OTTOBRE 2013
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i sentieri di bacco vino, terre, cultura. e l’enoturismo fa boom
Sempre più turisti in Italia scelgono vigneti e cantine come destinazioni di viaggio ITINERARI enoici
Barolo, Sagrantino Soave, Terre Sicane PERSONAGGI
Daniela Mastroberardino Cesare Cecchi
CIBO&TERRITORIO
SALUTE E ALIMENTAZIONE
Acqualagna, regno dei tartufi Tumore al seno: i consigli Luppolo, l’amaro di casa della Fondazione Veronesi DOLCI D’AUTUNNO
CONSUMI&TENDENZE
Il maestro Iginio Massari Bere bene al giusto prezzo “racconta” i marrons glacés Vini e pasti: come abbinarli
Shopping: le nostre idee regalo per Natale (da pagina 163)
A cura di magazine
i Viaggi del Gusto
graficaciuonzo
photo diego santangelo adv|||||| studios
L'alba di un nuovo Impero
www.imperocouture.com
magazine
editoriale
di Domenico Marasco
domenico.marasco@vdgmagazine.it
Imprenditori d’Italia: è tempo di muoversi Per uscire dalla crisi, bisogna cooperare. E bandire le speculazioni Cari lettori, da oltre quattro anni ormai perseguiamo la nostra mission – ovviamente facendo leva sui pochi strumenti a nostra disposizione – che è quella di far crescere le imprese agroalimentari italiane. Il nostro giornale ha raccontato, in questi anni, esempi virtuosi di reti per lo sviluppo come quella del movimento cooperativo del Trentino o il sistema dei “club di prodotto” sperimentato con successo in Val d’Aosta. Di storie positive, comunque, di piccole case histories di successo che ci stimolano a guardare con fiducia al futuro malgrado la recessione economica mondiale sempre più opprimente, ce ne sono tante altre. L’ultima di cui abbiamo appreso, vede come protagonista un piccolo paese in Andalusia di appena 3 mila anime, distante cento km da Siviglia: Marinaleda. Questo borgo spagnolo è riuscito incredibilmente a non farsi soffocare dalla crisi. Ma come? Semplice: a Marinaleda le cose funzionano diversamente rispetto alle altre comunità dell’Occidente. Tutti i cittadini lavorano e hanno una casa. Una abitazione che viene offerta a 15 euro al mese dal comune, dopo aver espropriato i terreni non coltivati. Con i fondi chiesti e ottenuti dal governo centrale, sono state costruite, a costi ridotti, residenze sociali da parte di imprese edili che hanno aderito al Por, il Piano di Occupazione Rurale. I materiali sono stati acquistati dal comune senza speculazioni, i lavoratori ci hanno messo la manodopera gratuitamente pur di poter avere una propria casa. Sono stati espropriati quindi 3 mila ettari di terra al Duca di Infantado e sempre il Comune di Marinaleda ha creato una cooperativa per la produzione intensiva di carciofi, peperoni, fave e grano. Questa storia insegna insomma che se vengono azzerate le speculazioni, l’economia e quindi la società stessa possono ripartire di slancio. E dimostra altresì che la strada da seguire è la cooperazione. Nel nostro Paese, a questo proposito, bisognerebbe tornare all’Italia dei Comuni. Senza andare troppo indietro nel tempo, basta ricordare infatti come negli anni 60 e 70, nei nostri
comuni si viveva in equilibrio. Lavoravano tutti: gli artigiani, i contadini, i commercianti. La ferita dell’emigrazione di massa dei decenni precedenti era ancora aperta, ma la gente iniziava a tornare nei paesi. Bisognerebbe dunque adottare lo spirito combattivo di allora e rimboccarsi le maniche. Smetterla di lagnarsi e darsi una scossa, senza delegare il proprio futuro a una classe politica e dirigente che ha dimostrato ampiamente di essere inadeguata, incapace e scellerata in talune decisioni. Un consiglio agli oltre 8 mila sindaci italiani: invece di continuare a piangere e lamentarvi, andate a vedere cosa ha fatto il vostro collega a Marinaleda e prendete spunto. A proposito, noi di VdG abbiamo deciso di rompere gli indugi e azzardare un nuovo passo. Anche per dare un esempio positivo al nostro comparto imprenditoriale, abbiamo deciso di aprire un Cash & Carry a Monaco di Baviera. E stiamo cercando una ventina di produttori volenterosi con i quali metterci insieme a lavorare per iniziare l’avventura. Nel frattempo, il nostro giornale vi regala due novità gustose: in fondo a questo numero, troverete un estratto del catalogo dei regali di Natale. Un campionario di prodotti agroalimentari veramente italiani di qualità che noi acquistiamo dai produttori, senza regalare un un solo euro alle multinazionali. La seconda bella notizia è che a partire da questo mese di ottobre, inizia la collaborazione tra VdG Magazine e il grande maestro della pasticceria italiana Iginio Massari, un personaggio che tutto il mondo ci ammira. Un uomo la cui sapienza e autorevolezza in materia di dolci, è riconosciuta in ogni angolo del globo, dal Nordamerica al Giappone. Ogni mese, Iginio ci delizierà coi suoi “appunti golosi”. Godeteveli appieno e buon viaggio del gusto!
ottobre 2013
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sommario sommario ottobre 2013 42
70
16 Dall’Italia e dal mondo
20 La salute nel piatto
Prevenire il tumore al seno
22 Scenari alimentari
Sigaro toscano, stile italiano
24 La pagina verde
Nel cibo il futuro del mondo
26 Scienza & vita
Ad ogni vino il suo pasto
28 Almanacco di Barbanera
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30 Appuntamenti
52 Cover story Coinvolge 6 milioni di persone e muove un giro d’affari da 5 miliardi di euro. Parliamo dell’enoturismo, il fenomeno che ha trasformato cantine e vigneti in una specifica attrazione turistica. Eventi, itinerari, associazioni: attorno a questo nuovo approccio turistico, nel Belpaese c’è tutta una fioritura di iniziative. Che affonda le sue radici nella nostra cultura nazionale. Fatta di terra, di vino, di memoria...
panorama
cibo&territorio
42 Pizza “made in Naples” Basta con le imitazioni: adesso anche
70 Farine rivoluzionarie
44 Le Fattorie Picene Prodotti tipici, tradizioni e qualità: un 46 Vignaioli indipendenti Chi sono? 750 produttori che si sono chiamato fuori dai circuiti tradizionali
48 Bere bene a poco prezzo Si può comprare vino di qualità senza spender tanto? Sì, vi spieghiamo come
60 Il personaggio: Cecchi
Vino e territorio: parla il patron di una azienda storica dell’enologia italiana
62 Lo studio: i “turisti del gusto” 64 Vino & tecnologia Un grande prodotto richiede adeguate
ottobre 2013
apparecchiature: parola di Fracchiolla
In Piemonte i mulini son tornati all’età della pietra. Per produrre meno e meglio
74 Luppolo, l’amaro di casa È della stessa famiglia della marijuana. Ma con lui al massimo ci si fa una birra
mercato contadino insolito e originale
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negli Usa la vogliono solo napoletana
78 Tartufi per 4 stagioni Se ottobre è il mese di questi tuberi, Acqualagna ne è il regno. Tutto l’anno
82 Dulcis in fundo, marron glacé 86 Il buono a tavola, piatti d’autunno 88 Orto dei semplici, i cachi 90 La storia in cucina, il tiramisù 92 Wine passion: il Morellino Un rosso “di razza” che nasce in Maremma. Come i cavalli cui si ispira
94 Wine passion: Franciacorta Le bollicine nostrane vanno in crociera. Per diventar grandi all’estero
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sommario sommario ottobre 2013
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156 Le selezioni di VdG
inviaggio
piaceri
100 Strade del vino: Barolo
136 Le mani raccontano Da secoli protegge le nostre bottiglie:
Viaggio in Piemonte alla corte del re
104 Strade del vino: Soave Lungo le vie del classico bianco veneto 110 Strade del vino: Sagrantino
Tra i dolci colli umbri di Montefalco
114 Strade del vino: Terre Sicane Tour enoico nella Valle del Belice 120 Strade del vino d’Europa Itinerari in Francia, Austria, Svizzera 124 Il Golfo dei poeti Sosta golosa tra La Spezia e Porto Venere 128 L’Italia in mostra: Asti Un tuffo nell’arte nella città sabauda 132 Città in 24 ore, Glasgow
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è il sughero, simbolo e vanto della Gallura
Da pagina 163 il nuovo catalogo di Natale 2013
138 I piaceri di Bacco La storia del vino secondo Donato Lanati e Ellekappa: terza puntata.
140 Week-end sport, Croazia 142 Week-end business, Roma 143 Week-end relax, Merano 146 Soste d’arte 148 Libri 150 Shopping 154 Assaggiati da noi
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contributors ottobre 2013
magazine
IGINIO MASSARI È considerato il Maestro dei Maestri Pasticceri italiani. Pluricampione del mondo di pasticceria, insegna la sua arte sublime in ogni angolo del globo. La St. George University di Bruxelles l’ha laureato dottore Honoris Causa in Scienze culinarie. Ma a parte cucinare, ama scrivere. Da questo mese anche per VdG magazine. pag. 82
GIUSEPPE CULICCHIA
i Viaggi del Gusto
Figlio di un siciliano e di una piemontese, nasce a Torino nel 1965. Debutta nella scrittura con con Tutti giù per terra (1994) ed è subito successo. Seguono premi, libri e collaborazioni per quotidiani e magazine. Ama giocare a calciobalilla, e desidera essere sepolto a Marsala. Ma non subito però. pag. 58
Direttore Responsabile Domenico Marasco
SILVANA DELFUOCO
DONATO LANATI Lo chiamano l'enologoscienziato. È uno dei winemaker più prestigiosi al mondo. Nelle classifiche del prestigioso Wine Spectator, i "suoi" vini sono sempre tra le prime posizioni. C’è bisogno di aggiungere altro? Sì. Che ha deciso di raccontare sulle nostre pagine, la storia del vino. A fumetti pag. 138
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Emiliana di nascita e torinese d’adozione per i casi della vita, grazie alla sua esperienza di Assaggiatore di formaggi e di salumi e, soprattutto, di Giudice del Tartufo, dal 2003 è approdata al giornalismo enogastronomico. Il suo scheletro nell’armadio sono invece i troppi anni passati a tentare di insegnare il latino a generazioni di liceali recalcitranti. pagg. 54-92-128
Coordinatore editoriale Francesco Condoluci Grafica e impaginazione Daniel Addai Carlo Fontana
RICCARDO LAGORIO È nato a Brescia 45 anni fa, vive con la valigia sempre pronta, il bloc-notes e la penna in mano, ferri del mestiere da cronista vecchio stampo. Allievo prediletto di Luigi Veronelli, viene definito un “food scout”. E di scoperte gastronomiche ne ha fatte davvero a migliaia. Ne è testimone la sua corporatura. pagg. 104-110-132
hanno collaborato a questo numero: Alessandro Allocco Germana Cabrelle Piero Caltrin Olga Carlini Marco Cattaneo Gilda Ciaruffoli Davide Ciccarese Elena Conti Silvana Delfuoco Maria Pia Fanciulli Eleonora Fatigati Paola Gula Lucia Lipari Nomisma Agostino Pintus Giuseppe Pulina Antonio Romeo Ida Santilli Marco Scapagnini Valerio Sisti Saro Trovato Fondazione Veronesi Si ringrazia per la concessione di immagini e documenti il Movimento Turismo del Vino
Editing Gilda Ciaruffoli Foto Editor Gianluca Congiu Foto Giulio Barreri Editore: Opera Italia Srl Via Pola, 15 20124 Milano Presidente: Roberto Patti Stampa: PuntoWeb Srl 00040 Ariccia (Roma) Distribuzione Italia ME.PE. S.p.A. Abbonamenti Opera Italia Srl - Via Pola 15 - 20124 Milano Tel. 02.89.053250 - fax 02.89053284 abbonamenti@vdgmagazine.it Il Servizio abbonati è in funzione dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 12,30. L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi periodo dell’anno. L’eventuale cambio di indirizzo è gratuito. Informare il Servizio abbonati almeno 20 giorni prima del trasferimento, allegando l’etichetta con la quale arriva la rivista. GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. leg. 196/2003 scrivendo a: Opera Italia Srl Sede legale: via Pola 15 - 20124 Milano Redazione: via Pola 15 - 20124 Milano tel. 0289053250 - fax 0289053290 Registrazione Tribunale di Milano n. 92 del 10/02/2011
Sito: www.vdgmagazine.it Segreteria: Monia Manzoni - Tel. 02.89053250 ufficiotraffico@vdgmagazine.it L’editore ha ricercato con ogni mezzo i titolari dei diritti fotografici senza riuscire a reperirli. È ovviamente a piena disposizione per assolvere quanto dovuto nei loro confronti
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Direttore commerciale Ruggero Marasco Assistenti alle vendite Flavio Amadei Zofia Amador Montoya Betty Arena Iolanda Bivona Stefania Campus Donatella Graci Sara Loglisci Marco Olivito Ilaria Ticozzi Prenotazione spazi e ricevimento impianti
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Nato nel 1978, quando appena cominciava ad esistere il concetto di griffe, il Salvagente coglie per primo l’idea di vendere ciò che costa tanto ad un prezzo accessibile: nei decenni successivi la moda firmata diventa un’enorme fenomeno di massa, ed il Salvagente vede crescere il suo successo sempre più, fino ai giorni nostri.
Created in 1978, when the concept of designer label was just beginning to emerge, il Salvagente was the first shop that came up with the idea of selling expensive items at affordable prices: over the following decades designer fashion became a mass phenomenon and il Salvagente’s success has been growing ever since.
Oltre trent’anni di attività, con una formula semplice: compriamo dai migliori negozi abbigliamento uomo, donna, accessori e scarpe che rivendiamo al prezzo più basso: sconto minimo 60% dal prezzo di cartellino, e saldi all’arma bianca.
We have been in business for over thirty years following a simple formula: we buy clothes, accessories and shoes for men and women from the best shops and we resell them at lower prices, with a minimum 60% discount off the marked price, and regularly hold massive sales events.
La nostra clientela è estremamente eterogenea, pur essendo l’outlet d’elezione per i milanesi, che ci visitano con grande frequenza durante tutte le stagioni, possiamo sempre più contare sulla presenza di clienti provenienti da altri paesi: in grande crescita la clientela russa e quella cinese, con gli europei che restano stabili in termini di presenze. Proponiamo da sempre una varietà enorme di marchi e generi, qualità che ci rende meta di numerose visite di addetti ai lavori della moda, cerchiamo inoltre di restare vicini ai nostri clienti attraverso il contatto di Facebook, Il Salvagente Milano, o attraverso il nostro blog, milanofashionoutlet.it. Siamo usciti con il nostro sito internet, www.salvagentemilano.it, completamente rinnovato, con una veste grafica diversa ed un messaggio chiaro: mettiamo la nostra faccia ed il nostro impegno in ciò che facciamo, e lo testimonieranno le foto nostre e dei nostri clienti. Siamo a Milano, nel quartiere Monforte- Vittoria, facilmente raggiungibili sia con i mezzi pubblici, che con una passeggiata di 15 minuti a piedi partendo dal centro citta : non c’è bisogno quindi di lunghi viaggi per trovare a Milano quello che ci piace al miglior prezzo possibile.
We boast a diversified customer base and even though we’re the outlet of choice of the Milanese, who pay us frequent visits in all seasons, customers from other countries are on the increase, Russian and Chinese in particular, with a steady flow of European customers. The huge variety of labels and merchandise we have always offered have fashion pundits paying us regular visits, although we also try to keep a close relationship with our customers through Facebook, Il Salvagente Milano and our blog, milanofashionoutlet.it. We’ve launched our newly renovated website, www.salvagentemilano.it, which is characterized by different graphics and a very clear message: we always get involved and committed at a very personal level in all we do, as proven by our photos and those of our customers. We are located in Milan, in the MonforteVittoria area, which is easily accessible both by public transport and with a 15minute stroll from the
Via F.lli Bronzetti 16 20129 Milano - Tel +39 02 7611 0328 - www.salvagentemilano.it - info@salvagentemilano.it Orari: Lunedi 15-19 - Dal Martedì al Sabato 10-19 Aperture straordinarie domeniche e festivi in concomitanza con fiere e manifestazioni.
news dall’ Italia e dal mondo
di Francesco Condoluci redazione1@vdgmagazine.it
La “bandiera” che non c’è più: Telecom agli spagnoli, Alitalia ai francesi Manca davvero poco (soltanto alcuni passaggi burocratici legati alle parti correlate) e Telefonica sarà il nuovo padrone di Telecom, rilevando quote e debito degli altri azionisti riuniti nella holding Telco, ovvero Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo. È quanto si apprende da una nota diramata dalla società iberica. In altre parole Telefonica salirà al 66% di Telco dopo un aumento di capitale da 323 milioni di euro, 1,09 euro per azione. Per poi, una volta incassato l’ok dell’Antitrust in Argentina e Brasile – dove opera Telecom con Tim Brasil e Telefonica possiede il primo operatore, Vivo – arrivare al 70% con un altro aumento da 117 milioni. Per uno strano scherzo del destino, mentre a Milano si incontravano i vertici per la questione Telecom, a Parigi il consiglio d’amministrazione di Air France-Klm, che detiene il 25% di Alitalia, valutava se raddoppiare la propria quota al 50 per cento. Ipotesi per ora messa in congelatore per mancanza di dettagli, ha dichiarato il gruppo transalpino. 16
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Il commento Un tempo le chiamavano “compagnie di bandiera” per dare loro – oltre che incentivi fiscali e vantaggi economici in ragione del loro status di public company – una connotazione fortemente nazionale, di rappresentanza istituzionale del Paese e nel nostro caso dell’italianità, insomma. Oggi le aziende come Alitalia (e, per estensione, anche Telecom) possono essere definite in tutti i modi tranne che di “bandiera”. E non solo perché, tecnicamente, non sono più a proprietà pubblica, ma soprattutto perché il tricolore che un tempo sventolava sui loro quartier generali, è sempre più scolorito. Mentre la compagnia telefonica sorta dalle ceneri della vecchia Sip sta per essere ceduta agli spagnoli, l’ex vettore aereo nazionale, dal canto suo, è destinato a parlare sempre più francese. Gli analisti parlano di un caso univoco di fallimento del “capitalismo di relazione italiano”. E già il termine usato – consentitecelo – cova in sé un’anomalia tutta nostrana. In Italia – ovvero la Repubblica democratica fondata sulle conoscenze e sui rapporti d’amicizia – siamo stati capaci infatti di inventarci anche il “capitalismo di relazione”. Che applicato, nella fattispecie, ai casi Telecom e Alitalia e tradotto significa, senza troppi giri di parole, una sola cosa: due aziende frutto di un modello capitalistico declinato ad uso e consumo degli amici e di chi ha relazioni con la classe politica dominante. La storia recente (e parallela per certi aspetti) di queste società sta lì a dimostrarlo: in nome di un patriottismo del tutto peloso e ipocrita, si è scelto di affidarne la gestione a manager e cordate dai nomi altisonanti e dalle entrature influenti ma evidentemente – guardando a posteriori ai bilanci rosso sangue e all’indebitamento – dalle scarse, scarsissime competenze manageriali, perlomeno in materia. Ed oggi, dopo anni di allegra mala gestio da parte dei nostri top manager (!) dagli stipendi d’oro, si cerca di correre improvvisamente ai ripari, svendendo agli stranieri. Ma questa, del resto, è la storia dell’Italia Repubblicana. Dove i manager – da quelli delle grandi aziende (oggi private) come Telecom e Alitalia ai dirigenti delle aziende pubbliche locali che si occupano, ad esempio, di smaltimento rifiuti a Palermo come a Napoli, con i risultati che tutti sappiamo – sono stati sempre designati non certo in base a qualifiche e con criteri meritocratici, ma ai loro rapporti (d’amicizia, d’affari, di parentela) col potere. Eh già, il capitalismo di relazione. Appunto.
news
MondoVdG La Polonia apre le porte al Made in Italy: food e fashion in vetrina a Varsavia
Raid vegano alla festa degli arrosticini Sulla Festa degli arrosticini quest’anno si è abbattuta la furia degli attivisti anti-sfruttamento degli animali. Ad essere presi di mira sono stati infatti gli stand della Festa della Famiglia Abruzzese e Molisana che si è tenuta a Sassi, nel Torinese. L’allestimento è stato preso d’assalto da un gruppo di vegani che ha imbrattato i teloni con vernice indelebile e tranciato i cavi elettrici. Il danno è stato ingente, ma l’assalto non ha fermato la festa, che si è tenuta regolarmente con il previsto enorme successo di pubblico: circa 8 mila le persone e 20 mila gli arrosticini distribuiti in tre giorni di evento. L’obiettivo del raid vegano era evidentemente quello di fermare le cene a base degli spiedini di carne di pecora tipici della cucina abruzzese. Numerose le scritte lasciate sui tendoni. C’era anche lo slogan del gruppo: “Veganismo e Giustizia”, un messaggio, “Mangia cadaveri”, rivolto ai partecipanti alla festa e anche la sigla “Alf”, Animal Liberation Front.
Findus passa a JP Morgan: via libera dall’Ue L’Antitrust europeo ha dato il suo via libera all’acquisizione della Findus da parte della banca statunitense JP Morgan. Il colosso del surgelato di proprietà del fondo britannico Lion Capital – protagonista appena pochi mesi fa dello scandalo delle lasagne alla carne di manzo taroccata (le beef lasagne che contenevano carne di cavallo) – passa dunque nelle mani di uno dei giganti statunitense dei servizi finanziari. La Findus è nata in Svezia ed è stata di proprietà della Nestlé. Oggi la casa madre è nuovamente di proprietà svedese, ma nel corso degli anni in una serie di paesi come Italia (Fondo Permira), Svizzera (Nestlé) e Gran Bretagna (prima Lion ora Jp Morgan) il marchio è passato di mano andando a fondi d’investimento.
Usa, arrivano le salsicce alla marijuana L’idea arriva dagli Stati Uniti, ed è balenata a un macellaio di Washington, convinto che questo trattamento doni alla carne più fibre, più sapore e nessuna conseguenza nociva. E la trovata di William von Schneidau di insaporire la comune carne di maiale con la marijuana non ha mancato di riscuotere consensi: una grande catena di negozi, Seattle’s Pike Place Market, si è subito offerta infatti per commercializzare il prodotto, mentre una giuria di esperti, dopo aver assaggiato le “salsicce alla cannabis” si è espressa entusiasticamente. È stata la legge di legalizzazione della marijuana a sortire nel macellaio l’idea di nutrire i suoi maiali con queste sostanze stupefacenti capaci, a suo dire almeno, di dare “qualcosa in più” alla carne suina.
VdG Magazine è stato scelto dalla Camera di Commercio italo-polacca come “selezionatore” per il comparto food, in vista della prima edizione di Made in Italy, una tre giorni espositiva e di incontri business to business (B2B) dedicata alla produzione italiana d’eccellenza che si terrà nel prossimo mese di maggio 2014. Organizzata dalla Camera di Commercio Italo-Polacca in collaborazione con MT Polska e MT Targi (i maggiori operatori fieristici polacchi), la rassegna ha già ottenuto il patrocinio di Unioncamere. I settori principali presentati saranno: agroalimentare, vino, moda-accessori, arredo e complementi, meccanica, turismo e franchising. L’obiettivo dell’iniziativa è la realizzazione di incontri, presentazioni e negoziazioni tra imprenditori italiani e partner polacchi. Saranno invitati infatti qualificati imprenditori polacchi che avranno la possibilità di approfondire l’offerta economica italiana nei settori proposti. In particolare, per i settori agroalimentare e vitivinicolo all’esposizione saranno affiancate alcune iniziative come i cooking show. Si tratterà, in sostanza, di un’opportunità significativa per approfondire e consolidare la penetrazione della piccola e media industria italiana nel mercato polacco e più in generale del cosidetto italian lifestyle, un mercato in crescita che rappresenta la più grande economia dell’Europa centro-orientale, di cui produce circa il 40% del Pil.
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la salute nel piatto
A cura della Redazione scientifica Fondazione Veronesi testi di Donatella Barus
La ricetta che allunga la vita È una tavola imbandita con i colori della dieta mediterranea uno dei migliori antidoti contro il rischio di tumore al seno, la più diffusa fra le neoplasie femminili, che solo in Europa fa registrare circa mille nuovi casi al giorno. E ottobre è il momento giusto per ricordarlo
Anche se le sue cause sono complesse e ancora in gran parte da conoscere, ci sono diversi fattori che influiscono sulla probabilità di sviluppare un carcinoma della mammella. Alcuni non si possono modificare, come l’età o una suscettibilità genetica, altri invece sono legati alle abitudini quotidiane e sono sovrappeso e obesità, uno stile di vita sedentario, fumo, abuso di alcol, una dieta povera di frutta e verdura. È bene chiarire che non ci sono alimenti “amuleto” contro il tumore al seno, ma a fare la differenza è un insieme di buone abitudini a tavola. Nel menu non dovrebbero mai mancare cereali, vegetali e legumi, il cui consumo è correlato a un rischio più basso di sindrome metabolica, che è uno dei fattori di rischio del cancro al seno. Per via della loro ricchezza in antiossidanti, particolarmente raccomandate sono le verdure a foglia, come insalata, cicoria, bietole e spinaci: la dieta femminile dovrebbe prevederne almeno 200 gr al giorno. Via libera poi a pasta, pane e riso integrali a scapito di quelli “bianchi”. Gli alimenti raffinati, infatti, così come gli zuccheri semplici, vengono assorbiti molto velocemente e il glu20
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cosio in eccesso costringe l’organismo a reagire immettendo in circolo grandi quantità di insulina. Questa iperproduzione è a sua volta causa di una produzione eccessiva di ormoni sessuali, da tempo noti per essere legati a un rischio aumentato di tumore al seno, soprattutto per le donne dopo la menopausa e in sovrappeso. Vanno limitati gli alimenti ricchi di grassi, legati a un incremento nella produzione di estrogeni. Semaforo giallo anche per l’alcol: il consiglio per una donna è di non superare in ogni caso un bicchiere da 125 ml al giorno, mentre dovrebbero astenersi dal bere le giovanissime. E quando la malattia si è già presentata? Il consiglio è di mettere in tavola molti legumi e pochi grassi animali. Osservato speciale da parte di oncologi e nutrizionisti è il latte ad alto contenuto di grassi con i suoi derivati. È presto per trarre conclusioni definitive, ma è ragionevole ipotizzare che il latte e i formaggi grassi possano influenzare il livello di estrogeni e di fattori di crescita nell’organismo, a loro volta legati al rischio di ripresa o recidiva della malattia. Non ci sono invece nessi evidenti con i nuovi casi di malattia.
Ogni anno in Italia a circa 42 mila donne viene diagnosticato un tumore al seno, l’80% di loro ha più di 50 anni. Se la malattia è scoperta in fase precoce la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi raggiunge il 98%. Negli ultimi 20 anni i tassi di guarigione sono raddoppiati, grazie al miglioramento delle terapie e alla diagnosi precoce
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www.pinkisgood.it
scenari alimentari
A cura dell’Osservatorio Agroalimentare Nomisma
Sigaro Toscano, stile italiano A fumarlo è una nicchia, ma la sua fama è nota e la sua qualità è riconosciuta pressoché dalla totalità dell’opinione pubblica nazionale. In un periodo in cui i ridimensionamenti non risparmiano neanche il comparto del tabacco, questa icona del made in Italy è una felice eccezione in controtendenza
Per saperne di più:
agroalimentare@nomisma.it www.nomisma.it
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Pochi sanno che l’Italia rappresenta il primo produttore di tabacco in Europa, così come non tutti sanno che l’intera filiera nazionale, dalla produzione agricola alla vendita dei prodotti da fumo, arriva a coinvolgere annualmente circa 190 mila addetti e a esprimere un valore economico di quasi 19 miliardi di euro (di cui oltre 14 finiscono nelle casse dello Stato a titolo di Accise e Iva). Negli anni questa filiera si è fortemente ridimensionata, soprattutto nella fase agricola: se all’inizio del terzo millennio 27 mila agricoltori coltivavano quasi 40 mila ettari a tabacco, oggi meno di 4 mila produttori continuano nell’attività, mettendo a coltivazione poco più di 15 mila ettari. Cambiamenti nel mercato e nel quadro di regolamentazione hanno contribuito a ridisegnare il settore. Tuttavia, a questo scenario di forti mutamenti, c’è stato un prodotto che è riuscito a contrapporsi, mantenendo inalterata la sua capacità di attivazione economica e occupazionale. Si tratta del Sigaro Toscano. Nato “per sbaglio”, la sua sto-
ria parte da molto lontano. A Firenze, in una torrida domenica dell’agosto 1815, un temporale estivo inzuppa una partita di tabacco. Per evitare il peggio, le foglie vengono stese al sole e asciugate con l’ausilio di fuochi a legna. La doppia fermentazione subita dal tabacco dà vita a un sigaro di qualità che incontra il favore di molti e il cui apprezzamento oggi si ripete grazie alla specializzazione raggiunta nella coltivazione e cura del tabacco Kentucky, una varietà prodotta principalmente dai tabacchicoltori in alcune e circoscritte aree vocate dell’Italia centrale. Una specializzazione che ha permesso a questo sigaro di ritagliarsi un posto di primo piano nell’immaginario degli italiani tra i simboli dell’Italian style. La conferma viene dai risultati di un’indagine che Nomisma ha recentemente svolto sull’opinione pubblica volta a identificare che cosa si intenda per “stile italiano” e quali valori e prodotti siano maggiormente riconducibili a esso. Qualità, tradizione produttiva, creatività e origine della materia prima sono le prerogative che maggiormente qualificano i prodotti made in Italy. Rispetto a tale “griglia”, l’opinione pubblica associa al Sigaro Toscano l’idea della tradizione produttiva italiana (il 35% degli intervistati) e della qualità del prodotto (il 19%). In definitiva il 68% della popolazione riconosce a questo prodotto capacità rappresentativa per unicità della materia prima, accuratezza e tradizione del sistema produttivo. Contestualmente, ne risulta particolarmente elevata la notorietà: oltre il 70% dell’opinione pubblica italiana conosce il Sigaro Toscano. Per un prodotto consumato da una nicchia della popolazione (sono 290 mila i fumatori di sigari in Italia, lo 0,6% della popolazione) non sono certo risultati scontati.
di Davide Ciccarese
la pagina verde
Agronomo
Il futuro è servito “Il destino delle nazioni dipende dal modo in cui si nutrono”, diceva Anthelem Brillant Savarin, autore della Fisiologia del gusto. Nessuno si senta escluso, quindi: le scelte alimentari di ognuno di noi segnano inesorabilmente le sorti dell’intero pianeta
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Secondo le Nazioni Unite, dovremmo mangiare frutta e verdura e abbandonare quasi del tutto la carne. La zootecnia è infatti, secondo uno studio effettuato dall’Unep, una tra le prime attività produttive umane che concorrono al riscaldamento globale. Tra le responsabilità degli allevamenti, quella di produrre il 65% delle emissioni di ossido di azoto totali, che hanno un potenziale clima alterante di 265 volte maggiore dell’anidride carbonica; come se non bastasse, si aggiungano il 37% delle emissioni di metano e il 64% di quelle di ammoniaca responsabile di piogge acide. A rincarare la dose, uno studio dell’Unione Europea sottolinea come negli ultimi venti anni l’Europa a 27 abbia importato e consumato il 36% delle colture e dei prodotti di origine animale associati alla deforestazione. Tradotto in cifre, questo significa che tra il 1990 e il 2008 ci siamo letteralmente mangiati l’equivalente di 9 milioni di ettari di foresta! Con il cibo di cui ci alimentiamo, consumiamo an-
che la biodiversità. Il 10% delle specie protette sono a rischio a causa degli allevamenti di carne: su 47.677 specie valutate dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, 17.291 sono state definite a rischio d’estinzione. Ma cosa possiamo fare per sottrarci a questa logica e assicurare un futuro alla nostra progenie e all’intero pianta? Orientare il nostro menù verso prodotti di qualità, in modo tale da salvaguardare la biodiversità ed essere sostenibili. O almeno questo è quanto afferma Barbara Burlingame esperta Fao della Divisione Nutrizione e Protezione del Consumatore. Un esempio importante viene dal settore biologico i cui dati sono, per quanto riguarda l’Italia, rassicuranti. Secondo la Coldiretti, infatti, il settore biologico sta bene: i consumi bio sono aumentati del 9% e gli italiani stanno scoprendo un settore soddisfacente. Il 54% dei nostri connazionali ha acquistato almeno un prodotto biologico l’anno scorso. Sebbene dunque il nostro menù si stia impoverendo a scapito della salute del pianeta, queste ultime cifre dichiarano che stiamo iniziando a cambiare rotta. Lentamente, ma è l’inizio di un percorso verso un menù planetario sostenibile e di gusto, che ci porti a lasciarci alle spalle i fantasmi dello junk food.
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scienza e vita
di Giuseppe Pulina Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari
Connubi di... vini Gli abbinamenti tra portata e vino sono sempre delicati. Oltre i luoghi comuni che vogliono i rossi per la carne e i bianchi per il pesce, c’è un mondo di sfumature, e personalissimo piacere, da scoprire 26
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Quale vino per quale piatto? È la domanda che si appalesa non appena, scorso il menù, decidiamo per la nostra cena. La vulgata impone i rossi sulle carni e i bianchi sul pesce, con puntate ai mossi per i crostacei e ai secchi per il pesce azzurro. E ancora gli amabili (o addirittura i dolci) sui formaggi a lunga stagionatura, e vini freschi e leggeri su uova e formaggi dolci. Chiediamo il parere a Bruno Ronchi, professore di alimentazione animale all’Università di Viterbo e Presidente ASPA. La tua esperienza su vini e carne concorda o discorda dalla vulgata “rosso obbligatorio”? Parto da quanto affermato dal titolare di un noto ristorante della Tuscia: “anziché spendere soldi
per frequentare corsi di sommelier, ho preferito spendere per assaggiare vini e farmi una cultura personale”. Posizione forse discutibile, ma che trova ampie conferme nella letteratura recente, dove si evidenzia che il gusto è da considerare il più soggettivo tra i nostri sensi, dovuto al fatto che le condizioni fisiologiche portano ciascuno di noi a interpretare il gusto in maniera personale. A ciò si dovrebbero poi aggiungere effetti legati a stati d’animo, fattori ambientali, e altro ancora. Immediata conseguenza sarebbe l’assoluta libertà di pensiero sull’abbinamento ideale tra una pietanza a base di carne e il vino. D’altra parte, il consumo del vino ai tempi d’oggi risponde essenzialmente a una esigenza di piacere, piuttosto che di necessità. E allora l’abbinamento idea-
le è, o sarebbe, quello che piace, quello che più di altri soddisfa le esigenze individuali. Va bene il “de gustibus” ma forse con un aiutino educativo (del gusto) si eviterebbero accostamenti, diciamo così, dissonanti... Cibo e vino sono fortemente complementari o, almeno, dovrebbero esserlo. Resta da capire se si deve partire da un vino per costruirgli intorno un adeguato pasto, o da un buon piatto per individuare il vino che meglio si armonizza. Saremmo più vicini a questa seconda possibilità, con il rischio comunque di essere smentiti. Ci piace pensare tuttavia di dare il primato alle pietanze e di attribuire al vino un compito di esaltazione delle caratteristiche organolettiche del cibo. Una delle regole che compare in tanti documenti sugli abbinamenti vino/cibo è quella secondo la quale “la carne grassa ha bisogno di tannini”, che può anche essere letta, dando precedenza al vino, “i tannini hanno bisogno di grasso”. È questo un caso di contrapposizione o di contrasto tra cibo e vino. Qual è il compito dei tannini? I tannini sono composti polifenolici, presenti in molti vegetali, che contribuiscono a conferire la struttura dei vini rossi e sono responsabili della sensazione di astringente nell’apparato boccale. Ai tannini contenuti nel vino sono stati riconosciuti, sulla base di studi recenti, effetti positivi sul metabolismo ossidativo, con riduzione della perossidazione lipidica. Ma già dagli anni ’80 si è ipotizzato un ruolo del consumo di vino rosso nella riduzione delle patologie coronariche (the french paradox). Molto interessanti appaiono le interazioni, positive e negative, tra componenti del vino e della dieta, meritevoli di ampi approfondimenti. Una delle regole d’oro dell’abbinamento vino/cibo è quella secondo cui “la carne grassa ha bisogno di tannini”, che può anche essere letta, dando precedenza al vino, “i tannini hanno bisogno di grasso”
Spesso le combinazioni migliori le offre il territorio. Qualche esempio? I piatti grassi e saporiti della Lombardia e dell’Emilia Romagna serviti con vini rossi frizzanti e tannici, o il Sagrantino umbro, tra i più tannici dei vini, proposto con succulenti faraone e piccioni ripieni tipici della regione
Torniamo alle combinazioni carni/vini. Che consigli ci puoi dare? Molto spesso le combinazioni migliori sono a portata di mano, a poca distanza. Le offre il territorio, dove si possono incontrare vini perfettamente adatti al tipo di carne e di cucina regionale. Molti esempi si possono trovare negli abbinamenti dei piatti grassi e saporiti della Lombardia e dell’Emilia Romagna con vini rossi frizzanti e tannici. E che dire dell’abbinamento del Sagrantino umbro, tra i più tannici dei vini italiani, con gli arrosti misti e in particolare con le succulente preparazioni di piccione e faraona ripieni? In conclusione, ritornando alle battute iniziali, e parafrasando un grande della letteratura, si può dire che: “così è (se vi piace)”.
