VdG Magazine - Viaggi del Gusto Special edition Luglio 2012

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In collaborazione con

Special edition luglio 2012

www.vdgstore.com Ospitalità Italiana: only the real italian cuisine, please Food:

VISIT TO KOREA BY ITALIA DEL GUSTO

Missione Corea per l’Italia del gusto

Grana Padano, the big cheese Mozzarella, milky heart TRAVEL: Sicilia, Positano, Venezia e Puglia WINES: Franciacorta Campania’s wines


Italian tradition since 1681

Candoni De Zan family

WWW.TENUTAPOLVARO.COM VIA POLVARO 35 • 30020 ANNONE VENETO • VE • ITALY


viaggi del gusto

editoriale

Agroalimentare: il rilancio dell’Italia passa da qui Siamo tutti d’accordo: il comparto agroalimentare è uno straordinario asset economico per l’Italia. Con una peculiarità rispetto a tutti gli altri settori che producono ricchezza: ovvero, non è delocalizzabile. Nel senso che il food & wine italiano potrà anche essere prodotto altrove, trasferendo le materie prime, i semilavorati o lo stesso know-how, ma nessuno potrà mai spostare fisicamente, in un altro territorio, gli ulivi centenari della Puglia, le vigne della Franciacorta o i pomodori di Pachino, per ottenere lo stesso risultato. Ciò che bisogna fare adesso, dunque, è valorizzare il più possibile questo inestimabile patrimonio enogastronomico, nell’obiettivo ultimo di generare fatturati sempre più importanti. Diciamo questo, perché convinti che l’agroalimentare possa rappresentare la ciambella di salvataggio del sistemapaese, il volano economico che può farci ripartire dalla crisi. Basta guardare i dati 2011, del resto, per rendersi conto del volume di affari che il cibo italiano – nonostante la congiuntura – produce nel mondo, e del suo ruolo di moltiplicatore (esponenziale) di investimenti. Per far sì che ciò avvenga però, al primo punto della nostra agenda di governo, bisogna mettere la consapevolezza/conoscenza di questo driver economico. Al secondo punto ci dev’essere la pianificazione di una strategia di valorizzazione adeguata e razionale. La promozione agroalimentare in Italia,

troppo spesso, è stata declinata infatti a un mero sistema di clientelismo politico. È tempo di ottimizzare le risorse, tagliare il superfluo e istituire una cabina di regina unica, mutuando, ad esempio, il modello francese di un’agenzia centrale per la promozione come Sopexa, oggi in mano ai privati di Credit Agricole, ma per anni agenzia pubblica per la promozione del “prodotto Francia”. L’affidamento adun unico soggetto finalizzato alla promozione del made in Italy agroalimentare dovrà far sparire tutti gli altri enti, compresi quelli regionali e provinciali. Lanciamo un appello al governo dei tecnici affinché venga convocata una tavola rotonda sul tema della promozione agroalimentare e si proceda a una spending review nel settore. In proposito, crediamo ci sia da fare una grande opera di ottimizzazione della spesa, con conseguente risparmio di svariate decine di milioni di euro per le casse dello Stato. Ultimo, e fondamentale punto, è la distribuzione. In Italia abbiamo commesso un errore fatale, lasciandola in mano a francesi e tedeschi. Riteniamo sia arrivato dunque il momento di sostenere gli imprenditori che vogliono seriamente impegnarsi a internazionalizzare i nostri prodotti. Solo così il nostro driver dell’agroalimentare avrà le risposte che merita.

