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URSA MAJOR MAGAZINE by VDG MAGAZINE VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 2 | N.6 | MENSILE | EURO 4,90
www.vdgstore.com MAGAZINE maggio 2012
LO/0004/2012
FROM ITALY WITH TASTE
DALL’ITALIA CON GUSTO
LA CUCINA ITALIANA CHE TRIONFA NEL MONDO
Anche ad ExpoCorea il food tricolore protagonista Icif, la scuola dove gli stranieri imparano a cucinare italiano Grana, pasta e mozzarella, i nostri cibi più amati nel mondo Grande successo per le convention Ursa Major “Corri con noi” Il socio del mese: Dalmonego, esperienza al servizio dei clienti Il fornitore del mese: Orogel La proposta della coop In-Presa Come costruire il futuro: i suggerimenti di Ursa Major www.vdgstore.com
editoriale
di GIUSEPPE ARDITI
Condivisione e Innovazione: le fondamenta per il futuro In occasione della Convention Ursa Major, tenutasi nella splendida cornice di Cernobbio, ho avuto modo di confrontarmi sul concetto di condivisione con una buona parte dei 150 presenti; con mio grande piacere ho scoperto che in molti sposano la mia stessa filosofia. È fondamentale condividere ciò che ognuno di noi ha e metterlo in rete “facendo sistema”, non solo tra distributori, ma anche e soprattutto con i nostri partner fornitori con i quali è importante creare progetti ad alto valore aggiunto. In un contesto economico così difficile, siamo in piena recessione, dove ci sono pochissime risorse economiche è importantissimo condividere ciò che si ha con i propri colleghi perché solo così si può crescere più velocemente e tenere nello stesso tempo i costi bassi. Un’altra cosa su cui ho trovato tutti d’accordo è stata l’innovazione costante e continua in tutti i settori; dai prodotti, ai servizi ai processi fino ai rapporti con i nostri interlocutori; mi riferisco in particolare sia ai nostri fornitori di prodotti sia di servizi, come le banche, le assicurazioni e i professionisti che ci seguono. Dobbiamo svolgere il nostro lavoro tenendo standard qualitativi molto elevati e continuando incessantemente a confrontarci con imprenditori di tutti i settori. Ne ho avuto la conferma anche da Oliviero Toscani, persona unica e geniale, che ho avuto il piacere di incontrare al Vinitaly dove presentava il suo straordinario vino OT: anche per lui il futuro si fonderà sulla qualità e sull’eccellenza non solo di prodotto o servizio, ma anche dell’immagine del proprio Brand e di come questo si posiziona sul mercato. Recentemente, durante un’intervista, mi è stato chiesto quanto la Qualità sarà strategicamente importante nel futuro del nostro settore, basta una parola per rispondere: fondamentale !!! Sono convinto che per rimanere sul mercato, noi distributori dobbiamo fare un grande balzo in avanti nel proporre ai nostri clienti un servizio di altissima qualità, bastano anche poche cose ma fatte bene. Come avere un numero verde, essere a disposizione 24 ore su 24 per 365gg./anno con un proprio servizio e-commerce, proponendo continue novità e promozioni tramite locandina cartacea o digitale ai nostri clienti, organizzando incontri di degustazione e coccolando i clienti, anche semplicemente ricordandone il compleanno ed inviando gli auguri per le festività. Insomma tante piccole attenzioni che fanno sentire ai nostri clienti quanto siano importanti e che ci consentono di diventare aziende uniche capaci di distinguersi sul mercato. In un’ottica ancor più grande, per essere sempre più straordinari, dovremmo dedicare le stesse attenzioni anche ai nostri partner fornitori.
Giuseppe Arditi Presidente Consorzio Ursa Major Group
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Ursa Major informa
Ursa Major Group, il consolidamento e lo sviluppo. Nella giornata di Lunedì 26 marzo 2012, presso Villa D’Este a Cernobbio, si è tenuta la Convention “Corri con noi”, promossa da Ursa Major.
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L’incontro, a cui hanno preso parte 150 persone, è stata l’occasione perfetta per conoscere il Gruppo. Ursa Major si fonda su 15 Soci che, come Gruppo, vogliono tenere viva l’attenzione del pubblico sul loro operato nel mercato odierno, perché, grazie a continue proposte innovative, sono in grado di affrontare e superare il periodo di profonda crisi in cui versa l’economia globale. A conferma del successo ottenuto è previsto l’imminente ingresso di altri nuovi Soci. I Fornitori storici si sono dimostrati profondamente coinvolti dai servizi di marketing e formazione offerti da Ursa Major. Sono i “clienti a monte” e per questo possono contare su una conoscenza profonda del mercato, una rete commerciale consolidata nei canali Ho.Re.Ca e Normal Trade, un elevato standard di relazioni con i buyer della DO, GO e GDO, una distribuzione capillare, servizi logistici a 360°, un costante presidio del territorio. Anche Ursa Major Magazine ha raccolto consensi, in particolare da parte dei Fornitori, che appoggiano l’idea base: creare cultura e informazione all’interno del settore alimentare. La rivista è un abile strumento per tenere costante l’aggiorna-
mento sulle novità del mercato, uno strumento che racconta e informa circa le eccellenze del territorio italiano. Il magazine è uno spazio privilegiato, che consente ai Fornitori di comunicare e di mettere a disposizione dei colleghi le iniziative sviluppate. Ursa Major guarda sempre avanti e sta per intraprendere nuovi progetti, ad esempio “il consumatore al centro”, che nasce dalla sinergia di Aziende con competenze specifiche e complementari: Viva Comunicazione, W4Y, Vie del Gusto. L’idea è intercettare, fidelizzare e servire un nuovo percorso di vendita caratterizzato da milioni di consumatori che frequentano il canale Ho.Re.Ca. Il secondo progetto è “Veritas in vino” e prevede la creazione di una rete che colleghi Fornitori e Clienti, al fine di garantire una partnership solida all’interno del mercato vinicolo. Grazie al contributo di ogni figura che opera all’interno dell’Associazione Consortile Ursa Major, è emerso il profondo interesse, per questo Gruppo, di creare cultura all’interno del mercato, avendo dei precisi valori condivisi: UNIONE, CRESCITA, INTEGRITÀ, SOLIDARIETÀ, PASSIONE, CREAZIONE DI BENESSERE.
il socio del mese
Dalmonego, l’esperienza al servizio della clientela
Fin dalla nascita, nel 1967, la Dalmonego Bruno & figli srl lavora per creare valore nella Regione del Trentino Alto Adige. É un’azienda profondamente legata al territorio, che ne vuole esaltare le unicità supportando bar, alberghi e catering nell’offrire il miglior servizio possibile a ogni cliente. In questi 45 anni, Dalmonego ha proposto ai clienti sempre i migliori prodotti alimentari. “Ricordo ancora quando papà Franco portava noi figli sul camioncino di gelati per essere aiutato”, ricorda Paolo Dalmonego, “avevo 14 anni, e per me e le mie sorelle Katia e Brunella sono stati importanti momenti di crescita!” Oggi, Paolo porta avanti un’azienda che è nata grazie a suo nonno Bruno e si è evoluta sotto la guida dei figli Franco, Giorgio, Giuseppe e Gianni. “Sono stati dei grandi esempi nella mia vita”, continua Paolo, “uomini che hanno sempre lavorato duramente e con una visione ben precisa: portare i prodotti migliori a clienti e consumatori.” È questo l’impegno che portano avanti Paolo e la moglie Barbara, soci nell’azienda. La qualità dei prodotti, oggi come ieri, li guida nella scelta dei fornitori. Dalmonego rappresenta in esclusiva il marchio Nestlè e ne condivide strategia e obiettivi. Tra gli altri fornitori storici ci sono Barilla, Santal, Partner, Dega, Agritech, Buitoni, Germoglio, Città Alta, Via col Gusto, Lindt. Il catalogo dei prodotti varia dai salumi alle bibite, dai gelati ai surgelati, con uno spazio importante dedicato ai solubili caldi e freddi Nestlè Professional. La ricerca di nuovi prodotti è un impegno che permette alla Dalmonego di portare sempre l’innovazione ai propri clienti. La filosofia aziendale è ben spiegata dalle parole di Barbara: “Sono madre di due figli e voglio essere sicura che, quando i miei bimbi vanno al bar a prendere un gelato, un succo o un panino, possano trovare sempre ingredienti sani e genuini. Per questo ogni settimana incontriamo i fornitori storici per valutare nuovi inserimenDALMONEGO BRUNO & FIGLI srl 97, v. Trento Mezzolombardo (TN)
Tel. 0461 604270 Tel. 0461 601084
ti di prodotti, o ne incontriamo di nuovi per valutare la loro offerta.” Inoltre, Dalmonego tratta anche prodotti a Km0, eccellenze dei produttori locali che devono essere avvicinati ai consumatori finali. Il successo dell’azienda è dovuto alla copertura capillare del territorio con una rete di collaboratori professionali e competenti, che crescono anche grazie alla continua attività di formazione. I venditori portano non solo il meglio di una selezione di prodotti di qualità, ma anche un servizio di consulenza. Dalmonego organizza per i suoi clienti eventi di formazione e informazione su prodotti e servizi almeno due volte all’anno, e partecipa alle più importanti fiere del settore. Ancora Paolo Dalmonego: “Sono i clienti a chiedere sempre maggiore assortimento, qualità e innovazione. Il nostro successo e crescita sono una risposta alle loro esigenze.” Grazie ai 15 automezzi frigoriferi di ultima generazione, la consegna della merce avviene in modo ottimale entro 24 ore. Dalmonego fornisce inoltre una vasta scelta di attrezzature: forni, frigo, vetrine, sorbettiere, macchine per le arance e macchine Orzo e Ginseng. La sicurezza dei prodotti è garantita da un sistema centralizzato di ultima generazione, con allarme per il controllo della temperatura nelle celle e sugli automezzi. La tracciabilità completa di ogni prodotto permette ai clienti di sapere in ogni momento la “storia” dell’alimento. L’impegno sociale e ambientale sono un’altra priorità dell’azienda. “Viviamo in una regione splendida, patrimonio mondiale dell’UNESCO per il suo ambiente. Rispettarlo con comportamenti sostenibili è un dovere per le aziende che offrono servizi in Trentino.” Dal 2010 l’azienda produce energia con un impianto fotovoltaico di ultima generazione. Per tradizione, e in sintonia con gli altri soci del Consorzio Ursa Major, Dalmonego crede fermamente nei valori della solidarietà e della partecipazione. Quest’anno ha collaborato alla costruzione di un impianto fotovoltaico in Tanzania per fornire energia elettrica ai bimbi che vanno a scuola.
Sito ufficiale - www.dalmonegogelati.it Email - dalmonego@agtp.it
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il fornitore del mese
Orogel, buono per natura Il gruppo Orogel rappresenta una delle principali realtà agroalimentari italiane. Gli oltre 2000 soci produttori che rappresentano la base sociale del gruppo coltivano terreni italiani più vocati per offrire la migliore varietà di prodotti ortofrutticoli freschi e surgelati. L’intero processo produttivo è costantemente controllato dalla semina alla raccolta, dalla lavorazione alla distribuzione.
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Orogel è presente nelle zone più vocate d’Italia con stabilimenti di surgelazioni situati in prossimità dei campi di raccolta; in tal modo i prodotti appena raccolti sono immediatamente lavorati, stoccati e confezionati, mantenendo intatta tutta la loro freschezza. Questo è Orogel 360°, il simbolo che identifica il controllo della filiera dal campo alla tavola con in più la garanzia dell’Italia che produce. LA NOSTRA MISSION Orogel fonda i suoi valori sull’attenzione al territorio, sulla scelta di produrre nelle zone più vocate, sull’impiego di metodi rispettosi del ritmo delle stagioni e dell’ambiente. Orogel porta la natura nel piatto degli Italiani, garantendo la tracciabilità della filiera e l’impiego di sistemi di produzione rispettosi dell’ambiente e della natura che ci circonda. L’azienda offre sempre il meglio grazie al lavoro dei soci produttori e all’efficienza di un’organizzazione all’avanguardia che gestisce direttamente tutta la filiera produttiva grazie a sistemi informatici brevettati che permettono di seguire e monitorare costantemente ogni singolo lotto produttivo, dal campo alla tavola del consumatore. La nostra missione è la Bontà Naturale. RICERCA E SVILUPPO In Orogel nulla è lasciato al caso. La coltivazione, la raccolta, lo stoccaggio, la trasformazione e il confezionamento sono continuamente soggette a miglioramento. Ed è per questo che l’azienda mette tutto l’impegno nelle attività di Ri-
cerca e sviluppo, uppo, st studiando tudi diando d nu nuovi uovii met metodi todi di e appli applilicando nuove grado ottimizzare ve tecnologie in gra ado di ottimizz zare la produzionee e la distribuzione,, per essere sempre seempre all’avanguardia. ardia. Grazie a Vitroplant, troplant, la società del Gruppo specializzata nella a ricerca varietale e nella produzione di piantine in vitro e materiale vivaistico, dotata di innovativi sistemi emi di produzione, Orogel può fornire ai soci produttori uttori piante forti, sane e virus esenti. Con Sicural, il Laboratorio Aziendale per la Sicurezza Alimentare, re, dotato delle più avanzate tecnologie di analisi e prove rove della qualità alimentare e agronomica, Orogell offre un prodotto sicuro che risponde perfettamente te ai più rigidi standard qualitativi internazionali. Tutti i prodotti Orogel sono il risultato di uno studio o da parte dell’esclusivo centro di ricerca e sviluppo La Cucina Italiana di Orogel, dove un qualificato Team Chef elabora e testa interessanti novità per proporle sul mercato. Il Gruppo infatti propone costantemente nuove e interessantissime referenze per ampliare la gamma dei prodotti offerti sia ai propri consumatori sia al più variegato mondo della ristorazione: a partire dai vegetali tal quali, raccolti freschissimi e subito surgelati, per offrire un prodotto naturale già lavorato e tagliato pronto all’uso, alle ricette veloci della grande tradizione italiana, piatti ricettati ad altissimo contenuto di servizio e solo da personalizzare con il sapiente tocco dello chef. Inoltre Orogel ha abbinato alla qualità dei prodotti anche il BENESSERE. Verdure, legumi e cereali in
tante sfiziose ricette naturalmente ricche dii so sostanttaante t sfi fiziiose ri icett tte n atur t alme l nte t ricch i he d stant ze z utili per il nostro organismo. La LINEA BENESSERE OROGEL è uno dei fiori all’occhiello dell’azienda e da un punto di vista dei risultati raggiunti, questa linea di prodotti ci sta regalando tante soddisfazioni. Le referenze del benessere rispondono non solo l alle esigenze alimentari di una particolare nicchia di d consumatori ma anche ai tantissimi consumatori r che amano mangiare con gusto senza rinunciare al a benessere. Considerata C l’importanza del consumo fuori casa, ilil Team Chef Orogel è impegnato anche in eventi
ad cliente d hoc hoc con l’obiettivo l’obi biettti tivo di di fornire forniire all cli lientte iinformanformaf zionii corrette sui prodotti surgelati Orogel e presentando sentaando idee sulle sulle ricette che si possono confezionare. zionaare. Ma la tecnologica. la ricerca in casa Orogel è anche te ologica. Neglii ultimi anni Orogel ha effettuato in investimenti stimenti per rinforzare produttive, rinforzare e qualificare le attività pro uttive, in particolare particcolare nei segmenti dei prodotti a ffoglia glia (spinaci, b bieta erbetta, cicoria) e dei prodotti elaborati (grigliati, all’azienda (griglia ati, pastellati etc) che permettono al azienda di essere essere una marca all’avanguardia nella produziop duzio ne di alimenti surgelati ricchi di qualità e salubrità. al
Orogel www.orogel.it
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Ursa Major e il sociale
In-Presa, la proposta Offrire ai giovani, attraverso il lavoro e lo studio, la strada per scoprire che la vita ha un senso e che la realtà è una possibilità positiva. È questo lo scopo per cui è nata In-Presa, la cui attività oggi riguarda la formazione professionale, l’inserimento lavorativo, l’orientamento, il sostegno scolastico e l’aggregazione per giovani in età di obbligo formativo. In-Presa ha origine dall’iniziativa di Emilia Vergani, assistente sociale che a partire dal 1994 decide di coinvolgere alcune famiglie a lei legate da profonda amicizia e i Servizi Sociali di Carate Brianza per proporre e sviluppare esperienze di affido diurno, formazione e inserimento lavorativo di ragazzi in situazione di difficoltà sociale, scolastica e lavorativa. In-Presa si pone come obiettivo di accompagnare i ragazzi a conoscere positivamente sé e il mondo perché possano affrontare con coraggio e certezza la vita. Questa introduzione alla realtà si realizza dentro un legame affettivo, educativo e formativo che i ragazzi instaurano con le figure adulte di riferimento, siano essi insegnanti, educatori, imprenditori e professionisti (veri e propri maestri per i ragazzi). Collaborano oggi con In-Presa circa trecento tra artigiani e imprenditori della zona. NOSTRI PERCORSI NELLA RISTORAZIONE: LA NOSTRA ECCELLENZA Formazione professionale - Corso triennale per il conseguimento della qualifica professionale in ambito gastronomico e del-
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la ristorazione - aiuto cuoco - Quarto anno per il conseguimento della qualifica di tecnico della ristorazione Alternanza scuola-lavoro, “Progetto Lombardia Eccellente – Il mestiere di essere uomini” Il percorso, rivolto a ragazzi in dispersione scolastica, prevede 600 ore complessive, delle quali 300 sono di attività didattica a scuola e 300 sono di tirocinio formativo, presso aziende del settore, quali ristoranti, gastronomie e aziende di ristorazione collettiva. Gli imprenditori/maestri, che collaborano nei nostri percorsi di stage... si raccontano : “Cosa significa per te essere Maestro dei nostri ragazzi?” Gilberto Farina - chef-patron Ristorante La Piana di Carate Brianza (MB) <Dopo oltre 25 anni di esperienza nel campo della ristorazione, sono stato coinvolto dalla filosofia di In-presa che ho sentito di accogliere nella mia vita professionale sia come docente di Laboratorio, sia come “Maestro di Bottega”, al fine di trasmettere ai giovani tutte le mie “emozioni, soddisfazioni e, senza dubbio, fatiche” che ho avuto e sto avendo quotidianamente nel mio ristorante quale chef-patron di un’attività imprenditoriale che sempre più richiede attenzione, dedizione ed innovazione. L’aspetto più esaltante sta proprio nel cercare di trasmettere agli altri, ed inevitabilmente, ciò a cui ho aderito per crescita professionale, ha pervaso anche la mia vita personale, arricchendomi di una ca-
rica di umanità e di vita vera che ha dato un senso più profondo alla mia vita lavorativa> Alessandro Gober - chef-patron Locanda dell’Erba Matta – Renate (MI) < L’Incontro con gli studenti di In-Presa è diventato per me, ogni volta, l’occasione per riscoprire il piacere di trasmettere ad altri il proprio amore e la gioia del “fare” e del “sapere”, oltre all’entusiasmo e la curiosità che rendono questo lavoro così bello e importante per me. Soprattutto mi ha permesso di scoprire i miei limiti nel saper “comunicare” e nel rischiare, con il passare del tempo, di perdere, o peggio ancora di dare per “scontate” queste cose. Insegnando, quindi, mi sono ritrovato ad imparare. Non meno importante è stata l’esperienza di rivedere me stesso, vent’anni fa, e capire, come nella vita certi incontri siano importanti e ti possano aiutare a scegliere una strada, a condividerla con qualcuno e a scoprire davvero se può essere quella giusta per te. Per questi motivi ritengo di aver ricevuto molto in questi anni di collaborazione con In-Presa e di aver “dato” con gioia.> Valerio Colombo Fondatore Gruppo BIBOS - Costa Masnaga (LC) <Noi del Gruppo BIBOS facciamo Ristorazione Collettiva da più di 25 anni. Alle nostre tavole si siedono quotidianamente: operai ed impiegati di aziende industriali nelle loro mense; alunni e studenti di ogni età e classe (dai più piccini dei nidi ai più grandi delle superiori), pazienti e personale medico degli ospedali, ospiti anziani delle Case di Riposo. Per questo motivo il nostro lavoro non può essere
solo: “ saper fare da mangiar bene” ma deve essere soprattutto saper fare un vero e proprio “servizio” personalizzato nei confronti degli utenti, con buona predisposizione all’attenzione nei confronti delle esigenze di tutti. È in questa ottica e con questi principi di attenzione agli altri, che abbiamo da tempo aderito alle iniziative della Cooperativa Sociale In-Presa e che, con molto entusiasmo, quando si presenta l’occasione, accogliamo presso i nostri uffici o le nostre Unità studenti dei corsi di formazione professionale per operatori della ristorazione e di cucina. Il loro inserimento ha sempre prodotto interessanti momenti di vicendevole esperienza. I nostri collaboratori che hanno avuto modo di seguire queste iniziative hanno sempre espresso il giudizio: è bello potersi sentire non solo facenti parte di una organizzazione Aziendale che tutti i giorni combatte con i problemi classici del lavoro (economia, burocrazia, obbiettivi, risultati) ma ogni tanto sentirsi anche dispensatori di piccoli insegnamenti utili, rivolti ai giovani che domani dovranno confrontarsi con il mondo del lavoro. >
Alessandro Gober - chef-patron Locanda dell’Erba Matta - Renate (MI)
Gilberto Farina - chef-patron Ristorante La Piana di Carate Brianza
Cerchiamo maestri Ogni anno circa 120 imprenditori legati al mondo della ristorazione accolgono i nostri 224 ragazzi di In-Presa in stage e mettono a disposizione tutte le loro conoscenze per insegnare un mestiere: la passione per la propria professione comunicata ai ragazzi diventa per loro strada per costruire sé.
Società Cooperativa Sociale In-Presa Via Emilia Vergani, 14 20841 Carate Brianza (MB) Tel. 0362.905.981 E-mail: info@in-presa.it www.in-presa.it
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i suggerimenti di Ursa Major
“Tutto cambia, solo chi non ha occhi o orecchi non si accorge dei mutamenti”. (SelfBrand, fate di voi stessi un autentico Brand)
Costruire il futuro Da David D avi vid vi d Pa Pack Packard, ckar ck ard ar d, u d, uno no d dei ei d due ue ffononon datori della Hewlett-Packard, dato da tori ri d ella el la H ewle ew lett tt-P -Pac acka kard rd spiegò la ragion d’essere di un’organizzazione nel suo discorso ai dipendenti del 1960: “Voglio esaminare perché un’azienda esiste in primo luogo. In altre parole, perché siamo qui? Penso che molte persone ritengano, erroneamente, che un’azienda esista semplicemente per far soldi. Sebbene questo sia un risultato sicuramente importante dell’esistenza di un’azienda, dobbiamo guardare più in profondità per trovare le vere ragioni del nostro essere.(...) Potete guardarvi intorno e vedere gente a cui non interessa altro che il denaro, ma le spinte fondamentali vengono in larga misura dal desiderio di fare qualcos’altro: realizzare un prodotto, fornire un servizio – in generale produrre qualcosa che sia di valore”. Personalmente credo che ogni azienda possa applicare il principio “produrre e servire qualcosa che sia di valore”, se non lo si volesse fare perché è un approccio etico lo si può fare perché a qualità di prezzo e a qualità di servizio le persone comprano quello che più da fiducia.
Donatella Rampado A.R.C. Consulting www.selfbrand.it
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Per pianificare le future strategie occorre conoscenza del passato, competenza dell’area in cui si opera nel presente e immaginazione per quello che potrebbe succedere in futuro. Il coraggio non deve mancare e lo si vede all’opera osservando anche come una persona risolve i problemi e le situazioni difficili: • Il coraggioso: affronta il problema e si adopera per risolverlo • Il poco coraggioso: fugge dal problema • Il codardo: ignora il problema ed eventualmente incolpa gli altri della sua inettitudine Essere coraggioso include continuare ad informarsi, mettersi in gioco, parlare sinceramente, imparare tecniche nuove e creare modi nuovi per fare il proprio lavoro. L’imprenditore che ignora il mondo esterno cessa di comprenderlo, perde le opportunità e diventa vittima delle nuove minacce di mercato. Di seguito troverete 6 passi da attivare, dedicati ai coraggiosi: 1) Ambiente circostante Il manager accorto desidera sapere quali sono le sorprese che lo aspettano per poterle evitare. Cose da fare: Seguire l’andamento nazionale del mercato, del lavoro, dell’economia, della politica, della tecnologia; inoltre è necessario verificare costantemente in internet e di persona cosa fa la concorrenza vincente. Dall’analisi dei fatti preparare le relative strategie promozionali e di comunicazione. Difficoltà possibili: non saper interpretare la visione d’insieme. 2) Arco temporale Nel proprio settore quali sono stati i punti deboli del passato? Con quale rapidità sono avvenuti? Che cosa ha funzionato bene nel presente? Cose da fare: leggere riviste del settore, partecipare a fiere, partecipare a meeting del settore, andare in libreria, visitare biblioteche e seguire corsi di formazione per osservare meglio quello che ci circonda. Difficoltà possibili: pensare di sapere già tutto. Essere pigri. Credere che essere aggiornati non serva. 3) Stakeholder Gli stakeholder sono tutte le parti interessate alla vo-
stra azienda come ad esempio: i clienti, i fornitori, il commercialista, la banca, la società di assicurazione, i vostri collaboratori ed il governo. Tutte queste entità, che ve ne siate accorti, oppure no, influenzano direttamente o indirettamente la vostra attività. Cose da fare: decidere chi può essere interessato al vostro sviluppo e coinvolgerlo. Solleticare un corretto interesse per ottenere sostegno, informazioni ed alzare in questo modo il margine operativo. Difficoltà possibili: credere ancora che gli altri si debbano adeguare ai vostri ritmi passivamente. 4) Gli scenari chiave Immaginare le situazioni peggiori che potrebbero accadere e per ognuna preparare un piano d’attacco. Cose da fare: preparare un elenco di tutto quello che vi può succedere come ad es. che il vostro miglior collaboratore vi lasci (malattia, licenziamento...). Per ogni scenario negativo che avete immaginato preparate una strategia difensiva. Difficoltà possibili: non aver previsto tutto e quindi non essere preparati. 5) Chi è dei nostri I collaboratori eccellenti e che portano ricchezza vanno formati e motivati, e le loro famiglie coinvolte. Cose da fare: periodicamente organizzare dei corsi di formazione di customer service e corsi tecnici. Coinvolgere le famiglie almeno una volta all’anno. Difficoltà possibili: ritenere che i soldi in formazione e coinvolgimento siano soldi spesi male. Non comprendere l’ampiezza di orizzonti che un collaboratore ben formato e motivato può apportare. 6) Ritorno al futuro Dopo aver eseguito i punti chiave da 1 a 5 valutate gli aspetti positivi, negativi e le opportunità emerse. Siate pronti per ogni evenienza e progettate il futuro stabilendo uno scenario ideale. Cose da fare: stabilire una meta raggiungibile e scrivere tutti i passi per ottenerla, definite esattamente chi fa che cosa e quando e monitorate costantemente gli obiettivi raggiunti. Difficoltà possibili: non verificare che ogni passo sia eseguito correttamente e non stabilire una meta etica.
Ursa Major Magazine
impaginazione, redazione, content management: Viva Comunicazione - art director: Federico Gallina www.vivacomunicazione.it - contatti: info@vivacomunicazione.it
viaggi del gusto
editoriale
di Domenico Marasco
domenico.marasco@vdgmagazine.it
Così il nostro giornale sostiene la diffusione del Made in Italy alimentare Cari lettori, con questo numero si chiude la trilogia che – in un momento così difficile per il nostro Paese – abbiamo voluto orgogliosamente dedicare all’elogio del “Made in Italy” agroalimentare, alle straordinarie capacità degli attori di questo comparto ed alle potenzialità economiche e turistiche dei suoi asset. A marzo, vi abbiamo mostrato quelle che a nostro avviso rimangono, malgrado tutto, le facce e gli aspetti vincenti del Bel Paese: i personaggi, le aziende, i talenti ed i prodotti che rendono unica l’Italia del cibo, del vino, degli artigiani e della creatività. Ad aprile, abbiamo raccontato come l’enogastronomia sia diventata (e possa diventare ancora di più) il vero, grande volano del turismo nazionale. In questo numero di maggio, infine, abbiamo cercato di spiegare il successo dell’italian food nel mondo, attraverso la storia di ristoratori, chef, eccellenze e produttori di altissima qualità che hanno saputo mietere consensi in ogni angolo del globo. Quella di insistere sull’Italian style in cucina, è stata una scelta deliberata e adottata anche a costo di apparire monotematici. Perché, a nostro avviso, in una fase storica di pesantissima congiuntura per l’industria tradizionale italiana, l’enogastronomia – quella formata dalle piccole e medio imprese, nella fattispecie – è uno dei pochi fattori reali di crescita di questo Paese, assieme alla cultura ed al turismo. Il comparto agroalimentare, come tutti sanno, tuttora vale 250 miliardi di euro e rappresenta il 15% del Prodotto Interno Lordo italiano. Numeri che possono crescere ancora, con un programma di investimenti mirati e una politica seria di sostegno da parte delle istituzioni. Finora, certo, non possiamo dire che ciò sia sempre avvenuto, anzi. Come vi raccontiamo attraverso l’indagine di questo mese sul “falso Made in Italy alimentare”, spesso sono propri gli stessi enti di governo a remare contro le produzioni nazionali di qualità, piuttosto che sostenerle ad ogni costo, come succede invece nella vicina Francia. Lungi dal volerci autoincensare, ci sembra tuttavia doveroso sottolineare qui come il nostro giornale, la sua parte, nell’azione di supporto alle pmi dell’agroalimentare di qualità, la stia facendo “concretamente” già da un pezzo. E non soltanto attraverso i contenuti editoriali.
Che l’Italia sia un immenso e straordinario bacino di prodotti agroalimentari e luoghi ancora troppo poco conosciuti e mal distribuiti, l’abbiamo detto. Va da sé che l’ampia offerta di prodotto non riesce sempre ad incontrare l’altrettanto ampia domanda. Da qui è nata l’idea di fare incontrare queste due direttrici. Il nostro sistema è semplice: attraverso il giornale VdG fa scoprire i prodotti (assieme ai luoghi) ai lettori, negli store di Milano ne diffonde i sapori mediante degustazioni ed eventi tematici, e con il portale www.vdgstore.com fa in modo che essi siano facilmente reperibili e acquistabili on-line in qualunque parte del pianeta. Questo sistema è ciò che un gruppo di persone appassionate è riuscito a costruire a sostegno di quella piccola medio impresa dell’agroalimentare che è la vera spina dorsale del nostro Paese. In questo numero, tra le altre cose, parliamo dell’Expo che si terrà in Corea a partire dal 12 Maggio, e del gruppo di imprenditori italiani guidato da Piero Sassone, che saranno chiamati a fungere da “ambasciatori del buon gusto italiano” nel corso di questo evento di portata mondiale. Il Ristorante Puccini-Ospitalità Italiana, infatti, farà da faro nel padiglione Italia dell’Expo a Yeosu, e i prodotti e i produttori che saranno presenti nell’offerta ristorativa tricolore in Corea, sono stati selezionati anche con l’aiuto del nostro giornale, cui è stato chiesto di fare da “segnalatore” delle eccellenze nostrane. Una piccola conferma – evidentemente – del buon lavoro svolto finora dal “sistema VdG”, di cui, consentitecelo, possiamo andare fieri. Lo saremo ancora di più, tuttavia, quando chi ha responsabilità di governo mostrerà di aver recepito l’assunto che da tempo andiamo ripetendo come un mantra: solo il comparto turistico-enogastronomico può far ripartire l’agonizzante economia di questo Paese.
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sommario sommario maggio 2012
38 Expo Corea 2012
14 Dall’Italia e dal mondo 18 Occhio ai consumi
20 Fatti e contraffatti Il pomodoro, come non l’avete
mai letto
24 Appuntamenti
32 Cover story Dal Lussemburgo all’Iran, dalla Bielorussia a New York, a tavola trionfa sempre il buon gusto tricolore. Perché al di là del valore degli ingredienti, è la “cultura del bello” che il Bel Paese sa evocare, a conquistare tutti. È questo il segreto del successo planetario dell’Italian style enogastronomico
panorama
cibo&territorio
38 Missione Corea
62 Il Grana Padano
L’Italia “del gusto” sarà protagonista, con i suoi migliori prodotti anche all’Expo di Yeosu
42 La cucina italiana fa scuola
ICIF, l’istituto del Monferrato che insegna agli stranieri a cucinare italiano
Record su record per il formaggio Dop più consumato nel pianeta e unico nel suo genere
68 La pasta delle Marche
Tour nel “granaio d’Italia” per scoprire storie e personaggi del nostro prodotto più amato
44 Nazionale italiana cuochi
72 La mozzarella campana
Anche nelle competizioni ai fornelli, i nostri campioni mietono allori e consensi
La bufala Dop continua la sua crescita e diventa simbolo del made in Italy certificato
46 Il personaggio: Angelo Gaja
78 La scoperta, il Chiaretto di Cavaglià
82 Girogustando, il suino nero dei Nebrodi
Intervista esclusiva all’uomo che ha fatto grandi i vini piemontesi nel mondo
50 Contraffazioni alimentari Indagine sui prodotti “italian sounding” e sull’agropirateria di casa nostra
54 Imprese EAI: l’azienda che punta ad offrire al mercato il meglio del meglio dei prodotti nazionali
58 La storia in cucina, il prosciutto
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72 mozzarella di bufala
46 la famiglia Gaja
84 Il buono a tavola, la Campania 86 Scienza e vita, agnello e porcetto 90 Almanacco 92 Orto, le fragole 94 Chef italiani nel mondo
sommario sommario maggio 2012
104 Vercelli
116 le mani raccontano
98 Terme d’Italia 126 Le selezioni
inviaggio
piaceri
98 Terme d’Italia
114 I piaceri di Bacco
Da Merano ad Ischia, da Bormio a Sirmione, tutti gli indirizzi per tornare in forma con gusto
104 L’Italia in mostra: Vercelli Tour culturale e gastronomico nella città del risotto che ospita le collezioni Guggenheim
108 Città in 24 ore, Pisa 109 Città in 24 ore, Tunisi 110 L’arte dell’accoglienza
Il Brunello di Montalcino, vino rosso conquistatore dei popoli
116 Le mani raccontano
Nuccio Schepis, lo scultore e calcografo che “cura” i capolavori dell’arte
118 Benessere 120 Trendy 122 Shopping 124 Libri 125 Arte
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Via Maffucci, 52 20158 Milano Tel. 02 3761436
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contributors maggio 2012
ISA GRASSANO Lucana di nascita, bolognese d’adozione. Da piccola sognava di fare l’hostess o la giornalista. Quando s’è resa conto che non avrebbe superato l’1,60 di altezza, ha ripiegato sulla seconda opzione. Ma non ha rinunciato ai viaggi ed al turismo, di cui scrive con passione e competenza. Tra voli aerei e pagine da riempire, ha anche trovato il tempo per creare un divertente manuale sulle “101 cose da fare Gratis in Italia”.
RICCARDO LAGORIO
ROSANNA ERCOLE MELLONE
È nato a Brescia 44 anni fa, vive con la valigia sempre pronta, il blocnotes e la penna sempre in mano, ferri del mestiere di cronista vecchio stampo. Allievo prediletto di Luigi Veronelli, lo hanno definito “food scout”. Di scoperte del patrimonio gastronomico ne ha fatte davvero molte, migliaia. Tutte provate nei luoghi d’origine: la sua corporatura ne è testimone.
Con un DNA metà piemontese e metà toscano, non poteva non essere una buona forchetta, una discreta cuoca e un’appassionata di food. Per soddisfare la sua “fame”, oltre che cronista alimentare, è diventata docente di Comunicazione della Nutrizione e dell’Alimentazione all’Università S. Raffaele di Roma e “mamma” di Identità Immutate ®, movimento non profit per la tutela dei piccoli territori custodi di produzioni enogastronomiche della tradizione e di nicchia.
ROBERTO RABACHINO Piemontese, 54 anni, giornalista, scrittore, docente universitario e sommelier. Ha fatto del vino una ragione di vita e di lavoro: al punto che lo scorso anno a New York è stato eletto presidente dei degustatori di vino di 29 nazioni nel mondo. Presiede anche l’associazione italiana dei giornalisti dell’agroalimentare e, per non farsi mancare nulla, con il suo “Vocabolario del vino” ha vinto il Concorso Internazionale Libri da Gustare.
GIUSEPPE PULINA Sassarese dalla nascita 55 anni fa, insegna zootecnia speciale nell’università della sua città e, con i Sardi, condivide, oltre all’aria ed alla terra, soprattutto il mare. Che ama solcare in canoa, quando non é troppo occupato a studiare il perchè tutti ritengano le pecore poco intelligenti.
dall’Italia e dal mondo
di Francesco Condoluci redazione1@vdgmagazine.it
Il made in Italy parla sempre più straniero Stock Spirits Group lascia l’Italia. Il gruppo, controllato dal fondo americano Oaktree specializzato in ristrutturazioni, ha annunciato la chiusura della storica fabbrica di Trieste aperta nel 1884 e il trasferimento della produzione, dal prossimo mese di giugno, nello stabilimento in Repubblica Ceca. Stock Spirits Group è un marchio storico del made in Italy, produttore tra gli altri di Limoncè e vodka Keglevich, il cui nome resta indissolubilmente legato al suo brand più conosciuto: il liquore Stock ’84 che per anni – con l’inconfondibile jingle “Se la tua squadra
del cuore ha vinto brinda con Stock ‘84, se la squadra del cuore ha perso consolati con Stock ‘84” – ha accompagnato le domeniche degli italiani durante la trasmissione sportiva radiofonica Tutto il calcio di Radio Rai. La decisione, annunciata ai primi di aprile, di chiudere lo stabilimento italiano lasciando senza lavoro decine di dipendenti, è stata giustificata “da un contesto commerciale che risente della contrazione dei consumi e dalla necessità di restare competitivi, consolidando la produzione per ridurre i costi e aumentare l’efficienza”.
Il commento Era già finito in mani straniere nel ‘95, dopo oltre un secolo di storica produzione a Trieste. Un brandy, lo Stock ’84, così “italiano” da scegliere, non a caso, di legarsi allo sport preferito di casa nostra, il calcio, e alla trasmissione sportiva più seguita dai calciofili prima dell’avvento della pay-tv. Ma non solo: il gruppo Stocks Spirit Group è lo stesso che produce il Limoncè, il più famoso in commercio tra i limoncelli, altro liquore “molto italiano”. Tra un mese, in quest’azienda, quando la produzione si sposterà a Praga, di italiano rimarranno solo i ricordi. E questa dello Stock, è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che sta acquisendo dimensioni sempre più preoccupanti. Il made in Italy ormai parla sempre più straniero. I giganti dell’industria globale da anni infatti fanno shopping nell’agroalimentare tricolore. I primi marchi italiani storici a finire in mano straniera, conglobati dal voracissimo colosso svizzero Nestlè, tra gli anni ’80 e i ’90, sono stati Buitoni, Perugina, San Pellegrino, Antica Gelateria del Corso e Locatelli. Poi è toccato alla Invernizzi, venduta all’americana Kraft e in seguito ai francesi di Lactalis, quindi alla Birra Peroni, acquisita dall’azienda sudafricana SABMiller, alle Fattorie Scaldasole finite nel gruppo francese Andros e ai Gelati Algida fagocitati dalla multinazionale anglo-olandese Unilever. Tra il 2005 e il 2008, mentre Lactalis metteva le mani anche su Galbani, gli spagnoli del gruppo SOS facevano man bassa nel settore oleicolo, comprando uno dopo l’altro, i marchi Sasso, Carapelli, Minerva e Bertolli. Tra lo scorso anno e l’inizio del 2012, in appena 12 mesi, il made in Italy è riuscito quindi a perdere, nell’ordine, la storica casa di vini e spumanti Gancia (ceduta ai russi della vodka Russki Standard), la Parmalat (per mano della solita Lactalis) e infine la Antonino Russo-Pelati AR, il primo produttore italiano di pomodori pelati finito a gennaio nell’orbita della giapponese Mitsubishi Corporation. Un vero e proprio stillicidio di acquisizioni che, oltre ad aver reciso quei “legami con il territorio” che hanno fatto le fortune dei nostri brand enogastronomici, solo nel 2011 ha visto andare in fumo, per il Pil nazionale, un fatturato di 5 miliardi di euro. Il giornale britannico The Economist, di recente, con riferimento proprio alle ultime cessioni, ha titolato “I capitali esteri salveranno l’industria italiana”, sostenendo che gli investimenti stranieri in Italia possono ridare respiro a un’economia asfittica. Sono molti infatti a derubricare i cambiamenti di bandiera di alcuni dei prodottisimbolo dell’Italia e della dieta mediterranea, all’attuale debolezza economica del Bel Paese, alla paralisi del suo sistema creditizio, alla stagnazione politica e all’ingessamento del mondo del lavoro. Tesi condivisibile, ma fino a un certo punto. L’Italia agroalimentare, come abbiamo visto, è diventata terra di conquista da parte dei ricchi speculatori di mezzo mondo, da più di 20 anni. In tempi, cioè, in cui lo Stivale non si trovava nelle secche recessive dell’ultimo triennio. Forse, allora, è più verosimile pensare a una mancata tutela dei marchi nazionali da parte delle istituzioni. Per trovare un esempio illuminante di cosa si sarebbe potuto e dovuto fare, del resto, basta guardare nell’orto del vicino: quello dei francesi. Il cui proverbiale sciovinismo, ogni tanto magari andrebbe preso a modello. Invece di lasciare che si inizi con l’importare materie prime dall’estero e si finisca con la chiusura e la delocalizzazione degli stabilimenti italiani all’estero. Speriamo che Trieste insegni qualcosa.
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Crisi: nuovo aumento dei prezzi per pasta, riso e cereali da colazione Ennesima stangata per le tasche degli italiani. A breve il caro-cibi si farà sentire ulteriormente, portando a un aumento dei prezzi dei generi alimentari di prima necessità. In particolare, a subire il rincaro saranno pasta, riso e cereali da colazione, i cui costi saliranno del 5%. Un nuovo salasso che andrà a ripercuotersi sui consumatori, già provati dal +4% registrato rispetto all’anno scorso. Dietro l’aumento dei prodotti tra i più richiesti sulle tavole, quello dei prezzi alla produzione. Con punte del 9% (pomodoro) e dell’8% (carne, caffè e zucchero), e sostanziosi aumenti anche dei latticini (+4%) e delle uova (+5%). A pesare sul costo delle derrate alimentari è anche il deprezzamento dell’euro sul dollaro, oltre ai rincari delle materie prime energetiche e delle tariffe. Un quadro complesso, in cui i prezzi dei cibi seguono la stessa tendenza.
