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OSPITALITà ITALIANA MAGAZINE by VDG MAGAZINE I VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 4 | N.35 | MENSILE | EURO 2,90
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APRILE 2014
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IL VINO DALLA A ALLA Z
Il winemaker Donato Lanati racconta l’enologia italiana Da “Autoctoni” a “Zibibbo”: analisi di un patrimonio unico ed esclusivo che ha nel binomio “vino&territorio” il suo punto di forza
ITINERARI
Dove nasce l’Amarone Nelle terre del Sangiovese CIBO&TERRITORIO
STORIE
La vigna di Papa Francesco I mastri bottai siciliani PERSONAGGI
I due mondi del Gaglioppo Nicodemo Librandi Morro d’Alba e la sua Lacrima Oliviero Toscani
WINE PASSION
Etna, vini sotto il vulcano La viticoltura “eroica” PIACERI
Vino&vetro Wellness: la vinoterapia
A cura di magazine
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magazine
editoriale di Domenico Marasco
domenico.marasco@vdgmagazine.it
Il magazine che promuove l'Italia Donato Lanati, un'eccellenza italiana
Uno scienziato del vino che dà lustro al nostro Paese nel mondo Cari lettori, questo numero è dedicato all’Italia del vino. A questo incommensurabile patrimonio di cui disponiamo e alle mille storie che esso è in grado di raccontare. Come è evidente, mese dopo mese, noi non ci discostiamo di un millimetro dalla nostra mission: quella cioè di promuovere la nostra amata penisola. Una terra baciata da Dio e dal sole. Un Paese la cui grandezza, però, è alimentata anche e soprattutto dagli uomini e dalle donne straordinarie che ne fanno parte. Risorse umane uniche, anzi chiamiamole pure “eccellenze”. Donato Lanati è uno di loro. E abbiamo deciso di dedicargli la copertina di aprile e presentarvelo attraverso queste pagine, perchè si tratta di un personaggio davvero straordinario, non un semplice winemaker ma un vero e proprio “scienziato del vino”, forse sconosciuto al grande pubblico ma notissimo invece – un’istituzione, quasi – nel panorama dell’enologia non solo italiana, ma mondiale. Infatti, come succede a tutti i grandi, se lo contendono paesi come la Georgia, il Kazakistan, la Russia, oltre che centinaia di aziende vitivinicole che vorrebbero poter disporre delle sue infinite competenze. Nonostante ciò, Donato Lanati resta una persona semplice. Un uomo dallo spessore umano, etico e culturale stupefacente. Quando lo senti parlare ti incanta, è un affabulatore eccezionale. È capace di spiegare il vino come lo si
può spiegare a un bambino, parlando di antociani e di tannini, di vitigni e di vini che non possono prescindere, ripete, dai territori di provenienza. Insomma è capace di far appassionare chiunque e di farlo innamorare del vino e del mondo che lo circonda. È a lui che si devono decine e decine di successi dei vini italiani nel mondo, suggellati anche dalla nota rivista americana di settore Wine Spectator, come nel caso del Barolo dell’azienda Mascarello, di cui vi raccontiamo la storia in queste pagine. Ecco, Donato Lanati fa parte di quell’Italia delle eccellenze umane che tutto il mondo ci invidia e che vorrebbe portarci via. Sono questi gli uomini che vorremo vedere premiati dal nostro Presidente della Repubblica. Coloro che hanno una qualche responsabilità istituzionale dovrebbero fare di tutto perchè figure come Lanati vengano valorizzate, premiate e rese “fruibili” anche dal grande pubblico. Ne guadagneremmo tutti, in termini di cultura, competenza, conoscenza. Ed eviteremmo, soprattutto, che se ne vadano via, come succede troppo spesso. Riflettiamoci. Nel frattempo buon viaggio del gusto, stavolta nel mondo del vino.
aprile 2014
5
sommario sommario aprile 2014
54
62
12 La salute nel piatto
Peso e forma: come calcolare
14 Scienza & vita
58
I microbi intestinali ci aiutano?
16 Appuntamenti 26 Almanacco di Barbanera
34 Cover story La sua passione per l'enologia risale a quando aveva 8 anni e rimase folgorato di fronte alla bellezza della pianta dell'uva. Oggi è uno dei più grandi winemaker al mondo e presta il suo sapere alle più importanti aziende vitivinicole italiane ed estere. È Donato Lanati, meglio conosciuto come "l'enologoscienziato". VdG gli ha chiesto di raccontare "il vino italiano dalla A alla Z" e illuminarci con le sue riflessioni su passato, presente e futuro dell'enologia tricolore. Per provare a capire come si vince la sfida dell'economia globale.
panorama
inviaggio
30 Pagine nere
58 Tra i vigneti del Papa
L'Italia che non ci piace: funzionari infedeli, ruberie attorno all'Expo
32 Fatti e contraffatti
66 Week-end cultura, Selinunte
68 La terra del Sangiovese
Così è nata la scuola friulana che forma i "preparatori d'uva" in tutto il mondo
Intervista al prof. Nicodemo Librandi, padre nobile della viticoltura in Calabria
50 Tendenze: gli aperitivi
Da Vermouth e Spritz al Nord alla birra al Sud: regione che vai, "ape" che trovi
54 Oliviero Toscani
aprile 2014
Viaggio in Valpolicella, culla del vino rosso amato da Dante e Hemingway
46 A lezione di potatura
6
Sapevate che gli avi di Jorge Bergoglio coltivavano il Grignolino vicino Asti?
62 Dove nasce l'Amarone
Vino aromatizzato con frammenti di legno: pratica vietata ma molto diffusa
48 Il personaggio
In copertina: Donato Lanati
Cinque domande al noto fotografo per farci raccontare il suo "viaggio del gusto"
Val d'Orcia, un pezzo di paradiso che nel vino ha trovato il suo "elisir di lunga vita"
72 Idee gratis
76 Week-end relax, Acicastello 78 Viaggi per tutte le tasche
Guida alle ultime novità in fatto di crociere nel Mediterraneo e dintorni
sommario sommario aprile 2014
118
92
108
132 le selezioni
cibo&territorio
108 Orto dei semplici, l'aglio
82 I due mondi del Gaglioppo
110 Dulcis in fundo
Tour tra Cirò e il Lametino seguendo il fil rouge dell'antico vitigno calabrese
88 La lacrima di Morro d'Alba Un nobile autoctono marchigiano, un piccolo borgo, la loro grande storia
92 I vini dei terrazzamenti
Valtellina, Ischia, Ponente Ligure: terre da vigneti verticali e vignaioli "eroici"
96 L'Etna enoico
Catarratto e Nerello Mascalese, le punte di diamante di una"vulcanica" viticoltura
98 Il bergamotto
Un agrume calabrese doc, che ha casa a Reggio Calabria e tante virtĂš nascoste
100 La collina del "ciliegino" Tappa siciliana a Chiaramonte Gulfi, per scoprire il pomodoro piĂš piccolo e dolce
106 Il buono a tavola 8
aprile 2014
piaceri 114 I piaceri di Bacco
Vino e vetro: una lunga, infinita storia d'amore che va avanti da oltre mille anni
116 Le mani raccontano
I fratelli Pino e Mimmo Li Causi, gli
ultimi mastri bottai rimasti in Sicilia
118 L'Italia in mostra: Foligno
Arte e architettura contemporanea vestono di nuovo la "Rosa dell'Umbria"
122 Il Ristorante 124 Bellezza&Benessere 126 Compagne di strada 128 Libri letti per voi 130 Shopping
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contributors aprile 2014
hanno collaborato a questo numero:
GIANFRANCO MANFREDI
PAOLA CAMBRIA
ANDREA ZANFI
MARIA GRAZIA TORNISIELLO
Giornalista e sommelier, ha iniziato all’Unità e non s'è più fermato. Oggi è nell'ufficio stampa del Consiglio Regionale della Calabria e scrive per il Messaggero e per la Guida dei Ristoranti dell’Espresso e del Sole 24ore. Come ama ripetere: it’s a dirty job, but somebody’s gotta do it. pagg. 48-82
Romana per nascita, giornalista per lavoro, sommelier per passione. È nella comunicazione d’impresa ma solo "in prestito", dice. Il suo vero pallino è il food&wine, di cui scrive ovunque ci sia spazio. Ama la fotografia e stare con gli amici, possibilmente in mezzo a bottiglie di vino. pag. 114
Supertoscano di Grosseto ma viaggiatore epicureo per piacere. Gira in lungo e largo lo Stivale alla ricerca dei posti che “si raccontano” attraverso la loro enogastronomia. E traduce il tutto dentro guide ricche di annotazioni su aziende, cibo, vino, territori. pag. 116
È nata a Foggia, in Puglia, nel profondo Sud, ma ormai s'è fatta adottare dalla città di Padova. Da buona giornalista, ama viaggiare , osservare e scoprire. In particolare novità enogastronomiche e culturali. Nel tempo libero invece adora leggere e si rilassa cucinando dolci. pag. 62
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14/03/14
Lucrezia Argentiero Lucrezia Balducci Germana Cabrelle Piero Caltrin Olga Carlini Gilda Ciaruffoli Giovanni Cocco Elena Conti Silvana Delfuoco Maria Pia Fanciulli Eleonora Fatigati Isa Grassano Riccardo Lagorio Iginio Massari Claudio Modesti Francesca Negri Rosario Previtera Giuseppe Pulina Antonio Romeo Irene Tempestini Fondazione Veronesi
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la salute nel piatto
A cura della Redazione scientifica Fondazione Veronesi testi di
Donatella Barus
Peso forma: diamo i numeri Prima della prova costume, prima dell’estetica e della vanità, c’è la salute. E la salute passa (anche) dalla bilancia. Perché una buona forma fisica ci può davvero aiutare a vivere bene e a lungo. Ecco dunque qualche dritta per conoscersi meglio, ed eventualmente correre ai ripari Per la salute il peso si misura col metro. Quello flessibile, da sarta. Non bastano, infatti, i chili addebitati dalla bilancia per sapere se si è grassi in modo rischioso per la salute. È la misura del giro vita a rivelarci se è il caso di dimagrire per il proprio benessere. Le misure sono due: per l’uomo, la circonferenza non dovrebbe superare i 94 cm, per la donna non oltre gli 80 cm. C’è un filo di elasticità in questi calcoli? Se proprio si devono sforare i livelli sopra citati, è bene che non si vada oltre i 102 cm e, al femminile, gli 88 cm. Al di là di questi numeri i medici parlano di “rischio accentuato”. Ci sono persone, soprattutto donne, che per l’estetica hanno dei chili di troppo, ma non per la salute perché il giro vita risponde ai parametri. Il fatto è che c’è grasso e grasso: quello sull’addome è pericoloso, viene chiamato “grasso viscerale” ed è una sostanza “attiva” che va a interferire col sistema cardiovascolare e può preparare la via al diabete. L’adipe, invece, che si deposita sulle cosce e sui glutei può essere antiestetico, ma non crea rischi per la salute. Esiste un altro metodo per sapere se si è in forma: il calcolo dell’Imc, l’Indi12
aprile 2014
ce di massa corporea che pone i limiti di normalità tra le cifre 18,5 e 24,9, di sovrappeso tra 25 e 29,9 e di obesità oltre il livello 30. E come si arriva a trovare questi indici? Occorre moltiplicare l’altezza per l’altezza, poi dividere il peso per il numero così ottenuto: Imc = Peso : (Altezza x Altezza). Esempio: una persona alta 1,70 e con un peso di 65 kg ha un Imc di 22,49, dunque è da considerarsi normale. Non rientrano in questo “giusto peso” ben 4 italiani su 10, dicono, preoccupate, fonti ministeriali. E distinguono che il 32% della popolazione adulta si può definire “sovrappeso” e l’11% francamente obeso. È il caso di darsi una mossa collettiva: dieta, movimento, metro e bilancia a portata di mano.
Per saperne di più:
www.fondazioneveronesi.it
Tutti frutti! Sei un tipo “a mela” o “a pera”? I fortunati sono i secondi: niente rischi per la salute a causa del peso. I due frutti sono chiamati in causa per indicare due figure umane: quelli che si allargano nel mezzo (mela) e quelli invece sottili fino in vita e poi larghi dai fianchi in giù (pera). Le “pere” a dir la verità sono soprattutto donne: tipicamente femminile è accumulare adipe sul fondoschiena e sulle cosce, cui si aggiunge oltretutto l’inestetica pelle “a buccia d’arancia” (un altro frutto!). Il corpo “a mela” è tipicamente maschile: si ingrassa sul ventre. Ma accade anche alle donne, specie dopo la menopausa.
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scienza e vita
Il microbiota: un ospite prezioso Sono microscopici, lo dice anche il nome. Ma tantissimi. E dal momento in cui nasciamo ci accompagnano ricoprendo ogni parte del nostro corpo a contatto con l’esterno. E (apparentemente) strano ma vero, è il tratto gastrointestinale a custodirne la maggior parte. Scopriamo cosa sono e come lavorano, imparando anche a prendercene cura al meglio
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di Giuseppe Pulina
Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari
Che il nostro intestino sia popolato da microorganismi lo sappiamo tutti e che questi microscopici abitanti siano importanti per la nostra salute lo abbiamo appreso dalla sempre più pressante pubblicità di alcuni prodotti lattiero caseari. Ma che questa popolazione albergante dentro di noi sia diventata da pochi anni uno dei più rilevanti campi di ricerca dell’alimentazione e della medicina, forse, ci era sfuggito. Ci riferiamo, in particolare, al microbiota, l’insieme dei microbi che pacificamente coesistono con un ospite (l’uomo), costituito soprattutto da batteri che hanno una numerosità 10 volte maggiore rispetto alle cellule del nostro corpo. Il microbiota colonizza dell'ospite ogni superficie esposta, direttamente o indirettamente, all’ambiente esterno, ma è il tratto gastrointestinale a essere maggiormente abitato, sia per l’elevata superficie specifica sia per la ricchezza in nutrienti utili per la crescita dei microbi. Presenti fin dal momento della nascita, durante il primo anno di vita la composizione del microbiota è relativamente semplice e soggetta a variazioni, andando stabilizzandosi successivamente; ad alterarne la composizione in età adulta incide in modo significativo il regime dietetico. Intervistiamo a questo proposito il professor Marco Gobbetti, microbiologo di fama internazionale che la-
vora presso il Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Quel è esattamente il compito svolto da questa popolazione microbica che lavora incessantemente per la nostra salute? Molti studi hanno permesso di stabilire l’importanza del microbiota gastrointestinale sia nello sviluppo della mucosa intestinale sia nella risposta immunitaria dell’uomo. Ciò non è sorprendente, se si considera che la mucosa intestinale è la più ampia superficie del corpo umano in contatto con le sostanze esterne che possono rappresentare un qualche pericolo; il microbiota gastrointestinale, inoltre, protegge l’ospite da eventuali microbi patogeni in quanto compete con loro attraverso l’occupazione dei siti di adesione, il consumo di nutrienti e la sintesi di sostanze antimicrobiche. Consideriamo ora l’effetto che hanno sul nostro intestino i trattamenti antibiotici. Sappiamo bene che una delle complicazioni più frequenti è la manifestazione di stati diarroici. Questi sono dovuti all’anormale sviluppo del batterio patogeno Clostridium difficile, il quale, in tali condizioni, si avvantaggia della ridotta efficienza da parte del microbiota gastrointestinale. Per ripristinarne la funzionalità vengono spesso consigliati i fermenti lattici, è corretto? I fermenti lattici fanno parte della microflora microbica benefica, ma per raggiungere il sito intestinale devono superare parecchie barriere, fra le quali la forte acidità dello stomaco e gli enzimi digestivi dell’intestino. Esistono tuttavia dei ceppi altamente resistenti, alcuni dei quali ritrovati in latticini tradizionali italiani, il cui studio sta diventando un importante base di sviluppo per prodotti innovativi. L’importanza del microbiota gastrointestinale è dunque confinata all’apparato digerente? Sembra proprio di no. Alcuni studi hanno evidenziato che un’alterata composizione del microbiota influenzi anche la funzionalità dei sistemi cardiovascolare e nervoso ed è stata associata a una moltitudine di patologie. Dalle più ovvie, quali infiammazioni intestinali, sindrome del colon irritabile, allergie e celiachia, alle più inaspettate, come infezione hiv, atopia, diabete di tipo 1 e 2, autismo e nefropatia.
L’importanza dei latticini È ormai abbastanza chiaro che il microbiota gastrointestinale influenza il nostro corpo a quasi tutti i livelli e in quasi tutti gli organi, in un costante rapporto ospite-microbiota sul quale è possibile intervenire. Attualmente, la ricerca scientifica è interessata a stabilire
Per prendersi cura del microbiota gastrointestinale è importante mantenere la propria dieta equilibrata, ricca di fibre, e assumere yogurt e latticini tradizionali
quali siano i nutrienti effettivamente in grado di modificarne la composizione, favorendo batteri benefici e inibendo quelli dannosi, per arrivare a formulare specifici regimi dietetici, anche personalizzati. Nonostante gli studi siano ancora in atto, è però comunque possibile fornire ai lettori basilari indicazioni che li aiutino a “prendersi cura” del proprio microbiota. Fondamentale prima di tutto è mantenere sempre un buon equilibrio tra i nutrienti della nostra dieta,
facendo continuo rifornimento di fibre digeribili (alle quali la popolazione batterica che alberga nel colon è particolarmente sensibile); buoni alleati sono anche i formaggi tradizionali, gli yogurt e i functional food, ricchi in fermenti lattici, che aiutano a mantenere un intestino microbiologicamente equilibrato. Meno utile a questo scopo il latte, come è noto privo di microbi (perché pasteurizzato o sterilizzato) così come la mozzarella (che viene anche riscaldata per la filatura).
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appuntamenti aprile
Cento volte
Forte (dei Marmi)
Era il 26 aprile del 1914 quando l’elegante località balneare toscana otteneva la sua autonomia. Di lì a poco sarebbe diventata quella mecca di gusto e “bel vivere” estivo che ancora oggi sa dettar legge in fatto di stile. Per festeggiare l’evento, una serie di appuntamenti che renderanno questa primavera/estate ancora più bella di Olga Carlini
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aprile 2014
Cent’anni e non li dimostra. Forte dei Marmi si prepara alla festa. Il 26 aprile di quest’anno, la cittadina toscana meta tradizionale del turismo celebra infatti il suo primo secolo di autonomia amministrativa. Un compleanno speciale, dunque, che rievocherà quel lontano 26 aprile 1914, quando da piccola frazione del Comune di Pietrasanta, Forte dei Marmi diventò ente autonomo grazie a una proposta di legge presentata dall’onorevole Giovan-
ni Montauti e firmata, in quella data, dal Re Vittorio Emanuele III. Una storia più antica, che risale al 1513, racconta del Lodo arbitrale di Papa Leone X figlio di Lorenzo il Magnifico, che decretò il distacco della Versilia storica (composta oggi dai Comuni di Forte dei Marmi, Pietrasanta, Seravezza e Stazzema) da Lucca in favore di Firenze. Da allora fino al 1859 con il nome di Capitanato, poi di Vicariato di Pietrasanta, la Versilia storica rappresentò una specifica unità territoriale e amministrativa nell’ambito della Repubblica di Firenze, del Ducato e infine del Granducato di Toscana, retto prima dai Medici e quindi dagli Asburgo-Lorena. Per festeggiare degnamente i suoi cento anni di vita, l’amministra-
È qui che ieri i grandi artisti del Novecento hanno trovato ispirazione per le loro opere e oggi le grandi griffe della moda si sono messe in vetrina
Scelti per voi dove mangiare La Magnolia del Byron Specialità del territorio con creatività; 1 Stella Michelin. Prezzo medio: da 80 euro V.le A. Morin, 46 Tel. 0584.787052 www.hotelbyron.net Ristorante Lorenzo Ambiente elegante, come il menù. Prezzo medio: da 90 euro Via Carducci, 61 Tel. 0584.874030/89671 www.ristorantelorenzo.com Bistrot Ambiente romantico ed esclusivo; 1 Stella Michelin. Prezzo medio da 80 euro Via della Repubblica, 14 Tel. 0584.89879 www.marcodavid.com
dove dormire
zione comunale ha preparato un programma ricco di eventi, partito il 21 marzo con il conferimento della cittadinanza onoraria al Granduca Sigismondo D’Asburgo Lorena, discendente di quel Leopoldo I a cui Forte dei Marmi deve la sua storia. Ma la data ufficiale delle celebrazioni istituzionali scatterà appunto il 26 di questo mese.
Storia, stile e biciclette Per descrivere Forte dei Marmi occorre partire proprio dal suo nome, evocativo dei vecchi depositi di “oro bianco” che dalle Apuane veniva trasportato al mare con i carri trainati dai buoi e quel pontile, dove un tempo, una mancina caricava il marmo sui navicelli in parten-
Best Wester Raffaelli Park Hotel In stile vecchia Forte, frequentatato da abituè. Il suo ristorante La Taverna Toscana riserva piacevoli sorprese. Doppia nel mese di aprile a partire da 70 euro Via Mazzini, 37 Tel. 0584.787294 www.raffaelliparkhotel.it Villa Grey In una residenza versiliese fin de siècle, incantevole vista mare ed esclusiva spiaggia privata. Doppia nel mese di aprile a partire da 150 euro Viale Italico, 84 Tel. 0584.787496 www.villagrey.it Pensione Miramare Ambiente piacevole e familiare. Doppia nel mese di aprile a partire da 80 euro Via F. Donati , 34 Tel. 0584.787277 www.miramarehotel.org
za per mete lontane e che oggi offre il più bel passeggio del territorio, racchiuso fra il mare e le montagne. Il Fortino, allora denominato “fortezza granducale” perché fatto costruire dal Granduca Pietro Leopoldo, è diventato il simbolo del paese, nonché spazio espositivo per l’arte. A Forte dei Marmi è nata la Regina Paola di Liegi e da giovane vi trascorreva le sue vacanze Gianni Agnelli. Ed è sempre qui che i più grandi artisti del Novecento – da Thomas Mann a Aldous Huxley, da Montale a Ungaretti, da Carrà a Soffici – hanno trovato ispirazione per le loro opere. Oggi Forte dei Marmi è una località turistica elegante, con servizi personalizzati e un territorio mantenuto a misura d’uomo. La bici è il mezzo privilegiato: sulle due ruote si va al mare, negli oltre cento stabilimenti balneari dislocati sul litorale, si va al celebre Mercato del Forte di piazza Marconi che ogni mercoledì mattina (in estate anche la domenica) attira migliaia di visitatori, oppure semplicemente si va a zonzo ad ammirare le splendide ville del quartiere di Roma Imperiale, dove una mondanità d’eccellenza, ancora oggi, coltiva le sue relazioni. Altri appuntamenti imperdibili sono il mercatino dell’artigianato in Piazza Garibaldi (primo weekend di ogni mese) e quello dell’antiquariato (secondo weekend di ogni mese). Delle notti versiliesi la regina resta invece la Capannina, locale storico nato nel 1929; e se il cuore pulsante di Forte dei Marmi è il centro, dove le più grandi griffe della moda italiana e internazionale hanno i loro showroom, anche i gourmet trovano qui il loro paradiso. Ristoranti stellati o squisitamente autoctoni propongono menu ricercati e piatti della tradizione, come l’aragosta rosa in guazzetto di champagne e gli spaghetti con le arselle, le acciughe fritte e le seppie. aprile 2014
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appuntamenti aprile
di Gilda Ciaruffoli
1 aprile – 31 maggio Un felice risveglio
fino al 13 aprile La scienza è servita Torna La scienza in piazza, festa della scienza e della cultura diffusa che vede protagonista l’intera città. Più di 100 gli eventi tra mostre, spettacoli, proiezioni, presentazioni di libri, degustazioni e laboratori, per una vera food immersion il cui filo conduttore è, per l'appunto, l’alimentazione. Si parla di nutrizione e lotta allo spreco; cibo come opportunità di scambio culturale, consumo consapevole e sostenibilità. In programma diverse degustazioni all’ora dell’aperitivo: con prodotti vegani, con assaggi di vino o di olio extravergine d’oliva, e persino con gli insetti e alghe.
L’importanza dell’alimentazione per mantenersi sani, dell’attività fisica, degli equilibri emozionali sono i fili conduttori di Merano Vitae – Il Festival della Salute, evento che non a caso si svolge in un contesto nel quale aria pura, prodotti alimentari, natura e sport rappresentano non solo elementi dell’offerta turistica ma un vero e proprio stile di vita. Merano Vitae coincide con il risveglio dal lungo inverno e con la voglia che rinasce in ognuno di noi di trovare nuove energie per il nostro benessere.
Merano (Bz) – Trentino Alto Adige www.meranodintorni.com
5 aprile – 1 maggio Alla corte della primavera Messer Tulipano trasforma il parco all’inglese del castello medievale di Pralormo in un vero giardino incantato che, accanto all’incredibile fioritura di tulipani, accoglie mostre e esposizioni a tema rinnovando la curiosità dei visitatori. Un’attenzione particolare è rivolta al tema Giardini in miniatura e da tavola con un’esposizione dedicata allestita all'interno dell’antica Orangerie.
Pralormo (To) – Piemonte
Bologna – Emilia Romagna
www.castellodipralormo.com
www.lascienzainpiazza.it
5-7 aprile Faccia a faccia col vignaiolo
fino al 21 aprile Come tra amici La Mostra del Valdobbiadene Docg è la più antica delle rassegne legate alla Primavera del Prosecco (i cui eventi proseguono fino a giugno) e nasce dal gesto amichevole di alcuni paesani che in passato usavano attendere le persone all’uscita della chiesa offrendo loro un buon bicchiere di vino. Con immutato spirito, la Pro Loco ripropone durante la festa le etichette di circa un centinaio di produttori della Docg ConeglianoValdobbiadene.
Col San Martino (Tv) – Veneto www.primaveradelprosecco.it 18
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ViniVeri – Vini Secondo Natura è un evento che consente di conoscere vignaioli e produttori agroalimentari accomunati dal più profondo rispetto della terra, degli equilibri della natura, della biodiversità e delle tradizioni, e il frutto del loro lavoro. La manifestazione dà inoltre al visitatore la possibilità di acquistare rare ed esclusive etichette, ottenute da processi naturali, a prezzo di cantina.
Cerea (Vr) – Veneto www.viniveri.net
8-13 aprile Tutto sul design In scena a Milano, i Saloni 2014, pronti a svelare ai visitatori le novità del settore casa-arredo, della cucina e del bagno, grazie a Eurocucina e al Salone Internazionale del Bagno, e del design giovane e internazionale grazie al Salone Satellite. Da non perdere il FuoriSalone, evento che coinvolge l’intera città meneghina con serate di festa, presentazioni, degustazioni.
Milano – Lombardia www.cosmit.it
IL PASSITO TI SCALDA IL CUORE QUANDO LA BREZZA DEL MARE AVVOLGE I CALDI PROFUMI CHE IL VENTO VUOL PORTARE VIA
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appuntamenti aprile
11-13 aprile La mamma è sempre la mamma! La Sagra del carciofo romanesco (mamma, mammola o cimarolo) è l’occasione per assaporare questa tipicità preparata secondo le tradizioni culinarie romane. La manifestazione è preceduta dalla Bi-Settimana Gastronomica che coinvolge i migliori ristoranti locali che offrono menù a prezzo fisso a base di carciofo. Da assaggiare il brodetto di carciofi, i carciofi alla Giudia, alla romana, fritti, alla Giuditta e ripieni.
Ladispoli (Rm) – Lazio www.prolocoladispoli.it
11-13 aprile Sboccia la città
6-7 aprile Il "fuori salone" per veri intenditori In occasione del Salone internazionale del vino e dei distillati, il cui ingresso è riservato a un pubblico di operatori del settore, si tiene Vinitaly and the City, il Fuori Salone della manifestazione, seconda edizione di un evento dedicato a tutti gli appassionati del buon cibo e del buon vino, in programma al Palazzo della Gran Guardia. Un ambiente allestito con classe, ricco di proposte golose e curiose grazie a una selezione di oltre 300 etichette di vini nazionali e ricercate produzioni tipiche di qualità, offerte in degustazione. Ai grandi vini si accompagnano i grandi chef, impegnati nella preparazione di piatti gourmet. Il visitatore, con un ingresso di 15 euro, può combinare quattro diverse degustazioni a scelta fra vino e cibo. Un evento da non perdere, per un’esperienza organolettica a tutto tondo.
Verona – Veneto www.vinitaly.com 20
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Si sviluppa con un percorso espositivo che attraversa tutto il centro città, nelle aree pedonali, proponendo numerosi appuntamenti divulgativi, divertenti e interattivi, Fior di Città. Pisa in Fiore, occasione per promuovere in modo festoso la cultura del verde e della natura e il rispetto dell’ambiente. Protagonisti dell’evento sono le aziende ortoflorovivaistiche che espongono piante, sementi, attrezzature e pubblicazioni per il giardinaggio e la coltivazione dell’orto. In programma anche degustazioni sensoriali dedicate al gusto e all’olfatto, visite alle dimore storiche e ai giardini nascosti.
Pisa – Toscana www.leopolda.it
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Uve accuratamente selezionate, sensibilità nella lavorazione e un’immensa passione fanno crescere vini che rispecchiano la caratteristica di ciascun vitigno, del clima, del tipo di terreno e il lavoro appassionato dei nostri viticoltori. Il vino di Colterenzio è un inno al piacere ed ha soprattutto un obiettivo: dare piacere a chi lo degusta.
/colterenzio
appuntamenti aprile
12-13 aprile primavera a corte Immergersi nel fascino di giardini secolari in fiore, salire su per le antiche scale in pietra e percorrere saloni pregni di storia mentre bravissimi artigiani e artisti vi stupiscono con le loro nuove proposte. Una favola che si rinnova ogni anno durante il week-end delle Palme con In Primavera: Fiori, Acque e Castelli. Costruiti quasi mille anni fa, questi manieri, i loro borghi e la natura circostante rappresentano un unicum di grande bellezza. Tra una sosta per farsi spiegare come potare un glicine e l’acquisto di un set da tea di seta dipinta, è possibile anche ristorarsi in uno degli angoli gastronomici o assistere a esibizioni musicali e appuntamenti culturali.
Cervignano (Ud) – Friuli V.G. www.castellodistrassoldo.it
FRANCIACORTA IN CROCIERA
25-27 aprile
Avete voglia di prendere il largo? Partecipate alla Crociera del gusto, il viaggio nel Mediterraneo, a bordo di una nave Msc, che ha come obiettivo quello di presentare le eccellenze dei vini di Franciacorta e di alcune aziende di alta qualità in ambito gastronomico. Dopo le prime tre esperienze coronate da grande successo di pubblico, i produttori del Franciacorta hanno deciso di continuare a far conoscere per mare e per terra, i loro vini abbinati ad altri tesori agroalimentari italiani. Stavolta si partirà da Venezia il 26 aprile, toccando Bari il giorno successivo per poi raggiungere il porto greco di Katakolon il 28 e quello turco di Smirne il 29. Sosta il 30 aprile a Istanbul mentre l’1 maggio sarà dedicato alla navigazione. Il 2 maggio l’approdo è la città croata di Dubrovnik e il 3 maggio l’arrivo è nel porto di Venezia. Nei giorni 26 e 27 aprile verranno invitati a bordo i giornalisti locali per una conferenza stampa di presentazione dei prodotti. Durante il percorso sarà possibile partecipare a degustazioni guidate, arricchite anche dai piatti dello chef Roberto Dante Vincenzi (Rodante) che proporrà originali ricette realizzate con i prodotti delle aziende partecipanti. VdG magazine, assieme a Radio Vera, sarà
... tutte per una! Il Salone Nazionale delle Sagre è l’unico evento in Italia che presenta e fa assaggiare le prelibatezze di oltre cento sagre enogastronomiche provenienti da ogni angolo della penisola. Con un solo biglietto, i visitatori possono consumare liberamente i piatti di tutte le Sagre presenti e divertirsi tra gare, dimostrazioni, convegni.
Ferrara – Emilia-Romagna www.salonedellesagre.it
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26 aprile – 3 maggio
aprile 2014
media partner dell’iniziativa con il giornalista e nostro collaboratore Riccado Lagorio che si occuperà della direzione della comunicazione e della selezione delle produzioni enogastronomiche che saranno protagoniste di questa crociera del Franciacorta, finanziata, tra gli altri, dalla Banca di Credito Cooperativo di Franciacorta e Pompiano e dall’agenzia viaggi Pachamama di Thiene (Vi). Radio Vera seguirà invece tutta la navigazione “day by day” mandando in onda sulle proprie frequenze le iniziative di bordo organizzate dai produttori e mettendo a disposizione dei crocieristi una presentazione filmata delle aziende partecipanti che verrà trasmessa in tutte le cabine. Durante le giornate della crociera, i prodotti saliti a bordo della nave verrano presentati in tutti i porti di passaggio. Alle aziende verrà messo a disposizione una spazio con un tavolo ed un roller di presentazione: per i crocieristi sono previsti particolari condizioni di acquisto per i prodotti in degustazione. La crociera è aperta a tutti: affrettatevi a prenotare sul sito dell'agenzia viaggi Pachamama.
