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URSA MAJOR MAGAZINE by VDG MAGAZINE VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 2 | N.8 | MENSILE | EURO 4,90
MAGAZINE www.vdgstore.com luglio 2012 Ursa Major nella “casa” di Gualerzi
LO/0004/2012
Il consumatore al centro: i vini dell’Uccellaia Ursa Major e il sociale: aziende-scuole contro la crisi I suggerimenti: come infondere fiducia Omaggio a Luigi Veronelli, cantore della genuinità In Istria e Slovenia, nelle terre dell’Italia che fu Intervista a Giuseppe Martelli, direttore di Assoenologi In viaggio: Siena, Malta, Otranto e Biarritz
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editoriale
di ALBERTO LANZANI
Il distributore e l’innovazione virtuosa In un mercato sempre più complesso e competitivo, il ruolo del distributore si evolve, diventando sempre più dinamico e propositivo. I fattori determinanti per mantenere un ruolo importante in questo ambito diventano la ricerca di nuove opportunità, l’innovazione del servizio, la diversificazione dei prodotti. Per avanzare con successo sulla strada dell’innovazione, il moderno distributore deve avere consapevolezza dei veloci e continui mutamenti del mercato: mutamenti degli stili di vita e dei consumi, fortissima competitività e nuovi canali di vendita, offerta sempre più frammentata e difficoltà crescenti nella gestione diretta di reti commerciali e logistiche. Stiamo assistendo al deciso cambiamento delle dinamiche distributive, e in particolare assume un ruolo sempre più centrale e strategico la gestione della catena distributiva, che è diventata il perno della moderna distribuzione. Il Consorzio Ursa Major si muove da protagonista al centro di queste trasformazioni e opera per coglierne tutte le opportunità. Il “nuovo” distributore, innovatore a 360°, offre ai propri partner un servizio personalizzato sulle loro esigenze. Lavora in rete per valorizzare gli investimenti ed essere presente su un territorio più ampio. Opera a stretto contatto con i clienti e li affianca nel lancio di nuovi prodotti. E soprattutto, propone nuove opportunità per sé e per i propri partner! È questa la strada che Ursa Major percorre insieme alle aziende che hanno fondato il Consorzio. Nuovi business in grado di coinvolgere clienti e partner valorizzandone i prodotti, i servizi e le qualità. Un esempio concreto del nostro modo di pensare e agire è rappresentato da “Il Consumatore al Centro”, un modello di business nato dalla sinergia tra Ursa Major, l’agenzia Viva Comunicazione e gli specialisti in tecnologie informatiche di W4Y. L’obiettivo de “Il Consumatore al Centro” è quello di intercettare, fidelizzare e soddisfare un canale di vendita costituito dai milioni di consumatori che ogni giorno frequentano i ristoranti italiani. Il modello instaura un circolo virtuoso tra i clienti dei ristoranti, i ristoratori più dinamici e i produttori di vino di qualità, i quali vengono messi in relazione tramite un portale all’avanguardia per la gestione dell’e-commerce. In sintesi: il consumatore che degusta un vino tipico al ristorante riceve una carta d’identità del vino, tramite la quale può acquistare e ricevere a casa, tramite il portale, lo stesso vino. Obiettivi: la valorizzazione dei ristoratori e dei produttori di vino, la soddisfazione del pubblico! Un esempio lampante di come il distributore può innovare il proprio ruolo mettendo in relazione diretta produttori, operatori commerciali e pubblico finale, producendo valore aggiunto per tutti.
Alberto Lanzani Presidente Associazione Culturale Ursa Major
I
Ursa Major news
Ursa Major nella “casa” di Gualerzi É dal 1924 che Gualerzi produce salumi tipici del comprensorio di Parma, coniugando la migliore tradizione artigianale e tecnologie di produzione assolutamente all’avanguardia.
II
Siamo nell’area del Comune di Langhirano, in provincia di Parma, un territorio simbolo della produzione di salumi di qualità, conosciuti e apprezzati in tutto il mondo per la loro prelibatezza. Alcune settimane fa, i rappresentanti del Consorzio Ursa Major hanno trascorso un’intera giornata presso la sede del salumificio Gualerzi, a Pilastro di Langhirano. Volevano conoscere dall’interno un’azienda che già conoscevano bene per i suoi prodotti, e la visita è stata sicuramente piacevole e istruttiva. Fa parte dell’attitudine del Consorzio Ursa Major cercare sempre nuovi partner che fanno della qualità il loro marchio aziendale, produttori che possono diventare fornitori capaci di ampliare l’offerta e aumentare la soddisfazione dei clienti e dei consumatori. Nel corso della giornata vissuta insieme ai titolari e ai professionisti della Gualerzi, i soci del Consorzio hanno potuto apprezzare l’organizzazione dell’azienda, le tecniche di lavorazione dei prodotti, le procedure di controllo qualità: nella scelta delle materie prime, in tutte le fasi della lavorazione, nella gestione funzionale degli ambienti e degli impianti, nel rispetto delle più severe norme igieniche. Inoltre, sono emersi la preparazione del personale e la grande capacità produttiva di un salumificio che abbina qualità, varietà e quantità. L’atmosfera della Gualerzi è quella di un grande produttore di salumi di Parma, con il caratteristico “spettacolo” dei prodotti appesi nei vasti magazzi-
ni, un piacere per la vista oltre che per il palato! Naturalmente, è stata anche una giornata di assaggi e degustazioni che hanno confermato la bontà del culatello di Gualerzi, dei prosciutti e del salame felino e di tutti gli altri salumi. Gualerzi offre un insieme di prodotti D.O.P. di qualità eccezionale, preparati in modo assolutamente tipico, genuini, naturali e in grado di soddisfare il gusto degli appassionati della buona tavola. Tra i salumi di Gualerzi c’è il famoso Culatello di Zibello D.O.P., un prodotto inimitabile e genuino, risultato di una cultura del gusto e della buona tavola che ha radici profonde. I soci di Ursa Major hanno incontrato un’azienda che, sotto tutti i profili, è perfettamente in sintonia con i valori del Consorzio. Oltre a puntare tutto sulla qualità, Gualerzi è infatti attento alla salute del consumatore. A questo proposito, da alcuni anni il salumificio propone, nella sua Linea del Cuore, una serie di salumi a basso contenuto di sodio ma con tutto il gusto dei prodotti tipici di Parma. Inoltre, Gualerzi innova le sue proposte rispettando la tradizione ma anche le nuove esigenze, mette in atto una politica di riduzione dell’impatto ambientale e di risparmio energetico, investe nella formazione del personale ed è particolarmente attento al rapporto con il territorio, la fonte delle conoscenze utilizzate nella lavorazione e delle principali materie prime.
marketing Ursa Major
La “geografia” del Consorzio Ursa Major La geografia di Ursa Major è in continua evoluzione. Ogni giorno il Consorzio entra in contatto con nuove realtà che ne condividono la strategia e i valori, nuovi contatti vengono stabiliti per rafforzare ulteriormente questa rete di valorizzazione reciproca e rendere sempre più efficace la presenza sul territorio. Aziende che credono nella qualità dei prodotti e del servizio, nell’importanza dell’innovazione e nel “fare squadra” per valorizzare la propria azienda e il proprio ambito territoriale.
ADRIAGELO Srl
BOCELLI Srl
BO.GEL. snc
province servite:
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RIMINI - PESARO URBINO REP. DI S. MARINO
PARMA - REGGIO EMILIA PIACENZA
PADOVA - ROVIGO
Tel. 0541.759494 info@adriagelo.com
Tel. 0521.804235 www.bocelli.it info@bocelli.it
DALMONEGO BRUNO & FIGLI Srl
JOLLYGEL SNC
LAGOGEL Srl
LOMBARDI & CANTÙ Srl
provincia servita:
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province servite:
CUNEO
TRENTO - BOLZANO
Tel. 0171.619140
MILANO - VARESE - COMO LECCO - MONZA BRIANZA NOVARA - VERBANIA
provincia servita: VICENZA Tel. 0444.520535 www.lombardiecantu.com info@lombardiecantu.com
Tel. 0461.601084 dalmonego@agtp.it
Tel. 0429.770077 bogel@libero.it
Tel. 0362.5892250 www.lagogel.it info@lagogelspa.it
Lombardia
MASSARI Srl
PAMGEL Srl
GIUSEPPE PATRIOLI Srl
PELISSERO Srl
RISTOPIÙ LOMBARDIA SpA
regioni servite:
province servite:
province servite:
province servite:
province servite:
LAZIO E MOLISE
LUCCA - PISA MASSA CARRARA
NOVARA - VERBANIA VERCELLI - BIELLA
ALESSANDRIA - ASTI
MILANO - VARESE - COMO LECCO - MONZA BRIANZA
www.pamgel.it info@pamgel.it
Tel. 0321.53117 www.patrioli.it info@patrioli.it
RISTOPIÙ PIEMONTE SpA
RIVERA GEL Srl
SERVIGEST Srl
provincia servita: TORINO Tel. 011.9651431 www.ristopiupiemonte.it info@ristopiupiemonte.it
province servite:
province servite:
SAVONA - IMPERIA
RAVENNA - FORLÌ CESENA
Tel. 0182.582721 www.rivieragel.it rivieragel@rivieragel.it
Tel. 0547.332548 info@servigestsrl.it
Tel: 0775.393414 info@massarifoodservice.it
Tel. 0131.278708 www.pelisserosrl.it info@pelisserosrl.it
Tel. 0362.5839200 www.ristopiulombardia.it info@ristopiulombardia.it
Piemonte
SNACK & CATERING div. RE MARKET Rebecchi Alimentari e Dolciari Spa
province servite: PIACENZA BASSO LODIGIANO
Tel. 0523.783111 rebecchi.mdo@rebecchi.com ordini.sc@rebecchi.com
SOGEL Srl
provincia servita: SONDRIO Tel. 0342.214348 www.sogelsrl.com info@sogelsrl.com
III
il Consumatore al Centro presenta:
Dolci collin colline ne e ricoperte di di vigneti, circostanti boschi circo ostanti o ricchi di castagni, querce e robinie, un’azienda vitivinicola dedita alla coltivazione biologica che, nel 1998, iniziò a produrre il Rosso dell’Uccellaia, un vino fatto con la passione e con l’anima..
Ci troviamo in località Albarola, nel comune di ViC golzone, in provincia di Piacenza. La Val Nure, sig ttuata tra la Val Trebbia e la Val D’Arda, è una zona ffacilmente raggiungibile ma allo stesso tempo appartata, caratterizzata da un ambiente naturale integro, da un paesaggio agricolo di prim’ordine e da importanti testimonianze storiche. Il nome della tenuta, come è facile immaginare, deriva dalla presenza di numerose specie di uccelli che nidificano nei boschi circostanti. L’atmosfera giusta per entrare in contatto con la natura e con le altre persone, il posto ideale per produrre la bevanda della convivialità e della buona tavola... L’Uccellaia si estende su una superficie complessiva di 15 ettari, 8 dei quali coltivati a vigneto, situati a un’altezza tra i 200 e i 350 m s. l. m. L’azienda è certificata dall’ICEA come realtà biodi-
Le titolari della tenuta l’Uccellaia: Enrica Baroni Nicoletti e Maria Adelaide Nicoletti
IV
namica, da anni la scelta di evitare completamente l’uso di diserbanti, antiparassitari e fertilizzanti, è stata impegnativa ma fondamentale sia per arrivare a produrre un vino genuino e di grande qualità, sia per rispettare la ricchezza straordinaria dell’ambiente circostante. Da quando i nuovi proprietari vi si sono insediati, nel lontano 1977, tantissime energie e conoscenze sono state spese nel ripristino degli edifici, delle cantine e, naturalmente, delle vigne. I vini prodotti all’Uccellaia sono strettamente legati al loro piccolo territorio e ai singoli vigneti. La loro qualità è verificata anno per anno: se il clima non consente un raccolto di qualità elevata, la vinificazione per quell’anno può anche venire sospesa. Per essere coerente con una visione eco-sostenibile, la tenuta si è dotata di un impianto fotovoltaico da 60 KWp, su una superficie di 455 mq, che permette di ridurre le emissioni di CO2 di 37.000 kg l’anno. I vini prodotti in questa tenuta, un piccolo “angolo di paradiso” per chi ama la natura e la vigna, traggono le loro qualità, il profumo e il sapore esclusivamente dagli elementi naturali: terra, sole, aria, acqua. Il sistema di allevamento e il sesto d’impianto sono scelti in funzione del microclima locale, reso particolarmente adatto dalla presenza del bosco. La potatura invernale mantiene l’equilibrio tra vegetazione e frutto, la potatura verde favorisce l’arieggiamento dei grappoli. All’Uccellaia, si produce esclusivamente vino con l’uva della vigna locale. Attualmente l’azienda produce 5 qualità di vino, 5 vini perfettamente natu-
rali che sono il risultato originale e unico di questa vigna, di questo ambiente, dei metodi tradizionali di coltivazione adottati, dell’opera competente e amorevole di chi ci lavora. Il Rosso dell’Uccellaia, ottenuto da uve Merlot e Barbera selezionate, è il “biglietto da visita” dell’azienda. Il Gutturnium DOC è un vino fermo da uve Barbera e Bonarda. Il Bauscia da uve merlot ha celebrato il centenario dell’Inter nel 2008. Il Cerasuolo viene prodotto con uve Barbera, Croatina e Merlot. L’Uccellaia Brut, ultimo arrivato, è uno spumante prodotto in quantità limitata. Tutti i vini dell’Uccellaia hanno una personalità e una storia che sono profondamente legate al luo-
go con il suo microclima, e alla sensibilità delle persone che lavorano nella tenuta. L’Uccellaia è aperta al pubblico per degustazioni e acquisto dei vini (a riguardo, consultare il sito Internet). E’ presente con un proprio profilo su Facebook nonché sulle più importanti guide ai vini. Venire all’Uccellaia, stare in compagnia delle donne e degli uomini che portano avanti questa tenuta e l’hanno fatta diventare importante, vedere la passione e l’amore con cui i vigneti vengono curati e i vini vengono prodotti, è un’esperienza che riconcilia con la natura e con il paesaggio agricolo italiano, ma anche con se stessi e con il vino, uno dei prodotti più veri del nostro Paese.
Azienda agricola Uccellaia La delegazione del Consorzio Ursa Major che ha visitato l’azienda per il progetto Il Consumatore al Centro (da sinistra Angelo Fasola, Franco Crippa e Alberto Lanzani) insieme a Enrica Baroni Nicoletti
http://www.uccellaia.it chiccanicoletti@tiscali.it lallinicoletti@libero.it
V
Ursa Major e il sociale
Azienda Scuola, una nuova ricetta contro la crisi Allievi di In-Presa preposti al servizio dei bolliti durante una convention Tredici allievi della classe terza del corso in alternanza scuola lavoro per operatore in ambito gastronomico e della ristorazione sono stati coinvolti in un progetto didattico che ha avuto come oggetto il mondo della macelleria e delle carni. Agli allievi è stato proposto attraverso visite aziendali e specifici corsi, tenuti dal servizio veterinario dell’ASL 3 di Monza, di recuperare ed approfondire competenze nell’ambito di un settore, quello della macelleria, che ultimamente sta perdendo personale specializzato e qualificato e che spesso, agli occhi dell’opinione pubblica, è ancora considerato un ambito in cui non è richiesta particolare preparazione. Anche questo percorso, come tanti che nascono nell’alveo di In-Presa, ha avuto come principale promotore un’azienda: si tratta dell’impresa Massironi carni di Muggiò la cui responsabile, la Sig.ra Elena Massironi, ha svolto un ruolo di coordinamento tra i vari attori coinvolti nel progetto scuola, azienda e Servizio Veterinario. A lei abbiamo chiesto di spiegarci l’origine dell’idea e il suo svolgimento: Sig.ra Massironi lei ha sentito l’esigenza di interfacciarsi con un’istituzione scolastica e con gli allievi di un corso per operatore gastronomico. Da che cosa nasce questo suo bisogno? “Il motivo principale che mi ha spinto a cercare la collaborazione del mondo scolastico ed a formulare con la scuola un percorso didattico-formativo sulla macellazione delle carni e sul loro utilizzo, è la preoccupazione di vedere all’interno della mia azienda ma anche delle aziende del settore, personale altamente preparato, con grande esperienza, ma anziano. Sono anni in cui si fa fatica a trovare apprendisti, a trovare ragazzi disposti ad imparare questo mestie-
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re. Eppure chi fa questo lavoro non solo è competente ma è anche disposto ad insegnare ciò che sa, è desideroso di trasmettere le competenze di cui è in possesso ai giovani. Ciò che mi ha fatto pensare alla necessità di un coinvolgimento delle scuole e dell’ambito in cui avviene la formazione dei ragazzi è stato il considerare le difficoltà della mia azienda nel reperire personale, dato comune anche ad altre imprese del settore alimentare”. Secondo lei a cosa è dovuta questa carenza di personale? “Il problema va ricercato nella scarsa conoscenza da parte dei giovani, delle famiglie e di chi si occupa di formazione, del fatto che, un settore come quello della macellazione e del taglio delle carni, sia un settore in cui è richiesta un’alta specializzazione. Si pensa che sia un lavoro di semplice manovalanza, non si è a conoscenza del fatto che sia necessaria una preparazione ed una tecnica per lavorare con la carne affinché il prodotto proposto sia di qualità. Per questo è necessario sensibilizzare chi lavora nella scuola, chi ha il compito di preparare i giovani e di offrire loro adeguate opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. È un problema innanzitutto culturale: il lavoro manuale viene contrapposto al lavoro intellettuale. Si crede che il lavoro manuale non richieda conoscenza, pensiero o preparazione, ma non è così. Si considera il lavoro manuale come degradante e svilente delle capacità intellettive del soggetto ma questo non è vero. Esistono lavori manuali, e questo ne è un esempio, che richiedono un alto grado di specializzazione, che richiedono competenze specifiche e una buona preparazione. Noi aziende siamo in condizione di poter svolgere
la formazione necessaria, il contratto di apprendistato (contratto su cui anche la riforma dei contratti aziendali sta puntando) si presta a questo tipo di inserimento dei giovani in azienda. È però importante che i ragazzi siano interessati, sviluppino una passione e un coinvolgimento per l’ambito considerato. Perché nasca in loro questo fascino, questo interesse è però necessario innanzitutto che conoscano, che vengano adeguatamente informati e formati sulle caratteristiche del settore, su che cosa sia il “mondo” della carne, delle tecniche di macellazione, dei tagli, delle tipologie di animali, della qualità e salubrità del prodotto, del benessere animale ecc… In questa attività di preparazione e di sviluppo delle conoscenze è importante che intervengano le scuole e gli ambiti di formazione”. In che cosa ritiene che il progetto sviluppato con In-Presa sia stato innovativo rispetto ad un semplice intervento didattico-formativo? “Il progetto con In-Presa ha avuto un carattere altamente innovativo. Agli allievi, infatti, per apprendere ed approcciarsi al mondo delle carni non è stata solo proposta la visita aziendale e l’incontro con il servizio veterinario, passaggi certo necessari e preziosissimi per permettere l’acquisizione di informazioni utili, ma è stato anche chiesto loro di essere protagonisti. È stato anche chiesto loro di realizzare piatti a base di carne che potessero rispondere a specifici requisiti: -preparazioni tali da poter essere confezionate ed offerte alla grande distribuzione come prodotti di quarta o quinta gamma. -preparazioni tali da permettere all’acquirente del prodotto di poter disporre di un piatto già condito e finito di contorno, pronto ad essere rigenerato in forno o al microonde. Questa richiesta ha mosso la creatività e l’ingegno di ciascun allievo. In questo senso il progetto ha anche svolto un ruolo di educazione alla preparazione degli alimenti. Gli allievi, infatti, si sono posti un ulteriore obiettivo: quello di valorizzare tagli solitamente considerati meno nobili e che hanno un costo inferiore. Nella preparazione del prodotto sono stati utilizzati tagli di terza e quarta categoria (frattaglie, biancostato, fegato di manzo ecc…) che solitamente il consumatore trascura perché non sa come cucinarli. In questo modo questo progetto ha anche proposto un nuovo approccio culturale alla situazione economica che stiamo vivendo: in un momento di crisi come questo, la sfida che ci si può proporre è quella di non rinunciare a qualcosa, ma di andare alla scoperta di quelle possibilità (alimentari e non) che disponibilità economiche maggiori ci hanno fatto lasciare a margine”.
La squadra vincitrice di In-Presa al Boton D’OR
Concorsi gli allievi di In-Presa al Boton D’Or Ristorexpo è il salone dedicato ai professionisti della ristorazione, promosso ogni anno nel mese di febbraio dalla Confcommercio di Como e Lecco. Uno degli eventi più attesi nell’ambito della manifestazione è il Concorso nazionale di cucina, denominato Boton d’Or, che si rivolge a giovani cuochi all’inizio della loro carriera. Gli studenti della quarta classe di aiuto cuoco della Cooperativa Sociale In-Presa di Carate Brianza, presentati dal loro docente e chef Gilberto Farina, hanno trionfato con un menù di pesce e uno di carne, vincendo la medaglia d’oro e la medaglia d’argento attribuite al menù completo. Sonia Beretta, Giulia Colombo, Antonio Venditti e Luca Vitullo hanno costituito la squadra “FC - In Presa”, che ha vinto la medaglia d’oro, mentre Filippo Cavalera, Federico Minunni, Ciro Sequino e Luca Zanierato hanno vinto l’argento con la squadra “Magna e tas”. A Josef Romano sono andate le medaglie d’oro e d’argento per aver cucinato un secondo piatto “gelatinato”: il giovane alunno di In-Presa ha così confermato i risultati di eccellenza che aveva conseguito anche nelle precedenti edizioni. Per lo chef Gilberto Farina questo risultato è motivo di grande soddisfazione professionale, che va ad aggiungersi ad altri importanti riconoscimenti: l’attribuzione nell’anno 2009 della valutazione di “Corona Radiosa” al ristorante La Piana di Carate Brianza, del quale egli è Chef-patron, e l’inserimento dello stesso ristorante nell’“Unione dei ristoranti del buon ricordo”, in quanto ritenuto professionalmente adeguato e culturalmente preparato ad essere ambasciatore dei valori sostenuti dall’Unione stessa.
Società Cooperativa Sociale In-Presa Via Emilia Vergani, 14 20841 Carate Brianza (MB) Tel. 0362.905.981 E-mail: info@in-presa.it www.in-presa.it Per conoscere In-Presa La newsletter bimestrale “L’Inpresa di vivere” I quaderni di In-Presa Il libro “Emilia e i suoi ragazzi”
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i suggerimenti di Ursa Major
La fiducia é una cosa seria. Con la prospettiva di un’estate ancora difficile alle porte e un autunno incerto, bisogna saper infondere fiducia ai propri collaboratori e stimolarli, proprio perché la concorrenza è più solerte, a dare il meglio di “sé” con competenza e professionalità.
Vendere significa avverare i sogni dei clienti
Per trasmettere fiducia i responsabili di un’azienda devono aver ben chiaro che tipo di sviluppo, innovazione e strategia intendono adottare per distinguersi dalla concorrenza. Senza queste risposte diventa molto difficile dare la “carica” al proprio staff... che continuerà a fare quello che ha sempre fatto con i risultati che si sono sempre ottenuti. La mancanza di gentilezza verso i clienti, la mancanza di entusiasmo da parte dei collaboratori spesso deriva da una mancanza di rotta. Tagliare i costi spesso è controproducente, sopratutto se si tagliano quei costi, per i quali l’attività era stata conosciuta e per le caratteristiche peculiari che l’avevano portata al successo. Per ottenere risultati differenti, bisogna essere disposti ad attuare azioni differenti. A questo punto un executive dovrebbe porsi le seguenti domande: 1. Sono capace di stupire i miei clienti? 2. So motivare il mio personale all’eccellenza? 3. Sono in grado di accorgermi in anticipo dei bisogni e delle nuove esigenze dei miei clienti? 4. So riconoscere, quando il momento di “stagno” nel mio locale non è colpa del tempo? Se anche ad una sola di queste domande avete risposto “NO” significa che la consapevolezza è oggettiva e significa che si è disposti a mettersi in gioco. Chi non ha paraocchi è disposto a guardare e ad utilizzare magari anche un cannocchiale per vedere più in là del proprio naso. Una qualsiasi attività può fornire servizi di alta qualità, servizi a CINQUE STELLE e non spendere per questo un capitale. Un’azienda non può scendere in campo utilizzando la sola leva del prezzo a scapito della qualità, dei servizi e a volte della cortesia, deve al contrario lavorare sul proprio Brand. Deve saper comunicare un valore aggiunto e differente dai concorrenti. Solo il cliente ha il potere di dare o togliere riconoscimento e fiducia ad un’azienda, e con internet, può
Donatella Rampado A.R.C. Consulting www.selfbrand.it
VIII
(Beau Toskich)
farlo a livello mondiale, basta pensare a trip advisor, per esempio. Il cliente può determinare il successo e la prosperità di un’azienda. La domanda spontanea è: “Si può influenzare il cliente?” Sì, basta non dire bugie. Nel mercato di “vacche magre” vince chi ha idee nuove ed è congruente. La credibilità di un’attività passa al vaglio dei clienti, non basta promettere che il servizio è d’eccellenza e la qualità strepitosa se questo poi non risulta essere vero. Non si può scrivere su una pubblicità dettagli inesistenti e fuorvianti come ad esempio “Hotel fra i pini” e in realtà i pini risultano essere un albero e pur malandato. E alla domanda:” ma i pini dove sono?” ci si sente rispondere :” abbiamo fatto il parcheggio, e la brochure non è stata aggiornata”. Le persone non sono più disposte a subire questi soprusi, tanto meno gli stranieri che su internet comunicano attraverso i blog e attraverso siti specializzati a difesa dei consumatori. Come fornire quindi un servizio a cinque stelle senza indebitarsi? Eccovi alcune idee: 1. Decidere di essere cordiali 2. Formare alla cordialità i propri collaboratori 3. Formare in modo competente al servizio d’eccellenza 4. Ascoltare con attenzione i bisogni dei clienti 5. Decidere di saper ascoltare 6. Salutare in modo personale 7. Prendere appunti delle richieste che vengono fatte 8. Rispondere entro le 48 ore alle richieste che vengono fatte dai clienti 9. Non accusare e non far sentire mai in difetto un cliente 10. Dire sempre grazie e prego 11. Verificare sempre quotidianemente: qualità prodotti, qualità servizio e qualità procedure 12. Offrire eventi a tema stimolanti 13. Fare quello che si promette 14. Anticipare i bisogni dei clienti
Ursa Major Magazine
impaginazione, redazione, content management: Viva Comunicazione - art director: Federico Gallina www.vivacomunicazione.it - contatti: info@vivacomunicazione.it
viaggi del gusto
editoriale
di Domenico Marasco
domenico.marasco@vdgmagazine.it
Sapori perduti e tradizioni e valori da ritrovare È un vero piacere dei sensi, ripensare alle nostre nonne. A quello che sapientemente sapevano fare le loro mani. Ogni tanto bisogna farsi prendere da quei ricordi bellissimi e straordinari, pieni di semplicità ed armonia. Quando la domenica era davvero domenica. Ed il suo pranzo, una vera liturgia: non si pranzava mai fino a quando non arrivava a tavola l’ultimo membro della famiglia. Eccola, la vera essenza della semplicità: quella fatta di cose antiche, di movimenti lenti ma sagaci, di piccole passioni, di tradizioni che affondano nella notte dei tempi, di gesti quasi elementari ma allo stesso tempo miracolosi. È questo il concetto di semplicità – declinato ai sapori perduti, alle ricette di una volta, al gusto che s’è perso, ai luoghi caduti nell’oblio, ma anche alla volontà di chi vuol ritrovare tutto questo – che abbiamo voluto raccontarvi in questo numero. Il nostro è stato un viaggio sull’onda dell’emozione e dei ricordi, un lungo percorso che ci ha portato su e giù per lo Stivale, a riscoprire il “fagiolo zolfino” dell’Alta Val d’Arno e la salsiccia gialla emiliana, il cibo da strada toscano e le cagliate fresche sarde. A raccontare storie di arte e di passione come quella del pittore siciliano Rodo Santoro che attraverso i suoi dipinti riporta in vita la “gastronomia morta” dell’isola o come quella di Umberto Montano che a Firenze ha riportato alla luce, nel suo ristorante, degli affreschi del Trecento offrendoli alla vista dei suoi clienti. Un viaggio che ci ha condotto anche lontano dalla nostra penisola, sulle coste dell’Istria e tra i paesi della Slovenia, in mezzo agli abitanti delle terre dell’Italia che fu e che – a differenza di noi italiani d’Italia – conservano ancora intatte le tradizioni e i sapori della nostra cucina antica. Ci siamo spinti fino a Malta, per parlare delle rarissime olive bianche – le “perline” maltesi – e riannodare fili secolari che ci uniscono, anche nel gusto così come in altre cose, a quel bacino del Mediterraneo che fu il “mare nostrum” dei Romani.
Alla fine di questa avvincente esplorazione delle nostre radici, un pensiero, un quesito angoscioso, prima di ogni altro, ci è balenato in testa: quante cose meravigliose ci siamo persi per strada in nome del tanto decantato sviluppo e benessere? Tante, troppe, e tra queste anche la salute, come dimostra l’indagine che abbiamo voluto offrirvi sul rapporto tra l’industrializzazione dei cibi e l’insorgenza delle malattie legate alla cattiva alimentazione. La conclusione che ne traiamo è dunque una ed una sola: bisogna tornare al passato! Questo che stiamo attraversando è esattamente il momento cruciale in cui i valori, quelli veri, di un tempo devono tornare al centro delle nostre vite e della nostra società. I valori dei nostri avi che vivevano forse meglio di noi, e con meno cose. Andando in giro per il nostro Paese, grazie a Dio ci sono ancora posti dove è possibile ritrovare quei valori e dove si possono rivivere quelle tante culture e quelle tante storie che fanno parte della nostra memoria. Godetevi dunque questo numero, pensando che la felicità ce l’abbiamo proprio sotto i nostri piedi. PS. Abbiamo voluto dedicare, non a caso, diversi servizi a quella terra bellissima che è l’Emilia, devastata purtroppo a fine maggio dal terribile sisma che ancora oggi fa sentire i suoi effetti. L’abbiamo fatto per rendere omaggio, in questo momento di sofferenza, ai suoi straordinari e sfortunati abitanti e perchè quel territorio ricordi una volta di più che proprio dai suoi talenti e dal suo incommensurabile patrimonio enogastronomico e turistico, può e deve ripartire. Forza Emilia e buon viaggio a tutti!
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sommario sommario luglio 2012
46 l’indagine
14 Dall’Italia e dal mondo
18 Fatti e contraffatti I cibi non-cibi: Pink Slime
e formaggio “analogo”
22 Scienza e vita 26 Almanacco di Barbanera
54 cover story
68 Casola Valsenio
28 Appuntamenti
panorama
54 Cover story Il vecchio quaderno di ricette della nonna e una guida gastronomica del 1931, ormai ingiallita. Da queste tracce siamo partiti alla ricerca dei sapori perduti della cucina italiana. Arrivando fino in Istria e Slovenia per cercare i piatti e le tradizioni dell’Italia che fu.
40 In ricordo di Luigi Veronelli Omaggio, fuori dal coro, di Riccardo Lagorio al grande giornalista e al suo pensiero tradito
42 A cena col Sommo Poeta
La storia del ristorante-museo di Firenze dove è affrescato il vero (?) profilo di Dante
44 Il personaggio: Giuseppe Martelli
Intervista al direttore di Assoenologi, da 30 anni vero “ambasciatore” del vino italiano
46 L’indagine: i cibi industriali
Prodotti confezionati, cattiva alimentazione e salute: ne parliamo con Marco Bianchi
50 Lo studio: Italiani ignoranti a tavola
cibo&territorio 60 Cover story: cucina slovena Nei Balcani che sanno ancora d’Italia per ritrovare tradizioni gastronomiche perdute
64 Cover story: sapori d’Istria Noi li abbiamo scordati, gli istriani no. Sono i cibi del Belpaese di una volta
6
68 Il giardino delle erbe scomparse
A Casola Valsenio per ritrovare ricette cadute nell’oblio e svelare antichi segreti officinali
74 Il fagiolo Zolfino
In Alta Val d’Arno non hanno mai smesso di coltivare questo rarissimo e secolare legume
76 La salsiccia gialla di Modena
Una specialità, scomparsa nell’800, che oggi sta rinascendo grazie a chef e gastronomi
78 Il cibo da strada toscano
Lampredotti, trippe, porchette e sanguinacci: lo street food che a Firenze si mangia da secoli
82 Lo strolghino emiliano
Rischiava di perdersi per sempre, questo tipico salume della Bassa. Poi ci ha pensato Pongolini
84 La storia in cucina, l’orecchietta contesa
88 L’olio, risorsa per il turismo? 90 Orto, il cavolo 92 Il buono a tavola, la Grecia 94 Chef italiani nel mondo
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sommario sommario luglio 2012
110 Biarritz
inviaggio
piaceri
98 Siena, memorie dal sottosuolo
120 Le mani raccontano
Nel ventre della città del Palio, c’è un incredibile mondo nascosto, fatto di cunicoli e di segreti
102 Malta, isola dei tesori ritrovati Miti, suggestioni e “perle gastronomiche” della terra che fa da cuore al Mar Mediterraneo
106 L’Italia in mostra: Otranto Tour nella città più orientale di Puglia, tra storia, gusto e la grande pop-art di Andy Warhol
110 Biarritz, splendore sull’Atlantico
8
Dai fasti della Belle Èpoque al beau vivre di oggi, il mito della bella città francese continua
142 Le selezioni
122 I piaceri di Bacco
102 Malta
Antonietta Tummolo e i suoi occhiali artigianali che stregano i divi del cinema
122 I piaceri di Bacco
Nell’Alto Canavese, tra Piemonte e Val d’Aosta, a scoprire la viticoltura “estrema”
124 Bellezza e benessere Silvio Levi: “così nasce un profumo”
126 Soste d’arte Rodo Santoro, pittore di gastronomia
128 Libri 130 Spettacoli
114 Città in 24 ore, Brindisi
132 Trendy
116 Città in 24 ore, Palma di Maiorca
134 Shopping
134
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Roberto Rabachino Mauro Rosta Sarah Scaparone Puglia Lucrezia Argentiero Bruno Micai Jolanda De Nola Nunzio Pacella Mariella Piscopo Sergio Siciliano Sardegna Roberto Dall’Acqua Annalisa Bernardini Lino Erriu Giuseppe Pulina Sicilia Cesare Aldesino Rosario Ribbene Marco Scapagnini Toscana Elena Conti Marco Ghelfi Rosanna Ercole Mellone Marco Scataglini Antonio Tartarelli Trentino Alto-Adige Francesca Negri Umbria M. Pia Fanciulli Veneto Benedetta Frare
contributors luglio 2012
CHIARA MOJANA Musica e gastronomia, le sue passioni. Già direttrice di "A Tavola" e "Cucina Gourmet," lavora per la Federazione Italiana Cuochi. Viaggia e colleziona strumenti musicali e ricette con erbe e fiori. Promuove una cucina naturale attraverso corsi e il blog www. iocucinonaturale.com pag. 54
GINO CELLETTI
ROSALIA IMPERATO
Umbro, ex manager farmaceutico, definito il “Talebano dell’olio”, è anche Capo Panel del Consiglio Oleicolo Internazionale. Nel suo libro “Monocultivar Olive Oil, l’olio perfetto” ha svelato le verità mai dette sull’olio. E ha perso qualche amico. Se volete sapere il perchè cliccate su www. monocultivaroliveoil.com pag. 88
Napoletana di origine ma romana di adozione. Scrive fin dalla tenera età, prima di arte e cultura, poi di moda. Ma capisce ben presto che paillettes e lustrini non fanno per lei e decide di dedicarsi alla sua vera passione: l'enogastronomia. Ora mangia, beve e racconta luoghi, persone ed eccellenze del gusto. Divertendosi un mondo, soprattutto. pag. 74
ELENA CONTI Senese ma di famiglia fiorentina in cui convivono pacificamente guelfi e ghibellini, e d’aspetto nordico. Con un pedigree del genere, non poteva che darsi alle lingue straniere. Giornalista per caso, prima tv, poi carta stampata e uffici stampa. Ha lavorato per anni con Carlo Verdone al Terra di Siena Film Festival. Ma quando ha scoperto il Cappero di Pantelleria, è passata con leggerezza dal cinema all’agroalimentare di qualità. pag. 78/98
hanno collaborato a questo numero: Lucrezia Argentiero Luca Campana Michele Caracino Olga Carlini Gilda Ciaruffoli Silvana Delfuoco Maria Pia Fanciulli Marishel Fecchi Francesca Frediani Isa Grassano Riccardo Lagorio Lucia Lipari Stefania Monaco Angela Pino Giuseppe Pulina Roberto Rabachino Rosario Ribbene Antonio Romeo Giancarlo Roversi Ida Santilli Saro Trovato
dall’Italia e dal mondo
di Francesco Condoluci - redazione1@vdgmagazine.it
Uno spettro s’aggira per l’Europa: la fine della moneta unica Il G20 – il forum dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali dei paesi più industrializzati – tenutosi a metà giugno in Messico, si è chiuso con l’impegno dell’Europa a salvaguardare l’integrità e la stabilità della zona euro e, come ha spiegato il premier italiano Mario Monti, a «spezzare il circolo vizioso tra i debiti sovrani e le banche», senza però dimenticare la priorità. I Grandi della Terra promettono infatti «un piano di azione per la crescita e la creazione di posti di lavoro». Pur nel rispetto degli equilibri di bilancio, ha rimarcato Monti, la ripresa passa anche per lo stimolo alla domanda perseguito attraverso investimenti pubblici produttivi. I lavori del G20 si sono così conclusi con gli Stati Uniti soddisfatti per l’impegno preso dagli europei: come ha detto il presidente USA Barack Obama, «l’Europa va verso una maggiore integrazione, non verso un’implosione». Se anche l’austerity della cancelliera tedesca Angela Merkel non è stata «sconfessata», come ha tenuto a precisare Monti, tra i partner europei è la posizione italiana quella che è spiccata. (fonte: AGI) 14
Il commento
A metà giugno, nel summit messicano, l’Europa dunque ha fatto “vedere i muscoli”, promettendo misure in tempi brevi per salvare l’Eurozona. Mentre scriviamo, si sta già preparando il piano per la crescita da presentare al Consiglio europeo di fine mese. Sul tavolo, il premier italiano Mario Monti ha già messo l’idea di ricorrere al Fondo Salvastati (ESFS) per acquistare i titoli di Stato. Scartata invece l’ipotesi di far acquistare il debito delle economie in difficoltà (Italia e Spagna) con un investimento da circa 750 miliardi di euro da parte dei due fondi di salvataggio europei. Sarebbe stato il modo più eloquente per lanciare un messaggio ai mercati finanziari sull’esistenza di un solido principio di solidarietà tra economie forti e deboli in seno all’Ue. Ma i leader europei, da quest’orecchio, quello della solidarietà, non vogliono sentire. Il caso-Grecia, del resto, è eloquente: il centro dell’Europa (leggi Germania) dopo aver scaricato per anni gli oneri della moneta unica sulla periferia (leggi Grecia) – basti pensare agli armamenti di produzione tedesca venduti ai governi ellenici “amici” di centrodestra – cosa ha pensato di fare? Di investire, attraverso le sue banche, sul debito di Atene! E quando in Grecia si è profilata l’ipotesi di un abbandono dell’Eurozona, i primi a farsi in quattro per scongiurare “la sciagura” sono stati proprio la Merkel e il suo governo. E non certo per spirito di solidarietà: per paura di veder svanire gli interessi accumulati dalle banche sul debito greco. Ma mentre i vertici stanno cercando di varare le misure di rilancio della zona euro, uno spettro comincia ad aleggiare sull’Europa: quello della prossima fine della moneta unica, considerata da più parti «la vera debolezza strutturale del Vecchio Continente». Lo ha detto al recente Festival dell’Economia di Trento, George Soros, il finanziere ungherese (ieri speculatore oggi filantropo) profondo conoscitore delle logiche finanziarie globali. Lo confermano ambiente bocconiani in Italia e la voce è rimbalzata, in via ufficiosa, anche dall’ultimo consesso del gruppo Bilderberg, il gotha della finanza, dell’industria e dell’economia che ogni anno si riunisce a New York per discutere sulle sorti del pianeta. E i tedeschi, di fronte a questa (vera o presunta) spada di Damocle, che fanno? Mentre la Merkel continua a proporre soluzioni di austerity, la loro zecca pare si stia preparando a ristampare i marchi. Per averne conferma, potete chiedere dalle parti di Berlino.
news
Shopping on-line: sardi e abruzzesi spendono per la tavola, i calabresi in high-tech
Italia: Carrefour e My Chef inaugurano la nuova era delle soste in autostrada Una grande piazza di quasi 3000 mq all’interno della quale si affacciano ristoranti, negozi e altri servizi e con, all’ingresso, persino l’ologramma (!) di un’hostess che accoglie i clienti e presenta loro la stazione di servizio a cominciare dall’offerta ristorativa. Scordatevi la vecchia area di servizio in autostrada: Carrefour (il gigante internazionale della Grande Distribuzione Organizzata) e My Chef (leader italiano nella ristorazione aeroportuale) hanno inaugurato la nuova era delle soste autostradali. Il prototipo di questo futuristico modello di area di servizio sulle strade italiane a lunga percorrenza, è stato aperto al km 3 della A14 Bologna-Taranto: si chiama stazione La Pioppa Ovest e al suo interno, oltre a un’ampia zona relax, ospita bar, ristoranti, un McDonald’s, un’area shopping con i marchi Carpisa e Yamamay e il punto vendita Carrefour Express che per la prima volta nella sua storia esce dai centri abitati e porta i suoi scaffali anche in autostrada.
Germania: wurstel, che passione! Qui lo mangiano anche nel gelato Estate tempo di gelati, si sa. Una tradizione golosa, oltre che un piacevole rimedio contro il caldo, rispetto alla quale non si sottraggono nemmeno i tedeschi. I quali, però, ai classici coni al cioccolato e pistacchio, preferiscono gusti molto più “made in Germany”. Ovvero, manco a dirlo, il gelato al wurstel! Una specialità tutta teutonica che, ai puristi della gelateria, farà anche storcere il naso, ma che a Monaco e dintorni sta letteralmente spopolando. Il quotidiano Bild parla addirittura di una “nuova tendenza” che reinterpreta, secondo i sapori della cucina tedesca, il dolce preferito dell’estate. E il gelataio bavarese Matthias Munz, che offre sia il gelato al gorgonzola che quello al wurstel bianco, la tipica salsiccia di Monaco, spiega: «Il rapporto tra il gusto e il gelato è vario. In quello alla birra, il sapore è contenuto in quantità molto importanti, in quello al wurstel pochissimo, anche perchè altrimenti non sarebbe più un dolce».
Francia: Magnum e Danone aprono i loro negozi di proprietà Siete golosi di gelati Magnum e di yogurt Danone? Bene, se passate dalla Francia, adesso potete assaggiare i vostri prodotti preferiti direttamente nei “negozi di proprietà” delle due aziende. Magnum e Danone, hanno scelto infatti di “copiare” in Europa quello che Nespresso e Haagen-Dasz hanno fatto in America. Così come il caffè della Nestlè e la gelateria newyorkese hanno costruito, negli anni, le loro fortune commerciali basandosi sui piccoli punti di vendita distribuiti in tutti gli USA, adesso anche il marchio di punta del gruppo Unilever e l’azienda francese, hanno aperto dei negozi dedicati per incontrare i clienti in carne e ossa: una strategia di “brand awareness” (consolidare cioè la notorietà del marchio presso il pubblico) ma finalizzata soprattutto a invogliare i consumatori ad acquistare i loro prodotti anche negli ipermercati. La Magnum ha inaugurato il proprio caffè in rue du Roi de Sicilie, a Parigi, mentre la Danone, dopo aver aperto due anni fa sulle rive della Senna, da quest’anno punta su un bar itinerante in 7 città francesi.
I calabresi spendono per l’high-tech, i lombardi per i frullatori. A spendere per la tavola invece, sono soprattutto sardi e abruzzesi. Regione che vai, consumi che trovi: a tracciare la nuova geografia italiana della spesa on-line, è eBay, la vetrina virtuale più grande in Italia, con oltre 8 milioni di visitatori al mese e 6.700 categorie merceologiche. Dal suo osservatorio, eBay ha delineato la mappa dello shopping via web, evidenziando le peculiarità di ogni regione e scoprendo passioni a volte inaspettate. La Lombardia, prima regione in classifica per oggetti acquistati ed euro spesi on-line, mostra infatti la propensione ad affidarsi, per la casa, all’aiuto di frullatori e lavastoviglie, mentre i laziali acquistano più quadri per la casa, tailleur e abiti da donna. Gli abitanti della Puglia vantano il pollice verde più spiccato, acquistando il 67% dei semi per fiori del paese. Che sia per il porceddu o per gli arrosticini, è un dato di fatto, infine, che i sardi e gli abruzzesi amino la convivialità: in Sardegna, più che in qualsiasi altra regione si acquistano i piatti, mentre in Abruzzo le posate.
