VdG Viaggi del Gusto Magazine Giugno 2012

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VDG MAGAZINE VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 2 | N.15 | MENSILE | Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. C/RM/19/2011 | Belgio Euro 9,30 | Canton Ticino Ch.Fr. 11,50 | Costa Azzurra Euro 11.90 | Stati Uniti

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IL BELPAESE NASCOSTO GUIDA ALLE VACANZE NELL’ITALIA SCONOSCIUTA La Val Fiscalina, paradiso di relax e natura Grado, per un’esperienza estrema in laguna Scoprendo la Val Maira misteriosa e silente Nell’incanto dei Monti Sibillini cari a Leopardi Avventure da brividi nel Sannio beneventano Tra i borghi fantasma dell’Appennino molisano L’altra faccia della Sicilia: tour tra i laghi dell’isola Ogliastra, cuore selvaggio di Sardegna


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Da 40 anni una scelta di valore


viaggi del gusto

editoriale

di Domenico Marasco

domenico.marasco@vdgmagazine.it

Il Belpaese (nascosto) e i soggetti (invisibili) dello sviluppo Non è solo un modo di dire: il nostro è veramente “il Belpaese”. Continua a stupirci – per la sua incommensurabile bellezza e peculiarità paesaggistica, artistica e culturale – nonostante siano anni che ve lo raccontiamo, prima con il mensile “Vie del gusto” e da quasi un anno con il nuovo “Viaggi del Gusto”. Il numero di giugno di VdG che avete tra le mani è una riprova (nel caso ce ne fosse ancora bisogno) di quanto ancora ci sia da scrivere sull’Italia: infatti abbiamo scelto in questo caso di provare a illustrarvi alcuni degli scorci e degli angoli più “nascosti” della penisola, scelti tra quelli che, a dispetto della loro magnificenza, non godono, ahiloro ed ahinoi, delle luci della ribalta. Abbiamo impostato questo breve viaggio tra i microterritori dello Stivale come uno speciale-vacanze, una piccola guida da conservare, finalizzata a offrirvi qualche consiglio e qualche “percorso alternativo”, nel caso non abbiate ancora scelto la meta delle vostre sospirate ferie estive. Leggendo, potrete scoprire che per vivere delle vacanze avventurose non c’è alcun bisogno di optare per mete esotiche come il Borneo o l’Amazzonia: basta fare un salto tra le cascate e le gole del poco esplorato Sannio Beneventano, in Campania. Apprenderete che c’è anche una Sicilia dei laghi ancora tutta da scoprire e una Puglia che non è soltanto sole e mare. E ancora: rimarrete stupiti dall’esperienza estrema che si può fare nella laguna di Grado, da quella tutta natura, montagna e benessere nel piccolo paradiso della Val Fiscalina in Alto Adige e dal poetico incanto del Parco dei Monti Sibillini cari a Giacomo Leopardi, nelle Marche. Ma di questo “Belpaese nascosto” non vogliamo aggiungere altro, per non togliervi il piacere della lettura. Piuttosto cogliamo l’occasione per dedicare qualche riga a un altro pezzo “nascosto”, e altrettanto poco promozionato, del nostro Paese. E cioè quello fatto dalle centinaia di migliaia di uomini e donne che lavorano nel settore dell’agroalimentare e del turismo. Gente che, giorno dopo giorno, promuove con le proprie produzioni di qualità, con semplici e faticosi gesti quotidiani, l’Italia nel mondo. Le migliaia di produttori di vino o di formaggi, di olio o di pasta, di prosciutti o di frutta e ortaggi. E accanto a loro, le mi-

gliaia di operatori turistici che ospitano i flussi di visitatori che vengono da tutto il mondo e che mille volte al giorno dicono loro “grazie”. E ancora: le centinaia di riviste e siti web dedicate al turismo e all’enogastronomia, che con le loro copie e i loro contatti online convincono ogni giorno un’infinità di turisti e appassionati a venire a visitare i nostri splendidi luoghi e assaggiare le nostre tipicità. Ecco, tutti questi potrebbero essere chiamati “Soggetti Invisibili dello Sviluppo”. Invisibili perché – esattamente come i territori che noi abbiamo voluto raccontare su questo numero – non godono della giusta attenzione e dei meritati riconoscimenti. Malgrado siano lori i veri promotori del sistema-Paese. Ed è a loro che andrebbero destinati gli aiuti e le risorse disponibili, piuttosto che ai Lavitola di turno (e ce ne sono tanti) o alle tante pseudo-testate d’informazione “politiche” o portavoci di pseudo-partiti personalistici e autoreferenziali, che pur senza aver mai diffuso e venduto una sola copia in tutta la loro storia editoriale e senza aver mai prodotto alcuna informazione di pubblica utilità (ma solo di interesse privato), continuano a fruire dei soldi dei contribuenti. Dei nostri soldi. Dei vostri soldi. È tempo che chi sta nella stanza dei bottoni lo capisca, e dia spazio alle forze veramente e seriamente produttive. Basta un solo posto di lavoro in più creato da una piccola impresa familiare, da un albergatore, da un ristoratore, per generare milioni di posti di lavoro di indotto. Non ci vuole un mago o un genio dell’economia per rendersene conto, solo un po’ di buon senso. I report sulla “spending review” parlano di oltre 25 miliardi di euro che ancora si sperperano per aiutare chissà quali imprese. Bisogna chiudere questo rubinetto che tiene ancora in vita soggetti economici inesistenti. Iniziamo da qui, dal cominciare a pensare alle persone perbene, che sono la maggioranza e che producono “valori” per davvero. Buon viaggio a tutti

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sommario sommario giugno 2012

38 il personaggio

50 Val Fiscalina

40 l’indagine 14 Dall’Italia e dal mondo

16 Fatti e contraffatti Pasta, consigli per gli acquisti 20 Scienza e vita, latte d’asina 24 Almanacco 26 Appuntamenti

49 Il Belpaese nascosto Monti con nomi da romanzo, piccole valli incantate, cascate immerse nel verde, coste selvagge e borghi dove il tempo s’è fermato. Questo mese vi guidiamo alla scoperta dei microterritori dell’Italia più sconosciuta: uno speciale vacanze, in cui non mancano i consigli sui piaceri da gustare

panorama

specialevacanze

34 L’Italia che merita: Villa Erba

50 Val Fiscalina (Alto Adige)

Dopo sei secoli di fascino e splendore, la storica tenuta sul lago di Como oggi vuol rilanciarsi come location per grandi eventi

36 Ospitalità Italiana

La storia, d’amore e di fornelli, del ristorante italiano Di Bartolo in Costa Rica, uno dei 7 migliori al mondo premiati da Unioncamere

La piccola valle tutta relax, natura e benessere che ha conquistato anche la cancelliera Merkel

56 Grado (Friuli Venezia-Giulia) Nella laguna dell’Alto Adriatico per vacanze estreme, immersi nel passato e nella solitudine

60 Val Maira (Piemonte) A due passi dalla Provenza, una terra piena di misteri e simbolismi, da gustare con lentezza

38 Il personaggio: Chiara Soldati

Nel 2009 è stata nominata “Amazzone del Lavoro”: la cugina del grande Mario oggi ci racconta le sue passioni per la terra e il vino

40 L’indagine: turismo e cultura Beni monumentali a pezzi e presenze

64 Valcamonica (Lombardia)

68 Monti Sibillini (Marche)

turistiche in calo. In Italia ovunque è emergenza-paesaggio: la denuncia del FAI

44 Lo studio: scelte di viaggio Nelle vacanze di coppia prevale il fascino delle cantine: a Venezia e Parigi gli italiani infatti preferiscono la Valpolicella e il Barolo In copertina - Castelluccio di Norcia (Parco Nazionale dei Monti Sibillini) - Foto di Giorgio Tassi

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Tra le rocce che raccontano la storia, nel primo sito italiano dichiarato patrimonio Unesco

L’incanto dei monti cari a Leopardi, tra antichi borghi e stuzzicanti tentazioni per il palato

72 Valle del Turano (Lazio)

Nell’alta Sabina, per un tour lungo la “via dei tartufi”, i diamanti neri che qui sono di casa

76 Appenino Molisano

In mezzo a oasi dimenticate e paesi-fantasma dove si respira ancora un’aria fiabesca e irreale



sommario sommario giugno 2012

110 i piaceri di Bacco

90 Maratea

112 il buono a tavola 127 Le selezioni 80 Sannio (Campania) Avventure da brividi tra gole e torrenti, nelle terre beneventane ancora tutte da esplorare

86 Valle d’Itria (Puglia)

Un piccolo paradiso vestito di bianco e fatto di trulli, vicoli e profumi di mandorla e biscotti

90 Maratea (Basilicata) La perla lucana sul Tirreno dominata dalla statua del Cristo più alto d’Europa

94 Borghi grecanici di Calabria Viaggio tra i centri della provincia di Reggio Calabria che sanno ancora di Magna Grecia

98 Laghi di Sicilia

L’altra faccia “dell’isola del tesoro”, lontana dalle spiagge ma non meno affascinante

piaceri 110 I piaceri di Bacco

Prié Blanc, il vitigno “eroico” che nasce ai piedi del Monte Bianco

112 Il buono a tavola, Valle d’Aosta 114 Benessere 116 Camera con vista, Kalidria Resort 118 Camera con vista, Tenuta le Selve 120 Trendy 122 Shopping 124 Libri 126 Arte

102 Ogliastra (Sardegna)

Nel cuore selvaggio della regione, un mondo a parte che racchiude i veri caratteri isolani

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Sardegna Roberto Dall’Acqua Annalisa Bernardini Lino Erriu Sicilia Cesare Aldesino Marco Scapagnini Toscana Elena Conti Marco Ghelfi Antonio Tartarelli Trentino Francesca Negri Umbria M. Pia Fanciulli Veneto Benedetta Frare

si ringraziano per la concessione di immagini e documenti: Consorzio Alta Pusteria, Comunità Montana Valle Camonica, Dipartimento Turismo Regione Molise, ente Parco Nazionale Monti Sibillini


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contributors giugno 2012

IDA SANTILLI Molisana trapiantata a Roma, ha mosso i primi passi però a Bologna come giornalista della night life in una frizzante guida alla città. Quindi s'è messa a raccontare l’Italia nascosta, i borghi, il folclore, la gastronomia. Da qualche mese viaggia su un territorio a forma di otto, il territorio del tango… d’altra parte, lei si definisce una donna d’altri tempi. pag. 80

RICCARDO LAGORIO È nato a Brescia 44 anni fa, vive con la valigia sempre pronta, il blocnotes e la penna sempre in mano, ferri del mestiere di cronista vecchio stampo. Allievo prediletto di Luigi Veronelli, lo hanno definito “food scout”. Di scoperte del patrimonio gastronomico ne ha fatte davvero molte, migliaia. Tutte provate nei luoghi d’origine: la sua corporatura ne è testimone. pag. 64/76

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GIANCARLO ROVERSI

MARCO SCATAGLINI

Giornalista, scrittore, fondatore e direttore di riviste. Tiene il corso di giornalismo turistico alla Scuola Superiore di Giornalismo dell’Università di Bologna. È autore di un gran numero di libri e saggi di tema storico, artistico, di costume e in particolare di storia dell’alimentazione e anche relativi al turismo eno-gastronomico, alla comunicazione e alla storia della pubblicità. pag. 68

Fotografo, con la passione per la Sardegna. Quando gli han detto che fotografare significa scrivere con la luce, c’è rimasto male, lui preferiva le ombre! Da allora non ha mai smesso di cercare il lato nascosto delle piccole cose cui nessuno presta attenzione, per raccontarle nelle sue mostre, nei suoi libri, nei servizi fotografici. D’altra parte, per un creativo la bellezza è tutto, e la bellezza, si sa, sta nei particolari… pag. 102

SILVANA DELFUOCO Emiliana di nascita e torinese d’adozione per i casi della vita, grazie alla sua esperienza di Assaggiatore di formaggi e di salumi e, soprattutto, di Giudice del Tartufo, dal 2003 è approdata al giornalismo enogastronomico. Il suo scheletro nell’armadio sono invece i troppi anni passati a tentare di insegnare il latino a generazioni di liceali recalcitranti. pag. 60

ISA GRASSANO

LUCREZIA ARGENTIERO

Lucana di nascita, bolognese d’adozione. Da piccola sognava di fare l’hostess o la giornalista. Quando s’è resa conto che non avrebbe superato l’1,60 di altezza, ha ripiegato sulla seconda opzione. Ma non ha rinunciato ai viaggi ed al turismo, di cui scrive con passione e competenza. Tra voli aerei e pagine da riempire, ha anche trovato il tempo per creare un divertente manuale sulle “101 cose da fare Gratis in Italia”. pag. 72

Pugliese trapiantata a Bologna, è passata dalla tastiera di un pianoforte, che suonava in gioventù, a quella di un computer. Giornalista e filmaker, ama raccontare i territori attraverso le immagini. Sua la regia di numerosi documentari d’attualità e turistici molti dei quali premiati. Ha due passioni: la fotografia e la sua Titty, la gatta più fotografata del mondo. pag. 86

ROBERTO RABACHINO Piemontese, 54 anni, giornalista, scrittore, docente universitario e sommelier. Ha fatto del vino una ragione di vita e di lavoro: al punto che lo scorso anno a New York è stato eletto presidente dei degustatori di vino di 29 nazioni nel mondo. Presiede anche l’associazione italiana dei giornalisti dell’agroalimentare e, per non farsi mancare nulla, con il suo “Vocabolario del vino” ha vinto il Concorso Internazionale Libri da Gustare. pag. 38/110

GIUSEPPE PULINA Sassarese dalla nascita 55 anni fa, insegna zootecnia speciale nell’università della sua città e, con i Sardi, condivide, oltre all’aria ed alla terra, soprattutto il mare. Che ama solcare in canoa, quando non é troppo occupato a studiare il perchè tutti ritengano le pecore poco intelligenti. pag. 20

hanno collaborato a questo numero: Olga Carlini Gilda Ciaruffoli Monica Coviello Maria Pia Fanciulli Marishel Fecchi Francesca Frediani Lucia Lipari Giorgio Martelli Rosario Ribbene Giorgio Tassi



dall’Italia e dal mondo

di Francesco Condoluci redazione1@vdgmagazine.it

Atene fuori dall’Euro: “tragedia greca” o scelta voluta dal Paese? La Grecia vuole uscire dall’Eurozona?
Molti si sono chiesti se i greci vogliono uscire dall’euro dopo le elezioni politiche del 6 maggio che hanno punito severamente i partiti che hanno sostenuto gli sforzi fatti dal governo Papademos per restare nell’Unione monetaria, mentre il 70% dei voti è andato ai movimenti politici che rifiutano le condizioni imposte ad Atene in cambio degli aiuti Ue-Fmi. Stando a questi risultati, si potrebbe concludere che i greci, stanchi delle manovre di austerity, vogliono uscire dall’Eurozona. Tuttavia, i sondaggi mostrano che, se lo si chiede apertamente, il 78% dei greci desidera restare nel club. Forse, allora, quello che vogliono i greci è continuare a far parte dell’Unione monetaria, ma pagando un prezzo meno salato. Che poi è quello che dice lo stesso leader del partito-sorpresa, la formazione di sinistra radicale Syriza: Alexis Tsipras vuole rinegoziare le condizioni del piano di salvataggio, ma non ha mai sostenuto che Atene deve uscire dall’euro. E nei sondaggi, Syriza continua a crescere e guadagnare consensi: dal 16,8% del 6 maggio, a metà mese era già arrivata al 20. (fonte: Il Sole 24 Ore) 14

Il commento La “tragedia greca” – ammesso che ciò accada davvero – si appresta a vivere la sua scena-madre: dentro o fuori dall’Eurozona. Per farlo, per liberarsi cioè dalle strettoie della moneta unica, come gli orientamenti degli elettori sembrano aver sancito, la Grecia dovrebbe ricusare il Trattato di adesione all’Unione Europea, dalla quale nessuno formalmente può uscire, varare una legge per la (re)istituzione della dracma e ristampare la nuova-vecchia moneta, non prima di aver rimodulato tutti i rapporti economici nazionali (stipendi pubblici, pensioni e contratti). Lo scenario che ne conseguirebbe a quel punto è difficile da prevedere: secondo gli analisti internazionali, la dracma vivrebbe il rischio di una svalutazione pesantissima, anche fino al 60-70% e in ogni caso, per uscire dalla recessione, dovrebbe varare un suo (nuovo) rigidissimo piano interno di austerity. Allo stato tuttavia, per rimanere nell’Eurozona, la Grecia ha già dovuto ridurre gli stipendi degli operai al 70% e i tagli imposti – soprattutto da Berlino – sembra porteranno all’aumento ulteriore della disoccupazione, oltrechè allontanare ancora gli investitori stranieri. Insomma, per rimanere nell’Eurozona, i greci dovrebbero accollarsi altri durissimi sacrifici. A questo punto, peggio di così, pensano in molti dalle parti di Atene, è meglio tutto. Anche un salto nel buio con il ritorno alla dracma.


dg aV d lto e c S Stati Uniti: le star di Hollywood pazze per la cucina italiana Mozzarella di bufala e parmigiano reggiano, altro che ostriche e champagne! Anche sulle tavole dei divi del cinema e del rock, il gusto che trionfa è sempre quello italiano. Secondo uno studio basato sulle notizie apparse su testate e siti web internazionali, il mondo dello star-system, in particolare quello hollywoodiano, impazzisce letteralmente per la cucina e i sapori made in Italy. Una passione che si è trasformata anche in business: lo sanno bene la rockstar inglese Sting, che s’è comprato un agriturismo in Toscana, o il regista Francis Ford Coppola e l’attore Robert De Niro che hanno messo su catene di ristoranti italiani, alla stregua dell’ex Rambo, Sylvester Stallone. Danny De Vito, l’indimenticato attore della Guerra dei Roses, s’è messo addirittura a produrre in prima persona un Limoncello Premium utilizzando i limoni di Sorrento, mentre la cantante di origine siciliana Lady Gaga ha appena inaugurato a New York la trattoria gestita dai suoi genitori. La tendenza che si è affermata negli ultimi anni tra i divi di Hollywood è infatti quella di acquistare tenute agricole nel Belpaese, dal Piemonte alla Sicilia, e rilevare gloriose aziende produttrici locali e catene di ristoranti dove si producono e si cucinano eccellenze made in Italy.

news

È lo stand dell’azienda Boschi il più originale visto al Cibus 2012 Tra megastand multicolori ed esposizioni da sagra strapaesana, a Cibus 2012 – la grande rassegna dell’agroalimentare tenutasi a Parma – s’è visto di tutto. Viaggi del Gusto ha voluto premiare pertanto chi, in quel contesto fieristico, è riuscito a stupire con eleganza e semplicità. È l’azienda del cav. Umberto Boschi, salumificio di Felino (Parma). Per festeggiare il novantesimo compleanno, l’azienda ha presentato a Parma uno stand (nella foto sotto) che ha voluto rappresentare la chiave del suo successo: ossia la natura, vera protagonista dello spazio espositivo al centro del quale è stata installata una pianta, vera, trasportata dalle terre parmigiane. Sullo sfondo, la gigantografia di un paesaggio collinare appena sopra il paese di Felino; per terra, erba vera, per accogliere i clienti in un ideale “picnic” all’interno dello stand. Arredi moderni e design con colore bianco dominante completavano lo stand, all’interno del quale i prodotti dell’azienda, i salumi, erano collocati in nicchie poco vistose e costruite ad arte per non togliere spazio all’elemento-natura.

La Cina ha fame di beni di lusso, domanda in crescita del 20% Per i prossimi 5 anni, la Cina continuerà a rappresentare un mercato estremamente sensibile ai beni di lusso. Lo afferma una ricerca condotta dagli analisti di Alexis Karklins-Marchay (gruppo Ernst &YOung), secondo i quali l’ex Celeste Impero continuerà a produrre, almeno fino al 2017, nuove classi di ricchi in grado di alimentare costantemente la domanda di articoli e servizi prodotti e offerti dai luxury brands occidentali: borse firmate, gioielli, orologi, profumi, cosmetici, alta moda e vacanze. Già oggi, i consumer del Paese dagli occhi a mandorla si prendono una fetta del 17% del mercato globale del lusso e sono secondi solo agli Stati Uniti. Ma l’incremento del 20% sugli acquisti previsto nei prossimi anni, unitamente alla crescita del Pil e all’ingrossarsi delle fila della classe sociale medio-alta (130 milioni di nuovi benestanti), e di conseguenza della capacità di spesa media, presto proietterà la Cina in prima posizione.

Londra “migliore meta al mondo 2012” secondo i viaggiatori di TripAdvisor È Londra “la migliore destinazione al mondo” secondo i milioni di viaggiatori interpellati in tutti i continenti da TripAdvisor®, il più famoso sito web dedicato ai viaggi. È stato lo stesso portale internet, promotore del premio Travellers’ Choice® Destinations Awards, che riconosce i principali e più popolari luoghi turistici del mondo, a comunicare i risultati che sintetizzano preferenze, recensioni e opinioni fornite dal vastissimo panel di viaggiatori di TripAdvisor. Londra è stata insignita di tre riconoscimenti: miglior destinazione del Regno Unito, miglior destinazione d’Europa e miglior destinazione del mondo. Dopo Londra, la graduatoria internazionale vede New York e Roma, rispettivamente al secondo e terzo posto, mentre nella categoria europea Roma è al secondo, seguita da Parigi. L’elenco completo dei vincitori del premio 2012 Travellers’ Choice Destinations, è consultabile sul sito www.tripadvisor.co.uk/TravelersChoiceDestinations.


fatti e contraffatti

Pasta,consigli per gli acquisti Elemento quotidiano delle nostre tavole, è da tempi immemori che lasagne e spaghetti arricchiscono i piatti e riempiono i sensi degli italiani. Questo non significa però che tutti ne conoscano la storia, ne distinguano le varie tipologie (grano duro o tenero, all’uovo, fresca o secca…) e sappiano scegliere la marca migliore

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di Marishel Fecchi

Nonostante il nome pasta derivi dal greco passeìn cioè impastare, la sua (per così dire) scoperta si può far risalire al neolitico, cioè circa 8000 anni a.C. quando l’uomo da nomade cacciatore costretto a seguire i flussi migratori della selvaggina, è diventato stanziale, cioè agricoltore. Molire i cereali tra due pietre, mischiare il prodotto con acqua, farlo asciugare al fuoco o al sole, sono stati i primi brevi passi. Testimonianze archeologiche a proposito di attrezzi per la produzione di pasta si trovano in tutta l’area euroasiatica, ma quella più antica di prodotto finito arriva dalla Cina e risale a 4000 anni fa. Si tratta di spaghetti al miglio, e sottolineo che in quel periodo il grano era sconosciuto in Cina. Numerose sono le citazioni tra gli autori greci e latini, da Aristofane a Orazio, che utilizzano il termine laganon e laganum riferendosi a un impasto steso e tagliato a strisce, le nostre lasagne, e che quindi ci fanno supporre che queste fossero di comune utilizzo. Sappiamo poi dalla storia che, dopo le guerre puniche, Roma si è impadronita della Sicilia non solo per avere una posizione strategica nel Mediterraneo, ma anche perché era il granaio più importante per sfamare la capitale che già allora contava più di un milione di abitanti. È del 1154 invece la testimonianza del cartografo di Ruggero II di Sicilia in cui si parla di Trabia, una paese nelle vicinanze di Palermo, dove erano presenti tanti mulini e veniva fabbricata una pasta a fili, secca, che veniva spedita per nave in terre cristiane e mussulmane: ecco gli spaghetti! E prima del viaggio di Marco Polo in Cina! Ma quindi, la storia di Marco Polo e degli spaghetti cinesi? Una delle più riuscite trovate di marketing dei soliti americani. Nasce da una notizia apparsa sul Macaroni Journal, rivista pubblicata da un’associazione di industriali per incrementare il consumo di pasta, e non per fare un piacere a noi, bensì per favorire la coltivazione del grano duro. Insomma, i cinesi con la nostra pasta non c’entrano affatto. Continuando con le testimonianze storiche, fondamentale è poi quella del Boccaccio: “Una contrada che si chiama Bengodi nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevasi un oca denaio e un papero a giusta, ed eravi una montagna di formaggio parmigiano grattuggiato sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che maccheroni e ravioli e cuocergli in brodi di capponi…” (Decamerone VIII,3). Abbiamo tutto: la pasta secca, quella ripiena, formaggio, salsicce e anche il brodo. Sembra già un pranzo di Natale! Spulciando tra i libri storici di cucina, scopriamo che già nel ‘300 si faceva la differenza tra croseti (pasta corta) e alessandrina (pasta lunga), e viene consigliato di utilizzare per mangiarla un punctorio di legno. La nostra forchetta, appunto. Ricordo che in quasi tutta l’Europa ancora nel ‘700 si mangiava con le mani, e che la forchetta, invenzione tutta italiana, è entrata in Francia quando Caterina de’ Medici ne è diventata regina, ma si è propagata molto lentamente nel


resto d’Europa. E mentre il popolino era costretto a saziarsi di pasta, per i ricchi questa era un contorno; si serviva scotta perché serviva ad accompagnare carne e verdure e ad assorbirne il sugo, come succede ancora oggi in molti paesi. Già nel ‘600 però ci sono cuochi che consigliano i maccheroni più intirizzati e sodi, cioè al dente. Intanto la fabbricazione della pasta si stava sviluppando in tutta Italia, specializzandosi: paste di grano duro al sud, di grano tenero, all’uovo e sopratutto ripiene al nord. A Gragnano agli inizi dell’800 erano funzionanti ben 30 mulini e qui, con un microclima particolare, con le brezze marine, la pasta essiccata all’aria riusciva a raggiungere un’ottima qualità. Pensate che subito dopo l’unità d’Italia, re Umberto I e la regina Margherita (quella della pizza) hanno inaugurato la ferrovia Gragnano-Napoli per far sì che la pasta potesse raggiungere il porto ed essere esportata in tutto il mondo. Ancora oggi Gragnano è considerato sinonimo L’albero di paste di qualità. Per le paste degli spaghetti all’uovo e ripiene bisognerà Nel 1957, la BBC trasmise un aspettare ancora parecchio pridocumentario molto serio dal titolo ma di poter avere un prodotto Raccolta primaverile degli spaghetti in idoneo al trasporto. Sia l’uovo cui si diceva che in alcune zone particoche i ripieni sono infatti estrelarmente favorevoli di Italia e Svizzera in mamente sensibili alla salmonella e, se non trattati, hanno primavera gli spaghetti crescevano sugli una durata molto breve. alberi. Naturalmente al filmato seguì

Per la pasta all’uovo, le uova devono essere fresche (preferite quelle che indicano in confezione il tipo di allevamento biologico o a terra) e l’igiene sul posto di lavoro molto accurata

Più della penna… poté la pasta

La pasta è da sempre un alimento legato al popolo semplice. un notevole flusso turistico di cuSi definisce maccheronico un linguaggio intriso di errori, e Come si produce la pasta riosi alla ricerca dell’albero ancora oggi, in alcune zone d’Italia, nel linguaggio famigliare L’Italia è sia il più grande paese “spaghettifero”! gli errori dei bambini nei primi anni di scuola vengono detti produttore che il più grande consumaccheroni. Nacque addirittura un filone poetico, detto poesia matore di pasta. Ne mangiamo 28 Kg/ maccheronica, di cui vi do un breve saggio da Maccheronata, di anno/a testa, seguiti dal Venezuela che Gennaro Quaranta. L’autore risponde niente meno che a Giacomo però ne consuma la metà. Il maggior impiego Leopardi il quale nel suo Nuovi Credenti si era espresso in maniera poco carina nei è al sud, con il 40%, segue il nord con il 37% e il confronti dei napoletani descrivendoli divisi tra spiritualità e maccheroni: centro, il meno vorace, con 23%. La legge italiana non si occupa delle diverse forme di pasta, ma ne “E tu fosti infelice e malaticcio o sublime cantor di Recanati divide le tipologie in pasta di semola, con grano duche bestemmiando la natura e i fati frugavi dentro te con raccapriccio ro e acqua; pasta all’uovo, con almeno 4 uova freOh mai non rise quel tuo labbro arsiccio né gli occhi tuoi lucenti ed infocati sche e intere di gallina ogni Kg di semola; e pasta perchè... non adoravi i maltagliati, le frittatine d’uovo ed il pasticcio fresca. E qui dobbiamo fare attenzione, perché la ma se tu avessi amato i maccheroni più delli libri che fanno l’umor negro legge in questo caso lascia molto spazio all’imbronon avresti patito aspri malanni... e vivendo tra i pingui buongustai glio. Si parla infatti di un minimo (e non di un masgiunto saresti, rubicondo e allegro forse fino ai 90 o ad i cent’anni”. simo) del 24% di umidità. Quindi occhio: l’acqua Con un salto nel tempo arriviamo agli anni del fascismo, periodo durante il pesa e non costa! Per quello che riguarda la produquale la pasta si identificava ancora con Napoli. Marinetti nel suo Manifesto zione, prima si deve macinare il grano (vedi pagina della cucina futurista accusa la pasta di uccidere l’animo nobile dei napoletani e sseguente); semola o semolato vengono poi impastane auspica l’abolizione, consigliandolo a Mussolini. Questa abolizione avrebbe ti con acqua in modo che l’amido e il glutine si amalanche ridotto l’importazione di grano e favorito un prodotto tutto italiano gamino. Il contenuto di glutine è fondamentale percome il riso. Purtroppo per Marinetti però si fece scoprire da Biffi a Milano ché determina la tenuta dell’impasto e quella della davanti a un piatto di spaghetti. Di conseguenza i napoletani, con il senso cottura. Durante la cottura le due proteine presenti, dell’umorismo che li contraddistingue, coniarono la rima: cioè la gliedina (la proteina a cui sono intolleranti i celiaci) e la gluteina, si legano all’acqua formando una “Marinetti dice basta, specie di rete. Il prodotto derivato dal grano duro formessa al bando sia la pasta ma una rete a maglie più fitte di quello proveniente poi si scopre Marinetti dal grano tenero, e l’amido vi resta imprigionato renche divora gli spaghetti”. 17


fatti e contraffatti

Le farine: come si ottengono

“Chi mai fosse tra i ghiottoni l’inventor dei maccheroni vi son dispute infinite né decisa è ancor la lite” (Gennaro Columbro, Le muse familiari) Nei secoli, la fabbricazione della pasta si è sviluppata in tutta Italia, specializzandosi: paste di grano duro al sud, di grano tenero, all’uovo e sopratutto ripiene al nord

dendo la pasta più o meno resistente. Ecco il motivo per cui le paste a grano tenero di importazione tendono a scuocere. L’impasto viene fatto poi passare attraverso la trafila che ci dà la forma desiderata. Se la trafila è di bronzo, la superficie resta leggermente ruvida facilitando l’adesione del condimento. Seguono l’essicazione e il confezionamento. Che pasta scegliere? La pasta di semola, se il grano o le farine sono state conservate in maniera corretta – se cioè non si sono formate muffe – è un alimento sano, e vi assicuro che in Italia abbiamo prodotti eccelsi che, quando cotti, emanano davvero odore di grano! Fate qualche esperimento con paste di ditte meno conosciute, farete scoperte meravigliose. Per la pasta all’uovo (più ingredienti, più rischi) le uova devono essere fresche e l’igiene sul posto di lavoro molto accurata. Comprate quei prodotti che vi raccontano delle uova utilizzate e degli allevamenti da cui provengono: se quindi le ovaiole vivono libere, a terra o in gabbia. È vero infatti che il prodotto viene pastorizzato e che in ogni caso mangiarlo non fa morire, ma se penso agli scandali degli ultimi anni relativi agli allevamenti in batteria e alle foto che si vedono in giro… è meglio rifletterci un po’ su. Le paste speciali, infine, sono paste a cui sono stati aggiunti altri ingredienti (tartufi, peperoncino, cacao etc). Diciamo che sono alimenti fantasiosi, molto decorativi.

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Il grano viene prima bagnato in modo che al mulino sia più facile separare le pellicine di rivestimento da cui si ricava la crusca. Questa prima operazione di separazione si chiama abburattamento. Il prodotto che ne risulta si chiama sfarinato, che a sua volta si definisce semola quando prodotto da grano duro e farina quando ricavato dal grano tenero. Queste ultime si differenziano per gradi che vanno dallo 00, la più pura, fino a 2, quella con più crusca, fino a quella integrale in cui il grano è utilizzato in toto. Mentre la farina di grano tenero è binchissima, quella di grano duro è gialloambra e presenta una granulosità più marcata. La qualità di una farina, sia essa da grano duro o da grano tenero, è determinata dalla sua forza dovuta alla quantità e alla qualità del glutine in essa contenuto che conferisce resistenza ed elasticità alla pasta. Questa qualità viene contrassegnata con la W. Ho controllato le farine in diversi supermercati, non ho trovato questo simbolo su nessun imballo esposto. Più alto è il coefficiente W migliore è la farina. Fra quelle in commercio la migliore è la Manitoba, con un W pari a 430 (si parte da 150), che è ottima sia per le paste, perché imprigiona l’amido, sia per impasti lievitati, perché imprigiona i gas prodotti dalla fermentazione rendendo la pasta soffice. Altre farine da noi facilmente reperibili sono ricavate da: mais, segale, orzo, riso e miglio. I più usati da noi sono sicuramente il mais e l’orzo, mentre la segale viene ancora usata parecchio nel nord dell’Europa, il riso ovviamente in Asia e il miglio in Africa. Farine da non cereali: grano saraceno (per pizzoccheri e polenta taragna), amaranto. Farine da leguminose: ceci (per farinata, testaccio, falafel, panelle), piselli, fagioli, fave, lenticchie (usati particolarmente nella cucina indiana), soia. Fecole: patate, castagne (è stato per secoli l’alimento base della popolazione del nostro Appennino), manioca (o tapioca, denominazione diversa a seconda delle zone).



scienza e vita

di Giuseppe Pulina Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari

Da sempre ottima base per i prodotti cosmetici, può essere utilizzato in diete ipocaloriche ed è ottimo per consumatori di fascia sensibile (bambini, anziani o soggetti allergici). In crescita il suo impiego, con conseguenze positive sulle microeconomie locali e interessanti risvolti in termini di salvaguardia dell’ambiente

Quando si parla di equini, è quasi scontato immaginare ci si riferisca ai cavalli (soprattutto nei paesi anglosassoni), dimenticando che al genere Equus appartengono altre specie, equine a tutti gli effetti. È il caso dell’asino (Equus asinus, Ordine Perissodactyla, Famiglia Equidae), che è stato addomesticato prima del cavallo, probabilmente in Numidia, almeno 5mila anni fa: da allora questa specie ha umilmente accompagnato l’uomo nella sua lunga evoluzione economica e sociale. Il complesso processo di addomesticamento dell’asino, definito non lineare, é di notevole interesse. La principale utilizzazione dell’asino per il trasporto di beni e persone favorì gli interscambi tra le popolazioni africane, asiatiche ed europee, tanto che gli zooarcheologi definiscono l’asino l’Internet del mondo antico. Ma questa docile specie rappresenta ancora oggi un’importante risorsa nelle economie rurali di numerosi paesi

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Latte d’asina, segreto di bellezza

in via di sviluppo, in grado di migliorare la qualità della vita con il suo lavoro e la sua grande adattabilità ad ambienti anche assai difficili. Nel mondo si contano circa 44 milioni di asini, di cui 40 milioni (96,35%) nei paesi in via di sviluppo. In Etiopia sono presenti circa 5.200mila asini, che rappresentano il 50% della forza lavoro animale per il trasporto, il lavoro nei campi e per la produzione della carne e del latte. Per quanto in Italia rappresenti un alimento di estrema nicchia, il latte di asina sta pian piano conquistando la ribalta per moltissime indubbie caratteristiche positive. La professoressa Elisabetta Salimei, docente di Nutrizione e Alimentazione Animale presso l’Università del Molise e autrice del capitolo sul latte d’asina nella Encyclopedia of Dairy Sciences (Second Edition, vol. 1, pp. 365–373. San Diego: Academic Press), ci introdurrà nel mondo di questo alimenti così antico e così attuale.


L’asino è un grande lavoratore, ma è anche una fonte preziosa di proteine nobili. Le qualità del suo latte sono conosciutissime fin dall’antichità. Ce le puoi riassumere? Certo. Oltre al lavoro, questa specie ha molto altro da offrire, essendo nota fin dai tempi antichi per la sua produzione di proteine di elevato valore nutrizionale. In particolare, il latte di asina ha destato negli ultimi anni un notevole interesse scientifico in quanto è risultato ben tollerato da bambini affetti da allergia alle proteine del latte vaccino e il suo uso è indicato per la prevenzione dell’aterosclerosi. Il latte di asina ha una composizione centesimale molto diversa da quella di bovina o altri ruminanti: per il suo elevato contenuto in lattosio (68-74 g/L latte), questo alimento è ben accetto dai bambini, anche se il suo basso tenore in grassi (3-10 g/L latte) lo rende meno energetico di quello umano, per cui in soggetti di età inferiore a 6 mesi è richiesta un’adeguata integrazione nutrizionale. La componente proteica del latte di asina (15-18 g/L latte) è prossima a quanto riportato per il latte umano ed è caratterizzata da elevato tenore in sieroproteine (35-50%) e da una peculiare componente caseinica, che rende questo latte poco adatto alla caseificazione. A questo riguardo, studi di proteomica applicata alle scienze del latte evidenziano le profonde differenze nella micella caseinica di latte equino (asina e cavalla), umano e bovino. Un buon valore nutritivo, dunque, ma alcune differenze rispetto al latte umano e dei ruminanti. Quali sono le caratteristiche allergologiche e funzionali di questo prodotto? Da un punto di vista allergologico, ß-lattoglobulina e caseine del tipo αs-, considerate i maggiori allergeni nel latte vaccino per bambini e adulti, sono presenti anche nel latte di asina. In particolare, la ß-lattoglobulina è presente in quantità leggermente superiore a quanto si ritrova nel latte bovino, ma presenta con quest’ultima una cross-reattività solo del 56%, per cui il potenziale allergizzante del latte di asina risulta molto più basso. Ciò spiega la buona tollerabilità (>82%) di questo latte fino a ora evidenziata da parte di bambini con allergie alimentari e con problemi di dermatite. Oltre a potenziali antigeni, la componente proteica del latte di asina presenta anche proteine di grande importanza funzionale, come lisozima (presente 1 g/L) e lattoferrina, nonché fattori di crescita cellulare e ormoni umanosimili, come leptina, grelina, IGF-1, triiodotironina. Tra i peptidi bioattivi del latte di asina, sono anche oggetto di studio le numerose biomolecole rilasciate durante il processo di digestione delle proteine o di fermentazione lattica, in quanto dotate di numerose attività (antimicrobica, antiipertensiva, immunomodulante, rilassante, ecc.).

