VdG Magazine Viaggi del Gusto

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VDG MAGAZINE VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 3 | N.23 | MENSILE | Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. C/RM/19/2011 | Belgio Euro 9,30 | Canton Ticino Ch.Fr. 11,50 | Costa Azzurra Euro 11.90 | Stati Uniti

FEBBRAIO 2013 - EURO 4,90

BIOLOGICO AI RAGGI X

Consumi in crescita, aziende in aumento. Ma quanto ne sappiamo davvero del bio? Indagine su qualità e contraddizioni del cibo prodotto “al naturale”

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CIBO&TERRITORIO Il radicchio rosso trevigiano Paese che vai, polenta che trovi

TENDENZE L’happy hour ai tempi della crisi Crociere a un anno dal disastro

ARTIGIANATO Maschere & costumi

ITINERARI Carnevali italiani minori Germania: Monaco e Berlino

PERSONAGGI Carlo Verdone si racconta a tavola

I migliori eventi enogastronomici del mese



editoriale

di Domenico Marasco

domenico.marasco@vdgmagazine.it

Grande industria, piccoli prezzi: c’è da fidarsi? Il cibo di qualità implica un giusto controvalore Sulla qualità e sulla “trasparenza” (intesa nell’accezione di genuinità, ma anche di informazione puntuale, tracciabilità e sicurezza) del cibo – lo diciamo da tempo – c’è ancora molto da lavorare. Soprattutto da parte delle istituzioni e in particolar modo di quelle europee. L’ardua sfida – o l’impari duello che dir si voglia – con la quale bisogna fare i conti, more solito, è quella tra le lobby industriali dell’agroalimentare, che non hanno nessun interesse a fare chiarezza nelle etichette e propendono a lasciarle più vaghe possibile, e i produttori piccoli e medi, che della qualità e della genuinità fanno il loro vessillo senza riuscire però a comunicarle e a commercializzare i loro prodotti su larga scala. Con questo non vogliamo assolutamente dire, in maniera qualunquistica e superficiale, che tutto il cibo dell’industria sia cattivo, snaturato e nocivo per la salute, per carità. Tuttavia, riteniamo importante (fondamentale?) il diritto del consumatore a sapere se un olio contenga più o meno polifenoli. Così come è altrettanto importante essere messi al corrente su quante proteine contenga una pasta. Il consumatore, al momento di scegliere i suoi acquisti, deve essere pienamente consapevole del fatto che il cibo di qualità, fatto in maniera artigianale e con materie prime scelte, non può trovarsi sullo scaffale allo stesso prezzo di quello industriale. È, molto semplicemente, una questione di buonsenso, prima ancora che di economia. Quando, nella Grande Distribuzione Organizzata, vi imbattete in quelle “offerte promozionali straordinarie” che vi danno la possibilità di acquistare una bottiglia di olio a un prezzo che – a ben pensarci – non copre neanche un terzo dei costi di produzione, bè, allora, sappiate che si tratta di un prodotto certamente non genuino. Dei passi

avanti in direzione della trasparenza e della tutela della qualità e della sicurezza alimentare, comunque, sono stati fatti, bisogna ammetterlo. L’ultimo passaggio importante, in tal senso, risale al 19 dicembre scorso quando il governo uscente ha approvato la legge cosiddetta “Salva olio italiano” che comporterà un forte inasprimento delle sanzioni per tutte le frodi e le contraffazioni perpetrate ai danni del comparto nonché nuove norme per l’etichettatura. Un provvedimento che, nel mondo agroalimentare italiano, ha suscitato il plauso di tutti. Di tutti tranne che di Confagricoltura. La difesa delle lobby della grande industria, come si diceva, del resto, è dura a morire. Noi, per quanto ci compete, in questo numero cercheremo di fare chiarezza su un terreno difficile come quello del cibo biologico, analizzandolo soprattutto come fenomeno economico. Per farlo, oltre che delle nostre preziose risorse redazionali, ci siamo avvalsi del supporto di Nomisma, la prestigiosa società di studi economici di Bologna (che, dal numero scorso, ha avviato con VdG una collaborazione fissa) e del Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari di Roma. Un’indagine, la nostra, che vorrebbe aiutare i consumatori a saperne di più e a districarsi meglio nel “mondo bio”, nelle sue peculiarità, nelle sue sfaccettature economiche e anche nelle sue contraddizioni. Quelle che, manco a dirlo, hanno a che fare ancora una volta con la grande industria alimentare. Buon viaggio del gusto a tutti

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sommario sommario febbraio 2013

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12 Dall’Italia e dal mondo

16 La salute nel piatto Le proteine vegetali 18 Almanacco di Barbanera

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20 Appuntamenti

28 Cover story È la tendenza alimentare del nuovo millennio. La filiera “100% naturale” che spopola in Occidente, dove tutti ormai vogliono mangiare cibo “sano, sicuro e sostenibile”. Un nuovo fenomeno economico dalle potenzialità illimitate. Ma quanto ne sappiamo davvero dell’agricoltura biologica? E soprattutto: possiamo fidarci davvero del “bio” che ci vende la grande industria?

panorama

cibo&territorio

44 L’Oasi Galbusera Bianca

60 Il radicchio rosso

Un rifugio verde in mezzo alla Brianza. Per mangiare genuino e ritornare alla natura

46 Personaggi: Gudrun Dalla Via Il presente e il futuro del bio spiegato dalla più autorevole scrittrice di salute&benessere

50 Com’è cambiato l’happy hour

Il rito dell’aperitivo milanese ai tempi della crisi. Tra buffet classici e nuove tendenze

54 Carlo Verdone...a tavola Gusti antichi e ricordi familiari: il comico si racconta alle inviate speciali Gula e Isoardi

56 A cena da “Francesco” Anche a San Pietroburgo l’eleganza e il gusto parlano italiano. Provare per credere

Alla scoperta di questo ortaggio milleusi e della sua terra d’elezione: la Marca trevigiana

64 La polenta Un piatto, mille varianti regionali. E una tradizione che riaffiora nelle nuove polenterie

68 Cibi affumicati Carni, formaggi, pesce e sale: un’arte, quella d’insaporirli col fumo, vecchia quanto l’uomo

72 La canditura delle arance Cosa sarebbero panettoni e cassate senza i canditi? Pochi sanno però come e dove si fanno

76 Wine passion: Il Taurasi Lo chiamano il “Barolo del Sud”, questo rosso rubino, figlio di un antico vitigno avellinese

78 Il buono a tavola, I dolci di Carnevale 80 Orto dei semplici, Il sedano 82 Chef italiani nel mondo 84 Food news

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sommario sommario febbraio 2013

104

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126 Le selezioni di VdG

88

inviaggio

piaceri

88 Crociere? Avanti tutta

108 Mascheramenti ad arte

Come il mondo crocieristico ha saputo reagire e rilanciarsi dopo la tragedia del Giglio

92 Piccoli Carnevali d’Italia Dalla Puglia alla Valle d’Aosta, 4 tappe in provincia per assistere alla festa più allegra

96 L’Italia in mostra: Udine

La città friulana come non l’avete mai vista: sotto la luce elegante dei dipinti del Tiepolo

100 Germania, non solo fiere A Berlino e Monaco per capire come si può unire dovere e piacere, in periodo fieristico

104 Città in 24 ore, Dublino 105 Viaggi per tutte le tasche

Guerrino Lovato, mascariere veneziano, ci racconta quest’antica usanza carnevalesca

110 I piaceri di Bacco

Auto di lusso e buon vino italiano: un binomio suggestivo. Parola di Range Rover

112 Bellezza & benessere 113 Soste d’arte 114 Week-end relax 115 Week-end verde 120 Libri 121 Spettacoli 122 Shopping 124 Trendy

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“Abbiamo tolto tutto… è rimasto solo il vino”

Società Agricola Tenuta Ambrosini srl via della pace 60 - 25046 Cazzago San Martino (Bs) tel: 030/7254850 fax 030/7254440 info@tenutambrosini.it www.tenutambrosini.it


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collaboratori&ambasciatori Abruzzo Michele Caracino Gaetano Castaldi

Giovanni Merone Stefania Monaco Francesca Oliverio

Basilicata Isa Grassano Angela Pino

Liguria Alessandro Baffigi Barbara Bacigalupo Anna Orlando

Campania Ferdinando Cappuccio Luisa Del Sorbo Rosalia Imperato Emilia-Romagna Luca Campana Marco Landucci Chiara Mojana Giancarlo Roversi Luca Sardi Nerino Trentini Fruttuoso Zucchini Friuli Venezia-Giulia Valentina Coluccia Marina Tagliaferri

in vendita presso VdG Market Via Ungaretti, 7 - Cernusco sul Naviglio (MI) Tel. 02 94433020

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Lazio Francesco Maria Bucarelli Domenico Bruno Alessandro Mei

Lombardia Massimiliano Bruni Alba De Gasperis Lorenzo Foti Francesca Frediani Valentina Gavarini Riccardo Lagorio Eugenio Meloni Umberto Mortelliti Aldo Pagnussat Giampaolo Perna Saro Trovato Marche Ferruccio Squarcia Molise Giovanni Scapagnini Ida Santilli Piemonte Silvana Delfuoco Donato Lanati Roberto Rabachino Monica Coviello Paola Gula Elisa Isoardi

Puglia Lucrezia Argentiero Bruno Micai Jolanda De Nola Nunzio Pacella Sergio Siciliano Sardegna Roberto Dall’Acqua Annalisa Bernardini Lino Erriu Giuseppe Pulina Sicilia Cesare Aldesino Rosario Ribbene Marco Scapagnini Toscana Elena Conti Marco Ghelfi Rosanna Ercole Mellone Marco Scataglini Trentino Alto-Adige Francesca Negri Umbria M. Pia Fanciulli Valle d'Aosta Flavio Amadei Veneto Germana Cabrelle


contributors febbraio 2013

ROBERTO RABACHINO Piemontese, 54 anni, giornalista, scrittore, docente universitario e sommelier. Ha fatto del vino una ragione di vita e di lavoro, tanto da essere eletto presidente dei degustatori di tutto il mondo. Presiede anche l'associazione italiana della stampa agroalimentare e con il suo "Vocabolario del vino" ha vinto il concorso Internazionale Libri da Gustare. pagg. 46-76

ISA GRASSANO Lucana di nascita, bolognese d’adozione. Da piccola sognava di fare l’hostess o la giornalista. Quando s’è resa conto che non avrebbe superato l’1,60 di altezza, ha ripiegato sulla seconda opzione. Ma non ha rinunciato ai viaggi e al turismo, di cui scrive con passione e competenza. Tra voli aerei e pagine da riempire, ha anche trovato il tempo per creare un divertente manuale sulle “101 cose da fare Gratis in Italia”. pag. 88-94-104

SILVANA DELFUOCO

BENEDETTA RASO

Emiliana di nascita e torinese d’adozione per i casi della vita, grazie alla sua esperienza di Assaggiatore di formaggi e di salumi e, soprattutto, di Giudice del Tartufo, dal 2003 è approdata al giornalismo enogastronomico. Il suo scheletro nell’armadio sono invece i troppi anni passati a tentare di insegnare il latino a generazioni di liceali recalcitranti. pagg. 60-96

Italiana nel sangue ma tedesca di adozione, ha studiato traduzione a Roma per poi trasferirsi in Germania, spinta dalla passione per la cultura tedesca. In terra teutonica si è dedicata al giornalismo facendo la caporedattrice di una rivista italiana di gastronomia, così da conciliare le sue tre grandi passioni: scrivere, mangiare e raccontare il suo Paese. pagg. 43-100

NOMISMA In greco antico “nomisma” indica il valore reale delle cose. E' seguendo questa radice etimologica che Nomisma - oggi uno dei principali istituti di ricerca economica europei osserva, in Italia e nel mondo, tutti i fenomeni dell'economia reale. Da questo mese lo farà anche per i lettori di VdG magazine . pag. 29-36

FONDAZIONE VERONESI

ELISA ISOARDI

È stata voluta da Umberto Veronesi nel 2003 essenzialmente per sostenere la ricerca scientifica. Ma il pallino del professore è stato sempre quello della divulgazione. Ecco allora che la Fondazione ha scelto VdG per spiegare al grande pubblico i concetti di salute e corretta alimentazione. pag. 16

Ogni mattina su RaiUno parla di attualità, cronaca e politica, ma dentro di lei vive un’anima appassionata di vini, cucina, tradizioni e territorio. Le sue radici affondano nella Valle Grana, in provincia di Cuneo, dove torna appena riesce. Lì, la si può incontrare in sala o in cucina nel ristorante di famiglia, appunto "la Locanda da Elisa". pag. 54

PAOLA GULA Trascorre la vita tra libri, assaggi e i 4 figli, sempre con il computer appresso pur di non perdere l’occasione di scrivere. Nonostante il lavoro di giornalista e assaggiatrice la porti in giro per il mondo, si sente un'inviata speciale che racconta le vicende gastronomiche di una delle provincie più vivaci d’Italia, quella di Cuneo. pag. 54

RICCARDO LAGORIO È nato a Brescia 44 anni fa, vive con la valigia sempre pronta, il blocnotes e la penna sempre in mano, ferri del mestiere di cronista vecchio stampo. Allievo prediletto di Luigi Veronelli, lo hanno definito “food scout”. E di scoperte del patrimonio gastronomico ne ha fatte davvero molte, migliaia. La sua corporatura ne è testimone. pagg. 31-64-68-72

hanno collaborato a questo numero: Flavio Amadei Lucrezia Argentiero Azadeh Asgari Luca Campana Piero Caltrin Olga Carlini Gilda Ciaruffoli Elena Conti Claudia Dagrada Alba De Gasperis Maria Pia Fanciulli Lucia Lipari Stefania Monaco Giuseppe Pulina Antonio Romeo


di Francesco Condoluci

dall’Italia e dal mondo

redazione1@vdgmagazine.it

UE: il Regno Unito vuole lasciare Ma non sarà l’unico Il primo ministro britannico David Cameron, parlando alla stampa sul futuro del Regno Unito all’interno dell’Unione Europea, ha ufficialmente annunciato che se vincerà le prossime elezioni politiche britanniche (in programma nel maggio 2015) proporrà un referendum per la permanenza del suo Paese nella Comunità Europea. L’appartenenza del Regno Unito all’UE è uno dei punti più problematici della politica estera dei conservatori britannici almeno dai tempi di Margaret Thatcher. Negli ultimi anni, i trattati europei come il fiscal compact nel 2012 – da cui il Regno Unito si è tenuto fuori – hanno fatto crescere le proteste del fronte degli euroscettici, che nelle loro posizioni più estreme vorrebbero un referendum il più presto possibile (e l’uscita del Regno Unito dall’UE). 12

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Il commento Il Regno di Sua Maestà Elisabetta II – dopo essersi sdegnosamente rifiutato nel 1992, alla firma del Trattato di Maastricht, di rinunciare alla sua cara vecchia sterlina per adottare la moneta unica – si chiamerà fuori anche dalla stessa Unione Europea? È presto per dirlo. Il referendum annunciato (minacciato?) dal primo ministro Cameron, se mai ci sarà, dovrebbe essere indetto entro la fine del 2017. Prima, Cameron dovrà comunque farsi rieleggere per poter restare a governare il Paese dal numero 10 di Downing Street. Ma il punto non è questo. L’annuncio del premier britannico non è un capriccio personale o una presa di posizione estemporanea, ma arriva a conclusione di un dibattito che al di là della Manica tiene banco da mesi: cioè la permanenza o meno del regno di Elisabetta nell’Eurozona. Un tema che agli inglesi – in generale e non solo ai tories, i colleghi di partito di Cameron – sta molto a cuore, dal momento che il loro affetto per l’UE, per usare le stesse parole del capo del governo di Londra, si è ridotto «alla dimensione di un wafer». Colpa di una crisi economica che ha minato la fiducia dei cittadini nelle istituzioni europee, incapaci di affrontare in maniera seria la recessione, e colpa di un’Europa che da tempo ormai è “Germaniacentrica”. Sentimenti questi

che, seppur sostenuti da frange radicali e suggestioni qualunquistiche, anche in Italia stanno prendendo piede sempre più. Questa Unione Europea, del resto, così com’è, non funziona. Non funziona dal punto di vista monetario ed economico, dove le decisioni comunque passano quasi esclusivamente da una ristretta cerchia di poteri forti oligarchici e men che meno su quello politico, visto che il Parlamento Europeo passa gran parte del suo tempo a votare sulla lunghezza massima delle zucchine da mettere sul mercato o su quanto devono essere alti i marciapiedi nelle strade d’Europa per non rendere disagevole il transito delle mamme con passeggini al seguito. I limiti di un’Europa priva di una comune identità politica (prima che economica), e a cui i Paesi aderenti hanno ceduto quote di sovranità “obtorto collo” per poi pentirsene, debole nei confronti della Federal Reserve e del colosso cinese, incapace di una visione condivisa del futuro, stanno venendo fuori solo adesso, con la gravissima congiuntura economica mondiale. Prima nessuno se n’era accorto. Eppure bastava leggere quello che avevano scritto i padri dell’europeismo, da Jean Monnet ad Altiero Spinelli. E no, la loro idea di Europa Unita non era decisamente questa.


Wine Entusiast premia la Puglia

La "Tube" londinese festeggia i 150 anni La metropolitana di Londra (Tube per gli "amici") il 10 gennaio ha compiuto 150 anni. Diventata il simbolo della capitale britannica, la metro più vecchia del mondo trasporta ogni giorno quattro milioni di passeggeri. La prima linea è stata inaugurata il 10 gennaio 1863, dopo solo tre anni di lavori finanziati da un’azienda privata. Nel 1874 è stato introdotto un vagone per fumatori. La prima linea, costruita per decongestionare la più grande capitale dell’epoca, collegava la stazione ferroviaria di Paddington al quartiere degli affari di Farringdon e aveva sette stazioni. Oggi la metro di Londra è lunga 402 chilometri, ha 270 stazioni e trasporta ogni anno più di un miliardo di passeggeri. Una curiosità: secondo le stime nei tunnel della metro abitano 500 mila topi.

La Puglia si classifica tra i dieci territori vitivinicoli più interessanti al mondo secondo la prestigiosa rivista internazionale Wine Enthusiast. «Cercavamo un’area geografica diversa dalla Toscana e dal Piemonte, luoghi che gli americani già conoscono ampiamente – spiega Monica Larner, giornalista – la Puglia è meravigliosa come clima, come proposta enogastronomica e come luoghi di infinita bellezza, una regione tutta da scoprire». Entusiasta della scelta di Wine Entusiast anche il governatore della Puglia Nichi Vendola che ha affermato: «Finalmente facciamo il nostro vino, prima facevamo il vino degli altri» riferendosi all’epoca in cui le uve della Puglia andavano a fortificare i vini delle altre regioni.

Milano: alla sera il pane costa la metà La crisi ha dimezzato il potere d'acquisto? Poco male: per andare incontro ai consumatori, c'è qualcuno che ha pensato bene di abbattere del 50% il costo del pane, alimento imprescindibile della tavola degli italiani. Succede a Milano, dove in via Sassetti, a due passi dalla Stazione Centrale, il panificio "Ai Sapori del Sud" da mesi propone questa originale formula anti-crisi: dopo le 7 di sera il pane (sfornato appena un paio d'ore di prima) ma anche le gustose pizze e focacce caserecce, marchio di fabbrica del locale, vengono venduti a metà prezzo. Un'iniziativa, quella voluta dal vulcanico titolare di origine pugliese Angelo Olindo, che sta riscontrando, ovviamente, grande successo di cassa e unanimi apprezzamenti da parte degli aficionados del panificio.

Il New York Times taglia la sezione ambiente

Escherichia coli: fast food nel panico Lattuga contaminata dal batterio dell’Escherichia coli: per questo in Canada diverse catene di fast food hanno ritirato quest’insalata dai propri panini. Tra i ristoranti interessati ci sono Burger King, Taco Bell, Pizza Hut e Kentucky Fried Chicken (KFC). Le insalate incriminate sono la lattuga romana e quella iceberg. Ben 26 persone sarebbero state infettate dalle loro foglie da fine dicembre ai primi di gennaio. A causare l’infezione sarebbero stati dei batteri fecali presenti sull’insalata. Molto probabilmente la partita di lattuga contaminata è già stata smaltita, ciononostante le aziende hanno deciso di ritirare tutte le foglie di queste insalate, tutte provenienti da un unico fornitore.

La crisi dell’editoria colpisce anche i colossi d’oltreoceano. E così mentre negli Usa due inquietanti rapporti rilanciano l’allarme sul global warming, il più influente quotidiano americano decide di smantellare la sua task force clima. La squadra di sette persone era stata creata nel 2009 e la sua abolizione è stata definita “preoccupante” dai movimenti verdi e dallo stesso Public Editor del quotidiano (il garante dei lettori) Margaret Sullivan. I giornalisti non perderanno il posto ma verranno assegnati ad altre redazioni. Nessuna decisione è stata ancora presa sul blog green.blogs.nytimes. com: resterà in vita e la sua sopravvivenza, d’ora in poi, dipenderà esclusivamente dai click ricevuti.

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dall’Italia e dal mondo Vademecum calorie, Efsa fissa fabbisogno giornaliero Integrale fa davvero rima con salutare? Integrale o fatto con farine integrali: nonostante la dicitura non sempre potrete star certi di acquistare prodotti salutari. Spesso vi sono zuccheri aggiunti e calorie a cui non si pensa. Lo rivela uno studio dalla Harvard Medical School di Boston pubblicato su Public Health Nutrition. Da un’indagine su 545 prodotti alimentari, tra cui vari tipi di pane, crackers e cereali per la prima colazione o barrette, è emerso che gli standard per classificare un cibo come integrale sono incoerenti.

L’Efsa, l’Autorità per la sicurezza alimentare, ha stabilito il fabbisogno medio (Ar) di apporto energetico per adulti, neonati e bambini. Si tratta di una stima, precisa l’Authority che ha sede a Parma, quanto più accurata possibile dei fabbisogni calorici di gruppi di popolazione all’interno dell’Europa e aiuterà le istanze politiche a elaborare e monitorare programmi nutrizionali, nonché a promuovere la salute pubblica, inclusa la definizione di linee guida dietetiche basate sugli alimenti. Ecco in sintesi il fabbisogno energetico (Ar), in kcal/giorno, al variare dell’età: 6 anni, (Ar) 1.500-1.600; 12 anni, (Ar) 2.000-2.200; 17 anni, (Ar) 2.300-2.900; 30-39 anni, (Ar) 2.000-2.600; 50-59 anni, (Ar) 2.000-2.500; 70-79 anni (Ar) 1.800-2.300.

Tuttofood si mangia i salumi di Cibus Assica, l’Associazione confindustriale delle carni e dei salumi che riunisce circa 180 aziende, tra cui i marchi più prestigiosi della salumeria italiana, ha siglato con Tuttofood un contratto in esclusiva valido fino al 2021 che la vincola a scegliere la rassegna milanese come mostra italiana di riferimento abbandonando, di fatto, Cibus di Parma. È questo l’ennesimo segnale delle intenzioni bellicose dei meneghini nel comparto agroalimentare. Assica, per altro, non è l’unico marchio confindustriale alimentare che ha stipulato “patti di ferro” con Milano: esiste infatti già un’intesa con Aidepi (produttori di dolci) per l’organizzazione di Dolce Italia insieme a Tuttofood.

Addio a Fred Turner, papà dei Chicken McNuggets È scomparso a 80 anni Fred Turner, amministratore delegato di McDonald’s dal 1974 al 1987. Turner, nato a Des Moines, Iowa, è stato l’artefice della creazione dell’impero dell’azienda, sbarcata in tutti i mercati del mondo, nonché il “padre” delle famose crocchette di pollo fritte, i Chicken McNuggets, che ha ideato durante una conversazione in ascensore con uno dei cuochi della società. Tra le innovazioni apportate alla catena di fast food più famosa del mondo, ci sono anche Hamburger University, il programma di formazione per dirigenti, affiliati e dipendenti, creato nel 1961, e l’Happy Meal, il menù ad hoc per i più piccoli.

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Coca Cola, spot contro l’obesità Può sembrare un controsenso, vista la battaglia dei salutisti – e non solo – contro le bibite gassate e zuccherate, ma da lunedì 21 gennaio il primo spot firmato Coca Cola contro l’obesità è diventato una realtà. Uno spot in cui la multinazionale ammette che sì, le bevande gassate fanno male, ma dipende da quante se ne consumano, e quali, visto che ormai in commercio ce ne sono alcune meno zuccherate. La pubblicità della Coca Cola arriva dopo che a New York il sindaco Michael Bloomberg ha vietato le bibite zuccherate in formato extra large. Una mossa che fa parte della lotta contro l’obesità in America intrapresa anche dalla first lady Michelle Obama. Del resto negli Stati Uniti obesità e sovrappeso stanno aumentando in modo esponenziale.


LUXURY HOTEL TORINO


a cura della Fondazione Umberto Veronesi

la salute nel piatto

testi di

Daniele Banfi

(giornalista medico-scientifico)

I mattoni del nostro corpo

Proteine vegetali, alternativa possibile La scelta di arricchire la nostra dieta con legumi, frutta secca, cereali e semi oleaginosi da gustare nei modi più diversi, evitando o limitando l’assunzione di carne, assicura comunque al nostro organismo il giusto apporto proteico evitandoci al contempo l’assunzione di grassi saturi e colesterolo. Ma perché assumerne la giusta quantità quotidiana è così importante? Ormai i nutrizionisti sono più che concordi: le proteine animali non sono così necessarie al buon funzionamento dell’organismo umano. È solo un fatto di cultura, di abitudine, di facilità di accesso, tutte giustificazioni che ci allontanano dal concetto di “salute”. Per stare bene è necessario consumare proteine nella quantità giusta ogni giorno, senza che queste siano forzatamente di origine animale. Le proteine infatti non sono tutte uguali. Quelle animali sono sì ricche di aminoacidi essenziali ma si trovano generalmente in alimenti che contengono anche grassi saturi e colesterolo. Per questo sono preferibili quelle di origine vegetale, contenute in piselli, lenticchie, fave, fagioli e soia, praticamente tutti i legumi (per la salute dell’intestino è meglio consumarli passati per eliminare le bucce) e anche nella frutta secca. In combinazione con altri alimenti altrettanto ricchi di proteine vegetali complementari come, ad esempio, i cereali, sono in grado di coprire il totale fabbisogno proteico giornaliero. Sostituendo fonti vegetali di proteine a quelle animali si riduce quindi moltissimo l’assunzione di grassi saturi e colesterolo. In particolare ciò è possibile grazie alla presenza dei 16

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beta-glucani. Un beneficio non indifferente! In più i legumi secchi e i cereali in chicco richiedono un ammollo che, insieme all’acqua utilizzata per la cottura, ne aumenta considerevolmente il volume, contrariamente alla carne che invece perde peso quando viene cucinata. A parità di peso iniziale infatti, le proteine dei legumi sono molto più sazianti e meno caloriche. La preparazione di legumi e cereali è molto versatile, dalle minestre alle insalate, come piatto principale o polpette (molto note quelle di ceci). Meglio evitare gli alimenti in scatola e preferire quelli freschi, secchi o surgelati. Anche la frutta secca (anacardi, arachidi, mandorle, nocciole, noci, noci del Brasile e pecan, pinoli, pistacchi) e i semi oleaginosi (di girasole, lino, sesamo e zucca) sono ottime fonti di proteine e possono essere utilizzati con fantasia in qualsiasi momento della giornata: per arricchire la colazione, come condimento su minestre, paste, insalate... Ad oggi sono inoltre in vendita in quasi tutti i supermercati creme di nocciole, arachidi e mandorle, e il tahin, salsa di sesamo ottenuta dalla macinazione dei semi di sesamo ottima per condire o insaporire molti piatti.

Le proteine costituiscono il 14-18% dell’organismo umano e intervengono in un numero altissimo di reazioni all’interno del nostro corpo (modulare l’espressione dei geni, regolare il metabolismo, trasportare molecole all’interno del sangue e proteggere l’organismo dalle infezioni…): sono i “mattoni” di tutti i tessuti, continuamente soggetti a demolizione e sintesi, e devono essere rimpiazzate frequentemente. L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno definito come fabbisogno proteico giornaliero un apporto di sicurezza pari a 0,75 grammi di proteine di elevata qualità per ogni chilo di peso corporeo. Visto che le fonti proteiche sono diverse, e il valore biologico è mediamente più basso di quello di una proteina di elevata qualità, tale valore viene elevato a 1 grammo per chilo di peso corporeo, pari quindi a circa il 10-15% delle calorie giornaliere. A differenza di zuccheri e lipidi, le proteine in eccesso non possono essere immagazzinate ma vengono demolite per produrre glucosio ed energia. Questo processo produce scorie azotate che possono sovraccaricare il lavoro dei reni, per questo motivo è bene non assumerne una quantità eccessiva. È opportuno dunque, oltre a non esagerare, anche ripartire il più uniformemente possibile l’apporto di proteine durante la giornata. Ciò significa soprattutto non fare mai due pasti consecutivi carenti di proteine di qualità. Se per esempio la colazione è a base di carboidrati, il pranzo dovrà prevedere una quantità significativa di proteine. Per saperne di più:

www.fondazioneveronesi.it



almanacco di barbanera

di M. Pia Fanciulli

Sul finire dell’inverno... Di giorni ne ha solo 28, ma certo febbraio è tra i mesi più ricchi dell’anno. Anche perché gli eccessi sono nel suo stile, con il freddo che raggiunge temperature proibitive, e il cuore che si scalda tra San Valentino e le allegrie del Carnevale. Con una strizzatina d’occhio alla vicina primavera

Belli e sani Quando le temperature si fanno così basse da imporre una drastica riduzione di una salutare attività fisica all’aperto, un efficace aiuto può venire da erbe aromatiche e spezie. Cannella, zenzero, peperoncino, aglio e cipolla, offrono infatti tutto il loro calore per dilatare i vasi sanguigni e stimolare la circolazione. A proposito di bellezza, invece, diamo un’occhiata ai capelli. Capita d’inverno che l’umidità appiattisca, increspi, opacizzi la capigliatura. Per evitare lacche e gel, si può provare con il decotto di rosmarino. Si prepara con un pugno di foglie essiccate in una tazza d’acqua fredda. Si fa bollire per 10 minuti, si toglie dal fuoco e si lascia riposare fino a che non raggiunge temperatura ambiente. Una volta filtrato e messo in un diffusore, si rivelerà un ottimo fissante naturale.

Orti e dintorni Sole e Luna Il Sole Il 1° sorge alle 07.28 e tramonta alle 16.39 Il 31 sorge alle 07.14 e tramonta alle 17.14 Il 1° si hanno 9 ore e 11 minuti di luce solare Il 31 si hanno 10 ore: si guadagnano 49 minuti di luce La Luna Il 1° tramonta alle 09.28 e sorge alle 20.58 Il 31 tramonta alle 08.59 e sorge alle 22.03 Luna calante dal 1° al 10 e dal 28 al 31 Luna crescente dal 12 al 26 Luna Nuova l’11, Luna Piena il 27 La Luna è al Perigeo giovedì 10 alle ore 11 È all’Apogeo martedì 22 alle ore 12 Luna in viaggio In questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 8 e 9

Da ricordare Sabato 2 febbraio – La Candelora Il lieve tremolio delle candele accese fa forse della Candelora la più intima e suggestiva festa religiosa dell’anno. Le sue origini riconducono ai pagani Lupercali, riti di purificazione legati alla fertilità celebrati nell’antica Roma il 15 di febbraio. Istituita nel VI secolo, la ricorrenza cristiana ricorda invece la purificazione della Vergine Maria 40 giorni dopo il parto. Ma al di là di tutto, è curioso vedere come proverbi e detti popolari assegnino una particolare importanza a questo giorno per la previsione del tempo. Se infatti in cielo splende il sole, si dice che l’inverno è finito, se invece dovesse piovere o tirare vento, armiamoci di pazienza: il freddo ci farà compagnia ancora per un po’.

Saggezza popolare

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• Febbraio è d’ogni mese il più corto e il men cortese.

• Carnevale non si trova se non c’è la Luna nuova.

• Per la Candelora, l’inverno fugge o si rincuora.

• Per San Biagio (3 febbraio) il freddo è andato.

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Se si vuol raccogliere dell’ottima frutta in estate, è il momento di dedicarsi alle piante. Quindi via, in Luna calante, alla potatura del ciliegio e degli altri fruttiferi, tra cui vite e olivo. L’operazione dovrà però essere rimandata a fine mese se la temperatura dovesse giungere vicina, agli 0°C. Il ciliegio sarebbe in realtà meglio non potarlo, ma, se dovesse rendersi necessario, mai intervenire in maniera drastica perché come il melo, il pero e il pesco, la pianta dà frutti sui rami più vecchi. In passato, i rami delle potature, soprattutto d’olivo e vite, si bruciavano in grandi falò dedicati al Santo del luogo che avrebbe così protetto i raccolti. Passando dal frutteto all’orto, sempre in Luna calante, piantare cipolla, bietole e spinaci. In ambiente protetto seminare le insalate primaverili e altri ortaggi da foglia. In crescente seminare piselli, carote, ravanelli, radicchio da taglio e rucola. In questo periodo anche il giardino comincia a richiedere attenzioni: in calante potare il lauroceraso e le siepi a foglia persistente. Trapiantare viole del pensiero e anche salvia, rosmarino e menta. Attendere invece la Luna crescente per ultimare le lavorazioni del terreno. A fine mese iniziare a radere il prato, ad arieggiarlo e a concimarlo facendo attenzione che il cotico erboso (il tappeto erboso) sia ben asciutto.



appuntamenti del mese

appuntamenti gennaio

di Gilda Ciaruffoli

Arance

in nome della libertà! 9-13 febbraio Avete deciso di scendere in campo e di partecipare a una delle feste più stravaganti d’Italia? Se le arance le avete, vi manca solo il Berretto Frigio, sorta di calza rossa indossando la quale dichiarerete ai quattro venti di essere pronti per la battaglia! A Ivrea, graziosa cittadina del torinese, torna come da tradizione lo Storico Carnevale, riconosciuto come manifestazione italiana di rilevanza internazionale. Un evento in cui storia e leggenda si intrecciano per dar vita a uno spettacolo che travalica e fonde i secoli, in cui i protagonisti assoluti sono la Vezzosa Mugnaia, eroina della festa, simbolo risorgimentale di libertà, il Generale con il suo Stato Maggiore Napoleonico, il Sostituto Gran Cancelliere, il Podestà garante della libertà cittadina, il Corteo con le bandiere dei rioni, i Pifferi e i Tamburi. Momento clou della manifestazione proprio la spettacolare Battaglia delle Arance, rievocazione della ribellione popolare alla tirannia, che si 20

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articola in tre giornate, dal 10 al 12. Il 13 infine la festa si conclude con la distribuzione di polenta e merluzzo in piazza. Ivrea però non è solo Carnevale. La cittadina è infatti estremamente piacevole da attraversare, con il suo rosso castello le cui torri si stagliano contro cielo (purtroppo, e sembra davvero un peccato, non visitabile), il vicino duomo dove vedere la deliziosa cripta romanica, e ancora la chiesa di San Bernardino con i suoi splendidi affreschi… Per saperne di più chiedete ai vigili locali. Se siete fortunati infatti potreste incontrarne uno, in particolare, appassionato di arte romanica che vi svelerà con competenza e gentilezza alcuni interessanti segreti. Uno su tutti? La linea curva seguita dalla stradina proprio dietro al Duomo è data in realtà dalla curva delle gradinate di un grandioso teatro romanico del quale, a parte la traccia, poco rimane (nelle cantine di alcuni eporediesi!).

Ivrea (To) – Piemonte

www.storicocarnevaleivrea.it

dove mangiare Trattoria Boccon di Vino Minuscolo e defilato ristorantino dove si respira aria di casa. Da provare il petto d’anatra come antipasto e gli gnocchetti di castagna con pere e gorgonzola. Prezzo medio: 20 euro Via Aosta, 47, Ivrea (To) trattoriaboccondivinoivrea.com

dove dormire B&B Villa Tavallini Non è vicinissimo a Ivrea (una mezz’ora di macchina) ma vale la pena soggiornarvi per conoscere il territorio che lo circonda e la natura nella quale è immerso. Doppia da 80 euro Via Benedetto Croce, 32 Pollone (Bi) www.villatavallini.it


giunta alla nona edizione. Più di 40 gli espositori italiani ed esteri grazie ai quali gustare le varie sfumature e le diverse lavorazioni di questo prodotto unico. Non mancheranno meeting, cooking class e incontri didattici, come anche la collaborazione tra la fiera e i ristoratori del centro storico che proporranno cene interamente a base di cacao per scoprirne i tanti e insoliti usi in cucina.

2 e 10 febbraio Piovono tartufi

Febbraio: tempo di tartufo e Carnevale. Ad Acqualagna questa è una ricetta esplosiva che mette in piazza una festa davvero bizzarra durante la quale il tartufo si regala, anzi si lancia dai carri in maschera. Sabato 2 la festa è in notturna, mentre il 10 si svolge la Fiera Regionale del Tartufo Nero Pregiato che si articola nel più classico dei modi, tra stand di prodotto fresco, degustazione di tipicità e specialità artigianali locali. Nel pomeriggio invece il mondo si rovescia ed entra in vigore la legge del Carnevale. A fare il loro ingresso in paese sono carri e maschere e il cielo si colora dei tanti sacchetti che nascondono al loro interno pregiati tartufi da afferrare al volo e portare a casa, assieme al sorriso dovuto al saporito regalo.

Acqualagna (Pu) – Marche www.acqualagna.com

Firenza – Toscana

www.fieradelcioccolato.it

8-11 febbraio Un brindisi alla golosità

Torna Golositalia, fiera dedicata alle
eccellenze del settore enogastronomico e della ristorazione che, forte dei successi passati, si espande arrivando a ospitare 400 produttori suddivisi in 5 aree tematiche: food, vino, birra,
attrezzature professionali, ristorazione e un’area interamente dedicata al turismo
enogastronomico. Un ruolo di primo piano è riservato al vino a cui viene dedicata un’intera area della fiera con circa 70 cantine provenienti da tutta Italia e da vari stati europei, con la possibilità di degustazioni guidate.

Brescia – Lombardia www.golositalia.it

Pollenzo (Cn)

Genuino, visto da vicino

Genova – Liguria www.cibio.info

Borgogna e Piemonte: è incontro al vertice

Affascinante ed esclusivo incontro tra vignerons di Borgogna e vignaioli del Piemonte, Le Loro Maestà è una manifestazione che si articola in due giornate di intensi appuntamenti: dalla verticale di 4 annate di Clos de Tart e di Monfortino, alla cena preparata dallo chef borgognone Jean-Christophe Moutet con degustazione di tutti i vini protagonisti delle due giornate, alla eccezionale degustazione di tutte le 46 cantine partecipanti che presenteranno i loro vini, tutti cru di Nebbiolo e Pinot Noir.