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dall’Italia e dal mondo
UE: adesso è più facile scambiare prodotti agroalimentari con il mercato USA Dal 1° luglio sarà più semplice far circolare i prodotti agro-alimentari sull’asse Usa-Ue. L’intensificarsi degli scambi tra operatori europei e mercato americano e viceversa (quasi 500 miliardi di euro solo nel 2011) ha suggerito infatti alle autorità doganali delle due aree, una semplificazione delle procedure relative a trasporti e logistica, finora rese farraginose dai controlli di sicurezza e dalle misure di contrasto alle frodi. Il 4 maggio scorso, le autorità doganali europee e statunitensi hanno siglato un accordo, per il reciproco riconoscimento dei programmi di verifica e certificazione degli operatori commerciali e dei carichi, il cui obiettivo ultimo è favorire gli investimenti e le attività commerciali tra Usa e Ue. Grazie a quest’intesa, dal primo luglio le dogane Ue e Usa riconosceranno gli spedizionieri – circa 10.500 le imprese già qualificate, di cui 500 europee e 10 mila americane – che sono stati certificati come affidabili e sicuri dalle une o dalle altre autorità e che godranno pertanto di controlli più celeri e riduzione degli oneri amministrativi per sdoganare i carichi con destinazione Stati Uniti o Europa. Dopo gli Usa, l’Ue vuole stipulare accordi analoghi anche con il suo secondo partner commerciale, la Cina.
Quanto di “made in Italy” c’è nei menù di McDonald’s? è polemica sugli spot Qualità italiana negli hamburger di McDonald’s? C’è poco da fidarsi. Almeno secondo il Fatto Alimentare, il portale web di sicurezza alimentare che non ha esitato ad attaccare il colosso americano del fast-food rispetto agli spot che reclamizzano i suoi McMenù come “prodotti di alta qualità tipici della nostra tradizione alimentare”. «L’operazione è iniziata con l’arrivo di McItaly, il panino firmato dal Ministero delle politiche agricole e forestali – scrive la testata on-line – e si è trattato di un’incredibile operazione di marketing con tanto di foto dell’allora ministro Zaia con l’hamburger di McDonald’s. Il lavoro è proseguito con personaggi come lo chef Gualtiero Marchesi e il consorzio Qualivita. La strategia è sempre la stessa, proporre per 2 mesi un nuovo panino con una fettina di Parmigiano o di bresaola della Valtellina, oppure utilizzare un richiamo italiano di un marchio o di un prodotto di alta qualità e investire in pubblicità per enfatizzare l’evento». Secondo il Fatto Alimentare che chiede a McDonald’s «più trasparenza», in realtà la carne degli hamburger è italiana ma si tratta di carne di vacca scartata «perché troppo dura e legnosa», mentre il pollo fritto arriva dalla Francia e le patatine dall’Austria.
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Vino, Antinori sul podio delle 50 cantine top nel mondo: ma è l’unica italiana La rivista Drinks International ha presentato la classifica 2012 delle 50 aziende vinicole più conosciute del mondo. Per il secondo anno consecutivo, il primo posto spetta alla cilena Concha y Toro, il secondo alla spagnola Torres e al terzo, la toscana Antinori. Seguono Penfolds, Jacob’s Creek, Kendall-Jackson, Michel Chapoutier, Guigal, Vega Sicilia e Chateau Margaux. Secondo l’editor Holter Graham, la classifica «ha fornito uno spaccato dell’industria vinicola e i dei principali players del mondo: comprende marchi che si possono trovare nelle sale di rappresentanza di Shanghai così come nei negozietti del Minnesota e tutto ciò che esiste in mezzo a questi due estremi». Secondo il portale specializzato Wine News “la menzione di un’unica prestigiosa cantina italiana, lascia tuttavia qualche perplessità sui criteri di scelta: viste le impostazioni assai diverse, per qualità dei prodotti, impostazione commerciale, diffusione, notorietà e immagine dei 50 selezionati, forse almeno un’altra o due italiane, ci potevano stare”.
Olio extravergine di qualità o da supermercato? Gli italiani non sanno distinguere Due italiani su 4 faticano a riconoscere un olio extravergine di oliva “eccellente” da uno di “qualità media”. Eppure stiamo parlando del prodotto che forse meglio di ogni altro, identifica il vero Made in Italy! Ma tant’è: la cultura alimentare nel Belpaese si è pianificata verso il basso da anni e il recente test sulla conoscenza dell’extravergine da parte dei cittadini – condotto dal Cnr in accordo con Regione Toscana e provincia di Arezzo – non è che l’ennesima conferma. Semmai, la circostanza incredibile è che gli intervistati erano i partecipanti al mondo professionale che ruota intorno alla filiera ovicola: dunque, un gruppo (in teoria, almeno) di “consumatori informati”. I quali però, al momento di degustare differenti oli d’oliva per esprimere una preferenza, hanno assegnato alle bottiglie di extravergine di alta qualità un voto pari a 6, mentre l’olio dei supermercati ha meritato 5. Inoltre, l’extravergine della Gdo e l’olio vergine sono stati giudicati “buoni” dal 40% del campione, mentre il 20% circa ha scelto “indifferente”. La morale tratta dai promotori del test è: se su un pubblico di addetti ai lavori si registra questa difficoltà, chissà cosa succede nelle case degli italiani?
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fatti e contraffatti
di Marishel Fecchi
I cibi non-cibi: Pink Slime e “formaggio analogo” Dalla carne ricomposta ai surrogati della mozzarella: le ultime frontiere delle aberrazioni alimentari contemporanee arrivano dagli USA. Il rischio si nasconde soprattutto nei cibi pronti. Pare che, entro il 2014, l’UE interverrà per fare chiarezza: nel frattempo occhio all’etichetta!
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Si chiama Pink Slime, che tradotto vuol dire “poltiglia rosa” ma che commercialmente si identifica come “carne ricomposta”. Ha un inventore, Eldon Roth e, per quanto riguarda l’utilizzo nell’alimentazione umana, anche una data di nascita: il 2001. Non recentissima, direte voi. Concordo, ma solo ora è salita alla ribalta. Di cosa si tratta? È un prodotto industriale a base di diverse qualità di carne, reso conservabile attraverso specifiche sostanze. In realtà la Pink Slime, o meglio LFTB – ovvero carne di manzo magra con struttura fine (suona appetitosa, non è vero?) – è stata pensata per le carni bovine, ma dopo lo scandalo della BSE (meglio noto come “mucca pazza”) non è stato più possibile utilizzare tale metodo con quel tipo di carne, metodo invece impiegato per tutte le altre carni, in particolare per i volatili e il pesce. Come funziona? Si toglie, per esempio da un pollo, tutto quanto è vendibile, cioè petto, cosce e ali. Il resto, e cioè cartilagini, tendini, altri tessuti connettivi e persino la carcassa, viene triturato finemente, passato attraverso filtri in modo da eliminare pezzetti di ossa qualora ce ne fossero, poi si toglie il grasso in eccedenza, si aggiungono infine carbonato di am-
monio per rendere la poltiglia “durabile” e rosa, e spezie e aromi che le conferiscono il gusto desiderato. Pink Slime può così andare sul mercato a un prezzo naturalmente molto basso. Negli Stati Uniti il 70% della carne macinata contiene Pink Slime, compresa quella usata da McDonald’s e Burger King. E da noi? Beh, noi siamo il paese della buona cucina, parlare di certi argomenti sembra essere un tabù: si rischia un’accusa per lesa maestà. Ma le cose non sono poi così scontate. Tutto quanto è tritato od omogeneizzato (non mi riferisco agli omogeneizzati per bambini ma a wurstel, mortadelle, salami di pollo etc., ovvero tutto ciò che per essere prodotto subisce un processo di omogeneizzazione) può contenere Pink Slime. La poltiglia non è acquistabile al supermercato, ma è riservata all’industria: attenti quindi quando acquistate cannelloni ripieni, lasagne, ravioli, prodotti impanati, paté di carni e di pesce! Per difenderci, infatti, non ci resta che leggere le etichette sulle quali, qualora venga usata “l’ignobile poltiglia”, dovrebbe essere presente un’avviso. E qui è il caso di sottolineare il problema delle etichettature poco o nulla comprensibili ai non addetti ai lavori o difficilmente leggibili perché scritte con caratteri minuscoli: c’è solo da auspicare che il legislatore metta finalmente mano a questo problema. Per adesso, vale il vecchio detto “ciò che non fa morire, fa ingrassare”, ma soprattutto – aggiungo io – ingrassa le tasche dei più furbi, i quali, ironia della sorte, non sono nemmeno condannabili. La Pink Slime infatti, fa schifo, ma è legale! Nel limbo della gastronomia L’altro tema è il “formaggio analogo”. E già la definizione suona come un imbroglio. Ma se si prendono in considerazione le altre definizioni – formaggio sintetico, formaggio alternativo, imitazione del formaggio – si va di male in peggio. Questo pseudo-formaggio è un qualcosa la cui materia principale non è il latte; sicuramente il grasso, ma molto spesso anche le proteine del latte, vengono sostituiti da grassi e proteine vegetali. Anche per questa schifezza dobbiamo ringraziare gli Stati Uniti perché là è nata, centrifugando latte totalmente scremato, ovvero a cui è stata totalmente tolta una parte nobile quale il burro, con sego – grasso bovino (e di bovini negli USA ce ne sono tanti, mentre l’utilizzo del sego è limitato e il prodotto è quindi vendibile solo a prezzi molto bassi) – e poi cagliato normalmente. Questo primo formaggio sintetico si è evoluto, ed è oggi composto di acqua, oli vegetali come quello di palma, proteine di sintesi ricavate da batteri, amidi, e gli immancabili emulgatori, aromi, coloranti, sale, intensificatori di sapore. Si mescola il grasso con le proteine in polvere e l’acqua, si aggiungono gli aromi del formaggio desiderato, si confeziona e si conserva in frigorifero. Da questa massa, con i dovuti aromi, si ricavano imitazioni di formag-
Pink Slime (in apertura e, sotto, una fase della lavorazione) e formaggio analogo non si acquistano al supermercato, ma ci vengono propinati in piatti pronti e pizze. L’etichetta però dovrebbe indicarlo
La poltiglia rosa ottenuta dalla macinazione delle carni meno pregiate, con aggiunta di sostanze chimiche, negli Usa ha ormai quasi sostituito la carne vera 19
fatti e contraffatti
Il toast della strega • Pancarré: la farina può essere allungata con gesso, può contenere mono e digliceridi degli acidi) grassi, solfato di rame, di zinco, allume, glicole etilenico (cancerogeno!). • Formaggio: potrebbe essere il formaggio non formaggio, non è dato saperlo, né lo sa il gestore del bar che compra con il criterio della massimizzazione del guadagno, ma che comunque nella maggior parte dei casi non sa neppure che questi prodotti esistono. Di chi è la colpa? Non so, ma forse prima di concedere le licenze si dovrebbero istruire gli addetti ai lavori e si dovrebbe, tenuto conto della frequenza di utilizzo di questi nuovi prodotti, comunicarne loro l’esistenza. • Prosciutto cotto: è il più consumato fra i salumi italiani. In Germania un prosciutto cotto su tre è una imitazione, prodotto non dalla coscia del maiale – come il nome lascia credere – ma da diversi pezzi di carne tenuti assieme da amido e gelatina. E da noi? È tutto ok o lo è solo perché non ci sono controlli? È chiaro che in un toast è impossibile riconoscerne la qualità, ma anche quando lo acquistiamo purtroppo non ne sappiamo di più. Ma c’è un indicatore: se un prosciutto cotto è “vero” le fibre muscolari vanno tutte in una direzione, cioè in quella della crescita; se è un falso vanno in tutte le direzioni. Oltre a ciò il prosciutto cotto si divide in tre categorie: Alta qualità: cosce di suino intere, materia prima scelta, lavorazione accurata, meno del 75% di umidità, senza proteine aggiunte, senza polifosfati. Le fette si staccano bene, si vede la struttura muscolare molto spesso circondata da uno strato di grasso. È come se fosse un prosciutto crudo a cui è stato tolto lo stinco poi disossato, pressato e cotto. Scelto: cosce di suino intere, può contenere polifosfati o proteine di soia o di latte, meno del 78,5% di umidità. Le fette sono più appiccicose. Cotto: aspetto lucido e gelatinoso, costituito da più pezzi di carne, contiene proteine estranee alla carne e l’81% di umidità. Come sottolineo sempre: l’acqua costa poco e pesa. Intrufolarla in ogni alimento è una fonte insperata di guadagno! Ora, se volete acquistare del cotto, vi auguro buona fortuna. Sono andata al banco di tre delle più grandi catene nazionali di supermercati, dove ci sono sostanziose differenze di prezzo ma non ci sono le diversificazioni. Non ho comprato il prosciutto perché nessuno mi ha spiegato la differenza di prezzo e un semplice “costa di più perché è migliore” non mi ha soddisfatta. Non solo, se la classificazione non è chiaramente dichiarata, come faccio io consumatore a valutare, per esempio, un’offerta? Vale quindi ancora una volta il motto: non si compra quello che non è chiaramente dichiarato!
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gi blasonati quali parmigiano, emmental, mozzarella, feta, camambert etc. Per questi surrogati non è neppure necessaria la stagionatura, vengono prodotti e utilizzati. Semplice e a buon mercato! Anche questo prodotto, come il Pink Slime, non lo si acquista al supermercato, ma ci viene propinato dall’industria per esempio nei piatti pronti e nelle pizze (per amor del vero va detto che questo prodotto è apprezzato da vegani e intolleranti al lattosio). Attenzione: non è obbligatorio dichiarare in etichetta l’uso di formaggio non formaggio. Resta però salvaguardato l’obbligo di dichiarazione degli ingredienti. Non è permesso chiamarlo formaggio ma neanche formaggio artificiale o con nomi analoghi (potremmo creare il limbo dei prodotti alimentari, che ne dite? Sembra la legittimazione dell’assurdo: esiste un quid ma non lo si può denominare. Chiamiamolo Mario!), sono permessi invece Pizza Mix o Gastro Mix (nomi di fantasia che però identificano una realtà: ogni produttore se ne inventa uno e lo mette sul mercato), con l’aggiunta di descrizioni del tipo “Condimento per Pizza a base del x% di grasso vegetale” oppure “Preparato per gastronomia”. Ripeto: acquistando un trancio di pizza o mangiando una lasagna al bar dell’angolo – come chi lavora è costretto a fare – non sapremo mai cosa contengono perché riconoscere il formaggio analogo è estremamente difficile. Se si pensa infine a quanti prodotti finiti ingurgitano gli americani diventa anche chiaro il perché della loro stazza e delle loro patologie. Sembra comunque che la UE, entro il 2014 voglia intervenire per fare chiarezza. Attendiamo fiduciosi.
Negli Stati Uniti il 70% della carne macinata contiene Pink Slime
Attenti a non trovare nella pizza il “formaggio senza formaggio”!
FEASR
REGIONE
DEL
VENETO
Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali
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Iniziativa finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale per il Veneto 2007-2013 Organismo responsabile dell’informazione: Grana Padano e gli altri formaggi veneti di qualità Autorità di gestione designata per l’esecuzione: Regione Veneto - Direzione Piani e Programmi Settore Primario
scienza e vita
di Giuseppe Pulina Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari
La Fruhe: cagliata fresca di Sardegna Se vi trovate nell’isola dei 4 mori e volete gustare una fettina di tradizione poco nota, fatevi servire questo raro prodotto caseario da latte di pecora o capra, da mangiare fresca per piatti estivi o spalmata sul pane. Ma anche stagionata, più piccante e saporita. Prodotta artigianalmente, vanta caratteristiche probiotiche e nutrizionali di tutto rispetto che ne fanno un ottimo alimento dieto-terapeutico
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Le cagliate fresche sono uno dei prodotti lattiero caseari diffusi in tutta Italia. Sono ottenute dalla coagulazione acido-presamica di latte bovino, ma soprattutto caprino e ovino, e sono quasi sempre classificate quali prodotti locali e tipici. Fra queste, quella probabilmente più conosciuta è prodotta in Sardegna: la Fruhe (indicata localmente anche come Casu axedu, Casu agedu, Casu ascedu, Casu ageru, Frughe, Vrughe), cagliata fresca ottenuta da latte intero di pecora o di capra, normalmente prodotta artigianalmente, utilizzando metodi dettati dalla tradizione e dalle tecniche legate alla cultura casearia degli stessi pastori. Si tratta dell’unico formaggio fresco di latte di pecora o di capra della Sardegna iscritto nell’Elenco dei Prodotti Tradizionali del Mipaaf, D.M.18/07/2000, ed è stato studiato dalla dottoressa Nicoletta Mangia, ricercatrice di microbiologia presso il dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari, alla quale ci rivolgiamo per saperne di più.
Che caratteristiche ha questo formaggio? La Fruhe è ottenuta dalla coagulazione acidopresamica del latte addizionato di caglio tipicamente di capretto o agnello. La coagulazione si considera terminata quando un velo di siero si separa dal coagulo. Il coagulo viene tagliato a fette che sono lasciate inacidire nel siero. Pertanto, la Fruhe si presenta in forma di parallelepipedi non perfettamente regolari (6-10 cm di lato) di peso molto variabile (200-300 gr) di consistenza tenera e colore bianco; il sapore è dolce e leggermente acidulo nel prodotto fresco, aromatico e con un’acidità più pronunciata in quello più maturo. L’aroma richiama quello del latte di provenienza. Essendo un prodotto fresco, si presume abbia un’importante carica di microorganismi a effetto probiotico… Certamente. Al pari dei latti fermentati, il microbiota della Fruhe è abbastanza variegato, composto da diverse specie di fermenti lattici che nel prodotto qualitativamente migliore raggiungono una concentrazione di un miliardo di cellule per grammo assicurandone la qualità nutrizionale e la sicurezza. Fra questi ricordiamo il Lactococcus lactis subsp lactis, lo Streptococcus thermophilus, il Lactobacillus helveticus, il Lactobacillus delbrueckii subsp lactis e il Lactobacillus plantarum, quest’ultimo particolarmente interessante perché potenzialmente probiotico.
La Fruhe si presenta in forma di parallelepipedi non perfettamente regolari (6-10 cm di lato) di peso molto variabile (200-300 gr) di consistenza tenera e colore bianco
E sotto il profilo chimico-nutrizionale? La Fruhe, in generale, presenta una composizione che è fortemente condizionata dalle caratteristiche del latte di origine: nel prodotto fresco il contenuto d’acqua è di circa 80-85%, le proteine e il grasso sono mediamente pari a 8-10 e 5-7%, rispettivamente. È importante considerare che nel prodotto è presente il lattosio, sebbene a concentrazioni che in genere non sono
È un formaggio estivo, consumabile alla pari dello yogurt o dei latticini freschi
superiori al 2%. Tale composizione è da considerare complessivamente equilibrata sia sotto il profilo organolettico che sotto quello nutrizionale: il valore energetico è in genere compreso fra 175 e 220 kcal/100g ed è ricco in aminoacidi essenziali, molti dei quali disponibili in forma libera. In particolare, il formaggio Fruhe caprino ha un elevato contenuto in fenilalanina, isoleucina e valina, per gli amminoacidi essenziali, e in acido glutammico, glicina, alanina, tirosina, istidina, prolina e l’acido y-amminobutirrico (legato alla presenza del Lactobacillus plantarum,
Questa tipica cagliata fresca è normalmente prodotta in modo artigianale utilizzando metodi dettati dalla tradizione e dalle tecniche legate alla cultura casearia degli stessi pastori
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scienza e vita
La Fruhe l’unico formaggio fresco di latte di pecora o di capra della Sardegna iscritto nell’Elenco dei Prodotti Tradizionali del Mipaaf
microrganismo mesofilo potenzialmente probiotico, per quanto riguarda quelli non essenziali (ma ugualmente importantissimo per la nutrizione umana). Inoltre, la presenza di quantità importanti di aminoacidi essenziali e di acidi grassi liberi a corta catena e polinsaturi fanno della Fruhe un ottimo alimento dietoterapeutico. Come si consuma questo prodotto? Sebbene la Fruhe fosse un formaggio stagionale prodotto prevalentemente nella stessa azienda di allevamento, da diversi anni operano caseifici che la producono e la confezionano per la distribuzione commerciale in vaschetta sigillata. Questo fa in modo che il prodotto, che viene normalmente consumato fresco, sia attualmente disponibile nel mercato con continuità. Il consumo di questa pietanza è particolarmente gradito per la preparazione di piatti freddi serviti unitamente a pani tradizionali biscottati (Pane Carasau o Pistoccu). Infine, quando la Fruhe non è consumata
Le cagliate fresche sono uno dei prodotti lattiero caseari diffusi in Italia. Ottenute principalmente dalla coagulazione di latte caprino e ovino, sono quasi sempre classificate come prodotti locali tipici 24
fresca, è possibile farla stagionare lasciandola inizialmente asciugare e, dopo un passaggio in salamoia concentrata, può essere conservata come gli altri formaggi per molti mesi. Il prodotto stagionato ha consistenza completamente diversa dal fresco e un sapore molto più marcato e piccante. La Fruhe stagionata viene comunemente impiegata per il condimento di minestre o per i ripieni di pasta fresca. Da quanto esposto dalla dottoressa Mangia, la Fruhe può essere considerato un formaggio dell’estate, consumabile alla pari dello yoghurt o dei formaggi freschi spalmabili, ma con caratteristiche probiotiche e nutrizionali, oltreché aromatiche, del tutto speciali. L’unico accorgimento è quello di consumarlo fresco entro 24-48 ore dalla produzione, magari con un goccio di limone o con il miele, perché è un prodotto deperibile da tenere rigorosamente in frigorifero. Tuttavia, chi gradisse sapori più aciduli e consistenza maggiore del coagulo, deve lasciare riposare questo formaggio nel suo siero per un periodo di 5-7 giorni.
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almanacco di barbanera
di M. Pia Fanciulli
Tempo di solleone È luglio: mese dell’abbondanza, dell’estate cocente, della luce che abbaglia, dell’orto che ci regala generosamente i frutti di un lungo lavoro. Il giardino invaso di fiori e profumi è un invito a prendersi una pausa di relax. Ma senza dimenticare tutte le attenzioni che il caldo estivo chiama a gran voce
Da ricordare Domenica 11 luglio San Benedetto da Norcia, patrono d’Europa “San Benedetto la rondine sotto il tetto” dice il proverbio. Ma San Benedetto non apre più le porte alla primavera. L’amato Santo che si festeggiava il 21 marzo, si celebra oggi l’11 luglio. Il cambio di data risale al 1964, quando papa Paolo VI lo proclamò patrono d’Europa. Ma la sua festa cadeva a luglio già nell’VIII secolo, a ricordo della traslazione delle reliquie all’Abbazia di Fleury nel 660. Nato a Norcia, ebbe una gemella, Santa Scolastica e fondò l’ordine benedettino. Morì a Cassino il 21 marzo del 547. Venerdì 20 luglio Inizio del Ramadan Quest’anno, 1433 del calendario islamico, il Ramadan inizierà il 20 luglio per finire il 18 agosto. Si tratta della ben nota ricorrenza musulmana che coincide con il nono mese dell’anno della durata di 29 o 30 giorni. È questo il periodo in cui si osserva il digiuno dall’alba al tramonto. Solo dopo il calare del sole è permesso mangiare, bere, fumare e avere rapporti sessuali. La parola Ramadan significa “mese caldo” e sono i giorni in cui si ricorda la discesa della rivelazione su Maometto a opera dell’arcangelo Gabriele.
Sole e luna
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Il Sole il 1° sorge alle 05.28 e tramonta alle 20.39 l’11 sorge alle 05.35 e tramonta alle 20.36 il 21 sorge alle alle 05.43 e tramonta alle 20.29
La Luna Il 1° tramonta alle 03.00 e sorge alle 18.23 L’11 sorge alle 00.04 e tramonta alle 13.51 Il 21 sorge alle 08.09 e tramonta alle 21.28
Il 1° luglio si hanno 15 ore e 11 minuti di luce solare, mentre il 31 luglio se ne hanno 14 ore e 26 minuti: si perdono, dall’inizio alla fine del mese, 45 minuti di luce.
È al Perigeo il 1° alle ore 20 e il 29 alle ore 10. È all’Apogeo il 13 alle ore 19. Luna in viaggio Si tratti di vacanza o lavoro, i giorni favoriti dalla luna per gli spostamenti sono: 5, 6, 10, 11, 15, 16.
luna piena
luna nuova
primo quarto
Orti e dintorni È il momento di proteggere le piante dai roventi raggi del sole utilizzando grandi foglie o leggeri cannicciati. Per sapere invece quando annaffiare le piante in vaso, battere il contenitore con le nocche delle dita: se il suono è chiaro vuol dire che la terra è secca. In Luna calante (dal 4 al 18) seminare a dimora all’aperto prezzemolo, ravanelli, bietola da costa, finocchio precoce. Cimare anguria e meloni per favorirne l’ingrossamento dei frutti. Asportare il germoglio apicale sui pomodori. Raccogliere agli e patate. Se si ama fare marmellate, conserve e verdure sott’olio, durano più a lungo se preparate in questa fase. In giardino raccogliere i fiori di lavanda per conservarli. Potare le rose rampicanti rifiorenti. Annaffiare tutte le piante in abbondanza. In Luna crescente (dal 20 al 31) seminare a dimora all’aperto l’agretto. Trapiantare cavolo, indivia riccia, lattuga, sedano. Raccogliere fagioli, fagiolini e zucchine. Nel frutteto sono pronte albicocche, amarene, ciliegie, mirtilli, lamponi, pere, pesche e susine.
Belli e sani Avere una pelle dorata è il sogno di molti. E il cibo può essere un valido aiuto, purché si rispettino tre fattori: molta idratazione, alimenti ricchi di betacarotene, quelli di colore arancione, che stimola il colore ambrato, ma anche con componenti anti-ossidanti per proteggere la pelle. Via libera quindi ai cibi crudi, in particolare frutta e verdura, ricchi di acqua e minerali che idratano la pelle. Per difenderla dall’aggressione dei radicali liberi, ottimi invece i cibi con vitamina C come i kiwi, le fragole e i peperoni che, oltretutto, stimolano la produzione di collagene importante per mantenere elastica la cute. Molto utili anche gli alimenti ricchi di vitamina E come gli oli vegetali, il mais e i germogli di soia. Le insalatone miste con frutta, verdura e noci sono un ottimo alleato per l’abbronzatura. Per eliminare i segni dello stress dal viso, invece, applicare la sera o la mattina, con un dischetto imbevuto di acqua, 2 gocce di olio essenziale di lavanda per calmarsi, di rosmarino per tonificarsi, di incenso per riequilibrarsi. Alleggerire la zona delle tempie con movimenti circolari e distendere le occhiaie picchiettandole con i polpastrelli. Poi appoggiare il mento al centro dei palmi e percorrere la linea della mandibola, fino alle orecchie. Quindi rilassare gli occhi pizzicando le sopracciglia dal centro verso le tempie.
Saggezza popolare Saggezza popolare • Quando a luglio il caldo monta, la burrasca è presto pronta. • Per la Santa Maddalena (22 luglio), pomodori e cipolle per cena. • Di luglio il temporale dura poco e non fa male. • Se a luglio la formica fa più dell’usato, l’inverno sarà freddo e anticipato. • Giugno, luglio e agosto, né acqua, né donna, né mosto. • Se in Leone (23 luglio) il sole va, lascia il tempo come sta.
• Di luglio è ricca la terra e povero il mare. • Luglio poltrone porta la zucca col melone. • Per San Giacomo (25 luglio) e Sant’Anna (26 luglio) entra l’anima nella castagna. • Se non ardon luglio e agosto, dentro il tino poco mosto. • Di luglio l’amore è ladro.
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di Gilda Ciaruffoli
appuntamenti
luglio
1 Domenica 2 Lunedì 3 Martedì 4 Mercoledì 5 Giovedì 6 Venerdì 7 Sabato 8 Domenica
Trentino-Alto Adige Qui è sempre carnevale!
Carri allegorici, sfilate in costume, coriandoli, stelle filanti e spettacoli all’aria aperta. La Festa dei Piccoli Frutti trasforma il borgo di Pergine nella capitale del divertimento. Le strade e le piazze del centro storico sono invase da artisti, performance teatrali e musicali. Ad allietare ulteriormente le ore trascorse ad ammirare gli spettacoli degli artisti di strada ci saranno anche fragole, more, lamponi, ribes, mirtilli, fragoline e ciliegie tardive protagonisti di gustose degustazioni e divertenti laboratori creativi. 6-7 luglio, Pergine Valsugana (Tn) - Info: www.perginefestival.it
Lombardia Chef “arrabbiati” e tatuati Pelle all’arrabbiata è il titolo della terza edizione di Le Grand Fooding Milano, anticonformista manifestazione gourmand dedicata quest’anno alla nuova generazione di chef rock’n roll. Un cast giovane e tatuato, che si discosta dai rigidi schemi della gastronomia per reinterpretare la cucina che l’ha cresciuto: la Street Food. L’evento si svolge presso la Segheria di Via Meda 24, uno spazio che ben si presta ad assumere un look “street”, grazie anche alla musica dei dj più amati dai milanesi. Parte dei ricavati del biglietto, in vendita online, andrà in beneficenza a CAF onlus. 4-5 luglio, Milano Info: www.legrandfooding.com
Toscana Un salto nel passato La XXII edizione della Festa Medievale torna a illuminare il centro storico di Monteriggioni, splendido borgo a nord della città di Siena. Decine di eventi scaldanoo il cuore della città fortificata tra performance dal vivo, musica, danza, teatro e antichi sapori. In particolare, la buona cucina toscana è al centro di un grande parco tematico; per l’occasione inoltre i ristoranti propongono, a prezzi abbordabili, i sapori e gli odori del Medioevo anche a tavola. Previsti banchetti d’epoca, taverne all’aperto e un mercato con prodotti dell’artigianato locale. 6-8 e 13-15 luglio, Monteriggioni (Si) Info: www.monteriggionimedievale.it
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Marche Azzurro come il mare
Alici, sarde, sgombri, ricciole, tonni & Co. sono, per il terzo anno consecutivo, i protagonisti di Anghiò (“alice” nel dialetto sambenedettese), il Festival del Pesce Azzurro. In programma mostre, laboratori didattici e piatti tipici della tradizione da gustare freschi, grazie alla presenza di chef di prim’ordine che li cucinano al momento. Scopo della manifestazione promuovere la conoscenza di questo pesce, un tempo considerato povero, oggi rivalutato dal punto di vista nutritivo e protagonista di piatti di pregio. 5-8 luglio, San Benedetto del Tronto (Ap) Info: www.anghio.it
appuntamenti
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Toscana Tutti fuori, “all’aia” aperta
Sono 14 le aziende agricole e agrituristiche del Chianti che, a rotazione, aprono le porte nell’ambito del progetto A veglia sulla Aie di Montespertoli, offrendo un bicchiere di vino e un assaggio di ottimi prodotti di filiera, organizzando degustazioni, laboratori sui mestieri agricoli, passeggiate e grigliate sull’aia. Accolto con lo spirito di quando, tra i poderi vicini, si andava a veglia per stare in compagnia giocando a carte, mangiando qualcosa, raccontandosi storie, il visitatore può accedere gratuitamente alle aie e degustare vino e specialità locali a prezzi irrisori. Un esempio? Dall’11 al 17 luglio Le Fonti a San Giorgio (Via Colle San Lorenzo, 16) offre tutti i giorni degustazioni, merende, bocciodromo e molti eventi speciali su prenotazione. fino all’11 settembre - Info: www.comune.montespertoli.fi.it
Veneto Una festa internazionale Padova ospita il 39° raduno internazionale del folklore, un’occasione unica per scoprire le tradizioni, i costumi e i canti delle terre di tutta Europa. L’Europeade del Folklore è una manifestazione itinerante unica nel suo genere, un raduno in cui migliaia di persone si ritrovano per ballare e cantare le tradizioni della propria terra in un’atmosfera magica di amicizia tra i popoli. Quest’anno sono previsti gruppi da Spagna, Francia, Scozia, Germania, Grecia, Polonia, Russia. 11-16 luglio, Padova Info: www.europeade.eu
Piemonte Formaggi statuari Torna l’appuntamento con la Mostra Regionale della Toma di Lanzo e dei Formaggi d’Alpeggio. Due weekend dedicati al gusto con un unico grande protagonista: la toma, regina della valle, accompagnata dal salame di Turgia, dalla migliore selezione di prodotti caseari e altre eccellenze italiane. Tante le novità per l’edizione 2012, a partire dalla più curiosa: il Concorso Nazionale di Scultura su Toma! Cuore della manifestazione infine, e come sempre, la Mostra Mercato con 100 produttori provenienti da diverse regioni italiane. 13-15 luglio, Usseglio (To) Info: www.sagradellatoma.it
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Basilicata Da un diverso punto di vista
Per chi desiderasse vedere la Basilicata da una nuova prospettiva. Per chi ama il brivido dell’avventura ed è sempre alla ricerca di una nuova attività all’insegna dell’adrenalina. Il Volo dell’Angelo è un appuntamento da non perdere. Tra luglio e agosto, sulle Dolomiti Lucane, nel cuore della Basilicata, un cavo d’acciaio viene sospeso tra le vette di due paesi, Castelmezzano e Pietrapertosa, e permette di provare un’esperienza unica: volare a una velocità di 120 chilometri all’ora e a un’altezza di 400 metri. Ovviamente in tutta sicurezza! I costi? 35 euro nei giorni feriali, 40 euro le domeniche e i festivi. fino al 16 settembre Info: www.volodellangelo.com
La nuova identità dei prodotti Germinal Bio dal design moderno e accattivante nasce per esaltare le caratteristiche di naturalità, genuinità e benessere dei nostri prodotti.
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appuntamenti
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Domenica
Sardegna Un omaggio al mare
Promuovere la cultura della sostenibilità: queste le parole d’ordine del Posidonia Festival, appuntamento con l’arte e la natura che deve il suo nome alla Posidonia oceanica, pianta marina che è uno degli elementi fondamentali per gli ecosistemi del Mediterraneo. Il programma prevede concerti, spettacoli, performance di circo ecologico, proiezioni di documentari a tematica ambientale, laboratori di riciclaggio artistico, conferenze, tavole rotonde e un’EcoFiera. Il Festival quest’anno riserva un’attenzione particolare alla pesca sostenibile. Foto: kenna-ecodiving. 20-22 luglio, Carloforte (CI) - Info: www.posidoniafestival.com
Sicilia Naturalmente cinema
Piemonte Una passeggiata regale
Il Filmfestival sul Paesaggio si pone l’obiettivo di rafforzare la tutela del territorio come bene culturale collettivo valorizzandone il patrimonio grazie a un programma composto da un mix equilibrato di cinema, letteratura, musica e natura. Immancabili le escursioni paesaggistiche in alta quota Parole e Musica in Natura che offrono l’occasione di scoprire l’anima delle Madonie, ciò che la natura ha plasmato, tessuto e costruito, giorno dopo giorno, lungo il corso dei millenni, fino ai nostri giorni. 21-29 luglio, località varie (Pa) - Info: www.fondazioneborgese.it
Trentino-Alto Adige Banchettare ad alta quota Cëif da zacan è il banchetto storico gardenese con pietanze che hanno una tradizione ultracentenaria. In occasione della manifestazione, molti i ristoranti di Ortisei che preparano deliziose specialità locali, ed è previsto inoltre un luogo corteo folcloristico in costume tipico che proietti i turisti nella giusta atmosfera. Se capitate da queste parti però non perdete, durante tutto il mese, le serate di degustazione di eccellenti vini accompagnati da gustose specialità fingerfood organizzate all’interno delle cabine dell’ovovia Mont Sëuc. 22 luglio, località varie – Val Gardena (Bz) Info: www.valgardena.it
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Barolo Night è l’appuntamento dedicato al re dei vini delle Langhe. In luoghi singolari, aperti ai partecipanti per l’occasione, i migliori chef dei ristoranti lamorresi, e uno chef straniero, presentano piatti esclusivi abbinati a tre grandi annate di Barolo di La Morra. La cena itinerante inizia in Piazza Castello per spostarsi all’interno della Cantina Comunale, dove viene servito l’aperitivo in abbinamento a ottimi Champagne, e proseguire in giro per la città fino al dessert. La cena prenotazione è più che consigliata. 21 luglio, La Morra (Cn) Info: www.barolonight.com
Italian tradition since 1681
Candoni De Zan family
WWW.TENUTAPOLVARO.COM VIA POLVARO 35 • 30020 ANNONE VENETO • VE • ITALY
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Veneto Un insolito campo estivo Promuovere il territorio, far incontrare mondi diversi, conoscere grandi personaggi della cultura: con questi propositi torna Vacanze dell’Anima, il campus estivo nelle terre della Marca Trevigiana e della Pedemontana Veneta.Tema della manifestazione quest’anno “La transizione: opportunità per l’uomo e l’impresa”, declinato nelle sue molteplici sfaccettature. In programma nel pomeriggio il Laboratorio del Gusto dedicato al recupero delle antiche ricette della tradizione popolare veneta, proposto da Slow Food. E ancora visite guidate ed escursioni nei luoghi più inconsueti dei colli asolani, della Valcavasia e del Montello. 24-29 luglio, località varie Info: www.vacanzedellanima.it
Piemonte Musica per il palato Jazz Around The Clock è una rassegna dove musica, arte e tradizioni gastronomiche e culturali s’intrecciano indissolubilmente. Teatro dell’evento sono le vie cittadine, in particolare l’area che circonda la storica Torre Civica di Aymone di Challant (“the Clock”) dove si alternano musicisti e punti di interesse mangereccio. L’occasione è infatti buona per degustare i prodotti della tradizione locale, come la Toma di Lanzo, i Torcetti – dolci a base di pasta di pane, passati nello zucchero o nel miele – e… i grissini! Inventati proprio da un Lanzese, in collaborazione con il fornaio di Casa Savoia. 28 luglio, Lanzo Torinese Info: www.jazzaroundtheclock.net
Toscana Divertirsi come una volta Al suo esordio, Arezzo Giochi e Sapori è una manifestazione che coinvolge alcuni comuni delle vallate aretine, i quattro quartieri cittadini, le comunità straniere e chiunque desideri parteciparvi ed essere protagonista delle competizioni che mettono in scena gli antichi giochi della tradizione toscana, ma non solo. Un grande mercato dei sapori fa infatti da cornice alle esibizioni e offre ottimo cibo assieme al ristorante allestito per l’occasione, grazie al quale assaporare le eccellenze del territorio: la vera bistecca Chinina, la nana in forno, le tagliatelle al sugo, la minestra di pane… tutti realizzati con le primizie locali. 27-29 luglio, Arezzo Foto: Fotoclub La Chimera - Arezzo Info: www.turismo.provincia.arezzo.it
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Sicilia Invito a corte
Degustazioni gratuite di prodotti enogastronomici, mostre mercato di artigianato, visite guidate ai musei e alle chiese, il tutto avvolto da un’atmosfera medievale con musici, giocolieri, tenzone dei cavalieri templari, sonetti, madrigali e investitura dei cavalieri... Partecipare Alla Corte di Federico significa davvero fare un tuffo nel passato! A sfilare il Corteo storico di Santa Lucia del Mela composto da circa 100 figuranti, storicamente legato alla figura del sovrano Federico II di Svevia. 28-29 luglio, Santa Lucia Del Mela (Me) Info: www.corteostoricoantichetorri.it
appuntamenti in breve
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1 Festa Medioevale Gastronomia e spettacoli trasportano in un affascinante mondo oramai lontano secoli. 1 luglio, Brisighella (Ra) – Emilia-Romagna www.festemedioevali.org
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2 Il volo dell’angelo Rievocazione dell’Annunciazione che culmina con il celebre volo dell’angelo. 1 e 2 luglio, Vastogirardi (Is) – Molise Info: www.comune.vastogirardi.is.it
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ma de Il Gelato nel Piatto (in programma dal 24-29 luglio) con sfiziose proposte. 6 luglio, località varie – Emilia-Romagna www.lanotterosa.it www.ilgelatonelpiatto.it
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3 Sagra dei sapori del sud Ogni sera si gustano i piatti tipici del meridione d’Italia e delle isole. 1-7 luglio, Carcare (Sv) – Liguria Info: www.comune.carcare.sv.it
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4 Sagra della pappardella finocchietana La buona cucina di una volta in festa: pasta fatti a mano e carni alla griglia. 1-10 luglio, Stroncone (Tr) – Umbria Info: www.sagrapappardella.net
9 Exposition du Jambon de Bosses Festa consacrata al jambon Dop, tipico prosciutto crudo stagionato negli alpeggi di montagna. 6-8 luglio a Bosses (Ao) – Valle d’Aosta Info: www.lovevda.it
7 Plodar Runde Percorso a tappe con degustazione di prodotti tipici. 6-8 luglio, Sappada (Bl) – Veneto Info: www.sappadadolomiti.com
8 Festival della collina Danze e musiche folkloristiche dal mondo. 6-8 luglio, Cori (Lt) – Lazio Info: www.festivaldellacollina.it
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5 Festa della bruna Festa che si conclude con lo straccio del carro trionfale di cartapesta. 2 luglio, Matera – Basilicata Info: www.festadellabruna.it
6 Notte Rosa Durante la serata più lunga della riviera romagnola si festeggia anche l’antepri-
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10 Festa del prosciutto Sagra del celebre prodotto locale crudo, dolce e affumicato con legno di faggio aromatizzato con ginepro ed erbe. 7-8 luglio, Sauris (Ud) Info: www.sauris.org
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11 Arti e sapori della Valcellina
13 Cagliari in rosso
18 Sagra del Tartufo nero
Artigiani e produttori di tipicità in mostra. 8 luglio, Claut (Pn) – Friuli-Venezia Giulia Info: www.comune.claut.pn.it
Cinque giorni dedicati al tango argentino tra le vie del quartiere Castello. 11-15 luglio, Cagliari - Sardegna Info: www.sardegnasud.it
Profumo di tartufo estivo per le vie del bel borgo. 14-15 Luglio, Montegrimano (Pu) – Marche Info: www.montegrimano-terme.it
12 Festival della cucina di Langa e Roero Appuntamento che valorizza l’importante patrimonio di chef stellati che caratterizza il territorio. Consigliata prenotazione. 8 luglio, Alba (Cn) – Piemonte Info: www.gowinet.it
19 Stragusto Festa del cibo da strada del Mediterraneo. 20-22 luglio, Trapani – Sicilia Info: www.stragusto.it
20 Naskers Festival degli artisti di strada. 20-22 luglio, Naso (Me) - Sicilia Info: www.naskers.it
14 Ala città di velluto Attori e musicisti in abiti del ’700. Degustazione di vini e pietanze del passato. 13-15 luglio, Ala (Tn) Trentino-Alto Adige Info: www.cittadivelluto.it
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15 Strade in canto Rassegna di gruppi folk “da strada” nel centro storico. 13-15 luglio, Giulianova (Te) – Abruzzo Info: www.coralebraga.it
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Sagra che celebra la tipica puccia con le olive nere. 20-22, luglio Caprarica (Le) – Puglia Info: www.comune.caprarica.le.it
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21 Festa te la Uliata
22 A lezione di volo
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Tanti e sorprendenti gli appuntamenti con il volo simulato a Volandia, Parco e Museo del Volo, per esperti e principianti (over 12). dal 21 luglio, Somma Lombardo (Va) Info: www.volandia.it
16 Feta a l’Ano
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Occasione per degustare numerosi piatti a base d’asino e di assistere al tradizionale palio. 13-15 luglio, Ollomont (Ao) Valle d’Aosta Info: www.lovevda.it
17 Festa dei rioni
23 Sagra del Mascuotto
Giochi e gare per accaparrarsi il gallo nero del Chianti. Degustazioni e spettacoli. 13-15 luglio, Gaiole in Chianti (Si) Toscana Info: www.comune.gaiole.si.it
Protagonista dell’evento è il Mascuotto, pane di grano tostato preparato dai mastri fornai braciglianesi. 27-31 luglio, Bracigliano (Sa) – Campania Info: www.sagramascuotto.it
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Panorama 40
In ricordo di Luigi Veronelli Omaggio, fuori dal coro, di Riccardo Lagorio al grande giornalista e al suo pensiero tradito
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A cena col Sommo Poeta La storia del ristorante-museo di Firenze dove è affrescato il vero (?) profilo di Dante
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Il personaggio: Giuseppe Martelli Intervista al direttore di Assoenologi, da 30 anni vero “ambasciatore” del vino italiano
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L’indagine: i cibi industriali Prodotti confezionati, cattiva alimentazione e salute: ne parliamo con Marco Bianchi
da pag. 50 Rubriche Lo studio
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storie dall’Italia che merita
foto: Gianni Camocardi
Siamo alle solite: il cartellone di primedonne che celebra Luigi Veronelli è sempre lo stesso, con poche varianti. Tutti pronti a commemorare, glorificare, officiare salmi nei confronti del vero o presunto maestro. Maestro. Un termine che egli avrebbe rimandato al mittente senza pensarci un attimo. Maestro. Una parola che Veronelli non avrebbe mai accettato.A quasi otto anni dalla sua scomparsa si moltiplica il numero di coloro che gli sono… devoti. Mi ricordo che qualcuno, tra i numerosi blog che imperversano sulla rete, non celava, qualche settimana fa, il fastidio di sentire il rumoreggiare di allievi veri o presunti tali. Per quanto mi riguarda credo che davvero pochi appartengano alla prima categoria. Non so se io sono tra quelli, ma se c’è qualcuno che non ha mai tradito il pensiero veronelliano che ho contribuito in maniera fondamentale a realizzare negli ultimi anni della vita del grande giornalista, io non temo confronti. Fu la Denominazione Comunale il progetto a cui Veronelli dedicò l’ultima parte della sua vita. Quando ci conoscemmo ci univa l’amore e il rispetto nei confronti di Lucia. Era il nome di una delle sue figlie ma anche, mutatis mutandis, della mia insostituibile compagna d’allora. Oggi c’è chi celebra il pensiero di Veronelli tra passato e futuro. Il presente? Il presente se lo tengono per sé: è fatto delle marchette di chi scrive di vino, pasta, olio, conserve, pane e finanche ristoranti
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Veronelli, un ricordo fuori dal coro A 8 anni dalla scomparsa del grande giornalista e cantore della genuinità, Riccardo Lagorio ne omaggia la memoria non lesinando polemiche contro chi ha tradito il suo pensiero solo dietro tornaconto personale. Io sono orgoglioso di potere affermare che non ho e non ho mai avuto editori che mi hanno spinto a scrivere di questo o quel produttore o ristoratore, o di altro ancora, dietro sponsorizzazione. Per questo il mio rispetto nei confronti dei miei editori è massimo. Ed il loro nei miei è altrettanto alto. La mia sfida è rivolta a coloro che si inebriano nel definirsi figli legittimi del pensiero veronelliano e poi sono costretti a parlare dei soliti noti. Pecunia olet. Almeno in questo caso dovrebbero rendersi conto che il denaro puzza, benché serva a tutti, soprattutto nei momenti di crisi economica. E invece li trovi a descrivere i soliti vini, i soliti prodotti alimentari di medie aziende che sono le prime a sganciare qualche soldino per un posto sulla rivista o sul giornale, patinato o meno. Le Denominazioni Comunali. Sul suo
Corrierone,Veronelli, luglio 2002, mi definì “Il mio primo missionario”. Fui io, il mese precedente dello stesso anno, a realizzare quel suo sogno che le stesse amministrazioni comunali hanno poi tradito, banalizzandole con la consueta faciloneria, cercando nelle DE.CO. una via di propaganda gratuita che strumenti solo lontanamente paragonabili (tra cui i fantomatici slofudiani Presidi) avrebbero richiesto una spesa di parecchie migliaia di euro. Mi fa davvero specie vedere che, tra tutti i Soloni pronti a celebrare Luigi Veronelli, un numero consistente appartenga a coloro i quali sono più attenti alla cantina pronta a essere osannata con il giudizio sulle fantastiche guide che non al pensiero che il giornalista lombardo ha voluto lasciare: quello della unicità dei luoghi di produzione, della irripetibilità dei prodotti che nascono in un’area precisa, del saper fare legato da secoli a determinate pratiche manuali. Pronto a essere svilito il messaggio veronelliano sull’industria, sulla replicabilità dei prodotti di cultura materiale, sulle marchette che molti sanno fare magari elegantemente, senza però portare a un effettivo miglioramento del bene comune. “Ho lavorato, con Riccardo Lagorio, per il successo delle Denominazione Comunali. Non passa giorno che Comuni d’ogni luogo d’Italia aderiscano con nuove delibere. L’Italia ne avrà, finalmente, benessere e serenità” scriveva nel maggio 2004 Luigi Veronelli. A casaVeronelli si consumavano pasti frugali ma intellettualmente onesti. Spesso pasta al pomodoro e semplici bistecche di manzo al burro, cucinate dalle uniche persone a cui Luigi Veronelli dava del Lei: i suoi domestici. Qualche anno dopo la sua scomparsa riuscii a fare intitolare, in Comune di Vigolzone, Piacenza, l’unica via ancora oggi esistente dedicata a questo grande uomo. Senza tamburi e marc(h)ette, ne ebbe gratificazione l’Amministrazione comunale di allora. Io non ebbi un benché minimo riconoscimento (un grazie sarebbe stato più che sufficiente da parte di chi di dovere). Sotto il profilo tecnico invece, la critica veronelliana ai prodotti e ai luoghi ebbe in Francesco Arrigoni il suo interprete più maturo e qualificato. Anche Francesco ora è tra gli dei e, insieme a Luigi Veronelli, sta sicuramente dissertando su quei misconosciuti artefici dei migliori
prodotti italiani che sfuggono alle guide semplicemente perché non sono in grado di farsi conoscere tramite gli strumenti promozionali usuali (tra cui, vale la pena ricordare, una piccola inserzione a pagamento sulle riviste di riferimento o un bel regalo natalizio). Lassù li sta raggiungendo il profumo dell’ottimo vino di Leonardo Gallino in Cisterna d’Asti, dei maccheroncini di Campofilone di Catia Marilungo, degli insaccati di Antonio D’Aguì di Palizzi, dell’approccio colto e contadino alla terra per ottenerne formaggio di Arturo Maffeis in Cevo, di Nunzio Marcelli in Anversa degli Abruzzi e di Giorgio Bonati in Basilicanova. Quanti dei Soloni pronti a declamare Luigi Veronelli sarebbero pronti a esaltare le doti di costoro al di là del buono, del pulito, magari anche del giusto, eppure gratuitamente? Certo: neppure li conoscono: ma sono direttori di riviste patinate e strapagate. L’insegnamento che a me ha lasciato Luigi Veronelli è quello di investigare il territorio, non certo ricevere campioni da dietro la scrivania… Riccardo Lagorio
In apertura un bel ritratto di Luigi Veronelli. In questa pagina lo stesso Veronelli con Riccardo Lagorio (primo da destra) e un gruppo di produttori di vini e formaggi
“Sono in tanti a celebrare il pensiero di Veronelli tra passato e futuro. Il presente però lo tengono per sé, scrivendo di vino, olio, pasta e conserve per puro tornaconto personale” 41
storie dall’Italia che merita
A cena col Sommo Poeta A Firenze, in un palazzo storico del centro, Umberto Montano ci apre le porte del suo Alle Murate, ristorante-museo dove memorie artistiche e prelibatezze culinarie creano un’alchimia dal fascino senza pari di Gilda Ciaruffoli Quello che vi stiamo per svelare è il mistero del profilo di Dante. Ricordate l’iconografia classica del sommo poeta: naso adunco e sguardo severo. Ebbene le cose non stavano proprio così. E lo si è scoperto, in anni non troppo lontani, grazie ai lavori di restauro di quelli che oggi sono i magnifici interni del ristorante Alle Murate, a Firenze. A Umberto Montano, proprietario del prestigioso ristorante, abbiamo chiesto di raccontarci la storia di questa scoperta: «negli spazi di Via Proconsolo, prima del nostro ingresso, nel 2004, si trovava il vecchio magazzino di una famiglia che gestiva una merceria da oltre un secolo. È stato quasi per caso che sono inciampato in queste pareti affrescate, che si sono mantenute integre dalla seconda metà del 400 a oggi». Sembra una storia incredibile, ma alla base di questa scoperta ci sono ragioni storiche precise. Ci spiega Montano: «ci troviamo in uno dei palazzi più importanti della storia del medioevo dopo Palazzo Vecchio e il Bargello, sede ai tempi dell’Arte dei Giudici e Notai. Da qui anche il nome della via: il Proconsolo, capo di tutte le arti e corporazioni fiorentine, veniva infatti eletto proprio tra i membri di questa Arte. Con i Medici però il centro politico della città si spostò nei nuovi palazzi del potere di Piazza della Signoria e gli ormai passati simboli della democrazia repubblicana vennero dismessi. Così avvenne per questo splendido palazzo, sopravvissuto ai margini della storia fino a oggi». Sono 42
sopravvissute così anche le sue pareti e i loro dipinti, tra i quali l’ormai celebre lunetta decorativa con rappresentata l’effige dei grandi poeti del tempo voluta nel 300 da Coluccio Salutati. Quindi Petrarca, Boccaccio e, ovviamente, Dante. Un Dante molto diverso da Il volto di quello entrato ormai nell’immagiDante? Niente nario collettivo, il cui profilo è stato naso adunco e però fissato molto dopo la sua In alto, il profilo di Dante Alighieri, sotto quello di Umberto Montano un’insolita espressione morte, nel 500, e derivato da sugdolce. È possibile gestioni letterarie. «Il ritratto di via ammirarlo visitando Proconsolo è stato realizzato da un il ristorante-museo contemporaneo del Poeta ed è la Alle Murate rappresentazione più antica di quel Ma com’è arrivato Umberto Montano ad aprire questo volto “malinconico e pensoso” che Bocsplendido museo-ristorante? «Io sono di origine lucana e mi sono trasferito a Firenze nel 1981, non con le borse di cartone… caccio descrisse tanto bene», prosegue Moncon i sacchetti di plastica, tanto non avevo niente! C’era da poco tano. Niente naso adunco e un’insolita espressione stato il terremoto in Irpinia e i segni che aveva lasciato erano profondi. Fidolce quella che è possibile ammirare visitando il renze mi ha accolto: è una città che riconosce il merito, che dà una possibilità». E ristorante-museo Alle Murate. «Io sono un ristoper, come dice lui, “innaffiare” le proprie radici, proprio in Basilicata Montano sta portando avanti una serie di progetti per la salvaguardia della tradizione alimentaratore appassionato d’arte – ci spiega il proprietare. Con la locale Camera Commercio sta seguendo il progetto Ricette a Memoria, rio – e questa per me è l’espressione di due paslegato alla dieta Mediterranea e volto a valorizzare la cucina di Matera (entrambi, la sioni straordinarie. Ma anche una bella “dieta” e la città, patrimonio Unesco dell’Umanità), che vede coinvolti i ragazzi delle scuole medie. A loro è stato affidato il compito di documentare le ricette della proresponsabilità: siamo custodi di un patrimonio che pria famiglia trasmesse unicamente per via orale. «I risultati sono stati commoventi appartiene a tutti gli italiani». Le stanze del museo – ci dice Montano – e i ragazzi hanno scoperto una nuova passione per la cucina. sono visitabili con audioguide o, più spesso, in È proprio vero, come dice Tullio Gregocompagnia degli stessi gestori del ristorante. Ma ry, membro del comitato scientifico del concorso, che se vogliamo dare nuovo che tipo di cucina può confrontarsi con tanta belvigore alle tradizioni dobbiamo partire lezza artistica? «Noi proponiamo piatti tipici itadai giovani!». Montano sta seguendo liani basati sulla massima qualità della materia priinoltre un progetto con Unioncamema, che manipoliamo pochissimo: niente fritto e re per la creazione di un Archivio della Memoria nazionale, composto di video niente carbone nel nostro menù!». In cucina Giodocumenti che hanno come protavanna Iorio e la sua passione per le zuppe, punto goniste le massaie, «vere cultrici della fermi di una proposta stagionale che cambia al cucina tradizionale italiana» secondo Montano, riprese all’opera in cucina. mutare dei prodotti freschi disponibili.