Come ci ha detto, il latte d’asina è a basso contenuto di lipidi. Cosa dire della composizione di questi ultimi? La componente (ipo)lipidica del latte di asina presenta una bassa concentrazione in colesterolo (5088 mg/L latte), un contenuto mediamente basso in trigliceridi (80%) e un contenuto elevato in acidi grassi liberi (10%). Il profilo acidico del grasso é caratterizzato dalla presenza di monoinsaturi totali con una concentrazione prossima al latte umano, da un elevato contenuto in PUFA (acidi grassi polinsaturi) delle serie n3 (9,5%) e da un rapporto PUFA n6:n3 inferiore a 1.4: un profilo che candida questo alimento fra quelli di particolare interesse nella prevenzione delle patologie dell’anziano e di quelle cardio-vascolari di natura infiammatoria.

Un simpatico ritratto della professoressa Elisabetta Salimei, docente di Nutrizione e Alimentazione Animale presso l’Università del Molise

Quanto latte è possibile ottenere da un’asina e quali sono gli accorgimenti per salvaguardarne le caratteristiche nutrizionali? La produzione di latte di asina varia in media da 300 a 700 mL per mungitura, manuale e meccanica rispettivamente. Oltre alla tecnica di mungitura adottata (e alla perizia del personale), la quantità di latte prodotto è influenzata dallo stadio di lattazione delle fattrici, dalla gestione delle lattifere e dei puledri (che vengono separati dalle madri 3 ore prima di ogni mungitura), dalle strategie alimentari e dalla condizione corporea delle fattrici. In funzione della domanda di latte (piuttosto discontinua), le asine possono

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scienza e vita

totale/mL) la quale, oltre all’osservanza delle norme igieniche, è riconducibile alle caratteristiche anatomiche della mammella della specie e all’azione igienizzante derivante dalla suzione diretta da parte del puledro, il quale vive con la madre fino allo svezzamento (in genere a 7-9 mesi). È interessante rilevare che non sono stati isolati nel latte di asina patogeni quali Listeria monocytogenes e Salmonella spp., e che, più in generale, in Italia e in Europa il rischio associato al consumo di latte di asina è indicato come ragionevolmente contenuto. È tuttavia importante considerare che in aree in cui l’allevamento asinino è maggiormente diffuso, e più frequente è la diffusione di patogeni (Brucella spp., Rhodococcus equi, etc.) tale rischio risulta più elevato. Come può essere utilizzato il latte d’asina? In campo alimentare, il latte di asina può essere utilizzato in diete ipocaloriche e nella preparazione di bevande fermentate probiotiche (latte fermentato, koumiss, ecc), come pure essere trasformato in gelati, budini, prodotti da forno, etc. È il caso di ricordare che, come noto fin dai tempi dell’antica Roma, il latte di asina è un ingrediente pregiato anche nella cosmesi, per le sue proprietà detergenti e idratanti. A conclusione di questa panoramica su alcuni aspetti del latte di asina e della sua produzione, la diffusione in aree marginalizzate (e a rischio abbandono) dell’allevamento asinino per la produzione di latte da destinare a consumatori di fascia sensibile (lattanti, anziani o soggetti allergici) può contribuire alla rivitalizzazione delle microeconomie locali, con positivi risvolti in termini di salvaguardia del’ambiente. Infine, il rinnovato interesse nei confronti dell’allevamento dell’asino, equino nobile e antico, può contribuire in modo significativo alla salvaguardia della biodiversità.

Fin dai tempi dell’antica Roma, il latte di asina è un ingrediente pregiato della cosmesi, per le sue proprietà detergenti e idratanti

essere munte più volte al giorno (fino a un massimo di 8) ma questo richiede l’adozione di strutture e routine per la mungitura, messe a punto ad hoc. È doveroso a questo punto ricordare il grande contributo di Andrea Simoni, geniale Collega dell’Ateneo molisano, che ci ha lasciato la prima struttura per mungitura, refrigerazione e imbottigliamento del latte di asina. La gestione del latte appena munto e i trattamenti termici per il risanamento o per la conservazione potrebbero tuttavia danneggiare alcune delle componenti nutraceutiche, a tutto svantaggio delle potenzialità salutistiche del latte di asina. Trattamenti di risanamento, diciamo così, “robusti” sono necessari però per una garanzia di igienicità del prodotto… In linea generale sì. Ma dobbiamo tenere conto che nel caso del latte di asina, sotto il profilo igienico, le informazioni disponibili evidenziano una contaminazione microbica generalmente bassa (<10.000 carica

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L’asino è ancora oggi un’importante risorsa nelle economie rurali di molti paesi in via di sviluppo, in grado di migliorarne la qualità della vita con il suo lavoro e la sua adattabilità anche ad ambienti difficili


FEASR

REGIONE

DEL

VENETO

Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali

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Iniziativa finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale per il Veneto 2007-2013 Organismo responsabile dell’informazione: Grana Padano e gli altri formaggi veneti di qualità Autorità di gestione designata per l’esecuzione: Regione Veneto - Direzione Piani e Programmi Settore Primario


almanacco di barbanera

di M. Pia Fanciulli

Da ricordare

Sole e luna Il Sole Il 1° sorge alle 05.27 e tramonta alle 20.29 L’11 sorge alle 05.24 e tramonta alle 20.36 Il 21 sorge alle 05.25 e tramonta alle 20.39

Giugno di luce e di colori Tra fiori e infiorate, la natura si dona in tutta la sua bellezza ed è anche il momento di raccogliere i frutti di quanto seminato. Le giornate, sempre più lunghe, sono un invito all’incontro. Fino al solstizio, quando comincia l’inversione di rotta 24

Il 1° giugno si hanno 15 ore e 2 minuti di luce solare – mentre il 21, giorno del solstizio d’estate, si hanno 15 ore e 15 minuti: si guadagnano 13 minuti di luce solare. Ma dal 22 le giornate cominciano ad accorciarsi. Il 30 giugno si avranno 15 ore e 12 minuti di luce solare. Si perdono 3 minuti. La Luna Il 1° tramonta alle 02.54 e sorge alle 17.08 L’11sorge alle 00.42 e tramonta alle 13.02 Il 21 sorge alle 07.08 e tramonta alle 21.50 La Luna è al Perigeo domenica 3 alle ore 15. È all’Apogeo sabato 16 alle ore 03. Luna in viaggio In questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 5, 8, 9, 12, 13, 14, 17, 18.

Domenica 10 giugno Corpus Domini Corpus Domini vuol dire Corpo del Signore. La celebrazione chiude il ciclo delle feste del dopo Pasqua e ricorda il mistero dell’Eucarestia. A istituirlo fu una suora che nel 1246 volle dedicare all’Eucarestia una festa slegata dal clima di mestizia e lutto della Settimana Santa. Il suo vescovo approvò l’idea e il Corpus Domini divenne una ricorrenza prima a Liegi, dove si trovava il convento della suora, e poi per la cristianità intera. In tutt’Italia si celebra con le infioriate; tra le più famose quelle di Spello e Genzano. Giovedì 21 giugno Solstizio d’estate Di solstizio d’estate se ne parla sempre in abbondanza. Sappiamo bene che da quel momento in poi, dal 21 giugno, le giornate cominciano ad accorciarsi. In senso astronomico è il giorno in cui il sole raggiunge il punto più alto sull’orizzonte e si hanno il giorno più lungo e la notte più breve dell’anno. Il momento è magico, bellissimo, con la natura nel suo pieno fiorire e tante notti stellate da rimirare. Domenica 24 giugno San Giovanni Battista Il giorno di San Giovanni apre le porte alla bella stagione. Appena trascorso il solstizio d’estate, la natura vive una fase stagionale a dir poco magica. Anche la tradizione lega a questo momento i suoi riti benauguranti. Si dice ad esempio che tutto quanto venga toccato dalla “rugiada” di San Giovanni sarà baciato dalla fortuna. Per questo si mettono alla finestra, in questa notte di portenti, gli oggetti più cari. Se poi siamo innamorati, passiamo la notte all’aperto assieme alla nostra persona del cuore: la rugiada del Santo favorirà anche l’amore.


luna piena

luna nuova

primo quarto

Orti e dintorni Fiori e ortaggi possono vivere insieme recando benefici gli uni agli altri. Si parla in questo caso di consociazione, utile a limitare il ricorso a trattamenti chimici dannosi per le piante e la nostra salute. Esistono infatti fiori incantevoli, capaci di proteggere altre piante dall’attacco dei parassiti. La tagete, ad esempio, deve al suo profumo la capacità di tenere lontano “il tonchio delle fave”. Non solo, utilizzata come bordura, sarà un’ottima pianta esca per le lumache e le limacce che vi si fermeranno sopra senza danneggiare le coltivazioni. Il nasturzio è un altro esempio. Splendido fiore, ottimo anche da mangiare in insalata, è un valido repellente per gli afidi. Si potrà quindi coltivare alla base degli alberi da frutto quali meli e ciliegi. E ancora, le comuni salvia e menta, disgustano con il loro profumo la cavolaia, che così si terrà alla larga, appunto, da cavoli e cavolfiori. Quanto alle operazioni da fare in questo mese nell’orto e nel giardino, è il momento, con la Luna crescente (dal 1° al 3 e dal 20 al 30 giugno), di seminare i fagiolini tardivi e pure, in cassone aperto, cavolfiori e verze. Poi c’è da trapiantare il sedano. In giardino, estrarre dal terreno i bulbi dei fiori che mostrano le foglie in fase di essiccazione e conservarli al buio e in luogo asciutto per il futuro reimpianto. Arrivata la Luna calante (dal 5 al 18) proseguire invece con la scacchiatura dei pomodori e anche con la semina in cassone all’aperto di finocchi, oltreché con il trapianto dei cardi. Importante, dovendo annaffiare gli ortaggi, non bagnare le parti aeree: li preserverà da molte malattie. Nel giardino eliminare le rose sfiorite, cimare i crisantemi e legare le piantine ai tutori. Fare talee di ficus da porre a radicare su sabbia e torba in parti uguali e sotto copertura: il ficus si riproduce bene anche per margotta. Annaffiare regolarmente le specie in vaso e concimare con concimi idrosolubili.

Belli e sani È stato dimostrato scientificamente che l’attività fisica all’aria aperta, ad esempio una camminata a passo spedito, libera nel sangue le cosiddette “endorfine del buonumore”. Può bastare una passeggiata di tre quarti d’ora al giorno per avere un effetto positivo sulla psiche. Senza dimenticare come anche il sole abbia un effetto salutare consentendo la sintesi della vitamina D. Un’ulteriore amplificazione dei benefici si avrà camminando negli ambienti naturali, oppure ascoltando, mentre si passeggia, musica rilassante. L’estate è sicuramente una stagione ottima per dedicare qualche attenzione in più al nostro corpo e alla pelle che in questo periodo può diventare più grassa. Il rimedio potrà venire da una maschera di pomodori freschi schiacciati, applicata sul viso e tenuta in posa per alcuni minuti. Il volto va poi sciacquato e vaporizzato con una tisana tiepida al fieno greco o alla menta, con aggiunta di qualche goccia di limone. I risultati saranno sorprendenti, proprio per una pelle a prova d’estate. Tra le grandi protagoniste dei mesi estivi, la frutta è da sempre al centro di un ricorrente interrogativo: buccia sì o buccia no? A parte il suggerimento generale di consumare prodotti biologici perché più sani, sempre più nutrizionisti affermano che non è necessario mangiare la frutta con la buccia. Le vitamine e i sali minerali si trovano infatti quasi tutti nella polpa. Inoltre sulla buccia si depositano i pesticidi utilizzati per impedire che la frutta venga rovinata dagli insetti.

Saggezza popolare Saggezza popolare · In giugno abbi cura della vigna e della mietitura. · Chi fa uso di verdura, vive sano e a lungo dura. · Per San Vittorino, ciliegie a quattrino. · Giugno freddino, povero contadino. · A Sant’Antonio (13 giugno) candido giglio, ogni madre affidi suo figlio. · Bel lucciolaio, buon granaio. · Giugno apre le porte alle giornate corte. · Se l’orto è nell’arsura poco o niente procura.

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· Il ravanello fa il viso bello. · Se canta il gallo dopo cena, se c’è nuvolo rasserena.

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di Gilda Ciaruffoli

appuntamenti

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1 Venrdì 2 Sabato 3 Domenica 4 Lunedì 5 Martedì 6 Mercoledì 7 Giovedì 8 Venerdì 9 Sabato 10 Domenica

Puglia La città che non immagini

La 18ª edizione di Lecce Cortili Aperti si prospetta particolarmente vivace. L’originale appuntamento, che si inserisce nell’ambito delle Giornate Nazionali dell’Adsi, offre infatti quest’anno ai visitatori tour guidati, concerti, mostre, letture, corsi. Ad aprirsi come scrigni nel cuore del capoluogo barocco 28 tra dimore storiche e chiese del Sei e Settecento; e ancora, atri e giardini abitualmente chiusi al pubblico. Un viaggio storico e culturale inedito per chi ha scelto di trascorrere questo fine settimana di primavera nel capoluogo salentino. 9-10 giugno, Lecce - Info: www.adsi.it

Umbria Più gusto per tutti

Al via la prima edizione di Gluten Free Fest l’evento dedicato al senza glutine, ideato con lo scopo di sensibilizzare a una conoscenza più approfondita di quelle che sono le problematiche che i celiaci e le loro famiglie affrontano ogni giorno. Il tutto attraverso attività diverse che vanno dai laboratori ludico-didattici per bambini alle mostre, agli incontri letterari. Non mancano, naturalmente, degustazioni guidate e corsi di cucina in collaborazione con l’Università dei Sapori, così come la possibilità di mangiare piatti gluten free negli appositi spazi ristoro. 7-10 giugno, Perugia Info: www.glutenfreefest.it

Veneto Spumanti di tutta Italia, unitevi!

Torna Bollicine a Marostica, la rassegna dei vini spumanti ospitata presso il Castello Inferiore della cittadina, che ospita un banco d’assaggio in cui i produttori propongono direttamente al pubblico i loro vini. Almeno 150 le etichette provenienti da tutte le aree di produzione vocate alle bollicine: da Conegliano e Valdobbiadene alla Franciacorta; dall’Oltrepò Pavese al Trentino. Presenti anche i produttori locali con Durello, Vespaiolo Spumante e Recioto di Gambellara. Due i momenti speciali dedicati alle degustazioni guidate delle etichette più prestigiose; per tutto il giorno inoltre gli assaggi sono accompagnati dai prodotti tipici del territorio. 3 giugno, Marostica (Vi) Info: www.aisveneto.it

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Piemonte Assaggi di cultura

Libri da Gustare, il Salone del Libro Enogastronomico e di Territorio, giunge quest’anno alla sua 16ª edizione. Il programma prevede incontri letterari, appuntamenti enogastronomici, momenti di conoscenza del territorio, eventi legati al mondo della musica e delle arti pur mantenendo ben saldo il proprio cuore pulsante: la grande libreria che per l’intero weekend propone una sempre più vasta selezione di titoli dedicati alla cucina, al cibo, al vino, al territorio. Novità 2012 le iniziative legate al mondo della fotografia. Durante i tre giorni dell’evento, inoltre, i ristoranti del paese propongono speciali menù letterari. 8-10 giugno, La Morra (Cn) Info: www.libridagustare.it


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Liguria Il giro del mondo in una città

Si svolge nella Piazza delle Feste del Porto Antico di Genova la 14ª edizione del Suq, Festival delle Culture (patrocinio dell’Unesco), manifestazione dalla formula originale che mescola la rassegna di spettacoli internazionali, i laboratori per bambini, le lezioni di gastronomia e di danza etnica, gli incontri letterari e i dibattiti, alla possibilità di assaggiare 12 cucine diverse e di visitare una quarantina di botteghe con artigianato da tutto il mondo. 13-24 giugno, Genova Info: www.suqgenova.it

Emilia-Romagna L’arte di festeggiar bene

Padre indiscusso della gastronomia italiana, Pellegrino Artusi è l’ispiratore di nove giorni di degustazioni, spettacoli, concerti, incontri, mostre, nella sua cittadina natale. È la Festa Artusiana, appuntamento che rende onore all’autore de La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, durante il quale si alternano oltre 150 laboratori e degustazioni, e una ventina di incontri imperniati sulla cultura del cibo: un grande palcoscenico ai piedi della rocca trecentesca che si trasforma in un luogo d’assaggio grazie agli oltre 30 ristoranti allestiti per l’occasione. 16-24 giugno, Forlimpopoli (Fc) Info: www.festartusiana.it

Trentino-Alto Adige Saltimbanchi on the road

Giocolieri, clown, burattinai, acrobati, ballerini, trampolieri, mangiafuoco, teatranti, musicisti e poeti trasformano magicamente con le loro performance il centro di Merano che, per l’occasione, diventa un immenso palcoscenico a cielo aperto. L’occasione è quella di Asfaltart festival che nasce dal desiderio di rappresentare e contenere tutte le arti di strada, offrendo un livello qualitativo degli spettacoli molto alto e dando la possibilità di esibirsi a dei veri professionisti dello spettacolo on the road. 15-17 giugno, Merano (Bz) Info: www.asfaltart.it

Veneto Tradizioni vive

Torna la consueta partita di Dama Vivente tra i due quartieri della città, arricchita dall’esibizione del gruppo paladino Tamburi e Sbandieratori, da spettacoli, scene figurate, un corteo storico e oltre 500 figuranti in abiti rinascimentali. Quest’anno la Dama Vivente tocca il tema dell’amor cortese, incentrandosi su un grande notaio, letterato e autore teatrale coneglianese, Pulzio Sbarra (1520-1626). Un tema gioioso, e sentimentale per portare un sorriso sulle labbra degli ospiti. 
 15-16 giugno, Conegliano (Tv) Info: www.damacastellana.it

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Domenica

Calabria Impegno civile in festa

Dopo un anno di pausa, torna il Festival delle migrazioni e delle culture locali di Riace, manifestazione nata sull’onda della politica di accoglienza e reinsediamento dei rifugiati e richiedenti asilo politico che l’amministrazione comunale del paese dei Bronzi sta attuando da alcuni anni. Il RiaceInFestival vuole essere un’iniziativa concreta che, attraverso l’universale linguaggio dell’arte, promuova lo scambio e la conoscenza reciproca affinché si contrastino forme di chiusura e razzismo. In scena letteratura, cinema, musica e impegno civile. 21-23 giugno, Riace (Rc) - Info: www.riaceinfestival.it

Toscana Equilibri naturali

Emilia-Romagna Balsamiche tradizioni

Nel fatidico anno del cambiamento sboccia, nel cuore della Val d’Orcia, Aurora Festival, evento interdisciplinare dedicato a natura e spirito. Grandi nomi provenienti da tutto il mondo si riuniscono per tre giorni di seminari, workshop, conferenze e pratiche con maestri, antropologi e ricercatori internazionali di varie tradizioni per promuovere un approccio sostenibile e armonico con l’ambiente, oltre che un mutamento consapevole della nostra quotidianità. Foto: Melina Mulas. 22-24 giugno, Pienza e Monticchiello (Si) Info: www.aurorafestival.org

Un inizio estate all’insegna dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e delle tipicità locali. Sono questi gli ingredienti del fine settimana proposto dalla Consorteria del Balsamico Tradizionale che culmina con il 46° Palio di San Giovanni, competizione riservata agli aceti balsamici tradizionali ed extravecchi Dop che si ripete ormai da mezzo secolo. L’’occasione è buona anche per visitare il Museo del Balsamico Tradizionale di Spilamberto. Foto: Rocco Bizzarri. 20-24 giugno, Spilamberto (Mo) Info: www.comune.spilamberto.mo.it

Piemonte L’arte dello stuzzichino

Manifestazione dedicata al mondo dell’aperitivo e dintorni, Aperitò si svolge a Torino, e non per caso. Proprio qui, infatti, l’aperitivo nasce e diventa appuntamento di tendenza, più di 200 anni fa, quando Antonio Benedetto Carpano comincia a produrre un vino bianco aromatizzato, oggi noto come il Vermouth di Torino. Da allora, cocktail e drink leggeri sono sempre più di moda. Il centro della città, con i suoi caffè storici e i nuovi lounge bar sono dunque pronti ad accogliere turisti e curiosi per bere un bicchiere e assaggiare sfiziose tipicità piemontesi, o magari percorrere un ideale viaggio lungo lo Stivale, attraverso gli usi e i costumi dell’ora dell’aperitivo in tutta Italia. 21-24 giugno, Torino - Info: www.aperito.it

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appuntamenti

giugno

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Sabato

Valle d’Aosta buona per tutte le stagioni

Una volta la polenta veniva mangiata quotidianamente da queste parti. Oggi le occasioni per gustarla sono forse un po’ più rare… La Sagra che le viene dedicata offre dunque l’opportunità di riscoprire questo piatto della tradizione montana, che qui viene cucinato in svariati modi e accompagnato da altri prelibati prodotti gastronomici locali. L’occasione è quella giusta anche per visitare il piccolo e antico borgo di Doues. 29 giugno - 1 luglio, Doues (Ao) - Info: www.regione.vda.it

Campania Il gusto della solidarietà

La Sagra degli Antichi Sapori non è solo un appuntamento con lo svago e il gusto. Certo, l’aspetto enogastronomico – con la possibilità di gustare piatti della tradizione come pettole e fagioli, stufato e bistecche di annutolo e zeppoline cresciute – è centrale, ma a esserlo ancora di più è lo scopo umanitario della manifestazione. Come tutti gli anni infatti i proventi vengono destinati alla cooperazione internazionale (l’edizione di quest’anno finanzierà il progetto “Istruzione e lavoro a Cochabamba”, in Bolivia). Da non perdere l’arriffa, asta popolare in occasione della quale ci si può davvero aggiudicare di tutto. 28 giugno-1 luglio, Pignataro Maggiore (Ce) Info: www.unipopoli.org

Toscana Altro che happy hour!

Termina il 30 giugno a Firenze l’Enotour “Il Buono del Friuli” voluto da Attems e Levoni per restituire al rito dell’aperitivo il giusto ruolo. Nel piatto e nel bicchiere tipicità del Friuli caratterizzate da filiera corta, bontà, sicurezza e tracciabilità. Venti aperitivi all’italiana in venti tappe in giro per la penisola, documentati attraverso facebook, twitter e il blog dedicato (dove essere aggiornati sulle diverse date itineranti della manifestazione lungo tutto il mese e la penisola). In regalo il DiVin Norcino, un utile libricino che racconta “storie di vite e di arte norcina” e suggerisce il giusto abbinamento tra i vini di Attems e i salumi di Levoni. 30 giugno, Firenze Info: http://ilbuonodelfriuli.attems.it

Sicilia La tradizione più antica

Ad Alcara li Fusi si svolge la festa popolare più antica d’Italia, il Muzzuni, un rito propiziatorio alla fertilità della terra, un inno al rigoglio della natura, all’amore e alla giovinezza. Il termine muzzuni fa riferimento, probabilmente, alla brocca priva di collo (mozzata), o al grano che viene falciato e raccolto in fascioni (mazzuna) e, dal punto di vista religioso, a San Giovanni decollato (“con la testa mozzata”). La festa inizia all’imbrunire e prosegue per tutta la notte: ogni quartiere che ospita il Muzzuni viene animato con musiche e canti popolari. 24 giugno, Alcara li Fusi (Me) Info: www.comune.alcaralifusi.me.it

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appuntamenti in breve

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1 Borgo in festa

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Festival artistico e culturale che propone il confronto e lo scambio con comunità provenienti da tutto il mondo. 1-3 giugno, Borgagne (Le) – Puglia Info: www.borgoinfesta.it

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2 Vini nel mondo La kermesse mette in contatto il grande pubblico con le migliori cantine e consorzi di prodotti Dop e Igp. Il tutto in uno scenario incantevole: le stradine della città del Festival dei Due Mondi.

 1-3 giugno, Spoleto (Pg) – Umbria Info: http://vininelmondo.org

3 Sagra del pescato di paranza Rassegna enogastronomica dove gustare ottime fritture di pesce azzurro fresco, pasta e fagioli con cozze, frittelle di alghe, dolci tipici accompagnati da buon vino locale. 1-3 giugno, Castellabate (Sa) – Campania Info: www.comune.castellabate.sa.it

4 Italia in rosa Evento dedicato ai vini rosati giunto alla quinta edizione, allestito nella splendida cornice dei giardini a lago di Villa Bertanzi. 1-3 giugno, Moniga del Garda (Bs) – Lombardia

Info: www.italiainrosa.it

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7 Sagra dell’abete Festa che più di ogni altra rispetta i riti e i gesti di una tradizione atavica che rimanda ai mitici riti celtici. 8-13 giugno, Rotonda (Pz) – Basilicata Info: www.alparcolucano.it

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8 Borgo in festa Lo spirito del Medioevo rivive tra flora e fauna nel parco, mentre attorno al maniero è tempo d’estate tra festa, danze e degustazioni. 9-10 giugno, Gazzola (Pc) Emilia-Romagna Info: www.castellodirivalta.it

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zione di lavorazione del latte e di produzione di formaggio fresco e ricotta. 10 giugno, Aviano (Pn) Friuli-Venezia Giulia Info: www.comune.aviano.pn.it

9 Merano Vitae Festival della Salute. In programma appuntamenti dedicati al benessere psicofisico. 9-24 giugno, Merano (Bz) Trentino-Alto Adige Info: www.meranodintorni.com

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6 5 Regata storica delle Repubbliche Marinare In gara quattro galeoni in rappresentanza di Venezia, Pisa, Genova e Amalfi, ricostruiti su modelli del XII secolo; a precederla un variopinto corteo in costume. 3 giugno, Amalfi (Sa) – Campania Info: www.comune.amalfi.sa.it/regata

6 Sagra del tartufo di Sardegna Presso il Parco di Aymerich, degustazione e vendita del prodotto diffuso nella zona di Laconi. 3 giugno, Laconi (Or) – Sardegna Info: www.comune.laconi.or.it

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10 Mostra mercato di animali, arti e mestieri Ritorna il mercatino tipico che aveva luogo due secoli fa. A Piazzale Trento i prodotti artigianali si uniscono ai giochi e al divertimento. Viene anche data una dimostra-

Durante il Giorno del Corpus Domini, sfilano le macchine dei Misteri, attraverso un percorso rituale che ha inizio nel centro storico della città. Prodotti tipici in vendita. 10 giugno, Campobasso – Molise Info: http://turismo.provincia.campobasso.it

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12 Concorso di cottura barbecue Si svolge presso il Peraga Garden Center il primo concorso nazionale di cottura barbecue, realizzato in collaborazione con BBQ4All, il blog di riferimento per gli amanti del grill. 10 giugno, Mercenasco (To) – Piemonte Info: www.peraga.it

14 Sagra delle fettuccine La fettuccina, pasta fatta a mano tipica del territorio laziale, realizzata con farina, uova e sale, è la protagonista degli stand gastronomici della festa. 15-17 giugno, Grotte Santo Stefano (Vt) Lazio Info: www.prolocosantostefano.org

13 Il Pizzichendò Piramide umana ch percorre un itinerario prestabilito girando su se stessa, in onore di S. Antonio da Padova. 12-13 giugno, Castellino sul Biferno (Cb) Molise Info: http://turismo.provincia.campobasso.it

15 Festa del fiore Il Parco delle Crociere si trasforma in un giardino fiorito dove trascorrere un weekend da sogno per gli appassionati di piante e fiori. 16-17 giugno, Orbetello (Gr) – Toscana Info: www.comune.orbetello.gr.it

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18 Inycon Rassegna dedicata al vino siciliano. 22-24 giugno, Menfi (Ag) – Sicilia Info: www.inyconmenfi.it

19 Giornata della lavanda Presso il Giardino delle Erbe sono in programma visite guidate ai “lavandeti” e attività ludiche varie. 23 giugno, Casola Valsenio (Ra) Emilia-Romagna Info: www.comune.casolavalsenio.ra.it 20 La Notte Magica La notte di San Giovanni e i suoi riti sono protagonisti presso il Museo delle Terre Marchigiane. 23 giugno, San Lorenzo in Campo (Pu) Marche Info: www.comune.sanlorenzoincampo.pu.it 21 Festa delle fate Evento in stile Fantasy: un magico momento per riappropriarsi delle proprie radici e per scoprire le tradizioni locali. 23-24 giugno, Garda (Vr) – Veneto Info: www.lafestadellefate.it

16 Fiascolata Al mattino esposizioni di bancarelle con prodotti tipici; alle 15 partenza della camminata enogastronomica sui sentieri locali. Prenotazione obbligatoria. 17 giugno, Dego (SV) – Liguria Info: www.comune.dego.sv.it 17 Cinemadivino Rassegna di cinema in cantina che quest’anno, dall’Emilia Romagna, si estende a nuove regioni (dal Piemonte alla Sicilia). Tra i filari proiezioni in 35mm e degustazioni di buon vino. 21 giugno-settembre, località varie Emilia Romagna Info: www.cinemadivino.net

22 Sagra del riso Tanta musica, mercatino dei prodotti tipici e risotti per tutti i gusti. 23-24 giugno, Valle Lomellina (Pv) Lombardia Info: www.sagradelriso-vallelomellina.it 23 B.A.CHA. Mostra dei birrifici artigianali italiani. Dal 30 giugno, Châtillon (Ao) – Valle d’Aosta

Info: www.regione.vda.it

24 Sagra degli gnocchetti e fagioli Si degusta un menù a base di fagioli e salsicce, con il sottofondo di musica e balli. 30 giugno, Civita di Oricola (Aq) – Abruzzo

Info: www.oricola.terremarsicane.it 31



Panorama 34

L’Italia che merita: Villa Erba Dopo sei secoli di fascino e splendore, la storica tenuta sul lago di Como oggi vuol rilanciarsi come location per grandi eventi

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Ospitalità Italiana La storia, d’amore e di fornelli, del ristorante italiano Di Bartolo in Costa Rica, uno dei 7 migliori al mondo premiati da Unioncamere

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Il personaggio: Chiara Soldati Nel 2009 è stata nominata “Amazzone del Lavoro”: la cugina del grande Mario oggi ci racconta le sue passioni per la terra e il vino

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L’indagine: turismo e cultura Beni monumentali a pezzi e presenze turistiche in calo. In Italia ovunque è emergenzapaesaggio: la denuncia del FAI

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Lo studio: scelte di viaggio Nelle vacanze di coppia prevale il fascino delle cantine: a Venezia e Parigi gli italiani infatti preferiscono la Valpolicella e il Barolo

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storie dall’Italia che merita

Villa Erba: lo scrigno sul lago, caro a Visconti Da qui sono passati industriali, musicisti e intellettuali. Oggi, la splendida tenuta di Cernobbio, sulle sponde del Lario, è una lussuosa location per grandi eventi, la cui gestione è stata affidata a Jean-Marc Droulers, l'uomo che ha fatto grande Villa d'Este di Domenico Marasco

Atmosfere da Belle époque e panorami mozzafiato. A pochi passi da Como, affacciata sulle sponde del Lario e immersa nella location elegante e briosa di Cernobbio, Villa Erba – una delle più importanti ville di lago italiane – conserva intatto il fascino di una dimora aristocratica d’altri tempi, una magnifica tenuta di foggia ottocentesca, impreziosita da un meraviglioso parco pianeggiante di 100mila metri quadri (con attracco sul lago) che sembra un inno alla natura. La villa padronale, fulcro di tutto il complesso, al suo interno racconta di arte, cultura e mondanità. Dalle sue stanze, per volere della facoltosa famiglia Erba dell’omonimo gruppo farmaceutico (che all’inizio del secolo scorso la acquisì per farne il simbolo della propria agiatezza) sono passati infatti musicisti, architetti e intellettuali di fama, ed è tra queste mura che negli anni 70, il maestro Luchino Visconti, figlio di Carla Erba, portò a termine il montaggio del suo capolavoro cinematografico Ludwig. La torretta panoramica, le finestre con vista sul lago che sembrano piccoli dipinti, i soffitti con gli antichi e preziosi affreschi, i fregi, le opere d’arte, lo stile architettonico arieggiato e sfarzoso: tutto qui ricorda, in ogni istante, una storia che affonda le sue radici nel XV secolo, da quel monastero di Santa Maria Assunta di Cernobbio che sorgeva laddove oggi si staglia, solenne, il compendio di Villa Erba. Un passato sontuoso e un futuro che vuole aggiungere altre pagine di fasti e magnificenze a una vicenda di bellezza, gusto e bel vivere lunga sei secoli. Dopo essere stata trasformata in un polo espositivo e congressuale, Villa Erba è infatti oggi una sorta di lussuosa scenografia a cielo aperto, vocata a ospitare grandi eventi.

Ospitalità su misura Una mission all’altezza del suo lignaggio, per il cui rilancio è stato chiamato un personaggio di altrettanto blasone professionale: ovvero Jean-Marc Droulers, figura di spicco del management turistico internazionale e artefice, tra le altre cose, del successo della più nota Villa d’Este. Classe, stile, charme di sapore antico, esperienza e professionalità: Droulers sembra avere tutte le caratteristi34


che per affrontare e vincere questa nuova scommessa. «Ho accolto la sfida fin dall’inizio con entusiasmo – dice – in quanto parliamo di un posto unico al mondo. La villa non permette l’ospitalità di persone ma solo di convegni e congressi. E noi rendiamo unici questo tipo di incontri. Abbiamo una vista che è tra le più belle del lago di Como, un atrio alto e impressionante con decorazioni del periodo rinascimentale in stile Umbertiano. Affacciandosi da ogni finestra si rimane a bocca aperta, in quanto si apre alla vista un paesaggio unico. È in questa cornice d’eccellenza che ospitiamo fino a 1500 persone a cena, facendole sentire come a casa propria per quanto riguarda la riservatezza». Per garantire il pernottamento ai suoi ospiti, Villa Erba si appoggia a una rete di alberghi di lusso convenzionati e dislocati nei dintorni del centro congressuale. «Si tratta di strutture pluristellate, alcune distanti appena 10 minuti a piedi da Villa Erba, altri raggiungibili in battello con una piccola e romantica gita sul lago», spiega ancora Droulers. «Per quanto concerne invece i menù, abbiamo deciso di essere molto flessibili e andare incontro alle esigenze del cliente, utilizzando ad hoc le aziende che soddisfano la richiesta. Ci piace operare, in sostanza, come un sarto. Assecondando il cliente, piuttosto che dargli solo ciò di cui disponiamo. Siamo comunque in grado di offrire agli ospiti sia la scenografia che gli impianti audio. Per le convention, quando il cliente arriva da noi è servito da cima a fondo. Chi ci sceglie lo fa per la cornice unica che offriamo, non lontana da Milano oltretutto, e quindi servita molto bene da aeroporti e autostrade, per l’ambientazione del lago pre e post convegni che garantisce shopping e ristorazione di qualità, e poi, per il panorama! Da noi si vede il lago stretto e la montagna in totale riservatezza e fino alle 5 del mattino si può ballare in libertà».

Rilanciare il turismo in Italia? Si può Monsieur Droulers, per finire, alla luce della sua esperienza ma anche delle sue origini francesi, le

Gli eleganti esterni e i sontuosi interni della Villa. Qui Luchino Visconti completò il suo capolavoro, Ludwig. A sinistra: Jean-Marc Droulers

chiediamo se, a suo parere, l’Italia è in grado di vincere la sfida della ricettività turistica con la Francia e, se sì, come? «La sfida l’Italia la può vincere perché possiede tante professionalità. Dovrebbe però uniformare l’offerta qualitativa con più catene alberghiere con criteri rigidi. Le cucine devono essere tenute pulite e nella categoria deve esserci più rigore. Infine deve nascere un sistema di sorveglianza veramente puntuale». Quale suggerimento darebbe invece al nostro ministro del Turismo? «Bisognerebbe rivalorizzare l’Enit e le Apt, era un sistema che funzionava benissimo. Ma bisogna farlo risorgere senza le grinfie della politica e premiando i più bravi che, mi creda, ci sono».

