti allo stadio non si sono visti solo i tifosi più irriducibili, ma anche nuovi appassionati con le famiglie… «Questa è un’altra soddisfazione: aver riportato allo stadio tan-

te famiglie e tanti bambini. In particolare bambini, quest’anno ce n’erano tantissimi: segno che il bel gioco, il calcio sano, può far parte dell’educazione. Credo che la gente debba riappropriarsi dello stadio, e fidelizzare queste persone è uno dei nostri obiettivi. Che portiamo avanti anche con le scuole calcio, che costituiscono il futuro della squadra e del calcio in generale: oggi del Pescara parlano tutti perché abbiamo espresso un bel gioco, il migliore in Italia di questa stagione; ma il calcio, senza un buon vivaio, non va avanti. Bisogna riconsegnare ai bambini la passione del calcio, quella stessa che avevamo noi quando giocavamo nel “campetto” sotto casa». Dalle scuole calcio sono usciti anche Verratti, Perrotta, Bacchetti e Capuano… «È la dimostrazione che se si lavora bene sul vivaio, sulle giovanili, la squadra può raggiungere ottimi risultati. È un concetto poco usato nel calcio di oggi, dove le grandi socieetà sono tali se hanno tanti soldi da investire sui campioni stranieri. Ma sono convinto che invece il calcio dovrebbe ridimensionarsi, tornare a una dimensione più “stracittadina”. Quando abbiamo costituito la società nelle scuole calcio pescaresi c’erano pochissimi iscritti, oggi ne abbiamo centinaia in ognuna». Tra i grandi nomi del campionato ce n’è uno che vorresti vedere a Pescara? «Più che di grandi nomi una squadra è fatta di grandi giocatori, e noi ne abbiamo tantissimi. La vera forza di questa squadra è il gruppo, e la forza di questa società è nel gruppo. Mi piacciono i giocatori che sul campo si impegnano con professionalità, come noi facciamo in società, e mi piacciono le società solide come il Chievo o l’Udinese, che quando raggiungono un risultato non fanno proclami. Il merito è di tutti». Chi ringrazi per quest’avventura? Senz’altro mio padre Rolando, che ho perso a soli 14 anni, e quindi la mia famiglia: mia madre Adua Maria, i miei fratelli Tamara, Giancarlo e Caterina. Mia moglie Alessandra che mi “sopporta” e mi “supporta” e i miei tre brillanti Rolando, futuro campione, Francesca, che gioia, e Riccardo, il “kikino” per tutti. Senza dimenticare mio zio Manfredo che mi ha permesso di percorrere questa avventura da vero sportivo che è».

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Gianni Pagliarone

In campo a testa alta Il vice presidente del Pescara traccia il bilancio di un’annata favolosa. E guarda al futuro con ottimismo e fiducia nella compattezza della società

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portivo lo è sempre stato: i suoi trascorsi da atleta nel nuoto e nella pallanuoto si sommano alle esperienze come tennista e alla passione per il calcio. «Il calcio è stato, pur se non a livello agonistico, una costante della mia vita. Mi ha sempre accompagnato negli anni, dalla partitella con gli amici in gioventù al seguire il Pescara e qualche grande club italiano». Un’altra costante della sua vita è l’innovazione: amministratore delegato della Imar Costruzioni, società leader dell’edilizia che adotta tecniche costruttive all’avanguardia, Gianni Pagliarone è oggi vice presidente del Pescara, una società che dell’innovazione (manageriale) ha fatto una bandiera e sulla quale la stampa e i media discutono quotidianamente. «La particolarità del nostro gruppo è duplice: la suddivisione delle quote e la giovane età della gran parte dei soci (io sono il più… “anziano”), tutti provenienti dal mondo dell’impresa, ha fatto in modo che si creasse un gruppo solido con divisione equa dei ruoli e nel quale tutti ci sentiamo molto coinvolti nel perseguire una gestione sana e affidabile. Sappiamo di essere una anomalia nel panorama italiano, ma siamo stati anche oggetto di studio come modello di governance nel calcio». Rispetto al passato cosa è cambiato nel rapporto tra società e cittadinanza? «Noi soci siamo tutti pescaresi, sportivi e tifosi del Pescara da sempre. Siamo imprenditori di questa città e di questa regione e crediamo che l’opinione pubblica abbia capito e apprezzato il nostro impegno, sociale e sportivo, perché è un impegno sincero. Abbiamo pensato che fosse importante partecipare a un progetto che rilanciasse la nostra città e riportasse la nostra squadra ai livelli che merita. E questo è avvenuto grazie a noi e grazie alla cittadinanza che ha creduto in noi». Qual è stato il momento più difficile che la società ha dovuto affrontare dalla sua costituzione? «Tutto è successo molto velocemente rispetto alle previsio-

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ni. Nonostante quest’anno ci siano stati accadimenti molto dolorosi che tutti conosciamo (dalla scomparsa di Franco Mancini al terribile giorno della morte di Piermario Morosini) con le nostre capacità e un pizzico di fortuna siamo riusciti a centrare gli obiettivi prefissati. Credo vada sottolineato che questo gruppo dirigente ha fatto qualcosa di eccezionale, dimostrandosi sempre all’altezza della situazione; soprattutto abbiamo dato prova di essere capaci di correre tutti insieme verso un solo traguardo. Dal punto di vista societario sicuramente è dispiaciuto a tutti vedere qualcuno di noi lasciare il gruppo, ma quelli che sono rimasti hanno aumentato il loro impegno e hanno portato fino in fondo il progetto». Quale è stata la partita più esaltante della stagione appena conclusa? «Tante. Mi vengono in mente le ultime, perché ci hanno rilanciato dopo un breve periodo nel quale in molti ci davano per “bolliti”: penso alle partite con Padova, Sassuolo, Torino, e a Genova con la Sampdoria dove abbiamo regalato uno spettacolo degno della nostra capacità di soffrire e di vincere». Restare in serie A: da cosa dipende? «Dipenderà anzitutto dalla capacità di mantenere il nostro assetto, l’approccio che ci ha garantito la vittoria nel campionato cadetto: trovare sempre le giuste motivazioni e circondarci di persone che condividano i nostri principi, cioé il rispetto reciproco per tutti. Sia l’allenatore che i calciatori che sceglieremo, ma anche tutto lo staff della squadra e della società, ognuno per il suo ruolo, dovrà adottare un codice di comportamento ispirato alla massima correttezza verso le squadre avversarie e i loro tifosi, ma anche verso la Lega e gli arbitri. Noi pretenderemo e vigileremo affinché lo stesso rispetto ci sia nei nostri confronti, affrontiamo il campionato di Serie A a testa alta, senza alcun complesso d’inferiorità, come è giusto che sia».


Antonio Martino

Campione d’entusiasmo

Protagonista in campo quando giocava a rugby, oggi è uno dei volti più importanti della società biancazzurra. Ecco l’imprenditore che si è scoperto tifoso

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a ragazzino ho praticato il rugby, un po’ in controtendenza rispetto ai miei coetanei che giocavano a pallone. Certo, anche io ogni tanto mi concedevo una partitella. Ma il calcio è stato sempre marginale nella mia vita. Fino a quando Daniele Sebastiani, al quale sono legato da una profonda amicizia, mi ha convinto a far parte del progetto». Un progetto che ha visto Antonio Martino entrare in punta di piedi, ma che col passare del tempo lo ha coinvolto sempre di più. «Non si può capire dall’esterno, è una cosa che ti prende dentro. È una voglia irresistibile: smetti di pensare in termini economici, la voglia di fare risultato diventa l’unico faro». Bello sentire queste parole, in un tempo in cui si parla del calcio solo facendo riferimento a fatti di cronaca giudiziaria. Trentacinque anni, sposato, con due figli (un bambino “stranamente milanista”), a capo di un gruppo industriale che opera nei settori dell’Information Technology e del facility management Antonio Martino insieme ai soci Giuseppe Marucci e Giuseppe D’Alessandro è oggi uno dei più fervidi sostenitori del progetto Pescara: «Il progetto mi è piaciuto da subito, anche per la sua particolarità: mi rendo conto che il nostro è un caso unico, un’anomalia vincente che vede nello spirito di gruppo la sua forza vincente. Quando ci sono tante persone a tavola è complicato gestire la serata ma quando ci riesci, e si trova quell’intesa speciale, il momento è davvero magico». L’entusiasmo di Sebastiani lo ha trascinato: «Essere tra i primi soci della Pescara Calcio ed al contempo non essere molto appassionato di calcio è la dimostrazione che l’impegno ed i sacrifici quotidiani consentono di realizzare progetti difficili ma ricchi di soddisfazione anche per una comunità. E senza alcuna strategia, perché non qui non c’è scopo di lucro. Credo che questo raddoppi il valore del nostro impegno». Dal lato imprenditoriale quali sono le caratteristiche del successo? «Sicuramente l’attenzione ai costi, la razionalizzazione delle spese. Questa squadra è partita in serie C con grande slancio ma commettendo anche grandi errori; il rigore attuato sui costi e sulla gestione amministrativa dell’azienda sicuramente ci hanno premiato. Abbiamo visto i bilanci delle altre squadre di A e di B, e il Pescara chiude la stagione senza debiti, anzi con un patrimonio che rende capaci di poter allestire una squadra di tutto rispetto, mentre altre squadre hanno debiti pesantissimi. Il Pescara invece arriva in serie A con un progetto, e la voglia di aumentare i nostri impegni è dovuta anche al fatto che abbiamo riscontrato come quella di Daniele sia una gestione oculata. Basti pensare che da gennaio noi abbiamo fatto dormire sonni tranquilli ai ragazzi, pagando gli stipendi ogni mese e non a trimestre come vuole la Lega». Un modulo tattico diverso da quello “offensivo” di Zeman.

«Esattamente: abbiamo adottato una strategia “all’italiana”,più difensiva, dove la difesa degli investimenti fatti è stata prioritaria». Da ex rugbista, cosa ritrovi nella squadra e nella società? «Senz’altro i valori etici, che sono molto diversi da quelli di certo calcio che affolla le cronache dei quotidiani. E nell’approccio di Zeman ho visto un lavoro simile a quello che ho sperimentato quando giocavo a rugby. Ho sentito un cronista dire un giorno:“Con Balotelli puoi vincere una partita, con Pirlo un campionato”.Ecco, noi siamo quelli che vinciamo il campionato. Sia noi che il mister abbiamo cercato di infondere spirito di sacrificio a questi ragazzi, e l’unità è stato per noi il fattore vincente anche davanti a tristi episodi come la morte di Morosini». Quando hai cominciato a sentire profumo di promozione? «Da Padova qualcosa è cambiato, vedevo gli orizzonti di un sogno. Quel 6-0 applaudito dalla tifoseria di casa è stato decisamente rivelatore». I meriti del Mister? «La capacità di gestire uno spogliatoio “da padre”,mettendo i ragazzi nella condizione di poter stabilire un rapporto con lui, più “di testa” che “di gambe”». I meriti della città? «In questo momento tutti abbiamo bisogno di sogni, e questa vittoria per Pescara è stata un’emozione incredibile. E il tifo è trasversale, unisce le persone di diversi strati sociali, contribuendo a creare coesione e unità. E se questa promozione potrà significare anche solo una piccola percentuale di visibilità per la nostra regione e per la nostra città sarà un risultato eccezionale». La squadra è pronta per il nuovo campionato? «Va senz’altro perfezionata, ma soprattutto bisogna ricostruire le basi per portare avanti il progetto. Dovremo trovare una formula di presentazione anche mediatica, investire su persone qualificate e sostenerle per farci dare un supporto strategico per rimanere in serie A. Non vogliamo fare le meteore, ma tentare di contestualizzare la squadra e la società in un modello sostenibile e brillante che consenta di rimanere nella massima serie cercando di attivare tutte le energie possibili per realizzare, con il sostegno dell’amministrazione, anche progetti innovativi per riqualificare lo stadio e renderlo un luogo centrale per la città. Sarebbe un’occasione di rilancio economico e sociale. Desideriamo un’azienda che apre il lunedì e chiude la domenica sera, e che restituisca alle famiglie il piacere di andare allo stadio tutti i giorni, magari a vedere il proprio figlio che si allena. Come all’inizio gli ingredienti sono lo spirito di gruppo, i sacrifici ed una grande coesione per sostenere tutti assieme una squadra ed i valori che lo sport può donare a tutti noi».

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Gabriele Bankowski

Romanzo di uno sportivo Nato in Argentina da padre polacco e mamma italiana, il patron della Renato Curi Angolana ha eretto la sua azienda sulla sua passione per il calcio

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arsi fotografare insieme a Diego Armando Maradona non è cosa da tutti; come anche avere origini argentine, un cognome polacco e una mamma italiana. Insomma, nella vita di Gabriele Bankowski sono ben poche le cose che potremmo definire normali. Prima di incontrare, nella terra dei gauchos e degli déi del calcio “El Pibe de Oro” e stringere con lui un bel rapporto d’amicizia, Gabriele Bankowski ha inanellato una serie di esperienze che ne fanno un vero personaggio da romanzo. Considerando i presupposti, era quasi inevitabile che il giovane Gabriele, nato a Buenos Aires, figlio di emigranti, tornato insieme alla mamma in Italia all’età di 14 anni, cominciasse a dare prova di essere un tipo fuori dal comune. L’avventura del giovane Bankowski prende il via a Pescara all’inizio degli anni Settanta, quando comincia a giocare a calcio: prima nelle giovanili del Pescara, poi al Chieti (in serie C), poi a Tolentino e a Toronto (nel campionato canadese di serie A), per tornare nella terra adottiva con l’Angolana e addirittura con l’Atletico Alanno, squadra per i cui colori segna ben 40 gol in una sola stagione. Diventato più grande, abbandona il campo di calcio ma non lo sport, e comincia a giocare dietro le quinte: fonda una società –Pharmapiù– che è, oggi, leader del settore antinfortunistico e medicale nello sport, e resta nell’ambiente calcistico. Da otto anni è nella Renato Curi Angolana, il “vivaio” del Pescara da cui sono usciti nomi come Fabio Grosso e Massimo Oddo, e da quattro proprietario della società, di cui è stato presidente fino all’anno scorso. «Oggi rappresentiamo un vivaio importante nella nostra regione e nel futuro collaboreremo ancora con la Pescara calcio affinché i ragazzi del nostro territorio possano essere valorizzati». E nel 2009 entra anche lui a far parte del gruppo di imprenditori che danno vita alla nuova società Delfino Pescara 1936, il “Pescara dei pescaresi”. Schivo, poco incline a stare sotto i riflettori malgrado incarichi e successi della società a volte lo costringano

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a farlo, Bankowski crede nel ruolo dell’imprenditoria al servizio del territorio: «Condivido in pieno il principio che lega tutti i membri della società: siamo un gruppo di imprenditori convinti della necessità morale di fare qualcosa per la città in cui viviamo. Il progetto mi è piaciuto fin dall’inizio e sono stato felicissimo di entrare a farne parte». Bankowski, ex calciatore, riconosce di essere stato un atleta ben diverso da quelli che quest’anno hanno messo in mostra le loro qualità sull’erba dell’Adriatico: «Lasciamo stare i paragoni. Come calciatore ero un’ala sinistra, piuttosto veloce che giocava sulla fascia, mettendo molti palloni al centro area. Ma il calcio di trent’anni fa era molto diverso, meno veloce, meno muscolare». Il calcio di oggi, invece, è fatto di tanti elementi, che a volte si combinano per dare vita a stagioni fantastiche comequella del Pescara, il risultato di una straordinaria alchimia tra squadra e allenatore, tra città e società: «I fattori che hanno portato al successo sono tanti, il più importante è senz’altro l’insieme di equilibri creatosi tra società, tecnici e tifoseria. Credo che non sia mai accaduto nella storia della Pescara calcio». E adesso? Cosa ci si aspetta dal Pescara che sta per affrontare la serie A dopo vent’anni? «Per noi, indubbiamente, mantenere la categoria rappresenta l’obiettivo primario. Credo che dobbiamo continuare sulla scia della passata stagione, consapevoli che la serie A è un’altra cosa. Quindi, ogni domenica sarà ancora di più una battaglia». Ha la mentalità dello sportivo, Gabriele Bankowski. Ragiona tappa per tappa con l’occhio al traguardo. Niente rimpianti e poche illusioni: «Nel calcio non ci devono essere rimpianti, ma bisogna guardare al futuro con grande impegno e ottimismo. Allo stesso modo, in questo sport non c’è posto per i sogni, bisogna essere concreti e realisti: nella stagione appena conclusa abbiamo giocato domenica per domenica senza sognare. E l’obiettivo è stato raggiunto».


Giacomo Ortolano

Giacinto D’Onofrio

Con nuove energie

Modello vincente

Figlio del fondatore della Renato Curi, il giovane manager detta le regole per restare in serie A: bilancio, giovani e sacrificio

Il “modello Pescara” è la chiave che può scardinare un sistema basato sull’imprenditore unico. Con risvolti positivi anche sulla valorizzazione del territorio

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a sua azienda, la Argon Energia, opera nel settore della cosiddetta Green Economy costruendo impianti per la produzione di energie rinnovabili. Niente a che vedere con lo sport, quindi; ma il padre di Giacomo Ortolano, Daniele, medico all’ospedale di Atri, è stato fondatore e presidente della Renato Curi, il “serbatoio” del Pescara. E ha trasmesso al figlio, 32 anni e una laurea alla Bocconi, la passione per il calcio. Giacomo è stato arbitro fino ai 23-24 anni, guadagnandosi anche un incarico in Federazione; poi l’ingresso nel Pescara gli ha fatto abbandonare il fischietto. «Daniele Sebastiani non lo conoscevo prima, sono entrato per passione, un po’ in punta di piedi. Il progetto mi ha convinto perché andava contro gli stereotipi che ho incontrato finora nel mondo del calcio; un gruppo di imprenditori che mettesse le proprie capacità –finanziarie e manageriali– al servizio di una nuova impresa mi è sembrato un fatto del tutto nuovo». Lei è entrato in società ad agosto dello scorso anno. Credeva di guadagnare subito la promozione in serie A? «Al mio ingresso avevo appena saputo che la società voleva prendere Zeman. Ero scettico come tutti sulla possibilità di raggiungere la promozione quest’anno, ma credevo nel progetto che puntava sulla cultura del lavoro, sui giovani, sullo spirito di sacrificio. Credo che il risultato conseguito sia il frutto di scelte azzeccate della società dal punto di vista gestionale; scelte altrettanto azzeccate del direttore sportivo riguardo ai ragazzi; meriti dell’allenatore che sceglie chi schierare in campo. Ma soprattutto credo che tra dieci anni parleremo di questi ragazzi, che credevamo semplicemente “bravi” come di una vera covata di talenti. Non piovuti per caso, ma scelti; e fra dieci anni saranno i nomi eccellenti del calcio, ne parleremo come oggi discutiamo di Pirlo, Del Piero, Di Natale e Totti». Cosa si deve cambiare per la Serie A? «Dico cosa non va cambiato: bilancio sostenibile, gioco basato sulla cultura del lavoro e sullo spirito di sacrificio, e giovani; questi sono i punti fermi per poter restare in questa categoria». Un sogno? «Quest’anno mi ha insegnato che non si deve sognare, ma solo perseguire obiettivi con forza, sacrificio e determinazione. E solo così si possono raggiungere»

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redo che quello cui daniele Sebastiani ha dato vita non sia solo un modello di gestione sostenibile delle società calcistiche, ma anche una prima pietra sulla quale edificare un nuovo sistema del calcio». Giacinto D’Onofrio parla con la convinzione di chi conosce bene la materia: nella vita gestisce fondi d’investimento, e l’alta finanza è il suo pane quotidiano. E sulla società di Sebastiani, nella quale è entrato un anno e mezzo fa, spende solo parole di elogio. «Credo che la proprietà diffusa sia l’unico modo per la sopravvivenza. Oggi il calcio è un mondo in cui la vanità personale spinge molti imprenditori a investire –perdendoli– parecchi milioni di euro, e questo alla lunga distanza porta l’investitore a stancarsi. In questo modo le società passano dalle stelle alle stalle in un giorno o due, ne abbiamo avuti diversi esempi; invece la multiproprietà garantisce una ripartizione delle quote che non grava sulle finanze di nessuno, e che consente alla società di avere una continuità. Se a questo si unisce un bilancio in attivo –altra novità nel settore– i fattori che garantiscono il successo imprenditoriale sono due, e non di poco conto. Solidità e continuità, ecco le chiavi del futuro». Addirittura, prosegue D’Onofrio, «Il modello andrebbe estremizzato: poiché il “difetto” di una società così composita potrebbe essere la volontà, da parte di alcuni soci, di “emergere” rispetto ad altri in termini di ritorno economico, di visibilità, io auspico una ripartizione quasi “comunista” delle quote, allargando la compagine societaria a 50, magari 100 persone. Tutti con la stessa quota in mano, e con un presidente democraticamente eletto dall’assemblea ogni anno. Si può fare, e sarebbe davvero una rivoluzione nel mondo del calcio». Senza contare che ne gioverebbe anche il territorio: «Tutti i soci avrebbero la stessa visibilità, porterebbero alla ribalta la propria azienda; e le società, chiudendo i bilanci in attivo, non avrebbero bisogno di vendere i propri gioielli. Il progetto Pescara ha puntato sui giovani, su risorse locali, valorizzandoli grazie a un grande educatore come Zeman. Merito della società è stato quello di sceglierlo e di dargli la possibilità di plasmare la squadra come la voleva. Credo che in futuro si andrà, anche grazie alle nuove regole di fairplay finanziario imposte dall’Uefa, sempre più in questa direzione».