Più arancia nelle aranciate, presto una legge dello Stato Dopo aver rischiato di avallare il paradosso delle “aranciate senza arance” (lo scorso anno era stata quasi approvata la riduzione al minimo della presenza di succo d’arancia nelle confezioni di questa bevanda), la Camera dei Deputati ha invertito la rotta. La Commissione Agricoltura ha dato infatti il via libera a una proposta di legge che impone ai produttori di confezionare aranciate con almeno il 20% di succo. Al di sotto di tale soglia percentuale, in sostanza, le aranciate non potranno più essere definite tali. L’iniziativa è stata voluta dal deputato Nicodemo Oliverio secondo il quale, grazie a questo intervento che innalza la percentuale di succo di frutta presente nelle bevande analcoliche a base di frutta (diverse dai succhi di frutta), «si produrranno ricadute positive nella tutela della salute dei consumatori, di innalzamento della qualità delle bibite prodotte e di vantaggi economici per i produttori di frutta». L’obiettivo è anche quello di assicurare ai consumatori un’informazione corretta nelle etichette. Ora, perché la proposta diventi norma, serve l’approvazione definitiva della Camera.
Usa: classificati i prodotti ad alto rischio contraffazione Olio d’oliva, latte, miele, zafferano, succo d’arancia, caffè e succo di mela: sono questi gli alimenti più suscettibili di adulterazione secondo una classificazione stilata dalla Us Pharmacopeial Convention (USP), un’organizzazione statunitense no profit tra le cui finalità c’è l’impegno a sviluppare metodi analitici standardizzati per assicurare il massimo di identità, qualità e purezza agli ingredienti e ai supplementi alimentari. A riportare la classifica, redatta da Jeffrey Moore, della Michigan State University, in base ai dati contenuti in oltre 1.300 segnalazioni di frodi (1.000 provenienti da esperti e 250 dai media e 50 da altre fonti), è stato il Journal of Food Science.
Africa: emergenza fame nel Sahel, 300mila i bambini a rischio Quasi 12 milioni di persone stanno affrontando, in Africa, una gravissima crisi alimentare, a seguito di piogge irregolari che hanno depauperato i raccolti e inasprito la siccità. Ancora una volta a essere colpita è la regione cosidetta del “Sahel”, ovvero la fascia di territorio desertico che si estende dall’Oceano Atlantico fino al Corno d’Africa, passando per gli stati dell’Africa Centro Settentrionale quali: Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, Senegal, Sudan ed Eritrea. Per gli abitanti del Sahel, rimasti a corto di acqua e di cibo, si tratta della quarta crisi alimentare dal 2005 ad oggi, e a nulla sono valsi finora gli appelli di Onu, Fao e dell’associazione internazionale Oxfam per scongiurare la catastrofe umanitaria ed evitare le paventate 300 mila morti infantili causate da fame e malnutrizione. L’Ue ad oggi ha stanziato 280 milioni di euro e altri 120 milioni di dollari sono in arrivo dagli Usa, ma per tamponare l’emergenza, secondo le stime delle Nazioni Unite, ci vorrebbero 724 milioni di dollari e, soprattutto, l’aiuto dei singoli paesi europei.
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Menù a base di astici & Prosecco Doc: in arrivo i ristoranti tematici Astici & prosecco: un accostamento suggestivo e di classe che presto sarà suggellato da una proposta gastronomica ad hoc. È quella dell’Obsteria, un progetto ristorativo che prevede l’apertura a Cesenatico, all’inizio dell’estate, di un particolarissimo locale, la cui linea di cucina è basata sugli astici, presentati in tutte le salse, da quella più “casual” e giovanile di un panino al sapore di mare alla cenetta più raffinata per coppiette e business men. Dopo questo primo esperimento è prevista una successiva diffusione del format tramite franchising. L’idea è nata dalla fantasia e dall’esperienza, maturata in tutto il mondo, dello chef Ignazio Mondin e dalla capacità organizzativa, specificatamente americana, della moglie Dina. La loro proposta si è quindi sposata al Prosecco Doc, che sarà presentato nel ristorante come abbinamento raccomandato, con un’apposita Carta dei Prosecchi. Il gustoso connubio ristorativo tra gli astici e il prosecco è stato annunciato al Vinitaly 2012, con la benedizione dello stesso Consorzio del Prosecco Doc.
Pago passa al biologico e lancia sul mercato i nuovi succhi Bio Pago ha presentato la sua nuova linea Bio di succhi ottenuti esclusivamente da frutta proveniente da coltivazioni biologiche. L’ingresso di Pago nel biologico rappresenta la risposta al continuo apprezzamento da parte dei consumatori, in Italia e nel resto d’Europa, dei prodotti da agricoltura biologica. Con il lancio dei nuovi succhi Bio, Pago intende offrire ai consumatori più attenti al naturale e sensibili alla provenienza del prodotto una perfetta combinazione di massima qualità e di gusto. A riprova di un approccio al biologico senza compromessi, sulle etichette dei succhi Bio Pago campeggia il marchio europeo di produzione biologica (il cosiddetto Euro-leaf), che viene concesso alle aziende che osservano alla lettera i più elevati standard di legge sulla produzione di cibi e bevande da agricoltura biologica. La nuova linea è presente nei negozi specializzati Bio e nei reparti food delle erboristerie con i gusti Pago Bio Mela Pressata 100% e Pago Bio Arancia 100%, due succhi “classici”, per i quali sono stati utilizzate 10 diverse varietà di mela coltivate con metodo biologico, per il primo, e arance della varietà Valencia provenienti da coltivazione biologica per il secondo.
Ichnusa Cruda: una birra vera e intensa per festeggiare il centenario dell’azienda Simbolo di amicizia e socializzazione, Ichnusa condivide i festeggiamenti per il suo centesimo compleanno con tutti i suoi appassionati consumatori regalando loro una nuova sorpresa. Jennas, la birra non pastorizzata dal sapore vero e intenso, si presenta al pubblico con una immagine completamente rivisitata e un nuovo naming di grande impatto: Ichnusa Cruda. Dalla qualità dei mastri birrai sardi nasce quindi una birra dal sapore intenso che conserva immutati tutti gli aromi della birra appena spillata grazie al processo di microfiltrazione. Ichnusa Cruda è infatti fresca e naturale come se fosse appena spillata, nonostante garantisca un periodo di consumo che raggiunge i 9 mesi. Il nuovo look enfatizza la qualità e l’origine del prodotto, sottolineando il legame con Ichnusa e dunque con la Sardegna, mentre la bottiglia, caratterizzata da una linea slanciata e un profilo distintivo, è proposta per la prima volta anche nel formato da 33 cl.
Nuovi liquori al sapore di grappa, uva e liquirizia per Mazzetti d’Altavilla Per un piacere ghiacciato, adatto alla stagione estiva, Mazzetti d’Altavilla ha creato liquori a base di Grappa piemontese, adatti a un consumo responsabile e, allo stesso tempo, giovane e di tendenza. Dall’incontro fra la Grappa invecchiata e le radici di liquirizia nasce quindi Black Rizia, un liquore a bassa gradazione alcolica dal gusto persistente e irresistibile. I “distillatori dal 1846” hanno inoltre ideato Cafeina, liquore a base di Grappa invecchiata dal gusto intenso grazie all’uso di veri chicchi di caffè. In Essentia Vitae, altro prodotto estivo di Mazzetti d’Altavilla, le uve di Moscato, Malvasia e Ruchè hanno invece ispirato la declinazione di altrettanti spiriti dai profumi delicati ma persistenti; tre i prodotti legati alle rispettive fragranze di gelsomino, rosa canina e viola. Tutte le proposte dell’azienda si potranno degustare in cima alla collina di Altavilla Monferrato, presso la sede della grapperia, domenica 27 maggio (dalle 10 alle 18) nell’ambito di Cantine Aperte quando si terranno visite, assaggi e abbinamenti gastronomici con ingresso e consumazioni gratuiti.
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di Marco Bacchetta e Danila Reposi
occhio ai consumi
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Per un’abitare sostenibile Recuperare, ripopolare e rivalutare le zone rurali dismesse per vivere meglio
Dopo anni di studio e simulazioni, un gruppo di esperti agrari, economisti e tecnici ha messo a punto un piano che prevede il recupero delle zone rurali dismesse. Lo studio ha tenuto conto sia dell’attuale situazione economica generale sia della fattibilità sia delle conquiste tecnologiche. Il piano al contempo si prefigge di: • Creare nuovi posti di lavoro. • Recuperare zone rurali dismesse, creando nuove abitazioni in classe energetica d’eccellenza e perfettamente inserite nel paesaggio. • Produrre sul territorio cibi biologici che vengano immessi in commercio e consumati a Km Zero. • Produrre in loco tutta l’energia necessaria. • Trasformare gli eventuali immobili rurali obsoleti esistenti in rete museale dell’arte contadina italiana, utilizzando gli eventuali crediti edilizi peri nuovi immobili. 18
Il piano parte dalla considerazione che interi comparti produttivi agricoli, soprattutto appenninici, sono attualmente abbandonati data la scarsa convenienza economica della coltivazione tradizionale. Di frequente anche gli immobili rurali risultano abbandonati, e cadono in rovina data la mancanza di manutenzione. Anche la possibilità di vendita dei poderi diventa un’operazione ardua. Al contempo, in Italia scarseggia il lavoro e di frequente i disoccupati perdono anche la casa. Tutto ciò mentre si importano, con conseguente inquinamento legato al trasporto, prodotti agricoli dai paesi stranieri. Il progetto, assai articolato, prevede nel punto principale la dismissione degli immobili obsoleti, antieconomici nella gestione, mantenendoli quali testimonianza di epoche rurali passate o, in alternativa, adibendoli ad agriturismo. Al contempo, prevede di utilizzare i relativi crediti edilizi derivanti dalle dismissioni immobiliari per la costruzione di residenze e immobili di servizio, di bassissimo costo di realizzazione (circa un ottavo dell’usuale) grazie alla totale predisposizione progettuale e costruttiva e all’utilizzo di tecnologie e materiali innovativi. Tutti gli immobili sono inoltre dotati di impianti fotovoltaici e geotermici per la loro indipendenza energetica. Serre fotovoltaiche completano le coltivazioni intensive. Si precisa che sono previste numerosissime e differenti soluzioni, legate alle varianti peculiari della specifica iniziativa, alle caratteristiche di territorio e alle produzioni intensive previste, tutte con relativo piano economico completo sia relativo alla fattibilità sia di esercizio. La messa a reddito, in particolare, può avvenire sia con intervento diretto sia attraverso l’utilizzo di gruppi di lavoro, quali cooperative agricole a proprietà divisa o consorzi, che consentono l’inserimento lavorativo di disoccupati cui viene assegnata l’abitazione e una specifica zona produttiva. Il coordinamento della cooperativa, mediante la vendita dei prodotti, garantisce lo stipendio ai cooperatori e la rendita alla proprietà. È inoltre prevista una parte del raccolto per l’autoconsumo, nonché possibili spacci aziendali. Tutte le fasi previste dalle procedure sopra elencate sono incentivate dalle attuali norme nonché finanziabili a tassi agevolati, tutte ben individuate nelle procedure d’esecuzione e relative tempistiche. A breve il via alla prima iniziativa. Per tutti coloro che desiderino maggiori informazioni rivolgersi alla casella centroservizi@civiciconsumatori.it.
Messo a punto un piano che prevede il recupero delle immobili obsoleti e la creazione di nuovi abitati a impatto zero
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fatti e contraffatti
Il pomodoro
come non l’avete mai letto Risalendo a ritroso fino alle sue origini atzeche, approfondiamo la conoscenza dell’alimento partner per vocazione della pasta simbolo dell’italian food. Quel frutto rosso e tipicamente estivo, venuto da lontano, che utilizziamo in mille modi, ma della cui etichetta sappiamo forse troppo poco
di Marishel Fecchi
Lo sapevate che il pomodoro appartiene alla stessa famiglia delle patate e delle melanzane, e che tutti questi prodotti sono stati introdotti in Europa con la scoperta dell’America? Il pomodoro è originario del Centro America dove, grazie alle temperature favorevoli, dà frutti tutto l’anno. In Europa però la sua funzione, alle origini, fu prettamente ornamentale, i suoi frutti infatti erano ritenuti velenosi a causa dell’alto contenuto di solanina (la stessa sostanza contenuta nelle parti verdi della patata). Per la forma a cuore, e per il colore rosso, venne poi usata nel ‘500 e nel ‘600 come componente importante dei filtri d’amore (gli inglesi lo chiamavano love apple, i francesi pomme d’amour, i tedeschi libes apfel). Quando si è smesso di credere alle pozioni magiche, questi appellativi sono stati sostituiti da tomate che deriva dall’atzeco tomatl. È stato fatto però un errore: il tomatl è una pianta più piccola, con frutti giallo-verdi, utilizzata anche oggi nella cucina del Centro-Sudamerica e che noi chiamiamo tomatillo; per gli atzechi, il nome del nostro pomodoro era xtolatl, cioè grande tomatl. In Italia invece, il nome di questo ortaggio, uno dei più conosciuti al mondo, è sempre stato “pomodoro”. La sua importanza simbolica era così riconosciuta che nel 1640 la nobiltà italiana ne regalò quattro piante al cardinale Rischelieu in segno di riconoscenza, e i nobili del tempo erano soliti regalare piantine di pomodoro alle dame del cuore. Insomma, piantine di pomodoro al posto di rose rosse! Tipologie e zone di produzione Oggi è inimmaginabile la nostra tavola senza il pomodoro: i ciliegini con gli aperitivi, i San Marzano per sughi e brodetti, poi quelli per insalate, fino ai pomodori utilizzati come frutta. È chiaro che, essendo l’utilizzo così diffuso, altrettanto ampia deve essere la produzione. Con il tempo, nuove tipologie, dovute a un’accurata scelta genetica, sono apparse sul mercato per i diversi utilizzi. In Italia ne sono stati catalogati 300 tipi, 1700 in tutto il mondo: dai pomodori bianchi come il White Queen, a quelli gialli come il Douche de Picardie, a quelli rosa come il Thal Pink. E ancora: arancioni come il Moonglow, verdi anche a maturazione come il Green Zebra, violacei come il Nero di Crimea. I più conosciuti, in Italia, sono: • Cuore di bue: 200-500 gr, pochi semi, buccia sottile polpa rosso-rosata, dolcissimo. A causa delle sue dimensioni e alla cura richiesta al momento della raccolta, non si presta a grandi coltivazioni ma a piccole produzioni di qualità. • Verde insalataro: colore tra il verde e il rosso, frutti tondi leggermente costoluti, pochi semi, ottimo sapore, buono impanato e fritto.
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Un po’ di storia
• Perino: il nome deriva dalla forma allungata. Rosso, con molta polpa, tipico da sugo. Fa parte di questo gruppo il famoso San Marzano (Dop). • Camone Sardo: molto rustico e adattabile, rosso-arancio con la parte superiore verde scuro è presente solo nel periodo invernale. • Pomodoro del Vesuvio o Piennolo (Dop): una delle qualità più antiche. Il nome deriva dalla pratica di conservazione che avviene legando alcuni grappoli fra loro per formarne un più grande che viene poi sospeso in locali ben areati assicurandone la conservazione per tutto l’inverno. La coltivazione nei pressi del mare, su un terreno vulcanico, con sole a profusione, fa di questo pomodoro un prodotto davvero particolare dal sapore caratteristico e inconfondibile. Nota: mai visto nei supermercati! • A grappolo liscio: tondo, adatto alle coltivazioni in serra. • Ciliegino: come quello a grappolo ma più piccolo. • Datterino: cigliegino di forma allungata. Ho lasciato queste tre tipologie per ultime, nonostante abbiano un’importanza considerevole dal punto di vista commerciale, perché sono le specie che meglio si adattano alla coltivazione in serra e a questo gruppo appartengono i pomodori di importazione. Coltivazione in serra, specialmente per prodotti di importazione
Il pomodoro si diffonde in Europa attraverso la Spagna a seguito dei Conquistadores, con il dominio spagnolo entra in Italia e la sua coltivazione si sviluppa subito nell’area tra Napoli e Salerno. La prima documentazione storica sulla commestibilità dei pomodori risale alla fine del XVII secolo e questo sia nel sud dell’Italia che in Francia ma con una sostanziale differenza: in Italia il pomodoro è presente sulla mensa di tutti, in Francia solo su quella dei re. Vien da dire “egalitè al pomodoro”. L’utilizzo del pomodoro come condimento è invece relativamente recente. Goethe nei suoi viaggi in Italia non lo nomina. Nel 1835, Alexandre Dumas (l’autore de I Tre Moschettieri) descrive vari tipi di pizza quasi tutte ancora in bianco, quella con il pomodoro è una variante minore. Allora si mangiava “bianco” (non “in bianco” nel senso odierno), simbolo di purezza. Si aggiungevano poi cannella, miele e altre spezie per dare sapore o per coprire i difetti. Il primo documento in cui si parla di pasta al pomodoro risale al 1839. Don Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, nella sua Cucina Tecnica Pratica, ci parla di quello che diventerà il simbolo del mangiare italiano, ovvero la “pasta col pomodoro”, codificando quanto molto probabilmente era già di uso comune…ma sulla mensa dei poveri, che sono analfabeti!
Per la forma a cuore, e per il colore rosso, il pomodoro venne usato nel ’500 e nel ’600 come componente dei filtri d’amore
Preferite sempre pomodori coltivati secondo tempi e modi naturali. Con i prodotti di serra infatti il sugo rimarrà sempre acido, perché manca la quantità zuccherina necessaria che si sviluppa nel frutto solo attraverso la fotosintesi che avviene in proporzione all’intensità della luce
dai Paesi Bassi, vuol dire piante non coltivate in terreno ma su supporti artificiali, alimentate con acque arricchite artificialmente in ambienti riscaldati ma mai baciati dal sole, raccolti non maturi perché matureranno durante il viaggio. Sono quelli a disposizione tutto l’anno: belle palline rosse inodori e insapori. Il pomodoro, a parte il Camone, è una pianta estiva. Prima che l’uomo avesse la presunzione di sostituirsi alla natura era disponibile solo per un paio di mesi all’anno e per questo si è imparato a conservarlo, ma partendo da un prodotto coltivato in maniera naturale. Con un prodotto di serra non si riesce a fare un sugo, rimarrà sempre acido, manca la quantità zuccherina necessaria che si sviluppa nel frutto solo attraverso la fotosintesi che avviene in proporzione all’intensità della luce. Non è questo però l’unico motivo per cui si dovrebbero evitare i prodotti che provengono da coltivazioni in serra: pensate allo spreco di acqua e alle emissioni di N2 dovute alla combustione di gas per il riscaldamento. Avete capito: il mio è un invito a mangiare prodotti di stagione, per il bene di tutti oltre che per il piacere del palato! Anche il Lycopene lo sa (vedi box) e infatti si sviluppa solo a irradiazione solare diretta e a una temperatura tra i 12 e i 32°C, davvero difficili da raggiungere nel Nord Europa. La conservazione: nata in tempi di guerra A parte i sistemi a uso famiglia, e possibili solo in determinate aree, come per il piennolo o per
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fatti e contraffatti
Lycopene: cos’è e a cosa serve Il lycopene è un carotinoide. I carotinoidi sono coloranti naturali presenti in molti vegetali, mai negli animali, con funzione antiossidante, di cui si conoscono molte centinaia di varianti. Il lycopene è presente nelle carote, nelle angurie, nella papaia, negli asparagi, nel pompelmo rosa, e non è presente nelle ciliege, nelle fragole, nelle arance rosse, dove sono presenti altri carotinoidi, ma non questo. Il pomodoro presenta il maggior contenuto di lycopene tra la frutta e la verdura presenti da noi. Anni di studi hanno messo in evidenza una correlazione tra il consumo di pomodori e la comparsa di tumori. Il mondo scientifico è d’accordo sulla funzione preventiva di questa sostanza, in modo particolare per la prevenzione del tumore alla prostata, delle malattie cardio-vascolari, dell’osteoporosi, del diabete, dell’infertilità maschile e di molte altre forme patologiche. Il lycopene non è idrosolubile, si scioglie solo alla presenza di solventi organici e olio. È il motivo per cui se si mette del sugo con olio e pomodoro in un contenitore di plastica (cosa caldamente sconsigliata), questo si colora, mentre nel vetro non succede: quindi, perché venga assimilato va necessariamente unito all’olio. Mentre alcune vitamine, come per esempio la vitamina C, sono termosensibili, cioè sono distrutte dal calore, il lycopene non solo è insensibile, ma cuocendo il pomodoro l’acqua evapora e questo si concentra. Il lycopene è davvero formidabile, è 100 volte più potente della vitamina E e ha una funzione fondamentale contro l’invecchiamento della pelle dovuta agli ultravioletti (che, guarda caso, sono massimi da noi in estate quando maturano i pomodori, mentre nel centro America, poiché vicini all’equatore, gli ultravioletti sono costanti e i pomodori portano il frutto tutto l’anno). Grazie natura!
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i pomodori seccati al sole, in Italia si è sviluppata una vera industria per la conservazione di questo prodotto. Il tutto è iniziato sotto Napoleone che, facendo guerre a grandi distanze da casa, aveva bisogno di sistemi per evitare il deterioramento del cibo per i suoi soldati. Il cuoco Nicolas Appert (1749-1841) ha vinto il premio messo in palio per aver messo a punto il sistema di sterilizzazione in vaso (quello che utilizziamo ancora noi per le passate e per le marmellate). Quasi contemporaneamente, sempre per la stessa necessità di conservazione di alimenti, sono stati messi a punto in Inghilterra i recipienti a banda stagnata (le nostre scatolette). In Italia, verso la metà dell’800, sia nella provincia di Parma che in quella di Piacenza si producevano pani di polpa essiccata al sole, l’odierno concentrato. Nel 1867 il torinese Francesco Cirio viene premiato all’Expo di Parigi per aver messo a punto “una delle più utili invenzioni moderne”. Lo stesso signor Cirio che creerà nel 1875 a Napoli la prima industria conserviera del pomodoro. In Italia si svilupperanno quindi due poli industriali: quello del concentrato al Nord, quello dei pelati e delle passate al Sud. Consigli su come leggere l’etichetta e orientarsi nell’acquisto Di seguito, l’elenco degli ingredienti che devono essere citati in ordine decrescente sulle etichette. Prima di tutto non deve essere citata l’acqua: se viene menzionata, vuol dire che la sua presenza supera il 5% e può voler dire che il secco è ricavato da concentrato con aggiunta di acqua. Se è presente la dicitura generica “aromi” vuol dire che sono aromi di sintesi, altrimenti sarebbe scritto “aromi naturali”. Con E da 100 a 199 vengono indicati i coloranti: in prodotti derivati dal pomodoro, se il prodotto di base è raccolto al giusto punto di maturazione, non sono necessari. Nel 2010, i prodotti a base di pomodoro provenienti dalla Cina arrivati in Italia sono aumentati del 130%, parliamo di 153.358 tonnellate per un valore di 189,5 milioni di euro. Oltre a ciò, ci sono ancora 108.509 tonnellate pari a 66 milioni di euro in TPA (traffico di perfezionamento attivo) cioè prodotto in via di lavorazione. Sono quantitativi importanti che danno da pensare, ma, purtroppo, solo con analisi di laboratorio si riesce a scoprire se ci sono contraffazioni, e queste ci sono a prescindere dal luogo di produzione. Infine, per voi, qualche regola d’oro che vi guiderà negli acquisti. Scegliete se possibile un prodotto Dop. Controllate che ci siano meno ingredienti possibili (pomodoro e succo). Controllate, infine, peso e peso sgocciolato (su una scatola da 400 gr, il peso dello sgocciolato è circa 250-260 gr).
In alto, gli ottimi pomodorini secchi, tipici di buona parte del sud Italia
Qualche definizione • Pelati: pomodori allungati privi di buccia con succo. • Passata: succo parzialmente concentrato con un residuo secco compreso tra il 7% e il 12%. • Polpa: pomodori pelati e cubettati in diretta in quanto lavorati appena raccolti. • Triturati: polpa priva di buccia e semi triturati con succo ristretto. • Succo: polpa e succo al naturale o con aromi per bevande. • Concentrato: succo concentrato con residuo secco al netto di sale aggiunto. Ne abbiamo diversi tipi a seconda della concentrazione, e cioè 12% semi-concentrato, 18% concentrato, 28% doppio concentrato, 36% triplo concentrato. • Disidratato: succo disidratato ridotto in polvere o in fiocchi utilizzato dall’industria (sughi pronti, aggiunte a minestroni, a formaggi etc.). • Ketchup: concentrato con aggiunta di aceto e zucchero.
di Gilda Ciaruffoli
appuntamenti
maggio
1 Martedì 2 Mercoledì 3 Giovedì 4 Venerdì 5 Sabato 6 Domenica
Toscana Non il solito brindisi
Oltre 80 cantine, dalle Alpi Apuane all’Argentario, si ritrovano per l’XI edizione di Anteprima Vini della Costa Toscana, evento che celebra “l’altra Toscana” del vino con una due giorni di degustazioni, incontri, showcooking, banchi d’assaggio, campioni in anteprima ed eventi speciali. Fra le novità, una mostra-mercato con tipicità gastronomiche del territorio, un punto vendita e il gemellaggio internazionale con i vini delle Bulgaria. Foto: Matilde Pardini. 5-6 maggio, Lucca Info: www.anteprimavini.com
Emilia-Romagna Più tipico di così…!
Lazio Nuovo spazio alla birra
Il comune di Brisighella può vantare numerosi prodotti tipici, come il piccolo Carciofo Moretto che potrebbe essere definito più “autoctono dell’autoctono”. Infatti quello vero si trova solamente nel comune di Brisighella e, ancor più con precisione, soprattutto nei tipici calanchi gessosi con una buona esposizione al sole. Per celebrare questo prodotto, prende vita la Sagra del Carciofo Moretto durante la quale gustare le molte e gustose ricette che con questa eccellenza del territorio si possono realizzare Foto: Fabio Liverani. 6 e 13 maggio, Brisighella Info: www.brisighella.org
Sardegna Buon compleanno Costa Smeralda La Costa Smeralda brinda ai suoi primi 50 anni con le stelle del vino italiano protagoniste del Porto Cervo Wine Festival. Occasione di incontro tra 60 produttori, in rappresentanza dei principali territori enologici italiani, la kermesse è il primo dei tanti appuntamenti che gli hotel Cala di Volpe, Cervo, Pitrizza e Romazzino propongono per celebrare l’anniversario della destinazione fondata dal Principe Karim Aga Khan nel 1962. A fare da cornice alle degustazioni, che saranno ospitate dalle ore 15 alle 19 all’interno del Cervo Conference Center, diversi momenti di incontro e proposte golose. 4-6 maggio, Costa Smeralda (Ss) - Info: www.portocervowinefestival.com
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Tutto è pronto per la quarta edizione dell’Italia Beer Festival, manifestazione itinerante dedicata alla promozione della birra artigianale. L’edizione 2012 è la prima a essere accolta presso gli avveniristici locali dell’Atlantico, la moderna struttura polivalente basata sul mix di estetica, funzionalità e design che ospiterà il Festival per i prossimi cinque anni. Protagonisti come sempre i migliori microbirrifici che, grazie ai tanti banchi d’assaggio, possono presentare il loro prodotto e iniziare i meno esperti ai segreti della lavorazione artigianale. 4-6 maggio, Roma Info: www.degustatoribirra.it
appuntamenti
maggio Piemonte E il gusto fiorisce
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Torna Riso e Rose in Monferrato, tre fine settimana ricchi di appuntamenti dove il riso la fa da padrone e le rose incoronano i borghi collinari, dalla piana del Po fino alla Lomellina. Percorsi naturalistici, arte, artigianato, cultura, intrattenimento alla scoperta di giardini, ville, castelli ricchi di storia e profumi. Si riconferma la formula ormai collaudata negli anni con successo: un unico contenitore per circa una trentina di eventi che seguendo il segno del riso e delle rose conducono i turisti di borgo in borgo alla scoperta di castelli e colline in fiore, dove durante le soste non mancano mai i mercatini di sapori legati al riso, alle rose e al vino di qualità. 12-27 maggio, località varie – Piemonte Info: www.risoerose.blogspot.it
Lombardia La musicaarriva in città Si preannuncia come uno degli appuntamenti culturali più attesi di questa primavera la straordinaria tre giorni/evento Piano City Milano con i suoi oltre 100 concerti di pianoforte diffusi in tutta la città. Ad alternarsi sulla scena house concerts ospitati in abitazioni private (aperte al pubblico), esibizioni in piazze, teatri e giardini della città ed eventi speciali con grandi nomi della musica, concertisti professionisti, studenti, semplici amatori e alcuni fra i più noti pianisti italiani e internazionali, per una manifestazione capace di offrire nell’arco di un intero weekend, un modo non convenzionale di vivere e ascoltare la musica, di riscoprire la città e di condividere la cultura. Foto: Laura Weber. 11-13 maggio, Milano - Info: www.pianocitymilano.it
Campania Un week end filante Il tradizionale appuntamento annuale che Paestum dedica alla valorizzazione delle eccellenze enogastronomiche, Le Strade della Mozzarella,quest’anno si apre a tutti gli ingredienti della Dieta Mediterranea, invitando gli ospiti a scoprirne i prodotti di qualità per le strade dell’Area Archeologica di Paestum e del centro storico di Agropoli. Al ricco programma di degustazioni e laboratori dedicati al formaggio a pasta filata più famoso al mondo, si affianca un ventaglio di itinerari e visite guidate a cantine vitivinicole, a caseifici e allevamenti bufalini. Foto: Morena Fortino. 7 al 9 maggio, Paestum e Agropoli (Sa) Info: www.lestradedellamozzarella.com
Emilia-Romagna Ritorno al Posto delle fragole
La Sagra della fragola, evento ormai consolidato nel panorama nazionale, si svolge nella cittadina di Lagostanto che si trasforma per l’occasione nella capitale italiana della produzione del dolce frutto rosso. La gustosa kermesse gastronomica offre al pubblico degustazioni, percorsi gastronomici tematici, il mercato di prodotti tipici e diverse proposte di ristorazione con piatti, ovviamente, a base di fragola. Da non perdere l’evento Fragola nel piatto, disfida ai fornelli tra giovani cuochi durante la quale vengono preparati piatti a base di fragola in seguito giudicati da cittadini e addetti ai lavori. 12-13 e 19-20 maggio, Lagosanto (Fe) Info: www.prolocolagosanto.fe.it
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maggio Toscana Assaggi paradisiaci
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Divino Tuscany è una manifestazione riservata ai nomi più blasonati della grande enologia toscana e ai loro vini icone riuniti in un contesto di straordinario appeal, all’interno di spazi di nobile eleganza e antico splendore. Nel corso di quattro giorni, seminari, degustazioni guidate, grand tasting, galà e cene più intime vedono protagonisti le bottiglie più prestigiose di oltre 50 aziende vitivinicole al top. Quartier generale della kermesse quest’anno la splendida location del Grand Hotel Villa Cora sulle colline proprio sopra il Giardino di Boboli. 17-20 maggio, Firenze Info: www.divinotuscany.com
Lombardia Metti un giorno in cascina Torna l’ormai tradizionale giornata di festa dell’agricoltura lombarda, per conoscere i prodotti, i luoghi, la cultura e i protagonisti delle campagne della regione. Per Corti e Cascine è una manifestazione che propone una giornata di animazione, nelle campagne di tutta la regione, coinvolgendo più di 100 aziende agricole e agrituristiche. Durante la giornata, gli agricoltori offrono al pubblico la possibilità di visitare gli allevamenti e le coltivazioni, di conoscere da vicino i processi di trasformazione e di capire come si faccia agricoltura oggi, sapiente mix di modernità e tradizione. I visitatori possono partecipare alle degustazioni e acquistare i prodotti freschi o trasformati, tradizionali e biologici. 20 maggio, località varie Info: www.turismoverdelombardia.it
Umbria Street food all’italiana
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Torna con la sua IV edizione PorchetTiamo, il festival delle porchette d’Italia. Questo straordinario cibo di strada, vero e proprio cult della tradizione gastronomica italiana, è protagonista per tre giorni attraverso degustazioni, abbinamenti, esposizioni e visite al territorio. Obiettivo di PorchetTiamo è quello di far conoscere soprattutto le porchette del Centro Italia (l’evento, infatti, coinvolge le principali regioni produttrici: Abruzzo, Lazio, Toscana, Marche e Umbria) e di valorizzare e far vivere il centro storico del piccolo borgo umbro e l’intero territorio. 18-20 maggio, San Terenziano Gualdo Cattaneo (Pg) Info: www.porchettiamo.com
Veneto Bollicine, sushi e caviale
Vino in Villa, Festival Internazionale del Prosecco Superiore, fa sposare le bollicine più amate d’Italia con tradizioni, culture e sapori diversi. Durante le giornate di festa, i visitatori possono infatti degustare la cucina giapponese rappresentata da sushi e sashimi e quella russa, con salmone affumicato, caviale rosso di salmone e pirozhki di carne: sapori insoliti che il pubblico ha qui l’occasione unica di abbinare a oltre 300 etichette di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore. 19-21 maggio, Castello San Salvatore Susegana (TV) Info: www.prosecco.it
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Toscana Il gusto dell’estate
Il Firenze Gelato Festival è un evento unico a livello nazionale capace di richiamare il grande pubblico amante della qualità del dolce ghiacciato e dedicato al made in Italy d’eccellenza, specchio della più alta cultura gastronomica capace di mettere insieme qualità degli ingredienti, ricercatezza e innovazione per realizzare il migliore gelato italiano di qualità. L’evento promette di stupire con nuovi gusti, inediti gelato-cocktail, e percorsi gastronomici che abbinano il gelato e a piatti preparati dagli chef più quotati. Ai visitatori il compito di eleggere il miglior gusto, proclamare il gelatiere dell’estate 2012 e vincere bellissimi premi. 23-27 maggio, Firenze - Info: www.firenzegelatofestival.it
Trentino-Alto Adige Pasteggiando lungo il fiume In occasione della Passeggiata dei Sapori, sul lungofiume del Passirio, per cinque giorni vengono allestite oltre trenta casette che offrono tutti i sapori non solo dei prodotti locali ma anche del resto d’Italia. Tutti i prodotti offerti sono selezionati da un gruppo di esperti per garantire, oltre al gusto genuino, anche il rispetto dell’ambiente e l’equità della loro distribuzione e commercializzazione. Le aziende produttrici presenti, infatti, sono realtà di piccole dimensioni e operano secondo sistemi non industriali. 24-28 maggio, Merano (Bz) Info: www.meranerland.com
Lazio Antichi sapori ritrovati La Tiella e l’Oliva di Gaeta è la manifestazione che rende possibile degustare le diverse tipologie di tielle e conoscere il segreto della preparazione di questa antica pietanza direttamente dalle massaie locali. La storia della tiella di Gaeta, sorta di pizza ripiena di verdure o pesce, si lega infatti indissolubilmente alla storia della città: basti pensare che il primo documento ufficiale nel quale è riportato il suo nome è contenuto nel Codex Diplomaticus Caietanus del 997! Inoltre per l’occasione è possibile assaporare la famosa oliva di Gaeta, conosciuta già dai tempi di Enea. 25-26 maggio, Gaeta Info: www.gaetavola.org
Sicilia Per leggere la città
A Ragusa la ricchezza storica, architettonica e culturale si sposa con quella del panorama editoriale italiano in occasione di A Tutto Volume: quattro giorni di incontri e di confronti per un festival che si propone di mettere insieme le voci che, nel corso dell’anno, si stanno distinguendo nella scena letteraria italiana. Gli eventi si svolgono tra Ragusa Superiore, il cuore moderno della città, e Ibla, il suo incredibile angolo Barocco. Il festival, inoltre, è un’occasione per scoprire la variegata offerta enogastronomica ragusana, che spazia dalle melanzane al tonno, dagli arancini alla cioccolata, passando per cannella e carruba. Foto: M. Riccardi. 24-27 maggio, Ragusa Info: www.atuttovolume.org
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appuntamenti in breve 5 11
1 Le Virtù L’antico piatto propiziatorio con 50 ingredienti di stagione si assaggia soltanto a Teramo e solo il primo del mese di maggio. Alla preparazione partecipano le famiglie e i ristoranti, in una celebrazione che coinvolge tutta la città. Info: www.comune.teramo.it 1 maggio, Teramo – Abruzzo
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2 Kaminezit e Majit
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Una festa tipica della cultura Arbëresh che fa ballare e cantare tutta la comunità, con dei grandi falò che illuminano le strade del centro storico. Info: 098173012 1-3 maggio, Civita (Cs) – Calabria
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13 5 Innalzamento della Maja
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Rito ancestrale accompagnato da musiche popolari e degustazione della porchetta con patate e polenta. Info: www.coccau.it 5 maggio, Tarvisio (Ud) Friuli-Venezia Giulia
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6 Sagra agroalimentare 3 Carrese Gara di carri riccamente addobbati e trainati da buoi, guidati per le strade del paese. Info: www.ururi.com 3 maggio, Ururi (Cb) – Molise
Ottima occasione per degustare la mozzarella di bufala e l’olio extravergine delle colline pontine. Info: www.comune.priverno.latina.it 6 maggio, Priverno (Lt) – Lazio
zione dell’antico circuito cittadino. Info: www.modenaterradimotori.com 8 maggio-10 giugno, Modena Emilia-Romagna
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4 Sagra del carciofo bianco La sagra non è solo un percorso culinario: attraverso questo evento infatti viene promosso anche il territorio con le sue bellissime grotte. Info: www.sagradelcarciofobiancodipertosa.it 4-6 maggio, Pertosa (Sa) – Campania
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9 Umbria Water Festival Primo festival internazionale dedicato all’acqua come risorsa del pianeta da conoscere e salvaguardare. Un evento diffuso sull’intero territorio del Cuore Verde d’Italia. Info: www.umbriawaterfestival.it 17-20 maggio, località varie – Umbria
7 Il Palio di Taranto I dieci gozzi del Palio, rappresentanti i rioni storici della città, sono i protagonisti della regata che si svolge nelle acque di Mar Grande e Mar Piccolo. Info: www.palioditaranto.it 8 maggio, Taranto – Puglia
8 Modena Terra di Motori Più di un mese ricco di appuntamenti: una grande mostra dedicata a Gilles Villeneuve a 30 anni dalla scomparsa, ma anche il passaggio della Mille Miglia e la rievoca-
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10 Festa alle Cascine Tradizionale manifestazione che apre la stagione delle sagre enogastronomiche della regione. Serate danzanti, fiere e grandi grigliate.
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Info: www.regione.vda.it 17-20 maggio, Pont-Saint-Martin (Ao) – Valle d’Aosta
11 Mostra Vini e Giornate del Pinot Nero La città in festa ad accogliere operatori e appassionati per degustazioni e wine party durante le due storiche manifestazioni che si svolgono tra Bolzano, Egna e Montagna. www.mostravini.it - www.blauburgunder.it 18-20, Bolzano; 19-21 maggio, Egna e Montagna (Bz) – Trentino-Alto Adige
12 Franciacorta in fiore Mostra mercato di fiori e piante, rare e classiche. Il Campo dei Sapori offre ai visitatori una vasta scelta di erbe aromatiche e alimenti di alta qualità. Info: www.franciacortainfiore.it 18-20 maggio, Cazzago San Martino (Bs) – Lombardia
13 Sagra del Calcione e del Raviolo
Info: www.candeloeventi.it 19-27 maggio, Candelo (Bi) – Piemonte
19 Zola Jazz&Wine Sei serate in compagnia di complessi jazz, seguite dalla degustazione dei rinomati vini dei Colli Bolognesi Doc. Info: www.zolajazzwine.it 25 maggio-26 giugno, Zola Predosa (Bo) Emilia-Romagna
Tipicità del maceratese in festa. Info: www.comune.treia.mc.it 18-20 maggio, Treia (Mc) – Marche
14 Cavalcata Sarda Sono più di 300 i paesi sardi che sfilano nei costumi tradizionali, tra danze e canti. Info: www.comune.sassari.it 18-20 maggio, Sassari – Sardegna
15 Sagra dei Bisi Durante la manifestazione si possono degustare piatti tipici, lasagne coi bisi e risi e bisi e vini Soave – Valpolicella delle colline locali. Info: www.comunecolognola.it 18-22 maggio, Colognola ai Colli (Vr) Veneto
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16 Nebbiolo Prima Open
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Anteprima dei tre grandi vini piemontesi, Barolo, Barbaresco e Roero, da degustare in compagnia dei produttori. Info: www.hotelcalissano.com 19 maggio, Alba (Cn) – Piemonte
20 Dialoghi sull’uomo Nel centro storico della città incontri, spettacoli, dialoghi e reading. Info: www.dialoghisulluomo.com 25-27 maggio, Pistoia – Toscana 21 Festa della focaccia di Recco Celebrazione del gusto tipico ligure. Info: focacciadirecco.it 27 maggio, Recco (Ge) – Liguria
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22 Sagra del Maggio 17 Mostra della ricotta e dei formaggi della Valle del Belice Durante la manifestazione gli allevatori-casari danno dimostrazione pratica del ciclo di produzione del formaggio. Info: www.poggioreale.tp-net.it 19 maggio, Poggioreale (Tp) – Sicilia
18 Candelo in Fiore Aiuole artistiche segnano un suggestivo percorso sensoriale tra le mura e le torri del borgo medievale del Ricetto.
Tra le rappresentazioni dei “culti arborei” sopravvissute, questa manifestazione è la più fedele all’antica tradizione. Info: www.ilmaggiodiaccettura.it 27 maggio, Accettura (Mt) – Basilicata
23 Cantine Aperte Compie 20 anni il principale appuntamento in Italia per scoprire il mondo e la cultura del vino direttamente nei suoi territori di produzione. Info: www.movimentoturismovino.it 27 maggio, località varie
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Panorama 38
Missione Corea L’Italia “del gusto” sarà protagonista, con i suoi migliori prodotti anche all’Expo di Yeosu
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La cucina italiana fa scuola ICIF, l’istituto del Monferrato che insegna agli stranieri a cucinare italiano
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Nazionale italiana cuochi Anche nelle competizioni ai fornelli, i nostri campioni mietono allori e consensi
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Il personaggio: Angelo Gaja Intervista esclusiva all’uomo che ha fatto grandi i vini piemontesi nel mondo
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Contraffazioni alimentari Indagine sui prodotti “italian sounding” e sull’agropirateria di casa nostra
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Imprese EAI: l’azienda che punta ad offrire al mercato il meglio del meglio dei prodotti nazionali
da pag. 58 Rubriche • La storia in cucina
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from Italy with taste cover story
Tutto il mondo ai piedi della cucina italiana di Riccardo Lagorio
Dal Lussemburgo all’Iran, dalla Bielorussia a ogni altro angolo del globo, il leit-motiv è sempre quello: a tavola, trionfa sempre il buon gusto tricolore. Perché al di là dell’indubbio valore degli ingredienti, è la “cultura del bello” che il nome del nostro Paese sa evocare, a conquistare tutti. È questo il segreto del successo planetario dell’Italian style gastronomico 32
Se c’è una cosa che tutto il mondo continua a invidiare all’Italia – anche in questa fase in cui il credito del Bel Paese, presso la comunità internazionale, tra spread e scandali vari, sembra essere ai minimi storici – quella è la cucina. Lo dicono gli esperti e lo confermano le ricerche: non ultima quella condotta, appena pochi mesi fa, da Futurebrand, una multinazionale che si occupa di strategie commerciali e che ha certificato questo assunto dopo aver intervistato, in ogni angolo del globo, un vasto campione di utenti. Il nostro turismo dunque, può sempre puntare su questo straordinario elemento di richiamo: meno invece sulle attrazioni culturali (rispetto alle quali, l’Italia è seconda, dopo la Francia) e sullo shopping, davvero poco sulla qualità degli hotel, l’economicità e la qualità della vita, la cui percezione da parte del turista internazionale ci vede abbastanza lontano dalle prime posizioni.