«Villa Erba è un posto unico al mondo. Affacciandosi da ogni finestra si rimane a bocca aperta, quando si apre alla vista quel paesaggio unico sul Lago di Como»

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ospitalitàitaliana

Storia d’amore (e di fornelli) Protagonisti dell’avventura sentimental-gastronomica di Carlo Di Bartolo in Costa Rica sono la passione per la cucina italiana e quella per Catalina. E in entrambi i casi, la perseveranza dello chef è stata premiata di Gilda Ciaruffoli

Proprietario del Di Bartolo Ristorante & Enoteca Italiana di Escazù, località nel cuore del Costa Rica, in poco più di 10 anni Carlo Di Bartolo ha realizzato i suoi sogni più grandi. «Sono uno chef italiano con 35 anni di esperienza. Sin dall’inizio della mia carriera ho pensato che forse un giorno, in chissà qua-

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le parte del mondo, avrei avuto un mio ristorante, magari famoso...». E in effetti le cose per Di Bartolo sono andate proprio così. Recentemente insignito del Premio Ospitalità Italiana – Ristoranti Italiani nel Mondo, fra “i Magnifici 7” ristoranti italiani all’estero più votati da esperti e avventori per l’eccellenza dell’offerta complessiva, il Di Bartolo Ristorante & Enoteca Italiana è però solo l’ultima tappa di un cammino fatto di speranze, duro lavoro e risultati via via sempre più entusiasmanti. Approdato in Costa Rica nel 1993 dopo anni di esperienza in Italia e negli Stati Uniti, Di Bartolo si innamora di questa terra e inizia a credere che forse, proprio qui, riuscirà ad aprire il suo ristorante. Dopo 5 anni da executive chef arriva la decisione di aprire la propria attività


In queste pagine, interni ed esterni del Di Bartolo Ristorante & Enoteca Italiana e, a destra, lo chef Carlo Di Bartolo in azione

a Escazù, complice l’incontro con Catalina, ottima pasticcera che di lì a poco diverrà anche sua moglie. «Decidemmo insieme, nel 1998, di aprire un piccolo caffè-gourmet con prodotti esclusivamente importati dall’Italia», ci racconta Di Bartolo. «Nel 2000, dopo 2 anni di successi, pensammo di realizzare un vero ristorante offrendo ai nostri clienti un menù di soli piatti tipici della tradizione italiana. Successivamente, non ancora soddisfatto, ho deciso prima di ingrandire il locale e di proporre nel menù anche una varietà di pizze e focacce, e successivamente di creare uno spazio privato per la clientela più esigente. Nel 2005, per distinguermi ancor di più dall’offerta di altri ristoranti che cominciavano a proporre cucina italiana, decisi di realizzare una grande ed esclusiva cava di vini italiani». Un’ascesa continua quindi, che ha il suo apice nel 2006, «l’anno della svolta». Ci spiega infatti Di Bartolo: «mi venne offerta la possibilità di acquistare una proprietà di 1.100 mq accanto al ristorante. Pensai fosse un segno del destino: era arrivato il momento di portare a compimento il mio sogno. Iniziai da subito a disegnare e progettare personalmente il nuovo – e attuale – ristorante. Dopo 18 mesi di lavori su questa proprietà venne creato un locale di 750 mq con 3 saloni, una nuova cava esclusivamente di vini italiani (oltre 100 etichette) e 3 distinte aree: formale, informale ed enoteca/ pizzeria». La realizzazione di un sogno! «Tutto questo – conclude lo chef – è stato possibile grazie al costante lavoro, alla mia famiglia, alla fiducia dei miei clienti e non ultimo ai prodotti enogastronomici italiani che fin dall’inizio ho promosso. Tutto ciò mi ha permesso di trasformare un piccolo caffè-gourmet in uno dei più grandi ristoranti del Centro America offrendo una struttura importante e una combinazione straordinaria di elevato livello gastronomico con una carta dei vini unica nel suo genere in questo contesto geografico».

“Ricevere il premio Ospitalità Italiana è stato un onore non solo come chef, ma soprattutto come italiano. Essere riconosciuto dal mio paese è una grande emozione, e sentirsi ambasciatore della sua gastronomia è un motivo di orgoglio”

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ilpersonaggiodelmese

Parente del grande Mario Soldati, ha tradotto il verbo del sommo cugino realizzando insieme alla sua famiglia un’azienda di vino dove tutto ruota intorno alla qualità e all’innovazione nel rispetto della tradizione. La sua tenuta, La Scolca, ha 95 anni e il passato e il futuro vi convivono coniugando al meglio la naturalezza di chi vive in questo mondo da sempre con la rapidità di coloro che guardano avanti con la lungimiranza di capitani coraggiosi. Mai come nel caso della famiglia Soldati i nomi hanno un significato simbolico: quello dell’appezzamento derivava dall’antico toponimo Sfurca ovvero “guardare lontano” e la cascina che vi sorgeva era stata in passato appunto una postazione di vedetta; il cognome poi rispecchia in pieno il carattere fiero della famiglia, per la quale la ricerca della perfezione e del “bel paese nascosto” è stata sempre una peculiarità. Chiara Soldati ha ricevuto nel 2009 l’importante premio Donna dell’Anno – Amazzoni nel lavoro, e per molti anni ha ricoperto l’incarico di Presidente del Movimento Turismo del Vino del Piemonte. Chiara rappresenta la quinta generazione nell’azienda di famiglia.

Chiara Soldati

Una donna in lotta per “la poesia della terra”

Soldati e Gavi, un binomio che da quasi un secolo è sinonimo di ricerca della perfezione. Chiara, già “amazzone” del lavoro e a lungo presidente dell’MTV Piemonte – nonché cugina dello scrittore e regista Mario Soldati –, ci racconta la storia della tenuta La Scolca attraverso ricordi d’infanzia, tradizioni familiari e citazioni letterarie di Roberto Rabachino 38

Chiara Soldati, ci racconta la storia della sua famiglia e cosa rappresenta per lei il Gavi? Per spiegare cosa rappresenta per me il Gavi non posso prescindere dal mio vissuto personale in quanto l’infatuazione verso questo fazzoletto di terra a ridosso della Liguria si tramanda ormai da cinque generazioni e in ogni passaggio di testimone, inevitabilmente, la fusione con questa magica realtà è totale e, forse, sta proprio in questo invisibile legame il segreto di tanta caparbia passione. La nostra tenuta è stata acquistata tra il 1917 e il 1919 dal bisnonno di mio padre, Giorgio Soldati. Al momento dell’acquisto, la proprietà era in parte coperta da boschi, in parte coltivata a grano. Fu un’intuizione ben studiata piantare nel 1900 vigneti di Cortese in un territorio esclusivamente vocato alla coltivazione dei vigneti a bacca rossa. Cosa significa essere una produttrice vinicola? Nulla ha più senso della passione. Per vivere pienamente la propria vita e il proprio lavoro non si può prescindere dall’avere come motore e ispirazione


una grande emozione. Il vino per me è una grande passione che si ripete ogni anno nel momento della vendemmia. Un ciclo che si rinnova portando con sé una affascinante gioia nel veder nascere il frutto di tanti mesi di lavoro. La stessa passione che si prova nel proporre e descrivere un mondo speciale nascosto dietro a ogni assaggio. Dopo una rigida e puntigliosa formazione professionale, e ripercorrendo le mie “prime” 18 vendemmie, posso oggi constatare quanto questo cammino sia stato intenso e abbia donato buoni frutti. E come diceva il cugino Mario Soldati “il vino è la poesia della terra”. Questo pensiero accompagna le mie giornate di lavoro ed è uno stimolo a ricercare sempre la sorpresa e lo stupore anche nelle azioni più scontate del nostro lavoro di produttori. Il ruolo del vino nella sua vita? Mi piace molto un verso di Garcia Lorca in Ode al Vino: “Amo sulla tavola, quando si conversa, la luce di una bottiglia di intelligente vino”. Questo per me è il ruolo del vino: accompagnare la nostra vita.

Nulla ha più senso della passione. E il vino per me è una grande passione che si ripete ogni anno al momento della vendemmia

Secondo lei cosa deve trasmettere un vino? Il mio preferito è quello che riesce a scaturire emozioni attraverso l’assaggio. L’apprezzamento del vino è in parte una dote naturale. Il vino deve offrirci spunti di riflessione. Napoleone diceva: “nella vittoria lo meriti, nella sconfitta ne hai bisogno”.

Qual è il regalo più grande che suo padre le ha fatto in questa lungo cammino professionale? Il rispetto di tradizioni e consuetudini, che mi ha trasmesso mio padre Giorgio con la sua guida e la sua esperienza, è un patrimonio inalienabile nonché intoccabile per me, ma l’influenza di questo passaggio generazionale al femminile ha comunque lasciato, già in questi diciotto anni del mio lavoro, dei segni tangibili che auguro possano essere l’inizio di un cammino lungo, di soddisfazione e di rinascita per il Gavi, in una nuova luce di successi. Guardandomi alle spal-

Un sorridente ritratto di Chiara Soldati, suo padre Giorgio e la moglie Luisa

le e pensando alla lungimiranza del fondatore e di quanti ci hanno seguito sulla via del Gavi, sento una naturale responsabilità a proseguire una scommessa che ha radici profonde quanto quelle delle nostre vigne. Come trascorre il tempo lontano dai vigneti? Oltre a viaggi di lavoro che mi portano a scoprire sempre nuovi mercati, nuove mete e soprattutto incontrare nuove culture, il tempo libero è dedicato a mio figlio e a molto sport condiviso con lui: vela, canoa, golf, sci e tiro con l’arco. Il suo vino preferito? Prediligo i vini bianchi come il Gavi, lo Chablis e il Sauvignon, oltre ad alcuni vini rossi di grande fascino dotati di una complessa struttura tra cui il Barolo o i Bordeaux. 39


l’indagine

Beni culturali: l’Italia cade a pezzi e il turismo arranca

Di quel Paese, meta ideale fino all’800 per aristocratici e scrittori, è rimasto ben poco. Oggi, come denuncia il FAI, è emergenza paesaggio ovunque. E la Francia ci ha superati in presenze turistiche, “facendo rete”. Quello che non abbiamo saputo fare noi di Francesco Condoluci

C’era una volta l’Italia del Grand Tour, quella sognata e anelata dai rampolli aristocratici di mezza Europa, quella vissuta, amata e raccontata dai più illustri uomini di lettere del tempo. Giovani dandy, aspiranti scrittori e virgulti di famiglie facoltose, nell’arco dei tre secoli che vanno dal Seicento all’Ottocento, fecero a gara per approdare – dall’Inghilterra, dalla Spagna, dalla Francia, persino da Oltreoceano – sulle italiche sponde, meta ideale di quel viaggio “iniziatico” – laico, dotto, sentimentale – che, a suggello degli studi universitari, doveva spalancare loro le porte alla vita, affinandone i modi e aprendone la mente.

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Pompei ed Ercolano, Roma, Firenze, Venezia e la Sicilia erano solo alcune delle tappe obbligate di quel “tour d’istruzione e formazione” nel Paese che era unanimemente considerato summa di arte, cultura, storia, antichità e letteratura, e che fin dal XVI secolo era stato fonte irresistibile di richiamo e attrazione per artisti, studiosi, intellettuali, pellegrini, mercanti, gentiluomini e avventurieri provenienti da ogni dove. Era, quella, l’Italia delle cento città e dei mille territori ancora tutti da scoprire, l’Italia del sole, del mare e del bel vivere, l’Italia dell’amore sacro e dell’amor profano, il paese del Rinascimento, la culla delle civiltà che hanno fatto la storia, capace di far innamorare i cuori e le penne di poeti e viveur come John Keats, George Byron, William Wordsworth e Percy Shelley, di scrittori come Dickens, Goethe, Stendhal ed Henry James, di viaggiatori come Lear e Gissing, di intellettuali come Madame de Stael.Tutta gente che di quei viaggi (in qualche caso fatti anche a piedi) ha lasciato testimonianze scritte, diari, guide ed epistolari che, negli anni a seguire, hanno fatto da vero e proprio strumento di marketing ante litteram per la promozione turistica dello Stivale. Dai tempi degli ultimi Grand Tour (la definizione è di Richard Lassels nel suo An Italian Voyage del 1698) ai giorni nostri è passato più di un secolo, e, certo, dello spirito che informava quel turismo in-

ternazionale d’antan, oggi in Italia è rimasto ben poco. Difficile riconoscere, in effetti, l’attuale fotografia del nostro patrimonio storico, ambientale e monumentale nell’immagine romantica lasciataci dai grandtourists nei loro scritti. Malgrado l’ultimo secolo ci abbia regalato sviluppo, benessere e industrializzazione, i nostri beni culturali oggi cadono a pezzi, il paesaggio è stato in larga parte brutalizzato, l’ambiente deturpato o, peggio, sacrificato sull’altare di interessi economici. Il paese tanto decantato da Goethe e Byron, insomma, va sempre più scomparendo. I crolli di Pompei, che nel novembre 2010 ci hanno messo alla berlina in tutto il mondo, non sono che la punta dell’iceberg di una gestione del patrimonio culturale nazionale a dir poco disastrosa e che inevitabilmente, alla lunga, si è tradotta anche sul piano turistico in una crisi che i numeri riescono solo parzialmente a raccontare – nel 2010, in termini di viaggiatori stranieri, la Francia ci ha quasi doppiato: 80 milioni di presenze contro i nostri 45 –, ma che forse è ancora più evidente nei fotogrammi della Napoli sommersa dai rifiuti e dei lavori eterni sulla Salerno-Reggio Calabria, nell’obsolescenza dei nostri sistemi museali, o nei continui richiami al governo italiano da parte dell’Unesco perché i 44 patrimoni dell’Umanità presenti nel Paese abbiano maggiore tutela.

Il patrimonio culturale nazionale: • 46.025 beni architettonici • 5.600 siti archeologici • 4.340 musei • 110 archivi di stato • 12.300 biblioteche • 8.500 borghi storici

In apertura a sinistra, gli interni diroccati della Reale Tenuta del Carditello in Campania. Sopra, da sinistra, l’area archeologica di Sirmione e l’ingresso della Rocca della Verruca nel Pisano

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l’indagine

Gli Sos emergenza paesaggio del FAI Villa del Mirabellino – Realizzata nel 1776 e sita nel Parco Reale di Monza, attualmente è vuota e in forte degrado Villaggio Crespi d’Adda (Bg) – costruito dalla famiglia industriale Crespi, è un bene Unesco ma risulta in parte abbandonato Abbazia di S. Pietro al Monte a Civate (Lc) – Tra i siti romanici più importanti del Nord Italia, vi incombe l’apertura di una cava Area Archeologica di Sirmione (Bs) – I resti della villa romana nota come “Grotte di Catullo “, sono inaccessibili al pubblico Complesso dell’Osservanza di Imola (Bo) – Gioiello del ‘500, il muro di cinta del convento è lesionato e rischia il crollo Rocca della Verruca di Vicopisano (Pi) – Faceva parte del sistema di difesa di Pisa Repubblica Marinara, vi lavorò anche Leonardo, oggi versa in cattivo stato Reale Tenuta del Carditello a San Tammaro (Ce) – Abbandonata e invasa dai rifiuti della discarica adiacente e con le decorazioni del ‘700 minacciate dall’umidità Abbazia di San Lupo (Bn) – Risalente al IX secolo, e nota anche come “Cimitero dei Morticelli”, attualmente è abbandonata Villa Liberty di Bagnara Calabra (Rc) – Progettata nel 1912, fu la prima abitazione antisismica in Calabria: oggi è disabitata e in totale stato di abbandono Grotte naturali dell’Addaura (Pa) – Custodiscono esempi di arte rupestre sul Monte Pellegrino, chiuse al pubblico per instabilità e pericolo di frane

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La parola a Ilaria Borletti Buitoni Abbiamo provato ad analizzare lo status quo del patrimonio artistico e la crisi del turismo culturale con la presidente del Fondo Ambiente Italia (FAI), Ilaria Borletti Buitoni, autrice, tra l’altro, di un recente e interessante pamphlet, “Per un’Italia possibile, la cultura salverà il nostro Paese?” edito da Mondadori che, attraverso un viaggio nel territorio, cerca di individuare errori e responsabilità e delineare le possibili vie d’uscita. «Negli ultimi 20 anni, la gestione dei beni culturali in Italia non c’è proprio stata – attacca la presidente del FAI – non s’é fatto pressoché nulla per incentivare, ad esempio, la collaborazione coi privati al fine di mantenere e preservare il nostro patrimonio artistico.Al contrario, si fa di tutto per scempiarlo: penso ad esempio alla nuova discarica di Roma che si vorrebbe costruire a 1,5 km da un sito di grande valore archeologico. Altri esempi di disastri, oltre al notissimo caso-Pompei, sono anche quelli del Parco del Vesuvio o della Valle dei Templi, dove qualcuno vorrebbe mettere all’asta il marchio: un’assurdità inaudita». Dove si annidano le colpe di questa gestione, anzi di questa non-gestione disastrosa? «Sarebbe facile prendersela solo con chi ha, o ha avuto, responsabilità di governo. In realtà, questa crisi in cui si dibatte la nostra cultura ha radici più profonde e, per questo, è più difficile riuscire a invertire la tendenza. Il problema di fondo è che

in Italia la cultura non è al centro dello sviluppo. Le responsabilità politiche ci sono, ma nella misura in cui la politica rappresenta il comune sentire del Paese e dei cittadini. Voglio dire: chi governa o ha governato ha le sue responsabilità, ma è indubbio che nemmeno gli italiani ritengano prioritaria la conservazione del patrimonio culturale nazionale. C’è una “distrazione” di fondo da parte dei cittadini, rispetto alla cultura. Colpa anche delle scuole che non educano più al rispetto del patrimonio artistico». Perché la Francia è davanti a noi nell’utilizzo del suo patrimonio culturale come driver economico? «Perché investe in cultura il doppio del Pil che investe l’Italia,e soprattutto,sa fare“rete”.Prendiamo il caso dei castelli della Loira: un patrimonio monumentale valorizzato anche attraverso la gastronomia, creando un modello virtuoso e attrattivo. Le ville palladiane del Veneto non sono meno belle e con meno potenzialità rispetto ai castelli della Loira, eppure su di esse non si è mai investito in maniera altrettanto intelligente.In Italia,inoltre,c’è un problema di infrastrutture: non si può investire in turismo se prima non si rende il Paese fruibile. In Francia gli investimenti organici tra ferrovie,strade e aeroporti sono stati pianificati anche in funzione del turismo. Da noi, arrivare in Basilicata è praticamente impossibile, così come in Calabria: come si può fare turismo con quelle strade? C’è da dire infine che i francesi sono tutti indistintamente fierissimi dei loro beni culturali: dall’ultimo dei cittadini fino al presidente della Repubblica».


Per un’Italia possibile Il FAI, Fondo Ambiente Italiano, è una fondazione nazionale senza scopo di lucro che dal 1975, anno della sua nascita, ha salvato, restaurato e aperto al pubblico importanti testimonianze del patrimonio artistico e naturalistico italiano. La sua mission è infatti “promuovere una cultura di rispetto della natura, dell’arte, della storia e delle tradizioni d’Italia”. Ma non solo: il FAI è impegnato concretamente nella difesa del paesaggio e dei beni culturali attraverso un’azione di monitoraggio e di denuncia. Dal 2009, alla sua presidenza c’è Ilaria Borletti Buitoni – erede di una delle grandi famiglie industriali milanesi – la quale ha raccolto il testimone dalla stessa fondatrice del FAI ,Giulia Maria Crespi.

Gli italiani invece? Che approccio abbiamo con la nostra storia e la nostra cultura? «Questo Paese ha perso il senso dell’identità, l’avidità ignorante e vorace ha contagiato tutti. Al resto ci ha pensato la televisione che negli ultimi 20 anni ha letteralmente “imbastardito” gli italiani, inculcando modelli sbagliati e favorendo una deriva culturale deprimente. Le famiglie, la domenica, vanno a passeggiare nei centri commerciali invece che andare nei boschi o a visitare musei. Tutto questo non è casuale, ma frutto di strategie mirate di comunicazione che puntano a incentivare i consumi piuttosto che ad accrescere il bagaglio culturale delle persone. Sulla salvaguardia del paesaggio e del nostro patrimonio artistico urge una riflessione immediata e non più procrastinabile». Il presidente FAI Borletti Buitoni. In alto: a sinistra rifiuti davanti alla Reggia di Carditello a San Tammaro (Ce) , a destra la Villa abbandonata a Bagnara Calabra. Sotto: il villaggio Crespi d’Adda

Lei, nel suo libro si scaglia anche contro le amministrazioni locali... «Il problema è che negli enti locali si confonde la cultura con l’evento. I fondi vengono dissipati per finanziare sagre, invece di investirli nella crescita culturale. Per quanto concerne invece il degrado paesaggistico, l’altra grossa responsabilità degli amministratori locali è quella relativa all’edificazione “selvaggia”. Ma anche qui c’è un problema di fondo: i comuni guadagnano sugli oneri di urbanizzazione e questo non fa altro che incentivare alla cementificazione. E nei comuni, le decisioni sono in capo ai geometri, i quali, con tutto il rispetto, non sempre hanno le competenze per mettere i paletti nelle

costruzioni. L’esempio della Lombardia è emblematico: è stata permessa una cementificazione dissennata e priva anche di ogni elementare regola di decoro e di buon senso.Purtroppo il paesaggio, in Italia, resta una percezione non collettiva e troppo legata a visioni individualiste e interessi particolari». Qual è la ricetta per uscire da questa impasse? «Il primo passaggio da fare è quello di creare una rete “vera” del turismo in Italia. Non ci si può continuare a muovere in maniera del tutto approssimativa e improvvisata,come succede oggi. La gestione turistica è troppo spezzettata. Avrebbe dovuto occuparsene l’Enit, ma non l’ha fatto. E così si verificano episodi come quello dell’amministrazione locale che ha investito migliaia di euro per installare un cartello pubblicitario “visit Metaponto” a Shangai, senza spiegare però dove si trova Metaponto. Al di là di queste assurdità, tutto ciò avviene perchè manca un coordinamento tra i soggetti preposti allo sviluppo turistico e tra questi e i vari livelli istituzionali.Bisognerebbe,ad esempio, collegare i musei statali con le altre realtà artistiche e la rete infrastrutturale. Rimodulare la gestione del territorio, impedendo agli enti locali di derogare alla normativa nazionale. E consentire invece ai privati di poter entrare nella gestione dei beni. Quello che è stato fatto nel Distretto Culturale della Valcamonica, con una gestione locale che pensa globale, può essere il modello giusto da seguire».

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lo studio

Valpolicella e Barolo battono Venezia e Parigi Nella scelta di un viaggio all’insegna della seduzione e del romanticismo, la nuova tendenza per le coppie italiane è quella di scegliere il fascino di cantine e aziende vitivinicole dove gustare un buon bicchiere e ritrovare l’intimità Basta gondole veneziane, fontane romane e vie en rose parigine. Per un viaggio all’insegna della seduzione, 7 italiani su 10 preferiscono i centri dove si produce il buon vino alle classiche capitali europee. Il sole di giugno invita alle gite fuori porta, e le coppie che si mettono in viaggio preferiscono il verde della Valpolicella (56%) e le colline del Chianti (51%) alla magia di città come Venezia (43%), Parigi (37%) e Roma (28%).

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Sette italiani su dieci ritengono che la strategia migliore per stregare il partner sia quella di offrire un buon bicchiere di vino Quanto è importante la seduzione in viaggio? Qui in alto, il borgo di Barolo, tra le mete preferite dalle coppie più romantiche

Secondo la maggioranza (37%) la seduzione in vacanza è un fattore molto importante. Il viaggio ideale per 4 italiani su 10 (41%) dovrebbe durare tre giorni, ma c’è anche chi preferisce passare una settimana (21%) o più di sette giorni (13%) lontano dalla routine quotidiana. Ogni innamorato avanza le sue pretese: lui in particolare richiede gusto a tavola (66%), sensualità (51%), relax (43%) e divertimento (37%), mentre lei predilige tenerezze (53%), galanteria (48%), essere ricoperta d’attenzioni (37%), e complicità (25%). Cosa evitare in vacanza? Lui non sopporta di ricevere troppe richieste (44%), l’eccessiva sdolcinatezza (31%), alzarsi presto la mattina (27%) e passare troppo tempo in giro per negozi (21%), mentre lei non gradisce la superficialità del suo uomo (51%), detesta se lui guarda troppa tv o passa tanto tempo su internet (45%), così come visitare posti prettamente maschili (36%) e le chiamate al telefono di amici e colleghi (24%). A mettere tutti d’accordo è la strategia adottata per conquistare il proprio partner: 7 italiani su 10 (69%) per stregare il partner ritengono che la scelta migliore sia quella di offrire un buon bicchiere di vino, perché davanti al giusto calice ci si scioglie (39%), si ricrea un’atmosfera più romantica (28%) e si accompagnano le pietanze della cena romantica con gusto (18%). Le mete più gettonate? Valpolicella (56%) e Chianti (51%) vengono preferite a Venezia (43%), Parigi (37%) e Capri (31%). È quanto emerge da uno studio promosso dalla rivista VdG Magazine, condotto tramite interviste web a oltre 1.100 utenti donne di blog, forum e community loro dedicate, alle quali è stato chiesto quali sono i segreti della seduzione in viaggio.

Cosa non sopporta lei in viaggio?

Molto

37%

Abbastanza

25%

Dipende

17%

Poco

13%

Per nulla

8%

Quanto dovrebbe durare il suo viaggio ideale?

La superficialità del partner

51%

Lui che guarda più la tv o internet invece di stare con lei

45%

Visitare posti prettamente maschili (stadi, negozi sportivi)

36%

Le chiamate al telefono di amici o colleghi di lavoro

24%

Altro

6%

Qual è un modo per riconquistare il partner in vacanza?

Tre giorni

41%

Una settimana

21%

Più di una settimana

13%

Offrire un buon bicchiere di vino, magari direttamente dove lo si realizza

69%

Due giorni

12%

Riempirlo di complimenti e attenzioni

53%

Un giorno

8%

Organizzargli una cena da favola

41%

Altro

5%

Fargli un regalo speciale, che non dimenticherà mai

37%

Altro

14%

Cosa pretende lui durante il viaggio? Gusto a tavola

66%

Sensualità

51%

Relax

43%

Divertimento

37%

Altro

12%

Cosa chiede lei durante il viaggio?

Perché il vino rappresenta la scelta giusta per conquistare il partner? Perché davanti al gusto di un buon bicchiere di vino ci si scioglie

39%

Il vino crea l’atmosfera più romantica

28%

È il miglior modo per accompagnare con gusto le pietanze

18%

Mette di buon umore

17%

Altro

6%

Tenerezze

53%

Galanteria

48%

Essere ricoperta d’attenzioni

37%

Qual è la sua meta preferita?

Complicità, rimanere sola con lui

25%

Valpolicella

56%

Altro

8%

Chianti

51%

Venezia

43%

Cosa non sopporta lui in viaggio?

Barolo

39%

Ricevere troppe domande o richieste

44%

Parigi

37%

Eccesso di sdolcinatezza

31%

Capri

31%

Alzarsi presto la mattina per uscire

27%

Viareggio

29%

Andare in giro per negozi

21%

Roma

28%

Visitare musei

17%

Piombino

23%

Altro

8%

Taormina

19%

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Speciale Vacanze 50

Val Fiscalina

il belpaese nascosto

(Alto Adige)

56

Grado (Friuli Venezia-Giulia)

60

Val Maira (Piemonte)

64

Val Camonica (Lombardia)

68

Monti Sibillini (Marche)

72

Valle del Turano (Lazio)

76

Appenino Molisano

80

Sannio (Campania)

86

Valle d’Itria (Puglia)

90

Maratea (Basilicata)

94

Borghi grecanici di Calabria

98

Laghi di Sicilia

102

Ogliastra (Sardegna)

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il Belpaese nascosto cover story

Valle Fiscalina, rifugio dei sensi di Francesco Condoluci

Al riparo dal chiasso e dalla mondanità, questa piccola valle amata dai cervi e da Angela Merkel, con le sue cime, i rifugi, l’aria pura, i boschi, le acque termali e le sue delicatessen, sembra un’oasi di relax e meditazione fatta apposta per ritemprare il corpo e lo spirito. Un piccolo paradiso di montagna dove la natura si prende la sua rivincita sulla modernità 50


Val Fiscalina

Trentino Alto Adige

È l’ultimo pezzo d’Italia a nordest dell’Alto Adige, il baluardo più avanzato sul confine austriaco del massiccio dolomitico dichiarato patrimonio Unesco nel 2009. Per arrivare fin quassù, dovete risalire il Trentino, deviare a destra dopo Bressanone e attraversare tutta la candida Val Pusteria, passando per posti cari agli appassionati di sci come Brunico, Dobbiaco, San Candido. È lì, dopo aver percorso strade solitarie e piani montani sovrastati da spettacolari distese di alberi, che sotto i vostri occhi – a preludiare le guglie svettanti del Parco Naturale delle Dolomiti di Sesto – si aprirà la Val Fiscalina, una delle valli più piccole, più belle, e meno conosciute del Sud Tirolo. Sulle sue cime impervie, che portano nomi da romanzo come Croda

Rossa, Croda dei Toni, Punta Tre Scarperi e Monte Paterno, durante la Grande Guerra si sfidarono in battaglie durissime i nostri alpini e i soldati austro-ungarici, i Kaiserjager, che difendevano i valichi impedendo ai nostri di sfondare in tutto il Tirolo. Una drammatica guerra ad alta quota (inedita, fino ad allora, in tutta la storia bellica) che non a caso è stata ribattezzata bellum aquilarum, la guerra delle aquile, a sottolineare l’audacia di quei militi costretti per mesi e mesi a vivere dentro le cenge (le cavità nella roccia, usate come punto di riposo) di questi monti fino ad allora inviolati, e combattere non solo contro i nemici, ma anche contro fame, slavine e il freddo impietoso dell’inverno dolomitico. Storie d’altri tempi, il cui ricordo, da que-

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il Belpaese nascosto cover story

Cibo&territorio In Val Fiscalina potete andare sul sicuro, la cucina è semplice, sana, ricca e gustosa, adatta per ogni palato e soprattutto capace di rinvigorire chiunque dopo le fatiche di camminate in alta quota e altre attività sportive. Ovviamente, è impensabile non fare una tappa gourmand nei rifugi dove l’odore del legno si unisce al profumo delle frittelle ai mirtilli, al gusto intenso della selvaggina, della carne di cervo e di grappe distillate in casa. Se avete molta fame, scegliete le patate saltate con uova fritte e pancetta ma non scordate di assaggiare anche specialità come il graukáse, un formaggio di latte acido prodotto con latte di vacca tirolese, i classici canederli o i piatti al sapore di rafano che qui mettono praticamente ovunque, lasciandovi infine uno spazio per i dolci tipici: gli strauben, le frittelle tipiche tirolesi fatte con farina, uova, latte e zucchero. Ultima esperienza da consigliare: una cena, magari a base di fonduta di carne, dentro una stube, le caratteristiche stanze rivestite in legno delle abitazioni tirolesi. Per una sosta piacevole a base di specialità locali consigliamo il Rifugio Fondovalle (Tel. 0474710606, menù medio da 25 euro bevande escluse), il Rifugio Gallo Cedrone, che vanta una splendida vista sulla meridiana di Sesto (Tel. 3402334546) e il Rifugio Pollaio, vicino alla stazione a valle della cabinovia a 8 posti Signaue/ Croda Rossa.

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ste parti, permane tuttavia ancora vivissimo e non solo nei reperti museali gelosamente custoditi dall’associazione Bellum Aquilarum nel Museo della Grande Guerra a Sesto: questa terra non dimentica mai infatti di essere stata martoriata linea di confine nella prima guerra mondiale e poi annessa d’imperio all’Italia. Qui la lingua e la cultura, anche a distanza di quasi un secolo, sono rimaste (quasi) in tutto e per tutto tirolesi. Come i nomi dei suoi luoghi e dei suoi abitanti, che sono italiani solo per l’anagrafe e la geografia.

Vacanze regali: da Sissi a frau Merkel I conflitti però, grazie a Dio, sono finiti da un pezzo, e oggi, la Val Fiscalina (Fischleintal in tedesco) con i suoi monti, i suoi rifugi, i panorami mozzafiato, i

prati incantati, l’aria pura, i boschi da fiaba, le acque termali e i villaggi rimasti uguali a cent’anni fa,è una sorta di piccolo paradiso, un cantuccio di montagna pressoché incontaminato dove stress,telefonini,automobili e cemento sono banditi, e dove la natura si prende la sua rivincita.Al riparo dalla mondanità chiassosa di Cortina, lontana da qui appena 30 km e nascosta alla vista dal profilo maestoso delle Tre Cime di Lavaredo che delimita il versante sud delle Dolomiti di Sesto, questa piccola valle lunga appena un paio di km, bagnata da freschi ruscelli e animata dai cervi che vi scorrazzano in branco,sembra un’oasi fatta apposta per il silenzio, il relax, l’oblio dei sensi,la meditazione.Boschi di larici,abeti, pini mughi e pini cembri ricoprono – anche oltre i 2mila metri – i suoi declivi, colorando l’orizzonte


Folclore

di bianco in inverno e di verde in estate. File ordinate di candidi masi (le tipiche costruzioni locali), casette rigorosamente in legno e alberghetti di foggia tirolese intramezzano pendii verdeggianti così perfetti da sembrare tappetini da biliardo. Questa terra ha lo stesso effetto di un getto d’acqua fresca in una giornata di solleone: ti rigenera soltanto con l’armonia visiva e l’equilibrio estetico dei suoi panorami puliti e minimali. Regnanti e aristocratici d’ogni epoca e d’ogni blasone l’hanno eletta infatti, nei secoli, come buen retiro ideale per ritemprare il corpo e lo spirito. Ieri i cortigiani dell’imperatrice Sissi,che si facevano ospitare nei suoi ritempranti bagni di tradizione alpina, omaggiandone le terme salutari e i sentieri suggestivi e quieti che invogliano a lunghe passeggiate mattutine e postprandiali verso il Rifugio Comici o la Cima del Popera. Oggi, oltre ai reali di Svezia, ama rifugiarvisi – ammirata forse dalla sua elegante austerità molto poco italiana – la donna più potente e temuta d’Europa, Angela Merkel, la cancelliera di Germania, spesso avvistata qui nei periodi di ferie estive.

Cavalli, carrozze e biciclette Di sicuro, frau Merkel, non si sarà fatta sfuggire l’occasione di sgambettare giuliva nel cuore della riserva naturale, lungo i viottoli che dal centro

In tutto l’Alto Adige, il legame degli abitanti con il territorio è fortissimo. Per identificare il senso della tradizione e l’amore verso le proprie radici e i propri antichi costumi, i residenti richiamano lo spirito dell’Heugabel, laddove il fieno (Heu) rappresenta i prodotti della terra e il forcone (Gabel) invece lo stile di vita dei contadini. A metà settembre, a San Candido, al “forcone da fieno” viene dedicata anche una festa che mette in mostra tradizioni gastronomiche e artigianali di qualità, come quelle delle pantofole tipiche sudtirolesi di pura lana vergine. Altro simbolo del territorio, in questo caso specifico della Val Fiscalina, sono i cervi che qui vivono in libertà. Cortesia, discrezione e gentilezza di chiaro stampo mitteleuropeo, infine, da queste parti sono la regola, ma se non volete correre il rischio di finire ricoperti d’improperi in tedesco, ricordatevi di non chiamare genericamente “Trentino” questo territorio. Siete in Alto Adige – Sud Tirolo. Non dimenticatevelo.

In queste pagine, alcuni scatti della Val Fiscalina. In particolare, in apertura e qui a sinistra, il borgo di Sesto. Nella pagina precedente, in basso, il profilo delle Tre Cime di Lavaredo che delimitano il versante sud delle Dolomiti di Sesto

di Sesto (Sexten) e dal Piano Fiscalino salgono fino alle porte del parco naturale delle Tre Cime per godersi infine, a oltre 1.500 m di altitudine, una vista delle Dolomiti di incomparabile bellezza. Facendo magari anche una sosta nei tanti rifugi disseminati tra questi monti, per lasciarsi accarezzare il palato dalle gustose delicatessen del luogo. Meta favorita, in inverno, dagli amanti dello sci di fondo e delle passeggiate sulla neve, nella bella stagione la Val Fiscalina cambia pelle e diversifica la sua offerta turistica allargando la platea di visitatori anche agli aficionados della bici, che qui hanno la possibilità di provare la pista ciclabile che da Villabassa arriva fino in Austria, a Leinz (53 km complessivi, ma in lieve discesa e con possibilità di rientro in treno) o quella più corta tra San Candido a Brunico, e agli appassionati di cavalli, per i quali vi è solo l’imbarazzo della scelta tra le galoppate nei boschi comprese nei pacchetti messi a disposizione da hotel e rifugi. La vera chicca però resta la romantica passeggiata su una slitta di legno trainata da ca-


il Belpaese nascosto cover story

Piaceri Sport, passeggiate ed escursioni ad alta quota, ma non solo. Il plus della Val Fiscalina sta soprattutto nella sua capacità di abbinare alle attività fisiche, anche i trattamenti benessere per la cura del corpo (e della mente). «Qui non curiamo i malati, piuttosto aiutiamo le persone sane a rimanere sane» ama ripetere Erwin Lanzinger, il vulcanico proprietario dello Sport & Kurhotel Bad Moos (via Val Fiscalina 27, Sesto Moso – Tel. 0474713100, www.badmoos.it), una delle magnifiche strutture ricettive, con annessa spa, della Val Fiscalina. Il Bad Moos, situato ai piedi della Croda Rossa ed edificato sulle ceneri degli antichi Bagni di Moso, è l’unico hotel-centro benessere della zona a vantare anche una delle due sorgenti di acqua sulfurea presenti in tutto l’Alto Adige: ricca di sali minerali, fluoro, magnesio e calcio, è alla base di numerosi trattamenti nella Spa. Dove si può sperimentare un larghissimo spettro di cure wellness: dai massaggi classici alla terapia kneipp basata sull’uso dell’acqua come fonte di stimoli per risvegliare il sistema nervoso, dalla “magia delle erbe” (trattamenti a base di erbe officinali altoatesine) ai fanghi, dai massaggi all’essenza di larici e di cirmolo alle saune, ai bagni di fieno. Camere in mezza pensione a partire da 136 euro a persona. Al Kurpark, il parco giochi di Villabassa, da quest’anno è invece possibile usufruire del primo inalatorio all’aperto in Italia che, attraverso uno speciale sistema con salina, diffonde una piacevole “ventata di mare” molto simile all’aria che si respira nelle località marine e si presta quindi come lenitivo particolarmente efficace per allergie da pollini, asma, sinusite e bronchite. La sistemazione prevede per 5 pernottamenti in hotel 3 stelle e trattamento mezza pensione, un pacchetto parte da 399 euro a persona, in appartamento da 427 euro per due persone. Per informazioni: Consorzio Turistico Alta Pusteria, Via Dolomiti 29 – Dobbiaco, Tel. 0474913156.