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almanacco di barbanera
Sole e Luna Il Sole Il 1° sorge alle 06.57 e tramonta alle 18.42 L’11 sorge alle 07.08 e tramonta alle 18.25 Il 21 sorge alle 07.19 e tramonta alle 18.09 Il 1° ottobre si hanno 11 ore e 45 minuti di luce solare – mentre il 31 se ne hanno 10 e 24 minuti: si perdono, dall’inizio alla fine del mese, un’ora e 21 minuti di luce. Domenica 27, alle 03, ritorno all’ora legale invernale (ora solare): le lancette dell’orologio dovranno essere spostate indietro di un’ora, alle 02.
Sperando nell’ottobrata La vendemmia passa il testimone all’olivo. Simbolo di pace, come l’altro grande protagonista del mese, San Francesco, che apre le porte agli ultimi giorni di tepore e sole prima delle piogge novembrine
Da ricordare Venerdì 4 ottobre – San Francesco d’Assisi patrono d’Italia Francesco d’Assisi è tra i santi più amati al mondo. Proclamato patrono d’Italia nel 1939 da Pio XII, ogni anno, il 4 ottobre, migliaia di fedeli raggiungono Assisi per pregare sulla sua tomba. Anche se in realtà la morte avvenne alla Porziuncola il 3 ottobre del 1226 alle ore 19. Si celebra il 4 perché nel Medioevo, e fino al XVIII secolo, il giorno legale non cominciava a mezzanotte, ma con l’Avemaria della sera annunciata dalle campane mezz’ora dopo il tramonto. E siccome ai primi d’ottobre il sole tramonta intorno alle 18, le attuali 19 corrispondono nel calendario medievale alla prima ora del 4 ottobre. 28
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La Luna Il 1° sorge alle 03.12 e tramonta alle 16.38 L’11 sorge alle 13.40 e tramonta alle 23.47 Il 21 tramonta alle 09.41 e sorge alle 19.47 La Luna è al Perigeo venerdì 11 alle ore 01. È all’Apogeo venerdì 25 alle ore 16. Luna in viaggio In questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 22 e 23.
Saggezza popolare • Se ottobre dà belle giornate, godile pure in scampagnate. • Per San Francesco (4 ottobre) parte il caldo e arriva il fresco. • D’ottobre un bell’ovetto è più dolce di un confetto. • Ottobre è bello, ma tieni pronto l’ombrello.
di M. Pia Fanciulli
Belli e sani Con l’autunno arrivano anche il vento e il freddo, e le mani si screpolano. Per far tornare elastica e morbida la pelle, assai efficaci si riveleranno dei massaggi leggeri, effettuati per una decina di minuti con un olio preparato in casa. Ci vorranno 100 ml di olio di mandorle e 10 gr di fiori di calendula. Oppure si potrà utilizzare un decotto con cui bagnare le mani, più volte al giorno: si prepara con un cucchiaio di fiori in mezzo litro d’acqua. Tra le tante cose naturali e utili che ancora possono insegnarci le nonne, una è l’abitudine di mangiare la sera una mela, frutto ora di stagione, cotta al forno con la buccia. Sarà uno straordinario antistress! La buccia contiene infatti una sostanza ottima nel trattamento di angoscia, tensioni e spasmi muscolari.
Orti e dintorni Gli agrumi ci chiedono di essere protetti o trasferiti in casa prima dell’arrivo delle gelate notturne. Luoghi ideali sono le verande e tutte quelle costruzioni in vetro in cui le piante possono disporre di luce; la temperatura ideale oscilla fra i 5 e i 15°C. Purché al riparo, gli agrumi stanno bene anche all’aperto perché vento e fenomeni atmosferici hanno l’effetto di tenere a bada i parassiti. Se invece si hanno delle fucsie, in giardino o in terrazzo, anch’esse andranno protette e potate prima del riposo invernale tagliando a mezza altezza tutti i rami. Quanto ai lavori nell’orto, in Luna calante (dal 1° al 4 e dal 21 al 31) seminare all’aperto lattuga da taglio, valeriana e spinacio invernale. Nel giardino riportare in serra o al coperto le piante grasse e i gerani. In crescente (dal 6 al 18) estrarre dal terreno i bulbi di gladiolo e impiantare crocus, tulipani e giacinti. Moltiplicare nell’orto le aromatiche.
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appuntamenti del mese appuntamenti ottobre
di Gilda Ciaruffoli
20 candeline... al cioccolato!
Scelti per voi dove mangiare e dormire Etruscan Chocohotel Le 94 camere sono caratterizzate da “golosi” arredi: lampade con la colata di cioccolata, testata del letto a forma di tavoletta… L’hotel ospita il Ristorante Buonenuove che propone piatti umbri con vini locali e il goloso ChocoMenù. Si cena con 20 euro bevande escluse; camera doppia da 69 euro Via Campo di Marte, 134 www.chocohotel.it
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Hotel Giò Wine e Jazz Area Hotel diviso in due aree a tema collegate da una galleria con video musicali e angoli d’ascolto. Tra le peculiarità della struttura, un music store, un auditorium e una esclusiva CameraCantina… Il Ristorante-Enoteca è sede dell’Alleanza dei Cuochi Slow Food Umbria e sede AIS, e propone piatti della tradizione e una carta dei vini con più di mille etichette. Si cena con 23 euro bevande escluse; camera doppia da 74 euro Via D’Andreotto, 19 www.hotelgio.it
18-27 ottobre Cifra tonda per Eurochocolate, la manifestazione il cui solo nome, dal 1993, fa leccare i baffi a tutti i golosi d’Italia, e non solo! Per l’occasione, Perugia, con i suoi vicoli e i suoi scorci dal sapore medievale, il suo elegante palazzo dei Priori con la bella fontana maggiore e la celebre scalinata, la Rocca Paolina... insomma, con tutto il suo bel centro storico ricco di suggestioni antiche e angoli da scoprire, si veste di cioccolato e ospita stand gastronomici, appuntamenti d’arte e momenti di spettacolo. Centrale, come sempre, il Chocolate Show, grande emporio dedicato al mondo del cioccolato proposto in ogni declinazione, con la presenza di oltre 6000 referenze diverse e circa 130 aziende, tra piccoli artigiani, medie e grandi imprese dolciarie di stampo internazionale. Da ricordare anche appuntamenti speciali come quello con Eurochocolate World, dove scoprire cultura, arte e tradizione dei principali Paesi produttori di cacao; Cioccolata con l’Autore, tradizionale rassegna letteraria con scrittori italiani e stranieri che racconteranno in diretta le loro ultime fatiche letterarie degustando in compagnia una tazza di cioccolata calda; e l’angolo delle Sculture di Cioccolato con cinque abili artisti-scultori intenti a trasformare enormi blocchi di cioccolato fondente in originali quanto golose opere d’arte. Tema del 2013 la sostenibilità, sottolineate dal claim ufficiale: Evergreen – la sostenibile dolcezza dell’essere. Importante ricordare la possibilità di utilizzare la ChocoCard, carta servizi che prevede golosi omaggi e sconti sull’acquisto di prodotti tra i tanti stand della manifestazione o negli esercizi pubblici della città aderenti all’iniziativa. Tutti i possessori di ChocoCard hanno l’esclusiva possibilità di partecipare al ricco concorso ChocoCard 2013 con tantissimi premi in palio.
Perugia – Umbria
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appuntamenti ottobre
4-6 ottobre
Piaceri di natura
Sarà il gusto il senso conduttore della quinta edizione di Orticolario. Particolarmente ricco il programma offerto dalle Tavole rotonde saporose, laboratori condotti da esperti per guidare il pubblico alla scoperta delle caratteristiche di prodotti derivanti dalla natura. Il contesto è quello da favola di Villa Erba, sul lago di Como.
fino al 4 dicembre Merluzzo, a voi la scelta
Cernobbio (Co) – Lombardia www.orticolario.it
Sono una trentina i ristoranti di Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia che si stanno sfidando dallo scorso settembre nell’ideare un piatto a base di merluzzo fresco, salato o essiccato nell’ambito del Festival Triveneto del Baccalà verso Expo 2015. A giudicare bontà e innovazione dei piatti sono i clienti dei ristoranti, che decidono a loro gusto quali pietanze restano in gara; il vincitore verrà sancito il 4 dicembre all’Antica Trattoria Ballotta di Torreglia (Pd).
5-6 ottobre Gusto di montagna
Si ripete, ai piedi delle Odle, la tradizionale e attesa Festa dello speck Alto Adige. Durante i giornate di festa, gli ospiti italiani e stranieri hanno l’occasione di divertirsi stando insieme e degustando le tante prelibatezze della zona immersi in uno dei più affascinanti paesaggi alpini dell’Alto Adige. Protagonista assoluto dell’evento è, ovviamente, il gustoso e unico speck Alto Adige Igp!
Località varie
Santa Maddalena in Val di Funes (Bz) – Trentino Alto Adige
www.festivaldelbaccala.it
www.speckfest.it
2-25 ottobre Funghi “ad arte” Torna Cocofungo, rassegna gourmet dedicata al prodotto più prezioso dell’autunno. Un vero simbolo della cucina di questa stagione, il fungo, che di diritto rientra tra le eccellenze della gastronomia trevigiana e che i ristoranti coinvolti nell’iniziativa, parte del Gruppo Ristoratori della Marca Trevigiana, propongono in nuove e fantasiose interpretazioni. Fitto il calendario di serate durante le quali il gusto si accompagna all’arte di Enrico Benetta che utilizza il fungo come “materia prima” delle sue opere su tela.
Località varie (Tv) – Veneto www.cocofungoradicchio.it 32
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4-6 ottobre
5-6 ottobre
Si fa presto a dire pane
La tradizione del Balsamico
In occasione del tradizionale Mercato del pane e dello strudel, per tre giorni il cuore di Bressanone profuma delle tante varietà di pane con il marchio di qualità Alto Adige da assaggiare e acquistare. Le degustazioni sono accompagnate da percorsi storici per conoscere le tradizioni altoatesine, da dimostrazioni di panetteria per imparare l’arte antica dei fornai locali e da una cornice musicale di gruppi del luogo.
In occasione dell’annuale appuntamento con Mast còt – Vetrine Motori e Balsamici Sapori, kermesse inserita all’interno del cartellone del Wine Food Festival – festival regionale dedicato all’agroalimentare – il borgo di Spilamberto si anima con una serie di eventi volti a valorizzare le eccellenze del territorio, dalle auto d’epoca all’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena del quale viene raccontata la storia, a partire dalla iniziale cottura del mosto a cielo aperto, nei caratteristici “paioli” governati, a fuoco lento, dai maestri delle 16 Comunità che aderiscono alla Consorteria.
Bressanone (Bz) Trentino Alto Adige
Spilamberto (Mo) – Emilia Romagna
www.mercatodelpane.it
www.winefoodfestival.it museodelbalsamicotradizionale.org
appuntamenti ottobre
12 ottobre – 17 novembre 50 sfumature di bianco (d’Alba) Torna ad Alba la prestigiosa kermesse dedicata al Tuber magnatum Pico: sei settimane ricche di eventi enogastronomici, folcloristici e culturali che accendono i riflettori sull’incantevole borgo piemontese e, più in generale, sul territorio di Langhe e Roero. Ricchissimo il programma di appuntamenti, dai foodies moments – laboratori di analisi sensoriale e di cucina realizzati da grandi chef – con un’attenzione particolare ai “foodies in erba”, con laboratori che vedono giovani e giovanissimi impegnati ai fornelli, al Mercato ambulante della Fiera, Campagna Amica e il Mercato della Terra, ogni lunedì di ottobre. Nei fine settimana di novembre, a farla da padrone invece il Salotto dei Gusti e dei Profumi, che vede protagonisti la Nocciola piemontese Igp, gli artigiani del cioccolato, il riso, il Moscato d’Asti, il Barolo Chinato e lo spumante Alta Langa. Cuore della manifestazione è però il Mercato Mondiale del tartufo bianco di Alba, aperto ogni sabato e domenica; senza dimenticare il folklore locale: dal Palio degli Asini del 6 ottobre al Baccanale del Tartufo del 19 a Il Borgo si Rievoca del 20, con la storia, gli usi e i costumi di un tempo in gran parata.
Alba (Cn) – Piemonte www.fieradeltartufo.org
10-13 ottobre È qui la... fetta!
MortadellaBò è la manifestazione che inaugura l’autunno bolognese con un grande evento interamente dedicato alla Mortadella Bologna Igp, una tra le eccellenze della salumeria italiana più apprezzate nel mondo, fin dal Medioevo e forse anche prima. L’iniziativa coinvolge l’intera città di Bologna e in particolare la splendida Piazza Maggiore, Palazzo Re Enzo e i circuiti commerciali della città, con iniziative dedicate a festeggiare il celebre salume.
Bologna – Emilia Romagna www.mortadellabo.it
11 ottobre – 3 novembre Palermo città aperta
Trenta i tesori di arte, scienza e natura visitabili con il contributo di 1 euro, 80 gli eventi gratuiti (incontri, performance, mostre, spettacoli, passeggiate d’autore) con ospiti d’eccezione. Quattro i weekend durante i quali la città di Palermo si svela ai visitatori grazie alle Vie dei tesori, il Festival del luoghi e delle idee. Cinque i temi che fanno da filo rosso tra luoghi ed eventi: l’eresia, la città sotterranea, la città multiculturale, le donne e infine il Gattopardo a 50 anni dalla proiezione del film di Visconti.
Palermo – Sicilia www.leviedeitesori.it 34
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Foto: Pisati
appuntamenti ottobre
12 ottobre
18-20 ottobre
Assaggio con piacere...
UN SOVRANO ultracentenario
Si chiama We Love Tasting ed è una giornata tutta dedicata alle eccellenze enogastronomiche italiane presso il suggestivo Parco della Vittoria di Roma. L’evento inaugura un fitto calendario di manifestazioni durante le quali i prodotti di punta delle migliori realtà aziendali e le annate speciali di prestigiose case vinicole sono protagonisti di degustazioni aperte al pubblico e ai professionisti.
Roma – Lazio
http://excellencemagazine.it
Torna, come da ben 106 anni, la Mostra del Bitto. Il re dei formaggi valtellinesi anima il centro storico di Morbegno in un percorso goloso dove i formaggi in concorso fanno bella mostra di sè. A essere selezionati da una giuria di esperti assaggiatori, il miglior Bitto Dop e il miglior Valtellina Casera Dop prodotti durante l’anno.
dà una risposta (gourmet) a questo e ad altri interrogativi. In occasione della manifestazione, il Gruppo Ristoratori della Marca Trevigiana si mette alla prova in un vero e proprio Festival che unisce il gusto per l’arte alla sperimentazione in cucina.A precedere la manifestazione, l’evento Cicchetti al Museo (il 6 ottobre a Castelfranco Veneto e il 12 a Oderzo).
Treviso – Veneto
www.trevisodrippingtaste.it
Morbegno (So) Lombardia www.mostradelbitto.com
26-27 ottobre 1-3 novembre Panieri toscani
Con Volterragusto alcuni degli scorci più suggestivi della splendida città etrusca diventano cornice di un itinerario del gusto dove, accanto al pregiato tartufo locale – protagonista della Mostra Mercato del Tartufo Bianco – è possibile scoprire l’intero paniere di eccellenze del territorio.
Volterra (Pi) – Toscana
18-20 ottobre
www.volterragusto.com
La vendemmia è finita!
12-13 e 19-20 ottobre Non ti scordar di me
Profumati, dai colori caldi e dai nomi spesso originali: giuggiole, pere spadone e volpine, corniole, corbezzoli, azzeruole, sorbe. Sono i “frutti dimenticati” ai quali Casola Valsenio dedica due fine settimana di festa. Piante spontanee o coltivate negli orti e nei frutteti di casa per il consumo domestico fin dal tardo Medioevo, sono perlopiù caratteristici della stagione autunnale e la ripresa d’interesse nei loro confronti è rivolta anche al recupero di antichi metodi di conservazione: per questo nel corso della Festa dei frutti dimenticati si svolge un concorso di marmellate e uno di dolci a base di marrone, mentre i ristoranti della zona propongono per tutto l’autunno menù ad hoc.
Casola Valsenio (Ra) – Emilia Romagna www.terredifaenza.it 36
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Da 127 anni la Festa dell’Uva, ossia la chiusura della vendemmia, è un appuntamento fisso per i meranesi. Negozi e i locali del centro partecipano alla manifestazione, proponendo la tipica merenda autunnale locale, i Toerggelen, a base di vino o mosto, castagne, speck e formaggi di malga. Cuore della festa è il lungo corteo domenicale che vede protagonisti bande musicali e carri allegorici.
Merano (Bz) – Trentino A.A. www.merano.eu
19-20 ottobre arte in cucina
Cosa hanno in comune il tocco di un cuoco e il gesto di un artista? Con Dripping Taste, l’enogastronomia trevigiana
31 ottobre passo dopo passo
Il Trekking Urbano, la giornata nazionale del turismo a piedi, compie 10 anni.A festeggiarlo ben 33 città italiane, da nord a sud, isole comprese. Tanti e diversi i percorsi che i vari comuni offrono agli amanti del trekking nella giornata; e la festa per alcune città si protrae, come ad esempio a Siena, dove durerà 10 giorni.
Località varie
www.trekkingurbano.info
appuntamenti in breve
4-13 ottobre Settimana della Mela Valle Isarco (Bz) – Tentino Alto Adige www.valleisarco.com
24-27 ottobre Jazz&Wine Cormòns (Go) – Friuli Venezia Giulia www.controtempo.org
4-20 ottobre BergamoScienza Bergamo – Lombardia www.bergamoscienza.it
11-13 ottobre Prosecco bubbling style on show Trieste – Friuli Venezia Giulia www.proseccoshow.it
5-6 ottobre Cuochi per un giorno Modena – Emilia Romagna www.cuochiperungiorno.it
5-13 ottobre Bricolady&Bricobaby Castello di Pralormo (To) www.castellodipralormo.com
20 ottobre Giornata della salvia e della saba Riolo Terme (Ra) – Emilia Romagna www.riolotermeproloco.it
26-27 ottobre Bravo – Maestri di Qualità Mostra di arte e artigianato Castello di Belgioioso, Pavia – Lombardia www.belgioioso.it/bravo
6-13-20 ottobre Fiera Nazionale del Tartufo bianco pregiato Pergola (Pu) – Marche www.comune.pergola.pu.it
5 ottobre Albergo da Gustare Gardone Riviera (Bs) Lombardia – www.ghf.it
5-6 ottobre Sagra del galletto Camigliano (Si) – Toscana www.sagradelgalletto.org
1-3 novembre Festivol Trevi (Pg) – Umbria www.festivol.it
6 ottobre Sa binnenna cun is bois Arbus (Ca) – Sardegna www.comune.arbus.ca.it
25 ottobre 6-27 ottobre Ottobrata Zafferanese Zafferana Etnea (Ct) – Sicilia www.ottobrata.it 38
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I migliori vini di Vitignoitalia Degustazione di tutti i premiati del 2013 Napoli – Campania www.vitignoitalia.it
Cioconat Premium Quality è la cioccolata in tazza di qualità superiore, che ti fa vivere un’esperienza da vero gourmet. Puoi degustarla da sola o accompagnarla con deliziosa LaMousse, panna montata e granelle… per vivere un momento davvero da sogno!
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Appena arriva l’inverno coccola il palato con il SLDFHUH VRIÀ FH H YHOOXWDWR di LaMousse! Una nuova delicatissima mousse che puoi assaporare da sola o insieme alla cioccolata calda per esaltarne il gusto sublime. LaMousse è in quattro gusti morbidi e tutti da scoprire per un’apoteosi di piacere.
natfood@natfood.it www.natfood.it
magazine
Panorama Panorama 42
52
48
46
52 Cover story
42 Pizza “made in Naples”
Coinvolge 6 milioni di persone e muove un giro d’affari da 5 miliardi di euro. Parliamo dell’enoturismo, il fenomeno che ha trasformato cantine e vigneti in una specifica attrazione turistica. Eventi,
vogliono solo napoletana
44 Le Fattorie Picene Prodotti tipici, tradizioni e qualità: un mercato
itinerari, associazioni: attorno a questo nuovo approccio turistico, nel
Belpaese c’è
tutta una fioritura di iniziative.
contadino insolito e originale
64 Vino & tecnologia
Un grande prodotto richiede adeguate apparecchiature: parola di Fracchiolla
Chi sono? 750 produttori che si sono chiamato fuori
nella nostra cultura
48 Bere bene a poco prezzo Si può comprare vino di qualità senza spender tanto? Sì, vi spieghiamo come 60 Il personaggio: Cecchi Vino e territorio: parla il patron di un’azienda storica dell’enologia italiana
46 Vignaioli indipendenti
Che affonda le sue radici nazionale. Fatta di terra,
Basta con le imitazioni: adesso anche negli Usa la
dai circuiti tradizionali
da pag. 62 Rubriche • Lo studio
di vino, di memoria...
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storie dall'italia che merita
Pizza:
solo “made in Naples” Scordatevi condimenti dagli accostamenti improbabili, dimensioni “fuori registro” o basi dalla consistenza inqualificabile. Finalmente anche gli americani hanno scoperto il vero gusto del piatto portabandiera dell’italianità nel mondo. E il merito ovviamente è dei maestri pizzaioli napoletani “dop”! di Marco Scapagnini 42
ottobre 2013
È la nuova moda americana: tutti si affollano nelle pizzerie per non perdere la vera, autentica, pizza napoletana. Sottile, morbida e con un cornicione pronunciato. Quella che solo nelle migliori pizzerie partenopee puoi trovare! Il merito è soprattutto di alcuni pionieri che hanno avuto il coraggio, 15 anni fa, di cominciare a “imporre” al pubblico americano una nuova creazione fatta di ingredienti originali, forni ad hoc e mani esperte che di Napoli e della pizza hanno imparato molto. È il caso di Roberto Caporuscio, che era venuto a Pittsburgh da Napoli nel 1999 per imparare l’inglese e ci è rimasto. Oggi è il presidente dell’Associazione Pizzaiuoli napoletani negli Stati Uniti, organizzazione che, come sottolinea Roberto, «punta la sua attività sulla bravura del pizzaiolo: formazione e maestria sono infatti alla base della riuscita dell’autentica pizza napoletana». Da Pittsburgh, e dalla sua vecchia pizzeria Regina Margherita, Roberto ne ha fatta di strada, passando per la “mitica” A Mano, aperta nel New Jesresy con la consulenza di architetti italiani, per arrivare ai due gioielli di Manhattan, Keste’, nel Village, aperta nel Marzo 2009, che dopo solo tre mesi ha avuto il riconoscimento di miglior pizza dal New York Times, e Don Antonio by Starita, aperta a febbraio 2012. Quest’ultimo locale nasce dalla collaborazione col maestro Antonio Starita dell’omonima pizzeria a Mater Dei, nel ventre di Napoli, la cui cultura e azione formativa sui ragazzi di New York ha portato a far diventare famosa nella grande mela la Montanara, a Napoli detta pizza fritta, giudicata dai lettori di Zagat il quarto miglior piatto di New York. L’azione di formazione e consulenza ha portato infine Roberto a guidare per mano l’apertura di oltre 25 pizzerie, dal Colorado alla Florida, dalla Pennsylvania al New Mexico fino in Canada.
Impara l’arte e mettila... in forno Lontano 3 mila miglia e 3 ore di fuso orario, Peppe Miele, proprietario della storica Pizzeria Antica di Marina del Rey, primo locale ad aver installato il forno a legna a Los Angeles, ha fondato quindici anni fa l’Associazione Verace Pizza Napoletana Americas, una no-profit che ha come scopo la divulgazione della cultura della vera pizza partenopea in Nord America e che ha avuto il merito in Italia di portarla al riconoscimento europeo Dop. «Salvaguardare una ricetta che deriva da 150 anni di storia è il nostro compito primario – sottolinea Peppe – e lo facciamo attraverso corsi per pizzaioli negli Stati Uniti, basandoci anche sulla filiera dei prodotti. Anche i forni sono molto importanti, quelli napoletani oggi sono certificati e marchiati, così come il momento di cottura, assieme alla bravura nell’impasto, la lievitazione, la stesura e messa sulla pala». La sede è a Los Angeles, vi si organizzano corsi settimanali,
e in più si fanno dei consulting in giro per gli States. Ci sono anche delle scuole a Napoli per chi volesse fare questa esperienza. Come Ron Molinaro, per esempio. Di origini italiane, Ron ha voluto approfondire la sua cultura per la pizza e ha svolto corsi e affiancamenti a pizzaioli proprio a Napoli, portando nel cuore della Pennsylvania, a Market Square nel centro di Pittsburgh, il modello della tipica pizzeria partenopea con friggitoria, in modo da proporre pizzelle, frittatine di pasta, crocchè di patate... oltre ovviamente a una straordinaria pizza Dop!
In apertura, le sapienti mani di Antonio Starita all'opera nella cucina del Don Antonio by Starita. Qui, in alto, l'estero del Kesté di Manhattan. Sotto, da sinistra Roberto Caporusico e Antonio Starita, e gli interni del Don Antonio
Per saperne di più: Associazione Pizzaiuoli Napoletani www.pizzaiuolinapoletani.it Verace Pizza Napoletana Americas http://americas.pizzanapoletana.org
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storie dall'italia che merita
La fiera delle qualità Enogastronomia, esperienze sensoriali, turismo: Fattorie Picene è un’esperienza positiva portata avanti con poche risorse ma tanto impegno da parte di artigiani e agricoltori che si sono messi insieme per "fare rete" e fronteggiare così la crisi economica. Il risultato è una mostra-mercato che ha animato l’estate ascolana e che tornerà presto a proporre al mondo ritmi e tradizioni della tipica vita agreste marchigiana di Piero Caltrin 44
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Sia ben chiaro: l’idea è tutt’altro che nuova. Di mercati e mercatini di prodotti agroalimentari, piazze e strade del Belpaese abbondano per 365 giorni all’anno. E non sempre (purtroppo) ciò che si trova sulle bancarelle è “genuino”, “tipico” e “a km zero”. Ma se capitate dalle parti di Grottammare (Ascoli Piceno) e siete fortunati, potrete immergervi, senza alcun timore di essere turlupinati, dentro un colorito spaccato di autentica vita rurale nel quale fare la conoscenza e gustare sapori genuini di una volta, indimenticabili esperienze agresti e rari esempi di arte manuale.
100% made in Marche Immaginate un lembo di spiaggia a due passi dal centro storico del più caratteristico borgo della marchigiana Riviera delle Palme. Quindi metteteci decine e decine di piccole casette di legno distribuite come su una piazza. Eccole, le Fattorie Picene: un microcosmo finito dove agricoltori e artigiani incontrano, mostrano, fanno assaggiare, spiegano i loro prodotti. Dove si possono ammirare i vasai che modellano e gli artisti che dipingono oggetti in terracotta, dove si può sperimentare il gusto antico dei salumi e dei formaggi del territorio, deliziare il palato con le prelibate salse tartufate, lasciarsi affascinare dalla saggezza di anziani contadini che raccontano pezzi di storia ormai sepolti dalla memoria. Un’intera gamma esperienziale di vita bucolica – altro che una semplice fiera di prodotti! – insomma, che proprio nella freschezza delle eccellenze enogastronomiche (rigorosamente) locali e nell’onestà di chi le produce, trova uno dei suoi punti di forza. Già, perché se l’idea della mostra-mercato di prodotti tipici era roba fin troppo inflazionata, qui si è certamente riusciti ad andare oltre il solito clichè. Innanzitutto perché dietro le Fattorie Picene c’è la firma di due associazioni di categoria di Ascoli, ovvero la Confederazione Italiana Agricoltori (Cia) e la Confederazione Nazionale Artigiani (Cna): l’una rappresentante le microimprese agricole e l’altra le pmi dell’artigianato. Le quali, superando l’atavica tendenza tutta italiana all’individualismo aziendale, sono riuscite, attorno a un programma di promo-commercializzazione, ad aggregare ben 50 imprese agricole, 25 dell’artigianato artistico e 5 consorzi.Tutti riuniti sotto la stessa insegna, ovvero le Fattorie Picene, il brand scelto per rappresentare un contenitore che vuole racchiudere non solo i prodotti ma l’esperienza, la cultura, i sapori e soprattutto la gente del territorio marchigiano. E in secondo luogo, perché Fattorie Picene non è una semplice vetrina ma un vero format che vorrebbe replicare una giornata
in campagna, una rappresentazione in movimento della vita agreste marchigiana, nel quale il turista o il semplice visitatore può comprare, ma anche vedere, toccare, sentire e assaggiare i tesori che l’arte enogastronomica picena è capace di produrre. L’altro aspetto particolare di quest’iniziativa è il rigore nella selezione delle aziende e dei prodotti. Per i promotori la qualità di ciò che mangiamo sta prima di tutto nell’origine: banditi quindi i produttori di altre aree geografiche e prodotti industriali. «Entrare in contatto con Fattorie Picene significa scegliere un’alimentazione fatta di prodotti agricoli locali, freschi e gustosi che rispettano le tradizioni culinarie e seguono il ritmo delle stagioni o portare a casa souvenir e manufatti tipici del territorio – spiega il patron Giuseppe Cinesi – Fattorie Picene significa 100% italiano, fatto artigianalmente e non in serie e preparato solo in piccole quantità. La nostra è una filiera corta: dal produttore al consumatore senza intermediari. Con la vendita diretta ci guadagnano il gusto, la genuinità e la freschezza, ma anche l’ambiente. Sia per i metodi di produzione, sia perché, non essendo sottoposti a lunghi trasporti, né a interminabili stoccaggi in celle frigo, né a manipolazioni industriali, i prodotti che acquisti non incidono sull’inquinamento atmosferico». Per tutta l’estate 2013, le Fattorie Picene hanno allietato le giornate dei residenti e dei villeggianti di Grottammare. Un successo di pubblico tale da convincere i promotori a ripetere l’evento ogni mese.
In apertura, il festoso ingresso di Fattorie Picene, manifestazione che ha allietato l'estate di Grottammare; un format vincente che tornerà a proporre le più genuine tipicità locali nel corso dei prossimi mesi
Per saperne di più: www.ciaap.it www.cnapicena.it
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storie dall'italia che merita
Fieri di essere indipendenti Il loro simbolo è un uomo che porta un cesto d’uva, la cui ombra diventa bottiglia. Sono più di 700 e coltivano, vinificano e vendono il proprio vino. Il loro è un lavoro fatto di passione e cultura. L'unico scoglio? Il solito: la burocrazia. Per incontrarli tutti assieme, l’appuntamento è a Piacenza con il Mercato dei Vini Fivi
di Germana Cabrelle
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Se ne contano in ogni regione d’Italia e fra questi ci sono nomi famosi come Pojer e Sandri, Pieropan, Villa Bucci, Les Crétes, Walter Massa. Hanno vigne di proprietà, le coltivano direttamente, vinificano conferendo al vino un’impronta personale e lo commercializzano in proprio.Tutti i passaggi sono sotto la stessa partita Iva e lo stesso nome. Per questo il loro motto si può riassumere in tre “C”: campagna, cantina, commercializzazione. Sono i vignaioli indipendenti e sono riuniti sotto una sigla: Fivi, il cui acronimo sta per Federazione italiana vignaioli indipendenti, costituita il 17 luglio 2008 nella Reggia di Colorno (Parma). Ci tengono a dire che il sodalizio «non è nato per dare uno stipendio a qualche burocrate, ma è fatto da chi passa la vita in azienda. Basta guar-
dare i nomi dei dirigenti: c’è il meglio della viticultura italiana». Alcune delle aziende coinvolte sono così piccole che hanno un solo ettaro di vigneto; altri possiedono anche agriturismi, B&B, foresterie dove ospitano visitatori e clienti. Sono uomini e donne che hanno avuto il coraggio della visione e hanno cambiato in parte il mondo in cui vivono. Come Walter Massa, che ha riscoperto un vitigno spettacolare ma quasi morto come il Timorasso, aprendo la via alla risurrezione di una zona vitivinicola quasi defunta, il Cortonese. Ci sono anche coppie di giovani – come Lorenzo e Federica ovvero Vignai da Duline, in Friuli – che hanno puntato su un sogno per costruire il futuro dei loro figli, credendo nella terra e lavorandola con una passione e un amore che i loro stessi vini esprimono. E c’è Matil-
Presidente, quanti sono i vignaioli indipendenti in Italia, ma soprattutto chi sono? Siamo circa 750 produttori associati in tutte le regioni italiane, per un totale di circa 7 mila ettari di vigneto (il 44% a regime biologico/biodinamico, il 18% secondo i principi della lotta integrata e il 38% viticoltura convenzionale) per un totale di 412 mila ettolitri di vino prodotti, 55 milioni di bottiglie e 0,5 miliardi di euro di fatturato. Il nostro logo riassume pienamente cosa c’è dietro a noi: come marchio infatti abbiamo adottato l'immagine stilizzata di un uomo che porta un cesto d’uva e la cui ombra diventa bottiglia.Il nostro valore aggiunto è essere responsabili nei confronti del consumatore per tutti i passaggi della filiera. Quale impronta darà alla Federazione? La mia presidenza è sul solco della continuità con quanto fatto precedentemente da Costantino Charrère. Stiamo lavorando molto sul dossier della semplificazione burocratica che abbiamo anche presentato al Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e forestali Nunzia De Girolamo. Uno dei problemi urgenti è, infatti, il carico burocratico che pesa su queste aziende che, ancorché piccolissime, hanno lo stesso livello di incombenza di aziende con 100 ettari: con controlli identici e la medesima frequenza, sia che si producano 5 mila bottiglie o 2 milioni. Come si promuovono i vignaioli indipendenti? Hanno una loro “vetrina”? L’unica iniziativa di promozione che facciamo tutti insieme è il Mercato dei vini dei vignaioli indipendenti Fivi che si svolge alla
Foto di Beatrice Speranza
de Poggi, da luglio nuovo presidente della Fivi, vignaiola della zona del lago di Garda, precisamente Bardolino, con un’azienda sulle spalle (Le Fraghe), tre figlie e carattere da vendere. A lei abbiamo posto qualche domanda per conoscere meglio questa interessante realtà.
Niente imbottigliatori, nessun conferitore di uve, zero cantine sociali o cooperative. I vignaioli indipendenti coltivano le loro vigne, raccolgono le loro uve, vinificano e imbottigliano nelle proprie cantine, vendono direttamente, accolgono e consigliano la degustazione traendo piacere dal promuovere il frutto del loro lavoro
In apertura e in questa pagina, in alto: la Tenuta di Valgiano in Toscana. Sotto, la Presidente Fivi Matilde Poggi
Fiera di Piacenza, per questa edizione 2013 sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre. Un mercato interessante per conoscere il produttore, vederlo da vicino e parlare con lui. È per noi l’evento dell’anno, il momento nel quale i vignaioli incontrano i consumatori e gli appassionati e raccontano le loro storie, tutte diverse. E soprattutto fanno assaggiare i loro vini, che si possono comprare allo stesso costo della cantina. ottobre 2013
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consumi&tendenze
Bere bene al giusto prezzo di Piero Caltrin
Che una bottiglia da 5 euro sia meno buona di una che ne costa 10 è tutto da vedere. La scelta del bicchiere che andremo a servire ai nostri ospiti o degusteremo guardando un tramonto non può basarsi solo sull’aspetto economico dell’acquisto onde evitare di rovinarci la serata o il panorama. Come destreggiarsi tra la ricca offerta degli scaffali del supermercato? Per voi qualche consiglio 48
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ed è costretto a rifugiarsi sul costo, fatto sta che oggi più di ieri l’unica discriminante reale sul mercato del vino (così come in ogni altro settore, del resto) è il prezzo. Ma non è – come si sarebbe facilmente indotti a credere – una questione di risparmio. O almeno non solo. Già perché, seppur con frequenza molto più rara, anche qualcuno dei (pochissimi) fortunati che ancora possono spendere, di fronte all’enigmatica scelta, non fa fatica ad ammettere di optare, dopo svariati e infruttuosi ragionamenti, «per la bottiglia che costa di più».Vi sembrerà paradossale di questi tempi, ma per avere conferma chiedete pure all’amico notaio o al vostro dentista…
Scaffale, m’hai provocato...