Radici da innaffiare
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ilpersonaggiodelmese
zione enologi enotecnici italiani, ossia l’organizzazione di categoria che nel nostro paese raggruppa e rappresenta oltre il 90% dei tecnici vitivinicoli attivamente impegnati nel settore, e che, fondata nel 1891, è la più antica entità di categoria al mondo del settore vitivinicolo». Si presenta così Giuseppe Martelli, da 34 anni direttore Generale di Assoenologi. Sposato con Laura Vettorazzi, altoatesina, insegnante di tedesco, dalla quale ha avuto una figliaAnna, bocconiana, assistente marketing della divisione vini della Campari, Martelli risiede dalla nascita a Galliate in provincia di Novara e – ci racconta – si divide tra «Milano, dove si trova la sede centrale di Assoenologi, Roma, dove al Ministero delle politiche agricole sono Presidente del Comitato nazionale vini, e Parigi, dove per nove anni sono stato segretario generale, per tre vice presidente e per sei presidente dell’Union Internationale des Oenologues. Attualmente sono presidente onorario».
Giuseppe Martelli L'ambasciatore dell'Italia del vino Un curriculum da standing ovation e una vita sempre in viaggio per tutelare chi, come lui, della passione vinicola ha fatto un mestiere. Il direttore di Assoenologi si racconta e ci dice la sua sul rapporto tra qualità e innovazione in cantina e sull’importanza di una giusta cultura del bere
di Roberto Rabachino 44
«Ho 62 anni, sono enologo e biologo e durante il periodo universitario ho lavorato alle Tenute Sella & Mosca di Alghero. Nel 1974 ho avuto la cattedra di scienze all’Istituto di viticoltura e di enologia di Conegliano e nel contempo ho operato presso l’Istituto sperimentale per la viticoltura e l’enologia del Ministero dell’Agricoltura. Ho continuato a insegnare scienze fino alla fine del 1978, quando sono stato chiamato a dirigere l’Associa-
Tanti incarichi, tante responsabilità… Come direttore generale di Assoenologi ho la responsabilità della categoria e delle sue diciassette sedi periferiche, delle attività di aggiornamento e di difesa, di quelle di rappresentanza a livello nazionale e internazionale. Essendo giornalista sono anche autore di oltre 900 note tecniche e di informazione, e relatore in numerosi simposi e congressi sia in Italia che all’estero, dove, solo negli ultimi anni, ho tenuto conferenze istituzionali sul vino italiano a Pechino, Shangai, Hong Kong, Nuova Delhi, Bombey, New York, Montreal, Toronto, Città del Messico, oltre che ovviamente in tutti i principali Paesi dell’Unione Europea. Riconoscimenti pubblici? Quelli che mi stanno più a cuore sono quelli ricevuti nella mia Italia. Oscar Luigi Scalfaro nel 1996 mi ha conferito l’onorificenza di Commendatore e nel 2004 Carlo Azeglio Ciampi quella di Grande Ufficiale al merito della Repubblica Italiana.All’estero il più importante è quello ricevuto dal Ministro dell’agricoltura della Repubblica Francese, Bruno Le Maire, che recentemente mi ha conferito l’onorificenza di Cavaliere all’ordine del merito agricolo della Repubblica Francese.
Ma chi è l’enologo secondo Giuseppe Martelli? L’enologo è il professionista che, dalla produzione dell’uva alla sua trasformazione in vino, fino all’imbottigliamento e alla commercializzazione, decide ogni operazione al fine di ottenere il massimo della qualità, sia pure nelle diverse fasce e livelli di produzione. Non a caso il 40% degli enologi italiani svolge l’attività come direttore in cantine sociali e private, il 10% è libero professionista, mentre la rimanente percentuale è inserita con mansioni diverse. Una responsabilità non da poco per la nostra economia, visto che il vino è la prima voce delle nostre vendite agroalimentari all’estero con percentuali che in certi paesi, come Stati Uniti d’America, Giappone e Canada, sfiorano il 40% di tutto l’agroalimentare italiano. L’enologo ha fondamentalmente contribuito all’affermazione del vino italiano nel mondo, armonizzando sinergicamente tradizione e innovazione, innovando strutture e tecniche di produzione. È il professionista che ha saputo intercettare i gusti dei consumatori di nuovi mercati, che ha caparbiamente lavorato per far diventare il vino da semplice bevanda a genere voluttuario, portandolo a livelli fino a pochi anni fa insperati. Tradizione o innovazione? È inutile negarlo, anche i più scettici si sono convinti che la tradizione da sola non risolve i problemi, non migliora la qualità e che il vino, come qualsiasi altro prodotto agroalimentare, senza tecnologia solo casualmente può essere di qualità. I dati statistici dicono di un pericoloso incremento di consumo di alcol tra gli adolescenti. La sua opinione? I dati statistici sul consumo di alcol in Italia non deve essere l’ennesima occasione per demonizzare il vino, che viene erroneamente considerato elemento ancor più
Nel 1996 Martelli ha ricevuto da Oscar Luigi Scalfaro l’onorificenza di Commendatore, e nel 2004 Carlo Azeglio Ciampi gli ha conferito quella di Grande Ufficiale al merito della Repubblica Italiana
"Anche i più scettici si sono convinti che la tradizione da sola non risolve i problemi, e che il vino, come qualsiasi altro prodotto agroalimentare, senza tecnologia solo casualmente può essere di qualità"
pericoloso se accostato ai giovani. A un’attenta lettura dei dati dell’Istituto di rilevazione statistica si nota però che si è ridotto il numero di giovani che consuma quotidianamente vino e di quelli che bevono solo vino e birra. Diversamente è aumentata la porzione di adolescenti che consuma cocktail e bevande alcoliche diverse dal vino. Ricordo che dagli anni ’70 a oggi i consumi interni di vino sono scesi dai 120 litri pro capite agli attuali 43 e l’Italia figura negli ultimi posti in Europa nel rapporto tra alcol e incidenti stradali. Ogni abuso è da condannare ma non possiamo fare a meno di rilevare che siamo di fronte a una esagerazione mediatica che sta inculcando nei consumatori l’idea che il vino sia la causa di tutti gli incidenti stradali, senza mai far differenza tra vino e “intrugli” che vengono bevuti solo per sballare. Quasi che il consumo di una buona bottiglia durante il pasto sia un crimine e non un piacere. Tutti parlano delle “stragi del sabato sera”, ma nessuno dice che in realtà i giovani nei locali non bevono vino ma altro. 45
l'indagine
Cibi industriali: l’abbondanza si paga in salute? Per secoli, gli africani hanno mangiato solo cereali e gli asiatici riso e soia. E in quei territori, di malattie cronico-degenerative non si è mai nemmeno sentito parlare. In Occidente invece, negli ultimi 50 anni, all’ampliamento della varietà di prodotti offerti dalla Grande Distribuzione è corrisposto un aumento delle patologie come tumori, infarti, diabeti, ipertensione e obesità. È davvero questo il prezzo da pagare? Lo abbiamo chiesto al ricercatore Marco Bianchi, che ha stilato per noi una black list degli alimenti di Francesco Condoluci
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I dati parlano chiaro: negli ultimi decenni, l’abuso di cibi troppo elaborati e ricchi di grassi ha raddoppiato l’incidenza delle neoplasie nelle cause di mortalità in tutto il mondo occidentale e nei Paesi in via di sviluppo. E non solo: il “benessere” (inteso, in questo caso, come aumento della capacità di spesa media e quindi di quantità di cibo pro capite) ha fatto crescere esponenzialmente anche altre patologie come problemi cardiovascolari, infarti, diabete, ipertensione e obesità. Eppure gli essere umani, nel corso di tutta la storia della civiltà, per vivere, si sono sempre cibati. Ma le cosiddette “malattie cronico-degenerative di lunga genesi” hanno cominciato a colpire il genere umano in maniera sempre più sistematica solo nel corso del ’900: il secolo che, guarda caso, è coinciso con l’industrializzazione e la diffusione sociale del “benessere”. Che ci sia, insomma, un nesso logico e diretto tra il consumo sempre più ampio di “prodotti industriali” e il diffondersi di malattie legate alla cattiva alimentazione e agli stili di vita, è praticamente inconfutabile.
Negli ultimi 50 anni gli scaffali dei supermercati si sono allargati a dismisura. Ma per offrire sempre più varietà e abbondanza, e competere sul mercato, è stato necessario abbattere i costi, facendo entrare massicciamente la chimica nei laboratori, a tutto discapito di qualità e genuinità
Nel carrello: più scelta ma meno tutele per la salute Per cercare di analizzare questo rapporto di causaeffetto, occorre ripensare a come sia mutata l’offerta industriale di generi alimentari. Negli ultimi 50 anni, ad esempio, i banchi e gli scaffali delle botteghe e dei supermercati si sono allargati a dismisura. Da un limitato numero di referenze a disposizione dei consumatori negli anni 50-60 (quando nacquero i primi ipermercati) si è passati, nel volgere di mezzo secolo, a poter scegliere tra una gamma gigantesca di prodotti. Ma l’incremento della varietà di cibi da acquistare non vuol dire maggiore possibilità di praticare la buona alimentazione. Anzi. La storia ci insegna che molte popolazioni sono sopravvissute per secoli, mangiando soltanto pochissime pietanze sane e complete. In Asia, per centinaia di anni, si sono nutriti, ad esempio, di riso e soia, nel Sudamerica di manioca, in Africa di legumi e cereali: e in questi territori, non vi è stata pressoché traccia di diabete e colesterolo. L’Occidente invece, mal-
grado il suo “sviluppo” e la grande disponibilità di mezzi e di danaro, non ha saputo tutelare la salute. Al contrario, ha fatto di tutto per affossarla, sostituendo gradualmente – nel campo delle produzioni alimentari – il concetto di “semplicità” con quelli della varietà e dell’abbondanza, in nome di logiche industriali e di profitto. Ma per offrire sempre più varietà e abbondanza e poter competere sul mercato a prezzi concorrenziali, è stato necessario abbattere i costi, facendo entrare massicciamente la chimica nei laboratori, a tutto discapito della qualità e della genuinità. Il resto è storia nota. I cibi industriali si sono diffusi su larghissima scala, portando con sé tutto il loro
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l'indagine
carico di grassi, soprattutto di origine animale, e di zuccheri, lasciando per strada, per converso, fibre, vitamine, minerali e grassi insaturi.
Il segreto? Tornare al passato. Parola di Marco Bianchi
La black list dei cibi • bibite gassate troppo ricche di zuccheri dannosi per l’organismo • eccesso di salumi espone a rischi di natura oncologica nel tratto gastrointestinale • intingoli e salse da condimento troppi ricchi di grassi saturi • fritti e i prefritti pronti da scaldare pregni di grassi • dolciumi con molti ingredienti o troppo elaborati • prodotti integrali fatti con farina raffinata e aggiunta di crusca
… e delle sostanze • grassi idrogenati • grassi vegetali di incerta provenienza tipo “oli tropicali” non meglio specificati • mescolanze di dolce e salato • sale in dosi superiori a 5 gr • coloranti artificiali
In alto, Marco Bianchi ricercatore dell’Ifom, centro per lo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori a livello molecolare, autore di libri in tema di salute alimentare e conduttore di trasmissioni come Tesoro, salviamo i ragazzi e In linea con Marco Bianchi
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Marco Bianchi è un giovane ricercatore e divulgatore scientifico dell’Ifom, il centro di ricerca ad alta tecnologia dedicato allo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori a livello molecolare. Un volto noto al grande pubblico non solo per la sua attività di ricerca contro il cancro, ma anche per la conduzione di programmi televisivi di successo sulla rete FOXlife come Tesoro, salviamo i ragazzi e In linea con Marco Bianchi. Uno scienziato che ha scelto di“comunicare”, dal piccolo schermo, la prevenzione anticancro attraverso originali e seguitissime lezioni pratiche in cucina. È a lui che ci siamo rivolti per capire meglio la correlazione tra cattiva alimentazione, cibi industriali e aumento delle malattie. Quali sono i numeri che confermano questa tesi? Gli studi dicono che ormai il 65% delle patologie più diffuse sono correlate alla cattiva alimentazione.Mangiando sano si potrebbero prevenire infatti le malattie cardiovascolari e oncologiche così come quelle di origine metabolica quali diabete, ipercolesterolemia e glicemia. Ci sono alimenti che influiscono direttamente sulla salute, in senso negativo. Penso ad esempio alle bevande gassate e zuccherate: oggi, in Italia, 1 bambino su 9 è obeso o addirittura diabetico. Nella gran parte dei casi, la causa dell’obesità infantile va ricercata nell’abuso di questo tipo di bevande, il cui consumo nel nostro Paese, non a caso, è in preoccupante aumento. Se nel 2008, il 41% di bambini di età compresa tra gli 8 e gli 11 anni consumava bevande zuccherate, quest’anno la percentuale è salita fino al 48%. Uno studio epidemiologico condotto in Francia qualche tempo fa, e successivamente diffuso anche in Italia con il nome “Okkio alla salute”, ha dimostrato inoltre che almeno il 30% dei decessi per patologie tumorali che si registrano, potrebbe essere evitato attraverso la buona alimentazione e uno stile di vita più corretto.
Il problema sono i prodotti industriali? O lo stile di vita, che porta a scegliere cibi confezionati? Bé, certamente i cibi industriali, precotti e preconfezionati, spesso vengono realizzati senza prestare molta attenzione all’aspetto salutistico, come invece si potrebbe fare cucinando a casa. Ma dalla parte del consumatore, d’altronde, c’è anche la possibilità di scegliere. Basterebbe evitare, ad esempio, prodotti con overdosaggio di zuccheri e grassi, facendo attenzione alle etichette. Il trucco sta sempre in questo: fare attenzione a ciò che si mangia. Prendiamo il caso del sale: la “soglia massima di tolleranza” per la salute è di 5 grammi a pasto, mentre in Italia il consumo medio galleggia tra i 12 e i 16. Già solo un panino con l’affettato, uno dei pasti più consumati fuori casa, ne contiene circa 6. Questo per dimostrare che nel rapporto tra salute e alimentazione, un ruolo di non poco conto lo gioca il nostro stile di vi-
I consigli della Fondazione Umberto Veronesi
I 10 alimenti amici della salute • arance • pomodori • broccoli • frutta secca • legumi • aglio e cipolla • peperoncino • semi di sesamo, lino e girasole • frutti di bosco • uva
ta.Anche se, ripeto, le responsabilità dell’industria ci sono tutte: basti pensare all’abuso che si fa dell’arricchimento di sale che ormai trovi anche nei dolci preconfezionati. Basso costo significa sempre bassa qualità? No, direi di no. Anzi. Un esempio illuminante è quello dei legumi: costano poco e sono sempre di buona qualità. Al contrario, ci possono essere prodotti venduti a costi importanti ma che, a dispetto del prezzo, contengono sostanze nocive. Il prezzo, a mio avviso, non può essere utilizzato come parametro di scelta: piuttosto ritengo che, in linea generale, bisognerebbe scegliere cibi poco elaborati e con meno ingredienti possibili. Guardare al passato, al recupero dei cibi di una volta, può essere una soluzione? Perché no? Del resto, è incredibile pensare a come possano essere caduti in disuso cereali
integrali di straordinarie proprietà salutistiche come il farro e il miglio. O a come non si trovi quasi più la polenta taragna, quella di grano saraceno grezzo, che è stata sostituita invece sul mercato dalla polenta gialla. Per non parlare dell’olio extravergine d’oliva: è vergognoso che si faccia fatica a reperire quello puramente italiano. Forse soltanto nel Mezzogiorno si continuano a utilizzare quei prodotti più genuini e legati alla tradizione che consentono una corretta alimentazione. Come ad esempio i legumi, vero cardine della Dieta Mediterranea.
Numerosi studi dimostrano che alcune molecole contenute in questi alimenti svolgono una funzione protettiva contro l’insorgenza di malattie cronicodegenerative come cancro, patologie cardiovascolari e diabete.
Come si fa a formare una nuova coscienza alimentare nei consumatori? Con le agenzie educative, i programmi di sensibilizzazione o con vere e proprie azioni di contrasto al trash-food e alle multinazionali che impongono cattivi modelli alimentari? L’informazione e l’educazione alimentare sono fondamentali. Dalla scuola, all’oratorio ai centri sportivi, bisognerebbe insegnare ai ragazzi come ci si alimenta correttamente. L’informazione deve essere legata tuttavia alla pratica, e dunque alle ricette, agli assaggi, alla messa in atto dell’educazione a una sana nutrizione. Ed è quello che cerco di fare io nella mia attività di “comunicatore della cultura alimentare”, parallela a quella di ricercatore scientifico. Purtroppo la televisione non sempre aiuta: su quella generalista, a tutt’oggi, continua a esserci fin troppo spazio per il trash-food. 49
lo studio
Italiani bocciati all’esame di gastronomia Siamo il paese per eccellenza nel campo della cucina, grazie soprattutto a ricette e prodotti tipici regionali, eppure gli italiani, come emerge da uno studio promosso da VdG Magazine, pensano che il Culatello sia una persona molto fortunata e confondono le Zeppole con un tipo di scarpa rialzata
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La cucina italiana è una delle bellezze che più ci invidiano all’estero, ma gli italiani, interrogati sul mondo della cucina, mostrano grosse lacune. Associano il nome di alcuni piatti tipici regionali con significati del tutto fuorvianti. Nonostante 7 italiani su 10 dichiarano di badare molto all’italianità dei prodotti acquistati, e nonostante quasi la metà (49%) ha affermato di essere abbastanza ferrato sull’argomento, facendo molta attenzione al gusto (22%) o al territorio di provenienza (31%), emerge tuttavia un’ignoranza diffusa sul mondo della gastronomia. Gli errori più grossolani? Più di 8 italiani su 10 alla parola Erbazzone, classica torta emiliana a base di verdure, pensano a un nomignolo usato a Roma per chiamare i giardinieri o a una parolaccia romanesca, mentre 5 su 10 associano lo Sfincione siciliano non alla torta salata tipica della Sicilia, ma credono sia il soprannome dato ai bulletti locali dell’isola. Gli errori più clamorosi? Pensare che il Culatello sia una persona molto fortunata e confondere le Zeppole con un tipo di scarpa rialzata. Se le specialità regionali sono il fiore all’occhiello dell’eccellenza italiana, gli abitanti del Belpaese dimostrano di non conoscere a fondo i tesori di casa propria.
Quanto bada all’italianità dei prodotti che acquista?
Cosa sono le Zeppole?
Sempre
55%
Scarpe con un tipo di suola completamente rialzata
40%
Il più delle volte
17%
Frittelle di Carnevale
32%
Abbastanza
13%
Gruppo musicale
25%
Poco
12%
Altro
3%
Per nulla
3%
Quanto pensa di conoscere le specialità locali della cucina italiana?
Nonostante la metà degli italiani affermi di essere abbastanza ferrato in tema e attento a scelte di qualità, emerge tuttavia un’ignoranza diffusa sul mondo della gastronomia
Cos’è l’Arancello? Nome del Paese specializzato nella produzione di arance
48%
Conosco tutte le più importanti specialità locali
Liquore di arancia
29%
49%
Un arma da guerra medievale
18%
Conosco solo quelle legate alla mia terra
28%
Altro
5%
Conosco poco delle specialità locali
11%
Conosco alcune tra le più famose
8%
Altro
4%
Cos’è l’Erbazzone? Nomignolo romano usato per chiamare 41% il giardiniere
Su cosa rivolgi la tua attenzione quando devi scegliere un prodotto?
Una parolaccia in romanesco
36%
Torta a base di verdure tipicamente emiliana
21%
Sulla provenienza
31%
Altro
2%
Sul prezzo
27%
Sulla qualità e sul gusto
22%
Sul brand
11%
Altro
7%
Cosa sono le Chiacchiere e le bugie? Serie di frasi non vere
51%
Dolci tipici del carnevale
42%
Altro
7%
Cosa sono i Mostaccioni napoletani?
Cosa sono i Pepatelli teramani? Popolazione barbara originaria della Turchia
39%
Dolci tipici della cucina abruzzese simili ai cantucci
27%
Gruppo musicale
22%
Altro
12%
Cos’è la Pinza bolognese? Tipico utensile utilizzato dai meccanici emiliani
45%
Torta tipica bolognese
34% 19% 2%
Baffi tipici del capoluogo partenopeo
47%
Ballo locale bolognese
Dolci tipici natalizi
39%
Altro
Altro
14%
Cosa sono i Pitoni di Messina?
Cos’è lo Sfincione siciliano?
Tipico rettile che vive a Messina
44%
Nomignolo per identificare i bulletti in Sicilia
48%
Panzerotti siciliani farciti con verdure
28%
Tipico pesce che vive nelle acque sicule
26%
Reperti archeologici della città
20%
Torta salata tipica della Sicilia
21%
8%
Altro
5%
Altro
Cosa sono le Pignolate?
Cos’è il Culatello?
Pugni dati con forza bruta
45%
Biscotti tipici della cucina ligure
32%
Espressione riferita a chi è omosessuale 22%
Un modo di contestare l’arbitro allo stadio
19%
Altro
Altro
4%
Persona molto fortunata
39%
Parte muscolosa più grossa degli arti posteriori del suino
36%
3%
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Cucina Italiana_Layout 1 09/11/11 10.50 Pagina 1
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Raccolta Latte: Il latte di pecora, materia prima del Pecorino Romano, viene raccolto da greggi altamente selezionate prevalentemente dai ricchi pascoli del fertile Agro Romano, da Ottobre a Giugno, nel rispetto del ciclo naturale della pecora da latte.
Salatura: esclusivamente a secco! BRVNELLI ancora oggi come secoli fa, secondo la tradizione romana, porta avanti la salatura a secco, anzichĂŠ ad immersione in salamoia
Stagionatura: dai 12 ai 18 mesi, in antiche grotte naturali tufacee risalenti al periodo Etrusco-Romano del I sec. A.C.
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Finitura: tipica dell’antica Roma e che ancora oggi contraddistingue il BRVNELLI D.O.P. è la sua caratteristica scorza nera, la “cappaturaâ€? nera come comunemente viene definita, simbolo della tradizione Romana
AUT. CONSORZIO PER LA TUTELA DEL FORMAGGIO PECORINO ROMANO N. 63/92 - D.P.R. 30/10/1995 MODIF. COND D.M. 06/06/1995 D.O.P. - REG. CE 1107/96
GARANTITO DAL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI AI SENSI DELL’ART. 10 DEL REG. (CE) 510/2006
Cibo&Territorio 60
sapori perduti
alla ricerca di cibi e terre dimenticate pag. 54
Cucina slovena Nei Balcani che sanno ancora d’Italia per ritrovare tradizioni gastronomiche perdute
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Sapori d’Istria Noi li abbiamo scordati, gli istriani no. Sono i cibi del Belpaese di una volta
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Il giardino delle erbe scomparse A Casola Valsenio per ritrovare ricette cadute nell’oblio e svelare antichi segreti officinali
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Il fagiolo Zolfino In Alta Val d’Arno non hanno mai smesso di coltivare questo rarissimo e secolare legume
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La salsiccia gialla di Modena Una specialità, scomparsa nell’800, che oggi sta rinascendo grazie a chef e gastronomi
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Il cibo da strada toscano Lampredotti, trippe, porchette e sanguinacci: lo street food che a Firenze si mangia da secoli
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Lo strolghino emiliano Rischiava di perdersi per sempre, questo tipico salume della Bassa. Poi ci ha pensato Pongolini
da pag. 84 Rubriche
• La storia in cucina • L’olio • Orto • Il buono a tavola • Chef italiani nel mondo
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tra cibi e terre dimenticate cover story
Alla ricerca dei sapori perduti Erbe aromatiche, farina di grano arso e lattume di tonno, il “maiale del mare”. E ancora: fegatini di agnello e mele limoncelle. Sono solo alcuni esempi dei cibi di una volta – quelli della “cucina povera” oggi soppiantata dalle mode e dai piatti comodi e veloci – che evocano ricordi e nostalgia del tempo che fu. Eppure, c’è ancora chi dal passato non vuole smettere di trarre ispirazione. E gusto di Chiara Mojana
Le pagine ingiallite scritte in bella calligrafia e inchiostro scuro, raccontano di tè preparati con le foglie di fragola, zuppe di ortiche, cosce di rana fritte, risotti con le creste di gallo, stracotti d’asino e torte al cacao con sangue di gallina. Quello che oggi sembra quasi un libro di pozioni magiche, altro non è che il quaderno delle ricette della nonna.Tutt’altro che strega, lei. Vero angelo della casa che per mettere insieme ogni giorno il pranzo con la cena, sapeva fare di necessità virtù e utilizzare ciò che la natura le metteva a disposizione di mese in mese nei campi, nell’orto e nel cortile. Era il tempo delle cucine economiche, alimentate a legna
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e sulle quali c’era sempre qualche pentola a far “pippare” minestre, stracotti e ragù. Era il tempo delle lunghe cotture e di piatti che oggi hanno il buon profumo dei ricordi e della nostalgia di un tempo che fu. Già, perché sono bastate un paio di generazioni per creare il black out, per far sì che quel “tesoretto” tramandato da madre in figlia si fermasse davanti alla comodità di un frigorifero e di un supermercato e alla rapidità di un forno a microonde. Ingredienti, ricette e, ancora prima di queste, le abitudini alimentari sono profondamente cambiati insieme a una società in corsa verso una sempre maggiore velocità del cucinare e del consumare. E anche del produrre, a favore di varietà orticole e di razze animali maggiormente produttive. Così, in una manciata di decenni le ricette di famiglia sono diventate una sorta di archeologia alimentare. Perché anche a volerle ripetere, oggi ci si scontra con l’impossibilità di reperire gli ingredienti giusti: di asini non ce ne sono quasi più, di rane neanche a parlarne! E anche gli strumenti di cottura tradizionali, come le casseruole in terracotta o i testi in ghisa, trovano sempre meno posto nelle cucine moderne che brillano di acciaio inox. Eppure, c’è ancora chi dal passato non vuole smettere di trarre ispirazione. E non per una questione di risparmio.
Dai fiori di burro al grano arso A Ronco Biellese, in Piemonte, ad esempio, c’è un giardino che profuma di un centinaio di essenze, erbe e fiori. È quello di Bianca Rosa Zumaglini, ultraottantenne autrice di molti libri di cultura alimentare e ricette tradizionali (Graphot Editrice di Torino) ma soprattutto eccelsa intenditrice delle erbe spontanee e aromatiche per uso gastronomico. «Ho imparato a conoscerle parlando con la gente e cercandole in collina e in montagna. Ed è dove ci sono solo le malghe che ho imparato di più, perché in alta montagna le persone devono davvero vivere con quello che hanno», racconta la signora Bianca. Dai malgari
In una manciata di decenni le ricette di famiglia sono diventate una sorta di archeologia alimentare. Perché anche a volerle ripetere, oggi ci si scontra con l’impossibilità di reperire gli ingredienti e gli strumenti di cottura tradizionali. Una sfida difficile, ma non impossibile: basta vedere come alcuni “cuochi-custodi” stanno riportando in vita i preparati di una volta
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tra cibi e terre dimenticate cover story
ha imparato a riconoscere le erbe più insolite, come il trifoglio alpino, che cresce sopra i mille metri di altitudine e i cui fiori contengono un grasso dal sapore simile al burro d’alpe. «Per questo li chiamano anche i fiori del burro», spiega Bianca, «la loro fioritura è intensa e dura circa un mese in estate. I malgari li raccoglievano e quando tornavano alla baita, la sera, li usavano per cucinare. Per friggere un uovo o per fare la fonduta, per esempio, mettevano nella pentola una bella manciata di questi petali rosa, che sul calore cedevano una sostanza che diventava grasso di cottura e condimento dei cibi». Era un modo per fare economia e non consumare il burro vero, che andava venduto in cambio di denaro. Dai fiori di burro delle montagne piemontesi al grano “arso” della Puglia si arriva praticando la stessa arte, quella dell’arrangiarsi. Infatti, in un tempo non lontano, nel cosiddetto “granaio d’Italia” anche le spighe che rimanevano nei campi dopo la mietitura venivano raccolte. E i poveri tra i più poveri andavano a recuperare persino i chicchi di grano bruciato
dopo che le stoppie venivano incendiate per preparare il terreno alla coltura successiva. «Li macinavano e ne ricavavano una farina nera e fibrosa, che miscelavano con quel poco di farina bianca che avevano a disposizione per renderla meno sgradevole al palato e con questa facevano pagnotte, orecchiette e maccheroni», racconta Peppe Zullo, cuoco-custode degli antichi sapori a Orsara di Puglia (Foggia). Oppure, la scambiavano: un chilo di farina di grano arso per un paio d’etti scarsi di costossima farina bianca. Oggi, il grano arso è prodotto in piccole quantità per gli appassionati gourmet, ma è diventato altra cosa rispetto all’antica farina dei contadini. I chicchi non vengono più bruciati (la combustione è vietata dalla legge perché sprigiona sostanze dannose per la salute), ma tostati quel che basta per conferire alla farina un aroma particolare, che ricorda il caffè, l’orzo e la nocciola. Da cibo della miseria a prodotto di nicchia, la farina di grano arso è oggi tra le più care sul mercato, insieme a quella di Kamut, una varietà di grano antico diventata marchio statunitense.
La cucina povera che vien dal mare Dall’alto: un quartetto di zampe di rana fritte; il trifoglio alpino, i cui fiori contengono un grasso dal sapore simile al burro d’alpe; una preparzione con il grano arso; e, in fine, la bottarga di tonno
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La storia della farina di grano arso è comune a quella di tanti prodotti che un tempo erano consumati solo dai più indigenti, mentre oggi sono diventati veri e propri must gastronomici. Due esempi che vengono dal mare: la bottarga di tonno di Sicilia e Sardegna e la colatura di alici della Costiera Amalfitana. La prima è nata dalla necessità di utilizzare a scopo alimentare gli scarti della lavorazione del tonno, a ragion veduta definito il “maiale del mare”, perché del suo corpo non si buttava via niente. Infatti, mentre la carne fresca era destinata a un remunerativo commercio, le viscere di questi grandi pesci del Mediterraneo venivano regalate ai poveri pescatori,che trovarono il modo per conservare le uova degli esemplari femmina.Salandole ed essiccandole,le trasformavano in un ingrediente dal sapore molto intenso, da consumare a lamelle o grattugiato come si fa con il Parmigiano. Allo stesso modo, dalle viscere dei pesci maschi hanno imparato a ricavare quel-
Come ti riprendo il “quinto quarto” Non solo dal pesce ma anche dalla macellazione degli animali, un tempo non era vergogna recuperare gli scarti, ossia quel “quinto quarto” che nel linguaggio dei macellai indica le parti che hanno poco valore sul mercato, come le interiora, le teste o le code degli animali. I ricettari regionali della nostra tradizione italiana sono ricchi di ricette per cucinare queste parti: dal Fegato alla Veneziana alla romana Coda alIn alto, il cuoco agricoltore Peppe Zullo, chef del ristorante Piano Paradiso, in compagnia la vaccinara, dal Pane ca’ meusa (con la milza) di una classica cucina economica d’altri tempi. Sotto, un piatto di coratella d’agnello siciliano a quello con il lampredotto fiorentino fino alle cervella che entrano a pieno titolo Il tempo nel ripieno della Cima alla Genovese. Oggi, delle mele che a forza di fare la spesa all’ipermercato si tende a pensare che i polli siano fatti di sole Chianella, gelata, cucuzzara, limoncella... Sono solo cosce e i manzi di filetti e costate, queste parti alcune delle tante varietà finiscono sempre più raramente sulla nostra di mele che il cuocotavola e sono usate soprattutto per l’alimenagricoltore Peppe Zullo tazione animale. Eppure, sapientemente lavocolleziona nel suo frutteto di Orsara e contribuisce a rate, anche questi tagli poveri hanno una loro salvare dall’oblio. «Ognuna valenza tanto a livello nutritivo quanto gudi loro matura in mesi stativo. «Il problema è che i cuochi oggi non diversi e questo una volta era fondamentale per il imparano quasi più a lavorarli, perché è più sostentamento della gente, comodo aspettare il camion del fornitore che quando non esistevano consegna la carne già porzionata», sottolinea le moderne tecniche di Peppe Zullo, che nel suo ristorante ancora lo che in Sicilia chiamano il lattume e in Sardegna conservazione. Molte mele portano questo propone con successo gustosi piatti della culfigatello, che altro non è che lo sperma sottoposto concetto nel nome, come tura povera, come i Fegatini di agnello al proallo stesso procedimento di trasformazione delle la mela di Sant’Antonio fumo di alloro, e le carni delle locali vacche uova. La colatura di alici, invece, è il liquido che che matura verso il 13 di di razza podolica. «Sono animali che fanno si produce con la maturazione e la pressione delle giugno». La sua preferita è la limoncella, una varietà movimento e che quindi hanno carne alici fresche poste sotto sale in grandi conteautunnale dai frutti dura, che va frollata e lavorata a nitori, una volta private di testa e intepiccoli e profumatissimi, lungo, ma per fortuna da noi riora. Oggi la colatura è prodotta che ricordano l’aroma del limone. «Mia nonna ci sono ancora macellai con grandi attenzioni a Cetara “Il ritorno metteva un coccio di che hanno voglia di fare (Salerno), ma è da secoli che terracotta direttamente alla tradizione davvero il loro lavoro. è presente sulle tavole dei nel camino con queste da parte dei giovani Cosa che non avviepoveri pescatori, dove con mele piccolissime, acqua è il nostro futuro, perché e zucchero e le cuoceva ne più in tante granil suo sapore intenso raplentamente, finché il senza conoscere di città, dove anche presentava un sostitutivo tutto diventava un dolce la storia non si va nei migliori ristoranti del pesce fresco. Oggi andelizioso». la carne facilmente arche il grande cuoco Gualda nessuna parte” Ristorante Piano Paradiso riva già affettata da Artiero Marchesi la usa nel suo Massimo Spigaroli Via Piano Paradiso gentina, Scozia ed Europa ristorante, con raffinata semOrsara di Puglia (Fg) dell’est», conclude lo chef. plicità: sugli spaghetti. www.peppezullo.it
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tra cibi e terre dimenticate cover story
In basso: Michele Caracino, storico chef del Clubino di Milano, che ci dice la sua sulla cucina di ieri e di oggi
La rivincita dei salumi e degli ortaggi La rapida scomparsa dei vecchi modi di vivere ha creato tuttavia un’immensa nostalgia del passato.Ed ecco studenti universitari che partecipano a lezioni sul pane fatto in casa e giovani professionisti che per hobby tornano a mettere le mani nella terra come i loro nonni e imparano a fare l’orto sul balcone. Mentre i più temerari si cimentano persino nell’arte del trasformare il maiale in salumi. «È un fenomeno in forte crescita, che non credo sia dovuto solo alla crisi economica», precisa Massimo Spigaroli, cuoco e famoso norcino che nella sua azienda agricola di Polesine Parmense, oltre a produrre uno strepitoso Culatello, organizza anche corsi per imparare a fare le conserve di ortaggi e i salumi, proprio come una volta. «Il ritorno alla tradizione da parte dei giovani è il nostro futuro, perché senza conoscere la storia non si va da nessuna parte – continua Spigaroli – la mia ricerca dei sapori perduti è iniziata nel 2001, quando sono stato chiamato a realizzare un menù “verdiano” per celebrare i cent’anni dalla morte del grande compositore parmense e mi sono reso conto di quanto gli ingredienti fossero cambiati nell’arco di un secolo. Per esempio, i maiali erano neri e piccoli e anche i capponi erano di una razza diversa, le carote erano più pallide e le verze più piccole
L’opinione dello chef di Michele Caracino È vero, tanti piatti della tradizione culinaria italiana sono caduti nel dimenticatoio. All’interno dei menù di alcuni ristoranti delle nostre città, negli ultimi anni, non trovi altro che liste di carpacci (scoprendo poi, nel caso di quello “di ananas”, che altro non è che ananas puro, tagliato con l’affettatrice), tartare di ogni genere, sia di carne che di pesce, pesce crudo con lo zenzero e altri piatti che con la nostra cultura culinaria c’entrano davvero ben poco! A differenza invece delle pietanze della “cucina povera e popolare” – vera quintessenza del nostro patrimonio enogastronomico – che è raro trovare nei menù, perlomeno in quelli dei ristoranti delle grandi città: penso ad esempio alla pasta e fagioli, al minestrone, alle zuppe con prodotti 58
e saporite. Così ho deciso di tornare a produrre tutte queste cose nella mia azienda. Ho cercato il maiale nero dei tempi di Verdi e l’ho trovato sull’appennino tosco-emiliano e così ho fatto per tanti altri prodotti ora presenti della mia azienda agricola». Prima gli ingredienti e poi le ricette che oggi Massimo propone nel suo raffinato ristorante (Antica Corte Pallavicina Strada del Palazzo DueTorri 3,Polesine Parmense,Tel. 0524936539 ,www.acpallavicina.com) eseguendole con grande fedeltà alla tradizione, anche per quanto riguarda le tecniche di cottura. «Tipiche di questa mia terra che confina con l’acqua del Po sono le cotture nella creta e nella sabbia – racconta ancora lo chef – e un tempo quando d’inverno i boscaioli incontravano i pescatori era una gran festa. I primi portavano legna e vino, i secondi il pesce: si faceva il fuoco in una buca scavata nella sabbia e si cuoceva all’interno il pesce, proteggendo le carni con uno strato di frasche».Preparazioni che hanno il gusto della semplicità e che sanno emozionare. E che grazie al lavoro di tanti “cuochicustodi” come Bianca Rosa, Peppe e Massimo stanno tornando a nuova vita in molte regioni italiane. Bisogna saper distinguere però. Perché l’unica cosa davvero tipica in tanti menù, sagre e “ritrovate” specialità alimentari è… la furbizia di chi le vende!
dell’orto, agli gnocchi di semolino gratinato, allo spezzatino di vitello con piselli, alla trippa di foiolo con fagioli, alle torte caserecce salate, alla trota alla mugnaia, allo sgombro dell’adriatico, alle triglie alla mornese o alla mozzarella in carrozza, tipico piatto napoletano e leccornia per il palato. E ancora: uno squisito piatto toscano come il cibreo di regaglie (di cui vi lascio a fianco la ricetta) o una specialità milanese come i mondeghili, sono letteralmente scomparsi dalle nostre tavole. Nella mia regione, l’Abruzzo, nessuno, ad esempio, fa più il pane cotto: fette di pane raffermo, buon brodo di pollo, cipolla rosolata e un uovo fritto. Lo stesso accade per le sagne chine, tipica specialità del passato calabrese, per la pasta con i broccoli arriminati (cavolfiori) e le crespelle ‘mbusse tipiche dei giorni di festa. O per il cibo da strada, quello cioè che già nell’antica Roma le classi popolari consumavano comprandolo nelle botteghe o da venditori ambulanti e che solo di recente, invece, è stato riscoperto dal mondo gastronomico italiano. Per concludere, vorrei suggerire a tutti la lettura de Le ricette regionali italiane di Anna Gosetti, un libro leggendario che esalta la cultura del mangiar bene, dando il giusto valore alle tradizioni culinarie ormai perdute.