di Domenico Marasco

domenico.marasco@vdgmagazine.it

The relaunching of the Italian economy starts with Agro food We all agree. the agro food sector is an extraordinary economic asset for Italy. It has a particular peculiarity compared to other sectors which produce wealth. it cannot be outsourced. Even if food and wine can be produced in other places, exporting raw materials, semi processed or the same know-how, no one can physically move the hundred year old olive trees of Puglia, the vineyards of Franciacorta or the Pachino tomatoes to another territory and obtain the same result. What we now need to do is enhance this invaluable food and wine patrimony as much as possible, with the objective of generating higher and higher turnovers. The reason why we are saying this, is because we are convinced that this could be a lifeline for the Italian economy, a way to restart the economy after the crisis. If we look at the 2011 data of the turnover of Italian food, taking into consideration the economic difficulties of this period, it is interesting to note, that it always remains a positive asset; however it needs to become part of the government’s agenda in order to make this economic driver more visible. Secondly there has to be a strategic plan of rational valorization. Agro food promotion often falls into the trap of political patronage. It is time we optimized resources, eliminated the superfluous and created more clarity. Copying the French model of a central agency for its promotion like Sopexa , which is today in the hands of the public in Credit Agricole, but for years was a State agency for the promotion of “French products;” creating a sole agency, which is responsible for the promotion of Made in Italy agro food should eliminate all the other associations, including regional and provincial ones. Let’s make an appeal to the present technical Government, until a round table is organized on the theme of agro food promotion and a spending review is put forward. As regards this , we believe that there is a lot of work to be done to optimize the spending and save millions of euro for the State’s coffers. Finally the distribution is fundamental. In Italy we have made a fatal error, leaving it in the hands of the French and Germans. We maintain, that the time has arrived to support the entrepreneurs, who want to commit themselves to the objective of internationalizing our products. Only In this way will our agro food driver have the response, it merits.

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sommario sommario index 2012

6 Fatti e contraffatti Latte, breve guida

al consumo critico Milk, a short guide to intelligent consumption

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Scienza e vita

è nei pascoli il segreto della buona carne The secret of good meat is in the pastures

26 Il Made in Italy in Olanda 50 Mozzarella

12 La salute nel piatto

Gli amici del cuore: pesce azzurro e omega-3 Friends of the heart: oily fish and omega-3

42 Grana Padano

panorama news

cibo&territorio food

Nell’area espositiva di Expo Corea 2012 c’è anche il Padiglione Italia, una sorta di show-room dell’eccellenza italiana, incentrato in particolare sull’enogastronomia.

14 Ospitalità italiana: Solo vera cucina italiana please Ospitalità italiana: Only the real Italian cuisine please

30 L’Italia dei “monumenti da gustare” An Italy of “monuments of tastebuds”

In the exhibition of Expo Korea 2012 there is a piece of Italy. A sort of showcase of Italian excellence, with a particular emphasis on wine and food.

20 ICIF: La cucina italiana che fa scuola ICIF: Italian cuisine becomes a school

22 Cover story

26 Made in Italy in vetrina anche in Olanda Made in Italy showcase even in Holland

36 Grana Padano: un “gran” formaggio Grana Padano: The Big Cheese 42 Il grano delle Marche Wheat from the Marche 46 Olio: Italia extra vergine Oil: Extra vergin Italy 50 Mozzarella, cuore di latte Mozzarella: milky heart

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54 Sicilia

66 Puglia

74 Franciacorta

inviaggio travel

ipiaceridelvino wines

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70 Piccoli vini d’autore Little bacchus

Sicilia, crocevia di popoli e sapori Sicilia, a crossroads of populations and tastes

58 Positano e le altre Positano e Co 62 Venezia: crocevia del mondo Crossroads of the world 66 Puglia: Paradiso Gargano Puglia: Paradise Found, The Gargano

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74 Franciacorta, basta la parola Franciacorta, one word says it all 78 Campania da bere Campania’s wines 82 S anto Versace: Nel mondo Bacco veste Italia Santo Versace: the Bacchus world dresses Italian

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fatti e contraffatti

di Marishel Fecchi

Milk, a short guide to intelligent consumption

Latte,

breve guida al consumo critico Qual è la differenza tra fresco e crudo? Quali sono le pratiche più diffuse per alterarne le caratteristiche? Svelati per voi tutti i segreti dell’alimento che ci accompagna fin dalla nascita Sono solo 7 mila anni che l’organismo umano ha imparato a digerire un latte che non fosse quello materno. Questa difficoltà è dovuta al lattosio, lo zucchero del latte. Il lattosio viene digerito nel duodeno attraverso un enzima detto lattasi; in mancanza di questo enzima il lattosio fermenta richiamando acqua nel colon e provocando crampi addominali. Ancora oggi, come ben sappiamo, non tutti gli adulti riescono a bere latte senza avere effetti negativi collaterali e, ancora, intere etnie – come gli asiatici – non hanno subito quella mutazione che permette loro di beneficiare di questo elemento naturale che, per esempio in Cina, è stato sostituito già dal II secolo d.C. dal latte di soia. Il latte più usato in Occidente oggi è quello di vacca, seguito da quello di bufala, pecora, capra e asina. In teoria non ha un sapore standard, ma all’atto pratico le cose stanno diversamente.