8-10 febbraio Pane, pasta, miele, olio, vino, formaggi, verdure e frutta, ma anche tisane, oli essenziali e prodotti per la cosmesi: protagonisti di Cibio, fiera genovese del gusto, sono prodotti tipici nazionali e biologici presentati dagli stessi produttori attraverso stand espositivi, degustazioni, laboratori e show cooking con chef professionisti.

9-10 febbraio

www.leloromaesta.it

8-17 febbraio 40 sfumature di… cioccolato

Piazza Santa Maria Novella ospita la Fiera più dolce dell’anno, quella del cioccolato artigianale,

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appuntamenti febbraio

9-11 febbraio Assaggi all’ombra della Madonnina

La seconda edizione del Milano Food&Wine Festival sarà un imperdibile viaggio alla scoperta di 400 vini proposti dalle migliori cantine italiane e internazionali accanto a un ricco menu di golosità e piatti firmati da 20 grandi chef. La selezione dei vini è curata da Helmuth Köcher, presidente e fondatore del Merano WineFestival, e si concentrerà su 100 cantine italiane e 25 straniere. Ogni produttore porterà in degustazione tre vini ovvero i due prodotti che hanno ottenuto il miglior punteggio alle selezioni per l’ultima edizione del Merano WineFestival oltre a un terzo vino scelto tra i più significativi della gamma. Un totale di 375 etichette fra le più prestigiose del panorama nazionale e internazionale. Ma le golosità non finiscono qui: ampio spazio infatti è dedicato alle specialità artigianali con la partecipazione di 25 artigiani del gusto che presenteranno proposte originali da assaggiare e acquistare. Un’occasione da non perdere dal momento che si tratta di piccoli produttori provenienti da ogni parte d’Italia.

Milano – Lombardia

www.foodwinefestival.it

9-14 febbraio Il più dolce Valentino

Cioccolentino è la manifestazione che unisce la dolcezza del cioccolato alla passione degli innamorati di tutto il mondo. Durante le giornate di festa: lezioni di cioccolateria artigianale, momenti “sensoriali”, degustazioni e installazioni di cake design per le vie del centro storico. L’evento si inserisce nel programma degli Eventi Valentiniani che si svolgono durante tutto il mese nella città che ha dato i natali al santo dell’amore. Da ricordare quindi anche la Festa della Promessa per le giovani coppie e le visite guidate con escursioni nei luoghi naturalistici, culturali ed enogastronomici dell’Umbria.

Terni – Umbria www.cioccolentino.com - www.sanvalentinoterni.it

14-17 febbraio A little BIT of China

Fin da quando Marco Polo, e poi il missionario e studioso Matteo Ricci, furono i primi due occidentali a soggiornare nel Celeste Impero, Italia e Cina sono sempre state unite da un rapporto speciale. Un rapporto che continua ancora oggi e che Bit – Borsa Internazionale del Turismo ha voluto celebrare nominando la Cina Paese Ospite dell’edizione 2013, che si terrà nei saloni di Fieramilano a Rho. La manifestazione ha carattere professionale ma si apre al pubblico non business nelle giornate di sabato 16 e domenica 17 febbraio. Per arrivare preparati non dimenticate di registrarvi alla nuova applicazione Che Viaggiatore sei? e fare il divertente test!

Milano – Lombardia www.bit.fieramilano.it

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appuntamenti febbraio

15-17 febbraio Una “prima” che va liscia come l’olio...

Extra Lucca, la mostra mercato di oli d’oliva di qualità selezionati dal “Maestro d’olio” Fausto Borella, trasforma Lucca nella capitale dell’olio italiano. La manifestazione, alla sua prima edizione, ha come cuore Villa Bottini e si snoda fra i ristoranti e i negozi del nucleo storico cittadino per concludersi all’Auditorium di San Romano. In programma degustazioni degli oli e delle creazioni dei migliori chef toscani.

invernali. Una giornata di profumi avvolgenti e colori intensi che presenterà l’intero universo di aromi e sapori degli agrumi: piante, frutti, marmellate, mieli, mostarde, profumi, cosmetici e raffinati decori.

Milano – Lombardia

www.fondoambiente.it

20-26 febbraio Una settimana di tendenze

In occasione di Milano Moda Donna vengono presentate le collezioni per l’autunno del 2013. Oltre 170 le sfilate e le presentazioni organizzate dalle maison che hanno reso celebre il made in Italy nel mondo.

Milano – Lombardia

www.cameramoda.it

Lucca – Toscana www.extralucca.it

17 febbraio Storia al profumo di polenta

Le origini della Festa della polentina, nota anche come Festa della miseria, sono da ricercare nei primi anni del ’500 quando una grave carestia colpì le terre di Toscana. Gli abitanti di Vernio, ridotti alla fame, furono aiutati dalla generosità dei conti Bardi, che per sfamarli distribuirono polenta di castagne, aringa e baccalà. E proprio questi sono gli ingredienti che ancora oggi danno gusto alla giornata di festeggiamenti, distribuiti a tutti i presenti.

Vernio (Po) – Toscana www.comune.vernio.po.it

17 febbraio Arance in villa

Villa Necchi Campiglio – splendida proprietà del FAI Fondo Ambiente Italiano nel cuore di Milano – ospita la seconda edizione di Agru-Mi, Un mondo di agrumi, un’affascinante mostramercato che rende omaggio ai frutti protagonisti delle tavole

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22-24 febbraio, 1-3 marzo Un diamante (nero) è per sempre

La Mostra Mercato Nazionale del tartufo Nero Pregiato è la più importante rassegna espositiva dell’agro-alimentare in Umbria e torna quest’anno ad avvicinare il pubblico ai sapori e ai saperi genuini del luogo e a far scoprire le eccellenze gastronomiche di altre regioni italiane, confermandosi palcoscenico privilegiato per raccontare i territori come veri e propri giacimenti golosi e culturali. Da non perdere gli incontri-degustazione del pregiato diamante nero.

Norcia (Pg) – Umbria www.neronorcia.it


12 febbraio Bigolada di carnevale Strigno (Bz) – Trentino-Alto Adige www.visitvalsugana.it

appuntamenti in breve

fino al 3 febbraio

 Festa radicchio rosso di Dosson Casier (Tv) - Veneto www.radicchiorossodosson.it

fino al 2 febbraio Festa della Candelora Terzo (Tv) – Veneto www.comune.tarzo.tv.it

12 febbraio

 Festa della polenta e sagra dei maccheroni
 Borgo Tossignano (Bo) Emilia-Romagna
 www.comune.borgotossignano.bo.it

fino al 12 febbraio Carnevale storico della Coumba Freida località varie – Valle d’Aosta www.lovevda.it

Sagra dei biligocc
 Festa della castagna affumicata e bollita Casale di Albino (Bg) – Lombardia www.valledellujo.it

23-24 febbraio Liberamente Fiera del tempo libero e del turismo Ferrara – Emilia-Romagna www.liberamentefiera.it

2 febbraio Mingia e beiva Passeggiata enogastronomica a “caccia dell’Orso” Mompantero (To) – Piemonte www.comune.mompantero.to.it

3 febbraio

10 febbraio

1-3, 7-12 febbraio

La raviolata Appuntamento con il Raviolo Scapolese Scapoli (Is) – Molise www.comune.scapoli.is.it

Sagra di San Bello Berbenno di Valtellina (So) Lombardia www.sagradisanbello.it

17 febbraio

 Festa del polentone Castel di Tora (Ri) – Lazio http://prolococastelditora.it

fino al 24 febbraio Ruzzola del formaggio Pontelandolfo (Bn) – Campania www.eptbenevento.it

12 febbraio La cianciùta Funerale di Re Carnevale Francavilla di Sicilia (Me) – Sicilia www.comune.francavilladisicilia.me.it

24 febbraio Sagra della zipola Narbolia (Or) – Sardegna www.proloconarbolia.blogspot.com

3 febbraio Fete de lu caiunn Festa del maiale Faeto (Fg) – Puglia www.comune.faeto.fg.it

3 febbraio 6 gennaio Sagra della sfincia
 Montelepre (Pa) – Sicilia www.comune.montelepre.pa.it

Panicelle di San Biagio Tutto il paese collabora alla preparazione e distribuzione dei tipici pani Taranta Peligna (Ch) – Abruzzo www.comune.tarantapeligna.ch.it febbraio 2013

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FOLGARÌA... UNA VACANZA DA VIVERE 365 GIORNI L’ANNO!

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Panorama Panorama 50 28

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28 Cover story

44 L’Oasi Galbusera Bianca

È la tendenza alimentare del nuovo millennio. La filiera “100% naturale” che spopola in Occidente,

dove tutti ormai vogliono mangiare

46 Personaggi:

cibo

“sano, sicuro e sostenibile”.

Un nuovo fenomeno economico dalle potenzialità illimitate. Ma quanto ne sappiamo davvero dell’agricoltura biologica? E soprattutto: possiamo fidarci davvero del “bio” che ci vende la grande industria?

Un rifugio verde in mezzo alla Brianza. Per mangiare genuino

e ritornare alla natura

50 Com’è cambiato l’happy hour Il rito dell’aperitivo milanese ai tempi della crisi. Tra buffet classici e nuove tendenze

da pag. 54 Rubriche

• Attenti a quelle due • Ospitalità italiana

Gudrun Dalla Via

Il presente e il futuro del bio spiegato dalla più autorevole scrittrice di salute&benessere

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Bio-boom Biologico che passione! Che lo si faccia per il gusto, per l’etica, per il salutismo o semplicemente perché – da qualche anno a questa parte – è molto “alla moda”, l’abitudine all’acquisto e al consumo di cibi di produzione “bio” sta diventando sempre più la tendenza alimentare del terzo millennio. Un vero e proprio fenomeno sociale di proporzioni planetarie, più che un semplice tipo di dieta alimentare. Le vendite di prodotti bio, nel mondo, hanno raggiunto oltre 59 miliardi di dollari, registrando una crescita più che tripla rispetto al 2000. Di conseguenza, lo sviluppo mondiale dell’agricoltura biologica viaggia a velocità da capogiro: la superficie agricola mondiale attualmente coltivata secondo criteri di tutela ambientale ha superato i 37 milioni di ettari. In Italia, dove il biologico ha cominciato a diffondersi a partire dalla metà degli anni ’70, i consumi, a

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tutt’oggi, sono ancora limitati – rispetto ad altre medie europee – ma, in compenso, le produzioni proliferano di anno in anno. E l’interesse generale verso l’agricoltura bio cresce progressivamente, lasciando facilmente presagire un’impennata dei consumi sul lungo periodo. Al di là dei numeri, dei gusti e delle mode, un interrogativo rimane tuttavia sullo sfondo: quanto ne sanno veramente gli italiani e gli stessi consumatori del biologico? Per definizione della Commissione Europea, «l’agricoltura biologica è un sistema di produzione agricola che cerca di offrire al consumatore prodotti freschi, gustosi e genuini, rispettando il ciclo della natura e minimizzando l’impatto umano nell’ambiente me-

Sta diventando sempre più la tendenza alimentare del terzo millennio: ma quanto sanno veramente gli italiani di biologico? Scopriamone insieme peculiarità, segreti e contraddizioni diante: la rotazione delle colture, l’impiego molto limitato dei pesticidi, il divieto dell’uso di Ogm, l’uso di risorse locali (dai fertilizzanti ai foraggi), la scelta di piante e animali resistenti alle malattie e capaci di adattarsi alle condizioni del luogo, l’utilizzo di pratiche di allevamento appropriate per le diverse specie di bestiame». Ma siamo certi che basta sapere questo per potersi districare nel variegato mondo dei consumi bio? La nostra indagine ha provato a fare un po’ di chiarezza, partendo da una fotografia dello status quo del bio italiano per inoltrarsi quindi tra i segreti, le peculiarità e le piccole e grandi contraddizioni di questo tipo di agricoltura alternativa a quella convenzionale sulle cui produzioni non sempre ci viene detta tutta la verità.

Una nicchia di grande potenzialità A cura dell’Osservatorio Agroalimentare Nomisma L’Italia è oggi il primo paese europeo per numero di operatori biologici. Le aziende della filiera sono complessivamente 48.269. Il numero degli operatori non è tuttavia che uno dei parametri per valutare l’effettiva importanza economica dell’agricoltura biologica: occorre valutare l’estensione delle superfici agricole a essa dedicate e il tipo di colture. Nell’agricoltura biologica, l’uso del suolo è ripartito tra Superficie Agricola Utilizzata (SAU) già biologica e in conversione: la transizione dall’agricoltura convenzionale avviene entro un determinato periodo di tempo (di conversione, appunto), durante il quale sono applicate le disposizioni relative alla produzione biologica. I prodotti della terra coltivati in azienda durante la conversione non possono però venire certificati, e dunque messi in commercio, come biologici.

Colture bio: secondi solo agli spagnoli In termini di superfici, l’Italia non detiene invece il primato che è ad appannaggio della Spagna. Si piazza però al secondo posto assieme alla Francia, con una SAU biologica complessiva che nel 2011 è risultata pari a poco più di un milione di ettari, di cui 837.107 già biologici. In termini di superfici, il bio rappresenta così l’8,5% della superficie agricola italiana. Si tratta quindi di cifre contenute in termini relativi, ma rilevanti in termini assoluti in quanto proiettano il nostro Paese ai primi posti dell’Unione Europea. Le colture foraggere detengono la quota più rilevante di superficie biologica, sono presenti in tutto il Mezzogiorno, ma soprattutto in Sicilia e Puglia. Seguono i cereali e alcune colture permanenti, tra cui olivo, vite e varie specie di frutta. In quest’ultimo settore sono gli agrumi a fare la parte del leone. Tra gli ortaggi solo la carota evidenzia cifre significative. Il quadro dell’offerta produttiva è completato dalla zootecnia biologica. febbraio 2013

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1. I numeri del bio in Italia

Aziende della filiera: 48.269 Agricoltori: 41.811 Industrie alimentari: 6.165 Enti certificatori: 13 Importatori: 63 Agricoltori bio al Sud: 61,9% Industrie alimentari al Nord: 69,1%

2. Incidenza del biologico sui consumi alimentari

Austria: Svizzera: Francia: Italia:

7% 6% 2% 1,3%

3. Utilizzo di superficie biologica Foraggi: 22% Limoni e arance: 19,1% Cereali: 16,8% Carote: 5,5% Sicilia: oltre 35.000 ettari Puglia: circa 29.000 ettari

Per saperne di più: agroalimentare@nomisma.it www.nomisma.it

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E i consumi crescono ogni giorno Sul fronte della domanda, i consumi di prodotti bio sono ancora una nicchia di mercato ma rappresentano un segmento in costante crescita. Gli alimenti biologici pesano infatti l’1,3% sul totale dei consumi alimentari domestici. Tuttavia, il trend è positivo, e non da oggi. Nel 2011 il giro d’affari complessivo è stato di 1,7 miliardi di euro di consumi domestici (cui vanno aggiunti 280 milioni di consumi fuori-casa), in crescita rispetto ai due anni precedenti, e cioè in un periodo di forte recessione. In Italia, le vendite bio passano soprattutto dal canale specializzato che nel 2012 ha realizzato 890 milioni, cioè circa il 45% del volume d’affari riconducibile a tale segmento di prodotti alimentari. La grande distribuzione organizzata fattura presso ipermercati e supermercati 550 milioni. Tra gli altri canali, la ristorazione biologica detiene il ruolo più rilevante (280 milioni di euro); in

realtà le modalità di commercializzazione degli alimenti biologici sono molto più articolate: vendita diretta, mercatini del biologico, Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), internet valgono altri 280 milioni di vendite. Le aziende alimentari biologiche sono prevalentemente di piccole e medie dimensioni, per cui il principale mercato di sbocco è quello nazionale; per alcuni prodotti però – come olio, vino, frutta fresca e derivati – molte imprese mostrano una spiccata propensione all’export, tanto da stimare come vendite oltre frontiera un valore complessivo pari al miliardo. L’interrogativo che ci si pone, a questo punto, è come fare per crescere di più. Per sfruttare questo potenziale e raggiungere i traguardi di molti Paesi europei è importante una forte strategia di comunicazione che valorizzi non solo i plus di sicurezza offerti dal bio ma anche e soprattutto quelli relativi alle sue qualità organolettiche.


nel raggio di un chilometro dagli alveari. Quindi «affinché un miele possa essere considerato biologico non vi devono essere nel raggio di 3 km dalla posizione degli alveari, discariche, strade ad alta percorrenza, impianti industriali, frutteti specializzati o colture estensive» ci spiega. «Altro importante elemento nella produzione del miele biologico sono i trattamenti alle api: non è consentito infatti l’uso di antibiotici, antiparassitari e qualsiasi altro prodotto che lasci residui nel miele o nella cera. Inoltre nella produzione di miele biologico non è prevista la microfiltrazione, la miscelazione né la pastorizzazione, che eviterebbe la cristallizzazione del miele denaturandone però gli enzimi, le vitamine e le proteine. In breve: tutto il buono del miele».

Latticini e salumi

Produrre secondo natura di Riccardo Lagorio

Non tutti sanno quali devono essere le caratteristiche dei prodotti definiti biologici. Noi abbiamo provato a entrare in una ideale “dispensa bio” interrogandoci sulle peculiarità di ogni alimento trovato e chiamando in causa anche qualche produttore Il miele Il primo dubbio che abbiamo voluto fugare è relativo alla produzione del miele. La perplessità è nata spontanea quando ci siamo posti la domanda su come possano le api avere spazi limitati nella loro raccolta di nettare. Se le api, ad esempio, volassero su fiori non bio, cosa accadrebbe? A tale riguardo abbiamo chiesto a David Lombardozzi di Roccacinquemiglia (Aq) come sia possibile produrre miele biologico e abbiamo scoperto che le api bottinano

Come per il miele, anche in altri prodotti sensibili, come formaggi e salumi biologici, si deve riscontrare un numero molto limitato di pesticidi nell’alimentazione degli animali. Questo basta perché un prodotto sia definito biologico. «In agricoltura biologica e biodinamica si fa un uso di farmaci molto accorto e limitato a pochi principi attivi; il rischio che nel latte e derivati si ritrovino farmaci o loro metaboliti è basso o assente» afferma Renata Lovati di Cascina Isola Maria, azienda agricola bio nel Parco Agricolo Milano Sud. Per la produzione di formaggi biologici (e biodinamici) è vietato l’impiego di latte ottenuto da animali allevati con mangime transgenico, ma anche conservanti, fosfati e polifosfati. Le medesime assenze si riscontrano nel mondo della carne e dei salumi, cui va aggiunto il particolare benessere animale ottenuto destinando le bestie al pascolo libero. In sintesi gli animali commercializzati come prodotti biologici non possono ricevere alcuna cura con antibiotici, ormoni della crescita o altri farmaci diversi da vaccinazioni. Infatti l’abuso di antibiotici è talvolta accusato di problemi che aumentano con la presenza di batteri antibiotico-resistenti, che

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spesso possono passare all’uomo. Nel mondo dell’allevamento convenzionale molti animali sono alimentati con bassi livelli di antibiotici per favorirne la crescita o la produzione di latte, anche quando non sono malati. La certificazione di prodotto biologico ci mette al riparo da queste logiche. Inoltre i ruminanti devono trascorrere almeno 120 giorni all’anno al pascolo e i mangimi devono essere di origine biologica e sono messi al bando quelli provenienti da organismi geneticamente modificati. Una volta macellata, alla carne biologica non possono essere aggiunti coloranti artificiali, aromi o conservanti. Tuttavia bisogna dire che il comparto carne rappresenta solo il 13% sul totale dei prodotti biologici in vendita. Poca domanda, poca offerta. Il sistema che abbiamo rappresentato lo propone ad esempio la famiglia Dolfini, che produce carne e salumi a Gambara, nella Bassa bresciana.

Pane & C. Le modalità di produzione biologica sono fissate da un Regolamento europeo del 2008. Il prodotto bio dev’essere costituito per almeno il 95% da ingredienti biologici sul totale di ingredienti di origine agricola. Le percentuali si calcolano considerando quelle effettive utilizzate al momento della preparazione del prodotto e per il calcolo non si considerano l’acqua e il sale impiegati. Il restante 5% può essere costituito da materie prime non agricole e da materie prime agricole non biologiche elencate in un allegato dello stesso Regolamento. Esso contiene una lista ristrettissima di ingredienti che sono difficilmente reperibili sul mercato come sostituti di quelli biologici. Questa regola generale vale ovviamente per i prodotti da forno. Un buon esempio è quello della Cooperativa Il Sambuco di Celleno (Vt), che utilizza esclusivamente farine provenienti da coltivazioni biologiche certificate e lievito madre. La fermentazione naturale di

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acqua (che sgorga da una piccola sorgente attigua al laboratorio) e farina stimola effetti benefici per l’organismo e rende digeribile anche la crusca, la parte del frumento più ricca di sostanze nutritive. Anche i biscotti, i cantucci, le torte sono elaborate con prodotti biologici.

I frutti dell’orto Le pratiche di produzione agricola biologica sono improntate verso l’utilizzo di concimi organici, le rotazioni colturali e la lavorazione superficiale del terreno. È così limitato l’utilizzo di prodotti di sintesi e anche la lotta ai parassiti delle piante è consentita solamente


numero di interventi chimici per il controllo di patogeni». Dalle ricerche condotte sulla qualità del prodotto biologico e del prodotto convenzionale non sono emerse «differenze significative nei valori dei principali parametri qualitativi. Una conferma degli elevati standard raggiungibili senza l’utilizzo di mezzi chimici». Un’ampia gamma di verdure prodotte con il sistema biodinamico – che si basa sull’uso di particolari preparati naturali, massima cura nella lavorazione di terreni e accorgimenti pratici come le rotazioni, il sovescio e il calendario lunare – sono ad esempio disponibili presso Agrilatina (Latina).

Se un’ape vola su un fiore non-bio, il suo miele come deve essere considerato? È sufficiente limitare la quantità di pesticidi o antibiotici nell’alimentazione degli animali perché la loro carne o il loro latte possano essere considerati biologici? Dobbiamo simpatizzare con insetti predatori e parassiti? E questa biodiversità di cui tanto si parla, in cosa consiste?

con preparati vegetali, minerali e animali non tossici e con l’utilizzo di insetti predatori e altri parassiti in concorrenza con quelli sfavorevoli alle colture. Molto spesso la sensibilità del produttore bio lo spinge anche verso la biodiversità. Francesco Intrigliolo dell’Istituto Sperimentale per l’Agrumicoltura, ha spiegato che «una larga fetta del settore ha già compiuto la scelta biologica. E questo può essere fondamentale verso una gestione più equilibrata dell’ecosistema e nella rivalutazione economica delle produzioni di agrumi, che si prestano in modo particolare alla coltivazione biologica perché necessitano di un ridotto

Olio e vino Per la produzione di olio, vino e liquori biologici esistono restrizioni all’utilizzo di sostanze coadiuvanti della crescita dei vegetali, come concimi e diserbanti, e l’obbligo di adoperare alcuni procedimenti meccanici durante le fasi della vinificazione e della preparazione dei liquori. In sostanza, non possono in questa fase essere d’aiuto al produttore sostanze chimiche di sintesi. Gli enti di certificazione elaborano appositi disciplinari a cui il produttore si deve attenere. Per l’olio e il vino ci spostiamo allora in Sicilia, una delle regioni in Italia più bio. L’olio di Nocellara del Belice, che si distingue per lievi note di piccante e amaro, ce lo procuriamo in provincia di Trapani, presso l’Azienda Agricola Antonino Centonze di Castelvetrano. Il vino in quella di Messina, dall’Azienda Agricola Vasari di Santa Lucia del Mela, azienda certificata bio da decenni. Non ci faremo mancare neppure una grappa o un liquore: ritorneremo al nord, nel Modenese, presso l’Azienda Agricola Santa Chiara di Levizzano Rangone, dove ci diletteremo con un nocino prodotto con malli di noci biologiche, un bicchierino di infuso di bacche di lauro ceraso o una grappa da vinacce bio. Perché l’Italia è bella e…bio.

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Tecniche di allevamento sostenibile di Giuseppe Pulina

La zootecnia biologica è il sistema di allevamento che, grazie alla ricerca e all’applicazione di disciplinari rigorosi, consente l’ottenimento di produzioni orientate alle esigenze di cittadini sensibili ai temi della sostenibilità e della qualità. Fin dalla definizione normativa all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, questo metodo di produzione ha ingenerato nel nostro Paese una contrapposizione fra fautori e detrattori, alimentata spesso da una cattiva informazione unita a una mediocre divulgazione e ad alcuni errori di impostazione che anche gli stessi fautori del sistema produttivo biologico hanno commesso nelle fasi iniziali. Per meglio capire l’attuale quadro italiano di questo settore e fugare i residui dubbi, ci siamo rivolti a Marcello Mele, professore di scienze per gli animali all’Università di Pisa e componente del comitato di indirizzo della Rete Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica.

Nata in risposta alle logiche intensive o industriali, la zootecnia biologica si pone come obiettivo la realizzazione di forme di produzione compatibili con una visione olistica del sistema uomo-ambiente opponendosi allo sfruttamento illimitato delle risorse naturali e garantendo il benessere animale. In Italia è una tendenza di nicchia, ma in forte espansione

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Si parla molto di agricoltura biologica, ma pochi conoscono la zootecnia biologica. Qual è la situazione italiana? In Italia rappresenta un settore di nicchia: sono presenti infatti poco più di 6.800 aziende, circa la metà delle quali in Sicilia e in Sardegna, in cui si allevano principalmente bovini e ovini (poco meno di 200 mila capi per i primi e circa 700 mila capi per i secondi). Ciononostante l’interesse per questo settore è molto vivo e in costante crescita. Ci ricordi in breve cosa è la zootecnia biologica? L’agricoltura biologica, di cui la zootecnia biologica fa parte,si pone come obiettivo la realizzazione di forme


di produzione che siano compatibili con una visione olistica del sistema uomo-ambiente,secondo una concezione che non ammette uno sfruttamento illimitato delle risorse naturali, ma un loro uso razionale che consenta di chiudere i cicli della sostanza organica e conservare il più a lungo possibile le risorse all’interno dell’agro-eco-sistema. Nel caso dell’allevamento animale, le forme di produzione consentite devono prevedere una stretta interconnessione tra base agricola e carico animale al fine di garantire la chiusura dei cicli dei nutrienti entro l’unità produttiva o il comprensorio, e la conservazione della fertilità del suolo e del benessere animale. È evidente, pertanto, che la zootecnia biologica nasce soprattutto in risposta alle forme di allevamento più intensive basate su una concezione industriale e produttivistica che, a partire dalla metà del secolo scorso, ha portato alcuni sistemi zootecnici a compromettere la sostenibilità ambientale e animale dei processi produttivi, con le ben note ripercussioni negative sulla conservazione e la preservazione delle risorse naturali e del benessere animale. Questo tipo di produzione, come detto, è sottoposto a rigidi disciplinari… Produrre alimenti di origine animale secondo il disciplinare della zootecnica biologica significa sottoporsi volontariamente a una serie di normative che si sommano alle già numerose previste per il comparto e che rendono questo settore uno degli ambiti produttivi più controllati in assoluto. I regolamenti comunitari e i rispettivi recepimenti nazionali, cui i produttori devono attenersi per apporre il marchio esclusivo che contraddistingue le produzioni da agricoltura biologica, hanno cercato di delineare un insieme di tecniche in grado di tradurre in sistema i concetti generali sopra esposti.Per quanto riguarda l’alimentazione degli animali, gli scopi principali sono quelli di completare il ciclo dei nutrienti e di evitare le forzature produttive per salvaguardare il benessere animale. A tale fine si prevede l’uso di alimenti di esclusiva provenienza biologica che, in una percentuale definita, devono essere anche autoprodotti. Il pascolamento deve essere garantito per tutti gli erbivori e comunque i foraggi devono essere presenti in percentuali ben definite sia nell’alimentazione degli erbivori sia

in quella degli animali onnivori come il suino e gli avicoli. È bandito poi l’uso di alimenti che siano stati trattati con mezzi chimici (ad esempio le farine di estrazione di semi di oleaginose) e alimenti provenienti da Ogm. E per l’allevamento? Il disciplinare prevede l’utilizzo di spazi e strutture che tengano in debita considerazione l’etologia degli animali e i requisiti per garantirne il benessere, andandone a definire le dimensioni minime e i criteri di utilizzo e gestione. Un’attenzione particolare è poi rivolta ai sistemi di cura e prevenzione delle patologie. In linea generale non è ammesso il ricorso a medicinali allopatici, privilegiando la fitoterapia e l’omeopatia, nonché l’applicazione di tutte quelle pratiche in grado di prevenire l’insorgenza di patologie o dismetabolie, tra cui il ricorso a linee genetiche particolarmente adattate all’ambiente e al sistema di produzione. Tuttavia, in presenza di comprovate necessità, certificate dal veterinario aziendale e limitatamente a un certo numero di trattamenti durante l’anno, è possibile ricorrere anche a farmaci allopatici, al fine di salvaguardare la salute e il benessere complessivo dell’animale stesso.

In Italia sono presenti poco più di 6.800 aziende che operano secondo le regole della zootecnia biologica. Si trovano soprattutto in Sicilia e Sardegna e allevano principalmente bovini e ovini

Il pascolamento ha un ruolo di particolare rilievo per una felice convivenza tra animali e territorio

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In Italia il settore non conosce crisi A cura dell’Osservatorio Agroalimentare Nomisma

Per saperne di più: agroalimentare@nomisma.it www.nomisma.it

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Il 2012 sarà ricordato come l’annus horribilis dei consumi: crolla il potere di acquisto delle famiglie (-4,1% nei primi nove mesi del 2012 rispetto a quanto accadeva un anno fa) e cadono i consumi di molti capitoli di spesa ormai giudicati superflui (auto, elettrodomestici, abbigliamento, in primis). Addirittura, si comincia a tagliare anche a tavola (-0,4% a valori costanti rispetto al 2011). Il bio è in netta controtendenza rispetto a tale scenario: non solo resiste, ma guadagna terreno.Ad oggi, i prodotti biologici entrano nelle tavole di oltre 13 milioni di famiglie italiane. L’Osservatorio curato da Nomisma per conto di Sana (la più importante manifestazione del biologico e del naturale) indica che nel 2012 il 53% delle famiglie italiane ha acquistato in almeno un’occasione prodotti

alimentari bio. L’indagine ha dunque certificato come questa tipologia di prodotti entri nella dispensa di una famiglia su due, trend positivo favorito da un’offerta ormai completa. Gli assortimenti abbracciano infatti tutte le merceologie di prodotto: gli scaffali della distribuzione specializzata propongono mediamente 4000 referenze bio; la Gdo (circa 300 referenze a punto vendita) offre, oltre alle grandi marche, la propria private label a prezzi competitivi, rappresentando così un’importante opportunità per avvicinarsi al bio. D’altro canto, i consumatori preferiscono un prodotto biologico perché presenta una qualità più elevata rispetto ai prodotti convenzionali (il 65% dei responsabili acquisto ne è convinto) e perché è innanzitutto più sicuro (71%). La ricerca di garanzie aggiuntive è ancor più forte nelle famiglie dove vi sono bambini di età inferiore ai 12 anni. La presenza di figli piccoli è un forte stimolo all’acquisto di prodotti biologici (la propensione sale al 64%), soprattutto quelli ad alta frequenza di consumo che si utilizzano giornalmente per la colazione e la merenda. L’altro fattore che testimonia la positiva performance dei prodotti alimentari biologici va individuato nell’identikit del consumatore. Chi compra bio è innanzitutto meno sensibile al prezzo, non solo quando acquista biologico ma anche per i prodotti alimentari in generale. Cresce il bio nel carrello quando il responsabile della spesa è laureato, dove il reddito medio mensile familiare è alto, nel Nord e Centro Italia e dove c’è più offerta distributiva. Per il futuro sembra prevalere un ragionato ottimismo sullo sviluppo di tali prodotti. I responsabili di acquisto intervistati da Nomisma hanno infatti fornito risposte promettenti sul trend della spesa per gli alimenti biologici nei prossimi 12 mesi: il 76% dichiara che non cambierà l’importo destinato a tali prodotti; sul fronte opposto invece è positivo il saldo tra chi ritiene che tale spesa crescerà (13%) e chi diminuirà (8%). Il biologico ha così tutte le carte in regola per mantenere saldo il timone della propria crescita anche nel 2013.


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Le verità nascoste di Francesco Condoluci

Il marketing ci vende il cibo biologico come “naturale, sano, genuino, controllato e sostenibile”. Ma gli studi scientifici, le inchieste e le analisi sui punti deboli del sistema ci dicono invece che non è sempre così. Specie da quando la GDO l’ha trasformato in un business

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Più sano, più genuino, più ecosostenibile, più affidabile. Laddove per “sano” si intende più ricco di nutrienti (antiossidanti, polifenoli, vitamina C, minerali), per “genuino” coltivato senza il ricorso alla chimica, “ecosostenibile” perché prodotto con impatto zero sull’ambiente e “affidabile” perché certificato da organismi di controllo lungo tutta la filiera. I quattro punti di forza degli alimenti provenienti da agricoltura biologica – per definizione – sono questi, o queste almeno sono le caratteristiche che vengono “vendute” ai consumatori. I quali infatti, nei sondaggi, sostengono di preferire i prodotti bio perché li considerano «più sicuri, più salutari, più rispettosi del pianeta». Ma è davvero così? Da un’analisi un po’ più approfondita emerge che il quadro, in realtà, è un po’ diverso e che tutte le valutazioni del caso andrebbero fatte ex post, facendo astrazione dai luoghi comuni

e dalle semplificazioni commerciali e tenendo conto invece di una serie di variabili.

Più sano? Dipende dai punti di vista... Il primo punto controverso è quello legato ai presunti valori nutrizionali superiori dei cibi bio: sull’argomento, nella comunità scientifica internazionale, da anni è in corso un dibattito. E per quanti studi accademici di provata autorevolezza sostengano che gli alimenti biologici contengano proteine e vitamine in quantità superiore a quelli convenzionali, ve sono altrettanti che invece ribadiscono l’assenza di elementi scientifici certi a suffragio di questa tesi (“Nutrition-related health effects of organic foods: a systematic review”, The American Journal of Clinical Nutrition, 2010) e mettono in evidenza piuttosto come (alla stessa stregua del gusto) le qualità nutrizionali di frutta o ver-


dura dipendono da fattori mutevoli quali clima, territorio, varietà e freschezza e non, sic et simpliciter, dal metodo di coltivazione utilizzato.

Più genuino? Chiediamolo ai NAC Va da sé che contrassegnare, in termini assoluti, il cibo bio come “più sano” , appare un’argomentazione quanto meno opinabile. Molto più fondato invece, l’assunto sulla “genuinità” del biologico. Anche se, pure qui, è doveroso fare dei distinguo. Fermo restando che la filosofia bio bandisce tutti quegli antiparassitari e pesticidi (così come additivi e conservanti) di origine chimica che possono provocare danni alla salute e all’ambiente, non bisogna illudersi tuttavia che la normativa, seppur stringente, possa mettere al riparo l’intera produzione presente sul mercato dal rischio-residui chimici. A parte il paradosso del rotenone (l’insetticida vegetale usato per anni dalle aziende biologiche, che alla fine si è rivelato tossico ed è stato messo fuorilegge), sulla “genuinità” del bio pende costantemente la spada di Damocle delle contraffazioni. Le truffe scoperchiate, in quest’ambito, dai Nuclei Antifrodi dei Carabinieri (NAC), sono decine. «Nel biennio 2011-2012 abbiamo portato a termine, assieme all’Agenzia delle Dogane, un’azione di respingimento di oltre 3 mila tonnellate di grano tenero falso “biologico” di provenienza straniera – spiega il colonnello Maurizio Delli Santi, comandante dei NAC del Comando Politiche Agricole e Alimentari – la progressiva crescita del settore e le forti aspettative del consumatore sui livelli di affidabilità delle certificazioni, ci hanno indotto a intensificare i controlli sulla filiera che hanno portato a bloccare alcuni prodotti importati dall’estero e a operare anche diversi sequestri di prodotti nazionali». Sul piano delle frodi di casa nostra, al Sud, dove (malgrado la domanda sia praticamente inesistente) tra Sicilia e Calabria si concentra il maggior numero di aziende biologiche di ortofrutta, non di rado succede - come raccontano i NAC - che «i coltivatori dichiarino di produrre grossi quantitativi di ortaggi su terreni che in realtà hanno una capacità produttiva minore: i restanti kg di pro-

La resa limitata delle colture biologiche impone alla grande industria di importare i prodotti per venderli su larga scala

dotto vengono fatti arrivare dai campi ad agricoltura convenzionale, coltivati con l’utilizzo di pesticidi e senza alcuna garanzia bio».

Sostenibile? Sì, ma solo se è a km zero

Per saperne di più: http://ajcn.nutrition.org www.inran.it www.efsa.europa.eu

Veniamo quindi al problema della sostenibilità ambientale, perché prima di asserire frettolosamente che “biologico vuol dire (sempre e comunque) locale ed ecosostenibile” è bene esaminare alcuni fattori. Le restrizioni normative sul biologico, disciplinate dal Regolamento CE 834/2007 e a livello italiano dal Dm 220/95, se da un lato impongono ai produttori di rispettare terra, piante e animali, non usare Ogm e prodotti chimici, utilizzare risorse locali, favorire la biodiversità ed evitare le colture intensive, dall’altro sono molto più blande rispetto alle modalità di commercializzazione e distribuzione. Negli anni ’90 il boom dei consumi e delle produzioni biologiche (solo in Italia le aziende, da 4 mila sono diventate 40 mila) ha innescato ovviamente l’interesse della Grande Distribuzione Organizzata, portando diverse multinazionali a investire nel febbraio 2013

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settore. La resa limitata delle colture biologiche (30% in meno rispetto a quelli convenzionali) ha imposto però alla grande industria alimentare di importare i prodotti per poterli vendere su larga scala. In Italia, ad esempio, il latte biologico che si trova nei supermercati arriva in gran parte dalla Germania. Si può dunque definire “ecosostenibile” un latte che, prima di arrivare in tavola, percorre miBiologico significa anche “prodotto gliaia di km via gomma o via aerea, con dispendio di carburancon risorse locali e ad impatto te e rilascio di agenti inquinanti zero sull’ambiente”. nell’ambiente? Ma non solo: negli Usa diverse inchieste hanno Ha senso allora comprare dimostrato che la GDO, pur di rifornire di ortaggi bio i negozi, in Italia un latte bio che arriva non si fa scrupolo a importare dalla Germania percorrendo il prodotto da Paesi lontani migliaia di km e da coltivatori che migliaia di km? non rispettano i principi-cardine del biologico. In soldoni: nel momento in cui il bio diventa un business di larga scala la sua sostenibilità finisce per essere inevitabilmente compromessa.