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Pio Gizzi

Manfredo Acciavatti

La meglio gioventù

Col pallone nel cuore

Dopo Verratti, Capuano, Perrotta, Bacchetti e Sciarra il dirigente del settore giovanile si prepara a portare altri talenti in erba alla ribalta del calcio che conta

Dalla presidenza del Lauretum al Pescara, la vita di un imprenditore tutto casa, famiglia e campo di calcio

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he lo sport fosse una componente fondamentale dell’educazione di ogni giovane, i greci lo sapevano bene. E lo sa bene anche Pio Gizzi, dirigente del settore giovanile, che dal settembre 2010 cura il vivaio biancazzurro con l’amore di un giardiniere, insegnando ai piccoli delfini i valori fondanti dello sport: «I nostri tecnici insegnano i principi di lealtà, l’esperienza sul campo deve essere anche una scuola di vita». Appena entrato a far parte della società, Gizzi ha richiesto espressamente di potersi dedicare al settore giovanile, perché «amo stare con i ragazzi. Ho due figli, uno dei quali gioca a calcio nella formazione Berretti del Pescara. L’altro invece preferisce il nuoto. Ma va bene così, ognuno è libero di seguire le proprie inclinazioni». Dalle giovanili sono usciti alcuni dei nomi che hanno incantato la platea dell’Adriatico e regalato al Pescara la quinta promozione in serie A: «Capuano e Verratti, per esempio; ma anche Loris Bacchetti, che esordì contro l’Albinoleffe e piacque tanto al mister che lo ripropose nelle due gare successive; e poi Perrotta, Sciarra e altri. Certamente Zeman ha avuto ottimi elementi su cui lavorare». Sì, perché è nota la propensione del tecnico boemo a valorizzare giovani talenti. Ma Gizzi è certo che, se il lavoro sarà ben organizzato, anche il suo successore troverà un settore giovanile da cui attingere risorse per la prima squadra: «I margini di miglioramento ci sono sempre, ma l’importante è che i nostri giovani crescano serenamente e pratichino lo sport che amano, senza pensare al risultato e ispirandosi al massimo fairplay, che è la cosa che insegnamo ogni giorno». Gizzi ha cominciato a tessere una rete di collaborazioni tra i club regionali, sotto il nome di “Progetto Abruzzo”, incontrando il favore di moltissime società e la disponibilità anche di altre regioni come Lazio e Molise. «E stiamo pensando di potenziare anche la rete degli osservatori, perché il Pescara deve saper giocare d’anticipo, individuando i talenti dove non sono ancora arrivati gli emissari di società ben più blasonate e con maggiori disponibilità economiche. Per questo il Progetto Abruzzo è importante, sarà la via per valorizzare le risorse del nostro territorio».

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l suo cognome tradisce la parentela col giovane Alessandro, membro del Cda della Delfino Pescara: Manfredo ne è infatti lo zio e insieme a lui e al figlio Fabrizio è uno dei titolari della Tavo Calcestruzzi, società di famiglia che ha una lunga tradizione sportiva nel suo dna. «Sono stato calciatore anch’io –racconta– e la mia storia calcistica è legata intimamente alla Lauretum, la squadra di Loreto Aprutino di cui sono stato giocatore, allenatore, proprietario e presidente». Oggi l’avventura con il Pescara è il coronamento di una vita trascorsa negli stadi, da atleta, da dirigente e da semplice appassionato: «Con Daniele siamo amici da tanti anni. Quando ci ha coinvolti nel progetto di rilevare la Pescara Calcio abbiamo accettato subito proprio perché la nostra è una famiglia che ha sempre convissuto con il calcio: e la nostra amicizia si è cementata con quest’esperienza sportiva». Come ha vissuto questa stagione? «Abbiamo dato il nostro contributo sia in società che allo stadio. Siamo sportivi prima ancora di essere membri della società, e quando ci dedichiamo a qualcosa lo facciamo anima e corpo. Era impensabile un impegno di minore entità, sia dal punto di vista finanziario che da quello materiale» La società ha mostrato mai qualche punto debole durante il campionato? «Mai. È straordinario, credo sia un’anomalia assoluta in un’azienda con tanti soci. Forse però conta molto il fatto di essere tutti, a vario titolo, pescaresi e tifosi. Insomma, sono le passioni che contano, perché in questo sport, anche da dirigente, non puoi pensare se non in termini di passione» Cosa si aspetta dalla prossima stagione? «Indubbiamente ci attendono impegni di spessore, sia dal punto di vista del gioco che da quello della gestione, e dovremo affrontarli con lo spirito giusto: ora siamo una società di serie A. Ma ritengo che il modello che abbiamo creato possa essere valido anche in una competizione così importante. Tutto sta a mantenere le caratteristiche che ci hanno garantito il successo nella stagione appena conclusa».


Amerigo Pellegrini

Gabriele Ciarcelluti

Un modello di società

Piccoli delfini crescono

Dalla provincia un esempio di gestione virtuosa ed esportabile che può portare nuova linfa al sistema calcio. E non solo

Il vivaio per una squadra di provincia è un serbatoio che va amministrato con dedizione e professionalità

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campi di calcio li conosce bene: prima come calciatore, poi come arbitro, e infine come presidente della Val di Sangro, che ha guidato per quasi trent’anni. Tre anni fa ha ceduto la poltrona e si è dedicato con tutto se stesso alla neonata società Delfino Pescara 1936. «Faccio parte di quel gruppo storico di amici che Daniele coinvolse nelle sue riunioni preparatorie, prima ancora che la società venisse dichiarata fallita. Seguo il “progetto Pescara” fin dalla sua nascita». Titolare della Pail, Amerigo Pellegrini ha subito avuto fiducia nell’operazione di Sebastiani. Cosa l’ha affascinata di questo progetto? «Credo che sia il metodo giusto per avere successo in questo campo e per durare nel tempo, altrimenti l’impegno finanziario è troppo gravoso se ricade sulle spalle di una sola persona. Oggi le spese nel calcio sono stellari; credo che Pescara –come già dimostrato dal Barcellona o da alcune squadre inglesi– abbia dato prova che un altro modo di fare è possibile. E credo sia un esempio che possa dare i suoi frutti, non solo in termini di risultati ma anche per cambiare il sistema». Si riferisce solo all’aspetto societario o anche a quello della gestione della squadra? «Parlo del progetto, dell’approccio al calcio, che dovrebbe essere improntato alla valorizzazione dei giovani e delle risorse del territorio. Abbiamo scelto Zeman perché è un grande educatore di giovani, e bisogna riconoscere che questi ragazzi hanno superato ogni nostra aspettativa. Arrivare primi è stata una sorpresa per tutti». La compattezza di questa società è stata straordinaria anche nei momenti peggiori. Crede che sarebbe stato lo stesso anche se il Pescara non avesse raggiunto la promozione? «No, anzi: eravamo più preparati a restare in serie B che a passare in A». Cosa cambia ora col nuovo campionato? «Si sale di categoria, quindi si deve cambiare mentalità. Il nostro impegno resta lo stesso. Faremo del nostro meglio per portare il Pescara tra le grandi: puntiamo a una salvezza tranquilla, ma coltiviamo il sogno dell’Europa»

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a mia azienda, la mia famiglia ed io siamo sempre stati nell’ambiente sportivo» dice Gabriele Ciarcelluti, socio della Delfino Pescara e titolare della Fercol Presagomati srl, società che si occupa di lavorazione e posa in opera di strutture in ferro per cemento armato. «Abbiamo alle spalle una lunga tradizione che ci vede impegnati a fianco di squadre locali, dal team di ciclismo (a Penne, con un settore giovanile che ci ha dato grandi soddisfazioni partecipando anche ai campionati italiani), alla pallanuoto e al basket (con l’Antoniana) a Pescara, alla pallavolo in serie B, una promozione ottenuta con 40 vittorie consecutive. Grazie all’amicizia con Daniele Sebastiani oggi possiamo aggiungere a questo corposo elenco anche il calcio, che ha sempre occupato un posto nel nostro cuore». Anche Sebastiani ha un passato nel ciclismo. È stato in quest’ambito che vi siete incontrati? «No, con Daniele c’è un’amicizia di lunga data. E mi ha ovviamente fatto piacere che abbia pensato a me per creare il gruppo imprenditoriale della Pescara Calcio. Solo che, quando mi ha chiesto di entrare a far parte del progetto, credevo che il mio compito avrebbe comportato un impegno esclusivamente finanziario». E invece il suo è un ruolo attivo. «Esatto: sono amministratore del settore giovanile dei Delfini Biancazzurri, un’attività che mi impegna almeno per metà della mia giornata lavorativa. Perché sembra facile, detta così, ma il settore giovanile è un elemento cruciale per la squadra, è il futuro del Pescara e va curato con la massima attenzione». Ma non è l’unico incarico che lei ricopre. «Nella società sono responsabile del personale. Una società “di serie A”, ovvero di livello, che ambisca a restare in alto, che voglia confrontarsi alla pari con i grandi club deve essere strutturata in modo da far fronte alle più diverse esigenze, e per farlo deve avere dei dipendenti capaci e competenti. Siamo molto attenti alla formazione del personale, non a caso ora stiamo seguendo dei corsi avanzati di inglese».

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Fabrizio Iannascoli

Barbara Garofoli

Pescara nel DNA

Cuore sportivo

Il calcio, ma non solo: il suo sogno è quello di realizzare una polisportiva legata alla Delfino Pescara con squadre di calcio a 5, basket, pallavolo e pallamano

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casa Iannascoli si mangia da sempre pane e calcio. Una generazione di calciofili e di “calcianti” con il pallino del Pescara. «Prima di tutto grandi tifosi –tiene a sottolineare– e la passione ti spinge a impegnarti anche ventiquattro ore al giorno, se dovesse occorrere». Padre e zio giornalisti sportivi, il fratello Danilo voce ufficiale del Pescara prima, e poi Amministratore delegato del club, il figlio giocatore in forza alle giovanili biancazzurre, mentre Fabrizio da sempre è stato dirigente accompagnatore della linea verde adriatica. «Ho sempre cercato di dare il mio contributo a questo club anche nel passato, quando i tempi erano più difficili e spesso dovevi fare la conta delle maglie per vedere se potevi scendere in campo; ma la passione per questi colori hanno fatto in modo che io e anche altri, nonostante i problemi rimanessimo uniti per continuare un progetto sperando che le situazioni migliorassero. Poi quello che è accaduto lo sappiamo tutti: la nuova dirigenza, il Pescara dei pescaresi, l’ingresso di mio fratello Danilo in società che mi ha convinto a impegnarmi anche economicamente in questa avventura”. Presidente del Pescara Calcio a 5 e della neonata Polisportiva Pescara, Fabrizio ha le idee ben chiare: “Il desiderio e l’ambizione è quello di creare una realtà stile Barcellona: per ora affiliate alla Polisportiva ci sono tre squadre Uisp di Calcio a 11, il calcio a 5, il Triathlon, il ciclismo, il pattinaggio, abbiamo avuto tanti atleti che hanno partecipato all’ultima edizione dell’Iron Man a Pescara. A breve stringeremo accordi per far entrare nella polisportiva anche altri sport quali basket, pallavolo e pallamano: vogliamo portare il nome di Pescara in giro per il mondo”.

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Humangest, la società abruzzese con sedi in tutta Italia, è tra i più convinti sostenitori del “progetto Pescara”

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robabilmente non avranno fatto loro la selezione del personale per la squadra allestita da Zeman, ma senz’altro la Humangest ha fatto molto per la società guidata da Daniele Sebastiani. Che tra i tanti nomi dell’imprenditoria locale chiamati a far parte della compagine societaria ha voluto accanto a sé anche quello di Barbara Garofoli, amministratore delegato della Humangest, una delle più note agenzie per il lavoro, nata nel 2005 e presto affermatasi a livello nazionale: oggi è tra le prime dodici del settore, con circa trenta sedi sparse in tutto lo Stivale. Come vi siete ritrovati a vivere quest’avventura? «Due anni fa Daniele ci ha voluto in questo progetto, che ci è sembrato subito interessante perché ci dava l’opportunità di far parte di un esperimento, dal punto di vista aziendale, totalmente nuovo. La nostra è un’azienda abruzzese, qui abbiamo le radici e ci sembrava giusto partecipare a un’iniziativa imprenditoriale volta al bene dello sport, della squadra di calcio e della città». La Humangest non è nuova agli ambienti sportivi. «Abbiamo legato il nostro nome a diverse squadre, da piccole realtà locali fino a grandi team, nelle discipline più varie: dalla Moto GP (con lo Humangest Racing Team) alla pallanuoto, e naturalmente anche al calcio. Quella col Pescara è però qualcosa di più di una sponsorizzazione, è una partecipazione attiva all’impegno nei confronti di una città e della sua squadra». Il gruppo Humangest vanta numerose altre attività oltre quella di selezione delle risorse umane. La serie A è un palcoscenico più consono alla vostra dimensione? «Per noi è certamente motivo di orgoglio essere approdati a un’importante vetrina come la serie A, ma abbiamo avuto benefici, in termini di visibilità, anche durante la scorsa stagione in serie B, e lo abbiamo riscontrato proprio grazie alla diffusione capillare delle nostre filiali; certo che adesso ci attende un palcoscenico di tutto rispetto». Siete stati tra i primi a credere nel progetto Pescara. Avete appoggiato la società in tutte le scelte, anche nei momenti meno sereni. A cosa si deve questa compattezza? «Ci sono stati momenti difficili. Ma a riaccendere in noi l’entusiasmo e a spingerci a sostenere la società è stato il grande cuore sportivo dell’azienda, che ha sì interessi nazionali ma è sempre molto radicata sul territorio. E noi desideriamo sostenere e valorizzare tutte le realtà imprenditoriali della nostra regione».


Mario Bartoccini

Nicola Di Tieri

Dolce passione

Gioco e spettacolo

Con i prodotti di “Casa Giulia” addolcisce i rinfreschi offerti dalla Nazionale azzurra. Poteva mancare il biancazzurro?

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e lo beccate con le mani nella marmellata, niente paura: ordinaria amministrazione. Starà assaggiando una delle sue prelibatezze made in Abruzzo: infatti Mario Bartoccini è l’ultimo arrivato, in ordine di tempo ovviamente, in casa Pescara e “Casa Italia” –che solitamente associamo al paddock che ospita i rinfreschi vip della nazionale azzurra– in realtà e il suo trade mark aziendale. L’impresa opera nella produzione e trading alimentare, prevalentemente di confetture di frutta e di marmellata, per le quali dispone del marchio proprio “Casa Giulia” accreditato presso i canali distributivi della Grande Distribuzione nazionali ed esteri e attraverso una propria rete di vendita, nei canali retail, catering alberghiero, linee aeree e laboratori di pasticceria in Europa, Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone. «Sono di Pescara e quindi tifosissimo. Ho sempre praticato sport e calcio e l’idea di entrare a far parte di questo gruppo di imprenditori che hanno salvato il Pescara dal fallimento e lo volevano portare in alto mi sembrava una strada da intraprendere visto che faccio parte del tessuto imprenditoriale di Pescara. Sono felicissimo di aver contribuito a riportare il Pescara nella massima serie». Consiglierebbe le sue marmellate ai suoi giocatori? «Ovviamente! Sono prodotte con la frutta migliore e non possono mancare nella colazione e nella merenda dei nostri campioni!».

La società può garantire continuità e restituire al Pescara il suo posto tra le grandi, senza trascurare il divertimento

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er rimanere in serie A occorrono coesione, capacità gestionali e soprattutto tanto cuore. Doti che la società di Daniele Sebastiani ha già dimostrato di possedere durante questa fantastica annata e non solo, come testimonia Nicola Di Tieri: «Fin dall’inizio abbiamo lavorato tutti insieme senza perderci d’animo anche nei momenti più difficili; abbiamo operato scelte consapevoli, evitando di fare il passo più lungo della gamba; e il risultato è stato quello di aver restituito a Pescara la sua squadra di calcio, aver riportato il pubblico all’Adriatico e in trasferta, garantendo un gioco spettacolare e costruendo pezzo per pezzo la società che oggi affronta la serie A». Imprenditore di lungo corso, titolare della grande catena di negozi di telefonia sparsi tra Abruzzo, Marche e Lazio, Nicola Di Tieri è stato fra i primi ad entrare nella cordata che rilevò il Pescara dopo il fallimento. «Sono un ex calciatore e condivido con Daniele –che conosco da molto tempo– molte delle sue passioni sportive. Il progetto mi ha convinto da subito». Qual è stata la spinta maggiore ad imbarcarsi in quest’avventura? «L’idea di poter restituire alla città ciò che ha dato a me, a tutti noi come imprenditori. È a Pescara che dobbiamo la nostra fortuna, ci sembrava giusto far qualcosa per quello che è un pezzo importante della città, come un braccio o una gamba: Pescara non può stare senza una squadra di calcio». Il modello di società proposto dal Pescara può essere replicato anche altrove? «Di società ad azionariato diffuso ce ne sono, ma nelle grandi metropoli come Londra o Barcellona si tratta di situazioni molto diverse; credo che la nostra società trovi la sua validità nell’essere fortemente contestualizzata: va bene per una realtà di 126mila abitanti in una regione che costituisce il 2% del Pil nazionale. Non dimentichiamo mai chi siamo e da dove veniamo, ecco la nostra forza. E questo modello ci mette al riparo da rischi finanziari elevati, che fanno parte del prototipo di società con cui ci scontreremo in serie A». Stroppa è l’uomo giusto? «Stroppa è nel segno di una continuità: ci piace giocare a testa alta con tutti, lui è un allievo di Zeman, Sacchi, Capello, la sua visione coincide con quella della società. E vogliamo mantenere lo spettacolo al centro del progetto sportivo». Un sogno? «L’Europa».

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Piero Di Luzio

Giacomo Vetta

Ci piace vincere

La storia continua

Con il calcio ha un ottimo rapporto, e anche con i sogni. Dopo quello della serie A adesso è il turno dell’Europa

Il primo Vetta fu Angelo, mitico presidente del neonato Pescara negli anni ‘30. Il suo pronipote oggi prosegue la tradizione, pensando a nuovi traguardi

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o chiamano il re Mida del calcio. Quello che tocca diventa oro. Piero Di Luzio vive a Roma, dove ha una azienda di mediazione finanziaria immobiliare, la Sarandrea, ma è spesso in Abruzzo per lavoro e perché il suo papà era originario di Torricella Peligna, piccolo borgo nell’alto Sangro; per rilassarsi spesso si ferma con sua moglie nel piccolo paese abruzzese per spegnere l’interruttore dalla frenetica routine della metropoli. Pazzo per il calcio come pochi, Di Luzio decide di aiutare la squadra cittadina a disputare un campionato di Prima categoria in sinergia con altri imprenditori locali: nel giro di pochi anni passa dalla Prima all’Eccellenza, sbaragliando la concorrenza di squadre più attrezzate e che avevano a disposizione anche acquisti di categoria superiore. «Io sono fatto così. A me piace vincere. Se arrivi secondo non se lo ricorda nessuno». Filosofia che ha sposato nella sua pienezza quando nel 2009 è diventato socio della Delfino Pescara 1936: il Pescara disputa un campionato memorabile e in un solo anno si passa dalla Lega Pro alla serie B. «Quello è stato il frutto dell’incoscienza: avevamo deciso che avremmo dovuto centrare la B in due anni e invece l’abbiamo presa al primo colpo. Una soddisfazione indicibile. Poi dalla promozione dell’incoscienza siamo passati a quella del miracolo: non ricordo di aver mai visto una squadra giocare in questo modo, con tutta l’Italia che parla del Pescara e tifa per il Pescara. Nel giro di poco abbiamo riportato il Pescara dove meritava». Una grande soddisfazione per i soci che hanno messo anima, soldi e cuore: «Sicuramente il merito è di tutti noi soci che abbiamo sposato questa causa mettendoci forze ed energie, fisiche ed economiche, ma siamo stati anche bravi a essere lungimiranti: abbiamo scelto un direttore sportivo come Daniele Delli Carri che è un grande conoscitore di calcio e un tecnico come Zeman che con la sua esperienza e con il suo gioco diverte e dà spettacolo. Una grande fetta del nostro successo dobbiamo attribuirla certamente a questi due grandi professionisti». E, come al solito, pensa in grande e scherza anche su un futuro remoto: «Adesso ci godiamo questa serie A e cercheremo in tutti i modi di attrezzare una squadra che possa raggiungere la salvezza. Poi nel giro di qualche anno, chissà… l’Europa è così vicina!». Scherzerà pure, ma quello che dice solitamente si avvera sempre…

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nato a Termoli, vive a Milano ed è manager del gruppo Ubi Banca. Apparentemente, dunque, i suoi legami con Pescara e con lo sport sono ai minimi storici. Ma il suo è un cognome importante: lo zio di suo padre fu quell’Angelo Vetta che nel 1936 divenne il primo presidente del Pescara allora neonato. E in più, Giacomo Vetta è un grande appassionato di calcio: «Guardo almeno una partita al giorno, seguo tutti i campionati, anche quelli esteri. Pur essendo tifoso di un’altra squadra (non diciamo quale) ho accettato di entrare nella società guidata da Sebastiani perché volevo tentare un’avventura nel mondo del calcio, e ho colto l’occasione». In realtà non si è trattato solo di passione sportiva, c’è anche l’aspetto manageriale che lo ha convinto: «Si trattava di investire in un’azienda che secondo me aveva tutte le carte in regola per poter ottenere risultati, sia sotto il profilo gestionale che sotto quello sportivo. E i fatti mi hanno dato ragione». Non avrebbe mai preso parte a una società basata sul modello stereotipato cui ci ha abituato il calcio italiano. «Se ho preso questa decisione è stato proprio perché ritengo valido il modello societario proposto da Sebastiani: un modello che, senza fare paragoni impropri, è però abbastanza diffuso all’estero e che in Italia costituisce un’assoluta novità in un sistema pieno di “padri-padroni” che fanno il bello e il cattivo tempo spesso assecondando la propria vanità». La Delfino Pescara ha invece dalla sua «una forte coesione sociale, la grande passione che spinge ognuno dei soci ad assumere un ruolo attivo all’interno dell’azienda, e soprattutto l’attenzione a non fare mai il passo più lungo della gamba. Credo che queste caratteristiche siano i punti di forza di questa società e che lo spirito sia quello giusto per affrontare anche la massima categoria». Nulla da cambiare, dunque? «No. Squadra che vince non si cambia, e se i risultati arrivano (e sono arrivati, almeno finora) non credo si debba mutare l’approccio, ispirato a una sobrietà e a una lungimiranza davvero inusuale in un mondo in cui gli imprenditori spesso puntano all’esaltazione del tifoso con colpi di mercato ad effetto. Ecco perché sono contento di Stroppa, che è nel segno della continuità».