Vongole mon amour Nella cucina italiana convergono tutti quei saperi che rendono la penisola unica, con il suo stile irripetibile: nel bene e nel male. Va da sé: l’italiano che lavora nella ristorazione all’estero funge da biglietto da visita per l’intero paese. Ma c’è di più: non si può escludere che l’ottima considerazione che si ha della nostra cucina nel mondo sia dovuta proprio alla capacità dei connazionali che, nei decenni, sono riusciti a imporsi lontani dalle mura domestiche grazie ai loro tour de main e forse grazie a un patrimonio di materie prime nei confronti delle quali i concorrenti internazionali non reggono la sfida. Lo dice bene Mario Notaroberto, del Ristorante Notaro a Lussemburgo. «Il piatto più apprezzato dai nostri clienti sono gli spaghetti alle vongole, che riceviamo dalla laguna di Venezia solo il mercoledì. Fanno a gara per aggiudicarsi una delle 25 porzioni: finite quelle, bisogna aspettare il mercoledì successivo». Nel limite del possibile i prodotti sono tutti italiani e vengono consegnati settimanalmente: mozzarella di bufala campana, radicchio di Treviso, paccheri di Gragnano. Ottimi riscontri riscuotono anche i piatti del giorno, quelli elaborati con ciò che si è reperito sul mercato nei quali si addensa l’estro italiano, ottenendo grandi piatti da ingredienti semplici. Scorrendo, ad esempio, la carta del Notaro si incontrano gli scialatelli con il pomodorino di Corbara, un risotto al radicchio di Treviso o le orecchiette fresche con cime di rapa: un mix di carboidrati, fibre e vitamine, geniale oltre che gustoso, e soprattutto “very Italian style”. Come del resto tutto Italian style è il Notaro: dalle materie prime al personale, che da 20 anni è italiano. «Abbiamo selezionato il personale direttamente in Italia: così ci capiamo meglio» scherza sornione il titolare Notaroberto. In tutto il Lussemburgo, anche il vino italiano si è fatto strada e ora surclassa in quantità vendute quello francese anche grazie all’imponente carta di quasi 1400 etichette italiane disponibili. Siamo un po’ ambasciatori in territori lontani. «Nel solo Lussemburgo – ci spiega ancora Mario – ci
sono due ristoranti italiani stellati. A noi riconoscono l’indubbio valore degli ingredienti, ma anche la “cultura del bello” che il nome del nostro Paese sa evocare».
In alto, la fornita cantina del Ristorante Dal Notaro (Lussemburgo) di Mario Notaroberto
Le vere ambasciate del Made in Italy Un concetto, quest’ultimo, condiviso, a migliaia di chilometri di distanza dal Lussemburgo, anche da Reza Mirza Amin, ex studente iraniano alla Facoltà di architettura di Padova che in Italia si è
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from Italy with taste cover story
In alto, l’ingresso del Ristorante Murano di Teheran. Sotto Giuseppe Zanotti del Ristorante Falcone di Minsk
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innamorato (pure) della cucina. Tanto da avere aperto il Ristorante Murano in una zona residenziale di Teheran, lontano dal traffico caotico della megalopoli persiana. «La cucina italiana è come un’opera di Botticelli, straordinariamente elegante nella sua semplicità – dice Reza – i clienti sono consapevoli della capacità italiana di preparare piatti gustosi e genuini. In Iran sono presenti numerosi ristoranti etnici, ma al nostro è riconosciuto quel qualcosa in più che l’Italia suscita: arte, buon gusto, moda. Da questo punto di vista non abbiamo concorrenti cinesi o turchi, ma neanche francesi». Il Ristorante Murano è forse l’unico locale iraniano dove si può consumare una pizza molto simile a quella che si trova nelle pizzerie italiane. Ma anche la pasta non è niente male. «Purtroppo non sempre riusciamo a garantire prodotti italiani nel ristorante perché esistono limitazioni alle importazioni e pochi prodotti italiani sono presenti sul mercato – chiosa il titolare – così li acquistiamo a Padova durante i nostri viaggi e quando sono finiti ci dobbiamo accontentare di quelli turchi, come l’olio o l’aceto balsamico». Segno che l’immagine, anche un po’ sbiadita se vogliamo, della nostra tavola, riscuote pur sempre grande interesse. Qui bisognerebbe aprire un capitolo sui prodotti che scimmiottano quelli italiani, ma ce ne occupiamo in un altro servizio. Per chi è fondamentale l’utilizzo di materie prime italiane è invece Giuseppe Zanotti, da due anni a gestire la cucina del Ristorante Falcone di Minsk, in Bielorussia. «Penso che sia fondamentale usare materie prime italiane, se si vuole fare una cucina italiana autentica e originale – sostiene Giuseppe – anche perché la cucina italiana si contraddistingue dalle altre soprattutto per i differenti ingredienti regionali e le diversità tra zona e zona del paese». Con una intelligente precisazione, orgoglioso di essere emiliano (è di Salsomaggiore Terme) Zanotti si lascia andare a un affondo: «l’offerta gastronomica italiana va gustata e assaporata più che appresa da reportage e commenti. La cucina della mia terra ha dato vita ad alcuni piatti classici dell’italianità
Scelti per voi
nel mondo, proprio grazie ai prodotti locali che questa terra ha saputo generare». E cita alcune di quelle perle: dal prosciutto crudo all’aceto balsamico tradizionale, dalle tigelle allo gnocco fritto. È insomma uno stile riconoscibile nella sua perfezione che rende appetibile la cucina italiana: «La raffinata clientela che abbiamo, italiana o straniera che sia, da Joe Cocker a Sarah Conner, va matta ad esempio per gli gnocchi di zucca e amaretti ripieni di mascarpone su crema di pistacchi di Bronte e per i tagliolini al nero di seppia con broccoli ed asparagi bianchi. Addirittura la ricca clientela bielorussa sta lasciando la vodka per passare al vino italiano».
Ristorante Dal Notaro Tour Jacob 149 Clausen Lussemburgo Tel. (00352)423070 Ristorante Murano 137, Pasdaran St. Teheran Iran Tel. (0098)021 22761950
La semplicità: garanzia di bellezza Proprio perché la cucina italiana parte dal basso è appetibile a tutto il genere umano, o quasi. Pizza e spaghetti al pomodoro insegnano. Anche in Bielorussia non esiste una vera e propria concorrenza alla cucina italiana, semmai il rischio è che si aprano ristoranti che hanno solo l’insegna tricolore senza che chi segue la cucina, e men che meno le materie prime, siano italiane. Possibilità molto concreta che si appalesa viaggiando da un continente all’altro. Chi conosce l’autentica cucina italiana sa invece che non è frutto di chissà quali strategie o alchimie, ma è orchestrata dalla (seppur eccelsa) disponibilità di prodotti genuini e con gusto, un patrimonio che semplicemente va valorizzato e incrementato grazie alla genialità generata dalle campagne. E da questi ambasciatori che sono i ristoratori. Se sono circa 70mila i ristoranti con insegna italiana nel mondo è proprio perché l’attrazione di quell’indizio tricolore sa essere da traino per un numero crescente di consumatori, dall’Australia al Canada, dalla Bielorussia all’Iran. Anche questo deve essere di buon auspicio per il decollo del turismo in Italia, malgrado infrastrutture e capacità ricettiva, come dicevamo all’inizio, non facciano molto onore a quei nostri connazionali che fanno di tutto per tenere alto il nome dell’Italia all’estero.
Reza Amin, titolare iraniano di un ristorante italiano a Teheran, dichiara: «La cucina italiana è come un’opera di Botticelli, straordinariamente elegante nella sua semplicità. E i clienti sono consapevoli della capacità italiana di preparare piatti gustosi e genuini»
Ristorante Falcone Ul. Korolya, 9 Minsk Bielorussia Telefono (00375)172002999
Dall’alto: le tigelle, tra le perle offerte dal Ristorante Falcone; Adriano Galliani in compagnia di Giuseppe Zanotti; e, in basso, le vongole, utilizzate Dal Notaro per realizzare il piatto che va per la maggiore: gli spaghetti con le vongole (che arrivano in Lussemburgo ogni mercoledì dalla laguna di Venezia)
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Uno spicchio d’Italia nella Grande Mela Benvenuti al San Pietro, riconosciuto come “il migliore ristorante italiano fuori d’Italia” nell’ambito del Premio Ospitalità Italiana – Ristoranti Italiani nel Mondo. La sua storia è anche quella dei fratelli Bruno, i primi a mettere in un menù newyorkese fave e cicoria, branzino al sale e colatura di alici di Gilda Ciaruffoli 36
Quando Antonio e Gerardo Bruno atterrarono su suolo americano, il piatto più noto della cucina italiana negli USA era il vitello alla parmigiana. Pura invenzione. Come lo era l’usanza comune di servire la carne con un piatto di pasta di accompagnamento. L’anno era il 1976 e i fratelli Bruno, nati e cresciuti a Salerno – diplomati presso l’Istituto Alberghiero di Potenza il primo (lo chef), e in amministrazione alberghiera il secondo – ci misero davvero poco a rendersi conto di come a Manhattan mancasse una rappresentazione reale della cucina del sud Italia. Quale sfida poteva rivelarsi più invitante per due giovani, ma preparatissimi e intraprendenti, esperti della materia come loro? Fu così che nel 1984 decisero di aprir-
ne uno loro di ristorante, sull’81ª strada: e quello del Sistina fu un successo immediato. Tra i ricordi più cari del periodo per Antonio e Gerardo, l’amicizia con Marcello Mastroianni. «Ogni qual volta Marcello passava a Manhattan veniva dritto al Sistina, dove in cucina, con nostro grande piacere, amava improvvisare i suoi piatti casalinghi», ricordano i due fratelli. L’entusiasmo suscitato dalla loro genuina cucina meridionale fu tale che, nel 1992, venne inaugurato un locale più grande, l’oggi pluripremiato San Pietro, sull’elegante 54ª strada. In menù proposte basate sull’antico precetto di una dieta sana e bilanciata, secondo la tradizione della Scuola Medica Salernitana dei secoli X e XII. Pioniere in America, Antonio ha infatti riscoperto
In apertura, Gerardo Bruno, il presidente del ristorante San Pietro, e suo fratello Antonio, lo chef, la cui formazione si è svolta presso celebri ristoranti nel nostro paese (come il Rizzi di Roma, l’Hotel Amalfi di Venezia e il ristorante La Rina di Genova, dove ha lavorato con lo chef Carlo Bissolotti, dal quale ha appreso la raffinata arte della preparazione del pesce) e i migliori locali italiani di New York. Qui sopra, la sala principale del San Pietro, sull’elegante 54ª strada di Manhattan
alcune antiche ricette della tradizione campana dando loro una nuova e più fresca vitalità: come il branzino al sale, che reintroduce il metodo di cottura – già noto ai tempi dell’Impero Romano – di cucinare il pesce in crosta di sale; o la colatura d’alici, un altro piatto di tradizione millenaria che consiste nel fermentare le acciughe all’interno di un vaso di argilla e ricavarne un succo con cui condire la pasta. Per rimanere fedele alle proprie radici culinarie, ogni settimana Antonio fa arrivare direttamente da Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna l’85% degli ingredienti che utilizza, dalla verdura fresca, ai formaggi, alla pasta. Inoltre lo chef seleziona personalmente le migliori carni provenienti da Nuova Zelanda, Stato di New York e Canada, così come il migliore pescato tra cui acciughe, pesce San Pietro, moscardini e frutti di mare di
Costiera Amalfitana, Israele e altre aree note per la qualità del loro pescato. Utilizzando solo erbe e sapori freschi, Antonio prepara anche il pane nel forno in mattoni, così come originali formati di pasta. Non meno fondamentale il contributo di Gerardo Bruno, che del ristorante San Pietro è Presidente, e si è fatto riconoscere negli anni come ambasciatore “ufficioso” della cucina italiana negli Stati Uniti. Rimasto fedele alla sua missione di promuovere l’autentica e storica cucina del sud Italia con i suoi ingredienti semplici, la combinazione classica dei cibi, la presentazione naturale, Gerardo sottolinea: «la clientele business del San Pietro può confermare con quanta risolutezza un’impresa debba agire per sopravvivere nell’ambiente più challenging al mondo, quello di Manhattan». Quella stessa clientela è testimone dell’apporto che Gerardo dà al ristorante in termini di sensibilità e valori europei: una celebrazione dei puri e semplici tesori della natura nel rispetto dei più alti standard possibili, accogliendo i clienti come in famiglia.
Eccellenza premiata Oltre al recente Premio Ospitalità Italiana – Ristoranti Italiani nel Mondo, negli anni il San Pietro ha ricevuto numerose onorificenze e riconoscimenti in Italia e negli Stati Uniti. Tra i principali, ricordiamo quello come miglior ristorante italiano negli Stati Uniti dalla città di Giffoni; il premio per la più autentica cucina italiana e la migliore carta dei vini ricevuto dal governo italiano, e il premio miglior ristorante italiano all’estero dall’Istituto Ambasciate Ambasciatori della Cucina Italiana. Negli Stati Uniti, il ristorante ha ricevuto il premio d’eccellenza dal Wine Spectator dal 2001 al 2009, il premio cinque stelle diamante dell’American Academy of Hospitality Sciences, il Premio distinzione della guida Zagat e il premio Chefs 2000.
Come la Scuola Salernitana insegna «Nutriente per il corpo e l’anima. Questo è il nostro motto, che esprime la saggezza dei nostri antenati originari di Salerno», spiega lo Chef Antonio Bruno, che prosegue: «manteniamo viva questa filosofia nella nostra cultura così come nella nostra cucina». I gestori del San Pietro, infatti, sono rimasti fedeli a un’antica tradizione che affonda le sue radici nella grande Scuola Medica Salernitana attiva tra il X e il XII secolo. Non solo prima scuola medica occidentale, questa celeberrima istituzione fu anche la prima a dare accesso alle donne e a quasi ogni credo religioso. «La Scuola di Salerno promuoveva una dieta sana e bilanciata, regolare esercizio fisico e uno stile di vita a basso indice di stress. Una prescrizione notevole, oggi ancora attuale», ci spiegano i fratelli Bruno. «Fedeli a questa tradizione, mettiamo le verdure fresche alla base di ogni piatto del nostro menù. Ogni settimana proponiamo, direttamente dal Mar Mediterraneo, una varietà di pescato davvero unica, che include il pesce San Pietro e le prelibate acciughe della costa ischitana. Per una cucina sana e a basso contenuto di colesterolo, usiamo solamente il miglior olio extra vergine di oliva, con acidità dello 0% proveniente dalle nostre tenute di famiglia a Salerno. Le nostre cantine sono rifornite con le più prestigiose etichette di vino al mondo e siamo fieri di poter offrire ai nostri clienti la più completa selezione di vini del sud Italia, che comprende vitigni antichi come l’Aglianico». Per nutrire l’anima, il San Pietro promuove anche la storia e la cultura italiane, sia preparando feste in stile antica Roma, sia promuovendo un nuovo libro sull’impero di Cesare.
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storiedall’Italia che merita
Missione Corea per l’Italia “del gusto”
Samsung, Hyundai, Lg: i brand coreani sono entrati massicciamente nelle nostre vite. E adesso anche l’Italia guarda al 38° parallelo con la giusta attenzione verso un’economia crescente che offre grandi opportunità di business. L’Expo di Yeosu è quindi la vetrina ideale per mettere in mostra le nostre eccellenze. Quali? Ovviamente quelle del food&wine di Francesco Condoluci
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Un tempo Corea, nell’immaginario collettivo italiano, era solo sinonimo di “vergogna calcistica nazionale”. Come scordare il fino ad allora sconosciuto dentista nordcoreano Pak Doo Ik che ai mondiali del ’66 fece piangere l’Italia intera, buttando fuori a sorpresa, con un suo gol, la nazionale azzurra dei celebratissimi Rivera, Mazzola e Bulgarelli? Da allora, però, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. La Corea è sempre divisa in due dal 38° parallelo voluto dagli alleati dopo la Seconda Guerra Mondiale e tra i due stati (il Nord comunista e filocinese e la democrazia capitalistica filoamericana della Corea del Sud) continua a
Il Ristorante Puccini-Ospitalità Italiana sarà gestito da un’associazione temporanea di imprese, formata dal gruppo Icif (Italian Culinary Institute for Foreigners), dal Marachella Gruppo e dal ristorante Le Quattro Stagioni d’Italia di Saluzzo. A coordinare il tutto sarà invece l’imprenditore Piero Sassone (in foto), l’uomo che ha condotto tale gruppo di aziende all’aggiudicazione di questa prestigiosa commessa per mezzo della quale il made in Italy agroalimentare sarà ancora una volta protagonista di primo piano in Asia. A dominare la scena, in quest’occasione, saranno i menù tipici regionali del Belpaese, ottenuti attraverso l’utilizzo di alimenti Igp e Dop, abbinati all’ampia gamma di vini Igp, Doc e Docg: un insieme di pochi e selezionati brand di assoluto valore, assurti oramai a simbolo della cucina e dell’enologia italiana nel mondo. Le aziende scelte potranno fregiarsi della qualifica di Fornitore ufficiale del Ristorante Puccini - Expo 2012, vedere i propri prodotti segnalati e valorizzati sui menù del ristorante Italiano a Yeosu e nei ricettari che saranno distribuiti per tutta la durata della manifestazione, partecipare al work shop interattivo con la Hyundai Green Food, la più importante catena di catering coreana (40 mila pasti al giorno, oltre 10 milioni all’anno), fortemente interessata a inserire materie prime italiane nei propri menù. Ma non solo: attraverso la partecipazione al Padiglione Italia all’Expo di Yeosu, le imprese dell’italian food avranno l’occasione di avviare trattative dirette per sbocchi commerciali in Corea. Uno Hyundai Green Food Day sarà poi organizzato anche in Italia presso la sede dell’Icif entro la fine dell’anno; nel corso della giornata, i prodotti dei fornitori ufficiali del Ristorante Puccini saranno presentati dalle stesse aziende e interpretati dai migliori cuochi della scuola di cucina.
A Yeosu il meglio dell’enogastronomia regionale del Bel Paese sui tavoli del Ristorante Puccini
non correre buon sangue, ma oggi, a forza di high-tech, automobili ed elettrodomestici, i coreani – quelli del Sud, almeno – si sono ritagliati tutto un altro ruolo (e tutto un altro peso) nella nostra società.Tanto che oggi, almeno 4 italiani su 10 possiedono un telefonino di marca Samsung, guidano una Hyundai o una Kia e hanno in casa un frigorifero Lg. Il made in Korea, insomma, è entrato in forma massiccia nella vita di ognuno di noi, e la stessa comunità internazionale da tempo deve fare i conti con un paese il cui comparto produttivo continua a crescere a doppia cifra e a dettare legge sui mercati,
In apertura, un’immagine del polo espositivo di Yeosu dove, dal 12 maggio si svolgerà l’Esposizione Universale Sotto uno degli oli d’oliva selezionati per il ristorante Puccini
storiedall’Italia che merita
Alla scoperta del paese che “vive all’aria aperta”
anche in tempi di recessione mondiale.A Seoul,insomma, di tutto si parla tranne che di “crisi”.Al massimo, ci si preoccupa di qualche leggera, impercettibile flessione che tuttavia non intacca di una virgola il pazzesco trend ascendente sudcoreano. Merito dei chaebol, le conglomerate industriali sudcoreane finanziate dal governo e diventate colossi capaci di produrre brand globali come appunto Samsung (che nella categoria planetaria dei “consumer product” di recente è balzata al primo posto precedendo Nestlè, Panasonic, Procter & Gamble, Sony e Apple) ma anche di una comunità operosa e orgogliosa che non s’è fatta strozzare dai bellicosi cugini del Nord né dagli ingombranti vicini cine-
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L’Expo di Yeosu – con il Ristorante Puccini installato lì per tre mesi – rappresenterà per l’Italia una grande occasione per aprire nuovi canali commerciali con la Corea del Sud (che, guarda caso, importa dal nostro Paese soprattutto vini e prodotti agroalimentari), ma pensare a una mera occasione di business sarebbe riduttivo. In primo piano resta infatti l’interesse per l’oggetto centrale dell’Esposizione Universale, e cioè la salvaguardia degli habitat marini nel mondo, ma anche la possibilità di scoprire un paese di straordinaria bellezza. Se i coreani conoscono bene lo Stivale – fino alla crisi economica, i dati dicono che dalla Corea del Sud verso l’Italia si spostavano circa 350mila visitatori all’anno, la cui flessione, dopo il 2007, è stata peraltro meno drammatica di quella verso altri paesi – certo non si può dire lo stesso degli italiani rispetto a questa piccola penisola stretta tra il Mar Giallo e il mare del Giappone. Una lingua di terra che in poco più di mille km concentra circa 3 mila isole (in gran parte disabitate) e innumerevoli montagne: un patrimonio naturale di primissimo ordine. Alcuni definiscono questo pezzo di Asia dal passato travagliato e dal presente luminoso – malgrado l’instabilità politica dovuta alle intemperanze di Pyongyang – il “Paese che vive all’aria aperta”. Per conoscere il Sud Corea bisogna partire necessariamente dalla popolosa capitale, Seul, che con i suoi 10milioni di abitanti è il centro economico, politico e culturale del paese, perennemente animato da vivaci fermenti che rendono variopinte le strade del centro e le vie dello shopping ribollenti di mercatini, caffè, ristoranti e locali notturni. Dentro la città moderna, resiste ancora tuttavia una Seul antica fatta di palazzi confuciani di epoca feudale, fortezze, templi reali e originali edifici in legno a un piano.
Proprio nel mese di maggio, peraltro, a Seul è possibile assistere alla Parata per il Compleanno del Buddha, la più imponente sfilata pubblica dell’anno. Dall’esperienza di un tour frenetico nella megalopoli, si può (si deve) passare quindi alla tranquillità di una visita nelle province: a cominciare da quella circostante di Gyeonggi-do, che conserva siti di grande interesse paesaggistico e culturale come la Fortezza di Suwon (Patrimonio Unesco) ma anche il Korean Folk Village, e Icheon, località termale famosa per le sue ceramiche. Per chi ama le escursioni, è d’obbligo una gita alle isole del Mare Occidentale, al Namhansanseong Provincial Park e al Bukhansan National Park. Per trovare conferma però dell’epiteto di “Paese che vive all’aria aperta”, occorrerà spostarsi nella semisconosciute provincia nord-orientale di Gangwon-do, un’area montagnosa rimasta isolata per secoli. Tra monti, vallate, spiagge di sabbia bianca e torrenti, le attività all’aria aperta qui non mancano di sicuro. Da non perdere la spiaggia di Hwajinpo, le stupefacenti formazioni calcaree nella grotta di Hwanseondonggul, il lago di Chuncheon e i meravigliosi templi di Woljeongsa e Sangwonsa, tra le più splendenti perle di arte buddhista del paese. Per toccare con mano le straordinarie vestigia della cultura buddista e confuciana, bisognerà raggiungere invece la provincia di Gyeongsangbuk-do ricca di antiche testimonianze e luoghi suggestivi quali il tempio Haeinsa e le accademie confuciane di Oksan Seowon e Dosan Seowon. Se amate lusso e comodità, vi toccherà soggiornare nei resort di Jungmun oppure fare un salto a Jejudo, un’isola subtropicale di origine vulcanica al largo dell’estremità meridionale della penisola coreana, dove si trovano le grotte di lava e la montagna più alta del paese: l’Hallasan.
si e giapponesi ed è riuscita,negli ultimi 20 anni,a mantenere standard di sviluppo tali da farla uscire dal novero dei paesi “developing” per farla entrare, di diritto, in quello degli industrializzati “maturi” con un Pil di 1.600 miliardi di dollari, il dodicesimo del pianeta. Un’economia che cresce dunque a ritmi esponenziali, e alla quale anche l’Italia adesso guarda con sempre più attenzione come a una nuova potenziale frontiera del business. Il premier Mario Monti, non a caso, è stato di recente in visita in Sud Corea e le cronache del nostro Paese registrano quotidianamente il moltiplicarsi di meeting e contatti tra business-men coreani e soggetti pubblici e privati del Belpaese.
Nel box, dall’alto, il “museo vivente” del Korean Folk Village e la Fortezza di Hwaseong (“fortezza brillante”) che si trova a Suwon, a 30 km da Seul
Per assicurarsi un grande ritorno di immagine e di mercato anche dopo l’Expo, il Ristorante Puccini ha scelto, come fornitori delle derrate alimentari, aziende che possano garantire e confermare la qualità, il fascino e la professionalità che il mondo riconosce e si aspetta dall’Italia Ristorante Puccini: il gotha dei sapori made in Italy Tanto più che quest’anno la Corea del Sud vivrà un ulteriore momento di fulgore internazionale, grazie all’Esposizione Universale che, a partire dal 12 maggio, avrà luogo a Yeosu, per concludersi in agosto. Una vetrina mondiale che contribuirà ad attirare ancora di più i riflettori di tutto il mondo sul Paese della Tigre. The Living Ocean and Coast – Costa e Oceani che vivono: questo il tema della kermesse che per tre mesi punterà l’attenzione su temi come lo sfruttamento del mare, la distruzione dell’ecosistema marino e la necessità di instaurare nuovi equilibri tra scienza e natura. Nell’area espositiva di Expo Corea 2012, che vedrà installati i padiglioni dei Paesi partecipanti nel water-front di Yeosu affacciato sull’isola di Odong-do, ci sarà, naturalmente, anche un pezzo d’Italia. Ovvero il Padiglione Italia, una sorta di show-room dell’eccellenza italiana, incentrato in particolare sull’enogastronomia. Parte integrante del padiglione sarà infatti l’area dedicata alla ristorazione con il Ristorante Puccini–Ospitalità Italiana che avrà il compito di sviluppare e promuovere le tradizioni dei prodotti agroalimentari nazionali, valorizzare la cultura enogastronomica tricolore e consolidare l’immagine della nostra ristorazione all’estero garantendo il rispetto degli standard di qualità dell’ospitalità italiana, appunto.
Presso il Ristorante Puccini-Ospitalità italiana a Yeosu, a dominare la scena saranno i menù tipici regionali del Belpaese, ottenuti attraverso l’utilizzo di alimenti Igp e Dop, abbinati all’ampia gamma di vini Igp, Doc e Docg
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storie dall’Italia che merita
La cucina italiana che fa scuola di Monica Coviello
Sulle colline del Monferrato c’è un prestigioso istituto culinario dove ingredienti e ricette sono rigorosamente italiani, ma dove studiano anche, anzi soprattutto, gli stranieri. È l’Icif: qui si impara a preparare a regola d’arte i piatti tricolore e si insegna agli estimatori della nostra enogastronomia a riconoscere, anche a migliaia di km dall’Italia, i suoi autentici e inimitabili sapori 42
Si chiama Icif (Italian Culinary Institute for Foreigners), l’Istituto di Cucina, Cultura ed Enologia Italiana che da 15 anni ha sede nel castello di Costigliole d’Asti. All’inizio, nel 1991, il progetto era partito da Torino: grazie a un finanziamento del Ministero dell’Agricoltura fu infatti organizzato il primo Master di Cucina Italiana, frequentato da 30 cuochi statunitensi. Un’idea che è piaciuta subito e che ha attirato l’attenzione degli esperti del settore agroalimentare di tutto il mondo. Da allora, l’Istituto ha continuato a proporre master, corsi brevi e corsi di aggiornamento, per quei professionisti stranieri, chef, sommelier e ristoratori, che vogliano davvero una “specializzazione italiana”. Nel 2004 la sede italiana non bastava più e l’Icif ha aperto anche due sedi all’estero, nel sud del Brasile e in Cina. Una nella Regione di Rio Grande do Sul, a Flores da Cunha, nata in collaborazione con l’Università di Caxias do Sul. La seconda a Shanghai, nel campus universitario Shanghai Lingang Science and Technology School. E non solo: un paio d’anni dopo, l’Italian Culinary Institute for Foreigners ha aperto una piccola scuola anche a Seoul, nella Corea del Sud. Nel giugno prossimo sarà inaugurata inoltre una nuova sede, a San Paolo del Brasile, ufficialmente operativa a settembre: sarà una Scuola di Ospitalità, per formare professionisti della ristorazione e dell’alberghiero.
Studenti di tutte le lingue Intanto, però, anche il progetto costigliolese continua a perfezionarsi: accanto alle aule attrezzate con i più sofisticati impianti per una moderna attività didattica, sono state allestite un’enoteca e un’elaioteca, dove alcuni fra i migliori produttori italiani espongono i propri prodotti.A fianco c’è una modernissima sala degustazione. Questo perché l’Icif sa che per insegnare la cucina italiana non si può fare a meno di usare prodotti originali e autentici: fin dall’inizio promuove e lavora per valorizzare le produzioni nazionali di livello, tra cui il vino e l’olio occupano un posto di primo piano. Ma da dove vengono gli studenti che si formano nell’Istituto? In questi anni la scuola ha diplomato allievi da tutto il mondo, da
I corsi Icif Corso Master in cucina ed enologia delle regioni d’Italia. Dura 180 giorni e spiega i segreti della cucina regionale, le basi tecniche, le decorazioni, l’arte della presentazione, i prodotti.
Foto di Luigi Bertello
Corso breve in cucina ed enologia delle regioni d’Italia. In 90 giorni, una formazione più veloce sull’evoluzione della cucina tradizionale e creativa.
Appena sopra una lezione pratica di degustazione dell’olio d’oliva
Australia, Bermuda, Brasile, Canada, Cina, Cipro, Corea, Filippine, Germania, Giappone, Hong Kong, India, Israele, Libano, Messico, Perù, Russia, Stati Uniti, Singapore, Svezia, Thailandia, Taiwan,Venezuela e, ovviamente, dall’Italia. C’è poi una rete di uffici di rappresentanza dell’Istituto, che si estende in 38 paesi fra Europa,Asia e America. È così che gli studenti vengono a conoscenza di questa opportunità. E, mentre frequentano la scuola, si occupano di cucina, di panificazione, di pasticceria, di gelateria, ma anche di lingua italiana e di approfondimenti sul vino.
Il gusto italiano incontra il mondo Corsi, master o workshop brevi, corsi tematici, corsi di abilitazione alla professione di sommelier in collaborazione con l’Associazione Italiana Sommeliers, corsi amatoriali e anche tour turistico/gastronomici per gli appassionati del settore: ognuno può scegliere come strutturare la propria formazione. Nell’istituto ci sono laboratori con attrezzature all’avanguardia, e il corpo docente è formato da professionisti qualificati, insegnanti di istituti alberghieri, giornalisti, tecnici ed esperti, chef (quelli che aderiscono all’associazione Giovani Ristoratori d’Europa e all’associazione Stelle del Piemonte)e sommelier di fama internazionale. Che tengono le loro lezioni in italiano, affiancati da un interprete che traduce nella lingua degli studenti stranieri.
Saranno famosi… • Alcuni degli ex allievi dell’Icif sono diventati veri e propri “nomi” della cucina internazionale. Qualche esempio virtuoso. • Chen Shiqin, cinese, dopo la scuola ha lavorato nel famoso ristorante Antica corona reale di Cervere (Cn), due stelle Michelin, con lo chef Gian Piero Vivalda. Oggi Chen Shiqin è lo chef del ristorante La Rei, stellato Michelin, all’interno del Boscareto Resort (Via Roddino 21, Serralunga d’Alba - Cn). Il suo stile si basa sulla qualità delle materie prime del territorio, la professionalità, il rispetto per la tradizione e un pizzico d’innovazione. Il suo team è composto da 15 giovani cuochi. • Pier Paolo Picchi, brasiliano, ha aperto la Trattoria Picchi a San Paolo del Brasile, e sta ristrutturando un nuovo locale che si chiamerà Ristorante Picchi. La sua trattoria è considerata dai critici gourmand un tempio della cucina italiana autentica, e usa solo ingredienti made in Italy.
Corso di abilitazione professionale per la figura di sommelier. Dura 3 settimane. Al termine gli studenti ricevono il diploma di abilitazione professionale AIS. Corsi tematici B1 e B2 sulla cucina italiana. Durano una settimana e sono dedicati a singole tematiche della cucina regionale. Educational tour. Pensati per non professionisti italiani e stranieri. Ma anche per i professionisti interessati a scoprire una particolare zona enogastronomica. Durano da tre a sei giorni. Corsi amatoriali di cucina. Per perfezionare le proprie capacità culinarie. L’ENOTECA E L’ELAIOTECA NAZIONALE L’Icif vanta due tra le strutture più avanzate in Italia per l’approfondimento della conoscenza dei vini e degli oli italiani, e per l’analisi, la degustazione e la conservazione. La sala di degustazione ha 20 stazioni polifunzionali che vengono usate, oltre che per vini e oli, anche per l’analisi sensoriale di altri prodotti, come gli aceti o il caffè. La sala, oltre alle lezioni, ospita spesso la presentazione di nuovi prodotti, banchi d’assaggio guidati e degustazioni tematiche, per approfondire aspetti particolari delle produzioni regionali italiane.
• Fabio Sicilia di Belem do Parà (Amazzonia) è il proprietario del ristorante Dom Giuseppe, premiato per il quarto anno consecutivo come il Miglior Ristorante Italiano della città, con la migliore lista di vini (Best Wine List). 43
storie dall’Italia che merita
Campioni azzurri ai fornelli La Nazionale Italiana Cuochi rappresenta la cucina e i prodotti made in Italy nelle competizioni culinarie sul nostro territorio e in campo internazionale, mietendo allori e consensi
di Rosanna Ercole Mellone
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Due dozzine di paladini dell’enogastronomia italiana, soprattutto al di là dei nostri confini: sono i 24 chef della NIC-Nazionale Italiana Cuochi (emanazione della FIC-Federazione Italiana Cuochi), che ci rappresentano all’estero e sfidano il resto del mondo in cucina, nelle gare dedicate, salendo sul podio in patria e in ogni angolo della Terra. Questi benemeriti del made in Italy sbaragliano spesso i concorrenti di altri paesi perché si presentano alle postazioni dei fornelli ben addestrati con tecniche e strumenti all’avanguardia – come i metodi di cottura soft e i tegami al silicone – e secondo programmi esclusivamente italiani basati sulle ricette della tradizione e i prodotti tipici. «Ognuno dei componenti della NIC, che provengono da tutte le regioni, porta con sé all’estero ingredienti poco
conosciuti del proprio territorio, come i lampascioni del barese, le alici di Sicilia, il pecorino sardo, la carne piemontese e gli asparagi di Bassano»,racconta Fabio Tacchella, team manager della Nazionale. «Attraverso i nostri piatti, completati da brochure informative sui prodotti, facciamo scoprire queste eccellenze ai colleghi di tutto il mondo che imparano ad apprezzarle e a impiegarle. Del resto la cucina italiana piace ovunque:infatti,nell’ambito delle gare, tra i menù per 100 persone preparati ogni giorno da cinque nazioni e venduti al pubblico, i primi ad andare esauriti sono i nostri. In particolare, gli stranieri preferiscono la pasta ripiena che alcuni chef non italiani cercano di riprodurre, ma con scarso successo». Grazie alle performance dei nostri campioni, il palmarés della NIC degli ultimi 10 an-
ni risulta nutrito e variegato: tra i riconoscimenti più importanti,spiccano,nel 2004,le otto medaglie d’oro, i tre premi speciali e il titolo di miglior squadra ricevuti a Intergastra a Stoccarda e, nel 2006, la Coppa del Mondo di Pasticceria vinta in Lussemburgo, e i due ori, i nove argenti e un bronzo conquistati alla Coppa del Cremlino a Mosca. Nell’anno in corso, la nostra brigata di berrette bianche ha già messo a segno due centri: nel Galles, alla Battaglia del Dragone, ha meritato la medaglia d’argento del Titolo Europeo di Alta Gastronomia, mentre a Lubiana si è aggiudicata la finale della Selezione Europa del Sud per il Global Chef Challenge & Hans Bueschkens Junior Chefs Challenge che, sotto l’egida della WACS-Società Mondiale dei Cuochi, si svolgerà a Daejeon, in South Korea,dall’1 al 5 maggio.In vista dell’impegnativo match in Asia e delle Olimpiadi della Cucina, in calendario a Erfurt in Germania a ottobre, gli atleti della disciplina culinaria si stanno allenando con i coach al seguito, come riferisce il team manager: «per i sei membri della squadra Junior e i 10 di quella Senior, sono a disposizione quattro istruttori che sovrintendono alle esercitazioni calde e fredde, effettuate, una al mese, nella mia cucina di Decorfood a Verona. Le forze in gioco della NIC sono poi completate dalle quattro persone del direttivo». La protagonista in-
discussa delle prove di valore delle berrette “azzurre” è la cucina italiana, interpretata con i nostri migliori prodotti in piatti ricercati che vengono presentati secondo i canoni estetici caratteristici del Bel Paese. I menù della NIC sono sempre un’armonia di sapori e colori, come quello che ha trionfato nel Galles: trancio di merluzzo con cozze e pomodoro e salsa d’acciughe, raviolo di gamberi rossi su purea di sedano rapa e lenticchie;lombo di agnello in mantello di pancetta con pavé di zucca, crocchetta di carne e giardinetto di ortaggi e funghi; mousse al cioccolato e caramello con pere alla cannella, finanziere alle nocciole, semifreddo all’arancia e salsa di lamponi. Ma non tutti gli chef possono entrare a far parte dell’équipe che ha anche lo scopo di sostenere la figura del cuoco, sensibilizzando chi non ne conosce ruolo e funzioni. «Gli ammessi nella NIC vengono selezionati,una volta all’anno, tra gli iscritti alla Federcuochi che ne fanno richiesta o vengono segnalati», spiega il dirigente. «Tutti devono conoscere la lingua inglese e avere nozioni di informatica;inoltre non possono essere digiuni di gare e devono dimostrarsi motivati, preparati e avere spirito di gruppo, senza individualismi. I nostri chef, sempre impegnati nel lavoro quotidiano, verificano sui loro clienti i piatti di ogni competizione, in modo da avere un indice di gradimento».
Barriere superabili? Per raggiungere traguardi internazionali, i fuoriclasse della nostra cucina a volte devono superare oltralpe ostacoli impensabili in tempi di globalizzazione. Precisa Fabio Tacchella: «a causa dello sbarramento della frontiera, in alcuni paesi, tra cui Svizzera e America, non riusciamo a far entrare prodotti essenziali, come certe carni. A Mosca, abbiamo dovuto stravolgere il menù per mancanza di ingredienti. Forse i nostri risultati potrebbero essere migliori se avessimo, come i colleghi stranieri, il sostegno delle Istituzioni. A sancire il nostro incarico di difensori e divulgatori del made in Italy, basterebbe un messaggio di incoraggiamento da parte di un’autorità pubblica, che invece non ci è mai pervenuto».
In apertura l’affiatato gruppo della Nazionale Italiana Cuochi. Qui a sinistra, due dei creativi piatti proposti dalla NIC, realizzati utilizzando i prodotti della tradizione nazionale
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Angelo Gaja
Il ministro degli esteri del vino italiano Viene considerato unanimemente l'uomo che ha fatto grandi i vini piemontesi nel mondo. Lui però ama definirsi "un artigiano" che ha imparato il mestiere, in mezzo ai filari, dal padre. Oggi vinifica esclusivamente uve provenienti da 100 ettari di vigneti di proprietà ubicati nell’area del Barbaresco e del Barolo e ha un sogno: unire l'enologia italiana sotto un unico marchio distintivo di Roberto Rabachino 46
Cinque generazioni si sono alternate nella produzione di vino da quando Giovanni Gaja, nel 1859, fondò la cantina Gaja a Barbaresco, nelle Langhe. Oggi Angelo Gaja continua a operare come proprietario-trasformatore, vinificando esclusivamente uve provenienti da 100 ettari di vigneti di proprietà ubicati nell’area del Barbaresco e del Barolo.Angelo è nato ad Alba dove ha conseguito il diploma di Enologo. Successivamente all’Università di Torino si è laureato alla facoltà di Economia e Commercio. Entrato in azienda a 21 anni, ha imparato il mestiere dal padre Giovanni. Nelle attività di famiglia, lo affianca la moglie Lucia, unitamente alle due figlie maggiori, Gaia e Rossana che rappresentano la quinta generazione. Vive a Barbaresco con la moglie e i figli Gaia, Rossana e Giovanni. Nel 1994 la famiglia Gaja ha acquisito la prima proprietà in Toscana, Pieve S. Restituta a Montalcino, ventisette ettari di vigneti dove si producono due Brunello di Montalcino, Rennina e Sugarille e, dall’annata 2005, anche un terzo vino, un Brunello di Montalcino senza indicazione di vigneto. Nel 1996 ha acquistato una seconda proprietà in Toscana, Ca’ Marcanda a Castagneto Carducci. La cantina Ca’ Marcanda ha una superficie vitata di circa 100 ettari, impiantati principalmente a Merlot e Cabernet Sauvignon e in minor misura a Cabernet Franc, Syrah e Sangiovese. I vini prodotti a Ca’Marcanda, la cui prima annata è il 2000, sono Promis, Magari e Camarcanda. Angelo Gaja, lei usa dire di sentirsi un artigiano in una terra d’eccellenza. Ci spieghi il senso di questa sua affermazione? Il mestiere di artigiano l’ho imparato da mio padre, non era scritto nei libri di scuola. Nel mondo del vino l’artigiano è complementare alle altre funzioni: cooperative, affinatori, imbottigliatori. I bravi artigiani hanno dei progetti, vogliono fare di testa loro, apprezzano la professionalità e il lavoro bene eseguito, sono individualisti, orgogliosi e animati da passione. La più grande ricchezza dell’Europa del vino: di possedere il più elevato numero al mondo di artigiani produttori di uve e di vino.