Fateci caso: in 9 casi su 10, nelle cantine dei supermercati italiani gli scaffali più saccheggiati sono quelle dei vini cheap. Rossi, bianchi o rosati messi in promozione e venduti, dalla Grande Distribuzione Organizzata, a 2-3 euro. Sarà la recessione economica, sarà che il consumatore medio (privo cioè di una specifica cultura enologica) al cospetto di un’offerta sproporzionata e confusionaria ha sempre meno punti di riferimento
Il problema dunque, al netto dei budget famigliari, è la difficoltà a districarsi nella miriade di vini presenti sugli scaffali. Eppure la cultura, la conoscenza e il riconoscimento del vino di qualità sono sensibilmente migliorati nel corso dell’ultimo decennio. I tempi di Nando Meliconi – il mitico Albertone nazionale che nel film Un americano a Roma aggrediva la coppa di spaghetti e il fiasco di vino con il mitico “ammazzate che zozzeria” – sono ormai lontani: all’opulenza che negli anni del boom economico spopolava nel Belpaese, e che si traduceva anche in scelte alimentari che non andavano troppo sul sottile, da tempo si è sostituita la ricerca della qualità. E oggi che la globalizzazione ha annullato le distanze introducendo sugli scaffali vini di provenienza mondiale, l’offerta al consumo si è dilatata all’infinito. Parallelamente è cresciuta la consapevolezza del consumer di dover migliorare la propria conoscenza del prodotto per effettuare una scelta oculata. E con questo è aumentata anche l’offerta formativa: infinite le guide che affollano librerie ed edi-
Consigli per gli acquisti Per prima cosa è necessario chiedersi cosa si vuole bere: bianco o rosso, di buon corpo o meno strutturato, immaginando di adattarlo a un pasto o adeguando quest’ultimo al vino scelto. Senza demonizzare in alcun modo i vini di tipo industriale che sono tecnicamente validi ma tutti un po’ uguali, meglio dirigersi su prodotti tipici e distintivi di un territorio, nell’ottica di una scelta anche culturale. Gi scaffali sono generalmente allestiti per regione geografica lasciando uno spazio apposito ai vini internazionali. Inutile dire che per una conoscenza a 360 gradi, varrà la pena assaggiare anche i vini prodotti all’estero, ma solo in un secondo tempo. Il panorama italiano è sufficientemente vasto e interessante. Per quel che attiene alla fascia di prezzo, una considerazione sul costo minimo di produzione di un vino, anche semplice per quanto ovvia, deve essere fatta (costi vivi di produzione: bottiglia tappo e costi di cantina). Detratti questi ultimi, l’attenzione del consumatore si dovrà concentrare sulla lettura dell’etichetta. Spesso già l’impatto estetico di quest’ultima è denotativo della cura del produttore verso il proprio prodotto.
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consumi&tendenze
cole e tantissimi i corsi di degustazione. L’equazione sembrerebbe semplice. Basterebbe dunque affidarsi a uno dei tanti corsi di “avvicinamento al vino” o fornirsi di un semplice vademecum per entrare baldanzosi in un supermercato, scegliendo a colpo sicuro la bottiglia giusta fra mille per prezzo e qualità. Sfortunatamente non è così. Le guide, infatti, sono spesso in contraddizione fra loro e non possono citare, per ovvi motivi di spazio, tutta l’offerta dei piccoli produttori, che in Italia sono innumerevoli. Citano poi per di più i prodotti top che hanno un costo non adeguato a tutte le tasche. Senza voler sollevare ulteriori polveroni sulle modalità di selezione delle aziende o sulla preparazione tecnica non sempre perfetta di coloro che redigono le guide, queste al contrario possono essere considerate un valido strumento di catalogazione di una fetta della produzione vinicola. Un buon punto di riferimento è, ad esempio, la guida Touring Vini Buoni d’Italia: per la scelta comunque è necessario informarsi sull’impostazione che alla guida è stata data – nello specifico la lente è puntata sui vini autoctoni – e, soprattutto, sui suoi autori o curatori – in questo caso Mario Busso e Luigi Cremona – dei quali è importante verificare curriculum e competenze. L’offerta formativa è altrettanto varia e non sempre adeguata. Difficile scegliere, se non affidandosi a organizzazioni o associazioni che vantino una storia consolidata e che offrano anche titoli riconosciuti. Se non ci si vuole rivolgere a un amico più preparato o, come è di moda, a un wine advisor, si può dunque entrare in un supermercato e dirigersi verso gli scaffali, scoprendo di non aver ancora del tutto risolto il problema. Mancano buon senso, consapevolezza ed esperienza. 50
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VdG consiglia
5 euro
Vinisola “Barbacane” Rosso Sicilia Igt Leggero, ma non privo di struttura. Ottimo nei primi anni di vita, si accompagna bene a salumi tipici della tradizione meridionale e a primi piatti con condimenti a base di carne. L’azienda è a Pantelleria ed è una delle realtà più dinamiche nel panorama vitivinicolo italiano. Prezzo VdG Market: 5,10 euro
Collepicchioni “Coste rotonde” – Lazio bianco Igt Il Trebbiano e la Malvasia che lo compongono donano a questo vino intensi profumi floreali, fruttati e vegetali (salvia). Lo contraddistingue soprattutto una grande acidità, che lo rende assai fresco al gusto e perfetto come aperitivo o, eventualmente, per accompagnare antipasti leggeri. Prezzo VdG Market: 5,50 euro
Da 5,50 a 7 euro La Rizzola “Numa” Pignoletto spumante Brut L’Emilia delle bollicine ci regala questo Pignoletto spumantizzato, con metodo Charmat. Un vino fresco e leggero, sfuggente e piacevole. Dona sensazioni floreali (camomilla) e fruttate in sequenza. Uno spumante ideale per un aperitivo semplice e leggero. Prezzo VdG Market: 5,90 euro
Rallo “Il Principe” Nero d’Avola Dalla Sicilia più verace una bella espressione di Nero d’Avola da agricoltura biologica. Un vino intenso, ricco di note fruttate (ciliegia), buona espressione del territorio. Da bersi giovane, abbinato magari ai maccarruna i cannaluari, i "maccheroni di carnevale" al ragù di maiale. Prezzo VdG Market: 7 euro
Da 8 a 10 euro Berioli “Vercanto” Colli del Trasimeno Doc Un’uva tipica, il Grechetto, in una magnifica espressione. Si tratta di un bianco importante, dove i sentori di frutta a polpa gialla ed esotica si fondono con le note cedute dal legno utilizzato per l’affinamento. Ottimo con carni bianche e cucina di terra in genere. Prezzo VdG Market: 8,30 euro
Tenuta Polvaro “Polvaro Nero” Frutto di un assemblaggio ricchissimo, Cabernet Sauvignon, Syrah, Merlot e Refosco, questo vino rosso del Veneto è dotato di una morbidezza sorprendente. Non è eccessivo nei tannini e gode di un buon profilo aromatico, dove spicca la piccola frutta rossa matura (mora). Ideale l’abbinamento con arrosti. Da bere nei primi 5/6 anni di vita. Prezzo VdG Market: 8 euro
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cover story
enoturismo: i sentieri di bacco
Va dove ti porta il vino Da viaggiatore gourmet ad assaggiatore competente. Nasce l’enoturista, un nuovo pioniere del gusto protagonista di un fenomeno che coinvolge 6 milioni di persone, muove un giro d’affari da 5 miliardi di euro e ha trasformato cantine e vigneti in una specifica attrazione turistica di Silvana Delfuoco Dal “mare color del vino” dei poemi omerici al nunc est bibendum di oraziana memoria: anche per i nostri aviti padri il “nettare degli dei” era l’indispensabile riferimento con cui sottolineare i momenti di festa. Impossibile pensare che anche loro, quando erano in viaggio di lavoro o di piacere, non andassero alla ricerca di qualche buona cantina in cui concludere degnamente una giornata di vacanza. Nihil sub sole novi quindi, tanto per rimanere sul classi52
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co! In realtà, però, è soltanto dopo la metà del XIX secolo che il mondo vitivinicolo diventa una specifica attrattiva turistica come oggi la intendiamo. Dopo cioè che i cambiamenti della società hanno determinato la crescita di una nuova classe media, interessata alla ricerca dei prodotti, e dei vini, di qualità, in precedenza riservati quasi esclusivamente ai nobili. Un fenomeno che col tempo si è sempre più definito fino ad assumere anche un nome ben preciso: enoturismo.
"E capii che il vino è anche amore e attaccamento per la propria terra, un amore e un attaccamento che contribuisce a trasmettere da una generazione all’altra, a distanza di decenni e a migliaia di chilometri" (Giuseppe Culicchia, scrittore)
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cover story
enoturismo: i sentieri di bacco
Un’occasione da non perdere
L'enoturista-tipo è un viaggiatore (o una viaggiatrice, visto il 38% di quote rosa della categoria) di età compresa tra i 30 e i 50 anni, internauta, preparato ed evoluto che si organizza le vacanze da se e visita le cantine in ogni periodo dell'anno
La forza economica di questo fenomeno è tutt’altro che irrilevante: l’enoturismo oggi in Italia è in grado di generare, secondo gli ultimi dati 2013 del Censis, un giro d’affari sui 5 miliardi di euro e muovere dai 4 ai 6 milioni di turisti in giro per lo Stivale. E, come il turismo enogastronomico, diventa sempre più internazionale. Ci sarebbe di che rallegrarsi e mettersi a sognare in grande, e soprattutto da rimboccarsi subito le maniche, visto che il lavoro da fare è ancora piuttosto impegnativo. Tra i turisti sono infatti gli stranieri quelli disposti a spendere di più. Lo dicono i dati delle aziende vitivinicole aderenti al Movimento Turismo del Vino: su un budget medio di 50/100 euro tra cantina e visita, il turista straniero è nel 65% dei casi molto più propenso a spendere per portare a casa i prodotti del territorio che ha visitato. Di questo deve quindi tener
In principio fu Cantine Aperte Degustare del buon vino è ciò che si propone il turista in giro per cantine e aziende vitivinicole. Non meraviglia quindi che l’evento organizzato dal Movimento Turismo del Vino più gettonato sia Cantine Aperte, dal 1993 consolidato appuntamento dell’ultima domenica di maggio, quando vignaioli di tutte le regioni d’Italia aprono le porte delle loro aziende a curiosi e appassionati per presentare la nuova annata. È l’occasione in cui la cantina diventa luogo d’incontro e di scoperta delle potenzialità del territorio, grazie anche alla maggiore consapevolezza via via acquisita dai produttori. Ecco allora, sulla scia di questo primo successo, il moltiplicarsi delle iniziative: Calici di stelle, il brindisi di mezza estate nella notte di San Lorenzo; Benvenuta vendemmia, il momento della raccolta delle uve all’inizio di settembre; San Martino in Cantina, un omaggio all’antica usanza di festeggiare, l’11 novembre, l’inizio della nuova annata agraria; e infine, per chiudere in bellezza, Natale in cantina, l’ultima festa dell’anno tra il profumo delle botti. Per saperne di più: www.movimentoturismovino.it 54
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conto il comparto dell’offerta enoturistica, adeguando e arricchendo opportunamente le proprie competenze, ma anche i nostri governanti dovrebbero sentirsi chiamati in causa, non fosse altro che per un’attività di globale coordinamento.Nell’attesa di futuri eventi, che tutti ci auguriamo ormai prossimi, in quali direzioni muoversi da parte degli operatori del settore? Un utile aiuto può venire a tutti dalla consultazione del portale web del Movimento Turismo del Vino, che annovera tra i suoi associati circa mille cantine, dalle storiche alle ultime nate, ma tutte con un comune denominatore:la cultura dell’accoglienza enoturistica. Ai "turisti del vino" infatti il Movimento vuole sia far conoscere più da vicino l’attività e i prodotti delle cantine aderenti sia offrire un esempio di come si possa fare impresa nel rispetto delle tradizioni, della salvaguardia ambientale e dell’agricoltura di qualità.
Enoturista, questo sconosciuto
Itinerari emergenti E se sono tanti gli eventi promossi dal Movimento Turismo del Vino da maggio a dicembre, da Cantine aperte a Natale in cantina, è ormai sempre più diffusa la tendenza ad accogliere i turisti tutto l’anno, incoraggiando attività che al vino abbinano la promozione del territorio attraverso la proposta di numerosi itinerari enoturistici. Quali allora le opportunità per il turista-fai-date, che preferisce costruire da solo il suo viaggio e andare alla scoperta di percorsi magari meno scontati? Tra i territori emergenti ci sono sicuramente i monti boscosi e le colline verdeggianti dell’Irpinia, terra di grandi vini tra cui tre Docg – Fiano di Avellino, Greco di Tufo, Taurasi – e di pregiati prodotti di nicchia, come il tartufo nero di Bagnoli Irpino. Un anello ideale, che parte e finisce ad Avellino, prevede, oltre alla visita ad accoglienti cantine, diverse tappe suggestive. A partire proprio dalla salita a Montevergine, ai cui piedi sorge la città, dove, nel santuario benedettino del XII secolo, è custodita l’immagine della Madonna Nera;
per proseguire per Montefusco, dove ancora si conservano i segreti dell’antica arte del tombolo; per terminare a Tufo con la visita alle miniere di zolfo, imponente complesso di archeologia industriale risalente a metà Ottocento. Ma anche realtà già più battute dal turismo, come la Penisola Salentina o il Friuli, possono riservare ancora qualche sorpresa a chi abbia voglia di approfondire la ricerca. Come la visita a San Severo, in provincia di Foggia, terra dei rossi Montepulciano, Sangiovese e Nero di Troia. I cunicoli carsici nascosti nel sottosuolo della cittadina hanno a lungo rappresentato il luogo ideale in cui allestire piccole cantine artigianali. Fenomeni naturali non troppo dissimili a quelli dell’altipiano del Carso, a due passi dalle dolci, e ancora poco note, colline del Collio goriziano, perfette per rilassanti vacanze nel verde, dove gustare grandissimi bianchi come Pinot,Tocai friulano e Sauvignon. E anche le zone vinicole più gettonate, come la Toscana o il Piemonte, non sono poi così scontate come si potrebbe credere.
Internauta, di età compresa tra i 30 e i 50 anni e fai da te. È questo l’identikit dell’enoturista di oggi, come emerge da una recente indagine curata dal Movimento Turismo del Vino. Un viaggiatore (o una viaggiatrice, visto il 38% di “quote rosa” calcolato dal Censis) indipendente, sempre più preparato ed evoluto, che costruisce il suo itinerario su internet senza affidarsi ai tour operator e che visita le cantine tutto l’anno, non solo nel periodo estivo. A sorpresa, infatti, il mese preferito è maggio (per il 38% degli intervistati), seguito da agosto (15%), settembre (13,5%), luglio (11,1%) e giugno (7,9%). Un prevedibile cambio nella tipologia dei visitatori si riscontra, ovviamente, a seconda delle stagioni. Nei mesi invernali arrivano in cantina soprattutto i residenti o chi abita nelle località limitrofe, mentre in autunno e in primavera sono più frequenti le escursioni giornaliere, magari con un breve pernottamento. A preferire i mesi estivi sono invece soprattutto i turisti che soggiornano nei dintorni e che alla vacanza abbinano la visita in cantina: tra il 50% e il 75% delle presenze estive, dichiara il 47% dei produttori. Altro mito da sfatare è invece la visita in cantina come gita fuori porta tipica del week end. Ci si muove infatti con altrettanta frequenza anche nei giorni feriali, soprattutto con lo scopo di degustare i vini dell’azienda. Magari accompagnati da un assaggio di prodotti del territorio, dopo una rilassante visita guidata tra botti e bottiglie in attesa e il verdeggiare dei vigneti.
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cover story
enoturismo: i sentieri di bacco
La parola a Daniela Mastroberardino, presidente del Movimento Turismo del Vino In Italia anche il comparto turistico, nostra risorsa d’eccellenza, è duramente provato dalla crisi. L’enoturismo va davvero in controtendenza? I dati del Censis confermano la crescita costante, nonostante la crisi, del fenomeno. Ma attenzione: i margini di crescita sarebbero molto più ampi con una partecipazione più attiva delle istituzioni per un coordinamento unico, in grado di promuovere in maniera corale il brand Italia. L’obiettivo è affermare un’eccellenza alla pari di altre bandiere del made in Italy, come moda e cultura. Il lavoro da fare è quindi ancora piuttosto impegnativo, soprattutto tenendo conto che, a spendere di più, sono i turisti stranieri. Perché allora non cercare ispirazione in un modello che già funziona, come quello statunitense? Sono stata qualche anno fa in Napa Valley in visita ad aziende organizzatissime. Ma il loro modello di offerta enoturistica è da ritenersi piuttosto "industriale" o edonistica, legata alla convivialità. Un sistema che non credo sia applicabile alla realtà italiana, più complessa perché fatta di tanti territori, ognuno con le sue peculiarità, e di una cultura vitivinicola millenaria. Senza contare l’aspetto artistico-culturale e le bellezze naturali. L’Italia è un museo a cielo aperto che va valorizzato in maniera integrata: vino, territorio e cultura non sono elementi disgiunti, ma vanno promossi di pari passo. Quali sono, a oggi, i territori che in Italia stanno lavorando meglio su queste sinergie tra vino, cultura e turismo? Bisogna riconoscere che ogni territorio, nel rispetto delle sue specificità, sta cercando di lavorare ormai in un’ottica di promozione integrale, e di attivare un gioco di squadra tra le varie compagini che gravitano intorno al turismo del vino. I tempi di risposta naturalmente possono essere differenti. Ci sono luoghi da sempre vocati al vino che hanno puntato da subito sul connubio tra cultura e turismo, in primis la Toscana, dove non a caso il Movimento è nato. Grande crescita la sta facendo la Puglia, eletta quest’anno top wine destination italiana dalla rivista Wine Enthusiast. Se il modello americano è da bocciare, lo stesso non possiamo dire di quello francese. Perché in Italia non riusciamo a stare al passo della Francia? Non ritengo il sistema americano da bocciare, penso solo che si basi su un approccio culturale differente da quello europeo. Il sistema francese è senz’altro vincente – i castelli della Loira ne sono un esempio – perché i francesi hanno saputo mettere a sistema tutta la loro offerta turistica: dal vino alla cultura, dallo sport alla musica, ai grandi eventi. Tutto è concentrato in un unico prodotto: il territorio. In Italia quello che manca è questa messa in rete dei soggetti che rende possibile fornire al turista un ventaglio di offerte integrate in un solo "pacchetto".
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Ci dia una ricetta per “comunicare meglio il vino”, tanto sullo scaffale quanto come potenziale driver turistico... Dalla mia esperienza di produttrice, la ricetta migliore per vendere e comunicare un vino è quella di raccontare ciò che c’è dietro la bottiglia: la storia, la famiglia, il territorio e la sua cultura. Sono queste le suggestioni che affascinano l’acquirente e che lo spingono a scegliere una bottiglia. Oltre alla qualità, naturalmente. Gli stessi criteri sono applicabili anche al turismo del vino. Se ci pensiamo bene, ciò che il vino italiano suscita nell’immaginario collettivo è proprio questo. Dobbiamo perciò puntare a valorizzare in maniera integrata i nostri punti di forza, che sono unici al mondo: paesaggi, tradizione, storia millenaria e cultura dell’eccellenza.
Ancora Chianti e Langhe, ma… Siete mai stati, per esempio, in Val d’Orcia, a due passi da Montepulciano e dal suo Vino Nobile, per visitare non solo l’incantevole Pienza, ideale modello di città rinascimentale, ma anche la più selvaggia, e suggestiva, Radicofani, feudo del bandito-gentiluomo Ghino di Tacco? Oppure, deviando appena dall’itinerario classico del Chianti, chi si è spinto fino a Volpaia, perfetto borgo medievale raccolto attorno al castello, dove la vita agricola segue i ritmi dell’XI secolo, con la produzione delle tipiche colture della zona: la vite e l’ulivo? Ancora poco note al turismo di massa sono anche le colline della Langa astigiana, la “parente povera” della patria del Barolo e del tartufo bianco, che si stende tra Canelli e il fiume Bormida. È nata qui da poco una Barbera d’eccellenza, il Nizza, produzione di nicchia che si sta facendo strada nel mondo degli eno-appassionati. E da non perdere è anche il Loazzolo, passito di moscato vendemmia tardiva, vino rarissimo nonché Doc più piccola d’Italia. Il suo luogo di produzione è esclusivamente nel minuscolo omonimo comune: un borgo di vigne incuneate tra boschi ricchi di una rara vegetazione rimasta intatta nel tempo. Perché il nostro paese è un'unica, e non imitabile, fonte di scoperte continue.
La showgirl Angela Achilli: "Nel vino ritroviamo noi stessi, le nostre radici" di Lucia Lipari Una vita frenetica come quella della cantante, ballerina e showgirl Angela Achilli non è fatta solo di brindisi frizzanti, ma anche di momenti di relax e ricordo, legati a un buon bicchiere. «La mia famiglia è originaria del Palermitano – ci racconta Angela – e ricordo che i nostri vicini di casa ogni anno andavano nella Valle del Belice a fare la vendemmia. Quando tornavano in città mi raccontavano storie fantastiche legate al lavoro in vigna, ai profumi dell’uva appena raccolta, alla forza con cui gli acini venivano pestati, il clima di festa e unione familiare che si respirava attorno...» Qual è il tuo rapporto col vino? Non sono un’esperta ma mi piace. Soprattutto le bollicine, immancabili per ogni brindisi che si rispetti. Il buon vino però si sposa con il buon cibo e io amo la cucina, mangio di tutto. A mia madre ho rubato molte ricette: la caponata, la pasta con le sarde e il finocchio selvatico, ad esempio, e il mio piatto preferito, la pasta con il pomodoro fresco e le melanzane, nel segno della migliore tradizione siciliana. Mi piace anche legare il vino a momenti particolari di relax e benessere. Un aperitivo divertente con gli amici. Una cena elegante e romantica. Una pausa di riflessione per sorseggiare un buon bicchiere in meditazione.
Ogni vino ha la sua terra. Un legame inscindibile che adesso è diventato anche un must nelle scelta delle destinazioni vacanziere... La società di oggi va sempre di corsa, conduciamo vite frenetiche, professioni che per forza di cose ti obbligano, a volte, a fermarti per poterti ricaricare e tirare il fiato. Capita spesso di volersi rifugiare in una qualche tenuta a degustare calici immersi nel verde per godere dei piaceri della tavola e ritrovare se stessi... perché no, dopo un massaggio che ci ricongiunga col mondo! Recentemente mi è capitato di soggiornare in uno splendido agriturismo in Toscana, circondato dalle colline del Chiantishire, lo consiglio a tutti. Quanto è importante la carriera? Seguiresti le orme di Russell Crowe nel film Un’ottima annata? La carriera è importante, sarebbe innegabile, poi quando lavoro e passione vanno di pari passo i risultati arrivano. Ho sempre sognato di calcare palcoscenici importanti, l’America, Broadway... E non so se, come Russell Crowe, abbandonerei tutto per vivere nella natura. Amo molto la confusione della città, ma di certo il legame con la terra è importante: sono le radici salde che ci permettono di rimanere con i piedi per terra.
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cover story
enoturismo: i sentieri di bacco
Quanti ricordi nel bicchiere Rosse, intense come il sangue e le foglie nell’autunno piemontese. E ambrate, calde come il sole che al tramonto abbraccia le coste siciliane. Sono le memorie, le reminiscenze legate all’uva, al vino immaginato, appena assaggiato da bambino e infine scelto. Sempre lo stesso. Carico di voci, volti e panorami ancora tutti da raccontare
di Giuseppe Culicchia (testo raccolto da Eleonora Fatigati)
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Barbera. Barbera e Marsala. Piemonte. Piemonte e Sicilia. Sicilia ovvero Marsala. Nato in una famiglia per metà siciliana e per metà piemontese, ancora bambino e innamorato delle avventure di Tom Sawyer e Huckleberry Finn, credevo che i vini fossero due. Il Barbera lo associavo agli agnolotti al sugo d’arrosto la domenica, perché anche se non avevo il permesso di berlo lo vedevo in tavola rosso più scuro del sangue. Il Marsala invece profumava il mio zabaione, giusto un goccio per carità che poi u’ picciriddu, ’l cit, si ubria-
ca. A posteriori, mi chiedo come ci si possa ubriacare a forza di zabaione. Ma all’epoca lo ritenevo possibile. Non sapevo che in età adulta, pur sperimentando il piacere conviviale di altri vini non solo piemontesi o siculi ma anche friulani, veneti, toscani, liguri, perfino laziali “de li Castelli”, sempre avrei amato accompagnare il Barbera agli agnolotti al sugo d’arrosto, e la pasta di mandorle o pasta reale o frutta Martorana al Marsala. Con lo zabaione infatti ho chiuso: non sia mai che poi mi metto al volante ubriaco.
Dodici volte vino Giuseppe Culicchia è nella rosa di scrittori che partecipano al progetto editoriale Racconti in bottiglia realizzato da Marsala Città Europea del Vino 2013 in collaborazione con Rcs-Corriere della Sera e la complicità della Nazionale Italiana Scrittori. Dodici autori per dodici racconti di vino pubblicati settimanalmente sul Corriere nei mesi scorsi che saranno raccolti in un libro di prossima uscita.
neppure un grappoComunque. Anlo, al contrario di cora oggi, se porquello che avrebbeto alle labbra un ro fatto al posto mio bicchiere di BarTom e Huck, e però bera e chiudo gli assaggiavo più di un occhi, a un tratto acino. E se ripenso è autunno, e mio all’estate del 1979, padre mi porta a l’ultima passata a caccia con lui in Giuseppe Culicchia è nato a Torino nel '65. Marsala con mio boschi betulle, e Ba-da-bum! (Ma la Mole no) edito nel 2013 da Feltrinelli è il suo ultimo romanzo padre, sento la gola sotto i nostri stiche pizzica per via vali c’è un tappeto di foglie gialle e rosse e arancioni, e poi dell’incredibile dolcezza dell’uva inebriata prati verdi e cani ebbri di gioia che si tuffa- di sole e velata di polvere da cui da sempre no nei fossi, e partite a carte, fumo di siga- si ricava lo Zibibbo. Quell’uva proveniva dai rette, lepri al forno, risate tra amici, storie. terreni dell’amico di lui Cocò, e gli occhi di Se invece annuso un calice di Marsala, ec- questi brillarono d’orgoglio misto a passioco la città protesa sul mare, ricca di palme e ne quando constatarono la nostra sorpresa: muri di tufo, e gli scogli neri di Capo Boeo, perché mai ci era capitato di assaporarne di e i nostri piedi nudi sulla sabbia che scotta, così deliziosa. Molti anni dopo, ormai adule il vento profumato d’Africa, e il cielo in- to, rividi lo stesso orgoglio e la stessa passiocendiato dal tramonto su cui si stagliano le ne nello sguardo di Giacomo Rallo, quando sagome nere delle Egadi, e pranzi e cene in- mi fece visitare la cantina dove nascono i terminabili, cous-cous con la ghiotta di pe- vini Donnafugata, prodotti con uve baciasce, altre sigarette, altre risate, altri amici, al- te dal sole di Marsala e Pantelleria. E tra un tre storie. E ogni volta, osservando i riflessi paio di carretti siciliani meravigliosamente sanguigni del Barbera e quelli ambrati del conservati e lucenti botti di rovere, capii che Marsala, mi vengono in mente le parole di il vino è anche amore e attaccamento per la Hemingway nel capitolo finale di Morte nel propria terra, un amore e un attaccamento pomeriggio: “Mi sono accorto che se si be- che contribuisce a trasmettere da una geve qualcosa tutto è proprio come è sempre nerazione all’altra, a distanza di decenni e a stato”. Che poi non è mica vero, per quan- migliaia di chilometri. Ecco perché, pur apto il vino sia buono, e indipendentemente prezzando il Merlot e il Cabernet, il Chiandalla regione di provenienza e dal vitigno e ti e il Cannonau, il Vermentino e il Frascati, dall’invecchiamento. Ma credo che il caro quando esco da un’enoteca nove volte su vecchio Ernest rispetto a me oltre a scrivere dieci porto via con me una bottiglia dentro meglio bevesse di più. Più tardi, da ragazzo, cui so già di ritrovare un pezzo di Piemonquando mi capitava di trascorrere una mat- te o di Sicilia, e con questo sguardi che non tina di settembre in mezzo alla campagna incrocio più da tanto tempo, e voci di cui piemontese o sicula oppure sulle colline in- ricordo benissimo il timbro, e storie che un torno a Noli in Liguria o sui sentieri delle giorno o l’altro spero di riuscire e scrivere, Cinque Terre e m’imbattevo in un vigne- ed echi di risate. Mi sono accorto che se si to, m’intrufolavo tra i filari e facevo come beve qualcosa tutto è proprio come è semmi aveva insegnato mio padre: non rubavo pre stato. Più o meno. ottobre 2013
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ilpersonaggio
Cent'anni di vendemmie
Il nome Cecchi è legato al mondo del vino da più di un secolo. La storia dell'azienda è iniziata in Toscana nel 1893. Quattro tenute per oltre 300 ettari di superficie vitata e quattro diverse realtà turistiche: la Toscana del Chianti e delle città d’arte, Siena e San Gimignano, la costa maremmana e l’Umbria, piccola e preziosa, con tanta voglia di entrare nei circuiti turistici importanti
Cesare Cecchi 60
di Elena Conti
Quanto è importante il territorio per vendere bene un vino? «Il vino è legato a doppio filo al suo territorio, e bisogna riuscire a far percepire il contesto in cui viene prodotto. È la tipicità della zona che lo rende unico in un mercato ormai globalizzato». Quindi avete scelto di valorizzare l’inserimento delle vostre tenute in determinati territori? «Sì, noi abbiamo una produzione diversificata, con tanti prodotti di nicchia e una gamma molto ampia date le zone in cui operiamo. Ma non puntiamo sulla vendita locale. Le nostre bottiglie raggiungono ben oltre 50 mercati esteri. Naturalmente il numero cambia, solo quest’anno ab-
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biamo iniziato a commercializzare anche in Mongolia, Gabon e Cile, serviamo mercati come il Nepal o il Belize». Quali sono i mercati più importanti? «Naturalmente quelli dell’Europa, tutti, compresi i paesi dell’est, e lavoriamo bene con il Nord America, mentre stiamo crescendo in Asia». E l’Italia, che tipo di mercato rappresenta per voi? «L’Italia da sola assorbe il 40% delle nostre bottiglie». Il successo delle aziende vitivinicole quanto è legato alla notorietà della zona e dei vini che in essa si producono?
Dal Chianti al Sagrantino Quella delle Cantine Cecchi è una storia che, in crescendo, dalla fine dell’800 arriva ai giorni nostri. Dalla valorizzazione della prima tenuta in Toscana, Villa Cerna, nel Chianti Classico, all’acquisizione nel 1988 del Castello di Montauto, zona di produzione della Vernaccia di San Gimignano, all’arrivo in Maremma nel 1996, con Val delle Rose, per la produzione di Morellino di Scansano e Vermentino. Negli anni ‘90 l’attraversamento dei confini toscani per acquisire in Umbria la Tenuta Alzatura, dove Cecchi produce Rosso di Montefalco e Sagrantino.
«Noi siamo particolarmente fortunati, perché vini come il Chianti Classico e Il Brunello di Montalcino sono famosi nel mondo, è quindi più facile che attirino l’attenzione di coloro che sono interessati a venirci a visitare. Non dimentichiamoci pure che la nostra terra è ricca di arte e tradizioni e questo fa sinergia con l’enoturismo. In altre zone è più difficile perché non sono ancora conosciute al grande pubblico o perché situate in territori meno collegati e con infrastrutture non all’altezza della situazione. Ci sono aziende conosciute nel mondo che hanno affrontato seriamente l’enoturismo e stanno avendo risultati molto buoni in termini di vendite e di viste, altri che lasciano le
cose un po’ al caso, che si affidano solamente al fatto che il vino e la zona sono conosciute, che non hanno realmente una capacità propositiva e hanno maggiori difficoltà». Che aiuto possono dare le istituzioni pubbliche e locali? «Avrebbero una funzione estremamente importante, determinante, che spesso ignorano. Invece di frammentarsi in mille attività distinte, troppo spesso di bassissimo livello, dovrebbero avere il ruolo di coordinare, in sintonia e sinergia con tutte le componenti turistiche della zona, una serie di manifestazioni ed eventi che abbiano una reale capacità di attrattiva turistica». ottobre 2013
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lostudio
Ecco a voi i nuovi turisti del gusto Amano viaggiare in gruppo, una o due volte l’anno, e scelgono la meta in base all’enogastronomia tipica del luogo. Li puoi trovare mentre perlustrano golosi le zone rurali del Belpaese tra luglio e ottobre
Che gli italiani siano un popolo di viaggiatori non è certo una novità, basti pensare che ben 1 su 3 dichiara di amare molto il viaggio o, comunque, di averlo tra le cose che preferisce fare nel tempo libero (29%). Una passione che in molti riescono ad assecondare da una a due volte l’anno (43%), contro una fetta minore che invece riesce a partire addirittura tre o quattro volte (19%). Ma quanto tempo dura ogni viaggio? In genere una settimana (35%), anche se
1. Ami viaggiare? Molto
31%
Conoscere le specialità enogastronomiche del luogo
71%
Abbastanza
29%
Staccare dalla routine
63%
Saltuariamente
23%
Conoscere altra gente
31%
Poco
13%
Non so
4%
Per nulla
2. Quanti viaggi fai in un anno? Da 1 a 2
43%
Da 3 a 4
19% 5%
Più di 5 Dipende/altro
33%
Al massimo in tre
23%
Da solo
17%
Altro/non so
3%
8. Prevalentemente in quale periodo dell’anno viaggi?
5. Che tipo di viaggio preferisci?
Tra luglio e ottobre
37%
Organizzato in ogni minino dettaglio 37%
Tra febbraio e aprile
31%
Con alcuni punti fermi, ma con una parte da gestire autonomamente 33%
Tra novembre e gennaio
19%
Dipende/non so
13%
Totalmente libero Altro/non so
25% 5%
6. Qual è il paesaggio che ami trovare?
3. Quanto tempo dura ogni viaggio?
9. Quali le attività che ami fare quando ti trovi in loco? (risposta multipla) Feste e Sagre
73% 69%
Di solito 1 settimana
35%
Rurale
29%
Musei/monumenti
Un weekend
25%
Urbano
25%
Frequentare i locali più cool della zona 55%
Un giorno
21%
Marino
21%
Altro/non so
Da 1 a 2 settimane
13%
Dipende dal periodo dell’anno
19%
15 giorni
5%
Altro, non so
Altro
1%
7. Viaggi in compagnia o da solo?
4. Qual è la molla che ti spinge a viaggiare (risposta multipla) La voglia di conoscere nuove culture 77%
62
9%
c’è pure chi si accontenta (sempre più spesso) di un weekend (25%) o della gita fuori porta di un giorno (21%). Ma qual è la molla che li spinge a viaggiare? Sicuramente la voglia di conoscere nuove culture (77%), affiancata dalla sempre crescente attenzione alle specialità enogastronomiche del luogo (71%), ovviamente unita alla voglia di staccare dalla solita routine (63%). E non stupisce allora che tra i paesaggi possibili, amino immergersi prevalentemente in contesti rurali (29%), anche se resistono bene anche quelli urbani (25%) e marini (21%), frequentati soprattutto da gruppi (31%), minimo di 5 persone (26%), prevalentemente tra luglio e ottobre (37%) o, in alternativa, tra febbraio e aprile (31%). Tra le attività preferite quando gli italiani si trovano in una località sconosciuta spiccano le feste e le sagre (73%), le visite ai musei e ai monumenti (69%) e frequentare i locali più cool della zona (55%). Una scala di preferenze che secondo gli intervistati è il miglior modo per capire l’essenza di un posto (39%), conoscerne costumi (35%) e vedere abitudini e tradizioni di un popolo (24%). È quanto emerge da uno studio promosso dalla nostra rivista condotto tramite interviste web a oltre 1.300 italiani, uomini e donne, di età compresa tra 18 e i 55 anni, per rilevare come organizzano le loro vacanze e quali sono le loro preferenze.
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6%
9%
10. Perché? È il miglior modo per capire l’essenza di un luogo
39%
Per conoscerne i costumi
35%
Più siamo meglio è
31%
Per conoscerne abitudini e tradizioni 24%
Minimo 5 persone
26%
Altro/non so
2%
Ristorante Roberto È il più noto tra i ristoranti italiani a Mosca. Direttore generale e gestore è Maurizio Pizzuti, il cui nome è noto nella capitale russa sin dal 1990, quando vi aprì il suo primo locale. Sempre presente in sala e pronto ad accogliere gli ospiti, è la sua lunga esperienza la migliore garanzia per il cliente di trovare qui un’atmosfera
famigliare, assicurata anche da un menù basato sulla qualità della materia prima italiana. La carta dei vini propone bottiglie da tutto lo Stivale.