Località varie www. pachamamaviaggi.it
www.coldorcia.it
la settimana santa
Nella terra di San Francesco
di Isa Grassano e Lucrezia Argentiero
Particolarmente emozionanti ad Assisi la cerimonia della Scavigliazione (deposizione del crocefisso) del giovedì santo, le “tre ore di agonia” nella chiesa Santa Maria Maggiore e la veglia notturna di sabato.
Assisi (Pg) – Umbria www.visit-assisi.it
Ostensione dei Sacri Vasi Nella città Patrimonio Unesco rivive l’usanza di esporre i due reliquari d’oro che, secondo la tradizione, custodirebbero alcune gocce di sangue di Gesù Cristo. I due contenitori, conservati nella Basilica di Sant’Andrea, vengono esposti, il pomeriggio del Venerdì Santo, sull’altare maggiore della Chiesa. La reliquia sarebbe stata raccolta e nascosta a Mantova da San Longino, il soldato romano che secondo i Vangeli trapassò con una lancia il costato di Gesù sulla croce.
Mantova – Lombardia sacrivasiinmantova.forumfree.it
La Turba Significa “folla”, Turba, ed è il nome della manifestazione che, il 18 aprile, trasforma il paese in un’enorme scena all’aperto. Il Calvario di Cristo è ricordato da centinaia di figuranti in abiti d’epoca e fin dal primo pomeriggio del Venerdì Santo i cavalieri cominciano il loro carosello. Dopo le “tre ore di agonia”, appaiono i primi personaggi in costume e verso sera si avvia la lunga processione.
Cantiano (PU) – Marche www.laturbacantiano.it 24
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La Processione dei Misteri Si svolge nel primo pomeriggio del Venerdì Santo. Il corteo si snoda per 5 km, aperto da tre centurioni a cavallo e da tre bambine vestite di bianco (le tre Marie); seguono altre 33 bambine vestite di nero, a ricordare gli anni di Cristo. Il personaggio più insolito è la Zingara, la più bella ragazza del paese, che porta un vestito arricchito d’oro, simbolo di una ricchezza che nasconde malvagità e pericolo.
Al suono della troccola A chiamare a raccolta i fedeli è il suono monotono della “troccola”, uno strumento simile a una maniglia che sbatte su un supporto in legno, che scandisce il ritmo lento della processione del Cristo Morto. Fede, pathos, inquietudine e teatralità si mescolano nella visione dei penitenti che camminano scalzi e dei confratelli incappucciati che sfilano reggendo le statue dei Misteri Dolorosi. Verso le ore 21, il simulacro della Madonna Addolorata si ferma su uno dei bastioni che affacciano sul porto e il sacerdote benedice popolazione e pescherecci.
Gallipoli (Le) – Puglia
www.settimanasantainpuglia.it
Barile (Pt) – Basilicata www.aptbasilicata.it
Pasqua alla catalana I rituali richiamano quelli tipici della Catalogna. Durante il Venerdì di Passione si tiene il Disclavament, il pietoso rituale della deposizione, con il corpo del Cristo accompagnato in processione sul letto di morte, il bressol (culla). Verso l’imbrunire, la città si trasforma alla luce delle farols (fiaccole) portate dalle donne, e dei lampioni coperti da veli rossi.
Alghero – Sardegna
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almanacco di barbanera
di M. Pia Fanciulli
Aprile, dolce risveglio Eccolo il mese delle fioriture, della rinascita della natura e dello spirito. La terra si disseta degli improvvisi acquazzoni che rigenerano, si scalda nei giorni di sole, ritrova il suo respiro. Si fanno i lavori sul balcone, nell’orto e nel giardino. E ogni tanto ci si riposa, nell’attesa delle feste di primavera
Da ricordare
Sole e Luna
Domenica 20 aprile – Pasqua di Resurrezione Festa mobile per eccellenza, cambia data ogni anno. Si dice infatti che “di marzo ai ventidue vien la Pasqua più bassa, d’aprile ai venticinque ci arriva e mai li passa”. Perché? Perché la data della Pasqua si calcola con la luna e cade ogni anno la domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera.
Il Sole Il 1° sorge alle 06.43 e tramonta alle 19.25 L’11 sorge alle 06.27 e tramonta alle 19.36 Il 21 sorge alle 06.11 e tramonta alle 19.48
Venerdì 25 aprile – Festa della Liberazione d’Italia Tra le feste civili è forse la più sentita. È un inno alla libertà, ricordando la liberazione dall’occupazione e dalla dittatura nazifascista del 1945.
Saggezza popolare • • • • •
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Aprile piovoso, anno fruttuoso. L’olivo benedetto vuol trovare pulito e netto. Palma asciutta, Pasqua molle. Gemma d’aprile non riempie il barile. Per San Marco Evangelista (25 aprile), la spiga è già in vista. aprile 2014
Le giornate si allungano. Il 1° aprile si hanno 12 ore e 42 minuti di luce solare – mentre il 30 se ne hanno 14. Si guadagnano 1 ora e 18 minuti di luce solare. La Luna Il 1° sorge alle 07.34 e tramonta alle 21.32 l’11 tramonta alle 04.17 e sorge alle 15.57 Il 21 sorge alle 01.06 e tramonta alle 11.16 La Luna è all’Apogeo martedì 8 alle ore 17. È al Perigeo mercoledì 23 alle ore 02. Luna in viaggio In questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 18, 19, 22, 23, 27 e 28.
Belli e sani Tonici e scattanti: ci si prepara all’estate. Per tonificare cosce e glutei è fondamentale stimolare la circolazione sanguigna e linfatica, e la doccia può essere l'occasione giusta. Prima di bagnarsi effettuare un massaggio leggero, a risalire, con un guanto di crine sulla pelle asciutta. Poi terminare la doccia con un getto di acqua fredda. Infine fare un automassaggio con olio di mandorle a cui si siano aggiunte per 100 ml di olio 10 gocce di olio essenziale di ginepro o rosmarino. Se invece è la pelle che desideriamo più tonica, fare sport all’aperto, consumare molto pesce ricco di acidi grassi e usare un integratore come la pappa reale fresca nella dose di 0,2 grammi a digiuno.
Orti e dintorni Attendere la Luna crescente per seminare tutti gli ortaggi da raccogliere in estate, dall'anguria ai cetrioli, alle melanzane. E ancora peperoni, peperoncini, zucche, zucchine. Procedere anche alla semina in piena terra di fagioli e fagiolini. Con la Luna calante vangare e sarchiare il terreno quando è asciutto. Seminare in piena terra bietola da coste, carote precoci e tardive, cipolle, indivia riccia, lattuga, ravanelli, sedano da coste, spinaci. In semenzaio cavolini di Bruxelles, cicoria, indivia riccia. Trapiantare all’aperto i tuberi pregermogliati di patata, cipolla colorata e scalogno.
Panorama Panorama 50 32
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30 Pagine nere
48 Il personaggio
La sua passione per l'enologia risale a quando aveva 8 anni e rimase folgorato di fronte alla bellezza della pianta dell'uva. Oggi è uno dei
L'Italia che non ci piace: funzionari infedeli e ruberie attorno all'expo
più grandi winemaker al mondo e presta il suo
32 Fatti e contraffatti
sapere alle più importanti aziende vitivinicole
italiane ed estere.
Vino aromatizzato con frammenti di legno: pratica vietata ma molto
conosciuto come
diffusa
È Donato Lanati, meglio "l'enologo-scienziato". VdG gli ha chiesto di raccontare "il vino italiano dalla A alla Z" e illuminarci con le sue riflessioni su passato, presente e futuro dell'enologia tricolore. Per provare a capire come si vince la sfida dell'economia globale.
Intervista al prof. Nicodemo Librandi, padre nobile della viticoltura in Calabria
50 Tendenze: gli aperitivi Da Vermouth e Spritz al Nord alla birra al Sud: regione che vai, "ape" che trovi
46 A lezione di potatura
54 Oliviero Toscani
Così è nata la scuola friulana che forma i "preparatori d'uva" in tutto il mondo
Cinque domande al noto fotografo per farci raccontare il suo "viaggio del gusto" aprile 2014
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pagine nere
di Francesco Condoluci
l’italia
che NON
ci piace Quella dell’Expo vista solo come “osso da spolpare” Il treno su cui Milano e l’Italia dovrebbero salire al volo “per non perdere la grande occasione”, rischia di rimanere fermo in stazione, e di non partire affatto. È quello dell’Expo 2015, da anni annunciato, strombazzato, sopravvalutato, rivestito di parole magnificanti e di opportunità economiche e di sviluppo del tutto aleatorie, salvo poi accorgersi – ad appena 13 mesi dall’ora della sua partenza ufficiale – che al momento, more solito per il nostro Paese, è solo una classica diligenza da assaltare e poco più. Un carrozzone buono a ingrassare le tasche di politici corrotti, consulenti “amici”, imprenditori rapaci e manutengoli di ogni risma. Gli arresti e le indagini sui lavori di infrastrutturazione (un business da 11 miliardi di euro) scattati qualche settimana fa hanno soltanto sollevato il coperchio sul sistema di truffe, appalti pilotati e parcelle milionarie che sta ruotando attorno all’affaire-Expo. Gli indagati? I soliti noti. Liberi professionisti, dirigenti d’impresa e altri personaggi vicini a Comunione e Liberazione e all’ex governatore lombardo Formigoni, e persino ex ufficiali dei Carabinieri già coinvolti in altre inchieste giudiziarie. Tutti pronti a salire – loro sì, e con invidiabile tempismo! – sul treno dell’Esposizione Universale milanese per stabilire in anticipo a chi dovevano andare gli appalti e a chi le consulenze, e assicurarsi così la loro fetta di torta. E pazienza se, nel frattempo, delle opere previste per Expo, a Milano e dintorni, non vi sia quasi ancora traccia – tanto che il commissario del governo Sala ha lanciato l’appello “Salviamo l’Expo” – e se, sotto la Madunina, il partito dei convinti che alla fine “l’Expo non si farà affatto” s’ingrossi ogni giorno di più. L’importante è tenere in piedi, fin quando sarà possibile, il baraccone della progettazione e arraffare a più non posso. Come si dice: meglio l’uovo oggi che la gallina domani 30
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Quella dei farisei del Parmigiano
A parole, tutti d’accordo. “L’Italia deve tutelare i suoi prodotti dalle contraffazioni”. Politici, imprenditori, funzionari, operatori: non c’è nessuno che non pontifichi sulla necessità di salvaguardare il Made in Italy snocciolando all’uopo ricette su “marchi unici”, controlli, azioni diplomatiche e chi più ne ha più ne metta. Nel merito, siamo d’accordo anche noi, ci mancherebbe. Il problema è che poi scoppiano gli scandali, si aprono le inchieste, arrivano le forze dell’ordine e a finire in manette per truffe, reati e affini legati al mercato del falso sono proprio loro: politici, imprenditori, funzionari, eccetera eccetera. Gli stessi cioè che dovrebbero tutelare le produzioni nazionali e che magari qualche mese prima lanciavano strali contro sofisticazioni e prodotti taroccati. È successo tante di quelle volte che ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. L’ultima, in ordine di tempo, riguarda l’arresto del direttore del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Riccardo Deserti, già coinvolto in passato in altre indagini legate al suo precedente ruolo in seno al Ministero delle Politiche Agricole, sezione qualità dei prodotti alimentari. E sempre per rimanere in tema di Parmigiano, come non ricordare le dimissioni cui è stato costretto il presidente dello stesso consorzio, Giuseppe Alai, accusato di aver indirettamente finanziato, in Ungheria, un’industria casearia che produceva un formaggio “similgrana”, imitativo dell’originale. Diciamolo: non proprio un bello spot per il Consorzio di Tutela di uno dei prodotti italiani più famosi (e più contraffatti) al mondo. E ancora meno per l’Italia. Topi nel formaggio
VIENI A TROVARCI AL VINITALY 06>09 APRILE 2014 PAD. 4 STAND C7
Verona, 09:00 pm
“Welcome to Paradise”
tenutasanta n n a . it
fatti e contraffatti
di
Claudio Modesti
La beffa del vino “ai trucioli”
Quella dell’aromatizzazione con frammenti di legno è una pratica enologica recente, ma diffusa a livello internazionale. Sono ormai passati alcuni anni da quando in Italia opposte fazioni si sono confrontate, anche aspramente, sulla spinosa (e ignota ai più) questione. È arrivato il momento di fare il punto della situazione Nel gennaio 2007 Legambiente, Coldiretti, Città del Vino, Federconsumatori, Codacons, Adusbef, Adoc, Slow-food Italia e alcuni produttori presentarono ricorso al Tribunale Amministrativo del Lazio al fine di bloccare l’uso di segatura di legno per ottenere un finto invecchiamento dei vini, sostenendo la necessità di difendere la riconoscibilità del vino italiano, opponendosi all’omologazione del gusto internazionale. Nel contempo, l’Unione Italiana Vini e molti altri proclamavano l’idea di libertà di scelta sull’utilizzo dei trucioli affermando che questa pratica enologica era ormai diffusa in tutto il mondo e che sarebbe servita a rendere più competitivi i vini prodotti in Europa nei confronti di quelli enormemente truciolizzati provenienti da Cile, Usa, Australia e Sud Africa. L’Unione Europea fece dunque proprio il desiderio di libertà espresso da una parte dei produttori consentendo di mercanteggiare vino con i trucioli omologando di fatto il vino Europeo alla “spazzatura enoica” proveniente dal resto del mondo. Violando però, in questo modo, la libertà di scelta del consumatore comunitario al quale non è dato conoscere se quello che si appresta a bere è davvero vino o una “bevanda aromatizzata a base di vino”. Si è stabilito che... A distanza di qualche anno, mi permetto di evidenziare alcuni fatti. Possiamo constatare prima di tutto che si è ottenuto di vietare l’utilizzo dei trucioli nei vini di qualità Dop e Igp: attualmente solo i vini generici (ex vdt, vini da tavola) possono essere oggetto di nuove pratiche enologiche, altrimenti proibite. Il regolamento CE 2165/2005 e le modifiche apportate dal regolamento CE 1507/2006 determinano al contempo la possibilità di utilizzare pezzi di legno di quercia per simulare l’affinamento/invecchiamento come quello che avverrebbe in botti e
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concorrenza leale
Quando la contraffazione viaggia sul web A cura di Ospitalità Italiana – Isnart Testi di Giovanni Cocco e Lucrezia Balducci
“L’etichetta deve indicare l’origine della o delle specie botaniche di quercia e l’intensità dell’eventuale riscaldamento, le condizioni di conservazione e le prescrizioni di sicurezza” (Allegato 11 bis reg. CE 1507/2006) barrique; il regolamento CE 10 luglio 606/2009 codifica le modalità applicative del reg. CE 479 del 2008 e stabilisce l’uso esclusivo del legno di quercia, i cui trucioli non possono essere né tostati, aromatizzati, né appartenere a specie botaniche differenti. Lo stesso regolamento stabilisce che deve essere obbligatoriamente dichiarato in etichetta che il vino è stato trattato con pezzi di legno. Se l’etichetta non basta Secondo l’Istat nel 2012 sono stati prodotti 39,2 milioni/hl di vino dei quali 40% Dop, e 35% Igp. Il rimanente 26% (ovvero circa 66 milioni di ettolitri) potrebbe dunque essere trattato con i trucioli; togliendo un 50% di vini bianchi, abbiamo 33 milioni di ettolitri di vino rosso nazionale che teoricamente potrebbe essere truciolizzato. Per fortuna che ci sono le etichette, quindi! Sbagliato. Attualmente infatti non è ancora possibile definire un marcatore molecolare in grado di differenziare lo pseudo invecchiamento del vino trattato con
trucioli da quello reale, quindi i produttori (più spesso gli imbottigliatori) potrebbero utilizzare questa realtà a loro tornaconto facendo passare vini truciolizzati per vini affinati in botte. E non sarà superfluo ricordare che i costi del vino “ai trucioli” sono enormemente inferiori rispetto a quelli dei vini realmente affinati in botte! Dunque, come evitare la frode? Sarebbe sufficiente etichettare il vino truciolizzato come “bevanda aromatizzata a base di vino” o “vino aromatizzato”, secondo la risoluzione legislativa del parlamento europeo del 19\02\09. Oggi però nelle cantine di vinificazione circolano trucioli di ogni specie botanica in grado di conferire diverse aromatizzazioni, molti dei quali hanno anche subito tostatura (quindi possono cedere sostanze tossiche): sono in vendita con cataloghi, istruzioni e campionature, all’insegna dell’impunità imperante. Che ci sia un nesso tra questi comportamenti truffaldini e la riduzione delle importazioni di barrique verificatasi negli ultimi anni?
Il web si impone ormai da tempo come canale di comunicazione e di promo-commercializzazione “senza barriere”. Lo sanno bene anche coloro che sfruttano illegittimamente il concetto di made in Italy, per i quali internet rappresenta il canale ideale per oltrepassare i confini legislativi (e quindi non solo territoriali) e commercializzare prodotti enogastronomici falsamente italiani. Un’indagine qualitativa realizzata dall’Istituto Nazionale di Ricerche Turistiche ha avvalorato la tesi che troppo spesso nel canale di e-commerce si individuano casi di italian sounding e, quindi, di vendita di prodotti che richiamano l’italianità per innalzarne il valore e l’appeal. L’indagine esplorativa è stata condotta dalla società Remtene tra ottobre e novembre 2013 e ha individuato tra i prodotti enogastronomici non-italiani più diffusi i formaggi: il Parmigiano Reggiano (Parmesan o Parmesão), l’Asiago, la ricotta, il Gorgonzola (Combozola in Troppo spesso nel Nord America), canale di e-commerce la mozzarella e il si individuano casi provolone (Provolone cheese). di italian sounding Disponibili onlie, quindi, di vendita di ne anche finti viprodotti che richiamano ni e liquori italiani (come il Gressecl’italianità per innalzare co che richiama il il proprio valore e appeal Prosecco), l’olio extravergine di oliva, la pasta (a marchio Miracoli), sughi e le salse, i pomodori pelati (San Marzano chiaramente contraffatti), salumi e affettati (il Parma Ham ad esempio). A livello territoriale i casi di italian sounding on-line più diffusi si registrano tra le nazioni extraeuropee, in particolare in Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, India e Stati Uniti (ma anche in Europa non si scherza affatto!), e coinvolgono ovviamente non solo i produttori ma anche i canali di e-commerce che ne favoriscono la distribuzione. Interessanti infine i dati relativi ai prezzi. In linea di massima infatti risultano in linea con quelli di mercato dei prodotti realmente italiani: un fenomeno che si allontana da quello “tradizionale” della contraffazione identificabile con un prezzo basso e che sfrutta la carenza di materie prime originali e deperibili.
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cover story
Il vino italiano dalla A alla Z di Donato Lanati
l'autore La sua passione e il desiderio di ricerca verso il mondo dell’enologia, si sono manifestate in tenera età. Da quando, a 8 anni, il padre lo portò in Monferrato, a Cuccaro, lasciandolo libero di scorrazzare in un vigneto e rimanere folgorato di fronte alla pianta dell’uva e a quei grappoli blu che gli apparvero “come piramidi capovolte”. Lì
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decise di voler diventare enologo per poter studiare quei frutti straordinari. Un “colpo di fulmine” che l’ha portato, negli anni, ad affinare le proprie conoscenze, diventare consulente di alcune tra le più importanti aziende vinicole italiane ed estere, entrare nell’Olimpo dei più grandi winemaker del mondo, e realizzare, a Fubine in Piemonte, il sogno di tutta una vita: “Enosis”, avanzatissimo centro tecnologico dedicato allo studio del vino che applica la ricerca
all’attività quotidiana. Nel mese del Vinitaly, quando i riflettori di mezzo pianeta si soffermeranno sul vino italiano, abbiamo chiesto al nostro enologo-scienziato, di recente insignito anche di prestigiose onorificenze diplomatiche internazionali, di illuminarci con le sue riflessioni su presente, passato e futuro dell’italian wine e tracciare “la via maestra” che può consentire al comparto tricolore di affrontare le sfide dell’economia globale.
Qui a fianco, Donato Lanati con il "Calice Meraviglia": il bicchiere, di sua ideazione, che grazie alla particolare conformazione, consente una degustazione ottimale di ogni tipo di vino
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cover story
il vino dalla A alla Z
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Autoctono
A mio avviso, il futuro del vino italiano sta nella valorizzazione dell’autoctono a 360 gradi. La sfida va condotta soprattutto su quei territori cui corrispondono vitigni specifici, selezionati dalla tradizione contadina e dalle conoscenze acquisite nella storia dai produttori. La nostra vera ricchezza è il territorio, perché oltre alle caratteristiche del suolo e alla topografia, rappresenta la storia, la cultura e tutto il sapere acquisito nei secoli.
La nostra vera ricchezza è il territorio, perché oltre alle caratteristiche del suolo e alla topografia, rappresenta la storia, la cultura e tutto il sapere acquisito nei secoli
B
Brand
l'idea
L’obiettivo del produttore più attento, oltre a quello di mantenere in salute il suo territorio, è esprimere il massimo dalla sua varietà e soddisfare le aspettative del consumatore. Oltre alla sicurezza e alla qualità, in qualsiasi fascia di prezzo il consumatore pretende trasparenza e tracciabilità. Sarebbe necessario dunque presentarsi
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Bollicine in fondo al mare di Silvana Delfuoco Del mare che le cullerà e proteggerà, conserveranno, certamente, il ricordo del salmastro e la spumeggiante freschezza. Sono le bollicine dello spumante di qualità Akenta di uve Vermentino – l’ultimo nato della cantina S. Maria La Palma – che a breve scenderanno a circa 30 metri di profondità, per essere adagiate sul fondale sabbioso del mare di Porto Conte, nella riserva naturalistica dirimpetto ad Alghero, e farsi “affinare”. Un’idea che la storica cantina sarda sperimenterà su circa mille bottiglie, frutto della vendemmia 2013 fatta sui vigneti di Vermentino coltivati nell’area protetta del Parco di Porto Conte, e che nasce da una convinzione: il movimento delle onde, la bassa temperatura e la mancanza di luce nei fondali delle acque del mare di Porto Conte, determineranno un affinamento delle bollicine tutto naturale. La collaborazione del Service Diving di Alghero permetterà di videosorvegliare la location e osservare la maturazione del prodotto e la sua evoluzione. In estate, il sito potrà essere oggetto di escursioni organizzate per i turisti che amano immergersi nei fondali. Che stia per nascere la priPer saperne di più: www.santamarialapalma.it ma enoteca per sub?
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sul mercato mondiale con vini contrassegnati da un Marchio di Certezza che significa: elevata qualità organolettica; precisa garanzia dell’origine; sicurezza alimentare; ecosostenibilità della filiera. Il marchio, inoltre, deve trasferire in maniera efficace conoscenza e cultura al consumatore. Oggi i mercati richiedono garanzie sulla provenienza, ma noi non siamo ancora riusciti a realizzare un sistema-Paese che consenta ai nostri prodotti enogastronomici di aver la giusta riconoscibilità a livello mondiale ed essere protetti dalle contraffazioni, visto che siamo i più copiati al mondo, con grave danno per il nostro export. In Italia abbiamo una costellazione di prodotti che dovrebbero essere comunicati come un “unicum”. Dobbiamo dunque trovare il modo di divulgare la nostra micro-territorialità, evitando, ad esempio, che un gruppo di trenta produttori si presentino come trenta concorrenti agguerriti tra di loro, ma piuttosto come trenta interpretazioni diverse di uno stesso territorio, dando così valore allo stesso.
C
Comunicazione
C’è una certa difficoltà a descrivere all’estero cosa siano il vino e la viticoltura italiana. Certo, in America il made in Italy è un apripista vantaggiosissimo, grazie al flusso di turisti americani che dall’Italia si portano a casa preziose testimonianze di “buona filosofia di vita”. Diverso il caso dei paesi emergenti. Ad esempio in Cina è diffusa una profonda “non conoscenza” delle varietà italiane, che non hanno nulla a che vedere con le varietà internazionali di stile francese. Noi non siamo un sistema varietale, cioè non vendiamo vino solo con il nome del vitigno come Chardonnay, Cabernet, Merlot. Siamo invece una moltitudine di piccole denominazioni in cui leghiamo il nome del vitigno a un territorio ben definito. I cinesi non possono apprezzare al primo impatto il nostro Barbera o il nostro Monte-
La vite più antica… ce l’abbiamo noi! di Germana Cabrelle
E
Emozioni
Il vino dev’essere soprattutto emozione. Ma le grandi emozioni hanno il difetto di finire nell’attimo in cui si provano. Con il vino però si possono ripetere. Qual è il vino che dà emozione? Quello che quando lo degusti ti afferra, ti rapisce, e in una frazione di secondo ti porta là dov’è stato prodotto, in mezzo ai suoi vigneti e alla sua gente. Tutte le persone del mondo hanno una predisposizione innata ad apprezzare l’armonia, è per questo che solitamente un prodotto piace quando le sue parti sono in equilibrio: ciò vale per l’arte, per la musica e anche per il vino.
F
Curva e rugosa, porta in sé tutti i segni della vecchiaia, con l’andamento sinuoso che sotto il peso degli anni disegna un reticolo di rami – alcuni lunghi fino a 17 metri – a formare, con fogliame e tralci, una pergola estesa per oltre 350 mq. È appoggiata a un muro di pietra, su un terreno porfirico, sorretta da pali di legno e inchinata proprio al cospetto di Castel Katzenzunge, a Prissiano, nel meranese. È la vite più grande e quasi certamente più antica del mondo. Si chiama Versoaln. Il tronco ha una circonferenza di un metro, e ha più di 350 anni. Oltre a essere considerata la più antica vite del mondo, è anche la più vasta dell’Europa centrale: una vite altrettanto antica è documentata a Maribor, in Slovenia. Insignita del
titolo di “Monumento naturale”, di lei ha iniziato a prendersi cura nel 2002 il Centro di Sperimentazione Laimburg. Il nome Versoaln potrebbe riferirsi alla posizione della coltivazione della vigna in Val Venosta: pendii ripidi su cui si doveva fermare il raccolto della vendemmia e trasportarlo per mezzo di corde (l’espressione dialettale versoaln significa, appunto, “assicurare con corde”). Il vitigno, a foglie frastagliate, è una qualità autoctona originaria del luogo fin dall’antichità. Nel 2006, i Giardini di Castel Trauttmansdorff hanno assunto la paternità di questo monumento naturale unico a circa 600 metri d’altitudine. Per saperne di più:
www.trauttmansdorff.it
LA CURIOSITà
pulciano, a meno che prima non si trasmetta loro la cultura che c’è dietro. La comunicazione deve assolutamente precedere, con la forza della “cultura”, la degustazione del vino. Del resto l’Italia ha il vantaggio di avere una ristorazione all’estero di grande successo e la cucina italiana è storicamente legata alla cultura del buon bere: in quest’ottica i ristoranti possono diventare il miglior veicolo di diffusione commerciale dei nostri vini.
Futuro
Come dovrà essere il vino del futuro? La risposta è semplice: dovrà piacere, domani, ai giovani di oggi. Facile a dirsi, ma difficile a farsi perché non è semplice immaginare come potrà evolvere il gusto. Il vino che riesce a trasmettere il fascino dell’Italia, la sua storia, la sua cultura e il suo stile di vita, è tuttavia un vino che il futuro se lo è già conquistato. I prodotti destinati ad avere successo saranno quelli diretti, immediati, che daranno emozione, qualità facilmente percepibile e identificazione con un territorio. Vini che dovranno essere caratterizzati anche da un corretto rapporto qualità-prezzo.
I produttori di uno stesso vino non devono farsi concorrenza tra loro ma piuttosto presentarsi al mercato come interpreti diversi del medesimo territorio aprile 2014
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LO SCENARIO
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il vino dalla A alla Z
L'Italia non si basa su un sistema varietale come la Francia ma è una moltitudine di piccole denominazioni che legano il nome del vitigno a un territorio ben definito. Nel mondo bisogna comunicare dunque la “cultura” che c'è dietro i nostri vini
Successo globale? Genagricola ci spiega come di Francesco Condoluci Gianfranco Bonavigo è il manager di Genagricola, holding agroalimentare del Gruppo Generali Assicurazioni, una tra le realtà imprenditoriali di spicco del nostro Paese. Attiva in diversi settori, ha nella viticoltura il suo punto di forza grazie ai numeri delle Tenute di Genagricola, società vitivinicola che raggruppa 8 importanti cantine italiane dislocate su un ampio territorio dal Friuli, al Piemonte fino al centro-sud, per una produzione complessiva annua di oltre 4 milioni di bottiglie, distribuite in più di 30 paesi nel mondo. Su quali fattori Genagricola ha basato il suo successo sui mercati mondiali? Il successo è venuto lentamente, man mano che Genagricola “imparava” a fare il delicato mestiere di agricoltore, anzi in questo caso di vignaiolo e cantiniere. Per vendere bene nel mare aperto dei mercati mondiali occorre stringere accordi con importatori seri, dotati di una struttura capace di supportare la crescita e avere collaboratori in grado di muoversi agevolmente all’estero. Uno dei nostri punti di forza è quello di aver raggiunto anche tanti Paesi considerati di secondaria importanza: sommando i relativi fatturati hanno fatto una buona massa critica. Lanati sostiene che il vino italiano deve trasmettere ai mercati “cultura e territorio” prima ancora del prodotto. È questa la caratteristica vincente rispetto ai competitor?
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Nel nostro gruppo, generazioni di tecnici e di operai hanno saputo ricavare il meglio dai territori, anzi direi da ciascun appezzamento di ogni territorio ove sono ubicate le vigne; poi gli enologi coordinati e consigliati dal dottor Lanati hanno imparato a salvaguardare nei vini le migliori caratteristiche delle uve. Questo è il bagaglio culturale, più importante ancora del capitale finanziario, che ha permesso a Genagricola di avere vini vincenti sui mercati esteri; così ritengo abbiano fatto anche i produttori italiani posizionati ai primi posti sulle riviste internazionali del settore, quelli che vendono di più. L’Italia ha circa 2 mila varietà di viti e moltissimi produttori. La “parcellizzazione” però è anche un fattore critico perchè il mercato e la distribuzione non danno spazio ai piccoli. Come si può trasformare questo elemento in una risorsa vincente? Le varietà autoctone, se sono valide, non devono andare disperse. Il loro potenziale lo esprime però il singolo territorio. Bisogna perciò dare risalto a questo elemento e caratterizzare il vino in funzione dell’espressione territoriale. I Consorzi Doc dovrebbero reimpostare i loro criteri di lavoro. Se il territorio si afferma con il proprio nome Doc, anche i piccoli produttori potranno beneficiarne, cosa per loro impossibile se si presentano come produttori di Chardonnay, di Merlot, di Refosco o di altre varietà. Per saperne di più:
www.letenutedigenagricola.it
G
Gusto
Il gusto, anche per il vino, nasce da fattori che condizionano tutti, come l’educazione, il luogo e il periodo in cui si è vissuto: dalla combinazione di queste esperienze viene fuori la capacità di apprezzare le cose che giudichiamo buone e di disdegnare quelle che consideriamo cattive. Dal momento che i gusti e i profumi si acquisiscono in modo diverso nelle differenti culture, non dobbiamo illuderci che i nostri vini possano piacere a tutti.
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Italianità
Sono state le capacità e l’inventiva degli italiani, unite al clima favorevole e a un territorio con ambienti particolarmente adatti, che hanno fatto dell’Italia un paese unico al mondo per varietà, qualità, sapori e profumi sia nel campo enologico che gastronomico. I grandi chef valorizzano i prodotti legati alle risorse dei territori e alla tradizione contadina, protagonisti della Dieta Mediterranea; anche nel mondo dell’enologia bisogna far esaltare l’italianità del prodotto.
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Mercati
Nella fascia alta c’è ancora possibilità di penetrazione, ma si è ristretto il numero delle etichette. Chi volesse affacciarsi al mercato globale, dunque, dovrebbe puntare all’eccellenza e non smettere mai di confrontarsi con i vini degli altri paesi, ponendo attenzione a qualità, numero di bottiglie e prezzi. Le istituzioni invece dovrebbero programmare politiche a lungo termine che permettano ai piccoli produttori di vendere direttamente ai privati, dal momento che difficilmente i grossi distributori si possono im-
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il vino dalla A alla Z
pegnare per marchi poco conosciuti e con limitate capacità produttive. Le ristrette dimensioni e le poche bottiglie infatti “pesano” molto sulla rete del distributore. Le piccole cantine devono migliorare l’approccio sul mercato, facendo sentire ogni cliente come “il più importante” e proponendo i propri vini come fossero gemme uniche. Gli imprenditori italiani più capaci - un esempio per tutti: Oscar Farinetti con la sua Eataly - sono diventati infatti paladini del brand italiano riuscendo a concentrare il meglio dei nostri prodotti agroalimentari in “templi commerciali” accessibili a tutti.
Origine
Il nostro veicolo più importante resta l’origine, intesa come territorio e varietà coltivata in una zona specifica. Il Sangiovese è l’esempio più eclatante, che mette in evidenza come il territorio caratterizzi il prodotto e quanto sia determinante il suo legame antropologico, sociale, economico, con le comunità. I vignaioli italiani dovrebbero fare sistema e puntare sempre di più sulla biodiversità che hanno a disposizione, perché il valore aggiunto sta proprio nella diversità.