Manolo Santilli

Francesco Pirocchi

Febbre a 90°

In serie A a tutto gas

Tifoso fin da piccolo, il calcio è la sua passione. La stessa che oggi lo ha fatto entrare nel gruppo dirigente della Delfino Pescara

Dall’automobilismo al calcio, ricordando la Coppa Acerbo e pensando alla Coppa Uefa

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ifoso del Pescara dall’età di sette anni, il calcio è la sua passione: ed è per passione che Manolo Santilli, direttore finanziario per la DeAgostini, è entrato nella società guidata da Daniele Sebastiani. «L’ho fatto per puro entusiasmo, quella per il calcio è una febbre che mio padre mi ha trasmesso e io sto cercando di trasmettere a mio figlio, prima che vivendo a Milano diventi tifoso dell’Inter o del Milan». L’ingresso di Santilli avviene nel novembre del 2010, giusto in tempo per assistere alla cavalcata wagneriana che ha portato la squadra dalla C alla A in soli tre anni. Ma cosa l’ha convinto a entrare? «È stata solo una questione di cuore e di amicizia; almeno all’inizio, i miei rapporti con alcuni degli imprenditori della “cordata Sebastiani” sono stati un incentivo in più rispetto all’elemento determinante che è l’attaccamento alla maglia. In corsa poi mi sono reso conto che il lavoro di Daniele e degli altri soci che sono maggiormente coinvolti nella gestione operativa della società è senz’altro qualcosa di eccezionale». Ma il modello di gestione aziendale è replicabile? «Credo di sì, forse più in una realtà di provincia che in una grande città, dove magari le complessità gestionali richiedono una direzione più unitaria. Ma per noi parlano i fatti: due promozioni in tre anni sono un risultato invidiabile». Quindi possiamo parlare di un successo imprenditoriale? «Sicuramente è un tipo di gestione che può garantire alla squadra una continuità. Pensiamo per esempio a Scibilia: sotto la sua presidenza il Pescara –nel bene e nel male– è riuscito ad ottenere risultati. Dopo di lui, vent’anni di oblio. Oggi, con questo assetto, se uno dei soci decide di andar via questo non comporta un tracollo, basta una minima riorganizzazione». È un nuovo Pescara e una nuova società quella che ora si affaccia alla massima serie. Cosa dovrebbe restare e cosa dovrebbe cambiare? «Va mantenuto l’entusiasmo, in particolare di quei soci che si impegnano più direttamente nella società. Spero che a cambiare sia soltanto il risultato finale degli ultimi anni in cui siamo transitati in serie A»

l fisico parla per lui: Francesco Pirocchi è uno sportivo. Di quelli “tosti”: anche se non si è mai spinto fino alla pratica agonistica, è uno dei tantissimi atleti che hanno partecipato alle due edizioni pescaresi dell’Ironman 70.3, la gara di triathlon che dallo scorso anno porta in città migliaia di appassionati. E la passione per lo sport gli è stata trasmessa dal padre, quel Renato Pirocchi pilota, che nel 1961 partecipò, al termine di una lunga carriera nell’automobilismo, anche al GP d’Italia in Formula 1, e fu tra i dirigenti della Pescara Calcio ai tempi di Vincenzo Marinelli. Entrato nella cordata di Daniele Sebastiani che ha rilevato la società dopo il fallimento, oggi Francesco Pirocchi –amministratore delegato della Mediass Spa, la società di brokeraggio assicurativo più importante del centro-sud– ha messo le sue competenze professionali al servizio della Delfino Pescara. Cosa l’ha convinta di questo progetto? «Sicuramente l’amicizia con Daniele e con altri membri della società mi ha portato a impegnarmi in quest’avventura, ma la spinta principale è venuta dal senso di gratitudine che provo nei confronti della mia città. Credo sia un dovere di ogni imprenditore “restituire” ciò che ha avuto. E soprattutto era doveroso impedire che Pescara restasse senza una cosa alla quale tiene molto, la sua squadra di calcio». In che modo la società si prepara ad affrontare la massima categoria? «Trascurando gli aspetti tecnici, che non mi competono, credo che dal punto di vista aziendalistico la società dovrebbe solo riorganizzarsi in modo da separare in maniera più netta le competenze. Tra serie C e serie B non c’è molta differenza, ma dalla B alla A la differenza è enorme: ora si fa sul serio, non possiamo permetterci di sbagliare. Ritengo sia più giusto cominciare ad accentrare qualcosa in più sulla figura di Daniele, persona in gamba e capace, e occuparci più degli aspetti imprenditoriali che di quelli relativi alla squadra, delegando a due o tre figure professionali il compito di gestire la parte sportiva. Magari sarà meno divertente, ma la società ha raggiunto la maturità».

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Nasce Pescara, ed è subito calcio

• Dicembre 1923: la SS Ursus appena fondata

In principio ci si arrangiava. Ogni spiazzo prossimo al mare, ogni radura ai margini delle pinete cittadine erano buoni per infuocate sfide rionali, tanto più accanite se a scontrarsi erano formazioni contrapposte di Castellammare e Pescara. Fu l’epoca di squadre come l’Edera e la Vigor, l’Aterno e l’Ursus. Quest’ultima aveva maglie giallo-blu ed aveva un proprio campo sportivo denominato “Riviera” che occupava lo slargo prossimo alla spiaggia, oggi piazza Primo Maggio. Queste squadre, costituite per lo più su basi rionali, si affrontavano in accanite sfide, tra di loro o contro altre squadre abruzzesi, come il Chieti e il Lanciano. Erano gli anni Venti del secolo scorso, gli anni tumultuosi dell’avvento del fascismo, delle lotte intestine tra i notabili di Castellammare, allora in provincia di Teramo, e quelli di Pescara, all’epoca in provincia di Chieti. La posta in gioco era il controllo dell’imminente nuovo comune unificato, annunciato e atteso da quasi vent’anni, dal 1908 per l’esattezza, anno in cui il deputato di Chieti Carlo Mezzanotte presentò un disegno di legge per la fusione dei due comuni. Il 30 novembre 1918 i due consigli comunali riuniti votarono un ordine del giorno che chiedeva al governo la fusione dei due centri con la nuova 64 Vario/Pescara calcio story

denominazione di Aterno. Negli anni successivi furono Giacomo Acerbo, ricco agrario di Loreto Aprutino, potente gerarca fascista, e Gabriele d’Annunzio a perorare la causa dell’unificazione di Castellammare e Pescara. Il 2 gennaio 1927, finalmente, un regio decreto ufficializzò la sospirata fusione dei due comuni e la costituzione della nuova provincia di Pescara. Erano gli anni in cui, pur tra i disagi dei ceti meno abbienti afflitti dal caroviveri e dal costo proibitivo degli affitti, cresceva e si consolidava la struttura commerciale e industriale di Pescara. Alla pineta, i fratelli Pomilio rilevavano il Kursaal, l’elegante edificio che l’ingegnere pescarese Antonino Liberi aveva concepito quale fulcro di un’area attrezzata a zona residenziale-turistica mai decollata, e vi impiantarono una distilleria di liquori, il mitico Aurum, trasformandolo successivamente nell’ardito edificio circolare progettato dal grande architetto toscano Giovanni Michelucci. Alfonso Verrocchio impiantava una fornace di laterizi tra la ferrovia e viale d’Annunzio. La famiglia Delfino, che ritroveremo da protagonista nella storia del calcio pescarese, impiantava e rapidamente potenziava il suo pastificio produttore della famosa pasta Puritas. La Fonderia dei fratelli Camplone, creata ai primi del secolo per la produzione di macchinari

per pastifici, oleifici e mulini, diventa in quegli anni non solo leader nel suo settore di mercato ma raggiunge un tale livello tecnologico da poter costruire ed assemblare i pezzi meccanici destinati ai prototipi dell’elicottero progettato da Corradino D’Ascanio. Ed è grazie al supporto tecnico delle officine Camplone che sarà possibile la realizzazione del prototipo D’AT3 che, pochi anni dopo, conquisterà il primato di durata del volo in elicottero. Erano gli anni in cui i massimi esponenti del fascismo, dallo stesso Mussolini (nel 1923, in occasione della Settimana Abruzzese) a Roberto Farinacci (nel 1926, nel corso del processo Matteotti che si celebrò a Chieti), per non dire di altri gerarchi minori, facevano a gara per venire a Pescara in pubbliche manifestazioni, a riprova dell’importanza che il prossimo capoluogo adriatico andava acquistando nello scacchiere nazionale.

Pescara e il calcio, dall’innamoramento alla passione Erano, infine, gli anni dell’innamoramento di Pescara per il calcio, lo stato nascente di un grande amore, di una passione che avrebbe infiammato


• Maggio 1938: al Rampigna il Pescara batte l’Ascoli 5-2 e conquista la promozione in serie C

la città e l’intero Abruzzo nei decenni successivi, scandendo la storia sportiva in “ere” indimenticabili, entrate nella memoria e nell’immaginario collettivo anche di chi, per ragioni anagrafiche, non ha potuto viverle direttamente: l’era del mitico Rampigna, l’era Tom Rosati, l’era Galeone e, oggi, l’era Zeman. Solo le straordinarie, trionfali gesta della pallanuoto pescarese negli anni Ottanta-Novanta possono vantare, con l’era Estiarte-Pomilio, un ruolo di pari importanza e prestigio nella formazione della memoria collettiva dei pescaresi. La passione per il calcio, a Pescara, ha spesso travalicato i confini dello sport per diventare passione di un’intera collettività, fatto di costume, elemento forte di identità cittadina e di modernizzazione. Basti pensare al grande interesse mostrato per la città adriatica, nell’ultima stagione, dai media nazionali con l’arrivo di Zeman e del suo fantastico calcio veloce e spumeggiante, secondo solo al Barcellona in Europa, a giudizio di uno come Arrigo Sacchi che di calcio se n’intende davvero; oppure all’epoca del “profeta” Galeone, in parte coincidente con l’epoca d’oro della pallanuoto pescarese, la cui rappresentativa poteva fregiarsi di un nome prestigioso e di fortissima “visibilità” come Sisley, ovvero Benetton, uno dei marchi di punta del

made in Italy, conosciuto in tutto il mondo. Insomma, è proprio il caso di dire che lo sport, il calcio innanzitutto, ha “illuminato” Pescara, ponendola sotto i riflettori dell’opinione pubblica nazionale e, in qualche caso, internazionale.

Una sola città, una sola squadra Dopo l’unificazione in un solo comune e la costituzione di Pescara in quarta provincia abruzzese, le due maggiori squadre di calcio cittadine, l’Ursus e l’Aterno, si fusero per dar vita alla Tito Acerbo, in memoria del fratello del gerarca Giacomo morto nella prima guerra mondiale. La nuova società disputò nel 1926-27 il campionato di Seconda divisione Lega Sud, girone A, ma subito cominciò ad avere vita grama per le pesanti difficoltà economiche. L’anno successivo, a poco più di due anni dalla sua costituzione, la Tito Acerbo si sciolse. Per alcuni anni il calcio pescarese sembra eclissarsi, ma nel 1930 c’é una svolta: viene fondata a Pescara la Società Sportiva Abruzzo. Una denominazione che esprime in modo diretto, esplicito, la propensione di Pescara ad una funzione egemone sull’intera regione. La nuova società ha una rosa di giocatori così ampia da consentire

la formazione anche di una seconda squadra, l’Abruzzo B.
 Nella stagione 1931-32, la nuova formazione, guidata da un professionista che aveva già allenato la Lazio (Pietro Piselli, uno straordinario ex ginnasta livornese privo di una gamba eppure soprannominato “il maestro” per la sua competenza calcistica), prende parte al Campionato di Seconda Divisione Regionale e lo vince con ampio margine sull’Aquila e sul Gloria Chieti. Nella successiva stagione1932-33 la squadra muta il nome in Associazione Sportiva Pescara e prende parte al campionato di Prima Divisione. La società riacquista così la sua identità cittadina (sarebbe interessante conoscere le ignote ragioni di tale decisione, probabilmente le proteste delle altre province abruzzesi). Il nuovo sodalizio affronta dignitosamente il campionato di prima divisione, e fa ancora meglio nella stagione successiva. Il campionato 1933-34 si conclude infatti con un ottimo secondo posto dietro L’Aquila anche se, purtroppo, il Pescara perde l’incontro decisivo per la promozione in serie C, uscendo sconfitto dallo spareggio con la Lucchese disputato in quello che, dopo l’unificazione dei due comuni e la costituzione della Tito Acerbo, era diventato il campo sportivo principale della città: il mitico Rampigna.


• La Puritas durante il campionato di 1a divisione 1935-36

Puritas, primo caso di sponsorizzazione in Italia Al termine della stagione 1934-35 i problemi economici portano di nuovo allo scioglimento della società e all’inevitabile smembramento della squadra, nonostante gli sforzi del presidente Celestino Delfino. Ma un altro Delfino, il cugino “conte” Angelo (la famiglia Delfino si poteva fregiare del titolo nobiliare da oltre due secoli), cercò di salvare il calcio pescarese, fondando la Puritas, dal nome della pasta prodotta dall’azienda di famiglia. Probabilmente è il primo caso, in Italia, di sponsorizzazione diretta di una squadra di calcio. L’idea non poteva che venire in mente ad un personaggio vulcanico e moderno come Angelo Delfino, uomo di grandi capacità, dinamismo, inventiva e coraggio imprenditoriale. Emigrato da Castellammare negli Usa, Angelo Delfino, che aveva studiato chimica, in vent’anni costruì una fortuna con i suoi brevetti per la lavorazione e la colorazione dei tessuti. Durante l’impresa di Fiume appoggiò d’Annunzio con entusiasmo, facendosi promotore tra gli emigrati italiani di una raccolta di fondi a favore del poeta pescarese. Nel 1922 l’ormai ricco Angelo Delfino tornò a Pescara e, insieme con i fratelli, creò il Pastificio Moderno Fratelli Delfino, i cui prodotti venivano commercializzati, per l’appunto, con il marchio Puritas. A metà degli anni Trenta il pastificio occupa oltre 300 operai ed usa strumenti di comunicazione pubblicitaria all’avanguardia: figurine, concorsi a premi, brochure e manifesti realizzati dai migliori grafici ed artisti italiani. Ma quando Angelo Delfino decide di sponsorizzare e “ribattezzare” il Pescara, l’azienda di famiglia sta già entrando in crisi e pochi anni dopo, 66 Vario/Pescara calcio story

nel 1938, la situazione precipiterà. Pertanto il generoso tentativo di dar vita alla Puritas dura solo un campionato, quello 1935-36. Altri hanno scritto che si trattò del campionato successivo, ma non si spiegherebbe, allora, la costituzione ufficiale della S.S. Pescara nel giugno del ’36. Ad ogni modo, il primo e ultimo campionato della Puritas non fu nemmeno disputato per intero, perché la squadra venne ritirata dopo alcune partite per le sopravvenute difficoltà economiche di Angelo Delfino.

10 giugno 1936, nasce il Pescara Calcio Correva l’anno 1936, XIV dell’era fascista, per dirla

Mussolini, conquistata l’Etiopia, proclama l’impero e, cinque mesi dopo, il 24 ottobre, stringe la scellerata alleanza dell’Asse con Hitler, causa prima per l’Italia di tanti sciagurati eventi culminati nel disastro della seconda guerra mondiale. A Pescara, invece, il 1936 è l’anno di un lieto, lietissimo evento: il 10 giugno nasce il Pescara. Presidente è il dottor Angelo Vetta, primario di ortopedia nell’ospedale civile di Pescara, allenatore e factotum della nuova società è Edmondo De Amicis, che pur dedicandosi anima e corpo alla nuova società continuava a fare il commerciante di bombole di gas. La nuova squadra si dà quali colori sociali il bianco e l’azzurro (il bianco delle montagne abruzzesi innevate e l’azzurro del mare pescare-

• 9 Giugno 1938: Pescara-Macerata 3-0

con la pomposa datazione imposta dal regime. Un anno “fatale” per l’Italia e l’Europa. Il 9 maggio

se) e fa il suo esordio nel 1937-38, nel girone D di Prima Divisione Abruzzese, ottenendo subito


• 1933-34 da sinistra Angelozzi, Ranalli, Gialluca, Cascella, Cirillo, Zuccaro, La Porta, Di Santo, Mincarelli, Lippo, Lacorata. In borghese, al centro, Aldo Paloscia.

la promozione in Serie C. Nei due anni successivi la squadra disputò due onesti campionati in Serie C. Nel 1938-39, allenata da Pietro Piselli, si classificò all’ottavo posto. Grazie a numerosi viaggi in Inghilterra, il “maestro” Piselli aveva appreso e riproposto con alternante successo il modulo di gioco definito sistema, più manovriero ed elegante del tradizionale metodo, tattica più basata sulla “fisicità” e sulla velocità del contropiede, grazie alla quale la nazionale italiana guidata da Vittorio Pozzo aveva vinto due campionati del mondo, nel 1934 e nel 1938. Con la nuova formula di gioco, non facile da assimilare, il Pescara disputa una stagione senza infamia e senza lode classificandosi all’ottavo posto. Nel 1939-40 si classificò sesto. In quel campionato, alla guida del Pescara si avvicendarono due allenatori: s’iniziò con Armando Bonino, toscano di Lucca, ex calciatore di buon livello, che dopo un’umiliante sconfitta con l’Orbetello per 7-2, uno dei risultati peggiori di tutta la storia del calcio pescarese, fu esonerato e sostituito dal pescarese Mario Pizziolo, un grande ex calciatore della Fiorentina, campione del mondo nel 1934, entrato nella leggenda del calcio italiano per lo stoico coraggio dimostrato nella durissima gara control a Spagna quando giocò fino alla fine nonostante un gravissimo infortunio.

C, girone F. La squadra, in quell’anno, assume un tratto strapaesano ancora più marcato: nella rosa i pescaresi sono in maggioranza, molti sono giovanissimi. Caratteristiche, queste, che caricano a mille l’ambiente inducendo entusiasmo e ottimismo, anche se i tempi diventano sempre più difficili e bui: il 10 giugno 1940 Mussolini entra in guerra a fianco di Hitler, illudendosi che si tratti di una guerralampo, grazie al momentaneo strapotere militare dei nazisti, sarà invece una guerra lunghissima e rovinosa per l’Italia. Ma nei suoi primi due anni la guerra si combatte lontano dai confini nazionali, e così, sia pure tra mille incertezze, i campionati di calcio si disputano regolarmente. Il Pescara si rafforza anche dal punto di vista societario. Presidente è ancora Angelo Vetta, affiancato da un rinnovato consiglio direttivo in

cui spiccano i nomi di Giustino De Cecco (vice presidente) e Filippo De Cecco. Il Pescara, sempre allenato da Pizziolo, inizia il campionato con questa formazione base: Fabiani, Mincarelli, Paludi; Ventura, De Angelis, Brandimarte; Cerella, Maturo, Tontodonati, Piccinini, Mannelli. La rosa era completata da: Pezzella, D’Albenzio, Ciani, La Porta, Savini, Costantini, Monini, Rotondo, Di Santo, Candeloro. Molti di loro sono pescaresi o della provincia di Pescara. Si rafforza e si consolida, così, il carattere di “pescaresità” che caratterizzerà per parecchi anni il calcio cittadino, in una sorta di gioco di specchi dove l’identità strapaesana della squadra inorgogliva e coinvolgeva la città; la squadra, a sua volta, consapevole che la sua forte identità cittadina la caricava dell’onere e dell’onore di rappresentare

Campionato 1940-41 la Strapaesana promossa in B Con Pizziolo allenatore, il Pescara recupera posizioni e riesce a concludere il campionato 1939-40 con un onorevole sesto posto e si attrezza per disputare al meglio il campionato 1940-41 di serie

• Agosto 1938: alcuni giocatori di ritorno dalla prima seduta di allenamento sulla spiaggia


• 12 Ottobre 1941, Pescara - Genoa 2-1 (Coppa Italia)

l’intera comunità pescarese, traeva da questo rispecchiamento una fortissima motivazione agonistica e una formidabile spinta a dare il massimo delle proprie capacità e possibilità. Di quella mitica Strapaesana fa parte, già dal campionato precedente, un giovane non ancora

Parecchi atleti biancazzurri non giungeranno a fine campionato: alcuni (De Angelis, D’Albenzio, La Porta e Ventura) perché richiamati alle armi, altri (Mincarelli, Fabiani, Di Santo, Mannelli e Piccinini) per gravi infortuni. Nonostante queste impreviste assenze, il Pescara disputa un grande

• Il presidente Angelo Vittorio Vetta (al centro) con D’Incecco, De Angelis, Mincarelli, La Porta e Carta

ventenne che, pur essendo nato in provincia, a Scafa, diventa subito, a suon di gol, l’idolo del Rampigna, l’uomo-simbolo del calcio pescarese. Si trattava di un giocatore che, a dire il vero, praticava un calcio tutt’altro che “paesano”, tant’è vero che giocò molti campionati di serie A nel Bari, nella Roma, nella Lucchese e nel Torino: parliamo del grande Mario Tontodonati (a lui dedichiamo un pezzo a parte). 68 Vario/Pescara calcio story

campionato, totalizzando 44 punti, con 50 reti segnate e soltanto 14 subite, che gli consentono di appaiare il Ravenna nella classifica finale. Il diciannovenne Tontodonati è il capocannoniere del girone con 23 reti. Negli spareggi con le prime classificate degli altri gironi della serie C, il Pescara batte la Fiumana, viene sconfitta dalla Mater Roma ma vince la partita decisiva contro l’Audace di San Michele Extra, frazione di Verona, luogo

natale del grande Mariolino Corso. È il 20 luglio 1941. Il Pescara, dopo 5 anni dalla sua costituzione ufficiale, approda in serie B.