È artigiano chi non acquista né uve né vino e produce esclusivamente dai propri vigneti; chi in Piemonte ha un montante annuale non inferiore a 1.200 ore lavorative per ettaro di vigneto; chi rifiuta di produrre vini che occupino tutte le fasce di prezzo, a partire da quelle più basse su su fin dove si riesce ad arrivare; chi rifiuta di fare crescere l’azienda oltre la dimensione che gli è congeniale per realizzare vini di qualità elevata; chi affida alla famiglia, al numero più ampio di suoi componenti, il compito di operare a tempo pieno a esclusivo beneficio della cantina, a fianco di collaboratori e dipendenti. Parliamo del “Vento dell’Europa. Di che cosa si tratta? Sono gli effetti della riforma voluta ed imposta da Bruxelles nell’agosto 2009 a fare volare l’export. Contro la sua applicazione si erano fortemente schierati in «Il vino Italia, trincerandosi dietro corè la bevanda porazioni e associazioni di caculturale per tegoria, i succhiatori perenni In alto i vitigni Spress, ovvero “nostalgia” in piemontese, acquistati eccellenza. Per millenni in ricordo del padre da Angelo Gaja a Serralunga. Sotto il castello di contributi e i loro compliha allietato l’animo di di Barbaresco, località dove risiede la famiglia Gaja ci privilegiati che ne traevano umili e potenti. Il vino è il vantaggio. Non mancano anacanto della terra che logie con quanto avviene ora si leva verso il cielo». storie e passioni legate a tradizioni con il governo Monti accusato di o innovazioni, rendendoli comparintrodurre misure che “ci vengono tecipi della costruzione di una immagiimposte dall’Europa”. La riforma volune più autorevole del vino italiano. L’accresciuta da Bruxelles si ispirò al comune buon senso, to interesse verso i mercati esteri non indurrà i merce rara, mettendo la parola fine all’enorme produttori di vino a trascurare il mercato interspreco perpetuato per oltre trent’anni di denaro no. I due mercati sono complementari. Quello pubblico destinato alla distruzione delle eccenazionale è più difficile ma anche molto utile denze e introducendo misure atte a riequilibraper la preziosa funzione che ha di formare e re il mercato del vino. I contributi comunitari costruire gli imprenditori. Le cantine i cui viprima largamente sperperati vengono ora destini godono di un adeguato posizionamento sul nati a co-finanziare l’azione di promozione dei mercato interno sono spesso le stesse che racproduttori di vino sui mercati extra-comunitacolgono buoni risultati sui mercati esteri. ri e fanno volare l’export nonostante i tempi di crisi. Il numero degli esportatori è cresciuto in Un suo progetto vincente per il futuro del vino? breve tempo del 30%, sdoganando anche un Nella situazione di mercato attuale i più fragili buon numero di produttori artigiani di vino, desono i produttori artigiani che costituiscono la gli oltre venticinquemila che il nostro paese ha stragrande maggioranza delle micro e piccola fortuna di avere, incoraggiandoli a fare rete, ad le imprese italiane. Occorrono progetti atti a andare sui mercati esteri a narrare, a raccontare 47
ilpersonaggiodelmese
to realizzare dal più bravo dei designer italiani, da affiancare oppure no al made in Italy. Che comporti l’assunzione da parte del produttore dell’impegno (autocertificazione) di svolgere le fasi di lavorazione interamente in Italia, con totalità di materia prima di provenienza italiana soltanto per l’agro-alimentare. Il progetto andrà sostenuto da una campagna di informazione atta ad istruire il consumatore sul significato del simbolo. Nel progetto vanno coinvolti non soltanto gli artigiani, ma anche le associazioni sindacali e quelle degli esercizi commerciali: l’interesse di proteggere il lavoro eseguito in Italia coinvolge tutti.
L'interno della Tenuta Ca' Marcanda in Toscana. La cantina ha una superficie vitata di circa 100 ettari, impiantati principalmente a Merlot e Cabernet Sauvignon
proteggere e valorizzare il lavoro degli artigiani. Da un anno la discussione s’è accesa attorno al marchio made in Italy che vuol dire una cosa mentre il contenuto ne svela spesso un’altra. È una contraddizione impossibile da eliminare avendo, le aziende che hanno delocalizzato, meritoriamente contribuito all’affermazione del made in Italy sui mercati internazionali. Per gli artigiani potrebbe servire di più mettere in cantiere un nuovo progetto: ottenere che il prodotto totalmente realizzato in Italia abbia la facoltà (non l’obbligo) di essere contraddistinto da un logo, da un simbolo fat-
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I bravi artigiani hanno dei progetti, vogliono fare di testa loro, apprezzano la professionalità e il lavoro bene eseguito, sono orgogliosi e appassionati. La più grande ricchezza dell’Europa del vino? Possedere il più elevato numero al mondo di artigiani produttori di uve e di vino Quanto è importante di avere attorno a sè la sua famiglia? Assume particolare valore la continuità, attraverso il susseguirsi delle generazioni, dell’azione svolta dalla famiglia nel tempo. La capacità di trasferire conoscenze, esperienze, esempi e passione alla generazione successiva. Il vantaggio di avere i membri della famiglia uniti, a lavorare per guidare e sostenere la filosofia aziendale di produzione e di vendita. Concludendo: che cos’ è il vino per Angelo Gaja? Il vino è la bevanda culturale per eccellenza. Per millenni ha allietato l’animo di umili e potenti. Il vino è il canto della terra che si leva verso il cielo.
Italian tradition since 1681
Candoni De Zan family
WWW.TENUTAPOLVARO.COM VIA POLVARO 35 • 30020 ANNONE VENETO • VE • ITALY
l'indagine
All’estero ci imitano con i prodotti “italian sounding”. Ma il nostro è un Paese che sa anche farsi male da solo: con le sofisticazioni, “fatte in casa”, delle eccellenze enogastronomiche nazionali. Un fenomeno, quello del falso made in Italy, difficile da contrastare. Specie se a dare il cattivo esempio sono le nostre stesse istituzioni di Francesco Condoluci
Concentrato di pomodoro importato dalla Cina ed etichettato come “made in Italy”. Clementine di provenienza spagnola e spacciate per calabresi. Prosciutti crudi in arrivo da Belgio, Olanda e Germania e commercializzati come prodotti nostrani. Oli extravergini d’oliva frutto in realtà di adulterazioni e deodorazioni. Funghi porcini acquistati in Asia e messi sul mercato in confezioni riportanti l’Italia come luogo di origine. Sono solo alcuni degli esempi di lampante contraffazione alimentare riportati dalle cronache giudiziarie. I trasgressori? Imprenditori campani, importatori emiliani, commercianti veneti e pugliesi. Tutta gente di casa nostra, insomma. Giusto per sfatare il mito che i falsi prodotti italiani si facciano soprattutto all’estero.
Italian sounding, piaga internazionale Per carità, l’italian sounding, il fenomeno cioè dei prodotti che nel nome o nelle confezioni “suonano come italiani” – ma che di italiano, in realtà, non hanno un bel niente – è una piaga globale che ogni giorno, stando ai dati della Confederazio-
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Contraffazioni alimentari:
c’è un’Italia che fa concorrenza a se stessa
ne Italiana Agricoltura, scippa 165 milioni di euro al made in Italy nel mondo, per un business illegale di ben 60 miliardi di euro all’anno: una cifra superiore di quasi due volte e mezzo il valore complessivo medio dell’export agroalimentare italiano. Casi come quello del Parmesan, il formaggio fatto con latte delle mucche del Wisconsin che imita palesemente il Parmigiano Reggiano (alla stregua del Regianito argentino), o dell’improbabile Spicy Thai smerciato dagli americani come pesto genovese, sono ormai notori. Negli ultimi 20 anni, del resto, a partire dagli States per finire al continente asiatico passando per Australia e Nuova Zelanda, c’è stato un vero e proprio boom di “taroccamenti” del meglio dell’Italian Style enogastronomico, tanto che l’Italia, dal punto di vista alimentare, è oggi il paese più imitato del mondo. E di aberrazioni, in giro per il pianeta, se ne vedono di tutti i colori. Ma l’italian sounding, in realtà, è soltanto una faccia della medaglia della contraffazione alimentare che da anni ormai tormenta le produzioni tricolori. Quella più appariscente, certo. Perché di dimensione
internazionale e con contorni che, in qualche caso, rasentano il ridicolo, se pensiamo alla mortadela brasiliana o al Prisecco tedesco (!).
Quando l’agropirateria è di casa nostra Ma il “falso made in Italy” è un fenomeno su cui, come detto, anche gli stessi italiani marciano alla grande e che, dal punto di vista economico, vale 7 miliardi di euro l’anno, di cui due terzi appunto in capo al solo settore agroalimentare. Se all’estero, insomma, si scimmiottano i nostri prodotti facendo leva sull’italianità come elemento attrattivo nei confronti dei consumatori, l’agropirateria in salsa tutta italiana basa invece il suo business illegale sulle sofisticazioni e le falsificazioni delle eccellenze nostrane, di quel patrimonio enogastronomico emblema della Dieta Mediterranea e modello nutrizionale universalmente apprezzato nel mondo, perché fondato su un’alimentazione basata su prodotti locali, stagionali e freschi. L’Italia, si sa, è il paese che vanta oltre il 22% dei prodotti certificati registrati complessivamente
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l'indagine
Autolesionismo all’italiana: il caso Simest Ci credereste? C’è persino un’Italia “istituzionale” che è riuscita a fare concorrenza a se stessa. Una società mista pubblico-privata, partecipata (e finanziata) dal nostro governo ha incredibilmente incentivato, per via indiretta, la produzione di “falsi prodotti made in Italy”. Sembra una barzelletta, e invece è tutto vero. Soldi pubblici italiani per produrre il pecorino rumeno! Stiamo parlando della Simest Spa, società italiana istituita con un’apposita legge dello Stato nel 1990 nell’obiettivo di offrire assistenza alle imprese in merito all’internazionalizzazione della loro attività. Il capitale sociale di Simest al 76% è detenuto dal governo centrale, la restanti quote invece appartengono a soggetti privati come le banche San Paolo e Unicredit. Qualche anno fa, è venuto fuori che la Simest aveva acquisito – utilizzando, chiaramente, anche i soldi dei contribuenti italiani – il 29,5% delle quote di minoranza della Roinvest Srl, società che a sua volta controlla Lactitalia Srl, un’azienda che in Romania produce di caciotte e formaggi ottenuti con latte ungherese e rumeno e commercializzati con nomi molto italian sounding, ovvero Dolce Vita, Pecorino e Toscanella. E non solo: tra le pieghe del caso-Simest, finito all’attenzione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla contraffazione e la pirateria nell’agroalimentare a seguito di una battaglia di Coldiretti, è venuto fuori che la stessa società – oltre a investire 11 milioni di euro all’estero in un’azienda italiana come la Parmacotto, che però in Uruguay è arrivata a produrre addirittura una “bresaola locale” – finanziava la vendita negli Stati Uniti di “salame
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calabrese” prodotto in realtà negli stessi Usa. «La produzione di Pecorino e caciotta in Romania, come la vendita all’estero di salame calabrese fatto negli Stati Uniti – è scritto nella prima relazione sulla contraffazione e la pirateria agroalimentare stilata dal nostro Parlamento – sono state finanziate con le tasse degli italiani senza alcun beneficio per il paese, ma facendo anzi concorrenza sleale a tutte le produzioni tipiche espressione vere del territorio». Un lampante esempio, insomma, di autolesionismo tipicamente italiano che solo di recente si è riusciti a frenare. Merito, come detto, della mobilitazione innescata da Coldiretti che ha coinvolto associazioni dei consumatori, comuni, regioni, province, Camere di Commercio e altri enti come Unioncamere, Comunità Montane e Consorzi di Tutela. La vittoriosa crociata di Coldiretti Il caso si è chiuso da poco, infatti, con l’annuncio, da parte del Ministero dello Sviluppo economico, della cessione delle quote di partecipazione Simest in Lactitalia. «Simest – è scritto nel comunicato ministeriale che segna l’epilogo di questa paradossale vicenda – ha recepito la direttiva in materia agroalimentare emanata dal Ministero dello Sviluppo Economico, che prevede la revoca di partecipazioni deliberate, qualora le imprese pongano in essere pratiche commerciali in grado di indurre in errore i consumatori, anche nei mercati esteri, circa l’origine italiana dei prodotti commercializzati, sia attraverso elementi specifici dei prodotti stessi che del relativo packaging». Ma per il presidente di Coldiretti, Sergio Marini, il caso-Simest potrebbe essere solo la punta dell’iceberg: «Ci chiediamo – queste le sue parole – in quali altre occasioni ci sia stata una cattiva utilizzazione delle risorse pubbliche come questa, senza che nessuno se ne occupasse o intervenisse. L’impegno del Governo e del Parlamento deve essere rivolto a vietare per legge il finanziamento pubblico di prodotti realizzati all’estero che imitano il vero made in Italy. Occorre avere la forza di distinguere la vera internazionalizzazione da quelle forme di delocalizzazione aggravate dall’uso improprio del “marchio Italia” che danneggiano il paese facendo perdere occupazione e svilendo il valore del made in Italy, costruito con sacrifici da generazioni di imprenditori».
a livello europeo. A questi vanno aggiunti gli oltre 400 vini Doc, Docg e Igt e gli oltre 4 mila prodotti tradizionali censiti dalle Regioni e inseriti nell’Albo nazionale. Una lunghissima lista di prodotti che ogni giorno – a parte la minaccia dei fakes esteri – deve fare i conti con il rischio taroccamenti e adulterazioni, nel nostro stesso paese. Solo nel 2010, in Italia, ad esempio, sono state sequestrate circa 12 mila tonnellate di prodotti falsamente indicati come Dop. Ma per sfuggire ai controlli, le cosiddette agromafie nazionali sanno anche andare al passo coi tempi, avvalendosi sempre più di Internet attraverso le vendite on line che continuano a colpire prodotti di alta qualità come l’Amarone, la mozzarella di bufala campana, il gorgonzola e l’olio l’extravergine d’oliva, i panettoni e le colombe falsamente artigianali. Ancora più difficile risulta inoltre seguire le rotte dei bancali di agrumi che partono dalla Spagna o dal Maghreb e, attraverso queste triangolazioni illegali, approdano magicamente sui nostri mercati con etichette italiane. L’unico mezzo a disposizione dei consumatori per difendersi dal-
le frodi, è, avvisa Coldiretti, «diffidare di offerte esagerate come quelle per l’olio di oliva venduto, sugli scaffali dei supermercati, a prezzi così stracciati da non coprire neanche i costi di raccolta delle olive». Eppure nel 2010, da parte dei Nas, del Corpo Forestale dello Stato e di altri organismi preposti, sono state eseguite circa un milione di verifiche e ispezioni in aziende, supermercati, negozi, ristoranti, mercati rionali, pescherie, stabilimenti balneari, campeggi, villaggi turistici e agriturismo: ma per tutelare il made in Italy alimentare, all’attività di controllo nei confronti dell’illegalità, sempre secondo Coldiretti, «va accompagnata una stretta della legislazione che tuttora permette di spacciare come made in Italy quasi la metà della spesa fatta dagli italiani, dal momento che non è ancora operativo l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della materia prima in tutti i prodotti alimentari in vendita».
Coldiretti: “Occorre diffidare di offerte esagerate come quelle per l’olio di oliva venduto, sugli scaffali, a prezzi così stracciati da non coprire neanche i costi di raccolta delle olive”
Secondo un’indagine sei italiani su dieci considerano le frodi a tavola più gravi di quelle fiscali e degli scandali finanziari, poiché “possono avere effetti sulla salute”
"I piatti forti" dell’italian sounding e del falso made in Italy Imitazioni estere… • Pomodori San Marzano (USA) • Parma salami (Messico) • Parmesao (Brasile) • Bresaola uruguayana • Olio Romulo (Spagna) • Chianti della California • Mortadela siciliana (Brasile) • Mortadella Milanesa (Cile) • Culatello di “salumeria biellese” (USA) • Salami calabrese (Canada) • Barbera bianco (Romania) • Napoli Tomato (USA) • Tinboonzola (Australia) • Cambozola (Germania, Austria e Belgio) • Mozzarella del Texas (USA) • Robiola del Canada • Asiago del Wisconsin (USA) • Provolone americano • Toi Toi Prosecco (Nuova Zelanda) • Prosec (Paesi dell’ex Jugoslavia) • Prisecco (Germania) • Parmeson (Cina) • Toscana Olive Plantation (Australia) • Pompeian Olive Oil (USA) • Aged Balsamic Vinegar della California • Pizza Pepperoni (USA) • Smooth ricotta Perfect italiano (Australia). … e sofisticazioni di casa nostra • Vino addizionato al metanolo • Brunello fatto con un non Sangiovese • Pomodoro importato dalla Cina e utilizzato per produrre passate • Prodotti “ringiovaniti” con la sostituzione delle etichette scadute • Mozzarelle ottenute con polvere di latte rigenerato, olio di soia o di semi che diventa extravergine d’oliva con l’aggiunta di clorofilla • Aceto balsamico tradizionale “taroccato”.
Toi Toi, il prosecco neozelandese, Parmesan e Pamesello sono solo alcuni esempo di “falso made in Italy”, fenomeno su cui anche gli italiani marciano alla grande e che, dal punto di vista economico, vale 7 miliardi di euro l’anno, di cui due terzi in capo al solo settore agroalimentare
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Parola d’ordine: eccellenza Da un’esperienza agricola che sa di antico a una scommessa commerciale che punta al futuro: “dare valore a ciò che è unico”. Nasce così, per idea dei coniugi Paiaro-Fracanzani, "Eccellenze Alimentari Italiane", un progetto ambizioso che seleziona le migliori materie prime e le prepara secondo ricette esclusive e metodi artigianali. Per proporle a chi sa riconoscere il meglio di Giorgio Pescaresi
Nove secoli di storia alle spalle e un’origine che affonda nel lontano Medio Evo. Loro, i titolari, rivendicano orgogliosamente le radici antiche di questa tenuta quasi millenaria che oggi è stata trasformata in un’azienda agricola moderna e all’avanguardia. Una conversione che, tuttavia, non è stata facile: Giannantonio Paiaro e la moglie Maria Fracanzani hanno dovuto profondere tempo, risorse ed energie per tradurre in pratica la loro idea-progetto. Solo la dedizione e uno spiccato spirito imprenditoriale hanno permesso che la società La Valle potesse affrontare le sfide della modernità. «Il segreto è stato intraprendere la strada dell’innovazione, riuscendo a coniugare abilmente tradizione e modernità» ribadisce Paiaro.
Sapori antichi, metodi moderni Oggi l’azienda La Valle produce cereali pregiati e ha avuto il merito di reintrodurre colture autoctone dimenticate, come alcune ricercatissime varietà risicole. Ma prima di mettere a frutto la sue attività agricole, ha do-
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vuto affrontare e risolvere diverse problematiche. La più difficile è stata appunto rendere moderna ma “sostenibile” la tenuta. Ossia rendere i terreni massimamente produttivi nel pieno rispetto dei cicli naturali. Per farlo, per realizzare quest’obiettivo, si è puntato molto sulla tecnologia e l’automazione, forti di un’estensione territoriale e di una dimensione aziendale che ha agevolato tali scelte. Una tecnologia che ha peraltro ottimizzato il processo produttivo, riducendo significativamente tempi e sprechi – soprattutto di acqua e concime – e che ha offerto al contempo il vantaggio di un più accurato (e puntuale) controllo di filiera. La sfida più delicata è stata invece la ristrutturazione del processo di raccolta, pulizia e conservazione, oggi messo a punto grazie all’installazione di appositi silos di stoccaggio, con una capacità complessiva di 30 mila quintali, ed essiccatoi dedicati, a basso impatto, alimentati dal calore proveniente dagli impianti a biogas. Un’altra scommessa alquanto impegnativa si è rivelata la gestione delle risorse idriche, cioè portare l’acqua nei
terreni quando manca, ed eliminarla quando è troppa. Questione tutt’altro che semplice, soprattutto negli ultimi anni, quando le precipitazioni meteorologiche hanno reso i terreni eccessivamente carichi d’acqua. Qui si è innestato anche il problema dell’irrigazione, superato felicemente grazie all’utilizzo di grandi macchine semoventi, che assicurano un apporto d’acqua sempre ottimale, impedendo qualsiasi ristagno. In questa visione d’insieme, non sono stati fatti sconti: un terreno idricamente problematico o non produttivo, perché mal lavorato o sabbioso, è stato oggetto di attento miglioramento fondiario, eliminando il problema.
La nuova sfida: valorizzare le “unicità” Ma in azienda c’è anche un nuovo motivo d’orgoglio, ed è l’ultimo frutto dell’imprenditoria ambiziosa e lungimirante dei coniugi Paiaro e Fracanzani. Si chiama Eccellenze Alimentari Italiane ed è una nuova firma gastronomica di alto livello, nata dall’idea di «dare valore a ciò che è unico». Attraverso Eccellen-
Cereali pregiati e ricercatissime varietà di riso: sull’intuizione di portare questi prodotti di altissima qualità direttamente sulla tavola, la società La Valle ha costruito una rete commerciale allargata che adesso punta a offrire le eccellenze alimentari al mercato mondiale
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Oggi l’azienda La Valle produce cereali pregiati e ha avuto il merito di reintrodurre colture autoctone dimenticate, come alcune ricercatissime varietà risicole. Sotto, Giannantonio Paiaro
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ze Alimentari Italiane, l’azienda oggi è in grado di proporre, a chiunque ne possa riconoscere il valore, prodotti rari e di nicchia, grazie alla selezione delle migliori materie prime, e preparati secondo ricette esclusive e metodi di preparazione artigianali. La mission di Eccellenze Alimentari Italiane è infatti quella di proporre un prodotto prezioso, per lo più destinato all’intenditore esigente o al gourmet che può apprezzarne la reale esclusività. È lo stesso Giannantonio Paiaro a spiegarci la ratio di questa nuova scommessa. «Un giorno, ci siamo detti: “Perché non portare il nostro prodotto direttamente in tavola?” – racconta lo stesso imprenditore – e la questione ha avuto un’evoluzione abbastanza naturale: avendo un controllo totale sulla produzione, a un certo punto quella strada era diventata inevitabile, essenziale, altrimenti si lavorava per nulla. Da lì in poi, il percorso è stato relativamente breve: trasformazione e poi commercializzazione. La storia del progetto EAI è molto curiosa, come tutte quelle che nascono un pò per caso. Avevamo fatto tutti quegli investimenti sulla produzione, avevamo tutta questa qualità e quindi ci siamo chiesti: “Che ne facciamo?” La risposta è stata spontanea: “Dobbiamo venderla!”. Abbiamo fatto quindi una disamina del mercato, del posizionamento, del marchio. Poi siamo entrati in contatto, quali candidati fornitori, con Eccellenze Alimentari Italiane, un marchio che
esisteva già e abbiamo aperto un dialogo con l’amministratore delegato. Ma ci siamo subito resi conto che la cosa migliore sarebbe stata rilevare l’azienda piuttosto che crearne una ex-novo. A quel punto avremmo dovuto impegnarci per valorizzare ulteriormente quell’intuizione di esclusività che corrispondeva esattamente alla nostra idea e ai nostri obiettivi. Quello che ci aspettiamo è una crescita solida e costante, con l’idea di fare il grande salto nel mercato mondiale. Il nostro non è stato un investimento sulla struttura ma sulle capacità: abbiamo le risorse umane per portare avanti questo progetto; abbiamo fiducia nelle persone con le quali lavoriamo e le abbiamo messe nella condizione di operare al meglio». Ma la rete commerciale EAI include anche altre aziende? «Precisiamo – sottolinea Paiaro –, io di uliveti non ne ho, come non possiedo vigneti, anche se non escludo di poterne avere in futuro. È evidente, dunque, che per certi prodotti mi devo appoggiare ad altre aziende. Dev’essere, però, assolutamente chiara una cosa: EAI rappresenta l’eccellenza, per cui ci sono due aspetti su cui non transigo, il controllo totale sulle materie prime e la garanzia di una solida esperienza produttiva. L’eccellenza è eccellenza, sempre, a tutto tondo. Non si entra nel paniere di EAI se non si eccelle, e se si entra e poi non si è in grado di mantenere questa eccellenza, l’uscita è la strada obbligata».
la storia in cucina
di Luca Campana
Pane, perna e fantasia Una lunga storia d’amore quella fra l’uomo e il re dei salumi, il prosciutto, che inizia nell’antica Roma – tra le legioni impegnate in Gallia o nei banchetti “alla Trimalcione” – e arriva fino ai giorni nostri
A Roma, nel cuore di quel Rione de’ Monti che domina i Fori imperiali, c’è via Panisperna. A molti questo luogo dirà ben poco: a qualcuno verrà forse in mente Enrico Fermi, il Regio Istituto di Fisica dell’Università di Roma e i suoi collaboratori – i ragazzi di via Panisperna, appunto – dove alla metà degli anni ‘30 furono compiuti gli esperimenti sulla radioattività che porteranno, nel giro di pochi anni, al primo reattore nucleare e alla bomba atomica. In pochi, tuttavia, collegheranno questa strada a uno dei cibi più antichi e “democratici” del mondo, l’archetipo dello street-food per antonomasia, ossia il panino, quel pane e prosciutto a cui via Panisperna sembra essere dedicata. Panis et perna, appunto, pane e prosciutto, come quello che la tradizione vuole che i frati della chiesa di San Lorenzo – costruita nel luogo esatto in cui il martire cristiano venne messo sulla “graticola” – distribuissero nel giorno della festa del santo, riprendendo, per altro una tradizione ancora più antica. Poco importa se per altri l’origine del nome della via è da ricercarsi, invece, nella corruzione dei termini palis (spranghe) e sterno (distendo), con un chiaro riferimento, dunque, al supplizio inflitto al martire Lorenzo: la storia d’amore tra l’uomo e il prosciutto – o, meglio, fra l’uomo e il maiale, da cui si trae il re dei salumi – è antica quanto quella della civiltà e segna una di quelle distinzioni che prima ancora di essere culturali e storiche, sono antropologiche e, quindi, religiose. Il mondo antico, che per quanto ci riguarda si identifica con il bacino del Mediterraneo, è diviso in due: da una parte, in quella 58
settentrionale, c’è l’orbe greco e romano, stanziale, dedito all’agricoltura e all’allevamento, che mangia il maiale. Dall’altra, in quella meridionale, ci sono le culture semitiche, quella ebraica prima e quella araba poi, nomadi che, invece, bandiscono il maiale – per ragioni sanitarie – dalle proprie cucine, traducendo in precise norme religiose questo divieto di consumo. Per fortuna, absit iniuria verbis, siamo nati dalla parte “giusta”, quella del Mare Nostrum, e il maiale e le sue carni, alle nostre latitudini, non sono un tabù. Maiale, dicevamo dunque. I nostri antichi – per dirla con Heidegger – sono stati grandi mangiatori della sua carne. Ma se per i ceti meno abbienti aggiungere una fetta di lardo salato alla zuppa di cereali è stata per secoli l’unica maniera di “ingrassare” la razione giornaliera di calorie, per quelli che potevano permetterselo, mangiare carni arrostite di maiale – in tutto simili alle nostre porchette – è stata, invece, una precisa scelta di gusto. Si può dire che nell’antichità, in Grecia come a Roma, non ci sia stato banchetto che non abbia proposto come piatto centrale un bel porco arrosto: come per altro testimoniano le fonti letterarie, da quelle omeriche alla celeberrima Cena Trimalchionis del Satyricon di Petronio Arbitro. Ma i Romani, favoriti in questo da un clima più mite rispetto alla Grecia, furono anche grandi stagionatori di salumi – lardo e pancette – e in particolare di prosciutti. Il prosciutto, com’è noto, è la coscia del maiale, salata e fatta essiccare all’aria e a Roma si distingueva col termine perna quello fatto con la coscia, la zampa posteriore, e con petaso quello fatto con la spalla, la zampa anteriore. Il prosciutto rappresentava, allora, un’ottima riserva di grassi e di proteine e per quest’ultima qualità divenne un alimento particolarmente indicato a chi conduceva un’intensa attività fisica all’aperto, come ad esempio i soldati. Si narra, infatti, che le legioni di Cesare, durante la campagna di Gallia, fossero solite svernare nel cuore della pianura Padana, una terra che amavano particolarmente e dove avevano per questo costruito una vera e propria “autostrada” militare, la via Emilia. E proprio nel cuore di quella pianura, per una delle bizzarrie della storia, gli eserciti di Cesare trovarono anche l’alimento che cercavano, di cui divennero grandi consumatori, inaugurando una tradizione che dura fino a oggi. Sì, perché proprio lì, dove i boschi di quercia erano talmente rigogliosi e così vicini al fiume – da cui arrivava il sale marino –, le genti del posto cominciarono a dedicarsi all’allevamento dei maiali, alla loro macellazione e alla conseguente produzione di salumi. Il prosciutto di Parma, ante litteram. Una tradizione arrivata fino ai giorni nostri e che nel corso dei secoli, favorita dal microclima particolare, ha saputo regalare alla tradizione culinaria italiana altri capolavori di gusto come il Culatello di Zibello, il Fiocchetto, la Spalla cruda di Palasone, lo Strolghino, il Salame di Felino. Ma queste sono altre storie.
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Il Grana Padano Record su record per il formaggio Dop più consumato nel pianeta e unico nel suo genere
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La pasta delle Marche Tour nel “granaio d’Italia” per scoprire storie e personaggi del nostro prodotto più amato
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La mozzarella campana La bufala Dop continua la sua crescita e diventa simbolo del made in Italy certificato
da pag. 78 Rubriche
• La scoperta • Girogustando • Il buono a tavola • Scienza e vita • Almanacco • Orto • Chef italiani nel mondo
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Grana Padano, formaggio da record Unico nel suo genere, è l’icona del buon gusto italiano a livello internazionale nonchè la Dop più consumata sulle tavole del pianeta. Soggetto a tentativi di imitazione in tutti i continenti, si distingue da prodotti stranieri fac-simile per la qualità del latte trasformato e la sua millenaria lavorazione che conferiscono alla pasta una fragranza inconfondibile di Rosanna Ercole Mellone
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Si fa presto a dire “grana”… ma l’unico formaggio sulla Terra a potersi fregiare dell’appellativo è quello Dop che proviene dai territori padani più ricchi di pascoli e bestiame, dal Piemonte al Veneto, fino a Trento a nord e Piacenza e Bologna a sud. Il Grana Padano, d’origini antichissime, gode fama internazionale e un vasto consenso, tanto da essere la Dop più consumata sulle tavole del pianeta e da venir riconosciuto come uno dei simboli principali del made in Italy. Il suo successo spiega perché all’estero si tenti spesso di copiarlo, ma invano. Anche la Corte di Giustizia Europea ha riconosciuto agli occhi del mondo questa verità inconfutabile per cui, essendo la denominazione inscindibile e protetta, a “Grana” va esclusivamente associato “Padano”, con riferimento alla zona d’origine.
Alla scoperta della qualità Dal 1954, il Formaggio Grana Padano viene tutelato da un apposito Consorzio che dal 1996 vigila sulla Dop. I produttori aderenti al marchio comunitario devono seguire il Disciplinare di Produzione, che detta le indicazioni sul processo lavorativo e sulle doti del formaggio. «Del Consorzio fanno parte 204 aziende, delle quali 147 sono caseifici», racconta il presidente Nicola Cesare Baldrighi. «La nostra posizione, a Desenzano del Garda, è nel cuore della zona di lavorazione che oggi è concentrata in 13 province. Nel 2011, le forme realizzate sono state 4.658.957, pari a 1.764.999 quintali di formaggio e 24.842.491 quintali di latte». Nell’ultimo anno, 1.334.300 forme del prodotto Dop più richiesto a livello mondiale, il 28% dell’intera produzione, hanno preso la via dell’estero, contrastando sosia, come il Grana Padona del Sud-America o i Pardano, Gradano e Padana sparsi tra Usa, Australia, Canada e Giappone. «Se non sono rispettate le procedure del nostro disciplinare, non parliamo di Grana Padano, ma di imitazioni», dichiara il presidente. «Inoltre, se una forma, pur prodotta in modo ineccepibile, non è giudicata perfetta dagli esperti, non riceve il marchio a losanga». A garanzia, il prodotto autentico riporta il contrassegno Dop, il Bollo CE, le piccole losanghe sullo scalzo con dici-
Un’età venerabile Il Grana Padano Dop festeggia più di 10 secoli di vita, dal momento che la sua data di nascita si aggira intorno all’anno Mille. A quei tempi, nella Pianura Padana, opere di bonifica delle terre e di canalizzazione delle acque fecero fiorire l’agricoltura e sviluppare di conseguenza l’allevamento dei bovini. L’esubero del latte derivato aguzzò l’ingegno degli agricoltori che, per non sprecarlo, affinarono le metodiche casearie. L’attuale Grana si deve ai monaci dell’abbazia di Chiaravalle che scoprirono nel 1135 la ricetta del formaggio a pasta dura, capace di conservarsi a lungo inalterato. Molti altri monasteri copiarono poi la formula del caseus vetus, o formaggio vecchio, che la gente padana ribattezzò formaggio di grana o semplicemente grana, in riferimento alla sua granulosità. Nei secoli, la produzione del particolare cacio si è diffusa e la popolarità del formaggio estesa oltre i suoi confini, grazie alla sua peculiarità di poter essere trasportato e venduto a grandi distanze.
Osservatorio vincente Nel 2006, il Nutri Award a Shangai, assegnato dalla FAO (Food and Agriculture Organization) e dalla Federazione mondiale dei produttori caseari; nel 2007, il Nutrigold a Milano, conferito dai dietologi riuniti a Congresso: l’Osservatorio del Grana Padano miete successi nel campo della comunicazione nutrizionale. Nato nel 2004, per l’impegno del Consorzio, in collaborazione con la FIMP-Federazione Italiana Medici Pediatrici e la SIMG-Società Italiana di Medicina Generale, l’OGP sta fotografando gli stili alimentari degli italiani, attraverso questionari elettronici, per identificare i principali errori nella dieta e diffondere la cultura della sana e corretta alimentazione. 63
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ture alternate “grana” e “padano”, il mese e l’anno di produzione, il logo con il codice del luogo di nascita e il “quadrifoglio” con la sigla della provincia e il numero di matricola del caseificio.
Bontà che si tramanda Nella produzione del Grana Padano Dop, nei secoli, quasi nulla è cambiato a parte l’avvento di nuove e migliori tecnologie. «Nella nostra area, per alimentare le mucche, sane e selezionate, utilizziamo i fieni prodotti nel nostro territorio», spiega il presidente della Latteria Sociale di Mantova, il dottor Fausto Turcato. «Mais e altre granaglie vengono tritate, pressate e riposte in “trincee”, per usarle quando occorre completare l’alimentazione degli animali con buone proteine vegetali». Il “codice” millenario del Dop prevede che il latte crudo della mungitura serale, parzialmente scremato per affioramento, sia mescolato con quello intero della mattina. Nella caldaia di rame, a campana rovesciata, in cui c’è posto solo per due forme di formaggio, il mix è sottoposto a cagliatura tramite inIl Grana nesto di caglio di vitello. La massa Padano rappresenta caseosa viene rotta con lo “spino” l’icona del buon gusto due volte, per ridurre i grumi in italiano, supportato anche da chicchi piccoli e uniformi, poi grandi chef che lo ritengono un cotta brevemente e infine sollealleato per valorizzare la vata dai casari con una pala e un creatività in cucina e per Il Grana Padano è una fonte di proteine ad alto valore biologico, telo, chiamato “schiavino”. Divicomunicare la genuinità vitamine B e sali minerali, soprattutto calcio e fosforo per le ossa sa in due forme gemelle e avvolta del made in Italy. in canapa o iuta, la pasta è collocata nelle fascere in cui viene pressata e rivoltata per tre giorni. Salata, con un bagno • Con la stagionatura, il Grana Padano subisce una serie di trasformazioni che migliorano le sue qualità. Tre diverse età del prodotto sono sein salamoia, e asciugata, la forma matura in locagnalate sulla crosta o sulla confezione da indicazioni utili per la scelta. li freschi e umidi per un periodo da nove mesi a • Fino a 16 mesi, il formaggio ha pasta granulosa e bianca con scarsa oltre due anni, durante il quale viene frequentetendenza a frantumarsi; il suo gusto è delicato, con profumi di latte e mente rigirata, spazzolata e raschiata.
La Dop si fa in tre
panna, ed è gradevole da pasto.
• Oltre 16 mesi, adatto per la grattugia, il formaggio risulta leggermente paglierino, granuloso e friabile a scaglie; i suoi aromi richiamano anche la frutta secca e il fieno. In bocca, la nota dolce cede a una discreta salinità. • Riserva oltre 20 mesi, il prodotto marchiato a fuoco Grana Padano Riserva ha colore omogeneo, struttura radiale a scaglia e gusto sapido, mai aggressivo, con aromi evoluti di burro e fieno e toni floreali di mais. Ottimo per condire primi piatti e con marmellate. 64
Gusto global Per riconoscere il vero Grana Padano servono i cinque sensi, come propone Daniele Bassi, consigliere nazionale dell’Onaf-Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi: «il prodotto si degusta al meglio prelevandolo, con un coltello a goccia, da una forma piuttosto grande, in modo
da poter rompere a scaglie la pasta granulosa. La scaglia, portata alle narici, sviluppa un odore intenso e persistente di foraggio essiccato, di frutta esotica e di animale. In bocca, dopo una breve masticazione, la pasta risulta granulosa ma molto solubile, con sapore dolce, sapido e mai piccante, e rivela gli aromi del lattico cotto, del tostato e del brodo di carne, tipici di un formaggio di lunga stagionatura. Con il prodotto grattugiato, ottimo per gratinare, mescolato al pane grattato, si ottengono originali cialde, riscaldandolo su piastra. Il Grana Padano si abbina bene con la mostarda di zucca o con il miele di castagno, si accompagna a un pane ricco di mollica o viceversa biscottato e pretende vini rossi di corpo, anche se con lo spumante diventa un protagonista dell’aperitivo». L’appeal della “gloria” padana continua nell’organismo grazie alle virtù nutrizionali, come pronta assimilazione e alta digeribilità, dovute alla stagionatura. Il Grana è una fonte di proteine ad alto valore biologico, vitamine B e sali minerali, soprattutto calcio e fosforo per le ossa.
A lezione di Dop Per informare il pubblico sui plus del Dop, il Consorzio intraprende campagne di educazione alimentare e iniziative, come A scuola di cucina con Grana Padano, per gli Istituti Alberghieri, oppure Gusta la Qualità in collaborazione con Regione e Unioncamere della Lombardia. «In tutto il mondo – riferisce Baldrighi – Grana Padano rappresenta l’icona del buon gusto italiano, supportato anche da grandi chef che lo ritengono un alleato per valorizzare la creatività in cucina e per comunicare la genuinità del made in Italy. Con il progetto Grana Padano Taglio Sartoriale ogni ristoratore aderente può scegliere la stagionatura del formaggio, dai 9 agli oltre 24 mesi, più adatta a esaltare i suoi piatti». Promuovere la nostra cultura enogastronomica in Italia e all’estero è un riconoscimento per chi opera con pas-
Il prodotto autentico riporta il contrassegno Dop, il Bollo CE, le diciture alternate “grana” e “padano”, il mese e l’anno di produzione, il logo con il codice del luogo di nascita e il “quadrifoglio” con la sigla della provincia e il numero di matricola del caseificio
sione e un valido contributo per informare i consumatori sui numerosi taroccamenti dei prodotti italiani di qualità. «Poiché bisogna fare bene e farlo sapere, abbiamo scelto per il 2012 un piano d’investimenti in comunicazione e promozione di 25 milioni di euro, con una quota destinata all’estero di ben 10 milioni», aggiunge il presidente, «Perciò partecipiamo a numerose manifestazioni di rilievo in Italia e all’estero, come la NYC Marathon, il Fancy Food di Miami, Alimentaria di Barcellona e molti altri, fino al Giappone e alla Cina. Con la presenza costante, tuteliamo il mercato dall’attacco dei similari, senza provenienza in etichetta e ingannevoli per i consumatori, a causa dei nomi italiani con a fianco il termine “Gran”».
Assaggi-saggi di Grana Padano Dop Consorzio per la tutela del Formaggio Grana Padano Via 24 Giugno, 8 Fr. San Martino della Battaglia, Desenzano del Garda (Bs) Tel. 0309109811 www.granapadano.com Onaf-Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi Via Castello, 5 Grinzane Cavour (Cn) Tel. 0173231108 www.onaf.it Latteria Sociale di Mantova Via Fratelli Kennedy, 48 Loc. Sant’Antonio, Porto Mantovano (Mn) Tel. 0376390808 www.elleesseonline.it
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Marche, dal suo grano la pasta più amata Lo Stato Pontificio trasformò la Marca sporca (il Maceratese, fin quasi ad Ancona e giù verso Ascoli) nel granaio del centro Italia. Oggi, nella patria di Nazzareno Strampelli, che al cereale legò l’ingegno, ci sono templi della lavorazione artigianale noti nel mondo. E tante storie di passione di Olga Carlini
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Se scendendo giù da Colfiorito, lasciando sulla destra l’incanto del Parco dei Sibillini, vi fate trasportare lungo la valle del Chienti o del Potenza e alzate lo sguardo alle colline, vedrete che hanno un verde cupissimo sugli apici e i fianchi sembrano sbiaditi. Ci credereste? È colpa del grano che fu. Erano queste le terre dei Varano, signori di spada, di fede e di commercio. Se vi avanza del tempo, andate a Camerino ad ammirare i lasciti architettonici e di sapienza di questa dinastia così poco celebrata e in realtà paragonabile ai Medici (ovviamente in sedicesimo) per acume politico, solidità finanziaria e mecenatismo. Che c’entra – direte – tutto questo con il grano? C’entra, perché caduti i Varano, lo Stato pontificio spinse le loro coltivazioni di cereali fin quasi in vetta ai monti, disboscando per far posto alle sementi, e trasformò così la Marca sporca (il Maceratese, fin quasi ad Ancona e giù verso Ascoli) nel granaio del centro Italia
Marche
come già avevano fatto i Medici con la Val d’Orcia e con il Senese. Giunti quasi a Tolentino, vedrete la Rancia, il granaio fortificato dell’abbazia cistercense di Fiastra, che resta a ricordarci il mare di spighe che tra i Sibillini e l’Adriatico ondeggiava ai venti di Levante. Tanto che, da queste parti, perfino un paese ha a che fare con le spighe nel nome, Montegranaro, oggi fiorente di industrie di scarpe, ieri terra di mezzadri e di agrari. E un altro, Campofilone, è diventato la capitale mondiale dei maccheroni.