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Qualità
Il vino di qualità non può che derivare da un territorio di qualità, oltre che da capacità e sensibilità umane. La qualità non è un valore astratto che si coglie con la sensibilità della degustazione, ma è il frutto di una combinazione ben riuscita, fatta di composti prodotti sotto il controllo del Dna della varietà. Il Dna è responsabile della specificità varietale delle molecole, dei profumi, del colore e del gusto che raggiungono livelli molto diversi, in funzione del territorio e dell’annata che insieme alla capacità e alle intuizioni del produttore portano a un livello di qualità percepibile molto differente. 40
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il modello vincente
O
Le cantine dell'azienda Giuseppe Mascarello&Figlio a Castiglion Falletto
Wine Spectator incorona il Barolo dei Mascarello di Francesco Condoluci Sesto nel mondo e primo (e unico nella top ten) tra gli italiani. Se c’era bisogno di ulteriori incoronazioni, bè, allora si può dire che il Barolo dell’azienda Mascarello è arrivato a ottenere quella più prestigiosa. La corona – l’ultima in ordine di tempo – sul capo dell’azienda vinicola di Castiglion Falletto adesso ce l’ha messa anche il Wine Spectator, la rivista americana di enologia più influente del pianeta. Il Barolo Monprivato 2008 targato Giuseppe Mascarello&Figlio, nella lista dei migliori vini del 2013 s’è piazzato molto vicino alla vetta globale, confermando, sul mercato Usa, un successo di critica che tiene botta da quasi quarant’anni, quando l’export di vino italiano nel mondo era ancora agli albori. I Mascarello, negli States, sono presenti fin dal 1973: praticamente dei pionieri tra i piccoli produttori italiani. Ma la loro è una storia che parte da fine Ottocento, e s’intreccia con la stessa storia delle Langhe, nobile terra di vigneti e vigneron illustri come la marchesa Giu-
lia Colbert Faletti di Barolo, di cui i Mascarello furono massari, e il Cavour, cui il vino Barolo deve il nome. «Il nostro segreto? Fare il Barolo come vuole la tradizione e assecondando quella che è la vocazione del territorio e il mestiere di famiglia. Tutto qui». Mauro Mascarello, quarta generazione di una stirpe ultracentenaria di vignaioli piemontesi, è un tipo schietto, diretto. Non gli piacciono i giri di parole, figuriamoci certe manipolazioni produttive buone a infinocchiare il mercato ma che tradiscono la qualità e l’unicità del prodotto. «No, grazie – aggiunge – io, il mio vino non lo faccio con la tecnologia. Lo faccio affinare nelle botti di rovere di Slavonia, come fa-
Il loro segreto? Fare il vino come vuole la tradizione, assecondando quella che è la vocazione del territorio e il mestiere di famiglia. Tutto qui
I VINI ITALIANI
Grandi opportunità NOI Territorio Suolo Vitigni "autoctoni"
ceva mio padre e, prima di lui, mio nonno e il mio bisnonno. Produco 24 mila bottiglie l’anno anche se potrei farne il doppio. Ma la qualità non si baratta con la quantità, in nome del mercato». Suo padre Giuseppe, detto Gepin (passato alla storia come uno dei “padri” del Barolo) fino agli anni ’60, per integrare la vendemmia nella tenuta Monprivato, comprava uve di Nebbiolo senza badare al prezzo. All’epoca quello di Gepin Mascarello era uno dei migliori Barolo del suo tempo: si vendeva ancora sfuso, in damigiana. È stato Mauro a cominciare a imbottigliare e puntare ancora di più sulla qualità. «E non ho mai derogato, a maggior ragione oggi che ho affidato le chiavi della mia cantina a Donato Lanati con il quale condivido appieno la rigidità rispetto ai controlli, la ricerca qualitativa e la salvaguardia delle peculiarità naturali – dice – il nostro Barolo, frutto di accurate selezioni di uve nei vigneti storici di Castiglion Falletto e Manforte d’Alba, è un vino ricercato, che si fa scegliere». È stato così anche nel caso del professore americano di musica che negli anni ’70, in viaggio di studio in Italia, scoprì il Barolo dei Mascarello e se lo portò prima in Massachussets e poi in California, aprendo all’azienda cuneese la strada a stelle e strisce. «Ma gli americani, perlomeno a livello di critici e giornalisti, non ci hanno trattato sempre bene – puntualizza Mauro – tanto che ho sempre creduto che non ne capissero molto di vini tradizionali. Quando è venuto l’ultima volta da noi il giornalista di Wine Spectator, mi sono detto: figuriamoci. E invece ci hanno messi nella top ten mondiale!». Per saperne di più:
www.mascarello1881.com
Particolarità Unicità Biodiversità
NUOVO MONDO Internazionalizzazione di varietà e non del territorio Diversi costi di produzione e distribuzione
I nuovi mercati Russia, Cina, India, Asia, etc.
Qualità esclusiva Investimenti nel trasferimento della "cultura" Sviluppo MKTG specifico Dare maggior valore ai MARCHI
Supporto istituzionale Alleanze
S
Successo
Ogni volta che produciamo un vino, dobbiamo avere la consapevolezza che il mercato è internazionale e che non è soltanto nel Nuovo Mondo che si stanno impiantando molti ettari di vigneto, ma lo si sta facendo anche in Cina, Russia, India e Giappone. Ciò vuol dire che avremo un numero sempre maggiore di concorrenti. Per avere un ruolo importante sul mercato dunque, i nostri produttori devono esprimere una loro qualità esclusiva e riconoscibile, che non piaccia solo a loro ma che piaccia al mondo intero. In questo senso, occorre dare un profilo sensoriale, che incontri l’apprezzamento internazionale, anche ai vitigni autoctoni.
T
I veicoli: la moda la cucina i ristoranti italiani gli italiani all'estero
Territorio
Il territorio è il nostro vero punto di forza. È la ricchezza più importante, e non esportabile, che abbiamo. Per come è fatta la nostra viticoltura, non possiamo fare economia di scala nel “sistema varietale”. Piuttosto, la nostra forza sta nei vitigni tradizionali, che hanno accompagnato le civiltà contadine lungo la nostra storia in tutta la penisola e sono stati oggetto di una vera selezione storico-sociale.
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Unicità
In ogni regione italiana troviamo coltivazioni di vitigni autoctoni, così come ci sono areali dalle caratteristiche uniche al mondo. Come aprile 2014
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il vino dalla A alla Z In ogni regione italiana troviamo coltivazioni di vitigni autoctoni
Pantelleria, dall’origine tutta vulcanica, che regala un Passito dall’inimitabile aroma di fico secco e albicocca, ottenuto da regali grappoli di Zibbo. O l’Etna, con tutta l’energia del suo Nerello Mascalese. Non si possono poi dimenticare il Friuli con i suoi eccellenti bianchi e l’Alto Adige con i suoi grandi Pinot Nero, esaltati dalle escursioni termiche del luogo. Queste varietà nel tempo si sono integrate con le civiltà contadine, e gli agricoltori hanno poi capito che proprio dalla biodiversità legata al territorio si può ottenere una qualità non riproducibile in nessun’altra parte del mondo. Prendiamo il caso del Nebbiolo: coltivato anche in California, solo nelle Langhe raggiunge quella massima espressione che lo fa diventare Barolo.
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Varietà
Nebbiolo e Barbera in Piemonte e Lombardia, Lambrusco in Emilia, Prosecco in Veneto, Sangiovese e Trebbiano in Toscana, Montepulciano, Pecorino e Passerina in Abruzzo, Aglianico in Basilicata, Primitivo e Negroamaro in Puglia, Gaglioppo in Calabria, Nero d’Avola, Nerello Cappuccio e Nerello Mascalese in Sicilia, Vermentino in Sardegna. Da questi vitigni si producono vini che portano con sé qualità esclusiva e unicità perché sono il prodotto di cultura e di storia millenaria. Produttori di vino ed enologi italiani hanno a disposizione il più ampio ventaglio di varietà di viti al mondo (circa 2000); i nostri vitigni però non sono ubiquitari come le varietà francesi. La scuola francese ha imposto a livello internazionale varietà come Merlot, Cabernet Sauvignon, Syrah, Chardonnay che sono state geneticamente migliorate tanto da dare buoni prodotti in tutto il mondo viticolo. Al contrario, il vantaggio italiano sta proprio nella non-riproducibilità, perché in nessun’altra parte del mondo le varietà italiane raggiungono il livello di qualità che si riesce a ottenere da noi, grazie alla particolare e irripetibile sinergia che si instaura tra vitigno e territorio. 42
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che, associati ad areali dalle caratteristiche irripetibili, danno vita a prodotti unici. Prendiamo il caso del Nebbiolo: è coltivato in molte parti del mondo, anche in California, ma solo nelle Langhe raggiunge quella massima espressione che lo fa diventare Barolo
Donato Lanati in Georgia, Paese che nel 2009 gli ha conferito la cittadinanza e dove nel gennaio scorso, per i suoi meriti accademici e scientifici, è stato nominato console onorario
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vino&turismo
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Il "caso" Tenuta Carretta di Piero Caltrin Il vino come “elemento attrattivo” per il territorio. È l’idea fondante dell’enoturismo, una tendenza di viaggio che, in Italia, fa muovere ogni anno circa 6 milioni di turisti. Cantine e vigneti che diventano destinazioni must, capaci di affascinare e regalare una vacanza “diversa dal solito”. L’offerta è ampia e variegata. Anche perché le aziende vitivinicole si sono attrezzate per proporre accoglienza e servizi. Tra le case studies, nel settore, c’è sicuramente quella della Tenuta Carretta di Piobesi d’Alba, una tra le più estese realtà produttive del Roero e delle Langhe, con i suoi 70 ettari. «Quando, nel 1985, la mia famiglia ha rilevato la tenuta, volevamo riportarla agli antichi splendori, producendo vino ma anche offrendo agli appassionati la possibilità di soggiornare e vivere dal vivo l’attività vitivinicola – spiega orgoglioso Franco aprile 2014
Miroglio – Oggi la tenuta è composta da una cantina, un albergo e un ristorante. L’unità principale è rappresentata da un complesso di circa 35 ettari che forma una sorta di teatro naturale attorno all’edificio in cui è situata la cantina. Si tratta di vigneti di media collina. Sotto la guida del direttore Roberto Giacone e del dottor Donato Lanati, produciamo circa 480 mila bottiglie di Barolo, Barbaresco, Favorita, Moscato e Dolcetto. Alle suite dell’albergo abbiamo dato i nomi dei nostri vini, mentre il ristorante offre una cucina che esalta la tradizione gastronomica piemontese. I tartufi bianchi e neri, in primis, che in ogni periodo dell’anno si raccolgono nei boschi adiacenti a Tenuta Carretta». Per saperne di più:
www.tenutacarretta.it
Zibibbo
Questo vitigno ha una storia particolare, è l’esempio emblematico di una tradizione che vince perché tramandata e rinnovata nel tempo. L’uva di Pantelleria – ovvero il Moscato d’Alessandria (d’Egitto), chiamata Zibibbo da Cap Zebib in Tunisia, o dall’arabo zabib che significa frutta secca – veniva coltivata per essere venduta come uva da tavola. Quella che non poteva essere immessa sul mercato, perché i grappoli non erano perfetti, veniva pigiata e messa a fermentare per farne un vino. I grappoli migliori ma invenduti, venivano fatti appassire al sole sui muretti di pietra lavica tipici dell’isola per farne uva passa, un’importante fonte di reddito. Alla successiva primavera, quando iniziava il caldo, l’uva passa tendeva a sciuparsi perché a temperature mediamente alte si formano cristalli di zucchero che lacerano la buccia rendendo il prodotto non commerciabile. Questi “scarti” non venivano comunque buttati via ma messi “a bagno” nel vino per alcune settimane. Il tutto veniva poi sottoposto a una leggera pressatura, e qui succedeva il miracolo: l’uva passa, assorbendo al suo interno il vino e dissolvendo tutti i suoi profumi concentrati, conferiva al vino una straordinaria dolcezza e profumi esclusivi di fico secco e di albicocca, caratteristiche che rendono questo Passito il più importante e ricco di storia mediterranea.
La scuola francese ha imposto a livello internazionale varietà come Merlot, Cabernet Sauvignon, Syrah, Chardonnay, geneticamente migliorate per dare buoni prodotti in tutto il mondo. Al contrario, il vantaggio italiano sta proprio nel fatto che i nostri vitigni tradizionali non sono ubiquitari
storiedall'italiachemerita
Professione: preparatori d'uva Si sono inventati un mestiere e portano alta la bandiera italiana nel mondo diffondendo le loro competenze uniche. Sono maestri nella potatura delle vigne e ci raccontano la loro storia di Piero Caltrin 46
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I “preparatori d’uva” rappresentano un caso emblematico di quanto la genialità italiana del saper fare possa aiutarci ad andare lontano. Di cosa si occupano? Di potatura della vite. Si tratta di un gruppo tecnici specializzati riuniti in una società fondata dai friulani Marco Simonit e Pierpaolo Sirch. Si sono inventati una nuova, richiestissima, professionalità – tanto da aver depositato il marchio Preparatori d’uva – e oggi sono l’unico gruppo accreditato in Europa nel settore della formazione degli addetti alla potatura dei vigneti, tant’è che oltre 130 aziende italiane e straniere si sono
affidate a loro per preparare le proprie squadre di potatori. «Dato che non esistono rimedi veramente efficaci per contrastare le malattie del legno, bisogna cambiare ottica, puntando sulla prevenzione – ci spiega Denis Dubourdieu, docente di Enologia e direttore dell’ISVV Istitut des Sciences de la vigne et du vin dell’Università di Bordeaux – E la prevenzione comincia proprio da una corretta potatura che rende le viti meno vulnerabili (dato che avranno una struttura legnosa più integra ed efficiente, ndr) e dalla formazione del personale, a cui vanno insegnate le giuste tecniche di taglio».
Impara l’arte È stato proprio il professor Dubourdieu ad aver un ruolo fondamentale nel percorso dei due agronomi in Francia, perché, ci racconta Simonit, «è stato lui il primo a volerci come docenti per il Corso di viticoltura del Diploma Nazionale di enologia di Bordeaux. Abbiamo anche sottoscritto una convenzione per la ricerca e la sperimentazione con l’Institut National de la Recherche Agronomique e stiamo lavorando nei loro vigneti, facendo formazione ai loro dipendenti». Simonit&Sirch ora lavorano in Francia − da notissimi chateaux di Bordeaux, nello Champagne (Louis Roederer, con i vigneti di Cristal), in Provenza − oltre che in Germania,
Il nuovo rinascimento viticolo sarà tale quando la vigna tornerà la vera e insostituibile “madre” del vino, sostiene Marco Simonit Austria, Portogallo. Sei anni fa, Marco e Pierpaolo hanno anche fondato la Scuola Italiana di Potatura della Vite, con 12 sedi nelle principali zone viticole italiane (Trentino, Sicilia, Valpolicella, Chianti…), dove hanno come partner Università e istituti ricerca. Ai corsi partecipano addetti ai lavori, studenti, appassionati del verde, che in 4 giorni apprendono i rudimenti del Metodo S&S. «Sono convinto che il vigneto Italia abbia ancora tante potenzialità da esprimere, che possono far compiere ai nostri vini un nuovo balzo in avanti sia nella qualità che nella personalità – dice Simonit – Un vino, per emergere oggi, deve affermarsi per la sua forte identità, attraverso un rapporto esemplare tra il vigneto e il terroir da cui proviene e che lo rende inimitabile. Bisogna quindi che il viticoltore collochi al centro del suo progetto le vigne e il lavoro in campagna, che garantiscono il plus necessario perché un vino possa distinguersi». «Il nuovo rinascimento viticolo sarà tale quando la vigna tornerà la vera e insostituibile “madre” del vino», conclude Marco Simonit. E lui, questo rinascimento, lo ha già avviato.
Il Metodo Simonit&Sirch Noti per i loro studi e sperimentazioni atti a innovare tecniche di potatura abbandonate dall'attuale viticoltura alla luce delle più moderne conoscenze, i due agronomi friulani hanno messo a punto un Metodo di potatura ramificata in grado di ridurre l’impatto devastante che hanno i tagli sul sistema linfatico della pianta. «Il Metodo Simonit&Sirch – ci spiegano – può essere adattato a tutte le forme di allevamento della vite, perché le regole di un taglio corretto sono indipendenti dal sistema di allevamento. Quattro i punti fondamentali: permettere alla pianta di crescere con l’età, occupando spazio col fusto e con i rami; garantire la continuità del flusso linfatico; eseguire tagli, poco invasivi e di piccole dimensioni, sul legno giovane; utilizzare la tecnica “del legno di rispetto” per allontanare il disseccamento dal flusso principale della linfa».
Nella pagina precedente, una lezione pratica di potatura e qui un dettaglio dell'operazione
Guyot: manuale di potatura Di recente pubblicazione, il volume è dedicato a una tra le forme di allevamento della vite più diffuse. Strumento pratico rivolto sia ai professionisti che ai semplici appassionati, il manuale è unico nel suo genere, affiancando tavole a colori che rendono omaggio agli antichi testi ottocenteschi, a moderni contenuti multimediali scaricabili con smartphone o tablet. Ed. L’Informatore Agrario 324 pg 45 euro
Per saperne di più:
www.preparatoriuva.it
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Ilpersonaggio
Nicodemo Librandi
Due milioni e mezzo di bottiglie all’anno, con un export che supera il 50%, le Cantine Librandi sono protagoniste assolute e pioniere della nuova enologia calabrese. Nata settant’anni fa, con impegno e passione, e la pazienza e la tenacia di chi lavora in vigna, l’azienda è portatrice di un legame secolare con i vigneti e il vino. Viticoltori da quattro generazioni, i Librandi (Nicodemo è stato sempre affiancato dal fratello Antonio, scomparso nel 2012) rimangono fedeli al principio ispiratore dei loro antenati: solo l’amore e la dedizione alla propria terra e alle sue radici possono regalare grandi vini. Scavata nel cuore di una delle dolci colline cirotane, la cantina Librandi occupa un’area coperta di 7.200 mq, accoglie le uve provenienti da 230 ettari di vigneti di proprietà che si estendono in parte sul territorio del Cirò classico, il cosiddetto “Feudo”, in parte nel comune di Strongoli e in agro di Rocca di Neto e Casabona. Lui, Nicodemo, ha saputo rinnovare una viticoltura antica e ricca di tradizioni ma restia ai cambiamenti testimoniando come il futuro del vigneto-Calabria risieda nella capacità di coniugare con equilibrio tradizione e innovazione.
Il padre nobile del vino calabrese di Gianfranco Manfredi
Viticoltore dell’Anno per la Guida ai Vini d’Italia 2013 del Gambero Rosso, Ambasciatore emerito delle Città del Vino, è per tutti “il professore”, per via della sua laurea in matematica. Capitano coraggioso dell’imprenditoria del Sud, ha reso la sua azienda leader nel panorama vinicolo meridionale. Tanto da essere chiamato a presiedere Euvite, il consorzio che raccoglie le migliori aziende vitivinicole della Calabria 48
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La sua azienda ha percorso e percorre anche strade molto innovative: tecniche e ricerche d’avanguardia per riscoprire secolari vitigni perduti. L’uva tradizionale del Cirò, il Gaglioppo, rimane però un punto fermo. Pensa che questo vitigno si possa ancora esprimere al meglio? È dal 1993 che siamo impegnati con notevoli risorse umane ed economiche al recupero, allo studio e alla valorizzazione di tutto il patrimonio vitivinicolo della Calabria. L’attenzione maggiore, naturalmente, l’abbiamo rivolta al Gaglioppo, il vitigno più importante della nostra zona. In collaborazione con i più qualificati centri di ricerca nazionali come il Cnr di Torino e l’Enosis del professor Donato Lanati, sono stati selezionati 4 cloni in fase di iscrizione al registro nazionale della vite di assoluto valore qualitativo. E abbiamo
in corso lo studio di un clone di Gaglioppo a confronto con 21 portainnesti differenti. I risultati ottenuti hanno superato ogni più rosea aspettativa. Secondo lei, quindi, il futuro dell’enologia calabrese va trovato nei suoi vitigni più antichi? La Calabria è una terra che sin dall’antichità è sempre stata particolarmente vocata per la viticoltura, non per nulla era chiamata “Enotria” o terra di Dioniso. Qui, in questa regione, si ottengono grandi vini sia da vitigni alloctoni che autoctoni. Sicuramente, per competere con l’attuale mercato globale, dobbiamo concentrare l’attenzione sui nostri vitigni che sono tanti, e atti a dare vini originali unici e tipici, in grado di destare curiosità e attenzione fra i consumatori moderni dal gusto non omologato. Cosa rappresentano per lei il territorio e le tradizioni, quello che i francesi chiamano il “terroir”? Il consumo del vino non è più un’esigenza alimentare, ma un fenomeno culturale, pertanto ci vuole sì la qualità organolettica e gustativa nel vino, ma è importante e fondamentale l’origine, il luogo in cui viene prodotto inteso non solo in senso geografico, ma più in generale con le sue tradizioni, la sua storia, i suoi saperi, il suo clima e la conformazione paesaggistica che è il vero valore aggiunto del prodotto vino. Tutto questo lo considero il vettore essenziale della conoscenza di un vino perché riesce a trasformare le emozioni e gli stati d’animo che esso suscita in una migliore qualità percepita.
Ci vuole sì la qualità nel vino, ma fondamentale è anche il luogo in cui viene prodotto inteso non solo in senso geografico, ma con le sue tradizioni, la storia, il clima... fattori che rappresentano un vero valore aggiunto del prodotto
difeso da tutte le contrapposizioni in atto, a tutti i livelli. Pesa, e quanto, operare nel Sud e in Calabria in particolare? Direi che dappertutto gli imprenditori hanno vantaggi e svantaggi legati all’ambiente in cui operano. Certo a Sud non è facile, siamo sicuramente condizionati dai tanti luoghi comuni riguardanti la nostra regione e non voglio nemmeno elencarli. Siccome non riesco a contrastare e vincere da solo le negatività, preferisco guardare ai lati positivi che questa terra mi regala. Il clima, il mare, la montagna, il territorio, i tanti collaboratori operosi che mi consentono di produrre a costi competitivi prodotti unici ed eccezionali, che porto, con orgoglio calabrese, sui mercati nazionali ed esteri. In apertura: Nicodemo Librandi. Qui, gli ambienti della cantina di famiglia
Le Cantine Librandi sono, a pieno titolo, nella compagine più rappresentativa del made in Italy. Che prospettive vede per il futuro? Il made in Italy è un valore, lo considero un fattore distributivo d’eccellenza che va aprile 2014
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consumi&tendenze
Paese che vai aperitivo Xxx xxxxxx che trovi di Germana Cabrelle
diGermana Cabrelle
Un viaggio lungo una tradizione nata nell'antica Roma e diventata appuntamento quotidiano e fenomeno sociale. Dal Vermouth torinese al veneziano Spritz, fra tante varianti cromatiche e di gusto. Al Sud invece va forte la birra e trova sempre spazio... un buon caffè!
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Anche se, a sentir gli storici, pare abbia avuto i natali a Roma – per opera dell’antico cuciniere imperiale Apicio che inventandosi d’aggiungere miele e pepe al vino prima di servirlo a inizio pasto, ne ricavò una dissetante bevanda ribattezzata mulsum – l’aperitivo, si sa, viene tradizionalmente associato alla città di Torino, dove alla fine del 1700 l’intuizione di quel geniaccio di Antonio Benedetto Carpano, un po’ agronomo un po’ alchimista, fece venire alla luce il Vermouth, o Vermut che dir si voglia, considerato il padre naturale di tutti gli “ape” moderni e il cui nome non per niente deriva dal termine tedesco wermut che sta a indicare per l’appunto l’assenzio romano. Trenta tipi di erbe e spezie lasciate macerare in vino bianco per un aperitivo che si diffuse nei principali caffè italiani con il marchio Cinzano e Martini&Rossi, tanto che per un certo periodo, dire “Martini” equivaleva a dire aperitivo. Sempre a Torino, fu nientemeno che Vittorio Emanuele II ad apprezzare il Vermouth per quel punt e mes (in torinese “punto e mezzo”) di amaro che aveva in più rispetto ai suoi simili, tant’è che divenne l’aperitivo di corte; così amato che la Casa Reale concesse l’autorizzazione a usare la formula “Bianco Gancia, Vermouth dell’Aristocrazia e della Regalità”.
Quella punta di amaro… Intanto, nella vicina Milano, nel 1815 fu il signor Ramazzotti a ideare il primo aperitivo a base non vinosa, ponendo in infusione nell’alcol 33 fra erbe e radici provenienti da tutto il mondo: china sudamericana, rabarbaro cinese, arancia amara di Curaçao, arancia dolce di Sicilia, genziana della Val d’Aosta. Circa cinquant’anni dopo, nel 1862, Gaspare Campari, titolare di un caffè, lanciò invece un nuovo prodotto amaro e – per distinguerlo dal Vermouth – lo chiamò con un altro nome d’origine tedesca: Bitter (amaro, appunto) dando vita a un fenomeno sociale che si diffuse nel resto dell’Italia, passando dai grandi caffè storici di Genova e Firenze, dove per altro fu inventato anche il Negroni. È però a Venezia che nasce quello che può essere considerato l’aperitivo più famoso d’Italia, lo Spritz: vino bianco fermo (40%) diluito con acqua minerale frizzante o seltz (30%) e il colore rosso o granata conferito da Aperol, Bitter o Cynar (30%). In tutto il Veneto è conosciuto nelle diverse
Conosciuto in tutto il Veneto nelle diverse accezioni dialettali locali come Spriss o Sprisseto, è però nato a Venezia lo Spritz, quel mix di vino bianco, seltz e Aperol tanto piacevole da farne l'aperitivo più amato d'Italia
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Non è un paese per “ape”
accezioni dialettali locali come Spriss o con il vezzeggiativo di Sprisseto: tutte onomatopee mutuate ancora una volta dal tedesco spritzen, che vuol dire per l’appunto “schizzo, spruzzo”. Il bicchiere per servirlo può spaziare dal tipico goto da ombra veneto ai sempre più utilizzati baloon da degustazione, decorati con una fettina d’arancia. Ma lo Spritz è “cugino” di un altro storico aperitivo veneziano, il Bellini, ideato all’Harry’s Bar da Arrigo Cipriani. Anche qui la base è il Prosecco, con aggiunta di polpa di pesca, rigorosamente bianca. Altrettanto profumati e ispirati a pittori famosi le declinazione di questo long drink sono il Rossini (con riduzione di fragole al posto della pesca), il Mimosa (con spremuta d’arancia fresca) e il Tintoretto (con succo di melograno).
Variazioni sul tema Varianti e “licenze” di aperitivi ne sono nate un po’ ovunque in Italia. In Liguria per esempio il basilico per il pesto ha soppiantato la menta nel Mojito facendolo diventare Basiliquito. A Bassano del Grappa è stato invece ideato l’aperitivo Mezzoemezzo. Affettuosamente chiamato il mezo dai residenti, è un mix dei liquori della distilleria locale: il Rabarbaro e il Rosso Nardini. Ha aspetto bruno scuro e il profilo aromatico sprigiona note vegetali identificative delle spezie e degli agrumi di questi liquori. Il Mezzoemezzo è consuetudine sorseggiarlo seduti nell’antica saletta vista Brenta della Grapperia dei Nardini, attiva dal 1779 e nel novero dei Locali Storici d'Italia, o ancor meglio all’esterno del locale, proprio sul transito del ponte.
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Lo conosci Hugo? Dal Veneto, sconfinando nelle vicine regioni, la contaminazione dell’aperitivo è stata naturale. In Friuli, specialmente in provincia di Pordenone, è stato campanilisticamente ribattezzato Furlan (degno di segnalazione quello del Weest di Pordenone) mentre in Alto Adige, rispettosi nel riconoscerne la paternità veneta, è sintetizzato col nome di Veneziano. E a proposito di nomi, la variante altoatesina dello Spritz “in bianco” si chiama Hugo, aperitivo che mantiene come base il Prosecco e l’acqua minerale ma prevede, in alternativa al liquore, il meno alcolico e più dolce sciroppo di sambuco, con aggiunta di foglioline di menta e lime. Fresco e leggero, l’aperitivo Hugo in Alto Adige lo si trova ovunque, soprattutto in Alta Badia e i migliori si bevono a Corvara: al Toccami e all’Iceberg Lounge Bar.
Sabaudo, dunque, per origini, milanese d’adozione, ma con licenza di viaggiare per lavoro in tutto il Nord-Est con trasferte fino al Centro Italia, l’aperitivo al Sud, invece, non è mai riuscito a mettere su bottega. Qualcuno sostiene perché, al di sotto della Capitale, si mangia a tutte le ore e, pertanto, il momento dell’aperitivo non ha proprio ragion d’essere. Se vi trovate in Calabria, Basilicata, Sicilia ma anche Sardegna, scordatevi dunque di sedervi a un tavolo e ordinare uno Spritz, e men che meno optare per un’apericena. Il cameriere vi guarderà in malo modo. Al massimo, potranno servirvi “l’aperitivo della casa”, una bevanda leggermente alcolica a base di frutta (agrumi, in magna pars) che ogni bar e locale non manca di prepararsi da sé, mettendoci dentro tutto il proprio estro. In alternativa ai vini – tranne che nella parte più a nord della Sardegna dove, all’ora dell’ape, il Vermentino è di rigore – vanno per la maggiore i classici Bitter, Campari e Crodino, la gettonatissima birra, in rari casi anche il Prosecco. Negli ultimi anni tuttavia, l’aperitivo, vestito da happy hour “alla milanese”, ha provato a “esportarsi” anche in Meridione. Ottenendo, ad esempio, a Palermo, anche un certo successo, in abbinamento al classico street food siculo – panelle, arancinette, focaccina schiette o maritate… – oppure in Puglia, in particolare nelle località di mare battute da villeggianti forestieri. E a Napoli? Quello dell’aperitivo è un appuntamento di rigore esclusivamente per i più giovani: gli adulti, infatti, solitamente lo snobbano, preferendo all’analcolico o al cocktail come partner dei classici stuzzichini, un buon caffè.
i viaggi del gusto di...
di Germana Cabrelle
Oliviero Toscani:
“il mio nuovo obiettivo” Cinque domande al maestro della comunicazione creativa, che dalla macchina fotografica è passato alla gestione di una tenuta in Toscana. Fra vigneti scoscesi e quattromila ulivi
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Obiettivo campagna. Non quella pubblicitaria, beninteso. Di quelle ne ha firmate tante e hanno sempre sollevato dibattito. No, stavolta la campagna è quella vera e verace delle ondulate colline pisane che guardano al mare. È proprio qui, a Casale Marittimo, splendido borgo adagiato fra Montescudaio e Bolgheri, che Oliviero Toscani, fotografo di fama mondiale, ha dato vita – già nel 1970 – all’azienda agricola OT, il cui logo sono le iniziali del suo nome e cognome. Qui, tra I vigneti scoscesi, alleva cavalli Quarter Horse (vincitori tra l’altro, di gare internazionali), vacche Angus selezionate, maiali di Cinta Senese e produce foraggi nell’assoluto rispetto della natura. Un paradiso terrestre con circa 4000 ulivi che forniscono olio extra vergine purissimo, composto da olive di Leccino, Moraiolo, Frantoio, Pendolino e Maurino, concimate organicamente, brucate a mano e macinate lo stesso giorno di raccolta. E su consiglio dell’amico Angelo Gaja, nel 2003 col marchio OT è nato Oliviero Toscani, un bland composto da Shirah (50%), Cabernet Franc (35%), Petit Verdot (15%) e nel 2011 c’è stato il battesimo di QuadratoRosso, un blend compost da Sirah (60%) Teroldego (20%) Cabernet Franc e Petit Verdot. Il tutto curato dall’enologo Attiglio Pagli e dall’agronomo Federico Curtaz. Con etichette, manco a dirlo, colorate ed essenziali, in puro stile Toscani. Fotocamera alla mano, partendo per un viaggio del gusto, dove andrebbe? A casa mia, qui in Toscana, dove c’è il cielo negli occhi e il paradiso in bocca.
Il mio piatto preferito? Difficile indicarne uno: è come per il colore, non ho un colore preferito. Dipende dal momento, dal luogo, dall’umore, dalla situazione. Dal cuore e dall’anima
In Toscana lei gestisce una tenuta agricola dove produce olio e vino. Che ricordi ha legati a questi due elementi essenziali della buona tavola? Viscerali. L’olio è il sangue e il vino il cibo per il nostro corpo. Qual è il suo piatto preferito? Difficile indicarne uno: è come per il colore, non ho un colore preferito, dipende dal momento, dal luogo, dall’umore, dalla situazione. Dal cuore e dall’anima. A conclusione di un pranzo o una cena cosa non deve mai mancare? Non solamente a conclusione ma anche all’inizio, ci deve essere la giusta e buona compagnia. Condizione essenziale per rendere tutto piacevole.