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Le differenze infatti dipendono dall’alimentazione della mucca, dal suo “modo di vivere”. Oggi, purtroppo, gli animali da allevamento ricevono un piatto unico completo ma uguale per tutte le stagioni e a tutte le longitudini e altitudini, e così si è standardizzato anche il sapore del latte. Ma quali sono le componenti di questo alimento? Acqua, grassi principalmente saturi, zuccheri (sopratutto lattosio) e proteine del gruppo delle fosfoproteine dette caseine. Il latte contiene ancora sali minerali, vitamine, sostanze aromatiche, cellule somatiche, batteri. L’Italia non è autosufficiente con la sua produzione e importa latte dalla Baviera in Germania e dalla Rhone Alpes in Francia. In Italia però ci sono 1,8 milioni di bovine da latte, per lo più in Lombardia, ma la maggior parte del loro latte viene utilizzato per la produzione dei formaggi Dop.

It is only 7000 years that the human organism has learnt how to digest milk, which is not maternal. This difficulty is due to lactose, the milk sugar. Lactose is digested in the duodenum through an enzyme called lactase; when this enzyme is missing the lactose starts to ferment calling for water in the colon and provoking abdominal cramps. Even today as we know, not all adults are able to drink milk without having collateral negative effects, furthermore whole ethnic races – like Asians – have not undergone that mutation which allows them to benefit from this natural element, which for example in China was substituted already in the second century by soya milk. The milk used in the Western world today is that of cow, buffalo, sheep, goat and donkey, but normally when one speaks about milk they are speaking about cow’s milk. The difference depends on the feed of the cow, “the conditions in which it lives”. Today unfortunately animals receive a standard complete meal which is the same in all seasons and wherever you go and does not depend on longitude or altitude, creating a kind of standardization of the taste of milk. What are the components of milk? Water, fats, mainly saturated, sugars – most of all lactose – proteins of the phospho protein group known as caseins The milk contains also mineral salts, vitamins, aromatic substances, somatic cells and bacteria. Italy is not self sufficient regarding its production and imports milk from Bavaria in Germany and from the Rhone Alps in France. In Italy there are 1.8 million milk cows, mostly in Lombardy but the biggest part of the milk produced is used for the production of Dop cheeses.


Fresh or untreated?

In alto: nel latte fresco il tempo tra la mungitura e la pastorizzazione non deve superare le 48 ore

Fresco o crudo? Il latte per essere venduto deve essere pastorizzato, processo che lo rende immune da organismi patogeni. Il latte pastorizzato viene venduto come “latte fresco”, che ha dunque una bassissima carica batterica; i controlli avvengono a ogni ciclo produttivo. Il tempo tra la mungitura e la pastorizzazione non deve superare le 48 ore. Il processo di pastorizzazione però non era nato per il latte ma per il vino: si cercava così un sistema per evitare che si formassero batteri, come avveniva per il Porto e il Madera, e rendere più facile il trasporto per nave. Il latte crudo è invece non è pastorizzato, e la carica batterica dipende dalle condizioni igieniche in cui viene prodotto. Le proteine e le vitamine termolabili non vengono distrutte da alcun processo ma si sconsiglia la somministrazione a crudo. Adulterazioni e frodi Tra le possibili adulterazioni alle quali viene sottoposto il latte, ricordiamo prima di tutto l’aggiunta di colastro (latte prodotto subito dopo il parto) o latte da animali affetti da mastite (infiammazione delle mammelle) per aumentare la quantità del prodotto. Si ricorre invece all’aggiunta di acqua ossigenata per ridurre la carica batterica, e a quella della soda per fermare l’acidificazione. Il prodotto può essere anche sottoposto a più pastorizzazioni per rendere commestibile un latte che non lo è più. E ancora, può essere aggiunto latte in polvere e acqua o essere riportata una dicitura non corretta per quanto riguarda proteine e grassi in etichetta.