Cibreo di regaglie (Toscana) Ingredienti per 4 persone: 400 gr di fegatini, ovette e creste di pollo, 30 gr di burro, 3 uova, farina bianca, poco brodo, mezzo limone, sale e pepe. Preparazione: pulite i fegatini togliendo le parti a contatto con il fiele, poi insieme con le creste scottateli in acqua in ebollizione; toglieteli subito dall’acqua, tagliate i fegatini a pezzi e raschiate le creste spellandole, poi tagliate anche queste. Mettete in una casseruola il burro e soffriggetelo senza farlo colorire, poi unite le creste e lasciatele cuocere per circa 30 minuti con un poco di brodo. Aggiungete le ovette e i fegatini, salate e pepate. Rompete in una terrina i tuorli e sbatteteli unendo un cucchiaio scarso di farina, il succo di mezzo limone e, poco a poco, mezzo mescolino di brodo bollente, sbattendo velocemente affinché le uova non abbiano a cuocersi. Versate il composto sulle regaglie sempre mescolando nello stesso senso per un minuto, poi servitele ben calde.
tra cibi e terre dimenticate cover story
La cucina slovena che sa ancora d’Italia Un viaggio della memoria, seguendo la rotta tracciata da una vecchia Guida Gastronomica pubblicata dal Touring Club del 1931, quando le province oggi slovene, appartenevano al Belpaese. Dopo quasi un secolo, quei territori sono rimasti immutati. Come i prodotti e i piatti della tradizione italiana di Riccardo Lagorio 60
Ormai è accertato. Le lingue parlate e portate dagli emigranti nei paesi del mondo, si fossilizzano al tempo dell’arrivo nelle nuove terre. È sufficiente spostarsi in Argentina per ascoltare parlate italiche che da noi non si sentono più. Non è raro che ciò avvenga anche per il cibo. Uomini e donne portano con sé gusti e pratiche culinarie che nell’area d’origine si evolvono più in fretta. O magari vanno perdute. Abbiamo così cercato di dare conferma a questa ipotesi avendo tra le mani la prima Guida Gastronomica d’Italia pubblicata dal Touring Club nel 1931, e giusto 80 anni dopo siamo andati nelle terre delle ex province di Gorizia, Trieste e Pola, che ora appartengono a Slovenia e Croazia. Avvincen-
Slovenia
Trieste
te il viaggio in territori spesso immutati dopo quasi un secolo, ma ancora più affascinante scoprire come da quel tempo molti prodotti e piatti siano ancora reperibili, con pochissime correzioni.
Lungo il limpido Isonzo Come il formaggio ovino di Plezzo. Nel secolo scorso assai rinomato, tanto quello da tavola quanto quello da grattugia, nella località che dista pochi chilometri dal confine con l’Italia, risulta essere ancora una delle specialità locali. Boštian Jelinćič ha aperto un agriturismo nel 1989 a Sonzia – nella valle che porta ai 1611 metri del Passo Versice, tra i più alti della Slovenia – forte dell’esperienza di cinque genera-
zione di pastori. Prima che i pendii fossero ricoperti di boschi, gli animali pascolavano sulle rive bianche dell’Isonzo, dalle acque prodigiosamente azzurre. Così, benché si potesse vendere con più facilità la lana bianca, a metà Ottocento fu necessario introdurre nelle greggi pecore nere per riconoscere A metà 800 la posizione degli animali al pai pastori sloveni scolo. I numerosi incroci hanno inserirono pecore nere tra dato vita alla pecora plezzana, quelle bianche al pascolo da cui l’ottimo formaggio e la lungo le rive dell’Isonzo, ricotta salata, skuta. La pretalmente chiare che altrimenti parazione di questo gustoso sarebbe stato difficile prodotto avviene frantumanindividuare do la ricotta dopo tre giorni dalle greggi la produzione e aggiungendo sale. Queste azioni vanno ripetute per tre settimane e se ne ottiene una crema moderatamente piccante che è uso consumare con le patate, čompe in skuta. Ancora ricco di trote, l’Isonzo è campo di gara per pesca alla mosca ma offre anche forti emozioni ai praticanti di rafting. Seguendone il corso, a Caporetto, la Latteria Stella Alpina (Tel. +386 53841000) tramanda la cultura della preparazione di formaggio vaccino, sulla scorta della tradizione dei pascoli alpini sfruttati già dal XII secolo. Un interessante museo, ricco di suppellettili, illustra le fasi di sviluppo dell’arte casearia. Un piccolo ma interessante caseificio turnario gestito da quattro allevatori locali si trova invece ancora merose cantine che conservano gli storici vitigni in funzione nel bucolico villaggio di Ciadra, ai di questa parte di Slovenia. Hanno saputo valopiedi di erti prati e pascoli sovrastanti la gola del rizzare in particolare il Refosco di colore rosso fiume Tolminca. Il formaggio, del peso medio di carico e secco Edvin Širca di Codignano (Tel. 3 kg, viene venduto perlopiù a Tolmino quando +386 57640632) e il Terrano, ricco di colore, raggiunge i 60 giorni di stagionatura, raramenrobusto, secco la famiglia Štoca a Villa Cargna te più maturo. A pochi chilometri da Gorizia, (Tel. +386 57640327) con l’accompagnamensempre lungo il corso dell’Isonzo, dolce pasquato di vitigni internazionali per migliorarne il rile del borgo di Castagnevizza è la gubana, tortisultato finale (eccezionale il Carsus), ma anche glione di pasta contenente uva secca, noci, manspumantizzandolo per conseguire un risultato dorle, pinoli, cedro e arancia canditi, rhum. fresco e allegro (Prima). La diffusione e notorietà del Terrano ha indotto l’Azienda Agricola Lo spirito delle valli Žerjal di Tomadio (Tel. +386 57641759) a utiProcedendo verso sud-est, il Carso sloveno, nel lizzarlo in misura pari al 10% nella cagliata per triangolo delimitato da Comeno, San Daniele averne formaggio di capra. Ne fa un prodotto del Carso e Tomadio, si caratterizza per le nuviolaceo, simpatico alla vista e piacevole al gu-
In apertura il Golfo di Pirano. In questa pagina: un gregge di pecore plezzane e il monastero di Castagnevizza. Sotto la gubana, dolce tipico del borgo goriziano
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L’aromatico prosciutto del Carso A Sesana, in località Corgnale, si trova uno dei prosciuttifici autorizzati alla produzione di Prosciutto del Carso Igp, il Prosciuttificio Lokev (Tel. +386 57318120). La caratteristica principale del prosciutto del Carso sloveno è quella della colorazione rosata della fetta, ben marezzata e cinta da una piacevole aureola di grasso. L’assenza di grasso infatti penalizzerebbe la complessità aromatica data dalla presenza della bora, che conferisce fragranza e consistenza al prodotto finale. Il ricambio d’aria naturale delle sale di stagionatura e l’utilizzo del sale di Sicciole sono due fattori che rendono unico questo prodotto, stagionato tra i 12 e i 16 mesi. Numerose le modalità di consumo del prosciutto del Carso. Senz’altro la più caratteristica passa sotto il nome di toč: viene preparato un fondo di vino Terrano e una fetta sufficientemente spessa di prosciutto viene scaldata sino a fare perdere il contenuto d’alcol al liquido. Il piatto viene servito con polenta di mais.
In alto: il formaggio di capra reso violaceo dall’aggiunta di Terrano alla cagliata. Sotto, una parete di prosciutti del Carso
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sto anche grazie alla ricchezza floristica dei prati e dei pascoli carsici, indice di un’elevata biodiversità vegetale. Non manca, ovviamente, il formaggio caprino tradizionale, particolarmente apprezzato semistagionato sul mercato di Capodistria. Latte e yogurt di capra sono altri elementi innovativi di questo minuscolo caseificio familiare. A Corgnale merita visita il Museo militare Tabor, dove si possono rinvenire rari pezzi di contenitori di prodotti alimentari in uso tra le due guerre, tra cui un’originale bottiglia di Amaro di Zara, i cui liquorifici godevano di grande rinomanza, specie per il maraschino.A pochi chilometri verso l’entroterra e lungo il fiume Timavo, a un’altitudine compresa tra i 450 e i 500 metri sul livello del mare, si incontrano i Colli Birchini, famosi per la produzione, dal XVIII secolo, di frutta, specie susine e mele. Dopo un periodo in cui la frutticoltura ha rischiato di scomparire, sono oggi oltre 120 i frutticoltori locali che coltivano 153 ettari di terreno e hanno riportato alla luce prodotti tradizionali dell’area. Su tutti l’acquavite di susine, lo slivoviz, che necessita di particolari cure per la preparazione del mosto, della fermentazione e della distillazione. Risulta ancora più buono dopo un lungo invecchiamento; pregevole quello dell’Azienda Morelj di Buie di San Pietro del Carso (Tel. +386 57621027). Ma il territorio dei Birchini era un importante produttore anche di mele, che si vendevano a Trieste e Fiume. I frutteti piantati alla fine dell’Ottocento furono di grande aiuto
La migliore compagna di viaggio La ricerca e le interviste con i produttori si sono svolte in differenti ambienti, affrontando sentieri sterrati e autostrade, e in condizioni atmosferiche tra le più variegate durante il mese di giugno 2012. Non potevamo scegliere miglior compagna di viaggio della Range Rover Evoque. Si è dimostrata adatta su tutti i tratti effettuati, ma soprattutto idonea sia a viaggi di lunga percorrenza per la comodità dei sedili e il comfort della guida, sia a brevi tratti di strada per la facilità nella maneggevolezza. Esternamente, l’automobile mantiene la signorilità inglese comune alle altre sorelle maggiori, seppur integrata con modernità e sportività. Completa di tutti i comandi elettronici, è anche dotata di una precisa strumentazione GPS, che ci ha guidato da Milano alla Slovenia sino a farci sconfinare in Croazia. Il quadro strumenti possiede una retroilluminazione bianca, che risulta particolarmente leggibile. La facilità di guida e di regolazione delle sedute è uno degli elementi che ci ha più colpito. In situazioni di forte pioggia su tragitti di montagna ha mantenuto perfettamente la strada. Assai capiente il bagagliaio. (in foto, la Range Rover Evoque sullo sfondo delle Saline di Sicciole)
Scelti per voi dove mangiare economico alle popolazioni locali durante le due Guerre. Grazie all’alto contenuto di zuccheri e alla loro croccantezza, le mele vengono essiccate, ma se ne fanno anche acquaviti attraverso la distillazione, e aceto. Quello profumato all’aglio ursino dell’Azienda Agricola Biščak, sempre di Buie (Tel. +386 57620143), è delicato e gustoso. Doverosa una deviazione verso Cristoglie, lungo la valle del fiume Risano, per ammirare gli straordinari affreschi quattrocenteschi di Giovanni da Castua e la celebre Danza Macabra, prima di dirigersi verso lo sbocco sloveno all’Adriatico, che ci porterà a congiungerci all’itinerario croato alla ricerca dei cibi perduti. Eccoci allora nel mezzo del Golfo di Pirano, all’interno del Parco delle Saline, dove è ubicato l’allevamento ittico Fonda (Tel. +386 56779045). Un microclima favorevole, l’assenza di antivegetativi nel trattamento delle reti e il lungo periodo trascorso prima che il pesce sia adatto a essere pescato, comportano la presenza di un basso contenuto di mercurio nella polpa, che lo rende indicato alle gestanti e ai lattanti. Uno dei pochi pesci che si distinguono per il marchio, viene venduto con speciali imballaggi, recapitabili direttamente a casa.A poche centinaia di metri, in un paesaggio incantato, le saline di Sicciole sono le saline più a nord nell’Adriatico. Interessante il Museo sulla flora e fauna, prima di un acquisto di sale leggero e non raffinato. A meno di un chilometro la frontiera con la Croazia, l’Istria.
Dopo un periodo in cui la frutticoltura ha rischiato di scomparire, in Slovenia sono oggi oltre 120 i frutticoltori locali. Grazie a loro sono tornati alla luce diversi prodotti tradizionali dell’area, su tutti l’acquavite di susine
Ristorante Topli Val Storico ristorante di pesce di mare, propone sublimi crudità e piatti moderatamente creativi che mantengono tutto il gusto dell’Adriatico. Anche hotel fornito di buon livello di servizio. Prezzo medio: 40 euro senza vino Piazza Svoboda, 1 - Caporetto Tel. +386 53899300 Trattoria Malovec Dall’esperienza di una famiglia da decenni proprietaria della migliore macelleria della zona è nata questa trattoria che serve eccellenti tagli di origine tolminozza e plezzana. Adatta per carnivori! Discrete camere. Prezzo medio: 30 euro senza vino Strada del Carso, 30 - Divaccia Tel. +386 57631225 Trattoria Muha Gestita dalla stessa famiglia da oltre un secolo, genuina e confortevole trattoria che evoca ricordi d’antan. Proposte gastronomiche carsoline che conquistano per semplicità e gusto. Prezzo medio: 30 euro senza vino Corgnale - Divaccia Tel: +386 57670055
dove dormire Dall’alto il castelliere di Cristoglie, dove è possibile ammirare affreschi del 400 e una celebre Danza Macabra. A seguire, le saline di Sicciole e, in basso, la signora Morelj produttrice di slivoviz
Hotel Grahor Piacevole e moderna struttura, dotata di tutti i comfort. La cordialità del personale è un’ottima ragione per tornare. Accanto, gestito dalla stessa famiglia, l’ottimo ristorante con pesce dell’Adriatico. Prezzo medio: 90 euro la doppia Danna, 6 - Sesana Tel. +386 57312061 Appartamenti Jankovi Nella quiete del piccolo villaggio della Valle Vreme, opportunità di sistemazione per ogni necessità. Ciascun appartamento è provvisto di cucina e internet senza fili. Prezzo medio: 60 euro la doppia Cave Auremiane, 11 Divaccia-Slovenia Tel. +386 57626001 Grand Hotel San Bernardin Dedicato a chi desidera trascorrere in completo relax il tempo libero: eccellente sistemazione vista mare. Prezzo medio: 180 euro la doppia Via Obala, 2 - Portorose Tel. +386 56907000
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tra cibi e terre dimenticate cover story
Istria: il Mediterraneo com’era una volta Una penisola fatta di coste frastagliate e di borghi antichi in pietra. Il suo presente parla croato. Ma il suo passato, fino al secondo Dopoguerra, appartiene all’Italia. E ancora oggi, tutto qui rimanda allo Stivale. Dalla cultura alla gastronomia, ricca di cibi che in parte, da noi, abbiamo scordato di Riccardo Lagorio
Una penisola a forma di cuore, che pulsa del verde intenso dei boschi appoggiata sul blu di un mare ancora trasparente. Con i suoi 400 chilometri di costa, l’Istria è un paradiso naturale dove le strade si fanno largo tra muretti di pietra, pinete e villaggi. Ma in Istria non si va solo per le meraviglie del paesaggio: un’opportunità in più è la cucina, ricca di piatti della memoria, che porta in tavola il Mediterraneo com’era. Infatti alcuni prodotti e piatti della tradizione gastronomica istriana sono immutati da decenni, forse ancora da quando in questi luoghi sventolava il drappo del Leone di San Marco. Un esempio è senz’altro la minestra di bobici che si può ordinare presso la Trattoria Stari Podrum di Momiano (Tel. +385 52779152). Pochi e semplici gli ingredienti: granoturco novello, fagioli, patate e prosciutto affumicato. Il locale, che fu sede della prima distilleria nata in Istria, propone anche la rara carne di boscarin, il bue istriano che serviva per i faticosi lavori nei campi e che ha corso serio rischio di estinzione. Lunghissime cotture al forno con aromi e vino bianco lo rendono ideale con la polenta. La tranquillità del borgo, affacciato sul fiume Quieto, non ha eguali. Anche l’Agriturismo Tikel (a Raccotole, in Comune di Caroiba, Tel. +385 52683404) propone schietta cucina istriana: da non perdere i fusi, la pasta di acqua e farina che le donne arrotolavano sulle ginocchia. Ancora, come agli inizi del secolo scorso, il piatto delle solennità nelle campagne istriane sono pe64
Croazia
Istria
In apertura, il borgo di Montona. Qui, la minestreina di Rovigno con le fave, piatto simbolo della cittadina, in basso, la Range Rover Evoque che ha percorso con noi l’Istria da nord a sud
rò i graffi, grossi ravioli semidolci con uva passa, formaggio pecorino, ristretto di sugo di gallina e uova, serviti con sugo di gallina. Chiara Pusec del Velo Kafe di Albona (Tel. +385 52852745) li propone anche dolci con ripieno di mandorle, miele di salvia e sugo di grappa. Qui e in pochi altri locali è possibile riservarsi dei parpagnacchi, trecce di pasta frolla come se ne fanno ancora nel Vicentino preparati con miele, scorza di limone, spezie e noci macinate.
In direzione Pola L’itinerario prosegue da Albona verso Dignano, passando per Arsa: quello che era il polo minerario istriano dove il tempo si è fermato ai primi decenni del Novecento. Il pantano che si trova al termine dell’insenatura di Capo Ubas è convegno di caccia acquatica per beccacce, starne, pernici e quaglie di passo. Da qui il percorso porta a Dignano. Sergio Delton (Tel. +385 915112073) produce una rara specialità istriana, il vin de rose, quella delle grandi occasioni. La produzione è fedele alla tradizione: l’uva, Malvasia istriana, viene selezionata durante la vendemmia e poi stesa a essiccare all’aria sino a Natale. Dopo la pigiatura il mosto viene messo a lenta fermentazione in botticelle di rovere sino al Natale successivo, applicando almeno tre travasi. Il gusto ricorda
frutta secca e datteri. Negli ultimi anni intorno a Dignano sono in atto progetti di recupero delle casite, ricoveri di campagna dalla pianta circolare, altrettanto caratteristici quanto le masiere, i muretti a secco. Lungo il litorale tra Peroi e Barbariga, invece, si possono visitare i resti di sette basiliche paleocristiane, erette tra il V e VII secolo. Pochi chilometri ci dividono da Rovigno, un tempo isola dai panorami mozzafiato, oggi città cinta da una corona di isolotti dove sopravvivono le batane, le imbarcazioni da pesca tradizionali dal ventre piatto, e il canto popolare rovignese, la bitinada. L’appuntamento qui è con il ristorante La Puntuleina (Tel. +385 52813186). Luogo incantevole che dà direttamente sugli scogli, guidato da Giovanni e Miriana Pellizzer. Pesce del giorno al forno con patate, penne alla granseola del mare di Rovigno e filetto di orata al tartufo di Pinguente, i piatti da non dimenticare. Ma soprattutto, in primavera, qui si deve passare per un assaggio del piatto fossile preparato con fave fresche soffritte con prosciutto, cipolla e riso, la minestreina. Darna, antica fabbrica di liquori (Tel. +385 52813228), è la sopravvissuta delle numerose distillerie che caratterizzavano Rovigno negli anni Venti del secolo scorso. Riconosciuto come simbolo del territorio, il Pelinkovac, amaro ottenuto con ingredienti naturali e conservato in botti di quercia, viene venduto nel minuscolo spaccio aziendale. A pochi chilometri il Canale di Leme, un’insenatura dalle pareti scoscese, da secoli conosciuto per l’allevamento di ostriche, mitili e branzini. Leme
tra cibi e terre dimenticate cover story
I colori dell’Istria Un interessante esperimento di collaborazione, unico in Croazia, lo si sta attuando con la creazione di una “microzona” nel nord dell’Istria, con Umago e Cittanova, affacciate sul mare che con Buie e Verteneglio, sulle colline in prossimità della costa offrono un comprensorio adatto a diverse esigenze. Le località, offrono le loro eccellenze (dall’enogastronomia ai resort di lusso) attraverso un portale web appositamente allestito, ma anche gli intrattenimenti che perfettamente si sposano al territorio: più di 70 campi da tennis immersi nella lunga pineta in riva al mare e numerosi percorsi cicloturistici adatti anche ai bambini, oltre a quelli più impegnativi nell’interno per gli appassionati. www.coloursofistria.com
Scelti per voi dove dormire Hotel Kaštel All’interno delle mura, camere rilassanti. Il riposante giardino e un piacevole centro benessere sono il biglietto da visita dell’hotel. Vista sulle colline intorno. Prezzo medio: 120 euro la doppia Montona Tel. +385 52681607 Hotel Sanfior Il qualificato centro benessere è solo uno dei motivi per raggiungere questa struttura luminosa, immersa in una fresca pineta che si protende nel mare. Prezzo medio: 140 euro la doppia Porto Albona Tel. +385 52465200 Hotel Lone Uno dei migliori del Mediterraneo. Struttura avveniristica, servizio impeccabile, numerose le opportunità per sentirsi coccolati. Centro benessere da maestoso relax. Prezzo medio: 200 euro la doppia Rovigno Tel. +385 52632000
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La curiosità: qui “dormì” Casanova
da limes, confine. Il luogo era infatti il confine tra i territori romani di Parenzo e Pola. Ancora oggi, su un’insolita palafitta degli anni Sessanta, Emil Sošić (Tel. +385 98414512) alleva tartufi di mare, arcadinoè, ostriche e soprattutto cozze, che crescono dalla polpa perfetta grazie alle numerose sorgenti di acqua dolce e fresca lungo i 12 chilometri di lunghezza del fiordo. Emil Sošić ha adottato un interessante metodo per mantenere le conchiglie in movimento: appendere le casse dove vivono e lasciare che le onde e le maree le cullino. A Verteneglio il Ristorante San Rocco (Tel. +385 52725000) coniuga sapori di mare e di terra, come è la stessa Istria: dal Quarnaro gli scampi più saporiti, dalla valle del Quieto il miglior tartufo, nero e bianco. Nella frazione Villanova del Quieto, Franco Cattunar è capofila di un progetto coordinato dall’Università di Fiume e dell’Istituto agronomico di Parenzo. Nella sua cantina (Tel. +385 52720496) viene studiato l’effetto delle diverse composizioni del terreno sulla Malvasia istriana: i terreni grigio, rosso, bianco e nero producono quattro vini diversi per profumo, gusto, mineralità.Anche a Buie, riconoscibile dalla
Orsera, paesino abbarbicata su un poggio che si leva dal mare, fu sosta privilegiata di Giacomo Casanova. In suo onore si organizza ogni anno a fine giugno il Casanovafest, Festival dell’amore e dell’erotismo. Nelle sue campagne si coltivano inoltre buone quantità di nocciole.
coppia dei campanili alti sulla cittadina, la vite attecchisce a meraviglia e custodisce un altro prodotto reliquia, la mistella: la Cantina Celega (Tel. +385 52772726) raccoglie in avanzato stato di maturazione Moscato rosa e Malvasia istriana, fa appassire gli acini migliori e, una volta pigiati, il vino riposa per una decina d’anni prima di essere servito per le grandi occasioni. Dal colore ambrato, è irraggiungibile per aroma e gusto. A chiudere un ideale cerchio, l’ultima tappa è Salvore, con il più antico faro del Mediterraneo, costruito nel 1818. A pochi chilometri dalla punta estrema dell’Istria, nella macchia mediterranea, il Prosciuttificio Pitip (Tel. +385 52737013) continua la tradizione del rinomato prosciutto istriano. Due le tipologie: di Antignano, nell’entroterra dove non soffia la bora e pelle e grasso vengono tolte per accelerare la stagionatura; e di Umago, dove pelle e grasso vengono mantenuti. Anche il prosciutto ci riporta alla più autentica tradizione istriana, non ancora scomparsa. È vero: il Mediterraneo com’era…
cibo&territorio
Casola Valsenio
Emilia Romagna
Nel paese delle erbe e dei frutti dimenticati Amuleti contro il malocchio, filtri d’amore e incantesimi a Casola Valsenio, dove si recuperano sapori perduti e si stimolano i cinque sensi di Ida Santilli
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La signora Katia ci accoglie sorridente nel suo ristorante nel cuore del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola, in prossimità del confine con la Toscana. Coadiuvata dal marito Eolo Visani, appassionato di ecologia, è una vera forza della natura: si diletta ai fornelli in una cucina alternativa che attribuisce alle erbe aromatiche e spontanee un ruolo di primo piano (non dimentichiamo che Casola Valsenio è conosciuto come il “paese delle erbe e dei frutti dimenticati”) e rende accattivante il pasto dei suoi ospiti con divertenti storie di superstizione, incantesimi e magia tutte ambientate nel
paese rinomato nel mondo per le erbe coltivate nel suo giardino officinale. Da lei ascoltiamo di giovani che, nell’antichità, attaccavano al pannello del letto un mazzolino fresco di iperico. Con il tempo il ramoscello si seccava e, a furia di spostare il letto per ripiegare le lenzuola ogni mattina, arrivava il giorno che si staccava dalla testata e cadeva a terra. Era quello il momento in cui la ragazza avrebbe trovato marito: la fanciulla avrebbe sposato il primo giovane che fosse passato sotto casa. Se così non fosse stato, sarebbe rimasta zitella. C’è un altro aneddoto legato alle erbe officinali: molte giovani infatti si
Mai assaggiato un topino? Durante la Festa del Marrone, che si tiene il secondo fine settimana di ottobre, si possono assaggiare castagne cotte nell’acqua con l’alloro (balòc) oppure arrostite sulla fiamma (brusé) o cotte nel forno della stufa a legna (spasmé) dopo averle “castrate”, cioè dopo aver praticato un piccolo taglio. Tra i dolci, il castagnaccio e i ravioli, detti topini, preparati con la polpa di marrone arrostiti. Per la valorizzazione del prodotto è stato creato un percorso ad hoc: la Strada dei Castagneti, un itinerario che tocca circa 80 aziende agricole con oltre 450 ettari coltivati a castagneto da frutto tra le valli dei fiumi Senio, Lamone e Sintria. Il terzo fine settimana di ottobre, invece, si svolge la Festa dei Frutti Dimenticati che porta in piazza e nei menù dei ristoranti della zona giuggiole, pere spadone, corniole, nespole, corbezzoli, azzeruole, sorbe e uva spina. Frutti che rappresentavano l’alimentazione quotidiana della collina di un tempo. Un mondo scomparso con l’introduzione del consumo di massa e che la festa casolana recupera con conferenze e banchetti e ricostruzioni del mondo contadino tradizionale. La bella manifestazione però non è la sola in Emilia-Romagna ad accendere le luci sulle produzioni un tempo molto amate e oggi abbandonate. Feste omologhe si svolgono ad esempio a Pennabilli, dove in autunno gli “antichi frutti” si ritrovano. Qui, in pieno centro storico, si trova anche l’Orto dei Frutti Dimenticati nato da un’idea di Tonino Guerra, che ha voluto un «museo dei sapori utile a farci toccare il passato». E ancora, si festeggia il 29 e il 30 settembre a Guastalla con la manifestazione Piante e Animali Perduti. L’appuntamento più curioso? La possibilità di portarsi a casa e curare per un periodo una gallina ovaiola! Concludiamo infine tornando a Casola Valsenio. L’invito infatti è quello di non andarsene via senza prima aver assaggiato il migliaccio, un antico piatto tipico a base di mele cotogne, pere volpine, mele gialle, cioccolato, pane, raffermo grattugiato, canditi e riso con l’aggiunta di sangue di maiale (info: www.terredifaenza.it).
In alto Katia Fava ritratta con i suoi intrugli d’amore e, sotto, bei filari di odorosa lavanda
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cibo&territorio
Strada della lavanda o Giardino delle erbe? Gli amanti delle due ruote possono qui cimentarsi in percorsi adatti a tutte le gambe: circuiti ad anello si snodano fra Faenza, Brisighella, Casola Valsenio, Riolo Terme, Castel Bolognese e Solarolo. Le strade sono ben mantenute e gradevoli da affrontare. Vi consigliamo di salire a Monte Albano, il passo che unisce Casola Valsenio e Zattaglia, sulla Strada della Lavanda, con i campi di peschi in fiore. Per gli appassionati di mountain bike, c’è La Corolla delle Ginestre, un grande anello opportunamente segnalato. È possibile richiedere la guida Pedalare nelle Terre di Faenza, contenente i vari itinerari chiamando lo 054671044. Tra una pedalata e l’altra, approfittatene per visitare il Museo Internazionale delle Ceramiche a Faenza (Tel. 0546697311, www. micfaenza.org) oppure il Giardino delle Erbe di Casola Valsenio. Qui vengono coltivate, disposte a terrazze, circa 450 specie di piante utilizzate in cucina, nella medicina e nella cosmesi (Tel. 054673158, www.ilgiardinodelleerbe.it). Lungo la Strada del Sangiovese delle Colline di Faenza si possono assaggiare i vini e la cucina del territorio, mentre il Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola (Centro visite Ca’ Carnè Tel. 054680628, www.parcovenadelgesso.it), circondato da caratteristici calanchi argillosi, contiene una fitta rete di strade e sentieri, da percorrere, oltre che in bicicletta, anche a piedi e a cavallo (Tel. 054671044, www.terredifaenza.it).
Tra erbe, fiori, ceramiche e vino, tante sono le alternative per trascorrere il vostro tempo libero in quest’angolo di Romagna. In sella a una bici poi è ancora meglio, grazie alla guida Pedalare nelle Terre di Faenza
Casola Valsenio è noto nel mondo per le erbe coltivate nel suo giardino officinale. Qui si ritrovano vecchie ricette e si scoprono antichi segreti. Chi di voi infatti sa che il corbezzolo ha proprietà astringenti e antireumatiche? O che la giuggiola è ricca di vitamine e può essere utilizzata contro le irritazioni di bronchi e intestino?
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Scelti per voi rivolgevano alle anziane del paese per farsi preparare intrugli in grado di stregare i giovanotti amati. Non stupitevi, dunque se, alla fine della cena, Katia arriva con il carrellino ricolmo di bottiglie di liquori. Avrete modo di assaggiare i suoi elisir d’amore e di avere una dettagliata descrizione delle benefiche proprietà in essi contenute: chi di voi infatti sa che il corbezzolo, bacca di colore rosso di sapore dolce e leggermente acidulo, ha proprietà astringenti e antireumatiche? O che la giuggiola, originaria dell’Oriente, è ricca di vitamine e può essere utilizzata contro le irritazioni di bronchi e intestino? Per stupire i suoi ospiti, Katia ha creato dei menù a tema che propone nei diversi periodi dell’anno: quello “magico” prevede zuppa della strega, con dente di leone, lingua di cane, artiglio di drago e coda cavallina, il maiale antimalocchio, l’insalata del bosco incantato. In occasione della festa della donna, le ospiti assaggeranno melanzana della rosa, l’ombelico di Venere, il volo di farfalle al dolce cuore di Luisa, tagliolini alla contessa di Colorno, il piccolo scrigno dal cuore d’oro e la torta mimosa. Nelle proposte estive spiccano la zuppa di fiordalisi, i fagottini di rose, i margheritoni ai papaveri, i pacchetti di lattuga alla camomilla, il gelato alla calendula. Katia organizza inoltre tutto l’anno corsi di cucina a base di erbe e frutti dimenticati. Una volta imparate le ricette, potrete trovare tutti gli ingredienti sui banchetti del mercatino serale delle erbe allestito nel centro storico tutti i venerdì di luglio, a partire dal 6, e di agosto fino al 24, dalle 18 alle 24. Inoltre, nel corso delle serate potrete partecipare a incontri e conferenze sulla coltivazione e l’uso di queste piante. I ristoranti casolani proporranno per l’occasione interessanti e gustosi menù e assaggi a base di erbe.
dove mangiare Ristorante Fava Prezzo medio: 35 euro. Via Giuseppe Cenni, 70 Tel. 0546 73908 www.ristorantefava.it
In alto, il Bioresidence Ringhiera, hotel interamente realizzato in bioedilizia. Sotto: pere volpine, tra le antiche specie di pera spesso dimenticate, e un invitante piatto con bomboniere di alchechengi e budino ai corbezzoli
Osteria della Fonte Deve il suo nome alla presenza di un antico pozzo. È il luogo ideale per bere un buon bicchiere di Sangiovese locale ma non solo, data l’ampia scelta di etichette, abbinato alla degustazione di formaggi e salumi come la mora romagnola. Via Naldi, 20 Brisighella (Ra) Tel. 3472927042 www.osteriadellafonte2.it Trattoria di Strada Casale Il grande camino al centro della sala crea un’atmosfera accogliente. Materie prime di qualità per menù stagionali. Il locale si distingue per i secondi, soprattutto per le grigliate (prezzo medio: 40 euro) Via Strada Casale, 22 Brisighella (Ra) Tel. 054688054
dove dormire Bio residence Ri-genera Sono cinque come i sensi che vengono stuzzicati, gli appartamenti di questa struttura che ritempra il fisico e la mente con bagni multisensoriali, docce idromassaggio, essenze per profumare l’ambiente e musica di sottofondo (100 euro l’appartamento con 3-4 posti letto). Via Belfiore Tel. 054673793 www.biorigenera.com Agriturismo La Felce Immerso nel verde del Monte Mauro. Il momento più bello della giornata? La colazione: vi portano un cestino ripieno di sfiziose confetture di loro produzione (45 euro la doppia) Via Monte Mauro, 8/b Zattaglia – Brisighella (Ra) Tel. 3388430029 www.agriturismolafelce.it Agriturismo La Ca’Nova Possibilità di passeggiate guidate a cavallo lungo i sentieri della vallata, escursioni a piedi lungo l’itinerario La corolla delle ginestre, oppure di concedersi una nuotata in piscina. All’interno, anche un museo della civiltà contadina (41 euro la doppia). Via Breta, 29 Tel. 054675177 www.agriturcanova.it
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cibo&territorio
Fagiolo Zolfino,
memoria dell’Alta Val d’Arno
C’è un legame fortissimo, un vincolo secolare, tra questo legume dalla limitatissima produzione e la sua terra d’elezione. Tanto che i produttori non hanno mai smesso di coltivarlo e di custodirlo. Oggi, consapevoli della sua bontà e della sua importanza, vogliono offrire tale patrimonio alla conoscenza di chi è in cerca di sapori antichi di Rosalia Imperato
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Nell’alta valle dell’Arno, tra le colline e le pendici montuose del Pratomagno, la passione e il lavoro di un piccolo ed “eroico” gruppo di agricoltori toscani ha permesso di salvaguardare e rilanciare un prelibato prodotto tradizionale: il fagiolo Zolfino. «Tutto il nostro lavoro parte da un concetto molto semplice – afferma Mario Agostinelli, agricoltore e titolare dell’omonima azienda produttrice dello Zolfino – valorizzare il nostro territorio, conservando e migliorando quello che altri prima di noi ci hanno lasciato».
Lo zio d’America Il fagiolo è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Fabaceae (o Leguminose) e della quale esistono più di 14.000 varietà, la maggior parte di queste originarie dell’America meridionale. Importato in Europa a seguito dei viaggi di Colombo, viene introdotto in Italia tra il 1528 e il 1532. La Toscana fu tra le prime regioni italiane ad assaggiare i nuovi fagioli. Il prodotto suscitò immediatamente l’entusiasmo sia dei popolani che dei signori, tanto che nel 1533 Alessandro de’ Medici ne donò alcuni alla sorella Caterina in occasione delle sue nozze con Enrico II di Francia, introducendo questo piatto anche nelle tavole d’oltralpe. Ai primi dell’Ottocento erano diverse le varietà coltivate, e fino alla metà del ’900, quando l’agricoltura cominciò a perdere progressivamente importanza, la coltivazione dei fagioli in Toscana continuò a rivestire un ruolo di notevole rilevanza. Le famiglie li coltivavano in buona parte per autoconsumo e rappresentavano un’importante base proteica della dieta alimentare dell’epoca. A partire dagli anni ’70, molte cultivar furono soppiantate da varietà più produttive e remunerative.Tra le cultivar “scalzate” anche il buonissimo fagiolo Zolfino. «Si tratta di una varietà capricciosa alla germinazione, insofferente alle irrigazioni, delicata nella conservazione e, soprattutto, dal raccolto spesso esiguo», spiega Agostinelli. «Facile capire, quindi, perché abbia rischiato l’estinzione. Fortunatamente lo Zolfino è stato gelosamente tramandato negli anni dalle popolazioni che qui hanno abitato. Per generazioni, agricoltori del territorio hanno continuato a
Scelti per voi dove mangiare seminare questo fagiolo nonostante le difficoltà e le fatiche che il prodotto richiede».
Così buono da essere imitato «In questi anni, attraverso un accurato lavoro di ricerca in collaborazione con il professor Stefano Benedettelli dell’Università di Firenze – continua Agostinelli –, siamo riusciti a recuperare svariati ecotipi, ma diverse linee genetiche sono irrimediabilmente scomparse con coloro che ne custodivano i semi». «Oggi il fagiolo Zolfino – conclude Agostinelli – rappresenta un mito dell’agricoltura e della gastronomia toscana. Raro, ricercatissimo, costoso e addirittura copiato e falsificato da imitazioni di scarsa qualità. Un successo frutto certamente della passione di chi, come me, coltiva questo prodotto, ma soprattutto il risultato delle sue caratteristiche organolettiche». Il fagiolo Zolfino (varietà nana di Phaesolus vulgaris), chiamato così per il colore giallo paglierino simile a quello dei cristalli di zolfo, presenta una buccia sottile e finissima che, a detta dei buongustai, “si scioglie in bocca” (caratteristica questa che gli conferisce un’alta digeribilità), una pasta densa e cremosa e un sapore intenso. Dal punto di vista nutrizionale il fagiolo Zolfino presenta un elevato numero di glucidi, amido e proteine. Occorre sottolineare però che lo Zolfino, pur contenendo una buona quantità di proteine (100 gr di fagioli Zolfino contengono 24 gr di proteine), non vengono utilizzate dall’organismo perché mancano di due aminoacidi essenziali, la metionina e la cistina. Per sopperire a tale carenza, e utilizzare quindi la componente proteica presente nel prodotto, è necessario consumarli con pane o pasta: combinando, ad esempio, 150 gr di pasta con 50 gr di fagioli Zolfino. Per la presenza di antiossidanti, di fitoestrogeni, di saponine, di oligosaccaridi – tutte sostanze che nell’organismo promuovono la salute – lo Zolfino può essere annoverato tra gli “alimenti funzionali”. Sono inoltre ricchi di fibra, in particolare nella
buccia (cellulosa, emicellulosa, pectina, lignina), che previene stipsi ed emorroidi. Infine, forniscono notevoli benefici all’intestino, soprattutto nella prevenzione dei tumori al colon. In cucina dà il meglio di sé nella preparazione delle ricette tradizionali del luogo: il crostone cavolo nero e fagioli, la ribollita, la minestra di pane, la pasta e fagioli. Piatti dalla cottura lunga, anche tre o quattro ore, preferibilmente in tegami di coccio e magari tra la cenere e la brace, per un bollicchiare lentissimo dove il vero Zolfino rimane sempre intatto. Ma lo Zolfino è ottimo anche semplicemente condito con olio extravergine di oliva, magari come contorno di appetitose cotenne di maiale o di una succulenta bistecca di Chianina in abbinamento con un buon vino toscano.
Ristorante Il Canniccio Un locale piacevole e accogliente dove mangiare piatti semplici e gustosi e godere dei sapori tipici della cucina locale. Prezzo medio: 35 euro. loc. Torre del Castellano, 68 Reggello (Fi) Tel. 055863274 ww.ristoranteilcanniccio.com
dove dormire Il Falconiere Una tipica villa di metà Seicento interamente ristrutturata e trasformata in relais di campagna. A disposizione degli ospiti una ventina di camere elegantemente arredate, che rispecchiano lo stile di raffinata semplicità tipico delle più importanti case toscane. Il ristorante, posto su due piani con una bella veranda in vetro e ferro battuto, propone una cucina dai sapori autentici. Camera doppia da 190 euro. loc. San Martino, 370 - Cortona (Ar) Tel. 0575612679 www.ilfalconiere.com
dove comprare Podere Il Mercatale Il luogo ideale dove acquistare l’ottimo fagiolo Zolfino e le altre produzioni locali: il cecino rosa e il fagiolo Toscanello. Piazza Manin, 1 - Leccio Reggello (Fi) Tel. 0558657698 www.agostinellimario.com
Il vino ideale
Perfetto per accompagnare un delizioso piatto di fagioli Zolfino è il Contessa di Radda Chianti Classico Docg del Chianti Geografico, ottenuto da uve Sangiovese, Colorino e Canaiolo. Il Contessa di Radda Chianti Classico Docg si presenta di colore rosso rubino. Al naso offre intensi sentori di fiori, con una netta predominanza di viole mammola. Al palato è ricco e ripropone le sensazioni floreali unite a un buon finale lievemente tannico. Chianti Geografico Via Mulinaccio, 10 Gaiole in Chianti (Si) Tel. 0577749489 www.chiantigeografico.it
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cibo&territorio Scomparsa a metà del XIX secolo perché legata agli approvvigionamenti di costose spezie esotiche e praticamente impossibile da conservare, oggi questa prelibatezza modenese al profumo di zenzero e zafferano torna a entusiasmare i palati emiliani. E c’è già chi s’ingegna per copiarla… di Isa Grassano
Salsiccia gialla alla riscossa Street food ante litteram e di qualità. Così può essere definita la sulsezza zala, la salsiccia gialla, specialità modenese scomparsa dalla tradizione gastronomica intorno al 1821 (le sue ultime tracce comparivano nel listino della storica drogheria Giusti di Modena), già citata nel poema La Secchia Rapita di Alessandro Tassoni e oggi tornata sulle tavole, dopo un accurato studio sui libri di storia. A riproporla è stato lo chef Paolo Reggiani, nel suo ristorante Laghi a Campogalliano (la sua avventura è raccontata nel libro La Cucina Ritrovata di Andrea Guolo, Morellini Editore) che l’ha riscoperta insieme a Rosalba Caffo Dallari, gastronoma e storica della città della Ghirlandina. Gli ingredienti? Carni suine selezionate, in precise proporzioni tra parti grasse e magre, quindi unite a zafferano, zenzero, cannella, chiodi di garofano tritati, parmigiano reggiano grattugiato finemente, pepe e tanto, tantissimo sale ai fini della conservazione.