In apertura, Oliviero Toscani con le bottiglie a marchio OT; qui i vigneti della sua tenuta e la famiglia al completo
Lei ha firmato con le sue immagini molte campagne di sensibilizzazione, non ultima quella contro il bullismo per la provincia di Bolzano fotografando a confronto due elementi vegetali: una banana e un pisello. Ritiene che il food in generale, possa veicolare messaggi positivi, scuotere gli animi, suscitare emozioni? Certamente. Il cibo, il rito del mangiare è una cerimonia importante ed essenziale, è un’azione vitale per ogni essere umano, dove ognuno si riconosce, ma non è così per tutti. Mentre noi che apparteniamo alle cosidette società civili ci permettiamo di sprecare e sciupare una grande quantità di cibo, ci sono purtroppo ancora tante persone che soffrono la fame. E finché sarà così non potremo considerarci umanamente civili. Una buona campagna di sensibilizzazione dovrebbe partire dal cibo per parlare proprio di questo. Del cibo in eccedenza e di quello che manca.
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“Cosa può fare di più la natura?”D.W. Freshfield
Azienda per il Turismo Madonna di Campiglio Pinzolo Val Rendena: C. Baroni - Archivio Bisti - Parco Naturale Adamello Brenta: F. Lorenzini, M. Zeni
Alpi Italiane Dolomiti di Brenta | Adamello Presanella
Passaggio a: Madonna di Campiglio | Pinzolo | Val Rendena 1864 - 2014: 150 anni di alpinismo britannico sulle montagne del Trentino. Segui le tracce dei pionieri vittoriani e scrivi il diario del tuo viaggio tra Dolomiti di Brenta e Adamello-Presanella. www.campigliodolomiti.it
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58 Tra i vigneti del Papa
Sapevate che gli avi di Jorge Bergoglio coltivano il Grignolino nell'Astigiano?
62 Dove nasce l'Amarone Viaggio in Valpolicella, culla del vino rosso amato da Dante e Hemingway
da pag. 66 Rubriche
• Week-end cultura, Selinunte • Idee gratis • Week-end relax, Acicastello • Viaggi per tutte le tasche
68 La terra del Sangiovese Val d'Orcia, un pezzo di paradiso che nel vino ha trovato il suo "elisir di lunga vita" aprile 2014
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Tra le vigne del Papa
Portacomaro
Piemonte
di Riccardo Lagorio
Era stato appena nominato cardinale da Giovanni Paolo II, quando nel 2001 Jorge Bergoglio fece visita alle terre che avevano visto nascere i suoi avi. Lì, a Portacomaro, nell’Astigiano, affondano le radici della sua famiglia, intrecciate a quelle delle viti di Grignolino, un rosso che per affabilità e generosità tanto ricorda il nuovo, amatissimo, pontefice
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È salito al soglio di Pietro da poco più di un anno, ma la sua affabilità e informalità, la vicinanza al popolo lo hanno già eletto tra i personaggi più amati. Come tutti sanno papa Francesco è il primo vescovo di Roma che è nato in America latina, ma le sue origini sono astigiane. Più precisamente la famiglia Bergoglio ha da sempre abitato a Bricco Marmorito, che appartiene al Comune capoluogo, ma ha gravitato per le faccende quotidiane sul vicino Comune di Portacomaro.Anche l’acquedotto partiva da Portacomaro per raggiungere il cosiddetto Bricco Bergoglio, poiché la toponomastica ufficiale nel frattempo, come usuale nelle campagne, aveva lasciato il posto al nome dei conduttori
degli appezzamenti. In verità gli atti di battesimo del nonno di Jorge Bergoglio sono nella canonica di Portacomaro. Inoltre Valter Pierini, l’attuale sindaco, con la giusta dose d’orgoglio, dice che i Bergoglio frequentavano scuola e negozi di Portacomaro. In questi luoghi è facile dimenticare a casa l’orologio (il campanile mostra l’ora ed è visibile sui quattro lati da tutto il paese) e le chiavi di casa poiché nessuno oserebbe mai entrarvi senza il permesso del proprietario. «Un Eden
Una sorridente immagine di Papa Francesco. Sotto, un vigneto di Grignolino a Portacomaro
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inviaggio
re a un’udienza particolare, portò da Bricco Marmorito delle nocciole come simbolico omaggio della terra d’origine.
In buone mani
Gli esterni della “Cascina Francisco” a Bricco Marmorito di Portacomaro Stazione (At)
Con le giuste cure… Grignolino da gragnole, i vinaccioli, di cui gli acini sono particolarmente ricchi. Uva testabalorda, che deve maturare ben bene sul tralcio per evitare che i tannini siano troppo invadenti e irruenti, ma che può subire l’onta di possibili piogge che originano inevitabili marciumi alla buccia degli acini. Uva che però si concede a dare grandi vini se ha cure, che svelano infine un bouquet controllato e armonico, ideale per i piatti astigiani e monferrini: salumi, agnolotti, bolliti, formaggi caprini. 60
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in cui talvolta ci dimentichiamo anche il portafoglio dato che ci conosciamo tutti e ci si fa credito come un tempo», afferma Pierini. In piazza Marconi ci indica ed è ben visibile la casa che fu dei Bergoglio. Oggi una porzione dell’immobile è abitata da Giuseppe Quattrocchio e dalla sua famiglia. Jorge Bergoglio non ha mai dimenticato l’origine dei suoi avi e quando, nel 2001, nominato cardinale in Roma da Giovanni Paolo II, andò a far visita ai parenti rimasti a Portacomaro, si portò a Buenos Aires un sacchetto di quella terra. Qualcuno dice anche qualche bottiglia di Grignolino, che papa Francesco apprezzerebbe particolarmente. Conoscendo la sensibilità di papa Francesco, Quattrocchio nello scorso settembre, invitato a partecipa-
Nel 2001 Delmo Bergoglio, oggi 77 anni, cugino di terzo grado dell’attuale pontefice, conduceva ancora la vigna di Grignolino che prima di lui avevano lavorato gli avi comuni. «Sino al 2007 abbiamo raccolto uva da quella vigna e l’abbiamo trasformata in vino. Erano 10 giornate piemontesi di terreno (una giornata equivale a circa un quadrato di 62 metri di lato, ndr). Poi abbiamo subito un attacco di flavescenza dorata e abbiamo dovuto, a malincuore, estirparla. E oggi l’età non mi consentirebbe più di coltivare la vigna», rilascia telefonicamente. Eppure qui esistono diversi cru e poggi che hanno reso celebre il Grignolino. Migliandolo, ad esempio. Margherita di Savoia ne apprezzava la bevibilità. Poi Serra, Miravalle, La Lepre, Novellone. Tanto che sui declivi di Portacomaro ogni tentativo di denominare il Grignolino è di fatto errato se non si procedesse a determinarlo infine per podere, foglio, mappale. La vite del Grignolino dà qui uve altrove mai viste; le uve vini anarchici e individualisti, rustici e sapidi. Purtroppo però, come è accaduto alle vigne dei Bergoglio, anche altre famiglie ne hanno abbandonato la coltivazione. Un vero peccato perché dagli anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta l’avvocato Paolo Biggio da queste terre tirava fuori un
Jorge Bergoglio non ha mai dimenticato l’origine dei suoi avi e quando, nel 2001, andò a far visita ai parenti rimasti a Portacomaro, si portò a Buenos Aires un sacchetto di quella terra e qualche bottiglia di Grignolino
vino di straordinaria fattura. Per salvare questo che è (o era) uno dei vini più rappresentativi di tutto il Piemonte è venuta in soccorso l’Amministrazione comunale. «Nel 2012 abbiamo ripulito un gerbido accanto alla Casa di riposo piantando barbatelle di Grignolino. Le curano proprio quei contadini che, ora ottuagenari e ospiti della Casa, producevano vini che avrebbero meritato essere denominati con cru», ci rivela il sindaco. Sensibilità che un tempo non era purtroppo molto diffusa, aggiungiamo noi, e che oggi fa onore all’amministratore. Il primo grappolo d’uva dall’appezzamento di 3mila metri quadrati verrà spremuto nel 2015.
A destra, Jorge Bergoglio (il secondo da sinistra) assieme ad alcuni membri della sua famiglia in uno scatto degli anni '60; sotto (terzo da sinistra) in visita alla Cascina di Bricco Marmorito negli anni '80
Proprio come un vecchio amico Tra i produttori che vale la pena conoscere per l’applicazione riservata al loro Grignolino e gli ottimi risultati ottenuti, i fratelli Rovero e l’Azienda Agricola La Colombina di Piercarlo Beccaris, entrambe in Asti. Nel Monferrato tra i migliori produttori di Grignolino il Castello di Gabiano dei Marchesi Cattaneo Adorno con il loro Ruvo e Guglielmo Accatino a Mombello Monferrato. Ma a chi ama questo vitigno e volesse divertirsi con ripetuti assaggi di Grignolino la strada porta ancora a Portacomaro, nell’antico torrione del ricetto trecentesco, dove la Bottega del Grignolino raccoglie oltre cento etichette di Grignolino in commercio. Rossi chiari, trasparenti quasi alla nascita, asciutti e saldi; grintosi ancora dopo quattro o cinque anni, dalle sfumature aranciate, si fanno complessi di profumi d’arachide e pietra focaia. Al contrario di quanto si pensa e molti dicano, trascorre bene gli anni in bottiglia. Un vino introspettivo: il Grignolino è affabile e colloquiale. Insomma, come un buon amico necessita d’ascolto e partecipazione. Da queste vigne non poteva che nascere un papa che dal primo giorno del suo arrivo in Vaticano ha stupito tutti per semplicità e informalità: un buon amico che sa ascoltare e partecipare.
La vite del Grignolino dà qui uve altrove mai viste; le uve vini anarchici, rustici e sapidi. Purtroppo però, come è accaduto alle vigne dei Bergoglio, molte famiglie ne hanno dovuto abbandonare la coltivazione
Scelti per voi dove mangiare Bottega del Grignolino Enoteca e ristorante. Nella piccola cucina del torrione si preparano solo prodotti freschi; il menu alla carta non è previsto. Ma andate sicuri: tajarin o agnolotti, maiale, vitello o coniglio, il pasto sarà di quelli che ricorderete per parecchio tempo, e risveglierà in voi il ricordo dei saldi sapori terragni. Si mangia con 30 euro Piazza Marconi, 16 Tel. 0141.202666 Portacomaro (At)
dove dormire Hotel Aleramo Moderno e minimalista, possiede tutte le caratteristiche per potere trascorrere al meglio il periodo di permanenza sia essa per lavoro o per svago. Si dorme con 110 euro Via Emanuele Filiberto, 13 – Asti Tel. 0141.595661
dove comprare Azienda Agricola Luca e Francesco Durando Viale Degiani, 33 – Portacomaro (At) Tel. 0141.202103
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Dove nasce l’Amarone di Maria Grazia Tornisiello
Come a volte dagli errori possano nascere veri e propri capolavori lo sanno bene in Valpolicella, culla di questo vino rosso porpora, dal profumo intenso e speziato. “Meditare” degustandolo ha ispirato Hemingway e Dante prima di lui, che in zona a lungo soggiornarono. Scopritelo anche voi visitando le sue meravigliose terre: è un consiglio per gli amanti del buono e del bello, e, perché no, per aspiranti scrittori! 62
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Amata e decantata da poeti e scrittori, la Valpolicella si estende per più di duecento kmq. Dai Monti Lessini al fiume Adige, dalle colline di Parona e Quinzano al Monte Pastello, i vigneti si rincorrono in un andirivieni di forme e colori da lasciare senza fiato. Persino nel Parnaso, il celebre dipinto di Andrea Mantegna conservato al Louvre, l’artista ritrae un girotondo di muse che danzano sullo sfondo del paesaggio della Valpolicella. Un territorio carico di storia che, nel corso degli anni, forti di una tradizione millenaria, gli uomini hanno imparato a coltivare e a farne un simbolo dell’italianità nel mondo. È questa la terra dell’Amarone, il famoso vino da meditazione che tanto piaceva a Hemingway. Pare infatti che, durante il suo soggiorno veneto nel ‘49, lo scrittore, ogni sera intorno alle 22, si ritirasse nella propria stanza a scrivere in compagnia di sei bottiglie di Amarone che puntualmente venivano trovate vuote la mattina.
Al passo con la natura
In apertura: il borgo di San Pietro in Cariano, scorcio tipico di Valpolicella. (foto Consorzio Pro Loco Valpolicella)
Veneto
Valpolicella
Un'arte che esprime il capitale umano... È questa, secondo Celestino Gaspari – titolare dell’azienda Zýmè – l’interpretazione che bisogna dare a questo Xxxx xxxx xxx xx xxx xx x x x xxxx vino. «L’Amarone nonxxx è un xxx xx xx xxx xx x x x xxxx xx xx xxx xx x x x xxxx xx prodotto, business, nonxxx è un ma l’incontro di una mano attenta e delicata con un territorio che nel suo piccolo riesce a mettere assieme montagna, collina, pianura, in una variabilità pedoclimatica e umana che solo qui la storia ha reso possibile: la Valpolicella. L’Amarone è un'opera d'arte: definizione del dettaglio, elegante, fine, sontuosa, aristocratica che ti avvolge, dolce di una terra generosa e frutto perfetto».
Partendo dal piccolo comune di Sant'Anna d'Alfaedo, nota tra l'altro per la Spluga della Preta, una cavità carsica profonda circa mille metri che fu scoperta all'inizio del '900, non si può non fare una breve sosta al suggestivo Ponte di Veja che, con la sua arcata di quaranta metri, è considerato il più grande ponte naturale del mondo, frutto dell'evoluzione di un'antica grotta. Da qui si raggiunge il Bosco Allegro, un luogo nato negli anni Cinquanta da un'idea dalla famiglia Benedetti, che prende il nome da un feroce e temuto brigante della Lessinia vissuto attorno al 1750. Vi si può trascorrere una piacevole giornata in mezzo alla natura, degustando prodotti del territorio, come ad esempio i Pare che durante il suo soggiorno salumi tipici della Lessiveneto del 1949, l'autore de "Il vecchio nia, il famoso formaggio Dop Monte Veronese e il mare" ogni sera si ritirasse nella o i formaggi freschi con propria stanza a scrivere in compagnia le erbe, le confetture e la mostarda veneta a badi sei bottiglie di Amarone aprile 2014
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se di polpa di mele cotogne. Poco distante, a Sant’Ambrogio di Valpolicella, merita una visita la pieve di San Giorgio, detta anche pieve d’Ingannapoltron – soprannome derivante probabilmente dalla lunga salita per arrivare al paese e dalla sua collocazione in un’area ricca di cave – risalente all’VIII secolo, un interessante esempio di architettura romanica con annesso un grazioso Museo etnografico e archeologico in cui sono esposti, tra gli altri, sculture e rilievi longobardi e carolingi.
Tra i vigneti del sommo poeta
Uomini, donne, tradizioni Due storie. La prima, quella dei fratelli Vogadori, ha origine dalla tradizione familiare. Un nonno che, da mezzadro del conte locale, diventa proprietario dei terreni, iniziando così tutta la famiglia alla passione per il vino. Un vigneto di dieci ettari a Negrar, senza trattamenti chimici, niente pesticidi o diserbanti, ma solo concimazione naturale. La seconda, tutta al femminile, vede una giovane imprenditrice, Camilla Rossi Chauvenet, al comando dell’azienda agricola Massimago di Mezzane di Sotto che, nel 2004, comincia a produrre le prime bottiglie di vino. L'obiettivo? Arrivare a produrne 50mila nei prossimi tre anni, purché siano tutte uguali alle prime dieci!
“... E perché meno ammiri la parola, guarda il calor del sole che si fa vino, giunto a l’omor che de la vite cola...”. Così recita Dante Alighieri nella Commedia – canto XXV del Purgatorio – ed è proprio sulle orme del sommo poeta che proseguiamo alla scoperta della Valpolicella imbattendoci in due splendide ville cinquecentesche, entrambe legate alla figura del poeta fiorentino che trascorse parte del suo esilio a Verona. La prima,Villa Casal dei Ronchi a Gargagnano, fu acquistata dal figlio Pietro nel 1353 e ancora oggi è di proprietà dei conti Serego Alighieri che l'hanno trasformata in una tenuta agricola e vitivinicola con produzione di vini Doc come l’Amarone, il Recioto e il Valpolicella, ma anche di specialità tra cui la confettura di ciliege, la crema di marroni, il miele d’acacia e, dulcis in fundo, la grappa d’Amarone. Villa Santa Sofia di Pedemonte è invece legata al nome di Andrea Palladio che la progettò su commissione di Marcantonio Serego, marito di Ginevra Alighieri, ultima discendente della famiglia del poeta. Patrimonio Unesco dal 1996, la villa appartiene oggi alla famiglia Begnoni ed è sede di un’apprezzata cantina di produzione di vino esportato in tutto il mondo.
L'estasi della meditazione Diceva il regista Federico Fellini: “Un buon vino è come un buon film: dura un istante e ti lascia in bocca un sapore di gloria”. E di gloria l’Amarone ne ha avuta tanta in questi 64
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anni, basti pensare alle oltre 13 milioni di bottiglie vendute soltanto nel 2013. Nato per caso circa settant’anni fa, pare che sia il frutto di un errore di vinificazione di una botte di Recioto dimenticata. Infatti, i lieviti naturali presenti all’interno della stessa, iniziando a fermentare, avevano trasformato tutto lo zucchero in alcol, dando origine al cosiddetto Recioto scapà, che in dialetto significa sfuggito, proprio perché la fermentazione, non essendo stata interrotta, ha continuato a svolgere la parte zuccherina in parte alcolica creando un vino amaro e secco. Colore rosso porpora, profumo intenso e speziato, gusto persistente, gradazione alcolica che oscilla tra i 14 e i 16 gradi a seconda dell’invecchiamento, l’Amarone è un vino che può accompagnare piatti a base di carni rosse e selvaggina, ma è anche un vino che può essere bevuto a fine pasto da solo, un “vino da meditazione”. Nel veronese lo si abbina con ricette della tradizione locale come il bollito con la pearà, una salsa fatta di pane grattugiato, brodo e midollo di bue, oppure con la pastissada de caval, ovvero brasato di cavallo, un piatto che risale al V secolo d. C.
La pieve di San Giorgio (detta anche pieve d’Ingannapoltron) risale all’VIII secolo ed è un esempio interessante di architettura romanica con annesso Museo etnografico e archeologico
Colore rosso porpora, profumo intenso e speziato, gusto persistente, pare che l'Amarone sia nato, circa settant’anni fa, per puro caso, frutto di un errore di vinificazione di una botte di Recioto dimenticata Per saperne di più:
www.valpolicella.web
Scelti per voi dove mangiare Trattoria al pompiere Specialità della tradizione culinaria veronese con un'ampia scelta di vini italiani, soprattutto locali. Prezzo medio: 40 euro Vicolo Regina d’Ungheria, 5 – Verona Tel. 045.8030537 www.alpompiere.com Trattoria dalla Rosa Alda Piatti aromatici e genuini. Magnifica la terrazza estiva da cui si gode uno splendido panorama sulle colline sottostanti. Prezzo medio: 40 euro Strada Garibaldi 4, Loc. San Giorgio di Valpolicella Sant’Ambrogio di Valpolicella (Vr) Tel. 045.7701018 www.dallarosalda.it
Trattoria Caprini Da quattro generazioni la famiglia Caprini accoglie la sua clientela proponendo una cucina semplice e di qualità. Menu degustazione da 30 euro Via Zanotti 9, Torbe – Negrar (Vr) Tel. 045.7500511 www.trattoriacaprini.it
dove dormire Residenza al Teatro Un intimo e raffinato b&b nel cuore della città scaligera, proprio a due passi dalla casa di Giulietta. Doppia con colazione da 80 euro a notte Corticella San Faustino, 7 – Verona Tel. 045.9690400 www.residenzaalteatro.it
Castrum Relais di Borghetti A 8 km dal centro di Verona, un'accoglienza calorosa e familiare, con possibilità di degustare prodotti tipici della Lessinia. Doppia con colazione da 65 euro a notte Via Castello, 21 Castelrotto di Nogarine San Pietro in Cariano (Vr) Tel. 045.6850126 www.castrumrelais.it I Tamassotti Una residenza di campagna elegante, dove rilassarsi e lasciarsi coccolare dalla signora Luisa. Doppia con colazione da 100 euro Via dei Ciliegi, 8 Mezzane (Vr) Tel. 045.8880003 www.seregoalighieri.it
dove comprare A.A. Massimago Via Giare, 21 Mezzane di Sotto (Vr) Tel. 045.8880143 www.massimago.com A.A. Zýmē Via Cà del Pipa, 1 San Pietro in Cariano (Vr) Tel. 045.7701108 www.zyme.it A.A. Fratelli Vogadori Via Vigolo, 16 Negrar (Vr) Tel. 328.9417228 www.amaronevalpolicella.org
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week-end cultura
di Olga Carlini
Un soggiorno nella storia
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Case di Latomie, poco distante da Selinunte e dal mare, non è solo il punto di partenza ideale per visitare una terra ricca di memorie, arte e natura, ma è anche (e soprattutto) un angolo di paradiso, dove passeggiare tra sentieri antichi e gustare i genuini sapori della tradizione Non c’è niente come la primavera siciliana. Con l’afa e le folle estive ancora lontane, è quasi un sogno andare alla scoperta della natura e della storia di questa isola dall’incredibile fascino, legato ovviamente al suo fastoso passato, di cui località come Selinunte – con il suo Parco Archeologico, il più grande d’Europa – sono magnifica testimonianza. Ma la storia da queste parti rivive ad ogni angolo, tanto che a volte oltre ad ammirarla e toccarla con mano, la si può persino assaggiare. È quello che accade ad esempio presso Case di Latomie, struttura ricavata dal restauro di un antico casale colonico risalente al 1781 che, insieme ad alcuni vecchi magazzini ed alle grandi stalle, costituisce un vero è proprio “baglio” siciliano. A 7 km dal mare, tra fichi d’india e piante di capperi che nascono spontanei, i 37 ettari dell’azienda offrono un suggestivo scenario di ulivi secolari e lussureggianti agrumeti, adagiati tra le millenarie latomie (cave dove i selinuntini prelevarono i aprile 2014
blocchi di tufo calcareo per la costruzione della loro città) e le antiche conigliere (muri di recinzione in pietra a secco) in un dedalo di tipiche stradelle di campagna dove potere passeggiare a lungo. Per poi tuffarsi nelle acque della grande piscina, all’ombra del più antico albero di ulivo esistente in azienda (datato circa 1300 anni), o nel centro benessere di nuovissima apertura. Oppure sostare in uno dei due ristoranti aziendali dove è bello pranzare all’ombra dei gazebo esterni tra alberi di arance e limoni. L’arredo delle 27 camere è in tipico stile siciliano così come tipica è la cucina a Km Zero proposta. In tavola l’olio extravergine di oliva bio, tra i più premiati al mondo, prodotto dall’azienda e le confetture bio sempre di produzione propria utilizzate per la prima colazione e per la pasticceria interna. Sazi e rilassati dunque, è arrivato il momento di tornare a bagnarvi nelle limpide acque siciliane, raggiungendo con facilità le vicine spiagge di Selinunte, nascoste all’interno della riserva naturale a pochi passi dal fiume Belice. Nei pressi del porto di fianco alla vivace piazza dello Scalo di Bruca, o all’ombra dell’Acropoli, ci si può rilassare sotto lo sguardo vigile della divina Era, che veglia su di voi dall’alto del suo Tempio.
dove&come Case di Latomie S.S. 115 dir. per Selinunte km 0+500 Castelvetrano (Tp) Prezzo medio doppia: 80 euro Tel. 0924.907727 www.casedilatomie.com www.oliocentonze.com
inviaggio
Nel Paradiso di
San… giovese di Elena Conti
Importante parco naturale, artistico e culturale, la Val d’Orcia dal 2004 è stata riconosciuta Patrimonio dell’Umanità Unesco, e può vantarsi di essere uno degli angoli d’Italia dove si vive – e si invecchia – meglio. Il merito va sì a uno stile di vita rilassato e al contatto con la natura, ma anche al vino che qui, rosso e dalle antiche origini, gioca un ruolo da protagonista e sa ancora stupire. Come la giovane Doc Orcia, eccellenza tutta da scoprire
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Non è esagerato definirla un angolo di Eden nel cuore d'Italia, un piccolo paradiso bucolico, dove al posto di latte e ambrosia, ci si nutre da secoli di Sangiovese e tartufo. E non è un caso che da queste parti l’aspettativa di vita sia più alta della media nazionale. «Se non hai visitato la Val d'Orcia almeno una volta nella vita, ti sei perso un pezzo di paradiso in terra – dice orgogliosa la gente del posto – qui abbiamo trovato l'elisir di lunga vita». Situata fra le province di Siena e Grosseto, al confine con l'Umbria, nel suo territorio si trova il monte Amiata. Attraversata dal fiume Orcia, da cui prende il nome, e dal Paglia appena nato, la valle è costellata di borghi e centri di origine medievale: Castiglione d'Orcia, Montalcino, Pienza, Radicofani, e San Quirico d'Orcia, ma anche Contignano, Monticchiello, Bagno Vignoni, Rocca d'Orcia, Campiglia d'Orcia, Bagni San Filippo, Vivo d'Orcia e Buonconvento, dove visitare il Museo della Mezzadria di Piazzale Garibaldi. Le strade che li congiungono sono disegnate dai cipressi, mentre nell’aria si avvertono il profumo dei pici, dei salumi di Cinta senese, del pecorino di Pienza, del tartufo bianco di San Giovanni d’Asso. Ma è il bouquet dei vini locali il vero odore caratteristico della Val d’Orcia, il cui panorama enologico è un vero parterre de rois fatto di denominazioni come Brunello di Montalcino, Nobile di Montepulciano o la più recente Doc Orcia.
Il fil rouge della Val d’Orcia «Il vino lo facevamo con amore – racconta Dante Guarducci, ottuagenario contadino dal viso solcato dal sole, ancora intento a curare la sua vigna vicino a Pienza – solo per uso di casa. Lo mettevamo nei fiaschi impagliati, che il capofamiglia non teneva sulla tavola, ma a terra, e lo versava di quando in quando anche ai più piccini, perché cominciassero ad apprezzarlo. A volte – continua Guarducci – le donne preparavano per loro la merenda con una fetta di pane cotto al forno ben inzuppata nel vino ros-
Elisir di lungavita “La valle della salute” presto potrebbe essere il brand per suggellare definitivamente le caratteristiche straordinarie della Val d’Orcia. «O meglio, non un brand vero e proprio, ma sicuramente un bel progetto», spiega il medico Stefano Ciatti da anni impegnato con l’associazione Vino e salute nella promozione del territorio attraverso le sue eccellenze, con l’obiettivo di dimostrare scientificamente gli effetti benefici sul corpo umano di un uso moderato ma quotidiano di vino rosso. Il progetto vede coinvolti anche i sindaci delle cittadine della Val d’Orcia, forti dei dati sulla longevità dei propri abitanti. Come San Quirico, il paese degli over 85: uno dei luoghi in Italia dove si invecchia meglio e dove negli ultimi otto anni gli anziani sono aumentati del 40%. Ma, attenzione, questo non è un paese per vecchi! Qui gli anziani stanno bene, sono impegnati, se non hanno un orto di proprietà ci pensa il Comune a offrire loro la terra (e anche qualche ulivo) e non esiste una casa di riposo perché l'assistenza domiciliare è organizzatissima. Forse la formula magica della Val d’Orcia è proprio questa, riuscire a unire uno stile di vita sano, con ritmi lenti, cibi genuini, vino eccellente, acque termali fruibili anche liberamente e gioielli d’arte, fra borghi, pievi e castelli, che aiutano a nutrire l’anima.
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inviaggio
In questa immagine, il borgo arroccato di Radicofani. Nelle pagine precedenti, scorci della Val d'Orcia
Scelti per voi dove mangiare La buca delle fate Locale in centro dove gustare crostini neri, pici, zuppe, carni alla brace. Prezzo medio: 25 euro Corso il Rosselino, 38/a Pienza (Si) ristorantelabucadellefatepienza.it Latte di luna Ambiente accogliente, piatti della tradizione: pici con ragù di cinghiale, petto d'anatra, cantucci e Vin Santo. Prezzo medio: 22 euro Via San Carlo, 2 Pienza (Si) Tel. 0578.748606 Il Conte matto Trattoria in stile toscano, da provare: ribollita, pici e chianina. Prezzo medio: 25 euro Via Taverne, 40 Trequanda (Si) Tel. 0577.662079
dove dormire Borgo di Castelvecchio Antichi casali in pietra, 32 camere da letto, due piscine, ristorante e centro ippico. Una notte per due persone con cena nell'antico Granaio del Borgo: 200 euro Contignano/Radicofani (Si) Tel. 0578.52165/166 www.borgodicastelvecchio.com La fattoria del colle Al confine tra le Crete Senesi e la Val d'Orcia, agriturismo con 18 appartamenti e centro benessere, in edifici storici intorno alla villa cinquecentesca. Pacchetti weekend per due da 260 euro Trequanda (Si) Tel. 0577.662108 www.cinellicolombini.it
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so e ricoperta di uno strato di zucchero. Oggi direbbero che fa male. Mia nuora si arrabbia quando lo faccio a mio nipote… noi però siamo cresciuti bene!». Da queste parti, il legame tra vino e comunità è fortissimo, viscerale. Le prime testimonianze arrivano dall’epoca romana, con numerosi ritrovamenti archeologici riferiti alla produzione del vino, per arrivare al Medioevo, con i suoi affreschi e dipinti che raffigurano scene di vita rurale nelle quali non mancano mai soggetti riferiti alla vite e alla vendemmia. Figlia di questa tradizione, la Doc Orcia – nata dalla tenace operosità di alcuni produttori storici di San Quirico d’Orcia – ha compiuto, in febbraio, 14 anni. Ma sta crescendo in fretta, cercandosi uno spazio suo, incastrata com'è fra quelle più blasonate del Brunello di Montalcino e del vi-
no Nobile di Montepulciano, con le quali ha in comune, anche se di cloni diversi, il Sangiovese; un vitigno presente da alcuni secoli in queste zone, ormai in perfetta simbiosi col territorio. La differenza però la fa il terroir: questa zona è infatti caratterizzata da rilievi collinari dolci di non elevata altitudine, e dal punto di vista geologico ha caratteri eterogenei, con prevalenza di formazioni calcaree e argilloscistose; il clima è quello tipico continentale-mediterraneo, con forti escursioni termiche fra la notte e il giorno che derivano dalla vicinanza al territorio brullo delle Crete Senesi, e determinano la particolare ricchezza aromatica dei vini della Doc Orcia. Per saperne di più: www.consorziovinoorcia.it
90% Sangiovese, 100% tipicità La Doc Val d’Orcia ha permesso di rivalutare i terreni con nuovi vigneti e sono stati creati posti di lavoro per tutta la filiera, dalle cantine al settore ricettivo. La denominazione ottenuta nel 2000, la nascita nello stesso anno del Consorzio del Vino Orcia, e la successiva modifica al disciplinare che ha innalzato il livello di Sangiovese, portandolo al 90% con un 10% di altre uve locali, hanno portato a un ulteriore innalzamento della qualità del prodotto, sicuramente in termini di territorialità, con una crescente visibilità data dalla forza trainante del grande Sangiovese di Siena. L’area di produzione Orcia comprende 13 comuni con i loro territori a Sud di Siena; circa 153 gli ettari di vigneti dichiarati e 43 le cantine associate.
idee gratis idee gratis
di Isa Grassano
Il cibo degli Dei “Che paradiso è senza cioccolato”? Lo ha scritto Ernst Knam, chef pasticcere e maitre chocolatier e ne sono convinti anche nella capitale. Dall’11 al 14 aprile va in scena Roma Chocolate. A costo zero, si può partecipare alla lavorazione del cioccolato, dalla fava all’incarto, e al World Educational, un viaggio alla scoperta delle origini del cacao. www.romachocolate.info
Un libro a colazione Alla Mokeria di Porto Sant’Elpidio (Fermo) si può unire il piacere della lettura e quello di una colazione golosa. Tutta free. Ogni martedì di aprile basta portare un libro e “scambiarlo” con un caffè (fatto rigorosamente con la moka), un cappuccino o una fetta di torta. Allo stesso tempo, si possono sfogliare e leggere gialli e romanzi della piccola libreria all’interno del locale. www.mokeria.it
I love cake design Il cake design è una vera arte, la moda del momento. Chi ha voglia di apprenderne tecniche e segreti, può seguire il laboratorio promosso dalla cake designer Manuela Porcelli. Una lezione per imparare a trasformare i confetti in allegri animaletti, tramite le tecniche 2D e 3D. Quando? Il 10 aprile a Imola, presso la focacceria Il piatto di Pitagora, posti disponibili per massimo 10 lettrici. lacasadellecoccinelle@gmail.com
Omeopatia porte aperte Musei civici liberi Un’intera settimana per godere dei musei civici di Milano ad accesso gratuito. In occasione del Salone del Mobile, dall’8 al 13 aprile, aprono le porte il Museo del Novecento, l’Archeologico, il Museo di Storia naturale e quello del Risorgimento, ma anche Palazzo Morando, la Galleria d’Arte Moderna e l’Acquario. www.comune.milano.it 72
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Giovedì 10 aprile, in oltre 300 studi medici, in tutta Italia, sarà possibile incontrare medici e veterinari omeopati per sottoporsi – o sottoporre i proprio amici a quattro zampe – a check-up gratuiti e per conoscere meglio cure e rimedi alternativi ai farmaci allopatici. Si tratta di un'interessante occasione per saperne di più su temi di grande attualità, per chiarire ogni dubbio e dare risposta a ogni quesito in merito. www.presidiomeopatiaitaliana.it
Le 3 azioni giuste per vendere il prodotto
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Una fiera permanente di vini e cibi italiani AÉ>iVa^V jc ^bbZchd Z higVdgY^cVg^d WVX^cd Y^ egdYdii^ V\gdVa^bZciVg^ igde" ed edXd XdcdhX^ji^ Z bVa Y^hig^Wj^i^# BVa" \gVYd jcV YdbVcYV Xdc ediZco^Va^i| Y^ XgZhX^iV ^aa^b^iViV! cdc hZbegZ aÉd[[ZgiV g^ZhXZ V gV\\^jc\ZgZ ^a bZgXVid#
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week-end relax
di Olga Carlini
L’arte dell’accoglienza Immerso in uno scenario solare e mediterraneo, lo Sheraton Catania Hotel affascina con la sua atmosfera retrò. Da 30 anni icona per i viaggiatori più attenti, è il punto di partenza perfetto per scoprire Catania e la sua provincia, nonché il posto ideale dove tornare per rilassarsi nelle sale della bella Arantia Rubra Spa
Acicastello (Ct) 76
Si trova a pochi chilometri dalla barocca Catania, e a due passi dal castello normanno di Aci Castello e da Acitrezza con le sue case di pescatori e le trattorie di pesce, lo Sheraton Catania Hotel, storico punto di riferimento per i viaggiatori che desiderino godere delle meraviglie di questo angolo di Mediterraneo. Ad accogliervi un’atmosfera vintage, che lascia trasparire non solo la passione per la splendida natura siciliana ma anche quella per l'arte, che prende forma in un’opera realizzata in loco dal maestro Agostino Bonalumi, seguita da un Mark Kostabi e da un Baj/ Kostabi; spettacolare infine la location degli ascensori panoramici immersi nel verde, alloggiati in un minuzioso lavoro in pietra lavica realizzato dal maestro Urano Palma. E sono ancora in bilico tra natura e arte gli itinerari che è possibile intraprendere a partire dallo Sheraton, alla scoperta del centro di Catania, la città con il maggior numero di beni patrimonio dell’Unesco di Sicilia, o del vicino Etna, il vulcano attivo più alto d’Europa, grazie a visite guidate e a un servizio navetta messo a disposizione degli ospiti. Niente di aprile 2014
dove&come Sheraton Catania Hotel Via Antonello da Messina, 45 Acicastello (Ct) Tel. 095.7114111 Doppia: 138 euro, colazione inclusa www.starwoodhotels.com/sheraton
meglio quindi, a conclusione di una giornata di scoperte, che prendersi una pausa di relax nelle sale della Arantia Rubra Spa dove concedersi uno spazio tutto per sè e dedicarsi al benessere del corpo e della mente: con un taglio wellness grazie ai percorsi acqua e la cromoterapia; beauty con l’estetica di Maria Galland, i trattamenti olistici e la doccia solare; fitness con i programmi di allenamento consigliati. I più sportivi troveranno soddisfazione anche grazie al campo da tennis e alla piscina esterna con acqua di mare, mentre da giugno a settembre è possibile rilassarsi al sole con assoluta comodità e privacy grazie alla piattaforma privata a mare, completa di centro diving. Se a portarvi qui è infine un impegno di lavoro, l’Hotel mette a vostra disposizione anche un centro congressi unico: 18 sale su un’area totale di 1200 mq dove le idee prendono svariate forme grazie alle pareti mobili insonorizzate che permettono una gestione personalizzata degli spazi. Tanta attività non può che mettere appetito e, prima di tornare in una delle 162 camere o delle 7 suite a disposizione, approfittate dell’attenzione che allo Sheraton Catania Hotel viene prestata alla tradizione mediterranea in cucina. A partire dal buffet del mattino al Timo Gourmet Restaurant, con il suo quick menu del pranzo e l’attraente carta la sera, tutti votati al territorio, così come lo è anche la carta dei vini.