From the beginning of 1900 all milk which went on sale had to be pasteurized, a process which made it immune to pathogen organisms. Pasteurized milk was sold as “fresh milk”. Fresh milk has a low bacterial content and an absolute lack of pathogen organisms., the controls are carried out in every production cycle. The time between the milking and the pasteurization should not be more than 48 hours. Pasteurization was not developed for milk but for wine. The system was tested then for beer and lastly for milk: the quest for a system to avoid the formation of bacteria. Untreated milk is that which we buy from vending machine. It is not pasteurized and the bacterial content depends on the hygienic conditions in which it is produced. The proteins and the thermo labile vitamins are not destroyed by any processes but drinking untreated milk is unadvisable.

Adulteration and deception Among some of the adulterations which can be applied to milk, one is the addition of colostrums (the milk which is produced immediately after the birth) or milk from animals affected by mastitis (inflammation of the breasts) in order to increase the quantity of product. Even hydrogen peroxide can be added to reduce the bacterial content and also soda to stop the acidification. The product can be also subjected to more pasteurization to make the milk which is not in its pure form more edible. Powdered milk and water can be added or an incorrect description regarding proteins and fats on the label.

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di Giuseppe Pulina

scienza e vita

Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari

È nei pascoli il segreto della buona carne

Sta nella tracciabilità la chiave per avere la certezza di acquistare carne ricca di acidi grassi “benefici”. L’etichetta in questo senso la dice lunga e leggerla è necessario, ma non sufficiente. Auspicabile è infatti l’adozione da parte dei produttori di un programma più ampio di tracciabilità del sistema di alimentazione degli animali e dell’effettivo allevamento al pascolo

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È cosa nota a tutti che le carni cosiddette “rosse” hanno subito di recente un appannamento di immagine presso i consumatori. Ciò è in parte dovuto al fatto che gli esperti in nutrizione umana sostengono che per una corretta alimentazione bisognerebbe ingerire molti acidi grassi insaturi (soprattutto quelli essenziali della serie omega-3) e limitare gli acidi grassi saturi. Ora, viene comunemente riportato che le carni dei ruminanti (bovino, agnello, capretto…) non contengono omega-3, o ne contengono pochissimi. La scarsa presenza di questi acidi grassi essenziali viene imputata al rumine, il primo prestomaco di questi animali, un enorme sacco nel quale miliardi di microrganismi operano una bioidrogenazione, cioè una saturazione degli acidi grassi insaturi. Per molti anni, negli scorsi decenni, si è pensato, o meglio, si è agito come se questa saturazione che avviene nel rumine fosse sempre completa e inevitabile; si è cioè ritenuto che non fosse possibile influire sulla qualità dei grassi contenuti nei prodotti finali (carne o latte) attraverso l’alimentazione degli animali. Recentemente, invece, si è verificato che così non é. Chiediamo oggi al pro-

fessor Alessandro Priolo, ordinario presso l’Università di Catania, di parlarci dei modi in cui anche le carni rosse possono essere ingegnerizzate e rese più vicine alle esigenze del consumatore in termini di composizione dei grassi (e non solo). Le carni di bovino e ovino sono davvero così povere in acidi grassi “benefici”? La ricerca scientifica ha dimostrato in maniera inequivocabile che gli acidi grassi insaturi, e soprattutto i tanto richiesti omega-3, sono presenti anche nelle cosiddette carni rosse e che la loro concentrazione è fortemente e positivamente correlata con il pascolamento degli animali; in poche parole, più tempo gli animali passano al pascolo e più omega-3 si troveranno nelle loro carni. L’ottimo contenuto in omega-3 nelle carni di agnelli, capretti o vitelli alimentati al pascolo è dovuto al fatto che l’erba verde è una ricchissima fonte di acido linolenico. che costituisce circa il 70% di tutti gli acidi grassi presenti nell’erba ed è il precursore di tutti gli acidi grassi della serie omega-3.


Fra gli acidi grassi “benefici” abbiamo accennato in questa rubrica all’acido linoleico coniugato (CLA). È presente anche in queste carni? È stato dimostrato che questo acido grasso possiede spiccate proprietà anticarcinogeniche e antidiabetiche. Ebbene, ironia della sorte, il CLA si forma nel rumine proprio nel corso di quel fenomeno, la bioidrogenazione ruminale, che era considerato all’origine di tutti i mali (cioè della saturazione degli acidi grassi insaturi). La ricerca ha dimostrato che le carni (e il latte) di ruminanti alimentati al pascolo contiene in media il doppio di CLA rispetto ai prodotti di animali alimentati in stalla con i mangimi. In poche parole questi animali che si sono evoluti per essere erbivori, producono delle ottime carni se vengono alimentati come la loro natura richiede.