E chi controlla il controllore?

Fino al 10 aprile 2013 tutti i cittadini UE possono partecipare alla Consultazione sul riesame della politica europea in materia di agricoltura biologica. Per saperne di più: www.sinab.it 40

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L’ultimo elemento – in realtà l’aspetto fondamentale che coinvolge trasversalmente tutti gli altri – su cui val la pena soffermarsi è la certificazione. Il sistema di controllo cioè che qualifica l’alimento bio come “affidabile” perché prodotto secondo normativa, autorizzando il produttore ad usare l’etichetta con il logo europeo, una foglia stilizzata composta da 12 stelle su fondo verde, che contraddistingue il cibo bio. Etichetta che, tracciando tutta la filiera, è l’unica davvero “trasparente” . In Italia è il Ministero delle Politiche Agricole a sovrintendere al sistema e ad autorizzare gli organismi di controllo, ovvero le società private accreditate presso l’apposito ente Accredia.Nel 2000 questi organismi certificatori erano 9: oggi sono 13 e lavorano sotto la supervisione delle Regioni e a stretto contatto con l’Ispettorato di tutela qualità e repressione frodi e i NAC. Il loro compito è verificare la rispondenza delle produzioni ai regolamenti del biologico e va-

lutare le richieste di conversione delle aziende convenzionali. Il punto debole del sistema è che sono i produttori, a mezzo quota annuale e percentuale sul venduto, a pagare questi enti privati. Con conseguente ricarico di costo sui prodotti in vendita (il bio in media costa il 15% in più, anche per questo) e con tutte le perplessità del caso su un meccanismo in cui il controllato paga il controllore e i controlli non vengono sempre eseguiti con ispezioni in loco, ma solo sulla carta. Bios è uno degli enti certificatori italiani che adotta i protocolli più severi, con più visite ispettive alle aziende (la legge ne impone almeno una all’anno), ma il suo presidente Vittorino Crivelli ammette: «Mantenere questa rigidità è sempre più difficile. Per garantire i consumatori ci avvaliamo di tecnici specializzati che vigilano sulle aziende bio, mediante visite e relazioni. Ma ciò comporta costi più alti per le aziende clienti. C’è chi pratica prezzi inferiori ai nostri sul mercato, ma è difficile credere che possa operare col nostro stesso rigore». I controlli restano dunque il vero nodo gordiano. A maggior ragione da quando il mercato è esploso e la grande industria ci ha messo le mani sopra. Mandando in soffitta la filosofia bio con tutti i suoi buoni propositi.

Agricoltura biologica

Agricoltura convenzionale

valori nutrizionali

resa produttiva

costi sul mercato

impatto sull’ambiente

trasparenza e tracciabilità Tabella comparativa dei parametri agricoli più importanti


FederBio: «Troppi enti certificatori, necessaria una riforma dall’UE»

Dal 1992 (anche se allora, e fino al 2005, si chiamava Fiao) FederBio è il punto di riferimento del mondo biologico italiano: una federazione unitaria di organizzazioni operanti in tutta la filiera nata per rappresentare il comparto e diffondere la conoscenza dell’agricoltura biologica, che oggi raggruppa la quasi totalità della rappresentanza nazionale nel settore, tra aziende di produzione, trasformazione, distribuzione e certificazione. Con il suo presidente, Paolo Carnemolla, abbiamo provato ad analizzare potenzialità e criticità del bio italiano. Presidente, com’è cambiato il settore in Italia negli ultimi 20 anni? È cresciuto, si è strutturato ed è diventato competitivo. Molte delle realtà del biologico italiano sono nate negli anni ’80 e ’90 e oggi, a fianco delle più importanti realtà dell’agroalimentare che hanno sviluppato linee di prodotto bio, sono aziende protagoniste nel mercato di riferimento. In termini di produzione abbiamo assistito a un “affinamento” delle competenze sino ad avere oggi, in gran parte dei casi, imprenditori agricoli giovani, innovativi e preparati. Veniamo ai nodi spinosi: gli enti certificatori in Italia sono tanti e le procedure non sempre così chiare. Come fa il consumatore a fidarsi? Gli organismi autorizzati sono certamente troppi rispetto alle reali necessità. L’esigenza di standardizzare i comportamenti, ridurre i costi e fare investimenti per innovare gli strumenti di lavoro e migliorare la qualità professionale del personale ispettivo richiede sicuramente una razionalizzazione del sistema, puntando a unificare i servizi e ridurre il numero degli organismi. FederBio da ottobre ha attivato un gruppo di lavoro per mettere a punto proposte e progetti in questa direzione. Il sistema di certificazione in Italia è sotto la responsabilità e il coordinamento del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali che è anche l’Autorità di riferimento a livello europeo. Le Regioni ricevono le notifiche dagli operatori, gestiscono gli elenchi degli stessi ed esercitano l’attività di sorveglianza sugli organismi di certificazione e sulle imprese nel loro territorio. Inoltre gli organismi di certificazione devono essere accreditati e vigilati da Accredia, l’ente unico nazionale

di accreditamento per gli organismi di certificazione di tutti i settori e dei laboratori di prova. C’è molto da fare per migliorare il coordinamento di queste attività, tuttavia il sistema è certamente presidiato. Non va dimenticato infine che gli operatori sono sottoposti ai controlli di Carabinieri, Corpo Forestale, Ispettorato Repressione Frodi e di tutte le altre autorità preposte alla sicurezza alimentare: i controlli sono assai più rilevanti che negli altri settore dell’agroalimentare nazionale. La tracciabilità in etichetta può garantire davvero acquisti “sicuri”? È senza dubbio uno strumento che aiuta il consumatore a comprendere il percorso che il prodotto compie dal campo alla tavola. In etichetta è possibile trovare i codici identificativi dell’organismo di certificazione e dell’operatore, oltre che l’indicazione sulla provenienza degli ingredienti. Diversi studiosi, in Gran Bretagna e Usa, sostengono che in realtà il cibo biologico non ha valori nutrizionali aggiuntivi rispetto a quello convenzionale e che l’unico aspetto significativo è l’impatto zero sull’ambiente. Soltanto questo può giustificare gli alti costi del bio sul mercato? Vorrei ricordare che i risultati degli studi di 9 progetti di ricerca finanziati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che hanno coinvolto il Cnr e il Cra e alcune importanti Università italiane, mettono in luce che il cibo biologico è più salutare del convenzionale sotto diversi aspetti. I pomodori biologici freschi e trasformati, rispetto a quelli convenzionali, sono più ricchi di antiossidanti e polifenoli, i micronutrienti di cui è stato ampiamente provato il legame con la prevenzione del cancro, delle malattie cardiovascolari e cronico-degenerative in genere (studio Biopomnutri); i cereali biologici non contengono più micotossine di quelli convenzionali e, pur non avvalendosi di fungicidi (meglio noti come anticrittogamici), sono meno esposti a contaminazioni fungine grazie al ricorso alle buone pratiche agronomiche, in particolare alla rotazione colturale (studio Psnb-Cer). Biologico significa inoltre assenza di Ogm, fertilizzanti e diserbanti chimici di sintesi, insetticidi e anticrittogamici; significa rotazione delle colture

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Il decalogo per il consumatore 1) Ricorda che l’etichetta è la Carta d’Identità degli alimenti 2) Le etichette più corte garantiscono le migliori condizioni di conoscenza di un prodotto: trasparenza del marchio, processo produttivo, luogo di produzione e caratteristiche del prodotto 3) Per i prodotti importati dall’estero: l’etichetta deve essere in italiano e deve esser e ben individuato l’importatore o lo stabilimento di lavorazione 4) Per i prodotti senza etichetta il venditore è comunque tenuto a esporre indicazioni sulla provenienza 5) Fondamentale è il controllo della data di scadenza, delle indicazioni sulla modalità di conservazione e del termine di consumo 6) Per orientarti sulla genuinità dei prodotti puoi avvalerti del sistema dei marchi di qualità previsti dall’UE (Dop, Igp, Stg e Biologico). Gli alimenti geneticamente modificati sono riconoscibili per l’indicazione in etichetta o tra gli ingredienti 7) Accertati che le confezioni o gli imballaggi siano integri 8) Sii sempre cauto negli acquisti online e nelle vendite porta-a-porta 9) Diffida dei luoghi di vendita che non appaiono salubri e sono trascurati nell’ordine e nella pulizia 10) Non dimenticare le norme generali di igiene per la sicurezza alimentare della famiglia

Ministero delle Politiche Alimentari e Forestali Nucleo Antifrodi dei Carabinieri

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Paolo Carnemolla (FederBio)

e salvaguardia dell’ambiente, nonché allevamento animale con alimentazione da pascolo e foraggi biologici e senza uso preventivo di antibiotici. Nella fase di trasformazione dei prodotti significa infine evitare coloranti, conservanti e altri additivi. A tutto vantaggio della salute.

produttori e quelli che paga in negozio il consumatore. La crescita della domanda, la specializzazione e l’ottimizzazione delle produzioni e dei processi ha permesso negli ultimi anni di abbassare i prezzi, rendendoli in molti casi anche competitivi. C’è ancora da lavorare per ridurre i margini eccessivi di intermediazione e delle fasi logistiche e commerciali, ma attraverso i gruppi di acquisto, i mercati contadini e la vendita diretta è comunque possibile comprare prodotti bio di qualità a prezzi convenienti.

È innegabile tuttavia che l’agricoltura senza la chimica implica costi altissimi di produzione. Il rischio non è che in futuro i ricchi mangeranno cibo sano e i poveri saranno costretti a nutrirsi di Ogm? Quali sono le carenze legislative in mateNon sempre il metodo di produzione biologiria di biologico? co comporta costi così elevati, e soprattutto Da diverse legislature giace in Parlamento una nel prezzo dei prodotti dell’agricoltura indunuova normativa nazionale che contiene la ristriale non vengono conteggiati i costi dell’informa del sistema di certificazione nazionale quinamento dell’acqua e dei terreni, della perdi settore e una serie di disposizioni utili per dita di biodiversità, che vengono scaricati sul rafforzarlo e favorirne lo sviluppo. Nonostanbilancio dello Stato. In un momento in cui è te vi sia da sempre pieno accordo fra tutte necessario ridurre la spesa pubblica, la conle forze politiche e sia stato svolto un lavoro versione al biologico dell’agricoltura potrebnotevole anche in sede be quindi comportare di audizioni ed emenrisparmi anche signifiDa diverse legislature damenti, anche questa cativi per i cittadini. Inolgiace in Parlamento legislatura si chiude con tre spesso i prezzi degli un nulla di fatto. Tornealimenti dell’agricoltura una nuova normativa remo alla carica in quella industriale sono troppo nazionale per che inizierà a breve, spebassi per poter garantila riforma del sistema rando che in Parlamenre una effettiva sicurezto arrivi finalmente una za e qualità, così come di certificazione nuova classe politica più anche nel biologico c’è con disposizioni atte attenta alle reali esigenuna notevole differenza a rafforzare il settore ze del nostro settore. fra i prezzi riconosciuti ai


NuernbergMesse/Frank Boxler

l’associazione dell’economia alimentare ecologica, nel 2011 il fatturato del mercato biologico tedesco è ammontato a ben 6,6 miliardi di euro, un contributo significativo che ha completato il già fiorente quadro macroeconomico teutonico. Qui l’utilizzo dei prodotti naturali (e non solo in cucina) aumenta costantemente, al punto da non riuscirne a soddisfare autonomamente la domanda. D’altronde lo stesso Löwenstein, presidente dell’associazione dell’economia alimentare ecologica, sempre in occasione di Biofach 2012, aveva riconosciuto il problema e affermato che «la Germania ha bisogno di 10 mila aziende biologiche». Questo vuol dire che un milione di ettari di terreno biologico – ovvero il 6% della superficie agricola coltivata – e oltre 22 mila aziende non bastano più. Nonostante il primato europeo, quindi, la Germania sente il bisogno di ricorrere alle importazioni.A tal proposito l’Italia gioca un ruolo importante: nel mercato tedesco il Belpaese è al secondo posto per l’esportazione di frutta fresca e al terzo per gli ortaggi. Tuttavia il grande scandalo alimentare che ha colpito l’export italiano in questo setScoperta nel 2011 una truffa tore non è certo passato inosservato ai danni dei mercati europei: Oltralpe. Nel dicembre del 2011 la 70 mila tonnellate di prodotti Guardia di Finanza italiana ha infatti fatti passare per bio made in Italy smascherato una banda di truffatori che è riuscita a commercializzare in ma in realtà falsificati. La notizia diversi Paesi europei, tra cui anche la ha suscitato scandalo e sfiducia Germania, ben 70 mila tonnellate ovunque. Meno che in Italia, di prodotti fatti passare per bio madove è passata sotto silenzio de in Italy (farina, frutta secca e soia) ma in realtà falsificati. La truffa ha avuto immediatamente una grande risonanPrezzi prodotti bio za mediatica (anche se da noi la notizia è passata quasi sotto silenzio) e ha diffuso un clima di sfidu Germania Italia cia nei confronti del sistema italiano dei control10 uova: 2,50 e 3,50 e li, facendo ipotizzare un possibile ruolo dei clan 1 l di latte: 1,20 e 1,60 e malavitosi nella vicenda. Ma per capire se questo 1 kg abbia potuto causare un calo delle importazioni di farina: 1,40 e 1,20 e di prodotti biologici italiani nel corso del 2012, si 125 g attendono i dati statistici della Biofach 2013. di caffè 2,45 e 3,00 e

Bio alla tedesca: stile di vita da imitare di Benedetta Raso Non è un caso che la Biofach, la più grande fiera a livello mondiale dedicata ai prodotti biologici, abbia luogo ogni anno a Norimberga, in Germania: in quale altra terra, se non in quella teutonica, riflettere sull’importanza e sul ruolo che oggigiorno gioca l’alimentazione biologica? Da diversi anni ormai la Germania figura infatti tra le nazioni dominanti in questo settore. Non che siano finiti i tempi di würstel, crauti e patate, ma è un dato certo che, fin dalla metà degli anni ’80, in Germania si sono sviluppati a vista d’occhio supermercati, locali e fastfood biologici. E si tratta di una tendenza in continua crescita. In vista della 24sima edizione della Biofach (13-16 febbraio), la Germania si prepara a stilare le statistiche relative al proprio mercato biologico nel 2012. In realtà, già dando uno sguardo al 2011 i numeri davano segnali piuttosto positivi: in Europa e negli Stati Uniti si è registrata una crescita del settore biologico tra il 5 e il 10%. La Germania, come anche l’Italia, ha raggiunto la percentuale del 9%: secondo il Bund Ökologischer Lebensmittelwirtschaft,

200 ml succo carota

Per saperne di più: 0,95 e

2,07 e

www.biofach.de/en febbraio 2013

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storie dall’Italia che merita

Un’oasi verde in mezzo alla Brianza Un’enclave di accoglienza votata alla (bio)diversità. Qui convivono il bosco, con i suoi uccelli e le orchidee, un gruppo di famiglie in fuga dalla città, un’azienda agricola i cui prodotti arrivano diretti sulla tavola della bio-osteria. E ancora un negozio, stanze aperte agli ospiti e prossimamente un centro benessere. Il tutto alimentato con energia sostenibile. È Galbusera Bianca, il sogno divenuto realtà dell’ex fotografo di moda Gaetano Besana Si trova a 40 chilometri da Milano, la metà da Lecco, Galbusera Bianca. Sta alta sulle colline, discosta dal traffico neanche troppo confuso e disordinato della strada che attraversa la Brianza. Qui i terrazzamenti (i ronchi) sono stati intensamente e faticosamente coltivati fino agli anni Cinquanta con vigneti, ortaggi e anche cereali. Le profonde trasformazioni economiche hanno portato al loro abbandono quasi totale, come è stato anche per gli antichi nuclei rurali delle Cascine Galbusera Bianca e Galbusera Nera. Il bosco ha così avviato la riconquista dei terreni abbandonati e il territorio suddiviso fra prati residui (i prati magri, seminaturali che insistono su

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terreni calcarei), incolti e spazi arbustivi, è diventato ideale rifugio per alcune specie di uccelli e luogo perfetto per la crescita di orchidee. In questo contesto è rinato un pugno di case come nucleo agricolo nel cuore del Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone poco meno di vent’anni fa, per passione e un briciolo d’incoscienza da parte di Gaetano Besana, innamoratosi di questi pendii. E di una vita rurale che gli pareva forse lontana come il mondo delle fate quando stava sotto i riflettori a scattare fotografie nelle passerelle di moda. Oggi che Gaetano Besana ha realizzato il suo sogno di ristrutturare il borgo secondo i criteri della ecosostenibilità e della bioarchitettura,


Nelle stanze del benessere

In apertura, una panoramica sulla vallata che accoglie Galbusera Bianca. In questa pagina, dall’alto: Gaetano Besana indaffarato nei lavori dell’orto bio (sotto), e la Stanza dei libri, zona comune di incontro e relax

Galbusera Bianca è sostenibile anche per essere un esempio di contenimento energetico. Sonde inserite nel profondo della terra generano energia elettrica necessaria per fornire acqua calda e riscaldare gli ambienti. Poche settimane fa, dopo una laboriosa ristrutturazione, si sono aperte agli ospiti le camere. Ciascuna diversa dall’altra e arredate con originalissimi suppellettili e materiali provenienti dalle soffitte o reperiti nelle demolizioni di vetusti edifici. Non c’è che prendere atto e condividere la coerenza di Gaetano Besana, che considera il riciclo un altro trave portante del suo borgo, della sua filosofia. Cosa ci vuole un armadio per proteggere e separare dalla vista di chiunque biancheria e indumenti? Un sacco di juta è più che sufficiente all’uopo! O il fantasioso utilizzo di gerle a mo’ di seggiole nella Stanza del fieno, dove i materassi sono in fieno vero. Geniale il posizionamento delle vecchie valigie a dire che siamo nella Stanza del viaggiatore; altrettanto curiose carriole e cassette per la frutta di legno nelle Stanze del giardiniere: sostegni sempre utili nelle camere che ci accolgono. Originali anche le pitture ai muri, eseguite con tinture biologiche e naturali dal team di Galbusera Bianca. Silenzio e serenità per volersi bene, in attesa che il centro benessere, scavato nel ventre della terra da cui riceve energia, possa coccolare i clienti che, ci scommettiamo, non tarderanno a scoprire quest’oasi di pace.

L’azienda agricola, che si estende su 20 ettari, è una vera riserva di biodiversità con le sue oltre 100 varietà di mele, 60 di pere, 40 di susine e altrettante di fichi Galbusera Bianca è diventata un’oasi di accoglienza innovativa nel panorama nazionale. Parte degli immobili hanno destinazione privata: mezza dozzina di famiglie in fuga dalla città hanno trovato qui spazi verdi e aria buona per far crescere i figli. L’azienda agricola è a conduzione biologica per espresso volere del proprietario («Le aziende agricole convenzionali commettono un palese danno all’agricoltura e alla società», dice), si estende su 20 ettari e rappresenta anche una riserva della biodiversità con oltre un centinaio di varietà di mele, 60 di pere, 40 di susine e altrettante di fichi: un’arca di Noè che arriva dalla terra alla tavola della bio-osteria. Zuppe, minestre, timballi, tutto in perfetta armonia con la natura e la cucina quasi totalmente vegetariana è profumata ed energetica al punto giusto. Noi siamo ciò che mangiamo enuncia il motto del punto ristoro, confermando il rapporto ritrovato con la terra che nutre. Anzi, che ha sapore. Gaetano Besana ne è convinto: «I prodotti biologici li riconosci dal sapore». Confermiamo ad esempio per i succhi di frutta, nettari, sostanza nutriente, estetici ed estatici. E anche per i sorbetti di albicocca e menta, carota e melissa, fichi e vaniglia, miele e zenzero, sedano, uva. Disponibili non solo nell’osteria, ma anche nell’ordinato negozio dove si possono reperire prodotti alimentari biologici di altre aziende agricole, dal vino alla pasta al riso.

dove&come Oasi di Biodiversità di Galbusera Bianca Via Galbusera Bianca, 2 - Rovagnate (Lc) Tel. 039.570351 - www.galbuserabianca.com

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personaggi

Gudrun Dalla Via

Gli alimenti da coltivazione biologica possono essere considerati prodotto di nicchia? Se in momenti difficili per l’economia, l’agricoltura italiana regge, quella con impronta biologica continua addirittura a espandersi, con notevoli aumenti di fatturato. Se a volte si levano voci di critica, queste sono verosimilmente dovute al fatto che ormai da qualche anno il bio è diventato un serio concorrente per l’agricoltura convenzionale. L’Italia è al primo posto in Europa come produttore di alimenti biologici. Nei consumi invece siamo, secondo il momento, tra il quarto e il sesto posto. A quanto pare, il consumatore italiano è per ora meno attento al bio rispetto ai vicini di Oltralpe. Del resto, la scelta di prodotti da noi è meno vasta rispetto ai supermercati e negozi specializzati di altre nazioni.

"Difendere la natura difendere il futuro" di Roberto Rabachino

Nota da tempo al pubblico italiano e internazionale per i suoi scritti, le sue docenze e i seminari in materia di salute e benessere, ha seguito il biologico italiano sin dai primi passi ed è stata presidente di A.S.A. Associazione Stampa Agroalimentare Italiana per dieci anni (ora Presidente Onorario). Cosa significa per lei bio? Una garanzia per le prossime generazioni

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Chi sceglie il bio? E per quali motivi? Il motivo più spesso indicato da parte dei consumatori abituali è “voglio alimenti più ‘puliti’, senza residui di concimi chimici, erbicidi, pesticidi”. Subito dopo: “questi prodotti sono più nutrienti, più ricchi soprattutto di vitamine, sali minerali, oligoelementi”. Dunque, piuttosto che assumere degli integratori, perché non puntare su alimenti che ne sono ricchi per natura? Alimenti utili quindi soprattutto per bambini piccoli e per persone anziane o ammalate. Infatti, asili, scuole e ospedali sono tra i grandi clienti del settore. La crescita più forte, negli acquisti di alimenti provenienti da coltivazioni biologiche controllate, si registra comunque nelle famiglie. Sono spesso i nuclei familiari con figli giovani che cercano di far loro avere un’alimentazione bio, totalmente o almeno in buona parte, sin dalla prima infanzia. Infatti esiste un buon numero di “pappe bio” adatte per lo svezzamento, e poi succhi, yogurt e creme molto apprezzati dai più piccoli. È sorprendente come una siffatta alimentazione riesca a formare i gusti; molte mamme riferiscono che i loro rampolli riescono a distinguere con fa-


cilità tra un frutto bio e uno convenzionale, e che rifiutano il secondo. Il biologico è un must per coloro che preferiscono i cereali integrali a quelli raffinati. I residui non desiderabili della coltivazione convenzionale infatti si trovano maggiormente nella parte più esterna dei semi, quindi riso, frumento (per pane, pasta etc.), orzo, segale, miglio... Pertanto, che si scelga l’integrale per motivi dietetici o salutistici in generale, dovrebbe provenire da coltivazione biologica! Un’altra forte motivazione, che spinge soprattutto adulti con un livello culturale elevato all’acquisto del bio, è la consapevolezza che questo tipo di agricoltura (e altri, affini) è il modo per restituire la fertilità al terreno, salvaguardarlo dall’erosione e limitare di conseguenza i potenziali danni da siccità o alluvioni. In ultima analisi, a garantire il cibo per le generazioni future. C’è ancora chi considera il biologico un mercato riservato a piccoli produttori. C’è spazio anche per le grandi aziende? C’è, eccome! Le aziende con territori estesi, oppure le cooperative tra produttori bio, hanno il grande vantaggio di poter mantenere maggiore distanza da potenziali fonti di inquinamento (industriale, urbano, agricolo, stradale) o di contaminazione (come gli OGM, organismi geneticamente modificati). Anche per una grande azienda agricola è assolutamente possibile osservare le regole del biologico, tra le quali: no a monocolture estese ma alternanza/vicinanza tra diversi tipi di piante; sì invece all'uso di fertilizzanti di origine naturale (minerale, vegetale o animale, compostata), favorendo i nemici naturali degli insetti nocivi; rotazione delle colture (per permettere la rigenerazione naturale del terreno) e sovescio (coprire il terreno con materiale vegetale per ridurre lo spreco d’acqua e l’erosione del terreno, favorendo nel contempo la fertilità). Per grandi aziende o consorzi/cooperative è anche

più facile raggiungere la GDO o comunque l’utente finale, economizzando la distribuzione (e quindi riducendo i prezzi). Biologico è solo cibo? All’inizio l’agricoltura biologica per uso commerciale si è concentrata sulla produzione di cereali e leguminose (ideale alternanza di rotazione colturale); poi si è estesa alla produzione di ortaggi, anche in serre molto grandi, ai frutteti, ai vigneti. La zootecnia, con produzione di carne e latticini è venuta dopo, e l’itticoltura è ancora ai primi timidi passi. E oggi un numero crescente di consumatori si chiede ad esempio come è stato coltivato e trattato il cotone che costituisce la materia prima di gran parte dell’abbigliamento. Ed ecco che il mercato risponde con prodotti biologici certificati anche per le fibre vegetali come cotone e canapa.

Sono soprattutto le famiglie con figli piccoli a scegliere bio. Sembra che i bambini così educati sappiano riconoscere dal gusto le origini biologiche di un frutto rifiutando tutti gli altri

Dall'agricoltura alla zootecnia all'abbigliamento il passo è breve: l'interesse per le origini di fibre vegetali come canapa e cotone (sotto) è la nuova frontiera degli appassionati di bio

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consumi&tendenze

Un altro happy hour è possibile di Gilda Ciaruffoli

Spendere poco per mangiare a volontà. Detta così sembra davvero la regola d’oro della cena fuori in tempo di crisi. Ma l’aperitivo “alla milanese” è soltanto questo? E come la mettiamo con la qualità dell’offerta gastronomica, oggi sotto il fuoco incrociato di esperti, giornalisti e nostalgici?

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“Si bevono un paio di bicchieri di qualcosa (spesso qualcosa di non eccelso); si mangiano porcherie (spesso porcherie); si parla poco, si dicono cose smozzicate tra una gita e l’altra al buffet di cibi rifritti; ci si lascia dopo poco, con la pancia malamente piena e la sensazione di non aver fatto niente”. Lo scriveva Maria Laura Rodotà lo scorso agosto nel pezzo Il rito dell’happy hour che non diverte (corriere. it). Le faceva eco IL Magazine, del Sole 24 ore, quando a ottobre, con il pezzo Unhappy hour, sosteneva “L’aperitivo è diventato oggi la Cari-


tas dei ricchi, la mensa della classe media” (ilsole24ore.com). E potremmo andare avanti con le citazioni. Negli ultimi tempi infatti il “rito” delle 19 (o giù di lì) è stato attaccato su più fronti. Questo significa anche, però, che stiamo parlando di un fenomeno decisamente al centro dell’attenzione.

Buffet vs Crisi?

Per i locali milanesi l’apericena fa la parte del leone sia dal punto di vista della spesa che da quello delle entrate

C’è da chiarire prima di tutto che quello di cui parliamo è l’aperitivo “alla milanese”. Non del Campari o del Prosecco con patatine e olive, ma di quell’happy hour – che dell’originale “pago 1 e bevo 2” anglosassone riprende solo il nome – durante il quale, per tradizione ormai ventennale nella città lombarda, si paga la consumazione, spesso a prezzo fisso, e si può mangiare servendosi da un (più o meno) ricco buffet. Molti lo chiamano apericena. Non ci sono dati ufficiali in merito, ma per rendersi conto di quanto questa pratica sia diffusa nei locali di Milano non serve leggere le statistiche, basta farsi un giro in zona Navigli, alle Colonne di San Lorenzo, in Brera o all’Arco della Pace. Sul bancone di ogni locale, di qualsiasi dimensione o fattezza, dopo le 18 e 30 o giù di lì, troneggia un’infilata di piatti colmi di primi, secondi e contorni dai quali servirsi a volontà. I prezzi vanno in media dai 6 ai 10 euro a bevuta e, neanche a dirlo, i banconi sono sempre affollati. Effetto della crisi? Si ripiega sull’happy hour per risparmiare sulla cena? In effetti, in alcuni locali, con 5 euro bevi una birra media o un calice di vino e mangi finché non sei sazio. Ma è davvero possibile spiegare così il “fenomeno aperitivo”? Probabilmente per quello che riguarda il resto d’Italia, sì. Da Milano infatti, negli ultimi anni, questo rito è stato adottato da un buon numero di locali di tutto il paese. Ci spiega Annalisa del TeaTram (vedi box a pag. 52): «A Roma, ad esempio, l’aperitivo è molto diffuso, ma rispetto a Milano c’è un approccio un

po’ diverso soprattutto per quanto riguarda gli orari: noi possiamo parlare di “aperitivo” anche alle 10 di sera perché il romano medio non ha la cultura “dell’esco dal lavoro e vado a fare l’aperitivo”. Qui la regola è ancora tornare a casa, lavarsi, cambiarsi, portare fuori il cane e soltanto dopo uscire. I locali raramente si riempiono prima delle 21. Però posso dire che sì, i proprietari stanno cercando sempre più di invogliare il pubblico a spizzicare a buffet libero in sostituzione della cena, perché il difficile periodo economico ha svuotato anche i ristoranti, e questa è certamente una soluzione valida al perdere del tutto la clientela».

I piatti “ragionati” dell’aperitivo in Santeria, in attesa di essere serviti

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consumi&tendenze

La tartina assassina Non lasciatevi ingannare dal titolo: gli aperitivi organizzati da TeaTram sono di ottima qualità. A morire è solo uno dei protagonisti della performance teatrale che va in scena a bordo di un tram in movimento, e della quale il pubblico è chiamato a scoprire il colpevole bevendo un drink. Un’idea decisamente originale, in particolar modo per la location. Ci racconta Annalisa: «l’idea dello spettacolo con aperitivo è nata dalla volontà di far “gustare” letteralmente, a chi sceglie TeaTram, un’esperienza innovativa: si va a spasso per Roma senza fretta, si beve qualcosa, si chiacchiera e ci si gode uno spettacolo. Perché proprio l’aperitivo? Perché lo spazio della vettura è limitato e dobbiamo privilegiare quello dedicato alla messa in scena, quindi senza tavolini. Sarebbe molto complicato per noi servire cose più impegnative di un drink e uno spuntino». www.teatram.it

L’angolo bar della Santeria di via Paladini a Milano. Qui, durante l’happy hour, è spesso possibile assistere a mostre e concerti

Un’ape che non ti aspetti

E il punto è proprio questo. Perché mentre a Roma, come in buona parte della penisola, l’happy hour è stato importato recentemente come moda e certamente come escamotage per attirare clienti e invogliarli a spendere qualcosa (in più), a Milano “l’ape” è una consuetudine sociale. Lo dichiarano gli stessi gestori dei locali: «è vero, con il buffet si cena a un prezzo moderato, che se però ordini un secondo cocktail tanto moderato non è più – dichiara Marco Cosentino, direttore del Swami Cafè, noto locale in zona Porta Romana, che ci spiega – l’happy hour è piuttosto un modo facile e comodo per mangiare qualcosa in compagnia usciti dall’ufficio per poi tornare a casa e non doversi preoccupare della cena». Cosentino concorda con gli altri gestori di locali sentiti, unanimi nel sottolineare come il momento dell’aperitivo faccia la Uno sfizioso assaggio di “aperitivo col delitto” alla romana

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parte del leone sia dal punto di vista della spesa che da quello delle entrate, e che negli ultimi anni ci sia stato un lieve calo nell’affluenza, sia per la crisi sia per l’altissima concorrenza. Veniamo dunque a un punto caldo: la qualità dell’offerta gastronomica. Sì, perché con buona pace dei puristi dell’aperitivo, è un dato di fatto che oggi l’attenzione dell’avventore è principalmente puntata sul cibo. I locali che fanno happy hour, dunque, sono davvero “mense della classe media”? Il primo problema è quello del buffet: è vero, in molti casi è pessimo. La pasta è scotta, le tartine vecchie. Ma non è sempre così. «È una questione di catering – ci spiegano da La Ringhiera, locale dei Navigli molto in voga tra i più giovani – anni di esperienza però hanno portato i catering a migliorare la loro offerta e i gestori a scegliere il servizio migliore. A noi il cibo viene consegnato 3 ore prima dell’inizio dell’aperitivo, perfettamente sigillato e a norma». Molti sono poi i locali con cucina. Come il succitato Swami Cafè: «i nostri piatti vengono preparati al momento – spiega ancora Cosentino – portiamo in tavola specialità tipiche come risotti, pizzoccheri e polenta in inverno, e il menù cambia con le stagioni». Ma non è tutto. Sì, perché parlare solo di buffet è ormai riduttivo. Molti sono i locali che propongono formule diverse, puntando proprio sulla qualità del cibo. Un esempio è quello della Bottega di Via Mussi, in zona Paolo Sarpi. Con 10 euro si


Scelti per voi

La fila in attesa di ordinare il proprio piatto durante l’aperitivo a km zero di Un posto a Milano presso la Cascina Cuccagna

degustano in tranquillità una serie di portate impiattate al momento con i prodotti venduti nel negozio, originaria destinazione del locale. «Sono tutte specialità del Sud che arrivano fresche – ci spiega il titolare – e si possono gustare finché se ne è sazi». L’happy hour infatti finirebbe alle 22.30, ma capita spesso che le mozzarelle di bufala, le ricotte, i sott’oli, i salumi irpini… continuino a uscire finché c’è gente.

Il caso Santeria E se quella di Via Sarpi è già defilata rispetto alle zone classiche dell’happy hour milanese, ancora di più lo è Lambrate. È proprio qui però, in Via Paladini, che si trova un locale impossibile da non citare volendo parlare di tendenze a Milano, anche in tema di aperitivo. La Santeria è un posto anomalo (per il panorama italiano). «Nasce dall’idea di vivere più il giorno che la notte», ci racconta il fondatore,Andrea Pontiroli. «Chiudiamo alle 22, organizziamo matinée, all’ora dell’aperitivo c’è sempre un concerto, uno showcase, una mostra. È un’idea molto europea di locale e di vita». E le attività che si svolgono in Santeria, dove si trova anche una libreria davvero interessante, non finiscono certo qui. «L’aperitivo

però – prosegue Andrea – resta il nostro core business, il momento dal quale entrano la gran parte degli incassi». E il perché non è difficile da capire, soprattutto facendo quattro chiacchiere con Erika, chef di una cucina che in realtà resta aperta tutto il giorno. «Il mio desiderio è quello di portare l’ospite ad assaggiare sapori ai quali, soprattutto in città, non siamo più abituati. Lanciando così una sfida alle papille gustative». Niente buffet in Santeria, ma un servizio al tavolo completo: dalla cucina escono a sera dalle 8 alle 12 portate, preparate sul momento, con prodotti non solo di stagione, non solo a chilometro zero, bio o legati alla tradizione locale, ma scelti e cucinati seguendo il pensiero macrobiotico a seconda della temperatura e del clima della giornata. «Se è freddo aggiungo un po’ di zenzero – ci spiega Erika – alza le difese immunitarie, o il cavolo nero per combattere il raffreddore. Il menù è bilanciato (1/3 vegano, 1/3 vegetariano, 1/3 con carne) e da quando abbiamo aperto, un paio d’anni fa, non si è mai ripetuto uguale due volte». Ma tutto questo valore aggiunto viene apprezzato dai clienti? «Moltissimo, i piatti vengono spiegati al tavolo e se ci sono domande vado volentieri in sala a dare ai curiosi tutte le risposte, e le mie ricette». Bene, con evidente orgoglio da parte di Andrea ed Erika, la “formula Santeria” sta influenzando parecchio l’happy hour (e non solo) a Milano. Fossero davvero tutte così le “mense”, non sarebbe male. Vero?

Sono diversi a Milano i locali presso i quali gustare un aperitivo realizzato con materie prime di origine biologica o comunque a km zero, piatti elaborati con un’attenzione particolare al benessere in versione happy hour. Di seguito per voi qualche interessante indirizzo (i prezzi in media vanno dai 7 ai 10 euro, anche a seconda dalla bevanda scelta).

dove mangiare Capra e Cavoli Lo storico Circolo Sassetti, in zona Isola, da qualche anno ha cambiato nome senza modificare la sua atmosfera calda e accogliente. Del buffet vegetariano si fanno notare i risi, preparati con insoliti abbinamenti, e la panzanella. Con 30 euro si cena Via Sebenico, 16 – Milano www.circolosassetti.it Un posto a Milano All’interno di Cascina Cuccagna, bell’esempio di edilizia rurale nel centro di Milano con orto annesso. Lo chef Nicola Cavallaro sceglie solo ingredienti di filiera corta e propone i classici della cucina italiana. L’aperitivo si sceglie direttamente al bancone, e si paga solo per quello che si ordina. Per una cena invece il prezzo medio è di 35 euro Via Cuccagna, 2 – Milano www.unpostoamilano.it Corte Regina L’aperitivo biologico è proposto dal martedì al sabato nello spazio della splendida corte e terrazza del ristorante. Accompagnate da vini e spumanti bio vengono serviti al piatto gli assaggi delle specialità della cucina realizzate esclusivamente con prodotti da agricoltura biologica certificata. Viale Monza, 16 – Milano www.corteregina.com

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attenti a queste due

di Elisa Isoardi & Paola Gula

I viaggi del gusto di...

Carlo Verdone

Aveva poco meno di trent’anni quando diventò uno dei volti più noti della comicità italiana tanto che i suoi tormentoni divennero di uso comune: tutto era “Un sacco bello”. Carlo Verdone da sempre riesce a farci riflettere mentre ci fa ridere dei nostri difetti. Da allora ha accumulato bravura e esperienza, ma la “stoffa” è sempre quella: intelligente, spiritoso, ironico, colto e generoso. Tra le pagine de La casa sopra i portici, edito da Bompiani, ricorda la propria infanzia: le case, le famiglie e quei profumi che a ognuno di noi basta tornare a sentire per una frazione di secondo per essere catapultati indietro nel tempo.