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valli, in pieno stile Impero. Se invece volete salire su una vera carrozza degli anni Trenta, restaurata all’uopo, dovete rivolgervi a Erwin Lanzinger, un rubizzo signore settantenne che ne dimostra, senza esagerare, venti in meno. Lui, oggi proprietario del Bad Moos, uno dei più rinomati hotel della valle, salta giù dalla slitta per arrampicarsi a piedi fino al rifugio di montagna, manco fosse un ragazzino in gita. Negli anni Ottanta, era il famoso patron dello Sport Club, la discoteca più “in” della zona: sulla sua pista da ballo è passato il meglio del jet-set internazionale che arrivava qui da Cortina d’Ampezzo. Il locale è chiuso ormai da anni, ma lì nel seminterrato del rinnovato Bad Moos, Lanzinger ha lasciato tutto com’era, compresi i kitchissimi arredi e gli strob ormai fuori moda, facendone una specie di moderno sacrario che apre a pochi, pochissimi eletti. Moos (Moso), peraltro, è anche il nome dell’ultimo paese della Fiscalina. La strada di accesso alla valle si interrompe poco dopo, a quota 1.454 metri. Da qui in avanti ci sono solo cime da scalare e vedute da godere. E un sole che s’illumina d’immenso dietro la Cima Uno che ancora porta su di sé i segni di quella frana che nel 2007 seminò panico e sassi, a valle, per fortuna senza conseguenze. Ma non è tempo per pensare a cose tristi. Non qui, non ora almeno.

In questa pagina, dall’alto, un rilassante bagno di fieno, tra le proposte benessere offerte dallo Sport & Kurhotel Bad Moos, nella foto sotto. In fine un tipico maso, antica abitazione delle famiglie sudtirolesi



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Esperienza estrema in laguna

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Recentemente inaugurato, il progetto di albergo diffuso che vede protagonista l’isola di Grado offre al viaggiatore l’opportunità di entrare davvero nella storia locale, assaporarne a pieno il territorio, sperimentarne la meraviglia e la durezza. Abitando nei casoni, come i pescatori del tempo che fu di Gilda Ciaruffoli

Una donna dall’acconciatura e dall’abito antichi, circondata da un gruppo di bambini intenti a trafficare con reti da pesca e attrezzi da lavoro. Alle loro spalle una struttura di fango, canne palustri e quel poco di legno arrivato dal mare; ai loro piedi un lembo di terra strettissimo,fangoso,e tutto attorno l’acqua. La foto è in un bianco e nero ingiallito dal tempo. Lo scatto immortala un momento di vita quotidiana di una famiglia di pescatori gradese dei primi del ’900. La “struttura” è casa loro, o meglio, il loro casone. Isolato da tutto, in mezzo alla laguna. La foto è appesa alle pareti della sede di rappresentanza dell’Associazione Culturale Graisani de Palù di Grado, attiva nel preservare territorio e tradizioni lagunari. La sede si trova in un casone, per l’appunto, che dell’originale (dove passava le sue vacanze Pasolini) evoca però solo la forma, perché ricostruito con materiali“solidi” un tempo non accessibili ai pescatori.All’inizio del secolo scorso erano circa 1300 le persone che vivevano nelle oltre 200 isole della laguna, e che la curavano come fosse “l’orto di casa”. Sì, perché ogni lembo di terra doveva (e deve) essere continuamente arginato e protetto, altrimenti avrebbe rischiato l’erosione, e ogni casone andava continuamente “ristrutturato” perché composto di materiali altamente deteriorabili. «La vita era dura? Noi non ce ne accorgevamo, perché non ne conoscevamo altra», racconta un anziano membro dell’Associazione, che in un casone ha vissuto fino ai 19 anni. «A 12 ero alto e robusto come sono adesso, molto più dei bambini che vivevano in paese; del resto remavo per chilometri, ogni giorno, per portare a vendere il pescato. Una volta trasferito sulla terra ferma, erano gli anni 50, pedalavo per ore, ogni giorno: era troppa l’abitudine, non riuscivo a stare fermo!». È proprio tra gli anni 50 e 60 infatti che,

In apertura, la laguna e, qui, un tipico casone. Per vedere da vicino la ricca fauna lagunare, raggiungete in bici o a cavallo la Riserva della Valle Cavanata, dichiarata zona umida di valore internazionale per le 260 specie di volatili migratori che vi nidificano, passeggiata ideale per gli appassionati di birdwatching

dopo secoli (i primi a trasferirsi qui cercavano riparo dalle orde dei barbari invasori), la laguna si spopola e i casoni vengono dismessi, in attesa di essere ristrutturati e, infine, riportati a nuova vita proprio in questa estate 2012.

Metafisiche solitudini Nota con il nome di Isola d’Oro per la sua sabbia fine baciata dal sole, Grado, sorge in mezzo alla più settentrionale delle lagune dell’Adriatico che comprende circa 30 isole e copre una superficie di circa 90 chilometri quadri. Nelle piazzette e nelle calli del centro della cittadina – diviso in rioni, tra i quali il più caratteristico è Gravo vecio –, si respira la storia di quella che molti conoscono

Qui sopra, il centro storico di Grado con i resti d’epoca romana che affiorano da Piazza Biagio Marin, da apprezzare passeggiando tra le calli della città vecchia

Friuli Venezia-Giulia

Grado

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Cibo&territorio Quella gradese è una cucina povera, quasi totalmente basata sui prodotti offerti dalla pesca lagunare. A celebrarla il boreto a la graisana, piatto creato dai pescatori della laguna e tramandato per generazioni, originariamente realizzato con il pesce che non poteva essere venduto al mercato. Tra ottobre e novembre una speciale rassegna dedicata alla pietanza vede i ristoranti del castrum cimentarsi in varie reinterpretazioni del piatto. A farsi notare in zona anche l’asparago bianco di Fossalon Igp, che predilige i suoli sabbiosi, o meglio misti (ottimi quindi quelli lagunari recuperati dalla bonifica) e viene raccolto tra aprile e maggio, quando si svolge la Mostra degli asparagi di Fossalon. Impossibile poi non chiudere un pranzo sostanzioso con un bicchierino di Santonego, impegnativo digestivo alla cui base c’è una speciale qualità di assenzio marino, pianticella perenne aromatica e con proprietà digestive. Lo si trova anche in vendita, ma per berne uno di qualità aspettate che Mauro Tognon, patron de I Ciodi, vi offra il suo, portando a tavola un bottiglione dalle dimensioni spropositate. Il ristorante si trova sull’isola di Anfora, quella delle vecchie scuole, e lo si può raggiungere solo via mare. Il menù è quello della tradizione, boreto in testa. In alta stagione può essere affollatissimo: meglio prenotare. Prezzo medio: 35 euro (www. portobusoaiciodi.it). Tutt’altro tenore l’Antica Trattoria Alla Fortuna, in Via Marina 12. In cucina lo chef Gunter Piccolruaz e Paolo Toso in sala, vi coccoleranno con piatti che rivisitano la tradizione o con sfiziose ricette originali, proposti con una gentilezza fuori dal comune in ambiente raffinato. Da non perdere l’antipastino di affumicati con mostarda, miele e fiori eduli. Menù degustazione (5 portate): 50 euro (www.allafortuna.it)

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come la madre di Venezia, nata in epoca romana come porto di Aquileia. Rinomata località di vacanza fin dal 1892, quando lo Stato Austro-Ungarico vi istituì l’azienda di soggiorno per promuovere la stazione balneare delle élites dell’impero, Grado vanta quindi 120 anni di tradizione turistica, che proprio quest’anno va ad ampliare l’offerta grazie alla recente inaugurazione del progetto dell’Albergo Diffuso in laguna. Il primo nel suo genere in tutta Europa. Anche se, a dire il vero, il termine “albergo” inganna. Non si tratta di un comodo soggiorno all inclusive in un contesto pittoresco. Soggiornare in un casone significa davvero celebrare questo territorio, viverlo nel modo meno artefatto possibile, immergersi nella sua quotidianità, così come nello splendore e nella durezza della sua storia.A essere coinvolti al momento 5 casoni per 50 posti letto, «che diventeranno un’ottantina, su 7 isole», come spiega Enzo Tirelli, Presidente della Cooperativa Grado Albergo Diffuso Laguna d’Oro. «Questo tipo di vacanza è l’ideale per gli appassionati di laguna, già muniti di barca propria. È possibile comunque affittarne una anche in loco, visto che queste acque sono facilmente navigabili», prosegue Tirelli. «In ogni caso, alla base dell’offerta dell’Albergo Diffuso c’è il casone: ad essere

In alto, la laguna di Grado, in provincia di Gorizia (anche se qui si sentono veneziani); l’isola maggiore (dove si trova Grado), l’isola della Schiusa e l’isola di Barbana (nella pagina accanto), sono le più gradi e popolose. Sotto, il boreto


Piaceri

Folclore

Sono molteplici gli appuntamenti che scandiscono l’estate gradese, dalle degustazioni “sotto le stelle” al Festival Laguna Movies, ai concerti in Basilica. Ricordiamo in particolare, dal 18 al 24 giugno la Settimana Napoleonica, con la rievocazione della Battaglia di Grado del 1812; e, tra il 7 e l’8 luglio, il Sabo Grando e il Perdòn di Barbana, con il primo (il sabato grande) che segna l’inizio delle celebrazioni del pellegrinaggio di imbarcazioni che da Grado va verso l’isola di Babana per sciogliere un antico voto. Per pernottare, è già possibile prenotare attraverso il sito www.lagunadoro.it il soggiorno in un casone (con prezzi che vanno da 1500 a 3000 euro a settimana; oppure, per una notte nelle vecchie scuole, i prezzi partono da 70 euro a persona). Per villeggianti più tradizionali, un ottimo indirizzo è quello delle Ville Bianchi (Viale Dante Alighieri, 50), primo insediamento del turismo austroungarico che si compone di una serie di caseggiati dall’eleganza d’inizio secolo, dove in bassa stagione si dorme in doppia a partire da 120 euro. www.villebianchi.it

affittata – almeno per una settimana – è l’intera isoletta». Soli, nella più totale e straniante calma lagunare, è possibile rilassarsi, in un contesto davvero fuori da ogni immaginazione.Tutto attorno solo acqua, uccelli marini, canne e qualche gatto che, ci assicura Tirelli, «riesce ad attraversare a nuoto la laguna per raggiungere l’isoletta vicina!». Per periodi più brevi è possibile soggiornare presso l’isola delle vecchie scuole. Oggi casette distinte,una accanto all’altra (6 camere per 12 posti letto), un tempo erano il ritrovo dei bambini della laguna, che i pescatori accompagnavano qui a lezione da maestre che sull’isola vivevano. Sembra un’altra epoca, ma tutto questo succedeva fino a poco più di 50 anni fa. E comunque, anche oggi optare per una vacanza in laguna non è una scelta “semplice”. Va meditata bene, perché il contesto è di una bellezza radicale, quasi metafisica, affatto semplice. E bisogna fare i conti con la solitudine,

il silenzio pressoché assoluto, e la necessità pratica di tornare a riva per fare qualsiasi acquisto. Una pace da santi per alcuni, uno shock culturale per altri. Ma qual è il momento migliore per visitare, e volendo, soggiornare in laguna? Ci spiega Enzo Tirelli: «a mio parere l’autunno, quando ricchezza di colori e fauna non hanno paragoni.Anche l’inverno riserva giornate splendide, ma quella sì che è una vacanza per uomini veri!». E l’estate? Per gli amanti dei tuffi non è necessario approdare sulle organizzatissime spiagge gradesi. Per quanto l’acqua della laguna non sia balneabile – perché sì pulita ma bassa e torbida – per riuscire tuffarsi è infatti sufficiente raggiungere (esclusivamente in barca) il cordone litoraneo che divide la laguna dal mare. A parte le più affollate domeniche, perlopiù questa è un’oasi di acque limpide e di pace, con il vicino di barca ormeggiato solitamente a non meno di 200 metri.

Ristrettissima, molto unita e ricca delle sole antiche tradizioni. Era così la popolazione di Grado fino a non molto tempo fa. Tanto unita e ristretta che i cognomi erano in fine sempre gli stessi e, per non creare confusione, le persone si conoscevano con i soli soprannomi; tanto legata alle tradizioni che quando a un pescatore analfabeta arrivò un pacco dall’America contenente un barattolo con una polverina nera, lui, senza porsi il problema, ne utilizzò il contenuto per preparare il boreto, convinto si trattasse del pepe necessario alla preparazione del caratteristico piatto. Erano invece le ceneri del nipote emigrato, ma lui lo scoprì facendosi leggere la lettera che accompagnava il pocco, solo dopo aver mangiato tutto il boreto! Innumerevoli poi le storie che si raccontano tra le antiche vie del paese, aneddoti tramandati di padre in figlio. Come quello triste e inquietante di Maria Josepha Auchentaller, figlia del pittore Josef Maria Auchentaller, amico di Gustav Klimt, trasferitosi da Vienna a Grado nei primi del ’900, e della moglie Emma. Di quest’ultima, donna intraprendente e passionale, si ricordano le tante relazioni più o meno segrete, più o meno conturbanti. Tra tutte quella con il promesso sposo della figlia, che per la disperazione di averla scoperta si suicidò, nella villa di famiglia presso l’Isola di Morgo, dove ancora riposa.

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Nel silenzio senza tempo Siamo in provincia di Cuneo, immersi nel verde di una valle prealpina che non dovrebbe mancare tra le mete degli amanti degli sport all’aria aperta. Ma non solo. In questa zona, di recente set del bellissimo “Il vento fa il suo giro”, sono infatti evidenti le tracce di un passato misterioso, che si ritrova nelle chiese, nelle storie sussurrate, e in una cucina che ha tra le sue tipicità… le acciughe di Silvana Delfuoco

Val Maira

Piemonte

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della Val Maira Il cuore della valle Maira, con l’asprezza e la verticalità della Rocca Provenzale e della Rocca Castello, esprime appieno il carattere di una terra da sempre vissuta ai margini della grande storia, e tuttavia capace, quasi soltanto con le sue forze, di dar vita a una cultura alpina che ancora oggi risulta in grado di sedurre e ammaliare. La forma sinuosa e profonda dell’alveo in cui scorre il fiume da cui il territorio prende nome; il fascino della natura, salvaguardata qui molto più che in altre aree alpine più facilmente accessibili; i colori a un tempo cupi e luminosi degli affreschi che ne abbelliscono chiese ed edifici sacri; e infine, soprattutto, il silenzio, il silenzio atavico che qui ancora è possibile respirare. Tutti questi aspetti nel loro insieme fanno sì che soggiornare in questa valle, anche solo per qualche giorno, lasci nel visitatore un’impronta indelebile, ben presto destinata a trasformarsi in voglia di tornare.

In apertura: la Chiesa di Santa Maria di Morinesio a Stroppo (foto: Manuela Garino). In questa pagina, dall’alto: la Casa della Meridiana, Museo di Pels a Elva (foto: Roberto Garnero) e, sotto, Albaretto, baita Palent di Macra (foto: Espaci Occitan)

Il fascino di simboli arcaici Del fatto che la montagna, e la catena alpina in particolare, nei secoli passati abbia contribuito a unire piuttosto che a dividere popoli e culture, la Val Maira è un indubbio testimone. Non soltanto la lingua,quell’occitano qui ancora parlato senza ostentazioni seppur con forte senso di appartenenza, ma soprattutto l’arte e l’architettura del territorio provano infatti il legame con la vicina Provenza e con le comuni tradizioni celtiche. Ne è esempio curioso il fenomeno delle têtes coupées, rappresentazioni stilizzate di teste umane che si ritrovano spesso sulle facciate di case, chiese e fontane. Un lontano ricordo della cruenta abitudine dei guerrieri Celti di appendere sulla soglia le teste dei nemici uccisi in battaglia? Un antico culto che richiama il martirio per decapitazione? Non dimentichiamo che questa è anche terra di numerosi santi, tra cui i mitici guerrieri della Legione Tebea. A uno di loro è infatti dedicata la 61


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Cibo&territorio Erbe officinali, ortaggi e foraggi d’alpeggio: la produzione agricola tipica di tutte le valli alpine. Negli ultimi anni, però, qui si sta prestando una grande attenzione all’agricoltura biologica, in funzione di un maggior rispetto del territorio e dell’ambiente. Ecco allora il pane cotto nel forno a legna, i formaggi d’alpeggio, gli infusi alcolici a base di erbe alpine. Ma anche, del tutto inaspettate, ecco le acciughe! Importate per secoli in valle dalla vicina Liguria per farne commercio, oggi rivivono un momento di riscoperta e valorizzazione nei piatti tipici. Nel cuore della Val Maira, a Marmora (Borgata Finello, 2 - Tel. 0171998188, www.loupitavin.it ) la Locanda Occitana Lou Pitavin, caratterizzata da una gestione giovane, propone la cucina del territorio, a partire dalle acciughe con bagnetto verde per finire con il ricco carrello dei formaggi. Ci sono anche 4 camere dove è possibile pernottare. Prezzo medio, vini esclusi: 27 euro. Il ristorante Lou Sarvanot è invece un piccologrande locale dall’ottimo rapporto qualità/prezzo. Qui si trovano sempre le ravioles, i caratteristici gnocchi di farina e toma e, a fine pasto, l’originale genepy della casa. Prezzo medio, vini esclusi: 30 euro. Il locale si trova in fraz.Bassura – Stroppo, Via Nazionale, 64 (Tel. 0171999159 www.lousarvanot.it).

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chiesa più importante della provincia: San Costanzo al Monte, millenaria Abazia Benedettina di Villar San Costanzo. Autentico gioiello in stile romanico lombardo, prima di una lunga serie di edifici di culto che popolano il territorio, a prova della forte religiosità che qui ha attraversato i secoli, la Chiesa di San Costanzo al Monte sorge proprio all’imbocco della valle. Poco distante, si trova la Chiesa Parrocchiale di San Pietro in Vincoli,dove l’ingresso nella Cappella di San Giorgio costituisce un emozionante tuffo nel passato. Gli affreschi di Pietro da Saluzzo raffigurano infatti scene della vita del Santo come un percorso che narra tradizioni e personaggi della religiosità popolare caricandoli di pathos e di espressività. Risalendo il corso del torrente Maira, da cui la valle prende il nome, fino a Macra, si incontra la Cappella di San Pietro, un tempo riparo di pellegrini e loro controllo in caso di pestilenza. Qui ancora si conserva un’antichissima testimonianza pittorica medioevale di danza macabra, tema del girotondo tra vivi e morti di gusto tipicamente francese. Sempre a Macra si trova la Cappella di San Sebastiano, il più antico edificio religioso della valle; più avanti, a Stroppo, isolata dall’abitato e posta a 1233 metri di altitudine a strapiombo sul precipizio, c’è la chiesa di San Peyre, dalla inconsueta architettura asimmetrica. Ma bisogna raggiungere Elva con i suoi 1600 metri di altezza a cavallo tra due vallate, la Val Maira e la Val Grana, per godere dell’emozione più forte: una Croci-

In alto: la Riserva Naturale Ciciu del Villar con i suoi funghi rocciosi (foto: Espaci Occitan); sotto gli interni del Museo di Pels a Elva (foto: Manuela Garino). Nella pagina accanto il ponte vecchio di Dronero (foto: Espaci Occitan)

Piaceri Meta di un turismo di nicchia pensato per chi ama dedicarsi agli sport all’aria aperta, la Val Maira è il luogo ideale per una full immersion in un incantevole paesaggio naturale. Per escursionisti di tutte le età, ci sono i Percorsi Occitani, la dorsale sentieristica di valle lunga oltre 120 km, organizzati in 18 tappe dalla pianura di Villar San Costanzo agli alpeggi di Elva; rifugi, posti tappa e locande opportunamente collocati permettono la scoperta dei luoghi più suggestivi della cultura occitana. Invece per gli amanti di sport più impegnativi, la Valle Maira, oltre a vari itinerari per lo sci alpinismo e le racchette da neve, offre una delle piste da sci di fondo più lunghe e suggestive dell’intera provincia, nella zona tra Prazzo e Acceglio, nonché tre palestre di roccia e una Via Ferrata con ponte su cavi a Camogliers, nel comune di Macra, in un ambiente ancora selvaggio ricco di fauna e di flora incontaminata. Prezzo medio della mezza pensione in un posto tappa: 39 euro.


fissione dalla potente drammaticità opera di Hans Clemer, il pittore fiammingo meglio conosciuto proprio come “Il Maestro di Elva”. Dalla nativa Cambrai, si era spostato in Provenza, dove avvenne l’incontro con Lodovico II, marchese di Saluzzo, e l’invito a seguirlo nella sua corte. Fu così che Giovanni Clemer, “Hans l’alemande”, vissuto a cavallo tra XV e XVI secolo, mescolò l’eredità fiamminga della sua terra d’origine con la tradizione tardogotica provenzale e le novità che arrivavano dal rinascimento lombardo.A giustificare la sua presenza in questa chiesetta smarrita tra due valli alpine non basta forse l’intervento di una committenza illustre, ma piuttosto l’orgoglio di una comunità, quella di Elva, desiderosa di affermare la propria identità.

E la storia continua… Origini medioevali anche per Dronero, con il suo bel centro storico e l’arditissimo Ponte del diavolo del XV secolo, costruito da mani ignote giudicate troppo abili per essere umane sul punto più stretto del Maira. Ma il suo momento di gloria la città lo ebbe qualche secolo più tardi, quando divenne collegio elettorale di Giovanni Giolitti, politico di spicco del primo novecento, che si adoperò notevolmente per promuoverne lo sviluppo. Nel 1998 qui è nato il Centro Europeo per lo studio dello Stato a lui intitolato, che conserva il Fondo Giolitti e organizza ogni anno una Scuola Estiva di Alta Formazione. E in tempi ancora più recenti, anche il cinema ha subito le suggestioni della Val Maira. È infatti del 2005 il film E l’aura fai son vir (Il vento fa il suo giro), scritto da Fredo Valla e diretto da Giorgio Diritti. Premiato in numerosi festival italiani ed europei, racconta la storia di una impossibile integrazione tra forestieri e montanari. Interpretato per buona parte dagli stessi valligiani, l’opera ha contribuito a rendere giustizia di una visione troppo oleografica della vita di montagna. Per saperne di più sulla Val Maira: www. valligranaemaira.it; www.espaci-occitan.org, oppure il volume Val Maira. Ambiente,cultura e tradizioni di un’affascinante valle occitana, AA. VV. Più Eventi editore 2011 – 19,50 euro

Folclore La strada dei Capelli. Così si chiamava il percorso che ogni inverno da Elva i claviè, cioè i raccoglitori di capelli (pelassiers in occitano), percorrevano verso la Francia, carichi di fluenti chiome femminili. Oggi la loro storia rivive nelle testimonianze raccolte presso il Museo di Pels, nella bella Casa della Meridiana di Elva. Si trattava dei lunghi capelli delle donne della valle, tagliati a malincuore e poi ordinati per lunghezza e colore: i più apprezzati sui mercati esteri dai fabbricanti di parrucche. Un sacrificio, certo, ma anche un mezzo ingegnoso per raggranellare qualche soldo in più per il magro bilancio familiare. Un mestiere intraprendente era anche quello degli anciuè (anchoiers in occitano), che da tutta la Val Maira alla fine dell’estate e dei lavori dei campi scendevano verso le pianure piemontesi e lombarde per vendere le acciughe salate, acquistate in precedenza in Liguria. Un lavoro faticoso e spesso poco remunerativo, ma che in qualche caso segnò l’inizio di una fortunata attività commerciale. Per ricordarli, si tiene a

Dronero all’inizio di giugno la Fiera degli Acciugai, che richiama un sempre crescente numero di visitatori. Veniamo infine alla misteriosa storia dei Ciciu. “O empi incorreggibili, o tristi dal cuore di pietra! In nome del Dio vero vi maledico. Siate pietre anche voi”. E fu così che, al suono del terribile anatema, i legionari romani che nei boschi intorno al Villar stavano inseguendo Costanzo, anche lui soldato della Legione Tebea ma divenuto cristiano, si trasformarono all’istante in massi di pietra, i Ciciu appunto, ancora lì immobili da secoli. Questo tuttavia non bastò a salvare il futuro Santo dal martirio. Raggiunto da altri legionari, venne decapitato nel luogo dove poi sarebbe sorto il santuario a lui dedicato. Fin qui la leggenda. In realtà i Ciciu sono un curioso fenomeno geologico: una sorta di funghi rocciosi dal gambo di terra e pietrisco sormontati da un cappello di gneiss di origine magmatica. Simili a questi “pupazzi” – questo il significato del loro nome in dialetto piemontese – sono anche le Piramidi di terra dell’Alto Adige e i famosi Cammini delle fate della Cappadocia.

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Dove le rocce raccontano la storia Tra parchi archeologici, musei a cielo aperto e antichi luoghi di culto, la Valcamonica conduce il viaggiatore lungo una strada che lo porta fino alle origini della civiltà. Ad accompagnarlo per il cammino, duecentomila figure scolpite e i racconti del mitico Badalisch

Valcamonica

Lombardia

di Riccardo Lagorio

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È la valle più lunga d’Italia dopo quella del Po, pressoché sconosciuta al turismo di massa. Prati e pascoli alpini che si rincorrono tra castagneti, vigneti e boschi fittissimi. In alto le vette impassibili del massiccio dell’Adamello. Imbiancate sino a primavera inoltrata, si sciolgono in acqua che fa nascere il lago d’Iseo. Punto di partenza ideale per conoscere la Valcamonica è Darfo Boario Terme, stazione termale già nota nell’Ottocento per le sue acque curative e diuretiche. Si entri nella Chiesa dell’Oratorio, uno straordinario esempio di arte popolare con affreschi di indubitabile valore, e ci si immerge subito in uno dei fili conduttori di questa passeggiata, la preistoria. Poco fuori Darfo Boario Terme esi-

ste un interessante parco tematico, l’Archeopark, ideato e diretto dall’archeologo Ausilio Priuli. Al suo interno ricostruzioni fedeli di un villaggio palafitticolo e delle attività che in esso si generavano: l’arte di intrecciare le corde, di plasmare il vasellame, di rendere vestibili le pelli dopo la caccia e la concia. Qui tra l’altro è possibile intraprendere un viaggio iniziatico per l’interpretazione dei graffiti, ovvero le oltre 200mila figure scolpite sulla roccia dal Paleolitico all’età romana e che contraddistinguono questa parte di valle fino a Sellero.

Lungo la valle dei segni Prima di salire alla virtuale capitale della Valcamonica, Breno, tappa obbligatoria è il Mu-


Cibo&territorio

In apertura: il Castello di Breno, originario del XIV secolo

seo nazionale archeologico della Valcamonica di Cividate Camuno dove vengono esposti apprezzabili reperti recuperati durante gli scavi: mosaici, statue, busti, monete, vasellame dall’epoca romana al Seicento. Da lì, un breve percorso lungo il fiume Oglio conduce al parco archeologico, tra cui spiccano il teatro e l’anfiteatro d’epoca romana, da poco ristrutturati. Poco distante, a Bienno, nota da sempre per essere il capoluogo camuno del ferro, due musei catturano la curiosità: delle fucine (visite nei giorni feriali dalle ore 10 alle ore 12 e dalle 14 alle 16, oppure telefonando alla Pro Loco 0364300307) e della macinatura dei cereali. Nel mulino, che ha sede in un edificio del Quattrocento, lavora tutto-

Se Breno è la capitale della salsiccia di castrato – salsiccia elaborata partendo da carne magrissima di castrato e trita finissima –, succulenta (è proprio il caso di dirlo, visto che nell’impasto si procede a inserire il brodo dello stesso animale) pietanza da consumare previa bollitura e servita con patate lesse o polenta, Andrista (in Comune di Cevo) è sinonimo di fatulì, formaggio di capra di razza bionda dell’Adamello, affumicato dolcemente con bacche e rami verdi di ginepro. Arturo Maffeis (Tel. 0364634659) lo produce con un centinaio di esemplari di razza pura, dal pelo fulvo e lungo, allo stato brado per nove mesi all’anno. Tante comunque le prelibatezze montane da gustare in Valcamonica. Dove? Presso la Trattoria Cà Bianca in Località Cà Bianca a Breno, ad esempio, dove la sapiente mano di Grazia Ducoli (figlia di Giacomo, che per primo istituzionalizzò la cucina camuna) prepara prevalentemente piatti locali: minestra scandela (con orzo, patate e fagioli), formagel parat (formaggio fuso con cipolle), le celeberrime lumache alla Ducoli (condite di formaggio locale e spinaci selvatici, perüc) e gli enormi caicc (ravioloni dal ripieno segreto e serviti con tanto, tanto burro fuso e polenta). Prezzo medio: 35 euro, Tel. 0364320059. Oppure presso la Trattoria La Cantina di Esine, in Via IV novembre, 7 (Tel. 0364466411). Quasi nascosta in un viottolo del centro storico, qui l’incontro con la cucina camuna si fa entusiasmante grazie alla cura di Oriana nella scelta della materia prima da produttori esclusivamente locali e alla cortesia del marito Giacomo in sala. Senza indugi chiedi di condurti nella cantina di formaggio e salumi: uno scrigno di saperi cucinari. Prezzo medio 28 euro.

Il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1979

ra una serie di ingranaggi che permettono di utilizzare la forza idraulica. Anche la Chiesa di Santa Maria Annunciata merita una sosta. Così povera di luce, come tutte le pievi quattrocentesche, ma così ricca di pregevoli affreschi della scuola di Giovanni Pietro da Cemmo e del Romanino. Gli affreschi del Da Cemmo hanno colori suggestivi, densi e forti di chiaroscuri, nettamente scanditi, quelli del Romanino, che si trovano nel presbiterio, datati dal 1539 al 1540, sono molto rovinati ma rivelano la sua grande maestria. Giunti a Breno da Bienno, il primo incontro ci riconduce sulle tracce del Romanino, nella Parrocchia di San Salvatore, poi alla Chiesa dedicata a San

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Vi sogno è bello sognare ciò che piace per questo vi sogno (versi registrati nel 2007 dall’allora novantenne pastore-poeta Silvio Ravelli di Temù)

Valentino, il protettore della cittadina. Ma il monumento di cui tutti i brenesi sono fieri è il castello, originario del XIV secolo, su un’altura a dominare l’intera vallata, di cui oggi resta buona parte della zona perimetrale, che accentua le forme naturali della cima. Il complicato tessuto di costruzioni edificate dall’8000 avanti Cristo all’epoca della Repubblica di Venezia rappresenta un esempio unico nel suo genere di trasformazioni urbanistiche adottate per scopi diversi. Riprendendo la Strada statale 42 si prosegue per Cerveno, piccolo borgo dove vale la pena di fermarsi per ammirare il Santuario della Via Crucis, con quattordici cappelle ornate da circa duecento statue settecentesche a grandezza naturale in legno e gesso, che narrano con grande verismo le tappe della passione di Cristo. Sono qui dal 1731, anno in cui Cerveno ottenne di poter acquistare indulgenze praticando la Via Crucis, opera di Beniamino Simoni, e ogni dieci anni la gente del borgo dà vita alla rappresentazione vivente della Passione di Cristo. Poco oltre, in località Naquane di Capo di Ponte, ha sede il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco già dal 1979. Si tratta di uno spettacolare museo all’aria aperta dove riempirsi gli occhi con migliaia di incisioni realizzate dai Camuni dal neolitico fino all’età del ferro e a quella romana. Le rocce istoriate testimoniano la vita degli antichi Camuni: il periodo più antico è caratterizzato da figure di animali, in particolare cervi, incise in maniera molto semplice con strumenti rudimenta66

Folclore Tante le suggestive storie che si raccontano attorno alle impervie cime e alle vallate di questa terra segnata dalla storia. Come in Val Paghera, dove flora e fauna sono tra le più interessanti del Parco dell’Adamello (del resto il nome stesso deriva da paghèr, che in dialetto indica l’abete rosso che la domina incontrastato): qui la valle si incunea in uno splendido anfiteatro composto dal Pizzo Badile, montagna sacra per i Camuni che la consideravano la dimora degli dei. O ancora ad Andrista (in Comune di Cevo), conosciuta per il suo curioso e antichissimo Badalisch, un mostro della tradizione con un enorme testone peloso, che muove la bocca per raccontare storie sia fantastiche o legate alla realtà e ai pettegolezzi del paese. Il Badalisch è nascosto in una grotta, ma quando i giovani del paese lo chiamano, la sera del 5 gennaio, ricompare circondato da maschere particolari e comincia a narrare le sue magie e le sue verità.

Qui, in alto, Ponte di Legno. Sotto, un bell’esempio di incisioni rupestri


li di roccia silicea. Due chiese romaniche caratterizzano il territorio: San Siro, spettacolare a picco sulla valle dell’Oglio e San Salvatore, un poco discosta ma affascinante come poche altre in Italia. Non distante si trova anche la Riserva naturale delle incisioni rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo, istituita dalla Regione Lombardia nel 1983 con lo scopo di proteggere una vasta area in cui sono presenti innumerevoli rocce con incisioni che raccontano la vita degli uomini che per primi si insediarono in questo territorio e lo modificarono per soddisfare i propri bisogni, da quelli più primordiali legati al cibo a quelli più spirituali della preghiera e della comunicazione. È perlopiù coperta Le da boschi di betulle e castagni, rocce istoriate in cui sono immersi i tre Cotestimoniano la vita muni, che conservano nuclei degli antichi Camuni: storici ancora intatti, capofila il periodo più antico del progetto. è caratterizzato da figure Ripresa la Strada statale si ardi animali, in riva a Sellero, centro pure noparticolare cervi to per le incisioni rupestri. Qui ci si possono concedere belle passeggiate nei boschi di castagni, fioriti tra giugno e luglio, e farsi indicare le località Carpene, Pla d’Ort o Pradel dove s’incontrano numerose raffigurazioni risalenti all’età del ferro di guerrieri e della rosa camuna, eletta a simbolo stesso della Regione Lombardia. In Berzo Demo la parrocchiale di Sant’Eusebio è un’altra meraviglia, commissionata da una piccola comunità nel Settecento. Soasa, tabernacolo e custodie formano un ricco insieme dorato, della classica finezza caratteristica del settecentesco barocco lombardo. L’architettura, la scultura e i colori conferiscono all’opera dignità e autonomia. E compaiono come in un gioco ingenuo due angioletti che tengono sollevate, sulle rispettive reverendissime teste, la berretta e la mitria di San Martino e San Carlo, con spontaneità di gesti pari a quelli di altri angioletti suonatori. Da Berzo Demo con facilità si raggiunge infine Ponte di Legno, località famosa per i campi da sci.

Piaceri La tradizione camuna della lavorazione del legno ha dato vita, nel corso di secoli di storia, a un importante patrimonio culturale e artistico tale da essere uno dei più notevoli d’Italia. La tecnica dell’intaglio era spesso praticata tra i pastori e i contadini che, nei lunghi inverni o nelle giornate solitarie trascorse nei prati, intagliavano ciocchi di legno come passatempo, passione e necessità. Per acquistare mobili, statue, complementi d’arredo artistici, tutto scolpito a mano da sapienti artigiani: Artigianato Camuno del Legno, Via Ponte Palobbia, Braone (Tel. 0364434530). Ma la località è anche terra di scalpellini, che sino agli anni Settanta erano ricercati nelle migliori e più agiate famiglie del nord Italia per rifinire stipiti o creare statue di granito. Recatevi in Via degli Alpini, 20 a Piancamuno, invece, se desiderate acquistare abbigliamento autenticamente camuno. Ad aprirvi le sue porte è l’Associazione Pastori Lombardi (Tel. 3335225220) che si propone di tutelare i pastori transumanti. Si possono ordinare mantelli tradizionali e giacche prodotti con lana locale. Una volta vestiti di tutto punto, vi consigliamo due interessanti strutture dove godervi un po’ di relax montano. Una validissima sistemazione è quella del Bed & Breakfast Camuni (Via San Rocco, 7 - Località Pescarzo, Capo di Ponte, Tel. 036442367). I locali sono stati sapientemente ristrutturati e l’accoglienza dei proprietari è calda e professionale. Alla partenza ti consegnano i semi dei loro campi perché non ti possa dimenticare tanto facilmente del fascino del borgo e della sua gente. Prezzo da 25 euro a persona al giorno. Altro indirizzo utile è quello dell’Albergo Venturelli (Via Roma, 9 – Borno, Tel. 0364312067). Una sintesi di ferro battuto, colori pastello e arredi in noce per una calda accoglienza in una Casa elegante e dalla storia millenaria. Buono anche il ristorante. Prezzo per una camera doppia da 90 euro.