La carne di ruminanti alimentati al pascolo contiene in media il doppio di acido linoleico coniugato rispetto ai prodotti di animali alimentati in stalla con i mangimi

Ma come fa il consumatore a essere rassicurato sulla provenienza del prodotto? Molti consumatori sono attratti dalla provenienza “locale” degli alimenti, dal cosiddetto chilometro zero. Altri, richiedono quantomeno notizie sul processo che ha portato alla produzione e, nel nostro caso, sono soprattutto interessati all’alimentazione degli animali. La tracciabilità (dall’inglese tracking) è un termine che viene sempre più utilizzato in Europa per tutte le produzioni agro-alimentari. Oggi la tracciabilità è arrivata nelle etichetta delle carni e ci indica il paese di nascita di un animale, il paese o i paesi di allevamento, il paese nel quale è stato sacrificato e quello nel quale è stato sezio-

The secret of good meat is in the pastures The image of red meat has recently lost some of its appeal with consumers. This is in part due to the fact that experts in human nutrition sustain, that for a correct diet it is necessary to consume many unsaturated fatty acids (most of all those essential ones of the series, omega-3) and also limiting saturated fatty acids. Meat from ruminants like ( cattle, lamb, young goat…) do not contain omega-3 or they contain very little. The limited amount of these essential fatty acids is attributed to chewing, the first part of the stomach of these animals, an enormous bag of some billions of micro organisms operates like a bio hydrogenation that is a saturation of the unsaturated fatty acids. We shall ask Prof. Alessandro Priolo, from the University of Catania to speak about the ways in which red meat can be engineered in order that it can meet the needs of the consumer. Is meat from cattle and sheep so poor in “beneficial” fatty acids? The insaturated fatty acids and most of all the ones which are most requested omega-3 are present also in the above mentioned red meats, their concentration is strongly and positive correllated with the pasturing of animals. The more time animals spend in the pastures, more omega-3 is found in their meat. The excellent content of omega-3 in the meat of lamb, goat and veal coming from animals which are bred on pastures is due to the fact that green grass is a rich source of linolenic acid,

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scienza e vita

among the “beneficial” fatty acids is conjugated linoleic acid (CLA). Is it present in these meats? This fatty acid has marked anti – cancerogenous and also anti diabetic proprieties. The research has demonstrated that meat and (milk) of ruminants fed on pastures contains on average, double the amount of CLA compared to the products of animals fed with animal feed in barns. In a few words, one can say that these animals were born herbivorous and therefore they should be fed as nature dictates. How can the consumer be assured about the product’s origin? The traceability, or tracking, is a term used always more in Europe for agrofood production. Today traceability is on the label of meat and it indicates the place of birth of an animal, the place or country where it was bred, where it was slaughtered and where it was sectioned. The research dealt with the possibility of discovering what kind of alimentation the animal had had, starting directly from the product process defined as retraceability.

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La FAO considera i sistemi di alimentazione al pascolo un vero e proprio “servizio ambientale” in relazione al sequestro del carbonio e al contributo alla lotta all’erosione dei suoli La ricerca ha dimostrato che gli acidi grassi insaturi, e soprattutto gli omega-3, sono presenti anche nelle carni rosse e che la loro concentrazione è fortemente e positivamente correlata con il pascolamento degli animali