Quali sono i tuoi ricordi olfattivi? Il profumo di sugo fatto con la conserva. Tornavo da scuola, salivo le scale ed era quella la prima sensazione che mi colpiva. Il martedì si mangiava pasta invece del minestrone. Era una festa. La scarpetta con la rosetta, era d’obbligo. È il tipico pane romano, ma non è più la rosetta di una volta, non ha gli stessi sapori. Il venerdì mangiavamo pesce e era la

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L’immagine è tratta dal documentario Carlo! di Fabio Ferzetti e Gianfranco Giagni, presentato allo scorso Festival di Roma e dedicato alla lunga carriera dell’attore e regista romano. Foto di Daniele Cruciani

serata della pizza con le alici. Mia mamma Rossana la cucinava con l’aiuto di una delle donne di casa che era napoletana: io assistevo all’impasto, alla lievitazione e ne ero talmente affascinato che verso i quindici anni ho preso la situazione in mano e il ruolo del pizzaiolo è stato affidato a me. Quando si mangiava carne, a tavola arrivava la cotoletta impanata, “bassissima”, qualche volta con una sottiletta. Non potrei più mangiarla. Una volta digerivamo tutto.

Parlando di cucina non si può non pensare al tuo connubio con la Sora Lella, sorella di Aldo Fabrizi e ristoratrice sull’Isola Tiberina… Era una verduraia di Campo dei Fiori. Ha recitato con me, faceva mia nonna in Bianco Rosso e Verdone e Acqua e Sapone. Un grandissimo personaggio e una grande cuoca. Sul set ci eravamo organizzati: non volevamo più i cestini del pranzo e cucinava lei. Tra Amatriciane e Carbonare ci siamo trovati di fronte a un problema, oltre al colesterolo alle stelle: il pomeriggio eravamo poco concentrati e ci dimenticavamo le battute. Quando i produttori se ne sono accorti l’hanno fatta smettere e siamo tornati ai nostri cestini.

Ti ha insegnato qualche ricetta?

Scusa? Tognazzi era un grande cuoco, ma gli piaceva sperimentare piatti nuovi in cui si adoperava con un estro culinario a volte un po’ esagerato. Si era inventato una cena che chiamava Rigettario a cui invitava degli amici ... i dodici apostoli. Il nostro compito era prima assaggiare e poi votare. Aveva fornito il suo personale metro valutativo: Grande Cagata, Cagata, Discreto, Buono, Ottimo. Alcuni erano piatti inverosimili come le “Ovaie di pernice in salsa di mirtillo”. Vi lascio immaginare il voto. Succedeva spesso, quindi a fine serata avevamo tutti fame e Tognazzi cucinava una Carbonara. Una volta ci trovammo nel piatto delle classiche cotolette impanate. Tanta semplicità ci stupì, ma a ogni nostra domanda rispondeva con “mangiate, mangiate”. La carne, però, era un po’ dolce. Troppo dolce. Quando nessuno dei dodici apostoli la finì, ci svelò l’arcano. Era una bistecca di balena. Anche quella serata si concluse con la Carbonara.

Non hai mai pensato di vestire i panni del cuoco? Mi manca, ma siccome sono goloso farei più volentieri il pasticcere. Adoro la tarte de fraise, la torta di mele francese e tutte le crostate.

La Parmigiana di melanzane. Non quella classica: ha un ingrediente segreto, un tipo di mentuccia che ne esalta i sapori. La Sora Lella era la regina delle frattaglie, delle interiora, ma quelle proprio non le mangio.

Che cosa ci sarà nel tuo futuro?

Bevi vino?

Una ricetta per il nostro Paese?

Sono astemio. Ho fatto diverse prove per capire se ci fosse qualche speranza: dalle bollicine, al rosso al bianco. Il risultato non cambia: mal di testa e sonnolenza. Non ce la faccio.

Siamo la Cenerentola d’Europa. Se dovessi esprimere un desiderio vorrei più possibilità per i ragazzi che non dovrebbero andare all’estero, ma fermarsi qui per aiutare l’Italia a crescere e crescere insieme a lei.

Oltre alla pizza che hai imparato a fare da ragazzino, cucini?

Una ricetta per te?

Ricette semplici e veloci. Il mio cavallo di battaglia è il ragù che mi ha insegnato mamma che era una vera donna di casa.

Ad aprile uscirà un film di Paolo Sorrentino con me e Toni Servillo. È una grande opera, un vero regalo che Sorrentino ha fatto all’Italia.

Dovrei piantarla di dire sì a tutti, perché alla fine non riesco ad avere tempo per me. Ti ringraziamo di non aver incominciato proprio oggi …

C’è qualche cibo che proprio non ti piace? Se mi vuoi vedere all’ospedale devi darmi un peperone.

Qual è il tuo ristorante preferito? Ultimamente sono stato a Firenze, da Coco Lezzone, una trattoria tipica. Fanno una carne strepitosa.

Cosa non ti piace nei ristoranti? Tutti questi bicchierini con salse e salsine, preferisco cibi semplici e tradizionali. A Madrid, in un ristorante hanno servito una carne di bue ottima, accompagnata da una salsa che doveva esaltarne i sapori. Appena l’ho assaggiata mi sono reso conto che era cioccolato... Terribile, non sono riuscito a mangiarla. A casa di Ugo Tognazzi l’avremmo valutata una Grande Cagata.

Dei ristoranti di oggi non mi piace la mania per salse, salsine e abbinamenti improbabili. Quelli che Ugo Tognazzi definirebbe “grandi cagate” febbraio 2013

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ospitalità italiana

di Gilda Ciaruffoli

Le notti bianche del Francesco È frequentato da politici, protagonisti dello spettacolo e dell’arte di tutto il mondo. Che si siedono ai tavoli di questo raffinato e accogliente ristorante di San Pietroburgo per gustare la più classica delle cucine italiane

In collaborazione con

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Ne avesse avuto l’opportunità, avrebbe cenato qui Igor Stravinsky, dopo aver casualmente incontrato il giovane evocato da Franco Battiato nella sua Prospettiva Nevski. La principale strada di San Pietroburgo, voluta da Pietro il Grande pensando agli Champs-Élysées nella città che fu la capitale zarista della Russia, dista infatti solo pochi minuti dalla via Suvorovsky, dove, al 47, si trova il ristorante Francesco. Aperto dal 2008, questo gioiello dall’eleganza tutta italiana sorge infatti nel cuore di quel centro storico patrimonio Unesco che ha visto sbocciare la rivoluzione d’Ottobre, a pochi passi dalla stazione Moskovskij e dalla Casa Bianca della città, sede di ministeri e del tribunale centrale. Linguine al 60° parallelo Il progetto del ristorante è nato dunque 5 anni fa da un’idea dei soci fondatori, la holding Ginza Project e il Gruppo Novicov. La scelta di chiamarlo Francesco la dice lunga sulla filosofia del locale, ma non solo. Francesco infatti è il nome più diffuso in Italia, e in una parola racchiude il manife-

sto d’intenti di questo ristorante: offrire all’ospite quanto di più rappresentativo e buono il nostro paese sa offrire. Ma Francesco (Barbato) è anche il nome del direttore di sala, approdato in Russia 10 anni fa da Gragnano, in provincia di Napoli. Italiano quindi, come lo chef, Giuseppe Priolo, siciliano, classe 1966, la nostra guida alla scoperta di questo locale la cui eccellenza è certificata dal marchio Ospitalità italiana – Ristoranti italiani nel mondo. «Quando mi hanno proposto di entrare a far parte del gruppo Ginza-Novicov Group per l’apertura di un ristorante Italiano a San Pietroburgo, ho sentito subito un’energia positiva. E posso dire che oggi, dopo oltre 4 anni di attività, l’entusiasmo e lo spirito sono esattamente gli stessi, come fosse il primo giorno», esordisce lo chef. «Gestisco la cucina come se il ristorante fosse il mio – prosegue – , con lo stesso amore e la stessa dedizione. Non abbiamo limite di spesa o di budget, e i nostri titolari pretendono da noi sempre il massimo in termini di qualità della proposta gastronomica». Visto da fuori questo


Zuppa di fave con pasta mista di Gragnano, ricotta di bufala e finocchietto Ingredienti per 2 persone: 1 l di brodo vegetale (in alternativa granulare) 240 gr di favette fresche prive di pelle 100 gr di pasta mista di Gragnano 30 gr di scalogno 40 gr di guanciale 80 gr di ricotta di bufala (diluita con un po’ di brodo vegetale e olio extravergine) 40 gr di ricotta affumicata 10 gr di finocchietto selvatico (in alternativa vanno anche bene pochissimi semi di finocchio) 40 ml di olio extravergine sale e pepe timo Procedimento: Fare appassire in una casseruola lo scalogno con il guanciale e l’olio extravergine d’oliva, aggiungere le favette precedentemente pulite e spellate, lasciare rosolare per qualche secondo, aggiungere il brodo, il finocchietto, il timo e un pizzico di sale. Quando il tutto è stato portato a ebollizione, aggiungere la pasta mista. Lasciare cucinare lentamente, avendo cura di girare di tanto in tanto. La cottura dovrebbe aggirarsi sui 16/18 minuti a secondo del marchio della pasta, regolare di sale e pepe e insaporire con l’olio. È possibile regolare a piacere la densità della zuppa con il brodo in avanzo. Versare sui piatti fondi, aggiungere la ricotta aiutandosi con un cucchiaio e ultimare il piatto con una grattugiata di ricotta affumicata, olio e un rametto di finocchietto.

potrebbe sembrare un problema tra le nevi russe. Invece no. «Reperire prodotti italiani di ottima qualità non è difficile, anche se San Pietroburgo soffre molto rispetto a Mosca. Comunque sono fiducioso, perché la città gode di un’ottima energia, e con la recente apertura di nuove strutture alberghiere di fama internazionale si è andato a stimolare moltissimo l’interesse di importatori di qualità». «Per il primo anno di apertura – prosegue ancora Giuseppe – abbiamo lavorato solo su prenotazione: San Pietroburgo è letteralmente affamata di ristoranti di qualità, e quelli italiani fanno la parte del leone. La strada da percorrere è stata quindi chiara fin da subito: la nostra era, ed è, una cucina semplice, quasi casalinga. Classica, italiana. Il menu è ricco e il più possibile stagionale. I piatti che vanno per la maggiore sono quelli a base di pesce, dalle linguine allo scoglio alla zuppa di pesce, alla sogliola alla mugnaia. E la selvaggina, come il sugo di coniglio, il ragù di anatra e la salsiccia di cinghiale al ragù con polentina al tartufo nero. Molto apprezzati sono anche i dolci, dall’immancabile cannolo al babà, dal semifreddo alle mandorle, alle torte di frutta e cioccolato». Come il suo menù, anche la clientela del Francesco si fa notare. A trascorre qui le celebri “notti bianche” (brevi e luminose dovute all’elevata latitudine) alle quali San Pietroburgo deve buona parte del suo fascino, infatti, sono facoltosi uomini russi, viveur internazionali, autorità politiche, dello spettacolo e della cultura italiani e non solo, che frequentano il Francesco anche in occasione delle serate speciali dedicate alle migliori aziende produttrici al mondo di cibo e vino o alla degustazione dei menù ideati dagli chef stellati spesso ospiti del ristorante.

«Quello con San Pietroburgo è stato amore a prima vista. La città è letteralmente affamata di ristoranti di qualità»

Per saperne di più: www.10q.it Scarica l’app 10Q Ricette italiane per Android, iPhone e iPad

Scelti per voi Di seguito, i locali che fanno parte del circuito Ospitalità italiana – Ristoranti italiani nel mondo a San Pietroburgo Francesco Suvorovskiy, 47 Tel. +7 (812) 275 05 52 www.restoran-francesco.ru/en Gusto Degtyarnaya, 1a Tel. +7 (812) 9411744 www.gusto-spb.ru Serafino Chernyshevsky, 5 Tel. +7 (812) 2752779 www.serafino.ru Lo chef Giuseppe Priolo

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i Golosetti

i Dolcetti all’Italiana


Cibo&Territorio Cibo&Territorio 64

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60 Il radicchio rosso

68 Cibi affumicati

Alla scoperta di questo

ortaggio milleusi e della sua terra d’elezione: la

Marca

trevigiana

64 La polenta

Un piatto, mille varianti regionali. E una tradizione che riaffiora nelle nuove polenterie

Carni, formaggi, pesce e sale: un’arte, quella d’insaporirli col fumo, vecchia quanto l’uomo

72 La canditura delle arance

76 Wine passion: Il Taurasi

Lo chiamano il “Barolo del Sud”, questo rosso rubino, figlio di un antico vitigno avellinese

da pag. 78 Rubriche

• Il buono a tavola • Orto dei semplici • Chef italiani nel mondo • Food news

Cosa sarebbero panettoni e cassate senza i canditi? Pochi sanno però come e dove si fanno

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Un fiore che viene dal freddo di Silvana Delfuoco

Tardivo, Precoce o Variegato, il radicchio rosso del Trevigiano è sempre protagonista in questa antica Marca, famosa anche per le ville palladiane e i parchi di cui è disseminata. Vi guidiamo tra i segreti di questo ortaggio dal gusto inconfondibile e dai mille usi in cucina «Inventato da Van Den Borre? Niente di vero!». Così protestano i veci di Dosson di Casier, paesino del trevigiano. Il “loro” radicchio rosso, che oggi ha il riconoscimento Igp nelle province di Treviso, Padova e Venezia, è nato lì, sulla cornice del campanile della chiesa, dai semi portati dagli uccelli nella notte dei tempi. E guai a chi sostiene il contrario! Eppure a fare il nome di Francesco Van Den Borre, esperto vivaista belga venuto in Italia a metà Ottocento per occuparsi con succes60

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so dei giardini delle ville venete, è la stessa cronaca dell’epoca. Stabilitosi nella campagna trevigiana, dove fondò una fiorente azienda tuttora con sede a Treviso – la Vivai Van Den Borre Piante – pare si debba a lui, se non proprio l’introduzione di un seme particolare portato con sè, almeno della tecnica di imbianchimento allora già in uso nel suo paese per l’insalata Witlof, meglio nota come insalata belga o di Bruxelles. È questa infatti la procedura ancora oggi applicata alla varietà Tardiva del radicchio rosso, quella che dà vita al suo vivido “fiore d’inverno” della seconda fioritura e lo fa distinguere anche dal suo fratello di varietà Precoce. Entrambi seminati in estate, tra giugno e luglio, i due radicchi hanno poi una diversa evoluzione. Dopo la raccolta autunnale, in particolare, il Tardivo subisce un ulteriore processo di lavorazione, grazie al lavoro


delle mani esperte dei produttori e all’acqua delle risorgive in cui resta immerso per alcune settimane. Ecco dunque spiegate le ragioni della sua fresca croccantezza dall'inconfondibile gusto amarognolo, ma anche del brillante contrasto cromatico tra il rosso vinoso delle foglie e il bianco quasi candido della nervatura centrale. Perché, come si dice, anche l’occhio vuole la sua parte.

Il Radicchio Igp: non solo rosso… «Il radicchio rosso tardivo Igp è l’unica cicoria che non lascia il campo e arriva in tavola, ma che ha bisogno ancora di un lungo procedimento di lavorazione – ci spiega il presidente del Consorzio di Tutela, Paolo Manzan – sui mercati si trovano purtroppo tante imitazioni, realizzate con procedimenti meno onerosi e più rapidi ma che non hanno le caratteristiche organolettiche del vero ra-

dicchio. Per questo è importante per il consumatore cercare il vero prodotto con il marchio Igp del Consorzio». Ma prima ancora, aggiungiamo noi, è importante imparare a distinguere, soprattutto per chi vive lontano dal territorio di produzione. «Tre sono le nostre Igp, tutte legate in maniera inscindibile alla nostra terra e alle acque che, proprio nel territorio ai confini tra le provincie di Treviso, Padova e Venezia, risalgono in superficie – continua Paolo Manzan, che del radicchio rosso è anche produttore in prima persona – dando origine al fiume Sile, il maggior corso d’acqua di risorgiva d’Italia: il radicchio rosso di Treviso Tardivo, il radicchio rosso di Treviso Precoce e il radicchio Variegato di Castelfranco. Proprio qui, nei territori del Parco Regionale del Sile, la millenaria sapienza contadina ha affinato particolari tecniche di coltivazione».

Veneto

Treviso

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Ravioli al radicchio Tardivo, speck e formaggio di fossa Ingredienti per 10 persone: 300 gr di pasta fresca

Per il ripieno: 400 gr di radicchio di Treviso 200 gr di speck 40 gr di scalogno 100 gr di formaggio di fossa 200 gr di ricotta 2 tuorli 1/2 dl d’olio extravergine d’oliva sale e pepe

Per la salsa: 2 dl di panna 100 gr di burro 50 gr di formaggio di fossa

Preparazione: Confezionare la pasta fresca impastando la farina con le uova e stenderla ottenendo delle sfoglie sottili. Lavare accuratamente il radicchio e tagliarlo a pezzetti piccoli. Tritare finemente lo scalogno e farlo rosolare in padella con poco olio d’oliva. Aggiungere metà dello speck tagliato a julienne e subito dopo il radicchio. Trifolare il tutto a fuoco vivo, in modo da far evaporare l’acqua. Condire con sale e pepe. Ridurre in poltiglia questo composto utilizzando un mixer e quindi incorporarvi la ricotta, il formaggio di fossa e i tuorli d’uovo, il tutto condito con sale e pepe. L’impasto ottenuto dovrà essere omogeneo e asciutto. Confezionare i ravioli in misura regolare, sigillando bene le estremità. Per la salsa: fare fondere il burro, aggiungere il restante speck tagliato a julienne e la panna fresca e fare bollire il tutto per pochi minuti. Togliere dal fuoco e con l’ausilio della frusta incorporarvi il restante formaggio grattugiato. Cucinare i ravioli in abbondante acqua salata e in movimento, per evitare che attacchino. Versare la salsa a specchio sui piatti e adagiarvi i ravioli cotti e ben sgocciolati. Qualche foglia di radicchio servirà come motivo decorante. Ricetta di Claudio Moras (Presidente Unione Regionale Cuochi Emilia Romagna)

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Occhio ai consumi Ogni radicchio ha il suo momento Oltre a essere un ottimo rimedio anti-invecchiamento, ricco com’è di antiossidanti che apportano benefici anche a chi soffre di problemi cutanei, artrite e reumatismi, il radicchio è però innanzitutto un ortaggio. E come tale ha un suo momento in cui gustarlo al meglio. «Per assaporare il Tardivo Igp, come da disciplinare, si deve attendere ogni anno fino al 1° novembre – spiega ancora Paolo Manzan – prima invece si può già assaporare il fratello meno pregiato, il radicchio di Treviso Precoce Igp, dalla foglia più larga e dal cespo più chiuso e arrotondato. L’imbianchimento, per il Precoce, è molto più semplice e la sua presenza sul mercato è avviata già dal 1° settembre.Tutta un’altra storia, invece, quella che porta in tavola il Variegato di Castelfranco, facilmente identificabile per la forma a rosa aperta, le sottili foglie dai bordi seghettati, il colore giallo-verdognolo quasi decorato da lie-

Il Tardivo ha foglie rosse vicine che si chiudono all’apice, mentre il Precoce ha un cespo più voluminoso e il Variegato ha forma “a rosa”, con foglie color crema a venature vinaccia. «Al momento abbiamo due “sceriffi del radicchio” – avverte ancora Paolo Manzan – che presidiano mercati generali, grandi catene di distribuzione, ma anche esercizi pubblici». E in loro assenza? Non resta che prestare sempre attenzione all’originalità del marchio, purtroppo molto imitato…

Un'idea per veri amatori? Il Consorzio di Tutela propone tre itinerari turistici attraverso l’area di produzione del radicchio, per scoprire il buono e il bello della Marca Trevigiana


In apertura la fase di imbiancamento. Nella pagina accanto il Canale dei Buranelli e qui, a destra, un radicchio Tardivo in Piazza dei Signori, entrambi simboli di Treviso

vi screziature rosse. Il Variegato, con le sue foglie quasi dolci, arriva sul mercato a ottobre». È quindi anche per fare finalmente chiarezza tra queste differenze che il Consorzio sta lavorando per l’ottenimento della Dop per il Tardivo, così da distinguerne le specificità rispetto alle altre due cicorie Igp prodotte nella stessa area.

Una cucina (anche) della salute Grazie al suo basso contenuto calorico il radicchio è quindi particolarmente indicato nelle diete e nei regimi alimentari controllati, ed è molto duttile in cucina, perché si presta a numerose preparazioni. Insalate, cotture ai ferri, alla piastra, fritto, stufato, per non parlare dei primi e dei secondi piatti: chi non conosce il risotto al radicchio? Ma anche il pasticcio di lasagne, lo spezzatino, gli involtini al radicchio? Non manca infine la crostata al radicchio, e neppure la marmellata! Un’ultima curiosità. Sembra che il triptofano, un amminoacido essenziale presente nel radicchio, giovi al sistema nervoso contrastando i disturbi legati all’insonnia: lo conosceva già anche Plinio il Vecchio, che lo cita in proposito nella sua Naturalis Historia.

Nella Marca Trevigiana tra arte e natura Dal Parco Regionale del Sile parte il primo di tre itinerari turistici proposti dal Consorzio di Tutela attraverso l’area di produzione del radicchio. E per il turista che ha voglia di avventurarsi, questo è l’inizio di una serie di incantevoli sorprese. La prima avviene senza dubbio a Castelfranco, patria del Giorgione, che nella sua collocazione originaria del Duomo cittadino conserva la splendida Pala della Madonna col Bambino recentemente restaurata: l’unica pala d’altare a destinazione pubblica che si conosca tra le opere dell’artista. Nel corso del secondo tragitto ci si potrà fermare a Piombino Dese per ammirare, proprio in centro città, la palladiana Villa Cornaro, patrimonio Unesco insieme alle altre ville palladiane, tra cui la non lontana Villa Emo di Vedelago. Anche percorrendo il terzo itinerario, nella zona a sud che collega Treviso a Venezia, si possono visitare alcune delle più belle ville venete della Regione, tutte immerse nel verde di splendidi parchi che ospitano alberi centenari.

Scelti per voi dove mangiare Muscoli’s In una delle zone più tipiche della città, una tradizionale osteria veneta ottima anche per lo spritz e l’aperitivo. Prezzo medio bevande escluse: 20 euro Via Pescheria, 23 – Treviso Tel. 0422.583390 Osteria Alla Pasina Osteria di campagna alle porte di Treviso; materie prime del territorio, radicchio in testa. Prezzo medio menù: 40 euro Via Marie, 3 – Dosson di Casier (Tv) Tel. 0422.382112 www.pasina.it Locanda Da Lino In un’ex casa colonica un locale di charme dalla storia importante. Cucina tradizionale. Prezzo medio bevande escluse: 60 euro Via Lino Toffolin, 31 – Solighetto (Tv) Tel. 0438.82150 www.locandadalino.it

dove dormire Hotel Carlton Un quattro stelle in pieno centro, su un antico bastione delle mura dalla città, a due passi anche dalla stazione centrale. Singola da 85 euro Largo di Porta Altinia, 15 –Treviso Tel. 0422.411661 www.hotelcarlton.it Agriturismo Ca’ Amedeo Immerso nel verde, dotato di bio-piscina ecologica, ideale per visitare il territorio. Mini-alloggio: 40 euro a notte per persona Via Sabbioneta, 28 Castelfranco Veneto (Tv) Tel. 0423.495923 Hotel Villa Foscarini Una villa del ‘500 completamente ristrutturata per coniugare raffinatezza e comfort. Singola da 100 euro Via Terraglio, 4 – Mogliano Veneto (Tv) Tel. 0415.906137 www.hotelvillafoscarini.it

dove comprare Az.Agr. Nonno Andrea La croccantezza del Radicchio appena colto e la novità della birra al radicchio rosso di Treviso Igp. Via Campagnola, 72B – Villorba (Tv) www.nonnoandrea.it Az. Agr. Ca’ Mauro Radicchio per tutti i gusti e in tutte le salse, dal sottoaceto all’agrodolce. Via Castello, 15 – Carbonera (Tv) Tel. 348.2256602

Per saperne di più: www.radicchioditreviso.it www.vandenborrepiante.it www.stradadelradicchio.it febbraio 2013

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Siamo tutti polentoni Polente: parlarne al singolare è riduttivo. Il piatto povero per antonomasia è in realtà ricco di varianti, a seconda della regione dove viene servito, della farina utilizzata, della consistenza e del condimento preferiti. E con l’apertura delle prime polenterie, la tradizione torna di moda di Riccardo Lagorio

Una delle più eclatanti rivoluzioni della gastronomia italica avvenne con l’introduzione, lenta ma inesorabile, nel XVIII secolo, di alcuni prodotti provenienti dalle Americhe, il pomodoro e il granoturco, utilizzati per decenni come piante ornamentali. Strani giochi fa il destino: eccoli convertiti in meno di due secoli a elementi basilari e qualificanti della cucina popolare tricolore. Oggi il pomodoro si associa facilmente al sole e al gusto meridionale, mentre la polenta, cibo privo di glutine, è compagna irrinunciabile di brasati, arrosti, persino salumi, talvolta sostituto del pane nel Settentrione, ma anche ma-

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teria prima per curiosi soufflé e gelati. Tanto da diventare scherzoso epiteto, negli anni dell’incontro e dell’integrazione tra le diverse latitudini d’Italia a metà del XX secolo, affibbiato ai popoli padani dopo che questi avevano conosciuto il dramma della pellagra.


foto di Elisa Varisco

In apertura, alle origini della polenta: pannocchia e farina di mais. A destra, un succulento piatto di polenta uncia comasca, preparata con burro, formaggio semigrasso, salvia e aglio

Come tradizione vuole Per secoli la polenta è stato l’alimento dei ceti sociali meno abbienti. Legata al debellamento dell’atavica fame durante il periodo carnevalesco è per esempio la festa che coinvolge il borgo di Tossignano, sull’Appennino bolognese. Un legato del 1622 prevede infatti che l’ultimo giorno di carnevale venga offerta gratuitamente a tutti, paesani e forestieri, abbondante polenta condita con salsiccia e formaggio. In una delle più significative scene del film L’Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi viene rappresentata la più classica delle ricette, la polenta e picö sö: i contadini della pianura padana del primo Novecento intenti a strofinare fette di polenta su una aringa affumicata o su una fetta di cotechino per impregnarla della fragranza senza consumarne la ricchezza. E proprio come in pianura padana il connubio naturale tra polenta e carne avviene per il tramite del suino, aggiungendo durante la preparazione della polenta i ciccioli come nel Piacentino e nel Mantovano, la variante sarda e laziale prevede che si arricchisca con salsiccia o guanciale, costolette, formaggio pecorino, verdure e ortaggi (questi ultimi nella versione isolana). Quanta popolare, anzi signorile, virtù in un pezzo di polenta!

Bianca, uncia, concia o taragna? In verità il puls, da cui polenta, era il cibo nazionale dei Latini, che utilizzavano farina di farro o, meno frequentemente fave o miglio, prima che fosse servito a profusione nei triclini il pane intorno al II secolo prima di Cristo. Ai giorni nostri, per definizione la polenta è quella preparata con farina di granoturco benché non manchino variazioni sul tema come quella di castagne (assai comune in Garfagnana ma ancora presente anche in Valcamonica) o di grano saraceno (presente in Valtellina e in alta Val Tanaro). Nel paese della diversificazione alimentare esiste però una moltitudine di polente che si possono qualifica-

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Polenta e salsiccia Ingredienti per 4 persone: 400 gr di farina da polenta bramata 100 gr di lardo 300 gr di salsiccia fresca 100 gr di Fiore sardo Dop grattugiato fresco 3 spicchi d’aglio pepe nero, sale Procedimento: In un tegame, preparare l’acqua necessaria per ottenere una polenta abbastanza morbida. Nel frattempo tagliare a cubetti il lardo, farne sciogliere il grasso in una padella e aggiungervi la salsiccia sgranata, facendola rosolare. Sbucciare e tritare finemente l’aglio. Quando l’acqua sta per bollire, aggiungere il sale e versare la farina a pioggia, mescolando con una frusta. Aggiungere il lardo sciolto con la salsiccia, l’aglio tritato e continuare a mescolare. Continuando la cottura, aggiustare di sale e pepe. Quando la polenta è quasi pronta si aggiunge il pecorino grattugiato. Finita la cottura, spolverizzare ancora di pecorino grattugiato e servire subito.

Nell’immagine in alto una panoramica sulla Valtellina vista da Morbegno (So). Qui la polenta è anche di grano saraceno

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re in base alla varietà di granoturco utilizzato e alla modalità di macinazione e cottura. Così, se a Bergamo e Brescia, a Verona e Trento viene di solito servita una polenta soda e da spartire con il tipico coltello di legno (un tempo era il filo di refe a consacrare il momento del taglio), a Pesaro e Rieti come a Teramo e Lucca si presenta in tavola morbida e cremosa. Ciò dipende dalla quantità d’acqua che si addiziona alla farina ma anche da come è avvenuta la molitura: farina bramata, ovvero a grana grossa, a nordiche latitudini e farina fioretto, ossia macinata sempre più fina, man mano che si va verso Sud. E se il lettore pensa che la polenta sia solo gialla, non cada in errore. Da Vicenza al Polesine, passando per Venezia, il granoturco preferito per la polenta ha grani bianchi, anzi biancoperla, recuperato dall’oblio grazie al lavoro di selezione dell’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria Nazareno Strampelli di Lonigo (Vi). Così con moscardini in umido, luccio o baccalà in quelle terre vi sarà servita senz’altro po(l)enta bianca, dal gusto poco intenso e perfetta con il pescato. Altrettanto comune condire la polenta con il formaggio, ottenendo un composto più o meno fluido ma sempre assai saporito. È quanto avviene in Val d’Aosta e nel Biellese con la polenta concia: tocchetti di Fontina o Toma piemontese che si fondono verso la fine della cottura per una consistenza semiliquida; o con la polenta uncia del Comasco, preparata mischiando

alla farina di mais anche burro, formaggio semigrasso (in loco: semüda), salvia e aglio. Rituale nel Bergamasco, nel Bresciano e in particolar modo nelle rispettive valli, è la polenta taragna cucinata incorporando il formaggio, molto apprezzato quello tenace e saporito, durante le prime fasi della cottura, così da mantenere il composto finale piuttosto compatto. Proprio a Bergamo, in tempi di debordanti fast food, ha fatto notizia qualche mese fa l’apertura di una polenteria, ovvero un locale dove invece di hamburger e patatine fritte si possono ordinare polente taragne e ragù ai funghi e selvaggina anche da asporto. Esperienza seguita da altre città, come Brescia.


Occhio ai consumi Al momento di acquistare la farina da polenta è indispensabile verificare che all’interno della confezione non siano presenti larve di insetti. Una volta acquistata va conservata in luogo asciutto e fresco, al riparo dalla luce del sole. Altri due aspetti molto importanti per la scelta di una buona farina sono la provenienza delle sementi e la macinazione a pietra. Le varietà di mais come l’ottofile, il marano o lo spinato si differenziano dalle varietà ibride perché possiedono un gusto più deciso. A parità di materia prima, il mais macinato a pietra contiene tutte le parti del chicco, mentre la macinatura industriale scompone il chicco nelle sue parti per ricavare tipologie diverse di farina (bramata, fioretto, semolata). Ne vengono meno alcuni elementi nutrizionali importanti come il germe, che peraltro nella macinatura a pietra non viene surriscaldato dal movimento delle lastre, mantenendo inalterati i componenti nutrizionali.

Questione di materia prima Ma la città orobica vanta anche primati significativi nella tutela della biodiversità, quando a partire dagli anni Cinquanta la rapida diffusione di ibridi ha decretato la quasi completa scomparsa delle varietà locali. Risale infatti al 1632 uno dei primi documenti ufficiali relativi alla diffusione nel Nord Italia, a Gandino, in località Clusvene, di una piantagione di melgotto, portato in paese da un forestiero e di cui se ne fecero semenze. Lungo un torrente al confine tra Gandino e Leffe fu costruito di lì a poco un mulino per la macina del nuovo curioso cereale. Qualche anno più tardi, nel 1638, il nobile Pietro Gaioncelli avrebbe fatto seminare anche a Volpino, all’imbocco della Valcamonica, nello stupore generale, del mais in un orto di proprietà dando così vita alla radicata tradizione bresciana e bergamasca della polenta. Da qualche anno a Gandino si è recuperato un gustosissimo mais spinato che si pensa possa essere pronipote di quella primigenia coltivazione. Un’operazione simile è avvenuta a Rovetta, in Val Seriana. Anche alle porte di Brescia, a Castegnato, si è compiuto il recupero di una varietà vitrea, cioè dall’aspetto cristallino e particolarmente adatta per la produzione di farina da polenta, il belgrano, tanto che numerosi ristoranti locali

Scelti per voi dove mangiare la propongono come abbinamento privilegiato al piatto locale, gli uccelli allo spiedo. Molto apprezzato dai gourmet anche il marano vicentino, coltivato in Val Leogra e nella fascia pedemontana vicentina. Dal colore aranciato e vitreo, se ne ottiene una farina profumata e saporita, dalla buona elasticità. Di tutt’altro aspetto il formenton ottofile della Garfagnana che presenta grossi chicchi di forma schiacciata e colore giallo oro. Prende il nome dalle file binate di chicchi intorno al tutolo, che sono quasi sempre 8. Sulla via dell’estinzione e recentemente recuperato, conta una decina di produttori riuniti in cooperativa per una quantità annua di immissione sul mercato locale e toscano intorno ai 300 quintali.

Da Carlino Punto di riferimento della cucina garfagnina. Si cena con 30 euro Via Giuseppe Garibaldi, 13 Castelnuova Garfagnana (Lu) Tel. 0583.644270 Polent-One La prima polenteria take away dove fermarsi a mangiare o prendere la propria polenta condita come si preferisce da gustare a casa. Via Borgo Santa Caterina, 86 Bergamo www.polent-one.com

dove dormire

Motel Morgana Struttura originale, design e creatività. Camere da 115 euro Via Lombardia, 13 Rodengo Saiano (Bs) Tel. 030.7281180

dove comprare Mais spinato di Gandino Azienda Agricola Clusven Località Clusvene Gandino (Bg) Tel. 0357.45760 Mais belgrano Azienda Agricola Giulia Via Collegio, 13 Castegnato (Bs) Tel. 03021.41246 Mais marano vicentino Agriturismo La Meridiana Via Ca’ Bosco, 29 Marano Vicentino (Vi) Tel. 0445.621398 Mais biancoperla Società Agricola La Fagiana Via Fagiana, 13 Eraclea (Ve) Tel. 0421.237429 Formenton ottofile Garfagnana Cooperativa Località Staiolo San Romano in Garfagnana (Lu) Tel. 0583.613154 A sinistra un classico paiolo in rame non stagnato appeso a una catenella sul focolare, metodo tradizionale di cottura della polenta

Per saperne di più: www.maismarano.it

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Mandate pure tutto “in fumo” Sa di antico e di natura questa tecnica utilizzata da sempre per insaporire e conservare carni e formaggi. Necessita di tempo, della giusta essenza legnosa, di rametti e bacche. Del microclima perfetto e del vento che spiri con la dovuta forza in una certa direzione. Insomma, quella dell’affumicatura è davvero un’arte. E oggi viene applicata ai cibi più diversi, come ad esempio il sale. Perché anche il gusto è una “questione di sfumature”

di Riccardo Lagorio

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Uno dei primi problemi che ha dovuto risolvere la comunità umana quando ha scelto di differire nel tempo il consumo di alimenti disponibili è stata la conservazione del cibo. Fu solo casualmente, come avviene per molte delle scoperte che cambiano le sorti dell’umanità, che dopo l’addomesticamento del fuoco ci si rese conto che il fu-

mo delle caverne conferiva diverso aroma e sapore alla carne, ma soprattutto la conservava più a lungo. La tecnica dell’affumicatura sfrutta infatti le sostanze presenti nel fumo liberate dalla combustione lenta e incompleta, quindi senza fiamma, di vari tipi di legno, raramente resinosi. Queste sostanze penetrano negli strati superficiali dell’alimento mo-


gnorile affumicatura del coscio, con legna ben essiccata di quercia, segue la salatura e l’esposizione alla bora, vento secco e freddo continentale. Il risultato è un prodotto dal colore vagamente caramellato, dal sottile profumo di legno che si espande dalle narici alla bocca in maniera delicata, gradevole, seducente.

Lo speck e i suoi fratelli

dificandone le caratteristiche organolettiche, non ultimo l’aspetto visivo. Talvolta l’attività di affumicatura si combina con altri elementi che consentono di migliorare le condizioni di conservabilità. Un esempio illuminante è quanto accade per il prosciutto dalmata (con particolare riferimento a quello dell’immediato entroterra spalatino) in quanto la si-

Ma questa modalità di conservazione della carne non manca neppure nel nostro Paese. Basti pensare al re dei salumi altoatesini, lo speck, o al capocollo di Martina Franca, nel Tarantino, forse meno noto ma altrettanto gustoso. Relativamente all’affumicatura dello speck tradizionale o contadino esistono tante varianti quanti sono i masi, con un’unica costante: l’impiego di rami di ginepro. La disponibilità diventa il fattore decisivo nella scelta delle essenze odorose poiché nella Bassa Atesina si privilegiano i polloni di vite, in Val Pusteria il legno di abete rosso e di pino, altrove rami di abete bianco mentre il legno di faggio è quello utile per ottenere la certificazione dell’Igp. L’esclusivo microclima determinato dal vento che proviene dal mar Ionio e incontra l’Adriatico, lo zelo rivolto alla cernita dei grani di pepe e la generosa affumicatura con corteccia di fragno e timo stabiliscono invece le caratteristiche salienti rinvenibili nel capocollo di Martina Franca, da suini allevati in libertà. In certe aree del Trentino un leggero passaggio di fumo è riservato anche ai

Filetti di trota fario affumicati Ingredienti per 4 persone: 4 filetti di trota affumicata 1 bicchiere di vino bianco secco 250 gr di salsa di pomodoro 50 gr di capperi al naturale aglio prezzemolo sale peperoncino olio extravergine di oliva Procedimento: Dopo avere infarinato i filetti di trota affumicati, farli rosolare con un po’ di olio e due spicchi d’aglio. Bagnarli con il vino bianco secco e unire la salsa di pomodoro, il prezzemolo tritato, i capperi e un poco di peperoncino. Salare e lasciare cuocere coperti per una decina di minuti circa. Servire caldo.