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Monti Sibillini

Tra gli azzurri monti della Sibilla Marche

di Giancarlo Roversi

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Foto: Giorgio Tassi

Li definiva così Giacomo Leopardi, quando da Recanati li ammirava all’orizzonte. Sono i Monti Sibillini, custodi di leggende e miti le cui origini risalgono alla notte dei tempi, ma anche di una natura incredibile e di borghi dal fascino antico. Il mare a pochi chilometri e la cucina sapida e schietta della zona, li rendono una meta ideale per ogni stagione È sufficiente evocarne il nome per immergersi in un luogo enigmatico, stregato, ammaliante: quella dei Monti Sibillini è una terra d’incanti e di incantesimi antichi, ma anche uno dei lembi più belli delle Marche e d’Italia dove la natura incontaminata si sposa felicemente alla storia, che qui ha radici profonde, e a straordinarie testimonianze d’arte, di cultura, di sapienza artigiana. Con in più mille stuzzicanti tentazioni per il palato, filtrate attraverso una lunga e variegata tradizione agroalimentare e gastronomica propiziata dalla socievolezza, dalle gioie semplici del vivere e dal piacere di stare assieme che caratterizzano la sua gente. È questo il mitico regno della Sibilla che aveva la sua dimora in una grotta nelle viscere della montagna, a oltre 2000 m d’altezza; luogo di ritrovo nel corso dei millenni di streghe, negromanti, santoni, cavalieri erranti, viaggiatori curiosi e uomini di scienza alla ricerca di un sortilegio o di un contatto esoterico. E, soprattutto, desiderosi di scoprire i segreti più arcani dei Monti Azzurri, come li chiamò Giacomo Leopardi quando dalla non lontana Recanati ne ammirava estasiato l’incomparabile scenario che non ha nulla da invidiare alle Blue Mountains della Giamaica o a quelle degli Usa o del Canada. Ma non sono solo questi gli “incanti” dei Monti Azzurri e del territorio che sta ai loro piedi, l’Alto Piceno, disteso nell’entroterra di Fermo fra la dorsale appenninica e uno dei tratti più deliziosi del litorale adriatico, quello che va da Porto Sant’Elpidio a San Benedetto del Tronto attraverso centri balneari famosi come Porto S.anGiorgio, Pedaso e Grottammare. Un territorio in gran parte ancora da scoprire, che in una fascia di pochi chilometri stringe assieme spiagge dorate, rigogliose colline e montagne lussureggianti in un connubio armonioso che ha pochi riscontri, ideale per chi vuole godere una vacanza ricca di vibrazioni sottili e di pregnanti

Piaceri

In queste pagine, il verde della Foce di Montemonaco e l’azzurro dei tanti corsi d’acqua e delle cascate naturali che caratterizzano la zona dei Sibillini

Questa terra d’incanti si lascia godere dai visitatori tutto l’anno. In inverno con gli sci ai piedi sulle sue bellissime piste; nelle altre stagioni con le scarpe da trekking per corroboranti escursioni nei boschi e sui costoni rocciosi, dove il silenzio si fa quasi materico; ma anche a cavallo, in mountainbike o in fuori-strada. L’ospitalità di questi luoghi è proverbiale, ravvivata da sagre e feste tradizionali (www.sibilliniturismo. it; www.sibillini.net; www. sibilliniweb.it), e assicurata da numerose strutture alberghiere. Ricordiamo, ad esempio Il Rifugio di Cupi di Visso (Tel. 0737971041), a 1000 metri s.l.m. e a pochi chilometri dal lago di Fiastra. La struttura mette a disposizione tutta una serie di attività sportive all’aria aperta. A persona il prezzo per una notte, in doppia o in camerata è tra i 40 e i 50 euro con mezza pensione.

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Cibo&territorio Di rigore una sosta a tavola per gustare le sapide specialità agro-alimentari e culinarie dei Monti Azzurri che hanno come ingredienti basilari i tesori di un sottobosco – come gli squisiti tartufi bianchi e neri, di cui si fa buona raccolta, o i funghi – e prodotti tipici, come le carni, i formaggi, gli ortaggi e i vini. Da gustare, fra i formaggi, gli stuzzicanti pecorini fatti con caglio naturale, la caciotta di Comunanza; e ancora, i tanti squisiti salumi artigianali: il cremoso ciauscolo, i salami di morbide carni magre di maiali allevati a ghiande, le lonze, le salsicce di fegato, le gustose carni di agnello e castrato (talvolta allevato nel cesto per renderlo più tenero), o di castrato cotto allo spiedo o alla brace, frutti di bosco, cereali e legumi coltivati come una volta, trote e gamberi di fiume e miele di montagna. Tra i primi piatti, una citazione d’obbligo per i frascarelli, una minestra povera

In questa pagina, dall’alto, tre specialità della zona: dal morbido ciauscolo, al dolce frustingo, per concludere con un piatto di saporiti frascarelli. Sotto, il borgo di Montefortino

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ottenuta spruzzando dell’acqua sulla farina distesa sul tagliere e, appena raggrumata, versata in una pentola al fuoco. Senza dimenticare i tacconi ricavati da un impasto di acqua e farina e conditi con ricotta o sugo oppure cotti assieme ai legumi; e ancora la minestra di ceci coi quadrucci, i ravioli farciti con carni lesse di gallina e diverse spezie, o le lumache di Montefortino, raccolte a oltre 1000 metri di quota e cucinate con abbondante finocchietto. Questa è anche la terra di celebri paste alimentari ottenute con grani duri in piccole aziende artigianali, come pure dell’olio delicato e ricco di sfumature di sapore e, soprattutto, delle famose e olive ascolane, di pasta morbida e soave, che vengono cucinate farcite, impanate e fritte secondo una ricettata tradizionale che prevede di snocciolare l’oliva formando con la polpa una spirale in modo da distribuire armoniosamente il ripieno (ben diversamente da quanto avviene per quelle industriali che vengono semplicemente

esperienze. Signori incontrastati del territorio però sono chiaramente loro, i Monti Azzurri, che fanno da baluardo al Parco Nazionale dei Sibillini creato per tutelare e valorizzare un ambiente fantastico, giunto fino a noi miracolosamente intatto e in cui la presenza dei centri abitati e dell’uomo non provoca squilibra ma ne impreziosisce armoniosamente il fascino. Fra i suoi dirupi scoscesi, nel folto delle sue boscaglie, lungo le vallate sinuose

imbottite di carne nello spazio lasciato libero dal nocciolo). E per finire i dolci, tutti di tradizione sanamente contadina e fragranti, come la celebre cicerchiata, impreziosita dal miele, o i cacioni farciti di pecorino zucchero e uova, o i caciunitti ripieni di una purea di ceci. E ancora il frustingo, o pistrinco, una specialità fatta con mele, uva passita, fichi secchi, farina di granturco e frumento, scorza di limone e noci, cui si accompagna l’acquavite all’anice, la famosa Anisetta, un tempo preparata anche nelle case con l’aggiunta di pezzi di mela, bucce d’arancio e altri ingredienti così da ottenere il mistrà. Per gustare le specialità locali consigliamo La locanda del gusto, al 2 di Viale Dante nel bel paesino di Comunanza (www.locandadelgusto.it). La spesa a persona si aggira sui 30 euro e nel ricco menù si lasciano notare i primi e i secondi piatti a base di mela rosa dei Monti Sibillini e una selezione di carni certificate: su tutte, immancabile l’ottima Scottona Marchigiana.

dei suoi torrenti convivono – per usare un’immagine di sapore biblico – il lupo e l’agnello, ma anche l’aquila reale, il falco pellegrino, il cervo, il capriolo, l’istrice, il gatto selvatico, la martora, la volpe… Uno straordinario ecosistema cui fanno da diadema inestimabile vetusti borghi murati e superbi castelli arroccati sugli speroni rocciosi, aggrappati ai crinali delle montagne o adagiati nelle vallate, testimoni vivi e palpitanti delle memorie


Folclore Molte leggende fin dai tempi più remoti sono fiorite attorno ai Monti Sibillini e alla loro enigmatica profetessa, raffigurata a volte come una fata benefica e, altre, come una maga malvagia che i cavalieri medievali arrivavano fin qui per sfidare e combattere, o per chiederle dei vaticini. Così come fece Guerrino, protagonista de Il Guerrin Meschino (opera di Andrea da Barberino scritta intorno al 1410) che probabilmente, se oggi ritornasse nella grotta della Sibilla – da cui, come narra l’antico romanzo cavalleresco, scappò avventurosamente per non essere vittima degli incantesimi dell’ammaliante profetessa – c’è da giurarci che non si muoverebbe più, ponendo così fine alla tormentata ricerca dei suoi ascendenti per godersi la suggestione di un ambiente seducente, arricchito dall’uomo attraverso i secoli! Ma non è tutto. Tra gli antichi miti tramandati qui di padre in figlio, da ricordare anche quello ambientato presso il vicino Lago di Pilato, un’altra delle tante misteriose e seducenti attrattive di questa terra. Nelle sue gelide acque di origine glaciale si celerebbero infatti le spoglie di Ponzio Pilato qui precipitate assieme ai bufali che le trasportavano sopra un carro senza auriga, allontanatosi da Roma dopo la condanna a morte del celebre procuratore romano.

del passato e degli umori civili di questa terra. Senza dimenticare gli antichi eremi, le chiese e i santuari custodi della pietà popolare e di insigni opere d’arte.

Un parco vivo A fare da sfondo a queste emozioni create dall’uomo,in perfetta simbiosi con il paesaggio, ci sono quelle che riserva la natura con i suoi balconi panoramici a perdita d’occhio, gli scorci vertiginosi sulle gole più selvagge e sui dirupi impervi, in un alternarsi di cambiamenti di scena mano a mano che dal mare si procede verso le prime colline ornate di vigne,olivi e frutteti,e poi verso la montagna con i suoi prati verdeggianti e fioriti – dove pascolano mandrie di pecore e di bovini dalle carni e dal latte non ancora intossicati – e con le sue faggete, le querce secolari e, d’inverno, le sue nevi immacolate. Dà poi una sensazione di indescrivibile piacere ritrovare corsi d’acque limpide, come mille anni fa, nelle cascate naturali e nei fiumi che scendono a vale: il Tenna, l’Aso, l’Ambro, il Fiastrone, il Nera. Con una superficie di 70 mila ettari comprendenti il territorio di 18 comuni, di cui 12 con capoluogo al suo interno, quello dei Sibillini è un parco vivo dove anche lo sviluppo economico e del turismo sono avvenuti nel rispetto delle tradizioni e dell’ambiente. Per rendersene conto basta soffermarsi negli antichi centri storici: ad Amandola, con le sue artistiche chiese, i suoi palazzi e le sue botteghe artigiane dove gli ebanisti modellano ancora il legno con le tecniche tradizionali; a Force, famosa per la lavorazione del rame e del ferro battuto, come pure Comunanza. Ma bisogna anche ricordare Montefiorino, alla confluenza del Tenno e dell’Ambro, che conserva singolari case-torri medievali; Montemonaco, dove si ammira un castello con mura possenti, e tanti altri piccoli centri impreziositi da interessanti edifici civili e religiosi ove sono ospitati pregevoli dipinti e altre testimonianze d’arte.

Qui sopra, la Sibilla. Profetessa fatata per alcuni e strega terrificante per altri, si dice vivesse nel fondo di una grotta il cui accesso, un tempo delimitato da una porta, oggi sarebbe chiuso per sempre

Foto: Giorgio Tassi


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Emozioni lungo la via dei tartufi Attorno al lago del Turano, in alta Sabina, a pochi chilometri da Roma, alla scoperta di borghi ricchi di storia e buona cucina. Protagonisti della tavola i preziosi diamanti neri, profumati frutti della terra che qui trovano da sempre terreno fertile di Isa Grassano

Valle del Turano

Lazio

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Il sole deve ancora sorgere, quando Billy, un tenero labrador bianco, viene sguinzagliato per i boschi. Inizia così la sua ricerca… Annusa di qua e di là, per i sentieri nascosti, tra piante di roverella, quercia e cerro, per condurre il suo padrone proprio lì dove cresce il tartufo scorzone, chiamato anche tartufo estivo (tuber aestivum; si caratterizza per la scorza ruvida e verrucosa, di colore bruno). Così tutti i giorni, per tutta l’estate (fino ai primi di ottobre) nella zona attorno alle placide acque del lago del Turano, che virano nelle diverse tonalità di verde-azzurro come la pietre smeraldo e giada. Un rito quasi ripetitivo, con la lentezza che caratterizza quest’angolo di Italia, a poca distanza dalla capitale (ci si arriva attraverso la via Salaria o l’autostrada Roma-

L’Aquila, uscita Carsoli), dove l’insolenza dei rumori, dello stress, dell’ansia s’inibisce d’incanto. Ma qui ci si viene non solo per assaporare i tartufi, bontà dal gusto intenso e delicato allo stesso tempo, ma per godere della valle, con un clima sempre mite, e ripercorrere un viaggio nel tempo attraverso i paesi dalla storia millenaria che hanno saputo conservare la loro anima più intima e silenziosa.

Sponde dal fascino antico Siamo in alta Sabina, fra montagne che hanno un profilo addolcito da colline, e dove negli anni ’30 fu creato un lago artificiale (perfettamente integrato nell’ambiente), per sostenere la produzione delle acciaierie Terni. Una valle inondata in nome dell’autarchia, una genera-


Cibo&territorio

In apertura: il Colle di Tora bagnato dal lago del Turano. Sotto: un piatto di tagliatelle al tartufo, re del territorio

zione intera rimasta senza lavoro, alcune colture, come quella del lino, della canapa, del granturco, completamente distrutte. Oggi però il lago attrae numerose persone, per la quiete, l’aria buona e quello star bene che fa dimenticare lo stress quotidiano. E sono in molti, anche stranieri, che, catturati dall’architettura delle case, dalla bellezza del paesaggio, dall’eleganza fiera di chi vi abita, scelgono la zona per trascorrervi lunghi periodi. «Passerò qui tutte le mie vacanze», ci dice James, originario della Scozia. «Me ne sono innamorato da subito e ho sviluppato un senso di appartenenza a questa terra, anche se non è la mia. Mi piace il profumo dei boschi, il colore del lago che non è mai uguale a quello del giorno precedente, il fascino antico che si vive tra queste mura così ben conservate,

La storia dei tartufi sembra risalire a tremila anni prima di Cristo, ai tempi dei Re Babilonesi che li ricercavano. I greci li chiamavano hydnon, i romani tuber, gli arabi ramech alchamech tufus. Oggi sono stati soprannominati diamanti e pepite (per via dei costi elevati) e con la loro irresistibile miscela di sapori e odori contribuiscono a far scatenare la passione dei sensi. Nella Valle del Turano, si ritrovano tutte le specie più rinomate della famiglia Melanosporum, ovvero il bianco e il nero pregiato, ma anche lo scorzone e l’uncinato che si nascondono in abbondanza sotto le sue terre. Oltre a crescere in maniera spontanea, questo fungo ipogeo, viene anche coltivato nelle tartufaie mediante piantumazione d’essenze boschive specifiche e semina delle spore tra le radici delle piante. Il territorio è quindi una vera mecca del piacere e i menù sono piccole opere d’arte che accontentano il gusto di tutti gli appassionati gourmet. Piatti fantasiosi con ingredienti naturali, dove l’equilibrio dei sapori e del gusto primeggiano su tutto. Come nei filetti di trota al tartufo nero, un’abbinata di pesce e prodotti della terra che esalta i palati dei buongustai; tra le altre specialità imperdibili, ci sono anche l’uovo all’occhio di bue con verdure all’olio e tartufo nero, e non mancano i classici, come le fettuccine al tartufo. Per gustare tali e tante prelibatezze, recatevi in Via Lago del Turano a Il Tartufo (località Stipes, Ascrea - Tel. 0765711085). Sin dal nome si capisce qual è il punto di forza del ristorante! Le bruschette, i crostini, le carni e i funghi porcini sono arrostiti sul fuoco a legna. Prezzo medio: 30 euro. Per gustare una cucina che punta sui sapori locali e sulla freschezza dei prodotti, tutti a Km 0, provate il Lontero (Via Turanense, 2 Paganico Sabino Tel. 0765723029). Le paste sono rigorosamente fatte a mano. Le verdure provengono dall’orto di famiglia. Le specialità degli chef? Il tartufo, la carne alla brace e il pesce fresco del lago. Prezzo medio: 25 euro.

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Piaceri A suggello delle ricchezze gastronomiche locali c’è la Strada del tartufo e della castagna della Valle del Turano (www.tartufoecastagna.it), un itinerario goloso che mette insieme le eccellenze gastronomiche della zona (inclusi i funghi o i fagioli-pisello). Si può fare una sosta qua e là lungo il percorso per raggiungere e visitare le aziende agricole che effettuano la vendita diretta dei propri prodotti freschi o trasformati. La “strada” è lunga 40 chilometri ed è stata promossa dalla Comunità Montana del Turano. Comprende diversi comuni e, grazie al turismo e alla rivalutazione delle produzioni di territorio, punta a una nuova prospettiva di sviluppo. Quasi tutti i paesi, lungo la Strada del tartufo e della castagna della Valle del Turano, annoverano poi un ricco calendario di feste popolari e sagre gastronomiche che ruotano attorno ai prodotti della terra. Soprattutto in estate. A Stipes, per esempio, ogni anno, a metà agosto, si festeggia con la Festa del Tartufo il celebre tartufo estivo (Tuber Aestivum Vitt), detto anche scorzone. Un appuntamento imperdibile per gli appassionati gourmand e una kermesse tra

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mi dà la sensazione di protezione e raccoglimento». James ha scelto il borgo medievale di Castel di Tora, così particolare per lo skyline e la rocca (un antico mastio a forma di torre pentagonale) a picco sul lago, da essere inserito tra i borghi più belli d’Italia e rappresentare quasi il simbolo dell’intera valle. Ma ciò che lo rende ancora più meritevole dell’appellativo di “bel borgo” è l’atmosfera che non è cambiata nel tempo. Si gira a piedi, tra le strade pulite e ordinate, dimenticando rumori e motori, ammirando qua e là la grazia di archi e cortiletti. Di fronte al paese, su una piccola penisola collegata da un istmo, si erge un’altura rocciosa di forma conica, con i ruderi del Castello del Drago, ai piedi “Mi piace il del quale sono visibili i resti profumo dei boschi, dell’antico Antuni (del XV e il colore del lago, il XVI secolo), che può essere fascino antico che si vive visitato solo a piedi. Ma ovuntra queste mura e che mi que si può seguire, anche se dà una sensazione per le poche ore di una gita di protezione” fuori porta, o un fine settimana, le più seguite per il centro un percorso di totale naturalità, da d’Italia. Nel piccolo borgo, scoprire chilometro dopo chilomel’intera giornata è dedicata a tro. Dall’altra parte della riva del lago, quaquesto “prezioso fungo ipogeo” (cioè che cresce e si sviluppa nel sottosuolo). si a fronteggiarsi, c’è Colle di Tora che colpisce Dibattiti, incontri a tema, gare tra cani da per la sua pittoresca posizione sulla penisolettartufo, mostra mercato e poi il via alle ta che dà inizio alla parte più frastagliata e spetdegustazioni (dietro pagamento di una tacolare del bacino. Il paese ha anche un’anima piccola quota) per oltre cento chili di tartufo che diventano ingrediente irresistibile di godereccia che s’incarna nel gusto del suo faogni piatto. Ne bastano, infatti, pochi giolo a pisello, un unicum della zona. Tra gli algrammi per cambiare la marcia a ogni tri paesi merita una sosta Collalto Sabino, proposta culinaria. anch’esso tra i Borghi più belli d’Italia (con il E dopo aver tanto assaggiato, qualche idea per una sosta di relax. centro storico chiuso al traffico). Con una fiAi piedi dell’antico maniero di Collalto sionomia che riporta all’immaginario fiabesco Sabino, da provare il Relais Dimora Latini dei fratelli Grimm, il castello segna il punto (Piazza San Gregorio, 1 - Tel. 3398803763, www.dimoralatinicollalto.it). Gli ambienti più elevato del centro storico (situato a quasi sono arredati con mobili di famiglia e 1.000 metri) con le merlature e la sagoma slanconservano il fascino del passato. Doppia: ciata delle torri. Entro le mura si trova un bel 130 euro. parco, mentre il punto panoramico per eccelSe cercate un piccolo e accogliente hotel che affacci sul lago, l’indirizzo che fa per lenza è il mastio dal quale la vista, nelle giorvoi è quello di Via Turanense, 50 a Castel nate limpide, corre sulle vette del Lazio (il Terdi Tora. qui infatti sorge l’Hotel Turano, minillo) e dell’Abruzzo (il Gran Sasso e la con doppiae da 70 euro (Tel. 0765716300, Maiella). E il tutto si fa ancora più bello al trawww.hotelturano.it).


A sinistra il favoloso castello di Collalto Sabino. In questa pagina, il borgo medievale di Castel di Tora e sotto la forra di Stipes

monto, quando si intravedono le luci dei 34 paesini, tutti intorno e le ombre fanno da cornice ideale alle sue mura illuminate. È arroccato su uno scosceso sperone roccioso, anche Paganico Sabino, abitato già in epoca romana e davvero un concentrato di persone, appena duecento. Più a monte, sul versante destro del lago del Turano, su un lato di un selvaggio vallone, si trova un altro piccolo paese aggrappato alle pendici rocciose: Ascrea. Piccolo e raccolto, con poco più di 300 abitanti, è la meta ideale per chi vuole rilassarsi in riva al lago o dedicarsi alla pesca d’acqua dolce (si pesca il luccio, il coregone, il persico reale). Aggirandosi tra le strette viuzze ci s’imbatte nella Chiesa di San Nicola di Bari del 1252, al cui interno sono custoditi una tela della Madonna del Rosario e una raffigurante San Nicola. Il paese dista in linea d’aria poche centinaia di metri da Paganico Sabino, ma ne è separato dall’impervia gola dell’Obito: dato però che un sentiero riesce a discendere e risalire il varco, da un abitato all’altro si può arrivare a piedi, in circa un quarto d’ora, passando un ponticello sul torrente, invece che per i 5 o 6 chilometri della rotabile. La stessa scorciatoia potrà servire da approccio a un’escursione di circa un’ora lungo il canyon, immersi in una natura selvaggia. Da qui vi è anche la possibilità di raggiungere il Monte Navegna, a 1.508 metri, per chi ama andare alla ricerca di funghi, o fare trekking o birdwatching. Poco distante si trova Stipes, una frazione che sorge all’altra estremità nord del lago. Sopra la sommità dell’abitato è possibile vedere i resti del castello (fondato tra il XII e XIII secolo dai De Romania, una delle più importanti famiglie della nobiltà rurale sabina) e della cinta muraria risalenti al XV secolo. Ma questa è anche la zona che vanta il primato per la produzione di tartufi di tutta l’area (in dicembre e gennaio anche il prezioso tartufo bianco) ed è annoverata tra le più ricche d’Italia per “scovare” questi preziosi prodotti della terra, che da secoli continuano a suscitare interesse.

Folclore Come già sottolineato, il territorio che circonda la frazione di Stipes vanta il primato per la produzione di tartufi di tutta l’area, e non solo. Un piccolo lembo di terra quindi dove però soffermarsi per godere a pieno dei benefici di questo saporoso frutto della terra… se infatti generalmente gli antichi romani credevano che i tartufi avessero un’origine divina e che fossero stati generati dai fulmini scagliati da Giove, Apicio, nel I secolo d. C., attribuì loro qualità afrodisiache scrivendo che “rendono gli uomini più amabili e le donne più affettuose”. La teoria è confermata da alcuni studiosi dell’Università di Monaco: pare infatti agiscano a livello ormonale, soprattutto per gli uomini. E, detto tra noi, certo non costano meno del Viagra, ma le tagliatelle alla “pillola blu” non sono altrettanto buone! E ancora al mondo antico fa capo una tradizione legata all’altra estremità del lago, ovvero alla zona di Paganico Sabino e Ascrea, anche se di tutt’altro tenore. Come detto infatti le due località sono separate dall’impervia gola dell’Obito. Bene, secondo la tradizione, l’Obito prenderebbe il nome dal latino obitus, morte, a seguito di una strage di saraceni giunti fin quassù a depredare questo remoto angolo di Appennino: una leggenda questa che ben si sposa all’altra credenza secondo la quale Paganico si chiamerebbe così perché vi sorse un insediamento di pagani, ovvero di saraceni.

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Sulle strade del Molise dimenticato Piccoli borghi, spesso disabitati, tempestano l’Appennino Sannita e rendono quella molisana una terra dalle tante inattese attrattive. Dove passeggiare immersi in rigogliose oasi naturali e riscoprire antichi mestieri altrove dimenticati di Riccardo Lagorio

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È un fascino misterioso che unisce i territori poco conosciuti a portarci in Molise, la ventesima regione d’Italia. Centri storici spesso spopolati, dove si respira un’aria fiabesca e irreale come se il tempo si fosse fermato ai primi del ’900. Tra questi Baranello, a pochi chilometri da Campobasso, addossato a colline a semicerchio, formato di angusti vicoli e case sovrapposte, ma dove si visita l’interessante Museo Civico, una collezione privata dell’architetto Giuseppe Barone


Si respira un’aria fiabesca e irreale tra i borghi incastonati sulle alture molisane. Piccoli centri fantasma per i quali il tempo si è fermato

Appennino Sannita

Molise

donata nel 1897 all’amministrazione comunale. Possiede oggetti d’arte antica tra cui vasi etruschi e italo-greci, canopi egizi, lucerne e bronzi provenienti dagli ultimi scavi di Cuma del 1892. Baranello ha, aveva, un castello appartenente alla famiglia Ruffo. Ne rimangono, tristi, i resti. Il Monte Vairano, a 950 metri sul livello del mare e in posizione strategica, si anima durante l’estate per la fresca brezza che vi si può godere e per l’insediamento d’epoca sannita, da cui sono stati sca-

vati vasi e attrezzature militari visibili presso il Museo Sannitico di Campobasso, ma soprattutto è d’obbligo per chi ama copiose raccolte di funghi. Tappa che vale l’intero viaggio è poi quella di Sepino. Saipins era una città sannita espugnata e distrutta dalle legioni di Lucio Papirio Cursore nel 293 avanti Cristo. I superstiti si stabilirono in pianura, sul tracciato del tratturo Pescasseroli-Candela, dando vita alla città romana di Saepinum. Di Seapinum rimangono intatte le mura, a forma

In apertura Baranello, paesino addossato a colline a semicerchio. In questa pagina le sale del suo Museo Civico

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Cibo&territorio Tra le valli molisane si trova “il paese dell’origano”. È Campo Chiaro e la definizione è quella riportata nel cartello stradale posto all’ingresso del borgo. La réch(e)na (uno dei nomi con cui è conosciuto l’origano) migliore è quella che cresce proprio in montagna, raccolta quando ancora il fiore non è sbocciato. Un tempo le recanare lo raccoglievano legandolo a fasci e portandolo sulla testa, poi si raggruppava in mazzetti più piccoli che si mettevano a essiccare in un locale ben aerato e con poca luce. Per scoprire i genuini sapori molisani, recatevi certamente Da Adriano in Via Napoli, 14 a Carovilli (Tel. 0865838688). Non sarà forse invitante all’esterno, ma una volta entrati si è travolti dalla esuberante presenza del patron Adriano Scarpitti. Il suo feudo gastronomico è imperniato unicamente su prodotti reperiti in loco secondo il ritmo delle stagioni. Poca scelta al commensale, ma vale la pena soffrire. Un’esperienza che vi condurrà alla conoscenza di alcune tra le più genuine proposte del centro-sud Italia. I 40 euro del pasto sono molto ben spesi. In collina, si trova invece La Molisana (contrada Colle Abate, 2 - Miranda, Tel. 0865497382), ristorante dal taglio rustico immerso nel verde adatto per scoprire le gustosità locali. Si mangia con 25 euro.

Dall’alto, un ricco paniere di formaggi molisani. Sotto, il decumano di Sepino

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quadrata con quattro porte situate all’estremità del decumano, coincidente con il tratturo, e del cardo. Del teatro si è conservata tutta l’orchestra, l’ima cavea e parte della media cavea; mentre sul decumano, perfettamente lastricato, sono visibili tabernae, abitazioni, il mercato, la basilica, il foro ed edifici destinati ad attività pubbliche. In località Terravecchia si possono scorgere i ruderi dell’antica città di Saipins, fortificata da mura ciclopiche. Per conoscere l’aspetto naturalistico più intatto dell’intero Molise si deve invece raggiungere l’oasi naturale del WWF di Guardiaregia-Campochiaro (Tel. 0874785011), sul Monte Mutria. Ospita numerose specie endemiche: genziana, primule e anemoni appenniniche. A pochi chilometri San Massimo, il Comune che ha sul proprio territorio il più famoso centro sciistico dell’Italia centro-me-

ridionale, Campitello Matese. In questo luogo – un anfiteatro naturale dove vivono lupi, rapaci e rarissimi rettili – la neve sfida il sole sulla vetta del Monte Miletto, a 2050 metri, raggiungibile in seggiovia o tramite lunghe passeggiate. Un luogo all’avanguardia per il turismo bianco e ben attrezzato per il turismo verde con boschi fitti e sentieri adatti a riposanti passeggiate.

L’amore sacro e l’amor profano A Santa Maria del Molise vivono poco più di 600 abitanti, ridottisi del 65% nel corso degli utlimi 60 anni. Nella sua frazione di Sant’Angelo in Grotte, dall’impianto medievale, spicca la cripta della chiesa dedicata a San Pietro in Vincoli, finemente affrescata da autori di scuola senese alla fine del Trecento. Sorprendenti per garbo e sensibilità i ri-


Piaceri quadri rappresentanti le sette opere di misericordia corporale che terminano con una veduta di Betlemme e una testa fiammante del Redentore. Senz’altro tra le località più suggestive della regione. Un altro luogo di culto, di costruzione molto più recente, è il Santuario di Castelpetroso, iniziato nel settembre 1890 sul luogo dove si ebbe l’apparizione della Vergine Addolorata con Cristo morto depositato su un telo di candido lino. Panorama singolare dominato da una montagna rocciosa dalla cima piatta e a picco su di una vasta area pianeggiante che si estende ai suoi piedi, Pesche s’inerpica sul fianco del Monte San Marco dove, tra gradinate di case sovrapposte, si aprono piccoli belvedere. Ha perso invece metà dei suoi 2000 abitanti negli ultimi cento anni, Miranda: paese agricolo dai pascoli immensi, offre panorami di rara suggestione.Ancora 12 chilometri ed ecco Carovilli, luogo noto per copiose raccolte di tartufo. Nella piazzetta del paese, di fronte alla chiesa, non si erge il consueto monumento ai caduti, o la statua a Garibaldi o a un santo protettore, bensì un bronzo di Bacco, sensuale e allegorico, che invita a ogni eccesso. Ma in primis invita a conoscere la ventesima regione d’Italia, troppo spesso dimenticata.

Caratteristica del territorio la lavorazione dei tessuti. L’altra Penelope, in contrada Barrea, 33 a Cercemaggiore (Tel. 0874799501), produce tessuti, spesso in lana e cotone, su antichi telai mossi da rapidi gesti manuali. Perfetti da utilizzare sui tavoli o come quadri da appendere alle pareti. Forbici, tagliacarte e set da manicure d’acciaio traforato e cesellato a mano: sono ancora due invece le botteghe che mettono a disposizione dei clienti questi capolavori nel capoluogo. Aldo Perrella (Tel. 087467779) è un maestro talmente bravo e famoso che le sue opere sono solitamente offerte in dono alle autorità in visita nella regione; Antonio Muccino (Tel. 087467422), l’altro maestro, è l’autore dello stemma del Vaticano donato a papa Giovanni Paolo II in visita in Molise. Dopo aver tanto vagato nell’entroterra a caccia di natura, antichi capolavori e souvenir, per riposare e godere dell’ospitalità locale recatevi presso il Pleiadi’s Hotel (Via Molise 40 - Bojano, Tel. 0874773088), una moderna struttura alberghiera raggiungibile facilmente dalla frequentata Statale 17. Camere accoglienti ed eleganti provviste di ogni comfort. Dalla struttura si raggiunge in meno di mezz’ora Campitello Matese, stazione sciistica. Doppia da 85 euro. La Fonte dell’Astore di Castelpetroso (Via Santuario, Tel. 0865936085) è invece una confortevole struttura dalle camere ben accessoriate. Un qualificato centro benessere e la felice posizione rendono questa risorsa appetibile per una breve sosta o anche come punto fisso per la conoscenza della regione. La doppia è disponibile da 90 euro.

In alto, la neve che sfida il sole sul Monte Miletto a Campitello Matese. Sotto, il Santuario della SS.Adolorata di Castelpetroso e i fucilieri di San Giuliano durante la Parata di giugno

Folclore

Tra le manifestazioni locali è interessante ricordare quella che si svolge a San Giuliano del Sannio l’8 e 9 maggio: la Parata dei Fucilieri. La sera dell’8, infatti, in onore di San Nicola di Bari, due bandiere d’Italia escono dalla canonica e vengono messe all’asta; durante l’asta i fucilieri, bardati di fazzoletto rosso e giberna di cuoio, sparano a salve con fucili d’epoca ad avancarica in ricordo dell’arrivo dei garibaldini proprio l’8 maggio 1860. Il giorno successivo la statua di San Nicola è portata in processione, accompagnata dalla banda e dai fucilieri e si alternano armonicamente le note della prima e gli spari dei secondi.

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Avventure da brivido nel verde del Sannio 80


Sannio Beneventano

Campania

Alla portata di viaggiatori armati di grande spirito di scoperta e di osservazione, il Sannio beneventano, ancora tutto da esplorare, è una piacevole meta d’inizio estate. Ad attendervi: gole da capogiro, torrenti da attraversare e… un cucciolo di dinosauro di Ida Santilli

Chi ha avuto finora la possibilità di spingersi fino a qui, nel versante campano del Parco Regionale del Matese, sa bene che troverà grande soddisfazione nelle passeggiate lungo sentieri, torrenti e grotte di un territorio ancora tutto da esplorare. Basta armarsi di scarpe comode e di tanta curiosità: da soli o in compagnia, in silenzio o dialogando con i propri compagni, lentamente si assapora con lo sguardo la cresta della montagna, i borghi arroccati, le rocce formatesi oltre sessanta milioni di anni fa che creano un canyon di impareggiabile bellezza. D’altra parte “Camminare è uno scarto rispetto alla modernità, viaggiare a piedi è un gesto trasgressivo, una potente affermazione di libertà”, come dice David Le Breton ne Il mondo a piedi, elogio della marcia.

In apertura, La cipresseta naturale che si estende al di sopra di Fontegreca. Qui, un’istantanea di un’escursione alle Gole di Caccaviola

Alla ricerca di Ciro Il nostro itinerario parte da Cusano Mutri, che fu lasciato singolarmente indenne dal sisma che distrusse Cerreto Sannita e conserva perciò intatto il suo aspetto medioevale. Il paese, con le sue stradine dal pavimento acciottolato, è senz’altro meritevole di sosta: da vedere la chiesa dei SS. Pietro e Paolo in stile romanico, la chiesa di San Giovanni Battista che presenta un bel portale in pietra locale e un reliquario di argento cesellato del XIV secolo, la chiesa patronale di San Nicola con un’interessante fontana in pietra nella sacrestia, i resti della chiesa di San Felice. Per entrare in contatto con lo spirito del luogo il modo migliore è chiacchierare con la sua gente: gli abitanti sono eccellenti guide per visitare questi borghi, persone semplici ma generose, quasi rassegnate

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Cibo&territorio Funghi porcini, insaccati tartufi e formaggi. Di queste meraviglie il Parco Regionale del Matese è ricco e per acquistarne di qualità, il consiglio è di recarsi in questo delizioso negozio di prodotti tipici che ha appena aperto i battenti. Il nome? I sapori dell’arte (Piazza Orticelli – Cusano Mutri, Tel. 3343052525). E la formula arte e gusto si rivela effettivamente vincente: è infatti questo il luogo ideale anche per fare incetta di lavabi in ceramica come quelli della nonna, vassoi, brocche e le tipiche cucchiarelle di legno, strumenti immancabili nelle cucine campane. L’attivissima proprietaria è una fucina di idee: organizza su richiesta passeggiate alla scoperta dei funghi e dei prodotti del bosco. Presso la Frazione

“Camminare è uno scarto rispetto alla modernità, viaggiare a piedi è un gesto trasgressivo, una potente affermazione di libertà” David Le Breton

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Civitella Licinio di Cusano Mutri si trova invece Il guardiano del Matese (Via Ariella, www. ilguardianodelmatese.it). Un casolare immerso tra i castagni dove stuzzicare il palato con i piatti della migliore tradizione di montagna rielaborati con estro dal giovane chef Domenico: salumi, pappardelle al cinghiale, paccheri con speck, porcini e provola, scialatielli al tartufo, tagliatelle alle castagne, tagliata di manzo servita su pietra lavica, scamorza sciolta ai funghi porcini. La carta dei vini propone le migliori etichette del Sannio: la Falanghina del Taburno, l’Aglianico, il Greco di Tufo. Costo medio: 28 euro vini esclusi. Sempre a Cusano Mutri (in Via San Giuseppe, Tel. 3804745660) si trova invece La taverna dei briganti, ristorante da poco inaugurato che ha il pregio di avere prezzi accessibili e una cucina di

a quell’immobilità culturale che purtroppo non ha favorito lo sviluppo di un’economia turistica mirata anche a una migliore qualità della vita sociale. Provate a chiedere di Ciro: non vi guarderanno con aria interrogativa ma vi risponderanno che potrete trovarlo nel museo di Pietraroja. Proprio su questo territorio, infatti, nel 1980 è stato rinvenuto un cucciolo di dinosauro, che i paleontologi hanno simpaticamente ribattezzato Ciro (il nome scientifico è Scipionyx Samniticus). Ha la particolarità di avere ancora ben visibili (cosa che lo rende un caso senza precedenti) parti di tessuti muscolari alla base della coda, tracce della trachea, l’intestino perfettamente conservato e per-

qualità. Ancora in via di definizione il menù ma la scelta cade sui prodotti del territorio: funghi, tartufi, carni rosse, abbuot, involtini ripieni di interiora di agnello, e pasta fatta in casa. Costo medio: 12-13 euro vini esclusi. A Ponte, infine, in Contrada Piana, si trova il piccolo birrificio Maltovivo di Luigi Serpe, mastro birraio che, con grande passione, ricerca materie prime di qualità per deliziare i palati più esigenti. Pur ispirandosi alla migliore tradizione tedesca, negli anni ha dato un’impronta inconfondibile alla sua produzione: la Noscia, prima classificata al concorso Birra dell’anno 2006 di Unionbirrai e sempre valutata con 5 stelle (unico nel Sud) nelle edizioni della guida alle birre d’Italia di Slow Food, riporta alla mente sapori di liquirizia e caramello con note di genziana e rabarbaro (www.maltovivo.it).

sino l’impronta del fegato. Oggi è gelosamente custodito al Paleo-Lab, una moderna struttura in cui è possibile compiere un viaggio virtuale nella storia geologica della zona. Il borgo, a soli otto chilometri e mezzo da Cusano, deve il suo nome (pietra roja, pietra rossa) proprio alle impregnazioni di ossidi di ferro nei suoi calcari. Oltre 100 milioni di anni fa non sorgeva tra i monti ma, al contrario, nel bel mezzo di una laguna, immerso in un ecosistema tropicale popolato da pesci, rettili e anfibi nel quale si depositavano resti della flora che nel corso degli anni si trasformarono in fossili. Il museo è visitabile con un biglietto di 4 euro tutti i giorni feriali su prenotazione o nei


giorni prefestivi e festivi dalle 10 alle 18 (Tel. 0824868253, www.artsanniocampania.it). Il Matese offre inoltre innumerevoli occasioni di turismo sportivo: dalle passeggiate a piedi, in bici o a cavallo, alle arrampicate, al torrentismo in un crescendo di scenari naturali incantevoli, tra cascate d’acqua che rompono il silenzio, e piscinenaturali.LeguideItalo(Tel.3396126383) e Mario (Tel. 3487503116) garantiscono assistenza su tutti gli itinerari dell’area che sta diventando una meta appetibile per gli amanti della natura: per un pieno di adrenalina consigliamo un’escursione alle Gole di Caccaviola (nei paesi del parco si dice che il nome caccaviola è stato scelto perché tra le rocce del massiccio crescono spontanei numerosissimi fiori viola). La forra alta del Titerno, scavata nella roccia calcarea dall’erosione dell’acqua tra la Civita di Pietraroja e il Monte Mutria, è diventata un percorso avventura praticabile da fine maggio a ottobre, e solo in condizioni climatiche buone. Il cammino, che si svolge in gruppi di massimo dieci persone e impegna e affascina per almeno sei ore, si può fare solo in compagnia di guide esperte che forniscono l’apposita imbracatura e il casco di protezione. Niente paura, il sentiero, attrezzato e realizzato nel rispetto degli standard di sicurezza richiesti, non è affatto pericoloso anzi, risulterà divertente soprattutto nel punto in cui il torrente verrà attraversato con le carrucole lungo teleferiche di corde d’acciaio. Vale la pena quindi spostarsi a Cerreto Sannita, che dista soli nove chilometri, ma al tramonto, quando il sole calante dipinge di un caldo rosato la pietra calcarea delle facciate tardo barocche dei palazzi. Dal piazzale con monumento ai Caduti, una volta parcheggiata l’auto, si prosegue il giro a piedi o in bici. Prima tappa, la cattedrale settecentesca della Santissima Trinità, con tre navate e un luminoso interno a croce latina. A poca distanza, nell’alberata Piazza Vittorio Emanuele, la parrocchiale di San Martino del 1702, preceduta da una bella scalinata curvilinea.