Ristorante Roberto Rogdestvenskij blvd, 20 Mosca Tel. (495) 628-19-44
Hotel La Torre Di fronte a un mare azzurro cristallino, a due passi da una spiaggia ampia e sabbiosa, immerso in un paesaggio dai profumi e dai colori mediterranei, trovate l’Hotel La Torre, ben inserito in uno degli angoli più suggestivi della Sardegna, dove godere di tutto il mare che avete sempre sognato. Le 60
Sardegna
camere, distinte per la loro posizione in tre tipologie, offrono ogni confort e il ristorante interno alla struttura propone un ricco menù di tipicità.
Hotel La Torre s Loc. Torre di Barì Bari Sardo (Nu) Tel. 0782.28030/28031 hotellatorresardegna.com
Borgo Lanciano La tenuta del Borgo di Lanciano è un relais esclusivo che dispone di un ristorante, una Spa e di sette sale meeting. Immerso nella natura, rappresenta, nel territorio marchigiano, una struttura unica, dedicata a offrire servizi per il turismo leisure e business, catalizzando l’attenzione di chi è alla ricerca non solo di bellezze
Russia
naturali e ambientali, ma anche di un concetto di benessere legato al recupero di valori tradizionali.
Relais Borgo Lanciano s Loc. Lanciano, 5 Castelraimondo (Mc) Tel. 0737.642844 www.borgolanciano.it
Marche
panoramaimprese
Vino? Questione di tecnica La produzione di avanguardia Industrie Fracchiolla ci permette di intraprendere un viaggio nel dietro le quinte di un'aziendea vinicola per scoprirne un aspetto forse poco noto: quello tecnologico di Piero Caltrin 64
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Avere un buon vitigno, di base, è fondamentale, certo. Così come poter contare su un terroir particolare e avere a disposizione l’esperienza di un enologo qualificato. Chiaramente, il tutto – ça va sans dire – si deve amalgamare con la passione nel fare il vino. Ma una produzione vinicola che si rispetti, necessita anche di un’altra componente, non meno importante rispetto alle altre, per quanto meno “celebrata”. Stiamo parlando cioè della tecnologia necessaria al ciclo produttivo. Macchinari e apparecchiature che, in una cantina moderna, devono essere sempre all’altezza. Una delle poche realtà italiane in grado di garantire questi prerequisiti è Industrie Fracchiolla, gruppo pugliese con 40 anni di cursus
honorum alle spalle e una strategia tutta puntata sul futuro.Ad Adelfia, in provincia di Bari, dove l’azienda – oggi gestita da tre fratelli e con una produzione che abbraccia l’industria alimentare, chimica, farmaceutica e petrolifera – ha costruito tutta la sua storia, Fracchiolla fin dagli anni ’70 progetta, produce e installa macchine e impianti per la fermentazione dei mosti e la stabilizzazione dei vini. «Macchinari tecnologicamente avanzati incidono quasi per il 60% sulla qualità finale di una produzione vinicola – spiega Rocco Fracchiolla, direttore commerciale – in una cantina il tempo infatti è fondamentale. Senza macchine adeguate, nel ciclo produttivo si perde tempo, e questo va a discapito della qualità».
Soluzioni orizzontali E proprio sulla capacità di far risparmiare tempo alle aziende vinicole, Industrie Fracchiolla ha costruito i suoi successi più grandi. Che hanno due nomi in particolare: il Gioiello e la Techno Press.A spiegarci le peculiarità di queste macchine straordinarie di cui si avvalgono prestigiose aziende del panorama nazionale come Marchesi de’ Frescobaldi, è sempre Rocco Fracchiolla: «I vinificatori sono i macchinari in cui, dopo la raccolta e la pigiatura dell’uva, va a finire, assieme alle bucce e ai vinaccioli, il mosto, e dove viene fatto fermentare» sottolinea. «Il mosto pigiato subisce quindi, per 5-6 giorni, dei cicli di rimontaggio utili a non far solidificare le vinacce e a estrarre dalle bucce colore, antociani, tannini, polifenoli e aromi». La particolarità del Gioiello, tecnicamente un “vinificatore sgrondatore orizzontale a cappello sommerso” è quello di essere un macchinario che si dispone appunto in maniera orizzontale e consente di evitare i cicli di rimontaggio. «In sostanza, grazie a una sorta di cestello grigliato rotante nel quale la parte solida delle bucce viene forzata a non emergere e quindi a non solidificarsi, e impedisce al vino di diventare feccioso», chiosa la nostra interlocutrice.
Avanguardia “soffice” Altro fiore all’occhiello del gruppo è la Techno Press, altrimenti detta “pressa soffice”. Anche le presse da vino sono macchine basilari nei processi di vinificazione: «una volta che la fermentazione è completata nel fermentatore, si tira via la parte liquida, si “svina” cioè, e si lascia solo la parte solida bagnata perché impregnata da mosto da recuperare. L’obiettivo è premere la parte solida per far venire fuori il succo», prosegue Rocco Fracchiolla. Questa operazione un tempo veniva svolta dai torchi, ma per ottenere buoni risultati erano necessarie grandi pressioni; da 20 anni a questa parte, invece, la nuova tecnologia “soffice” consente di estrarre la parte liquida residua contenuta
In alto, un'immagine della Techno Press. Sotto la squadra Industrie Fracchiolla al gran completo. L'azienda conta su una forza lavoro composta da 110 dipendenti e uno stabilimento di 20.000 mq
nelle vinacce a pressioni decisamente inferiori. «Una minore pressione – prosegue Fracchiolla – si traduce in un minore sfregamento e quindi in un minore maltrattamento delle vinacce e in una minore produzione di fecce, i piccoli residui solidi che galleggiano nella parte liquida. La Techno Press in particolare garantisce ulteriori vantaggi rispetto alle altre presse soffici – conclude – il primo è di natura enologica. I vini di qualità si fanno in ambienti salubri utilizzando attrezzature pulite e sterilizzate perché i residui, come le bucce, che rimangono all’interno dell’apparecchiatura incidono sulla qualità del vino: la Techno Press è facilmente smontabile e quindi altrettanto facilmente ripulibile. Il secondo vantaggio è di natura meccanica e garantisce alla macchina una maggiore durata».
Saremo presenti al Padiglione 9 Stand M22 N29
Sotto, il Gioiello, vinificatore sgrondatore orizzontale a cappello sommerso
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italiafoodwine Il mercato giusto
Una fiera permanente di vini e cibi italiani AÉ>iVa^V jc ^bbZchd Z higVdgY^cVg^d WV" X^cd Y^ egdYdii^ V\gdVa^bZciVg^ igdeed ed" Xd XdcdhX^ji^ Z bVa Y^hig^Wj^i^# BVa\gVYd jcV YdbVcYV Xdc ediZco^Va^i| Y^ XgZhX^iV ^aa^b^iViV! cdc hZbegZ aÉd[[ZgiV g^ZhXZ V gV\\^jc\ZgZ ^a bZgXVid#
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Le 3 azioni giuste per vendere il prodotto
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magazine
Cibo&Territorio Cibo&Territorio 74
92
88
70 Farine rivoluzionarie
92 Wine passion: il Morellino
Un rosso “di razza” che nasce in Maremma. Come i cavalli cui si ispira 94 Wine passion: Franciacorta Le bollicine nostrane vanno in crociera. Per diventar grandi all’estero
In Piemonte i mulini son tornati all’età della pietra. Per produrre meno e meglio
74 Luppolo, l’amaro di casa
È della stessa famiglia della marijuana. Ma con lui al massimo ci si fa una birra
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da pag. 82 Rubriche
• Dulcis in fundo • Il buono a tavola • Orto dei semplici • La storia in cucina • Chef italiani nel mondo
78 Tartufi per 4 stagioni Se ottobre è il mese di questi tuberi, Acqualagna ne è il regno. Tutto l’anno
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cibo&territorio
La rivoluzione della farina di Paola Gula
Siamo tornati allâ&#x20AC;&#x2122;etĂ della pietra. O almeno questo vale per i tanti mulini, molti dei quali piemontesi, che hanno scelto di fare un passo indietro, recuperare antiche competenze e strutture, per offrire un prodotto meno raffinato e piĂš ricco di vitamine e nutrienti 70
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Se proviamo a cercare la parola “farina” su Wikipedia ne ricaviamo una serie di dettagli tecnici, tutti esatti e tutti corretti, ma che fanno riferimento alla lavorazione industriale di questo prodotto. E in effetti, la maggior parte della farina che si consuma in Italia è lavorata con mezzi moderni e tecnologicamente avanzati, anche se negli ultimi anni chi ha voluto proporre una farina di alta qualità, sia dal punto di vista nutrizionale che organolettico, ha dovuto fare un passo indietro. La crescente attenzione nei confronti dei prodotti naturali e biologici ha fatto in modo che non solo la materia prima, ma anche la tipologia di lavorazione fosse fondamentale per raggiungere un livello adeguato alle aspettative dei consumatori più attenti. Per questo motivo sono sempre di più sul territorio italiano i mulini che sono tornati a macinare a pietra. Ma si tratta solo di una moda o c’è un fondamento in questa “rivoluzione al contrario”?
Una materia viva Intanto bisogna specificare che nella lavorazione che avviene nei mulini moderni il grano viene macinato con il passaggio attraverso i laminatoi, ovvero delle coppie di cilindri di acciaio in rotazione. Per ottenere una farina bianca e fine che non presenti alcun residuo di crusca vengono effettuate diverse decine di passaggi in questi laminatoi. Invece nella macinazione, o molitura, a pietra il passaggio è soltanto uno tra due lastre o macine. A logica si percepisce che la lavorazio-
ne rende il risultato finale completamente diverso perché una macinazione lenta a pietra naturale (requisito fondamentale) fa in modo che la farina rimanga una materia viva che mantiene integri fibre, vitamine e tutti gli oligoelementi di cui il chicco di grano è ricco. Si tratta di una lavorazione che richiede una maestria notevole; un alto artigianato a tutti gli effetti che in molti casi vede coinvolte diverse generazioni della stessa famiglia.
Macine piemontesi Un interessante contesto, che ha visto negli ultimi anni la crescita esponenziale dei mulini a pietra, è quello piemontese. Sebbene ogni struttura vanti un proprio know how e una differente mission, queste realtà hanno in comune la passione per il biologico, la tradizione e la salvaguardia delle antiche cultivar locali e la collaborazione con gli agricoltori della zona in cui operano perché i raccolti possano essere seguiti e controllati. Ne è un esempio la farina Antiqua dei Mulini Bongiovanni di Cambiano che, nella trasparenza più assoluta, dichiara i nomi delle 45 aziende agricole che gli conferiscono il grano sottolineando che queste si trovano lontane da città e autostrade per fare in modo che la materia prima sia il meno possibile a contatto con le fonti di inquinamento. La filosofia aziendale è anche quella di educare il consumatore spiegando che la migliore farina di grano tenero non è la 00, cioè la più raffinata, ma la 0, la 1 e la 2 o la integrale, in quanto lasciano invariate le proprietà del
Nella molitura a pietra naturale il grano passa nelle macine una sola volta. Si tratta di un processo lento grazie al quale la farina rimane una materia viva e mantiene integri fibre, vitamine e tutti gli oligoelementi di cui il chicco è ricco ottobre 2013
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grano. Sempre in provincia di Torino, a Osasco, c’è la Cascina dei Conti. Nel vecchio mulino aziendale vengono macinati soprattutto grano saraceno e le antiche varietà di mais come l’ottofile e il Pignulet, utilizzato nella produzione della birra artigianale Gritz. Un percorso ancora diverso è quello compiuto dalla famiglia Cavanna di Villar San Costanzo. Un’azienda giovane che è partita dalla produzione di biscotti a base di farina di mais, o meliga. Dal 1995 hanno sempre perseguito l’idea dei prodotti di qualità. Presto hanno intuito la necessità di puntare sulle materie prime e con questo obiettivo hanno ristrutturato, nel vicino comune di Dronero, lo splendido Mulino della Riviera che, dal XV secolo, svolge la sua funzione solo grazie alla forza idraulica del canale su cui si affaccia. In questo modo i Cavanna sono diventati nomi di punta sia nel settore dei prodotti da forno che nella produzione delle farine biologiche e tradizionali. Chi invece il mugnaio lo ha sempre fatto è Felice Marino, di Cossano Belbo. La sua attività è iniziata nel 1950 con il mulino a cui oggi sta lavorando la terza generazione della famiglia. A differenza di quanto è successo quasi ovunque nel settore, Marino non si è mai lasciato convincere a convertire il suo impianto alle tecnologie moderne così che oggi i nipoti, affascinati quanto il nonno da questo antico mestiere, possiedono un’esperienza unica nel settore. L’altro “nome” della molitura di Langa è Sobrino, a La Morra. Un’azienda storica che svolge il suo lavoro da quattro generazioni in una struttura antica in legno e pietra, considerata un vero e proprio gioiello dell’architettura mo72
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Scelti per voi dove comprare Il Mulino Sobrino Via Roma 108 La Morra (Cn) Tel. 0173.50118 www.ilmolinosobrino.it Bongiovanni & C. Via Case Molino di Pogliola Villanova Mondovì (Cn) Tel. 0174.686106 www.molinobongiovanni.com Marino Felice & C. di Marino Ferdinando e Flavio Via Caduti per la Patria, 43 Cossano Belbo (Cn) Tel. 0141.88129 www.mulinomarino.it Molini Bongiovanni Via Volta, 9 Cambiano (To) Tel. 011.9442292 www.antiquafarine.it Biscotteria Artigianale Cavanna Via Gatto, 9 Villar S.Costanzo (Cn) Tel. 0171.902186 www.biscotticavanna.com La Cascina dei Conti Via Pinerolo, 44 Osasco (To) Tel. 338.4712626 www.lacascinadeiconti.it
La migliore farina di grano tenero? La 0, la 1, la 2 o la integrale, che preservano le proprietà del grano
litoria e che con Marino è stata per decenni il punto di riferimento di chi cercava farine di alto livello, quando nessuno credeva più alla potenzialità dei prodotti artigianali contro quelli industriali. E a volte sono i giovani a insegnare ai più anziani qual è la strada giusta da percorrere. È il caso di Aldo Bongiovanni di Pogliola che, appena maggiorenne, ha imposto alla famiglia di mugnai di “tornare indietro” e di reinstallare le macine di pietra. Una richiesta incomprensibile al padre che decenni prima le aveva tolte in nome della modernità.A distanza di una decina d’anni Aldo Bongiovanni è diventato un punto di riferimento del settore oltre che uno dei maggiori esperti della provincia di Cuneo sui temi del biologico e del naturale.
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Il luppolo,
lâ&#x20AC;&#x2122;amaro â&#x20AC;&#x153;di casaâ&#x20AC;? Necessaria per dare alla birra quel suo gusto unico, questa pianta rampicante dalla storia antica trova terreno fertile anche in Italia. Ma ha senso impegnarsi nella sua coltivazione? Le prospettive sono interessanti, grazie soprattutto a un gruppo di produttori che da qualche anno propone birre totalmente nazionali e a km zero di Marco Cattaneo 74
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Un sonno lungo secoli
Cosa ci fa un lupacchiotto nella birra? Non stupitevi e non spaventatevi. Il luppolo, uno dei componenti essenziali della birra, in latino si chiama Humulus Lupulus, perché, come il lupo, cresce in maniera vorace e ha una grande capacità di arrampicarsi. La pianta appartiene alla famiglia delle Cannabinacee, come la marijuana, ma di stupefacente ha solo il fatto di fornire l’amaro alla birra e di svolgere un’azione antimicrobica. Nei tempi antichi si usavano altre sostanze e la birra era decisamente diversa dalla bevanda che conosciamo oggi. Senz’altro era più dolce e più pastosa, e aveva una funzione più di nutrimento che dissetante.
Dunque il luppolo si affermò in Europa dalla seconda metà del trecento, anche se un documento ufficiale del 736 d.C. parla di un luppoleto appartenente a un monastero bavarese dell’Hallertau. E in Italia? Ebbene, il nostro Paese può vantare un record inaspettato. Spostiamoci a Pombia, nel novarese, dove scavi archeologici hanno portato alla luce una necropoli celtica. All’interno di un’urna cineraria del VI secolo a.C., giuntaci intatta e sigillata, oltre alle ceneri di un maschio adulto, c’era un bicchiere d’impasto con un sedimento rosso-brunastro. Le analisi hanno dimostrato che si trattava di residui di una birra scura ad alta gradazione. Ma il colpo di scena più clamoroso è stato la scoperta di tracce di… luppolo! Già utilizzato quindi 1200 anni prima di quanto attesti il più antico documento ufficiale. Il perché è presto detto: il luppolo infatti cresceva endemico nelle brughiere del Ticino, tra Pombia e Castelletto, rendendosi facilmente disponibile all’uso. E tutt’oggi vi cresce. I ritrovamenti pollinici permettono di affermarne la presenza in Piemonte fin dall’avanzato neolitico e in molti siti preistorici centroeuropei. Rimane il mistero del suo lungo sonno nei secoli. Un’ipotesi è che la quantità del luppoottobre 2013
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La passione di una vita Pioniere nell’uso di luppoli italiani fu l’agronomo forlivese Gaetano Pasqui, nato nel 1807. Di umile famiglia, egli ebbe l’ingegno e il coraggio di elevare il suo status sociale. Divenne prima imprenditore, creando l’Agenzia per macchine e strumenti agrari, e poi possidente, acquistando terreni, dove ebbe modo di provare i nuovi utensili e macchinari da lui progettati, per migliorare le coltivazioni. Notizie di una fabbrica di birra fondata col fratello risalgono al 1835. Notando la presenza di luppoli selvatici sulle rive del fiume Rabbi, ebbe l’idea di provare a coltivarli e nel 1847 riuscì a produrre una birra con luppolo autoctono. La scelta di coltivare luppolo non fu un capriccio personale, ma aveva un fondamento economico importante. L’acquisto dall’estero era gravoso: comprare il luppolo in Germania significava sborsare l’allora considerevole cifra di 15 lire al chilo. Purtroppo la fabbrica, la cui birra si era fregiata di vari premi nazionali, finì insieme al suo fondatore, la cui morte avvenne nel 1879.
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lo selvatico fosse insufficiente a favorirne l’utilizzo per fare birra su larga scala, o forse per puro caso è prevalso l’uso di altre sostanze vegetali a suo scapito. Quando finalmente la sua coltivazione ha sopperito alla scarsa disponibilità in natura, ha dovuto lottare contro l’abitudine consolidata a un certo gusto. In ogni caso, le fabbriche di birra italiane lo hanno quasi sempre importato dall’estero, da Paesi con clima e tradizioni più consone alla sua coltivazione, con sporadici tentativi dai primi dell’800 fino agli anni 80 del ’900. Ma ha senso piantare luppolo da noi? Coltivato nella fascia che va dal 35° al 55° parallelo di entrambi gli emisferi, effettivamente troverebbe in Italia i presupposti climatici a una buona resa. Manca però il ricavo economico, perché altri sono i mercati importanti, per quantità e qualità, e manca soprattutto la tradizione birraria, avendo sempre avuto il nostro Paese una vocazione prettamente vinicola. Anche se fuori dal grande business internazionale, però, uno spiraglio interessante si sta aprendo anche da noi.
Birre tricolori Alla fine del 2012 una quindicina di aziende, per la maggior parte situate nell’Italia Centrale, ha dato vita a una limitata produzione. Alcune di esse si sono spinte più in là, producendo birre solo con materie prime autoctone. Un esempio per tutte: un’azienda vicino a Bagno di Reggio Emilia utilizza il proprio luppolo e il proprio orzo per fare birre a
chilometro zero. La birra si chiama Zimella, dal nome della contrada in cui si trovano le coltivazioni. Anche alcune birrerie artigianali hanno creato birre tutte “italiane”. Come sempre all’avanguardia è la piemontese Baladin (Farigliano, Cuneo), con la birra Nazionale. Sempre in Piemonte, il birrificio Gradi Plato (Montalto Torinese, Torino) produce con gli stessi criteri la Sticher. E ancora c’è la Fior di Noppolo, con luppolo autoprodotto del Birrificio del Forte, a Pietrasanta (Lucca). Il fenomeno, pur recente, è destinato a espandersi, aggiungendo una possibilità in più ai produttori di birra e aprendo uno spiraglio al mercato italiano del luppolo. È presto per capire se son fuochi di paglia, oppure se ci sarà l’ennesimo exploit del made in Italy. Se son fiori – di luppolo, ovviamente – fioriranno!
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Le quattro stagioni
del tartufo Da sempre protagonista dei banchetti regali, amato dagli antichi romani come dai regnanti moderni, Rossini lo definì il “Mozart dei funghi”, mentre Lord Byron lo teneva sulla scrivania perché, diceva, gli alimentava la fantasia. L’aromatico fungo ipogeo si conferma re dell’autunno. Con un'eccezione: ad Acqualagna, nelle Marche, dove se ne trovano freschi 365 giorni l’anno di Pietro Caltrin Marche
Acqualagna
O lo si ama o lo si odia: il tartufo è così, non ha mezze misure. Questo almeno è quel che vale al palato. Perché se c’è una terra dove questo fungo misterioso e sotterraneo, di rara prelibatezza, viene da tutti indistintamente idolatrato, beh quella è Acqualagna, cittadina-perla delle Marche e unico territorio italiano a potersi fregiare di avere a disposizione tutti i tipi 78
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Qui sopra il momento clou della ricerca del tartufo. Da notare, alla base dell'albero, la tipica “terra bruciata” che denota la presenza del tartufo nero pregiato
di tartufo fresco 365 giorni all’anno. Già, perché qui, nella sua patria più versatile – incastonata nella Riserva naturale statale del Furlo: un autentico paradiso, attraversato dal fiume Candigliano che si insinua tra le imponenti pareti rocciose della Gola, dove la suggestione del paesaggio si unisce a una prodigiosa ricchezza naturalistica che vanta esemplari di flora e fauna davvero singolari – Sua Maestà il tartufo si fa declinare in bianco (il più costoso in commercio), raccolto dall’1 ottobre al 31 dicembre; nero pregiato, disponibile dall’1 dicembre al 15 marzo; bianchetto o marzuolo, che cresce dal 15 gennaio al 30 aprile e nero estivo o scorzone, dall’1 maggio al 31 dicembre. Per tali e tanti motivi il mercato del tartufo di Acqualagna è considerato tutto l’anno sede privilegiata del commercio all’ingrosso: in loco vengono trattati i 2/3 dell’intera produzione nazionale (circa 500/600 quintali di tartufo di tutti i tipi) e i Paesi che maggiormente apprezzano il prodotto sono Germania, Belgio, Olanda, Francia, Stati Uniti e Canada. Ma non solo. Ad Acqualagna ogni ditta possiede il suo negozio per la vendita al minuto del fresco e di tutti i prodotti conservati a base di tar-
tufo, che ogni anno aumentano e propongono accostamenti tra i più curiosi. Il prezzo? Anche per questo Acqualagna merita un elogio all’efficienza.A più di cento anni di distanza da quel 1890 in cui il Comune deliberava l’acquisto della sua prima pesa pubblica per tartufi, ad Acqualagna è nata la Borsa del Tartufo in rete, punto di riferimento on-line per tutti i gastronauti che in questo modo sono in grado di monitorare le quotazioni del prezioso tubero in relazione all’andamento del mercato, con la possibilità di acquistarlo via web e vederselo recapitare direttamente a casa.
Apre il 27 ottobre la 48a Fiera nazionale del tartufo bianco, che anima Acqualagna nei fine settimana fino al 10 novembre. Ma gli appuntamenti durante l'anno sono tanti e tutti da scoprire ottobre 2013
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Scelti per voi
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dove mangiare Osteria del parco In un bel locale dallo stile rustico e dalle sale dipinte con vedute rurali, piatti legati ai sapori di questa terra, dalla pasta fatta in casa agli arrosti, da abbinare non solo ai tartufi. Prezzo medio: 40 euro Via Mochi, 9/11/13 – Acqualagna (Pu) Tel. 0721.797448
Ad Acqualagna, il periodo del tartufo bianco va da ottobre a dicembre; quello del nero pregiato da dicembre a marzo; del marzuolo da gennaio ad aprile e dello scorzone da maggio a dicembre
Solo per truffle addict Il Club Amici di Acqualagna offre ai veri estimatori tanti privilegi esclusivi. L’iscrizione, gratuita, permette di ricevere direttamente a casa il pratico Ricettario del Tartufo, una raccolta delle ricette della migliore tradizione gastronomica marchigiana, e una tessera personale numerata che dà accesso a interessanti sconti nei ristoranti di Acqualagna, riduzioni per acquisti diretti da produttori e trasformatori del tartufo, aggiornamenti sul mercato e sulle quotazioni, oltre che a vantaggiose offerte gastronomiche e non.
Per saperne di più: http://acqualagna.com
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Il re della festa Per gli appassionati, poi, in corrispondenza dei periodi di raccolta delle diverse varietà di prodotto, non mancano gli appuntamenti per farne incetta. Dopo la Fiera regionale del tartufo estivo di agosto, la prossima sarà la Fiera nazionale del tartufo bianco di fine ottobre/primi di novembre: l’evento più importante, quello che ha permesso ad Acqualagna di diventare la capitale del tartufo. Con la piazza centrale del paese che si trasforma in un salotto dove poter ammirare, annusare e acquistare quintali di tartufo fresco, ma anche salumi, vino, miele e formaggio prodotti in zona. E il tartufo nero? Per lui ecco la Fiera regionale del tartufo nero pregiato, in programma la penultima domenica di febbraio di ogni anno. E se ancora tutto questo non vi basta per concedervi un fine settimana di piacere nella ridente località a due passi da Urbino, annotatevi anche le molte attrattive culturali e naturalistiche che vi potrete trovare. Oltre alla Riserva del Furlo, qui potrete visitare l’abbazia benedettina di San Vincenzo, il Santuario del Pellegrino e un particolarissimo museo archeologico: l’Antiquarium comunale Pitinum Mergens, inaugurato nel 2002, la cui peculiarità è di offrire al visitatore l’opportunità di conoscere dettagliatamente struttura, funzioni e materiali tipici di una fattoria romana tra l’età repubblicana e i primi secolo dell’impero.
Agriturismo biologico Pieve del colle Cucina casalinga che si declina in paste fresche, ciambellone, bostrengo, bastoncelli, oca al forno, porchetta, crostolo, pane con il lievito madre cotto al forno a legna, sott’oli, agrodolci, liquori aromatizzati con frutta, fiori ed erbe selvatiche e chi più ne ha più ne metta. Prezzo medio: 30 euro Via Pieve del Colle, 1 – Urbania (Pu) Tel 0722.317945
dove dormire La ginestra Immerso nello splendido scenario del Passo del Furlo, offre ai suoi ospiti una miriade di soluzioni, per un soggiorno o una sosta indimenticabili. Rinomato il ristorante e la produzione propria di insaccati. Prezzo da 70 euro a camera Passo del Furlo – Acqualagna (Pu) Tel. 0721.797033 Mulino della Ricavata Un mulino recuperato con grande cura e trasformato in un agriturismo molto speciale. Doppia con colazione: 80 euro Via Porta Celle, 5 – Urbania www.mulinodellaricavata.com
dove comprare T. & C. Via Pole, 26/A – Acqualagna (Pu) Tel. 0721.799065 Marini Tartufi di Marini Azzolini V.le Risorgimento, 26 – Acqualagna (Pu) Tel. 0721.798629 Acqualagna Tartufi Piazza Mattei, 9/bis – Acqualagna (Pu) Tel. 0721.799310/797031 Tartufi Tofani Via Bellaria, 37 – Acqualagna (Pu) Tel. 0721.798918 Truffa Tartufi di Truffa Maria Gabriella Via Alcide De Gasperi, 55 – Acqualagna (Pu) Tel. 0721.798634 Le Trifole di Davide Curzietti Via Alcide De Gasperi, 88 – Acqualagna (Pu) Tel. 0721.798581
scienzainefundo dulcis vita
Marrons glacés e violette d’ottobre “Le stagioni della vita”: questa ricorrente espressione non si riferisce tanto a una precisa età anagrafica quanto, piuttosto, a un certo modo di vedere le cose. Se è una primavera bambina quella che ci fa stupire per una gemma a sboccio, se è il calore vitale del sole a regalarci quell’estate giovane che ci esplode nel petto, se è un ovattato inverno a indurci a riflettere sull’eternità e la ciclicità dell’esistenza, è senz’altro alla calda luce autunnale che dobbiamo la maturità dei nostri pensieri. Autunno: tempo che introduce alla rigida luminosità dell’inverno ma che ancora riserva attimi in cui il cielo ha trasparenze primaverili e l’aria una freschezza confusa di brezza. Nessuna meraviglia, dunque, per l’accostamento di autunnali marrons glacés e primaverili violette candite nelle vetrine delle pasticcerie...
La castagna. Frutto che è stato la provvidenza di quei paesi mediterranei e montagnosi inadatti alle colture cerealicole. Consumate crude, in stagione, o secche, di cui erano piene le bisacce dei pastori. A casa, invece, la polenta sostituiva il pane quotidiano e veniva tagliata “a misura” dal capofamiglia con un filo. Castagni millenari si incontrano in Inghilterra e in Francia, ma forse il più celebre è stato quello dell’Etna, detto dei Cento Cavalli, perché poté dar riparo sotto la sua ombra alla carrozza della regina Giovanna d’Aragona con il suo seguito di cento cavalieri. Ai nostri giorni le più famose sono quelle di Cuneo, ma c’è castagna e casta82
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di Iginio Massari
“Colui che in un giorno della tarda primavera, sulle selvagge colline sente nell’aria l’amoroso profumo dei fiori di castagno, comprende come è importante fiorire spesso” (Jean Giono) gna; le varietà, infatti, sono più di 300 anche se la distinzione prioritaria è quella tra marrone e castagne propriamente dette. Se per la loro consumazione in frutti freschi non vi sono differenze sostanziali, se ne tien conto invece in pasticceria. Nel campo confetturiero si utilizzano castagne e marroni di piccole dimensioni (crema di marroni); per la conserva si utilizzano marroni interi di medie dimensioni (marroni al naturale); fra questi, i più grossi diventano marrons glacés: francesi per denominazione, quasi esclusivamente italiani per origine. Conosciuti da tempo, sono assurti solo alla fine del XIX secolo a produzione industriale nel dipartimento francese dell’Ardèche a causa... dell’invenzione della seta artificiale che ridusse alla disoccupazione gli operai delle bachicolture di quella regione. Al paese, come sola ricchezza, non restavano che foreste di castagni e fu per la bravura e la genialità di un certo Clément Faugier che, nel 1882, la zona si riprese. Infatti egli si lanciò nella preparazione dei marrons glacés e, volendo spedirli in tutto il mondo, ebbe l’idea di imballarli in “carta“ metallica (di stagno). Ben presto la produzione di marroni francesi non bastò più alla richiesta, e Faugier ne fece arri-
“Titiro Qui tuttavia con me potevi riposare questa notte sulle foglie verdi; ho mele mature castagne molli e abbondante formaggio” (Bucoliche – Virgilio)
vare dall’Italia, più precisamente dalla Calabria, anche se i pasticceri torinesi si lanciarono a loro volta nella fabbricazione intensiva di una leccornia senza la quale, ormai, anche il Natale non sarebbe più quel che è! Marron glacé: generoso frutto dalla base a forma di cuore e dalla superficie convessa e infinita. La glassa di zucchero che ti riveste ingentilisce il tuo colore terrigno, cristallizzandoti ti impreziosisce e, addolcendoti, ci delizia per aroma e sapore. Vuoi tu forse in tal modo rammentarci la fronda dell’albero madre, convessa e infinita come la volta celeste, e il profumo dei tuoi fiori? E lo sa bene anche la violetta, degna di un profumo che porta il suo nome, “La violetta di Parma”, di un’opera in cui è protagonista, La Traviata, di tanti componimenti poetici antichi e moderni. E in pasticceria? In pasticceria, immortalata nella sua fiorita bellezza dalla luminosa polvere dello zucchero, fa capolino qui e là fra i marron glacé. Fiore di campo, di umidi argini e di sottobosco, la sua elementare e delicata perfezione, il suo colore equilibrato (in ugual proporzione di rosso e azzurro), ma forse più ancora il suo profumo, o tutte queste qualità insieme attirarono l’attenzione in quel lontano Medioevo che odorava di spezie e zucchero. Frutti, ma anche fiori canditi, conosciuti in Oriente, a Roma e in tutta l’Europa medievale, furono una specialità del sud della Francia. “I fiori – fa dire Katherine Mansfield a un suo personaggi, la vecchia signora Sheridan – sono come piccoli mondi”. Estasiata, ne tocca uno, con delicatezza. “Come sono strane, come sono diverse le cose, a toccarle! Si direbbe che non si possano mai conoscere prima di averle avute fra le dita. Questo, almeno, vale per i fiori. Le rose, ad esempio: chi può odorare una rosa senza baciarla?”. ottobre 2013
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di Antonio Romeo
Il buono a tavola
Docente istituto alberghiero IPSSEOA di Soverato (Cz)
Una stagione agrodolce L’autunno in cucina celebra i doni della terra: l’uva, i fichi, le castagne, le noci, la zucca e i funghi “buoni da mangiare, buoni da seccare...” come cantava De Gregori. E mentre le giornate si accorciano, i tempi di cottura si allungano e sapori e abbinamenti si fanno più complessi
Sicilia
Umbria
Trentino Alto Adige
Coniglio alla stimpirata
Salsiccia all’uva
Torta di carote della Val di Gresta
Ricetta dell’Agrigentino e del centro dell’isola si distingue per un agrodolce ottenuto con l’accoppiata miele-aceto e per la decorazione finale con chicchi di melograno.
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Tipica preparazione dell’antica cucina povera, caratteristica del periodo della vendemmia.
Ingredienti: 1 coniglio 1 cipolla 100 gr di sedano olive verdi e capperi qb 1 scatola pomodori pelati 100 gr di aceto 50 gr di zucchero
Ingredienti: 10 salsicce di maiale (1 kg) poco olio extravergine d’oliva 5 cucchiai d’acqua 500 gr di uva fresca e sgranata
Preparazione: Tagliare il coniglio a pezzi, lavarlo e asciugarlo. Friggere in olio, facendo attenzione che cuocia bene internamente e prenda una bella doratura esterna. In un altro tegame, stufare la cipolla, il sedano, le olive e i capperi tagliati a julienne. Aggiungere i pezzi di coniglio dorati. Schiacciare il pomodoro con le mani e aggiungere al resto. Versare nella padella l’aceto e lo zucchero; se necessario, anche un po’ d’acqua. Cuocere dolcemente per un quarto d’ora.
Preparazione: Rosolare in padella le salsicce con poco olio. Fuori dal fuoco, aggiungere l’acqua e rimettere sul fornello. Far evaporare l’acqua e mettervi l’uva ben lavata. Far cuocere lentamente per circa 15-20 minuti, tenendo coperto.
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Dolce consumato in alcune zone di montagna, piuttosto sostanzioso, si prepara senza difficoltà. Ingredienti: 350 gr di carote grattugiate 350 gr di nocciole macinate 350 gr di zucchero semolato 7 uova grandi 100 gr di polvere di biscotti 20 gr di fecola rhum vanillina Preparazione: Lavorare bene i tuorli con lo zucchero. Aggiungere quindi tutti gli altri ingredienti e gli albumi montati a neve ben ferma. Versare l’impasto in una teglia da forno e cuocere a 170° per circa 40 minuti.