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Occhio ai consumi Gli affumicati, poiché risultano più asciutti, hanno principi nutritivi più concentrati dei cibi freschi. A parità di peso, 100 gr di salmone affumicato forniscono 25,4 gr di proteine contro i 18,5 gr del salmone fresco. Ma il fattore calore che accompagna il momento dell’affumicatura ha grande importanza. Si possono distinguere due metodi: l’affumicatura a freddo, nella quale l’alimento viene riscaldato a una temperatura compresa tra i 20°C e i 40°C, con una durata del trattamento che si protrae per qualche giorno; e l’affumicatura a caldo, in cui invece l’alimento viene riscaldato a una temperatura compresa tra i 50°C e i 90°C per un breve arco di tempo, generalmente poche ore.

In apertura, speck appesi in una sala d’affumicatura. In queste pagine: formaggi e pesci sottoposti a trattamenti simili con tecniche differenti

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prosciutti cotti artigianali. Come nel Primiero, dove la famiglia Gadenz fa del suo prosciutto cotto affumicato (e della pancetta stesa) da trucioli di faggio e cassia l’orgoglio della macelleria aperta nel 1905.

Di necessità virtù Anche il mondo dei formaggi non è esente dalla pratica dell’affumicatura. È il caso del fatulì, elaborato partendo da latte crudo intero di capra di razza Bionda dell’Adamello. La zona d’origine è la stretta Val Saviore, nel Bresciano. La piccola formaggetta, a poche ore dalla produzione e dopo leggera salatura superficiale, è

accomodata su cannicci o reti e sottoposta a esposizione di fumo di rami verdi e bacche di ginepro. La crosta ne viene segnata in modo indelebile, ma anche il gusto ne risente: deciso e sapido per merito della razza, del pascolo e del processo di combustione.Assai caratteristica la ricotta affumicata di Mammola, nella Locride. Per arcaica modalità produttiva e misteriosa forma. Il siero di latte caprino viene ruotato con un bastoncino di legno di essenze odorose e, una volta addensato, tramutato in ricotta. Lavorata a forma di grande fungo, si avvolge in foglie di felci e vien posta su un’impalcatura a poco più d’un metro d’altezza. Sotto si ac-


Scelti per voi dove comprare Macelleria Gadenz Salumi trentini affumicati Via Fiume, 3 Fiera di Primiero (Tn) Tel. 0439.762217 Macelleria Cervellera Capocollo di Martina Franca Via Mottola, 68 Martina Franca (Ta) Tel. 0804.838812 Azienda Agricola Maffeis Fatulì Località Pozzuolo Cevo (Bs) Tel. 0364.634659

cende legna fresca di castagno ed erica impregnando di fumo le ricotte, morbide, vellutate e assai profumate. Si racconta che questo prodotto, sino a inizio ’900, si regalasse anche alle nubende come segno beneaugurante, in virtù della sua forma fallica. Accanto a scamorze e provole, uno dei protagonisti tra i formaggi affumicati è però il Fiore sardo Dop. Il formaggio da latte di pecora di razza Sarda ottenuto con l’ausilio di caglio d’agnello viene inondato dalla combustione di essenze locali, tra cui il timo selvatico. Le forme cappate con olio o grasso di pecora assumono colore marrone scuro e dopo sei mesi il formaggio è ideale per grattugiare sui maccheroni o da scagliare a fine pasto. Anche il pesce è talvolta soggetto ad affumicatura: aringa, pesce spada, sgombro, tonno, trota ma soprattutto salmone, di cui l’Italia è grande consumatrice. I primi chilometri di rapida corsa del fiume Nera, tra Marche e Umbria, sono luogo ideale per l’allevamento di pesce d’acqua dolce. I filetti di trota fario sono lasciati in salamoia di acqua, aceto e limone per qualche giorno e successivamente affumicati con legni resinosi. Da qualche anno, infine, si può annoverare sul mercato anche il sale affumicato! Lungi dalla necessità di conservazione, la gastronomia si muove quindi con passo sempre più disinvolto dalla necessità al piacere.

Carni, formaggi, pesce e persino sale affumicato: superato il problema della conservazione, la gastronomia si muove con passo sempre più disinvolto dalla necessità al piacere

Fabrizio Pirisi Fiore sardo Località Istoddoè Gavoi (Nu) Tel. 345.4101902 Erede Rossi Silvio Trota fario affumicata Via Madonna dei Calcinai, 2 Sefro (Mc)

Nell’immagine a sinistra il titolare della macelleria Gadenz di Primiero

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Arance:

mai state così dolci Dimenticata, spesso buttata via, la scorza degli agrumi torna invece sotto i riflettori quando si parla di canditura. Aurelio Palaia, imprenditore calabrese, ci racconta come le celebri e succulente arance della Piana di Rosarno si trasformano in deliziosi canditi di Riccardo Lagorio

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Cosa hanno in comune panettone e cassata? Va da sé: i canditi. Arricchito il panettone anche da uva passa, stadio primordiale nella conservazione degli alimenti per azione naturale del sole: l’appassimento, appunto. Se è vero che anche i Romani utilizzavano il miele come mezzo per conservare il cibo, si deve ai Persiani e soprattutto agli Arabi l’arte di intingere in una soluzione zuccherina fiori e frutti per arricchirne i banchetti a partire dal V secolo della nostra era. Questa figlia delle infinite eredità alimentari arabe che sono giunte sino a noi venne ulteriormente affinata con l’arrivo dello zucchero dalle Americhe, più a buon mercato e disponibile. Ma è ancora un mistero se Michel de Montaigne durante il suo gran tour in Italia nella seconda metà del Cinquecento si lasciasse tentare a Lucca da un cotognato candito con miele o piuttosto con melassa


di zucchero. Da allora comunque la pasticceria italiana ha impiegato a profusione i canditi, come ingrediente che caratterizza i prodotti da forno, i torroni o diventa una leccornia intinta nel cioccolato, anche grazie alla disponibilità di materia prima locale, in particolare gli agrumi.

Se la buccia è protagonista

Rosarno

Calabria

Nella Piana di Gioia Tauro (in origine chiamata “Piana di Rosarno”), una delle aree più vocate all’agrumicoltura in Italia, numerose aziende di piccole e medie dimensioni provvedono alla lavorazione della materia prima. Aurelio Palaia appartiene a una famiglia che storicamente provvede a fornire un’ampia gamma di prodotti destinati all’industria della frutta candita. «Riceviamo arance locali la cui buccia è priva di pesticidi e comunque esente da principi attivi. Le analisi avvengono direttamente in campagna al momento della raccolta che va da dicembre a marzo per la varietà Washington Navel e da aprile a giugno per la varietà Valencia. Esse rappresentano la quasi totalità di arance della Piana che vengono lavorate per lo spessore perfetto dell’albedo, alto e morbido. Le altre varietà coltivate nella Piana (Moro, Tarocco, Sanguinello) hanno un colore della buccia meno accattivante e quindi risultano meno utilizzabili come canditura». Dopo questa prima selezione, le arance arrivano in azienda e sono lavate con acqua. Con rapidi gesti e grazie a particolari temperini, le donne del luogo (soprattutto loro) ne ricavano la buccia separandola dalla polpa, che verrà spremuta e successivamente concentrata da aziende specializzate. A seconda dell’utilizzo finale le macchine ne ricaveranno quarti, filetti o cubetti di dimensioni differenti dai 4 ai 10 mm di lato. È a partire da questa fase che i prodotti si qualificano per un importante elemento distintivo a seconda che siano messi in salamoia o siano destinati alla catena del freddo. Gli uni si stivano in soluzione salina in fusti di plastica in attesa di essere lavorati dall’industria e si è costretti ad aggiungervi solfiti; gli altri si portano a una temperatura di -20°C e sono destinati a un mercato molto esi-

L’arte di intingere in una soluzione zuccherina fiori e frutti per arricchirne i banchetti si deve soprattutto agli Arabi. In Europa l’uso di frutta candita è documentato fin dal ’500

Scorzette al cioccolato Ingredienti: 4 arance 200 gr di zucchero 100 gr di cioccolato fondente Preparazione: Lavare e asciugare le arance. Eliminare le due estremità e tagliare la buccia rimasta in 4 parti, lasciando attaccato un po’ di polpa. Dividere la buccia in listerelle larghe circa 1 cm. Mettere le bucce in un tegame, coprirle d’acqua fredda e portare a ebollizione. Scolare e ripetere per altre due volte l’operazione. Mettere le bucce scolate nel tegame, aggiungere un quarto d’acqua e lo zucchero; portare a ebollizione, mescolando di tanto in tanto, e fare cuocere a fuoco medio per 30 minuti, finché le bucce risulteranno trasparenti e il liquido sarà evaporato. Scolare le bucce sopra una griglia, staccarle una dall’altra, lasciarle raffreddare e asciugare. Spezzettare il cioccolato e farlo fondere a bagnomaria; immergere, uno alla volta, i bastoncini di buccia candita, ricoprendoli fino a metà. Adagiarli su un foglio di carta da forno e porli in luogo fresco, finché il cioccolato sarà solidificato.

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gente, che richiede un colore vivo, una densità e un sapore del prodotto finale perfetti. Qualcuno lo definirebbe mercato di qualità, specie «francese o italiano, di alta pasticceria, che è sempre più in crescita», aggiunge Palaia. In questo caso lavoriamo con la certificazione di prodotto biologico, che ci consente di raggiungere le migliori produzioni dolciarie del mondo. E continua: «Unitamente alle arance prepariamo per l’industria di trasformazione limoni, cedri e bergamotto, che matura a febbraio, sempre qui nel Reggino. Una volta pronti, questi prodotti prendono la strada del nord Italia ed Europa». Avviene anche per la polpa, che specifiche industrie sapranno concentrare o trasformare in marmellate.

Lavorare con lentezza Prima di potere essere utilizzati in pasticceria gli agrumi subiscono la canditura vera e propria. Esistono a questo proposito due modalità per rea-

lizzare il prodotto finale, una pratica artigianale e una industriale. La prima prevede che la materia prima sia immersa in una vasca di canditura e coperta di sciroppo. Per osmosi avviene lo scambio del liquido e dopo un certo periodo lo sciroppo, che nel frattempo si è diluito, si separa dalla frutta e si riscalda, eventualmente rinforzandolo con altro zucchero, quando si versa di nuovo sulla materia prima. Operazione che si ripete finché la concentrazione di zucchero nei canditi è ideale per l’utilizzo in pasticceria. L’industria usa sistemi più rapidi nelle autoclavi di canditura dove vengono chiusi frutta e sciroppo. Raggiunto il punto di ebollizione, i liquidi evaporano e si raggiunge la concentrazione finale richiesta.Tuttavia, per effetto dei riscaldamenti, molte delle componenti aromatiche dei frutti utilizzati vanno perdute. A ogni modo, in entrambi i casi le qualità nutrizionali della materia prima vanno quasi completamente perdute, mentre molte delle vitamine sono mantenute. La conservazione dei profumi dipende invece dall’abilità del dolciere, che in taluni casi riesce a concentrare gli aromi ed esaltare le caratteristiche iniziali dei frutti.Anche nei canditi il gusto si conquista con lentezza...

Occhio ai consumi Spesso durante la canditura la grande industria fa uso massiccio di additivi alimentari (coloranti, aromatizzanti e conservanti), fino a snaturare il gusto della materia prima. Come conservante è ampiamente impiegata l’anidride solforosa e suoi derivati (E220-E229), approfittando anche del fatto che, per la legislazione vigente, molto tollerante, tali additivi non devono essere dichiarati se sono contenuti nella materia prima e non aggiunti durante la lavorazione.

A sinistra un aranceto, ricchezza della Piana di Gioia Tauro, una delle aree più vocate all’agrumicoltura in Italia

Scelti per voi dove comprare Per la materia prima Mediterranea Contrada Serricella Rosarno (Rc) Tel. 0966.713560 Per canditi e dolci Caffè Sicilia Corso Vittorio Emanuele III, 125 Noto (Sr) Tel. 0931.835013

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Salumi di Calabria ‘nduja, capocollo, soppressata, salsiccia, lonza

dalla nostra terra, sulla vostra tavola

Fattoria della Piana Soc. coop.va - C.da Sovereto - 89020 Candidoni (RC) Tel: +39 0965 645303 - Fax: +39 0965 645250 - Mail: info@fattoriadellapiana.it www.fattoriadellapiana.it


winepassion

Taurasi, il “barolo” del Sud di Roberto Rabachino

Dal colore impenetrabile, che lascia intravedere riflessi rubino e granata, già si intuisce il mistero che persiste dietro questo vino di grande complessità, con i suoi sentori di amarena e confettura, nato nell’avellinese da un vitigno antico, la cui storia riserva ancora molti interrogativi

Impossibile parlare di Taurasi senza citare come prima cosa il suo vitigno, l’Aglianico, sebbene la sua storia sia ancora avvolta nel mistero. L’unica certezza che abbiamo è che si tratta di una varietà molto antica e che la sua famiglia nel corso dei secoli è variata in un gran numero di biotipi e sottovarietà. Questa peculiarità ha creato nel tempo molta confusione con il proliferare di sinonimi errati dove, sotto la grande famiglia delle storiche viti aminee, erano inglobate molte varietà: Aminea, Aminea maior, Aminea gemina maior, Aminea gemina minor

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e Aminea lanata. Una domanda è quindi d’obbligo: l’Aglianico moderno, padre del Taurasi, è figlio di uno di questi vitigni? Anche se il buon Plinio considerava queste varietà come autoctone campane, è invece certo che sono state importate dai coloni greci provenienti dalla Tessaglia. Solo verso la metà del Cinquecento appare la dicitura Aglianico per i vini prodotti sul Monte Somma, montagna in provincia di Napoli e parte integrante del complesso vulcanico Somma-Vesuvio. Quest’ultima collocazione geografica ci consente dunque di affermare che il Taurasi è figlio di


vitigni coltivati da sempre nell’attuale Irpinia, terra d’Enotria, nome con cui i greci indicavano l’Italia meridionale.

Le origini e la Docg

In apertura: i grappoli di Aglianco dai quali nasce il Taurasi, figlio di vitigni coltivati da sempre nelle zone collinari dell’Irpinia (nell’immagine a destra)

L’etimologia del nome Taurasi è da ricercare in Taurasia, un piccolo borgo vinicolo che i romani fecero loro dopo aver sconfitto gli irpini, nell’80 d.C. Le condizioni ambientali e di coltura del vino sono quelle tradizionali e atte a conferire alle uve e al vino derivato le specifiche caratteristiche di qualità: sono da considerarsi zone d’eccellenza, particolarmente idonee al vitigno, quelle collinari o comunque di giacitura ed esposizioni adatte, con assoluta esclusione dei vigneti impiantati su terreni di fondovalle, umidi e non sufficientemente soleggiati. La produzione massima per ettaro di coltura specializzata non deve essere superiore i 100 quintali di uva. Le operazioni di vinificazione, ivi compreso l’invecchiamento obbligatorio, devono essere effettuate nell’ambito del territorio della provincia di Avellino. Nel dettaglio, la Docg Taurasi (D.M. 11 marzo 1993 G.U. n. 72 del 27 marzo 1993) è riservata ai vini rossi ottenuti da uve di vitigni costituiti dal vitigno Aglianico nella tipologia rosso o rosso riserva. Possono concorre altri vitigni a bacca rossa, non aromatici, idonei alla coltivazione per la provincia di Avellino, fino a un massimo del 15%. La zona di produzione consentita comprende l’intero territorio amministrativo dei comuni di Taurasi, Bonito, Castelfranci, Castelvetere sul Calore, Fontanarosa, Lapio, Luogosano,

Mirabella Eclano, Montefalcione, Montemarano, Montemileto, Paternopoli, Pietradefusi, Sant’Angelo all’Esca, San Mango sul Calore, Torre le Nocelle e Venticano, tutti in provincia di Avellino. Il vino deve essere sottoposto a un periodo di invecchiamento obbligatorio di almeno tre anni di cui almeno uno in botti di legno. Nella tipologia “riserva” deve essere sottoposto a un periodo di invecchiamento obbligatorio di almeno quattro anni, di cui almeno diciotto mesi in botti di legno. Il periodo di invecchiamento decorre dal 1° dicembre dell’annata di produzione delle uve.

Le annate migliori e gli abbinamenti Naturalmente ogni annata dà particolari sensazioni. Si ricordano come eccezionali le annate 1985, 1988, 1990, 1993, 1997, 1999 e 2004. I segni organolettici distintivi ci dicono di un colore impenetrabile che lascia intravedere il rosso rubino con riflessi granata; notevole è l’impatto olfattivo dove immediatamente si rivela una grande complessità. I sentori vanno dai frutti tipo amarena e confettura di prugne, alle spezie ai tostati. Al gusto è pieno con buona morbidezza, sorretto da un’acidità presente e da eleganti tannini. La persistenza è lunga con un ventaglio di sensazioni di frutta matura e confettura che virano verso il tostato di caffè e il cacao. Si abbina a piatti ricchi ed elaborati nei quali dominano le sensazioni di succulenza e speziatura non tralasciando la struttura, come nel caso di stracotti, di spezzatini, della cacciagione e di formaggi a pasta dura.

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di Antonio Romeo

Il buono a tavola

Docente isttuto alberghiero IPSSEOA di Soverato (Cz)

Fritole Veneziane Ingredienti: 12 gr di lievito di birra 200 gr di farina 40 gr di uva passa 40 gr di pinoli 40 gr di cedrini canditi 350 gr di olio di semi 40 gr di zucchero semolato 16 gr di zucchero a velo 0,5 cl di grappa o rum Preparazione: Sciogliere in un recipiente concavo il lievito di birra con poca acqua tiepida e lo zucchero; aggiungere la grappa e incorporare la farina aggiungendo l’acqua occorrente. Poi lavorare bene la pasta fino a che non si formino bollicine di aria alla superficie, quindi coprirla con un tovagliolo e farla lievitare in un posto caldo. Quando la pasta sarà almeno raddoppiata, incorporare l’uvetta, i cedrini tritati e i pinoli, infine friggere in olio caldo e scolare le frittelle su carta assorbente, sistemarle su un piatto di portata dando la forma di piramide, spolverarle con zucchero a velo e servirle ancora calde.

Scorpelle

Quattro chiacchiere in cucina Si mangiano con le mani. Sono fritti, ricoperti di zucchero e “allegramente unti”. I dolci di Carnevale non sono solo buoni ma hanno anche la speciale facoltà di farci tornare bambini

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Festa di origine pagana dell’antica Roma nata per propiziare il rinnovamento della fecondità della terra, il Carnevale è sinonimo di godimento, di cibo e divertimento collettivo. Un’osmosi di piacere prima della Quaresima, il digiuno che precede la Pasqua. Dell’antico spirito della festa sono rimaste la voglia di giocare con coriandoli e stelle filanti, e il piacere goloso del cibo. La tradizione gastronomica vede al primo posto i dolci, rigorosamente fritti. Sono nate proprio nell’antica Roma, in onore del Carnevale, le strisce di farina e uova, fritte nel grasso di maiale, antenate delle odierne chiacchiere. Oggi le ricette più diffuse rispecchiano lo spirito della festa, sono allegramente unte, lievi

Ingredienti: 1 kg di farina 6 uova intere lievito di pane un pizzico di sale olio per friggere Preparazione: Impastare tutti gli ingredienti. Prelevare l’impasto con un cucchiaio e friggere le frittelle. Spolverare con lo zucchero a velo e servire. L’impasto non è dolcissimo, ma lo zucchero a velo dona a queste frittelle di pane un gusto davvero unico.

Scroccafusi Ingredienti: 800 gr di farina 5 uova 150 gr di zucchero 25 gr di olio d’oliva un bicchierino di Mistrà scorza grattugiata di limone Preparazione: Pur mantenendo invariati gli ingredienti, per gli scroccafusi sono possibili due diversi tipi di cottura: si possono infornare o friggere. Si amalgama e si lavora il tutto, sino a formare un composto che risulti piuttosto leggero, con cui si fanno pallottoline grandi quanto una noce. A questo punto, se si preferisce friggerli, gli scroccafusi si immergono in acqua bollente, avendo cura di toglierli subito, appena venuti a galla; quindi si collocano su un telo e si coprono


con un altro, per evitare che si formi una pellicina. Si procede poi alla loro frittura in strutto bollente, badando che il fuoco sia lento. Appena pronti, si immergono nel miele. Quando invece si preferiscono al forno, gli scroccafusi, tolti dall’acqua bollente e asciugati delicatamente, si sistemano su una lastra, unta di burro, e si tengono per circa mezz’ora in forno a una temperatura di 150°C. Ancora caldi, si cospargono di zucchero vanigliato e si spruzzano di alchermes o rhum.

Panzerotti alla marmellata Ingredienti: 200 gr di patate 200 gr di farina 20 gr di lievito di birra 1 uovo 150 gr di burro fuso 60 gr di zucchero sale latte tiepido Preparazione: Cuocere in acqua le patate con la buccia e pelarle ancora calde. Passare allo schiacciapatate. Unire la farina, il lievito di birra diluito con il latte tiepido, un uovo, il burro fuso, lo zucchero e un pizzico di sale. Impastare il tutto, formare una palla, metterla in una terrina, coprirla con un tovagliolo; lasciar lievitare per un’ora in luogo tiepido. Stendere con il mattarello e ricavarne dei quadretti. Al centro di ognuno mettere mezzo cucchiaio di confettura di frutta e piegarli a mezzaluna. Disporli non troppo vicini su placche da forno imburrate e infarinate e lasciare ancora lievitare per circa 30 minuti. Pennellare la superficie con tuorlo d’uovo sbattuto insieme a un cucchiaio di latte freddo. Cuocere in forno a 180200°C.

Tagliatelle fritte Ingredienti: 200 gr di farina 2 uova 4 cucchiai di zucchero semolato 1 arancia non trattata olio per friggere zucchero a velo Preparazione: Impastare la farina con le uova come per una comune pasta all’uovo. Tirare quindi una sfoglia di medio spessore, poi cospargerla con lo zucchero semolato e la buccia grattugiata dell’arancia. Arrotolare la pasta come si fa per le tagliatelle, tagliarla della larghezza di circa 1 cm. Lasciare arrotolate le stringhe e friggetele in abbondante olio, scolarle su una carta assorbente, disporle su un vassoio da portata, cospargerle di zucchero a velo e servirle fredde.

Chiacchiere o Pampuglie Ingredienti: 400 gr di farina 80 gr di zucchero 1 uovo intero 2 tuorli 50 gr di burro 2-3 cucchiai di acquavite o di liquore d’anice arancia grattugiata un pizzico di sale zucchero a velo Preparazione: Disporre la farina a fontana su un tavolo e al centro porvi lo zucchero, le uova, il sale, il burro sciolto e l’acquavite o l’anice. Lavorare bene la pasta, formare una sfera, coprirla e lasciarla riposare per trenta minuti. Formare una sfoglia sottile con il matterello, poi con un coltello o con l’apposita rotella ricavarne delle strisce sottili. Praticare in ogni stringa qualche incisione per infilarvi la pasta e ottenere svariate forme, oppure annodarle. Fare friggere le chiacchiere nell’olio in piccole quantità, farle scolare bene, passarle nello zucchero a velo.

In apertura una tavola della festa arricchita da un croccante piatto di chiacchiere. Qui, in alto, le tagliatelle fritte dalla forma a “manina”, in basso invece soffici castagnole

Frappe Ingredienti: 500 gr di farina 00 50 gr di burro 2 uova intere 2 cucchiai di zucchero 50 gr di anice o anisetta limone grattugiato un pizzico di sale vino bianco q.b. 1 cucchiaino di aceto bianco Preparazione: Impastare tutti gli ingredienti e lasciare riposare; controllare bene la consistenza della pasta che deve essere ben soda per poterla tirare a macchina. Preparare le frappe tirandole molto sottili, friggere in una padella larga con olio di arachidi; fare attenzione che non coloriscano troppo. Cospargere di zucchero a velo.

Castagnole di Gubbio Ingredienti: 3 uova intere e 2 rossi 50 gr di zucchero 30 gr di olio di mais 65 gr di liquore a piacere (anice) 400 gr di farina 00 1 bustina di lievito zucchero a velo e Alchermes Preparazione: Montare molto bene le uova con lo zucchero, unire liquore, olio, lievito e farina e amalgamare per 10 minuti. Lasciare riposare la pasta per circa 15 minuti. Friggere in olio non troppo caldo (occhio alla temperatura!) facendo scendere il composto con due cucchiai. Servire con zucchero a velo e una spruzzata di alchermes.

tentazioni a base di pasta friabile preparate in gran quantità, perché devono durare l’intero periodo della Quaresima. Dolci che si trovano in tutta la penisola ma hanno nomi diversi a seconda della regione: cenci in Toscana, frappe in Emilia, chiacchiere in Lombardia, crostoli in Trentino, galani in Veneto, bugie in Piemonte e ancora nastri di suora, nodi d’amore, donzelle… a cui si aggiungono le castagnole, le zeppole (frittelle dolci cosparse di zucchero) e la fritola veneziana fatta con farina, zucchero, uvetta, pinoli e poi fritta nel grasso. Diversi nel nome ma uguali in tutte le regioni, i dolci di carnevale che si fanno mangiare con le mani: un vero tuffo nell’infanzia.

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orto dei semplici

di M. Pia Fanciulli

Sedano, elisir di giovinezza Noto sin dai tempi di Omero come potente afrodisiaco, prima di essere utilizzato in cucina era celebre per le sue virtù curative. Oggi immancabile ingrediente di tanti nostri piatti, si sta rivelando anche un eccellente anti-age

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Non è certo tra gli ortaggi che spiccano per vigore e personalità. Ma che il sedano (Apium graveolens) sia tra le presenze irrinunciabili nelle nostre cucine, è un dato di fatto. Non ha un ruolo da protagonista, non viene celebrato in piatti a lui dedicati, ma è una delle colonne portanti di quel tipico mazzetto di “odori” alla base di tante ricette della nostra tradizione. Negli orti poi, dove si semina a partire da gennaio, ha una storia che risale al XVI secolo. Prima di allora si utilizzavano, soprattutto a scopo medicinale, le foglie della varietà spontanea tipica dell’area mediterranea. E già ai tempi di Omero, che lo cita nell’Odissea, erano note le sue proprietà curative, senza dimenticare che era considerato un potente afrodisiaco. Anche nel filtro d’amore che segnò l’immortale vicenda di Tristano e Isotta sembra entrasse, appunto, una forte dose di sedano. Nel Medioevo si riteneva poi che i preparati a base di sedano fos-

sero utili nella cura dell’artrite e nel favorire la digestione. Ricco di vitamina C, di sali minerali e di sostanze antiossidanti, efficace diuretico, stimolante, tonificante e antinvecchiamento, il sedano si coltiva oggi per il consumo fresco. In cucina si impiegano i semi che si raccolgono nel secondo anno di vita di questa pianta biennale, le foglie e i gambi, che vengono tra l’altro sottoposti a processi di imbianchimento per evitare che diventino verdi e perdano sapore. Se ne coltivano, con ciclo annuale, due varietà: quello da coste (verdi, bianche, rosse) o da foglie, che prende il nome di Apium graveolens varietà dulce, destinato al consumo crudo o cotto, e il sedano rapa, Apium graveolens varietà rapaceum, più tardivo. Quest’ultimo sviluppa pochissima parte aerea, riservando le energie alla radice che si ingrossa e assume un sapore delicato e caratteristico, ottima sia cruda che cotta.


Coltiviamoli così I vasi e il terriccio Per la coltivazione del sedano in vaso, così come per quello in terra, l’ortaggio predilige terra o terriccio a medio impasto, fertile e drenato. In attesa del raccolto (dopo 100 giorni circa dall’impianto) bisogna provvedere a regolari annaffiature e concimazioni, utilizzando un concime biologico liquido a base di potassio da diluire nell’acqua destinata all’irrigazione. Anche per il sedano in vaso è possibile fare la rincalzatura per l’imbianchimento – copertura della base e di parte del fusto con la terra –, e di pacciamatura, per mantenere il terreno umido e contenere la crescita delle erbe infestanti. Si procede alla rincalzatura un paio di settimane prima del raccolto. La semina Il sedano da coste viene seminato spesso a fine inverno in semenzaio, ma se si aspetta la primavera si può seminare in piena terra, in quanto semine troppo precoci provocano fioriture anticipate. Il trapianto si effettua quando le piantine hanno raggiunto l’altezza di 15 cm circa. La temperatura ottimale per la germinazione e lo sviluppo è di 20°C circa. Si semina a spaglio a 1 cm di profondità, dopodiché le prime piantine saranno visibili dopo circa 15 giorni. La semina va preferibilmente effettuata con la Luna crescente. Punti deboli Uno dei momenti più delicati nella coltura del sedano è quello del trapianto. Importante evitare le giornate assolate, oppure dedicare a questa operazione le ore del tardo pomeriggio. Poiché la pianta richiede anche terreno fresco, necessario provvedere subito alle annaffiature, facendo però attenzione a non bagnare le foglie per evitare l’insorgere di malattie. Buono a sapersi Il sedano, e particolarmente il sedano rapa, è favorito dalla consociazione con cavoli, pomodori, porri, cipolle, ravanelli, cetrioli, lattuga e piselli. Non ama invece le piante della sua stessa famiglia, come carote e prezzemolo. Raccolta e conservazione Si raccoglie l’intera pianta quando ha raggiunto sufficienti dimensioni, ma in alcune varietà si possono raccogliere scalarmente alcune foglie, tagliandole o staccandole dalla base. Il sedano rapa si estrae dal terreno in autunno-inverno, quando le foglie sono ingiallite e la radice è sufficientemente ingrossata e non troppo fibrosa, di solito prima che il terreno geli. La raccolta va preferibilmente effettuata con la Luna crescente. Il sedano a coste si consuma fresco, sia crudo che cotto. In frigorifero si conserva per una settimana in un sacchetto di carta o avvolto in un panno umido.

Tutto da riscoprire Chissà che non si debba al nome latino del sedano, Apium, quel suo essere considerato ortaggio di poco o nullo valore nutritivo. La parola, che deriva a sua volta dal celtico, significa infatti “acqua”. Ma più che riferirsi alla ridotta capacità dell’ortaggio di apportare virtuose sostanze alla nostra dieta, il termine allude all’habitat per eccellenza della varietà selvatica – da cui quello coltivato è derivato – che prospera nelle zone umide. Sarebbe invece bene inserirlo nei nostri pasti, dove il modo migliore per gustarne appieno croccantezza e fragranza è senz’altro in pinzimonio; il sedano saprà quindi svelare aromi imprevisti anche nelle insalate. Mentre nella variante cotta, oltre che per aromatizzare i più diversi piatti, dalle carni, ai sughi, alle salse, alle minestre, le sue coste (o costole) saranno ottime brasate, gratinate o saltate nel burro. Unica accortezza: se danno fastidio i lunghi filamenti che percorrono la superficie delle coste, si eliminano con facilità praticando un’incisione a un’estremità del gambo e tirando per tutta la loro lunghezza.

Un inverno rosso ciclamino Passeggiando per i boschi, si incontreranno, a febbraio, le sue delicate corolle. Anche in casa e sul balcone, il ciclamino (Cyclamen persicum), rosso, bianco o violetto, è la classica pianta dell’inverno. Resistente, amante del freddo, tra i pochi a sfidare le basse temperature del balcone, è tra l’altro facile da coltivare. Se tenuto all’interno ha bisogno di temperature fresche e di un ambiente luminoso, ma senza sole diretto. Attenzione quindi ai segnali del tipo

foglie ripiegate e tendenti al basso. Sono sintomo di troppo caldo e poca umidità: la pianta andrà quindi annaffiata e spostata al fresco. Sarebbe inoltre un vero peccato se, una volta terminata la fioritura, si buttasse via la pianta. Qualche piccolo accorgimento e tornerà a fiorire l’anno successivo. Basterà, a pianta sfiorita, ridurre progressivamente le annaffiature fino a sospenderle del tutto quando le foglie appariranno completamente ingiallite, più o meno nel mese di giugno. In estate si dovranno conservare i vasi con i tuberi sottoterra in un posto fresco fino all’autunno, per poi rinvasarli con terriccio nuovo esponendo il vaso alla luce, ma non al sole, e riprendendo le annaffiature. In breve spunteranno nuove foglie e, in ottobre-novembre, i primi, coraggiosi, boccioli.

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chef italiani nel mondo

di Piero Caltrin

Dalla Russia, con sapore Luigi Ferraro, “primadonna” del lussuoso Cafè Calvados di Mosca, sceglie per la sua cucina solo materie prime di qualità, prodotti di stagione e aromi legati alle tradizioni della sua terra d’origine, la Calabria. Una filosofia Italian style che fa impazzire gli uomini d’affari e i facoltosi viveur che frequentano il ristorante Curiosità, voglia di evasione, fantasia, interesse per le tradizioni. E una grande passione. È tutto questo, oltre naturalmente agli studi del caso, che ha fatto di Luigi Ferraro, dal ragazzetto che anni fa lasciava la Calabria con la valigia in mano e il cuore gonfio di speranze, l’executive chef di uno dei ristoranti più lussuosi di Mosca, a coronamento di un cursus honorum internazionale che l’ha visto lavorare a Londra, Stoccarda, Sharm El Sheik e rappresentare la sua terra nelle manifestazioni gastronomiche di mezzo mondo. Nato 33 anni fa a Cassano, paesino affacciato sullo Ionio, Luigi – per tutti “Gigi” – vive e opera all’estero ormai dal 2001. La sua è una classica storia del Sud: «Fin da piccolo ero appassionato di cucina – ci spiega – anche se tendevo a reprimerlo, e di viaggi. Del resto,

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sono cresciuto in provincia, in una realtà un po’ retrograda, e questo mi spingeva a cercare cose e posti nuovi. Studiare da cuoco mi ha consentito di viaggiare. Già durante gli anni della scuola ho iniziato a lavorare nei locali della mia zona per poi spostarmi in Basilicata, Toscana e Sardegna, fino a lasciare l’Italia una volta diplomato». Oggi Ferraro è la primadonna in cucina del Cafè Calvados, ristorante di altissimo livello della Mosca postsovietica che ha come habituè businessman internazionali e politici: «tutti clienti che amano il lusso sfrenato». Il Calvados, realizzato in stile Art Déco, si trova su una delle strade principali che portano alla piazza Rossa. La cantina offre una vasta selezione dei migliori vini al mondo, non solo italiani e francesi. «La mia filosofia di cucina resta incentrata però sull’uso di


La ricetta dello chef Carciofo al gamberone in granella di pistacchio, tartufo nero e salsa al caciocavallo silano Ingredienti per 4 persone: 4 carciofi 4 gamberoni 40 gr di pistacchi 100 gr di caciocavallo silano 20 gr di latte 10 gr di vino bianco 10 gr di porro, sedano, scalogno 100 gr di brodo vegetale 10 gr di timo, alloro, rosmarino 10 gr di germogli olio extravergine d’oliva sale e pepe

Mosca: Ferraro consiglia Il posto più bello è certamente la piazza Rossa ma anche la chiesa di San Basilio è spettacolare. Da vedere il mercato delle pulci al parco Ismailovski e la zona di Vdnkh, dove edifici dell’epoca sovietica sono diventati veri e propri bazar. Qui si trova anche il Museo della cosmonautica: consiglio di visitarlo in primavera quando è tutto verde e le fontane sono aperte.

ottime materie prime, di prodotti freschi, meglio ancora se di stagione, e sui gusti del mio territorio – spiega Gigi, – mi piace modificare e proporre la tradizione innovandola, voglio portare la gente ad amare gusti dimenticati e ad apprezzare la loro storia». Una cifra culinaria molto Italian style che i danarosi e potenti clienti del Calvados ovviamente non possono che gradire: «L’Italia e gli italiani sono sempre apprezzati, a Mosca come in tutto il mondo», aggiunge. Ai giovani che sognano di diventare campioni ai fornelli, lo chef calabrese consiglia: «È un lavoro che bisogna fare con amore. Si deve sempre improvvisare, ma con capacità e sapienza! Bisogna avere delle basi solide e conoscenze tecniche, bisogna aggiornarsi e stare al passo con i tempi».

Procedimento: In una pentola far dorare le verdure con olio e spezie, aggiungere poi i carciofi già puliti, far rosolare e sfumare con vino bianco, condire con sale e pepe e coprire con il brodo vegetale. Cuocere per circa 15 minuti. Far raffreddare e sistemare al centro il gamberone condito con sale, pepe e granella di pistacchi e mettere a cuocere in forno per 5 minuti a 180°C. A bagnomaria mettere il caciocavallo tagliato a cubetti con il latte e far cuocere fino a ottenere un composto omogeneo. Comporre il piatto versando al centro la salsa al caciocavallo e adagiando sopra il carciofo, condire con il tartufo nero e qualche goccia di ristretto di balsamico e di salsa ai pistacchi. Completare con i germogli e olio extravergine.

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di Claudia Dagrada

Food-sharing: basta con gli sprechi!

foto Shay Halevi

food news

La tecnologia va in forno

Se possiamo condividere un’automobile per il bene dell’ambiente e del portafoglio, perché non fare lo stesso con il cibo? Un gruppo di famiglie tedesche ha dato vita a un’iniziativa chiamata food-sharing: la condivisione degli alimenti freschi o cucinati in giornata che non si riesce a consumare e che, altrimenti, finirebbero nella pattumiera. In breve tempo è nata una piattaforma online a cui chiunque può iscriversi per scambiare od offrire gli alimenti in esubero. www.foodsharing.de

Ecco qui una radio appena uscita dal forno! Una stramberia? Non per la designer israeliana Nitsan Debbi, che ha saputo unire la semplicità del pane ai prodotti di tecnologia più diffusi come orologi, radio, mouse, cellulari. Semplicemente, al posto della plastica l’artista ha usato il pane per rivestire apparecchi elettronici di uso quotidiano. Ma non date un morso a queste invitanti pagnotte: la crosta dorata avvolge oggetti perfettamente funzionanti, e piuttosto duri sotto i denti! www.debbinits.com

L’arte dell’alimentazione responsabile Appuntamento al fashion cafè!

Una profonda riflessione sullo squilibrio alimentare del mondo e sul rapporto tra uomo e cibo: è questo il cuore pulsante di Food, la mostra curata da Adelina von Fürstenberg, recentemente inaugurata al Museo Ariana di Ginevra, dove resterà fino al 24 febbraio. In esposizione, le opere di 40 artisti internazionali. La mostra è itinerante e approderà a marzo al Sesc di San Paolo, a settembre allo Spazio Oberdan di Milano e nel 2014 al MuCem di Marsiglia, per poi tornare nel capoluogo lombardo per l’Expo nel 2015.