Dopo aver visitato Catania e risalito l'Etna, concedetevi una pausa di relax nelle sale della Arantia Rubra Spa per il benessere di corpo e mente
viaggi per tutte le tasche
di Piero Caltrin
Un mare di idee per l’estate Le navi da crociera si possono ormai considerare a tutti gli effetti degli alberghi galleggianti, con in più un numero pressoché infinito di itinerari e una sempre più ampia offerta di attività e servizi di cui si gode a bordo. Un’offerta davvero variegata e dunque perfetta per tutte le tasche. Guidati da Logitravel.it, scopriamo le ultime novità per la bella stagione, che è già dietro l’angolo!
Per famiglie… e veri sportivi La compagnia di navigazione MSC Crociere, offre servizi tra i più innovativi: MSC Splendida ha un simulatore di Formula 1; MSC Preziosa invece l’acquascivolo Vertigo, lo scivolo d’acqua piú lungo sul mare con 120 metri di sorprendenti giri. MSC Crociere, inoltre, mantiene aperto il buffet per 20 ore al giorno in modo da poter offrire l'esperienza culinaria in qualsiasi momento della giornata; i buongustai possono anche richiedere la colazione in cabina, quando vogliono, senza alcun costo aggiuntivo. I genitori saranno poi felici di scoprire che con MSC i bambini viaggiano gratis tutto l’anno e che a bordo è presente personale qualificato per accudirli e farli divertire con attività che coinvolgono tutta la famiglia. Agli appassionati di calcio, forse non dispiacerà sapere infine che, a bordo, sarà possibile assistere a tutte le partite dei Mondiali di calcio! Città d’arte e meraviglie mediterranee – crociera nel Mediterraneo di 8 giorni a bordo della nuovissima MSC Splendida, con partenza da Genova, Napoli e Messina. Si visitano le città di La Goulette (Tunisia), Barcellona (Spagna) e Marsiglia (Francia). Un’eccellente Spa soddisferà anche gli ospiti piú esigenti. Con Logitravel prezzi a partire da 299 euro a persona Viaggio nel Mito – crociera culturale nel Mediterraneo a bordo della MSC Lirica con partenza da Civitavecchia, La Spezia o Trapani e visita a Marsiglia, Palma di Maiorca e La Valletta (Malta). Partenze da fine maggio ai primi di settembre. Con Logitravel prezzi a partire da 399 euro + tasse di imbarco 78
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Per saperne di più:
www.logitravel.it/crociere
Piacere su misura La compagnia Costa Crociere ha esordito in questa stagione con il concetto Costa neoCollection con le navi neoRomantica e neoRiviera completamente rinnovate per adattarsi a un nuovo stile di crociera più intima e raffinata, con un ritmo piú tranquillo, mettendo a disposizione piú tempo per visitare le varie località (con soste anche di una o due notti) e godendo di un servizio personalizzato a bordo. Sempre eccellenti comunque anche le proposte più classiche, con la possibilità anche in questo caso di assistere a tutte le partite dei Mondiali di calcio a bordo. Mare e miti – crociera nel Mar Adriatico a bordo della Costa Magica. Si parte dai porti di Venezia o Bari visitando i porti di Katakolon (Grecia), Pireo (Atene), Izmir (Turchia) e Dubrovnik (Croazia), in un perfetto mix di esotismo e cultura. Prenotabile con Logitravel da 469 euro + tasse in cabina doppia, bambini gratis
A tutto divertimento Un simulatore per praticare surf, un ring di pugilato, una pista di pattinaggio sul ghiaccio, una parete di arrampicata, vasche idromassaggio a sbalzo sul mare o un campo di mini golf. Sono alcune tra le attrazioni che hanno reso le navi Royal Caribbean, punto di riferimento senza rivali per il divertimento in alto mare. Particolare attenzione è rivolta ai bambini, per i quali vengono organizzati programmi speciali come il premiatissimo Adventure Ocean, il Fisher Price e il programma Adventure Art di Crayola. Mediterraneo Occidentale – 8 giorni di navigazione a bordo della Liberty of the Seas, con partenza da Civitavecchia e visita a Napoli, Barcellona, Nizza e La Spezia. Partenze da maggio a fine settembre. Con Logitravel prezzi a partire da 474 euro + tasse di imbarco.
Un grande spettacolo tra le onde Se invece cercate una crociera più internazionale, la compagnia NCL dispone di una imponente nave, la Norwegian Epic, con partenze da Civitavecchia e visita Livorno (Firenze), Cannes, Palma di Maiorca, Barcellona e Napoli. La nave è celebre per aver rivoluzionato l’intrattenimento in alto mare: a bordo è possibile sostare in un vero e proprio bar di ghiaccio, e assistere alle performance del Blue Man Group nell’Epic Theater. Spettacoli innovativi sono anche lo Spiegel Tent – Cirque Dreams & Dinner, il Legends in Concert, che riunisce i migliori tribute artist, o il Nickelodeon at Sea che promette divertimento per i più piccoli grazie a simpatici protagonisti dei cartoni animati come il celebre SpongeBob. Con Logitravel prezzi a partire da 602 euro
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96 L'Etna enoico
Tour tra Cirò e il Lametino seguendo il fil rouge dell'antico vitigno calabrese
Catarratto e Nerello Mascalese, le punte di diamante di una"vulcanica" viticoltura
88 La lacrima di Morro d'Alba
98 Il bergamotto
Un nobile autoctono marchigiano, un piccolo borgo, la loro grande storia
Un agrume calabrese doc, che ha casa a Reggio Calabria e tante virtù nascoste
92 I vini dei terrazzamenti
100 La collina del "ciliegino"
Valtellina, Ischia, Ponente Ligure: terre da vigneti verticali e vignaioli "eroici"
da pag. 106 Rubriche
• Il buono a tavola • Orto dei semplici, l'aglio • Dulcis in fundo
Tappa siciliana a Chiaramonte Gulfi, per scoprire il pomodoro più piccolo e dolce
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I due mondi del Gaglioppo di Gianfranco Manfredi
Uno dei piĂš antichi (e sconosciuti) vitigni autoctoni del Sud sta vivendo una stagione tutta nuova. Riscoperto e valorizzato nei vigneti e nelle cantine, dĂ vita a vini rossi, anche grandi rossi, ma oggi pure fragranti rosati e spumanti Metodo Classico. Ecco dove scoprire chi li produce e gustare i migliori
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La suggestiva (e sperimentale) spirale di filari nell’azienda Rosaneti dei Librandi
È il più diffuso vitigno a bacca rossa della Calabria. E da secoli segna la vitivinicoltura ma anche il paesaggio, la cultura materiale, i saperi, il gusto e la mentalità dei calabresi. Autoctono, il Gaglioppo è diffuso in varie provincie ma è preponderante nelle due principali aree vinicole calabresi. Nel Cirotano innanzitutto, cuore dell’antico Marchesato in provincia di Crotone, un territorio fra quelli a più spiccata vocazione dell’intero Sud. Ma anche, in misura inferiore, nel Lametino in provincia di Catanzaro, altra storica area di vigneti e vini. Per conoscere davvero il Gaglioppo, allora, bisogna partire da Cirò, sulla costa ionica nell’Alto Crotonese e poi passare a Lamezia, sul versante tirrenico. Si percorrono, così, due terre assai diverse. Il Cirotano, area dei vini doc Cirò e Melissa, è caratterizzato da colline argillose con un clima caldo e siccitoso mitigato a levante dalle brezze marine e a ponente dalla frescura che scende dall’altipiano silano. Il Lametino, che fa da anfiteatro al Golfo di Sant’Eufemia, è terriorio più verde e fresco, con terreni fertili, maggiore piovosità e un clima unico: è l’area di maggior restringimento dell’intera penisola italiana e Jonio e Tirreno con le loro brezze, distano poche manciate di chilometri.
Vigneti-giardino nelle terre del Cirò
Calabria Cirò Lamezia Terme
Il primo itinerario comincia in salita, a Cirò Marina, da vigneti che lambiscono il litorale, su, fino alla fascia collinare che rasenta le pendici della Sila. Siamo nella culla privilegiata del vigneto-Calabria e i filari connotano il paesaggio, proprio come nelle più grandi regioni del vino. “La vigna è un miele dell’anima” diceva Cesare Pavese. E qui lo confermano esempi spettacolari come il vigneto-giardino di Francesco Porti, vignaiolo e gentiluomo. Imperdibili anche i vigneti dal tipico allevamento delle viti “ad alberello” e le barricaie dove i rossi, ma anche qualche bianco e rosato, vengono affinati. Nella distesa cirotana di vigneti, è un susseguirsi di cantine e aziende piccole e grandi, giovani e secolari, tradizionali e biologiche. Tutte disponibili ad accogliere visite enoturistiche e organizzare degustazioni. Non solo vino, però, perché nella tradizione calabrese il buon bere e il buon mangiare sono indissolubiaprile 2014
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cibo&territorio
Se nel Cirotano, il Gaglioppo s'incarna in calici eleganti di aromi e di vibrante speziatura, nel Lametino si esprime invece in vini più freschi e dinamici che rispecchiano appieno le caratteristiche di quel territorio
Da vino contadino… al brindisi in flûte Il Gaglioppo oggi in Calabria si esprime anche in purezza con spumanti Metodo Classico. Se a Cirò, Giuseppe Scala nella sua azienda biologica Santa Venere, con la consulenza dell’eno-star Riccardo Cotarella produce l’SP1 (perlage fine e persistente, incanta con un gusto pieno e burroso ed effluvi di frutti rossi), a Cirò Marina i Librandi avevano già lanciato il loro Metodo Classico rosè Rosaneti (ancora Gaglioppo 100%). Color cipria tenue, con nuance ramate, sprigiona un delicato bouquet di frutti rossi con prevalenza di ciliegia. Ed anche gli Statti da Lamezia alzano il calice del loro Metodo Classico Rosè da Gaglioppo in purezza: il Ferdinando 1938, un colore affascinante per uno spumante sontuoso, ricco all’olfatto e dal gusto vibrante con fragole e lamponi in primo piano a lasciare il campo a pan di Spagna. Lungo il finale minerale che induce al bis. Chi l’avrebbe mai detto? Nelle flûte si brinda col Gaglioppo, diventato uno spumante di classe ma senza dimenticare gli antichi saperi contadini.
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li e associati alla buona salute, come ricorda l’antropologo Vito Teti che cita in proposito un proverbio molto eloquente “Pinnule ‘i cucina e sciroppu ‘i cantina” (pillole di cucina e sciroppo di cantina). Imprescindibile allora, visitare un laboratorio artigianale per gustare la tipica sardella locale, la più piccante e saporita conserva ittica del Mediterraneo, un giacimento gastronomico ma anche culturale. Piatto forte, fonde la nunnata di sardine (il novellame più minuscolo) con sale, peperoncino e aromi “selvatici” come il finocchietto silano. Quella che producono nell’azienda familiare di Antonio Amodeo a Cirò Marina (tel. 0962.31409) è cremosa, un’autentica mousse pepata e saporita. Del resto, come sottolinea sempre Teti, in Calabria “il piccante richiede vino e, viceversa, il vino va quasi sempre accompagnato con qualche cibo piccante”. Le migliori conserve di peperoncini e di cipolle di Tropea e altri ortaggi, sempre a Cirò Marina, si trovano alla Fattoria Montescudiero (tel. 0962.31499) dove producono anche ghiottonerie di fichi e cioccolato.A pochi chilometri più a sud, invece, bisogna deviare verso Rocca di Neto per raggiungere il punto vendita del Consorzio Suino Nero di Calabria (tel. 0962.80008) dove è possibile acquistare prosciutti, soppressate, pancetta e capicolli ottenuti dalla lavorazione dell’antica razza autoctona calabrese, il maiale nero allevato al pascolo brado. In zona meritano una visita anche il Museo della Civiltà Contadina e il Museo Archeologico. Il primo, accolto a Torre Melissa dentro un piccolo maniero cinquecentesco custodisce una bella raccolta di oggetti delle tradizioni popolari. Il Museo archeologico di Cirò Marina ospita, invece, pezzi provenienti dal tempio di Apollo Aleo rinvenuti negli scavi di Punta Alice insieme a materiali risalenti agli insediamenti Bretti.
L’altra metà del cielo Per scoprire l’altra terra del Gaglioppo bisogna spostarsi nel Lametino, sul versante tir-
cibo&territorio
Scelti per voi dove mangiare L’Aquila d’Oro Ghiotta trattoria dove la ricerca sulle tradizioni locali si traduce in piatti saporiti e piacevolissimi. Prezzo medio: 23 euro, vini esclusi Via Sant’Elia 7 Cirò (Kr) Tel. 0962.38550 Sasà il Pescatore Una cucina di mare semplice e intelligente. Imperdibili i tentacoli di piovra serviti “alla cirotana”, coi peperoni. Menù da 40 euro Lungomare Stefano Pugliese Porto Cirò Marina (Kr) Tel. 348.7622299 – 339.5858796 Qui, il vigneto gioiello di Francesco Porti affacciati sul mar Jonio, nelle terre di Cirò Marina
renico della Calabria, centotrenta chilometri più a Sud. Qui lo stesso vitigno, che nel Cirotano s’incarna in calici eleganti di aromi e di vibrante speziatura, si esprime con vini più freschi e dinamici. Cambia il terreno, il clima, il meteo e mutano le tecniche di allevamento della vite con la spalliera e il cordone speronato, nei vigneti, al posto dell’alberello ci-
Il ritorno dei vitigni “perduti” A Cirò Marina è in pieno svolgimento un’attività di ricerca e sperimentazione enologica d’avanguardia. Un progetto articolato che coinvolge varie Università, l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige e il CNR. È una “missione” che ha dell’incredibile: un viaggio nel tempo per risalire all’origine dei vitigni autoctoni locali. Per riportarli al loro aspetto passato, alle loro caratteristiche perdute. A questo scopo, nell’azienda Rosaneti dei Librandi è stato impiantato un vigneto mai visto: una fantastica, enorme spirale di filari in cui le viti, allevate a regola d’arte, si avvolgono, ordinatissime, come in un antico mosaico. Sono 12.500 ceppi di vitigni autoctoni: il più grande campo sperimentale di viticoltura a cielo aperto. Il più grande d’Europa. I vitigni “ritrovati”, selezionati e messi a dimora sono oltre 180. Fra questi, ovviamente, anche diversi cloni di Gaglioppo. I risultati s’annunciano sensazionali. Non ci resta che attendere. 86
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rotano. Le Cantine Statti sono l’azienda che nella zona non ha mai smesso di credere nelle potenzialità del Gaglioppo. Al vitigno hanno dedicato un vino, il Gaglioppo appunto, che s’è affermato anche come vino per l’estate. Grazie ai profumi freschi e ai tannini “addomesticati”, va servito freddo. È un calice che regala un profluvio di sentori fruttati (ciliegia, soprattutto) con buona struttura e sposa bene anche i piatti di mare. Ma è l’intera azienda Statti a meritare una visita approfondita: più di 30 mila ulivi per lo più secolari, un antico borgo rurale riattato con rigore filologico, un moderno frantoio che produce un superbo extravergine. Gli Statti si tramandano quest’azienda da più di quattro secoli. Vanto degli ultimi rampolli del casato, la nuova, tecnologica, cantina con 4mila metri di superfice coperta e un’enorme barricaia interrata. Tornando invece ai calici a base di uva Gaglioppo, per chi li assaggia oggi, sarà uno choc ricordando i vini calabresi di 20-30 anni fa. Per chi li conosce per la prima volta, viceversa sarà una bella sorpresa. I Librandi vantano freschi rosati, dagli spiccati sentori di ciliegie appena raccolte, rossi eleganti, che sfoggiano intensa aromaticità, grazia olfattiva e regalano sorsi generosi dal tannino affusolato.
Mare Chiaro In una bella villa sul mare una cucina “d’istinto”, con piatti sempre leggeri frutto di non comune professionalità. Prezzo medio: 50 euro, vini esclusi Via Nazionale, SS 18 Lamezia Terme – Gizzeria Lido (Cz) Tel. 0968.51251
dove dormire Agriturismo Le Carolee All’interno dell’azienda agricola Gaetano, contornata dal verde degli ulivi dei boschi di macchia mediterranea. Doppia b/b 50 euro C.da Gabella Pianopoli (Cz) Tel. 0968.35076 www.carolee.it La Rosa nel Bicchiere Locanda agrituristica con doppie b&b da 80 euro Contrada Polso Soveria Mannelli (Cz) Tel. 0968.666668 - 349.6886589 www.larosanelbicchiere.it Agriturismo Biologico Dattilo Appartamenti per tre persone a partire da 105 euro Contrada Dattilo, Strongoli Tel. 0962.865613 www.dattilo.it
dove comprare Enoteca Marino Via Nicoletta, 3 Crotone Tel. 0962.21798
Magna Grecia nel bicchiere A Cariati, delizioso borgo a metà strada tra Crotone e Sibari, i sette fratelli Greco danno vita a un vino che sa raccontare il vero “senso della Calabria”. Protagonista, ancora una volta, l’indomabile Gaglioppo In alto, una suggestiva immagine notturna dell'azienda dei fratelli Greco
Le vie del Gaglioppo, in Calabria sono infinite. Chi le rincorre, vuol dire che è disposto a scendere fino in fondo all’anima di questa terra aspra, piena di sapori in contrasto, per coglierne le sfumature, che anche nel vino – come nella vita – fanno la differenza. Dal Cirotano basta salire su, verso l’Alto Jonio, ed ecco scoprire una faccia diversa del Gaglioppo. L’ennesima. A mostrarcela sono i Greco, sette fratelli che hanno scelto di lasciare le loro carriere per scommettere sull’eredità dei padri e dei nonni, tirando su, a Cariati, un’azienda-gioiello incastonata tra ulivi secolari e vigneti. Il patto che l’azienda iGreco ha stretto con la natura è condensato nell’idea di “territorio”, ventre materno dal quale germogliano prodotti unici che sono l’essenza della vita stessa: olio e vino.Appena si varca l’ingresso dell’azienda,
si respira aria di sobria magnificenza: tutto sa di perfezione, semplicità, rinnovamento. Ma non tragga in inganno l’orbita tecnologica che è alla base della produzione de iGreco. A presiedere l’innovazione provvede un ancestrale rispetto per la tradizione più schietta, quella tramandata da padre in figlio che si concentra nella memoria collettiva di un popolo, quello calabrese: fiero, caparbio, irriducibile. Come Sua Maestà il Gaglioppo, probabilmente il vitigno calabrese più longevo al mondo. Da questa uva “ingestibile” vinificata in purezza nascono, nell’azienda iGreco, vini di qualità eccelsa: il Catà rosso, il Savù rosato, il Metodo Classico Rosè e da ultimo il Sette Fratelli, rosso, senza solfiti aggiunti che cresce al’interno del WRT – Wine Research Team, progetto rivoluzionario, coordinato da Riccardo Cotarella, il quale, dopo otto anni di ricerca, ha individuato tutte quelle procedure, da attuare nel vigneto e in cantina, finalizzate a ottenere la migliore qualità del vino, nel rispetto dell’uva e del terroir, che applica in modo innovativo le moderne conoscenze, la pratica agronomica, la tecnica enologica. Se con l’olio extravergine d'oliva iGreco deliziano i palati più esigenti, tanto da ricevere attestati e riconoscimenti in tutto il mondo, col vino conquistano consensi sempre più ampi, come, da ultimo, il prestigioso riconoscimento dei Tre bicchieri del Gambero Rosso assegnato al Masino. Olio, vino e storia del territorio: i Greco non vendono solo i loro prodotti ma partecipano e contribuiscono – così come dovrebbero fare tutte le realtà imprenditoriali che molto ricevono dalla propria terra – alla crescita di un territorio splendido in ogni suo aspetto. È tutto qui “il senso della Calabria”, in quel sole racchiuso nei sette cerchi concentrici del marchio iGreco.
dove&come Fattorie Greco Via Magenta, 34 - Cariati (Cs) Tel. 0983.96020-969441 info@igreco.it www.igreco.eu
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cibo&territorio
Storia di una Lacrima di Gilda Ciaruffoli
Vitigno autoctono dellâ&#x20AC;&#x2122;entroterra anconetano, coltivato fin dai tempi dei Romani e amato dal Barbarossa, questo morbido rosso dal sapore di rosa e viola, condivide con chi lo coltiva una certa schietta gentilezza, lontana dagli eccessi. Proprio come la terra, semplice e verace, che lâ&#x20AC;&#x2122;ha visto nascere e diventare ogni giorno piĂš famoso
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Morro d'Alba
Marche
Giunta l’uva a maturazione, la sua buccia si spacca. E inizia a lacrimare. È da qui, da questo "pianto" dell’acino che deriva il nome di un vitigno oggi molto amato ma che, sul finire degli anni ’70, ha rischiato di scomparire proprio per le difficoltà che la sua gestione comporta. «L’uva di Lacrima ha una buccia molto spessa ma inconsistente – ci spiega Stefano Mancinelli dell’omonima cantina storica di Morro d’Alba, in provincia di Ancona – e questo comporta la necessità di prestare un’attenzione particolare al periodo della raccolta che non si può ovviamente anticipare, ma neanche ritardare lasciando i grappoli appesi più del dovuto perché, una volta spaccata la buccia, anche solo una giornata di pioggia potrebbe farne colare via tutto il frutto». Nelle giuste mani però il risultato è un rosso dal profumo di rosa, viola e frutta del sottobosco. Morbido, "femminile". Da bere giovane? Così si dice, ma le cose stanno diversamente. Ci spiega Mancinelli: «il notevole spessore delle bucce comporta, in fase di macerazione, una cessione enorme di antociani, tannini... Una fermentazione tradizionale di 10/15 giorni regala prodotti giovani stupendi, carichissimi, che nel giro di qualche mese però risultano già difficili da bere perché troppo aggressivi. Noi oggi le lasciamo fermentare due giorni al massimo e otteniamo un vino che non si potrà definire subito esplosivo, ma si beve ancora bene dopo 6 o 7 anni». Si tratta, ed è importante, di un Lacrima in purezza, che non conosce legno, senza neanche l’aggiunta di quel 15% di altre uve prevista dal disciplinare. Sì, perché, prosegue Mancinelli: «le caratteristiche del Lacrima sono così marcate che potrebbe bastarne anche un 10% per dare quel certo carattere a un qualsiasi altro vino. Pratica, per altro, purtroppo non così infrequente... Ed è un peccato, perché se dal conferimento della Doc nell’85 avessimo saputo giocare bene le nostre carte, puntando sulla tipicità e non sul vino "perfetto" – diciamocelo, il bello del Lacrima sta proprio nel suo essere unico, al punto che può piacere tantissimo o non piacere affatto – Morro d’Alba godrebbe oggi di ben altra fama!».
Il gusto sincero delle Marche Per assaggiare il Lacrima, due sono le occasioni imminenti: la classica Festa del primo fine settimana di maggio, e il Cantamaggio, dove la primavera viene celebrata a forza di brindisi e stornelli della tradizione marchigiana. Interessante anche il gemellaggio con Acqualagna che dà vita, a ottobre, alla Festa del Lacrima e del tartufo. Un connubio ideale in effetti quello del ”fiorito“ rosso con alcune specialità regionali come l’immancabile ciauscolo, il ragù di papera, ma anche il pesce azzurro e il brodetto all’anconetana. In zona poi non mancate un tour dei comuni che rientrano nella Doc: dall'entroterra di Senigallia, celebre meta del turismo estivo, a Monte San Vito e San Marcello, piccoli centri d’impianto medievale, proprio come lo sono del resto Belvedere Ostrense, con il suo curioso Museo dell'Immagine Postale e il miracoloso Santuario della Madonna del sole, e Ostra. Di particolare interesse, quest'ultimo è il paese degli inquietanti Sprevengoli, spiritelli festeggiati in ottobre, ma anche dell'antiquariato e del restauro, il cui bel centro storico vale sicuramente una visita.
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cibo&territorio A Morro d'Alba, il Lacrima si coltiva fin dai tempi dei Romani ed è celebre l’aneddoto che vede Federico Barbarossa gustare il succo delle sue uve nel 1167, durante l’assedio alla città di Ancona
In apertura, un tipico scorcio di campagna marchigiana. Qui, Morro d'Alba, il cui nome deriva forse dal termine di origine preromana murr, roccia. Alba invece fa riferimento all'antico castello di Albarello
Scelti per voi dove mangiare La centilena Con la bella stagione si mangia nel rustico ma grazioso cortile esterno. Prezzo medio: 25 euro Via Santa Lucia Monte San Vito (An) Tel. 071.7489169 www.lacentilena.com Il mago In tavola si celebra la "cucina povera". Da provare i ciavattoni al pepe. Prezzo medio: 30 euro Via Morganti, 16 Morro d'Alba (An) Tel. 0731.63039 www.ristorantedalmago.it
dove dormire
Aria di casa «Dalla metà degli anni ’90, le Marche hanno fatto una scelta importante – ci spiega Alberto Mazzoni, direttore dell’Istituto marchigiano di tutela vini – si è deciso di investire nei 5 vitigni marchigiani per eccellenza, che portano in etichetta il nome del vitigno stesso: Verdicchio, Vernaccia, Pecorino, Bianchello, Maceratino e ovviamente Lacrima di Morro d’Alba. Limitando in modo chiaro le aree di provenienza, che come nel caso del Lacrima possono essere anche molto ristrette, fondamentali per ottenere un prodotto che parli di tradizione e territorio. Nel caso specifico, a fare la differenza è un terreno argilloso, con un’alta presenza di calcare, grazie al quale la pianta matura presto portando in sé la tipica carica aromatica.Altrove non è possibile ottenere gli stessi risultati». Particolare attenzione dovrebbe essere prestata dunque alle cantine, solo una ventina, che operano all'interno dei ristretti confini della Doc; l'ideale sarebbe ovviamente visitarle di persona, e godere così delle bellezze di questo angolo di Marche. A Morro d'Alba, dove 90
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il Lacrima si coltiva fin dai tempi dei Romani – celebre l’aneddoto che vede Federico I gustare il succo delle sue uve nel 1167, durante l’assedio di Ancona, dimorando il Barbarossa proprio nel castello di Morro –, alte mura e un camminamento di ronda coperto, unico nel suo genere, proteggono da secoli un borgo raccolto, dove si respirano una genuina schiettezza e una gentilezza senza fronzoli, che si avverte ancora sincera. Visitate anche le gallerie sotterranee al castello che ospitano il museo Utensilia dedicato alla mezzadria marchigiana. Tutto attorno una campagna placida, collinosa, colorata di campi variamente lavorati: in un quarto d’ora si raggiungono Jesi, città natale di Federico II, e Senigallia, con le sue spiagge di velluto. All'orizzonte l'abbraccio rassicurante dell'Adriatico, da una parte, e degli Appennini dall'altra. Entrambi così vicini che sembra quasi di poterli toccare. Per saperne di più:
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Quanta fatica per Bacco! Affacciati su strapiombi vertiginosi, lavorano quattro volte tanto i loro "colleghi" di pianura e collina, contando sulla sola forza delle loro braccia e su una competenza che viene da lontano. Sono i vignaioli eroici dei terrazzamenti di Valtellina, Ischia e Ponente ligure, patrimonio italiano da scoprire e valorizzare di Riccardo Lagorio 92
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Generazioni passate a ricavare (angusti) spazi pianeggianti dalle pendenze montane. Così le popolazioni alpine hanno conquistato, spesso a fatica, fazzoletti di terra utili per coltivare lino e canapa per coprirsi, frutta e segale per alimentarsi. E uva, un’infinità di viti, utili per trarne vino e calorie. Oggi appare tanto apprezzabile l’importanza sociale dei terrazzamenti anche per preservarne il paesaggio, che in Valtellina esiste persino una fondazione avente come scopo la tutela di questo sistema. Pro Vinea raggruppa infatti case vitivinicole, enti locali e di ricerca nell’interesse riconosciuto come comune a tutti di salvaguardare il versante retico terrazzato e valorizzare le connesse tradizioni storiche e culturali. La tutela
ovviamente non si ferma alla vigna, ma è diretta a curare l’opera dell’uomo che con il lavoro di costruzione prima e manutenzione dei muretti poi, e di coltivazione dei terreni, ha fatto sì che l’intera cultura della provincia sondriese si identificasse nei terrazzamenti vitati. Del resto la viticoltura cosiddetta eroica ottiene in Valtellina una delle massime espressioni nel nostro Paese: la realizzazione dei muri a secco in sasso che trattengono i ronchi vitati è uno dei fattori caratterizzanti l’ambiente. Si stima che i muri a secco in Valtellina assommino a oltre 2500 km di sviluppo lineare.Alcune particolari situazioni ambientali hanno favorito l’impianto del vitigno Nebbiolo. Su questa zona, a vigneto per 1200 ettari, insistono le denominazioni d’ori-
Foto: Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina / Raffaella Badalotti
gine del territorio: Docg Valtellina Superiore e Sforzato Valtellina; Doc Rosso di Valtellina; Igt Terrazze Retiche di Sondrio. L’area di maggior pregio è quella dove la valle scorre perpendicolare al sole, tra i Comuni di Ardenno e di Tirano. In mezzo ci sono 45 km di secolare lavoro dell’uomo. La sopravvivenza della vitivinicoltura eroica del versante retico ha importanti implicazioni economiche: produce valore aggiunto, occupazione ed esportazione; è un pilastro dell’economia agricola ed è fondamento dell’enogastronomia valtellinese e lombarda. Si candida a essere inoltre parte integrante del turismo intelligente, strumento necessario per la tutela del territorio salvaguardandolo da frane e inondazioni. Considerazioni che si riflettono nella società valtellinese, dove non esistono quasi fughe dall’agricoltura, ma la determinazione a volere superare i grandi svantaggi competitivi di cui soffre la montagna.