nato. Tutte queste informazioni vengono ottenute attraverso “dichiarazioni documentali” delle quali il consumatore deve fidarsi. Per contro, la ricerca si è fortemente occupata della possibilità di risalire al tipo di alimentazione di un animale, partendo direttamente dal prodotto, processo definito “rintracciabilità” (dall’inglese tracing). Questo tipo di tracciabilità è diventata sempre più importante se consideriamo che l’immagine dell’allevamento al pascolo è gradita dai consumatori perché dà un’idea di sano, salutare e rispettoso del benessere degli animali; d’altro canto, l’allevamento dei ruminanti in regime di biologico prevede il ricorso al pascolo. In concreto, se scelgo un taglio di carne, posso sapere con certezza se l’animale che l’ha fornito è stato allevato al pascolo con erba verde o è stato alimentato con foraggi conservati e mangimi? Per poter effettuare questo tipo di tracciabilità è necessario individuare dei marcatori biologici, cioè delle sostanze che, se presenti nel tessuto dell’animale, possano indicare in maniera inequivocabile che il soggetto è stato alimentato con erba verde. Molti studiosi hanno cercato di individuare una sostanza, una molecola, che potesse, se riscontrata nel tessuto dell’animale, indicare che questo è stato alimentato in maniera “naturale”. I possibili marcatori dell’alimentazione al pascolo sono idealmente molecole presenti nell’erba verde che l’animale non è in grado di sintetizzare e che negli alimenti conservati si perdono per ossidazione o volatilizzazione. I marcatori proposti sono moltissimi; tra questi c’è ad esempio un pigmento carotenoide, la luteina, che se riscontrata in grandi quantità nel tessuto dell’animale indica che lo stesso ha avuto molto probabilmente una alimentazione a base di erba verde. Altre sostanze interessanti sono i terpeni, molecole che, se riscontrate nel tessuto di un animale, possono addirittura fornire indicazioni circa il tipo di pascolo nel quale è stato allevato (i terpeni differiscono fortemente nelle diverse essenze pascolative). Ma l’ultima frontiera in fatto di tracciabilità dei prodotti di origine animale è costituita dagli isotopi stabili. In natura un elemento può trovarsi in più forme isotopiche. Ora, il rapporto fra gli isotopi di uno stesso elemento (ad esempio del Carbonio o dell’Azoto) è tipico non solo delle diverse piante di cui si nutrono gli animali, ma anche delle diverse aree geografiche del pianeta. Questo significa che dal rapporto isotopico riscontrato, ad esempio, nel Carbonio e nell’Azoto presenti in un pezzo di carne si possono avere informazioni sulla provenienza geografica e sul tipo di alimentazione dell’animale che ha prodotto quella carne.


Allora, tutto semplice. Etichette trasparenti e controlli piuttosto efficaci. È cosi? Insomma, la realtà operativa è decisamente più complessa. Ad esempio, in molti casi gli animali non vengono allevati solo con un tipo di alimentazione (solo al pascolo o solo in stalla con mangimi e foraggi conservati), ma nelle diverse fasi del loro allevamento vengono passati da un sistema di alimentazione a un altro. A questo si aggiunge il fatto che non esiste un marcatore dell’alimentazione al pascolo infallibile, e quindi soltanto l’uso integrato di diversi marcatori può dare indicazioni praticamente certe circa il tipo di alimentazione dell’animale che ha fornito un dato taglio di carne. D’altro canto, però, l’integrazione di diversi marcatori aumenta notevolmente il costo analitico.

Oggi la tracciabilità è arrivata nell’etichetta delle carni e ci indica il paese di nascita di un animale, il paese o i paesi di allevamento, il paese nel quale è stato sacrificato e quello nel quale è stato sezionato

In definitiva, per ottenere buone carni occorre ritornare a un’alimentazione “antica”, basata essenzialmente sul pascolamento…? In un certo senso sì. L’alimentazione dei ruminanti al pascolo consente di ottenere dei prodotti – carne, latte o formaggi – che presentano una qualità del grasso più vicina alle indicazioni dei nutrizionisti e dà una immagine molto gradita al consumatore di oggi. La FAO addirittura considera i sistemi di alimentazione al pascolo un vero e proprio “servizio ambientale“ che gli animali possono offrire alla società, in relazione al sequestro del carbonio e al contributo alla lotta all’erosione dei suoli. L’alimentazione al pascolo assume quindi una valenza poliedrica che fornisce un valore aggiunto al prodotto. Valore aggiunto che dovrebbe essere adeguatamente valorizzato. E l’adozione, ad esempio da parte dei consorzi di produttori, dei programmi di tracciabilità del sistema di alimentazione potrebbe rappresentare lo strumento per riconoscere e certificare il valore della carne prodotta da animali allevati al pascolo.