Mangano, casa di moda nostrana, approda a Malta con il suo primo fashion cafè, dall’animo made in Italy ma dall’outlook cosmopolita. Nello store del centro storico regna un’atmosfera glamour in cui moda e design si influenzano a vicenda vivendo in perfetta armonia. La location rappresenta l’evoluzione del negozio: lo si può frequentare durante tutta la giornata, dalla colazione al pranzo, per una pausa caffè o un raffinato aperitivo.

I tagliolini che non temono la crisi Siete pronti a spendere 2.013 dollari per un piatto di pasta? Bene, allora partite alla volta del Bice di New York, succursale del famoso ristorante milanese, per assaggiare i tagliolini più cari del mondo. La pasta fresca, rigorosamente fatta a mano dello chef, è servita con astice selvaggio del Maine, una spolverata di tartufo bianco d’Alba, un misto di funghi di bosco e altre verdure bio. Il costo sarebbe giustificato dagli ingredienti rari e freschi di giornata. Come se non bastasse, il tutto viene servito su un piatto di porcellana firmato Versace in edizione limitata, che si può portare via come ricordo. Ma chi desideri assaggiare la superpasta si sbrighi, a breve non sarà più possibile ordinarla!

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Cosa si nasconde dietro un risultato perfetto?

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88 Crociere? Avanti tutta

96 L’Italia in mostra: Udine

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Giglio

La città friulana come non l’avete mai vista: sotto la luce elegante dei dipinti del Tiepolo

92 Piccoli Carnevali d’Italia

100 Germania, non solo fiere

Dalla Puglia alla Valle d’Aosta, 4 tappe in provincia per assistere alla festa più allegra

A Berlino e Monaco per capire come si può unire dovere e piacere, in periodo fieristico

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inviaggiotendenze

Crociere: avanti tutta! di Isa Grassano

È stato più rapido del previsto il recupero della fiducia dei turisti da parte delle compagnie di navi da crociera dopo la tragedia della Concordia. Merito certamente di passate esperienze positive, dell’ondata di offerte (i prezzi però stanno tornando a normalizzarsi), di itinerari sempre nuovi. Chi amava trascorrere il suo tempo tra ricchi buffet, serate danzanti e attività di ogni sorta, sembra non aver alcuna intenzione di rinunciare al suo viaggio all inclusive 88

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La nave è ancora là e il perentorio “Vada a bordo, c…..!” (urlato da Gregorio De Falco, della Capitaneria di Porto, al comandante Francesco Schettino) ormai è diventato un tormentone, tanto che qualcuno lo usa persino come suoneria per il cellulare. È trascorso poco più di un anno (era il 13 gennaio 2012) da quando la lussuosa Costa Concordia fece naufragio squarciandosi, per settanta dei suoi trecento metri, contro uno scoglio dell’isola del Giglio,e causando la mor-


te di ben 32 persone. Il relitto è ancora là, appoggiato su di un fianco, ma, si dice, verrà messo in galleggiamento a settembre per poi essere trainato via.Anche se il direttore generale di Costa Crociere, Gianni Onorato, spera che questo possa avvenire prima, entro luglio. Quella nave è ancora là, ma le altre hanno ripreso a solcare i mari. «Senza attendere nuove disposizioni di legge, abbiamo introdotto dieci procedure che migliorano gli attuali standard nazionali e abbiamo deciso regole più stringenti per i nostri comandanti». Così ha detto il manager Onorato che però ha anche sottolineato come quest’anno «ci

sarà un progressivo innalzamento dei prezzi, che continueranno a essere accessibili, ma torneranno verso la normalità. La revisione al rialzo del pricing interesserà soprattutto le crociere nel Mediterraneo, che hanno impattato maggiormente con la riduzione delle tariffe dopo il caso Concordia».Gli fa eco Andrea Tavella, Direttore Commerciale e Marketing Italia che ha rimarcato come il Giro del mondo di Costa Deliziosa, partito da Savona il 6 gennaio 2013, ha registrato il “tutto esaurito”. Quindi, dopo la paura iniziale, i turisti hanno ripreso a scegliere le crociere come vacanza completa. «Questo recupero è stato più rapido del pre-

Identikit del crocierista Uomini tra i 35 e i 45 anni che viaggiano in coppia o in famiglia, di livello socioculturale medio-elevato.
È questo l’identikit del crocierista tipo, secondo un’indagine di Noi Crociere (www.noicrociere.it). Un target per il quale è importante avere una nave ricca di comfort, divertimenti e aree benessere. Inoltre opta per le tratte brevi e ama il Mediterraneo. Il porto di partenza preferito è Civitavecchia, a prescindere dalla zona di residenza. Si ricerca la possibilità di fare sport e di provare attività adrenaliniche: il 34% degli intervistati ha dichiarato che il free climbing, l’arrampicarsi su una parete riprodotta artificialmente, è una delle più entusiasmanti. C’è però anche una componente critica. Tra i clienti abituali ci sono quelli che si lamentano per «le lunghe ed estenuanti file ai ristoranti, come se fosse un ufficio postale» o ancora «del personale che spesso non parla italiano», fino agli «sbarchi troppo lenti». Per tutte le opinioni: www.qcrociere.it

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inviaggiotendenze

Orient-Express in Myanmar Si chiama Orcaella, in onore dei delfini che abitano il fiume Ayeyarwady, la nuova nave Orient-Express con destinazione Birmania (Myanmar), a partire da luglio. L’agile e piccola imbarcazione (attualmente in costruzione a Yangon e in grado di ospitare fino a 50 persone) navigherà il fiume Ayeyarwady, la ricchezza naturale del Myanmar, tra Yangon e Bhamo. Percorrerà anche il fiume Chindwin, costeggerà estese catene montuose nella parte più occidentale della regione, fino a raggiungere a nord la città di Homalin, a meno di 48 chilometri dal confine indiano. E si potrà godere del panorama dall’Observation Deck che ospiterà un’area relax con sedute reclinabili. Tra le escursioni la possibilità di assistere a una tradizionale cerimonia di noviziato dei monaci o fare trekking nella giungla, o ammirare l’unico Buddha con gli occhiali che, si dice, abbia poteri di guarigione nella città di Pyay. Tariffe a partire da 3,880 euro a persona per una crociera di sette notti in Deluxe cabin inclusi tutti i pasti a bordo, escursioni, transfer e voli interni. Info: 800.780.700 www.orcaella.net www.orient-express.com

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In apertura una nave Princess Cruises che solca i freddi mari dell’Alaska. In questa pagina gli interni di una nave Grimaldi Lines

visto – ha continuato Tavella – e in buona parte è dovuto alla fiducia degli ospiti che ci conoscono già perché sono stati in crociera con noi in passato,e al forte sostegno degli agenti di viaggio. Nonostante la crisi, nei mesi di aprile-maggio 2012 abbiamo registrato un incremento del 28% rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente; il 25 maggio abbiamo superato un milione di prenotazioni per le crociere 2012». Per la prossima primavera Costa Crociere propone le minivacanze nel Mediterraneo con Costa Mediterranea e Costa Serena (Marsiglia e Barcellona e, a scelta, le tappe di Ibiza o Palma e Ajaccio, e imbarco a Savona) anche solo per un fine settimana. Per l’estate la formula fly and cruise sulla Grecia permette di beneficiare dell’avvicinamento in volo a Creta, località di partenza di due itinerari di Costa Mediterranea: Isole greche e terra Santa o Sette spiagge in sette giorni nel Mediterraneo Orientale, per poi rientrare, sempre in volo, in Italia.

Andamento lento, ma positivo La conferma di questo rinato desiderio di vacanza galleggiante viene anche da Gigi Torre, Presidente Gioco Viaggi, Tour & Cruise Operator specializzato nel settore crocieristico: «il 2012 è

stato un anno complesso. L’evento Costa Concordia ha avuto un effetto shock sul mercato;tuttavia con il passare del tempo i consumatori hanno reagito in modo positivo, riconfermando la tendenza alla scelta di questa particolare tipologia di ferie. Il 2013 si apre con moltissime novità per quanto


Viaggi su misura Chi cerca proposte personalizzate può affidarsi a Angelica Tragni, Consulente per Viaggiare® CartOrange. Per vivere un’esperienza indimenticabile nell’arcipelago maldiviano, ad esempio, Albatros Top Boat propone una crociera a bordo di piccoli yacht da 8 o 10 cabine o dei tradizionali dhoni, che ospitano al massimo 4 persone. Il clou degli itinerari più richiesti sono le immersioni nei punti più belli dei reef, ma tra un tuffo e l’altro c’è tempo anche per fare shopping nei mercatini o rilassarsi a bordo con un massaggio ayurvedico. E per coloro che sognano il giorno del “sì” in mare aperto, l’ideale è una nave Royal Carribbean che si trova nelle acque delle Bahamas. Il programma Weddings at sea offre pacchetti speciali che, oltre alla cerimonia di nozze celebrata dal capitano, includono musica, foto, cena e torta nuziale. Info: www.cartorange.com/ angelicatragni

La stella sei tu Il ritmo della rumba, la sensualità del tango e l’allegria della samba. È la proposta speciale dell’ammiraglia Cruise Barcelona di Grimaldi Lines che dal 30 marzo al 2 aprile propone Ballando verso Barcellona (da Civitavecchia al capoluogo catalano). A bordo Simone Di Pasquale, insieme ai maestri del team Personal Dancer, per dare vita alle migliori performance di Ballando con le stelle. Al termine dei corsi un grande spettacolo finale dal titolo La stella sei tu, per mettere alla prova le proprie abilità artistiche. La minicrociera farà tappa lunga a Barcellona, regalando la possibilità di calarsi nella movida spagnola. Le quote di partecipazione partono da 219 euro a persona, con sistemazione in cabina quadrupla interna e partecipazione ai corsi di ballo collettivi. Info: www.grimaldi-lines.com

riguarda le compagnie che rappresentiamo sul mercato italiano. Fra le luxury cruises si segnalano le crociere Compagnie du Ponant in Groenlandia per la prossima estate. Altra destinazione di punta è l’Alaska. Princess Cruises e Holland America sono leader di mercato sulla destinazione, entrambe con 7 unità posizionate da maggio a settembre e itinerari di 7 notti da Vancouver, Anchorage e Seattle, oltre alla possibilità di estendere il soggiorno con numerosi cruise tour nel Denali National Park». Mantiene il suo posizionamento sul mercato anche RCL Cruises Ltd Italia. Per il direttore generale Gianni Rotondo «nonostante la crisi di settore derivante da quella economica e dall’incidente della Costa Concordia, nel 2012 l’andamento del mercato italiano è stato molto positivo e RCL Italia ha raggiunto una crescita di passeggeri tre volte superiore al 2010. Guardando all’immediato futuro, in Italia le prospettive sono di sviluppo: avremo 5 porti d’imbarco e 16 porti di scalo».Tra le proposte più interessanti di RCL,un occhio

di riguardo è riservato agli appassionati di tango: fiore all’occhiello in questo senso è la Legend of the Seas che copre gli itinerari tra Spagna e Francia in partenza da Genova e Civitavecchia. Il primo giugno infatti si terrà a bordo della nave il 14° Genova Tango Festival: per tutti la possibilità di seguire ogni giorno lezioni di gruppo insieme ai maestri delle più prestigiose scuole italiane e danzare sulle onde del mare. New entry anche in casa MSC Crociere.Sarà battezzata il 23 marzo, la nuova ammiraglia MSC Preziosa (partenza da Genova, Napoli o Messina) e porterà fra Tunisia, Spagna e Francia.A bordo ci si potrà sbizzarrire su Vertigo, lo scivolo acquatico lungo più di 120 metri, un record per le navi da crociera. Infine bisognerà aspettare l’autunno per la nuova nave all’avanguardia da 4 mila passeggeri della Norwegian Cruise Line, la Norwegian Breakaway, che salperà verso verso Bahamas, Florida e Caraibi, in partenza dalla Grande Mela. E farà sosta nell’isola privata della compagnia, Great Stirrup Cay alle Bahamas.

Una nave MSC attraccata nel porto di Stavanger (Norvegia)

Per saperne di più: foto di Gilda Ciaruffoli

www.costacrociere.it www.giocoviaggi.it www.royalcaribbean.com www.msccrociere.it www.it.ncl.eu www.ponant.com www.princess.com www.hollandamerica.com

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inviaggio

Piccoli Carnevali d’Italia Rievocano antichi fasti, vecchie storie d’amore e di guerra, e lo fanno con il tono sferzante dalla farsa o con quello raffinato della rievocazione, le manifestazioni che da nord a sud celebrano la festa pagana più amata

Ballo al castello, ricordando Caterina di Flavio Amadei

Verrès (Valle d’Aosta)

Quando: dal 9 al 12 febbraio Il comune di Verrès è posizionato lungo la strada consolare delle Gallie ed è dominato dall’imponente castello fatto costruire da Ibleto di Challant nella seconda metà del XIV secolo. Qui, nel 1949, si costituì un Comitato per il Carnevale con l’intento di rievocare un particolare avvenimento che avesse per sfondo proprio il castello: la scelta cadde su un episodio avvenuto cinque secoli prima. Secondo la tradizione, il giorno della festa della Trinità del 1449, Caterina di Challant, impegnata nella dura lotta contro gli esponenti maschi della sua famiglia per la successione al titolo e intenzionata a propiziarsi la popolazione locale, scese nella pubblica piazza con il consorte Pierre d’Introd e intrecciò le danze con i giovani del paese, festeggiata dal grido esultante di “Vive Introd et Madame de Challantl”. Dagli anni ’50 quindi, ogni anno, il sabato di Carnevale, l’episodio rivive in tutta la sua vivacità: Caterina scende tra il suo popolo incitandolo alla danza seguita da un corteo festante e raggiunge il Municipio dove 92

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il Sindaco, alla presenza di tutte le autorità, consegna a Caterina la chiave d’oro del Comune, nominandola ufficialmente Chàtelaine de Verrès. Per diversi giorni il castello è teatro di serate danzanti e rievocazioni storiche in costume, concluse dalla rappresentazione della commedia Una partita a scacchi scritta nel 1872 da Giuseppe Giacosa, che ha per sfondo il maniero di Issogne. Ciò che colpisce di più durante le giornate di festa è l’atmosfera che si vive nel borgo e nel castello, grazie a profumi decorazioni, addobbi, e alla partecipazione della popolazione che, in abiti d’epoca, rivive l’episodio con l’orgoglio di far parte, non tanto della rappresentazione, ma della storia di Verrés. Balli, canti, musici e giullari, banchetti, cene di gala, sferraglio di spade e armature, e ancora inviti a corte per rendere omaggio a Caterina di Challand e Pierre d’Introd riempiono i quattro giorni di questo storico Carnevale, facendo rivivere ogni anno una storia che così non ha mai fine.

Scelti per voi dove mangiare Ristorante Pensione da Pierre Locale accogliente e suggestivo con un grande camino nella sala principale. Piatti del territorio e di stagione. Di recente inaugurazione l’adiacente brasserie. Prezzo medio: 40 euro Via Martorey, 73 Tel. 0125.929376 www.dapierre.it

dove dormire Hotel Relais St. Gilles In posizione strategica, in pochi minuti si possono visitare i castelli di Verrès e di Issogne e il maestoso Forte di Bard. Singola da 60 euro, doppia da 85. Suite per 4 persone da 140 euro Via Circonvallazione, 19 Tel. 0125.920148 www.relaistgiles.com

Per saperne di più: www.lovevda.it


Facciamo la festa al re Giocondo di Elena Conti

Quando: fino al 3 marzo Ha solo 10 mila abitanti, ma vanta uno dei Carnevali più antichi d’Italia. C’è chi sostiene che sia in assoluto il più vecchio, e in ogni caso questa sarà la sua 474esima edizione.A Foiano della Chiana, un paesino collinare a circa 30 km da Arezzo e 60 da Siena, il Carnevale è una tradizione iniziata nel 1539 e il rito – che coinvolge l’intera popolazione, senza distinzione di età – si ricelebrerà quest’anno il 27 gennaio, il 3, il 10 e 17 febbraio, per concludersi il 3 marzo con la Cremazione di Re Giocondo e l’attesa lettura del suo testamento, uno scritto in versi che descrive senza censura episodi della vita del paese, rendendo comprensibili, pur senza mai citarli, i nomi dei diretti interessati. Lo scritto è sempre anonimo, e “ce n’è” proprio per tutti. Anche perché, se non ci sono allusioni al tuo operato, non sei nessuno... In molti a Foiano condividono quanto detto da Oscar Wilde: “Nel bene e nel male purché se ne parli”! Parte-

cipano a questo Carnevale i quattro Cantieri che si fondano sulla libera associazione degli individui, in cui è divisa la popolazione cittadina. Questi, durante l’anno, lavorano segretamente a un carro carnevalesco, cercando di realizzarlo migliore degli altri. Il vincitore si aggiudica la Coppa del Carnevale. I quattro Cantieri foianesi sono il Cantiere Azzurro, il Cantiere Bombolo, il Cantiere Nottambuli, e quello dei Rustici. Per tutto il periodo di festa si susseguono iniziative di ogni tipo, concorsi letterari e di poesia, gare enogastronomiche e sportive, ma il clou restano i corsi mascherati e le sfilate dei gruppi, che quest’anno si confronteranno sul tema multietnico. Come detto, a sancire la fine del Carnevale, è il rogo di Re Giocondo, che viene dato alle fiamme in Piazza nella cosiddetta Rificolonata. Ospite d’eccezione di questa edizione sarà Gianmarco Tognazzi. Per chi vuole immergersi nell’entusiasmo di questa festa, l’organizzazione è davvero ottima. Molti i posteggi esterni dai quali funziona un efficiente servizio di navette. L’ingresso è a pagamento, 7 euro a biglietto (gratis per i bambini le iniziative fuori dalle mura).

Scelti per voi dove mangiare Ristorante Mengrello Nel cuore di Foiano della Chiana propone piatti di cucina casalinga toscana, antipasti di salumi genuini di maiale e cinghiale, crostini e bruschette. Anche qui viene proposta la pregiata carne Chianina, cotta rigorosamente a legna. I cani sono ben accetti. Prezzo medio: 30 euro Viale Resistenza, 20 www.ristorantemengrello.it

dove dormire Hotel Forum Quattro stelle, propone prezzi speciali per Carnevale (camera doppia da 90 euro), ed è anche base ideale per escursioni negli splendidi dintorni. Via Franiole, 27 Tel. 0575.64071 www.hotelforum.biz

Per saperne di più: www.carnevaledifoiano.it

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inviaggio

Una spettacolare giostra dal sapore antico di Isa Grassano

Quando: 12 febbraio

Oristano (Sardegna)

Scelti per voi dove mangiare Cocco & Dessì Cucina con proposte tradizionali. Da assaggiare le linguine al cartoccio con frutti di mare. Prezzo medio: 35 euro Via Tirso, 31 Tel. 0783.300720
 www.coccoedessi.it

dove dormire Hotel Duomo Esclusivo, nel centro storico. Poche camere, ma alcune proprio affacciate sul percorso della Sartiglia. Doppia da 108 euro
 Via Vittorio Emanuele II Tel. 0783.778061 www.hotelduomo.net

Per saperne di più: www.sartiglia.info

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Di primo mattino, un gruppo di tamburini e di trombettieri scorta un araldo a cavallo che attraversa le vie del centro e dà lettura del Bando della Sartiglia, invitando il popolo ad assistere alla giostra equestre. Inizia così, domenica 12 febbraio, la Sartiglia, una grande giostra cavalleresca che da cinquecento anni caratterizza la storia della città di Oristano ed è il cuore del Carnevale in Sardegna. Segue la vestizione de su Cumpoidori, il Gran Capitano d’Armi. Il gruppo dei tamburini e trombettieri apre il corteo composto dalle massaieddas (ragazze vestite con l’abito tradizionale oristanese), che portano, con dei cestini, gli abiti de su Componidori, mentre sa massaia manna sovraintende al rito. Il cavaliere prescelto sale su un tavolo (sa mesitta) adibito ad altare e da quel momento non potrà più toccare terra: qualunque contatto diretto con la Grande Madre deve essere infatti evitato perché egli conservi la purezza necessaria a gareggiare e vincere. Il momento culminante si ha quando vie-

ne cucita la maschera sul viso del Capo Corsa. Al termine della cerimonia della vestizione si ha la trasformazione in Componidoru, né uomo né donna, ma una figura impenetrabile. Così il corteo dei 120 cavalieri, guidato dal Capo Corsa e preceduto dai trombettieri e tamburini e dalle massaieddas, si dirige in sfilata verso il percorso di Via Duomo. Un tripudio di colori, lo sfarzo e l’eleganza dei costumi, l’imponenza dei cavalli rendono la manifestazione uno spettacolo da non perdere. Poi è tutto un rullare incessante di tamburi, mentre inizia la corsa vera e propria, quando il cavaliere impugna la spada e, tenendola dritta davanti a sé, si leva in piedi sulla sella, mentre il cavallo sfreccia al galoppo sfrenato, per infilzare la stella. Dopo di lui corrono i cavalieri scelti tra gli applausi e le incitazioni dei presenti. Solo a tarda sera tutto finisce, e con un altro rullo di tamburi si toglie la maschera al Componidoru, che torna cavaliere. Ma non finiscono i festeggiamenti che proseguono per le vite cittadine per tutta la notte.


Come in un film di Fellini Quando: fino al 12 febbraio Ricordate Il Casanova di Federico Fellini? La scena si apriva con una rappresentazione del Carnevale sul Canal Grande di Venezia. Era il 1976 e il maestro del cinema italiano dimostrava di amare le maschere e lo spirito goliardico di questa festa. E non solo. Ogni sua pellicola era una vera e propria creazione onirica, con quella straordinaria follia che il Carnevale fa propria in ogni edizione e personaggi straordinariamente eccessivi, pregni di satira. Oggi, a vent’anni dalla scomparsa del regista, è Putignano ad associarlo al Carnevale per ricordarlo e celebrarlo. La 619esima edizione del Carnevale più antico d’Europa si svolge infatti nel nome di Fellini. La città delle donne, Amarcord, Satyricon, La dolce vita, La strada, Lo sceicco bianco e, appunto, Il Casanova: questi alcuni titoli che verranno riproposti nei 7 carri realizzati artigianalmente dai maestri cartapestai putignanesi e dai coloratissimi e divertenti gruppi mascherati che sfilano nelle strade della cittadina pu-

gliese. Una cartapesta quella utilizzata ricca di peculiarità, realizzata con un procedimento che la scuola putignanese ha messo a punto nel tempo. L’appuntamento con la sfilata dei carri è nelle due domeniche di febbraio (3 e 10) per concludersi il martedì grasso (12 febbraio), sempre con ingresso gratuito. Il 7 febbraio si può invece partecipare al Giovedì dei Cornuti, divertente tradizione con protagonisti un gruppo di mascherati con le corna che va a svegliare a casa il “cornuto dell’anno”. Tra gli altri protagonisti della festa c’è la maschera ufficiale, Farinella, con la sua veste variopinta pronta a richiamare i colori tipici di questo angolo del Mediterraneo. E durante la kermesse non si può non assaggiare la farinella, il piatto più classico della cucina locale: fatta di una farina finissima, ricavata da due alimenti poveri come ceci e orzo abbrustoliti, è stata integratore frugale di una dieta segnata in passato dalla grande povertà.

Scelti per voi dove mangiare A’cr’janz Un’osteria che punta su prodotti genuini, tipici, tracciabili, acquistati direttamente dai produttori. Prezzo medio: 20 euro Via Goito, 22 – Orto San Domenico Tel. 080.4055745 www.acrianzputignano.com

dove dormire Hotel Ristorante Cavaliere Una buona base per scoprire il territorio, a pochi chilometri da Putignano. Singola a partire da 80 euro Via T. Siciliani, 47 – Noci (Ba) Tel. 080.4977589 www.hotelcavaliere.it

Per saperne di più: www.carnevalediputignano.it

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Putignano (Puglia)

di Lucrezia Argentiero


l’italiainmostra

Udine,

alla luce del Tiepolo Passeggiare per il centro del capoluogo friulano è come sfogliare le pagine di un libro di storia. Accompagnati dallo sguardo vigile del leone di San Marco, con il profumo di frico e muset a titillare il gusto, d’obbligo una visita a Passariano di Codroipo, dove parte un percorso (che arriva fino a Trieste) alla scoperta di uno dei maggiori interpreti della pittura del XVIII secolo

di Silvana Delfuoco

Udine

Friuli-Venezia Giulia

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Dove passava il suo cavallo non cresceva più l’erba. Così si racconta a proposito di Attila, l’unno “flagello di Dio” che invece, nel caso di Udine, sembra aver smentito se stesso. Pare infatti che la collina su cui ora sorge il Castello cittadino, oggi in pieno centro storico, sia stata innalzata con terra di riporto raccolta con gli elmi dai soldati, per permettere al loro re di assistere allo spettacolare incendio di Aquileia, da lui appena conquistata e distrutta. Ma quello che ha lasciato davvero il segno nel tessuto urbano della città, in passato sede prestigiosa anche del Patriarcato di Aquileia, sono stati i quattro secoli di dominazione da parte della Repubblica di Venezia, dal 1420, fino alla venuta

di Napoleone. Non vi sembrerà vero, infatti, mentre state per entrare nella centralissima piazza della Libertà, cuore pulsante della vita cittadina, di scoprire che sono due mori in vetta alla Torre dell’Orologio quelli che stanno battendo le ore e che alla vostra sinistra si apre quel gioiello in puro gotico veneziano che è la Loggia del Lionello. E quando poi vi accorgerete che dall’alto della sua colonna vi sta osservando con severa degnazione nientemeno che il Leone di San Marco, e che sul frontone del palladiano Arco Bollani un altro leone altrettanto sdegnoso vi aspetta per concedervi il passaggio verso la salita al Castello… sarà inevitabile voltarsi indietro a cercare il profumo della laguna! Ma niente


Splendore itinerante

Oggi, dell’artista che ha affascinato il Settecento europeo sono esposti a Villa Manin oltre sessanta dipinti e settanta disegni, arrivati da tutto il mondo

gondole né vaporetti. Siete invece nel centro di quella che, non a caso, è stata definita “la più bella piazza in stile veneziano sulla terraferma”: un luogo che è anche un po’ il concentrato visivo della storia di Udine attraverso il tempo. Oltre alle due statue seicentesche di Ercole e Caco, chissà perché familiarmente chiamate Florean e Venturin, e alla rinascimentale Fontana del Carrara, completa infatti l’arredo della piazza l’ottocentesco Monumento della Pace, testimone della fine dell’indipendenza veneta con la firma del Trattato di Campoformio. Come se foste capitati per caso tra le pagine di un libro di storia a cielo aperto!

In apertura Piazza della Libertà. Qui, due opere del Tiepolo: Abramo e gli Angeli e, sotto, Mecenate presenta le Arti Liberali ad Augusto

Fucina di talenti Qui è vissuto e ha lavorato a lungo Tiepolo, ma non per questo spetta soltanto a lui la palma della gloria locale. Udine è stata infatti città natale o di adozione di varie personalità, che si sono distinte nei settori più diversi, a ulteriore dimostrazione, come se ancora ce ne fosse bisogno, del patrimonio inestimabile che da sempre affonda le sue radici nella provincia italiana. Oggi è forse un po’ in ombra nella memoria collettiva una scrittrice che fu molto famosa durante il Risorgimento, Caterina Percoto, che ora definiremmo forse femminista ante litteram per la sua coraggiosa testimonianza di don-

Così come Villa Manin a Passariano di Codroipo, con il suo parco secolare di diciotto ettari, è certo il monumento simbolo del Friuli Venzia Giulia, testimone della grandezza e della tragedia della sua storia, nessuno meglio di Giambattista Tiepolo, di questa terra figlio d’adozione, ha saputo interpretarne la luminosità dei colori e la maestosa eleganza delle forme. Binomio quindi pressoché inscindibile, Tiepolo e Villa Manin sono ora ritornati insieme dopo quarantun anni dalla prima mostra realizzata in occasione del bicentenario dalla morte del pittore nato a Venezia nel 1696. Oggi dell’artista sono presenti in Villa oltre sessanta dipinti e più di settanta disegni, arrivati da tutto il mondo e disposti secondo un percorso cronologico e tematico, con l’ambizioso obiettivo di riuscire a indagarne il processo creativo. Da Villa Manin il visitatore è quindi invitato a spostarsi a Udine, grazie anche a un servizio navetta, per ammirare gli affreschi nel Palazzo Patriarcale, opera di un giovane ma già promettente Tiepolo, che a Udine tornò poi negli anni della maturità, chiamato a decorare chiese e palazzi nobiliari. Per chi vuole completare l’evento, la visita prosegue ancora al Museo Sartorio di Trieste che del pittore possiede ben duecentocinquanta disegni. A testimonianza del fatto che l’intera regione Friuli si è mobilitata intorno a Giambattista Tiepolo, l’artista che ha affascinato il Settecento europeo. fino al 7 aprile Giambattista Tiepolo. Luce, forma, colore, emozione. Villa Manin Passariano di Codroipo (Ud) www.villamanin-eventi.it

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l’italiainmostra

Una cucina che... fàs ai muarts tirà il flàt È, quella servita sulle tavole udinesi, una saporita cucina popolare che si arricchisce con gli aromi delle erbe spontanee delle vicine montagne, ma che risente anche, rivisitandole opportunamente, di suggestioni e influenze soprattutto mitteleuropee, mediterranee e slave. Piatto principe è il frico, calda e fragrante frittata a base di formaggio – ottimo il Montasio di montagna – a cui si aggiungono a scelta altri ingredienti: patate, cipolle, mele, erbe aromatiche… Uno spuntino per tutte le ore del giorno, e anche della notte, visto che al fàs ai muarts tirà il flàt (fa rivivere i morti) come dicono da queste parti. Magari in compagnia di un taj (bicchiere) di profumato bianco o di robusto rosso, da scegliere tra le otto Doc e le tre Docg del territorio. Retaggio della cucina povera di un passato ormai dimenticato è invece la polenta, oggi diventata soprattutto uno sfizioso contorno per accompagnare la pitina, curioso insaccato a base di capra o di selvaggina, o un piatto caldo di muset, cotechino friulano che si serve con la tradizionale brovada, fatta di rape fermentate nelle vinacce. Una fetta di dolcissima gubana ripiena di frutta secca e canditi e una grappa locale, magari dei Nonino, distillatori a Udine fin dal 1897, per chiudere in bellezza.

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Scelti per voi dove mangiare Agli Amici Una secolare trattoria dove la tradizione è sempre aperta alle novità: imperdibili gli gnocchi di Godia, ma anche i ravioli di pernice. Prezzo medio senza vino: 80 euro Via Liguria, 252 Godia (Ud) Tel. 0432.565411 www.agliamici.it

L’opera Cacciatore con cervo di Giambattista Tiepolo è tra quelle in mostra presso Villa Manin fino al prossimo 7 aprile

na e di artista. Tutti invece ricordano Ippolito Nievo, che trascorse l’infanzia tra Udine e il castello di Colloredo, divenuto poi luogo simbolo del suo immaginario, dove trovò l’ambiente adatto per fermarsi a scrivere Le Confessioni di un italiano. E nessuno ha certo ancora dimenticato Pier Paolo Pasolini, che a Udine, e soprattutto nella vicina Casarsa, dove ora è attivo un Centro Studi a lui dedicato, passò buona parte dell’infanzia e della giovinezza. Ma sono di Udine anche attori del calibro e della simpatia di Giuseppe Battiston e del fascino di Dalila di Lazzaro; e a Udine è nato il tennista Corrado Barazzutti, vincitore della Coppa Davis nel 1976. Per non parlare della mitica Udinese calcio, uno dei club più antichi d’Italia e quello con più presenze nel campionato di serie A. D’altronde, almeno secondo le annuali classifiche de Il Sole 24 Ore, la città di Udine ha battuto anche Milano per qualità della vita e capacità di offerta per il tempo libero. Un risultato che merita almeno una visita di verifica.

Ex Provinciali Una gestione giovane ed entusiasta per ridare vita a un luogo storico dell’enogastronomia cittadina. Da assaggiare il frico, classico o rivisitato. Prezzo medio senza vino: 30 euro Via della Prefettura, 3 Udine Tel. 0432.512073 www.exprovinciali.it Da Neto Ai margine del centro storico, un ambiente familiare dove la cucina friulana segue rigorosamente le stagioni. Prezzo medio senza vino: 25 euro Tel. 0432.283618 www.da-neto.it

dove dormire Best Western Là di Moret Un quattro stelle di tradizione, dotato di tutti i comfort e facilmente raggiungibile anche dallo svincolo autostradale. Camera doppia da: 99 euro Viale Tricesimo, 276 Udine Tel. 0432.545096 www.ladimoret.it

Suite Inn Un tre stelle centrale e accogliente per vivere i ritmi della città. Doppia a partire da: 98 euro Via Di Toppo, 22 – Udine Tel. 0432.501683 www.suiteinn.it Resort Villa Manin Struttura per non fumatori nel centro storico del paese, con centro benessere, piscina scoperta e spa attrezzata. Doppia a partire da: 80 euro Via Dei Dogi, 7 Passariano di Codroipo www.villamaninresort.it

dove comprare Fuocolento di Gusto Punto vendita di prodotti enogastronomici esclusivamente friulani di recente apertura, dove si organizzano anche serate a tema e degustazioni guidate. Via Castellana, 1 – Udine Tel. 0432.504573 www.fuocolento.it Nonino Una secolare distilleria dove, per tradizione di famiglia, continuano le produzioni di eccellenza senza aggiunta di aromi e coloranti. Via Aquleia, 104 Percoto (Ud) Tel. 0432.676331 www.nonino.it Pezzetta Qui si produce il mitico Montasio, indispensabile ingrediente del frico, ma anche il Latteria e gli insaccati tipici. Via Spilimbergo, 220 Fagagna (Ud) Tel. 0432.810825 www.pezzetta.it


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inviaggio

Germania, non solo fiere Berlino e Monaco. Due città profondamente differenti, ma certamente due mete imprescindibili di un viaggio in terra tedesca. Un tour che le tocchi entrambe potrebbe essere un’ottima idea per capire davvero questo Paese e le sue diverse anime. Ancora meglio se il viaggio prevede una tappa alle prestigiose rassegne organizzate in questo periodo: Fruit Logistica e F.R.E.E di Benedetta Raso

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Germania febbraio 2013

Febbraio: tempo di fiere in Germania. Mai come in questo periodo dell’anno, la Repubblica Federale è meta di viaggiatori e operatori professionali che sbarcano sulle sponde dell’Isar e della Sprea investendo il loro tempo per aggiornarsi sulle più importanti novità offerte dal panorama fieristico internazionale. I riflettori, infatti, sono tutti puntati rispettivamente su Monaco di Baviera e Berlino, cornici di un variopinto scenario espositivo atteso con suspence dal loro pubblico. La visita di una fiera potrebbe essere un pretesto per unire l’utile al dilettevole: un bel viaggio può conciliare il desiderio di aggiornarsi, di essere competitivi e al passo con i tempi, con la curiosità di visitare e scoprire due città tra le più belle e ricche di storia di Germania. E allora munitevi di guanti, sciarpa e tutto ciò che avete di più caldo e preparatevi ad affrontare un affascinante viaggio alla scoperta dell’anima tedesca.


Destinazione Berlino Dal 6 all’8 febbraio nella capitale tedesca si terrà la Fruit Logistica, fiera leader nel settore ortofrutticolo, la cui importanza è riconosciuta a livello mondiale. Nel 2012 oltre 56 mila visitatori e più di 2500 espositori vi hanno preso parte e le previsioni per il 2013 sono altrettanto ottimistiche. La Fruit Logistica rappresenta un’opportunità unica per avere una panoramica generale sulla concorrenza in questo settore e per capire come potersi posizionare all’interno del mercato ortofrutticolo stesso; inoltre seminari, workshop e conferenze mirano a informare i visitatori sulle attuali tendenze (orari: 8 -19 per gli espositori; 9 -18 per i visitatori). Altro vantaggio da non sottovalutare è sicuramente il confronto internazionale: immergersi in un contesto multiculturale e riuscire a coglierne gli aspetti nuovi potrebbe rivelarsi un’ottima strategia per diventare più attenti e consapevoli nei confronti di se stessi, del proprio lavoro e degli al-

tri. Naturalmente, oltre a visitare la fiera, vale la pena fare un giro in città. Berlino, centro politico e culturale della Germania contemporanea, vero e proprio agglomerato di diverse culture, colpisce per la sua dinamicità, la sua continua evoluzione e il suo fascino particolare, ricco di storia. Per avere una panoramica generale è consigliabile prendere l’autobus a due piani 100 oppure 200 (da Alexanderplatz), che alla modica cifra di 2,40 euro (la stessa degli autobus normali) percorre le principali attrazioni turistiche della città. Tuttavia si potrebbe anche iniziare un itinerario a piedi partendo dal quartiere governativo e dalla cupola del Reichstag (da visitare previa prenotazione sul sito del parlamento tedesco: www.bundestag.de) e proseguire poi a sud, verso la Porta di Brandeburgo, simbolo della Germania. Il percorso continua lungo l’affascinante Unter den Linden, che si estende per circa 1,5 km e che conduce nel cuore della Berlino est:Alexanderplatz.Ma prima di rag-

Germania

Monaco di Baviera

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inviaggio

Scelti per voi

Berlino dove mangiare Die Zwölf Apostel Si trova a pochi passi dall’isola dei musei. Anche se apparentemente è molto chic, in realtà questo ristorante offre una deliziosa cucina italiana a prezzi accessibilissimi. Si cena con 8-16 euro Georgenstrasse, 2 www.12-apostel.de Altes Zollhaus Situato sul canale di Kreuzberg, l’Altes Zollhaus (vecchia dogana) rappresenta un’ottima combinazione di raffinatezza e bon ton. I piatti proposti sono tipici della cucina tedesca. Da assaggiare assolutamente l’anatra arrosto. Menù da 25-39 euro Carl-Herz-Ufer, 20 www.altes-zollhaus-berlin.de Margaux Si tratta di un vero e proprio laboratorio culinario (una stella Michelin). Le sue innovative creazioni hanno reso lo Chef, Michael Hoffmann, molto famoso. Si cena con 30-40 euro Unter den Linden, 78 http://margaux-berlin.de

dove dormire Clubhause Hostel È situato nello stesso edificio del Kalkenscheune, centro organizzativo della vita culturale e notturna di Berlino. L’ostello sorge in una posizione ideale per visitare le principali attrattive. Singola o doppia a 54 euro; 18 euro in camerata con 3 o 4 persone Kalkscheunenstrasse, 4-5 www.clubhouse-hostel.de Hotel Transit Loft A 10 minuti dalla porta di Brandeburgo, questa sorta di bad&breakfast è accogliente e ben organizzato. Prezzi: 49 euro la singola, 59 la doppia Gteifswalder Strasse, 219 www.transit-loft.de Myer’s Hotel All’interno di un palazzo del XIX secolo in una zona piuttosto tranquilla. Singola da 80-130 euro, doppia da 100-165 euro Metzer Strasse, 26 www.myershotel.de

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A febbraio riflettori puntati su Monaco e Berlino, cornici di un variopinto scenario espositivo atteso con vivo interesse da un pubblico di esperti o appassionati di gastronomia e turismo Nelle due pagine precedenti: in apertura, una panoramica di Berlino con la Sprea e il Duomo in primo piano; a destra il Neues Rathaus di Monaco. Qui, la Porta di Brandeburgo, simbolo della capitale tedesca

giungere questa piazza e la sua famosa Fernsehturm (torre della televisione), sono doverose alcune soste.Merita di essere visitato il Berliner Dom (Duomo di Berlino), struttura imponente dallo stile Rinascimentale,e anche il Museuminsel (l’isola dei musei), un complesso museale nominato patrimonio Unesco che sorge proprio sulla Sprea, il fiume che attraversa la città. Qui si trova anche il Pergamon Museum, un vero tesoro di arte e architettura classica greca, romana, islamica, babilonese. Tornando lungo il viale Unter den Linden è possibile proseguire per Alexanderplatz, teatro di innumerevoli vicende storiche,passando attraverso il suggestivo Nikolaiviertel e il Rotes Rathaus (municipio rosso). Il secondo giorno lo potete dedicare alla Berlino postbellica. Visitate il famoso Checkpoint Charlie,la vecchia zona di confine tra est e ovest della città. Qui, da non perdere è anche lo Jüdisches Museum, che ripercorre la storia degli ebrei tedeschi. Proseguite il vostro percorso verso Potzdamer Platz, uno straordinario esempio di architettura moderna in parte made in Italy (c’è anche lo zampino di Renzo Piano) per poi giungere al Denkmal für die ermordeten Juden Europas, l’impressionante monumento all’Olocausto. Last but not least c’è ancora la East Side

Gallery, un tratto del muro reso galleria all’aperto. Per concludere questo fantastico itinerario, l’ultimo giorno potete visitare Berlino ovest: Schloss Charlottenburg, i musei della zona, come per esempio l’Ägyptisches Museum, e infine il Ku’damm, dove si può ammirare la Kaiser Wilhelm Gedächtniskirche, la chiesa della commemorazione dell’imperatore Wilhelm e dove potrete rilassarvi e dedicarvi allo shopping.