Piaceri

Nella pagina accanto: Ciro, il cuccio di dinosauro mascotte della zona, e i tipici formaggi locali. Qui, dall’alto: l’Infiorata del Corpus Domini; la Chiesa di San Nicola di Cusano Mutri e, sotto, le Gole di Caccaviola, meta di escursioni mozzafiato

Per dormire da queste parti, consigliamo il bed&breakfast Piana la gatta (Contrada San Felice – Tel. 3925105232/0824862337, www.pianalagatta.it). Dal balcone dell’antico fienile finemente ristrutturato la vista spazia sulle colline su cui si distendono i filari delle viti. Il b&b, adagiato ai piedi del Monte Mutri, offre ai suoi ospiti relax e sapori genuini: qui ha sede l’azienda agricola che coltiva vigneti e oliveti, alleva suini lasciati allo stato semi brado, e produce salumi (essenzialmente prosciutti, salsicce e sopressate) avvalendosi ancora dei metodi di lavorazione artigianale. Da 60 a 70 euro la camera doppia a notte. Per lo shopping, spostatevi di pochi chilometri, a Cerreto Sannita. La località infatti è famosa per la qualità delle ceramiche e la tradizione dei maestri ceramisti, le cui botteghe sono ancora oggi presenti tra gli splendidi vicoli del borgo, dove è possibile assistere dal vivo ai processi di lavorazione artigianale. Il Museo della Ceramica, nel “cantinone” del chiostro di Palazzo S. Antonio vanta collezioni di maioliche antiche, risalenti all’epoca romana e barocca sino al XIX secolo, e contemporanee (Tel. 0824815211, www.comune. cerretosannita.bn.it).

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Folclore Ogni anno si svolge a Cusano Mutri l’infiorata del Corpus Domini, e il paese si tinge del giallo della ginestra o delle rose, del verde dell’erica e del bianco delle margherite. A capo chino, squadre di giovani del paese separano i petali in base al colore e tritano finemente le erbe che serviranno a comporre il contorno del disegno. La domenica di Corpus Domini (quest’anno il 10 giugno) gli infioratori si mettono all’opera già dalle prime ore del mattino per regalare a cittadini e ospiti un colpo d’occhio di grande impatto lungo il tragitto della Processione. Il giorno prima, dalle 17 in poi, elaborano i disegni a terra, quelli che da un’apposita commissione sono stati giudicati migliori. Le immagini riprodotte sono principalmente icone sacre ma non mancano riferimenti all’amicizia tra i popoli, alla pace nel mondo. Tutti i bozzetti verranno raccolti in un catalogo a colori che sarà distribuito gratuitamente ai visitatori. A rompere l’effimero incanto dei fiori sul selciato saranno i passi dei fedeli nel corteo che dalle 19 si snoda lungo la strada principale di Cusano.

In questa pagina, il centro di Benevento con il campanile di Via Garibaldi e l’Arco di Traiano

Per saperne di più sul territorio si può consultare la guida appena pubblicata da Marcelli Editore Viandando, che racconta l’itinerario dell’Appia antica da Roma a Benevento (pp. 415, 25 euro)

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Ultima fermata: Benevento Vale la pena percorrere una quarantina di chilometri lungo la SS79 e poi la Strada Statale Telesina fino a Benevento, città fondata dai Sanniti con il nome di Maleventum e successivamente romanizzata con il nome di Benevento a seguito della battaglia del 275 a.C. vinta su Pirro che marciava verso l’Urbe. All’epoca risale il bel teatro tuttora in uso. Collegata alla romanità è anche la storia del campanile isolato di Via Garibaldi che durante il fascismo divenne un arengario e fu decorato con lapidi geografiche. A causa di un terremoto, alcune parti si abbatterono sulla chiesa danneggiandola e così si ritenne conveniente spostarlo a distanza di sicurezza. Nel periodo fascista quindi, il podestà lo destinò a pulpito per le adunanze. Qui si visiteranno il Duomo, con le restaurate porte di bronzo, gravemente danneggiate dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, la chiesa di Santa Sofia, un gioiello architettonico costruito per volontà del principe Arechi II, e il Museo del Sannio, al suo interno, che vanta uno splendido chiostro del XII secolo, nel quale i tanti archetti di ispirazione araba poggiano su capitelli sempre differenti dovuti alla fantasia di tre diversi maestri. Prima di andar via non dimenticate di passare davanti all’Arco di Tra-

iano con la decorazione a bassorilievo che riprende i tratti caratteristici del volto dell’imperatore che lo fece costruire per celebrare la realizzazione della via Appia Traiana, in grado di portare mercanti e truppe il più velocemente possibile fino ai porti pugliesi.



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Itria, la valle vestita di bianco Soffia una brezza gentile anche in estate tra le campagne assolate e i trulli bianchi di questo angolo di Puglia, dove perdersi tra gli stretti vicoli e le scalette, inebriati dal profumo dei biscotti di mandorla in una terra votata all’arte e alla gastronomia di Lucrezia Argentiero

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Avevo sei anni quando ho dormito per la prima volta in un trullo a Ceglie Messapica, piccolo centro della provincia di Brindisi (deve il suo nome e la sua fondazione al popolo dei Messapi che la proclamarono propria capitale militare in epoca pre-romana). Queste curiose abitazioni, con il tetto a forma conica che nel mio immaginario sembrava il cappello di un folletto, mi avevano sempre affascinato, anche per il loro candore. C’era qualcosa di magico in loro. Eppure vi sono cresciuta insieme, perché mia nonna ci trascorreva i mesi estivi e io spesso andavo a trovarla. Stavo ore ad ammirarli. Ancora ricordo gli occhi della nonna, neri e profondi mentre preparava i miei dolci preferiti: li bi-

Puglia

Valle d’Itria

scuett, i biscotti cegliesi appunto. La preparazione era lunga, ma il risultato era davvero sorprendente. Sceglieva con cura gli ingredienti. E mi diceva, mentre mescolava il tutto su una grande tavola di legno, che era fondamentale la mandorla. «A da ies di Cegghj», deve essere della varietà cegliese, «du riviézz» cioè del pettirosso (detta così perché tanto tenera e succosa da essere fortemente gradita ai piccoli pennuti). E così anche la marmellata: «di cirase di cegghj», di ciliegie autoctone e assolutamente di una qualità ben definita come la capa di serpa o la mascialora. Mescolati con uova, zucchero e limone grattugiato. Ne è passato di tempo da quando la nonna infornava i biscotti nel piccolo forno


a legna del trullo e io, insieme a lei, ne aspettavo impaziente la cottura, mentre il profumo inebriava l’aria tutto intorno. E in questi anni, grazie alla dedizione di molti che, come mia nonna, hanno sempre creduto nelle tradizioni e le hanno tramandate di generazione in generazione, il mio paese d’origine, Ceglie Messapica, si è guadagnato l’appellativo di “città d’arte e terra di gastronomia” così come recita il cartello stradale all’ingresso. La cittadina è, infatti, la capitale indiscussa della buona tavola della Valle d’Itria, con numerosi riconoscimenti per gli chef, oltre a essere uno dei siti più antichi, ricco di insediamenti rupestri e reperti che vanno dalla Preistoria all’Età Ellenistica.

Un paradiso che fa tendenza Il paese si raccoglie sul cocuzzolo del suo colle ed è bello lasciarsi guidare dall’improvvisazione e seguire uno dei tanti viottoli che s’inerpicano e conducono in cima, alla piazza. Fra le stradine del borgo medievale, fatte di chianche (lastrichi in pietra), rese lucide dal calpestio, e avvolte dalle case in calce bianca con caratteristici archi di sostegno laterali e dai palazzi signorili con portali, stemmi e logge, ci si imbatte nella cinquecentesca Chiesa Collegiata dell’Assunta e nella Pinacoteca, che racchiude ed espone gelosamente i quadri del pittore futurista Emilio Notte (1891-1982), che è nato proprio qui. Lentamente e con il naso all’insù a scrutare ogni dettaglio, si arriva nel punto più alto del colle, dove domina la possente mole del Castello Ducale (in parte proprietà del Comune, presto ospiterà la Fondazione dell’Arte e della Gastronomia Messapica), con la svettante Torre Quadrata, che risale all’anno mille. Poco distante la Chiesa barocca di San Domenico della scuola del Bernini, mentre si apre, svelandosi di colpo, la piazza quadrangolare con la torre del campanile, che segna con i suoi rintocchi l’incedere del tempo, in un paese dove a tratti il tempo sembra essersi fermato. È questo il luogo dell’incontro. Qui si viene per

Folclore Ceglie è famosa sì per l’alta cucina. Ma è soprattutto nell’ambito della gelateria, della pasticceria e dei prodotti da forno che ha conseguito svariati riconoscimenti e una certa fama. Il re dei prodotti? Il tipico biscotto, di forma quadrangolare irregolare, che ha ottenuto il riconoscimento di Presidio da parte di Slow Food.
 Al centro è screziato di confettura di amarene e un mix di mandorle tostate, ovviamente il tutto passato in forno. Si racconta che fu una suora, di nome Antonina, a trovare all’interno di un vaso questa ricetta. Come dire, proprio una bontà divina! Il segreto che riguarda il giusto dosaggio e i tempi di cottura è gelosamente custodito dalle anziane signore e forse non sarà mai svelato, ma gli ingredienti di base sono ormai noti. Prodotti semplici come uova, zucchero e soprattutto mandorle e marmellata di ciliegia o di amarena. Ne esistono diverse varianti, con un diverso ripieno di marmellata, con o senza la glassa a base di zucchero e cacao e ancora con le nuovissime varianti ricoperte con cioccolato nero o bianco. Dove trovare i biscotti cegliesi? Presso il Panificio La Fornara (Via Archimede, 17 – Tel. 0831377387) e il Forno a legna di Grazia Gigliola (Via Ricasoli, 47 – Tel. 0831388380).

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Piaceri La Valle sale sul palcoscenico: dal 14 luglio al 2 agosto, diciannove serate dedicate alla musica, al teatro, al cinema, al talento, per la 38ª edizione del Festival della Valle d’Itria. “Uno spettacolo al giorno” in cornici scenografiche: lo storico cortile del Palazzo Ducale, il prezioso Chiostro di San Domenico, il piccolo Teatro Verdi di Martina, oltre all’auditorium Paolo Grassi di Cisternino. Il filo conduttore è il tema del confine con l’Altro, quello dell’incontro/ scontro tra culture, religioni e mondi diversi. Una questione quanto mai attuale e scottante che coinvolge e mette in campo temi quali l’accoglienza e la conoscenza dell’altro, la necessità di trovare varchi di reciproco specchiamento. Ricco il cartellone. Prendendo spunto dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, si ascolteranno splendide composizioni di stili ed epoche diversissimi: madrigali di Gesualdo da Venosa, scene della secentesca Gerusalemme liberata di Carlo Pallavicino, fino ad arrivare alle vertigini causate dall’estro di Claudio Monteverdi per il suo celebre Combattimento di Tancredi e Clorinda (www. festivaldellavalleditria.it). Dopo aver assistito a uno spettacolo, vi consigliamo di fermarvi a riposare presso Borgo Egnazia (Savelletri di Fasano, Tel. 080 2255000 – www. borgoegnazia.it), una nuova elegante struttura, del Gruppo San Domenico Hotels, nel cuore della Valle d’Itria, tra gli ulivi secolari e vista mare. Da provare i trattamenti della Vair Spa, i cui nomi derivano dal dialetto locale. Prezzi: doppia da 330 euro; o presso il B&B Il Melograno, sulla via per Francavilla Fontana (C.da Madonna della Grotta, cell. 3294304299 – www. trulloilmelograno.it), ambienti semplici ma dotati di ogni comfort. Bici a disposizione. Prezzi: doppia da 50 euro. 88

Nelle pagine precedenti: il centro storico e i trulli di Ceglie. In questa pagina, un panorama di Ostuni e dei suoi uliveti

scambiare due chiacchiere con gli amici e per respirare l’aria salubre e frizzante. È immancabile, infatti, con la bella stagione, un lieve venticello che rende le ore più calde della giornata meno afose. Vale la pena scoprire la Valle d’Itria in questo periodo, tra i trulli bianchi dalla tipica costruzione a cono, le campagne assolate e affollate di contadini che raccolgono le mandorle per farle essiccare e preparare così la materia prima per i dolci. Un viaggio di luoghi e sapori, non solo a Ceglie, ma anche nei dintorni a Cisternino, Ostuni, Fasano, Locorotondo, gli altri paesi della Valle che quasi abbagliano per la luce che emanano. Candidi borghi antichi dove perdersi e ritrovarsi, tra gli stretti vicoli e il saliscendi di scale e scalette. Una sorta di Paradiso che fa tendenza: questa zona è il “buen retiro” di stranieri (soprattutto inglesi e americani) e di numerosi personaggi dello spettacolo. I vip non si accontentano di trascorrerci le ferie, c’è chi addirittura compra casa, come l’ex ct della nazionale, Roberto Donadoni, che a Fasano ha trovato la masseria dei suoi sogni, o l’attore Raz Degan che ha scelto

un trullo a Cisternino. Katherine Price Mondadori, insieme ai figli Martina, Francesco e Filippo, fanno base a Ostuni, mentre Kean Etro, il creativo rampollo della famiglia Etro, trova ispirazione per le sue collezioni moda, passeggiando nel bosco, intorno alla sua abitazione su una collina di Ceglie Messapica. Poco distante da Ceglie c’è Cisternino che, appollaiato su uno dei più alti colli della Murgia meridionale, appare come disegnato nello spazio, con un’architettura fantastica di casette lattee e chiostri interni. È un rincorrersi di archi, piccole logge, fregi in pietra e scalette, in una sequenza di particolari che fanno posare lo sguardo ora sullo spigolo smussato di un edificio, ora su un’edicola votiva, ora su un fornello, macellerie con annesso forno rigorosamente a legna e saletta per degustare, comodamente seduti, la carne precedentemente scelta e acquistata. Più famoso il paese di Ostuni, il cui centro storico, nel conservare intatta la struttura medioevale e la cinta muraria, colpisce per un dettaglio barocco, una porta dipinta, un sottarco fiorito di rossi gerani. E ci si aggira tra le vie,


con le case, abbracciate l’una all’altra, che sembrano spolverate di borotalco, incontro a chiese (la Cattedrale, capolavoro dell’architettura gotico-romanica) e a palazzi ora severi, ora sontuosi (il Palazzo Municipale, del Seminario e quello Vescovile, Palazzo Zevallos). L’argenteo paese di Fasano, invece, colpisce soprattutto per il paesaggio circostante, in cui il verde degli alberi contrasta con il bianco delle Masserie (la maggior parte trasformate in eleganti agriturismi e relais di charme), sparse qua e là come se volessero librarsi nell’aria, a testimonianza di un’antica civiltà rurale. Non si possono non visitare gli scavi archeologici di Egnazia, che trasportano magicamente nel pieno della storia romana. Infine, Locorotondo, il più bel balcone da cui ammirare la Murgia dei Trulli e la Valle d’Itria, inserito tra i borghi più belli d’Italia. La curiosità? Le case che, solo qui, terminano con degli inconsueti tetti aguzzi, detti cummerse, fatti di pietra calcarea, che un tempo servivano per la raccolta delle acque piovane. Dal belvedere si ammira un mosaico di vigneti che sembrano protetti dai muretti a secco, macchie di bosco mediterraneo, verdi ulivi e tantissimi trulli. E chi avrebbe mai immaginato che la mia terra, dove ci sono ancora fatine e folletti nascosti tra i trulli, quella terra dove la nonna mi rimboccava la leggera coperta fatta all’uncinetto in mille colori (nel trullo anche in estate la temperatura è sempre fresca) che faceva da contrasto con il bianco della simpatica costruzione, sarebbe divenuta una delle zone più gettonate e glamour d’Italia? La mia terra segreta, un paesaggio di pietra e lucentezza, dove ancora adesso, ogni volta che vi ritorno, amo perdermi fra le stradine del piccolo borgo. Ed è davvero un’emozione unica, lasciarsi condurre dalla propria guida personale fatta di ricordi, con la certezza di imbattersi, sbucando da una scalinata o da una stretta via, o da una campagna, di fronte a qualche meraviglia. E ritrovare, ogni volta, puntuale, la stessa magia di quando ero bambina.

In alto, le candide facciate di Cisterino e, sotto, una passeggiata nel cuore di Ostuni

“La Valle d’Itria è la mia terra segreta, un paesaggio di pietra e lucentezza, dove ancora adesso, ogni volta che torno, amo perdermi fra le stradine dei piccoli borghi”

Cibo&territorio Ceglie è tra le cittadine italiane con la più alta percentuale di ristoranti stellati nel rapporto tra popolazione e numero di ristoranti. Sulle tavole dei suoi chef, così come nelle cucine a conduzione familiare, i piatti sono semplici ma caratterizzati dal gusto intenso dei prodotti genuini del territorio, frutto del giusto equilibrio tra i sapori marinari e quelli contadini.
Tra le eccellenze, la pasta fresca fatta a mano condita con l’immancabile cacioricotta, gli involtini al sugo e il coniglio alla cacciatora. Dove assaggiarli? Un locale caratteristico in pietra viva dove si possono gustare i prodotti tipici cegliesi è l’Osteria Pugliese a Ceglie Messapica. Piatti di qualità fatti interamente in “casa” dalle mani sapienti di mamma Lina. Tra i tavoli il figlio Cataldo. Prezzo medio: 15-18 euro. (Vico 1 Orto Nannavecchia 10 – Tel. 0831377115). Volendo gustare piatti della tradizione reinterpretati con originalità, l’indirizzo è quello di Via Orto del Capitolo, 10 sempre a Ceglie Messapica, dove si trova l’Osteria del Capitolo (Tel. 3331351241, www.osteriadelcapitolo.com). Solo prodotti del territorio. Prezzo medio: 18-20 euro.

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La perla lucana che s’affaccia sul Tirreno

È l’unico paese della Basilicata con uno sbocco a mare nel Mediterraneo occidentale. Maratea: un lembo di terra lucana stretto tra la Campania e la Calabria, che fa da crocevia per tre culture. Fondali incontaminati, spiagge suggestive, grotte da leggenda e chiesette ricche di arte, in un magico tutt’uno sovrastato dallo sguardo solenne della statua del Cristo più alto d’Europa di Monica Coviello

Basilicata

Maratea

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Con l’auto e con i treni si arriva ovunque. O quasi. Perché ci sono spiagge che si possono raggiungere solo via mare: piccole, selvagge, fatte di ciottoli e delimitate dagli scogli. Sono quelle che, ad esempio, caratterizzano la riva tirrenica della Basilicata, punto di partenza ideale per un viaggio alla scoperta del territorio, della vicina Maratea, la “perla del Tirreno”, e delle ricchezze paesaggistiche dei dintorni.

Spiagge protette e sabbia nera C’è una storia per ognuna di queste spiaggette. Ad esempio, a nord di Cersuta, uno dei tratti più caratteristici della costa, c’è il piccolo arenile di Rena d’a Carruba: sopra questa spiaggia si trova la grotta di Cersuta, in cui sgorga una sorgente di acqua dolce. Gli anziani raccontano che fu scoperta per caso da un pastore, mentre lanciava sassi sulla costa: così fece la felicità dei suoi compaesani, che non dovettero più fare chilometri per andare a prendere l’acqua potabile. O la spiaggia di Cala Jannita, chiamata anche la “spiaggia nera” per il colore della sua sabbia, o ancora quella di Funnicu Reggiu. Ma il litorale di Maratea, tra il Canale di Mezzanotte e la foce del fiume Noce, si allunga per una trentina di chilometri, e alle piccole spiagge-gioiello, protette dal mare e da pareti alte e rocciose, affianca stabilimenti balneari moderni e ricchi di confort, adatti anche per i bambini. Come la spiaggia Anginarra, una fra le preferite dai turisti e fra le più grandi del litorale. O quella d’a Gnola, distesa ampia di sabbia con spazi di spiaggia libera, stabilimenti balneari e comodità. I fondali marini, incontaminati, sono molto apprezzati dai sub, perché ospitano una ricca varietà faunistica e custodiscono reperti dell’antichità, anfore e vasi, di cui solo una parte è stata riportata alla luce.

Fra stalattiti e stalagmiti Ma non c’è solo mare. A Marina di Maratea, lungo la strada statale, si trova un vero e proprio tesoro naturale, la “grotta delle meraviglie”,

Piaceri Ad agosto, dal 2 al 5, si svolge la quarta edizione del Maratea Film Festival, che avrà come tema principale l’ambiente e le energie rinnovabili. Solo da quest’anno, la kermesse è accreditata, e quindi riconosciuta per la prima volta a livello internazionale, dal Festival Internazionale del Cinema di Berlino, uno dei più antichi a livello internazionale. Le prime tre edizioni sono state inaugurate dal saluto di Francis Ford Coppola, il famoso regista di origine lucana, e tra gli ospiti vantavano Paola Cortellesi, Laura Morante, Alessandro Gassman, Michele Placido, Lino e Rosanna Banfi, i registi Lina Wertmuller e Riccardo Milani. Per informazioni: /www.marateafestival.it. Restando in temna arte, in Strada Sospiro, una delle più antiche e famose di Maratea, c’è uno spazio di circa 60 mq, che fa da punto d’incontro fra artisti e pubblico. Qui vengono ospitate esposizioni, personali pittoriche, eventi performativi e musicali, reading, dibattiti e presentazioni di iniziative culturali e editoriali. Ma anche eventi ludici, degustazioni di tipicità, mostre fotografiche e proiezioni audiovisive, esposizioni di collezionismo e di opere artigianali. Per dormire, consigliamo a quanti vogliano addormentarsi con il rumore dle mare, l’Hotel Gabbiano in Via Luppa, 24 ad Acquafredda Maratea (Tel. 0973878011). Il prezzo per una doppia va da 60 a 135 euro. Nel centro storico di Maratea, invece, deliziosa La locanda delle donne monache (Via Carlo Mazzei, 4 - Tel. 0973876139), dove per una doppia si spendono dai 260 ai 335 euro.

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In apertura, la costa di Maratea. Qui a fianco, una veduta panoramica della cittadina e, a destra, la statua del Cristo Redentore

Cibo&territorio È la salsiccia la specialità gastronomica della zona di Maratea. Ne parlava già lo storico romano Varrone, che scriveva: «Chiamano “lucanica” una carne tritata, insaccata in un budello, perché i nostri soldati hanno appreso il modo di prepararlo dai Lucani». Anche il momento della macellazione del maiale era un momento di socialità, a cui partecipavano amici e parenti. E ancora oggi le salsicce di Maratea si producono perlopiù per la famiglia, e sono di altissima qualità. Per i vegetariani (e non solo), da non perdere la mozzarella di Massa e i caciocavalli. Tra i primi piatti, la ciaudedda, preparata con le verdure, la zuppa di pesce e i bucatini alla maratiota. Tra i secondi, da assaggiare: la ciambotta, la salsiccia in cartoccio, la parmigiana e le alici a scapici. E, per finire il pasto, i buccunotti, i mostaccioli, le zeppole e le zeppole crisciute. Al 13 di Via Rovita si trova il ristorante Taverna Rovita (Tel. 0973876588) che segue e rivisita con rigore e creatività le ricette della tradizione lucana, presentandole in una versione che esalta sapori del territorio e profumi del mare. Prezzo medio di un menù degustazione carne 35 euro, pesce 45 euro. Si affaccia invece sul porticciolo del borgo il ristorante Za’ Mariuccia (Via Grotte 2, - Tel. 0973 876163). Il locale ha un ampio terrazzo, ed è rustico ma elegante. Il prezzo medio è di 55 euro.

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l’unica grotta turistica di tutta la Basilicata. La scoprirono negli anni Venti gli operai che stavano costruendo la strada e che, per recuperare un martello caduto in una fenditura delle rocce, si trovarono di fronte a cascate di stalattiti e stalagmiti. Fino ad allora la grotta è stata inaccessibile, conservandosi integra e incontaminata.

Redentore da record Dalla strada costiera si può salire fino a Maratea. Ma prima ancora di arrivarci, lungo la via, basta alzare gli occhi per accorgersi che tutto il paesaggio è dominato da una statua immensa, 21 metri di marmo di Carrara, che raffigura Cristo Redentore: è la più alta d’Europa e al terzo posto, per dimensioni, nel mondo, dopo quella brasiliana di Rio de Janeiro e quella di Cochabamba in Bolivia. Fu costruita in due anni dal conte Stefano Rivetti di Var Cervo, negli anni Sessanta. Per rag-

giungere la statua, bisogna salire una scalinata in pietra. Ma ne vale la pena, perché da lassù il panorama è davvero mozzafiato.

La città delle 44 chiese Entrare nel centro storico di Maratea è come fare un salto nel Medioevo: le case antiche, ornate con le logge e i portalini, sono addossate una all’altra, o separate da vicoli stretti. Lungo le stradine del borgo si può andare alla scoperta di edifici e monumenti di grande valore storico e architettonico. Maratea è famosa anche come “la città delle 44 chiese”, ognuna ricca di testimonianze artistiche: quella di San Vito è la più antica del paese, ma meritano sicuramente una visita anche quella di Santa Maria Maggiore, nella piazza omonima, e quella dell’Annunziata, che conserva un busto reliquiario di San Biagio. Il punto d’incontro serale dei turisti che visita-


Folclore Si dice che nei boschi di Marina viva un folletto, il Mommachicchiu, dispettoso e cattivo. Avrebbe l’aspetto di un bambino di circa 6 anni, sporco di terra, con un berretto rosso in testa. E si divertirebbe a svuotare le cantine o a fare rumori molesti, durante la notte, per non lasciar dormire la gente. Le mahàre sarebbero invece creature di aria calda, che minaccerebbero la salute dei bambini. Ma tutta la Basilicata, in generale, è una terra magica, ricca di leggenda: c’è addirittura una località, Colobraro, il cui nome è associato alla superstizione e non dovrebbe, secondo l’usanza, nemmeno essere pronunciato. Lo si indica come “quel paese”. Per saperne di più, può essere utile Il Cristo leggere l’opera Redentore che veglia di Ernesto De Martino, Sud sulla strada costiera è e magia. interamente realizzato in

no la cittadina è la centrale piazzetta Buraglia, con le sue botteghe di prodotti artigianali ed enogastronomici della zona.

marmo di Carrara: con i suoi 21 metri di altezza è la più alta statua del genere d’Europa e la terza al mondo per dimensioni

A due passi dal mare Maratea, unico lembo lucano affacciato sul Tirreno, è stretta fra la Campania e la Calabria, in posizione strategica: raggiungere le località più interessanti dei dintorni, anche se si trovano nelle altre regioni, è piuttosto semplice. Sapri, in provincia di Salerno, all’estremità del Cilento, è collegata a Maratea attraverso una scenografica strada a picco sulle scogliere. Più verso l’interno, c’è Rivello, piccolo gioiello di architettura urbana, che sfocia nel mare a Castrocucco. A sud, lungo la costa, si incontrano Aieta, Praia a Mare, San Nicola Arcella e Scalea: un breve tratto di strada e si arriva anche nei luoghi del turismo di mare dell’alto Tirreno calabrese.

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La Calabria che parla la lingua di Omero Un viaggio alla scoperta di alcuni dei borghi di origine magnogreca più belli del Mezzogiorno. Dalla rupe medievale di Pentedattilo, all’acropoli di Gallicianò, fino a Bova, capitale dell’antica Bovesìa, fondata in epoca remota da una regina armena di Lucia Lipari 94

Lungo l’arco del crinale che separa il Tirreno dallo Ionio, da Reggio Calabria oltre Capo d’Armi, lo scenario è di una bellezza aspra e selvaggia: dalle colline brulle, striate dal biancore delle fiumare asciutte, alle ampie spiagge di arenaria, incorniciate dalla riviera dei gelsomini, protagonisti di ricercate fragranze francesi. Qui è possibile ammirare una vegetazione ricca e baciata dal sole, tanto che il particolare microclima permette ai mandorli di fiorire persino in gennaio.

Cinque dita protese verso il cielo Dopo Saline Joniche, deviando il percorso da Annà, frazione di Melito Porto Salvo, verso l’interno s’impone sul panorama un massiccio quanto mai misterioso, una mano pro-

tesa verso il cielo, imperante di giorno, incantevole al tramonto. È la rupe medievale di Pentedattilo che, come indica il nome di origine greca (penta daktylos, cinque dita), ricorda la forma caratteristica di una ciclopica mano sinistra, una sorta di piccolo Ayers Rock nostrano. Questo sperone di nuda pietra fu meta di un turismo di nicchia, che vide passare da qui personaggi dello spessore dello scrittore inglese Norman Douglas o dell’incisore olandese Maurits Cornelis Escher. Edward Lear ne scrisse: “La visione è così magica che compensa di ogni fatica fatta per raggiungerla: selvagge e aride guglie di pietra lanciate nell’aria…”. E altrettanto magiche sono le storie che serpeggiano nel cuore roccioso del borgo eremitico di Pentedattilo, che


Calabria

Cibo&territorio Tutti i paesi dell’area grecanica, hanno una tradizione culinaria basata su maccheroni caserecci conditi col sugo di carne di capra e spolverati di ricotta, il caratonfolo, una specie di tartufo viola, i fichi d’india infornati (ascadia), la polenta con il latte (curcudia), le ciambelle con cimino bollite e poi infornate (anevamena), le pitte con la ricotta e un’ottima varietà di formaggi con il miele, senza dimenticare il pane di casa con le uova fritte alla fiamma di spolasse. Caratteristici i dolci di Natale (protali) e quelli di Pasqua (nguti), fichi secchi, noci e mandorle. Per assaporare i gusti locali, un ottimo indirizzo è quello dell’agriturismo Mille Sapori (Via Cippi Imperiali, Pentedattilo – Tel. 0965787429) che offre prelibatezze quali i maccheroncini col sugo di carne di capra, le pitte con ricotta, e tutti i prodotti realizzati all’insegna della tradizione. Costo medio di un pranzo, o di una cena, a partire da 15 euro. L’azienda mette anche a disposizione alloggi climatizzati e dispone di camere da affittare. La Società Cooperativa I-Chora, dal greco “terra”, valorizza il territorio, offrendo a singoli o gruppi pacchetti di turismo responsabile nei luoghi simbolo della memoria calabrese e il meglio della cucina grecanica, come la famosa Lestopitta, pane di grano fritto col sale (Via Duca d’Aosta, 114 - Condofuri, Tel. 3270007954).

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Folclore Il borgo di Pentedattilo fu teatro, nella seconda metà del XVII secolo, di un crudele misfatto avvenuto per mano dei baroni Abenavoli: la Strage degli Alberti. Divenuta romanzo dalla penna di Andrea Cantadori, la tragedia ebbe luogo dall’amore conteso di una donna, Antonietta Alberti, che finì i suoi giorni da suora di clausura, nel dolore di essere stata l’inconsapevole motivo dell’eccidio della sua famiglia. Questa storia insanguinata ha dato origine a numerose leggende. Si narra, per esempio, che la sera d’inverno, quando il vento è violento, tra le gole della montagna, si riescano ancora a sentire le urla del marchese Lorenzo Alberti. Altra interessante storia è quella di Bova (Vùa in greco), capitale culturale della Bovesìa e del patrimonio greco di Calabria, tanto che la nomenclatura delle vie mantiene la doppia lingua greca e italiana. La cittadina ha infatti origini antichissime legate, secondo la leggenda, a una regina armena che, sbarcata lungo la costa, avrebbe guidato il suo popolo sul monte Vùa, nel cui nome appare chiaro il riferimento a una terra favorevole al pascolo dei buoi, trovando ella stessa ristoro entro le rocche del castello. Dal nome latinizzato Bova, derivò poi lo stemma della cittadina, rappresentante il bue, al quale in epoca cristiana fu aggiunta la figura della Madonna col Bambino in braccio.

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In apertura una panoramica sul borgo di Bova. In questa pagina, da sinistra: le casette di Gallicianò, il massiccio di Pentedattilo, e, in basso, la locomotiva simbolo delle ferrovie bovesi

Italo Calvino commentò così: “il suo passato è scritto nelle linee della sua mano, nelle vie, in ogni segmento, rigato a sua volta da graffi, seghettature ed intagli”. Da visitare: le chiese dei Santissimi Pietro e Paolo e della Candelora, i ruderi del castello medievale, e l’eremo di Sant’Elia, figura religiosa attorno alla quale si tramandano tante affascinanti storie.

Sembra Grecia, ma è Gallicianò Proseguendo lungo il versante della statale 106 jonica – precisamente nella vallata della fiumara dell’Amendolea, dal bivio di Condofuri Marina, verso l’interno – si raggiunge Gallicianò, acropoli della Magna Grecia in Calabria. Circondato da mandorli, ginestra e fichi d’india, è l’unico borgo tuttora interamente ellenofono. Tanto che è gemellato con il comune di Alimos, vicino Atene, per espresso volere della Chiesa Ortodossa e in particolare dei monaci del monte Athos, al fine di poter praticare il rito cristiano ortodosso nel paese calabrese. Affacciato su

un balcone di roccia che domina la fiumara, Gallicianò, sin dall’antichità, si distinse perché dedita alla pastorizia e all’agricoltura, e infatti indicibile è la bontà della ricotta prodotta. Chi percorre le sue vie, resterà colpito dall’ospitalità dei suoi abitanti che spesso intrattengono i viandanti con canti tipici a suon di ciaramelle (oboi) e tamburelli. Di pregevole importanza è la Chiesa di San Giovanni Battista, risalente al ’700. Interessanti anche l’ex Palazzo Municipale, le maschere apotropaiche, il rudere del monastero greco e un marmo raffigurante Pitagora con la famosissima incisione gnoti se autòn (conosci te stesso), dono proveniente da Salonicco. In cima al paese sorge, infine, la chiesetta dedicata alla Madonna della Grecia, affidata ai monaci del monte Athos.