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Scelti per voi
Al ristorante Laghi (a sinistra), Paolo Reggiani (in apertura) serve la salsiccia gialla con tagliatelle fatte in casa e pani alle castagne
dove mangiarla
“Per tutelare questa nostra eccellenza, abbiamo chiesto il marchio di specializzazione garantita”, dichiara Paolo Reggiani
La salsiccia gialla si può gustare solamente al ristorante Laghi, nel mezzo del parco naturale del Secchia, vicino a una serie di laghetti formatisi dal fiume. Si mangia all’aria aperta, sotto una veranda ombreggiata. Cucina raffinata. In menù, oltre alla specialità riscoperta della salsiccia gialla, ci sono tutti i piatti della tradizione emiliana. Via Albone, 27 Campogalliano (Mo) Tel. 059526988 Prezzo medio: 25 euro Chiusura: il mercoledì fino a settembre. Da ottobre a maggio apre solo il fine settimana.
Gramigna con salsiccia gialla Storia di una rinascita Si dice che nei pressi di Piazza Grande, prima del suo declino, vi fossero diversi chioschi dove la salsiccia era bollita e venduta in un sapidissimo panino di castagne. «L’abbinamento perfetto – ci dice lo chef Reggiani – è tuttora con il pane di castagne, perché il sapore è enfatizzato dal contrasto con lo zafferano». Ma perché era scomparsa? «Anche a quei tempi c’era crisi» aggiunge Reggiani. «Era un prodotto che costava troppo perché legato agli approvvigionamenti delle spezie, zafferano e zenzero, non propriamente emiliane, e poi doveva essere consumata fresca, quindi non poteva durare a lungo per farne scorta. Così, nel momento in cui il ducato di Modena passò sotto il Regno d’Italia, la zala non resse l’urto di insaccati più economici importati da altre città e perse la sua battaglia con i prodotti che si prestavano, invece, a una lavorazione industria-
Ingredienti: (per quattro persone) 320 gr di gramigna al torchio 150 gr salsiccia gialla 1 cipolla gialla invernale 30 gr di burro poche gocce, a piacere, di aceto balsamico tradizionale di Modena sale e pepe q.b. Dopo aver fatto stufare la cipolla nel burro fuso avendola precedentemente tagliata molto fine, aggiungere la salsiccia gialla: alzare la fiamma e cuocere per circa 15 minuti. Nel frattempo, cuocere la pasta in acqua salata e scolare al dente: successivamente, riporla nella padella insieme alla salsiccia e mantecare il tutto. Travasare in una zuppiera e dopo aver lasciato riposare qualche minuto, porzionare in piatti singoli e completare versando qualche goccia di aceto balsamico tradizionale di Modena.
le, tra cui lo zampone e il cotechino». La salsiccia viene prodotta ancora a mano da Reggiani e la sua equipe, con una produzione settimanale al bisogno (circa 5 chili) e viene servita con le tagliatelle, anch’esse rigorosamente fatte in casa, passata in padella e unita con dei gustosi pani alle castagne, non lesinando una generosa dose d’aceto balsamico tradizionale. Il tocco in più? Servita con lo zenzero candito, per dare anche un gusto esotico. «Vediamo che la nostra clientela è incuriosita da questa riscoperta, soprattutto gli anziani ne riconoscono una parte dei sapori della speziatura. E per tutelare questa nostra eccellenza, abbiamo chiesto il marchio di specializzazione garantita, perché fuori Modena qualcuno sta già iniziando a copiarla. Spero che possa essere un motivo di rilancio per tutto il territorio, soprattutto in questo periodo in cui la nostra zona è stata così colpita dal terremoto», conclude Reggiani.
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Dal cibo dei nonni di ieri allo street food di oggi di Elena Conti
“Conoscere i luoghi, vicini o lontani - scriveva Goethe - non vale la pena, non è che teoria: saper dove meglio si spini la birra è pratica vera e geografia”. Provare i cibi di strada avvicina alla cultura della località visitata, e arricchisce l’esperienza del viaggio di un gusto inatteso
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Se prima era la quotidianità, oggi parlare di cibo da strada è quasi un vezzo, una ricercatezza che porta alla riscoperta dei piccoli gesti del vivere ed è sempre più diffuso il piacere di andare a caccia di tutti quei sapori indimenticabili che vanno rigorosamente gustati in strada. La cucina on the road, o street food, ribalta molte delle regole “della casa”. Il consumo del cibo, svincolato dagli orari, diventa un fatto privato, perché spesso si va da soli, ma al tempo stesso si afferma come momento pubblico, perché avviene in strada, in rapporto alla collettività. Si è soli e allo stesso tempo si è insieme agli altri: ciò crea un’atmosfera spontanea di complicità tra gli avventori. Questo rende più facile scambiare battute fra sconosciuti, favoriti dalla situazione che induce un inusuale senso di confidenza. In pratica, la cucina di strada facilita la comunicazione.
Sulle rotte del cibo da strada toscano
In apertura un classico chioschetto, custode spesso inconsapevole della tradizione gastronomica del territorio. A destra un piatto di Testaroli della Lunigiana, passati da classico cibo di strada a rarità da ristorante
LaToscana ha un lunga tradizione di cibi di strada, che spaziano dal salato al dolce e affondano le loro radici negli antichi mestieri e nella ritualità religiosa che sottolineava le ricorrenze con la preparazione di determinati piatti. Chioschi, carretti, banchini, bici attrezzate, latterie e friggitorie con affaccio sul marciapiede, erano i luoghi del cibo di strada; oggi le nuove regole sanitarie per la somministrazione dei cibi, impongono maggiori vincoli, ma spesso l’aspetto resta lo stesso. In Toscana, cibo da strada è il Lampredotto, la Trippa, i Roventini, come anche i Sanguinacci, i Panigacci, la Porchetta di Monte San Savino, la Cecina, il Pan co’i Grifi, le Frittelle di San Giuseppe, il Castagnaccio e i Necci, ma forse l’elenco potrebbe essere ancora più lungo. Sono tutti cibi che stanno vivendo una grande riscoperta grazie allo street food, che garantisce cibo ge-
In Toscana, cibo da strada è il Lampredotto, la Trippa, i Roventini, come anche i Sanguinacci, i Panigacci, la Porchetta di Monte San Savino, la Cecina, il Pan co’i Grifi, le Frittelle di San Giuseppe, il Castagnaccio e i Necci, ma l’elenco potrebbe essere ancora più lungo
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nuino a buon mercato, pronto a ogni ora della giornata. Alcuni di questi cibi non sono mai tramontati, sono rimasti anzi nella tradizione locale, ma nel tempo hanno perso le loro origini popolari diventando quasi chic, un fenomeno di moda. È il caso del LamIl Lampredotto predotto a Firenze. Era il cibo dei era il cibo dei mercati generali, per colazioni ipercaloriche dopo la fatica fimercati generali, per sica, oggi è il pranzo trendy colazioni ipercaloriche degli avvocati del palazzo di dopo la fatica fisica, oggi Giustizia, che si avvicinano al è il pranzo trendy degli chiosco alla pausa pranzo e spostano indietro la cravatta avvocati del palazzo per non sporcarla con il sugo che di Giustizia scivola dal panino. A Firenze, nei banchini più tradizionali,in piazza del Porcellino, piuttosto che a San Lorenzo, ci trovi turisti giapponesi e signore ingioiellate,mamme con i carrozzini e conducenti di autobus. Per gustare i sapori veri di Firenze, per conoscerli, basta avere la voglia di assaggiare le ghiottonerie più tradizionali, scendendo in strada. Perché il Lampredotto non è cibo da turisti, ma è storia e tradizione e racconta la vita di un popolo, che per quelle strade è passato e in esse ha vissuto. Il Lampredotto è il quarto incavo dello stomaco del vitellone, lessato.Viene fatto cuocere in acqua salata con odori e qualche pomodoro,per ore,finché non diventa tenero. Poi viene prelevato dal pentolone e sminuzzato su un tagliere, per essere servito nel panino che i fiorentini chiamano "semelle" con l’aggiunta, a seconda dei gusti, di condimenti che vanno dal semplice sale e pepe, alla classica salsa verde, fino ad arrivare all’olio piccante. Il trippaio tuffa nel sugo del pentolone la calotta superiore del panino, che poi verrà servito gustoso e gocciolante. Originario di Firenze e provincia,oggi i chioschi di trippai e venditori di Lampredotto sono diffusi in buona parte dellaToscana, ma la globalizzazione ha fatto sì che se ne trovino gestiti anche da cinesi. Come i vinai, un tempo luoghi popolari, oggi si sono trasformati in enoteche e quello che una volta era economico, diventa improvvisamente costoso,perché di moda.
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In alto, un chiosco in piazza del Porcellino e, sotto, una bancarella del Mercato di San Lorenzo. Entrambi questi luoghi classici del cibo di strada fiorentino si sono trasformati in attrazioni per turisti e punto di riferimento per chi ama essere sempre di tendenza
È successo con il Baccalà alla fiorentina, oggi riproposto nei menù di ristoranti attenti alla tradizione, o alla Cecina, torta di farina, ceci, olio e pepe, che alle sue origini era un piatto povero. Negli anni Trenta a Firenze, la mattina passava un uomo in bicicletta con la cesta e gridava: “ranocchi, frittura e pesci d’Arno”, questa era tutta la sua mercanzia. Oggi i pesci d’Arno sono inquinati e le rane si comprano solo surgelate, dopo che hanno perso il loro aspetto poco invitante. E perché in Toscana esiste il detto "crescere a castagne e funghi"? Perché i poveri avevano questo a disposizione, direttamente nel bosco. Oggi i funghi sono costosi e arrivano tutti dall’Est.
Dall'alto, la porchetta di Monte San Savino, famosa per la sua carne tenera e succulenta, la Pattona di Necci, polenta dolce di farina di castagne, e i Testaroli della Lunigiana, la più antica pastasciutta del mondo
Da pasti poveri a pietanze chic Fra i sapori ormai scomparsi, ci sono sicuramente i Roventini, che qualcuno chiama anche Sanguinacci,una specie di frittellina che poteva essere dolce o salata. Venivano fatti con sangue di maiale e farina, aromatizzati con spezie, serviti cosparsi di zucchero o pecorino grattugiato. La loro fine è stata causata dall’applicazione delle nuove regole igieniche, ma da qualche parte sembra sia ancora possibile gustarli, soprattutto nel periodo tradizionale per la macellazione del maiale. E cosa dire del Castagnaccio e della Pattona, polenta dolce di farina di castagne? Dei Coccoli o degli Gnocchi fritti? E se Livorno e Viareggio erano famose per la Cecina, in Lunigiana il dolce di strada più diffuso erano i Testaroli, detti Necci sulla montagna pistoiese, fatti con farina dolce di castagne e ricotta freschissima. Tutti cibi ormai scomparsi dalle nostre strade, che rispuntano nei forni e nei ristoranti, spesso anche nei mercati o nelle fiere, come accade per le frittelle di S. Giuseppe, fatte di riso stracotto nel latte, fritto in piccole palline e cosparso di zucchero semolato. Si trovano solo fra febbraio e marzo, anche in piazza del Campo
Scelti per voi Firenze - Banchini dei “trippai”
• Mario Albergucci, Piazzale di Porta Romana • Lorenzo Ancilli, Piazza Artom • Marco Bolognesi, Via Gioberti (piazza Beccaria) • Alessio Farolfi, Via Aretina (angolo via Casaccia) • Orazio Nencioni, Loggia del Porcellino • Sergio Pollini, Via de’ Macci (angolo Borgo la Croce) • Leonardo Torrini, Viale Giannotti (piazzetta del Bandino) • Lupen e Margo (ex La Trippaia), Via dell’Ariento (angolo via Sant’Antonino) • Il Trippaio di Firenze, Via Maso Finiguerra (angolo via Palazzuolo)
a Siena e riscompaiono per il resto dell’anno. Una tradizione amatissima da grandi e piccini, apprezzata dai turisti incuriositi dalle lunghe file di persone in attesa di assaporare una caldissima delizia che racchiude il sapore del tempo perduto. A Massa e Carrara è possibile gustare i Testaroli, ormai prevalentemente nei ristoranti, perché purtroppo sono sempre meno i chioschi e i carretti. I Testaroli della Lunigiana sono considerati la più antica pastasciutta del mondo, in quanto erano già consumati ai tempi dell’impero romano; prendono il nome dal “testo”, originariamente in argilla, oggi in ghisa. Sempre in Toscana, alle pendici dell’Amiata, nel versante della Val d’Orcia, patrimonio dell’Umanità per l’Unesco, sopravvive un altro cibo di strada, il Ciaffagnone, un gustoso tortino a base di farina e acqua. In provincia di Arezzo, a Monte San Savino, la tradizione del cibo di strada si afferma prepotentemente nella Porchetta, famosa per la sua carne tenera e succulenta, l’aroma unico dato dalle spezie segrete usate per aromatizzare e la crosta particolarmente croccante. Viene fatta usando un maiale intero, salato abbondantemente, cosparso di aglio e altri aromi, farcito con pezzi di fegato, arricchito con finocchio selvatico, cotto allo spiedo sulla brace del forno a legna.
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Paolo Pongolini: «Così ho strolgato lo Strolghino» Un viaggio sulla via Emilia, tra Parma e Fidenza, in mezzo a culatelli, strolghini, culatte, spallotti e salami, per incontrare un giovane produttore di salumi con la passione per quei gusti che rischiano di perdersi per sempre
di Luca Campana
Sanguinaro frazione di Noceto
Emilia Romagna
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Paolo Pongolini ride quando gli chiedo di raccontarmi ancora una volta la storia del suo Strolghino. Ma poi, ricordandosi di essere, oltre a un appassionato archeologo del gusto, anche un produttore di salumi da generazioni, con pazienza ricomincia: «Dopo che abbiamo smontato il muscolo principale della coscia del maiale per fare il Culatello – con quello che restava un tempo si faceva il Fiocchetto, più piccolo e di minor pregio – con tutte le rifilature rimaste, macinate, salate e
pepate, facciamo lo Strolghino. È un salame molto più piccolo e magro del Felino o del Varzi, che dopo 20 o 30 giorni è già pronto da mangiare». Un piccolo salame di Culatello, dunque, così magro, da poter essere mangiato prima di tutti gli altri e che nelle campagne della Bassa di un tempo serviva per vaticinare sulla bontà, o meno, dei salami di quell’anno. Non a caso, da queste parti intuire si dice ancora strolgare, che va bene anche per scoprire qualche cosa di nuovo. Proprio come ha fatto Paolo Pongolini strolgando di riscoprire lo Strolghino, il cui nome, guarda caso, significa letteralmente maghetto, dall’etimo longobardo strolga, strega. Un maghetto che non piace solo nella Bassa. «Lo Strolghino – continua Pongolini – è un salame molto facile, magro, dolce che incontra un po’ i gusti di tutti, non solo degli intenditori. In fondo il nostro lavoro in tutti questi anni è stato proprio questo: “snicchiare” i prodotti di nicchia per riuscire a proporli a un pubblico sempre più ampio». Insomma, democrazia del gusto a tavola, un po’ com’è successo per i vini di queste parti: chi se lo sarebbe immaginato fino a qualche anno fa il successo del Lambrusco? Eppure oggi è tra le bollicine rosse più apprezzate. «D’altronde far bene le cose semplici è la cosa più difficile al mondo – aggiunge Paolo – ma, a quanto pare, da queste parti riesce bene a parecchie persone». Da qualche anno lo Strolghino è sbarcato anche a Londra, dove lo si trova sugli scaffali di Harrods, i famosissimi grandi magazzini di Brompton Road che possono vantare di essere fra i fornitori della Regina. E oltre Londra, anche Parigi e Mosca, giusto a decretare un successo che, a questo punto, definire mondiale non è eccessivo.
Felino e Culatello: una lectio magistralis Fa già caldo qui a La Fattoria di Paolo Pongolini, che ha sede sulla via Emilia fra Parma a Fidenza, a Sanguinaro per la precisione, dove ai primi di giugno è già tempo di zanzare e afa: ma visto che “Non si va al mulino senza infarinarsi” figuriamoci la fine che si potrà mai fare in un salumificio… «Questo è il nostro Salame di Felino
Igp riserva Sant’Antonio – spiega Pongolini attaccando con un coltellaccio un Gentile che supera il chilo – è un salame tradizionale che noi produciamo rispettando il rigido disciplinare imposto dall’Igp, utilizzando un taglio molto pregiato del maiale, la sottospalla: per capirci ce ne sono solo 4 o 5 chili per maiale». Noblesse oblige, aggiungiamo noi, nel mentre il nostro ospite ci spiega che «Quando si sceglie di puntare sulla qualità non ci possono essere mezze misure. Pensi che in queste settimane, tanto per continuare a parlare dei nostri salami di Felino, stiamo mettendo a punto Puro, un Felino prodotto senza l’utilizzo nitrati e conservanti». Un progetto a cui sta lavorando da mesi insieme ai suoi fornitori di celle frigorifere e in costante contatto con i ricercatori dell’Università di Perugia, per ottenere una “pastorizzazione” delle carni attraverso un trattamento termico. Un Felino in purezza, dunque. E dopo uno Strolghino, un Felino e un’anteprima di Puro, in un crescendo quasi wagneriano, Pongolini mette mano a uno Spallotto, ottenuto dal muscolo principale della zampa anteriore del maiale stagionato con la sua cotenna: praticamente una Culatta anteriore. «C’è una bella differenza – prosegue nella sua lectio magistralis – tra la stagionatura con la cotenna, come quella della Spallotto e della Culatta, e quella nella vescica, come succede per il Culatello, perchè la cotenna protegge la carne durante la stagionatura. Questo consente al magro di prendere meno sale e anche di rimanere più morbido, come succede nel Prosciutto. Nel Culatello, invece, solo una porzione di carne è protetta dal grasso sottocutaneo: l’altra parte, quella a contatto con l’osso, è completamente priva di grasso e rischia di indurirsi troppo durante la stagionatura». Ecco dove sta la difficoltà nel fare un buon Culatello, che non deve essere troppo salato e deve conservare la fragranza e la morbidezza delle carni anche dopo due anni di cantina. «Praticamente la differenza tra un Culatello buono e uno
Da queste parti “strolgare”, vuol dire intuire, scoprire qualche cosa di nuovo. Proprio come ha fatto Paolo Pongolini strolgando di riscoprire lo Strolghino, il cui nome, guarda caso, significa letteralmente maghetto, dall’etimo longobardo strolga, strega
Scelti per voi dove mangiare Trattoria Squeri Ambiente tradizionale e ottima cucina parmigiana. Prezzo medio: 25 euro. Via Varano, 78 Cella di Noceto (Pr) Tel. 0521629119 La stella d’oro Cucina parmigiana tradizionale rivisitata da uno chef stellato. L’ambiente è raffinato e la struttura offre anche la possibilità di pernottare. Prezzo medio: 40-45 euro. Via Mazzini, 8 - Soragna (Pr) www.ristorantestelladoro.it
Paolo Pongolini mentre affetta un salame di Felino riserva Sant’Antonio. La Fattoria di Parma Srl si trova al 96 della Strada Nazionale Emilia a Sanguinaro . Info: Tel. 0521825137 - www.lafattoria.it
balordo – azzardiamo noi – è la stessa che passa tra una fetta di chiappa di maiale mummificata a una buona fetta di questo Principe delle Nebbie». «Sì, se vogliamo dirla così – risponde lui – anche se in realtà i fattori, chimici e climatici, che contribuiscono alla stagionatura di un buon Culatello sono un mix ancora più complicato, senza contare i segreti più segreti della sua lavorazione che vengono tramandati di padre in figlio». «Ne vale la pena?» gli chiediamo salutandolo. «La soddisfazione personale di vedere uscire dalla stagionatura i tuoi salumi proprio come te li eri immaginati e sapere che sono apprezzati in tutto il mondo, ti ripaga di qualsiasi sforzo. L’amore per la propria terra e per le proprie radici è una di quelle malattie da cui non si guarisce mai». Per fortuna, aggiungiamo noi.
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la storia in cucina
di Silvana Delfuoco
La disfida dell’orecchietta C’è una nobile contesa in corso tra la terra di Piemonte e quella di Puglia: a chi spetta l’onore di aver dato i natali alla pasta che fu cara agli Angioini?
A gettare il guanto, pardon l’impasto, sulla pianura di Puglia contro gli eredi di Ettore Fieramosca e compagni, questa volta non sono i cavalieri francesi in armi, ma poco ci manca. È infatti la zona occitana della cuneese Valle Stura, che dalla Francia dista due passi, a rivendicare a sé con orgoglio l’origine della più tipica tra le paste pugliesi. E tra spianata e spianatoia il passo é breve… «Qui usiamo farina di grano tenero e acqua, in passato anche soltanto farina di segala o di frumento, questa è una terra povera – così ci raccontano all’Osteria della Pace di Sambuco (Cuneo), che dei crouzet, il nome locale delle orecchiette, sono artefici sublimi – lavoriamo col pollice strascinato sulla spianatoia, in modo da formare le rughe che si vedono all’esterno quando l’orecchietta viene rovesciata. Giù in Puglia invece usano la punta del coltello e il loro è un impasto più nobile, di grano duro. Ma l’aspetto finale è sostanzialmente lo stesso. Sono stati gli Angioini, quando passarono di qui nel Medioevo, a portarle al Sud: le avevano assaggiate in queste valli, tra noi e il Col di Tenda, e si vede che a loro erano piaciute!». «Che la presenza in Puglia delle orecchiette si debba agli Angioini quando arrivarono qui dalla Francia, l’ho sempre saputo – ci conferma senza troppi problemi la chef del Ristorante Pasha di Conversano (Bari) – inizialmente erano dischi di pasta a cui poi noi abbiamo dato la forma concava. Ma che le facessero già allora, e che continuino a farle, anche in Piemonte, davvero non lo
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sapevo! È vero, noi usiamo la punta del coltello e poi le rovesciamo sul pollice. Nel nostro ristorante in particolare sono di grano arso, dalla forma piuttosto abbondante, a differenza di quelle tradizionali del centro storico di Bari dove sono molto piccole. Ma sulle dimensioni non c’è una vera e propria tradizione, anzi! Quasi ogni famiglia vanta la propria». Da un rapido consulto dei sacri testi, la questione appare piuttosto controversa. Se lo storico della cucina pugliese Luigi Sada riconosce come antenate delle orecchiette addirittura le lixulae citate da Varrone, c’è invece chi le fa risalire agli ebrei di Sannicandro e al loro dolce rituale detto Orecchie di Aman. Ma è altresì vero che da tempi remoti, in Provenza, si produceva una pasta dalla forma simile, che poteva essere facilmente essiccata e conservata per i periodi di carestia. E se pensiamo che gli Angioini, signori del territorio pugliese fin dal XIII secolo, prima di arrivare in Puglia avevano occupato varie zone del Piemonte, tra cui la provincia di Cuneo con annessa la valle Stura, ecco che le ipotesi delle possibili origini piemontesi delle orecchiette non sono poi così remote. Per il momento, in attesa che la disfida venga amabilmente raccolta e magari arricchita di ulteriori dettagli, non sarebbe male sperimentare sul campo, in una nobile gara, il reale valore dei due contendenti: crouzet con patate e porri o con la bagna grisa contro orecchiette con le cime di rapa o con passata di pomodoro e basilico e cacio ricotta di bufala. Troppo difficile dire: vinca il migliore?
Osteria della Pace Via Umberto I, 32 Sambuco (Cn) Tel. 017196550 www.albergodellapace.com
Ristorante Pasha Piazza Castello, 57 Conversano (Ba) Tel. 0804951079 www.pashaconversano.it
Nutri la tua salute
Gruppo Mangiarsano Germinal Da più di trent’anni Il Mangiarsano e Germinal lavorano nel mercato dei cibi biologici e salutistici condividendo la convinzione che un’alimentazione semplice e naturale è la base di uno stile di vita sano. Nel tempo questa convinzione è diventata una consapevolezza comune ad un numero crescente di persone, che hanno cominciato a premiare la nostra dedizione a proporre cibi in grado di nutrire la salute dell’uomo. Oggi il Gruppo MangiarsanoGerminal è un’azienda leader nel settore e si propone al pubblico con tre marchi di prodotto.
Sostenibilità Il rispetto dell’uomo e dell’ambiente sono i due punti focali del nostro lavoro, per questo da sempre sposiamo alla nostra attività un progetto di sostenibilità. Le materie prime che processiamo provengono da una filiera corta, controllata e garantita, per valorizzare l’eccellenza dei prodotti agroalimentari italiani e garantire la qualità dei nostri prodotti, dalla semina del grano allo scaffale del supermercato. Per le materie prime di provenienza estera (zucchero di canna e cacao, ad esempio), ci affidiamo ad operatori del commercio equo e solidale, così come tutta la carta che lavoriamo o utilizziamo proviene da filiera FSC. Queste organizzazioni garantiscono la tutela dei diritti dei lavoratori ed il rispetto delle norme a salvaguardia dell’ambiente. Abbiamo raccolto tutta la nostra esperienza in una pubblicazione, disponibile gratuitamente nel nostro sito: http://www.mangiarsanogerminal.com/ita/sostenibilita
Gruppo Mangiarsano Germinal Via Staizza 50, 31033 Castelfranco Veneto (TV) Tel. +39 0423 420099 - fax +39 0423 496128 www.mangiarsanogerminal.it - www.nutrilatuasalute.it
Germinal Bio
Marchio storico nel settore del biologico, racchiude un’ampia gamma di prodotti biologici, dai succhi di frutta alla biscotteria, dalle merende ai condimenti, dai cereali per la prima colazione ai sostituti del pane. In tanti anni il nostro approccio non è mai cambiato: ricerchiamo e selezioniamo con cura le migliori materie prime ed utilizziamo solamente ingredienti che rispondano agli standard qualitativi da noi fissati, per formulare alimenti in grado di soddisfare il palato e nutrire la nostra salute.
Mangiarsano
Il marchio Mangiarsano rappresenta la nostra proposta di benessere per tutti. La linea è composta da prodotti salutistici, senza coloranti, conservanti, grassi idrogenati e OGM, dedicati a tutta la famiglia oltre ad una linea di referenze senza glutine dedicate a chi soffre di allergia, intolleranza, o semplicemente apprezza la pienezza del gusto e la straordinaria leggerezza dei nostri prodotti.
Biobimbo – Biojunior
Il marchio Biobimbo nasce dalla volontà di presentare al mercato una completa linea di alimenti biologici per bambini da 0 a 3 anni, formulati per le esigenze nutrizionali della prima infanzia e per rassicurare anche le mamme più esigenti. Crescono i bambini, aumentano le loro esigenze, si sviluppano i loro gusti. I prodotti Biojunior li accompagnano dalla prima colazione alla scuola, assicurando oltre ad un corretto apporto nutritivo anche i primi spunti per imparare a leggere, scrivere, conoscere la forma delle cose e sviluppare la fantasia. I biscotti e i cereali dalle forme originali possono aiutare anche i bimbi più inappetenti a consumare un’adeguata prima colazione.
di Gino Celletti Capo Panel Consiglio Oleicolo Internazionale
l’olio
www.frantoicelletti.com www.monocultivaroliveoil.com
Olio e olivi risorsa per il turismo? Gli esempi ci sono, ma è la testa che ci vuole!
Amici molisani hanno avuto una bellissima idea: Extrascape. Si tratta di un concorso internazionale che premia i migliori oli, a patto però che provengano da oliveti esteticamente rilevanti, condotti con criteri sostenibili, gestiti con l’etica delle buone pratiche ambientali e agricole. Non si premia più una tecnica estrattiva seppur magistrale ma un territorio, il risultato dell’intervento umano sull’ambiente, la bellezza di un comportamento, la poesia di sentimenti agresti vissuti in silenzio, che avevano come specchio solo olivi, zolle e cielo. È di questa bellezza che l’Italia è ricca. È di questo che gli stranieri si innamorano e di questo che noi non ci siamo mai accorti abbastanza da scommetterci il nostro futuro. Forse ci abbiamo fatto l’abitudine, ma non è un buon motivo per non trarne risorse per noi e per i nostri figli. Sul territorio italiano crescono 628 varietà di olivi (cultivar), il 40% di tutte le varietà esistenti sul nostro pianeta, e sono tutte diverse, per il portamento arboreo, la forma delle foglie
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e delle olive. E sono diversi i loro oli che hanno profumi caratteristici e tipici di pomodoro, carciofo, mandorla, sedano, etc. Chi ha fatto qualche incursione vacanziera in territorio francese sa che lì ogni cittadina, paesotto, contrada fa a gara per caratterizzare e vantare la propria produzione. Per restare nel mondo oleicolo, a sud della Francia, nel dipartimento della Drôme, regione del Rodano-Alpi, c’è un paesotto di 7000 anime, Nyons, dove cresce la cultivar Tanche. Le sue olive da secoli vengono lasciate annerire in sacchi e dopo che sono stramature e scolano nero, a marzo, vengono frante. All’assaggio si evidenzia un deciso difetto “riscaldo”, che a qualcuno, dotato di smisurata fantasia, ricorda il mirtillo. Questo è un olio difettato senza mezzi termini, che mai più potrebbe fregiarsi della classificazione di legge di extravergine, secondo il CE 640/08, valido anche in Francia; ma i francesi di quella zona, in virtù della storia, della richiesta di quest’olio sul mercato da ormai più di un secolo – olio su cui ogni anno imperniano la loro sagra paesana – e della loro insistenza, convinta e battagliera, sono riusciti adottenere dall’Ue, l’Appellation Vierge. Avevano insistito per ottenere addirittura la classifica di Vierge Extra ma la UE ha concesso solo la “vergine”. Assaggiando più campioni, in certi casi il difetto è così marcato da meritare la classifica di olio “vergine lampante” e quindi non commerciabile. In Francia però si dice (e si fa) à la guerre comme à la guerre. Questo è un esempio di come si valorizza il territorio, ci si batte fino alla fine. La Francia produce solo 4mila tonnellate di olio l’anno mentre l’Italia ne produce 450mila. Ecco, pure con un decimo di produzione, i francesi hanno preteso e ottenuto il riconoscimento di un olio “difettato” come una specialità locale. Oggi c’è anche chi fa l’extravergine, ma intanto il mercato è stato creato e mantenuto. Tanto per capire quanto vale questo mercato si vende 250 ml di olio di Nyon tra i 7 e 10,00 euro, una crema esfoliante con olio di Nyon da 200 ml costa 22,00 euro e il Buro d’Oliva di Nyion da 150 ml costa 32,00 euro. Non male, vero? E questo paesotto è pieno di Resort, Recidence e Spa per cure di bellezza tutte a base di olio di Nyon. Lo so, questi esempi fanno male, ma noi Italiani abbiamo la pelle dura è non soffriremo più di tanto a leggere storie come queste. Occorre cambiare prospettiva di osservazione, occorre riconsiderare le nostre realtà non come acquisite, ma come un dono, che ogni mattina ci troviamo quando apriamo gli occhi. Ci vuole un’altra testa. Se non vogliamo quella che ci mandano dalla BCE… o da Pechino, a metterci giudizio.
Questi prodotti nascono nel rispetto della natura e per l’amore verso la terra di Lucania. La nostra pasta biologica nasce dalla cultura antica dei maestri pastai lucani, dall’impegno instancabile dei contadini che lavorano la terra con procedimenti che salvaguardano l’antica tradizione. C’è un colore che sorge col sole, cresce sulla terra e sboccia sulla tavola: è il colore del nostro grano! La Pasta di Carlo Olivieri si presenta con tutta la sua genuinità ai palati più raffinati, che potranno apprezzarne il gusto genuino. Our products are born from the combination of great respect for nature and love towards Lucania’s land. Our organic pasta is produced using the traditional knowledge of master pasta makers from Lucania. The dedicated work of our farmers was allowed us to preserve this ancient tradition.
S.A.MA. srl - Matera (MT) - Italy Tel. +39 0332 23 73 43 - Fax. +39 0332 23 07 91 info@saporidilucania.it
Il nostro olio extravergine di oliva - le nostre paste - i nostri pomodori
A colour rises with the sun, grows from the earth and blossoms on our tables in the golden color of our pasta. Those with even the most exquisite of tastes are sure to appreciate the authenticity, and refined flavours of Carlo Olivieri’s Pasta products.
orto dei semplici
di M. Pia Fanciulli
Fior di cavolo, dall’orto al giardino
Se la stagione invernale ci dona i suoi frutti, i mesi d’inizio estate ci chiedono invece di programmarne la semina. Il salutarissimo cavolo non è ortaggio esigente, e oltre che in tavola, farà la sua figura pure in cortile quando gli altri “fiori” saranno a riposo Protagonista di vari modi di dire a indicare cose prive di valore, il cavolo, Brassica oleracea, rivendica in realtà nobili origini. I Greci narravano fosse nato dalle lacrime di Zeus, attribuendogli per questo lo status di pianta sacra. I Romani, più prosaici, lo consigliavano invece prima di mettersi a tavola per ritardare gli effetti di un’ubriacatura. E a questo proposito una ricettina ce la fornisce addirittura Catone, vissuto a Roma tra il III e il II secolo a.C. Fu lui a raccomandare cavolo crudo sottaceto per poter poi bere a volontà. Persa la sua antica sacralità, il cavolo, non esente da una sua particolare bellezza, viene oggi consumato come alimento “povero”. Ma questo non deve far dimenticare la sua natura di ortaggio ricco di sostanze benefiche: grazie all’elevato contenuto di potassio, acido folico, fibre, calcio, ferro, fosforo e vitamina C, ha infatti proprietà antitumorali, antinfiammatorie, antibatteriche, antiossidanti, depurative e rimineralizzanti. Eccoli allora dominare le tavole tra l’inverno e la primavera, quando i cavoli, che si cominciano a seminare all’inizio dell’estate, abbondano negli orti per essere poi cucinati in zuppe, minestre, ma sono ottimi anche lessati o mangiati crudi. Quanto all’origine, tutti i tipi di cavolo coltivati sono varietà di quello selvatico che cresce sulle zone costiere del Mediterraneo e su quelle atlantiche, a esclusione del cavolo cinese che deriva da una specie diversa, la brassica sinensis. Tra i più presenti negli orti il cavolo cappuccio, che si distingue dalla ben nota verza per il fatto di avere foglie lisce e non bollose. Il cavolo verza corrisponde in-
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vece alla varietà sabauda, si coltiva dappertutto ed ha la testa più piccola nelle varietà precoci. Le varietà tardive, a raccolta invernale, sono più saporite e più produttive. Poi c’è il broccolo, che corrisponde alla varietà botritys cymosa, ed è abbastanza diffuso in Italia soprattutto nel meridione. Rispetto al cavolfiore presenta un maggiore numero di foglie e oltre all’infiorescenza principale presenta germogli laterali (broccoletti). Infine c’è il cavolo di Bruxelles, inconfondibile per le sue piccole dimensioni, probabilmente originario del Belgio: necessita di un clima piuttosto freddo. C’è cavolo e cavolo Ma i cavoli sono solo comuni ortaggi? Ormai non più: i cavoli sono infatti oggi apprezzatissimi per il loro effetto decorativo. Si tratta ovviamente di varietà ornamentali che vengono coltivate per le foglie dalle delicate tinte che vanno dal verde chiaro al bianco, oppure sfumate o variegate in eleganti toni di rosa, lilla o violetto. Niente di più semplice quindi che dare un po’ di colore all’inverno utilizzando questi ortaggi per fare composizioni all’aperto. Resistenti al freddo, permettono infatti la realizzazione di macchie variopinte quando tutto intorno è in fase di riposo. Si possono piantare per delimitare le aiuole o per dividere in zone il giardino. Anche in vaso, scegliendo le specie e le varietà più piccole, si otterranno sorprendenti risultati: il balcone apparirà colorato pure nella stagione fredda, evitando l’effetto vasi vuoti fino alla primavera.
Coltiviamoli così Bisognerà avere un po’ di spazio per coltivare il cavolo sul balcone. Per il resto via libera alle semine estive, con l’unica accortezza di scegliere contenitori della giusta dimensione. Cassetta e terriccio I cavoli si adattano bene a ogni tipo di terreno purché molto fertile, ricco di humus e fresco. L’importante è che abbiano abbastanza spazio per crescere. Per questo, coltivandolo sul balcone, è necessario che il vaso abbia le giuste dimensioni (di almeno 40x40 cm, con 50 cm di profondità). Il terriccio dovrà essere di medio impasto, con presenza di torba, ghiaia, sabbia e sostanze organiche.
Cavoletti di Bruxelles, cavolo verza o cappuccio che sia, questo frutto della terra è ricco di sostanze benefiche: potassio, acido folico, fibre, calcio, ferro, fosforo e vitamina C
La semina Si fa in semenzaio, oppure a spaglio, in genere in primavera per la verza, mentre il cavolo cappuccio viene seminato da maggio a luglio, in autunno o in primavera a seconda delle varietà e del periodo scelto per la raccolta. Meglio farsi assistere dalla Luna crescente, tranne che per il cavolo verza, che preferisce la fase calante. I semi vanno ricoperti con uno strato di terra di circa 2 cm. Si annaffia quando il terreno si mostra asciutto. Una volta spuntate le piantine si diradano mantenendo una distanza di almeno 25 cm tra l’una e l’altra. Punti deboli Le malattie più comuni sono causate da funghi vari che provocano ingiallimenti e marciumi. I parassiti più noti sono le larve di farfalle e gli afidi, che si combattono in genere con consociazioni ed evitando irrigazioni con acqua troppo fredda. Tutte le varietà di cavolo possono essere consociate con la bietola. I parassiti animali sono tenuti sotto controllo dalla consociazione con sedano e con fave seminate come coltura da sovescio. È da evitare la consociazione con cipolle e aglio. Raccolta e conservazione Si fa in varie epoche, dall’autunno all’inverno, scegliendo teste compatte e sufficientemente grandi, meglio se con la Luna crescente. Il fusto non ricresce. I cavoli si consumano allo stato fresco, ma il cavolo cappuccio, tagliato a striscioline, si fa anche fermentare per la preparazione dei deliziosi “crauti”.
Raccogliere la lavanda Il suo profumo resinoso inonda nei mesi estivi balconi e giardini. Insieme al suo colore ha un effetto rilassante e rasserenante che resta a lungo nella mente e nell’animo. Luglio poi è il mese in cui la Lavandula officinalis deve essere raccolta se si vuole conservare. L’importante è farlo quando è ancora in fiore, meglio se con la Luna calante: manterrà più a lungo il suo aroma. L’operazione consiste nel recidere gli steli fiorali all’attaccatura dei germogli da cui si dipartono, per poi legarli in mazzetti da essiccare a testa in giù in un luogo all’ombra o buio per evitare che i petali sbiadiscano. Ma si potranno anche estrarre i singoli fiori dagli scapi fiorali e confezionare, una volta ben secchi, piccoli cuscini da porre nei cassetti per profumare la biancheria.
Il buono a tavola
di Antonio Romeo - romeo_1961@libero.it
La cucina greca: a tavola con gli Dei Giallo come l’olio, rosso come il pomodoro, viola come la melanzana, verde come il basilico. La gastronomia ellenica era, ed è, un tripudio di colori e profumi – di mirto, mentuccia e rosmarino – ancora oggi alla base di quella Dieta Mediterranea alla quale ci affidiamo per restare in forma e vivere meglio
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Abbiamo vissuto una stagione dove i cuochi si sono presi la licenza, come è giusto che sia, di sperimentare, ricostruire e destrutturare un piatto. Abbiamo ingannato le stagioni e talvolta messo in secondo piano le proprietà nutritive dei prodotti e il rapporto con il territorio, sacrificando la qualità e l’originalità in nome di una cucina più sofisticata. Ma noi, popoli del Mediterraneo, figli di Achille, di Socrate, di Ippocrate, di Archestrato e di Minosse, di uomini valorosi che hanno contribuito a creare la prima civiltà d’Europa, sappiamo che quello che dice Omero nell’Odissea, “gli uomini buoni si distinguono dagli stranieri da come e cosa mangiano”, è anche il nostro sentire. I Greci furono i primi a occuparsi dello studio dell’alimentazione. Padre della dietetica fu infatti Ippocrate, grande medico che considerava ogni alimento fattore di salute o causa di malattia, e che
dimostrò con i suoi studi come alcuni cibi fossero dannosi per le vie biliari (formaggi invecchiati, carne troppo salata, vini densi) e altri avessero un effetto benefico sull’organismo (carota, sedano, verdure). La cucina dell’antica Grecia si fonda su tre alimenti base: grano, olio e vino. Il frumento e i cereali rappresentavano il cibo fondamentale, accompagnati da formaggio, miele e molte varietà di focacce. Tra gli alimenti maggiormente consumati c’era infatti il pane. Ateneo, poeta greco del IV secolo a.C., nei suoi scritti ne cita 72 varietà: al finocchio, allo zafferano, al rosmarino, alla cipolla… I grassi erano forniti dall’olio d’oliva, mentre il vino, generalmente tagliato con acqua o addolcito con il miele, costituiva la bevanda più importante. I greci comunque preferivano l’acqua, secondo loro più nutriente perché fa crescere le piante e gli alberi. Tra gli alimenti
Tonno all’uva
Ingredienti: un trancio di tonno (800 gr) 3 cucchiai di olio d’oliva 2 cipolle affettate finemente un cucchiaio di farina un pizzico di pepe un pizzico di cumino un rametto di timo fresco un pizzico di coriandolo una manciata di uvetta secca un cucchiaio di miele Tempo di cottura: mezz’ora circa Procedimento: Prendete un bel pezzo di tonno fresco e ricavatene delle fette spesse da 3 a 4 cm. Fate quindi scaldare l’olio e metteteci a dorare le fette di tonno coperte di cipolla. Quando saranno dorate da tutte le parti, aggiungete la farina e mescolate. Aggiungete il pepe, il cumino, il timo, il coriandolo, l’uvetta e il miele. Fate restringere un po’ la salsa, finché il pesce non sarà ben cotto, poi servite caldo.
Pasticcio di piccoli pesci Ingredienti: 500 gr di sardine fresche 50 gr di uvetta secca una manciata di prezzemolo 3 piccole cipolle bianche affettate finemente un cucchiaio d’olio d’oliva un cucchiaio di farina Tempo di cottura: 15 minuti
Procedimento: Fate lessare i pesci; preparate poi una salsa mettendo in un recipiente di coccio l’uvetta, il pepe, il prezzemolo, la cipolla, l’olio. Fate cuocere una decina di minuti. Versate la salsa sui pesciolini cotti, legate il tutto con la farina e servite.
Pasticcio rovesciato
Ingredienti per 4 persone: 100 gr di pinoli 100 gr di noci (solo il gheriglio) 20 gr di miele di prima qualità un cucchiaino di pepe 1/2 litro di latte 2 uova intere 2 cucchiai di vino rosso di buona qualità un cucchiaio d’olio d’oliva Procedimento: Fate tostare nell’olio i pinoli e le noci. Frantumateli e uniteli al miele, al
pepe, al latte, alle uova e al vino. Mescolate bene, e servite.
Pasticcio di mele cotogne Ingredienti: 2 belle mele cotogne 2 porri un cucchiaio di miele un cucchiaio d’olio d’oliva 1/2 bicchiere di mosto cotto
Procedimento: I greci utilizzavano le mele cotogne nei modi più svariati. Secondo questa ricetta, le facevano cuocere insieme con i porri, il miele, l’olio d’oliva e il defructum (oggi è sostituito dal mosto cotto), ma si accontentavano talvolta di farle cuocere semplicemente in acqua, servendole poi cosparse di miele. Tempo di cottura: da 20 a 30 minuti a fuoco basso
Idromele (la bevanda degli dei) Ingredienti: 1,8 kg di miele 5 litri di acqua lievito 2 sorbe 2 bacche di ginepro secche un bottiglione in vetro tappo con gorgogliatore
Procedimento: Sciogliete il miele nell’acqua calda con 2 bacche di ginepro secche fino a formare un liquido omogeneo; mantenete la miscela a 80-90°C per 15 minuti in modo da inattivare i lieviti. Lasciate raffreddare e versate la miscela dentro un bottiglione. Attivate il lievito diluendolo in acqua tiepida e versatelo dentro il bottiglione. Se decidete di utilizzare le sorbe aggiungerle intere: servono a rilasciare acido malico, che conferisce freschezza. Tappate il bottiglione, mettete dell’acqua nel gorgogliatore e lasciate 4 settimane a gorgogliare. Dopo 4 settimane di fermentazione, imbottigliate l’idromele utilizzando bottiglie di vetro scuro. Dopo circa 3-4 mesi l’idromele è pronto per il consumo, ancora molto dolce e acerbo, ma già gradevole. Da quel momento in poi ogni mese passato in cantina a invecchiare non farà altro che migliorarne il sapore, rendendolo più secco e più alcolico.
che mangiavano con il pane c’era il pesce, che poteva essere fresco e cotto al cartoccio (facevano cuocere i filetti di sarda avvolti in foglie di fico), o conservato in salamoia; ma i ricchi Greci facevano uso anche di carne bovina, suina, ovine, pollame e selvaggina. I poveri, invece, accompagnavano il pane con i vegetali: cipolle, zucca, ceci, lupini, cavoli. I prodotti caseari, soprattutto formaggi di capra e di pecora, venivano consumati con il miele o con le verdure. La frutta era mangiata come dolce, mentre noci, uva, melograni e fichi essiccati erano scelti anche come antipasto o solo per accompagnare il vino. I Greci, che tenevano molto alle competizioni sportive, avevano una dieta anche per gli atleti, che dovevano mangiare, secondo le norme: carne, pane e vino con moderazione, oppure fichi secchi, formaggio e pane. La frugalità era caratteristica dei Greci antichi, che ne facevano un vanto e la ostentavano come una virtù. Ma già ai tempi di Pericle – V secolo a.C., l’età d’oro di Atene – c’era grande ricercatezza nella preparazione delle vivande, e si faceva sfoggio non solo di ghiottonerie ma di cuochi professionisti. Pensando a questo passato glorioso e illustre, ricordiamoci però che, anche se il mondo corre veloce, la storia ci raggiunge sempre. Ed è proprio per questo che siamo qui ancora a chiederci se non sarà proprio la Dieta Mediterranea, elaborata dei nostri antenati, a permetterci di sconfiggere il male del secolo: l’obesità.