Pescara rivelazione, ma sfuma il (primo) sogno della A Dopo il trionfale ingresso nella serie B, il carattere stracittadino del Pescara non solo non viene diluito ma addirittura potenziato. Nel campionato 1941-42 l’intera rosa è praticamente composta da pescaresi o nativi della provincia. Quando nell’ultima partita di quel campionato il Pescara incontra la Pro Patria a Busto Arsizio (perdendo, purtroppo, e lasciandosi così sfuggire la possibilità di una clamorosa, storica promozione in serie A) la squadra è formata interamente da pescaresi, ad eccezione del portiere Pietro Miglio. Costui era un piemontese diventato famoso ad appena vent’anni, quando giocava nell’Ambrosiana (il nome che l’Internazionale dovette adottare sotto il fascismo), per il beffardo merito d’essere stato il migliore in campo a Praga, nella partita di Coppa Europa del 12 ottobre 1930 persa per 6-1 dalla squadra milanese contro lo Sparta Praga. Il Pescara inizia il campionato 1941-42 con un nuovo allenatore. L’artefice della promozione, Mario Pizziolo, sorprende tutti annunciando di voler chiudere con il calcio e tornarsene a Firenze. Non si conoscono i motivi di tale decisione. Qualcuno sostiene che, insoddisfatto della proposta economica della società, preferisse tornarsene a Firenze per lavorare in uno studio da commercialista. Angelo Vetta chiama a sostituirlo Angelo Ferrero,


torinese, ottimo ex attaccante, già allenatore del Bari in serie A. Ferrero è un personaggio importante nella storia del calcio italiano: dopo il Pescara, infatti, allenerà il grande Torino, conducendolo alla conquista di due scudetti (1945-46 e 1946-47) dei cinque vinti dai granata prima della tragedia di Superga. Nella sua prima stagione in serie B, l’unico realistico obiettivo dei biancazzurri è la salvezza. Il Pescara, sorprendendo tutti, diventa invece la grande rivelazione del campionato. Con una formazione base integralmente pescarese, fatta eccezione per il portiere, il piemontese Miglio voluto da Ferrero, la Strapaesana fa il “pieno” di punti nelle partite casalinghe disputate nell’inespugnabile Rampigna (nessuna sconfitta e sedici vittorie consecutive dopo un pareggio con il Prato nella prima partita). Vince spesso anche in trasferta, comunque sempre giocando un calcio piacevole ed efficace, meritandosi sovente l’applauso dello stesso pubblico avversario. A due giornate dal termine sembra cosa fatta, basta non perdere con la Pro Patria, nella trasferta di Busto Arsizio. Sulla carta, sembra una partita facile: la Pro Patria non ha più obiettivi importanti in quel campionato, naviga tranquillamente a metà classifica, ben lontana dal vertice ma anche ben al riparo da ogni rischio di retrocessione. Una squadra senza particolari motivazioni, insomma, se non quelle puramente sportive di onorare sempre con il massimo impegno ogni gara. La squadra pescarese è nettamente favorita, dunque. Per di più, l’amatissima Strapaesana arriva a Busto Arsizio accompagnata da oltre 1000 pescaresi entusiasti che si scatenano in un tifo d’inferno sulle gradinate del “Bruno Mussolini”, come si chiama a quei tempi lo stadio dei bustocchi. Purtroppo, nonostante queste condizioni favorevoli, il Pescara esce sconfitto 1-0, dopo una partita giocata con una irritante fiacchezza, deludendo la folla di tifosi accorsi in Lombardia con ogni mezzo per sostenere i propri colori. È vero, il gol della Pro Patria fu probabilmente irregolare (un gol “fantasma”, si disse), ma la squadra non fu in alcun modo all’altezza del suo trionfale campionato. Un vero crollo, inspiegabile. Il giornalista Alfonso Di Russo in un convegno su “Pescara e la sua provincia”, una quindicina d’anni fa, affermò che “De Angelis e Tontodonati hanno sempre sostenuto che a tradire quel giorno i biancazzurri fu solo un’intensa emozione che fiaccò loro gambe e idee senza saper trovare, nonostante l’elevato impegno, una idonea forza di reazione”. Ci sembra una motivazione verosimile e persuasiva, tenuto conto della giovane età media dei calciatori biancazzurri e, soprattutto, la loro

• Il grande Mario Tontodonati

Mario Tontodonati, l’idolo più amato Mario Tontodonati (Scafa 1922 – Fontecchio 2008), è stato di sicuro il giocatore pescarese di maggior classe prima dell’avvento di Marco Verratti. Ingaggiato dal Pescara quando aveva appena 18 anni, Mario Tontodonati esplose come punta di grandi doti realizzatrici già nel suo primo campionato. Era la stagione 1940-41, il Pescara dominò il Girone F della serie C, grazie soprattutto alle 23 reti del suo giovanissimo goleador, e fu promosso in B, dove rimase negli altri due campionati successivi piazzandosi onorevolmente (3° nel 1941-42 e 8° nel 1942-43). Velocissimo, dotato di buona tecnica e di un destro micidiale, di altezza “normale” ma abilissimo nel gioco di testa (lo chiamavano “testina d’oro”, soprannome che in seguito venne “ereditato” da Carlo Galli, famoso centravanti della

Roma e della nazionale), Mario Tontodonati rimase con il Pescara dal 1940 al 1946, divenendo il beniamino degli spettatori del Rampigna. Di sicuro, mai un calciatore è stato amato a Pescara quanto lui. Nel 1946 fu ceduto al Bari che militava in serie A. Molti anni dopo, avrebbe raccontato che durante un Bari-Torino, il mitico Valentino Mazzola, perito con gli altri campioni granata nella sciagura di Superga, durante una pausa di gioco gli disse: «Ma che ci fai qui? Vieni su da noi». Invece, Tontodonati fu ceduto alla Roma di Fulvio Bernardini, diventando un beniamino dei tifosi giallorossi e della numerosa colonia di abruzzesi residenti nella capitale. Dopo un campionato con la Lucchese e uno con il Torino, Tontodonati chiuse la carriera di calciatore a Pescara, dove tornò a giocare nel campionato 195354. Nei decenni successivi a più riprese fu chiamato a guidare la panchina biancazzurra con alterna fortuna.


• 1935: Puritas - Fermana 2-1

Quei vent’anni al Rampigna. Tra tifo, amicizie trasversali e (forse) rapimenti di aquile e calciatori È uno dei luoghi mitici di Pescara. Dici Rampigna e dici Strapaesana, tifo infuocato, feroci sfottò tra tifoserie avverse. Soprattutto quando scendava a Pescara il Chieti. «Il tifo al Rampigna faceva davvero paura -ricorda Antonio Salvatore, mediano dai piedi buoni nel Chieti degli anni Cinquanta, oggi importante dirigente della FGCI abruzzese-. Partivamo da Chieti già in divisa da gioco sotto la tuta, per poter arrivare all’ultimo momento quando il pubblico era ormai tutto sulle gradinata e sul prato. La polizia ci faceva entrare da un ingresso secondario, il più vicino agli spogliatoi. Però tra noi giocatori c’era rispetto e molto spesso anche amicizia. Io ricordo un derby del dicembre 1953 che finì 0-0 nonostante che in campo e sugli spalti fosse successo di tutto. Ebbene, il giorno dopo io ed altri giocatori del Chieti andammo a ballare in casa di un calciatore del Pescara». Poi c’è la storia del rapimento di Tontodonati che a Pescara gira da anni. Di recente, qualcuno l’ha perfino raccontata con dovizia di particolari sul web. Vera o falsa? Chiediamo conferma a Salvatore. «È vera. Io non

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ricordo i dettagli, ma ricordo che si trattò di uno scherzo dei goliardi teatini». Noi non abbiamo altre prove della sua veridicità (purtroppo Tontodonati è scomparso qualche anno fa), ma è una storia troppo divertente e “folle” per tacerla. Eccola. Il venerdì precedente un derby con il Chieti al Rampigna, si sparse a Pescara la voce che Mario Tontodonati fosse stato rapito all’uscita della sua tipografia in via Trento. Uno scherzo? Una falsa notizia? Una goliardata? Il Gazzettino d’Abruzzo della Rai ipotizzò che il “sequestro” di Tontodonati fosse stato opera di studenti universitari di Chieti.
 L’autorevolezza della fonte convinse tutti che fosse proprio così: uno scherzo dei goliardi chietini, tanto più che furono trovati in giro per Pescara copie di un volantino in cui si diceva che il capitano del Pescara sarebbe stato liberato solo dopo il derby. I pescaresi non se ne stettero con le mani in mano. Un gruppo di ardimentosi si recò in serata a Chieti e trafugò l’aquila reale del piccolo zoo della Villa Comunale, vanto e gloria dei chietini prima che le proteste degli animalisti portassero

alla sua abolizione. I pescaresi dettarono le loro condizioni ai “cugini” teatini: “Voi rilasciate Tontodonati, noi vi ridiamo l’aquila”. 
Il giorno dopo, i diecimila spettatori che gremivano il Rampigna videro sbucare dagli spogliatori solo dieci giocatori in maglia biancazzurra, ma poco dopo entrarono in campo due giovani pescaresi che portavano a spalla, agganciato ad un bastone, la gabbia con l’aquila, e due universitari di Chieti che “scortavano” Tontodonati già in divisa da gioco. E così, tra fischi, applausi e sfottò, avvenne lo scambio degli “ostaggi” e la partita poté iniziare. Per la cronaca, finì 5-1 per il Pescara. Per chiudere, un’informazione “storica” poco conosciuta sul Rampigna. Fino al 1959 il campo era “patrimonio dello Stato”. In quell’anno, una legge voluta dal ministro delle finanze Taviani autorizzò la permuta alla pari del campo Rampigna con un’area di proprietà comunale, tra Piazza Italia, via Firenze e via Padova, sulla quale sorsero poi gli edifici che oggi ospitano l’agenzia del territorio e altri uffici finanziari.


“pescaresità”: evidentemente la identificazione totale fra squadra e città caricò di responsabilità eccessiva la Strapaesana e tagliò le gambe e annebbiò le idee ai giocatori, impedendo loro quel minimo di lucidità professionale che in certi casi rende possibile la calma e la scelta delle misure giuste per reagire ad una situazione di svantaggio. E così, quella che sembrava una marcia trionfale destinata a concludersi con una clamorosa promozione in serie A, si ridusse ad un deludente e inutile terzo posto: il Pescara con 46 punti finì dietro al Bari, 49 punti, e al Vicenza, 47. Di non poca consolazione furono gli apprezzamenti della stampa nazionale. 
Il Giornale d’Italia, ad esempio, scrisse: “La squadra pescarese è stata la grande rivelazione del campionato; ha fallito per un punto una promozione molto ambita.
Il complesso abruzzese, solido, veramente forte, possiede nell’accordo delle diverse caratteristiche di ogni giocatore, tese a realizzare una vera squadra, e nella difesa che ha incassato appena 24 reti le armi migliori. Ha le carte in regola per raggiungere la serie A nella prossima stagione.” 
 Profezia lusinghiera ma, come dire, fuori luogo dal momento che gli sviluppi bellici avrebbero, l’anno successivo, fatto passare in secondo piano le vicende calcistiche del Pescara e dell’intero Paese.

ripresa e di coesione sociale. Nella stessa stagione 1944-45, a riprova della vitalità del mondo sportivo regionale, si organizza in Abruzzo un campionato misto di B e di C che il Pescara vince agevolmente, guidato ancora una volta da Edmondo De Amicis, impagabile tuttofare. Nella stagione 1945-46 si disputa un Campionato Misto di A e B che il Pescara conclude al sesto posto. Nel 1946-1947 si torna, in qualche modo, alla normalità. La serie B viene divisa in tre gironi, sulla base della prossimità geografica, in modo di consentire un risparmio sulle spese di viaggio per le dissestate società calcistiche. Il Pescara viene inserito nel Girone C, quello meridionale, e finisce il campionato con un onorevole terzo posto.
 Nel 1947-1948 il campionato di serie B torna a girone unico. Il Pescara, guidato dal redivivo Pizziolo, evidentemente stufo di starsene inchiodato ad una scrivania, si classifica settimo. A fine campionato, il presidente Angelo Vetta annuncia la sua decisione di abbandonare dopo dodici anni di presidenza ininterrotta. La società passa ad un gruppo di imprenditori i cui maggiori esponenti sono Di Properzio, De Cecco e Celsi.

C’è la guerra, il calcio si ferma. Ma per poco

Gli anni difficili: 25 anni di Purgatorio nelle serie minori

Tra mille difficoltà si riuscì in qualche modo a disputare il campionato di serie B 1942-43, che il Pescara concluse all’ottavo posto, ma due mesi dopo la conclusione del campionato la città venne investita direttamente dalla furia distruttrice della guerra, attraverso i violenti bombardamenti del 13 agosto 1943 da parte degli aerei alleati che ridussero Pescara in un cumulo di rovine. Nessun campionato di calcio si disputò in Italia nella stagione 1943-44, e sembra superfluo ricordarne le ragioni. Con la liberazione dai nazifascisti dell’Italia centromeridionale e con lo spostamento delle azioni belliche al nord, anche in Abruzzo si cerca di tornare alla normalità. È difficile, in mezzo alle macerie, pensare al calcio, eppure tutti capiscono che anche lo sport può concorrere al ritorno alla normalità, all’avvio della ricostruzione. Colpisce, ad esempio, che nel novembre del 1944 il Comune di Pescara stanzi 60mila lire, una somma notevole per quei tempi e in quella situazione, per ristrutturare il Campo Rampigna. Fu un bel gesto, un segno concreto di fiducia nel futuro e nel valore dello sport come fattore di

In vista del campionato 1948-49, la nuova dirigenza non fa granché per rafforzare l’organico, contando evidentemente sui giovani del vivaio e sui “vantaggi competitivi”, per dirla con linguaggio da marketing, di una Strapaesana. L’allenatore Mario Pizziolo viene confermato ma verrà esonerato a campionato in corso e sostituito da Gino Piccinini, ex calciatore biancazzurro, al quale subentrerà successivamente, dopo poche giornate, Benedetto Stella. Il Pescara termina il campionato all’ultimo posto e retrocede in serie C. Per la società biancazzurra è l’inizio di un lungo purgatorio nelle serie minori che si concluderà solo 25 anni dopo, nel 1974, con il ritorno in B del Pescara di Domenico “Tom” Rosati e del presidente Galeota. Il campionato 1949-1950 costituisce uno dei momenti peggiori della storia del calcio pescarese: la squadra, allenata da Benedetto Stella, non gioca malissimo ma non fa punti e finisce così con il retrocedere nel Campionato Interregionale.
 Le conseguenze sono drammatiche: tra mille contestazioni il gruppo Di Properzio-VianelloDe Cecco-Celsi lascia la guida della società che

viene temporaneamente affidata al Sindaco e al Prefetto. Solo poco prima dell’inizio del campionato di Promozione Interregionale 1950-51 la crisi societaria si risolve con la nomina di un commissario nella persona di Raffaele Breda, un intraprendente ex ufficiale d’aviazione che in seguito, alla testa dell’aereoclub pescarese, molto farà per lo sviluppo dell’aereoporto. Luigi Del Grosso è l’allenatore-giocatore. Il Pescara viene inserito nel Girone L del campionato di Promozione Interregionale. La squadra ripresenta i caratteri della Strapaesana, con otto giocatori pescaresi presenti nella formazione base. Sfiora la promozione piazzandosi ad un punto dal Chieti che, pur sfiorato da un sospetto di “combine”, viene promosso in serie C. Nel successivo campionato 1951-52, il Pescara, con una squadra pressoché immutata, disputa un brillante torneo chiudendo in testa alla classifica con 52 punti, e la bellezza di 84 gol segnati, davanti a Castelfidardo e Ascoli. Ma la conquista del primato fruttò alla squadra biancazzurra soltanto l’ammissione alla Quarta Serie, non alla serie C, in virtù di una complicata riforma varata proprio quell’anno dalla FIGC. Tuttavia, costituendo, nei fatti, la Quarta Serie una categoria superiore ai vari gironi della Promozione Interregionale, si può legittimamente considerare quell’ammissione una vera e propria promozione. Poco prima dell’inizio del campionato 1952-53, la crisi societaria è finalmente risolta con l’arrivo al vertice del duo Sabatino Di Properzio-Angelo Forese, ma il torneo si chiude con un mesto 12° posto finale.

Il ritorno di Tontodonati

Alla vigilia della stagione 1953-54, l’ambiente calcistico pescarese si carica a mille, investito da una improvvisa folata di entusiasmo: viene annunciata la disponibilità a tornare a Pescara del grande ex Mario Tontodonati, l’amatissimo e indimenticato bomber della Strapaesana che undici anni prima aveva conquistato la serie B. L’attaccante, in forza al Torino, fa sapere di voler rinunciare agli 8 milioni d’ingaggio che gli offre il Verona pur di tornare ad indossare la maglia biancazzurra, a condizione che la società pescarese gliene garantisca almeno tre. L’affare si conclude positivamente, anche grazie ad una sottoscrizione popolare che contribuisce a mettere insieme la somma richiesta da Tontodonati. L’entusiasmo dei tifosi è alle stelle, il Rampigna torna ad essere gremito in ogni ordine di posti, raggiungendo in alcune partite clou, come nel


derby del dicembre ‘53 con il Chieti, un pubblico di oltre 10 mila spettatori. Purtroppo, tanto fervore popolare e tanto ottimismo vengono pesantemente delusi. La squadra guidata da Umberto De Angelis ha un ottimo avvio e disputa un discreto campionato, ma alla fine il Pescara conquista soltanto il 3° posto.

1955, s’inaugura lo Stadio Adriatico Durante la stagione 1954-55 De Angelis viene esonerato e sostituito da Piacentini ma, ancora una volta, il Pescara deve accontentarsi solo del 3° posto. I tifosi protestano, la società acquista nuovi gio-

Monticchio, alla quinta giornata del girone di ritorno. Particolarmente infuocati i derby con le altre abruzzesi militanti in Quarta Serie: Teramo, L’Aquila, Giulianova e Chieti. Al termine del campionato
il Pescara è primo con 49 punti ma per la promozione in C deve vedersela con la Reggina allora guidata da un allenatore che da lì a qualche anno diventerà uno dei personaggi più popolari e pittoreschi del calcio italiano: Oronzo Pugliese. Il primo incontro si disputa al Rampigna. Sarà l’ultima gara giocata nello storico campo degli albori del calcio pescarese e della mitica Strapaesana, ma l’esito della partita è per i 12 mila spettatori una cocente sconfitta per 2 a 0. 
La partita di ritorno a Reggio Calabria si chiude 0-0: ancora una volta l’obiettivo della promozione viene mancato.

stante la discontinuità dei risultati la squadra si classifica al 3° posto. Un’invasione di campo nell’ultima partita contro i lombardi del Moglia, con brutale pestaggio dell’arbitro D’Ascola di Reggio Calabria, porta ad una pesante squalifica dell’Adriatico. Il successivo campionato “provvisorio” di serie C, quello 1958-59, sembra un remake peggiorato del precedente. Non solo il Pescara finisce la stagione al 14° posto ma si verifica un’altra invasione di campo, nel corso della partita contro il Catanzaro, che comporterà una squalifica di ben quattro mesi. Unico bel ricordo di quello sciagurato campionato è il civilissimo gesto di capitan Tontodonati che nel corso dell’invasione di campo fa coraggiosamente scudo con il proprio corpo (e con la propria autorevolezza)

A riprova delle perduranti difficoltà della squadra, durante il campionato 1956-57 sulla panchina del Pescara, andato via Notti, si alternano ben tre allenatori: Sola, Piacentini e Monza. Finisce con un’ennesima delusione: i biancazzurri chiudono al 5° posto. Per la stagione 1957-58, la FIGC decide di riorganizzare la serie C con un campionato “transitorio” di eccellenza con l’inclusione delle prime sette di ogni girone di Quarta Serie. L’obiettivo è scegliere alla fine 18 squadre da promuovere in serie C sulla base dei risultati e delle garanzie tecniche ed economiche offerte.

Sembra un obiettivo a portata del Pescara. Infatti, nono-

all’arbitro romano Rancher, sottraendolo al pestaggio già in corso da parte dei tifosi inferociti per l’espulsione del difensore Monaco, tra l’altro pescarese purosangue. Nel campionato di serie C 1959-60 il Pescara gioca nel girone C. Allenatore è Mario Tontodonati, che ha deciso di chiudere la carriera di calciatore e iniziare la nuova esperienza della panchina. Ma i risultati sono deludenti e a metà campionato Tontodonati viene sostituito dallo slavo Lijubo Bencic. Il cambio non giova alla squadra che finisce al 10° posto. Nel 1960-61, la società richiama Tontodonati ma dopo alcune gare lo esonera e richiama Bencic

• Una veduta aerea dello stadio Adriatico di Pescara

catori ed ingaggia un nuovo e bravo allenatore, Alfredo Notti, detto el Nègher per la sua carnagione scurissima pur essendo egli piemontese purosangue. La stagione 1955-56 inizia, ancora una volta, sotto buoni auspici. Tra l’altro il ’55 è l’anno dell’inaugurazione del moderno Stadio Adriatico, avvenuta con un’amichevole contro il Como il 29 dicembre ’55. Il Pescara gioca nel girone G della Quarta Serie e disputa ottime gare, stabilendo tra l’altro un curioso e significativo record: il maggior numero di gol segnati nel corso di una sola partita: un sonoro 12 a 1 all’Adriatico contro la squadra lucana del 72 Vario/Pescara calcio story


che, a sua volta, dopo alcune giornate viene sostituito da De Angelis. Conclusione: il Pescara termina il campionato al 12° posto. Il successivo campionato 1961-62 riserva altre sgradite sorprese: il Pescara finisce al 10° posto, il presidente Sabatino Di Properzio si dimette non prima di aver venduto al Bologna, per 8 milioni, il giovane e promettentissimo Bruno Pace. Dopo l’uscita di Di Properzio la società si riorganizza. Presidente diventa il medico Antonio Sacco, che rimarrà a lungo in società nelle vesti di medico sociale; allenatore, per il campionato 1962-63, il confermato Costagliola e, come general manager, l’ex arbitro Gemini.
 Alla fine, i biancazzurri ottengono un piazzamento onorevole, il 4° posto, che riaccende l’ottimismo e le attese per l’immediato futuro. Purtroppo, nel successivo campionato 196364, durante il quale c’è la solita girandola di allenatori, il Pescara termina solo al 10° posto. Il presidente Sacco si dimette e consegna le “chiavi” della società al sindaco Zugaro De Matteis il quale, in attesa che qualche imprenditore risponda ai suoi appelli, nomina amministratore della società l’avvocato Ennio Giansante. Solo dopo alcune giornate del campionato successivo si fa avanti Vincenzo Scuccimarra che assume la presidenza. Ma anche il campionato 1964-65, nonostante l’innesto di due giocatori di talento come Giammarinaro e Bottari, e il continuo, appassionato incitamento del pubblico, si chiude con un deludente risultato: il Pescara è ancora una volta al 10° posto.