Ibridi d’autore Ma se per parlar di pasta e di grano in questa parte magnifica e ascosa d’Italia bisogna mettere in fila i Varano, il Papa e le Fortezze, una ragione c’è. Si chiama Nazzareno Strampelli, nato a Crispiero, un minuscolo borgo a mezz’ora di cavallo da Camerino, che studiò in quell’Università e fece le prime vere ibri-
Strampelli, il profeta del grano Hanno fatto anche un film su di lui, ma è rimasto nelle cineteche. Nazzareno Strampelli è un monumento della scienza in Italia, ma è misconosciuto. Ha vissuto inseguendo un progetto visionario: inventare un grano che sfamasse i contadini, che producesse tanto da migliorare la vita della gente dei suoi campi. Era nato a Crispiero, nel 1866, e conosceva il sapore della fame di quella gente che viveva separata da un fiume e aggrappata alla montagna a ridosso di Castelraimondo nella parte più nascosta del Maceratese. Da lì era partito per studiare agraria a Pisa, era tornato a Camerino per studiare l’ibridazione dei cereali. Aveva fondato a Crispiero la prima società operaia e contadina di mutuo soccorso ma fu accanto a Mussolini nella Battaglia del grano. I gerarchi lo vollero senatore, ma lui scrisse al Duce: «La vita del parlamentare non fa per me». E se ne tornò a Rieti a ibridare piante, a inventare oltre 20 tipi di grano che sono finiti dal Messico alla Cina. Fece in contemporanea a Mendel, senza conoscere gli studi dell’austriaco, esperimenti sull’ibridazione, ma quando li conobbe dedicò a lui e non a se stesso il grano migliore che abbia mai creato. Avrebbe potuto vincere il Nobel, e infatti Norman Borlaug l’ottenne ispirandosi agli studi di Strampelli, ma preferì continuare a lavorare per i suoi contadini a Rieti. Con i suoi grani non fece “il grano”; è morto nel ‘42 in piena Seconda Guerra mondiale sperando che il grano producesse il pane della pace, ma oggi se a Macerata chiedete chi era Nazzareno Strampelli forse non sanno rispondervi. A Crispiero sì, ma sono rimasti in 500. Anche se ogni giorno qualcuno nel mondo si sfama con un grano di Strampelli.
dazioni di grano. Avrebbe meritato il Nobel, ma preferì la gratitudine dei contadini andando con le cattedre itineranti di agricoltura in giro per l’Italia di Mezzo fino ad approdare a Rieti. Lui ha lasciato a queste terre l’amore per il grano. Vi basta affacciarvi, proprio lì a Camerino, alla porta del Pastificio che reca il nome della città per scoprire donne che ancora in modo semiartigianale modellano – perché il gesto di far la pasta ha un archetipo d’arte – con i grani di Strimpelli, tagliatelle e gobbetti, maccheroni e chitarrine. Confezione spartana, nessuna pubblicità: qualità da vendere in una pasta all’uovo che sembra la cifra dei pastifici maceratesi. Forse influenzati dalle due ricette più popolari e peculiari di queste terre: i tagliulì pelusi e i mitici vincisgrassi, che a chiamarli lasagne, a queste latitudini, c’è da farsi scomunicare.
Qui sotto, il borgo di Campofilone, in provincia di Fermo, patria dei celebri maccheroncini
Gioielli di bontà e di etica Perché c’è un’altra storia che è un grano d’amore e sentimento di ostinazione da narrare. È quella di Luigi Donnari, con la testa in continua centrifuga di progetti, che ha terra e grano e per campare continua a fare il ragioniere, anche se dal 2001 ha messo le mani in pasta. E che pasta! È la Pasta di Aldo: la consuma la corte Windsor, ne vanno pazzi gli americani, ed è quasi introvabile perché la signora Maria, la moglie di Aldo, nel piccolo laboratorio di Monte San Giusto riesce a tirarne al massimo 50 chili al giorno. Ma Luigi non smette di sperimentare e ora s’è provato anche con il grano saraceno, con la semola tostata e con il farro. Già il farro. Se il grano è l’oro di Strampelli, il farro è il simbolo dell’identità picena. Era il cereale della fertilità, tanto che i romani, copiando dai piceni, dettero alla conffarratio – lo scambio rituale tra gli sposi di due ciotole di farro – il significato del contratto matrimoniale. C’è tutto in questa pasta delle Marche. C’è
anche l’idea impareggiabile dei Mancini di trasformare il loro grano, stavolta duro, in un inno alla campagna. Stanno a Monte San Pietrangeli, altro minuscolo paese che si divide tra le scarpe e i campi, e hanno scelto per slogan un’affermazione che è paradigmatica: dal nostro grano la vostra pasta. Sì perché questo è un esempio di filiera cortissima. Ha cominciato il papà Giuseppe Mancini ad allargare l’azienda: da 20 a 70 ettari. Poi Massimo – che all’università ha studiato i testi di Strampelli –si è messo a selezionare i grani duri e anche lui ha avuto l’idea di trasformare il suo grano in spaghetti. Nasce così un gioiello gastronomico. Pochissima produzione, packaging di design, prodotto di straordinaria fragranza. Solo otto tipi di pasta – tre lunghi e cinque corti – ottenuti da grani San Carlo, Ariosto e Levante, trafile in bronzo per realizzarla, fino a 60 ore di essiccazione per restituire una
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Successo planetario A citare i maccheroncini di Campofilone in giro per il mondo si fa sempre un figurone. Questo particolare formato, infatti, è uno dei simboli principali, oltre i confini nazionali, dell’eccellenza nazionale in tema pasta. Che per altro è, lo sappiamo bene, un prodotto amato ai quattro angoli del globo. A dimostrarlo in modo inequivocabile l’organizzazione annuale, ogni 25 ottobre, del World Pasta Day, Giornata Mondiale della Pasta itinerante che, lo scorso anno, si è svolta proprio a Roma. E per renderci conto di quanto il tema sia all’ordine del giorno, proprio in occasione del meeting, si è svolto il congresso “Pasta, sfida globale. Nuovi mercati e nuovi consumatori per l’alimento che sta conquistando le tavole del mondo”. Incoraggianti i dati emersi: studi AIDEPI hanno infatti dimostrato come, anche nel 2011, l’industria italiana della pastificazione ha conquistato il podio con 3.247 milioni di tonnellate prodotte, di cui oltre la metà destinate ai mercati esteri (per capirci: un piatto di pasta su 4 tra quelli Nel 2011 mangiati nel mondo è prodotto in Italia!). Sempre in occasione l’industria italiana della manifestazione, Coldiretti della pasta ha raggiunto ha evidenziato come, negli ultimi dieci anni, in Cina la i 3.247 milioni di tonnellate Il discorso pasta è legato a doppio filo a quello del recupero delle biodiversità: i dati ci dicono infatti che i consumi di pasta e riso biologici nei primi quattro pasta italiana hanno vissuto prodotte, mesi del 2011 sono cresciuti a un ritmo vertiginoso, superiore al 30% un vero e proprio boom, di cui oltre la metà con le esportazioni che sono aumentate di 5 volte, alle quali si destinate ai mercati è aggiunto, nei primi sei mesi del esteri 2011, un aumento record del 30% volta cotta il gusto degli amidi, rispetto al primo semestre dell’anno il profumo dei campi. E poi qualprecedente. Buone notizie arrivano cuno osa dire che la storia non coninoltre in ambito biodiversità: ISMEA infatti ha certificato che i consumi di pasta e riso biologici ta e che la gastronomia può non collegarsi nei primi quattro mesi del 2011 sono cresciuti a alla terra. Ma è anche impegno sociale. Lo ha un ritmo vertiginoso, superiore al 30%. A questo dimostrato Enzo Rossi, il titolare de La Camproposito, Andrea Ferrante di AIAB, ha approfittato pofilone che scioccato dall’inflazione, dall’eroper sfatare un mito legato al mondo bio, ovvero “il pregiudizio che vorrebbe i prodotti biologici sione dei salari, qualche anno fa ha provato a come cari e per pochi. I prezzi della confezione da vivere con lo stipendio di uno dei suoi operai. mezzo chilo della pasta bio (grano duro) variano, a «Al 20 del mese avevo finito i soldi. Sono torseconda dei canali di vendita, tra un minimo di 1,05 nato in fabbrica e ho dato a tutti un aumento euro a uno massimo di 1,49 euro. Non un costo esagerato, quindi, tanto più se confrontato con il netto di 200 euro in busta paga – racconta – prezzo di listino di alcune marche leader della pasta le donne che impastano i miei maccheroncini tradizionale, vendute a 1,29 euro”. Insomma, quello hanno diritto a una vita dignitosa». Un mesdella pasta italiana di qualità è un mercato vincente nel mondo, e non solo per i grandi produttori saggio che si riflette anche nel modo in cui La ma anche, e soprattutto, per tutte quelle piccole Campofilone, la maggiore azienda del paese – realtà che si distinguono per le produzioni bio e incantevole in provincia di Fermo, diventato la l’attenzione a una materia prima genuina e dalle capitale dei maccheroni – fa la pasta. radici ben piantate nella storia locale.
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Fidatevi: è una bufala, ma è Dop Campania
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La mozzarella campana continua la sua crescita e conquista i mercati stranieri diventando simbolo del made in Italy “certificato”. Un prodotto senza eguali in tutto il globo. Come la Reggia di Caserta e i templi del Cilento, le altre meraviglie della sua terra di origine di Rosalia Imperato Mozzarella campana ‘n’coppa al mondo. Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Svizzera, Paesi Bassi, Scandinavia, Russia, e ancora Stati Uniti, Canada, Giappone: quella della bufala Dop sui mercati esteri è una crescita inarrestabile. A superare i confini nazionali, conquistando e seducendo i palati di tutto il mondo, sono stati ben 10 milioni di kg di pasta filata, pari a 80 milioni di mozzarelle. Ormai si esporta ovunque. «La mozzarella di bufala campana Dop – dichiara Antonio Lucisano, general manager del Consorzio di Tutela del prodotto – non ha sul mercato veri e propri competitor. È un prodotto unico che fuori dai confini della sua terra di origine diventa altro: una mera imitazione che nulla ha a che vedere con la bontà della mozzarella di bufala campana certificata». «Questo formaggio fresco – continua Lucisano – seduce per le sue qualità organolettiche, per la sua consistenza, per il suo profumo. Il latte di bufala è dolce, ma con una componente acida leggera data dalla presenza degli enzimi, leggermente più ricco di proteine e di grassi del latte vaccino e quindi più strutturato. Tutte queste caratteristiche rendono il prodotto finale delicato, soave, ma al tempo stesso molto complesso. Un prodotto dalle diverse sfumature, che ben si presta a matrimoni gustativi difficilissimi per altri formaggi».
Storia, produzione e peculiarità Il termine mozzarella, che deriva da mozzare, operazione praticata ancora oggi in molti caseifici, che consiste nel taglio manuale della pasta filata, effettuato con indice e pollice (mozzatura), appare per la prima volta nel XVI secolo (1570) in un testo di cucina di Bartolomeo Scappi, cuoco della corte papale. Ma risalirebbero al XII secolo le prime tracce della presenza del prodotto sul territorio: da un documento ritrovato nell’Archivio Episcopale di Capua si evince che i monaci del monastero di S. Lorenzo in Capua erano soliti offrire una mozza o provatura con un pezzo di pane ai pellegrini che si recavano in processione in quella chiesa. Questo delizioso formaggio fresco, che dal XVIII secolo si produce su vasta scala, si ottiene addizionando al latte intero di bufala il siero innesto del giorno prima e il caglio di vitello. Coagulato il latte in 20-30 minuti, si rompe grossolanamente la cagliata in grumi della grandezza di una noce e la si lascia poi maturare sotto siero caldo per 4-5 ore. Al termine della maturazione la cagliata viene ridotta a strisce, posta in appositi recipienti dove, con l’aggiunta di acqua a 95°, viene sottoposta alla filatura, operazione effettuata tirando continuamente la pasta con un bastone. Si passa quindi alla mozzatura o formatura, tagliando la pasta in pezzi di peso diverso secondo le esigenze di produzione. Viene quindi prima posta in acqua fredda per pochi minuti e poi in salamoia per la fase di salatura. La bufala campana Dop è un formaggio fresco a pasta filata con sfoglie sottili, leggermente elastico nelle prime 8-10 ore, poi sempre più fondente. La forma è tondeggiante, ma può anche presentarsi in altre forme, quali bocconcini, nodini, trecce, e il peso è variabile da 10 a 800 gr. La superficie è liscia e di colore bianco porcellanato. Al taglio, per leggera compressione, rilascia un liquido sieroso di colore biancastro. Il sapore è tipico di latticino fresco, tendente all’acidulo. L’odore è fragrante e dolce, con una nota di latte lievemente acidulo e sfumature che dipendono dal tipo di foraggio con cui sono state nutrite le bufale: muschio, erba selvatica, ma anche gine-
In alto, il momento della filatura manuale della mozzarella di bufala. In cucina è perfetta nella preparazione della pizza napoletana; ottimo l’abbinamento con vini giovani e dal sapore asciutto che ne esaltano le qualità organolettiche
Numeri che parlano Secondo l’ultimo rapporto Qualivita, la carta d’identità Ismea delle eccellenze a denominazione di origine, il made in Italy “certificato” vale 10 miliardi di euro. «Anche il 2011 - spiega Arturo Semerari, presidente Ismea conferma l’andamento positivo per i prodotti agricoli e alimentari di qualità, sia con il riferimento ai consumi interni che alle esportazioni». E la mozzarella di bufala campana Dop è tra i prodotti che crescono di più. I dati relativi al 2011 registrano una crescita della produzione pari al 4%, passata dai 36 milioni di kg del 2010 ai 37 milioni 500 mila del 2011. Dati positivi anche nel fatturato alla produzione (+4,5%) passato da 306 milioni a circa 320 milioni di euro e nel fatturato al consumo che ammonta a circa 500 milioni. Nel 2011, infatti, l’export si attesta al 25% sul totale della produzione con un balzo in avanti del 5% sul 2010, in linea con tutto il comparto lattiero caseario, che registra un + 5,79% (dati Ismea).
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La Reggia di Caserta, ultima grande opera del Barocco italiano, fu terminata nel 1845. Con la sua suggestiva Sala del Trono e il Museo dell’Opera, di straordinaria bellezza, è solo una delle meraviglie sparse sul territorio della mozzarella di bufala Dop
stra, mandorla, miele, crema. La mozzarella è venduta sfusa o confezionata in vaschette o sacchetti di plastica. Si conserva a temperatura ambiente, per 24-28 ore, immersa nel liquido di governo. La si può gustare da sola o in abbinamento con dei deliziosi pomodori maturi. In cucina è perfetta per la realizzazione di primi e secondi piatti mediterranei o nella preparazione della pizza napoletana. Ottimo l’abbinamento con vini giovani e dal sapore asciutto che ne esaltano le qualità organolettiche.
Dalle Valli del Volturno al Cilento: le terre della mozzarella
In queste immagini il Palazzo Reale di Caserta, con i suoi interni fastosi ma, soprattutto, il suo immenso parco, animato da fontane e giochi d’acqua. A destra uno scorcio di Paestum
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Il nostro viaggio alla scoperta delle terre della mozzarella di bufala campana Dop comincia nelle Valli del Volturno. Partiamo dallo splendido litorale domiziano: Baia Domizia, Mondagrone, Capo Miseno, Castel Volturno, Marina di Varcaturo, suggestive località turistiche dove è possibile lasciarsi incantare da fortezze, castelli e ville antiche. A pochi chilometri dalla costa, la città di Caserta. In questo luogo sorge la Reggia di Caserta o Palazzo Reale di Caserta, dimora del XVIII secolo, proclamata dal 1997 Patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Il Palazzo Reale, voluto da Carlo di Borbone, figlio del re Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, per celebrare l’importanza europea raggiunta dal Regno di Napoli, fu realizzato da Luigi Vanvitelli che si ispirò per il progetto alla Reggia di Versailles. La Reggia di Caserta, definita l’ultima grande opera del Barocco italiano, fu terminata nel 1845, risultando un grandioso complesso che si estende su una superficie di 47.000 mq e possiede 1.200 stanze. Meravigliosa e suggestiva la Sala del Trono, il luogo dove il Re amministrava la giustizia, riceveva ambasciatori e delegazioni ufficiali e teneva i fastosi balli di corte. Di straordinaria bellezza il Museo dell’Opera, con disegni e modelli del palazzo realizzati da Vanvitelli, e il piccolo e raffinato Teatro di Corte, palcoscenico delle opere liriche di Giovanni Paisiello (1740-1816) e di Domenico Cimarosa (1749-1801). All’esterno del Palazzo Reale l’immenso e sorprendente par-
co, animato da fontane e giochi d’acqua. Prima di lasciare questa zona, un altro luogo di incredibile fascino merita una piccola sosta. È l’antica Caserta, Casertavecchia, un borgo medioevale dove è possibile scoprire siti unici come il Duomo di San Michele Arcangelo del XI secolo e la contigua chiesa dell’Annunziata. Spostandoci poi nella zona meridionale della Campania, nel meraviglioso Parco Naturale del Cilento e Vallo di Diano (dal 1997 dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità), giungiamo a Paestum. Il paese è noto soprattutto per i grandi templi: il Tempio di Hera, il Tempio di Nettuno e il Tempio di Athena. Il Tempio di Hera o Basilica di Herathos (540 a.C.), è il tempio più antico e reca i segni della sua arcaicità in alcune peculiarità strutturali, ad esempio nella peristasi enneastila sui lati brevi, con una colonna in asse, esclusa dalle forme canoniche successive. Il Tempio di Nettuno (530 a.C.) è il più grande e mostra le forme mature del tempio di Zeus di Olimpia. Il Tempio di Athena (500 a.C.), un tempo Tempio di Cerere, è il più piccolo e presenta colonne doriche nel peristilio e ioniche all’interno del pronao. Spostandoci da Paestum nel vicino comune di Ascea è possibile visitare l’antica città di Velia. Uno degli elementi di maggior richiamo di questi scavi è la famosa Porta Rosa, unico esempio di arco greco del IV secolo, un vero gioiello dell’architettura dell’epoca.
Scelti per voi dove mangiare Le Colonne Senza dubbio uno degli indirizzi più interessanti della zona e il merito di questo successo è soprattutto di Rosanna Marziale che è riuscita a creare e offrire una cucina innovativa che pone al centro le eccellenze del territorio casertano, i prodotti bufalini in particolare, e soprattutto la mozzarella Dop, per la quale è stata nominata dal Consorzio di Tutela Ambasciatrice nel mondo. Prezzo medio: 65 euro V.le Douhet, 7 - Caserta Tel. 0823467494 Da Nonna Sceppa Un locale piacevole e accogliente dove la famiglia Chiumeno propone una buona cucina realizzata con i prodotti locali di mare e di terra d’indiscutibile freschezza e qualità. Non mancano mai il pescato del giorno e neppure la mozzarella di bufala. Prezzo: medio 45 euro loc. Laura Via Laura, 45 - Capaccio-Paestum (Sa) Tel. 0828851064 Da Carmelo Un piccolo e piacevole locale dove Carmelo e Maria ti accolgono con i sapori e i profumi della cucina marinara. Si può cominciare con un carpaccio di pesce o con alici marinate e imbottite. Proseguire con gli spaghetti con trito di gamberi e peperoncino. Continuare con il pescato alla griglia o al forno o con una frittura mista e concludere con i dolci della casa. Prezzo medio: 35 euro loc. Isca SS 562 - Palinuro (Sa) Tel. 0974931138
dove dormire Holiday Inn Resort Naples Castel Volturno Nel verde di una magnifica pineta sorge l’hotel Holiday Inn Resort Naples Castel Volturno. A disposizione degli ospiti camere arredate con gusto e sobrietà e dotate di tutti i comfort più moderni. Camera doppia da 225 euro loc. Pineta Mare Via Domitiana km 35,300 - Castel Volturno (Ce) Tel. 0815095150
Paistos petit hotel de charme Un piccolo albergo di charme per godere della pace e della tranquillità che sa suscitare il mare. A disposizione degli ospiti camere ampie e luminose, arredate in stile mediterraneo e fornite di tutte le necessarie comodità. Il ristorante propone piatti a base di prodotti locali ed etichette della zona. In estate la cena viene servita all’aperto nella bella terrazza. Camera doppia 110 euro Via Laura Mare, 39 - Capaccio-Paestum (Sa) Tel. 0828851683 La Torre A pochi passi dal porticciolo e all’ombra di un’antica torre saracena sorge l’hotel La Torre. La struttura dispone di camere allestite con eleganza e sobrietà e dotate di tutti i comfort. A disposizione degli ospiti spiaggia privata e ristorante con cucina tipica. Camera doppia da 250 euro Via Porto, 5 - Palinuro (Sa) Tel. 0974931264
dove comprare Cooperativa agricola Salicella Accanto alla produzione di ottime mozzarelle, disponibili nelle diverse pezzature, è possibile acquistare anche ricotta fresca, caciotte e scamorze affumicate, tutto prodotto con latte di bufala. Via Sant’Andrea, 1 Carinola (Ce) Tel. 0823700963 Matra Il posto ideale dove acquistare i prodotti tipici del Cilento contraddistinti dai marchi Igp, Dop e i prodotti dei presidi Slow Food del territorio. Via Magna Grecia, 212 - Capaccio-Paestum (Sa) Ilario Il Salumiere In questa deliziosa gastronomia si trovano in vendita le specialità tipiche della zona: mozzarella di bufala, cacioricotta cilentana, prosciutto di Casaletto, soppressa di Gioi, soppressata di Ricigliano, salame di Stio, guanciale di Cicerale, miele del Parco del Cilento, olio delle colline salernitane, conserve, confetture e le grandi etichette del territorio. loc. Capaccio Scalo Via della Repubblica, 5 Capaccio-Paestum (Sa)
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Alicos – azienda di Salemi celebre per la sua produzione di tipicità trapanesi realizzate seguendo i dettami della tradizione, con un occhio aperto sulle attuali esigenze dei consumatori – propone una sfiziosa carrellata di gustose novità. Su tutte la Salsa pronta di pomodoro ciliegino e peperoni
Dopo il grande successo della Salsa pronta di pomodoro ciliegino e datterino, l’azienda Alicos ha voluto ancora un volta deliziare il palato dei suoi affezionati clienti allargando la gamma dei sughi pronti, introducendo la Salsa pronta di pomodoro ciliegino e peperoni. Così come la “sorella”, questa nuova delizia del palato, è un condimento pronto da utilizzare sulla pasta o come base per la preparazione di sughi per carni, ma con un sapore più deciso. Gli ingredienti sono semplici: pomodoro ciliegino, peperoni tagliati a pezzettini, olio extra vergine di oliva, basilico e sale. La produzione della salsa avviene in modo semplice e secondo i canoni della tradizione: il pomodoro viene cotto in pentoloni e poi si fa sgocciolare, si passa e la salsa ottenuta si fa cucinare aggiungendo olio e basilico e solo alla fine si aggiungono i peperoni, cucinati e preparati a parte, al composto. Dopo di che le bottiglie si sterilizzano a bagnomaria. Niente a che vedere insomma con gli odierni processi industriali meccanizzati. La bottiglietta usata per la salsa è quella classica, che si è sempre utilizzata in ambito familiare e che usa-
foto: Timpone L.
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Nuovo gusto alla vita
I segreti del successo Sughi pronti e preparati per bruschetta sono tutti realizzati con l’utilizzo di olio extravergine di oliva Halycos, ottenuto principalmente da piante di Cerasuola impiantate nel 1929, che porta ai prodotti quel loro sapore caratteristico e quel profumo da cui è impossibile non rimanere incantati. Peculiarità dell’azienda è, inoltre, la trasformazione dei prodotti orticoli nella loro stagionalità, per cui vengono lavorati tutti dal fresco per preservarne in maniera ottimale la fragranza e il gusto, e vengono conditi solo con olio extravergine di oliva, senza l’aggiunta di conservanti.
va la nonna quando preparava la salsa per l’inverno; nella cucina povera infatti si cercava sempre di riciclare quello che era disponibile e che non si doveva comprare, e queste bottiglie erano, ad esempio, quelle usate per la birra. Quindi si è cercato di mantenere la tradizione, però vestendola con un tocco di modernità. Non solo peperoni Ma la Salsa di pomodoro ciliegino e peperoni è solo una delle nuove meraviglie della famiglia dei sughi pronti Alicos. Accanto a questa si annoverano infatti anche il Sugo pronto all’ortolana, gustosissimo e ottenuta da pomodoro ciliegino a cui si vanno ad aggiungere croccanti verdure soffritte tagliate a dadini (melanzane, peperoni e poi cipolla, sedano e carote), il deciso pesto siciliano, realizzato con ingredienti semplici, come vuole l’usanza sicula, e infine il delicato pesto trapanese, tipico condimento che viene abbinato alla caratteristica busiata trapanese. Questi condimenti, ottimi nella realizzazione di primi piatti, sono ideali per chi vuole preparare un piatto unico, veloce, ma senza rinunciare al gusto. Altra new entry nella gamma dei prodotti Alicos, sono i condimenti pronti per bruschette, tutti a base di pomodoro fresco tagliato a dadini e conditi con olio extravergine di oliva, aglio e basilico con quattro varianti: bruschetta con pomodoro e pomodoro secco, bruschetta con pomodoro e basilico, bruschetta con pomodoro e melanzane e infine bruschetta con pomodoro e peperoni, ottimi per la realizzazione delle classiche bruschette, secondo le regole della tradizione siciliana campestre. Alicos Via M. Cremona, 21 - Salemi (Tp) Tel. 0924983348 - www.alicos.it
Un legame a doppio filo quello di Alicos con le tradizioni di Salemi. A sancire il successo dell’azienda infatti la ricerca continua di nuove ricette non scritte, ma tramandate nei secoli di madre in figlio, per riscoprire i gusti della tradizione, nonché la selezione accurata di materie prime prodotte sul territorio
Appuntamenti con il gusto Alicos è presente ogni anno agli appuntamenti più importanti del settore: Sapore a Rimini, Sol di Verona e, a Maggio, Cibus a Parma. I prodotti si possono degustare e acquistare nelle migliori gastronomie, ristoranti, wine bar e nei negozi di prodotti tipici, in tutta Italia.
la scoperta
di Riccardo Lagorio
Il Chiaretto di Cavaglià Un vino – ma il termine è assai riduttivo – per pochi. Riservato, per diffusione e conoscenza, solo ai cultori e agli appassionati. La storia ci racconta che ha accompagnato le meditazioni in montagna di prelati buongustai. Colore giallo ambrato e profumo di prugna secca, il suo sapore è così intimo che l’unico abbinamento possibile è con se stesso
Assai celebre e apprezzato durante la prima metà dell’Ottocento, il Chiaretto di Cavaglià è oggi un vino riservato ad appassionati, rinvenibile esclusivamente nel circondario, ma soprattutto fuori dai circuiti commerciali. Bisogna battere casolare dopo casolare per trovare infine qualche contadino disponibile a stappare una bottiglia di vino – ma il termine vino è assai riduttivo – pigiato magari decenni prima e conservato in un angolo della cantina, spesso irrituale, senz’altro molto fuori dalle moderne idee di cantina. Facciamo un po’ di storia, in sintesi. Nel 1834 Goffredo Casalis inserisce nel suo Dizionario geografico, storico ed economico il Chiaretto di Cavaglià tra i più apprezzati della zona e utile a procurare lucro; nel 1838 Attilio Zuccagni Orlandini nella Corografia d’Italia riprende i concetti e racconta di vigneti sparsi per il territorio e coltivati con industriosa attività, ragione del considerevole lucro che gli agricoltori e i possidenti ne traggono; nel 1931 la Guida Gastronomica d’Italia edita dal Touring Club lo definisce vino rosso chiaro che si produce nei vigneti circostanti a questo paese. Utili riferimenti che però non dicono nulla sulla natura del prodotto. Bisognerà attendere il mantico Vino al vino di Mario Soldati, nel 1977, per averne almeno una vaga rappresentazione nella leggenda dei Tre Vescovi. Al centro della catena delle Alpi Biellesi si trova, infatti, la vetta dei Tre Vescovi, detta così perché alla confluenza di tre vescovadi limitrofi: Ivrea, Aosta e Biella. Si narra che, un giorno, i tre prelati si fossero dati appuntamento sulla vetta e ciascuno di loro avesse portato le migliori vi-
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vande dei luoghi amministrati. E con le vivande, i vini. Nella gerla del vescovo d’Ivrea, Erbaluce bianco e secco, Passito di Caluso e Chiaretto di Cavaglià, serbati per il dessert. Qui si inizia a configurare appunto il Chiaretto di Cavaglià come vino da dessert. Nulla però si dice sulle modalità di produzione. Sul luogo si ottengono informazioni esaustive. Oggi 30 ettari vitati; 300 negli anni Settanta. Vigne perlopiù di Erbaluce e Uva Rara, altrove detta Bonarda ovvero Bonarda di Cavaglià. La raccolta dell’uva per il Chiaretto di Cavaglià avviene a giusto punto di maturazione mentre i grappoli migliori subiscono un appassimento in cassetta sino a febbraio, talvolta a marzo. La quantità di uva utilizzata è del 50% per ciascuna varietà Erbaluce e Uva Rara, a peso appassito. La resa in vino non è superiore al 18%. La filtrazione avviene per naturale deposito delle impurità, dopo che il mosto è lasciato in damigiane o in contenitori di acciaio per almeno cinque anni. Aprile 2012: aperta presso l’Azienda Agricola di Luigi Pozzo una bottiglia proveniente da uve pigiate nel 1982. La trasformazione del mosto in vino è avvenuta in damigiana, dove il liquido ha riposato sino al 2010, anno in cui si è imbottigliato. L’apri e si presenta di colore giallo ambrato tendente al marrone chiaro, delizioso profumo di prugna secca, tamarindo e ginestra, fermo e saldo al primo sorso, ampio, lungo e consistente di seguito. Stoffa che si riproduce in declinazioni eterogenee a ogni attimo, convergendo occhio, naso e bocca verso l’infinito. Tanto intimo che l’unico abbinamento possibile è con se stesso.
Cavaglià
Piemonte Il bel borgo piemontese di Cavaglià e la sua Chiesa di Michele Arcangelo
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Un esempio da imitare
La cooperativa d’acquisto Gestor ha costruito in Trentino un sistema che offre a hotel e ristoranti vantaggi economici e, soprattutto, la sicurezza delle giuste forniture. Non a caso, dal 1998 è un punto di riferimento per il settore turisticoricettivo del territorio. Abbiamo incontrato il suo direttore, Nives Tisi Far incontrare le diverse dimensioni dell’ospitalità – alberghi e ristoranti – e offrire loro un punto di riferimento concreto, sicuro, affidabile, negli acquisti, nella selezione dei fornitori, e in generale nello sviluppo commerciale delle strutture turistico-ricettive. È la mission che dal 1998 vede impegnata Gestor, una cooperativa d’acquisto con sede a Trento, che in 14 anni di attività è riuscita ad aggregare, in tutto il Trentino, 340 soci tra albergatori, ristoratori e gestori di pubblici esercizi, offrendo loro un servizio fondamentale: la sicurezza delle giuste forniture. Si tratta di un’esperienza pressoché unica nel panorama del settore turistico-ricettivo nazionale. Lo slogan della cooperativa d’acquisto trentina è, non a caso, “fatta dai soci per i soci”. A illustrarci la filosofia di fondo di Gestor è lo stesso direttore del consorzio, Nives Tisi: «Oggi più che mai, la relazione tra alberghi e ristoranti presuppone uno sguardo dinamico su un settore in evoluzione, specie per quanto riguarda la dotazione di servizi e la gestione delle relative spese e procedure di acquisto – spiega – ma l’hospitality e l’horeca, oltre che business signifi-
Qualità assoluta al servizio del turismo
cativi, sono anche momenti di esperienza condivisa e di co struzione di significato, oltre che di incontro tra persone. Un’organizzazione come Gestor fa incontrare questi diversi mondi». E l’efficacia dell’azione dispiegata nel suo primo quindicennio di attività, aggiungiamo noi, è dimostrata dal numero dei soci che vi hanno aderito e ai quali Gestor ha sempre garantito, e continua a garantire, le migliori collaborazioni commerciali. «Attraverso l’azione di Gestor – sottolinea ancora il direttore del consorzio – lo sviluppo commerciale valorizza sia l’attività individuale che la dimensione collettiva del comparto, garantendo una comunicazione continua tra gli operatori. Attraverso la nostra mediazione, i soci sono in grado di acquistare prodotti e servizi alle condizioni più vantaggiose. Gestor è in grado infatti di far sviluppare collaborazioni commerciali con oltre 150 fornitori, selezionati sulla base della qualità e del servizio offerto, e tiene in particolare considerazione criteri come la completezza dell’assortimento e la vantaggiosità dell’offerta commerciale».
Far incontrare le diverse dimensioni dell’ospitalità e offrire loro un punto di riferimento nello sviluppo commerciale delle strutture turistico-ricettive. Questa dal 1988 la mission di Gestor
Il sistema Gestor si basa su un controllo rigoroso ed efficace dello sviluppo finanziario delle atti vità dei singoli soci ed è garantito da servizi come la fatturazione unica degli acquisti mensili (con una lettura mensile di essi), la valutazione del fornitore e la stipula degli accordi commerciali, il controllo costante dei prezzi e delle condizioni concordate, fino all’invio ai soci delle condizioni d’acquisto (continuamente aggiornate). Gestor dedica inoltre ampio spazio alla comunicazione attraverso un house organ aziendale quadrimestrale inviato agli oltre 2.300 operatori dell’ospitalità trentina e con il sito web www.gestor.it affiancato da una newsletter mensile e da un servizio informativo via sms. Attraverso l’assistenza costante all’operatore turi stico, quindi, la cooperativa d’acquisto riesce a offrire un servizio di qualità assoluta e un’esperienza pluriennale che fornisce un significato sempre nuovo all’ospitalità. «Il lavoro del ristoratore e dell’albergatore viene semplificato e insieme valorizzato – afferma Nives Tisi – perché il turismo è il ramo del business nel quale assume maggiore impor tanza il confronto tra mondi diversi».
Per informazioni: Gestor società cooperativa Via maccani 181/a - Trento Tel. 0461826506 Fax 0461429378 info@gestor.it www.gestor.it
girogustando
di Cesare Aldesino
Il lato “scuro”del maiale Recentemente assurto a nuovi splendori per la produzione di salami e prosciutti, il Suino Nero dei Nebrodi vive principalmente allo stato brado e si ciba di prodotti naturali che trova pascolando nei boschi. Questa sua peculiarità si esprime nell’eccellente color rosso rubino delle sue carni e nel loro intenso sapore aromatico
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Il Suino Nero, già nel periodo greco e cartaginese, era presente in Sicilia come accertato dal ritrovamento di resti fossili nella zona dei monti Nebrodi, e non solo. Tale territorio, caratterizzato da una vegetazione lussureggiante, e ricco di una molteplice varietà di piante – tra cui querce, castagni, noccioli, faggi e arbusti –, come di ampie vallate, fiumare e zone umide, da sempre rappresenta l’habitat naturale e unico per l’allevamento, allo stato brado/semibrado, di questa particolare qualità di suini. Tale ecosistema, rimasto immutato nel tempo, consente ancora oggi ai suini di nutrirsi pienamente di ghiande, castagne e pinoli che costituiscono per gli animali una dieta ricca di essenze naturali e di principi nutritivi e conferiscono alle carni pregiate caratteristiche organolettiche. Il Suino Nero dei Nebrodi si caratterizza per il colore bruno della cute con la presenza di robuste setole, che sul collo assumono la forma di una criniera. La testa è allungata con profilo diritto. Il muso ampio e lungo con il grugno stretto e inclinato; le orecchie piccole, con le punte portate in avanti. Gli arti lunghi e robusti con unghielli neri e resistenti. I suini vengono allevati allo stato brado o semibrado, quest’ultimo viene praticato su estese superfici recintate dove si svolgono
le varie fasi dell’allevamento. All’interno di questo territorio si trovano disseminate le tradizionali e storiche zimme, costruzioni in pietra a forma di cono il cui apice è coperto da felci e ginestre, misto a zolle di terra, dove gli animali trovano riparo autonomamente. L’alimentazione di questi animali, oltre ai prodotti naturali che trovano pascolando nei boschi, viene integrata, quando necessario, con granaglie, legumi e crusche, in concomitanza con i parti e lo svezzamento. La natura, l’alimentazione, i lunghi tempi di accrescimento, il territorio e, non meno importante, l’abilità dell’uomo, fanno di queste carni qualcosa di veramente distinto nel contesto gastronomico. Solo attraverso l’assaggio di questi salumi se ne comprende il segreto, frutto della sensibilità, del rispetto della natura e della passione dell’uomo. Le sue carni, delicate, squisite, contengono oltretutto altissimi livelli di acidi grassi insaturi, svolgendo così un’importante azione protettiva dell’organismo. Al Suino Nero dei Nebrodi dal 2001 è stata riconosciuta la caratteristica di “razza autoctona siciliana“: indicazione oggi molto richiesta e sottolineata dai salumieri e dai macellai, nelle gastronomie, e anche dai consumatori più preparati.
Ogni anno, nel primo fine settimana del mese di novembre, viene organizzata in alcuni comuni dei Nebrodi la Sagra del Suino Nero
La lavorazione: maneggiare con cura Particolare cura viene adoperata nella trasformazione delle carni di Suono Nero per la realizzazione dei salumi. I diversi passaggi devono rispettare un alto livello qualitativo, monitorato con attenzione. Nella realizzazione dei prodotti vengono impiegate le spezie tradizionali tipiche di ogni insaccato, utilizzate con parsimonia, per non coprire il gusto delle carni. Il cosciotto viene salato una prima volta per alcuni giorni, asciugato e messo successivamente in una madia di legno, sotto sale e aromi vari per venti-quaranta giorni. Durante questo periodo viene girato spesso. Le carni vengono infine coperte con pepe nero macinato fine, pepe rosso, origano, aglio, e messe ad asciugare. Per i salami, la carne viene tagliata a grana grossa in punta di coltello, conciata con sale, pepe e talvolta peperoncino. Quest’ultimo ingrediente caratterizza il salame di S. Marco, differenziandolo da quello più rinomato di S. Angelo di Brolo “sua maestà il re dei Nebrodi”. L’impasto è insaccato in un budello gentile suino che mantiene morbido il salame. Meritevole di citazione è anche il capocollo, ricavato dal taglio dei muscoli della parte dorsale del collo.
Dopo essere stata disossata, sgrassata e rifilata, la carne viene fatta insaporire per circa dieci giorni in una concia di sale, pepe e vari aromi naturali. Essiccata nel budello di maiale, viene poi legata e posta in ambiente aerato dove resterà per un paio di mesi. Sarà la stagionatura in ambienti sotterranei naturali e nelle cantine a terminare l’opera, a creare nell’amalgama del tempo dell’attesa la mescolanza di odori e colori che diverranno caratteristiche peculiari di questi rinomati prodotti nati nei paesi che si trovano all’interno del Parco dei Nebrodi, laddove un tempo le famiglie contadine allevavano il maiale per poi macellarlo e farne salume insieme a parenti e amici. Un faticoso lavoro, vissuto ancora oggi come occasione di aggregazione festosa. La materia prima radicata negli stessi luoghi di produzione si è tradotta in una cucina locale che esalta le pietanze a base di carni suine e salumi, provenienti dagli animali allevati. E per celebrarne la qualità e la tipicità, ogni anno, nel primo fine settimana del mese di novembre, viene organizzata in alcuni comuni dei Nebrodi la Sagra del Suino Nero, dove è possibile gustarlo nelle sue massime espressioni di gusto e aroma. Provare per credere!
In apertura, Suini Neri allevati allo stato brado all’interno del rigoglioso parco dei Nebrodi (qui, in alto, una panoramica). Nelle altre immagini, le delicate fasi della lavorazione delle sue pregiate carni
Sicilia
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di Antonio Romeo - romeo_1961@libero.it
Il buono a tavola
Cucina campana: un inno alla creatività
Minestra maritata di broccoli di rapa
La ricetta povera originaria è la minestra maritata. Questa versione ne rappresenta l’eccellenza con l’utilizzo esclusivo dei broccoli di rapa, considerati preziosi, con le carni del piccione e del coniglio. Ingredienti: 1 coniglio da fossa 6 fasci di broccoli di rapa 2 piccioni 2 dl di olio extravergine d’oliva 3 puntine di maiale 400 gr di pomodorini del piennolo 4 coste di sedano vino liquoroso 1 cipolla media, steccata 1 scalogno chiodi di garofano 200 gr di scaglie di caciocavallo 2 carote medie 4 bacche di ginepro mezza stecca di cannella, sale Preparazione: Cuocere per un’ora circa sedano, carota, cipolla, pomodorini del piennolo, cannella, bacche di ginepro, coniglio da fossa, piccione, puntine di maiale e acqua necessaria, e filtrare il brodo. Mondare i broccoli di rapa; con alcuni mestoli di brodo portarli a cottura. Sfilettare le puntine di maiale, il coniglio e i piccioni, tagliarli a striscioline e saltarli brevemente con lo scalogno. Bagnare con il vino liquoroso, far evaporare e tenere da parte. Servire nel piatto fondo sistemando la verdura estratta dal brodo, i filetti di carne, le scaglie di caciocavallo, e coprire con un mestolo di brodo e un filo d’olio
Paccheri alla genovese Dal ragù tanto amato da De Filippo alla pizza, senza tralasciare sartù e gattò, per concludere con pastiera e babà: quella partenopea è una cucina da esportazione che, oltre al gusto, ha portato in giro per il mondo l’anima del nostro paese
Ci accomunano le stesse conoscenze culturali, dagli avventurosi viaggi di Ulisse ai canti di Dante al pensiero dei filosofi, ai saperi che abbiamo ereditato dai grandi della storia. Quella comune di noi italiani. Che passa dalla cucina e dai suoi profumi. Profumi che, ovunque siamo, sono un’estensione della casa natale, una parte privata di noi che evoca emozioni. Ed è per questo che la cucina partenopea ha esportato nel mondo, insieme ai piatti regionali, l’anima di un popolo. Una cucina che ha radici secolari e si è formata mescolando elementi greci, romani, bizantini, arabi, francesi e austriaci. Dove la ricchezza culturale, unita all’abbondanza dei prodotti agricoli e alle risorse del mare, ha dato vita attraverso i secoli a piatti d’eccellenza. Nel regno di Napoli si sono sviluppate una gastronomia aristocratica e una della plebe, con un modo di cucinare fatto di mille invenzioni, mille colori, con una contaminazione di sapori il cui simbolo universalmente conosciuto è la pizza. Un cibo gustoso, informale che crea subito un clima conviviale e allegro. Può essere consumata in tantissimi modi: è un inno all’estrosità e alla creatività. Insieme alla pizza, a rappresentare la gastronomia partenopea nel mondo c’è la pasta, che ha trovato in Campania (Gragnano) l’eccellenza, non solo nella qualità del grano duro ma nell’elaborazione fantasiosa dei formati. Della cucina aristocratica è rimasto il sartù di riso, un timballo particolarmente ricco, farcito come lo scrigno del tesoro con piselli, carne, salsa di pomodoro, polpettine, salame. Il piatto della festa. I prodotti di base di questa cucina provengono da un’orticultura di eccellenza: come i pomodori San Marzano, i broccoli, le melanzane, i carciofi, le patate con cui si prepara il famoso gattò. Storpiatura dialettale del francese gateau, è una preparazione salata a base di patate, mozzarella e salumi. Un altro piatto della tradizione che ben armonizza i sapori dell’orto con la carne è la minestra
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Il piatto appartiene alla grande famiglia degli stracotti classici. L’aggiunta della carne fa parte di un’evoluzione moderna della preparazione. Il nome deriva dai portuali di origine genovese dov’è nato il piatto, ma a Genova è sconosciuto. Ingredienti: 4 punte di maiale 1 ciuffo di basilico 1/2 muscolo di maiale 2 foglie di alloro 1/2 muscolo di manzo 1 bicchiere vino bianco 1 piccola cotenna 200 gr di formaggio grattugiato 5 kg di cipolle bianche 2 cucchiai di conserva di pomodoro 1/2 kg di paccheri di Gragnano 1 dl olio extravergine d’oliva 150 gr di battuto di lardo, sale Preparazione: Rosolare le carni con il battuto di lardo e bagnarle con un bicchiere di vino bianco, far evaporare e passarle in 2 cucchiai di conserva di pomodoro per 5 minuti. Aggiungervi le cipolle tagliate a fettine con due foglie di alloro, salare leggermente. Coprire la pentola con il coperchio, lasciando cuocere per le ore necessarie all’appassimento delle cipolle; successivamente aprire la pentola, togliere le carni e far restringere il sugo ottenuto. In un’altra pentola far bollire l’acqua e, dopo averla salata, cuocere al dente la pasta. Condire con parte della salsa genovese. Far insaporire per alcuni minuti, aggiungere il formaggio e servire.