Sempre festa, non solo a ottobre! E ora spostiamoci verso sud, nella vivace e incantevole Baviera. Altro appuntamento da non perdere è F.R.E.E.,la più importante fiera del turismo e del tempo libero che si terrà a Monaco dal 20 al 24 febbraio. Accessibile ai visitatori dalle 10 alle ore 18, questa fiera propone tutti gli itinerari possibili e immaginabili per gli amanti del viaggio: l’offerta copre ogni tipo di esigenza, dalle vacanze termali ai viaggi in famiglia, dalle vacanze in camper al turismo nautico e molto altro ancora. Un vero e proprio serbatoio di idee per chi è alla ricerca di informazioni o vuole organizzare un viaggio. Intanto che siete lì approfittatene per visitare Monaco,capoluogo della Baviera.Famosa soprattutto per l’Oktoberfest, la città è fortemente caratteriz-


zata dalla tradizione, dal folklore e dalla gioia di vivere.Le principali attrazioni turistiche sono concentrate nell’Altstadt, ovvero nel centro storico, e possono essere tranquillamente visitate a piedi. Punto di partenza è la centralissima Marienplatz, cuore della città dove si erge l’edificio neogotico del Neues Rathaus, molto famoso per il Glockenspiel, l’orologio con carillon animato, diventato ormai simbolo della città. Seguono poi l’Altes Rathaus, il municipio vecchio, la Frauenkirche e la chiesa di S. Peter. Nei dintorni c’è anche la birreria storica della città, la Hofbräuhaus. Se si prosegue verso nord, si giunge sulla Maximilianstrasse, una delle vie più lussuose di Monaco. Qui si può ammirare il Nationaltheater, dove si esibisce l’opera bavarese di Stato. Poi non perdetevi per nessuna ragione il Viktualienmarkt,uno dei più grandi mercati europei di generi alimentari. Dedicate gran parte della seconda giornata alla visita della Residenz, il palazzo reale, e al giardino e al museo annessi. Molto interessante è anche lo Schwabing, il quartiere artistico. L’ultimo giorno si potrebbe visitare uno dei tanti musei: come il BMW Museum, o una delle suggestive pinacoteche che completano l’offerta culturale di Monaco. Concludete la giornata nel rilassante Englischer Garten, uno dei parchi più belli della Germania. Tra una visita turistica e l’altra fate una sosta in una delle tante biergarten, birrerie all’aperto, e gustate una buonissima birra bavarese, magari accompagnata da specialità locali quali il weisswurst, la salsiccia bianca, e da una brezel, sorta di ciambella salata. Come dolce non rinunciate alla prinzregententorte, una lontana parente della torta Sacher viennese. E ora non resta che augurarvi gute reise und viel spass (buon viaggio e buon divertimento)!

Per saperne di più: www.fruitlogistica.de www.free-muenchen.de

Scelti per voi

Monaco dove mangiare Fraunhofer Molto popolare e animato, caratterizzato da un’atmosfera ottocentesca. Vengono serviti piatti tipici della cucina tedesca, spesso anche rivisitati con un pizzico di creatività. Si mangia con 6-12 euro Fraunhofer Strasse, 9 www.fraunhofertheater.de

La torre dell’orologio del Municipio (Neues Rathaus) di Monaco

Assaggi teutonici A Berlino, da provare assolutamente i tipici currywurst (pezzi di salsiccia immersi in una salsa al curry) e le boulette (polpette). Si trovano negli innumerevoli stand sparsi capillarmente in tutta la città. Per quanto riguarda le specialità bavaresi, invece, recatevi al Viktualienmarkt di Monaco per gustare i tipici weisswurst, oppure a prezzi più economici da Metzgerei Bauch (macelleria) nella Thalkirchner Strasse al 61-63. Per la birra locale, niente di meglio di un salto alla Hofbrauerei (www.hofbraeuhaus.de), mentre per i bretzel va benissimo uno dei qualsiasi bäckerei (panifici) della città. Un assaggio di prinzregententorte infine fatelo presso la Caspari Bäckerei Konditorei al 58 di Eversbuschstrasse.

Hundskugel Il locale più antico e quindi anche il più famoso e affollato di Monaco. La genuina cucina bavarese è il suo cavallo di battaglia. Date le dimensioni piuttosto limitate, è consigliabile prenotare in anticipo. Si mangia con 10-18 euro Hotter Strasse, 18 Dukatz im Literaturhaus Elegante bistrò frequentato perlopiù da una clientela raffinata e intellettuale. È possibile prendere spuntini o portate più sostanziose. Si cena con 15-30 euro Salvatorplatz, 1

dove dormire Hotel Jedermann Il buon rapporto qualità-prezzo fa di questo hotel uno dei più apprezzati della città. Da 49 euro la singola e 65 la doppia Bayer Strasse, 95 www.hotel-jedermann.de Hotel Monaco Si trova a dieci minuti a piedi dal centro. Dispone di stanze per allergici. Da 45 euro la singola e 55 la doppia Schiller Strasse, 9 www.hotel-monaco.de Deutscher Kaiser Affascinante albergo nei pressi della stazione e a 500 metri dal centro storico. È uno degli edifici più alti della città: quasi tutte le camere godono di una vista mozzafiato su Monaco. Singola da 100 euro, doppia da 140 Arnulfstrasse, 2 www.nh-hotels.de

www.monacobaviera.com www.visitberlin.de www.berlino.com www.tuttobaviera.it/monaco.html

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di Isa Grassano

una città in 24 ore

dove mangiare Elephant & Castle Noto per le prelibate ali di pollo da mangiare rigorosamente con le mani. Prezzo medio: 20 euro 18 Temple Bar Tel. +353 (0)16793121

Dublino in 5 tappe Il 2013 è l’anno del The Gathering Ireland: eventi e festival che celebrano l’Irlanda e tutto ciò che è irlandese. Quale migliore occasione quindi per organizzare un fine settimana nella capitale? La città “più amichevole d’Europa” riesce sempre a stupire e a divertire 1 - Passeggiare nei giardini di Trinity College È uno dei più prestigiosi istituti d’istruzione a livello europeo e sede dell’University of Dublin, la più antica d’Irlanda, istituita ai tempi della Regina Elisabetta I (nel 1592). Tra i suoi studenti più famosi c’è lo scrittore Samuel Beckett (1906-1991). Passeggiare tra i suoi giardini significa respirare un’atmosfera d’altri tempi, tra il via vai di studenti provenienti da ogni parte d’Europa e i Rubrics dai mattoni rosso rubino, in tipico stile georgiano. Da vedere anche la biblioteca: fiore all’occhiello è il Book of Kells, manoscritto illustrato dai monaci celtici contenente i quattro Vangeli e il Nuovo Testamento. 2 – Fare un tour per Temple Bar Sicuramente il quartiere più popolare della città e cuore della movida, pullula di pub e locali di ritrovo. Ogni domenica mattina la zona si risveglia con il mercato dei produttori locali che aprono i banchetti di cibi biologici, frutta, fiori, salumi e ostriche. Per gli appassionati di fotografia, sempre in zona, c’è il National Photographic Archive (www.nli.ie). Oltre 600 mila le fotografie in esposizione e mostre a tema. 3 - Godere dell’arte a San Patrizio L’ingresso è a pagamento ma ne vale la pena. La St.Patrick’s Cathedral, meraviglia dell’arte gotica, spicca nel cielo con la sua torre che si eleva fino a 69 metri di altezza. Si dice che la chiesa sia stata eretta

sul pozzo in cui San Patrizio (patrono della città e protagonista del grande Festival del 17 marzo), nel 450 d.C., battezzava i convertiti al cristianesimo. Oggi è di fede protestante ed è il più grande edificio religioso di tutta l’Irlanda. www.stpatrickscathedral.ie 4 - Sorseggiare una Guinness Il Guinness Storehouse è uno dei simboli cittadini. Qui, la birra dal sapore intenso e il colore rosso rubino scorre a fiumi. La visita all’edificio (ha la forma di una gigantesca pinta) fa scoprire curiosità sulla produzione, dagli ingredienti ai trucchi per la spillatura ad aneddoti e pubblicità del passato. Inclusa nel biglietto la consumazione presso il Gravity Bar, a 44 metri di altezza, fatto completamente di vetrate per avere tutta la città ai piedi. 5 – “Incontrare” Daniel O’Connell Inusuale ma ricca di emozioni è la visita al monumentale Glasnevin Cemetery (aperto nel 1832). Cinquantadue ettari colmi di lapidi e di alberi secolari, circondati da alte mura e protetti da torri di guardia degne di una fortezza. A orari prestabiliti ci sono anche tour guidati (www.glasnevintrust.ie). Si visita l’ultima dimora di Daniel O’Connell: la gigantesca torre circolare che, con i suoi 51 metri, è la più alta di tutta l’Irlanda. E c’è persino un bar, il Café Torre, proprio all’interno del cimitero con “vista” sulle tombe, dove gustare un tè caldo o alcuni piatti tipici.

Davy Byrne Celebre pub, citato nell’Ulisse di Joyce. 21 Duke Street, Co Dublin, Dublin 2 Tel. +353 (0)16775217 www.davybyrnes.com

dove dormire Temple Bar Hotel Comodo e centralissimo. Doppia da 64 euro 13-17 Fleet Street, Temple Bar Tel. +353 (0)16773333 www.templebarhotel.com The Gibson Hotel Design moderno nella zona dei Docklands. Doppia da 99 euro Point Village,
Dublin 1 www.thegibsonhotel.ie

shopping Se sognate un copricapo scultura, da Philip al Design Center c’è l’imbarazzo della scelta. Si trovano anche scialli e coperte fatti a mano con la riproduzione di antichi simboli celtici. 18 Kildare Street Tel. +353 (0)16761421 www.designcentre.ie

L’idea in più Se dopo il tour classico vi viene voglia di strafare, allora vale la pena raggiungere Forty Foot Pool, a Sandycove, promontorio a sud della capitale irlandese, poco fuori città. Nelle acqua della baia è possibile fare il bagno. Info: Turismo Irlandese www.discoverireland.com

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viaggipertutteletasche

di Alba De Gasperis

da 30 ada5030 aeuro 50 euro Comodo come… una roulotte Prezzo medio a notte: 30 euro Ecco la proposta dell’Huettenpalast Hotel di Berlino che offre ai suoi ospiti sistemazioni in camere nelle quali si ergono indisturbate, tra amache e sedie a dondolo, fedeli e curate riproduzioni di roulotte old style, piccole casette o capanne di legno. Ma a Berlino, si sa, le stramberie son di norma e spesso facilmente accessibili: il prezzo di una notte in una camera dotata di caravan doppio è di 65 euro. Per saperne di più: www.huettenpalast.de

Com’è salato quell’albergo! Prezzo medio a notte: 50 euro

Per un febbraio favoloso C’era una volta un aereo che non voleva più volare e aveva aperto le sue porte agli amici. C’era anche un hotel, ma le sue pareti erano fatte di sale. C’era un bambino bisognoso che viveva lontano lontano e un cavaliere felice di andare ad aiutarlo. Sono solo fantasie? No, sono i protagonisti delle proposte viaggio di questo mese!

da 0 a 0 euro

da 0 a 0 euro

Una settimana che dura tutto l’anno Prezzo medio a notte: 0 euro Si chiama Settimana del baratto, ma i giorni in cui si può scambiare un pernottamento sono potenzialmente infiniti. Sì, perché se si spulcia per benino l’elenco di chi aderisce alla simpatica iniziativa, è possibile scovare alberghi, bed&breakfast e simili che offrono ospitalità in cambio di beni e servizi, udite-udite, all year long. Sono infatti circa 800 le strutture che aderiscono alla formula “baratto tutto l’anno”. Per saperne di più: www.settimanadelbaratto.com

Altruisti e felici Prezzo medio a notte: 0 euro Esistono network dedicati alle opportunità di volontariato low cost che permettono di fare del bene e... viaggiare a costo zero. Sistemi come Vaops, Se7en, Woofing, Winrock e tanti altri ancora offrono soggiorni gratuiti (o molto economici) in cambio di aiuti nella realizzazione di programmi diversificati a favore dell’ambiente, del sociale o del benessere di una realtà in difficoltà. Navigate i siti dedicati per scoprire la causa e il viaggio annesso più giusti per voi. Per saperne di più: www.vaops.com www.the7interchange.com www.wwoof.org www.winrock.org

È l’albergo più salato che ci sia, eppure il conto si aggira sui 100 dollari a notte. Già, non si tratta di denaro, ma di un’altra materia: quella di cui è fatto. Si chiama Salt Palace e si trova nel bel mezzo della Salar de Uyuni in Bolivia, a 3.656 metri slm, presso una delle saline più affascinanti al mondo. Montagne, gayser, fenicotteri, silenzi assordanti e tramonti mozzafiato completano il quadretto. Per saperne di più: www.palaciodesal.com.bo

da 120 a 190 euro

da 120 a 190 euro Sulle tracce dei fratelli Grimm Prezzo medio a notte: 120 euro

Seicento chilometri da favola lungo la strada più famosa al mondo: da Hanau a Brema, la Marchenstrasse si snoda lungo una sessantina di tappe legate alla vita e all’epoca dei padri di Cenerentola, i fratelli Grimm. Sul sito è possibile pianificare il proprio itinerario o scegliere e acquistare uno dei pacchetti proposti. Ad esempio il Fairy-Tale to the Sea, che prevede sette notti in sistemazioni da fiaba, il noleggio di un’auto dotata di Gps e tutte le indicazioni per visitare e rivivere i luoghi delle vostre storie preferite. Per saperne di più: www.deutsche-maerchenstrasse.eu

Allacciate le cinture, si parte Prezzo medio a notte: 190 euro Destinazione Costa Rica. Ad attendervi un boing 727 del 1965 trasformato in suite di lusso. Due le camere da letto ricavate all’interno della fusoliera immersa nella verde giungla del Parco Nazionale Manuel Antonio, con vista mozzafiato sull’Oceano Pacifico. I prezzi variano a seconda della stagione: una notte a bordo della jumbo suite, tra gennaio e aprile, costa 500 dollari (circa 380 euro) più tasse. Per saperne di più: www.costaverde.com Tutti i prezzi medi sono da intendersi a persona febbraio 2013

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Vuoi lavorare con noi?

magazine Cerca account di vendita nelle aree servite da Air One Veneto - Friuli Venezia Giulia - Lombardia - Piemonte - Toscana - Marche - Umbria Campania - Puglia - Basilicata - Calabria - Sicilia La persona che cerchiamo deve avere un profilo culturale elevato e una forte capacità comunicativa. Dovrà interloquire, per conto del nostro giornale, con le istituzioni e con le più importanti aziende del territorio. L’inquadramento prevede un trattamento economico a provvigioni, con percentuali importanti. Gli strumenti consegnati all’account saranno di prim’ordine e con caratteristiche di esclusiva. La proposizione nei confronti delle aziende dovrà essere di alto livello professionale. Se siete davvero motivati e interessati, telefonate al numero 02.89053250 oppure mandate il vostro curriculum via mail all’indirizzo trafficostampa@operaitaliasrl.net Opera Italia Srl - Via Pola, 15 - 20124 Milano - Tel: 02-89053250 - Fax: 02-89053291 - info@operaitaliasrl.net


Piaceri Piaceri 108 114 121 113

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108 Mascheramenti ad arte

Guerrino Lovato, mascariere veneziano, ci racconta quest’antica usanza carnevalesca

110 I piaceri di Bacco Auto di lusso e buon vino italiano: un binomio suggestivo. Parola di Range Rover

da pag. 112 Rubriche

• Bellezza & benessere • Soste d’arte • Week-end relax • Week-end verde • Libri • Spettacoli • Shopping • Trendy

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artigianato

Mascheramenti ad arte di Alba De Gasperis

È un mestiere che va scomparendo, quello del mascariere. Anche a Venezia, sono ormai poche le botteghe che creano, come tradizione vuole, gli splendidi “volti dipinti” da sempre protagonisti del nostro immaginario carnevalesco. A raccontarci la storia di questa tradizione da preservare Guerrino Lovato, padre della moderna arte della maschera artigiana 108

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C’erano una volta i mascarieri. Era il lontano 1436, quando un gruppo di artigiani fondò la corporazione dedicata all’arte della maschera. Queste fantasiose opere d’arte, in carta pesta o tela cerata, erano sottili e leggere, facilmente indossabili. Venivano principalmente impiegate nelle rappresentazioni teatrali e avevano il compito di sottolineare vizi e difetti, contribuendo così a “caricare” i personaggi di una specifica identità. Ed è proprio il teatro di Carlo Goldoni che ne decreta il successo, mettendo in scena quelle che saranno poi universalmente riconosciute come le classiche maschere della Commedia dell’Arte. Come Arlecchino o Pulcinella, ad esempio. Ma dal palcoscenico alla vita reale il passo è breve: nel 1700 l’usanza del travestimento, normale pratica quotidiana, rappresen-

ta un gioco, una divertente libertà. Ecco allora che durante il carnevale il “mascheramento”, a Venezia ma non solo, raggiunge il suo massimo apice. Dopo quasi tre secoli, in concomitanza col Trattato di Campoformio del 1797 che impone la cessione di Venezia all’Austria, questa festa smarrisce la sua anima e la sua vena artistica. Ma non per sempre. «Con la fine della Repubblica di Venezia, e per quasi tre secoli, quest’arte va perduta. È solo nel 1970 che si riscopre il tradizionale e il popolare: in questo periodo avviene il revival dell’arte dei mascarieri». È il maestro Guerrino Lovato, uno dei fautori della riscoperta di quest’usanza, a raccontarci il rifiorire dell’arte e dell’utilizzo delle maschere, non solo a uso teatrale ma anche carnevalesco. «Nel 1977, insieme a tre cari amici, aprii a Venezia un laboratorio artigia-


Oggi, ahinoi, sopravvivono a Venezia ancora poche botteghe artigiane, che andrebbero riconosciute e tutelate, sotto ogni punto di vista

Sogni (e incubi) di cartapesta Anche a Viareggio ogni anno entrano in gioco abili artigiani che, ispirati ai personaggi della politica, della cultura e dello spettacolo, si sfidano a suon di manualità, sapienza e creatività mettendo in scena enormi carri allegorici, il cui fil rouge è un mix di satira e ironia. Ma cosa significa preparare un carro? «Un buon progetto ben definito ha bisogno di almeno un mese e mezzo di tempo, mentre la realizzazione vera e propria dovrebbe, teoricamente, avere a disposizione cinque mesi. Molto dipende dal buon funzionamento della burocrazia. Quest’anno noi abbiamo potuto iniziare i lavori a fine ottobre. Per quanto riguarda l’impiego di risorse umane, ora la nostra squadra al completo conta nove persone, ma il numero di maestranze coinvolte varia in relazione al progetto: alcune volte servono più fabbri, altre volte più decoratori…» spiega Umberto Cinquini, che insieme al fratello Stefano, è autore di Guerra dei Poveri, uno dei carri in concorso alla sfilata. Ed è proprio il 3 di febbraio che ha inizio il mese di festeggiamenti per celebrare i 140 anni del Carnevale di Viareggio, una tradizione che risale al 1873, anno in cui alcuni ricchi borghesi decisero di mascherarsi e organizzare una parata di carrozze per protestare contro le tasse. Curiosità altrettanto interessante riguarda i materiali utilizzati nella realizzazione dei carri: quella della cartapesta, o carta da calco, è una tecnica utilizzata dal 1925 e rientra in una filosofia del recupero e del riciclo che è stata possibile grazie alla povertà dei materiali impiegati nella lavorazione (come giornali, colla di farina, creta, gesso…) ed è una caratteristica della tecnica viareggina, nonché parte integrante dello spirito di questa grande festa.

no. E fu così che quando scoppiò il boom del Carnevale, intorno al 1980, ci trovammo lì, in prima linea, tra i pochi a essere pronti a vendere le nostre belle maschere».

La fine di un’era?

In apertura e qui, in alto, due immagini del Carnevale di Venezia: protagoniste sono, come sempre, le maschere della tradizione con sorprendenti variazioni sul tema. Si tratta però di creazioni artigianali o di copie a basso costo? Sotto, un’immagine del Carnevale di Viareggio

Pochi anni dopo, nel 1983, Guerrino apre Mondonovo, una delle botteghe artigiane più famose della città, che, in trent’anni di attività, ha sfornato più di 800 tipi di maschere, alcune delle quali raccolte ed esposte nel Museo del Carnevale e del Teatro di Malo, in provincia di Vicenza. «Si tratta di antologie che spaziano dalle maschere classiche tipiche della Commedia dell’Arte e declinate in svariate versioni, a quelle egiziane, greche, romane, barocche, per poi approdare nel magico mondo dei cartoon e della Walt Disney», ci spiega. Ma non solo. La sua maestria ha incrociato interventi artistici per il grande Teatro della Fenice, per il Papa, per registi del calibro di Stanley Kubrick e Franco Zeffirelli. Mondonovo ha chiuso i battenti dopo quasi trent’anni di attività, nel 2010. «È cambiato il mondo. La concorrenza a basso costo è proposta a un prezzo dieci volte inferiore rispetto a quello di un manufatto artigiano. Un tempo la qualità dei prodotti era tutelata e controllata, non bastava esser commerciante per vendere le maschere, ma bisognava essere un vero e proprio artigiano. Oggi, ahimè, non è più così». E oggi, ahinoi, sopravvivono a Venezia ancora poche botteghe artigiane, che andrebbero riconosciute e tutelate, sotto ogni punto di vista.

Per saperne di più: www.maskedart.com www.museialtovicentino.it www.fratellicinquini.com febbraio 2013

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ipiaceridiBacco

Vini & motori gioie e sapori di Piero Caltrin

Stile, tradizione e amore per il territorio in tre itinerari a bordo della nuova Range Rover. Un viaggio tra Piemonte, Toscana e Campania per assegnare gli ambiti DiWine Award 110

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«La vita è troppo breve per bere del vino cattivo» scriveva, nel ’700, il tedesco Lessing, filosofo e umanista di rara arguzia letteraria, dando anima e poesia a un concetto da sempre caro – grazie a Dio! – a molta parte dell’umanità. Il buon vino, del resto, è uno dei piaceri che, da mille anni o giù di lì, accompagna la storia dell’uomo, a maggior ragione se abbinato – a piacer vostro – alla buona tavola, alla buona compagnia o ad altri sommi diletti della vita. Ma avete mai pensato a un ardito connubio tra il piacere del vino e quello dei motori? Ai tempi di Lessing, certo, sarebbe stato un po’ difficile ma, ai giorni nostri, ci ha pensato Land Rover, la storica casa automobilistica inglese che di piaceri della vita, oltre che di lusso, probabil-

mente un po’ se ne intende. E che in occasione del 40esimo compleanno della sua ammiraglia, quella Range Rover nota ai più come “il fuoristrada più lussuoso del pianeta”, un paio d’anni fa, anche per omaggiare l’Italia e le sue eccellenze enogastronomiche, cosa s’è inventata? Un suggestivo, emozionante e gustoso percorso a tappe su e giù per lo Stivale alla scoperta dei migliori vini emergenti italiani. Suggestivo, perché tocca tre affascinanti aree geografiche della nostra penisola, emozionante come la guida a bordo dei confortevoli e scattanti Suv marchiati Range Rover, gustoso infine appunto perché coronato (e qui ritorna il nostro buon Lessing…) dall’assaggio di vini straordinari legati ai territori e alle loro tradizioni.


Seguendo i profumi di Nebbiolo Provate a immaginarlo dunque, questo singolare viaggio turistico-degustativo che ormai dal 2010 mette insieme il meglio delle auto di lusso internazionali con l’eccellenza dell’enologia del Belpaese. E che, alla fine del tour, riconosce ai migliori vini dell’anno – votati secondo il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo – il premio finale Range Rover DiWine Award. Nel 2012, la prima tappa è stato il Monferrato. Partendo da Fubine, dove ha sede la Cascina Meraviglia, splendido edificio del ’600 trasformato dall’enologo-scienziato Donato Lanati in un moderno laboratorio per la ricerca e la cultura del vino, la flotta di Range Rover con a bordo alcuni dei più autorevoli sommelier italiani indicati dall’Ais (Associazione Italiana Sommelier), ha attraversato le Langhe in un percorso ricco di cantine sociali che sorgono tra le colline per giungere fino a Castiglione Falletto. È lì, nel cuore della zona del Barolo, che i sommelier ingaggiati da Range Rover hanno scovato e premiato con i 5 Grappoli dell’Ais il Barolo Millesimo 2007 prodotto dalla cantina di Livia Fontana e risultato vincitore dunque della prima tappa del DiWine Award. Un vino importante, risultato di un invecchiamento di 36 mesi in botti di rovere francese, carico di “profumi Nebbiolo”, dal gusto che sorprende e avvolge il naso con aromi di fiori e bacche, a cui si affiancano corpo pieno e tannini maturi.

Direzione: Rosso di Montalcino Dalla terra del tartufo e del Barolo, un itinerario enogastronomico che si rispetti non poteva che portare le Range Rover tra le dolci colline toscane, in Val d’Or-

cia.Qui,tra le molte realtà interessanti delle province di Siena e Grosseto, non è mancata una visita al Podere Forte nei pressi del borgo di Castiglione d’Orcia. Il Podere, appartenuto nei secoli allo storico casato senese dei Petrucci, è stato rilevato da Pasquale Forte, divenendo in poco tempo una realtà produttiva d’eccellenza, tra i cui vini spiccano Guardavigna e Orcia Rosso Petrucci. Proseguendo in direzione Montalcino, circondata da 50 ettari di vigneti e uliveti, si trova la cantina del Marchesato degli Aleramici, il cui Brunello riceve da anni menzioni speciali a Vinitaly ed è stato incluso nell’annuario dei migliori vini italiani. Ad aggiudicarsi il podio di questa seconda tappa è stato il Rosso di Montalcino 2009 della Cantina Baricci. Prodotto in 18 mila esemplari, questo vino dal sapore soave all’assaggio e dalla struttura equilibrata, si apre nel finale con una sensazione di freschezza e si eclissa su un richiamo minerale di sodio e di gesso.

In apertura, la silhouette della Range Rover che ha attraversato l’Italia alla ricerca di eccellenze enologiche da premiare (qui sopra i tre vini sul podio per il 2012)

Un vino che sa di terra, fuoco e mare L’ultima tappa del viaggio tra vini e motori ha condotto quindi a Sorrento, dove percorrendo l’incantevole Costiera Amalfitana si arriva a Furore, fiordo tra Positano e Amalfi e set naturale di un film di Rossellini e dell’amore tra il regista e Anna Magnani. Qui, su 5 ettari di rocce dolomiticocalcaree, si trovano le cantine Cuomo, un esempio unico di vigne strappate alla roccia da cui nasce una produzione di 50 mila bottiglie, il cui 60% è costituito da vino bianco. Un esempio di vera sfida dell’uomo alla natura. A vincere la terza tappa del Diwine Award è l’Etna Rosso 2010, prodotto in 24 mila esemplari dalla famiglia Graci. Un altro vino il cui sapore è espressione del territorio in cui viene prodotto: crocevia di terra, fuoco e mare.

Un’icona ancora più performante La nuova Range Rover è la quarta generazione del Suv più lussuoso e capace del mondo. Riprogettato da zero, è il primo con scocca interamente in alluminio che, più leggera del 29% rispetto al modello precedente, ha permesso una riduzione sensibile di consumi ed emissioni. Un modello che racchiude tutto lo spirito innovativo e il design iconico della versione originale che cambiò il mondo dell’auto già dal suo lancio, più di quaranta anni fa.

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bellezza&benessere

Se la crema viso… è “verde” Non spaventatevi, non si tratta di una pozione magica. O forse sì? I cosmetici green, ovvero realizzati con prodotti certificati bio, ci fanno belle nel rispetto della natura. E del portafogli. Se non è magia questa! È noto a tutti che l’uso dei cosmetici risale all’epoca della pietra. Si possono citare passi importanti della Bibbia dove compare l’utilizzo di oli, profumi e creme prodotti con cardamomo, grasso animale, cannella, miele, henné e mirra. Nulla da eccepire: solo prodotti naturali! Oggi persino gli uomini ricorrono a ritocchi cosmetici più o meno appariscenti. Ma quanto incidono questi trattamenti di bellezza sulla nostra salute? Ciò che utilizziamo giornalmente per la cura della pelle o per truccarci viene assorbito dal nostro corpo, per non parlare dei rossetti che vengono anche ingeriti: alcuni studi hanno dimostrato che una donna mangia in media un rossetto intero nel corso della vita! Senza dimenticare che la scelta di “cosmetici giusti” è im112

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di Azadeh Asgari

portante non solo per la tutela della nostra salute, ma anche per rispettare ambiente e natura. E mentre spesso anche le marche più prestigiose propongono soltanto miscele di sostanze chimiche, si sente sempre più parlare di cosmetici bio, vale a dire fatti con ingredienti certificati biologici, dai quali è stata eliminata una serie di fattori viscosizzanti, emollienti, conservanti, additivi, antiossidanti, filmanti e allergeni di profumo che sono la causa principale di una accentuata stanchezza della pelle dopo un uso costante, di irritazioni e allergie cutanee che in alcuni casi non sono facilmente curabili. Tra gli elementi sopracitati sono da evitare soprattutto la categoria dei conservanti tipo Parabene come per esempio Ethylparabene, Buthylparabene, Methylparabene e via dicendo. Nel medio periodo poi, i cosmetici bio costano anche molto meno di un vasetto di crema di una qualsiasi multinazionale, senza dimenticare che quest’ultima deve percorrere centinaia di chilometri prima di arrivare nella nostra trousse, mentre una crema elaborata con ingredienti bio coltivati, raccolti e certificati nel nostro territorio ci fa apparire più belle senza danni all’ambiente e alla nostra pelle. Infatti, principale pregio di un cosmetico “verde” è sostanzialmente quello di essere confezionato con materie prime di origine vegetale. Lo spiega bene Gian Luca Mortara, tecnico di laboratorio presso la Emmedue Cosmetics di Ozzano Monferrato (Al). «Nel caso di creme per la pelle vengono utilizzati esclusivamente oli vegetali come quello extravergine di oliva, di mandorle, di nocciola del Piemonte, di cocco o di karité. Questi oli hanno il compito di idratare la pelle, nutrendola e rendendola elastica. Se poi si vogliono ottenere, ad esempio, creme protettive, ristrutturanti o cicatrizzanti, gli oli vengono messi a contatto con aloe o iperico, ottenendo principi attivi con i quali poi si miscelano. Nel caso degli shampoo curativi della forfora invece, si utilizzano ad esempio tensioattivi (quindi agenti che procurano schiuma) vegetali provenienti da mais o cocco aggiunti a estratti con tecnologia a ultrasuoni da ortica e propoli. Come si intuisce, una volta utilizzati, questi prodotti non sono dannosi all’ambiente». Una scelta intelligente per la tutela della nostra salute e dell’ambiente che viviamo, per apparire sempre belle anche nei tempi di crisi, no? Per saperne di più: www.biodizionario.it www.antoscosmesi.it www.verdealternativa.it


arte soste d’arte

di Gilda Ciaruffoli

Borderline

Wildlife Photographer of the Year Per il quarto anno, il principale polo culturale della Valle d’Aosta ospita in esclusiva la prima tappa italiana del tour mondiale della mostra fotografica che raccoglie oltre cento immagini, vincitrici nelle 18 categorie del concorso indetto dal Natural History Museum di Londra in collaborazione con il BBC Wildlife Magazine e giunto alla sua 48esima edizione, senz’altro

il più prestigioso al mondo nel suo genere. Sabato 4 e domenica 5 maggio si svolgerà inoltre un Master dedicato all’approfondimento delle tecniche di fotografia naturalistica tenuto da professionisti del settore. Per prenotazioni: 0125.833886

Artisti tra normalità e follia.
Da Bosch a Dalì, dall’Art brut a Basquiat è il sottotitolo di una mostra che intende esplorare gli incerti confini dell’esperienza artistica al di là delle categorie stabilite nel corso del XX secolo, individuando così un’area della creatività dai contorni mobili, dove trovano espressione artisti riconosciuti ma anche autori ritenuti “folli”, “alienati”. In mostra quindi le opere di Bacon, Basquiat, Dalì, Ernst i ritratti di Ghizzardi, Ligabue, Van Gogh… ai quali fanno da contrappunto i lavori di artisti dell’Art Brut, outsider della scena ufficiale, nel tentativo di stabilire confronti sull’ambiguo limite tra la creatività degli alienati

e il disagio espresso dall’arte ufficiale dell’ultimo secolo.
 17 febbraio – 16 giugno MAR – Museo d’Arte Via di Roma, 13 – Ravenna www.museocitta.ra.it

2 febbraio – 5 maggio Forte di Bard (Ao) www.fortedibard.it

Meraviglie dell’arte fiamminga Unica Fine Art Expo Torna la manifestazione che, da quasi 30 anni, dipinge un affresco completo e variegato dell’arte antica. Nucleo originario della Fiera è il Salone dell’alto antiquariato, dove ammirare e acquistare mobili dal ’500 al Decò, dipinti, ceramiche e maioliche, oggetti d’arte, gioielli... Da non perdere anche la rassegna di pittura Excelsior, focalizzata

sulla produzione dell’800, le antichità per esterni di Petra e il nuovo salone dedicato all’artigianato di prestigio: Eytt, ovvero Excellence Yesterday Today Tomorrow. 16-24 febbraio Quartiere Fieristico, Modena V.le Virgilio, 70/90 www.unicaexpo.it

Il Chiostro del Bramante ospita una grande mostra sui capolavori della dinastia Brueghel che ripercorre la storia e l’eccezionale talento della più importante stirpe di artisti fiamminghi attivi tra il XVI e il XVII secolo, attraverso oltre 100 opere tra dipinti, disegni e grafiche. La dinastia ha in Pieter Brueghel il Vecchio, la cui biografia nota è scarsa e dai tratti misteriosi, il suo capostipite, e si articola in modo complesso e per generazioni, esprimendosi artisticamente in

un cammino affascinante che si muove tra denuncia, allegoria e grottesco. Il percorso della mostra si focalizza attorno alle vicende di ciascun artista della famiglia e si sviluppa secondo una logica a rete, abbracciando i riferimenti internazionali e i fatti storici del periodo di riferimento. fino al 2 giugno Chiostro del Bramante Via Arco della Pace, 5 Roma www.brueghelroma.it febbraio 2013

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week end relax

di Piero Caltrin

Come una regina delle nevi

Cortina 114

Se amate le atmosfere da Primo Novecento, l’eleganza chic e ovattata delle dimore storiche che hanno ispirato artisti e letterati e, ovviamente, se siete disposti a farvi sedurre dal fascino di una città senza tempo come Cortina d’Ampezzo, allora questo è il posto che fa per voi. Dal 1923, da quando cioè Luigia Franceschi lo trasformò da vecchia casa colonica in piccola pensione, l’attuale Franceschi Park Hotel, conservando il fascino di un albergo dal tipico stile ampezzano, ha attraversato un secolo intero scalando le vette dell’ospitalità e dell’accoglienza di alto livello fino a conquistare, nel settembre 2010, la quarta stella. Se decidete che vale la pena passare una o più notti in quello che ancora oggi ricorda un elegante castello, la prima cosa che vi colpirà, appena varcata la soglia, saranno gli ampi saloni impreziositi da pregiate stufe in maiolica, piccola anticipazione delle camere, arredate con raffinatezza e dotate di ogni comodità. A dominare – e riscaldare – è il legno, presente nei rivestimenti alle pareti e nei pavimenti: dalla classic alla junior suite, passando per la comfort, le stanze sono dotate di tv satellitare, wi-fi e alcune di vasca idromassaggio. Le finestre si affacciano sul più grande parco privato di Cortina, un’oasi di pace nell’abbraccio dei “maestri muti”, come amava chiamarli Goethe. Un giardino quasi incantato dove si può oziare ammirando un panorama che è patrimonio Unesco, lasciare liberi i bambini o, perché no, mettersi alla prova

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su un campo da tennis e in quello da bocce. A deliziarsi non solo gli occhi: il gusto di Cortina si scopre anche a tavola. È lasciata alla fantasia e alla maestria dello chef la creazione di percorsi gourmet, tra i sapori della montagna e quelli tipici italiani. Crocevia di culture, Cortina condensa nella propria tradizione gastronomica tipicità venete e tirolesi. Tra erbe spontanee e profumo di sottobosco, l’appuntamento fisso con la cena tipica ampezzana è fissato per il martedì. La quiete meditativa della vacanza soft, la suggestione evergreen della location di Cortina e la tradizione enogastronomica di qualità non sono però gli unici atout del Franceschi: l’hotel è anche punto di riferimento per gli sportivi. Membro dei Nordic Ski Hotel, fornisce agli appassionati della disciplina servizi ad hoc: colazione energetica, informazioni tecniche aggiornate ogni mattina, consigli sulla paraffina da usare e l’opportunità di scendere nella Waxroom, un ambiente creato appositamente per la sciolinatura. Mens sana in corpore sano, insomma. Niente di più vero qui, dove fino al 13 marzo si potrà approfittare anche del pacchetto “Nature & Wellness”. Un soggiorno di quattro notti, coccolati dai trattamenti del centro benessere. Sauna, bagno turco, Jacuzzi, doccia solare e massaggiatrice sono gli ingredienti giusti per lasciarsi alle spalle le fatiche quotidiane. E a chi preferisce l’avventura basterà mettersi le ciaspe e partire in escursioni nel Parco Naturale delle Dolomiti d’Ampezzo.