Gli anni delle delusioni Prima del campionato seguente, si registrano novità societarie: il presidente Scuccimarra ottiene un contributo finanziario dal Comune e riesce a convincere il famoso pediatra Salvatore Galeota e Vincenzo Marinelli ad affiancarlo.
La rosa a disposizione dell’allenatore Gigi Marsico viene rafforzata ma i risultati tardano ad arrivare; e così, via all’ennesimo valzer di allenatori: esonerati Marsico e il suo vice Giammarco, in panchina va il giocatore più autorevole, Tony Giammarinaro, ben presto sostituito da Notti. Ma anche quest’ultimo deve far fagotto e la squadra viene nuovamente affidata a Giammarinaro. La classifica finale del campionato 1965-66 vede il Pescara al 9° posto. Scuccimarra abbandona, gli subentra Salvatore Galeota, affiancato, oltre che da Marinelli, da una nutrita schiera di imprenditori e professionisti, tra i quali Vittorio Testa e Nicola D’Ambrosio. Il campionato 1966-67 inizia con l’allenatore Sergio Cervato, ex terzino della Fiorentina e della nazionale. Il Pescara disputa un ottimo girone di

• Il Pescara retrocesso in quarta serie. Da sinistra in piedi: Romoli, De Marchi, Simeoni, Ciampoli, Piccininin, Majo. Accosciati: Moro, Ventura, Rigo, Paglialunga, Arditi.

andata e un pessimo girone di ritorno, piazzandosi al 7° posto nella classifica finale. Cervato viene esonerato, torna Tony Giammarinaro. Nel campionato 1967-68 il Pescara si piazza al 6° posto. Un risultato da non disprezzare, ma la tifoseria rumoreggia, accusa dirigenti e allenatore di essere troppo permissivi con i giocatori che se la spasserebbero in giri notturni nei night della riviera. E così, anche Giammarinaro deve lasciare la panchina biancazzurra. Al suo posto, per la stagione 1968-69 viene ingaggiato Gianni Seghedoni, forse per la sua fama di “duro”. Nonostante gli atteggiamenti da sergente di ferro dell’allenatore, la squadra continua a deludere. Il campionato del Pescara finisce con un piazzamento molto deludente: 13° posto e retrocessione evitata per un pelo. Seghedoni viene esonerato, torna Mario Tontodonati. Di poco migliore il piazzamento nel campionato 1969-70: 9° posto per il Pescara. Peggiore il risultato del successivo campionato 1970-71: i biancazzurri allenati da Capocasale si piazzano al 12° posto in classifica. Il presidente Galeota rimane praticamente solo con Marinelli a reggere la pericolante baracca e decide di affidare la squadra a due tecnici locali: Ezio Falini e Vitaliano Patricelli. Il campionato 1971-72 si disputa con una squadra indebolita e con l’arrivo dal Cagliari del portiere Tampucci, in sostituzione del “vecchio” Lamia Caputi il quale, ceduto al Vasto, dimostrerà ancora per molti anni il suo valore. Al contrario, il giovane Tampucci, gravato da diversi problemi di ordine personale, ne combinerà di tutti i colori. L’arrivo di un allenatore di maggior mestiere come Tofani non cambia l’andamento del campionato che alla fine si chiude con il peggior risultato possibile: il Pescara retrocede in Quarta Serie dopo una rovinosa sconfitta per 4-1 contro il Trani nell’ultima giornata, quando gli sarebbe bastato un pareggio per salvarsi. • Bobo Rigotto, gol e magie per il ritorno in serie C

1972-73 Dalla Quarta Serie alla C e Galeota promette: “Torneremo in serie B” Il presidente Galeota, attaccato da tutte le parti, inviso alla tifoseria e alla stampa, affiancato ormai dal solo Vincenzo Marinelli, invece di abbandonare rilascia una dichiarazione sbalorditiva: “Non lascerò la società se prima non porterò il Pescara in serie B”. È uno shock salutare per l’ambiente che ricomincia a sperare in un futuro calcistico meno avvilente. Galeota e Marinelli ingaggiano Domenico “Tom” Rosati e gli danno ampia autonomia nelle scelte di mercato. Il Pescara, nel campionato 1972-73, viene inserito nel girone H della Quarta Serie. È la squadra da battere. I biancazzurri iniziano malissimo, ma dopo i primi due mesi il Pescara di Tom Rosati infila una serie di 25 partite utili consecutive che gli consentono di conquistare la vetta della classifica e la sospirata risalita in serie C. La promozione riaccende l’entusiasmo della tifoseria e dell’intera città. Galeota ribadisce: “Torneremo in serie B!”. Promessa che sarà mantenuta nel giro di un anno.


Vincenzo Marinelli

Una vita da biancoazzurro Cinquanta anni di calcio, cinquanta anni di passione per il Pescara e per la Nazionale Opinioni e ricordi dell’abruzzese più noto nel mondo del pallone. Un uomo che Lionel Messi chiama “papà Vincenzo”. E che molti vorrebbero presidente del Pescara in A

• Tre immagini di Vincenzo Marinelli nel pallone: a sinistrra con Tom Rosati, al centro con Enzo Bearzot, a destra con Leo Messi

Una mattina del torrido luglio 1962, Vincenzo Marinelli venne atteso inutilmente dagli amici che cazzeggiavano pigramente sulla spiaggia mentre il juke-box di Eriberto alternava i languori di Bruno Martino (“E la chiamano estate”) al twist di Peppino Di Capri (“Speedy Gonzales”). Verso le 11, impeccabilmente vestito di lino bianco, in mano la sua borsa di cuoio da rappresentante farmaceutico, il giovane Marinelli s’infilò nel portone del numero 10 di via Sulmona, salì al primo piano e pigiò il campanello d’una porta sulla cui targa si leggeva: Società Sportiva Pescara. Aspettando che gli aprissero, Marinelli tastò la borsa in un istintivo gesto di rassicurazione: dentro non c’erano i soliti campioni di medicinali, ma 100 biglietti da 10 mila lire. Un milione. «Già, un milione tondo tondo. E in contanti. Era la somma richiesta per entrare a far parte della società sportiva Pescara, che a quel tempo aveva sede nel cuore della città», ricorda e racconta Vincenzo Marinelli. Ed ora, esattamente cinquant’anni dopo, lei sta nuovamente per varcare la sede del Pescara per sedersi sulla poltrona da presidente… «Non corriamo, per favore…». Lo danno tutti per scontato. Ed anche lei, negli ultimi tempi, anche subito dopo la promozione in A, non ha negato contatti e impegni. 74 Vario/Pescara calcio story

«Non li nego, anzi, li confermo volentieri. Diciamo che mi sono “impegnato a impegnarmi” nel Pescara che disputerà la A». Be’, Vincenzo Marinelli non può che avere un ruolo nella Pescara Calcio. Lei è il pescarese più noto nel mondo del calcio locale, nazionale e internazionale: dirigente di lungo corso della Lega Calcio, da anni team manager della nazionale italiana Under 21, presidente della società biancazzura dal 1980 al 1986, dopo esserne stato per vent’anni, dal quel lontano 1962, socio e dirigente responsabile del settore tecnico. Sembra davvero impensabile che lei adesso entri nella Delfino Pescara solo come socio. «Lo dice lei e lo dicono altri, e a me fa piacere. Così come sarà un piacere collaborare con l’attuale presidente Daniele Sebastiani, giovane molto preparato e serio, il cui entusiasmo mi ricorda me alla sua età. Ma prima preferisco aspettare che si definiscano alcune questioni interne delle mie aziende per potermi dedicare senza impacci di alcun tipo al mio Pescara». Il “suo” Pescara. Davvero un grande amore. «Mi è perfino difficile spiegare “quanto” grande!». Il suo profondo legame con i colori biancazzurri lo ha dimostrato con i fatti. A cominciare da quel suo ormai mitico ingresso nella società nel 1962. Lei aveva poco più di vent’anni…

«Ma già guadagnavo bene con il mio lavoro e così, quando i dirigenti mi dissero “Davvero vuoi entrare? Metti un milione ed entri”, non ci pensai su due volte». Un milione era una bella cifra… «Accidenti se lo era!» …soprattutto per un giovane. «Sì, ma il calcio era il mio sogno più grande». Se n’è mai pentito? «Scherza? Assolutamente no. Del resto, ne ho cacciati di milioni per il Pescara! Ma non ho solo dato, ho anche avuto». In che senso? «Guardi, molti a Pescara e nel resto d’ Italia si vantano dei propri meriti nei confronti del calcio, di quello che hanno fatto per questa o quella squadra. Fanno bene, lo faccio anch’io. Però non dimentico mai di aggiungere che anche il calcio ha fatto molto per me. Perché nascondere che i rapporti che si instaurano in questo ambiente diventano spesso preziosi anche per il proprio lavoro? Le racconto una storia, così, tanto per fare un esempio». Prego. «Lei ha ricordato prima il mio curriculum. Immagini quanta gente importante ho conosciuto in tutti questi anni. Tra i tanti, sono diventato molto amico di Giampiero Boniperti (mitico calciatore


• Vincenzo Marinelli, calcio e champagne


• Vincenzo Marinelli vicepresidente assieme al presidente Galeota e la stretta di mano con Tom Rosati dopo la promozione in serie B

e presidente della Juventus, ndr). Ebbene, tanti anni fa ero interessato ad acquisire la rappresentanza di una grande multinazionale dell’industria farmaceutica. Così andai a Milano per un colloquio. Mi ricevette il capo del personale. Andammo fuori a pranzo, passeggiammo, tornammo nel suo ufficio, continuammo a chiacchierare, ma di tutto si parlava fuorché di lavoro. Allora presi coraggio e dissi: “Scusi, ingegnere, io dovrei riprendere l’aereo per Pescara. Il colloquio…”. Non mi fece finire: “Ma quale colloquio, non c’è bisogno di nessun colloquio. Ieri sera mi ha telefonato Boniperti e non la finiva più di tessermi le sue lodi e convincermi che ci mettevamo in buone mani. Perciò adesso andiamo su e firmiamo il contratto”. Ecco, io queste cose non le nascondo». Si ricorda il campionato 1986-1987? «Come faccio a dimenticare la terza promozione in A del Pescara?» Bene. Ricorderà, perciò, che quel campionato il Pescara, fino a pochi giorni prima dell’inizio, doveva disputarlo in serie C1 ma poi, grazie alla provvidenziale penalizzazione del Palermo che 76 Vario/Pescara calcio story

fu retrocesso, i biancazzurri furono riammessi in B. La domanda è: come ha ritenuto opportuno muoversi in quella occasione? «In nessun modo particolare. Il Palermo non rispettò i suoi impegni economici e noi gli subentrammo. Devo dire che fui naturalmente felice per il Pescara ma mi rammaricai molto per il Palermo, soprattutto per l’avvocato Maita, all’epoca presidente della società rosanera, che come me faceva parte del consiglio di presidenza della lega». Si rimase in B e si andò sorprendentemente in serie A con il calcio-champagne di Galeone. Ma lei non era più presidente, nell’estate dell’86 s’era dimesso… «Sì, è vero, ma dopo aver scelto assieme agli altri Galeone. Un allenatore che all’inizio non trovava tutti d’accordo, non tanto per le sue capacità tecniche quanto per certe sue, diciamo così, stranezze». Quali stranezze? «Be’, le sembrerà strano ma qualcuno era preoccupato per il fatto che a Ferrara, quando allenava la Spal, Galeone era abituato a passeggiare con un cagnolino cui era affezionatissimo. Immaginam-

mo cosa poteva succedere a Pescara se la squadra fosse andata male e i tifosi avessero incrociato Galeone passeggiare tranquillamente per la riviera o per corso Umberto con il suo cagnolino». E come si risolse la questione? «Prima dell’inizio del campionato il cagnolino di Galeone morì». Però lo confessi: l’allenatore del Pescara che lei ha più amato ed apprezzato è stato Tom Rosati. «Come posso negarlo? Intanto, eravamo molto amici. Tom, come tutti i burberi, se preso per il verso giusto era capace di darti amicizia vera e duratura. Il che, nel mondo del calcio non capita tutti i giorni. In secondo luogo, non dimentichiamo quello che il Pescara deve al povero Rosati». In due soli campionati, dal 1972 al 1974, riportò il Pescara dalla Quarta Serie alla serie B. Dieci anni dopo, nel campionato 1982-83, lei, da presidente, lo richiamò e lui riuscì nuovamente a riportare i biancazzurri dalla C alla B. «Capisce? A parte il lato umano, uno con questi risultati, come fai a non apprezzarlo e a non volergli bene? Il che non toglie che il Pescara abbia avuto


• Vincenzo Marinelli in panchina tra Tom Rosati e Filippo De Cecco, un momento di festa, a Bologna per lo spareggio che valeva la A e con Catuzzi e Matarrese

altri allenatori straordinari, da Cadé a Angelillo, da Catuzzi a Rossi a Galeone…». E Agroppi? «Agroppi, già. Sa come lo chiamavo? “Angoscia”. Era sempre agitato, pieno di dubbi, d’incertezze. Mi telefonava in continuazione, anche nel cuore della notte, voleva parlare, ragionare su questo e su quello… Insomma, Agroppi era un uomo sensibile, colto, intelligente, arguto come tutti i toscani. Ha fatto bene il commentatore e l’opinionista televisivo, ma credo che certe sue caratteristiche, pur molto positive da un punto di vista umano, ad esempio la grande sensibilità, gli abbiano precluso i risultati che pure avrebbe meritato per la sua intelligenza e la sua preparazione professionale. Sa, il mondo del calcio è meraviglioso ma molto complicato e a volte duro». E Zeman? «Che posso dire di più di quello che hanno detto i fatti? Per lui parlano i risultati e quello che dicono i calciatori del Pescara. Zeman è un grande allenatore, un uomo leale e coraggioso, capace come pochi di dire sempre quello che pensa».

Lei ha conosciuto da vicino tutti i presidenti del Pescara degli ultimi cinquant’anni. Fu lei, anzi, a convincere Galeota ad entrare nella società… «E fu un ottimo presidente, anche se un po’ sfortunato. Era uno che se diceva una cosa…». Una cosa memorabile la disse di sicuro quando, dopo la retrocessione in Quarta Serie, davanti a chi lo invitava a dimettersi disse: “Me ne andrò solo quando il Pescara tornerà in serie B”. E fu di parola. «Già. Era un uomo di grande valore, un pediatra illustre e molto popolare, che pian piano riuscii a contagiare con il mio amore per il calcio e per il Pescara. All’inizio era un po’ distaccato, ma poi s’appassionò». A parte Marinelli, chi è stato il più grande presidente del Pescara? «Lei mi vuol proprio mettere in difficoltà…». Scibilia è stato un presidente costantemente sotto tiro, criticato da tutti, con una tifoseria quasi sempre ostile. Lei, invece, in qualche sua dichiarazione è sembrato apprezzarlo. È così? «Certo. Senza stare a misurare torti e ragioni con

il bilancino, basta una considerazione: per un lungo periodo Scibilia ha assicurato continuità alla società. Le sembra poco? A me no». Appesa al muro della sala d’aspetto dell’ufficio di Marinelli c’è una sua foto con Lionel Messi, nel bel mezzo del mitico Camp Nou di Barcellona. La dedica della “pulce” dice: “A papà Vincenzo”. Presidente Marinelli, lei immagina quante persone darebbero un braccio per una foto e una dedica simile? «Lo immagino, eccome. Per me Messi è il più grande di tutti i tempi ed è rimasto un ragazzo semplice e affettuoso. Ho la fortuna di incontrarlo spesso quando vado a Barcellona. Lo vedo insieme con mia figlia Silvia e mio genero Manuel Estiarte che d’estate vengono a trovarmi a Pescara con Pep Guardiola, mio buon amico». Be’, in un futuro può sempre portare a Pescara Guardiola… «Come no? A parte gli scherzi, credo che ora anche lui dovrebbe faticare per meritarsi l’affetto dei tifosi».


1973-74 E Galeota mantenne la promessa: di nuovo in B!

• Il Pescara che conquistò la serie B. In piedi da sinistra: Lopez, Loseto, Serato, Tom Rosati, Galeota, Marinelli, Cimpiel, Franco Rosati, Ciampoli, Fioravanti, Ferrari, il massaggiatore Italo Rapino. Accosciati: De Marchi, Turrini, Zucchini, Ventura, Ciardella, Pennati, Capogna, Battiston, Prosperi

Il campionato di C 1973-1974 inizia con una importante novità organizzativa: il vice presidente Vincenzo Marinelli diventa responsabile unico della gestione tecnica. La prima mossa di Marinelli è di dare la più ampia fiducia a Tom Rosati nelle scelte di mercato e così l’allenatore marchigiano può attrezzare un’ottima squadra. Arrivano il portiere Cimpiel, detto il “rosso volante”, il grande Vincenzo Zucchini, i centrocampisti Lopez e Pennati, l’ala Capogna e il centravanti Serato.
 I successi arrivano subito, con dodici risultati utili consecutivi che consentono al Pescara la conquista della vetta della classifica a pari punti con la Casertana. Nello scontro diretto i biancazzurri battono i campani per 1-0 e conquistano il primo posto.
La lotta finale è tra Pescara, Casertana e Lecce. Nella penultima giornata il Pescara incontra all’Adriatico proprio la forte squadra pugliese. Con la vittoria, la promozione in B diventa matematicamente certa. Il Lecce passa in vantaggio ammutolendo i tifosi pescaresi, ma nell’ultima 78 Vario/Pescara calcio story

parte dell’incontro Vincenzo Zucchini pareggia con un gran gol scatenando l’entusiasmo dello stadio gremito in ogni ordine di posti. Ma la certezza della promozione in B non c’è ancora, sarà decisiva l’ultima partita di campionato, in trasferta contro un Latina già retrocesso. L’attesissima gara si disputa
il 16 giugno 1974 nello stadio comunale di Latina stracolmo di tifosi pescaresi. Il pubblico è così strabocchevole che l’arbitro Vannucchi è tentato di non dare inizio alla gara. Infine si gioca. Il Pescara attacca e mette sotto la squadra locale, ma la porta dei laziali sembra stregata, c’è un portiere che para tutto, esibendo un incredibile repertorio di parate impossibili, uscite spericolate, spettacolari voli d’angelo. I tifosi biancazzurri non credono ai propri occhi: quel portiere-saracinesca è Tampucci, proprio lui, l’ex numero uno biancazzurro che a Pescara collezionava papere. Alla fine, una velenosa punizione di Franco Rosati, fratello minore di Tom, fa capitolare l’incredibile Tampucci. Lo stadio esplode in un tripudio di colori biancazzurri: finalmente di

nuovo in serie B! L’intera città festeggia per giorni l’agognata promozione. E Galeota? Il presidente della straordinaria doppia promozione dimostra di essere un uomo di parola: non solo ha portato la squadra in serie B ma, proprio ora che la sua popolarità è alle stelle, lascia la guida della società, così come aveva promesso. Vincenzo Marinelli, per fortuna, resta e diventa l’uomo-chiave nella ristrutturazione societaria del Pescara. L’ingresso nel calcio professionistico comporta la trasformazione da società sportiva a società per azioni. Marinelli ha un ruolo di primo piano nei contatti e le trattative tra amministrazione comunale, imprenditori e società per la costituzione della S.p.a., che infine viene varata con Gianni Capacchietti presidente e quattro vice: Marinelli, Torlontano, Caldora e Taraborrelli. Il Pescara adesso ha anche un direttore sportivo di grande capacità, Piero Aggradi, un nome suggerito a Vincenzo Marinelli dal grande Italo Allodi. Inizia una nuova ed esaltante era per i colori biancazzurri e per l’intera città.


1974-1976 Due campionati di assestamento in B. Rosati se ne va La nuova era, tuttavia, non comincia bene. I due campionati di B, 1974-75 e 1975-76, sono deludenti. Pur avendo in squadra elementi di grandevalore come Nobili, Zucchini, Lopez, Serato ed altri, ai quali si aggiungono, nel secondo campionato, ottimi giocatori come Piloni, Repetto e Mutti, i primi due campionati di B si concludono con risultati non esaltanti: un decimo posto nel primo e un quattordicesimo nel secondo. Le critiche maggiori sono per Rosati, considerato da una parte della tifoseria non adatto alla B, essendo le sue capacità tattiche e il suo carattere da sergente di ferro utilissimi nelle serie inferiori ma non nella serie B. Il presidente Capacchietti è un estimatore di Tom Rosati e lo difende fino a quando le critiche diventano così insistenti e aggressive che lui decide di dimettersi. L’allenatore che ha riportato il Pescara in B lo segue. Al posto di Capacchietti arriva il costruttore edile Armando Caldora, al posto di Rosati viene chiamato Giancarlo Cadè. Il tecnico bergamasco è già noto come un “mago” delle promozioni di squadre di provincia, avendo già portato in B la Reggiana e in A il Mantova. In squadra ci sono sempre tipi come Piloni, Zucchini, Nobili e Prunecchi, ai quali viene aggiunto il talentuoso Orazi e il “torello” Di Michele, un centravanti tosto, veloce e abilissimo nel gioco di test. Dall’alto • Capogna, protagonista del vittorioso campionato di serie C. • Il Pescara in serie B. In piedi da sinistra: Serato, Nobili, De Marchi, Bertuolo, Palanca, Zucchini. Accosciati Ballarin, Lopez, Ventura, Priola e Ciampoli • Tom Rosati esultante con Marinelli • Franco Rosati, autore del gol-promozione a Latina • Edmondo Prosperi


1976-77: “Si va, si va, in serie A” È la prima volta del Pescara

• Il Pescara promosso in serie A. In alto da sinistra: Galbiati, Mosti, Motta e La Rosa; al centro Piloni, Di Somma, Cesati, l’allenatore in seconda Bozzi, il presidente Armando Caldora, l’allenatore Giancarlo Cadè, Andreuzza e Zucchini; in basso il massaggiatore Rapino, Santucci, Prunecchi, Orazi, Mancin, Repetto, Giacomi, Nobili e Di Michele

Le prime giornate del campionato 1976-77 sono un alternarsi di risultati positivi e negativi, però il Pescara, sotto la guida dell’abile Cadé, mette in mostra un gioco piacevole e ben organizzato. Ben presto i biancazzurri s’insediano nel gruppo di vertice e concludono il girone di andata in testa alla classifica, alla pari con Vicenza e Monza. Nel pubblico cresce l’entusiasmo e nel girone di ritorno comincia ad echeggiare sugli spalti l’urlo spavaldo “Si va, si va, si va in serie A”, slogan attribuito allo stesso Caldora, un presidente, per altro, criticato per il suo modo semplice e talvolta ruspante di esprimersi. Il Pescara realizza exploit notevoli, come le sei vittorie consecutive, fra le quali spiccano un 3-0 al Cagliari e l’1-0 al Menti sul Vicenza. In un clima di crescente entusiasmo, il Pescara conclude il campionato al secondo posto, insieme con Atalanta e Cagliari. Primo in classifica è il Vicenza di Paolo Rossi. È necessario, così, uno spareggio a tre per designare le altre due squadre che saliranno in A insieme con i veneti. Il primo spareggio si gioca a Terni. Nella “steel city” umbra, famosa (allora) per le sue acciaierie, il Pescara pareggia a reti inviolate con il Cagliari, mentre l’Atalanta batte il Cagliari 2-1. La partita decisiva si svolge a Bologna, contro l’Atalanta che, grazie alla vittoria nella prima gara, è già praticamente promossa. Il 3 luglio 1977 allo stadio 80 Vario/Pescara calcio story

Dall’Ara i tifosi biancazzurri arrivano in 30mila. Una cifra impressionante per una giornata davvero storica. La partita finisce secondo le previsioni: 0-0, nonostante si fronteggino due tra i migliori attacchi della A (il Pescara vanta il primato dei gol realizzati, 48, l’Atalanta ne ha segnati 44). Ma quella partita non poteva avere un risultato diverso. E così, per la prima volta nei suoi 40 anni di storia, il Pescara è promosso in serie A. L’entusiasmo della città, cui partecipa gran parte dell’Abruzzo, esplode incontenibile e si “sfoga” in una interminabile, bellissima, frenetica megafesta che dura giorni e giorni, quasi un’intera settimana. • Sopra Vincenzo Zucchini. Sotto il bomber Mimmo Di Michele


1977-78 Pescara fra le grandi ma torna subito in B Il primo campionato di A del Pescara, 1977-78, inizia con un nuovo presidente: Attilio Taraborrelli al posto di Caldora. Cadé viene confermato. Il torneo dei biancazzurri comincia subito male, con due secche sconfitte: nella prima giornata all’Adriatico contro il Napoli di Juliano (3-1), nella seconda al Filadelfia di Torino contro i granata (2-0). Si arriva alla pausa natalizia con i biancazzurri al penultimo posto, con 6 punti. Nel mezzo, s’è registrata la sconfitta in casa col Milan all’Adriatico (un 2-1 poi mutato a tavolino in 2-0 per una sassata che colpisce Rivera). Il 31 dicembre il Pescara pareggia a San Siro contro l’Inter, una settimana dopo perde in casa con la mitica Juventus di Zoff, Scirea, Causio, Tardelli, Bettega. Al termine del girone d’andata i biancazzurri sono all’ultimo posto. Sconfortante, ma la squadra è quella che è, praticamente la stessa che ha vinto il campionato di serie B. Il girone di ritorno è altrettanto deludente, anche se non mancano soddisfazioni come, ad esempio, la vittoria in casa sull’Inter alla ventisettesima giornata per 2-1, con gol di Grop, pareggio di Altobelli, e autorete del nerazzurro Bini. Il Pescara chiude il suo primo campionato di A all’ultimo posto con solo 17 punti: le tre squadre penultime (Fiorentina, Genoa e Foggia) ne hanno 25 (retrocedono in B anche Genoa e Foggia). Una serie infinita di polemiche accompagna il deludente campionato dei biancazzurri, un tutti contro tutti aspro e talvolta velenoso, coinvolgendo anche l’amministrazione comunale che, con un atteggiamento alquanto demagogico, s’è schierato dalla parte della maggioranza dei tifosi che rimproverano la dirigenza della squadra di non aver potenziato l’organico per adeguarlo alla serie maggiore. I dirigenti, non senza qualche ragione, denunciano l’isolamento nel quale sono stati lasciati, rivendicando i sacrifici economici fatti e sottolineando che nessuno si è fatto avanti per dare una mano per garantire la necessaria solidità economica. A fine campionato lascia anche Attilio Taraborrelli e torna Gianni Capacchietti.