Baccalà alla napoletana
Derivazione del baccalà alla siciliana a cui si uniscono gli ortaggi del territorio. Ingredienti: 1 kg di baccalà ammollato 4 cipolle medie 4 peperoni gialli e rossi 10 pomodori San Marzano a filetti 1 ciuffo abbondante di prezzemolo 2 dl di olio extravergine d’oliva 300 gr di farina sale Preparazione: Dopo aver tagliato il baccalà in tranci, infarinarlo e friggere in olio d’oliva. In una padellina, appassire la cipolla tagliata a julienne con una parte di olio di frittura. Arrostire i peperoni, pelarli, privarli dei semi e tagliare a listarelle. In una padella capiente mettere la cipolla ammorbidita, i filetti di pomodoro e i tranci di baccalà, far stufare per qualche minuto e infine aggiungere le listarelle di peperone e il prezzemolo tritato. Regolare di sale e passare al forno a 180°C per 15 minuti.
Sartù di riso
Sartù significa “sopra a tutto”, ossia “riso che sovrasta il contenuto”.
maritata, un matrimonio ben riuscito. Minore rilievo gastronomico hanno i prodotti dell’allevamento da carne, anche se vi sono ovini e caprini pregiati. I formaggi sono invece diffusi in tutto il mondo a cominciare da quelli di latte di bufala, dalla mozzarella al provolone alla scamorza. Qui i latticini rivestono infatti un ruolo di grande importanza: crudi, come ripieno o come condimento, sono fondamentali nella preparazione della pizza, nei calzoni e nella mozzarella in carrozza che tradizionalmente si prepara con pane raffermo e mozzarella di bufala. In questa cucina poi, più che il pesce classico, hanno rilievo molluschi, vongole, cozze, polpi e cicinielle, ma anche la cucina di mare non sfugge a una sorta di contaminazione gastronomica, con i fagioli con le cozze, i frutti di mare abbinati ai formaggi freschi e alla mozzarella. Nelle occasioni festive le case si impregnano dall’odore del ragù alla napoletana. La salsa tanto celebrata da Eduardo De Filippo non è un semplice sugo ma l’elogio della pazienza, dell’unione famigliare. Una danza delle papille gustative. Il ragù che serve per condire i maccheroni, si prepara con la carne di maiale e lo caratterizza una lunghissima cottura: deve pippiare per almeno due ore, finché la salsa non diventa scurissima, untuosa e densa. La pasticceria è il tempio del piacere dei sensi. Troviamo specialità come la pastiera, dolce antico a base di grano, ricotta e scorzette di limone, il babà, le zeppole di San Giuseppe, fritte e farcite di crema e amarene sciroppate, le sfogliatelle ricce e i taralli dolci. L’enologia infine ha una tradizione che risale ai Romani. I vini più conosciuti Docg sono Greco di Tufo, Fiano di Avellino, Falanghina e Taurasi, la Doc Vesuvio famosa per la sottodenominazione Lacryma Cristi. Una menzione va anche al limone Igp di Sorrento e di Amalfi che largo impiego trova nella cucina: nei condimenti, nei dolci, nelle confetture, nei liquori, nella preparazione di sorbetti e granite.
Ingredienti: 200 gr di riso carnaroli o arborio 2 fasci di cipolline verdi 150 gr di sugna 70 gr di battuto di lardo 1 l di acqua 1 bicchiere di vino bianco 3 uova 3 scatole di pelati San Marzano da 250 gr 200 gr di carne trita 150 gr di burro 50 gr di pane raffermo 1 kg di piselli 150 gr di Parmigiano Reggiano 1 ciuffo abbondante di basilico 200 gr di caciocavallo 4 cucchiai di pan grattato 300 gr di mozzarelle “fior di latte” 150 gr di fegatini di pollo concentrato di pomodoro sale Preparazione: Fare delle polpettine con la carne macinata; friggerle. Rosolare i fegatini e cuocere i piselli. In un tegame ammorbidire la cipollina con la sugna e il lardo, aggiungere il vino e fare evaporare. Aggiungere del concentrato di pomodoro, i piselli, i fegatini e le polpettine, lasciare insaporire per 5 minuti e verificare di sale. In una pentola alta, mettere acqua fredda, sale, pepe un cucchiaio di sugna e, al primo bollore, aggiungere il riso. Coprire e far cuocere per 15 minuti senza mai scoprire. Far intiepidire. Una volta tiepido aggiungere le uova, il Parmigiano e il sale. In uno stampo ricoperto di burro e pan grattato porre parte del riso e al centro mettere la farcia di piselli, fegatini e polpette con il fior di latte e il caciocavallo tagliato a dadini, ricoprire con dell’altro riso e infornare per 15-20 minuti a 180°C. Accompagnare il sartù con una salsa di pomodoro San Marzano.
Panzetta di agnello con carciofi fritti Ingredienti: 2 carrè di agnello 1 dl di olio extravergine d’oliva 4 carote 10 gr di pepe verde in grani 4 zucchine medie 1/2 kg di mollica di pane 4 spicchi d’aglio 150 gr di pecorino Moliterno 2 uova intere 1 l di latte 1 bicchiere di vino bianco 1 ciuffo abbondante di prezzemolo e basilico 1/2 bicchiere di vino rosso 4 carciofi 1 fegato di agnello, sale Preparazione: Rosolare il fegato di agnello con olio e aglio e bagnarlo con mezzo bicchiere vino rosso. Tritare il fegato e aggiungerlo alla mollica di pane raffermo ammollato nel latte con formaggio pecorino, uova, pepe verde in grani, basilico, prezzemolo e sale. Aprire a libro il carré d’agnello, salare e pepare. Farcire il carré con il composto preparato, legare e porre in una teglia con le carote, le zucchine e l’aglio, ungere con l’olio d’oliva e bagnare con vino bianco. Salare, pepare e far cuocere nel forno a 200°C per 30 minuti circa. Estrarre dal forno e spolverare con pecorino Moliterno, reintrodurre nel forno per altre 10 minuti. Far riposare per 5 minuti. Tagliare il carré a costolette. Tagliare a julienne sottile i carciofi, scottarli nell’olio bollente e contornarvi le costolette.
Melanzane alla parmigiana Ingredienti: 1,8 kg di melanzane 2 kg di pomodori 1 cipolla tritata 300 gr di fior di latte 80 gr di formaggio grattugiato abbondante basilico olio per friggere sale e pepe Preparazione: Tagliare per lungo le melanzane. In un tegame ammorbidire la cipolla e cuocere i pomodori dopo averli passati. Far sobbollire con basilico e restringere la salsa. Friggere le melanzane. Tagliare le foglie di basilico e ridurre a cubetti il fior di latte. Disporre nella teglia un primo strato di melanzane; farcire con la salsa, il parmigiano e il fior di latte; procedere a strati sino a esaurimento delle melanzane. Infornare a 180°C per 30-45 minuti. Lasciare raffreddare. Servire a temperatura ambiente.
In apertura, una succulenta fetta di pastiera e gli ingredienti necessari a prepararla. Qui in alto i babà, dolci spugnosi intrisi di liquore, ottimi da servire con una crema tiepida
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scienza e vita
di Giuseppe Pulina Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari
Agnello e porcetto, prelibatezze mediterranee Morbide e delicate, le carni di animali lattanti hanno anche eccezionali caratteristiche organolettiche, notevolmente superiori a quelle degli adulti. Approfondiamo con due esperti del settore, gli aspetti nutrizionali e storici che le hanno portate sulle nostre tavole
Il consumo di carni di animali lattanti è una antica tradizione mediterranea che risponde a precise esigenze del mondo rurale volte a ottimizzare le risorse foraggere, da un lato, e il profilo alimentare delle popolazioni, dall’altro. Sacrificare animali che poppano ancora il latte può sembrare per certi versi un controsenso se si considera che l’allevatore rinuncia alla loro potenzialità in termini di crescita, ma se si pensa alle difficilissime condi-
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zioni del pastoralismo nel clima mediterraneo, si comprende come mai sin dai tempi remoti i pastori abbiano deciso di destinare all’alimentazione agnelli e suinetti da latte. Per gli agnelli l’allontanamento precoce dalle madri era necessario per poter destinare il latte alla caseificazione e il loro sacrificio era giustificato dal fatto che l’erba del pascolo dedicata alle pecore ha un valore di trasformazione in proteine del latte di gran lunga più conveniente rispetto a quello per la produzione della carne; per i suinetti, invece, il sacrificio riguardava i più deboli che difficilmente sarebbero sopravvissuti alle dure condizioni dell’allevamento brado. Oggi agnelli e porcetti (termine sardo che indica il suinetto da latte) imbandiscono le tavole dei gourmet coniugando l’alta qualità delle carni con la prelibatezza e la delicatezza dei loro sapori. Sulla qualità di questi due prodotti sentiamo il parere di Anna Nudda e Gianni Battacone, ricercatori presso il dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari e studiosi della qualità dei due prodotti.
mentali per lo sviluppo cerebrale e del sistema visivo degli infanti e per il corretto funzionamento del sistema nervoso centrale quali l’acido grasso arachidonico e quelli polinsaturi della serie omega-3 (ALA, EPA, DPA e DHA).
Anna, qual è il principale pregio della carne di agnello? La quantità e qualità del suo grasso. La carne di agnello da latte, in modo particolare quello proveniente da animali allevati al pascolo, ha un contenuto in grasso intramuscolare limitato (1,0-3,0%), tanto che un taglio della coscia, ripulito del grasso visibile, può essere classificato come una “carne extra-magra” secondo le linee definite dalla Food and Drug Administration (FDA) americana che indica che un prodotto può essere etichettato come extra-magro quando in una porzione di 100 gr contiene meno di 5 gr di grasso totale, 2 gr di acidi grassi saturi e meno di 95 mgr di colesterolo. Per quanto riguarda la qualità, dobbiamo rimarcare che questa carne è un’importante fonte di acidi grassi polinsaturi della serie omega-3 e di acido linoleico coniugato (CLA). Infatti, l’agnello da latte prodotto in Italia ha il suo segreto nell’alimentazione al pascolo delle madri: il modo tradizionale di alimentazione delle pecore aumenta notevolmente nella carne i contenuti di alcune sostanze fonda-
La carne di agnello da latte allora è fra gli alimenti raccomandati per la prima infanzia? Certamente. La carne di agnello, in forma di liofilizzato e di omogeneizzato, è la prima carne generalmente consigliata dai pediatri per iniziare lo svezzamento, probabilmente perché meno allergenica. Infatti, studi pubblicati nel 1998 dalla Clinica Pediatrica dell’Università La Sapienza di Roma riportano che la dieta pediatrica denominata Rezza-Cardi, che prevede l’uso della carne di agnello allo svezzamento, ha mostrato effetti positivi nel trattamento di patologie gastro-intestinali e un significativo miglioramento clinico nella gravità delle lesioni eczematose di bambini con dermatite atopica e ipersensibilità alimentari multiple. Inoltre, da più parti é stata sottolineata l’importanza dell’assunzione di acidi grassi nella dieta dei neonati. Esperti in nutrizione infantile raccomandano, sul totale degli acidi grassi della dieta, il 10% di acido linoleico, l’1,5% di aciParticolarmente do alfa linolenico, lo 0,5% delicate e ricche di acido arachidonico, lo di grassi “buoni”, le carni 0,35% di DHA, e cosi via. Sulla base dei nostri dadi agnello e suino da latte ti, ad esempio, 100 gr di imbandiscono le tavole carne di agnello da latte possono soddisfare il dei gourmet coniugando l’alta 20% dei fabbisogni miniqualità a livello organolettico mi raccomandati di DHA con la prelibatezza nei neonati.
dei loro sapori
Ora parliamo di suinetti con Gianni. Il porcetto è un piatto tradizionale solo della Sardegna? No di certo. L’impiego della carne di lattonzolo (suinetto alimentato con il solo latte della scrofa) fa parte delle tradizioni culinarie di diverse regioni nei continenti euroasiatico e americano. In particolare, la preparazione del suinetto da latte arrosto, modalità più diffusa per preparare queste carni da servire in pasti importanti, quando non per cerimonie o altre celebrazioni, è fortemente associata alla cucina tradizionale di alcune regioni mediterranee, specialmente a quella della Sardegna (porcetto arrosto) in Italia e a quella Castigliana (cochinillo asado) in Spagna. Ricordiamo che la carne del suinetto “da latte” è prodotta da animali di età compresa fra 3 e 5 settimane il cui peso è di circa 6-8 kg, per cui si ottengono prodotti del peso di 4,5 -6 kg.
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scienza e vita
La classica preparazione arrosto (in forno o allo spiedo) del suinetto ne preserva la carne dal rischio di una eccessiva perdita di liquido
Quali sono le principali caratteristiche di questa carne? Il colore chiaro, la tenerezza e il sapore estremamente delicato. La carne del suinetto da latte è nettamente più ricca di acqua e meno grassa rispetto alla comune carne di suino da macelleria. Il valore nutrizionale della carne di suinetto da latte arrosto è in larga misura dovuto al contenuto in proteine (18-20% delle parti commestibili) di alto valore biologico in quanto costituite da una combinazione di aminoacidi essenziali molto simile a quella richiesta dal nostro organismo. La presenza di grassi nelle porzioni di carne di suinetto da latte è piuttosto bassa (2-3% delle parti commestibili) ed è pressoché limitata alla leggera deposizione lipidica sottocutanea e gli acidi grassi insaturi prevalgono su quelli saturi. L’apporto calorico di 100 gr di carne di suinetto da latte preparato arrosto è pari a circa 90-100 kcalorie. Il porcetto è ottimo arrosto. Quali sono i segreti per una buona riuscita? Per la valorizzazione di queste caratteristiche di delicatezza sono in genere impiegate modalità di arrostimento che preservano dal rischio di eccessiva perdita di liquido delle carni. Infatti, la preparazione arrosto prevede la cottura (in forno o allo spiedo) del suinetto intero o sezionato in mezzene, raramente in quarti, con la relativa cotenna di
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Sacrificare agnelli e suinetti da latte può sembrare un controsenso. Per capire le ragioni storiche di questa scelta però, è necessario valutare le reali, e difficilissime, condizioni del pastoralismo nel clima mediterraneo copertura (di solito cosparsa di sale). Un elemento qualitativo fondamentale del suinetto arrosto è quello di ottenere il giusto grado di abbrustolimento della cotenna che la rende croccante e saporita al contempo. Proprio la croccantezza della cotenna rappresenta uno degli indicatori più affidabili della corretta esecuzione della cottura e del tempo che ne è intercorso. Infatti, la cotenna, anche quando ben croccante, perde questa preziosa caratteristica man mano che si raffredda e si reidrata. Peraltro anche il riscaldamento della carne non consente il riacquisto della croccantezza originale. Pur con le particolarità dovute alla loro giovane età, le carni di agnello da latte e di porcetto presentano le caratteristiche qualitative comuni alle altre carni. La carne contiene, infatti, preziose sostanze nutritive tra cui proteine di alto valore biologico, ferro, zinco e vitamine del gruppo B, e il suo consumo veicola tutti questi straordinari nutrienti nel nostro organismo. La carne fornisce ferro eme altamente biodisponibile, ovvero un tipo di ferro che è più facilmente assorbito e utilizzato dal nostro organismo. La carne fornisce inoltre zinco, che aiuta nel corretto funzionamento del sistema immunitario e, tra le vitamine del gruppo B, è molto ricca di vitamina B12, praticamente assente nei prodotti vegetali. La carenza di questa vitamina nel primo anno di vita può comportare sintomi neurologici, anemia e ritardi di crescita.
almanacco di barbanera
Se son rose... Tra tutti i mesi, maggio è forse quello che più di ogni altro mantiene le promesse. Il bel tempo è ormai una certezza, nell’orto le raccolte si fanno abbondanti e anche i fiori inondano giardini e balconi di profumi e colori. Si vive di più all’aria aperta, tra la scampagnata del 1° Maggio e la dolce festa della mamma
Sole e luna Il Sole Il 1° sorge alle 05.56 e tramonta alle 19.59 L’11 sorge alle 05.44 e tramonta alle 20.10 Il 21 sorge alle 05.34 e tramonta alle 20.20 Il 1° aprile si hanno 14 ore e 03 minuti di luce solare mentre il 30 se ne hanno 15 ore e 02 minuti. Si guadagnano 59 minuti di luce solare. La Luna Il 1° tramonta alle 02.49 e sorge alle 14.38 L’11 sorge alle 00.38 e tramonta alle 10.58 Il 21 sorge alle 05.44 e tramonta alle 20.56 La Luna è al Perigeo domenica 6 alle ore 06. È all’Apogeo sabato 19 alle ore 18. Luna in viaggio In questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 7, 8, 11, 12, 13, 16, 17, 18. 90
di M. Pia Fanciulli
Da ricordare Martedì 1° Maggio Festa del Lavoro Forse, quest’anno, sarà una festa del 1° Maggio dall’atmosfera particolare. La crisi economica si sta facendo sentire colpendo con forza il lavoro, e il giorno dedicato a questo diritto fondamentale dell’uomo, anima e pilastro della nostra Costituzione, giunge con un significato più profondo che in passato. Nello stesso giorno si celebra anche San Giuseppe artigiano, ma fra le due ricorrenze la prima a nascere fu quella del Lavoro, ufficializzata a Bruxelles nell’agosto del 1891 dal Congresso dell’Associazione Internazionale dei lavoratori. Quella religiosa venne infatti dopo, nel 1955, istituita da Pio XII. Mercoledì 9 maggio Giorno della memoria delle vittime del terrorismo Il giorno scelto per queste “memorie” è quello che vide, nel 1978, il triste epilogo del sequestro di Aldo Moro. Approvata con legge del Governo italiano nel maggio 2007, la data è oggi entrata nelle commemorazioni ufficiali a cui vengono dedicate iniziative che coinvolgono i cittadini e il Presidente della Repubblica. Domenica 13 maggio Festa della mamma Nella sua versione moderna, l’amata festa della mamma ci è giunta dagli Stati Uniti dove è nata il 10 maggio del 1908 per essere poi ufficialmente istituita nel 1914. Ma è un fatto che una celebrazione della “Grande Madre” esisteva già nella preistoria. Nell’antichità furono poi i greci a dedicare alle loro genitrici un giorno, quello della festa di Rea, madre di tutti gli dei. Lo stesso fecero i romani festeggiando Cibele a maggio per un’intera settimana. Fu poi il cristianesimo a dedicare l’intero mese alla Madonna.
luna piena
Belli e sani Nei passaggi di stagione spesso la qualità del sonno peggiora a causa del cambiamento dei ritmi naturali del corpo e in particolare delle maggiori ore di luce. Una corretta alimentazione, anche in questo caso, potrà esserci d’aiuto. Ad esempio una dieta comprendente alimenti come pane di segale, banane, frutta secca, carne, latticini e uova ci aiuterà ad aumentare e stimolare la produzione di melatonina, un ormone prodotto dall’organismo, in grado di regolare il ciclo sonno-veglia. Non preoccupiamoci poi troppo per i piccoli malesseri che ancora ogni tanto si affacciano. Oltre alla dieta, un passaggio di stagione più facile si può vivere migliorando la capacità di termoregolazione corporea, ovvero aiutando il corpo ad adattarsi meglio alle temperature più calde. Per questo è utile trascorrere tempo all’aria aperta. Consigliato anche praticare sport, che stimola la muscolatura, spesso ingrigita dalla sedentarietà dell’inverno, e aiuta il sistema ormonale. Eccole, subito pronte che fanno la loro comparsa al primo sole! Se è vero che le lentiggini donano un’aria simpatica e scanzonata quando si è molto giovani, con il passare degli anni possono divenire un vero e proprio inestetismo. Oltre a limitare l’esposizione al sole, per attenuarle molto utile sarà applicare per circa 1015 minuti una maschera preparata tritando alcune mandorle amare e mescolandole con succo di limone e due cucchiai di miele d’acacia. L’effetto schiarente è garantito!
Orti e dintorni Con la bella stagione alle porte un’attenzione particolare bisognerà dedicarla al prato. Gli appuntamenti con il tosaerba si faranno infatti sempre più frequenti poiché è tempo di tagliare regolarmente il prato per evitare che ingiallisca e si abbia un invecchiamento precoce. Bene anche concimare periodicamente, ma con parsimonia, così da risparmiare acqua, energie ed evitare di inquinare le falde acquifere. Si dovrà anche rimuovere il terreno alla base dei cespugli impiantati nel prato per impedire che radici troppo superficiali entrino in competizione per l’acqua e gli elementi nutritivi. Pure nell’orto l’attività si intensifica ed è tempo di seminare i cavolfiori in semenzaio con la Luna crescente (dal 1° al 5 e dal 22 al 31) e di trapiantare angurie, basilico, melanzane, meloni, peperoni, pomodori, zucche e zucchini. Seminare in piena terra cardi, fagioli, fagiolini, rucola, senape. Raccogliere le prime fragole. Nel giardino, mettere a dimora gerani, dalie, tuberose e piantine di borragine e maggiorana. In calante (dal 7 al 20), ancora nell’orto, seminare in semenzaio cavoli verza e all’aperto carote tardive, cicoria, sedano, lattuga, radicchio, ravanelli, spinaci. Rincalzare fagioli, fagiolini, fave, piselli, melanzane e pomodori. Predisporre i sostegni per le piante sarmentose (dette anche rampicanti). Raccogliere l’aglio. Passando ai fiori, concimare le rose e tenere sotto controllo gli attacchi degli afidi con metodi biologici, come la coccinella, o con nebulizzazioni di macerati di ortica. Potare le erbacee perenni e gli arbusti che hanno fiorito, per conferire loro un rinnovato vigore. Concimare il prato.
Saggezza popolare Saggezza popolare • Pasqua, alta o bassa, uova sode e cucina grassa. • Se aprile mette il muso, fuoco acceso e uscio chiuso. • Asparagi, funghi e granchi: assai spendi e poco mangi. • Per San Giorgio (23 aprile) semina l’orzo. • Se l’olivo fiorisce in aprile, ogni pianta un barile. • Aprile, apriletto, ogni giorno un goccetto. • Luna bianca tempo bello, Luna rossa venticello. • I quattro aprilanti, quaranta dì duranti. • Per Santa Caterina (29 aprile), gli animali fuori dalla cascina. • Al principio e alla fine, aprile non è mai gentile.
luna nuova
primo quarto
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orto dei semplici
di M. Pia Fanciulli
Fragole delle delizie
Belle da vedere, gustosissime da mangiare, le fragole giungono con l’estate a rallegrare orti e balconi. Ma fanno la loro splendida figura anche in giardino, dove occhieggiando tra foglie verde intenso, sono una tentazione pure per le ghiotte formiche
Tra i frutti che si adorano da bambini – ma non di rado la passione perdura anche da grandi – ci sono le polpose e dolci fragole, allegre e sensuali messaggere dell’arrivo dell’estate. Non è d’altra parte un caso se il nome, dal latino fragrare, significa “avere un buon profumo”. Non solo, sono anche facilmente coltivabili. Alle fragole va infatti bene qualsiasi luogo purché in pieno sole, o mezz’ombra luminosa. Per di più, oltre che in piena terra, nell’orto e nel giardino, si possono ottenere ottimi risultati pure trapiantandole in piccoli contenitori sul terrazzo: la fragola cresce bene ovunque. Quanto alle numerose varietà esistenti, tutte appartenenti alla famiglia delle Rosacee, derivano dalla delicata fragola di bosco, ufficialmente Fragaria vesca, di dimensioni più picco-
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le rispetto a quella coltivata, ma di gran lunga più succosa e saporita. Fu poi nel 1714 che il francese François Amédée Frézier incrociò due varietà di fragole selvatiche ottenendo enormi fragole molto carnose. Comunque, quelle che oggi impreziosiscono la nostra tavola giungono dall’Europa o dall’America settentrionale e meridionale, a loro volta ibridi selezionati a partire dalla specie Fragaria virginiana e da altre specie a frutto grosso. Infine sorprenderà scoprire che quello che crediamo delizioso frutto, è in realtà un ingrossamento del ricettacolo del fiore, mentre i veri frutti sono quelli che appaiono come tanti semini sulla superficie. Amatissima già al tempo dei Romani per la sua delicata fragranza, non mancava mai dalle tavole dei patrizi. Per poi arrivare in Francia, qualche
Coltiviamoli così
Sorprendente peperoncino!
Coltiviamola così Perfette per la coltivazione in vaso, oltre a donarci i loro rossi e gustosi frutti, le fragole risulteranno anche molto piacevoli all’occhio! Di poche pretese, prediligono un’esposizione soleggiata, ma al riparo dal sole diretto. Unica precauzione: fare in modo di non renderle raggiungibili dalle ghiotte formiche.
Mai lodato a sufficienza, anche al comunissimo peperoncino va un posto d’onore fra le piantine da coltivare in giardino o sul terrazzo. Facile da far crescere pure nei nostri climi, prezioso per la tavola, può mostrarsi davvero straordinario anche come elemento decorativo. Originario dell’America meridionale, assieme al pomodoro, alla patata, alla melanzana e ad altri ortaggi, il peperoncino fu introdotto in Europa dai Conquistadores. Per il suo sapore piccante, ma più delicato del pepe nero, in Italia e in cucina fu subito un successo. Per coltivarlo, sistemare le piantine in un vaso con terriccio ben concimato, tra maggio e giugno e in Luna crescente. Alla raccolta, da effettuarsi in Luna calante, tagliare loro un pezzo del picciolo: si eviterà così di rompere i rametti e si potranno conservare appesi a testa in giù. Non collocare peperoni e peperoncini dove sono stati coltivati pomodori e patate. Appartenendo infatti alla stessa famiglia, potrebbero andar soggetti a identiche malattie.
La cassetta e il terriccio Per ottenere un bel fragoleto l’ideale sono le cassette lunghe e strette, vanno bene quelle di 1 metro di lunghezza per 40 cm d’altezza. Ma data la loro adattabilità, qualsiasi contenitore alla fine andrà bene. L’importante poi è il terriccio che deve essere piuttosto acido, comunque ricco di sostanze organiche. Meglio quindi sarebbe, nel preparare l’impianto, mettere sul fondo del vaso del concime naturale.
secolo dopo, anche come pianta ornamentale legata al nome del celebre giardiniere di Luigi XV, La Quintinie. E tale fu l’apprezzamento, per la bontà certo, ma anche per le salutari virtù – è ricchissima di vitamine, soprattutto C –, che si ritenne riuscisse a prolungare la vita. Non solo buona Cinque fragole contengono tanta vitamina C quanta un’arancia. E poi potassio, acido folico e magnesio. Alle fragole si attribuiscono proprietà toniche, depurative, diuretiche, remineralizzanti e astringenti. Svolgono inoltre una benefica azione depurativa del sangue. Sono quindi alimento di indiscusso valore per adulti e bambini, anche se possono esser causa, in individui predisposti, di fenomeni allergici, la classica orticaria da fragole. Eppure la sua essenza è assai diffusa anche nelle cure di bellezza, dove ha un efficace effetto antirughe, attenua le macchie rosse e tonifica la pelle. Senza dimenticare come l’amato frutto possa pure assicurarci un bel sorriso, capace com’è di sbiancare e proteggere i denti grazie allo xilitolo, una sostanza dolce che previene la formazione della placca dentale e uccide i germi responsabili dell’alitosi.
La semina Più che con la semina, piuttosto difficoltosa, si procede con l’interramento nel mese di luglio, in Luna crescente, di piccole piantine da acquistare in serra, che si metteranno a una distanza di 10 centimetri l’una dall’altra, facendo attenzione a mettere sotto la terra solo le radici. Dopo l’impianto si dovranno annaffiare evitando ristagni d’acqua responsabili della comparsa di muffe. In estate si vedranno le fragole emettere rametti piccoli e striscianti che radicheranno per formare nuove piantine. Punti deboli È utile coltivare le fragole in zone parzialmente ombreggiate, ad esempio ai piedi di alberi da frutto, come meli, peschi o susini. La coltivazione insieme alle liliacee quali aglio, cipolla, porri stimola la loro crescita. Per tenere invece lontane le formiche, basterà sistemarvi accanto lavanda, maggiorana o valeriana. Raccolta e conservazione Le varietà precoci sono le prime a essere raccolte a partire da maggio. Molte altre sono rifiorenti e continuano a fiorire fino al termine dell’estate e anche oltre, e sono le più adatte per essere coltivate negli orti. Le varietà di fragole di bosco sono in genere più tardive. Si consumano allo stato fresco ma è anche possibile procedere a surgelazione. In frigorifero si mantengono 2-3 giorni, e per farle conservare più a lungo non lavarle, non togliere il picciolo e non ammassarle.
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chef italiani nel mondo
di Gianluigi Pagano
Carmine Esposito Nato a Trieste, figlio di ristoratori napoletani, è cresciuto tra fornelli e forni per la pizza per poi intraprendere la sua carriera culinaria in Asia (Pechino, Shanghai, Singapore, Hong Kong) dove ha affinato la sua arte gastronomica, ricoprendo ruoli di grande prestigio.
Brûlée di fegato d’oca Ingredienti (per 8 persone): 3-1/2 tazze di vin santo 1-1/2 tazze di panna 500 gr di fegato d’oca 3 cucchiaini da té di sale un pizzico di pepe nero una tazza di brodo ristretto di pollo 2 uova 4 rossi d’uovo 80 ml di olio di oliva 20 ml di Aceto Balsamico 20 ml di Aceto Balsamico bianco 8 uova di quaglia 80 gr di mostarda di mele 80 gr di marmellata di cipolla rossa 40 gr ravanelli 20 gr mirtilli 20 gr lamponi
Preparazione: Ridurre il vin santo a 1/3, lentamente. Aggiungere la panna e portare a ebollizione. Unire a vin santo e panna il fegato d’oca e aggiustare di sale e spezie; una volta raffreddato il tutto, unirvi le uova e sbattere energicamente fino a montare il composto. Versarlo negli stampini da forno e cuocere a bagnomaria a 150°C per 40 minuti. Dopo la cottura lasciare raffreddare 10 minuti a temperatura ambiente e porre gli stampini nel congelatore per 3 ore. Ancora congelato, tirare fuori con delicatezza il composto dagli stampini e metterlo in frigo per un’ora prima di servire. Per finire, prendere la brûlée di fegato, mettervi sopra lo zucchero e fiammeggiarla con la torcia a gas da pasticceria.
Spaghetti ai porri cacio e pepe Ingredienti (per 4 persone): 240 gr di spaghetti 3 porri di media grandezza 120 gr di caciocavallo della Sila 50 gr di burro 1/2 pollo 1 carota 2 gambi di sedano verde 1 cipolla bianca olio, sale, pepe nero q.b Preparazione: Per il brodo: spellare il pollo e tagliarlo in tre pezzi a misura, pelare la carota e il sedano, pulire la cipolla. Far bollire il tutto per tre ore a fuoco medio, avendo cura di sgrassarlo e schiumarlo.
Marco Magri Nato a Bologna nel 1968, dopo una breve esperienza sulle navi da crociera ha lavorato a Oska. Ritornato in Italia è stato assunto in un ristorante giapponese di Milano e successivamente al Convivium Banqueting. Ha fatto parte dello staff di Donatella Versace, ma l’esperienza che lo ha più formato è stata quella di Chef dimostratore presso l’Azienda distributrice di prodotti alimentari di alta cucina Selecta. Dal 2010 è Executive Chef e Food & Beverage Manager al Ramada Plaza di Milano.
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Per i porri: incidere i porri, lavarli con cura e tagliarli finemente a julienne, poi cuocerli con il burro molto dolcemente, irrorandoli di tanto in tanto con il brodo. La cottura sarà ultimata quando il composto sarà ben amalgamato. Cuocere gli spaghetti al dente. Grattare a parte il caciocavallo con una grattugia molto fine. Mantecare gli spaghetti con il condimento e, prima di servire, irrorare con il cacio. Con un mestolo e con una pinza aver cura d’impiattare un nido di spaghetti, ponendo al centro un fiore edule.
Salvatore Silvestrino Nato in provincia di Napoli nel 1968, ha espresso la sua passione da chef in vari ristoranti di fama presso alberghi a 5 stelle in Asia, Australia e Medio Oriente. Ha vinto numerose medaglie sia da partecipante sia da coach per la squadra degli Emirati Arabi.
Petto d’anatra spadellato Ingredienti: 1 petto d’anatra (con la pelle) di circa 220 gr 3 cucchiai d’olio d’oliva extra vergine 1 cucchiaio di burro 2 arance 1 bicchierino di brandy 30 gr di rughetta fine selvaggia 10 gr di erbette e Dragoncello 15 ml di Aceto Balsamico bianco fior di sale pepe
Preparazione: Lavare e asciugare i petti d’anatra. Con un coltello incidere la superficie della pelle. Salare e pepare. Porre in un padellone antiaderente l’olio e metà del burro. Lasciare scaldare a fuoco alto e deporre l’anatra con la pelle rivolta verso il basso. Lasciare dorare bene questo lato quindi girare e, sempre a fuoco vivace, finire di rosolare la carne. Irrorare con il brandy e coperchiare. Abbassare leggermente la fiamma. Nel frattempo pelare un’arancia e con un coltello ricavarne gli spicchi togliendo tutto il bianco. Spremere l’altra arancia e conservarne il succo. Lasciare in cottura i petti d’anatra per circa 10/12
minuti rigirandoli qualche volta, quindi bagnare con il succo. Lasciare restringere a fuoco vivace. Cottura totale: circa 16/18 minuti. Aggiungere l’altra meta del burro e farlo sciogliere adagio. Il petto d’anatra, al taglio, dovrà essere leggermente rosa all’interno. Spegnere e lasciare coperchiato qualche istante. Nel frattempo preparare le erbette, il dragoncello, l’arancia a spicchi e la rughetta selvaggia. Il tutto condito con un po’ d’olio d’oliva e Balsamico bianco. Tagliare il petto in 3, diagonalmente, oppure farne una tagliata a fettine sempre diagonali e servirlo irrorato dal suo sughetto, con le erbette miste, formando una torretta.
Gaetano Trovato Siciliano, dopo aver girato tutto il mondo accumulando esperienze, è tornato in Italia dove, assieme al fratello Giovanni, Direttore di Sala, ha dato vita all’Arnolfo Ristorante Relais & Chateaux, a Colle di Val d’Elsa, guadagnando in breve tempo due stelle Michelin, tre stelle sulla guida Veronelli, tre forchette del Gambero Rosso, 16 e 1/2 ventesimi sulla guida dell’Espresso, e altre recensioni di merito nelle guide nazionali.
Piccione al fegato d’oca, nocciole e caffè Ingredienti (per 4 persone): 4 piccioni da 500 gr 4 scaloppe di fegato d’oca da 50 gr cadauna 50 cl di brodo vegetale 4 cosce di piccione 50 gr di nocciole tritate 20 gr di farina 4 fegatini di piccione mezzo bicchiere di Vin Santo 1 caffè, un cucchiaio di glucosio, un po’ di polvere e 8 chicchi di caffè 150 gr di purée di sedano rapa una noce di burro pepe sale q.b.
Preparazione: Per la salsa al caffè: sciogliere la pasta di nocciole con il caffè e il glucosio. Unire un pizzico di polvere di caffè e i chicchi interi. Per i piccioni: disossare le cosce, saltare i fegatini in una padella sfumate con Vin Santo, tritarli e incorporarvi le cosce di piccione. Chiudere con un foglio di alluminio formando dei piccoli cilindri. Mettere in forno a 160°C per 15 minuti. Lasciareli poi raffreddare e passarli nella farina e nell’albume. Infine arrotolarli nelle nocciole e friggerli in olio a 150°C. Dorare quindi i piccioni in una padella a fuco dolce con olio extra vergine e passare in forno a 200°C per 4 minuti. Lasciare riposare e mantenere in caldo; disossare i petti e fare un passaggio veloce in salamandra prima di servire. In una padella ben calda dorare le 4 scaloppe del fegato d’oca un minuto per lato. Al momento di impiattare, fare una pennellata con la salsa del caffè, adagiare sopra la scaloppa, le cosce, i petti di piccione (uno intero e l’altro tagliato in due per lungo), guarnire con i chicchi di caffè e accompagnare con il purée di sedano rapa.
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Casa Comerci s.a.r.l Seduzioni gastronomiche Nicotera www.casacomerci.it
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Terme d’Italia Da Merano ad Ischia, da Bormio a Sirmione, tutti gli indirizzi per tornare in forma con gusto
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L’Italia in mostra: Vercelli Tour culturale e gastronomico nella città del risotto che ospita le collezioni Guggenheim
da pag. 108 Rubriche
• Città in 24 ore, Pisa • Città in 24 ore, Tunisi • L’arte dell’accoglienza
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inviaggio
Un tuffo nel relax Dalle Terme di Merano a quelle di Ischia, seguendo la rotta della “salus per aquam”: gli indirizzi imperdibili per tornare in forma con gusto di Isa Grassano e Lucrezia Argentiero
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I primi a scoprire i benefici delle sorgenti d’acqua furono i greci. Gli antichi Romani esaltarono questi luoghi di cura, attraverso la realizzazione delle monumentali Thermae pubbliche (nella sola città di Roma più di 800 erano gli stabilimenti termali pubblici e privati) e,abitualmente,si riunivano nei bagni termali non solo per rilassarsi ma anche per discutere importanti questioni economiche e politiche. Oggi sono sempre di più le persone che scelgono gli stabilimenti termali per una completa remise en
forme, tra massaggi, terapie di bellezza e trattamenti per la cura e il benessere del corpo. Secondo i dati del Rapporto Federterme 2011 – l’Associazione di categoria delle industrie termali e delle acque minerali – le imprese italiane classificate come aziende termali sono 378, di cui quasi il 50% localizzato nel Nord Italia. Così cresce sempre di più il turismo legato al relax. Un’occasione per staccare con la quotidianità, ritemprarsi e godere delle bellezze del territorio, assaporando anche la cucina tipica.
Scelti per voi dove mangiare Ristorante L’Orangerie – Grand Hotel Terme Sirmione Piatti tradizionali, reinterpretati dal patron della cucina, Stefano Pace. Prezzo medio: da 40 euro Viale Marconi, 7 – Sirmione (Bs) Tel. 030916261 Al Filò Un ristorante ricavato da un vecchio fienile. Specialità valtellinesi. Prezzo medio: 35 euro Via Dante Alighieri 6 – Bormio (So) www.ristorantealfilo.it Bistro delle Terme Merano I tavolini danno sulla bella Piazza Terme. Cucina a base di prodotti locali altoatesini. Prezzo medio: da 25 euro Piazza Terme – Merano Tel. 0473252000
Le più famose Un panorama che spazia tra l’azzurro del cielo e il turchese del lago di Garda. Qui, sulla sponda meridionale, si “affaccia” Sirmione. Intorno al I secolo a.C. la cittadina è frequentata da ricche famiglie di Verona come quella dei Valeri, a cui apparteneva Catullo (87-54 a.C.) che qui possedeva una casa. E quale posto più bello per due giorni di coccole? Aquaria è il centro benessere termale circondato da un grande parco (www.termedisirmione.com).Tra piscine, idromassaggi, lettini effervescenti, docce aromacromatiche e percorsi vascolari, il tempo sembra fermarsi. L’acqua termale è ricca di proprietà naturali e favorisce un relax immediato. La fama delle acque di Bormio (www.bormio3. it) si diffuse invece con Alessandro Manzoni che vi soggiornò e ne fece gli elogi. Tra le cure si può fare il bagno in acqua termale naturale calda (38°C). Tra i massaggi, da provare il Tuina, ispirato alla medicina tradizionale cinese che permette di ripristinare l’equilibrio energetico. Merano, adagiata sulle sponde del torrente Passirio, raccoglie in sé tutta la ricchezza di contrasti che caratterizza l’Alto Adige. Nelle nuove Terme (www.termemerano.it), un imponente cubo di vetro immerso fra alti alberi, palme e roseti, si può provare il bagno altoatesino nella lana di pecora, fibra tessile naturale calda al tatto che agisce direttamente sulla pelle nuda senza aggiunta d’acqua, stimola la microcircolazione e attenua i dolori cronici.
A Salsomaggiore (www.salsomaggioreterme. com) si vive un’atmosfera da fin de siecle parigina, rifugio segreto di tanti attori e personaggi di spicco che qui si regalano una pausa per ricaricare le pile. Da non perdere la passeggiata nel centro, tra giardini ben curati, negozi e boutique, caffé e bar eleganti.All’interno delle Terme Berzieri, che meritano già per la loro architettura, si possono vivere piacevoli ore di relax totale. Fra le proposte del nuovo Mari d’Oriente, ci sono le sedute relax nelle varie piscine tematiche: il mare dell’armonia, il mare della musica, la vasca aromaterapica con diffusione sonora subacquea, il mare dell’energia. Dall’Emilia alla Toscana il passo è breve e con Saturnia ci si immerge nella Maremma più vera e selvaggia. Le Terme di Saturnia Spa e Golf Resort (www.termedisaturnia.it) sorgono proprio sopra una sorgente di acqua sulfurea, già nota agli Etruschi (a oltre 200 metri di profondità a una temperatura di 37). Si può usufruire del bagno romano, con sauna e bagno turco, e degli impianti termali: piscine di acqua calda, idromassaggi, cascate e percorsi acquatici. Poco distante dall’albergo è possibile vivere un’esperienza diversa, ma altrettanto piacevole, immergendosi nelle “pozze” di acqua calda e nei ruscelli che scorrono dalla sorgente termale. Sono free tutto l’anno, anche se durante le ore notturne non sono illuminate. Vale la pena provarle in una serata di luna piena e al chiarore delle stelle. Una vera magia.