Una sfida quotidiana Anche in provincia di Imperia la viticoltura eroica è un’opera d’arte e fattore chiave per la tutela del territorio. Ma soprattutto elemento cardine di sviluppi economici attuali e futuri nel campo agricolo e turistico. Le aree dove è tangibile il valore della viticoltura sono Pornassio e Dolceacqua dove l’entroterra fatto a scalini si è presentato per secoli con colture variabili in base alle altimetrie: più in basso l’olivo, sui crinali frumento e altri cereali e in mezzo la vite. Le viti sono coltivate in zone impervie, dove tutte le operazioni indispensabili al mantenimento delle piante sono obbligatoriamente manuali. Ciò ha comportato spesso il rischio di abbandono di zone terrazzate che richiedevano la sostituzione di viti arrivate alla fine del
La viticoltura eroica ottiene in Valtellina una delle massime espressioni nel nostro Paese: la realizzazione dei muri a secco in sasso che trattengono i ronchi vitati è uno dei fattori caratterizzanti questo angolo di Lombardia, con uno sviluppo lineare stimato in 2500 km aprile 2014
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ciclo produttivo. In effetti non si può nascondere l’evidenza: la viticoltura eroica ha segnato negli ultimi anni anche nel Ponente ligure una riduzione della superficie e quanto è stato abbandonato non è più facilmente recuperabile anche perché è stato occupato rapidamente dalla macchia boschiva.Tuttavia la viticoltura rimane il riferimento dell’agricoltura di queste colline e il lavoro sui terrazzamenti rappresenta la risposta più diretta alla sfida occupazionale. Infatti la riconoscibilità dell’Ormeasco, il vitigno più diffuso a Pornassio, una varietà simile al Dolcetto acclimatatosi già nel Cinquecento su questi declivi, e del Rossese a Dolceacqua, li rende particolarmente apprezzati e ricercati.
Con la sola forza delle mani
Vera opera d’arte e fattore chiave per la tutela del territorio, la viticultura eroica si pratica anche nella provincia di Imperia e a Ischia, in zone impervie, dove tutte le operazioni indispensabili al mantenimento delle piante sono obbligatoriamente manuali Salute dell’uva… e dell’uomo! Anche il turismo, specie quello termale, ha approfittato a Ischia della bellezza delle straducce ben delimitate dai muri a secco, detti parracine, composti da tufo e che compongono le balze tagliate a scaloni dando alle campagne ischitane un pregio ornamentale. Così la particolare condizione climatica, caratterizzata da venti che in inverno sono libeccio e scirocco e d’estate tramontana e grecale, e un’umidità media del 63%, che risultano particolarmente piacevoli al turista termale, sono utili anche alle vigne che descrivono il paesaggio dell’isola a cono, tra le più note a livello internazionale, esempio di intramontabile mondanità.
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Anche sull’isola d’Ischia la viticoltura è stata per lunghi periodi alla base dell’economia, condizionandone la vita e i costumi degli abitanti. Le colture sull’isola si estendono dalle coste fin sugli irti pendii montani dove cellai e terrazzamenti, costruiti con rinforzi di muri a secco di pietra di tufo verde, hanno permesso di esportare vini bianchi- dal mare verso la terraferma sin dal Cinquecento. Apposite barche a vela, le vinacciere, si utilizzavano allo scopo. Anche questo è il contesto culturale e ambientale della viticoltura eroica dove le attività sono assai poco meccanizzabili e il vignaiolo è costretto a quadruplicare le ore di lavoro degli omologhi colleghi che operano nelle condizioni favorevoli della collina e della pianura. In verità da metà degli anni Cinquanta il cambiamento dell’economia isolana è stato radicale e il rapido sviluppo del turismo, che è diventato la principale risorsa di Ischia, ha indebolito solo in parte il passato della tradizione agricola. Anche grazie al riconoscimento della Doc, la seconda in ordine di tempo di tutte le Doc italiane, avvenuta nel 1966. La superficie vitata rimane così assestata intorno ai 500 ettari e si caratterizza per uve autoctone come la Biancolella, la Forastera, la San Lunardo e la Arilla a bacca bianca, il Piedirosso, la Guarnaccia e il Guannamelu a bacca rossa.
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Spiriti vulcanici
l’unicità dei vini che la denominazione rappresenta dipenda proprio dalle diverse profondità da cui la lava proviene. Sono vini dalla forte personalità, quelli siciliani, nati tutto attorno E che segna indelebilall’Etna. Esprimono la forza di quei luoghi, la passione mente gli appezzamendi chi li lavora e i contrasti di una terra inondata di luce quasi tutti ti in cui la vite è allevata. i giorni dell’anno, bagnata dalle acque del Mar Jonio e solcata Qui la viticoltura pare da eruzioni incandescenti e spettacolari colate di lava godere di buona salute, visto che la richiesta dei di Riccardo Lagorio Cosa c’è di più originale e miracoloso di un diritti d’impianto ha avuto un’autentica esplovino che nasce dalle bocche di fuoco di un sione negli ultimi cinque anni e i vigneti stanno vulcano? Ne sanno qualcosa in Sicilia, alle fal- ridisegnando il paesaggio. Una Doc di vecchia de dell’Etna, dove quella di “sud” è solo una fi- data, riconosciuta già nel 1968 e rimasta pratigura retorica di carattere geografico. Infatti da camente intatta da allora per quanto riguarda queste parti clima e piovosità sono molto più i vitigni: Cataratto, Carricante e Minnella quelSicilia simili a quelli che si trovano a Londra che non li a bacca bianca; Nerello Mascalese e Nerello Vulcano Etna a Malta. Terra unica per sbalzi climatici, sto- Cappuccio a bacca rossa. «Si tratta di vitigni caria, cultura. E lava.Tanto che Giuseppe Manci- pricciosi, sfuggenti e fascinosi» dice Mancino. E no, il presidente dell’Etna Doc, è convinto che che danno vini di straordinaria longevità grazie
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Visto da qui...
Per ammirare il Vulcano in tutta la sua maestosità, salite al Castello di Castiglione di Sicilia e affacciatevi alle sue tante bifore a ogive. Fatelo magari ad aprile in una giornata di sole: lo si scorge con ancora la cima innevata, splendido a dominare su vigneti e noccioleti. Immensi i panorami che si hanno a Piedimonte Etneo dove in località Vena si trova la preziosa icona greca della Vergine con Bambino, forse dell’VIII secolo, su tavola di cedro del Libano; incantevoli infine le prospettive che si godono da Milo, fondato da Giovanni d’Aragona nel Trecento, verso i Peloritani, il mare di Reggio Calabria e l’Etna.
vuol dire anche sabbioso, con ceneri molto fini, a elevata permeabilità e scarsa fertilità. Sui sedimenti da eruzione si creano perciò, tra i 400 e i 1000 metri di quota, le condizioni per ottenere uva di grande predisposizione a essere vinificata. Le escursioni termiche giornaliere, anche di 25 gradi, fanno il resto. Per questo l’Etna è un vero e proprio laboratorio a cielo aperto, concentrato nel versante nord del vulcano, dove si sperimenta anche il Pinot nero, ma dove il vitigno per eccellenza rimane il Nerello mascalese, perfino spumantizzato.Vini, va da sé, di grande personalità, che esprimono la forza dei luoghi, la passione di chi li lavora e i contrasti di una terra inondata di luce quasi tutti i giorni dell’anno, bagnata dalle acque del Mar Jonio e solcata da colate di lava. Etna è perciò anche paesaggio I terreni pietrosi tutto intorno. Se infatti si desidee scoscesi dell’Etna ra percorrere un itinerario a meimpongono tà tra mare e montagna, la Mareuna diffusa opera monti cade all’uopo. Salendo da di dissodamento Riposto verso Sant’Alfio, i fruttee di costruzione ti e gli oliveti proiettano il visitadei muretti tore in un’atmosfera rigenerante a secco di pietra lavica, monumentali e lo accompagnano tra Viagrande alla ricchezza di fosforo, magnesio terrazzamenti e Trecastagni, per concedersi infie potassio dei suoli, che si trasferiper i vigneti ne una sosta nelle cantine dei due scono nei calici donando mineraliComuni etnei. Una volta tanto ha tà e acidità inaspettate. Valutazioinfine un senso anche l’aggettivo unico. È infatni positive e ben fondate le avevano date anche ti esperienza unica prendere la funivia al Rifugli antichi, tanto che le viti vengono raffigurate gio Sapienza dopo essersi preparati nello zaino sulle monete a partire dal IV secolo a.C. e i loro una bottiglia di Etna Doc per stapparla accanto vini sono cantati dal poeta siracusano Teocrito ai crateri. Originale e miracoloso, no?! nel III secolo. Del resto l’Etna non è solo vino, ma è culla di arte e storia.
Laboratorio a cielo aperto Non v’è dubbio inoltre che questa terra, grazie ai suoi curati terrazzamenti e al suo continuo rigenerarsi attraverso le eruzioni vulcaniche, si concili con un modello di natura selvaggia e intonsa, solo parzialmente domata dall’uomo. Un terroir quindi che riporta alla memoria l’immagine della rabbia della terra addomesticata dal viticoltore per averne vini di salda struttura e completezza. Ma terreno vulcanico
In apertura, i vigneti dell'Etna e qui uno scorcio del Castello di Castiglione di Sicilia con il vulcano all'orizzonte
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Calabria
Reggio Calabria
Tutta l’essenza della Calabria di Rosario Previtera
Ha la misteriosa proprietà di mettere di buon umore, il bergamotto. O per lo meno così dice chi lo conosce bene e gode da sempre dei suoi freschi e rilassanti profumi. Siamo nell’area jonica reggina dove il principe degli agrumi ha avuto i suoi natali, e dalla quale è partito alla conquista del mondo 98
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Lo chiamano “l’oro verde”, a rimarcare la grande importanza che, fin dal ’700, ha rivestito nell’economia del suo territorio. È il bergamotto di Reggio Calabria, nome con cui è conosciuto da tutti il Citrus Bergamia, uno straordinario agrume tipico dell’estrema punta dello Stivale (pare sia addirittura una varietà autoctona, coltivata da queste parti già nel XIV secolo) e apprezzato per il suo olio essenziale – che si fregia anche del marchio Dop – molto richiesto nella cosmesi e nella farmacopea, così come per le sue proprietà disinfettanti, antisettiche, cicatrizzanti e altamente curative. Gli spiritàri, anziani estrattori locali della sua essenza artigianale, amano ripetere che il bergamotto possiede potere energizzante e al contempo rilassante, ma soprattutto che «ha la capacità misteriosa di mettere di buonumore», oltre che proteggere dalle malattie più comuni. È fin dall’epoca del Re Sole che la sua essenza è protagonista indiscussa dell’industria profumiera europea e mondiale, per la sua esclusiva virtù di fissare le altre essenze e di esaltare il
Bergamotto in tour nello Stivale Una giornata a Milano dedicata interamente al bergamotto. E non solo. L'agrume reggino, di recente, è stato riscoperto e messo al centro di una vera e propria "strategia nazionale di valorizzazione" da parte dell’assessorato provinciale all’Agricoltura della Provincia di Reggio Calabria. L’assessore al ramo Gaetano Rao e il presidente della Provincia Giuseppe Raffa si sono imposti infatti di sostenere la filiera del bergamotto a partire dalla componente produttiva della filiera, con il Week end del bergamotto e il Bergamotto in tour. Un modo per attrarre flussi turistici attorno a questa risorsa agrumicola ma anche per andare oltre in maniera originale e innovativa: con il Bergamotto day infatti ci si è posti l'obiettivo di far conoscere e apprezzare il prezioso agrume e il suo succo anche a Milano, in occasione dell'ultima Bit, presso la catena di supermercati Eurospin e presso il VdG Market, lo shop di Cernusco sul Naviglio. Grande successo, oltre al succo e alle pietanze a base di bergamotto preparate dallo chef Pierluca Valsecchi, ha ottenuto nell'occasione l’aranciata al bergamotto: la spremuta definita “la bevanda della salute che fa bene al cuore”. Grazie alla Provincia di Reggio Calabria, il bergamotto, assieme alle aziende agroalimentari di eccellenza del territorio, continuerà a farsi apprezzare lungo lo Stivale in occasione di altri eventi fieristici importanti: il Salone di Origine presso la Fiera di Vita in Campagna a Montichiari (Bs) e Sol&Agrifood a Verona contestualmente al Vinitaly 2014.
Uno dei momenti di valorizzazione del bergamotto organizzati dall'assessorato provinciale all’Agricoltura della Provincia di Reggio Calabria
L’essenza e il succo di bergamotto aiutano ad abbassare colesterolo e trigliceridi, a regolare la pressione e diminuire la glicemia nel sangue. Sono inoltre concentrati di antiossidanti, minerali, vitamine e circa 300 molecole utili all’organismo bouquet dei profumi. Gli agricoltori del versante jonico reggino, da generazioni, si dedicano a questa produzione “calabrese doc” e davvero unica nel suo genere, coltivandone le varianti Fantastico, Castagnaro e Femminello su più di 1.000 ettari per destinare il prodotto sostanzialmente all’industria di estrazione dell’essenza.
Elisir di lunga vita Da un decennio, tuttavia, la filiera produttiva e della trasformazione si è sensibilmente estesa verso la gastronomia e, come già detto, la cosmesi e la farmacopea. Importanti studi clinici e ricerche universitarie italiane ed estere, hanno confermato infatti le innumerevoli proprietà del bergamotto e del suo succo. Un vero elisir di lunga vita, confermano gli esperti: l’essenza diluita e soprattutto il succo in purezza abbassa il colesterolo e i trigliceridi, regola la pressione arteriosa, diminuisce la glicemia nel sangue ed è un concentrato di antiossidanti, di minerali, di vitamine e di
circa 300 molecole utili all’organismo umano e dalle proprietà “miracolose” più disparate. I prodotti a base di succo, di essenza e di buccia di bergamotto sono centinaia (dolci, caramelle, biscotti, confetture e marmellate, condimenti, conserve, bibite, sciroppi e persino oggetti di artigianato) e risultano sempre più richiesti in gastronomia e in cucina, ispirando gli chef nella realizzazione di pietanze innovative ma anche interi (e profumatissimi) menu. Per saperne di più:
www.bergamottoday.it
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La collina del...
ciliegino di Piero Caltrin
Il pomodoro e Agromonte. Una storia d’amore e di passione tra il frutto più saporito e intenso della provincia iblea e una famiglia, quella degli Arestia, che da generazioni si dedica alla sublime arte conserviera. Una storia legata a doppio filo con quella di Chiaramonte Gulfi, il borgo più alto del Ragusano, dove il buon cibo è filo conduttore delle vicende dell’intera comunità 100
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Se l’Italia fu il primo paese europeo a conoscere il pomodoro – già nel 1839 il napoletano Don Ippolito Cavalcanti, nella sua Cucina Teorico Pratica propose di condire la pasta col pomodoro e spiegò la ricetta del ragù – con ogni probabilità la prima regione a innamorarsi della pianta fu la Sicilia. Tant’è che son sicule le ricette più antiche e i metodi più semplici per conservare il pomodoro: è noto che fin da tempi immemori, nell’isola, la pianta si appendeva al sole prima che maturasse, per poterla usare in inverno, oppure si faceva bollire il pomodoro tritato e senza semi e bucce, fino a ottenere un sugo denso che veniva essiccato, per diventare la famosa “conserva nera”. E se il pomodoro, in Sicilia, ha trovato una terra d’elezione, una delle sue varianti più famose, il “ciliegino” – piccolo, tondo, dolce di gu-
sto e dal caratteristico aspetto a ciliegia – è nella parte sud-orientale della Trinacria che ha messo radici talmente profonde da arrivare a identificare quel territorio con il suo nome e i suoi profumi. Proprio da lì – dove le prime coltivazioni di pomodoro risalgono agli Anni Venti e, fino agli Anni Cinquanta, furono impiantate soprattutto nei campi costieri, finché non nacquero le serre e si cominciò ad avviare la coltura protetta – il ciliegino è partito alla conquista del mondo, spinto, in questa irresistibile scalata, da uomini e aziende locali che, attraverso la sublime arte della conserva, ne hanno saputo esaltare il sapore sopraffino, la brillantezza, la polpa sugosa, le caratteristiche organolettiche. Una passione e una dedizione, quella dei coltivatori, che il frutto ripaga copiosamente, assicurando loro materia prima per tutto l’anno.
Il balcone della Sicilia Per provare a capire il legame, affettivo, viscerale, unico, che unisce il pomodoro ciliegino con le comunità ragusane, ci siamo spinti fino a Chiaramonte Gulfi, un borgo arroccato sulle colline iblee e definito “il balcone della Sicilia” per la sua posizione panoramica che volge da Gela all’Etna, da Caltagirone fino a Vittoria. Un paese di origini greco-romane ma con un nome che contiene in sé reminiscenze arabe e normanne, e che è sempre vissuto di agricoltura: qui il buon cibo da secoli è il filo conduttore delle vicende dei suoi abitanti (“qui si magnifica il porco” è scritto in una trattoria tradizionale), anche se a Chiaramonte in realtà non si viene solo per mangiare bene. Il paesaggio conserva ancora l’aspetto solare e i profumi intensi della Sicilia di un tempo e il centro medievale e i suoi tesori d’arte e di storia sono altre validissime ragioni per avventurarci a queste latitudini,
In questa immagine, il Santuario della Beata Maria Vergine di Gulfi a Chiaramonte Gulfi
Sicilia Chiaramonte Gulfi
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Il pomodoro non è l'unica ricchezza di Chiaromonte Gulfi. Qui, su questi altipiani si coltivano grano, vite, agrumi. E olio soprattutto. Un olio tanto buono da far perdere la testa, e aver meritato la Dop
Le colline che disegnano il territorio di Chiaramonte con gli antichi ulivi dai quali nasce un ottimo olio Dop
così come i suoi musei, tra i quali quello famoso dell’olio, che mette in mostra pezzi dal 1600 al Dopoguerra. È qui, a Chiaramonte, che hanno casa e bottega gli Arestia, una famiglia che al ciliegino ha votato la propria esistenza, mettendo su, mattone dopo mattone, un’azienda agricola, la Monterosso, che da piccola che era, oggi s’è fatta lustro nel mondo grazie alle virtù dei suoi straordinari prodotti. Quando intorno al paese era tutta una veduta di uliveti e pomodori, Marco, il più giovane degli Arestia, non era ancora nato. «Mio nonno me lo racconta sempre però che qui d’estate c’erano quasi cinquemila contadini a raccogliere i frutti della terra», ci dice mentre ci accompagna verso il centro
del paese per farci affacciare al “balcone di Sicilia” e mostrarci come da questo punto panoramico l’occhio riesce a spaziare dai boschi che circondano la cittadina, fino all’Etna. «Si arriva anche al mare d’Africa, quando la giornata è bella», assicura. Su questi altipiani oggi si coltiva ancora grano, vite, agrumi. «Ma il settore più rilevante – ci spiega ancora Marco – è quello delle serre, nelle quali si realizza una produzione di pomodori molto importante, quantitativamente e qualitativamente. Non si tratta però dell’unica ricchezza del paese: qui c’è anche un olio da far perdere la testa. Tanto buono da aver meritato il riconoscimento Dop».
Il Ciliegino, orgoglio rosso L’Arco dell’Annunziata, risalente al XIV secolo, è il passaggio che ci lasciamo dietro per instradarci tra le viuzze del centro storico, dove si respira ancora aria di Medioevo. Un filo di fumo profumoso ci solletica l’olfatto. Sembra salsiccia di maiale cotta sulla brace. «Niente A sinistra, la Fiat 500 dipinta a mano con temi folkloristici locali, simbolo di Agromonte
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Agromonte, analisi di un successo
In questa immagine, la famiglia Arestia al gran completo
«Ultimamente, la Salsa Pronta Agromonte ha meritato l’apprezzamento di un numero sempre crescente di consumatori – ci dice Giorgio Arestia, amministratore delegato dell’azienda – ed è stata protagonista di numerose iniziative e messaggi pubblicitari, tra i quali uno spot televisivo che racconta una Sicilia che sa essere moderna senza rinunciare alle sue tradizioni e ai suoi sapori. E tra le tradizioni, i sapori e i colori siciliani, ben rientra la Salsa Agromonte, che ha tutti i titoli per essere definita, come recita lo spot, “il ciliegino fatto salsa”». Fra i prodotti Agromonte risaltano la Salsa pronta di Pomodorino Ciliegino, confezionata nella tradizionale e caratteristica bottiglia di birra in vetro scuro, la Bruschetta di Ciliegino, la Bruschetta di Olive e Ciliegino, la Crema di Carciofi, la Crema di Olive e le confezioni di Pomodorino Semisecco. In pochi anni l’azienda ha saputo porsi all’attenzione del Dietro il brand, oggi leader nel mondo mercato mondiaper la produzione di salse di ciliegino, le grazie a proposte di eccellenza c'è l'impegno di due generazioni e a una provata di agricoltori che hanno saputo mettere competenza nel a frutto la conoscenza delle colture del territorio settore agroalimentare. «I nostri punti di forza – continua Giorgio Arestia – sono di meglio, dopo un ottimo piatto di spala struttura aziendale, il suo knowghetti alla salsa di ciliegino», aggiunge sorrihow e, naturalmente, le materie dendo il nostro giovane interlocutore. Già, prime», scelte tra le migliori che la terra siciliana può offrire. Inoltre, il ciliegino. Siamo qui per questo, ma quasi gioca un ruolo propulsivo la voglia ce lo eravamo scordati, tanto incantevole è di crescere e di migliorare, condivisa lo scenario tutt’attorno. Parlare agli Arestia da tutto il personale dell’azienda, la di ciliegino è come parlare a un bambino cui passione per il lavoro viene motivata col pieno riconoscimento dei di lecca-lecca. Gli occhi si illuminano e la meriti, a tutti i livelli, secondo il motmente vola. «Non è solo l’ingrediente printo: “l’azienda è di tutti e tutti socipale della nostra Salsa pronta di pomono importanti”. Conclude Giorgio Arestia, guardandoci orgoglioso. dorino, è il nostro vanto» gongola Carmelo, «Oggi esportiamo in Usa, Australia papà di Marco e degli altri tre fratelli che nel e molti altri paesi, ma il nostro le2000 hanno tirato su il marchio “Agromongame con il territorio resta solidiste”, nato dapprima per produrre semilavosimo, perché qui abbiamo le nostre radici, i nostri affetti e, soprattutto, rati per conto di importanti gruppi italiani, quel piccolo e meraviglioso frutto e poi confezionare prodotti finiti diretti al rosso che, non a caso, hanno chiaconsumatore.Alle spalle, un lavoro di almemato pomo d’oro».
no 50 anni e l’impegno di due generazioni. «Sì, è da quasi mezzo secolo che la nostra famiglia qui a Chiaramonte Gulfi ha cercato di mettere a frutto le conoscenze acquisite nel tempo sulle colture tipiche del nostro territorio, che può vantare una tradizionale vocazione agricola, perché ha un clima mite, che fa sì che il benessere dell’uomo sia in sintonia con l’equilibrio della natura – aggiunge Carmelo – Ogni componente della famiglia ha messo la propria dedizione e la propria creatività al servizio dell’impresa». E il risultato è di quelli straordinari: dall’incontro tra il gusto dolce, molto gradito ai bimbi, del pomodoro ciliegino e quello genuino di ingredienti come basilico, olio extravergine d’oliva e sedano, gli Arestia hanno tirato fuori prodotti straordinari. Coltivati tutto l’anno in serra, impollinati naturalmente sfruttando il lavoro delle api, i pomodorini Agromonte sono selezionati e raccolti manualmente e poi lavorati entro 8 ore dalla raccolta, in modo che possano conservare integre le loro peculiarità. aprile 2014
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Le ricette della signora Ida Il nostro breve tour a Chiaramonte, si conclude a casa Arestia. Qui, lontano dall’azienda, la regina del desco familiare è la signora Ida. È lei che ci suggerisce il modo migliore per gustare la Salsa di Pomodorino Ciliegino. «Perché è la semplicità che esalta i sapori» ci dice. «Non c’è nulla di meglio che riscaldare la salsa per un minuto in padella, salarla quanto basta, aggiungere gli spaghetti appena scolati e saltarli. Subito dopo, impiattare aggiungendo un filo d’olio delle nostre parti e una fogliolina di basilico». La signora Ida, la cui cucina è un vanto della famiglia Arestia, ci ha anche suggerito anche alcune ricette.
Involtini di melanzane con pomodorino semisecco e mozzarella Ingredienti per 3 persone: • 2 melanzane • mozzarella • Pomodorino Ciliegino Semisecco Agromonte • 100 ml di Salsa Pronta di Pomodoro Ciliegino Agromonte • olio evo, sale, basilico
Lasagne alla norma Variazione sul tema della tradizionale pasta siciliana
Ingredienti per 6 persone: • 12 sfoglie di lasagne secche • Salsa Pronta di Ciliegino Agromonte (due bottiglie da 33 ml) • 2 melanzane • ricotta salata grattugiata • 800 gr di ricotta vaccina • 150 ml di latte fresco • aglio, noce moscata • olio evo • sale, pepe
Preparazione: In una pentola mettere un filo d’olio, uno spicchio d’aglio, e versare la Salsa Pronta di Ciliegino Agromonte; salare, pepare e far cuocere per un minuto. Lavare le melanzane, tagliarle a fette spesse 1 cm, grigliarle fino a dorarle, poi tagliarle a cubetti. In una ciotola mescolare con una frusta il latte e la ricotta vaccina fino a formare una crema; salate, pepare e spolverare un po’ di noce moscata. Prendere una pirofila, stendere uno strato di salsa, condire con l’olio, stendere uno strato di sfoglie e proseguire con uno strato di salsa, la crema di ricotta, le melanzane a cubetti; distribuire un po’ di ricotta salata grattugiata e proseguire con un altro strato di sfoglie, alternando gli strati fino a terminare con uno strato di melanzane e ricotta salata. Cuocere in forno a 220° per 15-20 minuti.
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Preparazione: Lavare le melanzane e tagliarle per il verso della lunghezza a fette spesse circa 1/2 cm. Metterle in uno scolapasta cospargendole di sale grosso in modo da far perdere l’amaro. Dopo una mezz’oretta sciacquarle, strizzarle e asciugarle bene. Friggere da entrambi i lati in olio di semi bollente quindi metterle ad asciugare su un foglio di carta assorbente. Stendere ogni fetta su un tagliere, adagiare su ciascuna fetta la mozzarella a fettine, il basilico a pezzetti e 2 pomodorini ciliegini semisecchi centrali. Arrotolare le melanzane e fermare gli involtini con due stuzzicadenti. In una padella scaldare la Salsa Pronta di Pomodoro Ciliegino, regolare di sale se necessario, adagiare gli involtini e farli insaporire con il pomodoro mentre si scioglie la mozzarella.
di Antonio Romeo Docente istituto alberghiero IPSSEOA di Soverato (Cz)
il buono a tavola
L’ingrediente segreto... Un’alleanza antica, quella tra il vino e il cibo, che genera condivisione e allegria. La stessa che si crea durante l’elaborazione di un piatto, dove il nettare di Bacco diventa valore aggiunto, esalta i sapori e infonde personalità. Come avviene per il brasato con i vini corposi, o per le carni bianche, i risotti e il pesce con i vini delicati dall’acidità equilibrata, o quelli aromatici nella preparazione di biscotti e dessert
fano, cannella e un pizzico di sale; cuocere al dente. In una padella antiaderente calda, appoggiare i due petti d’oca insaporiti dalla parte della pelle e cuocerli a calore basso per 10 minuti; girare e proseguire per altri 7-8 minuti. Tenerli quindi in disparte al caldo. Nella casseruola del fondo di cottura del petto filtrare il liquido delle pere, aggiungere, se serve, del brodo vegetale e tirare la salsa. Tagliare a fette il petto d’oca, tagliare a metà le pere e tagliarle poi a fette. Disporre due cucchiaiate di fondo di cottura al vino rosso nel fondo del piatto e poi intervallare le fette di petto d’oca e di pera; guarnire con foglioline di menta fresca.
Pere cotte nel vino Schiaccia briaca Dolce tipico dell'Isola d'Elba Ingredienti: • 300 gr di farina • 50 gr di uvetta • 50 gr di pinoli • 50 gr di mandorle • 50 ml di olio di semi di mais • 1 bicchiere di Aleatico Preparazione: Mescolare in una ciotola la farina con la frutta secca, lo zucchero e aggiungere l'olio e l'Aleatico. Impastare il tutto, sistemando il composto in una teglia con carta forno. Se si sbriciolerà non preoccupatevi! Pressatelo bene e infornate a 180° per 40 minuti. Dopo un quarto d'ora circa toglietelo dal forno, cospargete la superficie di zucchero semolato e bagnate con Aleatico. 106
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Petto d’oca con pere al Merlot Ingredienti: • 1 petto d’oca intero (600 gr ca.) • 2 pere tipo Decana • 1 bicchiere di vino Merlot • 1 cucchiaio burro • 4 chiodi di garofano • un pezzetto di cannella • la buccia di mezzo limone • brodo vegetale • foglie di menta • sale e pepe Preparazione: Dividere in due i petti dell’oca con tutta la pelle, insaporire con sale e pepe e lasciare i petti a insaporire per almeno mezz’ora. Pelare le pere, togliere il torsolo e sistemarle in una casseruola con vino rosso, buccia di limone, chiodi di garo-
In Piemonte, dopo un pasto abbondante a base di bollito o di fritto misto, è cosa gradita offrire, al posto del dolce, una pera lessata nel vino. Ingredienti: • 800 gr di pere Martin Sec o Madernassa • 1 bottiglia di Nebbiolo • 15 chiodi di garofano • 150 gr di zucchero • una stecca di cannella Preparazione: Portare a ebollizione il vino rosso coi chiodi di garofano, la cannella e lo zucchero. Immergervi le pere, ben lavate e asciugate, e cuocerle per 45 minuti circa. Di tanto in tanto scoperchiare per controllare il livello del vino che deve coprire le pere. A fine cottura, togliere le pere e condensare il vino a sciroppo. Questo sciroppo servirà da guarnizione al piatto. Servire freddo.
orto dei semplici
di M. Pia Fanciulli
Coltiviamolo così Posizione soleggiata e buon terriccio faranno il successo della nostra semina. Tra i nemici da evitare il vento e un eccesso di acqua che richiede solo in caso di prolungata siccità. I vasi e il terriccio Alla portata anche dei meno esperti, l’aglio in vaso vuole del terriccio ben concimato in cui mettere a dimora i bulbilli. Se si utilizzano i vasi di coccio o di plastica, dovranno avere il diametro di almeno 30 cm ed essere profondi altrettanto; collocare in punti del balcone soleggiati ma riparati dal vento. La semina Niente di più facile. Seminare l’aglio vuol dire conficcare senza spingerli gli spicchi, bulbilli, con la punta rivolta verso l’alto, nel terreno, in luna calante, a 3-4 cm di profondità, a ottobre o da gennaio fino ai primi giorni di aprile. In un vaso se ne possono mettere tre. Mentre per la semina in terra, bisognerà lasciare tra uno spicchio e l’altro 1012 cm di spazio. Richiede annaffiature moderate ma frequenti sarchiature.
Il decano degli “odori” Un orto non sarebbe degno di esser chiamato tale se mancasse l’aglio. E anche la cucina, dove le sue bianche gemme entrano nei piatti più diversi, lo celebra quale ingrediente irrinunciabile. Siamo ancora in tempo per seminare questo “focoso” ortaggio: pure sul balcone Che per rendere meno forte l’odore sulfureo dell’aglio dovesse essere piantato nei giorni in cui la Luna si trovava “sotto terra”, ovvero in quelli di Luna nuova, lo diceva già Plinio nel I secolo d.C. Di lì, l’Allium sativum, pianta bulbosa tra le più note e familiari al mondo, di strada ne ha percorsa tanta, fino a divenire specie assai “virtuosa”, e non solo in cucina. Dotato di grandi pregi, lo si attaccava un tempo sulla porta di casa per tenere lontani vampiri e streghe. Mentre un’altra usanza era quella di acquistarne le trecce nel giorno di San Giovanni, il 24 giugno, perché la benedizione del santo avrebbe tenuto lontana la miseria. Originario dell’Asia dove era già coltivato 5000 anni fa, l’aglio è pianta erbacea annuale rustica che raggiunge un’altezza di 60-80 cm, di cui si mangiano i bulbi. Della famiglia delle Gigliacee, 108
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propone a giugno i suoi fiori piccoli e di colore biancastro, verdastro o rosato, riuniti in ombrelle tondeggianti. Ma è sul finire dell’estate, quando le giornate si fanno più corte e la luce più bassa, che questo grande protagonista degli orti si impone tra le prime semine autunnali, oppure a fine inverno, supportato dalle energie della bella stagione. Chi pensa infine che la distinzione tra bianco, rosa o rosso sia una mera questioni estetica si sbaglia di molto. Si tratta infatti di una vera e propria sequenza di varietà a cui corrispondono profumi, aromi e sapori e persino tempi di semina diversi. Fra i tre, il più coltivato è senz’altro il bianco, che è anche quello maggiormente destinato alla conservazione. E se il rosso di Sulmona è quello del sapore più aggressivo, particolarmente delicato è infine l’aglio rosa, tipico delle zone del sud.