• Il Pescara in serie A. Due momenti della prima sfida con la Juventus, dall’alto Nobili al tiro tra Tardelli e Causio, sotto Galbiati con Scirea. Cadè che abbraccia Andreuzza, Giorgio Repetto, il motore della squadra


1978-1979, arriva Angelillo ed è ancora serie A

• Un’altra impresa a Bologna, questa volta contro il Monza. Ecco l’allenatore Valentin Angelillo portato in trionfo dai tifosi. Sotto l’attacante pescarese Di Michele

Capacchietti non riconferma Cadé e chiama sulla panchina biancazzurra il quarantenne Antonio Valentin Angelillo, il grande attaccante che con Sivori e Maschio aveva formato, negli anni ’50, il mitico trio d’attacco della nazionale argentina che per il piglio sfrontato con cui giocavano i tre venne chiamato “los angeles con caras sucias” , cioè “gli angeli dalla faccia sporca”, dall’omonimo titolo di un famoso gangster-movie degli anni ’30, con James Cagney e Humphrey Bogart. Anche in Italia Angelillo s’era affermato come strepitoso goleador, vincendo a ripetizione la classifica dei cannonieri di A (è rimasto suo, con 33 reti, il record di segnature in un campionato a 18 squadre, ottenuto nel 1958-59). L’organico del Pescara subisce qualche ritocco (va via, ad esempio, il bravo portiere Massimo Piloni, sostituito da Angelo Recchi), ma il nucleobase degli ultimi due campionati (Santucci, Zucchini, Repetto, Nobili, Di Michele) rimane. Il campionato 1978-79 di serie B vede nel Pescara una delle squadre favorite. Nel girone d’andata i biancazzurri si piazzano subito nelle posizioni di vertice: dopo sette partite, con cinque vittorie e due pareggi, il Pescara è a 12 punti. Al termine del girone gli uomini di Angelillo sono al terzo posto, a pari punti con il Monza, dietro alla sorpresa Udinese (salita dalla C) e al Cagliari. Cresce tra i tifosi l’entusiasmo e la fiducia in un pronto ritorno in serie A. Angelillo diventa sempre più 82 Vario/Pescara calcio story

amato e popolare: il suo gioco arioso e aggressivo piace molto e produce una lunga e determinante serie di vittorie esterne. Non vanno giù ai supporters biancazzurri i troppi pareggi interni, ma la facilità con cui il Pescara espugna campi difficili (Taranto e Nocera, ad esempio) riequilibra la classifica e gli umori. Il fatto è che il modulo di gioco marcatamente offensivo della squadra di Angelillo incontra qualche difficoltà all’Adriatico, dove spesso gli ospiti si chiudono a riccio, mentre fuori casa le trame veloci ispirate da Zucchini, i micidiali contropiedi di Di Michele, la raffinata tecnica di Nobili hanno modo di dispiegarsi conquistando il cuore dei tifosi e dell’intera città, facendo dimenticare il pur amatissimo allenatore della prima promozione in

A, Giancarlo Cadé. Nel girone di ritorno il Pescara fa meglio dell’andata ma, ancora una volta, sarà uno spareggio a decidere il ritorno nella massima serie. Infatti, a fine campionato la classifica vede in testa l’Udinese con 55 punti, secondo il Cagliari con 49, e terzi con 48 punti Pescara e Monza. Lo spareggio con i brianzoli si disputa il 1 luglio, di nuovo a Bologna, città “fatale” e beneaugurante per le sorti del calcio biancazzurro. Di nuovo in marcia decine di migliaia di abruzzesi, non solo pescaresi dunque. La partita ha un esito trionfale: 2-0 (Pavone al 40’ e autorete di Giusto al ’61 su tiro di Nobili). L’entusiasmodei tifosi pescaresi e dell’intero Abruzzo è alle stelle: il Pescara torna in serie A dopo un solo anno di B.


1979-80 Di nuovo in A, di nuovo retrocessi

• In A ma ancora di passaggio. In piedi da sinistra Pellegrini, Ghedin, Piagnerelli, Boni, Cinquetti, Prestanti; accosciati Chinellato, Repetto, Nobili, Cerilli e Silva

La campagna acquisti in preparazione del campionato 1979-80 di serie A non è soddisfacente: si capisce subito che la squadra non si sta rafforzando adeguatamente per non ripetere l’esperienza di ascesa e caduta di due anni prima. Non solo: la campagna vendite riserva un’amara sorpresa ai tifosi pescaresi. La società vende alla Lazio il suo pezzo pregiato, quel Vincenzo Zucchini che, nonostante il campionato di A disastroso per la squadra, ha saputo confermare anche nella massima serie le sue grandi qualità tecniche e agonistiche e la sua intelligenza calcistica. I tifosi del Pescara lo venerano al punto da dedicargli un club e grande è la loro delusione quando apprendono la notizia. Ma il bilancio ha ragioni che il cuore non conosce. E così, si parte per la nuova avventura in serie A con i peggiori presentimenti e fra mille mugugni. L’unica notizia buona è che al vertice della società non c’è il “tradizionale” avvicendamento: resta Gianni Capacchietti che conferma sulla panchina Angelillo, affiancato da un “vice” molto amato come l’indimenticabile Mario Tontodonati. Si comincia in settembre a San Siro, contro

l’Inter: 2-0 per i nerazzurri. Seconda giornata: all’Adriatico vince la Roma per 3-2. Terza gara a Torino: sconfitta per 3-0 contro la Juventus. Un settembre da incubo. Angelillo viene esonerato, al suo posto subentra Gustavo Giagnoni ma bisognerà aspettare il 2 dicembre per registrare la prima vittoria del Pescara: 1-0 contro il Napoli all’Adriatico. Il presidente Capacchietti, intanto, minaccia le dimissioni ma gli altri dirigenti lo convincono a restare. Il 6 Gennaio 1980, a Udine, un pessimo arbitraggio di Menicucci facilita la vittoria dei friulani sul Pescara per 2-1. Giagnoni viene espulso per proteste e si becca una pesante squalifica. Lo sostituisce il suo vice, il pescarese Claudio Tobia. Capacchietti ripropone le sue dimissioni ma non trova l’accordo economico con Taraborrelli che si dice pronto a subentrargli. Il Pescara continua a navigare malinconicamente a fondo classifica e finisce il campionato all’ultimo posto, retrocedendo nuovamente in serie B. Amara consolazione è la retrocessione, insieme con il Pescara, di una coppia di squadre illustri, per presunti illeciti nell’ambito del cosiddetto scandalo del “totonero”: Lazio e Milan.

• L’attaccante Cerilli


1980-81 Con Marinelli presidente si riparte dalla B

• L’organico: in piedi da sinistra l’allenatore in seconda Ripari, Pacchiarotti, D’Alessandro, Santucci, Nobili, D’Eramo, Pirri, Taddei, Prestanti e Agroppi; al centro Romei, Silva, Cinquetti, Negrisolo, Pucci, Pellegrini, Eusepi; in basso, Boni, Di Michele, Trevisanello, Cosenza e Chinellato. A destra in serie B con l’allenatore Agroppi e il capitano Nobili

Intanto, nell’ultima fase del campionato, Capacchietti ha lasciato la presidenza. Vanno via con lui Caldora, Di Properzio e D’Eramo. Subentra un gruppo formato da Filippo De Cecco, Panfilo De Leonardis, Taraborrelli ed altri che eleggono alla presidenza Vincenzo Marinelli, l’imprenditore pescarese del settore farmaceutico che diventerà in seguito un dirigente di spicco della Lega Calcio (oggi è team manager dell’Under 21). Toccherà a Marinelli e soci la difficile impresa di riportare il Pescara in serie A. La panchina biancazzurra viene affidata al giovane Aldo Agroppi, già ottimo giocatore e “bandiera” del Torino. Agroppi ha grande personalità ma la sua esperienza di allenatore

si limita alle giovanili del Perugia. Franco Manni viene ingaggiato come general manager. Prima dell’inizio del campionato una nuova crisi societaria porta alla permanenza nella gestione della società dei soli Marinelli, De Cecco, De Leonardis e Taraborrelli. Il campionato di serie B 1980-81 parte con un favorito d’obbligo, il Milan, e un gruppo di squadre fortissime, almeno sulla carta: Lazio, innanzitutto, poi Genoa, Sampdoria, Cesena, Bari. Sarà dura per il Pescara lottare per la A, anche se, magra consolazione, la permanenza in B è praticamente assicurata dalla penalizzazione che costringe il Palermo e il Taranto a partire da -5. Il Pescara disputa un campionato migliore di

quello che i più pessimisti temevano, rimanendo costantemente nel “gruppone” di metà classifica. Il Milan, naturalmente, stacca subito le altre squadre e si insedia saldamente al comando e sarà promosso in serie A, insieme con Cesena e Genoa. Nell’ultima partita di campionato, disputata all’Adriatico il 21 giugno 1981, il Pescara si toglie una gran bella soddisfazione battendo lo squadrone del già promosso Milan per 1-0, con un gol di Silva, ex milanista. In tribuna, registrano le cronache, c’è Saul Malatrasi, destinato a sostituire Agroppi nella stagione successiva. La classifica finale vede il Pescara insediato ad un decorosissimo 6° posto.

1981-82. Si sogna la A, si finisce in C1 Si comincia il nuovo campionato con Saul Malatrasi in panchina. Agroppi non ha soddisfatto le attese della società e del pubblico pescarese. Eppure, proprio nel campionato che sta per iniziare, riuscirà a portare in serie A il Pisa del vulcanico presidente Romeo Anconetani. A Pescara si è dunque commesso un colossale errore di valutazione del suo valore di allenatore? A giudicare dal prosieguo della sua carriera, si direbbe proprio di no: dopo l’exploit di Pisa, Agroppi non si ripeterà più a quel livello e la sua carriera di allenatore si concluderà dopo poche stagioni. Ma, intanto, è proprio il Pisa di Agroppi che fa suonare il primo campanello d’allarme per il Pescara, battendo i biancazzurri per 3-0 nella giornata inaugurale del campionato. Già alla quinta giornata, dopo tre sconfitte e una sola 84 Vario/Pescara calcio story

vittoria, sulla panchina del Pescara non c’è più Malatrasi, esonerato. Al suo posto il sardo Mario Tiddia, ex calciatore-bandiera del Cagliari, detto “Cincinnato” perché alla carriera di allenatore alterna quella di agricoltore. Il nuovo allenatore non riesce a dare la “scossa” che sempre ci si attende dal cambio del tecnico e il Pescara continua ad affondare in classifica. Bisognerà aspettare la tredicesima giornata per la seconda vittoria stagionale: 2-0 sul Bari con doppietta di Walter Mazzarri, uno dei tanti nomi illustri del calcio di oggi che si sono fatte le ossa a Pescara. Ancora quattro incontri e Tiddia viene esonerato e sostituito con Beppe Chiappella, il popolare mediano della Fiorentina e della nazionale negli anni ’50. La musica non cambia, anzi diventa ancora più stonata rispetto alle attese dei tifosi. Il girone

di ritorno, infatti, va peggio dell’andata per i colori biancazzuri. Finisce nel modo peggiore: il Pescara è ultimo e retrocede in serie C1. Nonostante i presagi, nessuno si aspettava che finisse così anche se fin dalla prima parte del campionato il mesto epilogo era subito apparso inevitabile. È una brutta botta, soprattutto per Marinelli & co. Le retrocessioni sono dolorose anche perché aggravano i problemi economici. Ma il presidente Marinelli è uno tosto, che non molla facilmente, e così, nonostante i problemi creati dalla retrocessione, decide di rimanere. La sua prima mossa si dimostrerà quella vincente: richiama in panchina il suo grande amico Tom Rosati, l’allenatore che già una volta, poco meno di dieci anni prima, aveva riportato il Pescara in serie B.


1982-83. Con Rosati si risale subito in B

• Il Pescara torna in serie B. In alto Cerone, il ds Franco Manni, Rosati e il vice Prosperi, Giovanni Galli, Massi, il massaggiatore Rapino; al centro Polenta, Mandressi, Bartolini, Pacchiarotti, Repetto, D’Alessandro, Lombardi; in basso Ioriatti, Testani, Dalla Costa, Costaggiu, Cittadino, Filippo Galli e Livello. Mancano Giancarlo Tacchi, Tacconi e Caputi.

Il ritorno del “sergente di ferro” ridà entusiasmo alla tifoseria. Rosati, dal canto suo, forma una squadra studiata per un campionato difficile come il girone B della C1: mette insieme gente esperta della categoria e giovani che hanno “fame” (come Filippo Galli, ad esempio, che diventerà un perno della difesa del Milan e della nazionale). Un mix indovinato, anche se lo sviluppo del campionato

1982-83 dimostrerà che la terza serie non è mai una passeggiata, anche per una squadra ben messa e ben guidata come il Pescara. Comunque i biancazzurri si fanno onore anche se non dominano il campionato. La leadership del torneo è affare che riguarda quattro squadre: Pescara, Empoli, Taranto e Campania (nome completo: Campania Ponticelli, dal nome di un popoloso

quartiere di Napoli). La lotta è dura ma finisce con il Pescara e l’Empoli primi e promossi in B con 46 punti, Campania e Taranto secondi con un solo punto in meno. Missione compiuta per Tom Rosati che ancora una volta ripaga nel modo migliore la fiducia del presidente Marinelli. • In alto Sauro Massi, autore del gol-promozione a Caserta

1983-84. Un anno in serie B senza infamia e senza lode sequela di pareggi, qualche sconfitta interna e vittorie strappate coi denti. Alla fine, il Pescara è lì, a distanza di sicurezza dalla zona retrocessione. Per la certezza matematica della salvezza bisogna aspettare l’ultima giornata, quando i biancazzurri all’Adriatico pareggiano 0-0 con il Lecce. Il risultato minimo, un modestissimo 12° posto che garantisce la permanenza in B, è raggiunto, ma i tifosi non fanno certo salti di gioia.

• Di nuovo in B. In piedi da sinistra: Cerone, Bocchinu, Bartolini, D’Alessandro, Polenta e Rosati; accosciati Tacchi, Joriatti, Cotroneo, Caputi, Roselli e Cozzella. A destra lo storico schiaffo di Rosati a Cozzella

Il nuovo campionato di B del Pescara ha un andamento altalenante: buone partite, vittorie in casa, gare convulse e, spesso, pesanti sconfitte in trasferta (nell’andata, a Palermo, subisce addirittura un umiliante “cappotto”: 5-0). Una curiosità: Rebonato, il futuro capocannoniere del ritorno in A con Galeone, realizza solo 5 gol. Del resto gioca pochissimo: appena cinque partite intere e una lunga serie di sostituzioni. Rosati,

come si dice, “non lo vede”. Vede benissimo, invece, il ruvido Tom, le cose che non gli piacciono negli atteggiamenti dei suoi giocatori e così, nel bel mezzo di una gara, chiama Cozzella a bordo campo e gli rifila uno scapaccione. Il campionato si trascina in un altalenarsi di vampate d’entusiasmo quando il Pescara infila una serie positiva, come nella prima fase del girone di ritorno, e di giornate sconfortanti, con una


1984-85. Arriva Catuzzi ma non la A

• In B con Catuzzi. In piedi da sinistra: Pacchiarotti, Bergodi, Mazzeo, De Martino, Ronzani, Acerbis, il ds Alberti, Venturini, Baldini, Piccinin, Rossi; al centro il medico sociale Sacco, Olivotto, Di Cicco, il viceallenatore Prosperi, Panfilo De Leonardis, Filippo De Cecco, Catuzzi, Vincenzo Marinelli, Franco Rutolo, Roselli, Caputi; in basso il massaggiatore Rapino, Dalla Costa, Mancini, Marchionne, Tacchi, Liberato, De Rosa, Cramarossa, Joriatti. A destra l’attaccante Tovalieri.

Il campionato 1984-85 inizia senza Tom Rosati: al suo posto l’emiliano Enrico Catuzzi, che aveva dato buona prova di sé nel Bari di Matarrese, sfiorando, nell’81, la promozione in A con una squadra “strapaesana” composta in maggioranza da giovani baresi. Il girone di andata si conclude con i biancazzurri nella parte bassa della classifica, dopo un’altale-

na di vittorie e brutte sconfitte (particolarmente bruciante un 2-0 rimediato all’Adriatico contro il Campobasso). Il Pescara ha 18 punti, il capolista Pisa 29 e la seconda in classifica, il Bari, ne ha 27. Al terzo posto, l’ultimo utile per la promozione, coabitano Lecce e Perugia con 23 punti: solo 5 in più del Pescara. Una distanza non incolmabile. Insomma, la A non è ancora un sogno proibito.

Ma il girone di ritorno va appena meglio dell’andata: 20 punti conquistati per un totale di 38 punti che consentono al Pescara un onorevole piazzamento senza alcun pericolo di retrocessione, ma nulla di più. Di buono c’è che Catuzzi e il suo gioco piacciono molto alla tifoseria pescarese e lasciano ben sperare per il futuro.

1985-86. Si va in C1. Anzi no, si resta in B

• Una conclusione di testa di Rebonato. È lui che sbaglia il rigore decisivo nell’ultima partita con la Triestina e condanna il Pescara di Catuzzi (foto a destra) alla retrocessione. Ma in estate è di nuovo serie B

Per il nuovo campionato la squadra si rafforza. Arrivano Gasperini, Bosco, Pagano, torna Rebonato. Il girone d’andata è deludente, il Pescara lo conclude al terzultimo posto con 16 punti: peggio del campionato precedente. Nel girone di ritorno i punti conquistati sono 17, per un totale di 33 che hanno un tristissimo significato: quart’ultimo posto, un punto dietro al Palermo che ne ha 34, 86 Vario/Pescara calcio story

e retrocessione in C1. Per il campionato di terza serie si decide di affidare la squadra ad un tecnico pressoché sconosciuto al pubblico pescarese: Giovanni Galeone, noto nell’ambiente calcistico per la sua preferenza per il modulo a zona e il calcio effervescente che ha praticato alla guida della Spal. Intanto si rincorrono le voci sulle difficoltà del Palermo ad iscriversi al campionato di serie B

per gravi difficoltà finanziarie. Alla fine, il 9 settembre, a soli cinque giorni dall’inizio del campionato, si verifica proprio l’eventualità temuta dai siciliani e auspicata dai biancazzurri: il Palermo viene retrocesso e il Pescara viene riammesso in serie B. È decisamente un segno del destino.


1986-87. Con Galeone, calcio-champagne, entusiasmo e promozione in A

• Il Pescara dei miracoli firmato Galeone. In alto da sinistra Bergodi, Benini, Dicara, Bosco, Gaudenzi, i medici sociali Ciglia e Sacco, il ds Alberti, Rebonato, Berlinghieri, Pagano, Camplone, Ciarlantini, Attilio Taraborrelli; seduti il viceallenatore Prosperi, Bressan, Mancini, Marchegiani, Marchionne, Panfilo De Leonardis e Galeone, Ronzani, Loseto, Berardi, Gasperini, il massaggiatore Rapino; in basso Gatta, Minguzzi e Marcello.