Pastificio Artigianale Leonardo Carassai 7JB 99 4FUUFNCSF r $BNQPmMPOF '. r UFM r GBY JOGP!QBTUJmDJPDBSBTTBJ JU www.pastificiocarassai.it
orto dei semplici
di M. Pia Fanciulli
Il frutto degli dei Dopo un periodo durante il quale era stato messo nel dimenticatoio, l’albero del cachi sta riconquistando spazio negli orti e nei giardini. Anche perché, oltreché buoni e salutari, i suoi bruni pomi donano allegria al solo guardarli È il pomo d’oro dell’autunno, il frutto per eccellenza della stagione di mezzo, capace di rallegrare giardini e frutteti con l’arancio intenso dei pomi appesi ai rami ormai privi di foglie. Il kaki, o cachi, o diospiro, che ha la ventura di essere molto o affatto amato, viene dalla Cina, ma è da tempi lontani assai apprezzato anche in Giappone. In Europa è approdato solo alla fine dell’Ottocento, dove presto si diffuse, apprezzato però all’inizio solo per le qualità ornamentali 88
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dei frutti e delle foglie. Un’antica tradizione lo definisce albero delle sette virtù per la sua vita piuttosto lunga, per l’importanza dell’ombra che dona, per l’ottimo fuoco che produce il suo legno, per le sue foglie resistenti, per la ricchezza di sostanze nutrienti con cui arricchisce il terreno, per l’inattaccabilità da parte dei tarli, per la bontà dei suoi frutti. Questi ultimi tra l’altro davvero salutari, perché ricchi di vitamina C e di provitamina A, benefiche per il sistema immunitario e antiossidanti. Di questo frutto così straordinario, che ci aiuta ad affrontare meglio i rigori dell’inverno, anche il nome scientifico è di grande suggestione, Diospyros kaki. Deriva dall’unione dei due termini greci antichi diós “dio” e pyrós “frutto” a significare appunto “frutto degli dei”, mentre kaki è abbreviazione del nome originale giapponese: kaki no ki, con cui la pianta veniva chiamata fin dallo scorso millennio. E in Italia? Il primo esemplare impiantato
Coltiviamoli così L’albero adulto raggiunge anche i 12 m di altezza, per cui è importante avere dello spazio disponibile. Da giovane teme le basse temperature e soprattutto le gelate. La semina La pianta del cachi vuole terreno fresco, profondo e fertile. Teme l’umidità e il ristagno d’acqua. Predilige le zone caldo-temperate, ma resiste bene anche con inverni freddi. Teme le gelate primaverili, mentre le elevate temperature estive migliorano le proprietà dei suoi frutti. Importante fargli avere acqua soprattutto nei periodi di siccità. L’impianto si fa con la Luna crescente. Punti deboli Il freddo è il suo peggior nemico soprattutto quando la pianta è in fase di crescita. Quindi si consiglia di proteggere la base e il primo tratto del tronco fasciandolo con la paglia. Nelle aree settentrionali è meglio scegliere esemplari innestati su Diospyros lotus, specie più resistente delle altre. Buono a sapersi Non si pota. Il cachi chiede soltanto interventi di pulizia. Sugli esemplari più vecchi una importante riduzione della chioma aiuta a rinvigorire la pianta che produrrà così più frutti. Raccolta e conservazione I cachi si raccolgono in autunno, meglio se con la Luna crescente, dopo la caduta delle foglie. Si colgono quando sono ancora da maturare, dopodiché, per accelerare la maturazione, processo che prende il nome di ammezzimento, si chiudono in un sacchetto con le mele che, grazie al gas etilene che emettono, accelereranno il processo.
fu posto all’incirca nel 1870 o 1871 nel bellissimo giardino fiorentino di Boboli, mentre sembra che Giuseppe Verdi, conquistato dalla dolcezza dei suoi frutti, ne fosse uno dei più affezionati estimatori. Dalla polpa gelatinosa dolcissima, morbida e cremosa, di solito i frutti si raccolgono leggermente acerbi e poi fatti ben maturare per eliminare il tipico effetto astringente al palato provocato dall’elevato contenuto di tannini. Delizioso in tavola È buonissimo mangiato al naturale. Questo insolito frutto si spacca a metà, oppure si toglie il picciolo come fosse un cappello e lo si gusta estraendo la polpa con un cucchiaino. Esiste poi una varietà, la fuyu, che si può mangiare a morsi come fosse una mela. Ma in cucina sta conquistando sempre più spazi, protagonista di straordinarie e sensuali mousse. Più semplicemente si può ridurre in purea – ricordandosi di aggiungere una goccia di limone per impedire che scurisca – per accompagnare gelati, torte, bavaresi e crêpe. Una vera delizia sarà poi aggiungerlo a macedonie, yogurt e budini. Ma se ne possono fare anche ottime confetture e conserve per accompagnare formaggi di vario tipo.
I più bei bulbi Le fioriture in giardino ci sono talmente piaciute che vorremmo averle tali e quali anche il prossimo anno. Niente di più semplice, basta estrarre dal terreno i bulbi e dedicargli qualche piccola attenzione. Facilissimi da conservare sono quelli di tulipani, iris, narcisi, giacinti. C’è chi addirittura li lascia nel vaso per riaverli la stagione successiva. Ma questo non vale dove gli inverni sono freddi e umidi. Quindi si estraggono dal vaso con tutta la pianta, si scelgono i più grandi e si mettono ad asciugare all’aria fino a quando la parte aerea apparirà completamente secca. A questo punto si ripuliscono dalla terra, si tagliano con le forbici stelo e foglie, spuntando anche le radici. Si fanno ulteriormente asciugare per poi riporli in una scatola di cartone in luogo aerato e asciutto. ottobre 2013
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la storia in cucina
Tiramisù: natali veneti o friulani? La Regione amministrata dal governatore Zaia ha avviato la pratica per il riconoscimento del dolce come Sgt (specialità tradizionale garantita) di Treviso. Ma dal confine, in Friuli, qualcuno obietta: “L’abbiamo inventato noi”. Dove sta la verità?
Mascarpone, zucchero, tuorli d’uovo, biscotti savoiardi, caffè amaro ristretto e cacao amaro in polvere. Questi gli ingredienti (certi) del dolce più amato al mondo e ultimamente al centro di un dibattito sugli incerti e controversi “natali”. Si chiama Tiramisù per la sua ricchezza di calorie (517 a porzione) e il suo nome in tutto il mondo, alla stregua di altre pietre miliari dell’italian style in cucina come la mozzarella, la pizza o il pesto, non ha traduzione. Il libro Cucina e Tradizione nel Veneto. 150 piatti proposti da una ricerca degli Istituti Alberghieri del Veneto, nella sezione dedicata a Treviso, ne riporta la ricetta “esatta” e ne consiglia l’abbinamento con un 90
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di Germana Cabrelle
Torchiato di Fregona. Il volume è un punto di riferimento per chiunque voglia cimentarsi nella preparazione di questa leccornia, ma di sicuro non è l’unico. Qual è la ricetta autentica? Difficile dirlo, digitando “tiramisù” la rete fornisce oltre 4 milioni di varianti. «Il 17 gennaio – spiega la food blogger Anna Maria Pellegrino – per la Giornata internazionale della cucina, il tiramisù è stato consacrato come il più noto tra i dolci della tradizione italiana, quello più diffuso negli ultimi 30 anni e uno tra i più imitati nel mondo. La sfida globale è stata proprio quella di riprodurre la ricetta tradizionale, esorcizzando il taroccamento continuo che il made in Italy è costretto a subire. Persino McDonald’s ha provato a proporre la sua ricetta – conclude la Pellegrino – ma la madre di tutti i Tiramisù è la bella e gaudente Treviso». Del resto lo dicono testi autorevoli e lo ribadiscono le enciclopedie on line: il Tiramisù è un dolce veneto, precisamente trevigiano, il cui battesimo avvenne negli anni ’70 al ristorante Le Beccherie. La titolare Ada Campeol e l’allora giovane cuoco Roberto “Loli” Linguanotto, che diedero vita a questo dolce nel periodo in cui Ada allattava il suo primogenito proprio per dare a lei e a tutti una dolce energia, sono ancora in attività a testimoniare un successo internazionale senza precedenti. A raccontare l’aneddoto è lo stesso governatore del Veneto, Luca Zaia, anch’egli estimatore di quello che in meno di mezzo secolo è diventato il più famoso dolce a cucchiaio del mondo, e che forse anche per questo ha avviato la pratica per il riconoscimento del Tiramisù come specialità tradizionale garantita di Treviso. Non tutti però sono d’accordo e dalla provincia di Udine si alzano voci contrastanti. Flavia Cosolo, figlia di Mario, il cuoco gestore del ristorante Vetturino di Pieris, frazione di San Canziano d’Isonzo, sostiene che sarebbe il padre il vero inventore del Tiramisù: «Fin dagli anni ‘30 – dice – preparava una coppa di cioccolato e zabaione (allora il mascarpone non c’era) che 10 anni dopo ha chiamato Tiramisù». Un’altra rivendicazione pro-Friuli arriva da Norma Pielli di Tolmezzo la quale afferma che già nel 1951 preparava quel dessert e che ci sono frequentatori del suo ristorante pronti a provarlo. E se, come sosteneva Francis Bacon, “l’uomo crede vero ciò che preferisce sia vero”, ognuno è libero di sostenere la sua tesi, mentre affonda il cucchiaino nel soffice quadrotto di mascarpone e savoiardi. Per lo meno fino alla risoluzione ufficiale dell’annosa disputa!
winepassion
Morellino: un rosso di razza Capitale vinicola della Maremma, Scansano è nota per il suo vino Docg il cui nome è legato a quello dei cavalli che in passato lo portavano a valle, nei paesi del circondario, e al loro intenso manto fulvo di Silvana Delfuoco Gagliardo come i cavalli bai da cui ha preso il nome, il Morellino li ricorda non solo per la tonalità inconfondibile del suo intenso rosso rubino, ma soprattutto per il suo corpo asciutto e robusto, pronto a “correre” nei bicchieri e nelle gole con la stessa fresca agilità. La Docg ottenuta nel 2006 è il coronamento dell’intensa attività di valorizzazione portata avanti da parte di alcuni produttori storici dell’area e, soprattutto, della Cantina Cooperativa Vignaioli, che già si era battuta per la Doc, arrivata nel 1978, e che negli ultimi anni è riuscita a far conquistare al Morellino una rinomanza internazionale. Una storia finita bene, o meglio, l’inizio di un percorso che, ci si augura, sia foriero di nuovi successi. Eppure c’è stato un momento in cui, sul futuro del Morellino, non avrebbero scommesso in molti… 92
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Toscana
Scansano
Oggi la Cantina Cooperativa Vignaioli vanta un'alta partecipazione di giovani e di impenditrici. Una squadra di professionisti che punta alla qualità Una scommessa vincente Questa storia ha inizio nel 1972, quando un gruppo di vignaioli della zona tra Scansano, Magliano e Montemerano, quello che oggi è conosciuto come il “triangolo di eccezione” del Morellino di Scansano, decisero di unire le loro forze. Prima della nascita della Cantina Cooperativa, infatti, i produttori avevano difficoltà nella commercializzazione e di conseguenza vendevano le proprie uve ad altre zone più rinomate. Fu grazie a questo primo impegno comune che si arrivò alla Doc. Ma quando poi nel 1984 il consiglio decise di puntare alla qualità, e a questo scopo si chiese uno sforzo economico ai soci, non tutti accettarono. E furono in molti a lasciare… Fu allora che entrò in gioco quello che ancora oggi è considerato la “figura storica” della Cantina, il presidente Benedetto Grechi. È lui a raccontarci come si è arrivati al lieto fine: «Semplicemente, ho voluto ricordare come obiettivo del nostro lavoro fosse sempre stato per tutti, fin dalla fondazione, non solo la qualità dei propri vini, ma anche la tutela del territorio e della sua immagine, a vantaggio di tutta la comunità. Oggi i soci sono circa 140. C’è stato un ricambio generazionale tra di loro, ci sono molti giovani e il 30% degli imprenditori è donna. Come allora si punta sempre più alla qualità». Un lavoro in comune che coinvolge i soci durante tutto l’anno anche con la parte-
Il Morellino, prodotto con almeno l’85% di uve Sangiovese, è Doc dal 1978 e Docg dal 2006
Territorio e tipologie La zona di produzione è quella storica: l’intero territorio comunale di Scansano e parte dei comuni di Campagnatico, Grosseto, Magliano in Toscana, Manciano, Roccalbegna, Semproniano. Viene prodotto con un minimo dell’85% di uve Sangiovese (permesso l’utilizzo, per un massimo del 15%, di altre uve di vitigni a bacca nera consentiti nella Regione Toscana). Di colore rosso rubino, odore vinoso con note di fruttato, buona freschezza e sapidità nella tipologia Base, si presenta invece con un colore rosso intenso tendente al granato, con aromi di frutta matura e note speziate nella Riserva, che vuole un invecchiamento di almeno due anni, di cui uno in legno. Vi è inoltre un terzo stile produttivo intermedio, che riguarda quel Morellino che ha svolto un periodo di maturazione tra i 4 e i 12 mesi, con un risultato più morbido al gusto.
cipazione a corsi di formazione, alle indicazioni fornite dall’agronomo in base alle caratteristiche dei differenti vigneti, al conseguimento di premi o, al contrario, di penalità, a seconda della qualità del prodotto ottenuto. «I soci sanno che devono rispettare un regolamento rigido ma sono partecipi del fatto che la qualità del vino deve nascere in vigna – prosegue Grechi – e allora la vendemmia diventa solo il culmine di un lavoro lungo un anno. Il risultato è la possibilità di poter ridistribuire ai soci, partendo da un fatturato di circa 7 milioni e mezzo di euro, circa 4 milioni e mezzo di liquidazione. Perché quando si lavora bene, il lavoro va anche ripagato». Quello che si dice una scommessa vincente, anzi già vinta con successo.
Per saperne di più: www.cantinadelmorellino.it www.consorziomorellino.it
Sta bene con… Primi piatti sostanziosi, come i tortelli con ripieno di ricotta e spinaci e ragù di carne, o le pappardelle al cinghiale; ma anche con alcuni secondi di pesce: spigole, triglie e scorfani. La tipologia Riserva è invece ottima con il peposo, un tipico stufato di manzo, o con la scottiglia (o caciucco di terra), una sorta di spezzatino al pomodoro fatto con carni miste e servito su crostini di pane. Senza dimenticare gli spiedini, i fegatelli di maiale, gli arrosti di maiale, il cinghiale in umido…
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winepassion
Per saperne di più:
www.franciacorta.net www.cerbettoviaggi.it
Franciacorta, la bollicina che vuol diventare grande Franciacorta
Lombardia
Una crociera nel Mediterraneo è solo l’ultima delle iniziative promosse da un gruppo di cantine, parte del Consorzio per la tutela della pregiata Docg lombarda, per promuovere oltre confine il loro prodotto di Piero Caltrin 94
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Nel panorama della viticoltura nazionale non è forse il nome più riconoscibile all’estero, ma è senz’altro tra i più evocativi del buongusto italiano: il Franciacorta. Con le sue avvincenti bollicine e soprattutto la cura necessaria per potersi fregiare del marchio Docg, Franciacorta (nelle varianti Rosé, Satèn, Riserva e Millesimato) è sinonimo di raffinatezza. Raccolta a mano, rifermentazione naturale in bottiglia e successiva lenta maturazione e affinamento sui lieviti, non inferiore ai 18 mesi (almeno 30 per i Millesimati e 60 per le Riserve) sono questioni non da poco. Chardonnay, Pinot Bianco e Pinot Nero le uve utilizzate
mentre la raccolta per ceppo non supera mai i 2 kg. Negli ultimi lustri il Consorzio per la tutela del Franciacorta ha visto un allargamento della base associativa (da una trentina di componenti a oltre cento) con risvolti positivi, come l’affacciarsi di piccole entità nel panorama vitivinicolo, ma anche, va da sé, conseguenze sugli equilibri interni: le istanze e le esigenze di piccole (e nuove) realtà non sempre coincidono infatti con quelle in capo ai nomi più affermati.Alla base di queste riflessioni sta la costituzione di un gruppo di produttori, una trentina per il momento, che hanno cercato di guadagnare visibilità organizzandosi e dando vita a una riuscitissima iniziativa natalizia in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, che ha coinvolto negozi e ristoranti del salotto meneghino. L’articolazione delle esigenze degli associati si percepisce anche dai toni di una nuova interessante iniziativa, nell’ambito del Festival del Franciacorta in cantina del 28 e 29 settembre: le trenta cantine si sono infatti date appuntamento a Villa Lechi a Erbusco, dove hanno proposto in mescita i propri Franciacorta. Si tratta di realtà dalle dimensioni ridotte, talvolta impossibilitate ad accogliere adeguatamente i visitatori e che giocoforza nelle ultime edizioni del Festival venivano penalizzate. Così l’appuntamento di fine settembre ha garantito ai consumatori una rinnovellata democraticità, offrendo il vantaggio di conoscere nuove e micro realtà franciacortine.Tra i prossimi appuntamenti anche una crociera (partenza da Genova il 18 ottobre)che permetterà di far conoscere il Franciacorta nei porti del Mediterraneo. Che ciò prefiguri anche collaborazioni commerciali tra le aziende per realizzare la necessaria visibilità che garantisca la sopravvivenza in tempo di crisi?
chefcittà italiani mondo una in 24nelore
di Alessandro Allocco
La ricetta dello chef Parmigiana Lacos Ingredienti: melanzane pistacchi di Bronte pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop basilico 50 ml panna 10 gr di burro burrata sale, pepe olio extravergine d’oliva
Italian lifestyle in Kiev Città meravigliosa, dalle linee barocche spesso ricamate di neve, la capitale ucraina ha accolto lo chef calabrese Giorgio Trovato che, in cambio, ha riscaldato le sponde del fiume Dnepr con un po’ di sole nostrano
Al primo impatto, ciò che traspare è la decisione, la cortesia e lo spirito. Mentre Giorgio Trovato mi racconta cosa lo ha condotto a Kiev però, ne capisco anche la competenza, la cultura e la passione. Nato a Corigliano Calabro (Cz), Giorgio si laurea a Siena in Amministrazione e Gestioni. Da sempre innamorato della cucina però decide, dopo numerosi corsi di studio, di dedicarsi anima e corpo a questo mestiere. Executive chef e Restaurant manager del lussuoso Stefanos’ Fine Food di Kiev in Ucraina, oggi Trovato cucina, coordina, forma giovani chef, redige menu, crea ricette. Cosa ti ha portato a Kiev? L’amore per i viaggi e la scoperta. Oggi mi sento un portavoce della cultura italiana, della sua ospitalità e della sua cucina, attraverso le quali comunico uno stile di vita. E i tuoi clienti cosa ne pensano? Io mi impegno per far conoscere il vero stile italiano nella cucina togliendo le sovrastrutture che inevitabilmente vengono aggiunte 96
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alla tradizione per renderla più “commerciabile”. E i miei clienti me ne sono grati perché così si sentono un po’ italiani e addirittura, talvolta, mi chiedono consulenze e “autentiche” dei prodotti della nostra tavola che, da privati, si fanno importare.
Preparazione: Tagliare 12 fette sottili di melanzana e friggerle. Tagliare i pomodori a metà e caramellarli in forno a bassa temperatura con zucchero, olio, aromi. Aprire la burrata conservandone il liquido. Con i pistacchi, creare una granella e aggiungerne 2 cucchiai al burro montato con un pizzico di sale, formando un pesto di pistacchi. Friggere 3 foglie di basilico. Assemblare il piatto alternando pesto, pomodori, basilico, burrata, melanzane. Decorare con basilico, pesto di pistacchi e panna emulsionata al liquido della burrata, spolverando con pepe rosa e olio extravergine d’oliva.
La cucina salutare e di qualità quindi ti sta a cuore? Certo, e ho la certezza che la cucina italiana sia anche e soprattutto una cucina salutare. Qual è il tuo cibo preferito? Amo mangiare, prima ancora che cucinare, il pesce, d’acqua salata o dolce. Da toscano d’adozione non disdegno però neanche la cacciagione, che spesso reinterpreto, come hanno sempre fatto le mamme e le nonne italiane. Cosa consigli ai giovani che vogliono diventare chef? Munirsi di spirito di sacrificio. Alcune volte si deve rinunciare ad aspetti importanti della vita, ma senza dubbio impegno, formazione e passione portano ottimi risultati.
Kiev, Trovato consiglia Da vedere: i mercati in cui le babushke espongono la loro colorata merce. E ancora, la chiesa di Santa Sofia, al cui interno si respirano profumi inebrianti che innalzano lo spirito, il Pecˇerska Lavra, monastero annesso alla cattedrale e la Stazione della Metro di Zoloti Vorota.
Baia degli Dei Loc. Le Castella - 88841 Isola di Capo Rizzuto (Kr) Tel. 0962.795235 - 0962.795642 - Fax 0962.795643 - info@baiadeglidei.com - www.baiadeglidei.com
magazine
InViaggio Viaggio In
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100 Strade del vino: Barolo
114 Strade del vino: Terre Sicane
Tour enoico nella Valle del Belice
Viaggio in Piemonte alla corte del re
104 Strade del vino: Soave
120 Strade del vino d’Europa
Lungo le vie del classico bianco veneto
Itinerari in Francia, Austria, Svizzera
110 Strade del vino: Sagrantino
124 Il Golfo dei poeti
Tra i dolci colli umbri di Montefalco
Sosta golosa tra La Spezia e Porto Venere
da pag. 132 Rubriche
• Città in 24 ore
128 L’Italia in mostra: Asti Un tuffo nell’arte nella città sabauda
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Nel regno di Non lontano da Alba e dai suoi tartufi, il borgo del Cuneese accoglie il visitatore con un paesaggio che sa essere memorabile, e con le tracce dell’omonimo vino che ne segnano ogni incrocio. Per conoscere davvero il rosso italiano più blasonato però vale la pena addentrarsi in Bassa Langa e scoprirne cantine, castelli e segreti di Piero Caltrin 100
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A differenza di quanto accade per molti paesotti aggrappati alle colline delle Langhe, Barolo sta a mezz’altezza, quasi accoccolato su un dolce pianoro circondato da colli panoramici lì nella valle che ospita anche i suoi rinomati vigneti. I turisti che ne affollano le strade placide, ripide e ancora ricche di porfido, vengono attirati qui dalle etichette ma poi si soffermano a godere ciò che si vede e si respira. E che si beve, ovviamente: già perché la storia di Barolo è chiaramente legata
a doppio filo con quella del suo vino e dell’uva di Nebbiolo che ne è la madre.
Il re rosso La dinastia dei Falletti, potenti banchieri originari di Alba che nel 1250 abbandonarono il retaggio borghese per farsi investire di alcuni feudi a queste latitudini, vi promossero da subito la coltivazione dell’uva e la produzione del vino, tanto da promulgare, nel 1674, un editto che condannava a pene severissime chi avesse rubato uva o
"re" Barolo danneggiato le vigne, si trattasse di uomo o di animale. Divenuti marchesi di Barolo, i Falletti ne ribattezzarono il Castello che risale almeno al X secolo, quando le Langhe erano assediate dalle scorrerie dei Saraceni. Oggi la fortezza è la residenza dell’Enoteca regionale del Barolo ed entrarvi significa fare un tuffo tra bottiglie ed etichette, alla scoperta delle annate che hanno meritato la qualifica di “eccezionale”, come l’85, il ’98, il 2004 e via dicendo. L’Enoteca è collocata in quelle che furono le cantine del castello: lo testimonia la volta a botte, sotto la quale, oltre a degustazione e vendita, ci si occupa anche di promozione e cultura del vino. Ai piani superiori attualmente è
allestito invece il museo etnografico enologico del Barolo. La cultura del “re dei vini italiani” deve molto all’ultima marchesa Falletti, Giulia Colbert, personaggio colto e dai molti interessi. La produzione del primo Barolo è opera sua.Alla morte, avvenuta nel 1864, la marchesa lasciò i suoi averi all’Opera Pia Barolo, che oggi ha sede a Torino nell’ex palazzo Druent (odierno Palazzo Barolo) una sorta di “Farnesina” del nettare di queste colline. Si racconta che la marchesa Falletti abbia offerto a Carlo Alberto di Savoia 325 carrà (botti da trasportare su carro) di Barolo, perché il Re aveva espresso il desiderio di assaggiare quel “suo nuovo vino”. Carlo Alberto ne rimase così
Immerso in un'autunnale distesa di vigneti, il borgo di Barolo, con, sulla sinistra, il Castello Falletti
Piemonte Barolo
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inviaggio / stradedelvino
Il Museo del cavatappi, sito nei locali di un'antica cantina accanto al Castello di Barolo, ospita 500 esemplari di cavatappi da tutto il mondo
entusiasta che decise di comprare la tenuta di Verduno per potervi avviare una sua produzione personale.
Percorrendo la Bassa Langa I possedimenti dei Falletti si estendevano sulle colline circostanti fino ai castelli di Castiglione e Serralunga. Oggi queste magnifiche colline sono dominate dal verde delle vigne che, piano piano, tutte le famiglie del luogo sono tornate a coltivare, dopo averle lasciate nel dopoguerra per cercare fortuna in città. In questo la scuola enologica di Alba sta facendo molto, instradando i più giovani verso il ritorno alla vigna. Intorno al castello di Barolo, arrampicate sulle strade scoscese, tante sono le enoteche private e le cantine che regalano un tocco aggiuntivo di fascino al territorio. Così come il curioso Museo del cavatappi, in cui si può imparare a distinguere fra cava102
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Anselma Giacomo Azienda Agricola Nella piazza principale di Serralunga, camere da 50 euro. Piazza Maria Cappellano, 2 Serralunga d’Alba (Cn) www.anselmagiacomo.it
tappi semplice, meccanico a vite, a leva singola o a due leve, a pignone e a cremagliera, da banco, decorativo, figurativo o da champagne. Ma la strada del Barolo è solo all’inizio: è corretto infatti considerare il centro che dà il nome al “re dei vini” come la tappa iniziale di un percorso magico in una terra accogliente come quella della Bassa Langa. Ogni centro abitato ha notevoli punti di interesse: a cominciare dal castello e dalle vie concentriche di Roddi, borgo avvinghiato alla torre campanaria del suo millenario maniero, un tempo appartenuto a Gaio Francesco della Mirandola, nipote del grande umanista e filosofo Pico. Sulla strada per Alba si può visitare quindi Grinzane Cavour, il cui prestigioso castello è il vero simbolo della Langa del Barolo e il cui nome omaggia lo statista risorgimentale Camillo Benso che ne fu sindaco tra il 1832 e il 1849. Il castello di Grinzane Cavour è uno dei migliori esempi di architettura medievale in Langa insieme a quello di Serralunga, altro centro di spicco di queste terre, così come pure Castiglione Falletto. I fortunati visitatori che giungono da queste parti potranno ammirare anche le ville signorili delle zone di Verduno, La Morra, Monchiero. O ancora, la caccia alle masche, cioè le streghe, di Sinio. Senza dimenticare i luoghi d’arte e di natura eccezionale che sono disseminati sulla strada del Barolo.Anche se da queste parti, l’arte meglio coltivata resta quella che nasce in vigna, passa per una botte e finisce in un bicchiere.
B&B La Giolitta In un edificio dell'800 a due passi dal Castello Falletti. Doppia da 70 euro. Via Cesare Battisti, 13, Barolo (Cn) www.lagiolitta.it
Per saperne di più: www.stradadelbarolo.it www.museodeicavatappi.it
Scelti per voi dove mangiare Locanda nel Borgo Antico Ambiente di signorile, cantina di prim'ordine e cucina che spazia in tutte le regioni. Menù da 45 euro Strada Provinciale Alba-Barolo, 122 La Morra (Cn) www.locandanelborgo.com Ristorante Bovio In posizione panoramica tra i vigneti di Barolo, ambiente elegante ma informale. Prezzo medio: 50 euro senza vino Via Alba, 17bis La Morra (Cn) www.ristorantebovio.it
dove dormire
Cuore della produzione resta però il Barolo, selezionato per vitigni – Barolo Rocche di Castiglione, Barolo Monvigliero, Barolo Ravera, Barolo Cannubi, Barolo Castello – e per il quale è stato pensato il Progetto Qualità.
L’unione che fa la forza Eccellenza del prodotto e ferma convinzione che sia necessario mantenere il miglior rapporto qualità prezzo possibile. Questo il pensiero alla base del Progetto Qualità della Cantina Terre del Barolo
Non è stato facile per Arnaldo Rivera – l’ex comandante partigiano Arno nonché commissario del Comitato di Liberazione a Torino – convincere viticoltori, vinificatori e mediatori che vivevano e lavoravano le terre della valle che unisce Alba a Barolo della necessità di unirsi in cooperativa. Non è stato facile, in molti temevano di perdere il monopolio del mercato, ma in vista della prima vendemmia, da 22 che erano i soci fondatori si era già a quota 362. Era il 1958 e il progetto proposto dall’allora maestro di scuola elementare castiglionese si era infine rivelato come l’unica opportunità reale per poter continuare
a lavorare la vigna. È nata così la Cantina Terre del Barolo, fiorente realtà che oggi associa circa 400 viticoltori, proprietari di circa 650 ettari delle Grandi Vigne di Langa nel territorio dei Comuni di Grinzane Cavour, Serralunga, Monforte d’Alba, Diano d’Alba, Barolo, Novello, La Morra, Verduno, Roddi e Castiglione Falletto. Chiediamo a Matteo Bosco, presidente della Cantina, di illustrarcene l’attività. Presidente, quali sono le vostre produzioni di eccellenza? Potrei citare il Dolcetto d’Alba, il Dolcetto di Diano d’Alba, il Barbera d’Alba e il Nebbiolo d’Alba.
Di cosa si tratta? Avviato nel 2001, nasce da un approfondito studio da parte dei nostri tecnici delle diverse microzone viticole dislocate nel comprensorio degli 11 Comuni facenti parte della zona di produzione del Barolo. A fronte di questo ambizioso lavoro di zonazione si sono scelti i vigneti più vocati dei nostri soci nelle migliori esposizioni rispettando precisi parametri qualitativi, monitorati dai nostri agronomi lungo tutte le fasi vegetative del vigneto. Con quale obiettivo? L’ottenimento di basse rese, la riduzione dei trattamenti antiparassitari e tempi di vendemmia rispettosi della completa maturazione dell’uva fino all’accurata vinificazione che, sfruttando l’abbondanza di microclimi e terroir offerta dal territorio, danno origine a vini sempre più ricchi di sensazioni olfattive e gustative. Questo progetto ha consentito alla cantina di dar vita alla linea VinumVita Est che oggi comprende il Barolo, Nebbiolo d’Alba, Barbera d’Alba, Dolcetto d’Alba, Dolcetto di Diano d’Alba. Il vero motore del progetto resta comunque il grande entusiasmo dei soci conferenti che, con una adeguata retribuzione delle uve stabilita a priori, mette la Cantina Terre del Barolo in condizione più che mai determinata a conservare il corretto rapporto qualità-prezzo. ottobre 2013
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inviaggio / stradedelvino
Lungo le vie del Soave di Riccardo Lagorio
Ă&#x2C6; in sella a una bici il modo migliore per intraprendere il cammino che, dal borgo dominato dal maniero Scaligero, si snoda per 50 km a celebrare il solare nettare che inebria le dolci colline di questo angolo di Veneto
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In apertura, l'imponente castello che ha segnato la storia della cittadina in provincia di Verona
Veneto
Soave
Quella dell’est veronese è una terra gradevole e generosa, ricca di testimonianze artistiche e culturali, con colline dai dolci pendii coltivati a frutteti e vigneti. Soave. Con il nome del vino che la rappresenta, per uno strano gioco del destino, si può definire l’intero territorio di questa Strada che tocca 13 Comuni e si snoda in un suggestivo itinerario di circa 50 chilometri dove sono 6500 gli ettari destinati a vigna. Grazie alla felice posizione geografica (a pochi minuti da Verona e meno di mezz’ora dalle amene località gardesane), l’area del Soave risulta un polo di crescente interesse turistico. Soprattutto per tedeschi e olandesi. L’Associazione, che ha come presidente il vulcanico Paolo Menapace, un passato da dirigente del colosso locale del vino – la Cantina Sociale di Soave, presente sul territorio in cinque prestigiose sedi – conta un centinaio
di soci fra cantine, agriturismi, ristoranti, hotel e altre forme di realtà ricettive, frantoi e aziende di prodotti locali. E di conseguenza numerose sono le produzioni del territorio valorizzate dalla Strada, dall’olio ai salumi, dai piselli al formaggio MonteVeronese Dop, dalle ciliegie al vino.
Un panorama da sogno Sono antiche le testimonianze della coltura della vite nella zona che insiste sulla Strada del Soave e grande la fama che accompagna questo vino grazie alla sua essenzialità, vibrante acidità e versatilità. Con la stessa uva di varietà Garganega, accanto al Soave Doc, che usualmente si presenta al mercato l’aprile successivo alle vendemmia, si producono il Soave Doc Classico ottenuto nella fascia collinare dei Comuni di Soave e Monteforte d’Alpone (un’area di 1500 ettari) e il So-
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inviaggio / stradedelvino
In alto, vista notturna del chiostro del palazzo vescovile e del campanile della chiesa di Monteforte d'Alpone. Sotto, i vitigni di Monte Castellaro
Passeggiare con lentezza Un modo piacevole e salutare per scoprire questo territorio è percorrerlo in bicicletta seguendo gli itinerari suggeriti dalla mappa cicloturistica della provincia di Verona, disponibile presso gli uffici della Strada del vino a Soave e nelle strutture a essa associate. Grazie all’associazione AMEntelibera, i turisti possono anche noleggiare delle bici presso l’ufficio della Strada, appena fuori dalle mura della località che dà nome al vino.
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ave Superiore Docg che nasce dalla particolare cura che si dà all’evoluzione del vino in cantina. Il prosciutto stagionato 16 mesi e quello leggermente affumicato che nascono dall’abilità di salagione da parte di Marco Mascanale del prosciuttificio Soave sono ottimo accompagnamento alla sapidità di entrambi. Ma il capolavoro di capacità e pazienza è il Recioto di Soave Docg, il primo vino veneto a ottenere la Docg, ottenuto dall’appassimento delle recie, le parti alate dei grappoli. Dalla cantina di Guido Rizzotto la vista spazia dal duecentesco castello di Soave verso la pianura. «Per ottenere il Recioto è necessario fare una accurata cernita delle uve, riporle in un unico strato in cassette e portarle in locali di appassimento idonei, con ricircolo d’aria naturale, sino a marzo. Di conseguenza la resa è molto bassa, variabile tra il 25 e il 35%», informa Rizzotto. Dal liquido color oro e ambra si sprigionano profumi balsamici, di albicocca appassita e dolci foglie di fico, mentre alla bocca l’alcolicità appare moderata.
Le verdi valli di Illasi e Mezzane Anche nella contigua alluvionale valle d’Illasi si sono fatti spazio vigneti di Garganega. Giovane ma già esperto e con le idee ben chiare è Marco Mosconi, con la passione per la vigna ereditata dalla nonna. «La Garganega si presenta floreale e citrica, ma su terreni marnosi, dopo almeno tre anni, acquista caratteristiche di complessità imprevedibili. Il vignaiolo dovrebbe proprio dedicarsi a capire l’espressione del terreno e della vite nel lungo periodo». La valle di Illasi e la contigua valle di Mezzane sono dominate anche dal verde pastello degli ulivi con gradazioni cromatiche che vanno dal verde scuro fino a quelle più tenue. Le varietà di ulivo più significative del territorio sono il Leccino, il Casaliva, il Grignano e il Perarol. Si tratta di varietà con capacità produttive differenti, i
Scelti per voi dove mangiare Ristorante Bacco d’Oro La lunga esperienza della famiglia Zara è di fatto garanzia di piatti gustosi e della tradizione veronese. Spettacolare la cantina con innumerevoli, ricercate etichette. Si mangia con 35 euro Via Venturi, 14 Mezzane di Sotto (Vr) Tel. 0458.880269 Agriturismo Al Bosco Autentico agriturismo gestito dalla famiglia Franchi, orgogliosamente contadina. Direttamente dal campo alla tavola molte delle proposte. Si mangia con 25 euro Località Bosco, 2 Colognola ai Colli (Vr) Tel. 0457.651635
dove dormire Con le uve di Garganega, accanto al Soave Doc, si producono il Soave Doc Classico, il Soave Superiore Docg, nonché il Recioto di Soave Docg ottenuto dall’appassimento delle recie
Sono antiche le testimonianze della coltura della vite nella zona che insiste sulla Strada del Soave e grande la fama che accompagna questo vino dalla vibrante acidità e versatilità cui frutti vengono raccolti con estrema cura appena inizia la fase dell’invaiatura. In giornata le olive vengono portate nei frantoi dove vengono spremute. Quello che si ottiene è l’olio extravergine d’oliva veneto Valpolicella Dop, che si caratterizza per il sapore delicato, leggermente amarognolo, che pizzica dolcemente il palato in chiusura. Ottimo per dare sapore ai piatti a base di piselli (in gergo locale, bisi) di Colognola dei Colli, di varietà Verdone nano. Tra i più
gettonati il riso e le tagliatelle. Sino agli anni Cinquanta nel centro del borgo si svolgeva, durante il periodo della raccolta, un mercato giornaliero con punte di 250 quintali al dì e gli acquirenti erano i commercianti milanesi, attirati dal gusto piacevole e dalla piccola dimensione del pisello. Poi sulle terre calcaree furono piantati i ciliegi, che hanno lasciato sempre più il posto alla vite. Cambiano i tempi: e oggi, i piselli di Colognola vanno, di nuovo, a ruba...