La Taverna del Poggio Cucina del territorio rivisitata. Prezzo medio: 30 euro V.le Marconi, 30 Loc. Poggio – Salsomaggiore (Pr) www.tavernadelpoggio.it I Due Cippi Nella piazza del paese, sale a volta, soffitti in legno. Menù tipicamente toscano. Prezzo medio: 40 euro Piazza Vittorio Veneto 26 – Saturnia (Gr) www.iduecippi.com
dove dormire Grand Hotel Terme Sirmione Camere eleganti e terrazza sul lago. Prezzi: da 200 euro Viale Marconi, 7 – Sirmione (Bs) www.termedisirmione.com Palace Hotel A pochi passi dal centro storico. Suite arredate con legno naturale. Prezzi: doppia da 105 euro Via Milano, 54 – Bormio (So) Tel. 0342 903131 www.palacebormio.it Hotel Terme Merano Ambiente moderno e di design. Prezzi: da 110 euro a persona con mezza pensione www.hoteltermemerano.it Hotel Elite Nel cuore del centro storico e vicino al centro termale. Prezzi: da 60 euro a doppia Viale Cavour, 5 – Salsomaggiore (Pr) www.hotelelitesalsomaggiore.it Spa & Golf Resort Saturnia Ricavato da un’antica costruzione in travertino, struttura elegante. Prezzi: 230 euro per persona in doppia www.termedisaturnia.it/it/main/hotel
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inviaggio
Scelti per voi dove mangiare Ai Casoni Affacciato sulla grande laguna, ci si può sedere ai tavoli sospesi sull’acqua. Prezzo medio: da 40 euro via della Laguna, 14 – Bibione (Ve) www.ristoranteaicasoni.it Antica Trattoria Alla Fortuna
Piatti raffinati con attenzione alla materia prima.Prezzo medio: menù degustazione 50 euro, vini esclusi Via Marina, 12 – Grado (Go) www.allafortuna.it
dove dormire Hotel Italy Camere spaziose e luminose, molte con vista mare. Prezzi: 69 euro a persona in pensione completa Via delle Meteore, 2 – Bibione (Ve) www.hotel-italy.it Hotel Abbazia Situato nel cuore di Grado, in zona pedonale. Camere confortevoli. Prezzi: da 136 euro in camera doppia Via Cristoforo Colombo, 12 – Grado (Go) www.hotel-abbazia.com
Fu degli antichi Romani l’idea di istituire Thermae pubbliche. Vi si riunivano non solo per rilassarsi ma anche per discutere di politica Le più “marine” Bibione Thermae (www.bibioneterme.it) è il fiore all’occhiello della località di mare, in provincia di Venezia, a pochi passi dal centro città, tra l’ampia spiaggia e l’antica pineta, circondata dalla quiete e dal profumo di resina. Di recente è aperta la nuova area wellness (per la struttura e l’impiantistica si è fatto ricorso alla domotica, sia nella gestione degli impianti e delle luci a risparmio energetico, sia nella realizzazione di un microclima particolareggiato per ogni ambiente), con cabine caldo-umide agli aromi delle erbe marine, bagno ipersalino. Ampio il ventaglio di massaggi, da quelli rilassanti a quello olistico, fino alle tecniche antiche come l’ayurveda e il thai, per dare energia e ritrovare armonia ed equilibrio. Attenzione anche per i bambini con la Spa Junior, dove i rituali di soffici saponature in Hammam
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uniscono i benefici delle selezionate materie prime idratanti e lenitive (olio di argan, burro di karitè e olio di mandorle) alle fragranze amate dai più piccoli, come la caramella, la cocacola, il miele, i frutti tropicali. Grado (www.gradoit.it), piccolo borgo di pescatori, sin dal periodo asburgico è stata una meta molto frequentata.Ancora oggi è una destinazione perfetta per un fine settimana, tra la magica laguna, i ristoranti con un’antica tradizione culinaria e il benessere delle terme marine. La cittadina è bagnata da acque con una salinità particolare dovuta all’effetto delle correnti e della laguna. L’acqua e la sabbia vengono estratte con una cura meticolosa al fine di non alterarne le proprietà e mantenere intatte le caratteristiche vitalizzanti, detergenti, antibatteriche e rassodanti. Il top? Il massaggio seta marina, morbido come una carezza.
Scelti per voi dove mangiare Trattoria Giovanna In pieno centro e a gestione familiare. Cucina casereccia. Prezzo medio: 15 euro compreso un quarto di vino e caffè Via Manin, 35 – Bagno di Romagna (FC) Tel. 0543911057
Le più romantiche Bagno di Romagna è la patria delle Terme fra le più antiche in Italia (le prime strutture risalgono ai Romani e il paese è anche centrale geotermica per lo sfruttamento di acqua termale come combustibile per il riscaldamento). Qui si può godere dei benefici dell’acqua calda (sgorga a 45 gradi) e del fango termale in uno dei tre stabilimenti che vantano un’elevata tecnologia. Tra questi Euroterme (www.euroterme.com), un concentrato unico di design ed energia, circondato dal verde. Da provare i vari trattamenti, come quelli per la riabilitazione respiratoria e per la cura dell’osteoporosi. La sera ci si rilassa con un bagno all’aperto, tra i vapori, le stelle e il gorgheggiare del fiume. San Casciano dei Bagni è un altro piccolo gioiello, situato alle pendici del Monte Cetona. Qui il quadro è perfetto: tranquillità, privacy, natura incontaminata e il prestigio delle terme (con 42 sorgenti si collocano per portata d’acqua, 5.400mila litri al giorno, al primo posto in Italia) che nel Rinascimento ebbero la loro maggiore notorietà. Le acque dello stabilimento Fonteverde (www.fonteverdespa.com) sono solfate, calciche, fluorate, magnesiache e sgorgano in superficie a una temperatura di 42° C. Ci si può immergere nelle numerose piscine (ce n’è persino una piccola per i cani, per quanti non vogliono separarsi dai propri animali domestici durante il soggiorno) o nell’esclusivo percorso Bioacquam e lasciarsi coccolare dai getti tonificanti degli idromassaggi, avendo di fronte il bellissimo panorama sulla vallata.
Daniela Da assaggiare il cinghiale con castagne, uvetta e prugne. Prezzo medio: 30 euro Piazza di San Casciano dei Bagni (Si) Tel. 057858041
dove dormire Hotel Tosco Romagnolo Ambiente familiare e ottima accoglienza. Fiore all’occhiello è il ristorante Paolo Teverini. Prezzi: doppia da 118 euro Piazza Dante, 2 – Bagno di Romagna (FC) www.paoloteverini.it
Nelle prime due pagine le terme di Merano e Sirmione. Nella pagina precedente: Bibione e Grado. Qui, in alto, due scatti di Bagno di Romagna, e sotto San Casciano: una carrellata di design e benessere, per scegliere la struttura e i trattamenti più adatti alle nostre esigenze
Sette Querce Si dorme tra pareti colorate e tappezzerie vivaci. Prezzi: da 145 a 210 euro per la camera doppia V.le Manciati, 2 – San Casciano (Si) www.settequerce.it
inviaggio
Scelti per voi dove mangiare Ristorante La Parata Cucina tipica e sale con travi a vista. Prezzo medio: 25 euro Piazza del Moretto 40 – Bagno Vignoni (Si) Tel. 0577887508 Trattoria Porta Romana Menù della tradizione locale. Imperdibile la zuppa alle erbe selvatiche e i porcini al forno con patate. Prezzo medio: 25 euro Via della Bontà 12 – Viterbo www.trattoriaportaromanaviterbo.com Al Convento Nei locali che ospitarono per secoli il Convento dei Padri Agostiniani. Piatti a base di pesce. Prezzo medio: 50 euro. Via Lungomare Aragonese, 20 Ischia Ponte (Na) Tel. 081991345
dove dormire Adler Thermae Camere bio-climatizzate con balcone o terrazza con vista sulla Val d’Orcia. Prezzi: da 247 euro a persona. Bagno Vignoni (Si) www.adler-thermae.com Tuscia Hotel completamente ristrutturato, nei pressi del quartiere medievale. Prezzi: doppia da 80 euro Via Cairoli, 41 – Viterbo www.tusciahotel.com Casa del Sole Piccola struttura a conduzione familiare in un ambiente mediterraneo. Prezzi: doppia 100 euro Via G. Mazzella, 192 – Ischia (Na) ww.hotelcasadelsole.it
Le più intime A Bagno Vignoni, uno dei borghi medioevali meglio conservati della Toscana, tutto ruota attorno alle terme. Le locande, le abitazioni e la chiesa di San Giovanni Battista sono sviluppate attorno alla vasca in cui sgorgano dal suolo vulcanico le acque della sorgente termale originale. Acque che hanno attirato personaggi storici di particolare fama, tra cui Caterina da Siena, il Papa Pio II Piccolomini e Lorenzo il Magnifico. Oggi moderne strutture convogliano le acque alimentate dalla sorgente nelle terme di Vignoni (www.termebagnovignoni.it), dove fare anche bagni di fango,irrigazioni e inalazioni. I papi sceglievano le terme di Viterbo (www.letermedeipapi.it) che utilizzano la storica sorgente Bullicame,già citata da DanteAlighieri. Dal laghetto del Bagnaccio, vengono estratti due tipi di fango, già pronti per l’uso: quello lavico grigio, utilizzato per la fangoterapia, e quello sorgivo bianchissimo, per i trattamenti estetici. Non manca poi una grande piscina termale che consente di trascorrere piacevoli giornate dedicate alla cura e alla bellezza del proprio corpo.Per chi,infine,ha voglia di prendere il sole su sabbie dorate e, allo stesso tempo, vivere il fascino di un’isola, Ischia è la meta ideale. Sorgenti, fumarole, fanghi che si trovano pressoché su tutto il territorio, oltre a numerosi stabilimenti termali, tra cui le Terme di Ischia (www.marinaischia.it), a pochi passi dal porto. Le acque sono alcaline, contengono zolfo, iodio, cloro, ferro, elementi potassici e microelementi di sostanze attive. A seconda della loro composizione, sono un rimedio per reumatismi, artrosi, nevralgie, strappi muscolari.
Cosa vedere
Un week end alle terme permette di godere anche delle bellezze del territorio. A Sirmione, da non perdere l’area delle Grotte di Catullo, con i ruderi di un’imponente villa romana di età imperiale e vista sul lago. A Merano merita una visita il Duomo, nel centro storico della città, costruito nel 1310 con un campanile di 80 metri. L’interno è spettacolare: un grande spazio fa da culla a bei dipinti e sculture. Si fa una passeggiata nel verde a Salsomaggiore, nel parco Mazzini, un’oasi naturalistica che ospita magnifici alberi, tra cui cedri, aceri ginko biloba e sequoie. Anche Bibione ha la sua zona verde: Vallevecchio, situata tra Caorle e Bibione. Viterbo racchiude le bellezze del quartiere di San Pellegrino tra imponenti palazzi, torri ed edifici a profferli, le antiche scale esterne nella tipica pietra peperino (un tufo vulcanico caratteristico del viterbese). Dopo il relax, a Ischia si può visitare il museo archeologico di Pithecusae a Lacco Ameno, dove sono custoditi preziosi tesori, come la Coppa di Nestore, la maggiore testimonianza di scrittura negli anni di Omero.
Fuori dai classici itinerari Per chi ami rilassarsi tra getti d’acqua rivitalizzanti e trattamenti benessere per corpo e spirito, da segnalare la prestigiosa struttura del Capovaticano Resort Thalasso & Spa, membro della prestigiosa collezione internazionale MGallery. Hotel dal design contemporaneo e minimalista, è un’oasi incastonata in uno dei tratti più suggestivi della costa calabrese, con vista mozzafiato sul vulcano Stromboli e le isole Eolie. Direttamente integrato all’hotel, l’Istituto Thalassa Sea & Spa, con il suo approccio innovativo al benessere che trae ispirazione dal patrimonio naturale dei dintorni di Tropea con i suoi agrumi e profumi mediterranei. Località Tono Fraz. San Nicolò – Ricadi (Vv) Tel. 0963665760 - www.mgallery.com 102
Immerso nel verde direttamente sul lago l’Hotel Caesius Thermae & SPA Resort riserva ai suoi ospiti i benefici di un’atmosfera rilassante. Il complesso alberghiero offre una miriade di opportunità per garantire all’ospite tutti gli ingredienti di una vacanza indimenticabile. Un attrezzatissimo centro wellness, con saune e bagno turco, piscine interne ed esterne con idromassaggio, fitness e body style, palestra con personal trainer, un beauty center, uno stabilimento termale dalle acque oligominerali, un centro Ayurvedico tra i più completi d’Italia, un’area congressuale perfettamente equipaggiata, un’ampia terrazza con vista sul lago, camere e suite di elevato comfort fanno dell’Hotel Caesius Thermae & SPA Resort una struttura vasta e completa in grado di soddisfare in ogni periodo dell’anno le esigenze più complete.
AYURVEDA E L’ALIMENTAZIONE
LA SETTIMANA AYURVEDICA INTENSIVA
L’Hotel Caesius Thermae & SPA Resort è il primo complesso alberghiero in Italia a disporre di un Centro Ayurvedico di salute e benessere perfettamente attrezzato, seguito da medici e tecnici di grande esperienza, dove l’ospite può giovarsi di un ciclo personalizzato di trattamenti decisi dopo un approfondito colloquio diagnostico iniziale. L’anamnesi iniziale con diagnosi del polso focalizza i differenti dosha (energie vitali e fondamentali) e consente di mettere a punto una cura personalizzata che si esplica in diversi trattamenti: abhyanga (massaggio corpo con oli), shirodara (oleazione della fronte), shiroabhyanga (massaggio alla fronte), mukabhyanga (massaggio al viso), e molti altri ancora. Le applicazioni personalizzate, tendono al miglioramento dello stile di vita e al riequilibrio psicofisico. Il consulto di fine soggiorno, inoltre, suggerisce gli accorgimenti necessari ad un progressivo e stabile benessere.
Yoga e Ayurveda: il paradiso sulla terra. Benessere del corpo, dell’anima e della mente... Offerta valida dal 6 aprile al 7 luglio 2012 Prezzo pacchetto in camera doppia a partire da € 2.091.00
- Pensione completa per 7 giorni - Colloquio medico iniziale con diagnosi del polso (30 min.) - Prescrizione personalizzata dei trattamenti e del programma alimentare - 5 trattamenti ayurvedici al giorno - Ogni giorno una lezione di yoga e pranahyama (60 min.) - Assistenza medica durante il soggiorno - Passeggiate o gite in bicicletta lungo il lago - Una volta alla settimana conferenza con il medico sul tema dell’ayurveda - Bibite di tisane ayurvediche - Colloquio finale con il medico Si consiglia arrivo in Hotel: martedì, giovedì, venerdì, o domenica per la presenza del personale medico ayurvedico.
L’Hotel Caesius Thermae & SPA Resort, accarezzato dal clima mite e incorniciato dalla lussureggiante vegetazione del Garda, è lambito dalle onde di uno dei più bei laghi del mondo, una azzurra gemma incastonata fra monti e colline di rara bellezza, e circondato da antiche e meravigliose città d’arte. I panorami dolci e suggestivi, il sole, l’aria pura, il clima mite, la vegetazione rigogliosa, l’acqua sorgiva incontaminata, le cure termali, il cibo sano e nutriente, le piante medicinale, il massaggio, le mete turistiche o escursionistiche in antiche città d’arte o in ambiente di incomparabile splendore sono quanto di meglio si possa utilizzare per recuperare l’equilibrio del corpo e dello spirito.
Per completare l’offerta il centro di medicina ayurvedica dedica all’ospite una cucina specializzata. Cuochi di talento, qualificati e capaci vi daranno l’esempio di una dieta corretta e ad un tempo piacevole ed allettante. Chi saprà approfittare di questa opportunità trasformerà la propria vacanza in un’esperienza davvero rigenerante. Per maggiori informazioni visitate il sito web:
www.hotelcaesiusterme.com
37011 Bardolino (VR) - Via Peschiera, 3 Tel. 045 7219 100 - Fax 045 7219 700 caesius@europlan.it
l’italiainmostra
A Vercelli, giganti tra le risaie Oggi città del risotto, un tempo crocevia di culture, la cittadina piemontese è custode di tesori raffinati e, fino al 10 giugno, ospita la mostra dedicata ai grandi dell’avanguardia di Silvana Delfuoco
Vercelli
Piemonte
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Città che affonda le sue radici in un prestigioso passato – di lei parla anche il padre Dante, di passaggio da queste parti durante il suo inquieto girovagare per l’Italia – Vercelli oggi è famosa soprattutto per il suo mercato risiero, il più grande d’Europa. Eppure c’è stato un tempo, tra il IX e l’XII secolo, in cui nell’attuale “capitale europea del riso” si respirava un’aria davvero internazionale. Tutto merito del cardinale Guala Bicchieri, vercellese illustre e personaggio di primo piano della storia inglese nei difficili anni della successione di Giovanni Senza Terra. Fu lui a volere la costruzione della maestosa Basilica di Sant’Andrea, simbolo della città e primo esempio di gotico italiano ispirato a modelli cistercensi, che saluta il visitatore appe-
na uscito dalla stazione ferroviaria. E, forse, sempre a lui si deve la presenza, fra i Tesori del Duomo, accanto allo straordinario crocifisso romanico in lamina d’argento risalente all’anno 1000, di un codice su pergamena del X secolo: è il Codex Vercellensis ovvero il mitico Vercelli book, uno dei quattro manoscritti base della lingua anglosassone antica, strumento indispensabile per lo studio della formazione dell’inglese moderno.
La cultura dell’accoglienza A pochi metri da Sant’Andrea, sull’altro lato della strada, c’è il Dugentesco, l’antico ospitale del 1223 nato per accogliere i pellegrini e divenuto poi Ospedale Maggiore nel XV secolo. Sul
Un vercellese alla corte d’Inghilterra L’uomo che diede a Vercelli fama e lustro internazionale, il suo figlio, almeno finora, più celebre fu senza dubbio il cardinale Guala Bicchieri, grande diplomatico al servizio della Santa Sede nel XIII secolo. Su incarico di papa Innocenzo III svolse importanti e delicate missioni all’estero. Toccò a lui, tra l’altro, provare a dipanare l’ingarbugliata matassa della contesa tra Francia e Inghilterra per la successione al trono anglosassone, sia prima che dopo la morte di Giovanni Senza Terra, il fratello di Riccardo Cuor di Leone. Si legge infatti il suo nome nel Consiglio di reggenza dell’erede di Giovanni, il futuro Enrico III ancora bambino, e compare il suo sigillo persino sul testo della Magna Charta del 1215, a garanzia del nome e del titolo regale. Diventato grazie ai suoi viaggi anche un raffinato collezionista d’arte, al suo rientro in Italia, dopo il 1224, si dedicò alla risistemazione edilizia della sua città natale. Il suo nome è legato soprattutto alla costruzione della cattedrale di Sant’Andrea, nominata nel testamento erede universale dei suoi beni.
Alcuni capolavori dei “giganti dell’avanguardia”. Dall’alto Alexander Calder, Senza titolo. Sotto e a destra, Joan Mirò: Prades Il paese e Personaggio cane uccello. In fine, Piet Mondrian - Natura morta con vaso II
Miró, Mondrian, Calder e le collezioni Guggenheim Quinto appuntamento nell’Arca vercellese per il fortunato ciclo della rassegna che propone opere della Collezione Guggenheim iniziata nel 2007, anche questa come le precedenti brillantemente allestita da Luca Massimo Barbero. Si tratta di trentasei capolavori che arrivano da New York, Venezia, Spoleto e l’Aja, alcuni dei quali esposti per la prima volta in Italia, scelti con attenzione cronologica per ricostruire la carriera di Miró, Mondrian e Calder, i tre “giganti dell’avanguardia” protagonisti della storia dell’arte del XX secolo. Se Piet Mondrian è tra i creatori indiscussi del moderno linguaggio astratto, con le sue inconfondibili Composizioni neoplastiche ortogonali, già dalle prime opere di Joan Miró si riconoscono i germi di quel Surrealismo onirico di cui diventerà il massimo esponente, mentre la ricerca sul movimento di Alexander Calder, l’artista forse più vicino a Peggy, è qui ben esemplificata dai famosi Orecchini mobili, che lei sembrava prediligere. fino al 10 giugno - Arca, Chiesa di San Marco, Vercelli - www.guggenheimvercelli.it 105
l’italiainmostra
Risi, risotti e… Un paesaggio variegato quello del vercellese, che dalle risaie sale verso le colline ricche di vigneti da Moncrivello a Gattinara, per aprirsi alle montagne della Valsesia dove troneggia il Monte Rosa. Piatti di terra, ma anche di caccia e di pesca, dove trionfano la panissa, il più tipico dei piatti di riso nelle innumerevoli varianti locali, e le rane, alle quali Vercelli dedica una Sagra tutti gli anni nel mese di settembre. Basta poi salire di quota per trovare, accanto alla polenta concia, ai capunet e alle mocette delle zone alpine, l’uberlekke di Alagna, un caratteristico bollito misto fatto con diversi tipi di carni salate. Si ritorna a valle per gustare i dolci tipici. Specialità di Vercelli sono i bicciolani, friabili biscotti di pastafrolla aromatizzati con cannella, cacao e chiodi di garofano. Cercateli alla pasticceria Taverna&Tarnuzzer di piazza Cavour, dove li fanno ancora secondo la ricetta del nonno.
Scelti per voi dove mangiare Il Paiolo Storico ristorante della tradizione vercellese: imperdibile la panissa. Viale Garibaldi, 72 – Vercelli Tel. 0161250577 www.ristoranteilpaiolovercelli.com Il Bivio Un luogo emozionante, tra i migliori del Piemonte, dove regnano cortesia e disponibilità. Via Bivio, 2 – Quinto Vercellese (Vc) Tel. 0161274131
Le risaie: oggi Vercelli è famosa soprattutto per il suo mercato risiero, il più grande d’Europa
Tra “grange” e risaie Furono i cistercensi nel XV secolo a introdurre il riso nelle pianure del Vercellese, ridisegnando così il territorio con una delle più grandi pianificazioni irrigue del mondo. Il reticolato delle risaie, che diventano “terre d’acqua” a partire da metà aprile, si apre alla vista percorrendo la provinciale che da Vercelli porta a Crescentino. Lo interrompono a tratti le sagome di imponenti cascine dalle antiche origini e la presenza delle grange, le tenute agricole nate dalla bonifica dei monaci. Imperdibile è la visita a Cascina Veneria di Lignano, dove aleggia il ricordo di Silvana Mangano protagonista di Riso amaro. Ci si può fermare ad acquistare qualche varietà di ottimo riso tradizionale per poi spostarsi a Desana, dove gustare un buon risotto nel ristorante di Tenuta Castello. Qualche chilometro più avanti ecco il centro storico delle grange, l’antico Principato di Lucedio con al centro la cistercense Abbazia di Santa Maria, in corso di restauro. Da esso dipendeva anche la tenuta di Leri, divenuta qualche secolo più tardi proprietà del conte di Cavour che proprio da qui iniziò la sua attività di riformatore agrario.
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lungo percorso che dalla Francia conduceva a Roma, la via Francigena appunto, Vercelli era infatti una tappa molto frequentata per la sua posizione centrale strategica. Di questo importante passato, oggi restano molte testimonianze, a partire dal rilevante numero di chiese ancora presenti ricche di importanti opere d’arte, per finire al celebre ciclo di affreschi di Gaudenzio Ferrari nella centralissima San Cristoforo. Proprio in una di queste chiese ha trovato la sua collocazione l’Arca, lo spazio espositivo dal 2007 nuova sede per le arti visive della città, pensato per accogliere e ospitare in tutta sicurezza tesori in arrivo ogni anno da tutto il mondo. Già chiesa di San Marco, poi diventata negli ultimi due secoli area del vino e mercato coperto di formaggi e verdure, oggi l’Arca, nella sua nuova vita, regala ai visitatori sorprese inaspettate. Ultima in ordine di tempo, con il restauro ancora in corso, è la rinascimentale Cappella della Natività di Maria, dove compare una lunetta raffigurante l’Albero di Jesse, un unicum nel panorama figurativo piemontese dell’epoca.
Oryza All’interno di un Castello del seicento, una trattoria per gli amanti del riso, dall’antipasto al dolce. Piazza Castello, 8 – Desana (Vc) Tel. 0161138565 www.tenutacastello.com
dove dormire Cinzia-Da Christian e Manuel Appena fuori dal centro storico, un elegante tre stelle con annesso ristorante dove gustare risotti (ma non solo) in tutte le possibili varianti. Corso Magenta, 71 – Vercelli Tel. 0161253585 www.hotel-cinzia.com Il Giardinetto Una palazzina dell’ottocento in una zona tranquilla ospita questo discreto tre stelle con giardino interno. Via Sereno, 3 – Vercelli Tel 0161257230 www.hrgiardinetto.com Borgo Ramezzana Country House Piscina esterna riscaldata, centro benessere, ristorante interno per questo cinque stelle diviso tra casa padronale e casa del fattore, con vista sulle colline o sul Monte Rosa. Borgo Ramezzana, 3 – Trino (Vc) Tel.0161829412 www.borgoramezzana.it
Il Signum, Charming Boutique Hotel sull’Isola di Salina, è stato ricavato da una sapiente ristrutturazione di un antico borgo contadino immerso nel verde a pochi passi dal mare. Ariose e luminose, arredate con mobili d’epoca e tessuti raffinati, dotate di terrazzi o balconcini, le trenta camera hanno ognuna uno stile individuale e costituiscono un perfetto ambiente per il relax. Le sagome di Stromboli e Panarea tracciate sull’orizzonte sono la spettacolare cornice delle terrazze panoramiche dove si possono trascorrere piacevoli momenti, sorseggiare un calice di vino, rinfrescarsi con un drink al cocktail-bar o gustare i sapori genuini dei piatti proposti dal rinomato Ristorante Signum. I profumi degli agrumi, viti e gelsomini accompagnano l’ospite lungo il percorso del Centro Benessere Signum SPA Salus per Aquam. L’ispirazione alle tradizioni dell’arcipelago vive negli ambienti e nei trattamenti a base dei prodotti della generosa terra vulcanica. Una fonte naturale d’acqua geotermale alimenta il percorso benessere all’aperto.
Hotel Signum is a Charming Boutique Hotel situated on the island of Salina. Just a stone’s throw from the seashore and surrounded by gardens, the hotel is the result of careful restoration of a former rural ‘borgo’ and its cluster of houses. The thirty rooms are airy and sunny with period furniture and fine textiles and have either a balcony or terrace. Every room boasts its own unique style, creating the perfect ambiance for rest and relaxation. The silhouettes of Stromboli and Panarea on the horizon form a wonderful backdrop to the scenic terraces which offer the perfect setting for unalloyed pleasure. An experience heightened when sipping a glass of wine, cooling down with a drink at the cocktail bar or enjoying the authentic flavours of the cuisine offered in Ristorante Signum. The scents of citrus fruits, grapevines and jasmine surround guests throughout their time at the hotel spa, Salus per Aquam. The traditions of this archipelago have been the inspiration for both the health complex and for the treatments, using products provided by the generous volcanic earth. A natural geothermic spring supplies water to the outside treatments.
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di Lucrezia Argentiero
una città in 24 ore
dove dormire
foto: Provincia di Pisa
1. Farsi abbagliare dal candore di Piazza dei Miracoli La Piazza del Duomo di Pisa, Patrimonio Unesco dal 1987, nota come la Piazza dei Miracoli, è sicuramente una delle icone turistiche più sfruttate al mondo. Qui non si rimane affascinati solo dal candore della Torre pendente: fanno infatti bella mostra di sé anche il Battistero, con i suoi sorprendenti simboli, il camposanto monumentale con gli affreschi restaurati e la cattedrale marmorea dedicata a Santa Maria Assunta. E per godersi questo immenso patrimonio ci si può anche sedere sul grande prato verde che circonda ogni capolavoro.
Pisa in 5 tappe Si pensa a Pisa e subito salta alla mente la Torre Pendente. Ma la cittadina toscana, a misura d’uomo, custodisce altre bellezze da vivere con lentezza. E alla sera è d’obbligo mescolarsi con i tanti giovani che si riversano sulle “spallette” dell’Arno a bere qualcosa
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foto: Provincia di Pisa
2. Col naso all’insù per scovare le altre torri “storte” Ebbene sì. A Pisa non pende solo la celebre Torre che fu costruita a partire dal 1173. Ci sono altri due campanili che hanno il baricentro incerto. Uno è quello della Chiesa di San Nicola. Ha la forma ottagonale e risale, molto probabilmente, alla seconda metà del XIII secolo. L’altro campanile, ancor più pendente della celeberrima Torre, è quello della Chiesa Medievale di San Michele degli Scalzi. 3. Il paese in città nella Piazza delle Vettovaglie Attraversando Piazza delle Vettovaglie si entra in una dimensione nuova. Uno spettacolo inaspettato che riserva sorprese. Bancarelle di frutta e verdura insieme a antichi negozi ci riportano indietro nel tempo. E la sensazione è quella di ritrovarsi in un piccolo paese di campagna, dove tutti si conoscono e si chiamano per nome. 4. Stupirsi di fronte ai 180 metri del murales Tuttotondo Gli amanti della pop art e non solo, non possono farsi mancare un passaggio alla prima e unica opera permanente dell’artista, precursore della street art, Keith Haring. Realizzata nel 1989 (anno prima della sua morte) è visibile sulla parete del Convento di Sant’Antonio Abate. Trenta figure inconfondibili, legate e incastonate tra loro come in un magico caleidoscopio. 5. Ammirare i Lungarni al tramonto Passeggiare durante il crepuscolo, accanto all’antica via d’acqua (l’Arno) è un’esperienza di straordinaria bellezza. Al tramonto, i lampioni posti sulle “spallette del fiume”, si specchiano nell’acqua insieme alla Chiesa di San Sepolcro e ai palazzi Lanfranchi, Gambacorti, Agostini, dei Medici e Palazzo Reale, rendendo ancor più magica l’atmosfera. Da non perdere la magica atmosfera della Luminara, il 16 giugno, quando i Lungarni spengono le proprie luci e si illuminano con le candele.
Royal Victoria Hotel Dal 1837 gestito dalla famiglia Piegaja. Stanze arredate con pezzi d’epoca. Prezzi: da 80 euro la doppia Lungarno Pacinotti, 12 Tel. 050940111 www.royalvictoria.it B&B Le Torri A soli 10 minuti dal centro; 7 camere a conduzione familiare. Prezzi: da 58 euro la doppia Via delle Torri, 2 Tel. 0509711697 www.ristoranteletorri.info
dove mangiare Osteria dei Cavalieri Presso Piazza dei Miracoli, la cucina toscana reinterpretata con creatività. Prezzi: da 35 euro Via San Frediano, 16 Tel. 050580858 www.ostriadeicavalieri.isa.it Trattoria Alla Giornata Un ambiente accogliente. In menù piatti di carne e pesce freschissimo. Una delle specialità? Gli spaghetti alla bottarga. Prezzi: da 25 euro Via S. Bibbiana, 11 Tel. 050542504 www.trattoriaallagioranta.com
dove comprare Cioccolateria De Bondt Sperimentare e creare gioielli di cioccolato. Questa la missione di Paul e Cecilia, cioccolatieri per passione. Lungarno Pacinotti, 5 Tel. 0503160073 wwwdebondt.it Max il cuoiaio Prodotti artigianali realizzati in cuoio secondo vecchie tradizioni. Via Domenico Cavalca, 57 Tel. 050574299 www.maxilcuoiaio.it
L’idea in più I quattro quartieri del centro storico della città rivivono le loro tradizioni nel “Gioco del Ponte”, una delle principali manifestazioni storiche che si svolge l’ultimo sabato del mese di giugno, in occasione delle festività legate al patrono San Ranieri.
Voli consigliati su Pisa: Air One Per info: www.flyairone.com Call center 892 444 (soggetto a tariffazione specifica)
di Isa Grassano
una città in 24 ore
dove dormire 1. La Medina, una città nella città È il cuore storico della città e patrimonio Unesco (dal 1979). La Medina, più di ogni altro luogo, rappresenta l’identità tunisina: tredici secoli di storia immutati, in un intrico di gallerie e vicoli tortuosi, costellato di palazzi nobiliari, scuole coraniche, moschee, hammam e souq pieni di vita. Si tratta della Medina più grande (270 ettari), più viva (100 mila abitanti) e la meglio conservata di tutto il Nord Africa. 2. La Moschea dell’Ulivo All’interno della Medina, la Moschea di Al-Zaytuna o moschea dell’Ulivo è il più antico e il più grande luogo di culto della città, un tempo postazione difensiva per le sue due torri rivolte verso il mare. Ha 9 entrate e ben 184 colonne antiche, per la maggior parte provenienti dal sito archeologico di Cartagine, per una superficie di 5 mila metri quadri. Perché dell’ulivo? Si dice che nel luogo dove ora sorge il tempio, prima ci fosse un antico sito di preghiera e una pianta di ulivo. 3. Il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari Si trova sulla collina di Byrsa, presso la quale, di recente, sono state portate alla luce le rovine della antica Acropoli della città. È all’interno del Palazzo Dar Ben Adballah e custodisce reperti punici e romani che quasi sembrano perdere di interesse di fronte alla magnifica cornice del palazzo che li ospita. Da ammirare la serie di sarcofagi di marmo, le ceramiche funerarie e una collezione di articoli di uso comune.
Tunisi in 5 tappe La capitale della Tunisia seduce con il suo fascino mediterraneo e con i suoi contrasti tra la parte storica, la Medina, e quella moderna, fatta di quartieri residenziali e palazzi dal gusto contemporaneo. Visitare la città significa fare un tuffo nelle atmosfere del souq ma anche nella cucina tipica, degustando tajine malsouqa (carne ripiena d’uova) o il ragù d’agnello zuccherato alla frutta secca
4. Ammirare le miriadi di colori a Palazzo del Bardo Sosta importante è quella al Museo del Bardo, situato all’interno dell’ex seicentesco Palazzo del Bardo, residenza ufficiale dei bey husseiniti, considerato uno dei più importanti musei archeologici africani e testimonianza del gusto architettonico tunisino. Si gira tra rivestimenti in ceramica colorata, pietra scolpita, intarsi di marmo e gesso finemente cesellato. Diverse le sezioni che vanno dall’epoca cartaginese, alla romana, passando per quella paleocristiana e arabo-islamica. La sezione romana contiene una delle più incantevoli raccolte di statue e mosaici policromi del mondo. 5. Fare piccoli affari al souk Non lontano da Avenue Bourguiba, tutti i sensi vengono catturati dal souq, il mercato caratteristico della Medina. Qui è impossibile non rimanere colpiti dai colori sgargianti delle stoffe, dagli odori di incensi e spezie che pervadono tutte le innumerevoli stradine del centro. Ci si può anche soffermare ad assaggiare i piatti tipici della tradizione araba come il cous cous, le polpettine di pesce o il kebab.
Dar el Medina Una residenza autentica e di pregio nel cuore di Tunisi Prezzi: doppia a partire da 148 euro www.darlemedina.com Hotel Maison Blanche Lusso e confort in un hotel di charme. Prezzi: junior suite a partire da 137 euro www.hotel-lamaisonblanche.com
dove mangiare Dar el Jeld Nel cuore della Medina. In menu piatti della tradizione tunisina rivisitati. Ai fornelli solo donne, mentre gli uomini lavano i piatti. Prezzi: da 30 euro www.dareljeld.tourism.com Dar Hamouda Pacha Grande locale nel patio, con musica tradizionale e cucina tipica. Prezzi: da 18 euro Rue Sidi Ben Arous, 56
shopping Le Diwan Il posto giusto, all’interno della Medina, quasi di fronte al ristorante Dar el Jeld, per trovare sciarpe di seta, profumi, tessuti per la casa, artigianato. Rue Dar El Jeld info: www.tunisiaturismo.it
L’idea in più Scoprire una vera casa Per chi vuole scoprire un’autentica casa tunisina può recarsi a Dar El Béhi, un bel palazzo del XIII secolo, con ceramiche del ’600, luogo di ritrovo e sala da tè, dove sorseggiare una bevanda con pasticcini (per 5 dinari, meno di 3 euro). La padrona di casa accompagna i visitatori in ogni stanza, dalla cucina ai salotti e mostra la sua collezione di abiti tradizionali.
Voli consigliati su Tunisi: Air One Per info: www.flyairone.com Call center 892 444 (soggetto a tariffazione specifica) 109
l’arte dell’accoglienza
di Raffaele Romeo Docente I.P. S.S.A.R. C. Porta Milano
E la cena va in scena
Non chiamatela “pensione completa” Quella alberghiera è la più antica e tradizionale forma di ristorazione e, nel nostro paese, rappresenta un terzo dell’offerta ristorativa totale. Ma non tutte le strutture hanno ancora capito l’importanza di rivedere e rinnovare il proprio servizio
Secondo una recente indagine di Federalberghi, due persone su tre dichiarano di preferire gli alberghi con il ristorante. Questi dati danno un messaggio chiarissimo sull’attenzione che il settore deve mostrare al reparto ristorativo, apportando innovazioni nel servizio e mutando gli stili organizzativi della ristorazione tradizionale. Oggi l’accoglienza a tavola deve essere dunque considerata come elemento integrante dell’ospitalità e valorizzare tutti gli aspetti relativi alla ristorazione, sia dal punto di vista della qualità che del servizio. Bisogna sfatare quel luogo comune “che nei ristoranti d’albergo si mangia male”! Negli ultimi anni diverse strutture alberghiere hanno effettivamente saputo cogliere i segnali del mercato e, malgrado i tanti vincoli di un sistema burocratico – ancora legato alla logica anacronistica delle licenze per i clienti non alloggiati – hanno saputo investire nella ristorazione di qualità. È giunta però l’ora che tutti gli albergatori modifichino il modo di gestire e proporre la vecchia e tradizionale ristorazione ormai ampiamente superata. Ma cosa bisogna cambiare? La pretensiosità e i formalismi del servizio alberghiero, per esempio, del tutto fuori moda. Il classico menù d’albergo, non più gradito da
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chi fuori casa ha acquistato una serata, un evasione, una vacanza. Le cucine degli alberghi, infine, progettate secondo i sistemi e abitudini dei vecchi chef senza avvalersi di tecnologie che permettono di superare tutte le difficoltà di preparazione e di costo. È necessario riposizionare la ristorazione alberghiera togliendo o modificando il grigiore della pensione completa proponendone una ad hoc, tenendo conto che gli ospiti negli anni hanno modificato sensibilmente la sfera delle loro pretese. Inoltre il ristorante d’albergo non deve vivere di soli ospiti in pensione completa ma deve necessariamente sfruttare le potenzialità della struttura nel territorio, andando a creare ricavi da segmenti diversi quali banqueting e attività congressuali, che consentono di consolidare il fatturato quando non costituiscono, per alcune realtà imprenditoriali, la fonte principale di redditività. In concreto, il ristorante, se organizzato bene e con un’offerta adeguata e contestualizzata, spesso funge da vetrina per potenziali clienti. Per concludere, ritengo che in albergo si possa fare una buona ristorazione garantendo innovazione e imponendosi per la qualità della tavola, per la convenienza del suo servizio e per i sorrisi del suo personale.
C’è una simpatica teoria di Aurelio Bonini a questo proposito. Molti alberghi, specialmente quelli di vacanza, considerano la struttura come un teatro nel quale a 100 letti devono corrispondere 100 posti a ristorante. Il teatro prevede la compresenza degli ospiti (spettatori) e del personale (attori). La cucina è messa in linea con largo anticipo per l’ora protocollare del pasto, quando saranno presenti tutti i clienti affamati, tutti i cuochi accaldati e tutti i camerieri allineati. Risultato: completare il servizio spettacolo. La formula è la pensione completa: 100 letti – 100 posti ristorante = 100 coperti in un’ora. Non ci siamo accorti che gli spettatori sono cambiati e non vogliono essere degli anonimi coperti! Questa formula va sostituita con un modello funzionale tipico della ristorazione commerciale, ovvero: albergo = ospitalità + piaceri + soddisfazione.
Il Premio Chef d’hotel L’istituzione del Premio Chef d’hotel ha voluto portare all’attenzione del pubblico e delle istituzioni il livello di qualità raggiunto dal sistema della ristorazione alberghiera italiana. Nella percezione comune, infatti, la ristorazione alberghiera si ritrova spesso ancorata alla “pensione completa” degli anni ’60 che ha segnato lo sviluppo del turismo di massa, ma che non trova certo più spazio in un mercato come quello attuale caratterizzato da una clientela esigente, alla ricerca di esperienze ed emozioni anche nel campo enogastronomico. Il Premio Chef d’hotel ogni anno porta alla ribalta uno chef emergente e seleziona uno chef affermato, nella prima edizione è stato assegnato il premio ad Heinz Beck che, raggiungendo risultati di eccellenza con il ristorante La Pergola, ha contribuito a consolidare il successo dell’Hotel cavalieri Hilton di Roma.
Con l’impianto a carico immediato masticazione senza indugi I recenti progressi dell’implantologia garantiscono tempi ridotti e risultati estetici oltre che funzionali I pazienti ai quali è possibile inserire impianti a carico immediato sono i portatori di protesi totale completa e i soggetti affetti da piorrea con i denti compromessi e mobili. L’implantologia, nella sua forma più evoluta ed efficace, prevede l’inserimento degli impianti dentali con un’attesa variabile nel tempo dai tre ai quattro mesi, prima di procedere all’applicazione del carico masticatorio definitivo e duraturo. Ti tratta dei tempi biologici necessari per ottenere l’osteointegrazione degli impianti (viti) in titanio, cioè la loro perfetta saldatura biologica all’osso. Con il carico immediato si soddisfa
senza attese il principale obiettivo del paziente: avere i denti subito, che siano funzionali e che presentino un bell’aspetto naturale. Tutto questo si ottiene grazie alle nuove tecniche chirurgiche, all’esperienza di chi opera e ai materiali utilizzati che devono essere di alta qualità e biocompatibili. Non va poi dimenticato il risparmio di tempo grazie al ridotto numero di sedute. Studi recenti hanno dimostrato che anche con la protesizzazione immediata si ottiene l’osteointegrazione che è il fenomeno biologico chiave per conseguire un’implantologia orale di successo. La condizione necessaria per la predicibilità della tecnica è la stabilità primaria degli impianti al momento dell’inserimento. I candidati al carico immediato sono i portatori di protesi totale completa, che viene sostituita da una protesi fissa nell’arco di una giornata. I vantaggi son tanti anche sotto il profilo psicologico del paziente. Altri candidati sono i soggetti affetti da piorrea con i denti gravemente compromessi e mobili. In questi casi si esegue l’estrazione degli elementi
dentali e il contestuale inserimento degli impianti. Nello stesso giorno si consegna la protesi fissa con un doppio risparmio di tempo e con disagi relazionali ridotti ad un solo giorno. I pazienti candidati a ricevere gli impianti a carico immediato vengono selezionati con adeguate procedure diagnostiche, sia strumentali sia cliniche, al fine di ottimizzare la percentuale di successo. Questa fase diagnostica consente al clinico di operare con la massima sicurezza nel rispetto delle strutture anatomiche sensibili, come il nervo alveolare nella mandibola e il seno mascellare nell’arcata superiore. Costituisce controindicazione la presenza di malattie sistemiche non compensate rilevate da un’accurata anamnesi. Per l’intervento il paziente viene preparato con sedativi per vincere l’ansia e con un adeguato dosaggio di anestetico che permette di controllare il dolore intraoperatorio, mentre gli antidolorifici comuni lo aiutano a sopportare il dolore postchirurgico. Dopo qualche mese, quando il processo di osteointegrazione e di guarigione si è realizzato,
RX panoramica con impianti osteointegrati si procede alla finalizzazione con protesi definitiva, che è in ceramica, con forma, volume e colore dei denti esteticamente eccellenti. Tutti i denti sono avvitati in modo da poter revisionare la protesi ed eseguire reinterventi protesici, quando fossero necessari, senza dover compromettere tutto il manufatto. La terapia di mantenimento sia domiciliare, con l’attento controllo della placca con mezzi e modi adeguati, sia professionale con sedute periodiche di igiene orale effettuate nello Studio, garantisce la durata nel tempo della ricostruzione.