Punti deboli Nemico numero è la ruggine dovuta a un fungo che si elimina trattando con poltiglia bordolese. Per evitare invece il marciume dei bulbi, non annaffiare troppo ed evitare terreni ricchi di humus o fertilizzati di recente. In caso di attacco di insetti, bruciare le foglie colpite. Buono a sapersi L’aglio può essere un imbattibile antiparassitario se coltivato accanto ad altre piante. Fatto crescere vicino agli alberi da frutto, agli ortaggi, in particolare le fragole, e sotto ai cespugli di rose, si rivelerà di grande efficacia nel tenere lontani gli afidi. Preparandoci invece un infuso, l’aglio si rivelerà assai utile contro l’oidio o mal bianco. Raccolta e conservazione Sono le foglie a dare il segnale per il momento della raccolta. Quando diventano gialle, a luglio-agosto, si procederà a estrarre i bulbi, evitando però di tirarli per il gambo: è preferibile sollevarli da sotto con una palettina e lasciarli asciugare per 2 o 3 giorni. Le teste si possono disporre su cesti, in un unico strato, o annodate a mazzi o a trecce e appese in luoghi freschi e aerati.
I prodotti Terrae Luni sono preparati in modo artigianale, nel rigoroso rispetto della più genuina cucina pontremolese
Nel nostro laboratorio tutto avviene come in un antico rito, lentamente viene colata sui testi roventi la profumata pastella che dà vita ai Testaroli di Pontremoli, primo piatto principe delle specialità del luogo, che prende il nome dai “testi” usati per la tradizionale cottura sotto le ceneri. I nostri prodotti conservano tutto il profumo dell’antica terra di Lunigiana e si impongono a salvaguardia di un patrimonio prezioso, interpretando l’identità della nostra buona cucina. Terrae Luni è il simbolo di questa tradizione che sempre fa della qualità il suo fondamentale valore. Lunigiana Preziosa area artigianale S. Giustina Pontremoli (Ms) Tel. 0187831459 www.terraeluni.it
dulcis in fundo
di Iginio Massari
Rinascite... di cioccolato
Nelle cucine sbocciano uova colorate, mentre una brezza vivace accompagna il volo delle colombe. È Pasqua, finalmente. E con questo ritorno alla vita, l’anno si può dire finalmente iniziato davvero (per golosi e pasticceri, soprattutto!) Nel chiuso dei laboratori artigianali, nel retro delle pasticcerie d’Italia si lavora a ritmo incessante sin dall’inizio di gennaio. Già tre mesi prima della Pasqua, si confezionano uova, si lavora il cioccolato, si scelgono incarti, sorprese, grandezze e pesi. Poi arriveranno le colombe e le torte. Con la Pasqua riprende dunque alla grande il commercio dei dolci: è come se fosse questo il vero Capodanno di tutti i pasticceri. Ma perché l’uovo? Per gli orientali, per i Greci e i Fenici, molte divinità nascevano proprio da un uovo; mentre da un uovo cosmico gli Egizi immaginavano uscisse tutto il creato. Inizia dunque in Oriente lo scambio di uova beneaugurati, simboli di vita, di fertilità, di rinascita. Il mondo cristiano, che spesso si appropria di antichi riti pagani, le associa infine alla Pasqua di resurrezione, trionfo della vita sulla morte. Uova, quindi, ma a lungo di gallina. Per trovarne di cioccolato bisogna attendere non solo la scoperta del Nuovo Mondo, ma addirittura il Settecento, con i maestri pasticceri della corte di Versailles. Sono loro a “costruire” le prime uo-
“Pasqua de resurrezion, se mangia l’uovo per devozion”, recita un antico detto genovese
Libera e bella, come una donna Perché uno dei dolci simbolo della Pasqua ha le fattezze di una colomba? Le sue origini risalgono al tempo dei longobardi, quando l’esercito di Alboino assediò Pavia. Salito al trono nel giorno di Pasqua, il re pretese in "omaggio" dalla cittadinanza 12 belle ragazze. Prima però si fece avanti un pasticcere, che gli offrì un dolce a forma di colomba come simbolo di pace. Alboino, colpito dal gesto, promise, da quel momento in avanti, di avere il massimo rispetto per le colombe. Così, fu grande il suo stupore nello scoprire che le 12 ragazze, una volta interrogate, sostenevano tutte di chiamarsi Colomba! Fedele al suo impegno, non poté fare altro che rimandarle tutte a casa.
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va di cioccolato. Vuote, finché un bel giorno un uovo enorme, donato a re Francesco I, si scopre contenere un’incisione in legno raffigurante la passione di Cristo: è la prima “sorpresa” che la storia ricordi. Naturale: un simbolo di fecondità deve contenere qualcosa, avere una sua vita. È però nella Russia degli Zar che l’uovo si fa davvero prezioso grazie a un maestro eccelso, l’orafo Peter Carl Fabergé, un ugonotto francese trasferitosi alla corte di San Pietroburgo, che crea veri e propri gioielli, uova strepitosamente decorate, ricche di sorprese altrettanto bizzarre. Qualche esempio? Un pavone d’oro smaltato che fa la ruota o luminosi fiori di diamanti, rubini e smeraldi... Per molto meno, comunque, ancora oggi la ricerca della sorpresa ci fa tornare tutti bambini, desiderosi di sporcarci le mani di cioccolato, la “polvere degli dei”.
Etna, Etna, terra di ricchezze terra ricchezze Viv ila con di Cantine Russo terra di ricchezze Viv ila con Cantine Russo Viv ila con Cantine Russo
Scopri gli storici vigneti della famiglia Russo, attorniati da un paesaggio naturale unico, ai piedi del vulcano Etna, il piÚ grande vulcano attivo d'Europa. Durante la degustazione dei pregiati vini Scopri gli storici vigneti della famiglia attorniati da un paesaggio naturale unico, piedi dele autoctoni dell'Etna, si può godere di unRusso, panorama mozzafiato. A Sud Ovest, la vetta delaiVulcano Scopri gli storici vigneti della famiglia Russo, attorniati da un paesaggio naturale unico, ai piedi del vulcano il piÚdivisi grande attivo d'Europa. Durante la degustazione pregiati vini dalla parteEtna, opposta, dallavulcano Valle dell' Alcantara, i monti Nebrodi. Continuandodei ad Est, arroccavulcano il piÚ vulcano DuranteA la degustazione deidel pregiati vinie autoctoni dell'Etna, sigrande puòlagodere di unattivo panorama mozzafiato. Sud Ovest, la vetta Vulcano ta in cimaEtna, ad una collina, città Normanna did'Europa. Castiglione. autoctoni si puòdalla godere di dell' un panorama A SudContinuando Ovest, la vettaaddel dalla partedell'Etna, opposta, divisi Valle Alcantara, mozzafiato. i monti Nebrodi. Est,Vulcano arrocca-e dalla partead opposta, divisiladalla dell'Alcantara, i monti Nebrodi. Continuando ad Est, arroccata in cima una collina, città Valle Normanna di Castiglione. ta in cima ad una collina, la città Normanna di Castiglione.
Etna, land of richness. Live it with Cantine Russo Discover the historic vineyards surrounded by a unique natural landscape, located on the foothills of Europe's largest active volcano Mt. Etna. From the family run Cantine you can see the peak ofLive Mt. Etna to the south west andRusso on the opposite side, divided by the â&#x20AC;&#x153;The Valley of Alcantait with Cantine raâ&#x20AC;?, is the breathtaking view of the â&#x20AC;&#x153;Nebrodi Mountainsâ&#x20AC;?. Continuing east and perched atop a hillside, is the quant Normandy town of Live it with Cantine Russo Discover thedihistoric vineyards surrounded by a unique natural landscape, located on the foothills of Europe's largest active volcano Mt. Etna. â&#x20AC;&#x153;Castiglione Sicilia.â&#x20AC;? Discover the historic vineyards surrounded a unique located thethefoothills ofside, Europe' s largest active Mt.AlcantaEtna. From family runwhile Cantine you can see thebypeak Mt.natural Etnafrom tolandscape, theindigenous south west andononvarieties opposite divided by the â&#x20AC;&#x153;Thevolcano Valley of All thisthecan be seen tasting exceptional winesofproduced grape like Nerello Mascalese from one of Etna' s oldest From the family run Cantine you can see the peak of Mt. Etna to the south west and on the opposite side, divided by the â&#x20AC;&#x153;The Valley of Alcantaraâ&#x20AC;?, the breathtaking view ofRusso. the â&#x20AC;&#x153;Nebrodi Mountainsâ&#x20AC;?. Continuing east and perched atop a hillside, is the quant Normandy town of wineismaking families Cantine raâ&#x20AC;?, is the breathtaking â&#x20AC;&#x153;Castiglione di Sicilia.â&#x20AC;? view of the â&#x20AC;&#x153;Nebrodi Mountainsâ&#x20AC;?. Continuing east and perched atop a hillside, is the quant Normandy town of dialseen Sicilia.â&#x20AC;? All this can be while tasting exceptional wines produced from indigenous grape varieties like Nerello Mascalese from one of Etna's oldest Siamoâ&#x20AC;&#x153;Castiglione presenti Vinitaly 2014 All this can be seen while tasting exceptional wines produced from indigenous grape varieties like Nerello Mascalese from one of Etna's oldest wine making families Cantine128/I Russo. Padiglione 2 Sicilia stand. wine making families Cantine Russo.
Vini di Sicilia dal 1860
Etna, land of richness. Etna, land of richness.
Piaceri Piaceri 114 116
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114 I piaceri di Bacco
Vino e vetro: una lunga, infinita storia d'amore che va avanti da oltre mille anni
116 Le mani raccontano I fratelli Pino e Mimmo Li Causi, gli ultimi mastri bottai rimasti in Sicilia
da pag. 122 Rubriche
• Il Ristorante • Bellezza&Benessere • Compagne di strada • Libri letti per voi • Shopping
118 L'Italia in mostra: Foligno Arte e architettura contemporanea vestono di nuovo la "Rosa dell'Umbria" aprile 2014
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ipiaceridiBacco
Vino e vetro, il matrimonio continua È un amore che dura felice da oltre un millennio quello tra la bottiglia e il profumato frutto della vigna. Una relazione che si alimenta negli anni, permettendo alla prima di sbizzarrirsi in forme e dimensioni sempre nuove, e al secondo di mantenere inalterata la sua gamma di sfumature, senza chiedere di più di Paola Cambria 114
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Affondano a Venezia nel 982 le radici della bottiglia di vetro. È la Serenissima infatti che custodisce il più antico documento che faccia riferimento a quest’arte in merito alla donazione del Doge Tribuno Menio dell’isola di San Giorgio ai Benedettini. Testimone dell’atto, un tale Domenico Fiolario, il cui cognome fa già diretto riferimento al vetro: fiolario infatti deriva da fiola, che indica un “recipiente da liquidi a collo stretto”. In quell’epoca, a Venezia, era infatti già vivace la produzione del vetro, sempre più sofisticata e protetta dall'autorità dei Giustizieri Vecchi, che avevano il compito di sorvegliare e proteggere le belle ed eleganti bottiglie di Murano. Come vedremo però, molte delle bottiglie più celebri sono nate in Francia, non senza che i veneziani ci mettessero lo zampino. Furono infatti emissari di Luigi XIV a convincere alcuni mastri vetrai a spostarsi Oltralpe per insegnare la loro arte nella prigione dorata di un castello.
A testimonianza di questo incontro, Voltaire scrive: “a partire dal 1666 vennero realizzati in Francia vetri belli come quelli di Venezia, che fino ad allora aveva fornito tutta l’Europa”. Dunque, mentre Murano proseguiva comunque nella sua produzione di raffinate bottiglie, come quella dipinta dal Caravaggio nel suo Bacco conservato nella Galleria degli Uffizi, si andava sviluppando anche un altro grande classico della bottiglieria italiana: il fiasco toscano – che nel 1574 fu normalizzato a 2,28 litri e che veniva marchiata a piombo contro le contraffazioni – ben rappresentato da Botticelli nel Banchetto per Nastagio degli Onesti.
Quelle francesi tutte curve Nei secoli, ovviamente, mode e modelli si sono evoluti, ma costante è rimasto l’amore tra il vetro e il vino, del quale la bottiglia conserva inalterato nel tempo il gusto, senza alcun bisogno di trattamenti. Importante in
Vetro “vecchio” fa buon vino
La più grande bottiglia di vino prodotta industrialmente (non soffiata) è da 30 litri ed è prodotta dall’azienda Vetri Seciali a San Vito in Tagliamento (fonte Assovetro) questo senso il colore del vetro, con le tonalità scure che hanno la meglio – recentemente impiegate anche per i bianchi – perché in grado di proteggere il vino dalla luce. Tante le forme e i modelli, dicevamo, e a ognuna è riconosciuto una specifica ragione d’essere, una particolare storia. Come la Bordolese, originaria della zona di Bordeaux, la bottiglia più diffusa e utilizzata; è di forma cilindrica, con spalle alte e collo corto. Sempre di origine francese la Champagnotta, appositamente studiata per lo Champagne e gli spumanti metodo classico, costruita con un vetro più spesso rispetto alle bottiglie comuni per resistere alla pressione di CO2 tipica di questi vini. E se, come denuncia il nome, la Renana (o Alsaziana), con la sua forma allungata e affusolata, impiegata generalmente per la conservazione di vini bianchi, è originaria della zona del Reno e dell’Alsazia, dalla Borgogna arriva la Borgognotta, perfetta per la conservazione dei grandi vini di
Originalità o risparmio? Nei primi 11 mesi del 2013 la produzione italiana di contenitori in vetro è aumentata del 2,3% in volume, con le bottiglie per vino e spumanti che rappresentano circa la metà dei volumi (45%) per un valore di più di 2 miliardi. La tendenza in atto da parte dei produttori di vini è quella di richiedere da una parte bottiglie maggiormente differenziate per dare visibilità al vino soprattutto per le esportazioni (in Italia sono più di 1.500 i piccoli viticoltori che chiedono bottiglie originali), e dall’altra bottiglie di gamma più bassa per contenere i costi (fonte Assovetro).
questa regione, con il suo colore verde scuro o foglia appassita, la cui spalla pronunciata può essere utile per ostacolare la fuoriuscita di depositi durante la mescita. Arriviamo finalmente in Italia, dove a Sud è nata la “nera” Marsalese dalla forma cilindrica, le spalle pronunciate e il collo leggermente rigonfio, utilizzata per l’imbottigliamento del Marsala; e a Nord, in Piemonte (nella zona di Alba), l'Albeisa, utilizzata principalmente per l'imbottigliamento di vini rossi, e quindi prettamente di colore scuro. Come ogni pasto che si rispetti, concludiamo questa carrellata con un vino liquoroso, il Porto, la cui omonima bottiglia ha forma cilindrica, non molto alta e con spalle piuttosto pronunciate. Si presenta spesso con diverse tonalità di verde o marrone e viene impiegata anche per l'imbottigliamento dei vini di Jerez (Sherry) e Madeira. Per saperne di più:
www.assovetro.it www.friendsofglass.com/it
Foto Assovetro
Foto Assovetro
Dagli anni '90, all'attività di fabbrica delle bottiglie si è andata affiancando l'altrettanto importante attività di recupero e riciclo, che ha permesso di raccogliere il 68,3% delle confezioni in vetro consumate in Italia. Oggi, su 10 bottiglie per vino in vetro scuro 9 sono fatte con vetro riciclato, che ha le stesse caratteristiche del vetro costruito con materiale vergine e la fondamentale proprietà di conservare nel tempo i sapori voluti dall’enologo (fonte Assovetro).
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lemaniraccontano
Viaggio nel cuore di una botte Ci accompagna lungo la strada che l’ha portato a conoscere i Maestri Pino e Mimmo Li Causi, lo scrittore e wine lover toscano autore del volume “Gli ultimi bottai di Sicilia”. E lo fa raccontandoci l’arte, la tradizione e le atmosfere che ha scoperto e vissuto durante il cammino di Andrea Zanfi (testo raccolto da Eleonora Fatigati) Il mio viaggio in Sicilia comincia dal monastero dei Benedettini di Monreale. Un luogo di preghiera e meditazione, di stupore e meraviglia. Proprio qui, tra mosaici bellissimi e sculture, si trovano rappresentati i dodici mesi dell’anno, suddivisi secondo il ciclo delle stagioni. Simboleggiano la centralità delle attività nella società medievale attraverso la raffigurazione dei mestieri e delle pratiche culturali legate all’agricoltura e alla pastorizia di quei empi. A spiccare, nel mese di agosto, la raffigurazione di un uomo giovane e vigoroso che si appresta a colpire, con il mazzuolo impugnato nella mano destra, i cerchi che terranno saldamente unite le doghe di una botte che sta per ultimare. Settembre invece è un vendemmiatore intento a raccogliere in un tino i frutti della vite. Bottaio e vendemmiatore. Immagini antiche e strettamente connesse che sono state il punto di partenza del mio percorso. Con lo spirito di chi compie un viaggio nell’antica Grecia alla ricerca della figura dell’artigiano demiurgo, di colui che crea e dà forma, ho deciso di cercare quei bottai che conservavano ancora la voglia di persegui116
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In apertura il Maestro Giuseppe Li Causi nel suo laboratorio di Marsala
Per saperne di più:
www.marsalabotti.com
Stando accanto al Maestro bottaio ho compreso che quella che lui lavora non è solo una doga di legno ma la protagonista di una storia che magicamente si anima re la tradizione antica raffigurata sui capitelli del monastero di Monreale. Non ne trovai subito traccia, se non per un eccezionale esempio riconducibile alla famiglia Li Causi, a Marsala. Entrando in contatto con quel mondo ho scoperto quale significato avesse la parola Maestro e il motivo per il quale Maestro Pino e suo figlio Mimmo mettessero al centro del loro fare un semplice pezzo di legno.
Il pensiero, oltre la materia Ed è proprio da un pezzo di legno che voglio iniziare a raccontarvi il Mastro Bottaio, poiché è da quel materiale che egli crea storie. Per i Li Causi il le-
gno è sostanza da plasmare e trasformare, elemento cardine da cui partire. Hanno imparato a conoscerlo e selezionarlo, modellarlo e forgiarlo. Hanno compreso che il legno ha un’anima che si cristallizza al suo interno e racchiude le tecniche, i gesti, le conoscenze dell’universo culturale in cui è stato lavorato tanto come può esserlo una bottega artigiana, espressione tangibile di un linguaggio fortemente simbolico, connotato dalla ciclicità e dalla ritualità dei gesti trasmessi da una generazione all’altra di uomini che amano ciò che fanno. Realizzare una botte richiede la conoscenza del tipo di legno da utilizzare per la sua
costruzione oltre che il processo produttivo modulabile alle finalità, all’utilità, alle dimensioni e alla forma necessari al preciso scopo a cui essa è destinata. Una botte non è un semplice contenitore, ma un insieme di gesti; è l’espressione di un pensiero che travalica il concetto del manufatto fine a se stesso. L’oggetto-botte trasmette emozioni, suoni armonici e odori, oltre alla passione di un mestiere e di un’arte dal sapore antico. Grazie ai Li Causi ho scoperto le differenze di utilizzo del castagno o della rovere di quercia; i parametri utili per giudicare e identificarne la provenienza; l’età della pianta abbattuta e il vento che l’ha sferzata. I legni con cui sono fatte le botti ci parlano dei luoghi geografici e delle foreste da cui provengono, portano con sé le caratteristiche pedologiche e climatiche delle piante che li hanno generati e vengono analizzati per colore, taglio, presenza dei nodi, spessore e morfologia della fibra, per la porosità e idoneità a diventar botte. Poi non mi è stato più possibile considerare una doga di legno come un semplice oggetto; l’ho pensata invece con una valenza simbolica, in rapporto di equilibrio con gli elementi naturali quali l’acqua, l’aria, la terra e il fuoco che da esso si alimenta e dai quali è modellato. L’ho pensata come elemento naturale che trasformandosi acquista nuova vita e nuovi significati secondo un processo ciclico di nascita, morte e rinascita. Ma soprattutto ho imparato a considerarla come un importante compagna di viaggio per quel vino che vado cercando. aprile 2014
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Foligno, al centro del Contemporaneo di Gilda Ciaruffoli 118
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È stato inaugurato nel 2009 il Ciac di Foligno, bello spazio espositivo che, fino ai primi di maggio, ospita una mostra dedicata a Luciano Fabro. Ciac sta per Centro Italiano Arte Contemporanea: una presenza curiosa e “anomala” nel cuore dell’Umbria, potrebbe pensare chi della cittadina ha un’idea vaga; chi magari la conosce solo per quella suggestiva leggenda che la vuole “centro del mondo”, e non abbia mai avuto modo, in definitiva, di visitarla. Le cose però non stanno esattamente così.
Fabro, con una mostra dedicata, ma anche Fuksas e De Dominicis. Alcuni dei grandi nomi che hanno scritto la storia più recente di arte e architettura hanno lasciato un segno tangibile nella cittadina umbra, in un perfetto equilibrio di stili che ben si accorda con l’indole dei folignati, appassionati estimatori delle bellezze della propria terra, dallo sguardo però sempre rivolto al futuro
Foligno
Umbria
Sete di novità
Di monachelle, oli e tartufi
Da sempre importante snodo commerciale e cerniera tra Tirreno e Adriatico, Foligno spiazza infatti chi si aspetti di visitare un classico borgo umbro di quelli arroccati sul proprio colle, tutti vicoletti e atmosfere d’altri tempi. La Rosa dell’Umbria (i cui petali sono le vicinissime Assisi, Spello, Nocera, Trevi, Montefalco e Bevagna, da visitare), è infatti cittadina industriosa per tradizione. Adagiata su un terreno pianeggiante, attraversato da importanti corsi d’acqua, ha conosciuto un significativo sviluppo in passato proprio grazie all’attività di opifici che di quei fiumi sfruttavano l’energia, e a una serie fiere di grande richiamo; tutta racchiusa all’interno delle mura fino ai primi del ’900, è con l’arrivo della ferrovia e di una rinnovata ondata industriale, che Foligno esce dai suoi confini medievali e si sviluppa in quartieri dal gusto moderno, come dimostrano i deliziosi villini Liberty nei pressi della Stazione. Laboriosa, dunque, e con un ricco ceto medio, la città è da sempre percorsa da una sorta di ansia del nuovo, dal desiderio di rinnovarsi ma anche di mostrarsi al passo con i tempi. Con un interesse tutto speciale riservato all’arte. Non è un caso, per esempio, che nel 1967 è a Foligno che viene organizzata Lo spazio dell’immagine, esposizione che ha richiamato in città personalità del calibro dello stesso Fabro, Fontana, Dorfles, Pistoletto... segnando un punto di svolta fondamentale per l’arte contemporanea.
“Foligno da le strade inzuccherate” si scriveva di lei a metà ’500. Celebre ai tempi per i suoi confetti, oggi il suo territorio è noto principalmente per gli ottimi cereali e i legumi. Dal farro alla cicerchia all’antichissima roveja; ci sono poi i fagioli, di tutti i tipi, tra i quali curioso è il monichella, rinvenuto in un monastero della Valnerina e dall’aspetto simile a quello di una suorina col suo velo bianco e nero. Il tartufo, dal nero di Norcia e Spello al bianco, trifola e scorzone. Per non parlare di vino e olio. Passa da queste parti ad esempio la Strada del Sagrantino, intenso vino nero dai sentori di frutti rossi e cannella, che porta alla scoperta degli interessanti borghi limitrofi; l’olio è forte, leggermente piccante, nato da terre scoscese (la poco distante Bovara di Trevi custodisce un ulivo millenario ancora produttivo). Da provare infine il piccione ripieno alla folignate. aprile 2014
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l’italiainmostra
Scelti per voi dove mangiare Tenuta San Pietro a Pettine Imperdibile per gli amanti del tartufo (che s'innamoreranno della panna cotta al tartufo bianco) in un contesto di grande suggestione. Menù degustazione: 30/35 euro (mercoledì e giovedì: 25 euro) Loc. San Pietro a Pettine - Trevi (Pg) Tel. 0742.386637 www.sanpietroapettine.it Le mura Abiente rustico e cucina della tradizione. Prezzo medio: 30 euro Via Bolletta, 27 Tel. 0742.354648 www.albergolemura.com
dove dormire Relais Metelli Raffinato design contemporaneo nel contesto di una palazzina Liberty. Doppia da 129 euro Viale Mezz’etti, 19 Tel. 0742.344774 www.relaismetelli.it Borgo La Torre Dimora storica con 8 appartamenti. Chiedete alla signora Rita di raccontarvi le bellezze del territorio, non rimarrete delusi! Appartamento per due persone: 90 euro Località Acqua Santo Stefano (Pg) Tel. 0742.633018 www.borgolatorre.com
dove comprare La bolognese Laboratorio di pasta fresca artigianale, da visitare per acquistare i tipici cappelletti e scambiare quattro chiacchiere con il gentilissimo proprietario, il signor Giovanni. Via Ferrero, 78 Tel. 0742.344396
A destra due tavole della serie Macchie di Rorschach, del 1976. Foto: Annalisa Guidetti e Giovanni Ricci, Milano
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Una calamita per l’arte E i segni di questo amore – così insolito all’apparenza – si trovano a Foligno dove meno ce li si aspetta. Come nei tratti austeri e nelle trasparenze nette come tagli nel cemento, della chiesa firmata da Fuksas, o nella perfetta simbiosi tra l’ex chiesa della Santissima Trinità e lo "scheletrone" di De Dominicis, quella Calamita Cosmica tanto affascinante e controversa, che sembra aver trovato qui la sua sede ideale. La chiesa sconsacrata si trova poco distante dalla splendida Piazza della Repubblica, con il Duomo dalle due facciate in marmo rosa del Subasio (notate i grifi perugini a testa bassa, segno di una “certa rivalità” tra le due città) e l’infilata di splendidi edifici che vi si affacciano tra i quali impossibile non citare Palazzo Trinci, sede tra l’altro della Pinacoteca, e palazzo Orfini, dove nella seconda metà del ’400 venne stampata la prima edizione della Divina Commedia. La ricorrenza viene celebrata ogni aprile con eventi dedicati, mentre giugno e settembre sono i mesi della Quintana. Tra i grandi nomi che hanno lasciato un segno a Foligno, Nicolò di Liberatore detto l'Alunno, e Giuseppe Piermarini, entrambi folignati; Gentile da Fabriano e il Perugino. Di quest’ultimo viene conservato un affresco presso l’Oratorio della Nunziatella, proprio accanto all’immagine miracolosa di un’antica madonnina di grande suggestione.
“I particolari devono servire a te per fare la sua conoscenza [...] non necessariamente devono esserci tutti quelli che vedi; tu puoi, indipendentemente dalle luci, andare a cercare le cose che vuoi” (Regole d’arte – Luciano Fabro)
Disegno In-Opera Dalla metà degli anni ’60, in aperta polemica con l’arte della tradizione, il movimento Arte Povera propone un nuovo linguaggio fatto di materiali del quotidiano (terra, legno, stracci), con l'intento di evocare le strutture originarie del linguaggio dopo averne corroso abitudini e conformismi. Tra i suoi maggiori rappresentanti, Luciano Fabro (1936-2007), del quale la mostra espone un nutrito numero di disegni, a volte preparatori e funzionali alle opere più note, a volte strumento di indagine e
sperimentazione a sé stante. Ampio lo spazio dedicato all’immagine, non altrettanto quello riservato alle didascalie, in un percorso che si riesce a decodificare se si parte da una buona conoscenza dell’autore, ma che si può altresì vivere come un viaggio personale, una continua associazione di linee, colori, pensieri. fino al 4 maggio Ciac – Via del Campanile, 13 www.centroitalianoartecontemporanea.com
Siamo presenti al Vinitaly 2014 Padiglione 8 stand H/1
il ristorante
di Francesco Condoluci
Un treno di sapori Si respira una genuina atmosfera retrò entrando all’Osteria della Stazione di Milano. La cucina punta tutto sulla materia prima, selezionata tra le migliori produzioni friulane, la cui eccellenza è fonte di ispirazione e base per accattivanti evoluzioni culinarie
L’atmosfera è “old style”. Di quelle che ricordano le osterie che furono, quando mangiare fuori casa era un piacere e non un trend dettato da mode gastrochic. Divanetti in pelle rossa, tavoli e sedie retrò, il camino. Non c’è invece il wi-fi e le suonerie dei telefonini sono off limits, così gli avventori non hanno altra scelta che pasteggiare e parlare tra loro o, volendo, con l’oste, che non vede l’ora d’accomodarsi ai tavoli a fare una chiacchiera. Appena fuori dal locale, il vecchio ponte della stazione ci racconta una Milano che non c’è più, quella del boom economico ma anche di una dimensione urbana a misura d’uomo. Eh sì, l’Osteria della Stazione non è semplicemente un ristorante ma un’esperienza spazio-temporale, una sorta di ritorno al passato. «La nostra è una cucina che vuole tornare alla materia prima di qualità» ci illumina l’oste Gunnar Cautero, un friulano orgoglioso delle sue origini, che però tiene a sottolineare: «Ci piace proporre prodotti in esclusiva scelti in quel Friuli che ispira la nostra cucina, ma le etichette non ci piacciono, per cui non siamo banalmente “un locale tipico friulano”». Infatti, le proposte spaziano fino ai piatti lombardi e la gastronomia friulana, semmai, è una base, un giacimento di materie prime sottoposte ad accattivanti evoluzioni. Non è un caso che qui si faccia il Caseoula-day per celebrare la più tipica pietanza lumbard e a luglio 122
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dove&come Osteria della Stazione Via Popoli Uniti, 26 – Milano Tel. 02.28381700 – 392.5898849 Menù degustazione: 25 euro www.osteriadellastazione.it
si festeggi la Jumbonite: ovvero il compleanno di Ernest Hemingway a base di astice gigante e Ribolla Gialla. È la lavagna di ardesia che scandisce il ritmo giornaliero delle portate: antipasti tra cui spiccano il Prosciutto San Daniele e un guanciale di Sauris di prim’ordine, primi e secondi (assaggiate il risotto con porcini, timo e mirtilli: non ve ne pentirete), oltre a una carta di formaggi alimentata da malghe carniche e latterie del Friuli. Per chiudere in dolcezza, un appetitoso vassoio di dolci fatti in casa, con la gubana ovviamente mattatrice. Anche la carta dei vini tiene fede alle tradizioni di casa: tra quelli da meditazione c’è immancabilmente un Ramandolo. Gunnar conosce uno per uno i vignaioli che forniscono la sua cantina, e il Refosco che vi offrirà è una garanzia, perché viene direttamente dalla sua vigna. In vista dell’Expo, l’Osteria della Stazione è stata scelta dall’Associazione dei Produttori di Schioppettino di Prepotto come punto di promozione a Milano. Nel 2015, il locale servirà dei prosciutti marchiati con la dicitura “Riserva dell’Oste” a segnare la particolare stagionatura e indicare la volontà di rendere a Km Zero i prodotti friulani mediante la creazione di un centro di raccolta in Friuli da dove i prodotti partiranno settimanalmente per Milano. La carne bovina che verrà servita, giusto per completare l’offerta a Km Zero, verrà dagli allevamenti della provincia milanese.
Il pistacchio di qualitĂ che Marullo ti dĂ
Marullo www.marullospa.com
bellezza e benessere
di Francesca Negri
Wine wellness totale Polifenoli e resveratrolo, antiche botti, essenze di rossi pregiati e raffinati liquori. Sono questi solo alcuni degli elementi che contribuiscono a rendere tanto preziosa, e piacevole, la Vinoterapia. Un’esperienza di benessere in senso ampio, come avviene ad esempio tra le sale della Cantina di Bacco Bacco lo trovate in un minuscolo paesino nascosto nel reticolo di stradine del Chianti. Si chiama San Sano e sembra uscito da un libro di fiabe. Tra i personaggi fantastici che animano il borghetto, il primo ad accogliervi sarà la “rana beona” ritratta su una fontana con un fiasco nella zampa. L’inizio è decisamente benaugurante per ogni wine lover che si rispetti. A dieci passi da lì, non uno in più, troverete il tempio della vinoterapia: il relais Castellare de’ Noveschi, un microcosmo di appena 8 suites in perfetto stile toscano. Ma a fare la differenza è la Cantina di Bacco, la zona Spa nella quale spicca un suggestivo tino dove immergersi per un idromassaggio di acqua calda aromatizzata con fragranze detossinanti e purificanti uniche che riproducono il corpo dei più preziosi vini dai sentori di mora, fragola, 124
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rosa, viola e arancio. Vengono proposti trattamenti per il corpo a base di polifenoli e resveratrolo (altra sostanza presente nell’uva); in alternativa, un bagno al sodio bicarbonato e ai polifenoli dell’uva, che interagendo con i sali acidi creano un’effervescenza in grado di riattivare il microcircolo cutaneo migliorando l’ossigenazione cellulare. E poi ci sono i bagni all’aperto in antiche vasche di legno, a base di polpa e olio di oliva e di composti floreali. Ma Bacco vi accompagna anche in camera, specie nella suite Sogni di Bacco, tra doghe di barrique e una botte gigante che diventa zona bagno.