Villa Aldegheri Elegante semplicità che sconfina nella raffinatezza, quattro sole camere, vista sulle colline vitate e una speciale zona benessere. Come sentirsi a casa, o forse meglio. Doppia da 120 euro Via San Biagio, 11 Colognola ai Colli (Vr) Tel. 0456.150201 Sporting Hotel San Felice Le camere di assoluto riposo guardano gli ulivi della Valle d’Illasi. Dotato di piscina e buona area benessere. Doppia a partire da 70 euro Località San Giacometto Illasi (Vr) Tel. 0456.520586
dove comprare La Casara Un indirizzo sicuro dove acquistare i prodotti del territorio con buon assortimento di etichette. Nel retrobottega si possono consumare i piatti pronti della casa. Corso Vittorio Emanuele, 42 Soave (Vr) Tel. 0456.190367
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Tra i colli del
Sagrantino di Riccardo Lagorio
È un salto nel tempo di 2000 anni quello che ci porta nelle terre tra Montefalco e Bevagna, alle origini del vino che in passato veniva utilizzato nei monasteri umbri per realizzare un passito destinato ai riti religiosi e oggi è il più amato dalle star di Hollywood Al centro dell’Italia, dell’Umbria, a pochi chilometri da Assisi e Spoleto, lungo 16 mila ettari collinari contraddistinti da vigneti pettinati e millenari uliveti si snoda la Strada del Sagrantino. Montefalco, con la sua elegante piazza cinta da edifici pubblici (la mancanza di una chiesa rappresenta pressoché un unicum) e il complesso museale di San Francesco (che ospita opere del Perugino, Gozzoli e Vin110
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coli), ne è il punto di partenza. È peraltro con orgoglio che il presidente della Strada Guido Guardigli, fa notare che il primo documento storico risale al XV secolo: una transazione immobiliare che interessava proprio un vigneto di Sacrantino. Da qui è facile pensare che il nome abbia rapporti con il termine "sacro", utilizzato dai frati per ottenere un vino passito destinato ai riti religiosi o dai contadini per trarne un
prelibato nettare a uso di particolari ricorrenze. La produzione vitivinicola specializzata risale però ad almeno 2 mila anni fa: le foglie dall’intenso colore rosso dell’autunno che qualificano il Sagrantino vengono riportate da Plinio il Vecchio come caratteristiche delle vigne del municipium di Bevagna, cittadina dall’emozionante impronta medievale di cui le mura che la cingono sono solamente la entusiasmante premessa. Dalla suggestiva e irregolare piazza si diramano vicoletti dove sono rinate le gaite, botteghe di antichi mestieri, dal cartaio alla tessitrice di seta. Ma si possono scoprire anche meravigliosi luoghi di culto isolati nei boschi, come l’abbazia di San Felice, del XII secolo, in territorio di Giano dell’Umbria; o inseriti in borghi sospesi
nel tempo come la Rocca di Gualdo Cattaneo, dalla cui cima l’orizzonte si perde tra le tonalità di verde che si rincorrono all’infinito, e il maniero di Castel Ritaldi, esempio intatto di edificio militare trecentesco ampliatosi nei secoli, ma che ha saputo mantenere ben visibili feritoie e buche da bombarda nelle torri.
Ritorno alle origini In questo panorama di storia e arte il Sagrantino ricopre un ruolo trainante per lo sviluppo turistico, specie di quello proveniente dal nord Europa, dall’estremo Oriente e dagli Stati Uniti. Scampato quasi per miracolo alle estirpazioni degli anni 60, è stato recuperato grazie all’impegno e al coraggio di alcuni vignaioli, anche
In apertura, le foglie dall’intenso colore rosso dell’autunno che qualificano il Sagrantino citate persino da Plinio il Vecchio per la loro unicità
Bevagna e Montefalco
Umbria
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Un vitigno che si fa in tre prestati da altri settori. Come Aldo Caprai, che proveniente dal settore tessile, ha sancito un patto con la terra affinché le sue colline diventassero luoghi di sperimentazioni scientifiche seguite dall’Università degli Studi di Milano e rilanciando di fatto la secolare nomea del vitigno. O come Filippo Antonelli che decide di lasciarsi andare all’amore del podere che il bisnonno aveva acquisito a fine '800 e interrompere così la familiare tradizione forense.
Quote rosa (e verdi) Non manca un’imprenditorialità in rosa che si è fatta largo nelle ultime generazioni. Come la giovanissima Giusy Moretti, da poco laureata in architettura ma già votata a proseguire l’attività rurale di famiglia. Una delle poche aziende agricole che vanta la certificazione biologica, in aggiunta. E che all’estero fa la differenza, tanto che anche George Clooney rientra nel catalogo delle celebrità servite. Emozionante anche il loro olio extravergine di oliva ottenuto da un antichissimo uliveto dove dimorano varietà locali come San Felice e Moraiolo. La versione in rosa del Sagrantino trova cromatica realizzazione nel vino che Liù Pambuffetti ha creato: uno spumante metodo classico che dimostra la grande versatilità di queste uve. La ricca spuma, sottile e uniforme, fa dimenticare la tannicità che ha reso il Sagrantino celebre nel mondo, «attirando frotte di americani», chiosa Liù. Una versione di Sagrantino in rosa (Saudade, nostalgia mista a disìo dantesco) in verità esce pure dalla cantina di Paolo Bartoloni. In questo caso si tratta di un ritorno alla terra, dopo che la tradizione s’era interrotta con il padre: segnale di rinnovato interesse e stimolo. Simile a quello di Valentino Valentini, seppur centinaia di anni e storie personali leghino la famiglia a Montefalco. Sullo sfondo l’Umbria 112
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La stragrande maggioranza delle cantine hanno nei loro listini almeno tre versioni in cui si declina il Sagrantino. All’apice della piramide si trova ovviamente il Montefalco Sagrantino Docg, di grande struttura e ottenuto esclusivamente da uva Sagrantino. Grazie al ricchissimo corredo di polifenoli e di tannini il Montefalco Sagrantino Docg possiede una straordinaria longevità: importante lasciarlo affinare a lungo nel legno prima, in bottiglia poi. Per la versione Passito (un tempo probabilmente l’unica prodotta) i grappoli vanno scelti accuratamente e lasciati almeno due mesi su graticci. Segue la vinificazione fermentando il mosto con le bucce e ottenendo un vino davvero unico: dolce e tannico. Si produce poi il Montefalco Rosso Doc in quanto l’area è ricca anche di Sangiovese. Il Sagrantino in questo caso, utilizzato in proporzione variabile tra il 10 e il 15%, apporta tipicità e struttura. In questa immagine, la suggestiva e irregolare piazza di Bevagna
Scelti per voi più caratteristica, dove dal 2002 si è ricominciato a interpretare il patrimonio ambientale dando vita a Bocale (antica unità di misura locale), un’azienda che si connota per sostenibilità e rispetto dei cicli ambientali. «Il 70% della produzione prende la strada della Corea del Sud e della California e stiamo aprendo al mercato cinese», sottolinea facendo notare la naturale predisposizione all’internazionalizzazione comune a tutte queste realtà. Lo stesso sembra valere per l'olivicoltura. Numerose le confer-
compagne di strada
me: da Paolo Montioni che esporta i 300 quintali del suo extravergine in Benelux, ma anche in Israele e Vietnam; a Marco Petasecca Donati, commercialista col vizio della campagna e con il frantoio addossato alle mura di Bevagna, che dalla sansa ottiene biogas; alle sorelle Brizi, le uniche forse in zona a utilizzare tuttora il metodo di spremitura con mola e spremitura con fistoli, retaggio della tradizione familiare che risale al 1903. Storia che si ripete, anno via anno, in uno dei magici luoghi d’Italia, Montefalco.
di Francesco Condoluci
Honda Cr-V, un gioiello di eleganza Ci sono strade fatte per essere divorate velocemente, tutto d’un fiato, senza nemmeno guardarsi attorno. E ce ne sono altre che invece vanno percorse senza fretta, per viverne i panorami e gustarli appieno, con lentezza. È il caso della Strada del Sagrantino, un itinerario fatto di declivi levigati e borghi medievali incantanti. Per spostarci, su quattro ruote, in questo cuore verde dell’Italia di mezzo, ci siamo affidati a una vettura comoda, sicura, di classe. E l’accostamento tra la nuova Honda Cr-V e la dolce campagna umbra si è rivelato quanto mai azzeccato. La versione 2013 del raffinato Suv di marca giapponese è infatti un vero gioiello di eleganza, comfort e accessori di prim’ordine. Un’auto di gran lignaggio fatta per chi ama lo stile ma senza sfarzi inutili, per chi cerca dettagli sofisticati ma funzionali, per chi vuole motori brillanti e consumi accettabili. La Cr-V – con la sua guida confortevole, il suo design slanciato e le linee chic, la sua plancia multitasking, il suo abitacolo ovattato e spazioso – si è rivelata insomma una straordinaria compagna di viaggio, insuperabile per comodità, tenuta di strada e piacere di guida grazie al suo cambio automatico e l’innovativo sistema di navigazione. Una vettura possente ma di estrema ricercatezza. Proprio come un buon bicchiere di Sagrantino. Prezzo versione 2.2 i-DTec (gasolio): 43.500 euro
dove mangiare La lumaca d’oro I piatti forti della casa stanno nel nome del locale. In alternativa vi soccorre la gustosa cucina umbra. Si mangia con 30 euro Via Madonna Addolorata, 72 Bevagna (Pg) Tel. 0742.361204 Oleum All’inizio era approvvigionata oleoteca. Ora ai pochi intimi tavoli vengono serviti i piatti della tradizione regionale, arricchiti dagli oli locali. Prezzo da 25 euro Corso Goffredo Mameli, 55 Montefalco (Pg) Tel. 0742.379057
dove dormire Villa Zuccari Le luminose stanze sono solo un (gradito) aspetto di quanto offre l’ospitalità: il salotto, la biblioteca, la piscina e i vigneti intorno sono ottimi pretesti per fermarsi. Buon ristorante. Doppia da 120 euro Località San Luca Montefalco (Pg) Tel. 0742.399402 Hotel Bontadosi Disegni, arredi, colori e decori d’autore contraddistinguono le camere del palazzo vescovile ora adibito a hotel, affacciato sulla piazza di Montefalco. Hammam e seducente piccola piscina ottenuta nelle cantine. Doppia da 120 euro Piazza del Comune, 19 Montefalco (Pg) Tel. 0742.379357
dove comprare Cariani Porchetta Sostegno al corposo vino locale, la porchetta arricchita da finocchietto selvatico è anche la pietanza che più di altre è carta d’identità del territorio. Località Torre, 87 Montefalco (Pg) Tel. 0742.379816
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Sotto il sole delle Terre Sicane È una terra arsa, pietrosa, dagli echi letterari, quella che ospita Santa Margherita del Belìce e Menfi. Segnata da vigneti che corrono verso il mare, e da cui nascono vini dai sapori decisi e fortemente mediterranei di Francesco Condoluci 114
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La Sicilia ha nomi di paesi altisonanti, lirici quasi, e mai banali. Da Messina, porta dell’isola e attracco obbligato per chi arriva dal continente, per andar giù verso la Valle del Belice nella parte della Trinacria che si tuffa nel Mar d’Africa, a Palermo è d’obbligo uscire dall’autostrada e virare in direzione Sciacca. Attraversata la suggestiva vallata dello Jato, la strada statale 624 scorre in rassegna, uno dietro l’altro, luoghi dai nomi evocativi come Piana degli Albanesi, Roccamena, Contessa Entellina, Salaparuta. In questi toponimi vi sono incidenze greche, romane, arabe, spagnole, arbëreshë: mil-
lenni di storia cioè scanditi dalla cartellonistica stradale.
Verso le terre del Gattopardo Una viabilità, quella sicula, che ha riscritto a modo suo la geometria: qui sulla 624 così come altrove, le linee rette infatti, sono bandite e la strada si dipana lungo infiniti tornanti ripidi e sinuosi che in appena 80 km riescono a toccare 4 province: Palermo, Trapani, di nuovo Palermo e infine Agrigento. Per chilometri e chilometri, nei dintorni della carreggiata, non v’è traccia di abitati: solo paesaggi arsi e montagne pietrose, bellissime, che sem-
Sicilia
Menfi
brano uscite dritte da uno spaghettiwestern di Sergio Leone. Poi è l’indicazione Santa Margherita di Belìce – che rievoca reminiscenze gattopardiane: qui visse infatti la sua infanzia il principe-scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa e proprio in questi luoghi ambientò il suo romanzo più famoso, al quale la città ha dedicato un bellissimo parco letterario – a svelarci che siamo giunti nella valle del fiume Belice, cuore martoriato (dal terribile sisma del ’68) della Sicilia sud-occidentale e oggi area vitata di prima grandezza. Quasi 9 mila etta-
ri di vigne di cui 2/3 appartenenti alle Cantine Settesoli, la più grande azienda vitivinicola a proprietà interamente siciliana. Qui, la strada del vino si fa chiamare Terre Sicane e fluisce lungo dolci colline inframezzate da incantevoli bagli (le antiche masserie fortificate) e pettinate dai vigneti siciliani più classici come Grillo, Grecanico, Nero d’Avola, dagli autoctoni Inzolia e Catarratto, dal campano Fiano d’Avellino, che da queste parti ha trovato una nuova terra d’elezione, e da cultivar internazionali perfettamente acclimatati quali
Syrah, Merlot, Cabernet-Sauvignon, Viognier e Chardonnay.
Menfi, capitale del vino Se Santa Margherita del Belìce, regno dei fichidindia, è la soglia d’ingresso delle Terre Sicane, Menfi ne è l’avamposto centrale, il punto di confluenza della cultura (e della pratica) enologica che pregna il territorio. In questo paesone ricostruito per intero dopo il terremoto, ci accoglie subito piazza Vittorio Emanuele III, ampia, assolata, e, come avrebbe detto Garcia Lorca, “buona per duelli e ottobre 2013
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Settesoli: la democrazia del vino Quando è tempo di vendemmia, che da queste parti può iniziare anche a fine luglio, il centro storico di Menfi bordato dal giallo dei palazzi liberty si carica di profumi, di suoni, del fermento di trattori e rimorchi sulle strade. È il lavorio festoso dei soci di Settesoli, la cooperativa vitivinicola che, fondata nel 1958, oggi – con 3 stabilimenti, 500 mila quintali di uve trasformate ogni anno e 24 milioni di bottiglie prodotte – è il secondo tra i produttori siciliani e può fregiarsi di avere il vigneto più grande d’Europa. Un nome ripreso, manco a dirlo, dalle pagine del Gattopardo (Settesoli nel romanzo è il feudo donato da don Calogero Sedàra alla figlia Angelica per il suo matrimonio con Tancre-
di), 2 mila soci conferitori e circa 5 mila famiglie coinvolte nelle attività consortili. Con questi presupposti le cantine Settesoli possono essere considerate, a buon diritto, “una democrazia del vino”, dove tutti i soci hanno lo stesso peso e dove nessuno può derogare alle “regole sociali” della cooperativa. Un brand di successo capace – caso raro nel Meridione – di competere sul mercato globale grazie a una gestione manageriale ma che non ha tradito però i valori antichi che hanno ispirato la sua fondazione. «Il nostro orgoglio più grande – ama ripetere l’attuale presidente Vito Varvaro – è che Settesoli rappresenta la Sicilia sana e perbene, quella degli onesti».
In apertura, vigneti Settesoli, e qui, in alto, un'evocativa immagine della campagna pubblicitaria della Cantina. Sotto, le rovine di Montevago, in memoria del sisma del '68
funerali”. La domina da un lato il secentesco Palazzo Pignatelli e dall’altro un incantevole belvedere affacciato sul tappeto di vigneti e carciofeti che separa Menfi da Porto Palo, litorale tutto calette nascoste, riserve naturali, spiagge di ciottoli bianchi e mare cristallino premiato 12 volte Bandiera Blu. Poco distante dalla piazza, in una traversa del corso Garibaldi, c’è l’enoteca Strada del Vino Terre Sicane: una sorta di sancta sanctorum del vino menfitano dove, all’interno di Palazzo Planeta (appartenente all’omonima cantina fondata da Diego Planeta, l’uomo che per anni è stato il deus ex machina delle cantine Settesoli e, forse, di tutto il comparto vitivinicolo locale), la sommelier Erina Migliore fa un pò da custode solenne dei vini e, più in generale, dei sapori caratteristici delle Terre Sicane, guidando visitatori e appassionati in affascinanti percorsi sensoriali, attraverso degustazioni, cene a tema e incontri coi produttori. «Dietro ogni bottiglia di vino ci sono anche le persone – ci spiega Erina – il nostro compito è valorizzare questo patrimonio umano e divulgare la cultura enologica locale». Al vino, del resto, i menfitani sembrano legati in maniera viscerale e in particolare a quello della cooperativa Settesoli che ha saputo riscoprire le vocazioni vinicole delle 7 contrade del territorio, assecondandone le peculiarità.Tra Santa Margherita, Montevago e Sambuca di Sicilia, esistono altre 8 cantine, in buona parte gestite da giovani che sono tornati a vinificare, «per raccogliere – dicono – i frutti della nostra terra».
Cchiù in alto si va... Qualcuno, evocando altre zone vinicole d’Italia più celebrate, si è spinto a ribattezzarlo Menfishire questo fazzolettone di terra fertile, fatto di colline levigate e di natura incontaminata, dove le vigne digradano 116
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A sinistra, la vista panoramica che, dal country resort Khirat, abbraccia distese di vigne e ulivi e si tuffa in mare a Porto Palo
Scelti per voi dove mangiare Il Vigneto Farfalle arance e gamberi, moscardini e, per dessert, crostata di gelo di muluni (gelatina di anguria). Gustatevi questo menù tipico, in un edificio rustico in aperta campagna. Menù medio da 30 euro Contrada Gurra di Mare Menfi (Ag) Tel. 0925.71732 www.ristoranteilvigneto.com
verso il mare conferendo ai vini sapori decisi e connotazioni fortemente mediterranee. Ma Menfi, in vero, non è solo vino. Qui si vive di agricoltura a tutto tondo, si produce olio di qualità grazie a cultivar autoctone come Nocellara, Cerasuola e Biancolilla, si recuperano colture perdute come il carciofo spinoso di Menfi oggi diventato presidio Slow Food e (assieme ai peperoni) eccellente materia prima per l’industria conserviera locale, e si rispetta profondamente la memoria delle civiltà che per secoli hanno coltivato queste contrade. «Vede? In questo pianoro che da anni appartiene alla mia famiglia, secoli fa gli arabi coltivavano le carrube. Per loro, un frutto di carruba era una unità di misura equivalente a 5 grammi. Ecco perchè ho chiamato questo posto Khirat, in arabo appunto carrubo»: così ci racconta Nicola Napoli, albergatore e fine appassionato di storia locale e di enogastronomia, mentre ci mostra le
meraviglia del suo Khirat, un country residence resort costruito secondo canoni di bioedilizia ed ecosostenibilità, che, immerso nella quiete della campagna di Menfi, sovrasta dall’alto una distesa di vigne e ulivi che declinano sulla spiaggia di Porto Palo, distante giusto qualche chilometro in linea d’aria. Lì, nel borgo marinaro bagnato dalle acque del Canale di Sicilia, trova origine la cucina locale più verace che nella pasta con uova di pesce sampietro ha il suo pezzo forte e in quella al pomodoro con la sarde una variante gustosa del più tipico dei piatti siciliani. A completare degnamente la tavola, ci pensa quindi la vastedda, il caratteristico pecorino della Valle del Belice, unico formaggio di pecora a pasta filata dell’isola. Ma per gustarlo al meglio bisogna salire su, verso i paesi più alti come Sambuca di Sicilia, perchè come dicono qui gli anziani «cchiù in alto si va, cchiù è buona la vastedda».
Vittorio Specialità di pesce, riconoscimenti internazionali e, giusto per non farsi mancare nulla, una splendida terrazza sulla spiaggia di Porto Palo. Menù da 40 euro Via Friuli Venezia Giulia, 9 Porto Palo di Menfi (Ag) Tel. 0925.78381 www.ristorantevittorio.it
dove dormire Baglio San Vincenzo Tipica masseria con corte interna e chiesa dedicata a San Vincenzo Ferreri. Doppia da 100 euro Contrada San Vincenzo Menfi (Ag) Tel. 0925.75065 www.bagliosanvincenzo.it Khirat Camere da 50 euro a notte Contrada Mandrazzi snc Menfi (Ag) Tel. 0925.1955601 www.khirat.it
dove degustare Enoteca Strada del Vino Terre Sicane Palazzo Planeta Via Santi Bivona, 13 – Menfi (Ag) Tel. 0925.75033 www.sistemavinomenfi/enoteca ottobre 2013
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Assapora lâ&#x20AC;&#x2122;eccellenza. Taste the excellence
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Da oggi anche:
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L’Europa che profuma di mosto Un buon rosè da sorseggiare al tramonto su un porticciolo con i tavoli e le tovaglie a quadretti bianchi e rossi nella Provenza affacciata sul Mediterraneo, culla del cinema e crocevia di artisti. Un incontro inaspettato con Corto Maltese tra i filari del canton Vaud a picco sul lago e una passeggiata nella moderna Losanna. Gli eleganti castelli e i canneti tra cui si confondono stormi di oche, protagoniste delle tavole del Burgenland. L’autunno lungo le principali Strade del Vino del "vecchio continente" è servito: con il suo trionfo di colori è un invito al viaggio di Ida Santilli
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Foto di Ida Santilli
Francia Tra Provenza e Midi Il tratto di costa che da Marsiglia porta a Tolone svela, a chi non sente la fatica di una passeggiata a piedi, calette nascoste tra canyon rocciosi e cabanons. Non a caso la Provenza fece da laboratorio en plein air a Cézanne e Van Gogh che trovarono l’ispirazione per le loro opere nella luce e nei colori del sud della Francia. Come quelle di Cassis, con i suoi terreni sabbiosi e granitici, ricchi di arenaria. I vitigni più coltivati sono a bacca nera come Grenache, Cinsaut, Syrah e Cabernet Sauvignon, anima dei famosi rosati di Provenza freschi e fruttati. Piccoli spicchi di vigneto sono lasciati alle uve a bacca bianca come Clairette, Rolle, Ugni Blanc e Sémillon. Arrivate in paese all’ora del tramonto, e dal porticciolo ammirate il castello arroccato sulla roccia. Merita una visita anche La Ciotat, dove 117 anni fa Auguste e Louise Lumière girarono l’arrivo di una locomotiva a vapore; la stazione non è cambiata di molto, con le pensiline, le sale d’attesa e le tettoie in stile liberty. I due cinea-
sti erano assidui frequentatori della vicina Bandol, stazione balneare che vanta un illustre passato nell’arte della coltivazione della vigna, forse l’Aoc (denominazione controllata) che più identifica la Provenza. I più conosciuti sono rossi, in particolare lo Château de Pibarnon, un vin de garde, cioè da invecchiamento, ottenuto da Mouvèdre con un’ottima struttura legata ai terreni di argilla rossa. I profumi e i sapori del timo e della santoreggia, della maggiorana e del rosmarino, del finocchietto e dell’aglio, disegnano i contorni della cucina della Provenza e del Midi. Sfiziosi gli abbinamenti: la salade nizzarda ben si sposa al bianco locale, il Cassis. Le cozze gratinate con l’aioli e la bouillabasse, robusta zuppa di pesce, sono da provare con un Bandol Rosè di buona struttura o con uno Syrah di medio corpo. Vale la pena infine fare un salto alla Maison des Vins, all’entrata del borgo di Castellet, e partecipare ai tour organizzati nelle vigne con degustazione.
Scelti per voi dove mangiare Poissonerie Laurent Già solo per la vista sul porticciolo e sul castello illuminato, merita una sosta. Se poi ordinate le cozze alla crème fraiche resterete piacevolmente colpiti. Si consiglia di prenotare. Prezzo medio: 25 euro vini esclusi Quai Barthélemy – Cassis Tel. 0033.0442.017156
dove dormire Ile Rousse Hotel di lusso vista mare. Doppia da 190 euro Boulevard Louis Lumierè – Bandol Tel. 0033.0494.293300 www.ile-rousse.com
dove comprare Oenothèque All’entrata del paese, un nuovo spazio dedicato alla degustazione di vini del territorio selezionati settimanalmente. Place Lucien Artaud, 3 – Bandol Tel. 0033.0494.294503 www.vinsdebandol.com
Per saperne di più: routedesvinsdeprovence.com
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Svizzera Sulle rive del lago di Ginevra Quando il sole si adagia sullo specchio d’acqua e tinge i filari ordinati delle colline del Lavaux di una calda tonalità, si assiste a uno spettacolo che da solo varrebbe un viaggio nel canton Vaud. Se poi ci aggiungiamo una passeggiata al Flon, il quartiere di Losanna che oggi ospita opere d’arte en plein air e una pedalata panoramica tra le vigne, un weekend da queste parti può rivelarsi una piacevole scoperta. La città, dominata dalla cattedrale gotica del XIII secolo, offre un mix tra antico e moderno che non stona mai. Lasciato alle spalle il centro urbano, lo sguardo spazia su un paesaggio inedito: sparse ovunque emergono, fra i terrazzamenti geometrici, cantine vinicole dove i vignerons accolgono gli ospiti a braccia aperte; da aprile a ottobre, inoltre, a bordo di un trenino, il Lavaux Express, potrete fare un interessante viaggio tra i vigneti per osservarli al lavoro. In que122
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sta zona, i cru di Chasselas danno vini di notevole potenza e finezza, come quelli di Louis Bovard e Vincent Duboux, grazie ai terreni granitici che ne esaltano mineralità e struttura. Un aperitivo al Caveau Corto a Grandvaux è quello che ci vuole per abbinare un sorso di buon Chardonnay a una vista sul lago Lemano. Il locale è ispirato al Corto Maltese di Hugo Pratt, che qui visse gli ultimi anni della sua vita. Vale quindi la pena spostarsi con il treno panoramico che collega il lago alle vette alpine a Château-d’Oex, un delizioso villaggio famoso per le mongolfiere, a cui è dedicato un museo. Non andate via senza prima aver provato l’etivaz, saporito formaggio locale, e aver visitato la chiesa romanica di Saint-Nicolas a Rougemont. Non dista molto Aigle, che vanta un castello ben conservato della fine del XII secolo, sede del Museo del Vino, dell’Etichetta e della Bottiglia.
Scelti per voi dove mangiare Caveau Corto Wine bar in stile bistrot dove sorseggiare un calice di Chasselas, il vitigno bianco dell’area, godendo di una splendida vista sui vigneti e sul lago. Degustazione vini: 20/22 euro; piatti freddi: 5 euro Chemin du Four – Grandvaux Tel. 0041.021.7992896 www.caveaucorto.ch
dove dormire Auberge de la Gare Si trova accanto alla stazione questo accogliente albergo dal gusto retrò. Magnifica la vista sul lago. Doppia: 200 franchi Rue de la Gare, 1 – Grandvaux Tel. 0041.021.7992686 www.aubergegrandvaux.ch
dove comprare Vinorama La facciata di questa moderna enoteca-museo spezza la cromaticità del paesaggio intorno al Lago di Ginevra ma non stona: l’architetto ha scelto una vite riprodotta in pixel. Route du Lac, 2 – Rivaz Tel. 0041.021.9463131 www.lavaux-vinorama.ch
Per saperne di più: www.vd.ch
Austria Aspettando San Martino Chi è in cerca di una scusa per visitare la campagna austriaca e dedicarsi al foliage, deve sapere che, a due passi da Vienna, nel Burgenland, attorno al lago di Neusiedl, l’11 novembre si festeggia San Martino, Martiniloben, e il vino novello, che viene degustato nelle tipiche vinerie heurigen. Tutte le cantine aprono le porte al pubblico e gli amanti del vino si spostano di struttura in struttura, ascoltando musica e degustando le prelibatezze locali (l’oca è protagonista delle tavole dell’intera regione). Da Vienna si raggiunge il lago, circondato da un’ampia fascia di canneti, passando per Schwechat e Bruck an der Leitha. Siamo ai margini del Parco Nazionale Neusiedler See che unisce l’Austria all’Ungheria e si distingue per l’incredibile ricchezza di specie ornitologiche che qui hanno trovato il loro habitat. Potete esplorarlo a piedi, in bicicletta,
a dorso di cavallo o in carrozza. Da Neusiedel si arriva a Mönchhof dove conviene fare una deviazione per visitare il castello barocco di Halbturn dell’epoca dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, che spesso ospita esposizioni interessanti. Questa regione è rinomata per i suoi vini nobili dolci. Lo Zweigelt è il vitigno dominante che caratterizza rossi come Blaufränkisch dall’aroma di more, St. Laurent, Pinot Noir e Merlot. I bianchi, dal gusto minerale, vengono ricavati dai vitigni Pinot Blanc, Chardonnay e Welschriesling. Sulla riva occidentale del fiume sorge Rust, dove si produce il vino dolce Ruster Ausbruch. Da qui si raggiunge St. Margarethen con l’antica cava di pietra romana, teatro di Festival e rappresentazioni sacre. Da Eisenstadt, la Strada riporta a Vienna passando per Loretto con il suo bel santuario mariano.
Scelti per voi dove dormire Hotel Schreiner In tre weekend di novembre (8/10;15/17 e 22/24) l’hotel organizza una passeggiata tra i vigneti che termina con un assaggio di gulasch, una degustazione di vini pregiati nell’enoteca locale e una cena di quattro portate, con l’oca come grande protagonista. Prezzo: 80 euro a persona Per dormire: 165 a persona la camera doppia per due notti Girmerstrasse, 45 – Deutschkreutz Tel. 0043.2613.80322 www.hotel-schreiner.at
dove comprare Vinothek Weinwerk Burgenland Enoteca che offre una notevole gamma di vini locali e specialità gastronomiche della regione. Colpisce per la sua architettura, risultato di un brillante restauro di un palazzo del XV secolo a cui è stato aggiunto un elegante tocco contemporaneo. Obere Haubtstrasse, 31 Neusiedl am See Tel. 0043.2167.20705 www.weinwerk-burgenland.it
Per saperne di più: www.burgenland.info/it www.neusiedlersee.com ottobre 2013
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inviaggio
Il Golfo dei poeti È il profumo del basilico, ancor prima di quello del mare, a sedurre tra i vicoli di Lerici, Porto Venere, San Terenzo, La Spezia... Percorrendoli si ha la sensazione di immergersi in un mondo parallelo, fermo nel tempo. Lo stesso che ha fatto sognare Shelly, Lord Byron e Hemingway di Paola Gula
Liguria Golfo dei poeti
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“Io, come la rondine di Anacreonte ho lasciato il mio Nilo e sono migrato qui per l’estate, in una casa isolata di fronte al mare e circondata dal soave e sublime scenario del Golfo della Spezia. Io abito ancora questa divina baia, leggendo drammi spagnoli, veleggiando e ascoltando la più incantevole musica”. Sono i versi del poeta romantico inglese Percy Bysshe Shelley che visse a lungo a San Terenzo e ospitò molti “colleghi” scrittori nella sua casa e molti altri vi arrivarono seguendo le sue orme. Esiste persino una competizione natatoria, che va da Porto Venere a San Terenzo, che si chiama Coppa Byron perché è stato proprio Lord Byron ad attraversare per primo quel tratto di mare. Fu Sem Benelli, autore della famosa Cena delle beffe a battezzare il Golfo di La Spezia, Golfo dei Poeti e da quel giorno il nome è rimasto. Certo è che ci si trova davanti a uno degli spettacoli più affascinanti
che si possono incontrare dove, nei secoli, uomo e natura sembrano aver collaborato per rendere questo tratto di costa un concentrato di armonia e bellezza. Lerici, Porto Venere, l’Isola di Palmaria, l’Isola del Tino, San Terenzo sono borghi stupendi raggiungibili via mare con i battelli che fanno servizio continuo dal lungomare di La Spezia. Gli spezzini li usano per raggiungere le spiagge delle isole in estate, ma il viaggio e gli scali riservano sorprese da ogni punto di vista. Si ha la sensazione di essere immersi in un mondo parallelo, in paesini che a volte sembrano essere fermi nel tempo. Porto Venere è forse uno degli esempi più affascinati con i carrugi che portano verso la splendida chiesetta romanico gotica di San Pietro. Camminando non puoi evi-
tare di sentire i profumi così tipici di questa Liguria, la magia del pesto preparato con il migliore basilico, l’olio, l’aglio e i pinoli. Una ricetta che è stata riportata agli antichi splendori da Laura Massa che ha il suo negozio proprio nelle antiche stradine di Porto Venere e che ha in bella mostra all’esterno un enorme vassoio carico di piantine di basilico. In effetti dal punto di vista gastronomico La Spezia e il Golfo dei Poeti rimangono fortemente legati alle tradizioni che, a differenza di altre zone liguri, vedono nel pesce e nel mare il principale ingrediente e fonte di
La festa della marineria Quando, nel 2009, fu organizzata la prima Festa della Marineria lo scopo del Comune e dell’Autorità Portuale che ne sono stati i promotori era semplice, ovvero fare in modo che La Spezia, città così legata alle tradizioni marinare, avesse una manifestazione che facesse sintesi della cultura del mare. Sotto ogni punto di vista. Semplice lo scopo, ma infinitamente complesso nella sua realizzazione. La terza edizione della Festa della Marineria si svolgerà dal 3 al 6 ottobre. Le edizioni precedenti, avvenute con cadenza biennale, hanno fatto registrare il tutto esaurito. Questo ha convinto gli organizzatori a intensificare e rendere ancora più appetibile il programma che viene gestito in collaborazione con la Marina Militare e le più importanti istituzioni e associazioni. La stretta collaborazione tra i diversi enti è il segreto di tanto successo, sostengono. Il programma prevede regate, esibizioni di barche storiche, visite a bastimenti, convegni, incontri con personalità legate al mondo del mare, mostre e spettacoli. Ad aprire la festa, infatti, sarà un concerto di Vinicio Capossela dal titolo Rebetikos Gymnastas dedicato completamente al mare e alla musica dei porti.Durante la festa la Spezia sarà la tappa conclusiva della Lycamobile Mediterrean Tall Ship Regatta che partirà da Barcellona e farà scalo a Tolone. Un evento internazionale di grande prestigio che vedrà impegnate decine di Tall Ships, ovvero navi d’alto bordo come vascelli e fregate; tra le imbarcazioni provenienti da tutto il mondo che hanno confermato la loro presenza, l’Amerigo Vespucci e la Palinuro. Non mancherà una particolare attenzione all’enogastronomia con mercatini di prodotti locali e un Menu della Marineria proposto a tutti i partecipanti in modo da far conoscere le specialità di un territorio che ha molto da offrire sotto ogni punto di vista.
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inviaggio
Per saperne di più: www.parconaturaleportovenere.it www.navigazionegolfodeipoeti.it www.festadellamarineria.com www.bluriviera.it/infopoint http://turismocultura.spezianet.it In apertura, la punta occidentale del Golfo dei Poeti con, sulla sinistra, Porto Venere. Qui, una panoramica e, sotto, uno scorcio di Tellaro
reddito. L’esempio più eclatante è forse rappresentato dalla miticoltura che si svolge qui dal 1887. Le tecniche di allevamento sono quelle di un tempo coniugate con l’ausilio di moderne tecnologie. Ovviamente il pesce è un ingrediente fondamentale e non c’è ristorante che non lo proponga, ma forse, uno dei più interessanti è il “punto di prima vendita e ristoro” Dai Pescatori, sul molo Italia a La Spezia, dove è proprio la cooperativa dei pescatori spezzini che prepara piatti tipici con abbondante pesce azzurro proposto con ricette tradizionali. Non un ristorante di alto livello, più una trattoria self service che sta riscuotendo un enorme successo. Per concludere il nostro giro non può mancare una visita al centro di La Spezia, con le sue “strade larghe e case alte e gialle”, per dirla con Ernest Hemingway, con lo sguardo in alto ad ammirare le ville Liberty, ma anche i numerosi musei, il Castello di San Giorgio, le famose scalinate che dal centro conducono verso la collina e, se avete la possibilità, vale la pena un giro dell’Arsenale Militare, una sorta di città dentro la città, voluto da Cavour e che rappresenta quella parte di La Spezia così fortemente legata alla Marina Militare.