Il campionato inizia, dunque, con un nuovo allenatore tutto da scoprire per il pubblico dell’Adriatico. Cambia anche il presidente della società biancazzurra: Panfilo De Leonardis prende il posto di Marinelli, che resta però ai vertici societari con la responsabilità della gestione tecnica. Franco Manni è il general manager e Enrico Alberti direttore sportivo. L’organico della squadra è lo stesso del campionato precedente con qualche innesto di giovani promesse. Già nelle prime gare, anche in quelle concluse con sconfitte, il Pescara di Galeone pratica un calcio che diverte ed esalta i tifosi. Rebonato segna a ripetizione e presto diventa per tutti “Rebogol”, si mettono presto in luce uomini come Pagano e Gasperini; il giovane portiere Gatta, pescarese purosangue come il bravissimo difensore Camplone, addirittura para un rigore all’Adriatico. Insomma, tutti fanno la propria parte ed applicano alla lettera le disposizioni di Galeone che presto diventa l’idolo della città, non solo di quella sportiva. Ma non manca chi lo critica, accusandolo di eccessiva spregiudicatezza tattica e una (presunta) scarsa attenzione alle esigenze difensive della squadra. In effetti il girone di andata è un alternarsi di sconfitte ed esaltanti vittorie, come quella esterna sul Vicenza per 3-1. Comunque il Pescara pratica un gioco brillantissimo che piace ai tifosi e fa parlare la stampa nazionale di squadra rivelazione. La prima parte del girone di ritorno sembra mostrare un Pescara in crisi, tra sconfitte e pareggi (a Lecce si salva il punto solo grazie a un rigore parato da Gatta all’argentino Barbas) e risicate vittorie. Si ricomincia a vincere, ma continuano anche le sconfitte. Tuttavia il Pescara è sempre lì, ad un passo dai decisivi primi posti, i cui occupanti, del

resto (Pisa, Cesena, Lecce e Cremonese), vanno avanti a stop-and-go. L’ultima parte del campionato mostra un Pescara a passo di carica, scala posizione su posizione e arriva di slancio all’ultima gara di campionato, in programma il 21 giugno all’Adriatico: se vince, va direttamente in serie A. La squadra ospite è il Parma di un certo Arrigo Sacchi, priva di ambizioni di classifica. La gara è nervosa e più difficile del previsto: Sacchi, evidentemente, ne ha fatto un punto d’orgoglio e non ha alcuna intenzione di fare da sparring-partner al suo amico Galeone. Ma a venti minuti dalla fine un immenso boato scuote l’Adriatico: segna Bosco. Un gol che significa la promozione diretta, senza spareggi, in serie A. Il Pescara finisce, infatti, al primo posto con 44 punti, alla pari con la “corazzata” Pisa. La città vive uno dei momenti più esaltanti della sua storia sportiva. Galeone entra nel mito.

• In alto il “profeta” Giovanni Galeone . • Sotto il gol-promozione di Bosco contro il Parma


1987-88. Si resta in A. Ma che fatica

• In A per restarci. In piedi da sinistra il ds Alberti, Galvani, Zanone, il viceallenatore Prosperi, Zinetti, Gatta e Marcello, l’allenatore Galeone, Berlinghieri, Camplone e Ciarlantini; al centro Bergodi, Leo Junior, Filippo De Cecco, Vincenzo Marinelli, Pietro Scibilia, Panfilo De Leonardis, Attilio Taraborrelli, i medici sociali Ciglia e Sacco, Gasperini e Sliskovic; in basso Gaudenzi, Marchegiani, Pagano, Benini, il massaggiatore Rapino, Ferretti, Loseto, Dicara e Mancini

Il campionato appena trascorso fa registrare numeri da record, non solo dal punto di vista delle presenze (346.672 complessive stagionali sugli spalti dell’Adriatico, una cifra appena sotto quelle di Lazio e Genoa) e degli incassi (3 miliardi e 770 milioni): la squadra allestita da Galeone, per tutti ormai “il Gale”, ha totalizzato 16 vittorie, 12 pareggi e solo 10 sconfitte; la classifica dei marcatori vede trionfare Rebonato che con 21 gol è capocannoniere della serie B, seguito da Pagano (7), Bosco (4) e Gasperini (3). Numeri che però non bastano a rinfrancare lo spirito dei vertici societari: dopo anni logoranti sia dal punto di vista economico che psicologico, il quartetto De Leonardis-MarinelliDe Cecco-Taraborrelli vacilla. Si fa avanti a questo punto un altro industriale, Pietro Scibilia, già noto nell’ambiente sportivo per i suoi successi al timone di un team ciclistico capitanato dal grande Moser. Scibilia, sostenuto dall’amministrazione comunale, dopo lunghe trattative assume la presidenza del

Pescara, mantenendo inalterato l’organico della società: restano i quattro dirigenti con Manni general manager, Alberti direttore sportivo e naturalmente il confermatissimo Galeone. Dal punto di vista della squadra, però, il Pescara perde il suo gioiello, Rebonato (ceduto alla Fiorentina insieme a Bosco). Arrivano il brasiliano Leo Junior e il croato Baka Sliskovic, cui si aggiungono Zinetti, Ferretti, Galvani e Zanone. Il campionato 1987-88 parte sotto i migliori auspici: il Pescara all’esordio batte l’Inter di Trapattoni 2-0 a San Siro, poi trionfa in casa contro il Pisa per 2-1. Dopo una sconfitta con la Juventus per 3-1 torna a vincere, in casa, sul Cesena. Ma a smorzare gli entusiasmi giunge, alla quinta giornata, il pesante 6-0 inflitto dal Napoli alla squadra di Galeone, che poi pareggia con la Sampdoria e ricasca a Firenze: 4-0. Sconfitte cui si aggiungono la débacle casalinga col Milan e quella in trasferta a Verona (entrambe per 2-0). Il resto del girone di andata fa registrare

• A sinistra Leo Junior contro il Napoli. A destra Sliskovic alle prese con Cabrini e Tricella della Juve

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altre sconfitte pesanti (un 5-1 con la Roma) e vittorie risicate, alternate a sofferti pareggi, per chiudere la prima fase a soli 13 punti. L’avvio del girone di ritorno regala ancora un pareggio ai biancazzurri in casa con l’Inter e una sconfitta col Pisa, per giungere alla storica partita casalinga con la Juventus che ribalta i pronostici: Junior e Pagano firmano il 2-0 rifilato ai bianconeri e riaccendono le speranze di salvezza. Che arriva, alla fine del campionato, dopo una stagione di alti e bassi, e garantita solo dalla pesante penalizzazione inflitta all’Empoli (partito con -5 punti) e dal fatto che il successivo campionato allarga a 18 le squadre in serie A anziché 16, limitando quindi a due le retrocessioni. Il Pescara chiude il campionato a 24 punti, uno in più dell’Avellino che retrocede insieme allo spacciato Empoli. Scudetto al Milan e Pescara ancora in A. Magra consolazione, quella di aver sfatato la tradizione degli ultimi anni che vedeva la squadra biancazzurra transitare nella massima serie per una sola stagione alla volta.


1988-89. Da Galeone a Castagner Il nuovo campionato porta qualche cambio al vertice del Pescara: resta alla guida della nave biancazzurra Scibilia, escono di scena Taraborrelli, De Leonardis, De Cecco e Marinelli, sostituiti dal vicepresidente Alberto Di Lena e dall’amministratore Antonio Edmondo. Si apre un nuovo ciclo. Scibilia lascia a casa Alberti, affidando a Manni il doppio ruolo di General manager e Direttore sportivo, mentre accanto a Galeone resta Prosperi come vice allenatore. Fa il suo ingresso nella società Edy Reja, amico e seguace dell’allenatore friulano, che diventa il tecnico della Primavera. L’aver conquistato la salvezza –e dunque la permanenza nel massimo campionato– non è un risultato disprezzabile; l’ingresso dei nuovi soci porta inoltre un nuovo impulso e la campagna acquisti mette a segno due colpi importanti: per il 1988-89 arrivano altri due brasiliani, il nazionale olimpico Edmar e il suo collega Milton Queiroz da Paixão, detto Tita, che con Leo Junior formano un tridente d’attacco che fa decidere alla società di privarsi di Sliskovic. La squadra si prepara al nuovo impegno in serie A a Levico Terme, sede scelta per il ritiro al posto della tradizionale Roccaraso. La quarta avventura del Pescara nel massimo campionato comincia col pareggio con la Roma di Liedholm, quella di Giannini, Massaro, Conti, Rizzitelli e Voeller, seguita però dalle sconfitte col Milan del trio olandese Gullitt-Rjikaard-Van Basten (3-1) e col Napoli di Maradona (8-2,

reti biancazzurre di Gasperini e Edmar, entrambe su rigore). Scattano immediatamente le polemiche, la città si divide: da una parte i “galeoniani”, dall’altra gli oppositori; nel mezzo, Scibilia che riconferma la piena fiducia al tecnico friulano. Da parte sua Galeone offre alla tifoseria il destro per le contestazioni: troppo spesso Edmar è lasciato in panchina o sostituito, e comunque il tris d’assi brasiliano non rende quanto sperato. Fa eccezione Tita, che segna due gol alla Lazio (andata in vantaggio nel primo tempo con Gregucci e Ruben Sosa) sfiorando più volte la tripletta, uno al Bologna (sconfitto 3-1) e compie il suo capolavoro nella partita dell’Olimpico contro la Roma: il brasiliano mette a segno tre reti contro l’unico gol dei giallorossi, siglato grazie a un rigore dal “principe” Giannini. La squadra, tra alti e bassi, raggranella punti e a metà febbraio si ritrova appena dietro il gruppo delle grandi. La risalita dopo l’avvio affannoso lascia spazio a sogni di gloria: non solo tifosi e dirigenti vedono ormai certa la permanenza in serie A, ma inseguono addirittura il miraggio di un posto in coppa Uefa, traguardo inimmaginabile fino a pochi mesi prima. Ma il resto del campionato porta solo pareggi casalinghi e perlopiù sconfitte esterne, col risultato che l’11 giugno, a due giornate dalla conclusione, il Pescara occupa il quartultimo posto con 25 punti, in piena zona retrocessione. Incapace di reagire, la squadra non va oltre il pareggio in casa con la Ju-

• Una coppia di sposi all’Adriatico per la foto-ricordo con Maradona prima di Pescara-Napoli

ventus, e ottiene lo stesso risultato a Pisa nell’ultima di campionato. Addio sogni di gloria: torna la B e con essa un ciclone destinato a travolgere tutti. In primis Galeone, cui la città riconosce i meriti ma al quale la società non rinnova la fiducia. Il ritorno nel campionato cadetto porta contrasti anche nella dirigenza: Edmondo lascia e Scibilia rileva le sue quote, con Di Lena ancora vicepresidente e Marinelli in coda, con una piccola partecipazione. Il Ds Galigani (che aveva sostituito Manni a campionato in corso) prepara il rimpasto nella squadra: è il momento di Ilario Castagner.

1989-90. Il balletto degli allenatori La rosa a disposizione di Castagner è composta da una buona parte di reduci del precedente campionato e da numerose facce nuove; tra arrivi e partenze, resta Edmar (mai amato da Galeone) e va via Junior, seguito –dopo sole due giornate– anche da Tita, che (come dargli torto?) si lascia allettare dalla Seleçao. Il campionato di Castagner comincia col successo sul Barletta, ma le successive cinque giornate portano in tasca alla società biancazzurra soltanto un punto, conquistato all’Adriatico col Padova, e una clamorosa sconfitta col Torino per 7-0. Dopo la disastrosa trasferta di Cosenza (2-0 per i padroni di casa) Castagner lascia, e Scibilia affida la panchina a Edy Reja, che cede a sua volta il timone della Primavera alla vecchia gloria Bruno Nobili. È una strada in salita, quella di Reja, che deve far recuperare posizioni e soprattutto credibilità a una squadra travolta dalle polemiche. Lo spogliatoio, i cui rapporti con Castagner non erano dei migliori, si dimostra decisamente più in sintonia col nuovo mister, che mette in campo schemi di galeoniana memoria e privilegia il gioco spettacolare e fantasioso: col risultato che il Pescara prende la rincorsa e chiude il girone di andata a 22 punti, sesto in

classifica a cinque lunghezze dalla prima. Se la vita in campo appare più rosa, quella dei piani alti di via Campania invece volge al grigio: Scibilia, contestatissimo, lascia la presidenza in preda all’amarezza e Di Lena si trova a sostenere, da solo, una società in gravi difficoltà economiche. Dopo varie trattative, la maggioranza del pacchetto azionario viene divisa tra i fratelli Fedele (Aldo, Franco e Davide) e Umberto D’Attilio, tutti membri della società Ilca carni. Di Lena, tuttavia, resta presidente e si rende protagonista di una velenosa polemica pubblica col ds Galigani, apertamente osteggiato al grido di “Se lui resta, me ne vado io”. A creare problemi è anche il ruolo di Edmar, giocatore dalle alterne ma mai completamente soddisfacenti prestazioni che viene costantemente sottoimpiegato da Reja così come era accaduto con Castagner e, prima ancora, con Galeone. Il brasiliano gode tuttavia dell’appoggio di una parte della tifoseria, e i fratelli Fedele si tengono a distanza tanto dalle scelte del tecnico (cui rinnovano la fiducia per l’anno successivo) quanto dai duelli verbali tra Di Lena e Galigani. Nel frattempo Reja macina punti e a metà marzo il Pescara è solo, al quarto posto, a tre punti

da Parma e Ancona appaiate al quinto. La serie A comincia ad essere alla portata di una squadra che, assaporando già la promozione, decide di investire nel mercato. Seppellita momentaneamente l’ascia di guerra, Di Lena e Galigani annunciano l’acquisto del brasiliano Mazinho, nome che circola negli ambienti di società blasonate e che garantisce al Pescara, anche in caso di permanenza in B, di poterlo usare come merce di scambio. Ma i sogni di promozione si infrangono contro la stanchezza di una squadra che appare decisamente sottotono rispetto alle altre formazioni. Il resto del campionato è una serie di pareggi e sconfitte che culminano con l’1-1 casalingo contro l’Avellino e relegano il Pescara al nono posto, con 39 punti che fanno sfumare la serie A e rinfocolano le polemiche, in realtà mai completamente sopite. A fine campionato Di Lena lascia la presidenza (per la gioia di Galigani, che comunque in estate verrà sostituito da Federico Bonetto) e Reja va via. Sulla poltrona di presidente va a sedersi Franco Fedele, mentre in panchina, con l’incarico di rifondare una squadra ormai in caduta libera, viene chiamato Carletto Mazzone.


1990-91. Polemiche e grandi ritorni

• Si parte con Mazzone (foto a destra), si finisce con Galeone accanto a Scibilia (sotto). Ecco il Pescara che evita la retrocessione. In piedi da sinistra Bivi, Destro, Righetti, Zago, Baldieri e Mannini; accosciati Alfieri, Gelsi, Camplo, Impallomeni e Ferretti

All’inizio del campionato il gruppo Ilca trasferisce la società in una moderna palazzina in Via Vespucci 108. Dal punto di vista societario nulla cambia, mentre ad affiancare Carletto Mazzone in panchina c’è il professor Vittori, preparatore atletico di fama che ha allenato Pietro Mennea. La squadra che fu protagonista degli ultimi anni non c’è più. Unici rappresentanti della “vecchia guardia” sono Ferretti, Camplone, Martorella, Gelsi, Alfieri e Armenise. Tanti i volti nuovi in campo, a cominciare dal portiere Mannini, detto “saracinesca”, per finire con Impallomeni, Pinciarelli, Monelli e Bivi. Il “caso” Edmar viene subito liquidato da Mazzone: il brasiliano è fuori rosa. Il tecnico romano, preceduto dalla sua fama, viene accolto dai tifosi con entusiasmo; ma Mazzone sprizza prudenza da tutti i pori, affermando che parlare di promozione è prematuro e che i risultati potrebbero arrivare nell’arco di due o tre stagioni. Intanto a rafforzare l’organico arriva a campionato iniziato, dal Torino, Alvise Zago, richiamato dalla presenza di Vittori. Ma parecchi titolari sono vittime di pesanti infortuni, e l’avvio del torneo non è dei migliori. Mazzone, confortato dalla società, lavora sodo ma la squadra non trova fluidità di gioco: in poco più di due mesi il tecnico conquista una sola vittoria (sulla Reggina, e grazie all’autorete di Bernazzani) e porta a casa ben sei pareggi, subendo due sconfitte. Le polemiche, che hanno accompagnato Mazzone fin dall’esordio, vedono una parte di tifosi invocare il ritorno di Galeone, mentre i due allenatori si punzecchiano a distanza sulle pagine dei giornali. La società però conferma la fiducia al mister, proprio mentre torna al tavolo della dirigenza Pietro Scibilia, cui i fratelli Fedele avevano lasciato la porta aperta. La società 90 Vario/Pescara calcio story

vede ancora Franco Fedele alla presidenza ma il pacchetto è equamente diviso tra il gruppo Ilca e il gruppo Scibilia (con lui i due generi, Roberto Cicchiné e Antonio Olivieri,e l’avvocato Sergio Valente). A novembre il patatrac: il Pescara riesce a battere per 1-0 la Cremonese ma Mazzone rimedia due turni di squalifica. Il vice Zucchini, nelle due partite successive, fa salire il bilancio negativo con due sconfitte, a Udine (2-1) e in casa con l’Ancona (stesso risultato). Mazzone rassegna le dimissioni e con lui va via anche il professor Vittori. La società accetta dopo una notte di consultazioni. A sostituire l’allenatore romano viene chiamato, manco a dirlo, Giovanni Galeone. Ma il “Gale”, che già al suo arrivo aveva smorzato gli entusiasmi (“Assumo la guida del Pescara con qualche preoccupazione, considerato che il bagaglio tecnico dei giocatori non risponde alle ambizioni

di una squadra che aspira alla serie A”), non riesce nell’impresa che i tifosi si aspettavano: a fine campionato, tra pareggi (18, di cui 11 in trasferta), sconfitte (11 di cui 5 in casa) e vittorie (appena 9, di cui solo una su campo avversario) il Pescara si salva dalla retrocessione grazie alla classifica avulsa. Tuttavia la città riconferma il grande affetto che la lega a Galeone, portandolo in trionfo per la salvezza raggiunta e prefigurando un grande campionato per la stagione successiva. Che, oltre a vedere di nuovo l’allenatore sulla “sua” panchina, vede anche il ritorno alla presidenza di Pietro Scibilia, ufficializzata solo in estate ma sancita già in precedenza da accordi con il gruppo Ilca. Al posto di Bonetto il nuovo presidente sceglie come Direttore sportivo (e Direttore generale della società) Pier Paolo Marino, concedendogli ampia autonomia per la campagna acquisti. Occorre rinnovare, e in fretta.


1991-92. Il Pescara dei miracoli

• Il miracolo-bis del Pescara di Galeone. In piedi da Sinitra Bivi, Dicara, Savorani, Nobile, Righetti, Ferretti e Allegri; accosciati Gelsi, Camplone, Pagano e Massara. Sotto Edy Bivi, cannoniere della squadra

Galeone, d’accordo con la dirigenza e col preparatore atletico Giovanni Cornacchia, si circonda di giovani di belle speranze e di alcuni pilastri ben noti al pubblico pescarese: dalla serie C prende Allegri, Ceredi e Massara, mentre richiama all’Adriatico Dicara e Pagano. La formazione-tipo vede Savorani tra i pali, con Camplone, Dicara, Righetti e Ferretti in difesa e sulle fasce; Gelsi davanti ai due centrali, Allegri e Ceredi a centrocampo, e il gruppo d’attacco composto da Pagano, Massara (che dopo poche giornate già si guadagna il soprannome di Speedy Gonzales) e il centrale Bivi. Il gioco del tecnico friulano è lo stesso delle precedenti avventure in biancazzurro, e il Pescara diverte e vince: a metà ottobre, dopo una memorabile vittoria contro l’Avellino per 5-0, è in vetta alla classifica e guardata come il fenomeno della stagione da tutta la stampa locale e nazionale. Il clima attorno all’allenatore è sereno, la società si limita a sostenere in tutto e per tutto le scelte del tecnico. La tifoseria talvolta contesta, ma sono episodi isolati che non riescono a incrinare il buon rapporto tra la città e Galeone. Anche l’improvvisa e prematura stanchezza accusata dalla squadra, che da fine ottobre inanella una sconfortante serie di pareggi (sette) e una sconfitta proprio contro l’Udinese non smorzano le speranze, con la vetta

sempre a pochi punti. Il digiuno si interrompe a gennaio, contro il Lecce: 3-1 firmato da una doppietta di Bivi e da Massara. Inizia una ripresa che dà ragione al mister e ai suoi sostenitori, complici anche le scarse prestazioni delle dirette avversarie, che non colgono mai l’occasione per distanziarsi dagli inseguitori. A metà febbraio Il Pescara è a tre punti dall’Ancona prima in classifica, e comincia una marcia trionfale. Nella squadra di Galeone segnano in tanti: Dicara, Pagano, Bivi, Massara e Allegri. Ma anche Gelsi, Ceredi, Nobile, Righetti, Sorbello. Ad aprile i biancazzurri sono a un punto da Brescia e Ancona, che guidano in tandem la classifica. Si susseguono larghe vittorie (4-2 alla Casertana, 5-0 al Bologna, 3-1 al Cosenza) e qualche passo falso (sconfitta col Brescia, pareggio con l’Ancona) e il 24 maggio, dopo la vittoria sulla Reggiana per 2-1, il Pescara è secondo a tre giornate dalla fine, dietro il Brescia rimasto solo in vetta dopo aver asfaltato l’Ancona nello scontro diretto. Una settimana dopo all’Adriatico arriva l’Udinese, ed è 2-2. Con un distacco di cinque punti dalle inseguitrici, il Pescara guadagna matematicamente la promozione in A con due settimane d’anticipo. È il trionfo di Galeone, unico allenatore biancazzurro ad aver conseguito la promozione nella massima serie per due volte senza spareggi.

E anche di Scibilia, che a fine campionato rileva le quote del gruppo Ilca e resta saldamente al timone della società insieme al vicepresidente Oliveri e al consigliere Sergio Valente. Galeone firma per due anni: l’obiettivo adesso è restare in A più a lungo di quanto fatto finora.