In apertura Atene: il Pantheon, in origine dedicato alla dea Atena, protettrice della città. Qui, il frumento e i cereali rappresentavano il cibo fondamentale, accompagnati da formaggio, miele, olio e molte varietà di focacce
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chef italiani nel mondo
Filippo Strano
Francesco Greco
Originario di Verbania, si è diplomato alla scuola alberghiera di Stresa per poi intraprendere la sua carriera lavorativa dapprima in Italia e quindi all’estero, in Francia e in Inghilterra, dove ha maturato esperienze molto importanti e altamente formative. Attualmente è Junior Sous Chef al ristorante Angelus, nel cuore di Londra, ma nel suo futuro prossimo c’è l’Asia.
Nato a Cagliari, è figlio d’arte: la madre era chef e, prima di lei, la nonna Karoline, ungherese, era la cuoca della famiglia Rotschild. Diplomato alla scuola alberghiera, dopo una ricca esperienza in patria, nel 2003 approda a Bangkok per organizzare l’apertura del ristorante Scoozi in Surawongse Road, e in seguito di altri ristoranti di prestigio. Dal 2010 è Executive Chef al Cape Sienna Hotel & Villas di Phuket, in Thailandia.
Petto d’anatra affumicato con salsa all’aceto balsamico Ingredienti per 4 persone: 1 petto d’anatra 3 cucchiai di trucioli di faggio 6 albicocche secche 3 asparagi verdi 1 patata 3 fette di pancetta affumicata 50 cl. di aceto 25 gr burro vino bianco brodo di pollo zafferano sale, pepe
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di Gianluigi Pagano
Preparazione: Pulire e cuocere gli asparagi tenendoli al dente. Una volta raffreddati, tagliare la parte finale e avvolgerli nella pancetta. Coppare le patate della grandezza di 3-4 cm e cuocerle in acqua salata con una punta di zafferano. Bollire per 5 minuti le albicocche in uno sciroppo 1/1, per poi frullarle ottenendo una purea liscia. In una placca a contatto diretto col fuoco, aggiungere i trucioli e quando cominceranno a fumare, adagiare il petto d’anatra posto su di una griglia e sigillare con carta stagnola. Affumicare il petto per circa 8 minuti. Al momento di servire, passare le patate in padella con poco burro ma senza colorarle, rosolare gli asparagi avvolti nella pancetta. Rosolare quindi il petto d’anatra dalla parte della pelle e infornare per 3 minuti a 180°. Nella stessa padella, sfumare con del vino bianco e l’aceto balsamico, aggiungere un mestolino di brodo di pollo e legare con una noce di burro. Comporre il piatto con 2 quenelles di purea di albicocche, intercalare diagonalmente il petto scaloppato con le patate, negli angoli gli asparagi, e salsare.
Costine di agnello in crosta di pistacchio Ingredienti per 4 persone 2 carrè di agnello 200 gr di pistacchi di Bronte 60 gr di Pecorino Romano 40 gr pomodori semisecchi pan grattato 3 uova fresche una manciata di farina 00 sale e pepe q.b. Per la caponata una melanzana viola un peperone giallo una zucchina due grossi pomodori ramati olio extra vergine d’oliva quattro spicchi d’aglio una cipolla bianca un mazzetto di basilico una bustina di pinoli un pugno d’uva passa zucchero semolato aceto di vino rosso sale e pepe Per la salsa una noce di burro un cucchiaio di cipolla, sedano e carota, tritati grossolanamente un cucchiaio di farina vino Marsala Ambra semi secco di buona qualità brodo di carne per allungare
Preparazione: Preparare le costolette e passare nel mortaio pistacchi, pecorino, pomodori secchi, sale e pepe. Rompere col pestello e aggiungere pangrattato. Passare le costine nell’uovo e nei pistacchi. Per la caponata tagliare la melanzana, aggiungere sale e riporre. Tagliare zucchina e peperone. Scaldare l’olio con l’aglio in camicia, far insaporire e rimuovere. Aggiungere cipolla e verdure, soffriggere. Pelare i pomodori scottati, tagliare e buttare in padella. Insaporire di sale, zucchero e pepe. Aggiungere pinoli ed uvette. Sfumare con aceto, aggiungere basilico e riporre. Scaldare l’olio e cuocere le costine, riponendole nei piatti attorno ai monticelli di caponata. In padella, aggiungere burro, verdure, farina e fiammare col Marsala.
Rosanna De Carlo Lucana, lady chef appartenente anche all’Unione Regionale dei Cuochi. La sua passione per la cucina locale l’ha sempre portata alla ricerca delle ricette antiche, realizzate senza bilance e seguendo la stagionalità. Ha pubblicato un volumetto delle ricette del suo paese e dei piatti di cui s’è cibata da piccola e che sta recuperando assieme ad altri della tradizione. Il suo sogno è donare alla Biblioteca Nazionale di Potenza tutte le ricette che ha scoperto sul territorio.
Sinfonia di fusilli, zucchine, peperoni e gamberi Ingredienti per 4 persone: 350 gr di fusilli; mezza cipolla bianca affettata; 5 zucchine affettate e salate (una tagliata a rondelle e una lessata e frullata con olio evo); 2 peperoni rossi tagliati a quadri (un pezzo di peperone tagliato a listerelle); olio evo e sale q.b.; metà confezione di panna al salmone o solo panna e 2 fette di salmone affumicato; una ventina di gamberoni; due spicchi d’aglio; poco vino bianco secco; mollica di pane del forno a legna parzialmente rafferma (da sfriggere bene) e rucola fresca ridotta in pezzi grossolanamente
Preparazione: In una padella con olio evo, far andare a fuoco medio la mezza cipolla salandola e poi buttarla via. Nello stesso olio soffriggere i pezzi di peperone e, in ultimo le zucchine. In una terrina frullare parte di questi ingredienti con aggiunta di panna al salmone e lasciare in attesa. Mettere in forno i gamberoni con poco olio evo e i due spicchi d’aglio (che vanno eliminati una volta pronti i gamberoni). Dopo qualche minuto aggiungere
Salvatore De Vivo Ha iniziato a lavorare da giovanissimo mentre frequentava la scuola alberghiera di Napoli dove è nato. Dopo varie esperienze in ristoranti e hotel in tutta Italia, ha iniziato a viaggiare e lavorare prima in Europa, poi negli Stati Uniti e in Sud America. Da qualche anno si trova a Kiev, alla guida di un ristorante storico della città che propone la vera cucina italiana.
Spaghettoni di pasta fresca con polipo verace e olive di taggia Ingredienti per 4 persone: 400 grammi di spaghettoni di pasta fresca 250 grammi di polipo verace 100 grammi di olive di Taggia 100 grammi di pomodorini 50 grammi di pane raffermo 20 grammi di acciughe olio extravergine q.b. prezzemolo q.b. 2 spicchi d’aglio sale e pepe
Preparazione: In una padella far rosolare 2 spicchi d’aglio in camicia con dell’olio extravergine, aggiungere il polipo verace tagliato a pezzi e precedentemente sbollentato in acqua aromatizzata. Unire le olive di Taggia snocciolate, i pomodorini e abbondante prezzemolo, quindi aggiustare di sale e pepe. Cuocere al dente gli spaghettoni di pasta fresca e saltarli in padella per 2 minuti con l’aiuto di un po’ d’acqua di cottura. Spolverare con il pane profumato alle acciughe dissalate e servire.
il vino bianco secco e far evaporare. Tagliare parte dei gamberoni a piccoli pezzi e unirli a quanto non è stato frullato, nella stessa padella che fungerà da salta pasta. Versare la pasta, cotta al dente, nella padella, aggiungendo a quanto già contiene qualche cucchiaiata di crema frullata precedentemente. Disporre nei piatti individuali un poco di frullato di zucchina, i fusilli saltati in padella e guarnire con la mollica sfritta, la rucola e i gamberoni tolti dal forno e caldissimi.
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in Viaggio 110
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Siena, memorie dal sottosuolo Nel ventre della città del Palio, c’è un incredibile mondo nascosto, fatto di cunicoli e di segreti
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Biarritz, splendore sull’Atlantico Dai fasti della Belle Èpoque al beau vivre di oggi, il mito della bella città francese continua
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• Città in 24 ore, Brindisi • Città in 24 ore, Palma di Maiorca
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inviaggio
Siena,
memorie dal sottosuolo
di Elena Conti
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Scelti per voi
Toscana
Siena
Determinante nella storia della cittadina toscana solitamente ricordata per il suo Palio, la ricerca dell’acqua ha portato alla costruzione di una rete di vie e cunicoli sotterranei che oggi è possibile visitare, immergendosi (letteralmente) nel passato di Siena e scoprendo così le sue più affascinanti leggende Passeggiando per le vie di Siena, spesso si ignora di camminare su uno straordinario mondo sotterraneo che riproduce molte delle vie in superficie e che nasconde una Siena poco conosciuta. È l’antico acquedotto della città, realizzato con una tecnica di approvvigionamento idrico che non ha uguali nel mondo. In Europa, simili reti di gallerie scavate nel sottosuolo erano utilizzate fin dai tempi degli Etruschi e dei Romani, ma solo a Siena, associate allo sviluppo urbano, hanno consentito di costruire una delle città medievali più ricche e popolose d’Europa. Le prime testimonianze di questo acquedotto sotterraneo risalgono al 394 dopo Cristo, ma i grandi lavori iniziarono nel secolo XI per rispondere alle esigenze di una popolazione in espansione, talvolta utilizzando preesistenti fonti etrusche o romane. Quando si individuava la presenza di acqua, si iniziava a scavare una galleria che seguiva la vena, risalendo con una lieve pendenza, tenendosi sempre tra i due strati geologici che formano le colline senesi: quello superiore composto di sabbia, impropriamente detta tufo, porosa e permeabile, che filtra l’acqua piovana, e lo strato sottostante, di argilla compatta e impermeabile, che la trattiene. I bottini di Siena, questo è il nome dell’antico acquedotto cittadino, funzionante fino al 1914, sono un gioiello di ingegneria idraulica tre-quattrocentesca. Ancora oggi attivo per alcune utenze, anche se nei tratti più lontani dalle fonti, a 4-5 Km a nord
dove mangiare La buca di Porsenna A venti metri dalla piazza del Campo, un’indimenticabile ristorante scavato nel tufo. Si pranza in gallerie sotterranee illuminate in modo suggestivo. Si gustano piatti della tradizione senese e toscana; è famoso per i tortelli di ricotta e spinaci, realizzati con una pasta tirata a mano e sottilissima, ripieni di ricotta fresca consegnata giornalmente. Vengono proposti al sugo, burro e salvia o con il ragout di cinghiale, ma la vera curiosità sono i tortelli allo zucchero di canna e cannella. Da provare. Prezzo medio sui 30 euro. Via delle Donzelle, 1 Tel. 057744431 www.labucadiporsenna.it Antica Osteria da Divo Nel centro storico di Siena, ricavato nelle volte tufacee di origine etrusca, ha un fascino tutto particolare, si presta a serate indimenticabili. Cucina senese, ampia scelta di vini. Clientela prevalentemente straniera, perché segnalato in diverse guide diffuse all’estero. Ottimi i pici al ragù di cinghiale e la ribollita; servono gigantesche fiorentine con tortini di patate e fagioli. Prezzo medio 28 euro. Via Franciosa, 25-29 Tel. 0577286054 www.osteriadadivo.it Gallo Nero A pochi metri da piazza del Campo, un luogo dove immergersi nell’atmosfera medievale. Luci soffuse di candele e personale in costume, spesso anche musici con strumenti antichi. Propone piatti della tradizione contadina locale, con menu legati alla stagione e alla materia prima del territorio. Cucina medievale rivisitata in chiave moderna. Filiera corta, prezzi contenuti, grande qualità. Menu degustazione a 25 euro. Via del Porrione, 65/67 Tel. 0577284356 www.gallonero.it
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inviaggio
Dice la leggenda...
Qui e in apertura due celebri scorci di Siena. Meno nota invece la rete di “bottini” che ne percorre il sottosuolo, nella pagina seguente. L’associazione La Diana opera per il recupero, la manutenzione e la valorizzazione di questo patrimonio
In Europa, le reti di gallerie scavate nel sottosuolo erano utilizzate fin dai tempi degli Etruschi e dei Romani, ma solo a Siena, associate allo sviluppo urbano, hanno consentito di costruire una delle città medievali più ricche e pooplose 100
della città, i bottini sono a rischio di interramento, a causa delle frane, della penetrazione di radici, dell’accumulo di calcare e di fango. Da diversi anni, l’associazione di volontari La Diana, presieduta da Piero Ligabue, si opera per il recupero, la manutenzione e la valorizzazione di questo patrimonio, e su incarico del comune, fornisce le guide per la visita ai tratti aperti ai turisti. Alcuni cunicoli di questo straordinario mondo sotterraneo sono visitabili, ma bisogna avere la pazienza di prenotare con anticipo. La scelta è tra i bottini di Fonte Gaia, Fonte Nuova d’Ovile e Fonti di Pescaia, dove si può anche “emergere” e visitare il Museo dell’Acqua. Poter scendere in questo magico mondo sotterraneo è davvero un’esperienza unica. È necessario un abbigliamento adeguato (tutti i partecipanti dovranno dotarsi di torcia elettrica e calzature impermeabili, per il Bottino di Fonte Nuova sono sempre consigliabili gli stivali di gomma, per il Bottino di Fonte Gaia solo in caso di acqua alta) e non soffrire di claustrofobia. Non si fanno comunque brutti incontri, non ci sono animali né pipistrelli, si scivola in un mondo sotterraneo fatto di gorgoglii di acqua, cristalli di calcare, volte ad arco in piccoli mattoni che servivano a evitare il crollo delle sabbie inumidite. Si per-
Secondo la leggenda, all’epoca in cui si costruivano i bottini, capitava che gli operai adibiti al lavoro sotterraneo, detti guerchi, fuggissero dai cunicoli, spaventati per aver visto alcune creature che si annidavano nelle profondità della terra. Così nacque la storia che i bottini fossero abitati da homiccioli e fuggisoli, creature sotterranee che venivano avvistate dai guerchi, cioè dagli addetti alla manutenzione, che venivano pagati col vino, forse causa stessa delle allucinazioni. Gli homiccioli erano degli ometti innocui che ballavano in allegria, mentre i fuggisoli erano dispettosi e apparivano come lampi di luce. Tutte leggende nate per far fronte alla paura degli uomini che nei secoli hanno scavato questi percorsi sotterranei. La ricerca dell’acqua è stata infatti determinante nella storia di Siena. Ciò ha comportato inoltre che nei secoli si sia sviluppata una particolare sensibilità verso questo elemento vitale. La Diana è un ipotetico fiume che, secondo la tradizione, scorrerebbe nel sottosuolo di Siena. Dante Alighieri nella Commedia (Purgatorio, XIII, 151-154) così descrive i senesi “Tu li vedrai tra quella gente vana che spera in Talamone, e perderagli più di speranza ch’a trovar la Diana”. Per quanto la ricerca ufficiale della Diana è ormai cessata da secoli, la sua leggenda è ben viva nell’immaginario collettivo locale. Blu etrusco, ad esempio, è un cd che il musicista senese Fabio Pianigiani, per anni chitarrista di Gianna Nannini, ha costruito con undici brani creati da diversi campionamenti di suoni di acqua che divengono parti essenziale nello sviluppo armonico e melodico delle musiche. Il pezzo Fonte Gaia, è dedicato all’importanza dell’acqua viva, mentre La Diana, vuol far riflettere l’ascoltatore sulla possibilità di un rapporto positivo e armonico tra uomo, acqua e ambiente.
corrono suggestive gallerie spesso ad altezza d’uomo, nei tratti più angusti anche piegati. L’acqua scorre in un piccolo canale, detto gorello, fatto di docci di terracotta. Nel tratto finale, prima di sfociare nella vasca della fonte, passa dalle vasche di decantazione chiamate purgatori o galazzoni. All’interno di questo formidabile sistema idrico sotterraneo si trovano delle targhe ottocentesche, e un particolare meccanismo, una sorta di contatore per calcolare l’acqua ricevuta dall’utenza in superficie. Queste targhe risalgono all’Ottocento, quando le famiglie più ricche, che avevano abitazioni vicine al percorso dei bottini, si allacciavano all’acquedotto e avevano l’acqua “in casa”, mentre il resto della popolazione doveva continuare a recarsi alle fonti pubbliche. Queste sono le uniche modifiche che i bottini hanno subito da quando sono stati costruiti.
Visitare i bottini è possibile Solo dalla primavera all’autunno è possibile concedersi il piacere di partecipare a un’escursione alla scoperta del sottosuolo di Siena, perché la visita ai bottini dipende dal livello dell’acqua nei cunicoli. Sono possibili tre facili itinerari di diversa lunghezza: il Bottino maestro di Fonte Gaia di 1200 metri, il Bottino maestro di Fontenuova, di
610 metri, e una visita breve al Bottino delle Fonti di Pescaia. Come fare la richiesta? Per visitare i bottini o il museo dell’Acqua, occorre effettuare una richiesta scritta con un preavviso di almeno 15 giorni, indicando la data e la motivazione della visita. La richiesta viene esaminata e accolta a giudizio insindacabile dell’amministrazione comunale. Per prenotare una visita occorre contattare l’Associazione La Diana info@ladianasiena.it, indicando il numero di partecipanti e un telefono, le visite vengono effettuate solo per piccoli gruppi. Una volta ottenuto il consenso, occorre effettuare il versamento del corrispettivo al Comune di Siena che varia a seconda degli itinerari ma non supera i 10 euro a persona. L’eventuale utilizzo di una macchina fotografica o cinepresa dovrà essere esplicitamente autorizzato dal Sindaco in specifica autorizzazione. L’amministrazione comunale si riserva però la facoltà di poter revocare in ogni momento e senza preavviso l’autorizzazione alla visita per motivi di ordine pubblico, di esigenze sopravvenute o per la tutela dei visitatori stessi. Per ulteriori informazioni consultare il sito www.ladianasiena.it
Scelti per voi dove dormire Albergo Tre Donzelle Posizione perfetta, a pochi passi da Piazza del Campo, piccola struttura alberghiera con una sola stella. Ideale per giovani. Luogo piacevole e accogliente, camere abbastanza spartane, prezzi bassi. All’esterno, sul vicolo, una targa ricorda il soggiorno del famoso poeta polacco Zbigniew Herber: “solo qui sono stato felice”. Vicolo delle Donzelle, 5 www.tredonzelle.com Hotel Palazzo Ravizza Situato in una dimora storica, in centro città zona Duomo, struttura di grande fascino, albergo di charme. Ampio giardino, limonaia, sale affrescate, alcune camere hanno letti a baldacchino, mobili d’epoca. Ideale per fare un salto indietro nel tempo. Prezzi a partire da 118 euro. Pian Dei Mantellini, 34 Tel. 0577 280462 www.pa lazzoravizza.it
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inviaggio
L’isola dei tesori ritrovati A Malta, che custodisce la città silente, c’è una chiesa per ogni giorno dell’anno, e Osiride veglia sulla buona sorte della pesca. Da queste parti i Cavalieri proteggevano funghi magici e a tavola si incontravano (e si incontrano ancora) fenici, greci, arabi, italiani, spagnoli, francesi, inglesi… di Lucrezia Argentiero
Malta
“Coniglio in umido con olive”. Era questo uno dei piatti preferiti dai Cavalieri di San Giovanni, che fecero di Malta l’avamposto dell’Occidente cristiano per oltre due secoli. Un piatto unico soprattutto per il fattore olive, che erano bianche. Le “perline maltesi”, come erano state soprannominate ai tempi dei romani. Oggi, su questa isola felice del Mediterraneo, le particolari piante di ulivo che erano scomparse sono state recuperate. L’artefice del “ritrovamento” è Sam Cremona, gioielliere in pensione che da anni produce olio nella sua tenuta a Wardija (nella zona nord), e che ha scovato alcune piante in un’area dismessa. Le “albine” sono molto polpose, e mantengono la colorazione biancastra anche con la maturazione (a settembre). Un suc-
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In apertura La Valletta con le sue mura fortificate (foto: Lucrezia Argentiero) e, sotto, la splendida grotta blu (il blue grotto). Qui, le olive “albine” sott’olio (foto: Lucrezia Argentiero)
cesso che si affianca a quello di un’altra varietà riscoperta sull’isola, la Bidnija, detta “con la gobba”, per la sua originale forma. Dalle olive si produce anche un eccellente olio, buono sul pane casereccio e croccante, cosparso di miele (altra eccellenza gastronomica, tanto che Malta si chiamava Melita, che pare derivi dal greco meli, ovvero miele) scottato qualche secondo nel forno. Tutta la gastronomia risente delle influenze antiche provenienti dai diversi angoli del Mediterraneo: fenici, greci, arabi, italiani, spagnoli, francesi e inglesi hanno lasciato segni importanti del loro passaggio nelle ricette.Un viaggio sull’isola (a 100 km a sud della Sicilia, un concentrato di bellezze racchiuso in appena 35 chilometri quadrati di terra) è un viaggio tra i sapori e i colori.
Come non sentirsi osservati Dal bianco dell’oliva si passa infatti a quello di Mdina, che significa “città fortificata”, l’antica capitale. Conosciuta da tutti come la “città silente”, dai suoi bastioni offre una magnifica veduta dell’isola. Camminando a piedi tra gli stretti vicoli sembra di fare un tuffo nel passato. Niente traffico, pochi turisti e ancora meno residenti, circa duecento persone. Il bianco poi cede il passo all’infinita varietà dei colori (rosso, verde, blu, beige, grigio) dei balconi, le famose Gallerija. Da qui, le donne, soprattutto quelle di buona famiglia o le vedove, potevano stare sedute e magari lavorare al tombolo, senza essere viste ma scrutando tutti dall’alto e senza prendere troppo sole. E tuttora si ha l’im-
Ai tempi dei romani le caratteristiche olive bianche dell’Isola erano chiamate “perline maltesi”. Di loro si erano perse le tracce ma oggi è possibile gustarne il sapore e la consistenza polposa, provandole magari con il coniglio in umido 103
inviaggio
A ritmo lento nell’isola di Gozo
pressione di essere osservati dall’alto in basso, non dalle signore ma dalle occhiate, a volte arcigne, delle statue di pietra calcarea, scolpite sotto la maggior parte dei balconcini, mentre in strada si è circondati da un’atmosfera allegramente caotica. Di statue se ne vedono a centinaia soprattutto nella capitale, La Valletta, Patrimonio dell’Umanità protetto dall’Unesco. Da non perdere, una visita alla Co-Cattedrale di San Giovanni (ingresso a pagamento), riccamente decorata d’oro all’interno, dove si conserva il capolavoro di Caravaggio: la Decollazione di San Giovanni.
Suggestioni e antichi miti Ci si muove poi alla volta di Fort St Elmo, poco distante, un’immensa fortezza, orgoglio dei cavalieri, sulla cui entrata spiccano lastre di pietra rotonde che nascondono grandi depositi di cereali. La curiosità? Ognuna di queste “botole” potrebbe contenere fino a 5000 tonnellate di cibo. Se capitate di domenica mattina, si può visitare gratuitamente e ammirare la sfilata storica In Guardia. Il suono delle spade e il rumore dei moschetti catapulta nel passato all’epoca degli eroici cavalieri. Sempre legati ai cavalieri sono i giardini di Barakka, a picco sulla baia. Da quassù
In alto la bella Chiesa di San Paolo a Mdina, antica capitale di Malta. Sotto, la “finestra azzurra”di Dwejra (sull’isola di Gozo), scenografico scoglio eroso dal mare e dal vento
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A poche centinaia di metri da Malta (solo 20 minuti di traghetto), c’è Gozo, un’isola tranquilla (lunga solo 14 km), meta perfetta per chi cerca serenità, mare paradisiaco e bellezze naturali ancora incontaminate (si candida a diventare isola a impatto zero entro il 2015). Appena scesi dal traghetto si ha la sensazione di essere catapultati in un altro mondo. Rilassato e dai ritmi lenti, una piccola gioia. Tanto che molti ritengono che proprio a Gozo si riferisca Omero nell’Odissea quando parla della dolce isola di Ogigia. Da vedere? La spiaggia di Ramla I-Hamra che assume una particolare colorazione rossastra. Qui si trova (ma non visitabile) la grotta dove la leggenda vuole sia avvenuto l’incontro tra la ninfa Calipso e l’eroe Ulisse. Super fotografata, poi, è la “finestra azzurra”, a Dwejra, uno scenografico scoglio eroso dal mare e dal vento. Di fronte, emerge il Fungus Rock, una roccia chiamata anche “champignon” per la sua forma che ricorda un fungo. C’è chi dice che il nome derivi dal fatto che vi cresceva un fungo considerato magico per i suoi poteri curativi, tanto che i Cavalieri misero una guardia a controllo dello scoglio. Per il soggiorno si consiglia Thirtyseven 37 (www.thirtysevengozo.com), esclusivo bed and breakfast a Munxar, villaggio rurale a sud dell’isola.
Scelti per voi
Spiagge di borotalco e fondali da sogno Malta è sinonimo di mare. Acque trasparenti, dalle mille sfumature di verde-azzurro e spiagge che danno la sensazione di essere in un luogo esotico. Tra queste Paradise Bay, sull’estremità nord occidentale: la sabbia sembra borotalco per quanto è bianca e fine. Più selvaggia e isolata è invece Ghajn Tuffieha, a nordovest, tra scogliere a strapiombo e raggiungibile solo attraverso un sentiero impervio, o Armier Bay, sulla costa nord, sempre battuta dai venti. Per gli amanti delle immersioni c’è la baia di St Peter’s Poo, a sud-est, e quindi una zona fantastica per immergersi alla scoperta delle ricchezze dei fondali. Infine, ideale per i piccoli, Ghadira Bay, con i suoi fondali poco profondi.
dove mangiare Sciacca Specialità di pesce e ambiente elegante, proprio vicino al quartiere Paceville, il più modaiolo e giovane, ideale per la nightlife. Prezzo medio: 30 euro Tel. +356 21331310 www.sciaccamalta.com
Qui sopra, le Luzzi, tipiche imbarcazioni dallo sguardo “divino”. Sotto, la vista dai giardini di Barakka
Wine bar Trabuxu In una cantina di tufo, arricchita da numerosi cavatappi decorativi alle pareti. Ottima selezione di vini internazionali e degustazioni. In estate anche musica all’aperto. Tel. +356 21223036 www.trabuxu.com.mt
dove dormire The Xara Palace Nel cuore di Mdina, un’elegante struttura della catena Relais & Chateaux, all’interno di un palazzo di fine XVII secolo. Lusso e confort moderno. Prezzi: doppia da 200 euro Tel. +356 21450560 www.xarapalace.com.mt
si possono scorgere anche alcune Luzzi, le piccole barche dalle mille varianti di colore. La loro caratteristica? Gli occhi. Sì. Queste piccole imbarcazioni “ci vedono”, tanto che ognuna di loro sembra che fissi proprio noi. Sono gli occhi di Osiride, decorazioni di buon auspicio. Le più numerose? Quelle sulle acque trasparenti del grazioso porticciolo di Marsaxlokk, il cui nome significa “porto di scirocco”. Non di rado capita di vedere un pescatore intento a ritoccare con la vernice queste particolari decorazioni, divenute un po’ il simbolo dell’isola. «Ci prendiamo cura di loro – ci dice Mark, da oltre 40 anni per mare con la sua barchetta – perché dobbiamo garantirci la maggiore protezione possibile e scongiurare una pesca infruttuosa. Gli occhi sono del dio egizio della fertilità e della morte che tiene sotto controllo gli spiriti del male e i mostri che potrebbero sbucare dalle acque
profonde». Accanto all’aspetto più pagano, c’è sempre quello religioso, che si ritrova ovunque. I maltesi sono ferventi cattolici e quindi ogni barca prende il nome da un Santo e ha all’interno un’immagine sacra, una sorta di piccolo santuario. A dimostrare questa profonda fede ci sono numerose cappelle barocche, chiese neogotiche e basiliche medievali. In totale sono ben 365, da poterne scegliere una per ogni giorno dell’anno. Molte di queste hanno curiosamente due orologi posti sulla facciata. Quello di sinistra è sempre fermo. Un trucchetto studiato per distrarre il diavolo che non sapendo l’ora, non può disturbare i fedeli in preghiera. Del resto i maltesi sono molto superstiziosi. Basti pensare che se qualcuno chiede loro come stanno, rispondono «nux hazin, non male», al posto del classico «bene», per non far nascere nessun sentimento di invidia.
Maison La Vallette Una vecchia casa, nel cuore della città murata di Valletta, con muri spessi e originali travi in legno, recuperata con gusto, eleganza e design. Prezzi: da 95 euro, soggiorno minimo 3 notti Tel. +356 7948 8047 www.maisonlavallette.com
dove comprare Mdina Glass Vasi, piatti, ciotole, bottiglie e molti altri oggetti per la casa, in vetro colorato e lavorati a mano. Merchant Street, 14 – La Valletta Tel. +356 21226488 www.mdinaglass.com.mt
per informazioni Ente Nazionale per il Turismo di Malta, Gozo e Comino Numero verde: 80072230 www.visitmalta.com
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l’italiainmostra
Otranto, anche Marylin va al Castello “La città più orientale d’Italia” è il luogo esemplare per ospitare l’icona Pop del XX secolo: un approdo davvero inevitabile per Andy Warhol e le 50 opere della rassegna “I want to be a Machine” di Silvana Delfuoco
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Puglia
Qui, a sinistra, il Castello Aragonese, cornice perfetta per la mostra su Andy Worhol. A destra il bellissimo mosaico della Cattedrale di Otranto realizzato dal monaco Pantaleone
Otranto
Per Enea che fuggiva da Troia in fiamme – narra una leggenda – il porticciolo di Porto Badisco, tra la sabbia e gli scogli della costa sud di Otranto, apparve come un rifugio di sogno. La stessa cosa pensano ancora oggi, sia pur per ragioni diverse, i turisti che vi arrivano attirati dal paesaggio incantevole e dal mare pulito. All’eroe troiano fecero seguito col tempo, tutti accreditati dalla storia, i Greci, i Romani e, soprattutto, i Bizantini, che dotarono la città di salde fortificazioni per proteggerla dagli attacchi dei barbari e ne accrebbero vertiginosamente il prestigio. Fu così che Otranto divenne anche il cuore del monachesimo di rito greco grazie alla costruzione, alla fine dell’XI secolo, dell’abbazia di San Nicola di Casole. Posto a pochi chilometri dall’abitato, il monastero divenne col tempo il più importante di tutta l’Italia meridionale: dotato di una ricchissima biblioteca, i suoi monaci amanuensi erano conosciuti e apprezzati nell’Europa intera. Ed è a questa fusione di culture che si deve il formarsi del grìco, una parlata che ancora si sente risuonare nella Grecìa Salentina. Ma anche per gli idruntini – così ancora si chiamano gli abitanti di Otranto – passavano i secoli. E arrivarono così i Normanni, gli Angioini, gli Aragonesi… e i Turchi!
Mamma li Turchi! Il 28 luglio del 1480 una flotta di centocinquanta navi ottomane raggiunse Otranto e se ne impossessò, nonostante la coraggiosa resistenza dei suoi abitanti: ottocento uomini,
Il mosaico pavimentale della Cattedrale Realizzato dal monaco Pantaleone, preside della facoltà di pittura dell’Università di Casole, tra il 1163 e il 1165, con tessere policrome di calcare locale molto duro, il mosaico è in stile romanico con alcuni elementi bizantini. L’opera si snoda lungo la navata centrale, le seminavate laterali, l’abside e il presbiterio, simboleggiando il dramma dell’uomo nella lotta tra il bene e il male. Nella navata centrale svetta un altissimo “albero della vita” sui cui rami si alternano personaggi di ogni tipo: biblici, mitologici, storici, animali, angeli, diavoli, creature mostruose. Tra loro spiccano, curiosamente, anche re Artù, lo zodiaco, Diana e il cervo ferito, lo Scacchiere dell’Essere, Alessandro Magno su due grifoni alati e due grandi elefanti che sorreggono l’albero. Simmetricamente, nelle due navate di destra e di sinistra vengono riproposti altri due alberi, altrettanto ricchi di immagini singolari: la redenzione e il giudizio universale. Il mosaico continua nel presbiterio, dove è narrata per immagini la storia dell’umanità a partire da Adamo ed Eva, e nell’abside con le vicende avventurose del profeta Giona. “Il manto musivo va letto, anzi sfogliato, pagina dopo pagina, accuratamente – scrive lo storico e parroco della Cattedrale don Grazio Gianfreda – come se fosse un gran libro di pietra”.
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l’italiainmostra
Un’estate di pop-art Dopo Mirò, Picasso e Dalì, il Castello Aragonese di Otranto, divenuto suggestivo contenitore culturale, è aperto fino al 30 settembre 2012 per la sua quarta stagione artistica, con la mostra: Andy Warhol. I want to be a machine. Sono cinquanta le opere dell’artista esposte, tutte provenienti da collezioni private italiane e prodotte con la tecnica meccanica della serigrafia. Da Marylin a Campbell’s Soup, da Electric Chair alla serie dei Flowers e a molto altro ancora. Sarà un’occasione unica per avvicinare nel loro insieme i quadri che hanno trasformato radicalmente il rapporto tra arte e società nella seconda metà del Novecento. Non dimentichiamo infatti che un’opera di Warhol è stata scelta per essere posta nel 1969 sul suolo lunare dall’Apollo 12, allo scopo di rappresentare noi tutti a un ignoto navigatore spaziale del futuro. Accanto alla grande mostra si apre anche la rassegna Summer Pop Otranto 2012. Omaggio a Andy Warhol. Il tema scelto è sintetizzato in un famoso aforisma dello stesso Andy Warhol: “La pop art è un modo di amare le cose”. Continua così il percorso di marketing innovativo intrapreso nel 2009 con la nuova direzione artistica del castello, amplificando l’attrattiva e l’offerta culturale della Città di Otranto e dell’intero territorio del Salento. Per informazioni e prenotazioni: Te. 199151123 callcenter@sistemamuseo.it www.warholotranto.it
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che avevano rifiutato di convertirsi all’Islam, vennero decapitati sul Colle di Minerva, il luogo più alto della città. Otranto venne conquistata e saccheggiata, la sua fiorente attività commerciale interamente distrutta. Anche l’abbazia di San Nicola di Casole fu ridotta a un cumulo di pietre, oggi ancora visibili al centro di una masseria. L’anno successivo, al ritorno degli Aragonesi, iniziò la ricostruzione, ma la ferita impressa non si è mai più rimarginata del tutto. Ogni anno i Beati Martiri vengono celebrati con tre giorni di festa – il 12, 13 e 14 agosto – preceduti dalla tredicina, una lunga preparazione che ha inizio il 31 luglio con la solenne esposizione dell’Urna dei Martiri in Cattedrale. E festa vuol dire processione, luminarie, fuochi d’artificio ma anche buon cibo e cucina tipica.
Piatti di mare, di terra e di fiume La pesca è un’attività ancora molto attiva in questo mare, tra i più puliti d’Italia: sgombri, cefali, cernie, saraghi, dentici, orate, polipi, calamari e via dicendo, senza dimenticare gli squisiti ricci di mare. Ecco allora la zuppa di pesce ma anche la buona minestra di farro con frutti di mare e scorfano o le gustose linguine con la seppia, melania e mollica soffritta. Dall’entroterra, che da sempre produce olio, frutta e ortaggi, arrivano i ciciri e tria, la versione salentina della pasta e ceci, dove la tria è una tagliatella in parte fritta e in parte cotta nel brodo di ceci. E poi un trionfo di verdure, dalle melanzane grigliate con aglio e menta, ai peperoni verdi fritti e ai pomodori ripieni, senza dimenticare la cicoria all’acqua di Otranto, dai molteplici benefici. Coltivata in pieno campo nella Valle dell’Idro e intorno ai Laghi di Alimini a nord di Otranto, si consuma cruda in pinzimonio oppure lessata nella zuppa di cicoria, come piaceva al poeta Orazio.
“Casa di cultura tollerante” Così definì la città Carmelo Bene, che in lei riconosceva la propria patria elettiva, aggiungendo che “affondare la propria origine in
Un itinerario fatto di pietre Non solo i mosaici della sua Cattedrale, ma anche altre pietre sono depositarie di tesori inaspettati nel territorio di Otranto. Basta infatti uscire dalla città dalla periferia sud per inoltrarsi nella Valle delle Memorie e di lì raggiungere la Masseria di Torre Pinta, uno dei luoghi più antichi della regione, forse un’ampia torre colombaia, oggi trasformata in agriturismo. Un’altro insediamento rupestre, ma questa volta sotterraneo, si incontra percorrendo la litoranea che da Otranto porta a Santa Cesarea Terme: la Grotta dei Cervi, uno dei più grandiosi musei di arte preistorica in Europa, ancora oggi meta di studi e analisi da parte di esperti ma purtroppo non ancora accessibile al pubblico. Ci si può però prontamente consolare proseguendo per Castro, splendida cittadina costruita sulla roccia, con una visita alla sua Grotta Zinzulusa, sicuramente abitata dall’uomo nella preistoria. Ad accogliere il visitatore all’ingresso curiose stalattiti a forma di “stracci”: gli zinzuli che penzolano vivaci tra trasparenze e giochi di luce. Nella direzione opposta, verso San Cataldo, si può ammirare la Grotta della Poesia, forse un tempo santuario del dio Tabor o leggendario rifugio di una bella principessa. E poi la Grotta dei Giganti, quella dell’Elefante, del Cavallo, del Diavolo... Tutte testimonianze del fenomeno carsico che nel Salento è riuscito a creare costruzioni di particolare bellezza.
terra d’Otranto è destinarsi un reale-immaginario”. È d’obbligo la citazione di The Castle of Otranto di Horace Walpole, primo esempio di romanzo gotico in Europa, incentrato sulle cupe leggende sorte intorno al rinascimentale Castello Aragonese, cornice perfetta per la mostra su Andy Worhol. Ma la città possiede anche un’altra fascinosa fonte di ispirazione artistica: il favoloso mosaico del XII secolo che si stende lungo le tre navate sul pavimento della Cattedrale, dalla controversa e ancora misteriosa interpretazione. Lo stesso fascino contradditorio che emana dall’intera opera di Warhol, ora che la critica più recente ha messo in luce il ruolo fondamentale della sua formazione religiosa di derivazione cecoslovacca ortodossa. Come non pensare a un sottile legame tra lui e il monaco bizantino artefice del mosaico pavimentale nel lontano 1163… Per informazioni: www.comune.otranto.le.it
Scelti per voi dove mangiare Da Sergio Anche se è sempre necessario prenotare, specialmente d’estate, troverete buone proposte di pesce fresco cucinato secondo tradizione in questo piccolo ristorante del centro storico. Prezzo medio: circa 40 euro senza vino Corso Garibaldi, 9 – Otranto (Le) Tel. 0836801408 Peccato di vino Location fascinosa per questo ristorantino dietro la Cattedrale. Cucina di pesce rivisitata, curata la carta dei vini. Prezzo medio: circa 40 euro senza vino Via Rondachi, 7 – Otranto (Le) Tel. 0836801488 Masseria Panareo Un’antica masseria poco lontana dal mare interamente ristrutturata che dispone anche di piscina all’aperto e diciotto camere. La cucina è sia di tradizione salentina che italiana, con fresca materia prima locale. Prezzo medio: circa 40 euro senza vini Via Litoranea Otranto – Santa Cesarea (Le) Tel. 0836812999 www.masseriapanareo.com
dove dormire Hotel degli Haethey Un moderno quattro stelle sulla collina ma a pochi chilometri dal mare con annesso ristorante di cucina tipica. Prezzi: da 45 a 135 euro a notte Via Antonio Sforza – Otranto (Le) Tel. 0836801548 www.hoteldeglihaethey.com Corte di Nettuno Ospitato in un’antica corte salentina, a pochi passi dal centro storico e dal porto.
Nel ristorante, cucina di tradizione. Prezzi: da 70 a 150 euro a notte Via Madonna del Passo – Otranto (Le) Tel. 0836801832 www.cortedinettuno.it Masseria Hotel Gattamora Un tranquillo tre stelle con piscina nella campagna salentina, a 6 km da Otranto e a 3 km da Porto Badisco. La cucina ha proposte di terra e di mare secondo la tradizione appena rivisitata. Prezzi: da 45 a 70 euro a notte Via campo Sportivo, 33 Uggiano la Chiesa (Le) Tel. 0836817936 www.gattamora.it Villaggio Club Med Otranto Una delle mete più hot dell’estate 2012: discipline sportive, serate lounge e di festa, gastronomia raffinata e creativa a cura di chef pluristellati. Ideale per single e amici. Prezzo medio a persona per una notte a luglio: 149 euro Via Porto Santo Stefano – Otranto (Le) Tel. 0836802688 www.clubmed.it Patria Palace Lecce Un hotel dal fascino d’altri tempi, nel cuore del centro storico di Lecce. Situato di fronte alla storica Basilica di Santa Croce, di cui si possono ammirare indimenticabili scorci dal Roof Garden, l’hotel, sontuosamente restaurato da artisti e maestri artigiani, accoglie i suoi ospiti in un’atmosfera elegante. Membro della prestigiosa collezione MGallery, esclusivo network internazionale di hotel d’alta gamma dalla personalità unica. Nella foto in alto uno scorcio della bella terrazza sulla città. Prezzo medio: 105 euro a notte la singola, 165 euro la doppia Piazzetta Riccardi, 13 – Lecce Tel. 083224 5111 www.mgallery.com
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inviaggio
Biarritz,
splendore sull’Atlantico di Giancarlo Roversi
Nell’immaginario collettivo evocare il nome di Biarritz, il rinomato centro balneare francese sulla costa basca dell’Atlantico, dipinge nella mente, anche di chi non vi ha mai messo piede, un’immagine mitica grazie ai fasti degli anni del Terzo Impero, impreziositi dal soggiorno di Napoleone III e dell’imperatrice Eu-
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Non c’è grande della letteratura e dell’arte che non sia passato da qui. Lungo il suo litorale si davano appuntamento Dumas e Zola, mentre nelle stanze dell’Hotel du Palais soggiornavano Rita Hayworth, Frank Sinatra e Gary Cooper. Ancora oggi, “la regina delle spiagge e la spiaggia dei re” incanta i visitatori e li invita a scoprire l’affascinante Paese Basco francese
genia. Una fama consolidata durante tutta la Belle Époque, che vide sorgere a ridosso del mare una corona di prestigiosi alberghi, i Palais, e un grande Casino. Ma anche una fama che si è perpetuata fino ai giorni nostri, facendone una delle mete preferite dei vip di tutto il mondo, e che non ha nulla da invidiare alla Costa Azzurra.
Le stanze della memoria A far scoprire la località è stato, a metà dell’800, il grande romanziere francese Victor Hugo che si trovò di fronte un pittoresco e affascinante porto peschereccio con tante barche variopinte e, tutt’attorno, una distesa di spiagge vergini incorniciate da una superba costa rocciosa e da colline rigogliose. Lo splendido palazzo di vacanza di Napoleone III e dell’amata Eugenia, ora trasformato in uno degli alberghi più esclusivi e ambiti non solo della Francia, l’Hotel du Palais, e la villa della regina Vittoria stanno a testimoniare il suo glorioso passato. Durante tutta la seconda metà del secolo scorso e i primi anni del ’900 teste coronate di ogni Paese – i re di Württemberg, del Belgio e del Portogallo, principi russi, polacchi e rumeni, nobili di Spagna e lord inglesi – fecero di Biarritz il buen retiro delle loro vacanze, contribuendo ad accrescerne la rinomanza internazionale e ad arricchire la cittadina di preziosi edifici di stile flamboyant. Ospiti ammirati furono anche statisti, illustri scrittori e artisti di fine secolo come Carnot, Poincaré, Clémenceau, Ravel, Picasso o Émile Rostand. E Alexandre Dumas che spesso si trovava in compagnia di Émile Zola a passeggiare lungo il ridente litorale.Mentre Sarah Bernhardt e Lucien Guitry, padre di Sacha, si esibirono sul palcoscenico del Casino Bellevue assieme a tante altre vedette.Dopo la seconda guerra mondiale Biarritz riprese il suo ruolo di centro balneare d’élite, ospitando il gotha internazionale: re Farouk d’Egitto, Michel di Romania, Pietro di Yugoslavia, e star del cinema quali Rita Hayworth con il marito Alì Khan, Frank Sinatra, Gary Cooper, Bing Crosby e tanti altri, tutti attratti dallo sfarzo delle suite e degli splendidi saloni dell’Hotel du Palais. Sì, perché qui il soggiorno – o anche una sosta a tavola nell’immensa sala da pranzo circolare della Belle Epoque, unica al mondo nel suo genere – o al limite una fugace visita, offrono emozioni indimenticabili. Specie se si ha la fortuna d’incontrare la manager dell’hotel, Jeanne Marchetti, italiana di Città di Castello (ma da tanti anni trapiantata in Francia), che vi mostrerà alcune delle meravigliose stanze,
In apertura, una panoramica sulla costa con uno scorcio del Casino Bellevue. Qui, lo scrittore Émile Zola, tra i celebri frequentatori della località, e un interno dell’Hotel du Palais
Biarritz è una delle stelle di prima grandezza del turismo mondiale. Tra le ragioni di questo successo la cucina basca che qui tocca il massimo livello grazie al connubio fra le raffinatezze francesi e l’esuberanza della tradizione spagnola 111
inviaggio
Idee fuoriporta A quello di Biarritz, va poi aggiunto il fascino dei centri minori. Come la cittadina di S. Jean-de-Luz, col suo porto pittoresco, le sue boutique eleganti e il suo suggestivo tessuto edilizio. Costruita ai piedi della Rhune, la più alta montagna basca (905 m) raggiungibile con un trenino a cremagliera, si affaccia su una bella baia protetta dai venti e rappresenta la migliore fra le località marittime basche. Fra le sue mura nel 1660 si sposarono Luigi XIV e Maria Teresa d’Austria. D’obbligo poi un salto in collina, a Sare, dove si può sostare nel delizioso Hotel Arraya, arredato con sobria eleganza e con ottima cucina (www.arraya.com). Da non perdere una sosta a Bayonne, la bella capitale del Paese Basco francese, famosa per il suo prosciutto, per lo shopping e per le sue corride incruenti.