In mezzo ai pastori di Bova Da Gallicianò, ripercorrendo il tragitto all’inverso, si ritorna al bivio di Condofuri Marina e, imboccando nuovamente la famigerata statale


Piaceri Pentadattilo, ogni estate, è tappa di un festival etno-musicale, il Paleariza (Antica Radice), importante kermesse della cultura grecanica, e indicato nel 2011 dal Ministero del Turismo quale Patrimonio d’Italia. Il Festival mette in scena le tradizioni tipiche dell’area ellenofona, come il ballo du cammeddu (ballo del cammello), che evoca le epoche remote dei pirati saraceni, dove il fantoccio di un cammello, seguito da un danzatore e dalla fanfara, finendo il suo ultimo ballo viene arso tra giochi di fuoco e colori. Ma ci sono anche concerti di suonatori popolari e attività collaterali, che vanno dal trekking ai sabati letterari alle rassegne di poesia greca. Icona turistica, il borgo è stato anche oggetto di un fumetto ed è sede, ogni anno, del Pentedattilo FilmFestival, concorso internazionale di cortometraggi e strumento per ricostruire il tessuto identitario delle comunità locali. Ottime per lo shopping le botteghe dei maestri artigiani. A Gallicianò, in particolare, sopravvive ancora oggi l’artigianato dell’intaglio in legno e quello tessile; infatti, secondo i più antichi rituali, le donne lavorano per i propri corredi la ginestra dal giallo vivace e la lana, ornandoli con dei rombi e delle croci,

106, si giunge a Bova Marina e si sale verso Bova. Il borgo annovera nel suo patrimonio numerose perle architettoniche quali il Palazzo Nesci di Sant’Agata del XVIII secolo e il Palazzo Mesiani del XII, la Torre Normanna (o Parcopia) e il Museo di Paleontologia, dove sono conservati oltre 1500 reperti. Caratteristica è la locomotiva a vapore, posta in una piazzetta centrale all’entrata di Bova, simbolo delle ferrovie e dei ferrovieri bovesi: per condurla fino al borgo si è dovuto addirittura allargare la carreggiata della strada che porta al paese. Di pregevolissima manifattura è l’artigianato grecanico di Bova noto come “l’arte dei pastori”: la nobile arte della tessitura della seta, vista la preziosità del materiale impiegato, e la tessitura popolare, di età neolitica, realizzata con lane, lino, cotone e fiori di ginestra. I motivi ispiratori dei lavori di stampo bizantino erano frutto della tradizione orale degli avi. Il telaio a mano, tipico strumento di lavoro tessile, era un oggetto classico portato in dote dalle spose e realizzato dallo sposo con legni pregiati, insieme a rocche, conocchie e fusi.

contornati da rettangoli e quadrati. Per immergersi nella natura, la Società Cooperativa Naturaliter (Via Amendolea, Condofuri – Tel. 3473046799) organizza soggiorni escursionistici per singoli o gruppi e offre una rete di strutture ricettive rurali utilizzando una forma di ospitalità ispirata al modello B&B. Naturaliter propone un trekking particolare e affascinante: “Il sentiero dell’inglese” con asini al seguito per il solo trasporto dei bagagli, sull’itinerario percorso nell’estate del 1847 dal paesaggista viaggiatore inglese Edward Lear. Il costo giornaliero del pacchetto comprensivo di pranzo, cena, pernottamento, transfer ed escursione è di 70/90 euro. Fa parte del circuito, ad esempio, l’agriturismo Il Bergamotto (Contrada Amendolea – Tel. 0965727213) che esalta le bio-eccellenze locali. Sovrastato dai ruderi del castello normanno di Amendolea,offre camere a partire da 25/30 euro. Consigliamo inoltre l’Hotel Tito Serranò di Melito Porto Salvo (Via Nazionale, 96 – Tel. 0965781333). Qui, non fatevi mancare una sosta al noto Caffè Serranò. A partire da 65 euro si potrà avere una camera singola o doppia, colazione inclusa.

“Personalmente ho tratto grandissima ispirazione da due paesini della provincia di Reggio Calabria: Pentedattilo e Bova. Quando li ho visti ho pensato fossero set da milioni di dollari preparati per noi da Peter Jackson!” (Robert Englund, sul set del film Vij, 2007)


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Sicilia dei laghi: l’altra faccia dell’isola di Rosario Ribbene

C’è un mondo siciliano che pochi conoscono, lontano dalle spiagge assolate di Cefalù e San Vito Lo Capo, ma non per questo meno affascinante, fatto di specchi d’acqua naturali e artificiali, sentieri, boschi. Veri e propri scrigni di biodiversità che la costellano e ne tratteggiano inaspettati lineamenti

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Parco dei Nebrodi

Lago di Pergusa

Sicilia

È la terra del sole, e tutti ne cantano le meraviglie architettoniche, le sterminate distese di agrumi, gli sbuffi minacciosi dell’Etna e lo scintillio delle acque limpide del suo mare. C’è però un’altra Sicilia, della quale si parla meno. Quella dei laghi, che dell’isola rappresentano in effetti un aspetto semisconosciuto. Se ne contano più di 35, grandi e piccoli, dislocati in tutte le province. La suggestione che può scaturire da questi luoghi mitici è legata a molteplici fattori, dalla storia alle prelibatezze dell’enogastronomia locale, dalle bellezze paesaggistiche alla fauna che in essi dimora, fino ai riti religiosi e ai costumi tipici che ne colorano le sponde.

Le acque rosse del lago di Pergusa Partiamo dunque dal cuore della Sicilia, alla scoperta del lago di Pergusa, l’unico esempio di lago naturale della Sicilia centrale. Distante 10 Km da Enna, e a 667 m s.l.m., da sempre rappresenta un’area nevralgica nella corrente migratoria di molte specie oltre che l’habitat ideale per lo svernamento e la nidificazione. L’invaso lacustre è anche noto per le acque salmastre e per il fenomeno del Red Water (l’arrossamento delle acque) che si manifesta in determinate condizioni per la presenza di solfobatteri fotosintetici anaerobi con la conseguente colorazione roseoviolacea delle acque, di grande effetto scenico. All’interno della riserva del lago vive il pollo sultano, una specie ammirata fin dai tempi dei Greci e dei Romani tanto che lo si ritrova rappresentato tra le opere d’arte dellaVilla del Casale di PiazzaArmerina (inizio IV secolo d.C.), nel famoso mosaico denominato Il piccolo circo, dove viene ritratto un fanciullo su una biga trainata da due polli sultani. A Pergusa, il pollo sultano è una delle specie più rappresentative con una popolazione che vanta ben 16 coppie, che il visitatore potrà ammirare da diversi punti di osservazione posti all’interno della riserva. Tra le attrattive di questa località anche un’interessante area archeologica. Ovidio, Claudiano, Diodoro Siculo e Cicerone ci testimoniano infatti una fase, a loro contemporanea, in cui Enna era la sede più importante del culto delle due dee che i latini chiameranno Cerere e Proserpina. Oggi, attraverso una serie

Folclore Il mito sottende la realtà e il significato profondo della storia della Sicilia, e lo si può capire soltanto attraverso la conoscenza delle sue antiche leggende. Ciclopi, Giganti e Titani, secondo la mitologia del mondo classico, sono stati i primi abitatori di questa terra e quindi i progenitori dei siciliani. E i laghi dell’isola hanno fatto da quinta scenica a molti episodi leggendari, come quello che riguarda il lago di Naftia o dei Palici. L’antico bacino, ora prosciugato, era infatti caratterizzato da imponenti sbuffi di gas che davano origine a meravigliosi fenomeni naturali. Secondo la leggenda, chi voleva dimostrare di aver detto la verità doveva recarsi sulle sponde del lago, raccoglierne l’acqua ribollente con le mani e portarla agli occhi. La storia è talmente radicata nella cultura locale che ancora oggi è viva l’usanza di dire: “che io possa perdere la vista se non dico la verità!”. Un altro episodio mitologico è quello che contraddistingue il lago di Pergusa, ovvero il Ratto di Proserpina. La leggenda narra di Proserpina, figlia di Cerere che, mentre raccoglieva fiori nei pressi del lago, fu rapita dal dio degli Inferi, Plutone, e fatta sua sposa. Cerere la cercò in lungo e largo per nove giorni, ritrovandola successivamente solo grazie al provvidenziale intervento di Giove che le rivelò il luogo dove l’amata figlia era stata violentemente trascinata.

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Cibo&territorio Qualsiasi itinerario alla scoperta della Sicilia dei laghi non può non contemplare delle soste per il ristoro dove il visitatore potrà assaporare le delizie enogastronomiche di quei luoghi. Pergusa, ad esempio, è famosa per i panuzzi m’paparinati (piccoli pani con semi di papavero sopra) e il pani di spagna abbattutu (pan di spagna), preparati in occasione della festa de U Signuruzzu du Lacu; e ancora, il maccu di fave (una minestra diffusa nella zona) e le guastedde, ditalini con favuzze e ricotta. All’interno della Riserva di Pergusa, a pochi metri dalla scintillante superficie del lago, il Ristorante Riviera (Tel. 0935541267) offre la possibilità di un menù completo al prezzo medio di 30 euro (si può anche soggiornare in camera singola da 65 euro; tripla da 105 euro, compresa prima colazione). Altrettanto appetitose le prelibatezze che si possono gustare presso il Ristorante Da Carlo (Tel. 0935541030) – a pochi passi dal mitico lago di Proserpina – con primi e secondi piatti arricchiti da contorni per i palati più esigenti, al prezzo medio di 28 euro. Patria del suino nero, delle provole, del pane di grano duro, delle paste di mandorle, dei buccellati, dell’olio extravergine d’oliva Valdemone Dop, della nocciola e di molti altri gioielli gastronomici, il paniere dei prodotti dei Nebrodi si potrà assaporare presso la Masseria Maggiore (C.da Stranghi Castel di Tusa Pettineo, Tel. 3805451891) – splendido baglio costruito da un ramo della famiglia Maggiore di S. Barbara nella seconda metà dell’800 – con un menù completo al prezzo medio di 35 euro (il complesso è anche una struttura ricettiva a quattro stelle, con suite dotate di ogni tipo di confort da 60 euro a persona, compresa prima colazione). Sarà possibile inoltre ritrovare gli antichi sapori isolani nel menù della Masseria S. Mamma (Via Nazionale Acquedolci, Tel. 3476792228) – che nel XVI secolo fu eremo di S. Benedetto il Moro – con un menù completo al prezzo medio di 35 euro (la struttura dispone anche di 10 camere tutte con bagno privato, per un totale di 30 posti, a partire da 50 euro a persona, compresa prima colazione). 100

In apertura, il lago di Pergusa visto dal colle di Cozzo Matrice (foto: Rosa Termine). Qui, in alto, i panuzzi

In alto, il lago di Pergusa con l’Etna sullo sfondo e, sotto, la festa do’ Signuruzzu du Lacu (foto: Rosa Termine)

di percorsi che si snodano all’interno della riserva del lago, è possibile visionare gli scavi che hanno portato alla luce quello che doveva essere il villaggio principale di questo luogo di culto,presso Cozzo Matrice: un abitato circondato da una cinta muraria e una necropoli di tombe a grotticella con corredi databili al VI-V a.C.Altre tracce sono state individuate anche nelle aree immediatamente limitrofe a questa,su Cozzo Jacopo,Monte Salerno e, a sud del lago, su Cozzo Signore, Cozzo Capitone e Monte Carangiaro.Ma le possibilità offerte da questo affascinante territorio, non finiscono qui. Tra gli itinerari da non perdere per chi si appresta alla visita del lago di Pergusa, infatti, vi è quello che parte da Villa Zagaria. Un tempo casina di caccia, la struttura risalente al XVIII secolo è oggi adibita a sede degli uffici della Riserva e del Centro di Educazione Ambientale con annesso laboratorio. Da ricordare che l’importanza naturalistica della Riserva è stata confermata dall’individuazione come Zona di Protezione Speciale (ZPS) e Sito di Importanza Comunitaria (SIC).


Piaceri

Secondo il mito, Ciclopi, Giganti e Titani sono stati i primi abitatori di questa terra e quindi i progenitori dei siciliani. E i laghi dell’isola hanno fatto da quinta scenica a molti episodi leggendari

La Sicilia trabocca di sagre, festività religiose, cortei, sfilate e rievocazioni storiche, quasi senza soluzione di continuità temporale e territoriale. Menzionare ciascuno di questi appuntamenti avrebbe il sapore di una sfida enciclopedica, tuttavia – e a titolo di esempio significativo per i territori dove insistono i laghi presi in esame – si può citare la Festa della Madonna della Visitazione, l’evento religioso più importante dell’ennese che si tiene il 2 luglio con il trasferimento dell’immagine della Madonna della Visitazione dal Duomo alla Chiesa di Montesalvo. Quest’anno, tra l’altro, ricorre il 600° anniversario della proclamazione di Maria SS della Visitazione quale patrona della città di Enna. Come souvenir, non fatevi mancare la statuina di Euno, lo schiavo Siriano che guidò la guerra di liberazione che scoppiò nella città di Enna nel 139 a.C. contro Roma in Sicilia. Euno si proclamò re con il nome di Antioco, riuscendo con la mobilitazione delle gente a impadronirsi per breve tempo di quasi l’intera isola. Per riposare godendo di una splendida vista sul lago di Pergusa, l’Hotel Riviera (Tel. 0935541267) propone camere singole a 65 euro, camere triple a 105 euro, prima colazione compresa. Per itinerari che contemplano soggiorni più economici, è possibile prendere in considerazione il B&B Villa Vetri

In alto: il pollo sultano (foto: Rosa Termine) e, sotto, il lago Biviere Cesarò nel Parco dei Nebrodi (foto: Michele Latteri)

Un’isola nell’isola: i laghi dei Nebrodi Spostiamoci all’interno del Parco dei Nebrodi, dove si trovano alcuni dei laghi d’alta quota più importanti della Sicilia. È il caso, per esempio, della zona compresa tra i comuni di Floresta, Tortorici e Maniace, dove il visitatore potrà ammirare alcuni splendidi specchi d’acqua, incastonati tra verdi pascoli o circondati da fitti boschi. L’itinerario nebroideo parte dalla Dorsale dei Nebrodi a Portella Mitta (Floresta), per arrivare al bivio del lago Pisciotto, visitato il quale si può farà base a Portella Dagara per proseguire a piedi verso lo splendido lago di Trearie. Da qui si raggiunge facilmente il lago Cartolari, ai piedi della bella faggeta di Piano di Palma. Ma i Nebrodi riservano nei loro meandri un altro gioiello: il Biviere di Cesarò. Situato a 1278 metri s.l.m. rappresenta la più importante zona umida montana della Sicilia; in esso è possibile imbattersi, ad esempio, in specie quali la testuggine palustre e la raganella verde.

(Tel. 0935511740) – poco distante dal lago – che propone per la camera singola 30 euro e per la camera doppia 55 euro, compresa prima colazione. Per quanto riguarda invece il territorio nebroideo, alla testa della sfilza di appuntamenti che lo attraversa, la Festa del Muzzuni – in calendario il 24 giugno ad Alcara li Fusi –, una delle più antiche d’Italia. Per risalire alle sue origini è necessario tornare indietro nel tempo, al periodo in cui alcuni sopravvissuti alla distruzione di Troia trovarono rifugio dove sorge attualmente il paese. La festa si svolge subito dopo il crepuscolo e fino alle prime ore del mattino, negli antichi quartieri dove le donne decorano, con ori e spighe, una brocca dalla testa mozzata, posta sopra un altarino sistemato tra le pizzare, tappeti colorati tessuti al telaio. Infine, chi volesse portare con sé un souvenir dei Nebrodi e più in generale della Sicilia, non può non passare da S. Stefano di Camastra, uno dei luoghi più famosi al mondo per la produzione di ceramiche artistiche. Per soggiornare, esistono nei pressi dei laghi “solo” strutture ricettive derivanti dalla riqualificazione di antichi edifici quali bagli, masserie, ville, etc. pur tuttavia trattandosi di strutture a 4 stelle. È il caso delle già citate Masseria Maggiore e Masseria S. Mamma, tra le più sontuose del comprensorio, vantando anche delle vere e proprie suite. È in particolare a partire da quest’ultima, che sorge tra querceti secolari popolati da animali selvatici, in uno scenario di eccezionale suggestione, che è possibile intraprendere diversi percorsi escursionistici, come quello che permette di raggiungere l’Abbazia di San Pancrazio (XII sec.) o quello, più impegnativo, che raggiunge il seicentesco Ponte dei Ninfi, sul torrente San Fratello, ove in alcuni periodi dell’anno è possibile fare il bagno.


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Sardegna

Alghero Ogliastra

Isola nell’isola, questa regione circondata dai monti e all’apparenza impenetrabile, riprende i caratteri di tutta la Sardegna, ma è a suo modo un mondo a parte. È un viaggio straniante quello che ci porta fino ad Alghero, tra monumenti naturali e misteriose vestigia, genti dalle mitiche origini e lingue mai sentite altrove testo e foto di Marco Scataglini

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Ogliastra, cuore selvaggio di Sardegna


“Occorre che il visitatore non si limiti a osservare le coste dove il blu del mare è un riflesso dell’azzurro del cielo, dove pinnacoli di roccia si gettano impetuosi nelle acque, ma rivolga l’attenzione verso le onde verdi dell’interno, alla ricerca di suggestioni ben diverse” Vista dall’alto, l’Ogliastra appare come un vasto e tormentato insieme di colline e roccia circondato da alte montagne, isolato, isolatissimo da tutto e da tutti: quando i pirati saraceni aggredivano le coste in cerca di bottino, qui forse nemmeno se ne accorgevano. Col tempo l’isolamento è diventato un modo di essere e di pensare, una qualità dell’anima, una categorie morale, e il fatto che oggi i pirati utilizzino la Borsa di New York per le loro incursioni, non ha certo modificato le cose. Gli abitanti dell’Ogliastra (il cui nome pare derivi dalla ricchezza di Olivastri, anche secolari, che vegetano un po’ ovunque, oppure da un alto sperone di roccia nei pressi del golfo di Orosei chiamato Aguglia, da cui Agugliastra) hanno conservato, secondo i ricercatori, lo stesso DNA dell’antico popolo degli Shardana, quelli, per intenderci, che prima edificarono le Domus de janas e poi i Nuraghe e le Tombe dei Giganti. Per scoprire una terra così, occorre necessariamente superare l’immagine stereotipata che ha della Sardegna il turista medio: che è quella di una sorta di immensa ciambella, un anello di coste con un buco nel mezzo. E pensare che invece

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Piaceri Le escursioni sono uno dei piaceri più intensi di cui si può godere in Sardegna. Il Monte Novo San Giovanni è raggiungibile partendo dalla caserma forestale Montes di Orgosolo (bivio segnalato dal paese): un sentiero conduce in circa mezz’ora sulla vetta, a 1316 metri di quota, da dove si gode uno dei panorami più belli e intatti dell’isola. Rimanendo nell’area del Gennargentu, ci si può fermare all’agriturismo S’Ozzastru (Dorgali, ss 125 al km 211,600 – Tel. 3389469965, www.agriturismosozzastru.com), con prezzi a partire da 35 euro per notte a persona. Altra proposta interessante è l’Hotel Miramare (Cala Gonone, Piazza Giardini, 12 – Tel. 0784 93140, www.htlmiramare. it), con prezzi a partire da 72 euro, prima colazione inclusa; fondato nel 1955 in una delle più belle località di mare della Sardegna, in posizione panoramica a pochi metri dalla spiaggia, offre camere con tutti i comfort, ma soprattutto uno strepitoso affaccio sul Golfo di Orosei. Nell’area di Alghero, da non perdere un’escursione a Capo Caccia. Difficilmente potrà capitarvi di effettuare una passeggiata altrettanto mozzafiato, con affacci vertiginosi su altissime e selvagge scogliere a picco su un mare blu profondo. Il sentiero parte dal parcheggio panoramico al termine della strada (sp 55) per Capo Caccia (circa un chilometro prima dell’ingresso alla Grotta del Nettuno, strada asfaltata a destra). Affacciandosi dalle rocce sovrastanti, si può ammirare una vista sensazionale sull’isola Foradada. Da qui un’esile traccia percorre la cresta e si getta tra la macchia, dirigendosi verso Torre della Pegna, a 271 metri sul livello del mare. Ci si deve allontanare dalla cresta solo per aggirare Punta Malrepos, che domina la stretta Cala d’Inferno, e proseguire poi parallelamente al mare. Diversi “omini” lasciati dagli altri escursionisti, aiutano non poco a trovare il percorso giusto.

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per i sardi era tutto l’opposto. Dal mare venivano solo problemi: invasori, pirati, malattie (le zanzare anofele se la spassavano nei numerosi stagni costieri). Popolo di pastori, ma anche di contadini, mica di marinai. Gente abituata a stare mesi in mezzo alle montagne, seguendo il gregge delle pecore e lavorando il latte per ottenere “l’oro bianco” della Sardegna, il formaggio pecorino. Occorre dunque fare in modo, dicevo, che il visitatore non si limiti a osservare le selvagge coste dove il blu del mare è un riflesso glorificato dell’azzurro del cielo, dove pinnacoli di pura roccia si gettano impetuosi nelle acque che ribollono nell’accoglierli, ma magari punti la prua della propria attenzione

verso le onde verdi dell’interno, alla ricerca di suggestioni ben diverse, non disgiunte dalle prime – che pure hanno la loro rilevanza – ma più strettamente connesse con quella che è l’autentica cultura della Sardegna.

Sulle tracce di antichi popoli La Tomba dei Giganti di Triei è un buon inizio. Ma poi si rischia la sindrome di Stendhal col Nuraghe Serbissi a Osini, inserito in un contesto paesaggistico davvero suggestivo. E che dire della tomba dei giganti di Pradu Su Chiai a Villagrande Strisaili? Centinaia di siti di grande fascino punteggiano tutto il territorio e meriterebbero ben altro spazio di quello a mia disposizione. Però uno

In apertura, la torre San Giovanni di Serrala a Tertenia. In questa pagina la Chiesa sull’altipiano del Golgo e, sotto, la deliziosa cittadina di Bosa, vicino ad Alghero


Cibo&territorio

In alto: la Torre spagnola che si erge su una piccola propaggine granitica protesa verso il mare presso Barisardo. Sotto: le Grotte Su Marmuri tra le più belle e imponenti d’Europa

dei piaceri di questo tipo di turismo consiste proprio nel lasciarsi guidare un po’ dal caso, dando retta ai cartelli che indicano mete dai nomi impronunciabili. E poi c’è la Natura, il cui simbolo più potente è il Monte Perda ‘E Liana, un pinnacolo di roccia giurassica scalpellato dal vento e dalle stagioni nella forma esatta per giustificare il nome con cui sono note questo tipo di formazioni geologiche: tacchi. E poi ci sono le grotte, come quelle spettacolari di Su Marmuri, utero monumentale e profondo di questa terra, costellato di fantasmagorici monoliti, frutto del rapporto tra la roccia e l’acqua, e che oggi attirano migliaia di turisti in cerca di emozioni d’altri tempi, quando per questi oscuri antri si scendeva sino agli inferi. L’Ogliastra, che è un’isola nell’isola, riprende i caratteri di tutta la Sardegna, ma è a suo modo un mondo a parte. Arida, solare, spinosa, verde di quel verde glauco che inganna i sensi (sembrano boschi e sono invece muri, muri vegetali d’accordo, ma sempre impenetrabili). E dura. Non dura come il granito, che quella è roccia per i ricchi, buona per edificarci sopra le villette o costruire i caminetti per i tiepidi inver-

Quasi ovunque, nei ristoranti, si possono gustare gli gnocchetti sardi, le sapide zuppe con porcini (nonostante si pensi il contrario, la Sardegna è ricca di boschi) e soprattutto i famosi arrosti sardi, con l’immancabile porceddu. In Ogliastra vanno degustati i classici culurgiones, sorta di ravioli ripieni di patate e in genere arricchiti con foglie di menta. Un’autentica prelibatezza. Tra i dolci, segnalo che la tradizione locale evita i sapori troppo zuccherosi e ipercalorici, in favore di gusti più soft, con magari l’utilizzo del formaggio, come nelle seadas, dolce da portare sempre con sé nelle escursioni (sostituisce anche un pranzo, credetemi!). Tonara, un paese dell’interno, è poi famoso per il torrone, realizzato con il miele locale e insaporito con noci o nocciole. Da notare che non è prodotto solo a Natale, ma tutto l’anno (per fortuna)! Nelle località di mare come Alghero si può degustare la bottarga, una sorta di “caviale” fatto con le uova di muggine. E per digerire, cosa c’è di meglio di un buon liquore al mirto? Senza volervi togliere il piacere di scoprire i ristorantini o, ancora meglio, le piccole trattorie di paese che sorgono tra i vicoli dei borghi, vi segnalo un paio di indirizzi che possono costituire un buon punto di inizio. A Santa Maria Navarrese, nota per i suoi olivastri millenari e come base di partenza per gite in barca nel golfo di Orosei, si trova il caratteristico ristorante Il Pozzo (Via Plammas, 49 – Tel. 0782615039) che offre anche menù di pesce con prezzi a partire da 30 euro). Per rifocillarsi dopo aver passeggiato tra gli spettacolari “tacchi” e le gole che costellano il territorio di Ussassai (raggiungibili anche con il tradizionale “trenino verde” a scartamento ridotto), ci si può fermare al ristorante Su Ponti ‘e Irtzioni (località Niala – Tel. 078255721). È chiuso il martedì ed è bene prenotare. Prezzi a partire da 28 euro.

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Folclore

Secondo la leggenda, dopo aver creato tutte le terre emerse, Dio si accorse che gli avanzavano ancora un po’ di meraviglie naturali; così decise di collocarle in mezzo al mare più limpido e lucente e per dar loro una forma vi premette su col suo sandalo. Ecco come è nata la Sardegna. Una terra che alle sue tradizioni ci tiene moltissimo, come dimostrano non solo i molti musei a esse dedicati, ma anche le sagre e le feste che in ogni periodo dell’anno rinnovano il patto tra i sardi e le proprie radici culturali. Il ballo tondo, il canto a tenore, l’uso delle Launeddas, sorta di zampogne senza sacco, ma anche la recitazione a braccio o le rappresentazioni (il più delle volte a contenuto sacro, ma anche profano con il ricorso a caratteristiche maschere apotropaiche)… e sono ancora molteplici gli esempi che si potrebbero fare. Ad Alghero, però, c’è qualcosa di più: la lingua. Per conservarla esiste anche una scuola, la Escola de Alguerès, dedicata alla memoria del grande scrittore e linguista di Alghero Pascual Scanu.

In alto, le splendide mura di Alghero, dove passeggiare al tramonto. Qui a destra uno dei murales che hanno reso celebre il borgo di Orgosolo e che ne colorano le strade

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ni. No, qui è calda roccia vulcanica dal colore del sole o calcare proletario, roccia mutabile, candida come gesso, ruvida, spugnosa, molto più scontrosa ma anche cedevole agli effetti congiunti del sole, del vento, dell’acqua… Una roccia così può anche apparirti viva, in certi momenti. Per gli abitanti dell’Ogliastra ha significato lotta quotidiana per la sopravvivenza in una terra difficile, ma anche generosa. È una roccia che difende, alla quale si finisce per somigliare.

Alghero: così lontana, così vicina E a proposito di “isole nell’isola”, non si può non citare un’altra meta che il viaggiatore interessato a scoprire la Sardegna più autentica deve mettere nel proprio Road Book. Si tratta forse della cittadina più bella della Sardegna (insieme alla non lontana Bosa), edificata sul mare, dal quale la separano massicce mura completamente restaurate: Alghero conserva

intatta l’atmosfera un po’ “straniera” che l’ha sempre caratterizzata, trattandosi di una colonia catalana. Nella seconda metà del XIV secolo la città venne infatti abitata da popolazioni provenienti dalla Spagna, e da allora la lingua ufficiale (sebbene oggi sempre meno utilizzata) è stato il catalano. Anche l’atmosfera che si respira nei vicoli, con quelle architetture così esotiche, con le targhe bilingui delle strade, contribuisce ad aumentare il fascino di essere contemporaneamente in due posti (Italia e Spagna), e anzi in due epoche diverse, perché il catalano diAlghero è quello antico. La cittadina va sicuramente scoperta anche per gli interessantissimi dintorni. Oltre alla necropoli di Anghelo Ruiu (sulla strada Alghero-Porto Torres, presso lo svincolo per l’aeroporto di Fertilia), e al Nuraghe Palmavera, vale la pena di scoprire l’indimenticabile costa settentrionale, con i suoi grifoni, le sue grotte marine e le sue scogliere.



Con l’impianto a carico immediato masticazione senza indugi I recenti progressi dell’implantologia garantiscono tempi ridotti e risultati estetici oltre che funzionali I pazienti ai quali è possibile inserire impianti a carico immediato sono i portatori di protesi totale completa e i soggetti affetti da piorrea con i denti compromessi e mobili. L’implantologia, nella sua forma più evoluta ed efficace, prevede l’inserimento degli impianti dentali con un’attesa variabile nel tempo dai tre ai quattro mesi, prima di procedere all’applicazione del carico masticatorio definitivo e duraturo. Ti tratta dei tempi biologici necessari per ottenere l’osteointegrazione degli impianti (viti) in titanio, cioè la loro perfetta saldatura biologica all’osso. Con il carico immediato si soddisfa

senza attese il principale obiettivo del paziente: avere i denti subito, che siano funzionali e che presentino un bell’aspetto naturale. Tutto questo si ottiene grazie alle nuove tecniche chirurgiche, all’esperienza di chi opera e ai materiali utilizzati che devono essere di alta qualità e biocompatibili. Non va poi dimenticato il risparmio di tempo grazie al ridotto numero di sedute. Studi recenti hanno dimostrato che anche con la protesizzazione immediata si ottiene l’osteointegrazione che è il fenomeno biologico chiave per conseguire un’implantologia orale di successo. La condizione necessaria per la predicibilità della tecnica è la stabilità primaria degli impianti al momento dell’inserimento. I candidati al carico immediato sono i portatori di protesi totale completa, che viene sostituita da una protesi fissa nell’arco di una giornata. I vantaggi son tanti anche sotto il profilo psicologico del paziente. Altri candidati sono i soggetti affetti da piorrea con i denti gravemente compromessi e mobili. In questi casi si esegue l’estrazione degli elementi

dentali e il contestuale inserimento degli impianti. Nello stesso giorno si consegna la protesi fissa con un doppio risparmio di tempo e con disagi relazionali ridotti ad un solo giorno. I pazienti candidati a ricevere gli impianti a carico immediato vengono selezionati con adeguate procedure diagnostiche, sia strumentali sia cliniche, al fine di ottimizzare la percentuale di successo. Questa fase diagnostica consente al clinico di operare con la massima sicurezza nel rispetto delle strutture anatomiche sensibili, come il nervo alveolare nella mandibola e il seno mascellare nell’arcata superiore. Costituisce controindicazione la presenza di malattie sistemiche non compensate rilevate da un’accurata anamnesi. Per l’intervento il paziente viene preparato con sedativi per vincere l’ansia e con un adeguato dosaggio di anestetico che permette di controllare il dolore intraoperatorio, mentre gli antidolorifici comuni lo aiutano a sopportare il dolore postchirurgico. Dopo qualche mese, quando il processo di osteointegrazione e di guarigione si è realizzato,

RX panoramica con impianti osteointegrati si procede alla finalizzazione con protesi definitiva, che è in ceramica, con forma, volume e colore dei denti esteticamente eccellenti. Tutti i denti sono avvitati in modo da poter revisionare la protesi ed eseguire reinterventi protesici, quando fossero necessari, senza dover compromettere tutto il manufatto. La terapia di mantenimento sia domiciliare, con l’attento controllo della placca con mezzi e modi adeguati, sia professionale con sedute periodiche di igiene orale effettuate nello Studio, garantisce la durata nel tempo della ricostruzione.


Piaceri 110

I piaceri di Bacco Prié Blanc, il vitigno “eroico” che nasce ai piedi del Monte Bianco

da pag. 112

Rubriche

• Il buono a tavola • Benessere • Camera con vista • Trendy • Shopping • Libri • Arte

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di Roberto Rabachino

ipiaceridiBacco

Giornalista e Presidente IWTO International Wine Tasters Organization

Prié Blanc, il vitigno che viene dal freddo Dai piedi del Monte Bianco, terra aspra e piena di contrasti, una varietà autoctona capace di resistere alle intemperie e regalarci bollicine dai profumi delicati che, abbinate a una fetta di lardo, creano indimenticabili mariages

Il Prié Blanc è coltivato nei comuni di Morgex e la Salle, fino a 1.000 m di quota

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La Valle d’Aosta è terra di contrasti e neppure i vitigni della regione si sottraggono alla regola. Nel solco vallivo della Dora Baltea, la coltura della vite è segnalata in tempi remoti e il territorio vitivinicolo valdostano è piuttosto ricco e variegato, per essere una regione che produce vini di montagna. La coltivazione della vite in Val d’Aosta è stata introdotta probabilmente già in epoca romana. Nel medioevo le colture erano ampiamente diffuse e già si esportavano vini al di là delle Alpi, nel Vallese e in Savoia. L’esposizione soleggiata del versante settentrionale della valle centrale, unito al clima arido della regione, rendono varie zone della Valle assolutamente vocate alla produzione

viticola. Qui il territorio è profondamente segnato dalla presenza di terrazzamenti ricavati con muretti a secco, costruiti con il paziente e duro lavoro di generazioni di vignerons. La produzione è limitata, frutto di una viticoltura spesso “eroica”, dove l’impiego delle tecnologie è limitato dalla conformazione del territorio. La qualità dei vini tuttavia è elevata e dalle caratteristiche molto particolari. Grazie al contributo dei servizi tecnici regionali e alla realizzazione di alcune cooperative, negli ultimi decenni si è assistito a un costante incremento qualitativo e quantitativo delle produzioni, che hanno ottenuto numerosi riconoscimenti in campo nazionale e internazionale. Tra i vitigni più caratteristici si inse-


risce il Prié Blanc, coltivato nei comuni di Morgex e la Salle, ai piedi del Monte Bianco, fino a 1.000 m di quota. Con questa uva, coltivata su piede franco, si producono vini fermi, alcune vendemmie tardive, icewine ed eccellenti spumanti, sia con metodo classico che con metodo charmat. Le origini, come abbiamo detto, sono molto antiche. L’ipotesi più attendibile propende a considerare questo vitigno come autoctono, selezionato cioè, attraverso i secoli, dagli antichi abitanti della Valdigne per le particolari caratteristiche di adattamento alle condizioni climatiche. La sua prerogativa è di compiere l’intero ciclo vegetativo in un periodo di tempo molto breve, grazie al germogliamento tardivo e a una precoce maturazione; è allevato su pergole basse per evitare i danni del vento, ma soprattutto per sfruttare, durante le fredde nottate, il calore che il terreno ha accumulato di giorno. La moltiplicazione avviene ancora oggi con il sistema delle propaggini o con delle barbatelle, franche di piede, non essendo necessario l’innesto su vite americana. A queste altitudini, la fillossera non ha potuto resistere ai freddi invernali che rendono poco temibili tutte le malattie crittogame, limitando così l’uso dei trattamenti antiparassitari. Un vitigno di questo tipo quali sensazioni organolettiche può offrire? Proviamo a descriverle. Il grado alcolico di un vino prodotto con il Prié Blanc non è mai molto elevato. L’acidità è sempre decisamente spiccata, i profumi molto delicati di tipo erbaceo e fruttato appena maturo con una caratteristica nota di erbe di montagna e nette sensazioni minerali che vi invito a ricercare. Gli spumanti presentano note di crosta di pane, mela verde, fiori di rododendro e una vena agrumata. Per la vendemmia tardiva, l’alcolicità è più accentuata e nette sono le percezioni di miele e albicocca.

La produzione di Prié Blanc è frutto di una viticoltura spesso “eroica”, dove l’impiego delle tecnologie è limitato dalla conformazione del territorio

Concludiamo col suggerirvi un abbinamento, a mio avviso, perfetto. Preparate una fetta sottile del valdostano lardo di Arnad su un crostino di pane caldo (magari scuro, di segale). Il calore diluisce delicatamente la consistenza e riduce l’effetto di pastosità che generalmente ogni lardo produce in bocca. Provate ad abbinargli uno spumante ottenuto con questo vitigno. L’azione piacevolmente detergente delle bollicine e il suo leggero sentore di fieno di montagna ben si accorderà, creando un mariage indimenticabile. In alternativa un tagliere di lardo, mocetta e salumi della Valle d’Aosta con un delicato miele abbinati a un Blanc de Morgex et de La Salle Doc servito in calice ampio e alto alla temperatura di 10 gradi.

Valle d’Aosta

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Il buono a tavola

di Antonio Romeo - romeo_1961@libero.it

Una cucina ad alta quota Filano, fondono, s’inzuppano. Profumano di montagna e di Francia. Sono le specialità tipiche della Valle d’Aosta, perfette per fare il pieno di energia dopo una lunga passeggiata alpina

In uno scenario fiabesco tra castelli e antichi santuari, incastonata tra i monti più alti d’Italia c’è la regione più piccola dello stivale. La Valle d’Aosta. Una delle mete turistiche più ambite, amata da sciatori, escursionisti e semplici appassionati della bellezza e della quiete che fanno decantare i pensieri e rasserenano la mente. La gastronomia della regione è rimasta tradizionalmente fedele ai prodotti del territorio così che oggi possiamo raccontare attraverso la sua cucina l’identità del suo popolo. La posizione sul confine tra Italia e Francia ha influenzato molto il profilo culturale della regione e ha dato vita a un ricettario dove la tradizione della montagna si sposa alle influenze d’oltralpe senza tradirne l’essenza. L’elemento

Zuppa alla Valpelleunentze

Polenta Pasticciata

Fonduta valdostana

Ingredienti: 500 gr di pane di grano 500 gr di fontina valdostana 50 gr di burro 1 verza di media grandezza Per il brodo: carne di manzo, porri, cipolla, aglio, carote, sedano sale, cannella, noce moscata, 2 litri di acqua

Ingredienti: 750 gr di polenta fredda 250 gr di toma 50 gr di burro

Ingredienti per 4 persone: 500 gr di fontina valdostana 1 litro di latte 80 gr di burro 4 tuorli d’uovo sale, pepe pane tostato

Procedimento: Preparare il brodo. Lasciar scolare la verza dopo averla lessata. Ungere una pentola (di terracotta) e predisporre strati come segue: il primo di pane tagliato a fette, poi uno di foglie di verza e uno di fontina. Si prosegue fino ad aver terminato gli ingredienti. L’ultimo strato deve essere di pane, a cui vanno aggiunti dei fiocchi di burro. Si cuoce a forno caldo (200°C) per almeno 30 minuti.