Piaceri 114
I piaceri di Bacco Il Brunello di Montalcino, vino rosso conquistatore dei popoli
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Le mani raccontano Nuccio Schepis, lo scultore e calcografo che “cura” i capolavori dell’arte
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Rubriche
• Benessere • Trendy • Shopping • Libri • Arte
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ipiaceridiBacco
di Roberto Rabachino Giornalista e Presidente IWTO International Wine Tasters Organization
Brunello di Montalcino, rosso conquistatore di popoli Da una terra di grande storia e di grande bellezza, diventata Patrimonio Unesco, non poteva che nascere il vino simbolo dell’enologia nazionale. Il primo, in Italia, a ottenere, nel 1980, la Docg Montalcino si trova in Toscana, nell’Italia centrale, a circa 40 km a Sud della città di Siena, in una zona collinare dal paesaggio incontaminato. Un paesaggio agricolo di grande storia e di grande bellezza che dal 2004 è iscritto dall’Unesco nel Patrimonio dell’Umanità. Il Brunello di Montalcino ha una storia antica, ricca di episodi e di grandi figure. Nel 1550 il frate bolognese Leandro Albert segnalava nei suoi scritti Montalcino quale zona vocata per buoni vini. È tuttavia negli anni dell’Unità d’Italia che i tentativi di vinificare l’uva di Brunello in purezza e maturare il vino in botte si intensificano e giungono a ottimi risultati. Il padre precursore del Brunello di Montalcino fu certamente Clemente Santi. Nel 1869 un suo Vino Scelto (Brunello), della vendemmia 1865, fu premiato con la medaglia d’argento dal Comizio Agrario di Montepulciano. Negli anni successivi, lo stesso vino ottiene altri importanti riconoscimenti internazionali battendo i rossi francesi persino a Parigi e a Bordeaux. Nasceva così il mito del Brunello. Il suo nome deriva dal vitigno con cui è prodotto, il Sangiovese che in quella zona è definito, appunto, Brunello per il suo colore bruno, scuro. Già nel 1932, Montalcino ha un primato “legislativo”: si può chiamare infatti Brunello solo il vino prodotto e imbottigliato nel co-
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Zona di produzione Il Brunello di Montalcino, autentica eccellenza della produzione vinicola Toscana, se non italiana, si produce esclusivamente nel territorio del comune di Montalcino in provincia di Siena.
Le uve utilizzate Per la produzione del Brunello di Montalcino Docg si usano esclusivamente uve Sangiovese Grosso, chiamato localmente Brunello, coltivate secondo metodi tradizionali e con basse rese: quella per ettaro, infatti, non può essere superiore al 70%, mentre la resa in vino finito non deve superare il 68% delle uve utilizzate.
La vinificazione e l’invecchiamento Dopo la vinificazione, ottenuta secondo metodi tradizionali e senza alcuna forzatura, il Brunello di Montalcino deve essere posto a invecchiare in botti di rovere per almeno due anni, seguiti da non meno di tre anni di affinamento, dei quali almeno 4 mesi in bottiglia: il disciplinare infatti prevede che il vino possa essere commercializzato soltanto dopo almeno cinque anni dalla vendemmia. Per la tipologia riserva, il periodo di invecchiamento si allunga di un anno, e quello minimo di affinamento in bottiglia raggiunge i 6 mesi, portando, quindi, il tempo totale di invecchiamento e affinamento a un totale di 6 anni.
Le migliori annate Il Brunello di Montalcino è un vino che, per le sue caratteristiche, sopporta bene lunghi periodi di invecchiamento, che per le buone annate può raggiungere anche i 30 anni. Anche se sconsigliamo l’invecchiamento fai da te, ricordiamo che chi volesse invecchiare in casa del vino deve rispettare alcune fondamentali regole: le bottiglie devono conservarsi sdraiate, a temperatura costante, in un ambiente fresco, buio, senza rumori od odori, facendo particolare attenzione che il tappo si mantenga sempre umido. Le annate di Brunello di Montalcino da me degustate e da me personalmente considerate eccezionali sono quelle del 1958, 1964, 1970, 1975, 1978, 1985, 1988, 1990, 1995, 1997, 1999, 2004, 2005, 2006 e 2007.
In apertura, bottiglie e botti per Brunello. Il suo nome deriva dal vitigno con cui è prodotto, il Sangiovese che in quella zona è definito, appunto, Brunello per il suo colore bruno, scuro
mune di Montalcino. È stato il primo vino italiano, dal 1° luglio 1980, a ottenere la Denominazione di Origine Controllata e Garantita. Il Brunello di Montalcino è un vino di media gradazione alcolica e si serve a una temperatura tra i 18° e i 20° C di temperatura in bicchieri ampi e panciuti. Si presenta di un bel colore rosso rubino tendente al granato, brillante, con un profumo che richiama ampie note di sottobosco, piccoli frutti rossi, confettura e vaniglia. In bocca, il vino è di una eleganza unica con una forte persistenza aromatica. La grande eleganza del Brunello di Montalcino fa sì che il vino possa essere abbinato con piatti molto strutturati e compositi, a base di carne rossa o selvaggina da pelo o piuma, anche accompagnate da funghi e tartufi. Eccezionale anche l’abbinamento con i formaggi a lunga stagionatura. Oggi, indiscutibilmente, il Brunello di Montacino concorre a fare dell’Italia una delle eccellenze del comparto enologico mondiale.
Toscana
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lemaniraccontano
Pronto Soccorso capolavori Scultore, pittore, calcografo: Nuccio Schepis può dire di essere uno che ogni giorno mette le mani sulla Storia. Le sue dita hanno sfiorato le opere dei più grandi maestri: è lui che ha ingaggiato, vincendola, la sfida di riprodurre i calchi della Vittoria Alata del Canova e restaurare le matrici di Raimondi e Morandi. Ed è alla sua cura che oggi sono stati affidati i Bronzi di Riace, i giganti venuti dal mare di Lucia Lipari
Fuori dal laboratorio-vetrina, en plein air, di Palazzo Campanella, sede del Consiglio Regionale della Calabria, e sotto gli occhi di migliaia di turisti, Nuccio Schepis ogni tanto interrompe il suo lavoro sui titanici Bronzi, si spoglia del camice per concedersi una sigaretta e, assaporando il gusto di mescolarsi tra la gente, cattura l’attenzione dei visitatori attraverso i segreti dei suoi monili. «Avevo una gran voglia di viaggiare quando iniziai – racconta – Cortina, Milano, Roma, Novara, l’America. Vedevo i grattacieli come dei grandi totem. Tuttora con la mente sono sempre in viaggio. È fantastico, perché proprio la scultura e la pittura sono i miei sogni». Schepis è un artista a tutto tondo – scultore, pittore, calcografo – la cui tensione artistica coniuga l’estro della materia con l’emozione stilizzata del 116
’900 e del suo legame con la classicità. È fondatore, assieme ad Attinà, Bolignano, Filosa, Giulietti, Martino, Minnella de I Mediterranei, un gruppo di espressionisti, il cui manifesto programmatico – futuristico per gli anni ’80 – metteva alla berlina i critici spocchiosi, i galleristi improvvisati, i pittori imbalsamati e il loro fumo artistico, mentre esaltava, invece, le luci, le forme, i colori, la libertà d’essere ciò che si desiderava. La coscienza di uno “spazio Mediterraneo” dove si giocavano i destini della contaminazione tra generi: è da quest’idea d’avanguardia che muovevano i sette artisti. Aperte le porte di cristallo del suo studio, Schepis ci parla di quando gli venne affidato il primo incarico: «Ero alla Pinacoteca di Brera, si trattava di una cornice di Raffaello Sanzio. Lavoravo anche di notte, mi sentivo un privilegiato. Quando, nel silenzio assoluto, sentivo scricchiolare i dipinti, entravo in un rapporto diretto con l’opera. Una notte al museo, per me, era come una visione. Ho avuto tra le mani le opere dei più grandi maestri. Ho ingaggiato, vincendola, la sfida di riprodurre i calchi della Vittoria Alata del Canova, le matrici da restaurare di Raimondi , Morandi e molti altri. Per me dipingere o scolpire è estrarre dai cilindri dell’istinto e dell’informe i segni e le strutture, rivelare la bellezza del mondo del creato, giocare con lo spazio, fissare l’attimo nell’im-
In apertura Nuccio Schepis al lavoro sui Bronzi nello studio-laboratorio di Palazzo Campanella a Reggio Calabria. Qui, da sinistra, in senso orario, alcune delle sue opere: Nel mio studio, La ballerina e La testa del filosofo. In basso, The red dress
magine eterna, scavalcare il visibile per inseguire l’enigma. Come è stato per i Bronzi, un’esperienza unica». Nuccio Schepis è infatti, insieme a Paola Donati, il restauratore dei celebri giganti del mare: i Bronzi di Riace, rinvenuti in Calabria nel ’72 dal sub romano Stefano Mariottini, al largo del mar Ionio, sulla costa impreziosita dai gelsomini che fu culla della Magna Grecia. Gli chiediamo qualche dettaglio sulle tecniche di restauro operate in questi anni: «si tratta di due magnifiche statue di fattura ellenica, ritrovate incastrate in tenoni, risalenti al V sec. a.C. e realizzate con una tecnica diretta, cosidetta “a cera persa”. Una pratica scultorea – continua il maestro – che consiste nel creare un modello di cera e utilizzarlo per farne uno stampo di argilla. Praticando due fori, uno in alto e uno in basso, si fa uscire la cera, scaldandola, e si versa del bronzo fuso al suo posto. Se ne ricava, così, un modello identico a quello di cera. Oggi, questi adoni bronzei sono provvisoriamente ricoverati presso il mio laboratorio. Deposti supini, all’interno di un ambiente climatizzato, vengono conservati a temperatura e umidità costanti, per evitare che la lega binaria di rame e
«Al mio primo incarico ho avuto tra le mani una cornice di Raffaello. Lavoravo anche di notte, mi sentivo un privilegiato» stagno che compone le statue sia soggetta a processi di elettrolisi passibili di cagionare scompensi al metallo, creando delle corrosioni per pitting, volgarmente conosciute come “cancri del bronzo”. La metodologia di restauro ha previsto solventi e strumenti che si usano in laparoscopia, aste telescopiche e videoendoscopi, per eliminare i sali dalle terre di fusione all’interno del Bronzo A e del Bronzo B e sondare sotto la luce ultravioletta ogni loro centimetro quadrato. Un particolare a me caro è stato rinvenire in uno scrigno del Museo le ciglia di Bronzo B e apporle nuovamente alla statua». Questi illustri pazienti sono stati visitati anche da un team di scienziati nipponici, senza che però si sia riuscito a cavare nulla dal buco sibillino delle loro origini. Solo recentemente, il Cipe ha deliberato lo stanziamento di 6 milioni di euro, che vanno ad aggiungersi ai 5 già investiti dalla Regione Calabria, affinché possa ripartire il cantiere di Palazzo Piacentini, nel Museo Nazionale di Reggio Calabria, così da trasferire i virili signori di bronzo alla loro precedente dimora. Al termine dell’incontro con Nuccio Schepis, il restauratore dei Bronzi ci mostra le sue mani, accuratamente levigate, quasi di velluto e, sorridente, ci dice: «io ci metto passione». La stessa passione con cui questo poeta dell’arte, insieme a I Mediterranei, ha dato vita a un vernissage di opere di pittura e scultura che rimarranno in mostra fino a metà giugno, presso Villa Zerbi, lungo il chilometro più bello d’Italia – così Gabriele D’annunzio ebbe a definire il lungomare di Reggio Calabria – prima di volare alla conquista delle patinate vie di Chicago e della sua Rosenthal Gallery. 117
benessere
di Francesca Frediani
La bellezza italiana che piace agli stranieri Versace: of course! Un marchio italiano che ha fatto innamorare gli americani è Versace, tanto che tutti i prodotti che nascono da uno dei più noti brand di casa nostra diventano sinonimo di cult, creatività ed eleganza made in Italy in tutto il mondo. Numerosi i riconoscimenti ricevuti dalla maison, nella moda così come nei profumi. L’ultimo successo profumato si chiama Versace Yellow Diamond che ha ricevuto il prestigioso premio assegnato da Accademia del Profumo (l’associazione italiana delle imprese cosmetiche nata con l’intento di valorizzare l’eccellenza dell’industria profumiera) come “Miglior Profumo Femminile Made in Italy”. Un profumo fresco dai vivaci accenti fioriti, per una femminilità vera e consapevole del proprio fascino. www.euroitalia.it
Italiano con passaporto francese
La Spa millenaria amata nel mondo: Saturnia
Acqua di Parma è un brand italiano fortemente voluto dai francesi. Ricco di antiche tradizioni, nasce nel 1916 nel cuore antico di Parma (da cui prende il nome). Acquistato e valorizzato in seguito da un gruppo di tre imprenditori amici (Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle e Paolo Borgomanero) fu conquistato nel 2003 da LVMH, holding parigina leader a livello mondiale nella produzione e nella distribuzione di beni di lusso, diventando un’icona a livello internazionale, ma rimanendo fedele ai suoi valori: tradizione, qualità ed eccellenza italiane. Tutte le linee di prodotto esprimono un originale concetto di lusso contemporaneo e sono destinate a diventare classici. L’ultimo successo annunciato è Blu Mediterraneo, una linea di fragranze ispirate alla natura e al fascino del Mediterraneo. Cinque le varianti proposte: Arancia di Capri, Mirto di Panarea, Bergamotto di Calabria, Fico di Amalfi e Mandorlo di Sicilia. In vendita nelle profumerie selezionate e boutique Acqua di Parma. www.acquadiparma.it
Note in tutto il mondo e apprezzate nel corso dei millenni, le Terme di Saturnia si trovano nel cuore dell’Italia, a Grosseto (Toscana). La leggenda vuole che Saturnia sia stata la più antica città italica; quello che si sa per certo invece è che già esisteva ai tempi degli Etruschi con il nome di Aurinia, poi ribattezzata Saturnia dai Romani. E furono proprio i Romani a coniare l’acronimo Spa (Salus Per Aquam) e a trasformare le terme in luoghi di salute, ma anche di piacere e di incontri, di vita sociale, amorosa e politica. Le Terme di Saturnia in ogni caso hanno attraversato i secoli accrescendo la loro fama nel mondo e confermando il loro fascino grazie alla preziosa fonte termale, ricca di sostanze uniche e benefiche, che ha continuato indisturbata a sgorgare dal cuore della terra per oltre 3mila anni. Terme di Saturnia Spa e Golf Resort è uno dei più prestigiosi e noti wellness resort al mondo che comprende centro benessere e piscine termali, nonché The Ultimate (la nuova area Luxury Relax) e un campo da golf da 18 buche. La struttura fa parte dei Leading Hotel of the World, Leading Spa of the World nonché Leading Golf, ed è aperto tutto l’anno con pacchetti mirati per ogni esigenza. www.termedisaturnia.it
Miss? No, Signorina Una ragazza che vive istanti di gioia e di attesa, mentre si prepara per un incontro speciale. È fresca, romantica, bellissima e leggermente maliziosa, come il suo profumo: Signorina di Salvatore Ferragamo. Si fa trasportare dai freschi e delicati sentori della fragranza e l’attesa diventa ancora più emozionante. Lei è la bellissima top-model italiana Bianca Balti, protagonista del nuovo spot della maison italiana famosa in tutto il mondo. In vendita l’Eau de Parfum da 30, 50 e 100 ml proposta nelle profumerie selezionate insieme all’estensione di linea. Edp da 50 ml a 68 euro. www.ferragamo.com
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KALIDRIA
THALASSO SPA RESORT
trendy
di Giemme
Oltre la giungla metropolitana 1.
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Per chi non l’ha ancora fatto, è il momento di partire per un viaggio in Kenya. L’esperienza del safari è indimenticabile. Ancora di più con il look giusto Ogni tanto si parla con amici e parenti e molte volte vengono ricordati i momenti della vita che ci hanno regalato delle forte emozioni. Tra questi, ci sono sicuramente certi viaggi che ci hanno segnato e fissato dei ricordi indelebili. Chi non è stato in Kenya, mi sento di dire, dovrebbe organizzarsi e programmare un viaggio al più presto. Cielo e stelle sono indimenticabili. Mare e luce incredibili. Atmosfere e colori unici. Ma sicuramente la cosa più emozionante è il safari. Si è improvvisamente buttati in un altro mondo. Un’altra dimensione. Un’altra era. Un universo completamente unico. Colori, natura, rumori, odori, luci, pace, animali, sensazioni, visioni. Tutto sembra improvvisamente irreale. E l’emozione ti arriva forte quando realizzi che non stai sognando. Anzi ti auguri di sognare spesso quei luoghi. E anche se non dovessi sognarli te li porti dentro per sempre. Non una foto. Non un video. Non una cartolina. Ma il ricordo: quello è tuo ed è per sempre. Vedere degli animali nel loro habitat, nel loro mondo, è eccezionale. E sapere che non verranno cacciati, è ancora meglio. E che dire della moda. Molti creatori hanno presentato delle collezioni ispirate ai safari o all’Africa. Qui potrete trovarne degli esempi. In ogni caso non così emozionanti come la realtà. Buon safari con: Burberry, Ermanno Scervino, Etro, Woolrich, Marni, Hogan, Giorgio Armani e Fendi.
1. Marni - Africa 2. Etro 3. Woolrich Woolen Mills 4. Burberry 5. Ermanno Scervino 6. Hogan 7. Giorgio Armani 8. Fendi
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shoppin shopping
di Olga Carlini
Insolita raffinatezza
La passione per la ceramica e l’amore per il gioiello si incontrano nelle creazioni di Olivia Monti Arduini. La pregiata porcellana di Limoges viene da lei colorata e lavorata a mano per poi essere cotta ad alta temperatura così da renderla più resistente e satinata al tatto. L’esperienza artigiana e la predilezione per le linee semplici e pulite si sposano in forme che conciliano tradizione e modernità. Sono creazioni uniche sempre nuove, sempre originali. Prezzo: 140 euro
Viaggiare in tutta leggerezza Realizzata in Policarbonato al 100%, la gamma Helium di Delsey è particolarmente leggera: basti pensare che il trolley a 4 ruote da 65 cm pesa solo 2,9 kg! E, per facilitare ulteriormente il trasporto, è dotata di ruote giapponesi, particolarmente comode e silenziose. Ampia la scelta dei colori (blu, grigio argento, verde acido, peonia, oltre al classico nero). Prezzi: da 199 a 289 euro
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Carezzata dal vento Eleganza bon ton firmata Ermanno Scevrino per la borsa Faubourg in canvas usurato con macramè e doppi manici in metallo intrecciati a pelle. Prezzo: 1.800 euro
ng Scintillante maestria artigianale Creati dalla designer Oriana Bassetti in équipe con i suoi preziosissimi collaboratori – maestri artigiani che dal 1989 tengono alta la bandiera del made in Italy – i gioielli della collezione Plexylandia sono unici, perché realizzati interamente a mano. Come il medaglione a sfera in plexiglass trasparente impreziosito con Swarovski Elements, con catena in argento rodiato (non irritante, per garantire un gioiello anallergico e sicuro per tutte). Prezzo: 158 euro
Trame odorose Bottega Veneta eau de parfum evoca la morbidezza e la sensualità dei rinomati prodotti in pelle della maison. La fragranza, un chypre fiorito effetto cuoio, creata dal maestro profumiere Michel Almairac, è una combinazione di bergamotto d’Italia, gelsomino Sambac dall’India, pepe rosa in grani dal Brasile e patchouli dall’Indonesia. Prezzo: 30 ml – 60 euro; 50 ml – 80 euro; 75 ml – 100 euro
Abbracci di colore Must have assoluto del brand, gli scialli Lafré sono incredibilmente versatili. Si gettano con naturalezza sulle spalle, sopra l’abito leggero per addolcire la brezza della sera. Si drappeggiano con sensualità sui fianchi e diventano pareos che ondeggiano con il movimento, catturando l’attenzione. Evocano così un glamour fresco e raffinato insieme, disinvolto, libero e coloratissimo. Prezzo: 650 euro
Una Ferrari nel taschino Vertu annuncia il lancio di Constellation Quest Ferrari che unisce un design d’avanguardia, alla moderna tecnologia Vertu, a contenuti specificamente curati e all’esperienza unica di Ferrari. Esempio perfetto dell’unione tra il mondo dell’auto e quello del lusso, il telefono è rivestito in DLC (carbonio simildiamante), usato per le parti principali dei motori Ferrari GT e sulle auto di Formula 1; anche il cuoio italiano impiegato è lo stesso che la Ferrari utilizza per gli interni delle sue auto GT. Immancabile il Cavallino Rampante in acciaio inossidabile lucido, inciso sulla cover in titanio. Prezzo: 9.500 euro
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libri letti per voi
di Gilda Ciaruffoli
La cucina del benessere Chicchi di storia Felice La Rocca, esperto in “qualità delle produzioni vegetali” e docente universitario risponde alle nostre domande su questo “sconosciuto” prodotto della tradizione Perché la cicerchia era uscita dall’uso comune? In effetti è sempre stata una coltura di secondo piano. Ma ultimamente, si è avuta una certa ripresa delle vecchie “produzioni di nicchia”, fra le quali anche la cicerchia che, purché consumata con moderatezza e con i dovuti accorgimenti (ammollo e cottura dei semi), grazie alle sue molte peculiarità (amminoacidi, vitamine, polifenoli) è sicuramente uno dei migliori legumi disponibili. In quali zone d’Italia è tipica? La cicerchia è compresa nell’Elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali come tipica di Lazio, Marche, Molise, Umbria e Puglia. I piatti preparati con la cicerchia sono protagonisti apprezzati di varie sagre che hanno luogo nelle zone di tradizionali di produzione, come la Festa della Cicerchia di Serra de’ Conti (Ancona) a novembre, e la Sagra della Cicerchia di Frigento (Avellino) a fine luglio. Qual è la preparazione più sfiziosa? Certamente la minestra di cicerchie sul pane, da preparare con aglio, rosmarino, olio, sedano, pomodori a dadini e patate. Quando la minestra è cotta, servirla su fette di pane abbrustolite, con un filo d’olio fresco di frantoio e una spolverata di pepe.
di Felice La Rocca e Luigi Damaso Libreria Editrice Fiorentina 4 euro
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“Così come l’uomo è parte integrante di un sistema naturale più ampio, ogni principio di cura della persona deve estendersi a una valutazione totale della qualità della vita: da ciò che accade in noi a ciò che accade attorno a noi, tutto influisce sul nostro essere”. Questa è la filosofia di Dominique Chenot, “Chef del benessere” responsabile del dipartimento dietetico dell’Espace Henri Chenot di Merano che, con questo volume, ci svela i segreti della sua cucina maturati in oltre trent’anni di lavoro, ricerca e passione all’insegna della vitalità e dell’armonia. Tante ricette per alimentarsi in modo corretto e gustoso, utilizzando ingredienti sani e metodi di cottura adeguati. Completano il volume consigli sulla combinazione degli alimenti e la loro corretta distribuzione durante la giornata: perché l’importante è mangiare di tutto, in quantità ragionevoli e senza paura di rinunciare al piacere del cibo.
di Dominique Chenot Mondadori 19 euro
Un formaggio che sa di rivoluzione L’autrice, coltivatrice diretta ed esperta di paesaggio, ci spiega il valore aggiunto di un prodotto realizzato in casa. Perché fare il formaggio in casa? Ho iniziato perché avevo a disposizione il latte delle capre che allevavo. In realtà, fare il formaggio mi ha veramente preso la mano, e per due motivi. Il primo era naturalmente la bontà: la lavorazione del latte appena munto, da animali che pascolavano liberi, garantiva un prodotto unico. Il secondo motivo è forse il più importante. Imparare a fare il formaggio è stato per me un processo di riappropriazione di competenze che credevo perdute, delegate alle produzioni del mercato. Il formaggio fatto in casa aveva per me, oltre all’inconfondibile “profumo”, anche un vago sentore di rivoluzione. Dieci mosse in 30 pagine: fare il formaggio è davvero così semplice? Il libretto è scherzoso, ma non nasconde certo che fare il formaggio è un’arte complessa. Ci sono voluti molti tentativi e fallimenti prima di arrivare a un prodotto commestibile prima, e molta pratica per raggiungere in seguito l’eccellenza. E ci sono voluti anche tre corsi: uno di allevamento ovicaprino, due di caseificazione, oltre a molte letture per capire, a livello scientifico, i procedimenti chimici che governano la trasformazione del latte. Tuttavia la scuola migliore è stata quella della pratica, della sperimentazione, con molta attenzione alle pratiche tradizionali. Qual è il segreto per un buon formaggio fatto in casa? Senza dubbio la freschezza del latte: lavorare il latte che arriva in cucina ancora caldo dalla stalla è una pratica che spesso non è possibile nemmeno nei caseifici artigianali. Questo senza nulla togliere alle produzioni artigianali, che in Italia raggiungono veramente l’eccellenza. E poi ci vogliono tempo, pazienza e attenzione. E il tempo – sappiamo bene – è uno dei beni più scarsi sul pianeta.
di Roberta Ferraris Terre di mezzo Editore 4 euro
arte
diCCiaruffoli laudia Cassinari di Gilda
Arte torna Arte Trentasei opere di 32 artisti contemporanei esposte presso la Galleria dell’Accademia, coinvolgendo non solo gli ambienti specificamente dedicati alle mostre temporanee, ma anche le sale della collezione permanente, laddove il felice inserimento di opere contemporanee evidenzia chiaramente il rapporto tra presente e passato. 8 maggio – 4 novembre Galleria dell’Accademia Via Ricasoli, 58-60 – Firenze www.gallerieaccademia.org
Vietato non toccare Il castello di Gradara, celebre teatro del tragico amore di Paolo e Francesca, apre le porte all’arte e, soprattutto, a chi ai luoghi dell’arte fa più fatica ad accedere
In provincia di Pesaro Urbino, a due passi dalla Riviera Adriatica, il bel castello di Gradara si sta trasformando da spazio della storia a spazio del contemporaneo, e dell’arte in particolar modo. GradArt è infatti un progetto grazie al quale si stanno portando avanti iniziative dalla duplice finalità: promuovere l’integrazione sociale tramite l’utilizzo dei linguaggi artistici contemporanei e favorire l’accessibiltà al patrimonio storico-artistico di Gradara. Per questo primo anno di attività, l’articolato programma si sviluppa intorno alla mostra Vietato Non Toccare, aperta fino al 10 giugno presso Palazzo Rubini Vesin, edificio settecentesco nel cuore del centro storico. Accessibile e multisensoriale, si tratta di un evento espositivo innovativo: in mostra le opere di Christian Riminucci e Giorgio Guidi, artisti, entrambi nati nel pesarese, molto diversi fra loro per stile e formazione, che offrono una visione opposta e complementare al rapporto fra creazione e fruizione artistica. Tratto comune all’opera di entrambi è quello di essere stata concepita per essere vissuta più che ammirata: chi visita la mostra non rimane in passiva contemplazione ma si integra con le opere d’arte, le tocca, le sente e si fa partecipe della loro realizzazione. Il percorso di visita, unico e personale, si definisce utilizzando le percezioni sensoriali e le proprie abilità, qualunque esse siano; la visita è particolarmente adatta a bambini e ragazzi ed è fruibile anche da persone con disabilità.
Kyresophia Un viaggio nella vita, nelle emozioni e negli incubi dell’artista indonesiano Oky Rey Montha, Kyre per gli amici. In esposizione circa una ventina di opere inedite tra dipinti, sculture e installazioni, immagini espressive e amaramente ironiche attraverso cui l’artista cattura la follia della vita quotidiana. 4 maggio –1 giugno Primo Marella Gallery Viale Stelvio, 66 – Milano primomarellagallery.com
fino al 10 giugno Palazzo Rubini Vesin - Gradara (PU) - www.gradarainnova.it 125
selezioni
Da noi il Gavi è di famiglia Dal 1970 di proprietà di Giancarlo Ariano, che oggi lo gestisce con i figli, Podere Saulino vanta una superficie di 12 ettari in un corpo unico, con annessa cantina di vinificazione e imbottigliamento; 9 ettari di vigneto sono coltivati esclusivamente a vitigno Cortese Un po’ di storia
Nel 1529 Novi Ligure è stata annessa alla repubblica di Genova e i Marchesi Sauli di Genova diventarono proprietari di terreni e fabbricati in Novi Ligure tra i quali il Podere Saulino, La Saula, il Palazzo Sauli e un vicolo tutto di proprietà chiamato Sauli. I Sauli diedero a Genova 29 senatori e 3 Dogi. Verso la fine dell’800 le proprietà dei Sauli vennero a far parte della grande tenuta del Conte Edilio Raggio. La viticoltura da sempre praticata in questa zona, fu indirizzata dall’amministrazione Raggio verso la coltivazione specializzata del vitigno Cortese da cui proviene il vino Gavi, ora Docg.
Azienda di tipo familiare destinata a durare nel tempo grazie alla grande passione di tutte le generazioni coinvolte (i più giovani discendenti della famiglia Ariano sono ventenni e già attivamente all’opera!), il Podere Saulino produce esclusivamente Gavi Docg. Nella vinificazione, fermentazione, lavorazione, stabilizzazione e imbottigliamento dei vini l’azienda si avvale di macchinari all’avanguardia sia per tecnologia che per economicità. Nel prossimo futuro l’azienda si propone di coprire l’intera superficie aziendale con vigneti, e punta anche alla realizzazione di grappe ricavate della vinacce di produzione (monovitigno). Da notare le peculiarità del Gavi Podere Saulino che si distingue per una serie di fattori che ne contraddistinguono la qualità e la tenuta nel tempo; per iniziare nel vigneto non vengono utilizzati diserbanti e la vite viene curata seguendo il regolamento 2078 che vieta l’uso indiscriminato degli antiparassitari. Inoltre, il vigneto è esposto a Sud-Ovest e prende il sole dall’alba al tramonto, sfruttando in tal modo al massimo le ore di luce. Il sistema di allevamento e di potatura non consentono produzioni elevate e le concimazioni sono finalizzate solo alla alta concentrazione zuccherina e non alla quantità. Di particolare interesse, la notizia che la cantina del Podere Saulino è una delle poche il cui titolare è anche l’enologo, a differenza di quello che avviene nella gran parte di quelli della zona che vengono seguite da un gruppo di enologi che danno a tutte la propria consulenza.
Podere Saulino Via Gavi, 85 Novi Ligure (Al) Tel. 0143743174 www.poderesaulino.it
selezioni
Dolci frutti di terra umbra Erano gli anni ’70 quando Domenico Benincasa ebbe la felice intuizione di creare il primo vigneto mono-vitigno di Sagrantino di Montefalco, partendo da pochi esemplari di antiche coltivazioni. E oggi questa Docg pregiata è ancora il fiore all’occhiello di una produzione di grande eccellenza
La sede storica dell’azienda Benincasa, fondata nel 1964, si trova in località Capro, nel comune di Bevagna. È infatti qui che il fondatore Domenico Benincasa iniziò l’opera pionieristica della moderna coltivazione del vitigno Sagrantino. Attorno alla cantina si trovano i sei ettari di vigneto per la produzione del Montefalco Rosso Doc e del Sagrantino di Montefalco Docg. Dal 2009 fa parte dell’azienda Benincasa anche la Tenuta Vincastro, nel comune di Passignano sul Trasimeno, che si estende complessivamente per 50 ettari lungo le colline che dolcemente degradano dal caratteristico borgo di Castel Rigone verso il lago Trasimeno. Dai 10 ettari di vigneto presenti nella tenuta Vincasto si ricava l’omonimo vino nelle versioni Bianco, Rosso e Rosato. Nell’azienda attualmente gestita dai nipoti del fondatore, Marco e Roberto Alimenti, si producono anche cereali, legumi e olio extravergine d’oliva.
Cantine Benincasa Loc. Capro, 23 - Bevagna (Pg) Tel. 0742361307 - www.aziendabenincasa.com
Un fiore all’occhiello rosso rubino
Il Sagrantino di Montefalco Docg dell’azienda Benincasa è ottenuto esclusivamente da uve di Sagrantino, pianta molto tomentosa dai graspi piccoli e numerosi e dal chicco perfettamente sferico, piccolo e con la buccia spessa. Il periodo di maturazione è intorno alla metà di ottobre. Le uve raccolte in cassette sono portate in cantina dove sono deraspate e pigiate lievemente. Il periodo di macerazione dell’uva è di circa 20 giorni e dopo la pressatura il vino va in barriques, dove riposa per almeno 18 mesi. Estremamente longevo grazie alla massiccia presenza di tannini e dall’ottima struttura, il vino si presenta di colore rosso rubino con riflessi granati, profumo di more di rovo e tabacco. Al palato si rivela deciso e pieno, lasciando in fine una sensazione di pulizia, asciugando la bocca grazie alla carica tannica che lo contraddistingue.
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L’orgoglio di un’eredità preziosa L’Azienda Agricola Zerbi Antonio & C. vanta una conoscenza centenaria dei metodi produttivi e dei segreti dell’agricoltura, coltivando riso da ormai quattro generazioni. Se vi trovate dalle parti di Pieve Albignola (Pv), non fatevi mancare una visita al ricco spaccio aziendale
Era il 1870 quando i fratelli Zerbi iniziarono a lavorare nel comune di Pieve Albignola circa 670 ettari di terra di proprietà dei conti Paleari. L’attaccamento al mondo agricolo si tramandò di padre in figlio e gli Zerbi, da conduttori di terreni altrui, si trasformarono in proprietari. Oggi, Antonio e Cristina Zerbi conducono l’azienda agricola su un’estensione di circa 140 ettari, coltivati prevalentemente a riso, nelle sue varietà japonica e indica. Nell’accogliente spaccio aziendale, Cristina ne propone diverse varietà tra le più pregiate presenti nel mercato interno italiano, alla base della nostra tradizione gastronomica: Carnaroli bianco o integrale, Vialone Nano, Arborio e Baldo, oltre a Riso Venere nero e Basmati aromatico (la vendita di riso e mais ora è anche on-line). Da notare la confezione del prodotto: affinché il “buono” trovi posto nel “bello”, Cristina propone il riso nei tradizionali sacchetti di cotone, che gli garantiscono traspirazione e freschezza. Per preservarne genuinità e gusto, al riso non viene aggiunto alcun additivo chimico per agevolarne la conservazione; un periodo di conservazione più lungo viene garantito dal confezionamento in pacchetti sottovuoto. Dietro a tanta cura c’è una passione mai sopita. Per gli Zerbi infatti l’agricoltura è vita da quattro generazioni, e la famiglia si sente erede di una cultura rurale che, purtroppo, sta scomparendo. È per questo che da anni si impegna a conservarne il patrimonio edilizio, gli oggetti di lavoro, ma anche le tradizioni (ancora oggi nel giorno di S. Antonio, protettore degli animali, si recita il S. Rosario nella stalla, proprio come decenni fa), e soprattutto i valori morali più autentici di dedizione a questo lavoro, di sacrificio, di tenacia e di solidarietà, senza mai dimenticare il rispetto per la terra.
Azienda Agricola Zerbi Antonio & C. Via Roma, 67 - Pieve Albignola (PV) (sulla Strada Provinciale 193 bis Pavia-Alessandria, a 18 km da Pavia, a 20 km da Voghera) Tel. 0382999382 Cell. 3358069520 /3397499440 www.risozerbi.it
I consigli degli esperti Dall’Azienda Agricola Zerbi, per voi, il segreto del risotto perfetto (solamente per risi di tipo japonica). Importante la scelta del recipiente: una casseruola cilindrica, con fondo spesso, e un’altezza pari a circa la metà del diametro. Gli ingredienti principali sono: il riso, la cipolla o lo scalogno, il brodo e la fantasia. Per prima cosa bisogna fa rosolare in olio o burro la cipolla tritata a fuoco dolcissimo, affinché ceda tutti i suoi umori, poi versare il riso, che dovrà subire una tostatura veloce per impedire che i chicchi si impregnino troppo di brodo. Al termine della tostatura, uno spruzzo di vino sgrasserà il fondo e lo arricchirà di aroma. A questo punto inizia l’aggiunta del brodo: di carne, di pesce o di verdura a seconda del tipo di ricetta prescelta, ma sempre bollente e di buona qualità. Il liquido va aggiunto poco alla volta, rimestando il riso delicatamente con un cucchiaio di legno e sempre nello stesso senso. Alla fine della cottura, che varia da 16 a 20 minuti, a seconda della qualità del riso e dei gusti individuali, il risotto si presenterà asciutto ma morbido (all’onda). Gli ingredienti necessari (funghi, pesce, verdure, salsiccia, frutta, etc.) ad arricchire e caratterizzare il vostro risotto verranno aggiunti solo in ultimo. Quando il tempo di cottura è scaduto, spegnete il fuoco e aggiungete una noce di burro di ottima qualità, mescolate poi vigorosamente con un cucchiaio di legno. Il vostro risotto è pronto!
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Il gusto di una vacanza in Toscana L’azienda agricola e agriturismo Le Torri è il luogo ideale per coloro che amano ritagliarsi un momento di relax, a stretto contatto con la natura, degustando vini e olio di grande qualità, nella rigogliosa campagna tra le bellissime città di Firenze e Siena
Sono tredici le comode ed eleganti sistemazioni di nuovissima strutturazione che soddisfano le più diverse esigenze – dalla classica matrimoniale all’appartamento per famiglie numerose – messe a disposizione di chi sceglie di ritagliarsi una sosta relax nel verde o vuole prendere le Torri come ideale punto di appoggio in un viaggio alla scoperta delle terre toscane, trovandosi la struttura nel cuore della regione, tra Firenze e Siena. A circondare l’azienda agricola splendide colline, borghi medievali e un paesaggio affascinante composto di vigneti e oliveti che convivono in perfetta armonia e che difficilmente si possono dimenticare. Arredati in stile rinascimentale toscano, gli appartamenti dai nomi di pittori, hanno pavimenti in cotto e soffitto con travi a vista; sono inoltre forniti dei migliori servizi, tra i quali aria condizionata e connessione internet wireless. Ogni appartamento, come il nome dei pittori che porta, ha un proprio stile e un arredamento unico ed elegante, che potrete conoscere visitando il sito web de Le Torri. L’agriturismo offre una vacanza unica, il cui principio è semplice: una pausa di relax con tutto quello che un’azienda agricola può offrire, con le proprie risorse o quelle del territorio che la circonda. L’azienda, con i suoi prodotti alimentari, le attività, le tradizioni, le stagioni, i luoghi, il paesaggio, i contadini e le persone che ci lavorano, ne sono gli elementi essenziali. È proprio per questo che nel ristorante de Le Torri, dedicato ai soli ospiti, è possibile apprezzare prodot-
ti tipicamente toscani, locali e di stagione. L’olio di oliva e il vino (bianchi e rossi di annata e invecchiati in barriques) sono prodotti all’interno dell’azienda agricola che offre anche la possibilità di visite guidate alla scoperta dell’intero processo produttivo. I salumi, i formaggi e i prodotti quali marmellate, gelatine e miele sono tutti a chilometro zero. Azienda Agricola Le Torri Via S. Lorenzo a Vigliano, 31 Barberino V.Elsa (Fi) Tel. 055 8076161 www.letorri.net
Riapre ad aprile il ristorante de Le Torri, dove gli ospiti avranno la possibilità di degustare piatti tipici della tradizione toscana
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Emozioni alla Tenuta La Lumia Il racconto di un viaggiatore catturato dalle meraviglie della splendida tenuta di Licata e dai suoi inebrianti vini
Non so se vi sia mai capitato, passeggiando a Palermo per via Ruggero Settimo, di fermarvi dinanzi alla maestosa e splendida costruzione del teatro Massimo e leggere quanto era stato scritto dai nostri padri sul timpano del grande tempio della musica. “L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita”. Leggendola, la parola Arte mi porta sempre via, sulle ali del ricordo. E mi ritrovo a Licata, nella Tenuta del Barone Nicolò La Lumia; ne rivivo la bellezza dei luoghi, lo splendore di una luce abbagliante, il verde di varie tonalità, il tutto immerso in un’aria odorosa di terra di piante e di mare. Tutto questo era nel mio sentire armonia tra l’Arte del Creatore e quella dell’uomo. E inizio a ricordare. Il viale che mi guidò al portone di ingresso del casale era adornato di ulivi, da splendide e lussureggianti palme “albero della vita” e da un giardino ricco di piante mediterranee. Lo stupore fu maggiore quando, entrato nel baglio del Paradiso, i miei sensi furono conquistati dal quieto scorrere dell’acqua nei quattro canali della fontana arabeggiante che idealmente rappresentavano i quattro fiumi dell’antico Eden. Anche quest’acqua simboleggiava la vita e la sua rinascita. Vi erano ancora alberi con frutta colorata e dolce, fiori dai colori vivaci e profumati. In questa cornice di bellezza e serenità mi accolsero i proprietari, Barone e Baronessa La Lumia, che vollero raccontarmi del casale, della sua arte e della sua storia. Attraverso un grande arco in pietra entrammo in un secondo baglio più piccolo, dove spiccava la fontanel-
la “dell’amore fecondo” in cui l’acqua caduta dal cielo si sposa nel grembo della terra. Capii in quel momento quanto di storia e di mitologia vi era in questa antica realtà siciliana. Da questo baglio una vetrata faceva intravedere le carrozze dell’antico casato e altri oggetti di vita ottocentesca. Si intravedeva anche una jeep risalente al 1943, anno in cui avvenne lo sbarco americano. Mi raccontò il barone che quella jeep fu data in regalo dal generale Patton a suo nonno che aveva messo a loro disposizione il palazzo di Licata. La visita continuò all’interno del casale, nella cantina, luogo sacrale nell’arte di fare il vino. Fra le attrezzature moderne erano conservati, e in parte ancora utilizzati, i vecchi macchinari di un tempo, dove potei degustare direttamente dagli stessi recipienti i vini prodotti da questo splendido terroir siciliano. Erano vini dal sapore antico, classico, di quella classicità che è sempre attuale. Da questa cantina passammo all’antico palmento oggi adibita a sala per degustazioni. Lì si faceva il vino pigiando l’uva con i piedi e intonando canti propiziatori in siciliano. Si era fatto già tardi e graziosamente fui invitato a colazione nel salone da pranzo dove nei tempi passati la famiglia intera usava riunirsi per il desco. Accanto vi era la buffetteria dove pranzavano il soprastante, i campieri e gli altri impiegati della tenuta. I cibi erano quelli dell’antica tradizione siciliana che i monsù avevano sintetizzato dalle varie civiltà che si erano succedute e specialmente quella araba. Mi fu offerto un
Tenuta Barone Nicolò La Lumia c/da Pozzillo - Licata (Ag) Tel./ Fax: 0922891709 www.baronelalumia.it
passito di Nero d’Avola Nikao che la tradizione attribuiva ai Greci del VI sec. a.C. I rodio cretesi. La visita si concluse con una preghiera di ringraziamento nella chiesetta annessa al casale dedicato alla madonna Maria ausiliatrice. Al termine di questa giornata me ne andai ripensando a quanta storia, bellezza e lavoro di generazioni erano racchiuse in questo piccolo lembo di terra siciliana.
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