Giovanni Galeone

Questione di feeling Il mister che ha interpretato e esaltato lo spirito della città. Un innamoramento durato sette anni e che è rimasto nel cuore dei pescaresi. In questo memorabile colloquio con Luciano Russi (l’indimenticato rettore dell’ateneo teramano, intellettuale e sportivo di razza) pubblicato su Vario nel 1993, all’indomani del suo esonero, l’ex allenatore racconta il suo rapporto con la città, con i tifosi, con la società. E preconizza il modello societario oggi sperimentato da Daniele Sebastiani

C’

èin giro in città, e non solo negli ambienti calcistici, una specie di lutto vedovile per la sua perdita. Lei è stato, nel bene e nel male, il profeta, il mago, il pigmalione. «Ho letto questa tesi della vedovanza di Pescara, sul giornale su cui lei scrive (il Corriere dello Sport, ndr). Davvero il pubblico biancazzurro già mi rimpiange?» L’opinione pubblica sembra non dividere più tra pro e anti, favorevoli e contrari. Il tifoso è senza di lei: sperimenta in altri termini –direbbe il sociologo Alberoni– lo “stato nascente” dell’assenza d’amore. «I tifosi mi ameranno sempre, questo è sicuro; la curva Nord sarà sempre mia perché è nata con me. Non è male ricordare che nella partita in cui esordii allo stadio Adriatico c’erano sì e no trecento tifosi, “giovani e forti”». Trecento che subito divennero mille e quindi diecimila. «In quella straordinaria cavalcata wagneriana del campionato 1986-87 ai tifosi delle curve subito si aggiunsero anche quelli delle tribune». E le tifose. Belle donne, ragazzine in cerca di idoli, signore chic. «L’aumento delle donne e delle ragazze allo stadio è un fenomeno generalizzabile e non ha riguardato solo Pescara». Come sta vivendo questa sua uscita di scena? «Continuo a fare ciò che facevo: a occuparmi di calcio, a documentarmi. Sento spesso Arrigo Sacchi, che mi ha invitato sia a Palermo (per ItaliaMalta) che a Trieste (per Italia-Estonia) ma io ho bisogno di un periodo di riflessione. Per questo leggo di più; la lettura favorisce la riflessione».

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La riflessione produce in genere bilanci, anche se provvisori. «L’unico rammarico è quello di non aver seguito, dopo aver riportato il Pescara in A, l’insegnamento del grande maestro Italo Allodi, il quale durante il Supercorso di Coverciano ci ammoniva a “vincere e filare”. A giugno dell’anno scorso poi, dopo aver riportato la squadra in A, potevo considerare in pareggio il bilancio dei debiti e dei crediti morali con Pescara». Quando e come avvenne l’incontro con Pescara e il Pescara? «Avvenne nel luglio del 1986. Mi trovavo a casa di Francesco Farina, il figlio del presidente del Milan e lì fui presentato a Franco Manni, all’epoca direttore generale di un Pescara in sfacelo, che mi propose un contratto senza alcuna pretesa. Io, che avevo fatto tredici anni di gavetta tra giovanili e serie C, accettai, senza pensare a niente. E mi trasferii a Pescara». Quale fu la prima impressione che ebbe della città? «Anche se spesso ci passavo da piccolo, non la conoscevo per niente. La prima cosa che mi colpì fu il traffico e ancora meglio come gli automobilisti vivevano i problemi del traffico. Ad esempio il parcheggio: ero abituato a Ferrara, a Udine dove è quasi un’opera d’arte; rispetto dei segnali, molta precisione, rare trasgressioni, tanta attenzione a non intralciare. A Pescara era tutto diverso: non era raro il caso di due o più amici che, incrociatisi nel pieno del traffico, appena appena appoggiassero dove prima capitava la macchina, magari in seconda o terza fila, e scendessero per abbracciarsi, scambiarsi le ultime notizie, darsi

appuntamenti per la sera e l’indomani. Qualche strombazzata dagli altri automobilisti raggiungeva a malapena lo scopo di far arrivare un po’ prima alla fine le trattative degli amici ritrovati. Certo su quel modo di fare influiva anche la fretta di non perdere tempo ma il parcheggio ordinato e sistematico restava una categoria estranea in un automobilista che, come il pescarese, si sente protagonista, attivo, esuberante». Da più parti è stata dimostrata la teoria di una simmetria di stile tra la città e la sua squadra di calcio. Lei pensa di aver costruito a Pescara una squadra simmetrica alla città? «Mi è difficile rispondere. Il modulo tattico in cui ho sempre creduto, il gioco a zona, io l’avevo applicato prima di allenare il Pescara e non ho timore a dire che certe soluzioni interne a questo tipo di modulo io l’ho sperimentate ancor prima di Sacchi, di Scala e di Zeman». È difficile non riconoscerle di essere stato uno dei componenti più autorevoli della nouvelle vague della panchina italiana. Ma, visto che come giocatore non l’aveva potuto sperimentare, chi glielo ha insegnato? «Io ho chiuso col calcio giocato nel 1973, l’anno prima dell’esplosione olandese. Ma Gipo Viani, già verso la fine degli anni Sessanta, sperimentava in tale prospettiva e con questa filosofia. E io ho giocato con il grande Viani». Torniamo alla simmetria tra squadra e città. Come tale modulo di gioco si è correlato con la città? «Ogni città è portata ad amare un certo tipo di gioco: per mentalità, per visione della vita. Pescara è una città giovane, intraprendente, piena


• Nella pagina accanto Luciano Russi intervista Giovanni Galeone. Il mister nella sua casa sulla spiaggia di Francavilla. Sopra il “Gale” in panchina

di caos ma anche di voglia di vivere. Come tale le sue preferenze vanno verso un calcio offensivo, spregiudicato, vincente». Ma che cos’è per lei questo modulo che si chiama “gioco a zona”? «Per me è una forma di liberazione, il modo in cui i giocatori, pur partecipando ed integrandosi in un collettivo, tirato fuori l’estro individuale, rischiando magari qualche fischio, tentino una genialità nella distribuzione del gioco». Come si forma il feeling vincente tra i giocatori e un allenatore? «È un fenomeno molto misterioso e che non sempre si verifica. Un team funziona bene se prima di tutto ci sono dei leader che per carisma sanno dare il tono giusto all’ambiente; poi se le inserzioni sono bene assorbite e gradatamente; infine se riesce quel mix di bravura professionale e carica umana». Della sua esperienza pescarese sono rimaste alcune immagini che poco avrebbero a che fare con il calcio in senso stretto. «A differenza di altre città in cui ho lavorato (Ferrara, Trieste, Udine) dove il ruolo sociale dell’allenatore non è così centrale nell’universo cittadino, a Pescara ho sperimentato in prima persona come essere fotografato accanto a me (in quanto allenatore vincente) significasse una sorta di promozione sociale, almeno in termini di immagine pubblica». Infine il rapporto col presidente. Due personalità antitetiche, incapaci di stabilire una comunicazione duratura, sempre attestati su opinioni e punti di vista irriducibili. Come mai?

«Mi dispiace ma su questo non le rispondo. Perché quando sto dentro, io posso dire peste e corna di chi mi sta vicino e lavora con me: non solo del presidente ma anche dei dirigenti, dei calciatori, dei giornalisti; ma una volta che sto fuori, non parlo male di nessuno. Sarebbe poco corretto e poco elegante. Alla fine ognuno fa i conti con la propria coscienza. Lei penserà che sono un illuso ma io alla coscienza credo ancora molto». Non sarò Immanuel Kant ma guardi che ci credo anch’io. È un fatto però che in questo pluriennale e duro braccio di ferro con Scibilia lei in un certo senso e paradossalmente ha vinto. «Come, ho vinto?» Tra il presidente che ha sempre affermato “io non lo licenzio” e l’allenatore che ha sempre risposto “io non mi dimetto” alla fine l’ha spuntata lei, che ha ottenuto di essere esonerato. «Avrei preferito non vincere quest’ultimo duello». Riconosce allora che si è trattato di un lungo duello. D’altra parte le diatribe fra Galeone e Scibilia fanno ormai parte della storia del costume pescarese. La storia della città, d’altra parte, è costellata di divisioni e contrapposizioni: tra Portanuova e Castellamare, tra teatini e vestini, tra francesi e spagnoli, tra filopiemontesi e filoborbonici. «Forse il mare unisce mentre il fiume divide. Però io ho unificato la città con il tifo». C’è sempre stata una parte, certo minoritaria, della città che non l’ha amata. Forse perché non ha condiviso estetismi e guasconerie. «Lei forse si riferisce a una frase che poi è diventata famosa: “Prima (all’epoca di Marinelli e De Leonardis, ndr) eravamo una società povera ma

pasteggiavamo a champagne, adesso beviamo solo olio di sanza”». In realtà il suo rapporto con Scibilia mi ha sempre fatto venire in mente “Fellini 8 e 1/2”, dove il produttore, che è il finanziatore del film, vuole essere informato per cercare di influire, tallona continuamente il regista che ora lo sfugge, ora l’ascolta distratto, ora gli risponde con sufficienza, convinto com’è che mai il produttore riuscirà a capirlo né tanto meno a capire come si fa un film. «Non è che però il finanziatore di una squadra di calcio non conosca il mondo del calcio, dipende. A Pescara ad esempio esiste una borghesia solida, illuminata, appassionata che tarda ad assumersi responsabilità ma che potrebbe impegnarsi con ottimi risultati. Com’è avvenuto per esempio a Parma, dove si è costruito prima di tutto un’ottima società e poi un’eccellente squadra». Questo suo appassionato appello potrebbe far pensare che il capitolo Pescara non sia per lei definitivamente chiuso. D’altra parte lei appare l’uomo vichiano dei corsi e ricorsi. Non è da escludere pertanto che ci sia un nuovo futuro pescarese per Giovanni Galeone? «Bisognerebbe interrogare gli astri». Non sappiamo se qualcuno, allora, si prese la briga di consultare le stelle. Quel che è certo è che Galeone tornò per due volte a sedersi sulla panchina biancazzurra, nel 1999-2000 e nel 2000-2001, con risultati non all’altezza dei precedenti. Ma la città lo ha accolto con l’affetto di sempre.


1992-93. Le stelle del calcio a Pescara La rosa a disposizione del “profeta” Galeone si arricchisce di due acquisti importanti: arrivano il senegalese Roger Mendy e il danese John Sivebaek, visto all’opera nella nazionale danese durante gli Europei del ‘92 e proveniente dal Monaco. Torna anche Sliskovic. Altri nomi nuovi sono quelli di Marchioro, portiere in prestito dalla Juventus, Compagno, Palladini e Borgonovo. Vanno via però Camplone, Gelsi e Pagano, tre colonne della squadra. Il gioco di Galeone è sempre quello: viso aperto e niente timori reverenziali, sia che si tratti di affrontare squadre blasonate che di neopromosse. Con queste premesse Pescara vive una stagione di grandi spettacoli in scena all’Adriatico, gremito e festante malgrado il Pescara, dopo un buon avvio con la Roma battuta per 1-0 all’Olimpico, ripeta la stessa spirale negativa della stagione 1977-78, chiudendo il campionato in coda alla classifica con 17 punti conquistati e col marchio di peggior difesa del torneo (75 reti subite) e maggior numero di sconfitte: ben 23. Dalla seconda giornata il team guidato da Galeone colleziona una serie disarmante di pareggi e sconfitte, ma lo stadio è sempre pieno e tutti accorrono per vedere le grandi corazzate del torneo, con la segreta (ma non troppo) speranza di vederle affondare sotto i colpi dell’imprevedibile squadra di casa. Del resto la vittoria in trasferta sulla Roma di Boskov, all’epoca trainata da Giannini, Hassler, Rizzitelli e Carnevale (con un giovane Totti che esordirà poco dopo col Brescia), lasciava ben sperare. Così l’arrivo del Milan campione d’Italia all’Adriatico, alla seconda giornata, è una di quelle partite che restano nella storia. La squadra di Capello, nella quale milita il trio olandese Gullitt-Rjikaard-Van Basten oltre a Maldini, Baresi, Costacurta, Tassotti, Albertini, Donadoni, Massaro e Lentini, ha concluso il precedente campionato senza una sconfitta, e dovrebbe ragionevolmente mettere paura al team biancazzurro. Ma il primo tempo è puro fantacalcio, con 14 minuti mai visti: è Allegri, futuro allenatore dei rossoneri, a segnare al 1’ il gol che apre la partita. Al 3’, complice la difesa del Pescara, Maldini rimette a posto le cose, e poco dopo (5’) è Savicevic a liberare Lentini in area per il 2-1. Ma al 12’ una punizione di Nobile colpisce la schiena di Baresi e si infila in rete alle spalle di Antonioli; stessa cosa avviene, al 14’, con un tiro di Allegri. Dopo un quarto d’ora dall’inizio della partita il Pescara conduce per 3-2 sui campioni d’Italia. Lo stadio è in delirio. Al 23’ il Milan mostra segni di cedimento, con la trappola del fuorigioco che non scatta e con un Massara che scavalca letteralmente Antonioli per il 4-2. L’entusiasmo del pubblico viene smorzato, al 37’, dal gol di Van Basten, che due minuti dopo riaggancia 94 Vario/Pescara calcio story

il pareggio. Le squadre vanno negli spogliatoi sul 4-4 con 45’ a disposizione per vincere. Ma complice il caldo, il ritmo dell’incontro si abbassa sensibilmente e i biancazzurri, che pure ci mettono il cuore, non possono far nulla contro un Van Basten in stato di grazia che mette a segno la tripletta al 72’ e porta a casa i due punti. Poche recriminazioni, perché il campionato prosegue: arrivano prima il Torino (che vince 3-1) e poi la Fiorentina in cui gioca un certo Batistuta (2-0 per i toscani), preceduti rispettivamente dalle trasferte di Brescia (1-0) e di Udine (5-2); seguono l’Inter, che rifila ai pescaresi un sonoro 4-1, l’Atalanta (sconfitta per 2-0) e la Lazio (3-2 per i capitolini) mentre in trasferta il Pescara perde a Parma (1-0) e col Foggia (1-0). In casa, insomma, lo spettacolo non manca; semmai mancano i risultati. Ma le stelle del calcio italiano e internazionale che si avvicendano all’Adriatico sono davvero tante: per l’undici nerazzurro guidato da Bagnoli si ammirano in campo le prodezze di Zenga, Bergomi, Schillaci, Klinsmann, Matthaeus e Ruben Sosa; la Lazio di Zoff schiera Favalli, Fuser, Riedle e Signori; la Sampdoria cala gli assi Pagliuca, Mancini e Chiesa; il Napoli a Pescara vince 2-0 e porta Zola, Fonseca (autore della doppietta), Ferrara e Nela. A un turno dal giro di boa il Pescara affronta a Torino la Juventus di Trapattoni in cui giocano Vialli, Baggio, Ravanelli, Moeller e Di Canio. Proprio la Juve, nella gara di ritorno, reduce dalla vittoria in Coppa Uefa, subirà uno storico 5-1 da parte della compagine biancazzurra, ad opera del solito Allegri (doppietta), di Borgonovo, Martorella e Palladini. Quelli del 30 maggio all’Adriatico sono novanta minuti in cui il Pescara, ultimo in classifica, cerca di riscattare un’intera stagione, segnata anche dall’addio di Galeone alla 24ma giornata, dopo la sconfitta esterna (2-1) col Genoa. Al suo

posto il vice Zucchini, che ben poco può contro le evidenti carenze di un organico incapace di arrestare la caduta verso il campionato cadetto. Ma se l’ultima avventura in Serie A della squadra biancazzurra non è di quelle da ricordare per i risultati, lo è senz’altro per aver regalato alla città una serie di spettacoli emozionanti, all’insegna dello sport, della fantasia, e del calore dimostrato da tutti i suoi tifosi anche nei momenti peggiori. • Nella foto in alto Silvio Berlusconi prima di scendere in campo nella politica scende nello spogliatoio dell’Adriatico. Qui sopra, Ruud Gullitt esce per un infortunio


1993-2009: la lunga notte Quelli che seguono alla retrocessione in serie B sono anni bui per il Pescara. Dal 1993 la società e la squadra vivono un’epoca che potremmo definire il “medioevo” del calcio pescarese. La società vede ancora Scibilia e il genero Oliveri al timone, mentre in panchina si alternano i tecnici: è Franco Scoglio a prendere il posto di Zucchini, ma solo per poco tempo. Arriva Rumignani a salvare la squadra dalla retrocessione in C1 grazie alle prodezze del nuovo arrivato Andrea Carnevale nella stagione 1993-94; l’anno successivo la panchina va a Francesco Oddo, che guadagna l’undicesimo posto in classifica; nel campionato 1995-96, dopo aver chiuso in bellezza il girone di andata al comando della classifica, Oddo cede il timone a Maifredi per qualche mese, tornando a fine campionato e riguadagnando posizioni fino a concludere la stagione con il nono posto. Nel 1996-97 è la volta di Delio Rossi, che garantisce una stagione dignitosa, con qualche momento di grande spettacolo: il Pescara resta imbattuto per le prime 12 giornate, addirittura rischia la promozione negli ultimi turni; poi però una serie di coincidenze fanno sfumare il sogno e lo relegano al sesto posto. Al tecnico riminese subentrano prima Maurizio Viscidi e poi Adriano Buffoni, che nella stagione 1997-98 non brillano e ottengono solo il tredicesimo posto. Il miraggio della serie A torna l’anno successivo, quando un giovane Gigi De Canio sostituisce Francesco Giorgini dopo soli tre incontri. Il Pescara si gioca la promozione fino all’ultima giornata, perdendola per una contestatissima vittoria della Reggina sul Torino. Nel 1999

torna in panchina Galeone, e torna il bel gioco. Non i risultati, però, e il Pescara chiude tredicesimo. Ma il vero dramma arriva nel campionato 2000-01: malgrado sulla panchina si avvicendino Delio Rossi, il “solito” Galeone, Tarcisio Burgnich e di nuovo Delio Rossi, la squadra finisce ultima in classifica e si ritrova in serie C dopo quasi vent’anni trascorsi nei campionati di A e B. La ripartenza è affidata a Ivo Iaconi, fratello del direttore sportivo Andrea. L’allenatore non incontra però il favore della tifoseria, amareggiata per la retrocessione, che contesta apertamente –e indifferentemente– tecnico, squadra e società. Ma Iaconi tiene duro e porta il Pescara a giocarsi la promozione nei playoff. La serie B sfuma per una svista arbitrale nella partita col Catania, e i biancazzurri si preparano a un’altra stagione in purgatorio. Nel 2002-2003 Iaconi carica una squadra completamente rinnovata e i risultati si vedono: il Pescara termina il campionato al secondo posto, gioca i playoff contro Sambenedettese e Martina e vince, riconquistando la serie B. L’anno dopo, purtroppo, la formazione biancazzurra non mantiene le promesse, malgrado faccia il suo esordio il bomber Emanuele Calaiò che con i suoi 21 gol eguaglia il primato che fu di Rebonato: il Pescara, dopo un buon avvio, nel girone di ritorno ne combina di cotte e di crude, finendo in piena zona retrocessione. Iaconi, esonerato, viene sostituito da Cetteo Di Mascio, che non riesce comunque ad evitare la discesa, dopo una sola stagione tra i cadetti, nell’odiata serie C. È durante l’estate 2004 che

avviene il terremoto ai vertici: Scibilia e Oliveri lasciano la dirigenza all’imprenditore Dante Paterna, che siederà sulla poltrona presidenziale per tre stagioni. Il Pescara, nel frattempo, viene ripescato in B per la mancata iscrizione di Napoli e Ancona, e la panchina viene affidata al “professore” Giorgio Simonelli che viene sonoramente bocciato con una nuova retrocessione ma si salva a settembre con il ripescaggio in B grazie alla retrocessione forzata di Genoa, Perugia e Salernitana per illecito sportivo. Il campionato 2005-06 vede così giungere sulla panchina Maurizio Sarri, che tiene a galla la squadra e chiude la stagione all’undicesimo posto. Per il nuovo campionato arriva in panchina Ballardini, ma dopo appena sei giornate –quattro sconfitte e due pareggi– viene sostituito da Aldo Ammazzalorso che non fa meglio di lui. Il girone di ritorno lo porta a termine Luigi De Rosa, vecchia gloria del Pescara di Galeone, e con lui arrivano le prime vittorie. Ma non bastano, e i biancazzurri terminano il campionato in coda alla classifica. È di nuovo serie C. Al danno si aggiungono i cambiamenti societari: Paterna lascia per breve tempo la presidenza ad Angelo Renzetti, poi torna ma solo per cedere la proprietà all’italoamericano Max Pincione. Nel 2007-08 il Pescara si piazza sesto nel campionato di C1 sotto la guida tecnica di Franco Lerda. Il travaglio ai vertici, nel frattempo, sembra non finire mai: Pincione nell’ottobre 2007 vende all’imprenditore immobiliare Gerardo Soglia, che dopo un solo anno rimette in vendita la società pesantemente indebitata.

Il Pescara torna ai pescaresi Dopo alcuni mesi il tribunale di Pescara dichiara la società fallita e affida la pratica al dottor Saverio Mancinelli. Il 20 gennaio 2009 il club viene acquistato dalla neonata società Delfino Pescara 1936, composta da un gruppo capitanato da Peppe De Cecco, con lui Deborah Caldora, figlia dell’ex presidente, Daniele Sebastiani e Maurizio Edmondo con suo padre Antonio; Antonio Di Cosimo della Ceteas, i fratelli Nicola e Fabio Di Tieri dell’omonima azienda, Francesco Pirocchi della Mediass, il commercialista Vincenzo Serraiocco, Alessandro Acciavatti della Tavo Calcestruzzi, Gabriele Bankowski della Pharmapiù, Amerigo Pellegrini della Pail. Si riparte da zero. La stagione calcistica 2008-2009 parte col Pescara guidato da Giuseppe Galderisi, sostituito a marzo del 2009 da Antonello Cuccureddu. Il tribolatissimo campionato si conclude col Pescara che evita la retrocessione vincendo contro la Cavese e può sperare in una faticosa ma rapida risalita

verso la serie B. Si riparte con Cuccureddu e una squadra di buona qualità, con il ritorno del bomber Marco Sansovini e di una giovane promessa: Marco Verratti. Il “Pescara dei Pescaresi”, a livello societario, perde qualche pezzo ma non la solidità: va via la Caldora, al suo posto Giuseppe De Cecco. Anche il mister Cuccureddu viene esonerato dopo una brutta sconfitta all’Adriatico contro la Cavese fanalino di coda. Gli succede Eusebio Di Francesco, che spinge la squadra verso una rimonta inesorabile. A fine campionato il Pescara agguanta i playoff. Deve vedersela con la Reggiana e col Verona. La compagine di Di Francesco batte gli emiliani all’Adriatico dopo il pareggio esterno, e si comporta allo stesso modo coi veneti: 2-2 al Bentegodi e 1-0 a Pescara con un gol di Massimo Ganci. Si torna in serie B tra la gioia di tutti, tifosi e società. La città è in festa come non accadeva da anni. È finito un incubo, ricomin-

cia un sogno. In B con Di Francesco arriva una tranquilla salvezza. È il primo passo verso la serie A

• Il pescarese Eusebio Di Francesco sulla panchina biancazzurra


PESCARA 2011/2012


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