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Procedimento: Tagliare la polenta a fette (spesse un dito) e disporle in una teglia di terracotta precedentemente imburrata. Tagliare a fette sottili il formaggio, formare strati alternati e, come ultimo strato, disporre la polenta con qualche fiocco di burro che la renda più morbida. Inserire a forno caldo (200°C) per circa 20 minuti, fino a quando si sarà formata una bella crosta dorata.

Procedimento: Tagliare la fontina a pezzetti e lasciarla macerare nel latte per almeno 5 ore. Sistemare il composto nell’apposito tegame (meglio se di rame) e cuocere a fuoco lento, aggiungendo il burro e le uova (solo i rossi), e mescolare lentamente. Salare e pepare. Servire con del pane tostato.


Il lardo di Arnad: menzione d’onore che caratterizza maggiormente la gastronomia valdostana è l’abbondanza di piatti brodosi, tra cui spicca la zuppa ucca, preparata con orzo, costine di maiale e pane nero; o piatti unici come la zuppa alla Valpelleunentze, preparata con pane nero, brodo di carne, verza e fontina, e ancora zuppe di cavolo e mele oppure con la cipolla. Le zuppe con le verdure e il pane raffermo connotano una tradizione originariamente povera cui, nel corso del tempo, si sono aggiunti ingredienti cosiddetti ricchi quali il formaggio e la carne. Nella cucina valdostana mancano i piatti asciutti e le paste, a parte gli gnocchi alla bava, conditi con la fontina, e i risotti alla fonduta di fontina. La presenza di castagne, ha portato alla produzione di farine che, miscelate a quelle di grano, si usano per preparare alcune paste, come le fettuccine di castagne condite con verza e costine di maiale. Come condimento troneggia il burro, ma il più significativo fra i prodotti alimentari è proprio la fontina, che troviamo in diverse preparazioni nonché alla base della fonduta valdostana, che differisce dalle altre perché la crema è arricchita con tuorli d’uovo. La polenta è un altro piatto insostituibile: morbida e calda, accoglie l’inverno e quasi lo ammorbidisce, lo rende cremoso come il burro e, ovviamente, la fontina con cui viene condita. Il clima ha favorito lo svilupparsi delle arti di conservazione delle carni, quali la salatura e l’affumicatura. Si possono quindi gustare alimenti antichissimi come la mocetta, fatta con polpa di camoscio o di capra, che si serve tagliata a fette come antipasto, accompagnata da fette di pane integrale imburrato, e il famoso lardo d’Arnad, conosciuto fin dal XVI, unico lardo europeo a denominazione di origine protetta. La sua particolarità sta nell’alimentazione dei maiali impiegati che esclude mangimi integrati, e nel fatto che venga profumato con spezie reperibili sul territorio. Un

altro piatto molto diffuso è la carbonade, il tipico ragù di carne salata addolcita nella cottura da tanta cipolla e vino rosso. Molto usata poi la carne di cacciagione, come quella di capriolo e di camoscio, che si prepara sempre in salsa civet, cioè marinata nel vino con verdure e a volte con uno spruzzo di grappa. La mela infine è il frutto più diffuso della Valle d’Aosta, in particolare la renetta, molto usata in cucina per via del suo sapore acidulo. Anche la viticoltura è antica ed è frutto, visto la natura impervia del territorio, della sapienza e della fatica dell’uomo. Si distinguono qui vini come il Priè Blanc, unico vitigno autoctono a bacca bianca, vini Doc come l’Enfer d’Arvier e il Torrette, o il gioiello dell’enologia valdostana fin dal XV secolo, ovvero il Moscato dei signori,e ancora il Muller Thurgau e tanti altri. E poi un’infinità di grappe, spumanti, passiti. E il gènèpy, il liquore tipico della tradizione valdostana fatto con 200 specie di piante raccolte ed essiccate tradizionalmente in locali arieggiati.

Camoscio in civet

Carbonade

Ingredienti: 1 kg di carne di camoscio 300 gr di patate 200 gr di carote 200 gr di cipolle 2 bicchieri di vino rosso sale, aromi 1 dl di panna 1 dl di latte

Ingredienti: 800 gr di carne magra tenera (manzo o noce di vitellone) 2 spicchi d’aglio 3 pugni sale grosso 50 gr di burro

Procedimento: Far cuocere la carne in padella affinché il grasso rimanga sul fondo. Poi tagliare in pezzetti e riporli in una pentola insieme con il vino e le verdure, aggiungendo sale e aromi, lasciando marinare il composto per un paio di giorni. Al termine della marinatura, lasciar cuocere il tutto per almeno 2 ore: a metà cottura aggiungere il latte e la panna in sostituzione del vino, che nel frattempo è evaporato. A cottura ultimata, schiacciare le verdure fino a ottenere una salsa omogenea e densa.

Si ottiene dal lardo di spalla di maiale (animale del peso di almeno 160 kg e d’età non inferiore ai 9 mesi) la cui carne deve essere rosata e senza macchie; il peso è variabile dai 3 ai 4 Kg, la forma è a trancio quadrangolare. Dai tempi più antichi e fino alle più recenti disposizioni di tipo igienico, il lardo veniva conservato e stagionato nei doils, forme di legno di castagno con particolari incastri che non facevano fuoriuscire la salamoia; oggi i recipienti per questo uso sono di vetro. La preparazione prevede la rifilatura del lardo che, privato della cotenna, è posto nel recipiente di vetro a strati alternati con sale e acqua (precedentemente fatta bollire con sale e aromi quali pepe, rosmarino, alloro, salvia, chiodi di garofano, cannella, ginepro, noce moscata, achillea). Il recipiente viene chiuso, quindi, con un coperchio su cui è posto un peso; inizia così la stagionatura che si protrae fino a un anno: per una conservazione prolungata il lardo viene posto, coperto di vino bianco, in vasi a chiusura ermetica. Si consuma affettato sottilmente, posto su fette di polenta abbrustolite e calde, in modo che, sciogliendosi, il salume sprigioni il suo aroma dolce e delicatamente aromatico, oppure in una preparazione tipica, il bocon du diable, su una fetta di pane di segale, abbrustolito in teglia con aglio e spalmata di miele (alternativamente alla mocetta di camoscio). Il lardo di Arnad è stato insignito del marchio di Dop della Comunità Europea.

Per la salsa: 30 gr di burro 1 bicchiere vino (bianco o rosso) noce moscata, salvia, chiodi garofano sale, pepe, farina Procedimento: Far bollire la carne, aromatizzarla con l’aglio e ricoprirla con sale grosso (un paio di pugni), quindi lasciarla sotto sale per qualche giorno. Dopo 4 o 5 giorni il pezzo di carne va ripulito dal sale e tagliato in piccoli pezzetti (dadini). A parte, preparare la salsa: fare un soffritto di burro e cipolla, aggiungendo un po’ alla volta il vino, il sale e le spezie. Da ultimo va aggiunta un po’ di farina per rendere la salsa più solida. In una padella soffriggere la carne con il burro e poi unire la salsa, mescolando il tutto. Accompagnare con la polenta.

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benessere

di Francesca Frediani

Buoni (non solo) da mangiare Tutte le virtù della frutta nei prodotti indispensabili per la protezione del viso, del corpo e dei capelli durante l’esposizione al sole. Non solo come difesa dai raggi UV, ma anche per un piacevole effetto aromaterapico

Carote al sesamo Pelle squisita Huile Divine di Caudalie. Estratti dai vinaccioli d’uva, i polifenoli brevettati Caudalie sono presenti in ogni prodotto della marca. Sono eccezionali antiossidanti naturali e grandi protettori dell’acido ialuronico naturale. Completano la formula di questo olio secco (adatto per corpo, viso e capelli), l’olio d’uva e l’olio di sesamo uniti all’olio di argan e di ibisco. La pelle è riparata, ammorbidita. Si può usare anche nell’acqua del bagno. Il suo profumo a base di rosa, pompelmo, cedro, vaniglia e pepe rosa, è conturbante; 100 ml, 24 euro. www.caudalie.com

Colore tropicale Olio Corpo Abbronzante SPF 20 di Vagheggi. Contiene Olio di carota e burro di Murumuru biologico proveniente dalla Foresta Amazzonica. Ricchissimo di vitamina A, stimola la produzione di melanina, donando un’abbronzatura ultra-rapida. Uno speciale complesso vegetale ha un effetto riducente e modellante. La vitamina E ha un effetto antiossidante e protettivo, previene l’invecchiamento cutaneo. Contiene inoltre filtri UVB antieritema e filtri UVA per la prevenzione del Photoageing, è dermatologicamente testato, senza conservanti, alcohol-free. Per corpo e capelli; 200 ml, 27,50 euro. www.vagheggi.com

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Crema Solare alla Carota, al Sesamo & al Karité SPF 30. Per pelli ultrasensibili, indicata per condizioni di sole intenso e per le prime esposizioni. È consigliata anche per la pelle dei bimbi, ideale per il viso e per il seno, ottima per tutto il corpo. Il beta-carotene, contenuto in alta percentuale nelle carote, dona alla pelle una calda tonalità ambrata, l’olio di sesamo svolge un’azione emolliente e nutriente, il Gamma Orizanolo (derivato dall’olio di crusca di riso) svolge un’azione filtrante verso il raggi UVA; 125 ml, 15,50 euro. www.erbolario.com

Delizie medicee

Un tesoro di mela Da quella d’oro donata ad Afrodite, la mela porta con sé il maggior numero di significati simbolici e immagini mitiche, ed è un tesoro di vitamina C e B, di calcio prezioso per le ossa, di potassio per rassodare i tessuti e di zinco per la struttura cellulare. È il frutto altoatesino per eccellenza e nel centro Spa & Vital delle Terme di Merano non potevano mancare trattamenti che la impiegano come base, come il Giardino dei meli (peeling con schiuma di sapone alla mela, impacchi corpo con cellule staminali alla mela, massaggio al viso alla mela, maschera finale – ingresso di due ore alle Terme, 112 euro). www.termemerano.it

Sui dolci pendii delle verdeggianti colline di Fiesole, nella superba villa rinascimentale sede dell’Hotel Il Salviatino, l’esclusiva Spa offre trattamenti che si avvalgono dei prodotti del Dr Vranjes, perfetto connubio di tecniche all’avanguardia e ricerca nella tradizione: scrub a base di gelatina al mosto di vino rosso, impacchi caldi idratanti con olio di oliva, massaggi con mousse di burro naturale, aromatizzati con essenze a base di spezie, fiori di gelsomino note di menta o agrumi mediterranei. Pacchetto relax con vista su Firenze, 2 notti per due persone: 1.260 euro. www.salviatino.com


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camera con vista

di Gilda Ciaruffoli

Remise en forme

dal profumo mediterraneo Kalidria Thalasso Spa Resort: un’oasi di bellezza e benessere immersa nella natura, affacciata sulle acque cristalline del litorale pugliese. Membro della prestigiosa collezione internazionale MGallery

Immerso in un contesto naturalistico unico della Puglia jonica, affacciato sulle acque cristalline del litorale pugliese, si trova il Kalidria Thalasso Spa Resort, gioiello del prestigioso network MGallery, un’esclusiva collezione internazionale di hotel d’alta gamma dalla spiccata individualità, in grado di offrire al cliente un’esperienza di soggiorno autentica e indimenticabile. Il Resort, incorniciato da un lato da un mare dalle mille sfumature turchesi e dalla sabbia impalpabile di 5 km di spiaggia esclusiva, e dall’altro dalla macchia mediterranea impreziosita dai pini d’Aleppo della riserva biogenetica di Stornara, rappresenta la destinazione ideale per una vacanza da sogno immersi nella natura, nel benessere e nella bellezza. L’Hotel, sofisticato e raffinato, è caratterizzato da un design d’interni contemporaneo e da una bioarchitettura all’avanguardia, che incastona le camere in una

parete giardino, a mo’ di anfiteatro, da cui si gode una splendida vista rilassante sulla pineta e sui laghetti di acqua di mare. Centodieci le eleganti camere, suddivise in Standard, Superior e Suite, tutte con terrazzino privato attrezzato, dotate dei più moderni comfort di ospitalità. Tre ampie sale Meeting, una delle quali con una capienza massima fino a 600 persone, dotate di moderne attrezzature (inclusa una cabina di regia) per incontrare tutte le esigenze Mice & Incentive. Una ristorazione d’eccellenza, con due ristoranti – Ben…è, quello principale, con una capienza fino a 300 persone, e Mediterraneo, situato a bordo mare – che celebrano i profumi e i sapori dell’autentica cucina pugliese reinterpretando ricette e metodi culinari, mescolando gusto e salute: la ricchezza dei prodotti regionali dal sapore unico e la sapiente creatività dello staff del Kalidria sapranno deliziare anche i palati più esigenti! E per vivere fino in fondo il sogno di una vacanza per rigenerare corpo e spirito in un’indimenticabile esperienza sinestetica, il Kalidria vi attende nella sua raffinata Thalasso Spa: un’oasi di più di 3500 metri quadri e le migliori expertise del settore dedicati alla vostra remise en forme, in un percorso attrezzato con piscina di acqua di mare riscaldata interna ed esterna, cabine per l’idromassaggio e la cromoterapia, sauna, bagno turco, area relax, centro fitness.

Kalidria Thalasso Spa Resort - Località Principessa, S.S. 106 km 466.600 - Castellaneta Marina (Ta) - Tel. 0998201001 - www.mgallery.com 116


Italian tradition since 1681

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camera con vista

di Gilda Ciaruffoli

Relax di lusso tra ulivi centenari Elegante ed esclusiva, situata sulla sponda occidentale del Lago di Garda, la Tenuta Le Selve è abbracciata dal verde dell’uliveto che le si stende tutt’attorno. Qui, una prestigiosa Villa è a disposizione di quanti desiderino trascorrervi momenti di assoluta tranquillità È stata progettata negli anni Venti dall’architetto Giancarlo Maroni, noto principalmente come progettista del Vittoriale degli Italiani – la residenza del poeta e letterato Gabriele D’Annunzio – la prestigiosa Villa che rappresenta il nucleo centrale della Tenuta Le Selve di Gaino, frazione del comune di Toscolano Maderno, in provincia di Brescia. Ristrutturata nel 2008, la Villa mette a disposizione degli ospiti della tenuta tre suite matrimoniali che si compongono di ampie camere dotate di tutti i comfort, curate e personalizzate nel dettaglio: i marmi del bagno, le decorazioni in legno, i tessuti pregiati delle lenzuola e delle spugne, le sfumature tenui e gli arredi di stile sono stati scelti e abbinati con cura per esaltarne gli ambienti. Come ogni dimora confortevole, la Villa è inoltre dotata di un

ampio soggiorno, sala da pranzo e cucina. Queste si trovano all’interno dell’elemento che meglio caratterizza lo stile elegante e ricercato dell’edificio: un conservatory in ferro e vetro orientato verso il lago che, attraverso le sue superfici trasparenti, permette non solo alla luce, ma anche ai colori intensi della natura di fondersi all’interno e regalare un’atmosfera unica. Per coccolare i propri ospiti la Villa è dotata inoltre di uno spazio wellness con vista sul giardino e sul lago. Qui si trovano una grande vasca idromassaggio in cui immergersi per un bagno rivitalizzante o una sauna finlandese; senza dimenticare infine la piscina all’aperto, dove farsi incantare da un panorama unico, tra aiuole con essenze e fioriture profumate, abbandonati in un’acqua limpida che sembra fondersi con l’azzurro del lago.

Tenuta Le Selve Via M.E. Bossi, 67 - Salò (Bs) - www.tenutaleselve.com 118

Passeggiando nel verde La Tenuta Le Selve è circondata da uno splendido pianoro che ospita mille ulivi e che, per le sue dimensioni, è un caso unico in quest’area del Garda. La sua collocazione geografica e i venti favorevoli che soffiano dal Monte Pizzoccolo, creano infatti le condizioni climatiche ideali per la produzione di olio; le escursioni termiche contribuiscono inoltre a rafforzare lo stato di salute delle piante e favoriscono risultati eccellenti dal punto di vista organolettico. I 1000 ulivi centenari producono un olio d’oliva extra-vergine certificato Dop (cultivar Casaliva, Leccino, Pendolino e Gargnà, pianta autoctona rara e di difficile coltivazione), dalla personalità garbatamente fruttata, arricchita da una caratteristica nota di mandorla, lievemente erbacea, con una leggera punta piccante. È particolarmente equilibrato e unico nel panorama degli oli italiani, e si colloca tra i migliori prodotti nazionali. Perfetto per preparazioni di pesce lacustre, ha un carattere gentile, ed è ideale per accompagnare piatti dal sapore delicato. Gli ospiti della Villa, oltre ad assaporare il gusto intenso e le note olfattive di quest’olio pregiato, possono apprezzarne i profumi e le sfumature argentate della coltivazione durante le loro tranquille passeggiate attraverso la Tenuta.


Azienda Vitivinicola Nasini Località Collecchio 58051 Magliano di Toscana (Gr) Tel. +39 3472910551 info@vinolafornace.com www.vinolafornace.com Ufficio Marketing INMEDIA 10, av. de Thonex, Chene-Bourg 1225 Genève (CH) info@inmedia-adv.it


trendy

di Giemme

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Il fattore bikini Il ricordo di estati passate, di vecchi amori, delle spiagge dell’infanzia. Ma anche le aspettative per una stagione calda da vivere intensamente. Quante emozioni in pochi centimetri di stoffa! Il costume da bagno è un’icona, da scegliere con cura Finalmente il sole. Resisterà? Sarà una bella estate? Fresca, calda, afosa, luminosa? Certamente avremo, in ogni caso, la possibilità di indossare dei costumi da bagno. Che si vada al mare, al lago, sui fiumi o in bellissime piscine, non rinunceremo a sfoggiare il nostro nuovo modello. Diciamoci la verità. Ognuno di noi possiede più di un costume da bagno e ognuno di noi ne conserva di vecchi pur sapendo perfettamente che non li indosserà più. Ma il fatto di averli, in fondo a qualche cassetto, ci rassicura e ci tutela perché in questo modo riusciamo a rivivere anche i ricordi che ci legano al periodo in cui li indossavamo. Un amore passato, un periodo felice, una vacanza bollente… Ma quest’anno? Sicuramente andremo alla ricerca di qualche nuovo modello cercando tra i colori più attuali. E difficilmente lo indosseremo. Poi inevitabilmente cadremo in un modello e in un colore rassicuranti. I nostri preferiti. E li porteremo per tutta l’estate. Ma ci basterà un costume da bagno? No! Magliette, occhiali da sole, pantaloncini, accessori. Tutto ci farà vivere più intensamente la nostra estate 2012, dove nuovi colori, nuovi tessuti, nuove forme ci renderanno tutti più solari e allegri. 1. Dolce&Gabbana 2. Prada 3. Adidas Originals 4. Louis Vuitton 5. Marni - 6. Gucci 7. Etro 8. CP Company 9. Yamamay 10. Calzedonia 11. Valentino

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shoppin shopping

di Olga Carlini

Icone in trasparenza La Candy Bag, il bauletto lanciato la scorsa stagione da Furla e da subito best seller, è fulcro di nuove sperimentazioni tra cui la versione super-trendy in pvc abbinato a vitello stampa pitone. Il bauletto nasce da una lavorazione accurata che unisce una tecnologia rivoluzionaria, data dall’utilizzo di uno stampo a iniezione per la produzione dei componenti della borsa, alla tradizione, attraverso cuciture realizzate artigianalmente. Prezzo: 260 euro

Sinuoso e scintillante Anello Serpenti in oro giallo con peridoto e pavé di diamanti (1,40 cts) di Bulgari. In vendita da luglio. Prezzo: n.d.

Passeggiando nel sole Sandali con zeppa tessuta e colorate perline: una folata di vento fresco nelle torride serate della bella stagione. Un omaggio di Burberry all’estate, che è femmina! Prezzo: n.d.

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ng Definiscimi la bellezza… Il modello Ixus 510 HS ha un impressionante zoom ottico 12x con grandangolo da 28 mm in un corpo che misura solo 19,8 mm di spessore. La tecnologia ZoomPlus Canon consente di estendere lo zoom della fotocamera e avvicinarsi ancora di più all’azione, pur mantenendo una qualità superiore rispetto ai tradizionali zoom digitali. Prezzo: 380 euro

All’insegna della natura T-Short è lo short Timberland dal tratto green (vanta la certificazione EarthkeepersTM) che intreccia suggestioni country chic ed elementi active. Il lino e il cotone si mescolano garantendo il massimo comfort anche nelle giornate più afose, mentre sulla tela si scontra un caleidoscopio di colori. Pratico e smart, il T-short si trasforma con un semplice gesto grazie al bottone che permette di accorciarne la lunghezza. Prezzo: 109 euro

Elegant mood Ultra femminili, extra large, super romantici. Eccessivi ma incredibilmente sofisticati; sono gli occhiali da sole firmati Marc Jacobs, per una donna glam e seducente. Prezzo: 260 euro

Design in viaggio Momodesign presenta una nuova travel experience pensata per i viaggiatori contemporanei: la linea Urban Travel, essenziale nelle forme e dall’approccio materico innovativo. Due i trolley con struttura morbida, uno da cabina e l’altro più grande, realizzati in tessuto tecnico gommato con dettagli e inserti in nylon vela, per un risultato ultra resistente. Prezzo: 149 e 175 euro

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libri letti per voi

di Gilda Ciaruffoli

Dodici libri in dodici mesi Il libro/guida su Atene è il primo di una serie di dodici titoli che andranno a comporre la collana Europe, scritta e pubblicata nell’arco di un anno. Ce ne parla Michele Monina, scrittore, giornalista e autore televisivo. Una guida all’Europa proprio in questo momento storico? Cosa “c’è dietro”? Oggi non sentiamo che parlare di Europa. Ma sentiamo anche ripeterci, ossessivamente, come l’Europa non sia solo una, ma tante, un insieme di realtà diverse con differenze apparentemente inconciliabili. Europa ed Europe, dunque. L’idea quindi è quella di raccontare lo stato dell’arte facendo un tour europeo, alla maniera dei Grand Tour del passato. Ma questi libri non sono solo reportage. Sono anche e soprattutto guide, utili per chi poi vorrà mettersi sulle mie orme e seguirne le tappe.

La scienza è servita! L’editor del volume di Agostino Traini, Giacomo Spallacci, ci spiega come la cucina può diventare un divertente laboratorio.

Cosa possiamo aspettarci nel leggerli? Il lettore tipo di Europe è chiunque sia interessato a conoscere le città che racconteremo. Non necessariamente perché intenzionato ad andarci, magari anche solo per leggere un libro che in qualche modo scatti una foto. Il “Grand Tour de force” cui mi sto sottoponendo mi consentirà infatti di raccontare le città quasi in presa diretta. Troverete quindi un racconto ancora vivo, recentissimo, e al tempo stesso tutte le indicazioni utili per orientarsi, testate in prima persona. Non troverete invece le informazioni che fanno tanto guida turistica: hotel con stellette di giudizio, ristoranti…

Il mondo con nuovi occhi Renata Discacciati ci racconta cosa significhi per lei viaggiare.

di Renata Discacciati Salani Editore 11 euro 124

di Michele Monina Laurana Editore 9,90 euro

La maratona di viaggio e scrittura è già iniziata: un commento a caldo? La sensazione, a caldo, è che confrontarsi con gli altri paesi del nostro continente sia una grande occasione. Partire da Atene, che più di ogni altra capitale europea sembra avere il potere di influenzare, si teme negativamente, tutti le altre, è stata una scelta naturale; proseguire con Londra, che proprio in questa estate 2012 sarà al centro dell’attenzione di tutto il mondo con le Olimpiadi, anche. Tra un anno il mio viaggio sarà finito e il dodicesimo titolo di Europe sarà arrivato in libreria: ne vedrò delle belle, ne sono certo, e ve le racconterò fedelmente.

La “terapia” del titolo sembra non riferirsi tanto (o almeno non solo) al singolo viaggiatore, ma al mondo – al modo di vederlo e viverlo – che potrebbero essere migliori se fossimo più viaggiatori e meno turisti. È così? Sì, certamente. Non si tratta tanto, o solo, della differenza fra turista e viaggiatore (anche se ciascuno di noi non ama essere definito turista). Direi che l’unica qualità necessaria per viaggiare è la curiosità, per le persone, i luoghi... Un viaggio può essere un momento di riflessione, ma può anche risolversi in una fuga straniante rispetto alla propria vita. Qualche consiglio per trarre il meglio da questa esperienza? Più che un momento di riflessione è una situazione di apertura, bisogna essere in grado di accogliere tutto quello che arriva, la riflessione verrà al ritorno. Proust diceva: “Il solo, vero viaggio non consiste nello scoprire nuovi paesaggi, ma nell’avere

A chi si rivolge il volume? Ai bambini, ma può essere usato dagli adulti come spunto per un incontro divertente con la scienza.

nuovi occhi”. Il meglio dall’esperienza si trae imparando a “vedere”. Un capitolo è dedicato al ritorno. Cosa lo rende un momento così importante e come è possibile affrontarlo nel modo giusto? Il ritorno è un momento importante perché si torna ad affrontare il “conosciuto”, la routine, la vita normale. E questo spaventa, perché ci mette di fronte a doveri che avevamo dimenticato. Come si supera? Programmando un altro viaggio, se possibile, oppure ripercorrendo l’esperienza appena conclusa per capire se siamo cambiati, se siamo cresciuti. Insomma credo che il viaggio sia una predisposizione mentale.

L’esperimento più sorprendente? Inevitabile restare affascinati dalla gagaplocia: anche gli adulti finiscono per pasticciarci e magari sporcarsi i vestiti (è solo lavabilissima fecola). C’è poi l’uovo gommoso, così inverosimile che qualcuno l’ha scambiato per una pallina e… il finale è stato esplosivo! Ma gli “esperimenti” poi… si mangiano? Proprio no. Semmai si mangia quello che avanza! Per un approccio giocoso al cucinare, piuttosto, Emanuela Bussolati ha scritto per noi “Cuochi con sale in zucca”, un divertente manualetto di cucina per i più piccoli.

Esperimenti pop-up in cucina di Agostino Traini Editoriale Scienza 9,90 euro


by

magazine Air One magazine by Viaggi del Gusto è un mensile unico in Italia sulla cultura del cibo e della promozione dell’agroalimentare di eccellenze. L’informazione seria che sfocia nell’approfondimento mensile, le scoperte, le selezioni ne fanno un punto di riferimento credibile ed indipendente nel settore, con una funzione ormai di pubblica utilità.

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arte

di Gilda Ciaruffoli

Arrivi e partenze 2012: Mediterraneo Terza edizione del progetto di arte contemporanea che ha come sede naturale la città di Ancona, la cui posizione baricentrica tra Europa e Mediterraneo la rende ideale porto di confluenza per personalità creative provenienti da Paesi diversi. Si compone in questo modo un mosaico fatto di dissonanze, rotture, assenze e qualche incontro, che ha come caratteristica unificante un linguaggio che parla il codice della contemporaneità. Le mostre e gli eventi del progetto sono ospitati presso la Mole Vanvitelliana, cittadella fortificata ed ex Lazzaretto a pochi passi dal porto, luogo che negli ultimi anni è diventato il centro di produzione artistica della città. Arrivi e partenze si configura come premessa per la Biennale Giovani Artisti del Mediterraneo, che si terrà ad Ancona nel 2013. 15 giugno-2 settembre

Ericailcane a Ravenna È stata completata l’opera murale di Ericailcane, realizzata nell’ambito delle Cinquetracce, dialoghi per la candidatura di Ravenna a Capitale Europea della Cultura del 2019. Lo street artist di fama mondiale è stato invitato a lasciare un segno concreto e simbolico in un’area che è attualmente al centro dell’interesse dei cittadini: la Darsena. Il disegno murale, oltre che un’opera d’arte di portata mondiale, ha dunque per la città un alto valore simbolico: nei prossimi mesi la zona sarà infatti sottoposta a interventi di riqualificazione urbana, coinvolgendo i cittadini nell’immaginare la Ravenna del futuro. Oggi, camminando sulla banchina destra della Darsena, il disegno compare in tutta la sua magnificenza, come un grande schermo cinematografico architetturale che accompagnerà le passeggiate estive. In occasione dell’inaugurazione l’area interessata ospiterà iniziative artistiche di varia natura.

Mole Vanvitelliana Banchina Giovanni Da Chio, 28 – Ancona www.arriviepartenzemediterraneo.it

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L’Homme qui marche

Cartasia

Prende forma il progetto espositivo dedicato ad Alberto Giacometti, artista svizzero/italiano tra i maggiori del Novecento, che più di ogni altro ha saputo interpretare i dubbi, le incertezze, le angosce del secolo appena trascorso. La mostra presenta oltre 120 opere tra sculture, oli, disegni, litografie originali, acqueforti oltre che alcuni delicatissimi modellini in gesso, in un percorso che privilegia la produzione matura dell’artista, totalmente centrata sull’uomo e sulla sua vita interiore. I soggetti delle sue sculture – ritratti a mezzo busto e a busto intero, figure sole, composizioni multiple, immobili o in movimento – sono solidi ma hanno i contorni continuamente frantumati, che ne suggeriscono, ma al tempo stesso vanificano, la presenza. 15 giugno – 4 novembre

Giunta alla sesta edizione, la Biennale d’arte contemporanea di Lucca coinvolge artisti internazionali nella realizzazione di opere di carta di grandi dimensioni visibili per le strade e le piazze del centro storico della cittadina e nel comune di Porcari. Parallelamente, una serie di mostre monografiche e collettive di artisti che utilizzano la carta come media costitutivo, sono ospitate all’interno delle sedi museali della Biennale. Inoltre i luoghi della manifestazione diventano, per tutto il mese di luglio, teatro di concerti, happenings, spettacoli, danza, incontri e presentazioni di libri. Filo conduttore dell’edizione 2012 è (inevitabilmente) “crisi e rinascita”. 30 giugno-29 luglio

Forte di Bard, Aosta – www.fortedibard.it 126

Via Salona, Ravenna – www.ericailcane.org

location varie, Lucca – www.cartasia.it


selezioni

Passioni primitive La cantina Soloperto è nata e cresciuta a Manduria, in quell’arco di Puglia che si affaccia sul mar Ionio. Da sempre questa è la terra del Primitivo, con le vigne ad alberello che disegnano il paesaggio, arrivando a lambire il mare

La passione tra la famiglia Soloperto e il vino scoppia nei primi decenni del secolo scorso. «Furono i nostri nonni», ci raccontano «a capire per primi le potenzialità che una terra come la nostra poteva esprimere, fondando una delle prime aziende per il commercio del vino sfuso. Verso la fine degli anni ’60 del secolo scorso, nostro padre Giovanni Soloperto fece il passo successivo e, prima ancora della legge sulle Doc, imbottigliò il Primitivo in purezza nella prima, piccola cantina». Col tempo la struttura si è ingrandita fino a raggiungere le attuali dimensioni e oggi, in azienda, produciamo circa due milioni di bottiglie l’anno. «Il Primitivo è sempre la nostra principale risorsa, affiancato dai vini della tradizione pugliese quali il Negroamaro e alcuni vitigni a bacca bianca delle colline murgesi che compongono le Doc Locorotondo e Martina Franca. Il nostro lavoro, infatti, è concentrato sulla promozione dei vitigni autoctoni di Puglia, un patrimonio ampelografico ricco di varietà e storia. Siamo, nello stesso tempo, molto attenti alle esigenze dei consumatori offrendo loro sia vini semplici e di pronta beva che vini più complessi e strutturati, adatti anche all’invecchiamento». Ogni bottiglia delle Cantine Soloperto è sempre un prodotto di alta qualità, che porta nel mondo l’anima di un terroir unico al mondo: la Puglia. Cantine Soloperto SS 7 Ter, Manduria (Ta) - Tel. 0999794286, www.soloperto.it


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Per chi ha voglia di mangiar sano Con un’attenzione quasi maniacale alla qualità delle materie prime impiegate e a quella dei processi produttivi, Elgaviva porta sul mercato un’ampia gamma di risotti premiscelati adatta a tutti, compresi celiaci e… single!

Elgaviva di Monsini Valeria c.so G. Gerraris s/n, Trino (Vc) Tel. 0161801909 - www.elgaviva.it

Realtà giovane nata da un’esperienza decennale nel settore alimentare e agro-alimentare, Elgaviva fonda la sua attività su una precisa filosofia aziendale. Alla base della produzione infatti la consapevolezza che oggi più che mai la qualità del prodotto, associata alle più moderne e sicure tecniche di confezionamento, è alla base di una sana e corretta alimentazione; in questa ottica la ricerca e la selezione delle materie prime di eccellenza svolge un ruolo primario all’interno delle procedure aziendali. I prodotti di Elgaviva vengono commercializzati con il marchio Le Voglie che sta a sottolineare proprio la necessità e il desiderio di scegliere alimenti buoni, sani e sicuri. I prodotti Le Voglie – in parte biologici e tutti senza glutine, quindi adatti alle persone affette da celiachia – si dividono in tre linee: quella tradizionale, quella biologica e la linea gourmet, tutte con due varianti quantitative da 215 gr per 2/3 persone e 75 gr, ovvero monoporzione (gamma denominata “solo per me”, per permettere anche ai single di gustare ottimi risotti senza sprechi!). I risotti sono premiscelati con brodo vegetale, verdure e ortaggi disidratati, dosati e amalgamati in modo tale da ottenere uno standard qualitativo al top del settore. Particolare attenzione è stata posta all’individuazione dei fornitori di materie prime, anch’essi certificati e con prodotti di qualità inattaccabili sia a livello nazionale che internazionale. Il riso è esclusivamente italiano e proveniente dal triangolo VercelliPavia-Novara, zone tradizionalmente votate a questa produzione; le verdure invece sono selezionate fra le migliori dei territori di provenienza. Per ottenere la qualità del prodotto finito, oltre alle materie prime reperite sul territorio nazionale, Elgaviva presta una particolare attenzione alla composizione delle miscele, che sono “maniacalmente” calibrate e inserite all’interno delle confezioni nel modo corretto. L’elaborazione delle ricette infine tiene conto delle moderne esigenze nutrizionali e i prodotti confezionati quindi non contengono glutammato, conservanti, aromi, glutine e ogm, e sono naturali al 100%. Elgaviva di Monsini Valeria c.so G. Gerraris s/n, Trino (Vc) Tel. 0161801909 - www.elgaviva.it


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Una vacanza da Casanova Cibi raffinati, vini eccellenti e golf al Castello di Spessa Resort di Capriva del Friuli, fra le colline del Collio

Soggiornare nel castello friulano amato da Giacomo Casanova, godere dell’atmosfera elegante e rarefatta dei suoi eleganti saloni, degustare vini che egli non esitò a definire nelle sue Memorie “di qualità eccellente”: la proposta viene dal Castello di Spessa di Capriva del Friuli, raffinata residenza d’epoca nel cuore del Collio goriziano, una fra le più pregiate zone enologiche d’Italia. Fondato nel 1200, il maniero fu per secoli dimora dei signori della nobiltà friulana e ospitò personaggi illustri quali Lorenzo Da Ponte, il celebre librettista di Mozart, o, appunto, Casanova. Il susseguirsi di personalità di tale levatura ha dunque segnato la vocazione all’ospitalità del Castello, dove oggi sono state ricavate 15 eleganti suite arredate con mobili del Sette e Ottocento italiano e mitteleuropeo. Nel sottosuolo si possono visitare le scenografiche cantine medievali, dove si affinano i vini prodotti dall’omonima azienda, che si trovano in vendita con le grappe della maison e altre delizie gourmand del territorio nel Wine Store Casanova. Dalla barriquerie, 70 scalini conducono al secondo livello della cantina, ricavato in un ex bunker scavato a 18 metri di profondità nel 1939 a scopi militari. Da qui si esce all’esterno, nel parco secolare del castello, dove è stata tracciata una romantica passeggiata letteraria dedicata a Casanova in 10 tappe, scandite da tabelle in ferro battuto dove sono incise sue frasi sull’amore, le donne, la vita. Immerso nella tranquillità dei 25 ettari di vigne della tenuta, il Castello è il cuore di uno dei più accoglienti Resort della campagna italiana, con campo da golf 18 buche. Negli antichi rustici è stata ricavata la Tavernetta al Castello, con 10 camere dall’atmosfera country chic e un eccellente Ristorante Gourmand, dove lo Chef Tonino Venica propone le sue raffinate creazioni che esplorano tradizioni, stagioni e ingredienti. Una caratteristica casa colonica affacciata sul green ospita invece l’Hosteria del Castello, dove si gusta una cucina immediata, che si esprime esaltando i piatti e i sapori del territorio: affettati e formaggi friulani, appetitosi primi piatti, carni del cortile, le erbe, squisiti e invitanti dessert, il tutto rigorosamente a km 0.

Castello di Spessa - Via Spessa, 1 - Capriva del Friuli (Go) - Tel/Fax. 0481808124 - www.castellodispessa.it

Un’idea per ogni stagione Durante tutto l’anno, il Castello di Spessa propone pacchetti soggiorno fra cibi e vini raffinati, incanti di natura e – ovviamente – golf per gli appassionati del green. Gli ospiti hanno a disposizione le Vespe e le biciclette giallo/Ribolla del Collio con cui vagabondare fra colline e caratteristici paesi, raggiungere il mare di Grado o seguire l’andamento sinuoso del fiume Isonzo, fino alle sue sorgenti, in Slovenia. Le giornate trascorrono fra rilassanti passeggiate, degustazione guidate di vini, pranzi golosi e informali all’Agriturismo La Boatina, il polo agreste del Resort immerso nei vigneti della Doc Isonzo a 2 km dal Castello, pronto a stupire con le sue ricchissime proposte di salumi e formaggi, che qui sono i protagonisti, abbinati a salse e mostarde. E per concludere, cene romantiche e gourmand a La Tavernetta, dove vengono organizzati anche corsi di cucina per piccolissimi gruppi di partecipanti.


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