Per informazioni: Atout France Italie www.rendezvousenfrance.com Comite Departimental du Tourisme Pays Basque www.tourisme64.com Office de Tourisme de Biarritz www.biarritz.fr
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la piscina, le terrazze, la prestigiosa Spa Imperiale Guerlain, che si estende su 2900 mq e richiama ospiti da tutto il mondo alla ricerca del benessere e dell’armonia psicofisica. Inappuntabile la regia della tavola curata da Jean-Marie Gautier, uno dei migliori chef di Francia, insignito della stella Michelin e di vari riconoscimenti internazionali, che propone una cucina classica contemporanea, privilegiando il rispetto delle stagioni e dei prodotti regionali pur restando aperta ai sapori del mondo. Tra le sue creazioni più suadenti figurano: le noci e Saint Jacques in crosta di noccioline, aceto all’olio di tartufo, rucola e insalata; l’agnello al latte dei Pirenei, con piccoli legumi di stagione e succo di peperoncino di Espelette; i filetti di triglia in padella con riso cremoso e salsa di peperoncino di Espelette. A soggiornare all’Hotel du Palais, lambito dalla spiaggia e dal mare con una strabiliante vista panoramica sull’Atlantico, ci si può sentire davvero un re, anzi un imperatore, come Napoleone III (www.hoteldupalais.com).
Windsurf, golf e cioccolato Nonostante l’inesorabile fluire del tempo e delle mode Biarritz resta una delle stelle di prima grandezza del turismo mondiale per una serie di attrattive difficilmente ritrovabili tutte riunite assieme. Anzitutto per la sua fama di centro elegante e per la sua posizione geografica incantevole, al confine fra la Francia del sud e la Spagna del nord, in quello straordinario Paese Basco che riserva tante piacevoli sorprese al turista. E poi per le sue splendide coste alte e le sue grandiose spiagge affacciate sull’oceano, le cui maree costituiscono uno spettacolo nello spettacolo. Ma anche per il suo clima e il suo sole che sanno di Mediterraneo, e per la bellezza e i colori sgargianti dell’ambiente naturale che fa da cornice con un alternarsi di dolci colline ricche di pittoreschi borghi e antiche chiese in architettura basca medievale e rinascimentale con interni a gallerie (riservate agli uomini). E an-
In basso, una veduta di Biarritz e, a sinistra, il cioccolato, protagonista del delizioso Museo che qui ne ripercorre la storia
Scelti per voi dove mangiare Auberge Basque Situato in un piccolo villaggio, Helbarron / Saint-Pée, un luogo tranquillo, con splendide viste sulle colline circostanti e sui primi declivi dei Pirenei. Si tratta di un piccolo ma raffinato hotel di sole 11 camere, un piacevole mix di architettura d’epoca e contemporanea, che offre un soggiorno molto gradevole affogato nel verde. Fiore all’occhiello è il ristorante gastronomico ricavato in un casale ristrutturato. Lo gestisce Cédric Béchade, un giovane allievo del mitico Alain Ducasse, al cui fianco si è fatto le ossa entrando nel drappello dei migliori cuochi odierni della Francia, fautore dell’arte culinaria classica evolutiva. Menù da 39 a 70 euro. Vieille Route de St Jean de Luz, D 307 Helbarron / Saint-Pée Tel . +33 (0)5 59517000 www.aubergebasque.com La prestigiosa Spa Imperiale Guerlain dell’Hotel du Palais si estende su 2900 mq e richiama ospiti alla ricerca del benessere da tutto il mondo
cora, per i tanti splendidi campi da golf che hanno come scenario l’immensità dell’oceano e sono in grado di offrire le più varie alternative di gioco con percorsi a 9 e 32 buche. Senza dimenticare la possibilità, per chi ama lo sport, di praticare il windsurf (Biarritz è la regina di questa disciplina grazie ai venti che spirano dal mare) e la vicinanza ai Pirenei, che permette in un’ora di trovarsi su un campo da sci. Per chi invece non resiste alle curiosità, Biarritz possiede un simpaticissimo Museo del Cioccolato dal XVII secolo ai giorni nostri, e un ricco Museo del Mare (www.biarritzocean.com) che documenta la vita dei fondali oceanici. A completare il quadro ci sono le squisitezze della cucina basca – specie quella a base di pesce – che qui tocca il massimo livello in un perfetto connubio fra le raffinatezze francesi e l’esuberanza della tradizione spagnola.
Chez Alberta Restaurant du Port Affacciato sul porto, aperto all’oceano, il delizioso ristorante cucina solo pescato locale. Tra le proposte in menù sardine grigliate di Saint Jean de Luz al burro fuso e peperoncini ripieni di merluzzo Biscaye. Port des Pecheurs - Biarritz Tel. +33 (0)5 59244384 www.chezalbert.fr
dove dormire Hotel Alcyon Ottima posizione nel centro cittadino. Stanze dal design garbato. L’accoglienza e la disponibilità di Christine e Eric sono indimenticabili. Prezzi: da 100 euro a notte. Rue Maison-Suisse, 8 angle rue du Helder Biarritz Tel +33 (05) 59226460 www.hotel-alcyon-biarritz.com Hotel 7b Design di gran classe per questo hotel a 2 minuti a piedi dal mercato Des Halles e dalla spiaggia del Casino. Ad accogliervi un bell’ingresso con camino, un grande tavolo per la colazione e un patio fiorito per sonnolente passeggiate. Prezzi: da 127 euro a notte Rue de la Gascogne, 7 Biarritz www.hotel7b.com
In queste foto le grandiose spiagge affacciate sull’oceano, le cui maree costituiscono uno spettacolo nello spettacolo. Sotto l’Hotel du Palais
di Isa Grassano
una città in 24 ore
dove dormire Hotel Colonna Nel centro storico 42 camere dotate di tutti i comfort. Colazione, all’ultimo piano, con vista sulla città. Prezzi: doppia da 75 euro Corso Roma, 83 Tel.0831562557 www.albergocolonna.it Hotel Barsotti A pochi metri dalla stazione ma in una posizione tranquilla, lontano dal traffico. Ambienti accoglienti ed eleganti. Prezzi: doppia da 110 euro Via Cavour, 1 Tel. 0831560877 www.hotelbarsotti.com
dove mangiare
Brindisi in 5 tappe Punto di arrivo della via Appia, ma anche punto di partenza per il Mediterraneo, la bella città salentina è considerata la “porta d’Oriente” per la sua naturale posizione strategica, dove il mare è il protagonista assoluto, insieme al profumo di salmastro che entra prepotentemente nelle narici, complice un leggero venticello che con le sue sferzate esalta il piacere 1 – All’ombra della Colonna della via Appia È il simbolo della città. Posta alla fine di una scalinata che guarda al mare e al porto, assiste da secoli, come una sentinella immobile, al passaggio ininterrotto di gente. Ed è proprio qui che sembra finisse la Via Appia, quella regina viarum, la regina delle strade, così denominata per la sua estensione (ben 530 km che andavano da Roma, toccando città importanti del Sud Italia, fino al porto di Brundisum), ma anche per la sua bellezza paesaggistica e per i suoi monumenti. 2 – “Oh che bel castello”... Il Forte a Mare Il castello sorge sull’isolotto di S. Andrea. Naturale baluardo difensivo, l’isola è stata utilizzata per costruirvi una valida struttura di difesa quando ancora, e sino al XV secolo, vi sorgeva un monastero dedicato a Sant’Andrea. Conosciuto come Forte a Mare, ha le mura di un caldo color rossastro (i mattoni sono stati ricavati dalla pietra dell’isola) che dialogano a 360 gradi con tutta la città. 3 – Il grande timone nel porto Nel porto di Brindisi spicca con la sua imponente mole il Monumento al Marinaio d’Italia, che simboleggia il timone di una nave. Alto 53 metri, costruito in cemento armato rivestito di carparo (pietra calcarenitica compatta di colore dorato), riporta sulle pareti i nomi dei numerosi marinai caduti durante le guerre mondiali. 114
4 – Viaggio a ritroso nella storia al MAPRI All’interno del Museo Provinciale Archeologico Ribezzo (MAPRI) si fa un tuffo indietro nel tempo. Qui si può ammirare ad esempio la ricostruzione della prua di un’imbarcazione. La nave, che sembra realmente attraccata alla banchina, è stata riprodotta in legno con le stesse tecniche che usavano gli antichi Romani e all’interno vi si ritrovano intatte anfore vinarie e recipienti in terracotta, a indicare il flusso di merci, in special modo olio e vino, dall’Italia verso i paesi Ellenici. Visibili inoltre pavimenti a mosaico, stucchi e intonaci dipinti. Da non perdere anche la statua decorativa femminile, raffigurante la personificazione di Roma-Virtus, in veste amazzonica. 5 – Fra i monumenti di Piazza Duomo La piazza è davvero ricca di monumenti che raccontano la storia della città. Da visitare assolutamente: la bella cattedrale intitolata a San Giovanni Battista (qui sono custodite le spoglie di San Teodoro, patrono della città). La cattedrale conserva, del suo antico impianto, solo alcuni frammenti dell’originale pavimentazione musiva risalenti al periodo medievale. Da vedere anche il Palazzo Vescovile (il più alto esempio di Barocco nella città salentina) e il Museo Diocesano, con la balconata arricchita da otto statue in pietra raffiguranti la Matematica, l’Etica, la Teologia, la Filosofia, la Giurisprudenza, la Poetica e l’Oratoria.
Acquapazza A pochi passi dal porto. Specialità mediterranee di pesce. Piazza Dante, 5 Prezzi da: 30 euro Tel. 0831529680 www.acquapazzabrindisi.com Antica Osteria La Sciabica In un ambiente familiare offre cucina casereccia. La specialità? Carne alla brace. Prezzi da: 25 euro Via Thaon di Reve,l 29/33 Tel. 0831562870 ww.ristorantelasciabica.com Per informazioni www.viaggiareinpuglia.it
L’idea in più L’Oasi di Torre Guaceto Regalarsi emozioni a contatto con il blu dell’acqua. Dove? All’oasi naturale di Torre Guaceto, a pochi chilometri da Brindisi. Qui, in un incantevole scenario, ci si immerge appieno tra terra e mare nel paradiso della riserva, tra il litorale, la zona umida e la macchia mediterranea. Un mix perfetto tra flora e fauna.
Voli consigliati su Brindisi: Air One Per info: www.flyairone.com Call center 892 444 (soggetto a tariffazione specifica)
di Lucrezia Argentiero
una città in 24 ore
dove dormire
Hotel Son Vida In questo albergo (“podere” tipico di Maiorca) dove hanno soggiornato Maria Callas, Aristoteles Onasiss e il principe Ranieri di Monaco, si può godere di una delle migliore viste sulla città e il Mediterraneo. Prezzi: doppia da 365 euro Carrer de la Raixa, 2a Tel. +34 971493493 www.hotelsonvida.com
Palma di Maiorca in 5 tappe Almeno una volta nella vita bisogna tuffarcisi in questo paradiso delle isole Baleari, ricco di spiagge bianche bagnate da acque cristalline. Luogo ideale di villeggiatura per le famiglie e i più giovani, è meta ambita anche dagli sportivi e dagli amanti della natura
1 – La Cattedrale, fra giochi di luce e d’acqua Icona simbolo della città. La Sa Seu (dedicata a Santa Maria) si staglia maestosa e imponente (tanto da essere paragonata per mole al Duomo di Milano) sopra un promontorio. È conosciuta anche come la “Cattedrale del mare o della luce”, proprio per i riflessi nell’acqua e per i raggi di sole che, filtrando dalle vetrate, creano scenografici giochi di colore. La costruzione della cattedrale iniziò nel XIII secolo sopra l’antica Moschea della Medina Mayurqa. Nel corso dei secoli ha subito diversi interventi, l’ultimo dei quali (la cappella reale) per mano dell’architetto catalano Gaudí. 2 – Curiosare nei cortili delle nobili case Nella zona alta di Palma, tutt’intorno alla Cattedrale, si trova un labirinto di viuzze strette, ricche di bellissime dimore signorili (casals), i cui cortili costituiscono uno spazio architettonico unico. Sono più di quaranta, ma se proprio non si ha tempo di sbirciarli tutti, da non perdere è il patio di Casal Solleric (al numero 27 del Passeig del Born, una delle principali arterie della città). Si trova nel palazzo barocco che ospita la Fundació Palma Espai d’Art, un centro d’esposizioni d’arte contemporanea; oppure il cortile di Casal Balaguer, Via Unió, sede del circolo delle Belle Arti, e Can Sureda, in Via Veri, di stampo medioevale, oggi sede del Centro Culturale Contemporaneo. 3 – Ma che bel castello… quello di Bellver È a soli due chilometri dal centro di Palma. Con la sua pianta circolare, più che un palazzo di difesa appare come un elegante gioiello architettonico, posto come è in cima a una collina alberata da cui si gode la splendida vista sulla baia. La costruzione iniziò nel 1309 per volere di Jaume II, ed è l’unico castello spagnolo a pianta circolare che si sviluppa su due livelli intorno a una corte centrale. A pianterreno, ha sede il Museo della Storia della città. Una collezione di statue del Cardinale Despuig completa la mostra.
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4 – Scoprire l’eleganza di Sa Llotja Opera dell’architetto Guillem Sagrera, è stata completata a metà del secolo XV. Un gioiello della architettura gotica civile (Plaça Llotja), è la Borsa di Commercio costruita nel XV secolo su disegno dell’architetto di Maiorca Guillermo Sagrera. L’edificio, dall’aspetto fortificato, comprende una galleria traforata, che simula un cammino di ronda, e merloni e torrette con una funzione più decorativa che difensiva. L’austerità delle mura è attenuata da finestre gotiche dal fine ornamento a traforo. 5 – Nel blu dipinto di blu di Playa de Palma Si tratta della spiaggia più famosa di Palma di Maiorca, con la sua sabbia fine e bianca e le acque trasparenti. È conosciuta anche come El Arenal, ed è molto amata dai turisti perché, oltre a essere ricca di hotel, ha un lungomare con una bella pista ciclabile, ideale per una passeggiata in bicicletta.
Hotel HM Jaime III Nel cuore della città, elegante e confortevole. Prezzi: doppia da 110 euro Paseo Mallorca, 14 B Tel. +34 971725943 www.hmjaimeiii.com
dove mangiare
Safra 21 Un indirizzo moderno. Da provare la tradizionale paella. Menù da 30 euro C/Illa de Corfú, 10 Tel. +34 971263670 www.safra21.com Aquiara Vasta scelta di gustose tapas, ma anche i piatti della cucina basca e mediterranea, cucinati dallo chef stellato Koldo Royo. Menù da 30 euro Paseo maritimo, 3 Tel. +34 971732435
dove comprare
Colmado Santo Domingo Il tempio del gusto, dove acquistare le specialità dell’isola. C/Santo Domingo, 1 Tel: +34 971714887 www.colmadosantodomingo.com
L’idea in più Da Palma di Maiorca si può prendere il Treno di Soller (attivo dal 1912) che fa un percorso bellissimo e panoramico per 27 chilometri e attraversa la catena montuosa di Tramuntana fino a Soller. Entrando in ben 17 tunnel. Per informazioni Ufficio Spagnolo del Turismo: www.spain.info www.palmademallorca.es
Voli consigliati su Palma: Air One Per info: www.flyairone.com Call center 892 444 (soggetto a tariffazione specifica)
www.birrificiobergamasco.it info@birrificiobergamasco.it mob. 334 9106631
Semplici e autentiche “tentazioni” pugliesi.
Scopri la fragranza dei prodotti di Puglia. I tarallini rappresentano da sempre l’emblema della pugliesità nel ŵŽŶĚŽ͘ WĞƌĨĞƩŽ ƐŽƐƟƚƵƚŽ ĚĞů ƉĂŶĞ͕ ŝů ƚĂƌĂůůŝŶŽ ǀĂůŽƌŝnjnjĂ ŽŐŶŝ ĂƉĞƌŝƟǀŽ͕ ŐƌĂnjŝĞ ĂůůĂ ƐƵĂ ĨƌĂŐƌĂŶnjĂ ĂƵƚĞŶƟĐĂ ĞĚ ŝŶĐŽŶĨŽŶĚŝďŝůĞ͘ Il dĂƌĂůůŝĮĐŝŽ Ğŝ dƌƵůůŝ͕ ĐŽŶ ƐĞĚĞ ĂĚ ůďĞƌŽďĞůůŽ͕ ƌŝƐƉĞƩĂ ĂŶĐŽƌĂ ŽŐŐŝ ů͛ĂŶƟĐĂ ƌŝĐĞƩĂ ƚƌĂĚŝnjŝŽŶĂůĞ Ěŝ ƵŶ ƚĞŵƉŽ͘ ^ŽůŽ ƉŽĐŚŝ͕ ƐĞŵƉůŝĐŝ ŝŶŐƌĞĚŝĞŶƟ͕ ĐŽŵĞ ĨĂƌŝŶĂ͕ ǀŝŶŽ͕ ŽůŝŽ ĞdžƚƌĂǀĞƌŐŝŶĞ ĞĚ ƵŶ ƉŝnjnjŝĐŽ Ěŝ ƐĂůĞ͘ EŽŶ ƵƟůŝnjnjŝĂŵŽ ĂůĐƵŶ ůŝĞǀŝƚŽ ƉĞƌ ŐĂƌĂŶƟƌĞ ůĂ ŵĂƐƐŝŵĂ ĚŝŐĞƌŝďŝůŝƚă Ğ ůĞŐŐĞƌĞnjnjĂ Ğ ĐŽŶĨĞnjŝŽŶŝĂŵŽ ŝ ƉƌŽĚŽƫ ĂƉƉĞŶĂ ƐĨŽƌŶĂƟ͕ ƉĞƌ ƉƌĞƐĞƌǀĂƌĞ ŝŶƚĂƩĂ ůĂ ůŽƌŽ ĨƌĂŐƌĂŶnjĂ͘ /ů dĂƌĂůůŝĮĐŝŽ ĚĞŝ dƌƵůůŝ ƐĨŽƌŶĂ ĂŶĐŚĞ ŝ ƚŽĐĐŚĞƫ͕ ŐƵƐƚŽƐŝ ƌŽŵƉŝĚŝŐŝƵŶŽ͕ ůĞ ĨƌŝƐĞůůĞ͕ ƟƉŝĐŽ ƉĂŶĞ ĚĂůůĂ ĨŽƌŵĂ Ă ĐŝĂŵďĞůůĂ Ğ ƵŶĂ ŶƵŽǀĂ ůŝŶĞĂ Ěŝ ƉƌŽĚŽƫ ďŝŽ͕ Ɖƌŝǀŝ Ěŝ K'D͕ ĐŽŶƐĞƌǀĂŶƟ͕ ĐŽůŽƌĂŶƟ Ğ ĂƌŽŵŝ ĂƌƟĮĐŝĂůŝ͘
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Piaceri 120
Le mani raccontano Antonietta Tummolo e i suoi occhiali artigianali che stregano i divi del cinema
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I piaceri di Bacco Nell’Alto Canavese, tra Piemonte e Val d’Aosta, a scoprire la viticoltura “estrema”
da pag. 124 Rubriche
• Bellezza e benessere • Soste d’arte • Libri • Spettacoli • Trendy • Shopping
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lemaniraccontano
Occhiali da premio Oscar Le sue opere d’arte hanno incorniciato anche il viso di grandi nomi del cinema come Tim Burton, Toni Servillo e Sergio Rubini. I gioielli dell’imprenditrice Antonietta Tummolo nascono in Basilicata, in quel piccolo tempio della manualità che è la sua Occhialeria Artigiana a Tito Scalo, e raggiungono prestigiose ottiche in Italia ed Europa
di Angela Pino 120
Il suo lavoro è una scelta, non un caso. Immagina e disegna i suoi modelli quando trova l’ispirazione. E le può succedere in qualunque circostanza: «In viaggio, quando mi sveglio di notte, mentre leggo un libro, mentre passeggio». Antonietta Tummolo, titolare dell’Occhialeria Artigiana di Tito Scalo, Potenza, i suoi occhiali, insomma, li “vede” già nella sua mente, prima ancora di metterli al mondo. «Sono le mie creature – dice – poi spetta ai miei collaboratori dargli forma con manualità certosina». Da oltre dodici anni, questa geniale imprenditrice dà vita ai suoi modelli nell’azienda in cui, lei compresa, lavorano dieci persone. Gli occhiali di Antonietta sono stati capaci di conquistare il gusto di grandi nomi del cinema, da Toni Servillo, che li ha indossati nel film Le conseguenze dell’amore, a Tim Burton, da Sergio Rubini a Ron Galella, fotografo lucano che ha immortalato i volti dei divi del cinema mondiale. Professionalità e sentimento costituiscono il binomio vincente dell’imprenditrice lucana, binomio che domina anche
nei suoi contatti con gli attori per cui ha disegnato i suoi modelli. Come Toni Servillo, che le ha confessato di avere sentito l’occhiale indossato anche nella vita, «parte della sua intimità, al punto da andarci quasi a letto». O Sergio Rubini, al quale ha raccomandato: «Ti regalo un pezzo della mia storia di vita, ne devi avere rispetto».
Dalla Basilicata al red carpet I volti noti che hanno indossato l’occhiale “eXtra” di Occhialeria Artigiana, come racconta l’imprenditrice originaria del piccolo comune di Lavello, nel Potentino «sono tali non in quanto famosi, ma perché hanno conservato la loro umiltà pur facendo un lavoro che, di solito, altera l’autenticità della personalità». E autentiche sono anche le tecniche utilizzate per plasmare, dalla materia prima, (plastica della migliore qualità prodotta da Mazzucchelli, azienda leader nel settore) le forme di magiche creazioni. Lento e articolato è il processo che ha inizio all’interno del laboratorio dell’azienda lucana. Punto di for-
za è il “buratto”, l’urna in cui per 78 ore si susseguono le fasi di rifinitura della materia prima. Poi, è la volta delle “ruote”. I pezzi delle montature vengono passati, uno a uno, e con le mani, intorno a dischi di tessuto morbido che devono eliminare ogni minima imperfezione. Nessun solvente chimico né vernice, o qualsiasi altra soluzione facile per nascondere i difetti del lavoro, appartengono alla filosofia dell’Occhialeria. «Io porto la mia terra ovunque – ama ripetere l’imprenditrice – molti dei colori scelti per i miei occhiali sono colori propri della Basilicata: terra, cenere, sabbia, pietra. Ho voluto legare sempre i miei prodotti al luogo in cui sono realizzati e alle persone che li realizzano, alle quali ho trasferito un concetto di lavoro che ti fa esprimere per quanto sei capace e non per quanto guadagni». Antonietta Tummolo ha una convinzione infatti: «Un prodotto che prende vita attraverso le mani richiede responsabilità. E la libertà di fare è la prima, grande, responsabilità». Il suo essere donna, più che un elemento di “delicatezza” vuol dire, anzi, risolutezza: «Io – puntualizza Antonietta – sono un’artigiana con una piccola ma precisa identità nel mercato e attraverso i miei prodotti racconto la capacità delle mie mani e di chi lavora con me». Qui, nell’occhialeria di Tito Scalo, il non
Oltre alle fasi di lavorazione degli occhiali, in questa pagina una scena de Le conseguenze dell’amore e, qui sotto, un ritratto di Antonietta Tummolo
parlare mai al singolare è una sorta di filosofia di vita: nell’azienda vige infatti un’etica di assoluta collaborazione, tutti devono saper fare tutto, nella certezza che questa specifica produzione richiede tempi molto lunghi per il “trasferimento del sapere”. Oltre al laboratorio e all’elegante showroom, l’azienda ospita anche una sartoria in cui nascono gli accessori per gli occhiali, tutti cuciti a mano. La ragion d’essere dell’Occhialeria Artigiana, però, non si ferma in questo tempio della manualità. Quella di Antonietta Tummolo è una storia emotiva. Come artigiana nasce alla fine del 2000, in un momento di dolore personale importante, durante il quale dice: «Mi sono presa la mia identità: d’altronde le grandi decisioni non hanno tempo, né contesto». Non è stato facile tuttavia. «Non perché intorno a me abbia incontrato diffidenza, dal momento che provengo da una piccola regione – racconta – ma piuttosto sorpresa, forse per questo mio essere un po’ Alice “fuori” dalle meraviglie». Già, perché l’imprenditrice lucana incuriosisce per la naturalezza e la dinamicità con cui vive il suo lavoro, tutto proiettato in realtà diverse tra loro. Racconta di come spesso percepisca lo stupore di chi apprende che il processo produttivo dei suoi occhiali sia esclusivamente “made in Basilicata”.A queste perplessità,Antonietta ribatte che «la cultura e il gusto non hanno geografia, ed è questa la ragione per cui la mia azienda produce ed esiste nella mia terra». Liguria, Lombardia, Veneto, Lazio, Puglia, Sicilia: in queste regioni i suoi modelli fanno bella mostra nei più importanti negozi di ottica. Benché nata nella profonda provincia italiana, l’arte di Tummolo ha saputo ritagliarsi uno spazio anche all’estero. Parigi e Londra sono alcuni dei santuari della moda e del bello con i quali l’imprenditrice può dire oggi di avere una certa confidenza: emblematico è il successo conseguito al Silmo di Parigi, la vetrina mondiale dell’occhialeria. Nel suo ufficio, su una parete, lo sguardo si ferma sulla frase: «Qui come altrove, col tempo le idee diventano».Antonietta Tummolo la spiega così: «Le idee sono quello che tu sei in grado di far diventare». 121
ipiaceridiBacco
di Roberto Rabachino Giornalista e Presidente IWTO International Wine Tasters Organization
fondiaria, sono solo alcuni dei motivi che stanno alla base di un loro progressivo abbandono. La perdita di questa realtà sarebbe una cosa grave non solo dal punto di vista storico culturale ma anche dal punto di vista paesaggistico e ambientale. Le opere di sistemazioni dei versanti che stanno da secoli a presidio del territorio, hanno certamente contribuito allo sviluppo socio economico dei villaggi posti nelle loro prossimità e il loro progressivo abbandono rischia di causare anche problemi di stabilità dei versanti, compromettendo la sicurezza degli abitati.
Passato e presente di un territorio difficile
La viticoltura estrema dell’Alto Canavese La prima testimonianza della presenza di vigneti in questo territorio è del 23 a.C. e i sistemi utilizzati dai vignaioli non sono cambiati poi molto durante i secoli. Un patrimonio storico ricco e ancora vivo grazie all’Associazione Settima Pietra, e a un vino, il Gios Siamo a Settimo Vittone, ai confini tra Piemonte e Valle d’Aosta, in un ambiente unico dove la viticoltura riveste un ruolo essenziale di presidio del territorio. L’aggettivo “eroica”, in viticoltura, potrebbe essere attribuito all’attività paleoagricola di chissà quale civiltà mitologica del passato. E invece è una realtà attuale e un’importante testimonianza storica che accomuna molti dei territori europei tradizionali produttori di vino. Questo motivo sarebbe sufficiente a definirla una risorsa di inestimabile valore anche se, oggi più che mai, in molte zone è a rischio di scomparsa; non a caso Valtellina e Cinqueterre sono protette dall’Unesco. La difficoltà di lavorare questi vigneti, a volte raggiungibili solo a piedi, i costi di produzione che non perdonano e la conseguente mancata redditività, l’eccessiva polverizzazione 122
Nel panorama attuale, dove l’agricoltura ha dovuto adeguare le pratiche produttive alle necessità del mercato globale, perdendo così parte dell’identità artigiana e contadina, la viticoltura estrema dell’areale che va da Settimo Vittone, dove si produce il Canavese Doc, a Carema e Donnas, dove si producono gli omonimi vini a denominazione di origine, rimane un esempio di come uomo e paesaggio siano coevoluti nei secoli, plasmandosi a vicenda. Questo tipo di viticoltura deve infatti la sua unicità sia alle caratteristiche estetiche che dona al territorio, facilmente identificabili e riconoscibili, sia per gli aspetti gestionali. Infatti, le malizie che solo i viticoltori di questa zona conoscono per addomesticare il territorio e per gestire i vigneti sono anch’esse da considerarsi un patrimonio culturale da non perdere e che dovrebbe essere valorizzato e trasmesso ai posteri. Quando passeggiando per le mulattiere medioevali di Settimo Vittone – nome ereditato dal periodo della dominazione Romana, poiché dista a 7 miglia romane dalla vicina Ivrea (allora Eporedia) – ci si trova davanti ai monumentali vigneti delle frazioni di Cesnola, Torredaniene e Montestrutto, non si può far altro che rimanere a bocca aperta per la particolarità della loro architettura. Fazzoletti di terra strappati alla montagna dove cresce il Nebbiolo del biotipo Picotener, vitigno antico e aristocratico che caratterizza le migliori produzioni enologiche del Piemonte e che anche qui, insieme ad altri vitigni autoctoni, come la Vernassa e i Neretti, si esprime al meglio dando vini unici per carattere e finezza.
Il patrimonio rappresentato da questi vigneti è indiscusso. Fonti storiche che risalgono a prima del medioevo, quando questa vallata era abitata dai Salassi, documentano che la viticoltura era presente. Questo è riscontrabile dagli scritti degli storici Romani che nel riportare le vicende legate alla conquista dei territori allora confinanti con la Gallia, e oggi piemontesi, raccontano come la vittoria del console Terenzio Varrone sui Salassi del 23 a.C. fosse celebrata con il permesso, dato alle milizie, di saccheggiare cantine e vigneti del luogo. Allora il sistema di allevamento della vite probabilmente non era molto diverso da quello che vediamo oggi. L’impossibilità di poter meccanizzare ha permesso di mantenere la tecnica originale che si avvale di pergole in castagno locale e sostegni murari a secco, di legature che avvengono rigorosamente con il salice, tutti materiali facilmente recuperabili anche nel passato, per permettere alle viti di resistere ai forti venti che sferzano la vallata anche in tarda primavera. Non è dato sapere se la viticoltura fosse molto praticata e quali vitigni fossero coltivati, ma quel che è certo le produzioni enologiche erano conosciute entro i confini dell’Impero Romano. Più tardi, nel medioevo, quest’area venne visitata da molti turisti di allora, i pellegrini che viaggiavano l’Europa diretti a Roma per la via Francigena, una delle arterie principali ancora oggi utilizzata dai viandanti moderni. Questi potevano ristorasi presso una taverna, unico punto di posta (ancor oggi funzionante), e probabilmente il vino locale era ancora apprezzato. Intorno all’anno 1000, Ansgarda, moglie ripudiata del fratello di Carlo Magno, poi beata, decise di trascorrere i suoi giorni in quel di Settimo Vittone, paese pacifico, con un clima gentile e salubre. Ancora oggi, visitando il battistero di San Lorenzo che risale al 980 d.C., è possibile vedere il sarcofago utilizzato per inumare la beata Ansgarda. La salma fu poi trafugata e portata in Francia da Napoleone Bonaparte di ritorno dalla campagna d’Italia. Ma veniamo a oggi. La situazione non è delle migliori poiché il tasso di abbandono è elevato e le nuove generazioni non vogliono impegnarsi per mantenere i vigneti. Il fenomeno è però in diminuzione e questo anche grazie all’Associazione Settima Pietra, nata per
Oggi come ieri la tecnica utilizzata per la coltura della vite in questa zona del Piemonte si avvale di pergole in castagno e sostegni murari a secco, con legature che avvengono rigorosamente con il salice
tutelare il patrimonio terrazzato locale, offrendo supporto ai viticoltori e alle aziende vitivinicole associate che operano per il mantenimento del territorio. Tra le numerose attività dell’associazione la più importante è stata quella di produrre il vino comune dei soci, il Gios, pagando l’uva ai viticoltori a un prezzo adeguato in quanto la maggior redditività dei fondi è l’unica leva che permette di incentivare il loro mantenimento. Grazie a questo vino si è avviato un processo ad alto contenuto etico di valorizzazione turistica dell’areale che sta coinvolgendo i principali attori della filiera agroalimentare e turistica locale, mettendo al centro i viticoltori e il consumatore finale, anch’egli protagonista per il mantenimento del patrimonio storico culturale rappresentato dai vigneti terrazzati.
Settimo Vittone
Piemonte
consulenza e foto Alberto Cugnetto 123
bellezza&benessere
di Francesca Frediani
belli sono quelli che dicono qualcosa, che ti catturano e ti portano nel mondo delle meraviglie. Quando percepisce che una sensazione o un ricordo diventeranno un profumo? Mi è capitato ad esempio rileggendo una storia scritta qualche tempo fa. In quel caso ho provato una sensazione fisica, una sorta di pelle d’oca, un groppo allo stomaco. Allora ho capito di essere pronto a tradurre quelle emozioni in profumo. C’è una materia prima per lei irrinunciabile? Ve ne sono due che amo spassionatamente. Sono il Vetyver e il legno Cedro. Del Vetyver amo l’unione tra radice terrosa e la sua corposa, quasi balsamica e dinamica, freschezza verde. Del legno Cedro quel fantastico odore di matita temperata, di naturale e vero, di legno fresco e tenero. Profumi molto legati alla terra… e sì che sono dei Pesci!
Quando le parole diventano profumo Dai racconti di storie ed emozioni, ricordi e sensazioni, nascono le creazioni di Silvio Levi. A lui abbiamo chiesto di introdurci nel magico mondo della profumeria artistica
Dietro la creazione di una buona fragranza c’è un lavoro fatto di base tecnica e conoscenze chimiche ma anche di passione, un forte bagaglio culturale, memoria ed esasperata sensibilità. Da sempre il creatore delle fragranze è chiamato “naso”, ma forse non tutti sanno che, oggi, non è l’unico artefice della composizione finale di quello che diventerà il profumo. Come nella musica, infatti, nella maggior parte dei casi vi è un musicista (il naso, appunto) e un paroliere (il regista). Quest’ultimo esprime, con le parole, un sogno, un’emozione, un ricordo che gli fanno immaginare una fragranza. Il musicista (naso) compone un elenco di materie prime naturali o chimiche (essenze) che rispondono alla resa del concetto artistico. La sua esperienza e la preparazione gli permettono di “sentire” quello che può essere il risultato olfattivo della composizione prima ancora di aver mescolato una sola goccia di essenza. Solo a questo punto il profumiere prepara da cinque fino a venti campioni di prodotto, che saranno nuovamente commentati, selezionati e modificati ancora una volta dal regista e dal naso. 124
Ma perché ci vuole un duo compositivo per far nascere un profumo? Il regista non ha la quotidiana esperienza che permette al naso di “sentire” nella sua testa il risultato di un accordo, ovvero l’effetto dell’unione di tre o più “note”. Ci vogliono almeno 8-10 anni e un lunghissimo esercizio quotidiano per assumere questa competenza e per impadronirsi di quest’arte. Ma chi ha tecnica non sempre ha la fantasia o l’estro per creare racconti indimenticabili. Ecco perché spesso un duo assicura risultati nuovi e inesplorati. Per farci raccontare la sua esperienza di “regista”, supportata da una laurea in chimica, abbiamo intervistato Silvio Levi, che ha fondato un marchio proprio con fragranze create completamente sotto la sua regia: Calè fragranze d’autore. Come definirebbe, oggi, l’universo delle fragranze? Il profumo può essere poesia, arte o puro oggetto di scambio. Per me il mondo del profumo si divide in “buoni” e “belli”. Di profumi buoni, per fortuna, oggi ce ne sono tanti. Di profumi belli molti meno. I profumi
Per quale personaggio vorrebbe creare un profumo? Due mi intrigano in particolare. Una è Alice, quella “nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll. Come lo chiamerei? Presto che è tardi! L’altro personaggio è Isaac Asimov. Uno scienziato, l’inventore di una letteratura, quella di fantascienza e fantapolitica, che mi ha accompagnato e coinvolto per tutta la mia giovinezza, divertendomi. Grandioso! Quale sarà l’evoluzione delle tendenze olfattive? I nuovi trend lanciati dall’industria del beauty spesso non sono altro che sperimentazioni e genialità della profumeria artistica, ritenute inizialmente troppo all’avanguardia per poi diventare graditi ai gusti più comuni. Per cui suppongo che quando finirà l’ubriacatura da Oudh (cioè quella nota densa, legnosa ma anche carnale di questa misteriosa resina), assisteremo al successo delle note metalliche, che ricordano il sangue (merito del successo dei vampiri protagonisti delle ultime proiezioni cinematografiche?) e all’ulteriore avanzata delle spezie nord africane e asiatiche (ginger, cumino, zenzero, paprika… buon appetito!).
Alcune creazioni firmate Silvio Levi: Roboris, un profumo secco e umido, dove sentori di foglie di violetta, fiore di cactus, sandalo e vetiver evocano aride montagne e sabbia bagnata, e Fulgor, profumo unisex, con note minerali, ambrate, incensate, erbacee e legnose che evocano nuvole cariche di pioggia
LA PUGLIA, IL SALENTO E LA MAGIA DEI TRULLI Il residence Agritrulli si trova in Valle d'Itria a 14 km da Ostuni la cittĂ Bianca e con mare bandiera blu. Oltre a dormire in un trullo storico vi offriamo corsi di enogastronomia tipica (dai panzerotti alle orecchiette, dalla salsa di pomodoro al vino senza solfiti).
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arte sosted’arte
di Rosario Ribbene
La gastronomia della memoria di Rodo Santoro C’è una Sicilia fatta di cibi, territori e profumi dimenticati o recuperati; la stessa isola illustrata dai dipinti e dalle chine dell’eclettico artista In alto: Rodo Santoro all’opera , sotto i Torneanti fantastici (olio su tela) e, nella pagina accanto, L’Arancina (inchiostro di china). Foto di Ignazio Tesoro
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Arduo sintetizzare l’attività poliedrica di Rodo Santoro. Molti sanno che è lo scenografo della rinascita delle Feste in onore di Santa Rosalia – patrona del capoluogo siciliano – con il suo celebre Carro Trionfale ideato nel 1974. Altri lo conoscono per aver condotto i grandi restauri dei castelli siciliani e anche per esserne uno dei conoscitori più acuti. Altri ancora leggono con piacere i suoi saggi storici e quelli sulla cucina (tradotti anche in lingua straniera) che hanno avuto sempre un buon successo editoriale. Pochi sono quelli che conoscono la sua attività artistica. L’atelier di Rodo Santoro ricorda quelli che dovevano essere gli studi degli scenografi dell’età barocca. Le pareti sono ricoperte di tele dipinte e a queste ancora si addossano quadri l’uno sull’altro, alternandosi a scaffali ricolmi di libri e progetti, rotoli di carta lucida con i disegni dei suoi grandi restauri castellani. «I soggetti
che preferisco – afferma Rodo Santoro – sono quelli che fanno riferimento alla figura umana con lo sfondo del paesaggio siciliano nei suoi multiformi aspetti, ma trasfigurato in una versione atemporale. Spesso, in primo piano, languide figure femminili si adagiano mollemente guardando l’osservatore al di là del quadro. Dietro di loro, vulcani che eruttano lave fiammeggianti oppure opimi paesaggi agricoli sormontati da paesi dai quali svettano antichi castelli medievali o sontuose chiese barocche». In altre tele, vediamo veri e propri trionfi dei prodotti della natura mediterranea; angurie, pesche, uve, pomodori, peperoni che si ammassano gli uni sugli altri, alternandosi con ortaggi e formaggi. Oltre alla pittura a olio, un’altra tecnica è particolarmente cara a Rodo, quella degli inchiostri di china mescolati con il collage, tecnica che ha usato spesso per illustrare diversi libri di gastronomia. Qui, la rappresentazione delle specialità culinarie della Sicilia assume i toni e i colori di una favola
Vietato non toccare
Foto di Michele Bonuomo
che vuole riferirsi a un mondo di tradizioni ormai lontane nel tempo. «La principale suggestione – afferma Santoro – è stata quella delle grandi composizioni pittoriche del Sei-Settecento italiano e spagnolo, dove ortaggi, frutta, selvaggina, venivano rappresentati in modo trionfale con lo sfondo di suggestivi paesaggi, come marine, boschi, scene agresti, tali da provocare, oltre al godimento visivo, anche l’attrazione verso la rappresentazione realistica della natura. La scelta di ritrarre i piatti siciliani e i “frutti” dell’isola è stata inoltre motivata dai numerosi incarichi che ho ricevuto da molti autori di libri di cucina per elaborare tavole grafiche che dovevano riprodurre i sapori caratteristici di questa terra, dai primi piatti ai dolci, dalla frutta e dagli ortaggi al cibo da strada». Con le sue pennellate, Rodo Santoro riproduce in chiave favolistica i gioielli gastronomici dell’isola; sapori e colori perduti come cedri, pompelmi, limoni (quelli della Conca d’Oro) o riscoperti come il sorbetto, il caffè, l’arancina e molti altri. E la vena ispiratrice dell’artista si è recentemente rivitalizzata grazie al fatto che da qualche tempo vive all’interno del Borgo Vecchio – uno dei più antichi quartiere-mercato di Palermo – che alimenta la sua arte fatta di scene fanIl castello di Gradara, celebre teatro tasiose e colorate capaci di raccontarci i “tesori delalimentari” tragico amore Paolo Francesca, sicilianididi ogni e tempo. Chi volesse apre le porte all’arte e, soprattutto, chi i scoprire l’arte di Rodo Santoro, potràavisitare ai luoghi dell’arte più fatica adpassi accedere suoi atelier: quellofa “fisico”, a due dal centro di Palermo in Via Ugo Bassi al 59, e quello “virtuale”, al sito www.rodosantoro.it
Warhol Headlines
Prima grande mostra dedicata al rapporto di Andy Warhol con l’informazione giornalistica da cui nacquero le Headline Works, le operetitolo che rielaboravano prime pagine o ritagli stampa e che egli eseguì con tutti i media e in tutti i formati (anche se, da grande protagonista della pop art, Warhol prediligeva la stampa popolare e in particolare i tabloid, come il Daily News o il New York Post!). Il percorso espositivo inizia con i disegni della metà degli anni cinquanta, prosegue con i dipinti degli anni sessanta, continua con le serigrafie, le stampe, le fotografie e le opere su supporto elettronico, e si conclude con i lavori eseguiti insieme a Michel Basquiat e Keith Haring. fino al 9 settembre Galleria nazionale d’arte moderna - V.le delle Belle Arti, 131 - Roma www.gnam.beniculturali.it
Un viaggio nell’affresco Un curioso connubio quello tra il Museo Piaggio, la Bottega Talani e gli studenti dell’Istituto Superiore XXV Aprile di Pontedera. Questi ultimi hanno infatti frequentato il laboratorio artistico di Giampaolo Talani per mesi, durante i quali sono stati iniziati all’arte dell’affresco (con l’aiuto di Massimo Callossi, maestro della tecnica), e proprio da quest’esperienza è nata la mostra, nell’ambito della quale trovano sì spazio le opere dei giovani artisti, ma anche molti tra i capolavori del maestro Talani, con le sue figure esili mosse dal vento che parlano di viaggi e nostalgia. A emergere poi l’enorme cartone con il disegno preparatorio dell’affresco Partenze realizzato nel 2007 per la stazione di S. Maria Novella a Firenze. Il tutto nell’interessantissimo contesto del Museo Piaggo che, realizzato nei capannoni dell’ex attrezzeria della fabbrica, accoglie le storiche collezioni Vespa e Gilera accanto ai più significativi prodotti Piaggio.
fino al 28 luglio Museo Piaggio Giovanni Alberto Agnelli Viale Rinaldo Piaggio, 7 - Pontedera (Pi) www.museopiaggio.it di Gilda Ciaruffoli
libri letti per voi
di Isa Grassano
“Nei piatti dimenticati ritroviamo noi stessi, le nostre radici, i sapori dei pranzi della domenica preparati della nonna” Il piatto che hai avuto maggior piacere di “ritrovare”? Da buon veneziano, anche se ormai vivo tra Milano e Bologna, devo citare la trattoria Da Paeto (a Pianiga) e il suo risotto con le secoe, che sono dei pezzettini di carne bovina attaccati alla colonna vertebrale e che il macellaio, dotandosi di santa pazienza, stacca uno a uno per ricavarne una strepitosa materia prima da unire in risotto. È un piatto che mangiavo da bambino e che, dopo il momento “mucca pazza”, credevo fosse andato perduto.