Sono quattro le stelle che illuminano la via verso il Franceschi Park Hotel, raffinata struttura che richiama, negli interni, l’eleganza tipica dei primi decenni del secolo scorso, e negli esterni un castello delle fiabe. La sua offerta poi fa sognare l’ospite gourmet come lo sportivo e chiunque ricerchi una pausa di relax

dove&come Franceschi Parkhotel Via Cesare Battisti, 86 Cortina d’Ampezzo (Bl) Tel. 0436.867041 www.franceschiparkhotel.com www.cortina.dolomiti.org Pacchetto Nature & Wellness: due persone a mezza pensione da 400 euro


week end verde

di Stefania Monaco

Nella terra delle streghe Janàre è il nome che qui danno alle streghe, figlie del culto, celebrato in epoca romana, di Iside e di Diana dea della caccia. Un tempo, il nome della città era Maleventum, cambiato poi dagli stessi romani in Benevento. È cambiato il nome ma la terra tuttavia è rimasta sempre quella dei folletti, dei monachelli e delle streghe che da queste parti sono di casa, almeno stando alle leggende della zona. Se chiedete in giro, qualche anziano signore sarà pronto persino a giurarvi di averne vista qualcuna, di queste strane creature. Il mito di “Benevento terra di streghe” ha ispirato anche il nome del più famoso liquore locale, uno tra i più storici d’Italia. Un infuso a base di 70 erbe e spezie provenienti da tutto il mondo tra cui cannella di Ceylon, Iride Fiorentino, ginepro dell’Appennino italiano e menta che cresce lungo i fiumi del Sannio. La Strega Alberti si riconosce sin dal colore giallo, dovuto allo zafferano. Questo liquore viene stagionato nei tini di rovere fino a raggiungere una gradazione di 40 gradi: la riserva Strega può anche avere decine di anni sulle spalle senza avvertirne minimamente il peso.

dove&come Aquapetra Resort & Spa S.S. Telesina, 1 - Telese Terme (Bn) Tel. 0824.941878/975007 Doppia a partire da 160 euro www.aquapetra.com

I misteri, la magia e gli aromi speziati di questa terra si miscelano perfettamente nell’atmosfera dell’Acquapetra Resort&Spa. Una delle migliori salus per aquam di tutto il Mezzogiorno, immersa nei boschi in località Telese Terme: una location nascosta, elegante ma non stucchevole, con accenti in puro stile meridionale che si ritrovano anche nella cucina della Locanda del Borgo, guidata dal giovanissimo chef Luciano Villani. Tra le sue proposte speciali la crema di zucca gialla con pancetta di palatello e crostini al timo, cicatielli con funghi porcini di Cusano Mutri e lamelle di mandorle tostate, rollè di coniglio con salsiccia di nero e castegne di Montella. E, per concludere, parfait al torrone di San Marco dei Cavoti, con salsa, ovviamente, allo Strega. Un menù territoriale ma anche creativo. Una cucina di alto profilo, quella dell’Acquapetra Resort&Spa, affidata a un giovane, una di quelle rare occasioni che si vedono in Italia: perché qui, a Telese Terme, sanno bene che l’esperienza ha un suo valore, certo, ma talvolta affidarsi a freschezza, istinto e voglia di fare porta a risultati ancora più soddisfacenti. Come in questo caso.

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Telese Terme

“Unguento unguento, mandame alla noce de Benevento. Supra acqua et supra vento et supra omne maltempo”. È come una malia: chi trascorre una notte all’Aquapetra Resort & Spa non può fare a meno di tornare...

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VdG promotion

Ai piedi del Cervino la stagione non finisce mai In Valle d’Aosta, nel comprensorio di Breuil-Cervinia, Valtournenche e Zermatt, inverno fa rima con sei mesi di neve garantita

Qual è il segreto del successo di un comprensorio come questo? Certamente i 360 chilometri di piste, l’internazionalità del domaine skiable, a cavallo tra due nazioni, Italia e Svizzera, la possibilità di scegliere tracciati per tutti i livelli, con ben 30 “nere” riservate ai bravissimi, e di essere serviti da impianti moderni, come la funivia per Plateau Rosà, panoramica e velocissima. Ma soprattutto il successo è decretato da un’area-ski che parte dai 1.500 metri di Valtournenche e arriva sino ai 3.883 metri del Piccolo Cervino (Svizzera), passando per i 3.500 metri di Plateau Rosà, il che significa garanzia di ottima neve per tutta la stagione, proprio per le quote elevate su cui si sviluppa l’intero comprensorio. E allora non è un caso se la stagione dell’inverno termina il 5 maggio, in primavera. C’è poi un altro importante valore aggiunto che fa del Cervino Ski Paradise un posto unico al mondo: il fatto di avere tutte le piste del domaine skiable collegate tra loro, da Valtournenche

a Breuil-Cervinia a Zermatt, così da non levarsi mai gli sci. Trecentosessanta chilometri no stop! E con rientro sempre in paese. Non solo sci in pista (sono 149 i tracciati!): qui, ai piedi del Cervino, il freeride è una religione (si può praticare anche l’Heliski - www.heliski.com), complice la neve polverosa; così come lo snowboard, nell’IndianPark di Breuil-Cervinia o nel Buffalo snow park di Valtournenche, luoghi di culto per i riders. E per chi decidesse di trascorrere una settimana bianca, il Consorzio Cervino Turismo propone pacchetti all inclusive con la formula “6+1”, un giorno è gratis, oppure “i tuoi 4 giorni più belli”, mini vacanza sulla neve allettante nel prezzo del soggiorno e dello ski-pass. Queste offerte partono dal 7 aprile 2013 e terminano con la chiusura degli impianti a Breuil-Cervinia il 5 maggio 2013 (è escluso il periodo che va dal 24 al 28 aprile). Tutte le informazioni al sito www.cervinia.it


A neverending winter season at the foot of the Matterhorn

Aosta Valley. In the ski area of Breuil-Cervinia, Valtournenche and Zermatt, winter means six months of guaranteed snow cover What is the secret of success? The 360 kilometres of runs and the international connection for a ski area over two nations; Italy and Switzerland. Choose runs for all levels of skier including 30 “blacks” for the expert skiers, modern lifts like the panoramic and fast cable car to Plateau Rosà. Success is, above all, the guarantee of a ski area that ranges from 1,500 m asl of Valtournenche ascending up to 3,883 metres of Klein Matterhorn (Switzerland), passing the 3,500 metres of Plateau Rosà, meaning optimum snow conditions all season long thanks to the high altitudes. The winter season lasts six months ending on the 5th May, in spring. Another important aspect of this resort that makes “Cervino Ski Paradise” unique is that the runs in the ski area are all connected, from Valtournenche to Breuil-Cervinia to Zermatt, you won’t ever need to take your skis off: 360 kilometres non-stop and return to the town centre. Not only downill skiing (on the 149 runs!): Here at the foot of the Matterhorn the freeriders will be right at home (and can try heli-skiing too www.heliskicervinia.com) with fantastic powder snow, snowboarders too will feel at home at the “Indianpark” in Breuil-Cervinia or the “Buffalo Snowpark” in Valtournenche, already well known by the riders. For those that choose a holiday in the resort, the Consortium Cervino Tourism Management offers all inclusive packa-

ges such as “6+1” one day free or “the best of 4 days”, great hotel prices and skipass prices for mini-breaks on the snow. These packages start on the 7th April 2013 and are valid until the closure of the lifts in Breuil-Cervinia on the 5th May 2013 (with exclusion of the period from the 24th to the 28th April). Further information at www.cervinia.it


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Emozioni da vivere… sugli sci! In Valle d’Aosta 23 scuole con 1600 Maestri vi aspettano per una vacanza indimenticabile di Flavio Amadei

Per gli appassionati della montagna e della neve, la Valle d’Aosta è sicuramente una meta ambita perché offre ben quattro giganti delle Alpi – Monte Bianco 4810 m, Monte Rosa 4634 m, Cervino 4478 m e Gran Paradiso 4061 m – paesaggi maestosi, incontaminati e distese di neve che aspettano d’essere solcate con gli sci ai piedi; emozioni tutte da vivere! Divertirsi in sicurezza apprendendo la giusta tecnica per praticare gli sport della neve, dallo sci alpino allo sci nordico, dallo snowboard al free ride, dal carving al telemark, è la missione dei Maestri di Sci della Valle d’Aosta, capaci di soddisfare tutte le esigenze e le richieste, dal principiante al professionista. L’Associazione Valdostana Maestri di Sci, in oltre 50 anni di attività, ha avuto

come obiettivo la formazione di figure altamente professionali, da sempre tra le più apprezzate e richieste della Valle d’Aosta. La loro competenza è indispensabile per l’insegnamento della tecnica e per dare o far nascere la passione per lo sci, ma è anche punto di riferimento per i turisti, ai quali il Maestro di Sci sa trasferire l’attaccamento al territorio, alle tradizioni, alla cultura, alla natura, all’enogastronomia e alle tipicità uniche della Valle d’Aosta. Ed è proprio per sviluppare un turismo sempre più internazionale, che veda la Valle d’Aosta non solo come una meta ideale per praticare gli sport invernali ma anche come un viaggio dei sensi che permetta di apprezzarne le bellezze paesaggistiche, che i Maestri di Sci, in collaborazio-


ne con l’Assessorato allo Sport e Turismo della Regione, organizzano trasferte in diverse stazioni sciistiche, in modo tale da favorire la conoscenza di diversi comprensori, presentando ai visitatori le particolarità che li contraddistinguono. È semplicemente fantastico fare una settimana bianca in Valle d’Aosta e ogni giorno sciare e conoscere località diverse come Cervinia, Courmayeur, La Thuile, Pila, Champoluc e Gressoney e, perché no, una trasferta anche a Chamonix: da provare! Tra gli oltre 1600 Maestri di Sci valdostani, molti sono ex atleti di fama internazionale, allenatori delle squadre nazionali e istruttori nazionali di sci alpino, nordico, snowboard e telemark e tutti hanno in comune cortesia, competenza, professionalità e… la divisa.

Sì, proprio la divisa! È questa il fiore all’occhiello dei Maestri valdostani che negli anni hanno saputo e voluto avere nell’abbigliamento il loro segno distintivo: tutti uguali e precisi nella loro uniforme. Ecco perché un Maestro di Sci valdostano si riconosce subito, anche in mezzo a mille. Grazie alla bella e positiva immagine che si sono costruiti nel tempo, EA7 Emporio Armani ha infatti scelto e voluto vestire i Maestri di Sci della Valle d’Aosta. Numerosi capi d’abbigliamento tecnico, sportivo, pratico ed elegante, griffato Emporio Armani, vestono quindi il Maestro di Sci della Valle d’Aosta, il professionista che sa darti emozioni da vivere. I Maestri di Sci della Valle d’Aosta e le loro 23 Scuole di sci vi aspettano per una vacanza indimenticabile!

Associazione Valdostana Maestri di Sci www.maestridisci.com


libri letti per voi

di Gilda Ciaruffoli

Come “coltivare naturale” ... e perché Tra le novità editoriali LEF, due interessanti volumi dedicati alle pratiche di agricoltura bio. Da una parte il Manuale di orticoltura biodinamica, una guida completa alla coltivazione dell’orto, dall’altra Coltivare col cippato, manuale che introduce a questa innovativa tecnica. Proprio al suo autore, Sylvain Coquet, poniamo alcune domande. A chi sono dedicati i volumi? A chiunque sia interessato a coltivare in modo ecologico e abbia la giusta disponibilità, in termini di tempo e spazio (per lo meno alcuni metri quadri di terreno) per sperimentare. Tornare a coltivare secondo natura è complesso? In realtà non si “torna” ma si “va” a coltivare secondo natura. Coltivare in modo ecologico comporta conoscenze più profonde: il lavoro che impone non è maggiore rispetto a un’agricoltura classica, ma diverso. La scoperta dei processi naturali (ad esempio la vita dei lombrichi, la funzione delle micorrize…) compensano però la fatica, assieme a una produzione di cibo di qualità e al sentirsi parte dei cicli naturali. Libreria Editrice Fiorentina Manuela di agricoltura biodinamica 188 pg 15 euro Coltivare col cippato 160 pg 14 euro

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Quando il bio è giallo Elena Accati ci racconta il volume (illustrato da Anna Curti) del quale è coautrice con Maria Pia Simonetti. Come è nata l’idea del libro? Il libro prende le mosse da un progetto che l’Unione Europea ha finanziato a dodici istituti di ricerca tra cui uno italiano, Agroinnova dell’Università di Torino, per studiare l’introduzione deliberata di patogeni delle piante da parte di uno stato nei confronti di un altro o da parte di singoli individui per bloccare la produzione di alcune derrate e quindi colpire il sistema agricolo per affamare un paese. Per chi è stato pensato? Per adulti e ragazzi a partire da 12-14 anni. Come si rende un argomento così tecnico interessante anche per i più giovani? Grazie all’espediente narrativo tipico del giallo e all’inserimento di storie ricche di colpi di scena, di vicende, alcune comiche altre grottesche, dove i protagonisti sono per lo più giovani. Così si coinvolge il lettore riuscendo anche a trasmettere argomenti scientifici.

Lineadaria Editore 240 pg 14 euro

Al ritmo di Madre Terra Strumento di fondamentale importanza per chi voglia intraprendere l’avventura di una agricoltura che rispetti tempi e modi della natura e delle stagioni. Il Calendario infatti indica le migliori pratiche per assicurare la fertilità del suolo e la crescita delle piante e può essere letto da tutti: esperti, amatori e neofiti. E cosa trovano al suo interno? Le pratiche per la regolazione e il controllo preventivo dei parassiti con l’uso di decotti, macerati, tisane e ceneri, ad esempio. O ancora, la precisazione dei ritmi lunari e quelli planetari che individuano i giorni favorevoli per le semine; l’allestimento del compost; le tecniche di lavorazione del suolo, dell’impianto e trapianto di viti e alberi, di potatura e cimatura. E poi grande attenzione all’interazione tra agricoltura, ambiente e paesaggio, e alla valorizzazione del ruolo di siepi, boschi, alberi isolati. Nel Calendario si trovano anche cadenzati i giorni utili per la trasformazione di prodotti come il pane e il latte. Il Calendario è per tutti, insomma, uno strumento utile e suggestivo che invita a sentire la vita quotidiana, attraverso il lavoro agricolo, importante in ogni singolo giorno, perché intimamente legata ai ritmi della Terra. L’autore, Pierre Masson, è uno dei più seguiti docenti europei del metodo biodinamico, il curatore dell’edizione italiana, Adriano Zago, è agronomo ed enologo. Terra Nuova Edizioni 32 pg 10 euro


spettacoli

di Gilda Ciaruffoli

I giorni della vendemmia «Un film delicato e intimo […] in cui la priorità è stata di trasmettere realismo a una pellicola che pone come protagonista la propria terra. Un film scritto e dedicato all’Emilia, crocevia della società italiana sempre sull’orlo di una rottura». A dichiararlo è Marco Righi, il regista di questo film indipendente, nelle sale dal 24 febbraio 2012. Un anno fa. E perché parlarne adesso? Perché a distanza di 12 mesi la pellicola, che racconta l’educazione sentimentale del sedicenne Elia – e assieme un’Emilia rurale, divisa tra cattolicesimo e socialismo – fa ancora parlare di sé. Per vederlo è necessario seguire l’aggiornamento delle proiezioni sulla pagina facebook del film, perché la pellicola piano piano sta facendo il giro d’Italia. www.igiornidellavendemmia.it

One billion rising Da Palermo a Roma, da Brescia a Firenze a Bologna... donne d’Italia unitevi. E ballate! E se l’invito al flash mob arriva da Eve Ensler, autrice del celeberrimo I monologhi della vagina, ed è rivolto a tutte le donne, senza confini né barriere, non rispondere sarebbe impossibile. Anche perché la causa è decisamente buona. Lanciare un appello a livello planetario contro la violenza sulle donne, nel giorno di San Valentino: una vera dichiarazione d’amore per il genere femminile. Sul sito il video per imparare i passi (la coreografia è firmata Debbie Allen) e una cartina dove individuare il punto d’incontro più vicino. 14 febbraio località varie - www.onebillionrising.org

Not Official San Valentino A fare da contraltare agli ufficiali festeggiamenti valentiniani, la cittadina natale del santo degli innamorati propone una serie di eventi, concerti e spettacoli teatrali, per festeggiare un San Valentino decisamente alternativo. In cartellone tanta musica e manifestazioni dedicate a un pubblico fortemente eterogeneo – dai giovani, ai bambini, alle coppie –, tutti pensati, organizzati e gestiti in modo indipendente per, e lo scrivono gli organizzatori stessi, “ridare prestigio e spirito creativo alla città”.

Canzo, cittadella d’arte e musica Per nove giorni mostre e concerti animano il piccolo borgo dell’Alta Brianza, offrendo l’occasione per visitare una zona forse poco nota, il Triangolo Lariano, ma ricca di spunti naturalistici e culturali. L’esposizione, dal titolo Incontri, presenta le opere di 6 artisti che si confrontano per la prima volta nella collettiva ospitata presso le sale della Villa ex Magni Rizzoli. Protagonisti delle serate musicali sono invece l’ensemble Cuartet, con la loro interpretazione della musica brasiliana del ’900, e Matteo Fedeli, “l’uomo degli Stradivari”.

13 febbraio – 12 marzo

16-24 febbraio

location varie – Terni www.notofficialsanvalentino.it

Villa ex Magni Rizzoli - Canzo (Co) www.nonsoloturismo.net febbraio 2013

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shoppi

San Valentino

shopping

di Lucia Lipari

La pochette del cuore

Per lettrici curiose

Liu Jo ha realizzato in limited edition una pochette lucida color rosa shocking con catenina-braccialetto staccabile, in vendita da inizio febbraio. Prezzo: 49 euro

Quello di Francesca Muci è un libro che narra la storia di una donna divisa tra un amore adulto, quello per Ettore, e un desiderio vitale, quello per Adriana. Edizioni Piemme. Prezzo: 12,50 euro

Passione a km 0 Cuori di sfoglia salati, pappardelle fatte in casa “rosate”… è un menu ispirato alla passione quello che l’Agriturismo Al Rocol di Ome (Bs), in Franciacorta, propone ai suoi ospiti in occasione della festa degli innamorati. Pacchetto di 3 notti in B&B comprensivo di cena degli innamorati, visita guidata in cantina e, in regalo, una bottiglia di pregiato Franciacorta: 155 euro a persona

Tu che illumini il mio cammino…

Gli iconici modelli Zizi e Cendrillon di Repetto sono stati impreziositi con una sfavillante nuvola di Swarovski Elements. Creano un delizioso gioco di luci a ogni passo. Le tonalità soft di celeste e tinta carne sono ispirate alle origini di Repetto nella danza e offrono un grazioso sfondo alla splendida luminescenza del cristallo. Prezzi: Zizi, 445 euro – Cendrillon, 375 euro

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Idee (regalo) in viaggio

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Carpisa presenta il Trolley S e il Beauty Case in tessuto jacquard personalizzato con particolari in sintetico in contrasto colore, rispettivamente dal costo di 59,90 euro il primo e 29,90 euro il secondo

Un amore di cavallerizza Lacoste ci stupisce con un look insolito. Lo stivale da cavallerizza i cui confort e stile fanno di un trend di stagione la scarpa perfetta per ogni occasione. Pelle e maglia: due materiali insoliti in una calzatura. Uno stivale alto, elegante, dalla linea morbida che avvolge la gamba fino al ginocchio e la tiene calda. Prezzo: 179 euro


Ti sei perso?

A chi non è mai capitato di fare questa domanda a un bambino in lacrime in mezzo alla folla? Se il bambino è troppo piccolo per spiegarsi, ritrovare mamma e papà può rivelarsi un’impresa. Per questo Infoband (distribuito in Italia da Damblé) propone una colorata gamma di morbidi braccialetti SOS per bambini su cui scrivere i dati di contatto dei genitori. Prezzo: 4 euro

Carnevale

ing

style

Cruciani Style I deliziosi braccialetti, realizzati ad ago in pizzo macramè dalla Arnaldo Caprai Gruppo Tessile, garanzia e orgoglio del made in Italy dal 1955, sono stati lanciati lo scorso luglio facendo crescere del 34% il fatturato dell’azienda, con una vendita di circa 1000 pezzi al giorno. Di recente, il brand ha lavorato con Damiani a una capsule collection del braccialetto quadrifoglio, impreziosito dal particolare in oro e brillante. Così, l’imperdibile outfit è oggi al polso delle celebrities del globo e anche Dj PSY, l’uomo più cliccato della storia per il suo Gangnam Style, ne è innamorato. Gliene è stato regalato uno per il suo compleanno e Luca Caprai, inventore dei bracciali, ha pensato bene di dedicargli una serie nei colori del video.

Praline rosso lacca firmate Armani Finite le feste di Natale, ci risiamo. È la volta però della ricorrenza dedicata a tutti gli innamorati, di questi tempi poco somiglianti a quelli di Peynet. Per festeggiare San Valentino da Terni, anche quest’anno, Armani/Dolci propone un cioccolatino super raffinato, ovviamente in edizione speciale. La pralina fondente dal guscio perfettamente quadrato, ha un cuore a rilievo di zucchero rosso e racchiude un morbido e goloso ripieno di crema al frutto della passione. Il packaging, arricchito da un charm in plexiglass, si ispira come sempre al colore dell’amore: rosso lacca. Gli stilosi bon bon sono in vendita fino al 14 febbraio, in tutti i negozi Armani/Dolci e sul sito www.armanidolci.com.

Verde smeraldo: nuance must 2013

Baci e coriandoli in Umbria

Il Maniero di Melezzole, nei pressi di Terni, la Città di San Valentino, vi aspetta per un week end di festa che unisca il divertimento del Carnevale alla dolcezza del tempo passato in due. Ideale per la coppia è infatti il pacchetto “You and me” che prevede 3 giorni di relax, tra massaggi, acquagym, bagno turco e molto altro. Il prezzo a coppia è di 1300 euro.

“Rosso e giallaccio pare bello ad ogni faccia, verde e turchino si deve essere più che bellino”. Sfatando questo detto popolare, il verde smeraldo sarà il colore moda del 2013. A decretarlo stilisti e noti istituti del colore. Verde, dal latino viridis: vivo, è lo smeraldo amato dalle donne, ma anche il colore del danaro, i famosi verdoni del gergo cinematografico dei gangster. Nelle sue differenti gradazioni, però, è la nuance must di quest’anno. Chic e raffinata, dà luce ai look troppo scuri dell’inverno e dona un tocco di classe a quelli estivi. Sovrano dei guardaroba, colorerà capi di abbigliamento, accessori e bijoux. Un esempio? L’allegro orologio dell’ultima collezione Liu Jo (in foto).

È Byker Boots mania Da qualche tempo in giro per il mondo impazza lo stile glam rock, che affascina migliaia di fashion addicted e non risparmia i volti dello spettacolo. Borchie, pelle, tonalità del nero e teschi sono l’elemento base di questo look che dunque si costruisce su un make up fatto di smalti scuri e smoky eyes, studded converse e jeans grigi a effetto usato. Uno degli elementi più recenti di questo stile, forse arrivato anche per proteggerci dal freddo, sono gli stivali da motociclista: i biker boots. E se pensate che siano fatti solo per bad-girls, è arrivato il momento di ricredersi. Esistono le versioni più disparate di biker boots, dai più romantici ai più rock (in foto: modello Zara).

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trendy

di Claudia Dagrada

Semplicemente stilose: la primavera ci attende! Mancano poche settimane alla fine dell’inverno e il pensiero corre già al look perfetto per i primi caldi. Ma quali saranno le tendenze da seguire? A dominare sicuramente una certa “attitudine neat” di Emporio Armani

Come sempre, è di fondamentale importanza abbinare la scarpa giusta... Il must have di questa collezione è sicuramente il modello aperta e dal tacco vertiginoso di Emporio Armani, metafora assoluta di fascino ed eleganza. Questo sandalo in pelle laminata e scamosciata, color naturale e con cinturino alla caviglia, farà sentire ogni donna “all’altezza” della situazione!

Per l’immancabile borsa invece, qual è la tendenza?

Cosa ha in serbo per noi la collezione primavera/estate di Emporio Armani? Le mises disegnate dalla casa di moda milanese vedono il concetto di stile e pulizia portato all’estremo, per una donna che si pone in modo puro, naturale e mai lezioso. Con questo abito cangiante senza maniche in un delicato color cipria, ad esempio, non sarà certo difficile distinguersi per classe ed eleganza.

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Ancora una volta a imporsi è la ricerca di purezza e semplicità, sottolineata da accessori di pelle naturale o color cognac stile selleria, che esaltano ulteriormente la femminilità. Una compagna d’eccezione da indossare nelle stagioni calde che verranno? La comoda shopping in cuoio Emporio Armani.


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Vinisola: un vulcano di sapori L’amore per Pantelleria, per i suoi contrasti e per i suoi tesori, caratterizza la produzione di un’azienda votata alla qualità. Valori il cui profumo sale dai calici dei suoi vini, come gli Igp Barbacane e Margana, dai suoi capperi, dai pomodori, dall’uva passa e dalle sue marmellate

È stato mosso dalla passione per Pantelleria il piccolo gruppo di persone che ha dato vita a Vinisola, realtà nata per contribuire alla valorizzazione dei prodotti dell’isola, forte di valori quali la territorialità e la tradizione in campo enologico. Ma non solo. Particolarmente adatta alla coltivazione della vite, infatti, la terra dell’isola è fertile e ricca di quei sali minerali che rendono inconfondibili anche capperi, pomodorini e olio extravergine. E l’azienda utilizza proprio questi prodotti per realizzare non solo vini, quindi, ma anche vasetti e marmellate che racchiudano tutto il profumo dell’isola. Così, a voi scoprire i giusti abbinamenti del Barbacane, per esempio, rosso Igp dal sapore caldo asciutto, o del bianco fresco e fruttato Margana, sempre Igp, con le prelibatezze in vetro firmate Vinisola. Se infatti il primo è perfetto con piatti a base di carne, insaccati e formaggi stagionati, e il Margana si accompagna con le specialità mediterranee a base di pesce, quale sarà l’abbinamento migliore per i capperi Vinisola? Protagonisti assoluti della tavola isolana, sono raccolti a mano da maggio a settembre e sono caratterizzati da un sapore aromatico e affatto sgarbato, esaltato dalle preparazioni Vinisola che li propone al sale o sotto forma di paté. Ricordiamo anche l’origano, dal profumo inconfondibile dovuto al ricco suolo

vulcanico, o il gustoso mix di pomodoro ciliegino essiccato al sole, capperi e finocchio sott’olio extravergine da gustare da solo o su una fetta di pane bruscato, sulla pizza o come condimento per carne rossa o pesce alla griglia. Non meno deliziose le marmellate, fatte solo di frutta e zucchero, come quella di arance, o la confettura d’uva Zibibbo secondo la tipica ricetta pantesca, e l’elisir d’uva Zibibbo che si ottiene cuocendo il mosto con lo zucchero fino a raggiungere la consistenza gelatinosa: definito miele d’uva, viene ancora oggi usato dalle donne pantesche per la preparazione dei Mustaccioli di Natale. Immancabile ovviamente l’uva passa di Zibibbo e i Cantucci, da accompagnare con un buon Passito di Pantelleria… Arbaria, naturalmente!

Vinisola - c/da Kazzen, 11 91017 Pantelleria (Tp) Tel./Fax 0923.912078 info@vinisola.it www.vinisola.it


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Biodiversità: chiave d’accesso al futuro

“Prodotti più ricchi di sapore e la consapevolezza di poter tramandare i terreni ai posteri, così come gli avi li hanno fatti avere a noi”. Sono queste le ragioni che hanno portato l’emiliana Antigola a intraprendere la via del biologico, 15 anni fa. Una scelta vincente, che ha dato solo buoni frutti È stata dettata dalla volontà di contribuire alla produzione di alimenti senza l’utilizzo di prodotti chimici, ma forse ancor più per rispettare il terreno e l’ambiente praticando rotazioni e coltivazioni non intensive, la scelta, da parte dell’azienda agricola Antigola, di praticate agricoltura biologica. Sono ormai 15 anni che questa realtà, che si trova in provincia di Bologna alla confluenza dei comuni di Loiano, Pianoro e Monterenzio, e si estende su una superficie di oltre 200 ettari, ha intrapreso questa strada. Particolare rilievo viene dato al mantenimento della biodiversità. «Indubbiamente – dichiara il titolare, Paolo Parisini – le quantità che si ottengono per unità di superficie sono inferiori a quelle derivanti da coltivazioni intensive, ma i prodotti sono più ricchi di sapore e danno la consapevolezza di poter tramandare i nostri terreni ai posteri, così come i nostri avi li hanno fatti avere a noi». «Per poter contenere i costi di produzione – prosegue Parisini – abbiamo pensato di ridurre i passaggi che intercorrono tra agricoltori e consumatori effettuando la vendita diretta». I prodotti raccolti e trasformati in azienda sono farro, grano, orzo, mais, legumi (ceci lenticchie e piselli) singoli o miscelati per zuppe; le farine di grano tenero e di farro sia semintegrali sia integrali,

di orzo, di grano duro, di ceci e di mais anche miscelate per pane, dolci e sfoglia, sono macinate a pietra. «Altri prodotti sono frutto non solo della nostra terra ma anche del lavoro artigianale di provetti trasformatori locali», prosegue il titolare. Fra questi l’azienda annovera tagliatelle di farro all’uovo, pasta di farro, pasta di farro e ceci, pasta di orzo, gallette, snack, bibite analcoliche di farro e zenzero e di orzo e menta. Altra linea è quella di paté ricavati dai ceci e zenzero o dai caki. Vengono poi raccolti frutti selvatici e trasformati in confetture di more, di fichi e di rosa canina, mentre una vicina cooperativa sociale produce birra con il farro Antigola.

Antigola soc. agricola Via Barbarolo, 38 Loiano (Bo) Tel. 0513.46578 – 339.1846164


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Il vero carattere del Primitivo Tenuta Viglione fonda le proprie origini nelle antiche tradizioni della Famiglia Zullo che sin dal 1937 produce vini di qualità nella zona Dop Gioia del Colle, patria dell’autentico Primitivo

Primitivo. Un antico vitigno il cui nome deriva dal suo particolare e breve ciclo biologico: infatti questa era l’uva che maturava prima, da qui l’antico appellativo di Primaticcio (in dialetto: Pr-ma-tè), oggi Primitivo. Nel suo DNA si intrecciano affascinanti storie di luoghi diversi, di viaggi, di scambi tra popolazioni, matrimoni e doti. Originario dell’Ungheria, arriva in Croazia da dove nel XII secolo viene introdotto in Italia a opera dei monaci Benedettini, che trovarono nel territorio di Gioia del Colle in Puglia le condizioni pedo-climatiche più favorevoli per la coltivazione di tale vite. Caratteristica di questo territorio è la Murgia, un altopiano calcareo costituito da residui fossili di organismi marini che, insieme ad argille e terre rosse silicee, assicurano al Primitivo di Gioia uno stile, un’armonia e una finezza unica e specifica. Il microclima di questa zona è l’ele-

mento finale e determinante del suo carattere, con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, specie durante la maturazione e la raccolta delle uve, unitamente alla costante presenza del sole di Puglia e dei venti provenienti sia da Nord che da Sud. Ed è proprio in questa zona che sorge la Tenuta Viglione i cui vigneti in coltivazione biologica si trovano nel punto più alto della Dop Gioia del Colle, a circa 450 metri sul livello del mare. Dalla cantina della Tenuta nascono vini che esprimono al meglio le caratteristiche del vitigno tipico, come il Pri-Mit-Ivo, che in questo territorio trova la sua più alta ed elegante identità. Oltre ai 40 ettari di vigneti, la Tenuta Viglione comprende anche un’antica Masseria che oggi, completamente ristrutturata, si è aperta all’ospitalità di quanti desiderino godere del fascino di questo luogo incantevole.

La curiosità E il Primitivo di Manduria, vi chiederete, da dove deriva? Da Gioia del Colle! La storia racconta, infatti, che una nobildonna del posto, promessa sposa a un ricco feudatario tarantino, portò con sè in dote alcuni esemplari di questo prezioso vitigno. Piantate nelle terre di proprietà della nuova famiglia, le piante dettero successivamente origine alla denominazione Primitivo di Manduria.

Tenuta Viglione Uffici: Via Carlo Marx, 44 Cantina: Via Appia Antica, 30 Santeramo in Colle (Ba) Tel. 080.3022415 www.tenutaviglione.it


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Viaggio nel paradiso del gusto Sono artigianali, realizzate con materie prime selezionate, pensate nel rispetto del gusto, certo, ma anche del territorio. Sono le birre firmate HNT, Have a Nice Trip, birrificio modello piemontese dove acquistare ma anche trovarsi per degustare in compagnia pinte di gran qualità

Frutto dell’iniziativa di un gruppo di amici, la birra Trip nasce a Carmagnola dove viene prodotta dal birrificio Have a Nice Trip (HNT). Per gli amici di HNT la birra è il punto di partenza di un viaggio iniziato nel 2011 e che vi porterà alla scoperta degli aromi e dei sapori di birre assolutamente genuine, prodotte artigianalmente con materie prime accuratamente selezionate e con l’attenzione di chi ama il suo territorio e le persone che lo abitano. I fiori all’occhiello di HNT sono due birre crude, rifermentate in bottiglia: la bionda Piedmont, stile DortmunderHelles, birra a bassa fermentazione, arricchita in dryhopping (ulteriore luppolatura a freddo), con spiccato profumo erbaceo e con sapore deciso ed equilibrato, frutto del giusto compromesso tra l’amaro del luppolo e il dolce del malto; e l’ambrata Sardinia, stile British Strong Ale, tipica rossa doppio malto ad alta fermentazione, dal colore rosso ramato, dal profumo agrumato e avvolgente e dal gusto caldo e rotondo con note di mandorla. Entrambe imperdibili, frutto di un continuo lavoro di ricerca, sperimentazione e affinamento. HNT sa anche innovare: la new-entry è rappresentata dalla freschissima Heaven Ice Trip, bionda, stile tedesco ma… aromatizzata con foglie fresche di menta piperita di Pancalieri (la menta migliore al mondo); un’esperienza di gusto unica e sorprendente che unisce sapientemente l’originale e il tradizionale, con un numero di estimatori in crescita esponenziale. Il gioiello degli amici di HNT è l’impianto produttivo: una sala cottura da 12+12 ettolitri, fermentatori, maturatori e condutture completamente in acciaio inox, sale di maturazione e stoccaggio a temperatura controllata, in uno spazio di 750 mq razionalmente suddiviso, ne fanno un vero e proprio birrificio modello. Visitabile su appuntamento, il birrificio ha sede a Carmagnola (To) in Via Castellero, 6/A. Il locale annesso, adibito alla vendita e alla degustazione, ospita il pubblico durante la settimana con un’atmosfera amichevole e accogliente.

Have a Nice Trip Via Castellero 6/A Carmagnola (To) www.haveanicetrip.it


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Tutto sul progetto Spiridione Dalla Cantina Berioli, azienda agricola di secolare tradizione lanciata da qualche anno nella produzione vinicola con grande passione e competenza, arriva un vino complesso, che affascina, il cui nome è un omaggio a un celebre avo, vescovo a Urbino nel XVIII secolo È il fiore all’occhiello della produzione della Cantina Berioli, lo Spiridione. Il progetto che lo riguarda nasce già nel 1998 quando viene impiantato il primo vigneto destinato alla produzione di un vino invecchiato nel legno e ottenuto da sole uve Merlot. La scelta cade sul Merlot clone bordolese 181 che viene messo a dimora a filari con il sesto d’impianto di 2,4 m fra le file e 0,80 m sul filare con 5.208 piante per ettaro. L’appezzamento di terreno scelto è collinare sassoso e già in precedenza impiantato a vigneto, frammisto a piante di olivo, e già dava uve di grande qualità con cui si facevano eccellenti vini rossi. La produzione a ettaro in vendemmia è di circa 5.500 kg di uva: quindi circa 1 kg di uva per pianta ottenuto da almeno 6 piccoli grappoli, con acini simili a mirtilli. Tutti presupposti per creare dalla vigna un grande vino. Il mosto ottenuto da queste uve è un concentrato non solo di zuccheri, ma anche di polifenoli e antociani,

in sostanza ricchissimo di sostanze antiossidanti. Dopo aver lasciato un po’ invecchiare le piante, la prima vinificazione dello Spiridione si fa nella vendemmia 2007. La fermentazione avviene con la macerazione del mosto a contatto con le bucce per un periodo lungo almeno 20 giorni durante i quali gran parte delle sostanze contenute nella buccia passano in soluzione nel mosto ormai completamente trasformato in vino. Per degustare questo eccellente vino – il cui nome è un omaggio al vescovo di Urbino Spiridione Berioli (XVIII secolo) e che affascina per l’equilibrio di frutti rossi maturi e note terziarie leggermente speziate, ottimo con carni rosse, cacciagione e carpa regina in porchetta – non c’è scelta migliore di quella di recarsi direttamente presso l’azienda agricola Berioli a Montesperello di Magione, inserita in un’incantevole cornice ricca di verdi colline e affacciata sul lago Trasimeno.

Roberto Berioli

Cantina Berioli Case Sparse, 21 Montesperello di Magione (Pg) Tel. 075.5007666 www.cantinaberioli.it




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