Scelti per voi dove mangiare Dai pescatori È proprio sul porto che la cooperativa dei Pescatori di La Spezia ha aperto questo locale con doppio utilizzo. Da una parte si può acquistare il pesce fresco, dall’altra c’è il ristorantino organizzato in stile self service che propone i più classici piatti di mare. A dimostrazione della bontà del rapporto qualità prezzo è la coda perenne che si forma all’entrata. Prezzo medio menù 25 euro Banchina Revel, Molo Italia La Spezia Tel. 0187.770893 Osteria all’Inferno All'interno di una vera osteria tradizionale, con sale e salette sotto un soffitto basso, potrete assaggiare l’antica cucina spezzina dalla mes’ciua allo stoccafisso e i muscoli ripieni. Menù da 30 euro Via Lorenzo Costa, 3 La Spezia Tel. 0187.29458
dove dormire Locanda Miranda Nel bellissimo borgo di Tellaro si trova questa locanda a conduzione famigliare che mette a disposizione alcune camere e una cucina tipica a base di pesce davvero squisita. Camere da 100 euro a notte
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Via Fiascherino 92 Località Tellaro – Lerici (Sp) Tel. 0187.968130 www.miranda1959.com NH Hotel Nel centro di La Spezia, vicino al porto, un hotel moderno dotato di ogni comfort. Camere da 95 euro Via XX Settembre, 2 La Spezia Tel. 0187.739555 www.nh-hotels.it
dove comprare Coop. Miticoltori Spezzini Qui li chiamano muscoli, non mitili o cozze. Si allevano nel tratto di mare tra le Cinque Terre e il parco del Magra. L’allevamento avviene ancora con metodi antichi tramandati da generazioni. Via Santa Teresa, 21 San Terenzo di Lerici (Sp) Tel. 0187.970210 Bajeicò - La Bottega del Pesto Nel centro di Porto Venere è impossibile non notare questo negozietto perché il profumo inebriante e la macchia di colore del famoso basilico di Prà esposto all’esterno attirano inevitabilmente l’attenzione. Bajeicò in effetti significa Basilico in dialetto e Laura Massa lo fa ancora come una volta, pestandolo con il mortaio e con gli ingredienti migliori. Via Capellini, 70 Porto Venere (Sp) Tel. 0187.791054
l’italiainmostra
Rinascite astigiane La città di San Secondo e del Palio più antico d’Italia, di Vittorio Alfieri e Paolo Conte, racconta la storia dell’Italia del dopoguerra in una mostra-evento che ci mette di fronte ai nostri successi, alla nostra capacità di alzare la testa, di andare avanti. E a un’interrogativo: ce la faremo anche sta volta? di Silvana Delfuoco
Piemonte
Asti
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“Asti repubblicana” invocava Carducci tra i versi di Piemonte. Libero Comune sì, “la città delle 100 torri” lo è fin dall’XI secolo: ma sempre sotto la rassicurante protezione di San Secondo, l’amatissimo patrono. È stato grazie a lui – qui tutti ne sono convinti – se è uscita quasi sempre indenne dalle tempeste della storia e della natura. Grazie a lui, certo,
con il contributo, almeno per qualche secolo, anche della ricchezza portata a casa dai suoi mercanti che, durante il Medioevo, avevano banchi in tutta Europa. E a un pizzico di quella irriducibile vocazione tutta astigiana a volersi mantenere a ogni costo indipendenti da tutto e da tutti. Fu così che nel 1526 sconfissero e misero in fuga il feroce capitano di ventura
di lottare contro le ricorrenti alluvioni – ultime in ordine di tempo quelle del 1948, del 1994 e del 2012 – dovute allo straripamento dagli argini del fiume Tanaro, il “dio del temporale”, secondo una possibile etimologia del suo nome. Tutto sempre sotto lo sguardo benevolo di San Secondo. La sua immagine, a cavallo e con le insegne della città, è raffigurata anche sul labaro del Palio che da tempo immemorabile si corre ogni anno. Si dice sia il più antico d’Italia. Con buona pace dei Senesi.
Noi che siamo nati a... Una sorta di Manhattan ante-litteram. Così doveva apparire Asti nel medioevo: più di cento torri, elevate a testimoniare la potenza delle famiglie più in vista. Alcune sono ancora intatte, come la Torre Comentina e la Torre Troyana in pieno centro, o la suggestiva Torre Rossa, secondo la leggenda ultima prigione di San Secondo prima del martirio, poi campanile della Chiesa a lui dedicata. Invece la trasformazione barocca dei principali edifici cittadini, ancora attuale, fu opera di Benedetto Alfieri, cugino di Vittorio e architetto di Casa reale. Ed è a Vittorio Alfieri,
Fabrizio Maramaldo, che li aveva cannoneggiati e assediati per una settimana; e che qualche secolo più tardi, in piena rivoluzione francese, diedero vita alla breve ma gloriosa Repubblica Astese, oggi riconosciuta dagli storici come uno dei primi autentici moti di presa di coscienza nazionale. La stessa caparbia tenacia che ha loro sempre permesso
Alfieri, certo, ma anche Giorgio Faletti, Bruno Gambarotta o Paolo Conte. Gente di Asti che ce l’ha fatta e che da qui è andata alla conquista del mondo. Magari discretamente, come si usa da queste parti
In apertura, la chiesa di San Secondo, amato patrono della città
A ogni piatto il suo vino Il tonno di coniglio, antico piatto dei contadini del Monferrato. L’insalata di carne cruda degli ortolani del Tanaro, che in stagione sostituivano con profumati tartufi bianchi le fresche verdure tagliate a striscioline. La griva monferrina, succulento fritto di fegato di maiale tagliato a pezzettini e avvolti nella “rete”… Ma anche la locale variante degli agnolotti, con ripieno d’asino o di lepre, e la storica finanziera, a base di frattaglie di pollo, che forse deve il suo nome al tributo in natura pagato dai contadini alle guardie (i finanzieri, appunto) per entrare in città. Sono soltanto alcuni dei piatti astigiani entrati a far parte della grande cucina regionale del Piemonte. Tutti con un denominatore in comune: il vino che li accompagna. Terra di rossi pregiati – come la Barbera d’Asti Docg, con le sue produzioni di nicchia, tra cui il prestigioso Nizza – sono però i bianchi la sua bandiera nel mondo: Moscato d’Asti Docg e Asti spumante Docg. E per chiudere degnamente il vostro pranzo, uno zabajone: alla Barbera o al Moscato, naturalmente. ottobre 2013
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l’italiainmostra
Scelti per voi dove mangiare Gener Neuv Storico locale dove ritrovare l’autentica genuinità dei sapori della tradizione. Prezzo medio senza vino: 73 euro Lungo Tanaro dei Pescatori, 4 Tel. 0141.557270 www.generneuv.it Pizzeria Francese Mitica la pizza di Beppe Francese, autore della guida alle pizzerie d’Italia. Prezzo medio senza vino: 26 euro Via dei Cappellai, 15 Tel. 0141.592321 www.pizzerie-italia.it Osteria Ai Binari Fascinosa trattoria fuori città, nell’ex stazione ferroviaria di Mombarone. Prezzo medio senza vino: 32 euro S.S.Asti-Chivasso, 145 – bivio Settime Tel. 0141.294228
dove dormire
Storie dell’Italia che ce l’ha fatta Si snoda lungo tre palazzi storici di corso Alfieri, cuore della città, La Rinascita, racconto dell’Italia che ce l’ha fatta a uscire dalla crisi del Dopoguerra. Una sorta di viaggio nel tempo fatto di opere d’arte, abiti d’alta moda, tecnologie, architetture, cinema, letteratura, musica, televisione e design: tutti nati e cresciuti tra il 1945 e il 1970. Ed è anche la storia del made in Italy, da semplice marchio sopra i prodotti di origine nazionale a definizione di un italian style arrivato a scalare le vette dell’immaginario globale. Il ruolo di Asti in tutto questo? Lo capirete scoprendo la storia di una delle tante piccole città della provincia italiana che il mondo lo vede sì di lontano… ma che non vuole soltanto stare a guardare! fino al 3 novembre Palazzo Mazzetti, Palazzo Ottolenghi, Palazzo Alfieri Corso Vittorio Alfieri www.larinascita.it 130
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Nell'immagine: Fabio Mauri, Cassetta objects achetes (1959-60), tra le opere in esposizione ancora per tutto il mese di ottobre ad Asti
l’indiscussa gloria locale, che è intitolata la piazza centrale nonché il corso che percorre tutta la città da est a ovest, luogo di passeggio e di “struscio”, come è inveterata abitudine della provincia italiana! Ma proprio da questo habitat di provincia escono spesso, come ben sappiamo, gli ingegni migliori, quelli che poi hanno voglia di regalare agli altri i sogni delle loro fantasie. Come il versatile Giorgio Faletti, o il brillante Bruno Gambarotta, o ancora il musicista-avvocato Paolo Conte. Gente di Asti che ce l’ha fatta e che da qui è andata alla conquista del mondo. Magari discretamente, come si usa da queste parti, a bordo di una semplice “Topolino amaranto”. Che sarà anche un tantino d’antan, ma “va che è un incanto”. Parola di poeta astigiano.
Hotel Castello 5 stelle a ridosso delle mura con un silenzioso giardino interno. Doppia da 155 euro Via Gioacchino Testa, 47 Tel. 0141.351094 www.hotelcastelloasti.com Hotel Lis A due passi dalla piazza del Palio, con vista sul parco, 3 stelle a conduzione familiare. Doppia da 90 euro Viale Fratelli Rosselli, 10 Tel. 0141.595051 www.hotellis.it Luna B&B Nella Riserva Naturale Paleontologica di Valleandona. sarete accolti con simpatia nella casa di famiglia. Doppia da 45 euro Fraz. Valleandona, 59 Tel. 0141.295180 www.luna.asti.it
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Glasgow in 5 tappe Città della cultura nel 1990, Città della Musica Unesco nel 2008 e Città europea dell’anno nel 2011, il popoloso centro scozzese è un tripudio di creatività, eleganza e sostenibilità Rendere omaggio a San Mungo Con la sua struttura del XII secolo ancora intatta, la cattedrale di Glasgow è il più importante edificio religioso della città, e tra i meglio conservati del Regno Unito. Fu fondata da Davide I di Scozia nel 1136 e consacrata nel 1197 sul luogo dove San Mungo aveva costituito una piccola comunità cristiana nel 550. Si ritiene che la cripta sotto il tempio sia stata costruita dal Santo, la cui tomba è visitabile al centro del coro. Visitare la City Chambers Prestigioso edificio simbolo del potere politico e dell’opulenza di Glasgow, per decenni considerata seconda città dell’Impero. Completata nel 1888, è stata utilizzata come municipio per oltre un secolo; di grande interesse architettonico le scalinate in marmo di Carrara, le più grandi del mondo, gli eleganti primo e secondo piano abbelliti da ricchi candelabri, e il terzo piano che ha come pavimento colorati mosaici veneziani. Si affaccia su George Square, spesso palcoscenico di mercatini di prodotti tipici. Concedersi una sosta d’arte La Galleria d’arte e Museo Kelvingrove è una delle attrazioni culturali più importan132
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ti della Scozia con 22 sale tematiche e oltre 8 mila reperti. Le collezioni, ospitate nel palazzo inaugurato nel 1901 come Palazzo dell’Esposizione Internazionale, riguardano la storia naturale, le armi (spicca uno Spitfire, il caccia monoposto e monomotore simbolo della seconda guerra mondiale), l’arte pittorica (da vedere il Cristo di San Giovanni della Croce di Salvador Dalí, le opere di Botticelli e Monet) e molto altro. Interagire con la scienza Sulle rive del fiume Clyde, il Glasgow Science Centre è un futuristico museo interattivo della scienza, inaugurato nel 2001, costruito in acciaio, vetro e titanio. Da visitare anche il cinema Imax situato accanto al Centro della Scienza e la Glasgow Tower, torre rotante alta 127 metri dalla quale si può ammirare uno stupendo panorama della città. Fare un viaggio nel passato Presso il Museo dei Trasporti, lungo le rive del fiume Clyde, sono stati ricreati ambienti e mezzi di trasporto che ci riportano alla fine del XIX secolo e agli inizi di quello successivo. Tra le curiosità, uno studio fotografico d’inizi Novecento e un caffè italiano degli anni Trenta.
Blythswood Square Hotel Cento lussuose stanze e un attico da sogno nel cuore verde di Glasgow. La storica sede del Reale Automobile Club Scozzese dal novembre 2009 è un hotel 5 stelle provvisto di uno dei più quotati ristoranti della città. Doppia da 450 euro Blythswood Square, 11 Tel. +44 (0)141.2488888 EasyHotel Glasgow City Servizi essenziali ma pratici e ben tenuti, a pochi passi dal centro. Doppia da 36 euro Hill St, 1 Tel.+44 (0)141.3536729
dove comprare Glasgow è il secondo centro commerciale naturale del Regno Unito. Piccoli negozi ed eleganti botteghe artigiane sono numerose nelle tre aree pedonali della città. Le più note e alla moda sono Sauchiehall Street e Argyle Street. Ad Alexandria, a pochi chilometri da Glasgow, Antartex è invece un immenso spaccio per acquisti alimentari, abbigliamento e articoli regalo.
L’idea in più A meno di 50 chilometri da Glasgow, nei pressi del Loch Fyne, una natura intatta conserva meravigliosi castelli ottocenteschi immersi nel verde. In alcuni di questi è possibile soggiornare, come nel castello Ardkinglas, in quello di Lachlan e di Inveraray. Loch Fyne è inoltre una nota stazione di pesca di ostriche e aringhe.
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magazine
Piaceri Piaceri 140 138
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136 Le mani raccontano
Da secoli protegge le nostre bottiglie: è il sughero, simbolo e vanto della Gallura
138 I piaceri di Bacco La storia del vino secondo Donato Lanati e Ellekappa: terza puntata.
da pag. 140 Rubriche
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lemaniraccontano
Al tuo vino, ci pensa lui! di Agostino Pintus
Dalla quercia da sughero al tappo: come nasce un prodotto spesso dato per scontato, che è invece simbolo e vanto di una terra, la Gallura, e protegge da tempi immemori le bottiglie più pregiate al mondo. Tradizione quindi, ma anche rispetto dell’ambiente e garanzia di biodiversità
A chi percorre le strade della Sardegna durante l’estate e ha la capacità di perdersi nei paesaggi della campagna, tra i rigogliosi vigneti e gli ampi pascoli, capiterà sicuramente di imbattersi in piante maestose il cui fusto, colorato con sfumature tra l’arancio e il rosso vivo, spicca nel verde profondo dei boschi. Si tratta di un particolare tipo di quercia, la cui colorazione è il risultato di un’operazione che si ripete nei boschi della Sardegna da almeno due secoli: l’estrazione del sughero. L’operazione è delicata e necessita anni di esperienza. Viene infatti eseguita a mano dagli scorzini, con il solo ausilio 136
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di un’ascia, e consiste nel distacco della corteccia suberosa (il sughero appunto), effettuato in modo tale da non arrecare alcun danno alla pianta. Un buono scorzino, oltre a conoscere bene le caratteristiche fisiche della pianta, deve saper dosare forza e sensibilità, per conferire al taglio la giusta potenza e pressione;un lavoro che si è da sempre tramandato di padre in figlio e che, se svolto nel modo migliore, consente alla pianta di reagire immediatamente, deponendo un nuovo sottile strato di sughero, preludio di una nuova corteccia che sarà estratta dopo dieci anni, secondo un turno stabilito per legge.
Grazie, Dom Perignon Materiale molto presente nella storia, nella cultura e nella tradizione mediterranea, già utilizzato nell’isolamento delle costruzioni in età nuragica (2000 a.C.) e da Greci e Romani per sigillare anfore vinarie e olearie, oggi la sua utilizzazione principale è quella della produzione dei tappi a uso enologico. Tradizione vuole che sia stato il monaco benedettino francese Dom Perignon (1638-1715) a intuire per la prima volta che il sughero potesse essere utilizzato per tappare le bottiglie di vino, dopo che ebbe scoperto questo prodotto grazie ad alcuni pellegrini spagnoli che avevano sostato nell’Abazia di Hautvillier. Il frate inventore dello champagne, che ancora non aveva trovato la soluzione per conservare l’anidride carbonica dei vini che faceva rifermentare in bottiglia, vide in questa materia l’unica in grado di resistere alle forti pressioni che si esercitavano all’interno della stessa. La realizzazione dei tappi in sughero è infatti legata strettamente al miglioramento della fabbricazione del vetro del XVII secolo, che aveva portato alla realizzazione di contenitori con la resistenza sufficiente ad essere trasportati senza rompersi. Essi si adattarono rapidamente a vini fermi e spumanti, facendo nascere quel connubio tra vino, vetro e sughero che ancora oggi è sinonimo di qualità.
Un equilibrio delicato In Sardegna viene prodotto più dell’80% del sughero italiano e, sempre in loco, trasformato (non solo) in tappi; quindi viene esportato in tutto il mondo: ovunque si imbottigliano vino, arriva un tappo sardo! Non è dunque una forzatura affermare che l’industria sarda di trasformazione del sughero, localizzata principalmente in Gallura, nel nord-est dell’isola, è una delle eccellenze dell’agroalimentare della regione,
In apertura, abili scorzini all'opera in Gallura. La tradizione della raccolta del sughero è molto forte in questa parte di Sardegna, spesso tramandata di padre in figlio
Il perché di una scelta Resistenza all’usura, impermeabilità ai gas e ai liquidi, inalterabilità nel tempo, leggerezza, potere isolante, sono solo alcune delle proprietà di questa materia prima. I tappi in sughero sono garanzia di chiusure di sicurezza che, oltre a dare la possibilità al vino di conservarsi nel tempo, ne permette l’affinamento in bottiglia, soprattutto di quello destinato a una lunga conservazione, attraverso dei meccanismi, quali la micro-ossigenazione, che solo il sughero consente, ma che danno alla fine il piacere di scoprire in un buon bicchiere il giusto corredo di aromi e la ricchezza di sfumature.
sempre concentrata sul continuo miglioramento della qualità di un prodotto apprezzato anche perché riconosciuto come ecologico. Non solo la sua origine infatti è del tutto sostenibile, ma la corretta gestione delle sugherete garantisce la mitigazione del clima con la fissazione della CO2, la regolazione del ciclo dell’acqua e la corretta conservazione del suolo che ne evita l’erosione e garantisce il rispetto della ricca biodiversità dei boschi di quercia da sughero e dunque in una certa misura dell’intero territorio sardo.
dove&come Agris Sardegna Via Limbara n.9 Tempio Pausania (Ot) Tel. 079.672203 Mob. 331.6861371 www.sardegnaagricoltura.it
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ipiaceridiBacco
In taverna con etruschi e romani Terza tappa, tutta italiana, della storia del vino. Sapevate che i nostri antenati lo bevevano perlopiù annacquato, speziato o cotto? E che il dio delle vigne era Saturno? Scopriamolo assieme con le illustrazioni di Ellekappa
di Donato Lanati
[...] Nei secoli IV-III a.C., gli Etruschi si espansero nelle zone attorno a Napoli, in Toscana, nell’isola d’Elba e nella Valle del Po. Gli Etruschi coltivavano le viti maritate agli alberi ma non furono grandi viticoltori perché non erano bravi potatori; si attribuisce comunque a loro la selezione (nei boschi) di Trebbiano toscano, Montepulciano, Sangiovese e di alcuni Lambruschi. Fu verso l’anno 600 a.C. che i romani iniziarono ad apprezzare il vino e ad occuparsi della coltivazione delle vigne. Le an-
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fore in cui lo conservavano, avevano nella parte inferiore una protuberanza che serviva a fissarle nel terreno o nello strato di sabbia posto nella stiva delle navi. [...] Nella mitologia romana, l’origine del vino venne attribuita a Saturno, dio delle semine e della vigna. I Romani rappresentavano Saturno con la falce del mietitore e la falcetta del viticoltore.
In Italia con gli Etruschi che vivevano in Toscana si diffondono i lambruschi fino ai golfi di Campania
I vini bevuti a Roma erano di bassissima gradazione, i vini di lusso erano invece per lo più cotti e poi sottoposti a lunghi invecchiamenti (decine di anni) per essere poi bevuti e mescolati con almeno il 50% d’acqua. Al tempo dell’impero Romano d’Occidente vi erano circa 140 tipi di vino che arrivavano a Roma da ogni parte dell’impero. Nell’impero Romano la tecnica vitivinicola si perfezionò in seguito all’affluire a Roma di schiavi greci ed asiatici. I vini importati da Grecia, Asia Minore e dalle coste africane erano trattati con resine, miele, erbe, legni odorosi, mirra, assenzio e profumi. Soltanto i romani più ricchi potevano tenere del vino nelle cantine presso le loro case. Il resto della popolazione ricorreva ai negozianti di vini all’ingrosso o ai numerosi dettaglianti delle città e, soprattutto, alle osterie specializzate chiamate tavernae vinariae, vinariae o più comunemente, thermopolia.
Nel seicento avanti Cristo con la stirpe dei Tarquini già i romani al loro desco si dilettano coi vini Il Romano, quello ricco Cuoce il vino e poi lo invecchia Poi con l’acqua lo rimbocca Un prodotto assai di nicchia
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week end sport
di Piero Caltrin
Due ruote e una “capanna” Lungo il percorso di una ex strada ferrata oggi pista ciclabile, la Casa Romantica Parenzana accoglie quanti, stanchi di pedalare, vogliano regalarsi una pausa di relax, tradizione istriana e gusto
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All’inizio del ’900 l’impero Austro Ungarico costruì una ferrovia che collegava Trieste e l’Istria fino a Parenzo, poi dismessa negli anni 30. Sull’antico sedime di 120 km della Parenzana è stata allestita da pochi anni una vera green way, perfetta per camminare o pedalare senza fretta, che si snoda fra le basse colline istriane. A metà del percorso si incontra Buie, un paese che è un vero belvedere rivolto al mare, dove nelle giornate di sereno si può vedere la sky line di Venezia. Poco distante un grazioso boutique hotel, Casa Romantica Parenzana, sorge magicamente al fianco della Parenzana, fungendo da punto di partenza per chi vuole scendere con la ciclabile fino al mare (Salvore e Umago sono a circa 10 km) o proseguire all’interno fra i boschi intatti delle dolci colline, in parte anche coltivate a ulivo. L’hotel proviene da un sapiente recupero di un immobile in pietra istriana. Nelle stagioni intermedie il profumato giardino, circondato da piante di lavanda, è ottimale per pranzare. Qui il ristorante offre tutto l’anno piatti a base di tartufo, in particolare quello bianco da fine estate. Se poi si approfitta dei peottobre 2013
riodi di maggior abbondanza di alcune tipicità istriane (sogliole in settembre e ottobre, calamari in novembre e dicembre) il ristorante offre menù di degustazione a base di quegli ingredienti, serviti con gli oli più adatti, di produzione locale, apprezzati per gli aromi delicati e la leggerezza. Nei menù di degustazione vengono proposti differenti vini per valorizzare l’abbinamento e degustare i vitigni autoctoni, in particolare la Malvasia, uno dei migliori bianchi da abbinare ai piatti di pesce e non solo. Una passeggiata nel rinato borgo medievale di Grisignana è, poi, irrinunciabile. Il paese sorge a pochi chilometri dall’hotel e offre un tuffo nel passato. Arroccato su una collina, fu abbandonato per diversi anni, ma rinacque grazie ad artisti che lo ripopolarono progressivamente dagli anni 70 facendolo rifiorire, ma mantenendo rigorosamente l’impostazione pedonale, con strade fatte di sassi ben allineati e muri di bianca pietra istriana. Oggi numerose gallerie d’arte, atelier e artigiani vivono e lavorano tutto l’anno animando, insieme a numerosi eventi, la tranquilla cittadina testimone dell’antico passato.
dove&come Casa Romantica Parenzana Volpia, 3 – Buie (Croazia) Tel. 00385.52725100 http://parenzana.com.hr Pernottamento e colazione a 39 euro
week end business
di Olga Carlini
Comfort e stile nella Capitale Una volta che si è goduto dell’ospitalità, dell’eleganza discreta e dell’appartata tranquillità dell’hotel Borromini, difficilmente se ne potrà fare a meno. Che si tratti di lavoro o di vacanza, un indirizzo da provare per riuscire a rilassarsi anche nel caos della capitale, persino tra una riunione e l’altra!
Roma 142
Chi sceglie di soggiornare a Roma per scoprirne (o riscoprirne) le tante meraviglie che la città eterna racchiude sa bene quanto un hotel in posizione strategica possa “cambiare la vita” e rendere la permanenza davvero piacevole. Non lo dimentichi però anche chi si trova nella capitale per lavoro: tra una riunione e l’altra infatti, niente di meglio che concedersi quattro passi nella storia, nell’arte e nella natura. Un ottimo indirizzo in questo senso è quello dell’hotel Borromini, nell’elegante quartiere dei Parioli. Le 84 camere, tra cui 6 Junior Suite, sono arredate in uno stile classico e accogliente e offrono tutti i comfort di una struttura moderna per rispondere alle più diverse esigenze. La giornata inizia bene: a darvi il buongiorno un ottimo buffet all’americana e personale cordiale e attento a ogni richiesta. Qualsiasi direzione prenda il vostro soggiorno, poi, l’hotel saprà accontentarvi al meglio. Per appuntamenti d’affari o meeting, a vostra disposizione le tre sale – che possono ospitare fino a un massimo di 180 persone ottobre 2013
dove&come Hotel Borromini Via Lisbona, 7 – Roma Tel. 06.852561 www.hotelborromini.it Prezzo a camera: da 120 euro
a platea – del Centro Congressi, vero fiore all’occhiello dell’hotel, completo di foyer con guardaroba e wi-fi gratuito. Per rilassarsi invece, pochi passi lo separano da Villa Ada, paradiso per gli amanti del footing, ma anche Villa Borghese (con il Bioparco e la Galleria Borghese) è raggiungibile a piedi. Visitare il cuore della capitale è poi reso particolarmente comodo dai tanti mezzi di superficie come autobus e tram comodi da raggiungere e che consentono collegamenti rapidi e diretti con il Colosseo, la Città del Vaticano, e il centro storico. Altra attrazione della zona è l’Auditorium, luogo di cultura della Roma del 2000. L’hotel Borromini è situato a pochi minuti di auto dal Parco della Musica di Renzo Piano e non è raro trovare in albergo anche gli artisti stessi che lo scelgono per i loro soggiorni durante le tappe romane delle tournee. Insomma, una struttura discreta, appartata ed elegante ma al tempo stesso pratica e informale per chi desidera avere a Roma un appoggio valido per sentirsi a casa anche quando si è fuori casa.
week end relax
di Olga Carlini
Benvenuti in paradiso Più di una beauty farm, più di un centro wellness. Un luogo dove salute e bellezza hanno il dono del sorriso e il benessere è filosofia di vita. Siamo a Villa Eden, il Leading Health Resort di Merano dove l’ospite è protagonista
Merano
Scegliere di stare bene. Scegliere di vivere in modo diverso l’autunno con le sue fatiche, gli impegni, lo stress che i primi freddi portano con sé. Scegliere dove, ma soprattutto come farlo. È già un buon inizio. Metà dell’opera, dunque. Ce lo ripetiamo tutti gli anni probabilmente, ma questa potrebbe essere l’occasione giusta per mettere in atto i nostri buoni propositi. Ad aiutarci, lo staff e la filosofia di Villa Eden a Merano. Nella città “giardino” dell’Alto Adige, il Leading Health Resort mette a punto programmi che fanno compiere un salto di qualità alla vita dei suoi ospiti, rendendoli partecipi e addirittura protagonisti delle scelte che conducono allo stato di benessere. L’hotel è un bijou di prima categoria con 30 camere e suite, la sala caminetto, la sala lettura, la lounge, la cui raffinata eleganza mitteleuropea racconta storie “di famiglia”. Due piscine, tre deliziose sale da pranzo, uno chef geniale nel preparare capolavori light senza mortificare il palato, un reparto medical e beauty all’avanguardia e una palestra attrezzata con macchinari di ultima generazione. I 12 mila metri quadrati di parco che lo circondano sono benedetti dal particolare microclima meranese, la vista dalle terrazze è un inno alla vita e tutto è a portata di mano. Villa Eden
Leading Health Resort propone programmi settimanali e programmi brevi, tutte combinazioni speciali. Check-up e diagnosi all’arrivo, pianificazione personalizzata dei trattamenti con uso esclusivo di prodotti naturali... e finalmente sarà ora di abbandonarsi ai dolci abbracci di Villa Eden! Dalla dieta disintossicante al risveglio muscolare, dall’algheterapia allo yoga, e ancora: ossigeno ozono terapia, terapia cellulare, check-up cutaneo e appuntamenti quotidiani con l’équipe medica per verificare i progressi con consegna finale del dossier personale e le schede-cura da seguire a casa. Tante le offerte di un menù tutto da scegliere in base alle proprie esigenze e desideri. Per una remise en forme “à la carte”!
Villa Eden Via Winkel, 68/70 Merano (Bz) Tel. 0473.236583 www.villa-eden.com Programma settimanale Giornate Sovrappeso: 2.445 euro a persona, soggiorno escluso Programma Viso da star: 1.250 euro a persona, soggiorno escluso
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maGazine
selezioni
Dalla Spagna con passione: la Costa del Sol C’è sempre un buon motivo per viaggiare… trova il tuo in un Diamond Resort!
Le infinite distese costiere che caratterizzano la Costa del Sol lasciano un segno indelebile nel cuore del viaggiatore che le ammira per la prima volta. Costa del Sol significa splendide spiagge, deliziosi villaggi, bellissimi panorami, l’accoglienza di un popolo caloroso ed una straordinaria eredità culturale, tutta da visitare. Inoltre, la stupenda posizione che questi luoghi occupano, nel sud della Spagna, garantisce a chiunque lo desideri di poterli visitare in ogni momento dell’anno. Con il suo clima mite, la “Costa del Sole” offre un’ampia scelta di attività all’aperto tra cui vela, immersioni, passeggiate a cavallo e golf in uno dei quasi 70 campi della regione. A segnare il centro del paesaggio costiero troviamo Malaga, una
vivace città portuale palpitante di monumenti storici, eventi e attività culturali, abbondanti opportunità di shopping e una fervente vita notturna. Tutto questo sembra finalmente a portata di mano in una delle stupende strutture Diamond Resort International affacciate sulla costa. Il Resort perfetto per le vostre vacanze in famiglia è di certo il Los Amigos Beach Club, uno dei più completi della regione, ideale per trascorrere vacanze eleganti e rilassanti, respirando l’aria pura che viene dal mare. L’impressione è quella di immergersi nell’atmosfera di un vero villaggio andaluso ma con tutti i vantaggi di un Resort Diamond Resort International. Il Los Amigos unisce agli alloggi di classe, una vasta gam-
ma di strutture, tra cui piscine coperte ed esterne, campi da tennis, un circolo sportivo con ristorante esclusivo e persino un campo da bocce su erba. In più, le aree attrezzate per accogliere i più piccoli rendono questo Resort perfetto per trascorrere vacanze in compagnia di tutta la famiglia senza rinunciare a qualche piccolo momento di “libertà”. I suggestivi giardini panoramici sono una tentazione a trascorrere l’intera vacanza nel Resort ma c’è da dire che l’area circostante offre davvero parecchi spunti di interesse: la cittadina di Fuengirola con il suo colorato mercato sul mare, la ricca Puerto Banus e le stradine piastrellate di Mijas sono solo alcune delle graziose località facilmente raggiungibili. Se invece preferite l’architettura in stile moresco, il Sahara Sunset è il Resort giusto per voi. Questa non è certo l’unica caratteristica distintiva del Sahara Sunset. Questo Resort, ideale per una pausa in qualsiasi periodo dell’anno, si sviluppa attorno ad una magnifica piscina panoramica, con tanto di ponticello che la collega ad un piccolo isolotto privato. Il club Sahara Sunset è dotato di ogni comodità per garantire alle famiglie vacanze indimenticabili. Ogni alloggio, arredato con gusto ed eleganza, è dotato di balcone o di terrazza privata in cui assaporare veri momenti di relax. Tra le strutture disponibili troviamo una piscina coperta ed una esterna dotata di un rilassante idromassaggio. Inoltre, il grazioso Casbah Café riserva a tutti gli ospiti un’atmosfera accogliente in cui assaporare pasti semplici e ammirare le bellezze esotiche dalla terrazza panoramica.
Los Amigos Beach Club (Malaga)
Sahara Sunset (Malaga)
Canarie, un’esperienza da vivere Adagiate nelle acque tiepide dell’Oceano Atlantico poco lontano dalla costa nordoccidentale dell’Africa, le Isole Canarie rappresentano una delle destinazioni turistiche più popolari al mondo. E non c’è da sorprendersi considerando il clima favoloso, le spiagge immacolate e le ampie possibilità di rilassarsi e ricaricarsi. Dall’irreale paesaggio creato dalla lava e dalle ceneri di Lanzarote, alla variegata vegetazione composta da montagne, deserti e foreste tropicali di Gran Canaria, fino alle fertili valli e alle spiagge sabbiose di Tenerife, le Isole Canarie celano avventure in ogni loro angolo. È proprio qui che il Santa Barbara Golf and Ocean Club vi accoglierà con i suoi giardini panoramici e con i suoi alloggi lussuosi, con vista sull’Atlantico. In quest’angolo di Canarie, immersi in immensi campi da golf che ospitano il Tenerife Open, gli amanti di questo sport, troveranno un vero paradiso. Adagiato lungo la soleggiata costa meridionale dell’isola di Tenerife, il Santa Barbara Golf and Ocean Club vanta una vasta gamma di strutture, tra cui una piscina, giardini panoramici, negozi e persino una palestra privata. Ma questo è soltanto una parte della vacanza… oltre i comfort del Resort c’è un isola ricca di incanto e di storia che aspetta solo di essere visitata. Il villaggio di San Cristobal de la Laguna, antica capitale dell’isola di Tenerife, il cui centro storico rappresenta la mappa delle stelle, è oggi protetta dall’Unesco come Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Lo stesso vale per il Parco Nazionale del Teide, terzo vulcano, pensate, più grande al mondo. Ciò, ed altre 42 aree naturali protette, sono solo alcuni dei tesori che scoprirete in questo piccolo paradiso terrestre.
Santa Barbara (Tenerife)
soste d’arte
di Gilda Ciaruffoli
Tra realtà e sogno Non capita a tutti di esprimere un desiderio e vederlo realizzare. Alberto Lanteri, uno dei più importanti protagonisti dell’arte contemporanea nazionale, c’è riuscito: il suo ritratto della regina Elisabetta ha oggi un posto d’onore nella Royal Collection. Ci siamo fatti raccontare il suo segreto 146
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Se ne è innamorato da bambino. Era il 1961. La vide passare in corteo, accanto al marito Filippo, in uno dei suoi celebri completi dal giallo acceso, le labbra di un rosso brillante. Ne è rimasto affascinato. E dal quel momento, l’immagine luminosa di quella donna forte e regale si è impressa nella mente e nel cuore di Alberto Lanteri per non lasciarlo più. Ancora oggi, artista affermato, la cui opera “raggiunge vette di virtuosismo davvero inusuali nell’ambito della pittura italiana contemporanea”, come sottolinea Vittorio Sgarbi, l’emozione è palpabile quando lo si ascolta raccontare come è nata l’idea di ritrarre la regina Elisabetta. «Non avrei mai immaginato che quest’opera sarebbe arrivata fino alla Royal Collection, certo lo sognavo, ma non ci credevo», ci confessa. E invece. È datata 21 settembre 2012 e ha il timbro di Buckingham Palace la lettera di ringraziamento e apprezzamento per l’opera appena ricevuta in dono dalla sovrana d’Inghilterra ed entrata subito a fare parte della Royal Collection, un onore riservato a pochi. Pochissimi, tra gli italiani: solo due, Alberto Lanteri e il suo maestro, Pietro Annigoni. Ad essere particolarmente apprezzata dalla regina, l’allegria sprigionata dall’opera, unita a un perfetto (e quasi affettuoso) realismo. Protagoniste della scena le biglie colorate, che tornano come una costante sbarazzina nell’opera di Lanteri. «In questo caso fanno alla regina Elisabetta da corona – ci spiega il Maestro – ma sono spesso presenti nelle mie opere come simbolo dell’universo, della perfezione, della luce. Rotolano, senza spigoli, sono sempre in mo-
Il volto del ’900
“L’arte è un lungo cammino attraverso il quale io cerco di penetrare nell’infinito misterioso del cosmo, onde raggiungere la luce più pura: Dio” Alberto Lanteri vimento. Un po’ come me». Una positività che tocca davvero, quella del Maestro. Più che una predisposizione naturale, una scelta di vita: «Ho vissuto un periodo molto difficile e proprio nel fondo della disperazione ho capito che soffrire così non porta a nulla, non costruisce nulla. E ho vissuto una rinascita. Oggi sono convinto che pensare positivo aiuti davvero e che, soprattutto, crei un’energia che in qualche modo torna indietro». È proprio in quest’ottica che Lanteri non lesina il suo appoggio ai giovani che muovono i primi passi nel mondo dell’arte, nel caso riconosca nel loro lavoro un valore reale che faticherebbe però a farsi strada in una realtà, come quella dell’Italia di oggi, dove troppo spesso l’arte viene bistrattata e dimenticata. «Un po’ perché – ci confida il Maestro – troppo spesso prevale l’equazione “più costi più vali”, un po’ perché l’arte apre la mente, fa pensare. E quindi è “pericolosa”». Per le stesse ragioni, Lanteri non si tira indietro se chiamato a tenere corsi, ad esempio ai bambini delle scuole elementari, e partecipa a iniziative volte a stimolare e premiare quanto di bello e buono il nostro paese ha ancora da dare. Come nel caso dei Salotti del Gusto, circuito di eventi itineranti il cui filo conduttore è la promozione del gusto, inteso in senso ampio: dall’enogastronomia alla moda, alla bellezza, alla cultura. Protagonista con la sua arte della manifestazione, il Maestro ha anche legato il suo nome a un riconoscimento, il Premio Speciale Lanteri, pensato per lo chef che meglio coniughi cucina e arte (lo scorso giugno, il premio, un prezioso dipinto a olio, è stato assegnato a Filippo La Mantia). A ospitare il prossimo appuntamento con i Salotti del Gusto del 7 e 8 ottobre, il Grand Hotel Quisisana di Capri. Atelier Alberto Lanteri Palazzo Vivarelli Corso Re Umberto, 67 – Torino Tel. 011.591008 www.albertolanteri.it
Un ponte tra Milano e Parigi, tra Palazzo Reale e il Centre Pompidou. Un ponte fatto di visi, sguardi, dipinti o scolpiti. Icone del XX secolo, periodo che ha messo in discussione il concetto stesso di ritratto in seguito ai grandi cambiamenti della società e alle tragedie della storia umana. Matisse, Modigliani, Magritte, Bacon, Max Ernst, De Chirico, Picasso... vi aspettano dunque per mostrarvi il vero “volto del ’900”.
fino al 9 febbraio 2014 Palazzo Reale, Milano www.artpalazzoreale.it
Antonello Da Messina Arte senza confini. Una delle istituzioni europee dell’arte moderna e contemporanea ospita un maestro del Rinascimento: un evento eccezionale, la cui unicità è sottolineata dalla quantità delle opere esposte e dall’ampiezza cronologica dei confronti proposti al fine di offrire uno sguardo originale sulla figura del grande pittore del Quattrocento. Ricco il programma di eventi collaterali.