Per saperne di più:
www.castellaredenoveschi.it http://drvranjes.it
La giusta atmosfera Sono fatti tutti con oli essenziali purissimi, i prodotti dell’Antica officina del farmacista Dr. Vranjes. Un cult è la fragranza Rosso Nobile, tutta dedicata al vino: note iniziali di arancio si esaltano nella parte fiorita composta da assoluta di violetta e fiori di magnolia, accordi prugna si completano nell’essenza di frutti di bosco, di fragola e lampone, cuore della fragranza; sentore di legni stagionati con un accenno affumicato del legno di betulla ricreano i tannini della nota di fondo. La confezione più gettonata è quella con il porta essenze fatto a decanter, e i bastonicini-diffusori a tralcio di vite. Sciccheria da vine addict. Poi c’è Calvados, altra profumazione per ambiente dedicata al famoso liquore e proposta con un diffusore a forma di balloon. Non mancano creme, candele aromatizzate, profumi… Si va oltre la vinoterapia. È wine wellness allo stato puro.
compagne di strada
di Francesco Condoluci
Cruze: potente, briosa. Come un Nebbiolo Possente ma slanciata. Sportiva ma senza eccedere. Spaziosa ma non per questo meno accattivante nelle linee. Di dotazioni semplici ma ricche e funzionali. Inutile girarci attorno: da qualsiasi punto di vista la si guardi, la Chevrolet Cruze Station Wagon, nel suo segmento, è un’auto perfettamente riuscita. Una compagna di strada perfetta per chi ha famiglia, ma non per questo intende rinunciare a mantenere un certo stile – solido, scattante, in un certo senso “molto maschio” – al volante. Caratteristica che la rende particolarmente apprezzabile, resta comunque la sobrietà. Di design, di accessori e di prestazioni. Ne abbiamo provato la versione station wagon con motore diesel 1.7 da 130 cavalli (tra quelle disponibili, la motorizzazione più parsimoniosa nei consumi di carburante) in un breve itinerario nel Monferrato, tra i dolci colli dell’Alessandrino, in mezzo ai vigneti pettinati che rendono quelle terre del Piemonte uno dei giardini vitati
È tecnicamente perfetta la comoda e “virile” station wagon di Chevrolet che ci ha accompagnati in un piacevole tour tra le colline e i vigneti dell’Alessandrino. Un’auto senza fronzoli, il cui nobile contegno, nonché l’equilibrio tra le sue componenti, ricordano quelli di una buona bottiglia del re dei vini piemontesi
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più belli d’Europa. La Cruze ha reso il tutto ancora più piacevole e denso di emozioni, grazie alla sua tenuta di strada affidabile, alla sua confortevole guidabilità e alla sciolta brillantezza delle sue performance sia su rettilineo veloce, dove ci si può godere il bel passo, sia sui tornanti languidi che non indulgono distrazioni. Tanto da averci portato a pensare – e lì tra le Langhe, non avrebbe potuto essere altrimenti! – che se fosse un vitigno, la comoda berlina della Chevrolet sarebbe senz’altro un Nebbiolo di pregio caratterizzato da una altissima qualità, dall’equilibrio perfetto tra le sue componenti e da un certo nobile contegno. Un vitigno capace di dar vita a vini potenti, compatti, moderati ma pieni di forza e di brio, a volte anche inaspettati, al gusto. Proprio come una Cruze SW. Della quale, è impossibile non citare tre indiscutibili punti di forza: il bagagliaio, ampio e flessibile che strizza l’occhio ai giovani papà; gli allestimenti multimediali all’avanguardia ma molto intuitivi che, grazie alla tecnologia Chevrolet MyLink, rendono disponibile il contenuto (musica, foto, rubriche telefoniche…) del proprio smartphone sul display touch screen a colori, e permettono di utilizzare app come il sistema di navigazione BringGo; la cura dei dettagli: dai gradevoli finimenti interni al pratico sistema di sicurezza che rende la guida facile, stabile ma anche appassionante. Tutta da assaporare, insomma. Come un buon Nebbiolo d’Alba, invecchiato al punto giusto. Chevrolet Cruze Sw Ltz 1.7D Prezzo: 22.377 euro
libri letti per voi
di Eleonora Fatigati
Ricette culturali a New York
Degustazioni slow
Scopriamo gli oli d'Italia
Giunta alla quarta edizione, la guida Slow Wine si presenta come unicum nel panorama dell'enoturismo. Vediamo perchè insieme a Giancarlo Gariglio, uno dei curatori.
Chiediamo a Fausto Borella – lucchese doc, Maestro d'olio ed esperto di enogastronomia – di presentarci la sua interessante guida ai migliori oli italiani.
Quali sono i punti di forza della vostra guida rispetto alle altre sul mercato? È l’unica a visitare tutte le aziende recensite, quasi 2000. Ci piace giudicare le punte qualitative ma anche i vini meno celebri. Inoltre, abbiamo scelto di dare un giudizio non solo sui vini ma anche sulle cantine delle quali forniamo una sorta di carta d’identità: informazioni sul tipo di fitofarmaci, diserbanti, lieviti utilizzati e così via.
Come ha selezionato i prodotti che vengono presentati nella guida? Il libro racconta prima di tutto la fatica dei produttori seri e onesti, ovvero, di quelle aziende olivicole che rispettano i corretti passaggi di produzione dell'olio: dalla raccolta all'immediata spremitura dell'oliva in frantoi moderni, fino alla conservazione in silos di acciaio inox. Raccontiamo quindi prodotti che, come nel caso dei vini più noti, portano (alto) il nome del territorio dal quale provengono, caratterizzandosi in maniera certa e unica.
Qual è la filosofia sottesa alla stesura di Slow Wine? Quella del buono, del pulito e del giusto. Per definire la qualità di un vino non ci si può fermare solo al buono; è utile capire se l'azienda produttrice pratica una viticoltura virtuosa con un utilizzo di agrofarmaci più o meno intensivo. Inoltre, il consumatore deve essere a conoscenza del legame che ha una data cantina con il proprio territorio e se i vini che vende rispondono a un equo rapporto qualità prezzo.
Slow Food Editore 1088 pg 20,40 euro
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Cosa troviamo insieme alle aziende? Il volume, quest'anno con un formato “da viaggio”, presenta gli oli e le loro proprietà organolettiche, l'azienda produttrice e il territorio che la ospita con le caratteristiche storiche, culturali e gastronominche dei paesi citati per aiutare il lettore a compiere, anche solo in poche ore, una vacanza culinaria completa.
Cinquesensi editore 256 pg 16 euro
Il modo migliore per conoscere la Grande Mela e il suo melting-pot culinario è sicuramente imbracciare questa guida e farsi un giro tra le vie della città. Marc Grossman ne racconta le ricette attraverso i luoghi cari ai newyorkesi, quelli per cui lo stesso autore prova nostalgia (Marc vive a Parigi da molti anni) e che bisogna assolutamente frequentare se ci si vuole tuffare nella succulenta e variegata cucina della metropoli. Dai fagottini di patate (knish) introdotti nei primi del ‘900 dagli immigrati dell’est Europa, ai noti bagels (forse non tutti sanno che la classica colazione newyorkese li prevede con salmone affumicato!), il libro di Grossman è un viaggio goloso e gustoso tra i cult della ristorazione greca, le drogherie ebraiche, la Chinatown vecchia maniera, il cibo tex-mex e le immancabili torte, come la cheescake di Junior a Brooklin, tanto per citarne una davvero di culto, punto di partenza o di arrivo del tour fondamentale nella città più gastro-etnica e gastro-centrica del mondo.
Guido Tommasi Editore 270 pg 29,90 euro
shopping shopping
di Irene Tempestini
Il bracciale primaverile Perfetto per la bella stagione il bracciale ideato da Morellato. Realizzato in argento e impreziosito da un ciondolo a forma di fiore, completerà tutti i vostri outfit regalandovi un tocco di eleganza. Prezzo: 89 euro
Intramontabile Black Bag Che sia inverno, primavera o estate, non può mancare nel vostro guardaroba il must have ideale per ogni stagione: la black bag. Adatta a ogni situazione la sacca di Coccinelle, semplice, capiente ed elegante, vi accompagnerà in tutte le vostre passeggiate, appuntamenti di lavoro e aperitivi con gli amici. Prezzo: 280 euro
Eleganza acqua e sapone Adatto a ogni occasione il maglioncino in cotone firmato Fred Perry. Semplice ma elegante, si caratterizza per un leggero scollo a V con una delicata rifinitura gialla per non passare mai inosservati. Prezzo: 104 euro
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Il trench romantico
Lunghezza a tre quarti, una serie di ruches sul petto e il gioco è fatto. Che indossiate un paio di jeans o di leggins, l’elegante trench di Patrizia Pepe per la primavera 2014 renderà il vostro look sempre impeccabile. Prezzo: 358 euro
Uno zaino davvero stiloso Per le vostre passeggiate all’aria aperta o all’insegna dell’avventura è indispensabile una borsa da viaggio capiente e comoda. È possibile abbinare questi due aggettivi senza rinunciare all’eleganza scegliendo il nuovo zaino di Alviero Martini 1^ Classe Donnavventura. Disponibile in due varianti – con rifiniture blu o rosse – la borsa vi accompagnerà in tutti i vostri viaggi. Prezzo: 245 euro
maGazine
selezioni
Vero gusto di Sicilia
In alto, le vigne Quignones e sotto le bottiglie 2013 caratterizzate dal rinnovato logo aziendale
I vini dell'annata 2013 dell’azienda siciliana Quignones sono ricchi di freschezza e bevibilità. Il segreto? Particolari cure in vigna, con rese per ettaro contenute e un’attenta vinificazione che preservi frutto e aromi
L’azienda agricola di Alfredo Quignones si estende sulle colline licatesi in provincia di Agrigento, cento ettari di vigneti in una delle zone più vocate della Sicilia, dove si coltivano gli autoctoni Insolia, Nero d’Avola, Nerello Cappuccio, Fiano e gli alloctoni Chardonnay, Syrah, Merlot e Petit Verdot. Particolari cure in vigna, con rese per ettaro contenute e un’attenta vinificazione che preservi frutto e aromi, sono i principali innovativi protocolli di produzione che hanno dato vita alle nuove annate 2013 dei bianchi e del rosato Quignones, vini fortemente caratterizzati dai vitigni di composizione e dalla loro piacevolissima freschezza di beva. I vini, che sono appena usciti sul mercato, sono tutti prodotti in acciaio con controllo della temperatura e hanno in etichetta il rinnovato logo aziendale. Nell’Insolia 2013 della linea Quignones, lo storico vitigno a bacca bianca del territorio, si esprime con accattivanti note floreali e fruttate e ritorni agrumati al naso e in bocca, rendendo il vino, oltre che accattivan-
te, di grande abbinabilità. Il Fiano 2013 della linea Largasia è davvero una pregevole espressione di questo vitigno in terra siciliana, ricco d’aromi freschi floreali, fruttati ed erbacei, dalla beva piena e persistente.Il bianco ed il rosato 2013 della linea Castel San Giacomo, rispettivamente Insolia\Chardonnay, e Nero d’Avola\ Nerello Capuccio, sono esempi ben riusciti di come sia possibile andare incontro al gusto del consumatore senza snaturare le caratteristiche proprie dei vitigni, proponendo vini innovativi e godibili. L’innovazione in campo vinicolo oggi è soprattutto coltura interdisciplinare dove si coniugano fattori di tradizione, tecno-scientifici, di mercato ed emozionali. Nel vino di qualità è necessario che siano presenti alcuni fattori determinanti: tipicità territoriale, leggerezza, bevibilità, naturalità, se poi, come nel caso dei vini Quignones, il rapporto qualità-prezzo è davvero interessante il consumatore può davvero fare un’ottima scelta. (Luigi Salvo per ufficio stampa Quignones)
Aziende Agricole Quignones Corso Vittorio Emanuele, 62 Licata (Ag) Tel. 0922.773744 www.quignones.it
www.broglia.it - broglia.azienda@tin.it
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Franciacorta: un vino, una terra Doc dal 1967 e dal ‘95 Docg, questo nettare dorato dal perlage finissimo lega da sempre la sua storia a quella di uno specifico territorio lombardo, quello omonimo che nella provincia di Brescia si estende all’estremità meridionale del Lago d’Iseo. Brut, Satèn, Rosé, Millesimato o Riserva, scopriamone insieme tutte le frizzanti sfaccettature
Nel cuore della Lombardia circondata da castelli medievali e impreziosita da risorse naturali, la storia della Franciacorta è stata fortemente caratterizzata dalla presenza di grandi enti monastici che contribuirono con opere di bonifica allo sviluppo dell’agricoltura. Dopo anni di lotte e intrighi sotto il dominio dell’Impero Romano e dei barbari, la Franciacorta tornò a un periodo di stabilità nel ’400 con l’avvento della signoria di Pandolfo Malatesta, quando ripresero le attività agricole e rifiorì la produzione vitivinicola. Secondo un recentissimo studio, condotto dall’architetto ed esperto di cartografia Paolo Oscar, sul Catasto Napoleonico è stato possibile ricostruire la situazione del territorio dei comuni della Franciacorta al 1809, evidenziando che quasi 1.000 ettari erano destinati, in varia forma, alla viticoltura mentre su 9.940 ettari, a fianco di una coltura principale (seminativo,
arativo, prato), è stata riscontrata la presenza di alcuni ceppi e filari di vigna. Un’ulteriore conferma, quindi, della vocazione viticola della Franciacorta suffragata da dati certi che illustrano in modo chiaro come la produzione di vino per autoconsumo e soprattutto per la vendita (gli abitanti erano solo 40.000) risalga già all’inizio del XIX secolo. Un primato italiano Pur vantando questa lunga storia, la prima bottiglia di Franciacorta risale al 1961, che allora veniva chiamato Pinot di Franciacorta. La Doc è arrivata nel 1967 e nel 1995 il riconoscimento della Docg, un primato italiano per il Metodo classico, ossia il vino ottenuto con la rifermentazione in bottiglia. Oggi sulle etichette si legge solo la denominazione Franciacorta, unico termine che definisce il territorio, il metodo di
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Bollicine per tutti In base ai tempi di riposo sui lieviti in bottiglia si possono distinguere le seguenti tipologie di Franciacorta: Brut Rifermentazione in bottiglia per minimo 18 mesi di affinamento sui lieviti. Colore giallo paglierino con riflessi dorati, perlage fine e persistente, sentori di crosta di pane e di lievito, arricchiti da delicate note di agrumi e di frutta secca (mandorla, nocciola, fichi secchi). Sapido, fresco, fine e armonico. Franciacorta Satèn Caratterizzato da una morbidezza gustativa data da un’accurata selezione dei vini base e dalla minore pressione in bottiglia. Perlage finissimo e persistente, quasi cremoso. Colore giallo paglierino, anche intenso con colori verdolini, sfumato ma deciso profumo di frutta matura, accompagnato da delicate note di fiori bianchi e di frutta secca anche tostata (mandorla e nocciola). Piacevole sapidità e freschezza. Franciacorta Rosé Le uve Pinot nero fermentano a contatto con la buccia per il tempo necessario a conferire al vino la tonalità desiderata. Proprio la presenza del Pinot nero conferisce a questo Franciacorta un corpo e un vigore particolare oltre che i sentori tipici del vitigno. Queste tre tipologie possono acquisire maggior personalità, complessità e raffinatezza, con periodi più lunghi di maturazione e affinamento. È il caso del Franciacorta Millesimato e del Franciacorta Riserva. Franciacorta Riserva I Franciacorta Riserva sono dei Millesimati dalla particolare eccellenza qualitativa che per esprimere al massimo le loro doti olfattive e gustative devono rimanere in sosta sui lieviti per molti anni. Il Disciplinare ne impone almeno 5.
produzione e il vino. Ed è proprio il metodo Franciacorta a garantire ancora oggi la qualità di ogni singola bottiglia. Un’antica arte che si unisce, in perfetto connubio, con le tecnologie più moderne e la maestria dei viticoltori del territorio. Norme rigide e scrupolose per ottenere vini di assoluta qualità: è questo l’imperativo del Consorzio Franciacorta e dei suoi produttori che impiegano esclusivamente vitigni nobili, rifermentazione naturale in bottiglia e successiva lenta maturazione e affinamento sui lieviti, non inferiore ai 18 mesi, 30 per i Millesimati e ben 60 mesi per le Riserve. Il Franciacorta è prodotto con uve Chardonnay, Pinot nero e Pinot bianco, quest’ultimo consentito fino a un massimo del 50%. Le vigne della Franciacorta hanno una resa massima di 95 quintali di uva a ettaro e la vendemmia, effettuata obbligatoriamente a mano, si svolge, a seconda delle annate, tra la prima decade di agosto e la prima di settembre. I grappoli vengono adagiati in cassette e trasportati in cantina dove il raccolto di ogni vigneto è vinificato separatamente: le uve vengono sottoposte a pressature molto delicate per garantire il frazionamento dei mosti, indispensabile garanzia di qualità dei vini base.
Il metodo Franciacorta garantisce ancora oggi la qualità di ogni singola bottiglia. Un’antica arte che si unisce, in perfetto connubio, con le tecnologie più moderne e la maestria dei viticoltori del territorio
info@franciacorta.net www.franciacorta.net
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Il vino della Valle dei Templi
Diodoros “il Vino della Valle” è il primo tassello di un progetto ambizioso con il quale il parco della Valle dei Templi vuole affermare un modello che individua nel recupero delle antiche colture e nella tutela della biodivesità, gli strumenti per salvare il paesaggio. Il vino nasce dalla convenzione siglata nel 2011 tra il parco e CVA Canicattì, impegnata da oltre quarant’anni a mettere in luce con le sue etichette la tradizione viticola dell’agro agrigentino. Fin dalFrutto della convenzione tra la stipula dell’accordo, il parCVA Canicattì e l’ente Parco co e CVA Canicattì sono stati della Valle, Diodoros è prodotto accomunati dalla stessa idencon le uve del vigneto posto tità di vedute: vino e archeolosotto il tempio di Giunone. gia concorrono a fare grande Al Vinitaly la presentazione un territorio ricco di storia dove l’agricoltura svela il senso e ufficiale mentre il debutto l’origine della civiltà. Diodoros sui mercati è previsto ad aprile prende vita nei vigneti posti sotto il tempio di Giunone, un giacimento viticolo di grande interesse, frutto di una “selezione” naturale che i vignaioli della Valle hanno operato nel corso degli anni interpretando al meglio gli aspetti pedoclimatici. La grandezza di questo contesto è data dalle caratteristiche di questo terroir. Siamo nel cuore delle Terre del Nero d’Avola, dove i suoli di origine alluvionale profondi e sabbiosi, caratterizzati dalla presenza di scheletro sono molto fertili per la coltivazione delle varietà autoctone siciliane. Questa prima versione del Vino della Valle dei Templi, è frutto della vendemmia del 2012, che per le varietà a bacca rossa verrà ricordata per l’integrità del frutto giunto a maturazione in perfette condizione. Diodoros è un blend di Nero d’Avola, al 90%, di Nerello Cappuccio e Nerello Mascalese per la restante percentuale, che è stato affinato prima in vasca (2 mesi) e poi in barili di rovere (10 mesi). Questa prima annata – 6000 bottiglie tutte numerate – è stata ulteriormente affinata in bottiglia per sei mesi ed entrerà in commercio ad aprile. Nel corso del Vinitaly, tutti i winelovers e gli addetti ai lavori lo potranno degustare presso lo stand di CVA Canicattì (padiglione Sicilia, Stand 43D) subito dopo la presentazione ufficiale alla stampa che avverrà a Verona con la partecipazione dei vertici dell’ente parco e del CdA di CVA Canicattì.
CVA Canicattì Contrada Aquilata snc - Canicattì (Ag) Tel. 0922.829371 info@cvacanicatti.it - www.cvacanicatti.it
Soc. Agr. Stella di
Non lontano dalla cittadina di origine romana Aquileia e da Palmanova, storica città fortezza fondata nel ‘500 dai Veneziani, si trova il comune di Pocenia. In quest’area della provincia di Udine, nei pressi della Riviera Friulana, la coltivazione della vite trova il suo territorio ideale, tanto che è zona di produzione degli ottimi vini Friuli Latisana DOC. E’ proprio qui che si trova l’Azienda vitivinicola Anselmi Giuseppe e Luigi fondata nel 1928 dai nonni Anselmi che hanno trasmesso ai figli ed ai nipoti la loro esperienza, coltivando la terra con grande senso di appartenenza.
www.vinianselmi.it
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Cà Nova, vini di razza La passione per i cavalli, e per la leggenda del trotto mondiale Varenne in particolare, ispira da sempre la famiglia Bianchi che nei suoi rossi (Dolcetto, Barbera d'Alba, Merlot e Pinot Nero) ci mette la forza e la qualità che contraddistinguono i grandi campioni
Massimo Bianchi, noto e stimato allevatore di cavalli campioni nella storia del trotto, ha creduto sempre nell’intelligenza e nella capacità di lottare che un cavallo deve possedere per diventare un campione. Fu così che alla fine degli anni 80, negli Stati Uniti, vedendo per la prima volta Waikiki Beach fu colpito proprio dalla sua capacità di battersi che lo convinse ad acquistarlo, portando così in Italia il padre di Varenne, il campione entrato ormai nella leggenda del trotto mondiale. Una grande carriera, quella di Varenne, fatta di tante vittorie, alla quale abbiamo reso omaggio dedicandogli un vino! Guardare avanti, anzi guardare oltre ciò che sembra scontato, non omologarsi ai pareri comuni, fare scelte apparentemente difficili: sono queste le caratteristice
vincenti dei Bianchi, padre e figlio. Il loro punto di forza per dar vita a una storia di successo… anche nel vino! L’importante per loro è sempre stato andare oltre le apparenze, secondo il motto per cui “quello che spesso sembra difficile da ottenere, in realtà può riservare sorprese ricche di soddisfazioni!”. Sono state la possibilità di ottenere dei vini di alta qualità, come Dolcetto e Barbera d’Alba, dalle colline cuneesi, oltre all’intuizione di sfruttare un micro-terroir nato da una frana in una parte della tenuta per Merlot e Pinot nero, insieme alla capacità e all’entusiasmo di un giovane attento all’innovazione e alla modernità, a fare de Le Vigne di Ca’ Nova una realtà nuova, dinamica, ma legata ai valori e ai processi antichi di questa terra.
Le Vigne di Cà Nova Roddino (Cn) Tel. 0173 794247 Fax 0173 794900 canova@vignedicanova.com www.vignedicanova.com
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Eccellenza, contro ogni avversità In vendita dai primi di marzo, i vini nati della vendemmia 2013 sono un sicuro motivo di orgoglio per Terredora, realtà della provincia di Avellino. L’annata infatti non è stata delle più semplici, per l’Irpinia e l’Italia tutta, ma con maestria, competenza e amore, è stato comunque raggiunto un risultato ottimo, con caratteri di morbidezza e profumi tipici solo delle annate migliori
Non è stata un’annata facile per il vino quella del 2013. Ricordiamo tutti la primavera fredda e piovosa che abbiamo dovuto sopportare: un problema per il nostro umore, ma soprattutto un clima difficile per le vigne che hanno dovuto subire in maggio anche qualche violenta grandinata che ha provocato non pochi danni alla produzione, essendo in piena fase di germogliamento e accrescimento dei nuovi grappoli. Nonostante tutto, fioritura e crescita degli acini sono avvenute con buoni risultati (lo stesso è accaduto per le olive con una brillantissima produzione di olio altamente qualitativa nel 2013 con 0,18 % di acidità oleica e circa 5 in perossidi), anche se in definitiva si è dovuto aspettare settembre per avere un lungo periodo di bel tempo “estivo”, con temperature che hanno anche superato i 24-32°C, favorendo in questo modo il recupero vegetativo e della fase della maturazione che a fine agosto era in ritardo. Iniziata la vendemmia, ai primi di ottobre, è stata quindi grande la soddisfazione di Terredora nel constatare di aver avuto comunque uve sane, perfette, e con una buona maturazione, tant’è che i vini in uscita sono tutti caratterizzati da circa 13° alcol, con punte di 13,80° alcol. Non si può certo dire che questo iter sia valso per tutte le aziende irpine. Chi non ha curato le uve dai parassiti vegetali (peronospora, oidio, botrite o marciumi in genere) ha portato in cantina uve che non erano sane sotto il profilo fitosanitario, e in genere i vini prodotti quest’anno sono poco profumati e in qualche caso con leggerissimi sentori di muffa, che un naso attento saprà certamente riconoscere, oltre ad avere delle acidità squilibrate. La produzione Terredora invece è riuscita a mantenere costanti i livelli di buona qualità, eleganza, equilibrio, serbevolezza, armonia e rotondità dei propri prodotti, dando vita a un millesimo 2013 che regalerà tante soddisfazioni essendo riuscita l’azienda, grazie ad amore, competenza, storia, tradizione e un sapere acquisito in tanti anni di attività, a mettere sul mercato vini che rispettano ed esaltano gusti e tipicità del territorio. Terredora di Paolo SSA Via Serra snc - Montefusco (Av) Tel. 0825.968215 info@terredora.com - www.terredora.com
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Calici di nobiltà e passione Dal 6 al 9 aprile, l’Azienda Agricola Rallo presenta a Verona le sue novità, certa di appagare le aspettative dei winelovers che, in anteprima, assaggeranno le nuove annate delle referenze già note e due assolute primizie: un Nero d’Avola e una Insolia in purezza, che stupiscono nel gusto e per la le storie, tutte siciliane, che sanno raccontare
Quella del prossimo Vinitaly, il Salone internazione dei Vini e dei Distillati che si tiene a Verona la seconda settimana di aprile, è l’occasione giusta per incontrare le novità proposte dall’Azienda Agricola Rallo (padiglione 2, stand 6a 15b), che si presenterà forte dei successi collezionati quest’anno tra le principali guide di settore italiane, sino al prestigioso Premio Speciale Gambero Rosso con il Grillo Bianco Maggiore, già trebicchieri, menzionato come Miglior Acquisto Possibile sulla base del rapporto qualità/prezzo. Il
palmares targato 2014 della storica azienda di Marsala ha visto anche il Principe premiato come Vino quotidiano dalla guida Slow Wine (eccellenza sotto i dieci euro). Ottimo dunque il riscontro che il mondo dell'enologia italiana ha riservato ai vini dell'azienda Rallo, che quindi proverà al "battesimo della degustazione" ad appagare le aspettative dei winelovers che, in anteprima, assaggeranno le nuove annate delle referenze già note al pubblico e due assolute primizie: un nuovo Nero d’Avola e una Insolia in purezza, vitigni questi allevati nell’agro principale dell’azienda, presso la Masseria Patti Piccolo, in territorio di Alcamo. Una zona storicamente e particolarmente vocata alla viticultura, sulla quale insiste il principale dei 3
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vigneti Rallo (gli altri due sono ubicati sulla costa marsalese e a Pantelleria), che si estende su più di 100 ettari ed è connotato in maniera importante da una gestione in regime biologico certificato. Qui, a cavallo tra il territorio alcamese e quello di Monreale, l’azienda alleva quei vitigni autoctoni che sono in grado di esprimere l’eccellenza della produzione vitivinicola della Sicilia Occidentale, della quale Rallo si propone come testimonial assolutamente autorevole e affidabile. Con l’annata 2012, il bouquet dei vini Rallo spaziava dallo Zibibbo (vinificato sia nella versione dry, che secondo il disciplinare della Doc Pantelleria, grazie a un piccolo vigneto sito nell’isola vulcanica), al Grillo (allevato nella riserva naturale dello Stagnone, a Marsala), dal Catarratto al Nero d’Avola, al Syrah. La vendemmia 2013 vede invece due esordi di tutto rispetto, due nuovi monovarietali che arricchiscono il parterre di vini autoctoni, traendo linfa da due dei vitigni che storicamente rappresentano maggiormente l'isola: il Nero d’Avola Il Manto e l’Insola Evrò. Due vini che continuano a raccontare la Sicilia Occidentale, in linea con il modus che è proprio dei vini Rallo: organoletticamente, quindi, ma anche attraverso un abito che trae spunto dalla storia di questo versante della Trinacria. Due vini Reali accostati a due personaggi regali – Ruggero II di Altavilla e Bianca Navarra – in un continuum tra la storia dell’enologia e quella dell’uomo, indissolubilmente legate in un rapporto di simbiosi che Rallo tenta di tramandare in un’accezione discreta, rispettando quelle che sono le dinamiche della natura, che vengono comunque e in qualche modo condizionate dall’intervento umano. Con risultati che siamo sicuri non tradiranno le aspettative di chi incontrerà Rallo, e nella fattispecie Evrò e Il Manto, nel calice.
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Regali simboli di Sicilia Il nome del nuovo Nero d’Avola Rallo rimanda al Manto indossato da Ruggero II di Altavilla (il re Normanno conosciuto come Rujari dalla comunità araba siciliana del 1100) durante l’incoronazione a Re di Sicilia nel 1130. Un drappo divenuto un simbolo, indossato da allora da tutti i sovrani che si succedettero sul trono dell’isola; cosi come il Nero d’Avola è indiscusso simbolo della vitivinicoltura siciliana, che trova apprezzabile espressione in questo vino equilibrato, persistente, con delle gradevoli note fruttate al palato.
Storia di un amore Nel vigneto di Patti Piccolo, l’Insolia diviene Evrò, nome liberamente ispirato all’ultima Regina di Sicilia, Bianca Navarra, contessa di Evreux, protagonista di una tormentata laison amorosa con uno dei Conti di Modica, che si risolse nei pressi dell’omonimo castello ad Alcamo. Un altro tassello della storia siciliana rappresentato da un vitigno autoctono che si mostra in questa versione con uno spiccato sentore di mela, armonico ed assolutamente minerale al palato.
Azienda Agricola Rallo Via Vincenzo Florio, 2 – Marsala (Tp) Tel. 0923.721633 www.cantinerallo.it
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Brezza, marchio di tradizione Coltivano Dolcetto, Freisa, Barbera, Nebbiolo: le uve storiche di Langa. La vendemmia è manuale. L’affinamento in grandi botti di rovere. E ancora oggi, proprio come a fine ’800 quando la loro avventura è iniziata, per i membri della famiglia il momento più atteso è quello della stappatura: quell’attimo magico dove storia, qualità e il duro lavoro di una vita s’incontrano. E inizia la festa
L’azienda agricola Brezza proprietaria di vigneti in Barolo già dal 1885, prese il nome da Giacomo Brezza il quale per primo insieme al padre Antonio intorno al 1910 mise il vino in bottiglia. Situata a pochi passi dal centro del piccolo comune di Barolo si trova immersa nei vigneti come anche l’adiacente Ristorante e Albergo anch’esso di proprietà della famiglia. L’azienda, che si estende su di una superficie di 22 ettari di terreno dei quali 17 e mezzo a vigneto, è condotta dalla quarta generazione. Fautori della tradizione, i Brezza sono persuasi che oggi il miglior modo di rispettarne lo spirito consista nel non chiudere aprioristicamente la porta al nuovo, ad esempio quando consenta di meglio tutelare ed esaltare la tipicità dei vini di Langa, le caratteristiche delle uve e dei diversi terroir di provenienza. Da anni l’azienda adotta tecniche di agricoltura biologica: nessun diserbante per i solchi naturalmente inerbiti; trattamenti solo a base di rame e zolfo effettuati con macchinari leggeri (quad) che evitano l’erosione, il compattamento del terreno e riducono drasticamente il consumo di carburante. La vendemmia è manuale con un’accurata cernita delle uve. La fermentazione alcolica avviene senza l’utilizzo di lieviti selezionati. Come da tradizione piemontese, a essere prodotti sono solo vini monovitigno affinati in grandi botti di rovere di Slavonia. Le varietà coltivate sono quelle storiche di Langa: Dolcetto, Freisa, Barbera, Nebbiolo, un solo vino bianco non autoctono da vitigno Chardonnay. Il Re dei vini Brezza è naturalmente Il Barolo che viene prodotto nelle grandi annate in versione numerata da rinomati vigneti quali: Sarmassa, Cannubi e Castellero. Per secoli i proprietari e tutto il team dell’azienda sono stati abituati a coniugare l’immagine di un vino di qualità – come quelli che, vendemmia dopo vendemmia fanno di tutto per ottenere dal lavoro in vigna e in cantina – con la coreografia e il preciso rituale che culmina nel momento della stappatura e il lento emergere del tappo dal collo della bottiglia. Un momento magico.
Azienda Agricola Brezza Giacomo & Figli Via Lomondo, 4 Barolo (Cn) Tel. 0173.560.921/561.91 www.brezza.it