La cucina ritrovata La buona tavola per Andrea Guolo, giornalista, è una passione, così come la scrittura. E dalla direzione del sito ilmangione.it, in collaborazione con i recensori, è nato questo volume, pensato per farci riscoprire le ricette dimenticate e riportate in tavola dai migliori ristoranti in Italia
Andrea Guolo, giornalista e scrittore
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Andrea, cosa c’è dietro la tendenza attuale a riscoprire i sapori perduti? La cucina è contemporaneamente nutrizione, gusto e identità. In quei piatti “dimenticati” ritroviamo noi stessi, con le nostre radici e con i sapori dei pranzi della domenica, quelli che preparavano le nonne quando eravamo bambini e di cui purtroppo non possiamo più godere in famiglia; perché troppo tempo è passato, la ricetta è complicata o non si trova più quel particolare ingrediente indispensabile. Fortunatamente c’è qualche ristorante che, talvolta a discapito degli incassi – sarebbe ben più facile e remunerativo preparare una rassicurante tagliata di carne, quasi sempre importata dal Brasile! – si è dato un compito: mantenere in vita questi piatti, farli conoscere alle nuove generazioni. E devo dire che mi ha colpito, durante le numerose presentazioni de La cucina ritrovata (dal Piemonte alla Sardegna), l’interesse dimostrato dai lettori under 30.
La ricetta più curiosa e quella che piace di più? La più curiosa forse appartiene alla Basilicata. La coscia della zita è un enorme coscione di agnello adulto che prepara in forno a lenta cottura, ai piedi del Pollino, il famoso cuoco Federico Valicenti: pare fosse il piatto di consolazione per il marito cornuto, costretto a cedere la novella sposa al signorotto locale per lo ius primae noctis. E leggenda vuole che dei tre, data la bontà del piatto, talvolta fosse proprio il marito quello ai cui andava meglio di tutti... Quella che mi piace di più, invece, è le cee finte. Si tratta di un piatto a base di avannotti, i “piccoli” delle anguille, che storicamente apparteneva ai pisani, che li catturavano nei loro fiumi. Poi però, per l’inquinamento prima e per tutelare la specie in seguito, ne fu vietata la pesca. Allora i livornesi, non badando a spese pur di fare uno sgarbo agli odiati cugini, li importarono dalla Francia e continuarono a prepararli nella loro città. Quando però il prezzo delle ceche divenne eccessivo pure per loro, si inventarono quelle finte: polpa di razza bollita e sminuzzata, assai simile per forma, colore e consistenza alla carne delle cee. Si tratta, mi pare, di una storia incredibilmente italiana...
A cura di Andrea Guolo Morellini Editore 17,90 euro
di Gilda Ciaruffoli
La tenda e il gusto del Km 0 Jacopo Manni, campeggiatore esperto e project manager dell’associazione culturale Semintesta, ci racconta come è possibile, e anzi, quanto è facile, dare prova di maestria culinaria anche in campeggio! Quali sono i principali errori del campeggiatore medio in quanto ad alimentazione? Più o meno gli stessi di una persona qualunque nella cucina di casa. Il campeggiatore però ha un paio di vantaggi. Il primo è sicuramente il tempo a disposizione, visto che si trova in vacanza. Il secondo è la possibilità di reperire materie prime eccellenti nei dintorni dell’accampamento: il chilometro zero paradossalmente potrebbe risultare più comodo che a casa. L’importante è dimenticarsi il minimarket del campeggio! Quali sono gli ingredienti base per una cucina gourmet da fornelletto? Abbiamo cercato di utilizzare ingredienti abbastanza comuni e di facile reperibilità. La filosofia della cucina di Lorenzo, portata avanti con passione nel suo ristorante Il Torchio di Frascati, è all’insegna della semplicità e della stagionalità. La filiera corta, il km 0 e il consumo ecocompatibile sono i dogmi sopra i quali si costruisce il suo menù, e sui quali anche il libro si è sviluppato. A chi voglia dedicarsi alla cucina in campeggio diciamo semplicemente che non esiste modo migliore per esplorare un territorio e conoscerne la cultura che quello di andare in giro alla
ricerca di fattorie, artigiani, allevatori e coltivatori diretti dai quali comprare ingredienti favolosi. Siate curiosi e sfrontati e se dovete fare dei piccoli sacrifici per reperire qualche ingrediente sappiate che saranno ricompensati! La ricetta più riuscita? Quella che incarna alla perfezione lo spirito con il quale abbiamo costruito questo libro è senza dubbio i Fusilli con fichi e guanciale croccante: di una semplicità disarmante, che ha il gusto fresco e dolce dell’estate e nello stesso tempo una sapidità e una robustezza che fanno la felicità di ogni buongustaio affamato.
Lorenzo Buonomini e Jacopo Manni Terre di Mezzo Editore 10 euro
Ristoranti con l’anima È questa la prima guida ai locali che scelgono di far entrare in cucina i prodotti biologici, dell’orto, di produzione locale, a filiera corta, del commercio equo e solidale, vegetariani e vegani, legati alla biodiversità o a presìdi Slow food, “resistenti” alla mafia o frutto del lavoro di cooperative sociali. Giornalista, abile cuoco e viaggiatore a piede libero – fra i fondatori della fiera Fa’ la cosa giusta! e del movimento di critica al turismo – l’autore, Umberto Di Maria, ci racconta questo viaggio gastronomico nell’“altra” ristorazione. Qual è la zona d’Italia con il maggior numero di realtà di questo tipo? Probabilmente il Piemonte: nella sola Torino ho segnalato 9 locali sui 12 della regione. Qui si tratta principalmente di locali legati all’associazionismo o alle cooperative attive sul territorio. In Emilia invece, per esempio, abbiamo un gran numero di locali a Km 0, come la Biosteria, da ricordare perché ha adottato il prezzo trasparente, spiegando puntualmente il costo di ogni menù e indicando ad esempio quanto del guadagno va al produttore. Questo poi è un po’ il cuore del discorso, ovvero garantire ai produttori di materie prime il giusto guadagno. Quali sono i principali problemi incontrati dai ristoratori? Tra i principali c’è la difficoltà di trovare produzioni bio a Km 0
sufficienti a soddisfare le esigenze di un ristorante e la necessità di sviluppare rapporti diretti con i produttori. Un esempio è quello del Ti dirò di Roma. Il progetto è frutto della ricerca e della coerenza delle due proprietarie, pozzi di scienza in tema di produzione bio, che però sono dovute arrivare in Veneto per reperire alcuni prodotti. E i prezzi? Mediamente la spesa è attorno ai 35/40 euro a persona. Forse un po’ più alta della media ma la qualità e le porzioni sono adeguate alla spesa. Ci sono casi poi come quello del Taverna del Pian delle Mura, in Toscana, dove si mangia davvero in modo eccezionale e il paragone con i locali di pari livello è sicuramente vincente.
Il gambero equo Umberto Di Maria Altreconomia 10 euro
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spettacoli
di Gilda Ciaruffoli
di Gilda Ciaruffoli
Teatro a Corte Nuoveau cirque, danza, teatro, videoperformances, physical theatre ed eventi site specific. Dove? A Torino e in 5 splendide dimore sabaude del Piemonte per riscoprire il fascino di eleganti corti e antichi giardini, dal Castello di Rivoli a quello di Racconigi, dal Castello di Moncalieri alla Reggia di Venaria fino al maneggio reale di Druento. Foto: Ludovic de Cognets 6-22 luglio località varie (To) www.teatroacorte.it
Amiata Piano Festival Lontane dal caos del turismo di massa, in un contesto enologico unico al mondo, le dolci colline della Maremma grossetana offrono suggestioni insolite e, d’estate, la magia di una festa in musica, tra note classiche, jazz e contemporanee
Pergine Spettacolo Aperto Nove giorni tra arte e scienza per risvegliare i cinque sensi. Le strade, i parchi, le stanze dell’ex ospedale psichiatrico, ma anche le abitazioni private diventeranno teatro di oltre trenta eventi pensati per sollecitare in un modo nuovo vista, olfatto, tatto, udito e gusto. 6-14 luglio Pergine Valsugana (Tn) www.perginefestival.it
Una forza della natura. È questo il pensiero che invade la mente alla fine di una loro esecuzione. Quando anche l’ultima nota è stata suonata e l’applauso scatta, dopo un istante di silenzio spaesato. Silvia Chiesa e Maurizio Baglini, partner sul palco e nella vita, rapiscono, coinvolgono ed entusiasmano anche il profano di un certo tipo di musica. Colta, raffinata. Ma non ostile. Anzi. Una musica accogliente, come la Maremma grossetana, dove la coppia si troverà dal 19 luglio (e fino al 2 settembre) a inondare le vallate circostanti l’Amiata di note e meraviglia. Maurizio Baglini è infatti fondatore e direttore artistico dell’Amiata Piano Festival che si svolge presso il borgo di Cinigiano, immerso in una natura vivace e rigogliosa. Una Toscana autentica, che il Festival potrebbe offrirvi l’occasione di conoscere. Tanto più se siete appassionati di buon vino. I concerti del Festival, infatti, si svolgono in varie location, tra le quali una chiesa “ribat130
tezzata” proprio quest’anno a luogo della musica, e una cantina, con le botti di vino a fare da cassa di risonanza in un contesto di grande suggestione. «Gli ultimi concerti – spiega Baglini – si svolgono infatti presso la Cantina di Collemassari, tra le barrique. Un’esperienza dionisiaca dalla quale si esce inebriati». In arrivo per l’occasione artisti internazionali di altissimo livello, con le loro performance di musica classica, ma anche contemporanea e jazz, e con i quali vivere a contatto quotidiano per la durata della propria permanenza. «Ho cercato di offrire la palette più ampia possibile per dare ad appassionati e non, come i turisti di passaggio, la più ampia scelta musicale», prosegue Baglini, che conclude: «perché il Monte Amiata? Perché volevo portare musica dove non c’era, dove non c’era “niente”. È una terra vergine, perfetta per una messa in scena come questa, da ascoltare e da vedere». www.amiatapianofestival.com
Stresa Festival Torna uno dei più importanti festival di musica classica nel panorama mondiale con una serie di imperdibili appuntamenti ambientati in esclusive sedi sul Lago Maggiore. 20-22 luglio e 27 luglio-3 agosto Stresa (Vb) www.stresafestival.eu
Dalle impervie terre a strapiombo sul mare della Costa Viola, dove echeggia ancora il canto mitico delle sirene omeriche, ecco :
I vini del
mare I vini della Costa Viola sono ottenuti dai caratteristici vigneti a gradoni, una tecnica di coltura antichissima utilizzata dalla gente del luogo, terrapieni e terrazzamenti realizzati sui costoni rocciosi a strapiombo sul mare contenuti da muri a secco ( ARMACIE ). Da questa coltura â&#x20AC;&#x153;Eroicaâ&#x20AC;? nascono i vini estremi : Armacia, Costa Viola e Scilla.
Casa Vinicola CriserĂ s.r.l - Catona di Reggio Calabria
www.crisevini.it - crisevini@tin.it
trendy
di Giemme
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London calling Ogni 4 anni, praticamente da sempre, in estate arrivano i giochi olimpici. Tutti, praticamente tutti, anche i meno sportivi cadono dentro a qualche diretta televisiva. Cercano di avere notizie. Commentano qualche impresa sportiva, qualche record. Leggono giornali. Consultano siti di informazione. In qualche modo ci si trova uniti e si diventa per 20 giorni nazionalisti. Rivediamo qualche bandiera italiana. E improvvisamente ci si trova a essere più uniti. Uniti da qualcosa che spontaneamente ti fa diventare una grande squadra. E succede in ogni parte del mondo. In questo 2012 poi tutto sembra più reale. La sede delle Olimpiadi è più reale, concreta. Vera e molto conosciuta. Londra. Molti di noi saliranno su un aereo e andranno a vedere qualche disciplina sportiva. O semplicemente a capire che atmosfera si vive in una città olimpica. Una sorta di omaggio stile Expo Internazionale. E molti omaggi vengono fatti anche dalle aziende di moda e accessori.Tutti a inseguire un business. O più concretamente a essere fornitori di qualche divisa per squadre o singole discipline. Qui potete vedere alcune proposte. In ogni caso buona visione. E in bocca al lupo italiani! Evviva i 5 anelli. 1. Bracciali Stroili Oro 2. Guardiani Sport SD Toki London, per lei 3. Occhiali Sting by De Rigo Vision 4. Bag charm Erika France 5. Orologi Brera 6. Orologio Armani 7. Cover per i-Phone Piquadro 8. Set Mywalit
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Atletica leggera, ginnastica artistica, nuoto sincronizzato, tuffi. Sono le discipline più amate dal grande pubblico. Ma la sportmania, in questa estate 2012, non ha travolto solo gli spettatori. Anche le case di moda dicono la loro in materia di Olimpiadi Londinesi
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SIAMO AL VINITALY 2012 PADIGLIONE PUGLIA
shoppin shopping
di Olga Carlini
Ispirazione hollywoodiane
Jimmy Choo presenta l’occhiale da sole pieghevole Lana dall’elegante forma butterfly in acetato con aste in metallo dalla linea sagomata. In abbinamento, una micropochette o l’elegante astuccioclutch dalla raffinata texture python, perfetto complemento per i look più sofisticati. Da vere star! La collezione eyewear Jimmy Choo è prodotta e distribuita dal Gruppo Safilo. Prezzo: 260 euro
Eleganza sixties Piper è un’icona della collezione Furla per l’estate 2012. Borsa a mano con tracolla applicabile, è realizzata in paglia naturale con dettagli in bufalo. Particolare l’apertura posta sul lato frontale della borsa. Prezzo: 280 euro
Tenerezza prêt-à-porter Profumo di freschezza e voglia di tenerezza sono le parole d’ordine per leggere la nuova collezione di t-shirt Basile. Lasciatevi accompagnare al mare o in città da questo cucciolo con cappellino ricamato da cristalli Swarovski, che sembra dire “riempimi di coccole”. Capo casual, perfetto da portare in valigia, in cui l’estetica si fonde con la funzionalità (non si stropiccia!). Prezzo: 55 euro
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Arte e natura in viaggio Combinano la leggerezza del Policarbonato con la sicurezza delle chiusure in Polipropilene, dotate di funzione TSA per i viaggi in USA, ma non solo, i trolley Roncato. A contraddistinguerli infatti anche una grafica fresca e giovane, tutta nuova. Pop art, arte e natura illustrano i trolley Uno SL, per viaggi belli da ogni punto di vista. Prezzo: 229 euro
ng
Uno sguardo tra le stelle Progettata specificamente per l’astrofotografia, grazie ai suoi speciali filtri la nuova reflex Canon EOS 60Da è ideale per la ripresa di fenomeni astronomici come le nebulose diffuse, uno dei soggetti favoriti tra gli astrofotografi per la decisa colorazione rossa provocata dalla ionizzazione dell’idrogeno. Prezzo: 1.422 euro
style
di Lucia Lipari
Buon Compleanno Flip Flop! Le ciabattine più fashion degli ultimi anni spengono 50 candeline e viene dedicato loro il lancio di un’edizione limitata, i cui proventi saranno devoluti all’Unicef. Che si chiamino havaianas, infradito o flip flop, queste icone di stile democratico, perché low cost, hanno conquistato il mercato. Traggono origine dalle mitiche Zori del Sol Levante, i sandali nipponici di stoffa nera con la suola realizzata con la canna della pianta di riso. Approdate nel 1962 in Brasile, divengono talmente popolari da essere etichettate dal Governo come “beni di necessità”.
Pizzo per tutte
Tra i tessuti più cool del 2012 si afferma il pizzo. Declinato dalle più prestigiose griffes della moda in tante versioni. La prima lavorazione del pizzo, o merletto, risale al XV secolo e dai centrini agli scialli della nonna, il passo è stato breve per consacrarsi capo di punta sulle copertine glamour di tutto il mondo. È un trend femminile e bon ton, dalle tinte noir o sdrammatizzato nei colori più accesi come il giallo, il colore dell’estate adorato da Matisse e Gauguin, ed esaltato da Blumarine (in foto).
È tempo di accelerare Sportivi e grintosi, i modelli Twin Twelve di Lorenz rimandano al mondo dell’automotive: la corona, ad esempio, è disegnata come un cilindro con livelli orizzontali e scanalature verticali sulla testata per permettere un “grip” migliore nell’operatività. Il proteggi corona, visto frontalmente, richiama i fari e il radiatore di un’automobile. Prezzo (modello in foto): 310 euro
Trent’anni portati benissimo
Fanno ancora tendenza le lezioni senza tempo di Mr. Swatch e dei suoi orologi. Disegnati, seguendo la Pop Art americana di Keith Haring, Yoko Hono ed Ernst Thonke, permettevano a ogni abitante del pianeta di avere un quadro al polso. La Factory di Zurigo, che ha avuto il suo esordio nel marzo 1983, si appresta ai preparativi per celebrare il trentennale e assegnare il trofeo 2012/2013 per il TTR (Ticket to Ride) World Snowboard Tour e Swatch Tour Watch. Temendo solo uno spettro: quello del made in China, ovviamente.
Freud in vetrina
Casual con stile Berwich presenta il pantalone in lino con tasche laterali alla francese e tasche a toppa sul retro. Comodissimo e di tendenza, grazie anche agli abbinamenti di colore sui toni dell’estate. Prezzo: 140 euro
La tanto vituperata moda dell’acquisto compulsivo del film I love shopping, tratto dall’omonimo best-seller di Kinsella, è diventata una terapia in voga, tanto da scomodare la psicanalisi e trasferire la disputa sui lettini dei terapisti. Difatti A Therapy, cortometraggio presentato all’ultimo Festival di Cannes e che nasce dalla collaborazione tra Prada e Roman Polanski, ribalta la prospettiva e propone agli strizzacervelli un nuovo metodo per sconfiggere le malinconiche paturnie delle donne: andare per negozi, non farà bene alla carta di credito in tempi di austerity, ma all’animo sì.
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week end relax
di Olga Carlini
Per ritemprare anima e corpo Come combattere lo stress? Ecco per voi la ricetta dell’Hotel Caesius Thermae & Spa Resort Staccate la spina per alcuni giorni e pensate solo al vostro benessere. Regalate la stessa emozione a un vostro caro, per una vacanza in compagnia. Arrivate in Hotel con la voglia di rigenerarvi e star bene. Lasciate l’auto in garage fino alla fine del vostro soggiorno. Prendete possesso della vostra camera e possibilmente spegnete il cellulare… almeno fino a sera! Vedete la tv il meno possibile. Fate bagni di sole tutte le mattine rinfrescandovi nelle piscine esterne messe a disposizione dalla struttura. Alternate il sole con alcuni trattamenti rilassanti presso il Centro Termale e rilassatevi completamente nelle 4 vasche termali a vostra disposizione. Rigenerate il palato con ottimi vini locali abbinati alla cucina dei 2 ristoranti interni alla struttura. La sera, appagati da una giornata all’insegna del
relax, godetevi il vostro drink sotto le stelle accompagnati dalle suadenti note del piano bar. Infine, lasciatevi coccolare dalla proverbiale ospitalità dello staff e dalla bellezza del lago di Garda. Per un’efficacia sicura del trattamento, è consigliabile ripetere l’esperienza più volte l’anno. È questa la ricetta dell’Hotel Cæsius Thermæ & Spa Resort per una remise en forme rilassante e appagante. La struttura, che si compone di 5 edifici magnificamente armonizzati con il paesaggio grazie allo stile architettonico mediterraneo, caldo e luminoso ma anche discreto e raffinato, sorge a pochi passi dal Lago di Garda, ed è baciata dalla dolcezza del clima. In quindici minuti, passeggiando sul lungolago, è possibile raggiungere il suggestivo centro storico di Bardolino; tutt’intorno le soavi colline della Riviera degli Olivi, dove le delizie della natura si sono date appuntamento. E ricordate, il Caesius non ha controindicazioni. Attenzione però: crea dipendenza!
Per maggiori informazioni consultate il sito www.hotelcaesiusterme.com
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week end verde
di Olga Carlini
Armonie di natura, arte e benessere Passione e fiducia nella propria realtà e nel territorio che la ospita sono gli ingredienti di una ricetta anti-crisi tutta umbra Centoventi ettari di terreno nel cuore dell’Umbria più verde, dove moderne strutture dalle forme medievali si integrano perfettamente alla delicata natura dei luoghi: è la Tenuta dei Ciclamini, nota anche per ospitare il C.E.T. (Centro Europeo di Toscolano), associazione culturale no-profit fondata dall’autore e poeta Mogol e diretta dalla moglie Daniela, operante in tre settori: musica e cultura popolare, medicina e ambiente. Il coraggio di investire sul territorio con tenacia e costanza ha portato la Tenuta ad ampliare la propria ricettività grazie a 20 nuove camere che si aggiungono alle 50 già esistenti, dotate di tutti i comfort, una rinnovata cucina e varie sale congressi che possono ospitare fino a 250 persone: la Tenuta dei Ciclamini è infatti principalmente un centro per eventi e convention aziendali e le aziende ospitate sono del calibro Microsoft, Barilla, Bayer, Audi, MPS Axa, Il Sole 24 Ore, Confindustria. Tante le possibilità di svago e relax durante un soggiorno alla Tenuta dei Ciclamini:
dalle cavalcate alla scoperta dei favolosi itinerari naturalistici locali (grazie a una scuderia di 20 cavalli) in compagnia di esperti istruttori FISE, ai trattamenti del centro benessere completo di sala massaggi e Spa, alle partite di pallone nei campi a disposizione della struttura, alla pesca sportiva nei due laghetti attrezzati; dal tiro con l’arco alla mountain bike. La Tenuta dei Ciclamini, oltre a proporre raffinati menu basati sulla genuinità dei prodotti tipici umbri, organizza anche escursioni nelle vicine città d’arte o presso attrazioni naturalistiche e storiche quali la cascata delle Marmore, la Foresta Fossile e l’antica città romana di Carsulae. Il centro si occupa infine di ricerca scientifica nel campo medico, ottenendo ottimi risultati sulle malattie autoimmuni. L’obiettivo è quello di far nascere nuovi centri di medicina preventiva e predittiva: occorre educare le persone alla necessità di effettuare un “tagliando” almeno una volta l’anno – proprio come le automobili – per proteggere la propria salute.
In apertura una suggestiva immagine in notturna della Tenuta dei Ciclamini. In alto, Mogol e sua moglie Daniela in sella a due cavalli della scuderia interna
Tenuta dei Ciclamini Loc. Casa Pancallo, 3 Avigliano Umbro (Tr) Tel. 074493431 daniela@cetmusic.it iciclamini@cetmusic.it www.iciclamini.it 137
camera con vista
di Gilda Ciaruffoli
Emozioni al profumo d’agrumi Capovaticano Resort Thalasso & Spa: un angolo di paradiso con veduta mozzafiato sulle isole Eolie. Membro della collezione MGallery, un network esclusivo di hotel dalla personalità unica e inimitabile
Località Tono, fraz. San Nicolò - Ricadi (Vv) Tel. 0963665760 - www.mgallery.com
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Incastonato come una gemma in uno dei tratti più suggestivi della costa calabrese, lambito dalle acque cristalline di un mare dalle mille sfumature turchesi e dominato dalla sagoma imponente del Vulcano Stromboli, il Capovaticano Resort Thalasso & Spa è un gioiello della prestigiosa collezione MGallery, un network internazionale di hotel dalla personalità unica, in cui ogni soggiorno è ricco di emozione e scoperta. Il design minimalista e raffinato dell’hotel, la sobrietà dei colori e l’essenzialità dei materiali si integrano con delicatezza nel contesto di una natura incontaminata e selvaggia, che offre panorami e scorci suggestivi, ma pretende rispetto per la sua aspra e maestosa bellezza. Ampie ed elegantemente arredate, le camere – 121, suddivise in Standard, Superior e Junior Suite – si affacciano sul giardino o regalano indimenticabili viste panoramiche sul mare e le Isole Eolie. A disposizione degli ospiti due ristoranti, il Mantineo, il ristorante principale, e lo Stromboli Beach Bar & Restaurant, situato a bordo mare, che mantengono la promessa di un sofisticato viaggio gastronomico alla scoperta dei più autentici sapori mediterranei, reinterpretati dall’estro degli chef del Capovaticano.
E per godere di una parentesi di indimenticabile romanticismo, l’hotel invita gli ospiti a regalarsi l’esperienza del suo Memorable Moment, la degustazione di un aperitivo da sorseggiare avvolti nella magica cornice di un’incantevole baia dalla sabbia impalpabile, raggiungibile solo via mare, da cui ammirare il tramonto del sole che, coricandosi dietro al vulcano Stromboli, tinge il mare di una miriade di riflessi infuocati. L’Istituto di Thalassoterapia & Spa, integrato alla struttura, completa l’offerta del Resort. Tre piscine con acqua di mare riscaldata, un percorso flebologico, sauna, bagno turco, docce aromatiche e zona relax, algoterapia, shiatsu e massaggi agli oli essenziali: una vera e propria oasi di puro relax per rigenerare corpo e mente, grazie al suo approccio innovativo al benessere, che trae ispirazione dal patrimonio naturale offerto dai dintorni di Tropea con i suoi agrumi e profumi mediterranei. Perché l’essenza della filosofia di MGallery, e di Capovaticano come suo degno simbolo, consiste proprio in questo: offrire all’ospite, nell’ambito di un contesto di accoglienza eccellente, esperienze uniche per ricordi indelebili, alla scoperta delle particolarità del luogo e della sua storia.
week end mare
di Stefania Monaco
Coccole ischitane Si respira aria di mare e Dolce Vita tra le stanze, le vasche termali e i ristoranti del Mezzatorre Resort & Spa, quattro stelle che rende la perla del Golfo di Napoli ancora più elegante, ancora più accogliente
Aveva ragione Totò: a questa isola non manca proprio niente. Semmai ha qualcosa in più, di divino. Per godere di tutta questa bellezza il Mezzatorre Resort, con i suoi sette ettari di macchia mediterranea, è il luogo ideale. Una volta stati qui sarà difficile dimenticarsene. Ne (de)scrisse chiaramente lo scrittore Wystan Auden nella sua poesia intitolata Ischia: “Come bene correggi i nostri occhi feriti, come dolcemente ci insegni a vedere uomini e cose in prospettiva sotto la tua luce uniforme”. Una giornata tipo potrebbe iniziare con una passeggiata nel bosco che lascerà libero il respiro a rincorrere salsedine e linfa di pini. Subito dopo colazione vista mare con proposte stagionali tra salato, dolce, biologico, dietetico: pane ai cereali caldo o pastiera napoletana? Poi, discesa a mare e sosta sul lettino della piscina di acqua termale con a fianco il ristorante Sciuè Sciuè, dove l’accoglienza meravigliosamente mediterranea lascia intuire una scia finale di dolce vita che qui fu elegante, più sobria di quella delle altre isole. Anche nella Spa, tra cascate termali e di acqua marina, dove vigile e attenta c’è “donna” Elena che consiglia con tanto di mani sui fianchi percorsi benessere, poi asciuga energicamente i clienti e offre la tisana purificante, «signò, questa fa bene!». Durante il giorno la proposta del ristorante è territoriale e senza fronzoli. Tagliata di frutta, insalata Isolaverde (lattughina, lollo, rucola, cetrioli sedano e olive) o Sole d’Ischia (pomodorini ciliegino e basilico). Ma una giornata intensa merita una cena speciale. L’ambiente dello Chandelier, il ristorante serale, è perfetto: un giovane sommelier tenta di spiegare a un tavolo di stranieri il vino che sta proponendo, da un vitigno autoctono di Ischia: foot of culver spiega, per’e palummo (piede
di piccione). Il menù proposto dallo chef Giuseppe D’Abundo apre con una catalana di gamberi e scampi, “scostumata” abbastanza di cipolla rossa e, dunque, correttissima. Il baccalà mantecato su crema di zucca, servito su una base di salsa di acciughe e patate croccanti, lascia trasparire giochi di equilibrio cari allo chef anche se il risotto mantecato con provolone del Monaco e fiori di zucca con la passatina di piselli e salsa di mozzarella non va a pari merito con il piatto successivo, che è trionfale: spaghettone a metro con vongole veraci e pomodori confit. La spigola cotta e cruda con i gamberi rossi ha la sua efficacia. Chiude una mela al lampone molto audace e una sfera (più confortevole e coccolosa) di cioccolato al latte con albicocche candite. Cucina piacevole, istintiva. Finale di giornata con passeggiata, in sottofondo il mare e lo stridio di gabbiani. Lo stesso percorso, gli stessi passi degli ospiti che furono qui negli anni ‘50 quando era proprietà privata ovvero casa di vacanza del barone Fassini, un elegante e fine gentiluomo che amava circondarsi di aristocratici e nobili. Ospiti che nel frattempo sono divenuti clienti. «Ricordo ancora la principessa Windisch-Graetz – racconta il direttore Giovanni Sirabella – un tipo energico. Pretendeva che le barche dei turisti non si avvicinassero alle coste intorno all’albergo. Faceva da vedetta sul bordo della piscina urlando, nonostante i suoi 80 anni, all’avvistamento di una barca». L’ultima nota di fascino di fianco al Mezzatorre è la Colombaia, un’altra villa di proprietà del barone che la cedette dopo tanta insistenza a Luchino Visconti. Le ceneri del regista sono in un angolo del parco che circonda la Villa, divenuta nel frattempo sede della Fondazione omonima.
“Fra tante belli cose c’ha criato, ‘o Padreterno ‘ncopp’ a chesta terra, na cosa ha fatto che nce s’è spassato: immiez’ a nu golfo nu pezzullo ‘e terra. E ‘ncoppa a chesta terra profumata, c’addora ‘e pace e regna na quieta, chest’isola da tutte decantata, te ce ha piazzato pure na pineta” Antonio de Curtis, in arte Totò 139
Vdg selezioni
Amorosso:
vino per salutisti La rivoluzione nel bicchiere parte dalla cantina Diomede di Acerenza in Basilicata. Zero conservanti e solfiti per un vitigno 100% Aglianico Doc. Se passate da Milano, assaggiatelo presso le luxury suite di via San Pietro all’Orto 6 Amorosso è un vino totalmente privo di solfiti (sia aggiunti che di fermentazione), ovvero privo dei conservanti utilizzati nella produzione di praticamente tutti i vini rossi e bianchi per mantenerne il colore e la durata. I solfiti, anche noti come anidride solforosa (E220), hanno un’azione tossica sul corpo umano causando cefalee (il “cerchio alla testa”), gastralgie e reazioni allergiche. I solfiti sono anche responsabili della formazione di radicali liberi causa dell’invecchiamento dei tessuti umani. Quindi, un vino senza solfiti, può a ben titolo essere definito un wellness wine ovvero un vino pensato per chi è attento alla propria salute. Ma come mai finora nessuno aveva provato a produrre vini privi di conservati chimici? Perché fino a due anni fa non era disponibile il nuovo processo produttivo, al 100% naturale, messo a punto dall’Università di Verona e dal CNR di Pisa e denominato Freewine. Tale processo permette di ridurre la carica batteri-
ca del vino attraverso una filtrazione con raggi UV e anche di ridurre a zero la presenza di ossigeno disciolto nel vino stesso (che innescherebbe i processo di ossidazione). Lâ&#x20AC;&#x2122;Amorosso con zero solfiti è ottenuto da vitigni sani al 100%, con uva raccolta a mano â&#x20AC;&#x201C; quindi con zero impuritĂ â&#x20AC;&#x201C; e segue un processo di trasformazione con macchinari dedicati e ipercontrollati presso la cantina Diomede di Acerenza (Potenza). Il vino Amorosso è prodotto in purezza con uve Aglianico del Vulture in una delle regioni piĂš salubri e naturali dâ&#x20AC;&#x2122;Italia: la Basilicata. La sua origine è Mediorientale ed è considerato uno dei piĂš antichi e longevi tra i vitigni italiani. Le uve Aglianico inoltre sono naturalmente ricche di polifenoli che aiutano il corpo umano a star meglio fungendo da antiossidanti e antiinfiammatori naturali. Per questo motivo Amorosso presenta nel proprio pack una dettagliata scheda con i valori nutrizionali tra cui il potere ORAC (oxygen radicasl absorbance capacity) ovvero la capacitĂ di assorbire i radicali liberi. Dalla sperimentazione empirica di Amorosso si è notato che provoca la piacevole euforia tipica del vino migliorando inoltre la capacitĂ di digestione dopo cena. Alla creazione del vino Amorosso hanno partecipato: Piergiorgio Mangialardi e Luigi Lenoci (imprenditori che hanno dato vita al progetto e investito), Luca Pugliese (enologo), Fabio Tonello (partner del progetto e presidente del gruppo Antoitalia), le cugine Annalisa e Giovanna Sacco, e Arrigo Cipriani (sĂŹ, proprio il patron del famoso Harryâ&#x20AC;&#x2122;s Bar di Venezia).
In apertura la bella etichetta di Amorosso, che lo rende un vino simbolo dellâ&#x20AC;&#x2122;Italia non solo per la qualitĂ del prodotto ma anche per la particolare cura posta al design del suo packaging
Un successo in 4 punti s !MOROSSO Ă&#x2019; UN VINO MORBIDO PIACEVOLE E CORPOSO CHE PIACE SIA ALLE DONNE CHE AGLI UOMINI s Âś IL PRIMO WELLNESS WINE AL MONDO IN QUANTO TOTALMENTE PRIVO DI CONSERVANTI SOLlTI s Âś PRODOTTO DAL VITIGNO PIĂĄ ANTICO E SALUBRE DEL SUD )TALIA LE UVE SONO !GLIANICO s !MOROSSO Ă&#x2019; )TALIAN STYLE PER IL PACK IL LOGO E LA CAPACITĂ&#x152; DI METTERE ALLEGRIA E GIOIA DI VIVERE
www.amorosso.it
Come degustarlo Ogni bottiglia di Amorosso è rivestita di una brochure cartacea che spiega in dettaglio le qualitĂ del vino e lo rende ancora di piĂš unico ed esclusivo. Amorosso va servito alla temperatura di 16°C, quindi leggermente piĂš fresco rispetto ai soliti rossi ed è venduto al ristorante al prezzo di 25 euro a bottiglia. Attenzione: non è distribuito in enoteca. Si può però ordinare direttamente (usufruendo di sconti particolari) con spedizione a casa scrivendo alla mail vino@amorosso.it o telefonando al numero 0291705624. In Lombardia si può trovare Amorosso presso le luxury suite di via San Pietro allâ&#x20AC;&#x2122;Orto 6 di Milano. Ma quali sono gli abbinamenti piĂš adatti? Sicuramente i primi piatti di pasta e i risotti, e ancora funghi, tartufo, pesce al sale e al forno, verdure, formaggi freschi, carpaccio, tartare, panzerotti e focacce. Nel sito www.amorosso.it è possibile trovare maggiori informazioni e unâ&#x20AC;&#x2122;ampia documentazione sui problemi che i solfiti causano alla salute dellâ&#x20AC;&#x2122;uomo.
selezioni
Gusto italiano in poche semplici mosse Tutti i profumi e gli aromi che rievocano i sapori autentici e semplici legati alle nostre tradizioni: è quanto possiamo trovare aprendo una delle confezioni Chef Dovunque – Quanto Basta: la preparazione è veloce, il risultato è garantito! Spaghetti pomodoro e basilico. Spaghetti aglio e olio e peperoncino. Spaghetti cacio e pepe. Pennette all’arrabbiata. Questo il menù 2012 proposto da Quanto Basta, linea del progetto Chef Dovunque firmato Antonio Ranaldo. La confezione Quanto Basta contiene tutti gli ingredienti – di alta qualità, artigianali e biologici – già dosati per la preparazione dei primi piatti della tradizionale cucina italiana e mediterranea, completi di istruzioni in varie lingue e illustrate per consentire a tutti, soprattutto all’estero, la realizzazione di gustose ricette. Le confezioni, pensate per 2/3 o per 4/5 porzioni, consentono così a chiunque di sentirsi uno chef provetto. In occasione del suo esordio promozionale, al Sana di Bologna 2010, il prodotto ha ricevuto l’attenzione dell’Assessorato alle politiche agricole della regione Lazio; da questo incontro è nata la linea dedicata ai piatti tipici della regione realizzati a filiera corta con ingredienti selezionati tra i produttori agricoli e gli artigiani del territorio. Inoltre, Chef Dovunque è certificato Icea, Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale, tra i più importanti organismi del settore in Italia e in Europa. Ma dove si possono trovare le confezioni? Nei punti vendita della intera rete autostradale Italiana gestiti da Autogrill e My Chef, negli aeroporti, presso le stazioni ferroviarie. Negli Show-room dei migliori hotel: a Positano, Pompei, Ercolano, Napoli, Cervia, Roma, Milano… e in quelli della catena Eco World Hotel; negli Store Vie del Gusto a Milano. Da luglio il prodotto, nella sua linea GDO, è inoltre posizionato in alcuni punti vendita Ipercoop (Roma Eur, Roma Casilino, Aprilia, Livorno). B.T. Food Loc. Solfegna Cantoni (Zona Ind.) - Cassino (Fr) Tel.0776728772 - www.chefdovunque.com
In foto la novità disponibile da settembre presso gli aeroporti e i punti vendita autostradali: Tutt’altroAroma, l’ultima proposta Chef Dovunque, il caffè, artigianale e biologico, con la sua moka e le tradizionali tazzine italiane
Ingredienti vincenti I prodotti biologici della linea Chef Dovunque, ideati da Antonio Ranaldo, sono la soluzione moderna per concedersi primi piatti della cucina italiana ovunque, anche in giro per il mondo. Un esempio? Le pennette all’arrabbiata. Nella confezione per 2/3 porzioni troverete: 250 gr di pasta di semolato di grano duro biologico, 20 ml di olio extra vergine d’oliva biologico, 30 gr di sale grosso, 400 gr di pomodori pelati con basilico biologici, 3 gr di mix di aromi biologici (prezzemolo, aglio e peperoncino). Le pennette all’arrabbiata sono stata recentemente protagoniste di uno show cooking presso la lounge Saporbio del Cibus, durante il quale Marco Columbro e Tessa Gelisio hanno cucinato il piatto. Antonio Ranaldo è nato in provincia di Benevento, nel 1960. Cresciuto nel Sannio, si è formato con la cucina, i colori e i profumi dei suoi orti, influenzato da una realtà genuina e incontaminata. Manager creativo, è impegnato nella gestione di varie aziende anche all’estero; e proprio in Perù, nel 2000, è nata l’idea che ha portato 10 anni dopo alla realizzazione di Chef Dovunque. Attualmente Antonio Ranaldo è Direttore Generale della BraIn Trust Holdin S.p.A.
Baglio Oro Sede: Via delle Sirene, 17 – Marsala (Tp) Cantina: Contrada Perino, 235 – Marsala (Tp) Tel/Fax. 0923 967744 - Mob. 3299848243 / 3339177043 www.bagliooro.it
Vdg selezioni
selezioni
Eccellenza “autenticata”
Si chiamano L’Atto, Il Rogito, La Firma, il Sigillo… sono i vini prodotti dalle Cantine del Notaio, realtà lucana il cui fiore all’occhiello è l’Aglianico del Vulture, al quale dedica attenzioni e una ricerca unica nel suo genere
Cantine del Notaio, nel cuore verde della Basilicata, ha dedicato il suo impegno e la sua ricerca a esplorare tutte le potenzialità enologiche dell’Aglianico, che nel Vulture trova la sua migliore espressione per una felice combinazione di temperature (forti salti termici estivi e temperature molto alte d’estate per effetto delle correnti di aria provenienti dall’Africa), piovosità (assente nei periodi estivi), esposizioni e suolo (presenza del tufo che “allatta”). L’azienda dispone di circa 30 ettari suddivisi in aree particolarmente vocate di 5 comuni del Vulture (Maschito, Ripacandida, Ginestra, Rionero in Vulture e Barile) dove, sul vitigno Aglianico, è condotto uno studio unico nel suo genere – sono piantati stessi cloni, sullo stesso porta-innesto, con stesso sesto di impianto e stessa forma di allevamento a spalliera e cordone
speronato – per verificarne il comportamento su tipologie di suoli differenti. Straordinarie poi le condizioni di affinamento dei vini in antiche grotte di tufo del 1600, appartenute ai Padri Francescani, che si sviluppano su circa 1.500 mq di spazi sotterranei e che garantiscono umidità molto elevata, costante tutto l’anno. L’azienda, dallo studio scientifico sul vitigno e da un recupero di antiche tradizioni interpretate in chiave moderna, produce 10 vini diversi di cui 9 a base di Aglianico del Vulture. La differenziazione dei vini è basata sull’epoca di raccolta (da fine agosto a fine novembre) che, in funzione del diverso grado di maturazione fenolica, consente un’interpretazione enologica specifica per esaltarne le caratteristiche del frutto. Ciò è reso possibile dal fatto che il vitigno Aglianico del Vulture ha una fase di maturazione molto tardiva. I nomi dei vini richiamano tutti l’attività Notarile, ma vi è una logica per ognuno: ad esempio Il Preliminare è un vino d’ingresso, i base sono L’Atto e Il Rogito (sinonimi utilizzati per il rosso e il rosato rispettivamente), La Raccolta è il bianco da uve selezionate, Il Repertorio, La Firma e il Sigillo sono i rossi posti in ordine progressivo di epoca di raccolta e, quindi, di maggiore concentrazione. Per il Dolce c’è L’Autentica che chiude il pranzo o cena. Cantine del Notaio Via Roma, 159 Rionero in Vulture (Pz) Tel. 3356842483 / 0972723689 www.cantinedelnotaio.it
Vdg selezioni
Castagne, che delizia!
Ai piedi della Sila, l’azienda Alpa, leader nel settore delle castagne, valorizza l’eccellenza delle produzioni tipiche della montagna calabrese nel segno dell’alta qualità e genuinità Alpa nasce nel 1960, quando la famiglia Gualtieri inizia ad occuparsi della lavorazione e trasformazione delle castagne, e si costituisce in società nel 1996, ampliando la produzione artigianale nel rispetto della tradizione e delle materie prime. L’azienda è oggi una delle realtà più dinamiche del settore agroalimentare della Calabria, regione nota ed apprezzata per i suoi castagneti da frutto: una risorsa vitale per il territorio per la produzione di frutto e legname, e per il ruolo svolto nel soddisfare la crescente domanda di aree ricreative e di salvaguardia ambientale. Rigorosamente “ecologiche” – i castagneti non sono sottoposti ad alcun trattamento antiparassitario o concimazione chimiche – le castagne calabresi rappresentano la memoria storica della gente della Sila, il suggestivo scenario naturale in cui sorge Alpa, ancora oggi impegnata principalmente nella lavorazione e trasformazione della castagne in ogni forma e per ogni utilizzo. La filiera produttiva dell’azienda, in linea con la nuova disciplina comunitaria sulla tracciabilità, offre l’opportunità di far conoscere l’alta qualità dei propri prodotti, proposti a prezzi di sicuro interesse; l’obiettivo di Alpa è raggiungere la copertura del mercato nazionale e internazionale in modo capillare attraverso un’approfondita analisi dei canali distributivi. L’azienda, impegnata nel rafforzamento del marchio, ha deciso di creare, accanto ai prodotti tradizionali, una linea innovativa, caratterizzata da raffinate confezioni, che esalta il magico mix tra nuovi e antichi sapori della terra calabrese. Ecco quindi le morbide e dolcissime castagnole silane o le gustose castagne infornate sciroppate, perfette come dessert o per farcire dolci, o ancora le deliziose creme di castagne, senza dimenticare la linea di confetture tipiche – realizzate artigianalmente e solo con frutta fresca locale senza aggiunta di conservanti – che completa il ciclo produttivo aziendale.
A.L.P.A di Gualtieri S. & C. sas Tel. +39(0)984965518 Cell. +39(0)3476032935 www.alpacalabria.it - info@alpacalabria.it
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Il gusto di una vacanza in Toscana L’azienda agricola e agriturismo Le Torri è il luogo ideale per coloro che amano ritagliarsi un momento di relax, a stretto contatto con la natura, degustando vini e olio di grande qualità, nella rigogliosa campagna tra le bellissime città di Firenze e Siena
Sono tredici le comode ed eleganti sistemazioni di nuovissima strutturazione che soddisfano le più diverse esigenze – dalla classica matrimoniale all’appartamento per famiglie numerose – messe a disposizione di chi sceglie di ritagliarsi una sosta relax nel verde o vuole prendere le Torri come ideale punto di appoggio in un viaggio alla scoperta delle terre toscane, trovandosi la struttura nel cuore della regione, tra Firenze e Siena. A circondare l’azienda agricola splendide colline, borghi medievali e un paesaggio affascinante composto di vigneti e oliveti che convivono in perfetta armonia e che difficilmente si possono dimenticare. Arredati in stile rinascimentale toscano, gli appartamenti dai nomi di pittori, hanno pavimenti in cotto e soffitto con travi a vista; sono inoltre forniti dei migliori servizi, tra i quali aria condizionata e connessione internet wireless. Ogni appartamento, come il nome dei pittori che porta, ha un proprio stile e un arredamento unico ed elegante, che potrete conoscere visitando il sito web de Le Torri. L’agriturismo offre una vacanza unica, il cui principio è semplice: una pausa di relax con tutto quello che un’azienda agricola può offrire, con le proprie risorse o quelle del territorio che la circonda. L’azienda, con i suoi prodotti alimentari, le attività, le tradizioni, le stagioni, i luoghi, il paesaggio, i contadini e le persone che ci lavorano, ne sono gli elementi essenziali. È proprio per questo che nel ristorante de Le Torri, dedicato ai soli ospiti, è possibile apprezzare prodot-
ti tipicamente toscani, locali e di stagione. L’olio di oliva e il vino (bianchi e rossi di annata e invecchiati in barriques) sono prodotti all’interno dell’azienda agricola che offre anche la possibilità di visite guidate alla scoperta dell’intero processo produttivo. I salumi, i formaggi e i prodotti quali marmellate, gelatine e miele sono tutti a chilometro zero. Azienda Agricola Le Torri Via S. Lorenzo a Vigliano, 31 Barberino V.Elsa (Fi) Tel. 055 8076161 www.letorri.net
Riapre ad aprile il ristorante de Le Torri, dove gli ospiti avranno la possibilità di degustare piatti tipici della tradizione toscana
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