5 ottobre 12 gennaio 2014 Mart, Rovereto www.mart.trento.it
Cleopatra L’Egitto dei Tolomei, la vita appassionante di Cleopatra, la centralità della sua figura nelle vicende politiche dell’epoca e il rapporto tra Roma e l’Egitto: tutto questo viene raccontato attraverso l’esposizione di oltre 200 opere provenienti dai principali musei nazionali e internazionali, in un mirabile connubio d’arte e di storia. 12 ottobre 2 febbraio 2014 Chiostro del Bramante, Roma http://chiostrodelbramante.it
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libri letti per voi
di Eleonora Fatigati
Storie in cucina
Uno chef regale
Sapori d’Emilia Romagna
Edgarda Ferri è tra i più autorevoli autori italiani di bibliografie. Il volume è un viaggio storico nella vita e nel genio culinario dello chef Carême.
Chiediamo a Maurizio Magni, giornalista e direttore di periodici di turismo ed enogastronomia, di raccontarci la sua guida, edita in italiano e inglese.
Chi sono i re di Carême? Napoleone, lo zar Alessandro di Russia, il barone James de Rotschild e Giorgio IV, guarito quest'ultimo da una dolorosa gotta attraverso piatti privi di grassi, cucinati con spezie e insaporiti da erbe aromatiche.
Come è strutturato il volume? La guida racconta le eccellenze enogastronomiche dell’Emilia Romagna. Particolare attenzione è data al vino, con 300 cantine e oltre 1.000 etichette descritte con indicazioni di prezzo, vitigni e terroir e giudicate dall’Associazione Italiana Sommelier. La gastronomia è presentata con approfondimenti su piatti, prodotti, musei del gusto, abbinamenti cibo-vino e un focus su un grande personaggio. Quest’anno è Giuseppe Verdi, maestro della lirica e abile imprenditore agricolo, di cui ricorre il bicentenario.
Che importanza aveva la cucina a quei tempi? Soddisfare i capricci dei monarchi era per i cuochi un punto d’onore. Fu in occasione di una cena offerta dal principe di Condè a Luigi XIV che il grande François Vatel si suicidò per non essere riuscito a far arrivare in tempo il pesce fresco preferito dal Re Sole. Ci racconti una ricetta curiosa... Studiando a fondo i rapporti medici sulla guarigione dei malati in ospedale grazie a una sostanza gelatinosa contenuta nelle ossa, Carême mise a punto una ricetta per preparare dei piccoli “brodi da viaggio” da sciogliere in acqua bollente. Skira Editore 15 euro 176 pg
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Che canali di promozione utilizzate? La guida è presente al Vinitaly e ai principali eventi di settore italiani ed esteri. È inoltre protagonista di Tramonto DiVino, kermesse estiva di degustazione vini e piatti Dop e Igp regionali che si svolge nelle città d’arte dell’Emilia Romagna. PrimaPagina Editore 13,90 euro 430 pg
Leggere "C’è una volta" è come entrare nella cucina della nonna a frugare tra gli stipetti di legno e i vecchi ricettari scritti a penna, intingere il pane fresco nel sugo che bolle da ore o rubare il cucchiaio della crema pasticcera per leccarlo di nascosto sotto al tavolo. Questo libro non è solo un utilissimo ricettario di piatti tradizionali della Maremma antica, è soprattutto un libro di storie che la memoria dell’autrice e delle sue “donne di casa” ha riportato alla luce, senza fronzoli letterari, da raccontare ad alta voce mentre si fa la sfoglia o si friggono le frittelle ai bambini... chissà che un giorno, come ha fatto Chiara, potranno anche loro tramandarle. A fine volume, un’interessante selezione di “Misticanza di campagna”, corredata da foto e consigli d’uso in cucina. Insegnante e scrittrice, l’autrice Chiara Cesetti è nata e vive a Tuscania, nella Maremma laziale.
Stampa Alternativa 20 euro 454 pg
A
dagiata tra la val Tidone e la val Trebbia, abbracciata dai colli piacentini costellati di vigneti, castelli e borghi antichi, la val Luretta, a una ventina di chilometri da Piacenza e a circa 90 km da Milano, è il teatro in cui opera l’azienda vinicola Luretta ospitata nel castello di Momeliano, risalente all’XI secolo. Da più di trent’anni Luretta alleva viti e produce il vino con un’impostazione inedita nella zona, unendo varie culture enologiche per reinterpretare il territorio e tentare di combinare al meglio il pensiero dell’uomo con l’ambiente naturale. I vini prodotti sono certificati biologici.
Luretta S.r.l. Castello di Momeliano 29010 Gazzola (Pc) - Italia tel. 0523971070 - Fax 0523 971589 - info@luretta.com - www.luretta.com
shopping shopping
di Lucia Lipari
Un twist al formal look da ufficio
Yobe occhiali punta sui volumi ridotti, un design tondeggiante, linee morbide e leggere che dettano lo stile di Jayne, una montatura da vista dall’esprit vintage stemperato da un mood decisamente gioioso capace di alimentare pensieri positivi. Prezzo: 149 euro
Leggera come una piuma La delicata e impalpabile bellezza delle piume, simbolo di libertà, di unicità e di tutti i valori che il brand rappresenta, ispira la nuova collezione di Pandora, impreziosita da dettagli in pavè di zirconia cubica. Prezzo del bracciale in argento Sterling 925: a partire da 59 euro
Buon compleanno Timberland! Per celebrare i 40 anni dello Yellow boot, Timberland presenta la collezione dei Boot key ring: 4 porta chiavi dedicati all’icona del brand, simbolo di uno stile di vita e di pensiero transgenerazionale e metatemporale. Prezzo del modello con moschettone: 36 euro
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Un indirizzo da segnare GiulianadiFranco® gioielli apre un nuovo flagship store a Taormina, in via San Pancrazio 15. Eccellenza del made in Sicily e dell’artigianalità trovano così una nuova casa in uno spazio capace di mettere in luce l’anima delle pregiate collezioni di gioielli in esposizione. I gioielli in foto (oro 18 k) fanno parte della collezione Sicilianissima e nascono dal connubio tra il marchio GiulianadiFranco® gioielli e Ceramiche De Simone. Prezzo pendente: 790 euro Prezzo anello: 1.150 euro Tel. 0942.23655 www.giulianadifranco.com
Nodo d’amore
Pink is good
La nuova linea di Salvatore Ferragamo Jewels si declina sul simbolo del nodo, che per eccellenza rimanda al legame più stretto dell’amore. Il bracciale è realizzato in argento e caucciù nella versione blu, rosso, nero. Prezzo: 200 euro
Sentirsi belle e fare del bene. Cosa c’è di meglio? Grazie a ghd l’impresa è possibile e semplicissima. È infatti sufficiente acquistare una styler limited edition ghd Pink Diamond durante tutto ottobre (il mese della prevenzione) che vedrete devolvere 10 degli euro spesi in favore della lotta contro il cancro al seno. Parte della collezione Jewel, ghd Pink Diamond è composta da una ghd styler V professional in una ricca finitura rosa metallizzata, e una ghd paddle brush nella stessa tonalità, ed è caratterizzata da una tecnologia all’avanguardia per realizzare acconciature glamour e sane. Prezzo: 199 euro
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MondoVdG I nostri eventi, le iniziative e il meglio dei prodotti enogastronomici italiani selezionati per voi e disponibili presso i nostri store
assaggiati da noi
di Valerio Sisti
Greco di Bianco Doc Greco di Bianco etichetta gialla
Sagrantino di Montefalco Docg Sagrantino di Montefalco
• Anno: 2007 • Uvaggio: 100% Greco • T.a.v.: 14% + 3% • Azienda: Azienda Agricola Ceratti – Bianco (Rc) • Temperatura di servizio: 10°
• Anno: 2004 • Uvaggio: 100% Sagrantino • T.a.v.: 14,5% • Azienda: Società Agricola Benincasa – Bevagna (Pg) • Temperatura di servizio: 18°
Luminoso e quasi dorato, fa già presagire alla vista quella che sarà la sua eleganza e finezza. Al naso non delude, note di frutta disidratata e secca aprono la strada a sensazioni di miele e spezie. In bocca è caldo, ricco, mai stucchevole, dotato di una buona acidità che bilancia la dolcezza. Lungo e suadente il finale, che ripropone le prime note di frutta secca con grande eleganza. Ottimo per la meditazione, eventualmente abbinato a pasticceria secca o a un buon sigaro.
Rubino intenso, apre al naso con note di mora e legno in perfetta armonia. È al palato però che concede il meglio di sè, potente e tannico, come nella miglior tradizione di Montefalco, è dotato di grande equilibrio. Anche l’alcol, in linea con la tipologia di vino e quindi non certo modesto, si fa percepire, ma mai in maniera predominante, anzi sostiene il vino donandogli il giusto corpo. Vellutato al palato, possiede una grande persistenza finale. Adatto a sostenere anche le pietanze più strutturate.
abbinamento: biscotteria secca
abbinamento: petto d’anatra ai mirtilli
punteggio: 90/100 prezzo VdG Market: e 17,90
punteggio: 90/100 prezzo VdG Market: e
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Sicilia Igt Largasìa Fiano
Salento Igt Bianco del Salento
• Anno: 2009 • Uvaggio: 100% Fiano • T.a.v.: 13% • Azienda: Azienda Agricola Quignones – Licata (Ag ) • Temperatura di servizio: 12°
• Anno: 2011 • Uvaggio: Fiano e Malvasia • T.a.v.: 12% • Azienda: Amastuola Società Agricola – Massafra (Ta) • Temperatura di servizio: 12°
La sua carta d’Identità dice: colore giallo paglierino molto carico con forti riflessi dorati, di sorprendente limpidezza. E non è poco. Questo fiano si presenta davvero come un vino importante; al naso non delude, sentori di frutta matura, dall’albicocca agli agrumi, alla frutta tropicale si susseguono senza soluzione di continuità, intervallate da note di legno e vaniglia. Al palato l’esperienza gustativa prosegue, il copro è pieno, la struttura c’è, una buona morbidezza pure. Il finale è lungo quanto basta. Un consiglio: da bersi decisamente fresco.
Che bel vino! Leggero, ma non certo banale, si presenta con un classico colore paglierino. Al naso dà il meglio di sè, frutto di due vitigni, in particolare la Malvasia, molto generosi in termini di cessione aromatica. Spazia da note fruttate, soprattutto mela e pera, a profumi floreali, fiori di campo in particolare, a sentori più tipicamente vegetali come la salvia. Al palato poi rimane leggero e piacevole, riproponendo le stesse sensazioni olfattive all’esame retronasale. Il finale non è lungo, meglio così.
abbinamento: paccheri zucchine e gamberi al churry
abbinamento: zuppetta tiepida di mare
punteggio: 87/100 prezzo VdG Market: e 8 154
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punteggio: 85/100 prezzo presso VdG Market: e 8
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Vallée d’Aoste Jambon de Bosses Dop
Rosso Naturale
Ai piedi del Gran San Bernardo a 1600 metri di quota nasce il prosciutto più alto d’Europa ed è precisamente il piccolo borgo di Saint-Rhémy-en-Bosses a dare i natali al Vallée d’Aoste Jambon de Bosses DOP.
Microclima unico, curata produzione artigianale nel rispetto della tradizione, rigida osservanza del disciplinare rendono questo prosciutto crudo una vera perla di sapori e profumi. NOMINAZ I
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Orizzonti siciliani Passano i secoli, cambiano i tempi, ma alcune certezze restano immutate. Come i vini delle Cantine Rallo, con i suoi vigneti che si stendono lungo tutta la provincia di Trapani, e sono un punto di riferimento dal 1860. Una storia da scoprire, che va dal Marsala di ieri (e di oggi) ai “3 bicchieri” del premiatissimo Bianco Maggiore Le Cantine Rallo di Marsala rappresentano da più di 150 anni l’eccellenza vitivinicola siciliana. Aperti i battenti nel 1860 a opera di Don Diego Rallo, si distinsero per oltre un secolo come produttori di vino fortificato; quel vino Marsala, appunto, che venne portato in giro per il mondo dagli inglesi e che caratterizzò le tavole blasonate di numerosi paesi europei, a cominciare da quella della famiglia Savoia. La produzione vinicola della maison marsalese mutò radicalmente nel 1997, quando il timone dell’azienda passò nelle mani della famiglia Vesco che, forte di una piccola proprietà terriera in espansione, nel territorio di Alcamo (Tp), dotò la cantina delle risorse e delle professionalità necessarie a firmare ottimi vini da tavola. Oggi il Marsala resta uno storico vessillo della cantina, a rappresentare un continuum con la sua storia ultracentenaria, ma sono i vini bianchi e rossi provenienti dal vigneto di famiglia il punto di forza del brand Rallo. Un vigneto che, in realtà, insiste su tre territori distinti, dislocati comunque nella provincia di Trapani, la più vitata d’Europa. Nelle terre del Grillo Degustare i vini Rallo significa intraprendere un viaggio dei sensi che parte dall’entroterra siculo, tra le colline alcamesi, dove è ubicata la masseria dell’azienda che conta circa 100 ettari, e approda sull’isola vulcanica di Pantelleria, più a sud della costa africana, passando per Marsala, dove si trova il baglio ottocentesco che ospita l’opificio dell’azienda agricola. È qui, dove nacque l’epopea vinicola siciliana, che Rallo – che si candida come testimonial d’eccellenza della produzione vinicola della Sicilia Occidentale – alleva e vinifica
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Una terra di aironi e saline A tre anni dalla nascita, il Bianco Maggiore si conferma uno dei migliori bianchi che la Sicilia Occidentale annovera nel suo carnet. Nato da una selezione di uve Grillo, mutua il nome da un maestoso airone, il Bianco Maggiore appunto, che sverna tra le suggestive saline di Marsala, ergendosi quasi a simbolo di questa suggestiva location. Allo stesso modo questo vino vuole rappresentare il suo territorio, esaltandone la vocazione viticola e rilanciandola nel panorama enologico internazionale. Una velleità decisamente ambiziosa, ma assolutamente nelle corde dell’azienda agricola Rallo, come la stessa guida del Gambero Rosso ha sancito.
in purezza l’uva di Grillo. Un vitigno che un tempo veniva utilizzato in taglio per la vinificazione del Marsala e che da alcuni decenni è stato valorizzato da un gruppo di cantine virtuose che ne hanno fatto un vino monovarietale, che si erge quale rappresentante della qualità produttiva di quell’areale che va da Marsala a Mazara del Vallo. Rallo propone ai consumatori il suo Bianco Maggiore, un Grillo in purezza, la cui uva, certificata biologica, viene allevata nella riserva naturale dello Stagnone, a un tiro di schioppo dalle isole Egadi, che si stagliano vicine all’orizzonte. La particolare conformazione pedoclimatica, connotata in maniera importante dall’aria salmastra delle acque circostanti, conferisce a quest’uva una sapidità particolare che si traduce in un bouquet piacevole ed elegante, espresso da un vino particolarmente raffinato e amabile, apprezzato tanto dai winelovers quanto dalla critica. Una qualità che è stata premiata dalla più accreditata Guida dei vini d’Italia, edita dal Gambero Ros-
so, che ha conferito nell’edizione 2014, di prossima pubblicazione, il più ambito riconoscimento al Bianco Maggiore: il 3 bicchieri. Un vino che entra di diritto tra i migliori bianchi italiani, tanto da ricevere anche il premio della critica attribuito dal Gambero stesso come “Miglior acquisto possibile”: tra tutti i vini d’Italia degustati, più di 55 mila, il Bianco Maggiore Rallo è il vino che dà maggior valore a chi lo acquista e consuma, maggiore soddisfazione organolettica al prezzo in assoluto più corretto. Uno straordinario vino a un prezzo “democratico”. Un riconoscimento che riempie d’orgoglio tutto l’entourage dell’azienda agricola Rallo, impegnato in vigna e in cantina per la produzione di vini che rappresentano l’eccellenza enologica della Sicilia Occidentale.
Azienda Agricola Rallo Via Vincenzo Florio, 2 – Marsala (Tp) Tel. 0923.721633 www.cantinerallo.it
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Stare bene a tavola Dolcificati con la stevia, gluten free, privi di lattosi... Per esigenze sempre più diversificate, Cascina San Cassiano ha elaborato una linea di prodotti che, senza rinunciare al gusto e all’eccellenza della materia prima, aiutano anche a mantenersi in forma e vengano in contro alle più diverse richieste dei consumatori Secondo la legge di Murphy “Se un cibo è buono, allora fa male”. Oggi però non è più così! Cascina San Cassiano produce da ormai più di 20 anni golosità che vanno dalla frutta sciroppata alle confetture, creme dolci e specialità salate; per queste prelibatezze, durante il 2013 è stata data vita a una linea di prodotti Plus che, pur mantenendo la loro caratteristica di prodotti dal gusto Premium, hanno peculiarità che ben si sposano con determinate esigenze dietetiche. Le nuove confetture extra, senza zuccheri aggiunti e dolcificate con la stevia, vantano un numero di calorie per 100 grammi di prodotto veramente basso; questo perché la stevia è assolutamente priva di calorie. Ma che cosa è la stevia? Già 500 anni fa, in Paraguay, le popolazioni indigene utilizzavano un’erba che aveva un alto potere dolcificante. Infatti, la stevia, che nelle fattezze assomiglia molto alla menta, ha un potere dolcificante 300 volte superiore a quello dello zucchero ma, a diffe-
renza di questo ultimo, è assolutamente priva di calorie, per cui utilizzata in sostituzione dello zucchero nelle confetture fa sì che l’apporto calorico si limiti a quello derivante dalla frutta stessa. Per cui addio sensi di colpa! Oggi è possibile gustarsi le Confetture extra Cascina San Cassiano (7 gusti diversi) senza doversi preoccupare delle calorie. Sulla stessa linea di pensiero sono state ideate fondute di formaggi senza lattosio, mentre tutti i prodotti quali salse, confetture e creme dolci sono gluten free. Per chi vuole appagare il proprio palato, non c’è che da scegliere tra i 300 prodotti gourmet Cascina San Cassiano, come per esempio gli speciali pesti adatti a condire primi piatti di sicuro successo come quello di pistacchi, di mandorle, di nocciole.
Cascina San Cassiano Corso Piave, 182 Alba (Cn) www.cascinasancassiano.com
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Dolcezze prêt-à-porter A fare la bontà del cannolo siciliano è in gran parte il suo cuore di ricotta, da aggiungere al momento del consumo per un equilibrio perfetto tra fragranza della cialda e cremosità del ripieno. Per conservarne qualità e consistenza il segreto è Creme di Sicilia Il marchio Creme di Sicilia nasce da un’idea dei soci di Primavera Iblea Srl mirata a ottenere una crema di ricotta siciliana pronta per cannoli. L’intento fonda le sue basi su osservazioni condotte nel mercato del cannolo siciliano, prodotto tipico per eccellenza, conosciuto e consumato in tutto il mondo e annoverato nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani (Pat) dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf). In tal senso, negli ultimi anni, da una parte è stato rilevato un andamento crescente delle richieste e dei consumi di cannoli di ricotta, dall’altra è stata percepita da parte di chi elabora il prodotto finito l’esigenza di prolungare il più possibile la vita commerciale della crema di ricotta per farcirli, senza modificare le caratteristiche sensoriali che la contraddistinguono. Le considerazioni predette e il risultato delle prove di laboratorio ef-
fettuate hanno condotto alla creazione di una farcitura cremosa composta da ricotta iblea, prodotto storico artigianale siciliano, e zucchero in quantità equilibrate, senza alcuna aggiunta di prodotti sintetici, raffinata e con caratteristiche di cremosità ed omogeneità eccellenti, confezionata in sac à poche gestibili in refrigerazione (+4°C) e con una shelf life di 8 mesi, nell’ambito dei quali sia le caratteristiche sensoriali che quelle igieniche restano praticamente immutate. Il comodo formato triangolare da 500 gr, ideato per il packaging della crema di ricotta siciliana e rivolto a operatori specializzati del canale Ho.Re.Ca. e non solo, agevola la farcitura immediata di cannoli, torte e tanto altro, senza attese o ulteriori manipolazioni e, inoltre, consente lo stoccaggio di volumi ridottissimi, quindi, di immediato e completo consumo, senza sprechi e dunque senza costi aggiuntivi.
Primavera Iblea Viale 7, 15 – Z.I. 1a Fase – Ragusa Tel. 0932.643831 www.primaveraiblea.com
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Il segreto è la natura Latte fresco e acqua delle fonti termali di Fratta. Sono questi gli ingredienti che fanno della ricotta Mambelli, dai tempi della nonna Elsa a oggi, un prodotto genuino e unico. Come lo è tutta la produzione casearia della storica realtà romagnola
La storia del caseificio Mambelli è la storia di tre generazioni di casari, della passione e della competenza di una famiglia. Tutto ha inizio in un casolare nella campagna di Bertinoro, sui colli forlivesi. Era qui che nonna Elsa produceva la ricotta ottenuta con il latte delle sue vacche. Ricotta del tutto singolare poiché elaborata proprio con latte e non con siero! Dinanzi al focolare, aiutata dalle acque termali della Fonti della Fratta, la ricotta di Romagna acquistava un gusto e una cremosità che ancora oggi, a oltre 50 anni da allora, la rendono riconoscibile. Negli anni, all’attività di distribuzione di casolare in casolare si affianca il mercato di Cesena e a un certo punto il compito di seguire la produzione e la vendita dei formaggi viene seguita dal figlio di Elsa, Domenico. È del 1972 la fondazione del caseificio, conosciuto e stimato per la sua ricotta di Romagna. La stella polare rimase la vocazione alla ge-
Caseificio Mambelli Via Ceredi, 1402 Bertinoro (Fc) www.mambelli.com
nuinità, all’impiego di ingredienti naturali, a metodi di lavorazione artigianali dove sono banditi conservanti e additivi. Tutto questo è ancora oggi possibile grazie al contributo di stalle selezionate delle province di Rimini, Ferrara e Forlì-Cesena. A quarant’anni dalla fondazione del caseificio la gamma si è ampliata con formaggi elaborati sempre con le attenzioni artigianali di un tempo come lo squacquerone di Romagna Dop, la casatella di Romagna, lo straccone. Formaggi freschi che precisano l’appartenenza alle tradizioni locali rimarcando l’inalterata vocazione artigianale, integrata con moderne soluzioni tecnologiche. Lo si percepisce meglio nella produzione del mascarpone: il 70% è costituito da panna fresca, il restante 30% con latte intero fatto floculare con acido citrico. Niente addensanti o utilizzo di alte temperature. Se ne ottiene un prodotto cremoso e genuino, dal sapore di panna e integro delle proteine del latte. È infatti la natura il primo segreto dei formaggi Mambelli. Preziosa è anche l’acqua delle fonti termali di Fratta, località a pochi chilometri da Bertinoro, dall’elevata concentrazione di sali minerali. Proprio questa particolarità conferisce alla ricotta Mambelli un gusto ricco e naturale, racchiude la passione per il sapore distinto e distintivo e il fascino della tradizione per portare al consumatore la autentica freschezza di genuinità.
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La magia delle Terre del Nero d’Avola Nel cuore di questi vigneti si raccolgono i frutti che, dopo attente fasi di vinificazione che esaltano il profilo organolettico delle uve, daranno vita a quattro differenti tipi di Nero d’Avola a marchio CVA Canicattì omaggio alla cultura e alla storia di questa terra
Nella provincia di Agrigento c’è un territorio sublime, dove la coltivazione della vite ha origini lontanissime. Il segno di questa vocazione si distingue nel paesaggio, dove le onde dei filari danno vita a geometrie viticole incantevoli. È la magia delle Terre del Nero D’Avola, che rivive nella produzione di CVA Canicattì in grado di portare nel bicchiere la tradizione viticola di un territorio che esprime il meglio delle sue potenzialità proprio con il Nero d’Avola. L’amore e il forte legame produttivo con questa terra unisce, dal 1969, la passione di oltre 480 vignerons in CVA Canicattì, un progetto dalla solide radici proiettato verso le sfide dei mercati più esigenti e globali. Gli sforzi di ogni singolo vi-
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gneron poggiano su una filosofia condivisa che ha la sua chiave di volta nell’esaltazione degli aspetti agricoli e storici di una delle aree vitivinicole più vocate della Sicilia. «Gli investimenti degli ultimi anni – commenta Giovanni Greco, presidente di CVA Canicattì – mirano a rendere territorialmente più connotate le nostre etichette perché crediamo che la comunicazione del territorio possa darci una spinta in più nella riconoscibilità del nostro marchio e dei nostri vini». Oggi la base produttiva è costituita da oltre 1000 ettari con oltre 60 contesti e zone di produzione differenti caratterizzati da condizioni pedoclimatiche uniche e da un patrimonio storico di assoluto prestigio: dalla Valle dei Templi alla miniere di zolfo passando per i luoghi di Pirandello. Punta più alta della produzione a marchio CVA Canicattì è l’Aynat (antico nome arabo di Canicattì) un vino di classe superiore che affina per 18 mesi in barrique di primo passaggio. L’Aynat è l’ideale abbinamento per piatti succulenti e per formaggi ben stagionati. Il Centuno, che nel nome rende omaggio alla produzione letteraria di Pirandello, affina invece in piccoli carati di rovere francese per 12 mesi; si sposa magnificamente con primi piatti succulenti ed è notevole il suo abbinamento con una verticale di formaggi di differente stagionatura. Proseguiamo quindi con un vino la cui eleganza e personalità hanno incantato i palati degli winelovers di tutto il mondo, il Nero d’Avola Aquilae, che ha regalato grandi soddisfazioni a CVA Canicattì e che si sposa magnificamente con pasta con sughi di carne, arrosti e formaggi di media stagionatura. Ultimo, ma di certo non per qualità, Il Nero d’Avola La Ferla, un “vino quotidiano” elegante e sobrio.
CVA Canicattì Contrada Aquilata snc – Canicattì (Ag) Tel 0922.829371 – Fax 0922.829733 cva@viticultoriassociati.it
Vuoi imparare a cucinare? A partire dal 30 settembre 2013, ogni primo e terzo lunedì del mese, VdG magazine terrà, assieme agli Allievi e allo chef Pierluca Valsecchi della Fondazione Luigi Clerici, dei corsi di cucina nei locali di VdG market a Cernusco sul Naviglio. VdG Market Via Ungaretti 7 Cernusco sul Naviglio (MI) Orario: dalle 19 alle 22
2° corso
1° corso
3° corso
fresche, ripiene e all’uovo con sughi semplici e gustosi, valorizzati da oli e formaggi tipici regionali.
impasti e lavorazione per ottenere pizze e focacce, torte salate con prodotti regionali
Le paste
La pasta lievitata e le possibili preparazioni in cucina
Le farine
Il costo di partecipazione ad ognuno dei primi 4 corsi è di 30 euro a persona. Per il 5° corso la quota richiesta è invece di 50 euro. Per i corsisti, a fine serata, è contemplata la degustazione dei piatti preparati, in abbinamento a dei vini. Per iscrizioni e informazioni, telefonare al numero 02.94433020-21.
4° corso
La colazione la merenda e il dessert con prodotti da forno naturali e gustosi abbinati a vini da dessert. 5° corso
La tavola di Natale come preparare la tavola delle feste
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CATALOGO REGALI
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Natale 2013
cesti grandi
€ 149,00
cesto Grand gourmand • Brunello di Montalcino cl 75 (Toscana) • Bollicine Saten Franciacorta cl 75 (Lombardia) • Olio extravergine al tartufo bianco cl 25 (Lazio) • Aceto balsamico di Modena Invecchiato cl 25 (Emilia Romagna) • Grana Padano riserva gr 450 (Lombardia) • Soppressata di suino nero gr 350 (Calabria) 164
ottobre 2013
• Fettuccine di Campofilone ai funghi porcini gr 500 (Marche) • Pasta di Gragnano Caserecce gr 500 (Campania) • Pistacchi sgusciati di Bronte gr 100 (Sicilia) • Colatura di alici cl 100 (Calabria) • Carciofini aglio e menta gr 190 (Sicilia) • Crostino toscano gr 90 (Toscana)
• Polenta al tartufo nero gr 440 (Umbria) • Confettura di gelsi neri gr 140 (Sicilia) • Controfiletti di alici gr 180 (Calabria) • Ragù di suino di cinta senese gr 180 (Toscana) • Uova di lompo gr 100 (Danimarca) • I Pezzettoni gr 190 (Basilicata)
cesto mediterraneo • Pappardelle di Campofilone gr 250 (Marche) • Ragù ai funghi porcini gr 190 (Toscana) • Torrone al pistacchio gr 150 (Campania) • Carciofini nonna Peppa gr 180 (Sicilia) • Olio extravergine d’oliva biologico cl 50 (Calabria) • Marmellata di peperoni di senise gr 90 (Basilicata) • Patè d’aglio gr 190 (Lombardia) • Taralli all’olio extravergine d’oliva gr 300 (puglia) • Lambrusco di Sorbara cl 75 (Emilia) • Pasta di Gragnano “Casarecce” gr 500 (Campania) • Croccantini di Benevento gr 300 (Campania) Cesto e confezionamento
€ 53,70
cesto biologico
€ 55,00
• Spaghetti di Gragnano gr 500 (Campania) • Pasta di farro e ceci gr 500 (Emilia Romagna) • Pomodoro ciliegino e datterino gr 330 (Sicilia) • Carciofini aglio e menta gr 200 (Sicilia) • Farina ai 4 cereali 1 kg • Zuppa di legumi e orzo perlato gr 300 (Emilia Romagna) • Marmellata ai frutti di bosco gr 240 (Campania) • Olio extravergine d’oliva cl 50 (Sicilia) • Pesto al basilico gr 300 (Liguria) • Bonarda fermo o frizzante cl 75 (Lombardia) • Biscotti al kamut gr 300 (Lombardia) Cesto e confezionamento ottobre 2013
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Natale 2013
cesti grandi
cesto contadino • Pasta di Gragnano fusilli gr 500 (Campania) • Pasta di Franciacorta tortiglioni gr 500 (Lombardia) • Sugo alla boscaiola gr 190 (Toscana) • Salsiccia calabrese dolce o piccante gr 200 (Calabria) • Caciottella al pistacchio gr 240 (Lombardia) • Nero d’Avola cl 75 (Sicilia) • Torrone nocciola gr 150 (Campania) • Olio extravergine d’oliva bio cl 50 • Farro perlato gr 500 (Emilia Romagna) • Orzo perlato gr 500 (Emilia Romagna) • Legumi secchi gr 300 (Emilia Romagna) • Caponata di carciofi gr 200 (Sicilia) • Caponata di melanzane gr 200 (Sicilia) Cesto e confezionamento
€ 53,00
cesto senza glutine • Pasta di mais gr 250 fusilli (Veneto) • Pasta di mais gr 250 rigatoni (Veneto) • Pasta di mais gr 250 penne (Veneto) • Fusilli multicereali gr 340 gr (Campania) • Pomodoro ciliegino 100% siciliano gr 330 (Sicilia) • Sugo all’ortolana gr 330 (Sicilia) • Olio extravergine d’oliva biologico cl 50 (Calabria) • Biscotti farciti al cacao gr 200 (Lombardia) • Biscotti riso e yogurt gr 250 (Lombardia) • Frollini al cacao gr 250 (Lombardia) • Plumcake con gocce di cioccolato gr 160 (Lombardia) • Bruschetta al basilico gr 180 (Sicilia) • Brut Rosè cl 75 (Veneto) Cesto e confezionamento 166
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€ 55,00
cesto prima colazione • Succo di frutta alla mela bio 50 cl (Veneto) • Succo di carota 50 cl (Veneto) • Succo d’uva 33 cl (Emilia Romagna) • Fette biscottate di kamut bio senza zuccheri aggiunti gr 200 (Lombardia) • Biscotti farciti al cacao gr 200 (Lombardia) • Fiocchi di kamut bio gr 250 (Lombardia) • Frollini al cacao gr 250 (Lombardia) • Torrone artigianale al cioccolato gr 150 (Campania) • Confettura di pesche cacao e mandorle gr 250 (Emilia Romagna) • Confettura di gelsi neri gr 140 (Sicilia) • Scorzette di arance di Sicilia gr 140 • Confettura di mirtilli bio gr 300 (Campania) • Crema di pistacchio gr 190 (Sicilia) • Farro soffiato gr 150 (Emilia Romagna) • Miele di arancio di Sicilia gr 240 Cesto e confezionamento
€ 69,00
“
Non c’é amore più sincero di quello per il cibo. I 4800 prodotti tipici italiani, rappresentano ben 2000 anni di contaminazione culturale
”
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Natale 2013 magnum 1
magnum 2
magnum 3
Triacca Prestigio 2006
Tenuta Ambrosini Brut
Viticultori assoc. Canicattì Scialo Nero d’Avola - Syrah
€ 55,00
magnum 4
Abbadia Ardenga Brunello di Montalcino 2004
€ 130,00 168
magnum
ottobre 2013
€ 46,00
€ 30,00
non è ciò che entra “ Il male nella bocca dell’uomo, ma ciò che ne esce ”
Natale 2013
panettone Bacco
cesto contadino + panettone al pistacchio
€ 73,00 • Pasta di gragnano fusilli gr 500 (Campania) • Pasta di Franciacorta tortiglioni gr 500 (Lombardia) • Sugo alla boscaiola gr 190 (Toscana) • Salsiccia calabrese dolce o piccante gr 200 (Calabria) • Caciottella al pistacchio gr 240 (Lombardia) • Nero d’Avola cl 75 (Sicilia) • Torrone nocciola gr 150 (Campania) • Olio extravergine d’oliva bio cl 50
• Farro perlato gr 500 (Emilia Romagna) • Orzo perlato gr 500 (Emilia Romagna) • Legumi secchi gr 300 (Emilia Romagna) • Caponata di carciofi gr 200 (Sicilia) • Caponata di melanzane gr 200 (Sicilia) • Panettone al pistacchio gr 900 (Sicilia) Cesto e confezionamento
• Possibilità di abbinare il Panettone al pistacchio dell’Azienda Bacco a qualsiasi cesto
Bacco Panettone al pistacchio gr 900
€ 25,00
• Possibilità di creare cesti personalizzati ottobre 2013
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italiafoodwine Il mercato giusto
RIEPILOGO PREZZI cesti grandi
Grand Gourmand Mediterraneo Biologico Contadino Senza glutine Prima colazione conserve e confetture
Agrumi mix Tris di mare Happy hour Dolce risveglio Tris siciliano 1 Gusto mediterraneo Tris siciliano 2 Tris siciliano 3 Un mondo di pesche Carciofi mix A tutto aglio grande A tutto aglio piccolo
e 149,00 e 53,70 e 55,00 e 53,00 e 55,00 e 69,00
e 15,70 e 19,40 e 9,90 e 16,20 e 15,80 e 16,40 e 18,30 e 15,00 e 19,20 e 16,90 e 31,00 e 15,50
Vdg Market Via Ungaretti, 7 - Cernusco sul Naviglio (Mi) e-mail: vdgmarket@vdgmagazine.it foto catalogo di Giuglio Barreri
vini e spumanti
Vini di Sicilia Vini di Puglia Spumanti 1 Spumanti 2 Secchio Montalcino Secchio aperitivo Trio casa Montini Vini Pantelleria Cantine del Notaio A tutta birra
e 18,90 e 15,00 e 33,90 e 45,50 e 51,40 e 49,90 e 18,90 e 22,90 e 37,00 e 26,50
magnum
Magnum 1 Magnum 2 Magnum 3 Magnum 4
e 55,00 e 46,00 e 30,00 e 130,00
panettone bacco Cesto contadino + e 73,00
panettone al pistacchio Panettone al pistacchio e 25,00 Per ordinare Tel. 02/94433021 www.vdgmagazine.it