Therefore if one chooses a piece of meat, can one be sure if the animal had been bred on pastures with green grass or fed with stored forage or animal feed ? To be able to carry out this kind of traceability, it is necessary to identify the substances present in the tissue of the animal and then one can be sure if the animal had been fed on green grass The latest in traceability of products of animal origin is made up of stable isotopes The isotopic relationship which was verified, for example, in the Carbon and Nitrogen present in a piece of meat can supply information about the geographic source and the type of alimentation of the animal which has produced the meat. Are there clear labels and pretty stringent controls? The reality is more complex, for example in many cases, animals are not fed with one type of alimentation (only in the pastures or only in barns with animal feed and stored forage), but in different phases of the breeding they move from one system of feeding to another. To obtain good meat, is it necessary to return to the “historic” way of feeding based esentially on pasturing? Yes. The alimentation of ruminants in the pastures allows one to obtain products – meat, milk and cheese which have a quantity of fat, which is in line with the indications of nutritionists and they are also more attractive to the consumer of today.

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la salute nel piatto

In poco meno di 10 anni, la Fondazione voluta dal professor Umberto Veronesi è diventata un baluardo nazionale nel sostegno alla ricerca medico-scientifica e nella divulgazione dei temi legati alla tutela della salute. A partire da questo mese, vi spiegheremo nella maniera più semplice e comprensibile, tutto quello che c’è da sapere sulla buona e corretta alimentazione

a cura della Fondazione

Umberto Veronesi

attività particolarmente importante: ovvero la divulgazione scientifica. Essa si può sintetizzare nella frase “Libertà di sapere, libertà di scegliere”, giusto a significare che, soltanto avvicinandosi ai temi del mondo scientifico, è possibile fare scelte consapevoli nei confronti della propria salute. Per questo la Fondazione ha scelto di parlare di medicina e di scienza a tutti, dai bambini agli adulti, di ogni genere ed età, in modo semplice e comprensibile. Ogni anno lo facciamo attraverso l’organizzazione di iniziative d’informazione e diffusione della conoscenza tramite convegni e conferenze nazionali e internazionali, laboratori scientifici per gli studenti e lezioni aperte sempre corredate da strumenti di approfondimento. Con lo stesso spirito abbiamo ideato il sito www.fondazioneveronesi.it, oggi un vero e proprio portale sulla salute costantemente aggiornato, ricco d’informazioni, novità, approfondimenti sui temi della scienza e della medicina dove è possibile trovare sempre tanti suggerimenti utili per vivere in salute. Se anche tu hai a cuore il progresso della scienza collegati al nostro sito e scopri come poterci aiutare!

Obiettivo: aiutarvi a restar sani La Fondazione Umberto Veronesi nasce nel 2003 allo scopo di sostenere la ricerca scientifica. Un obiettivo di fondamentale importanza poiché il progresso delle scienze è la più grande risorsa che possediamo per cambiare in meglio la vita di migliaia di persone, per garantire nuove soluzioni e nuove terapie ai malati e per farci sperare in un futuro migliore. Il progresso scientifico, dunque, non può fare a meno dalla ricerca. Per questa ragione, la Fondazione Umberto Veronesi ha deciso di mettere in campo tutte le risorse possibili per promuoverla. Un piano d’azione che avviene nella maniera più concreta possibile, ovvero finanziando borse di studio per medici e giovani ricercatori e sostenendo progetti di altissimo profilo. Nel 2003, abbiamo iniziato con l’erogazione di 4 borse di studio e oggi, dopo meno di dieci anni e grazie al contributo di tanti sostenitori che hanno a cuore il progresso della scienza, siamo in grado di garantire 95 borse di studio e finanziare ben 26 progetti di ricerca. Un risultato straordinario e impensabile sino a poco tempo fa. Ma oltre a questo nobile scopo, la Fondazione Umberto Veronesi è impegnata in un’altra

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In alto: lo staff della Fondazione Umberto Veronesi con, in prima fila, il professor Veronesi. Sotto, un momento di didattica dedicato ai più giovani

Objective: help us to keep healthy In less than 10 years, the Foundation founded by Prof. Umberto Veronesi has become a national bastion to support medical - scientific research on themes regarding the safeguarding of our health. Starting from this month we will explain – also in these pages – what there is to know about a good and correct alimentation in the simplest and most comprehensible manner possible. The foundation Umberto Veronesi was born in 2003 with the aim of backing scientific research and to change the life of thousands of people for the better, also to guarantee new solutions and new therapies for sick people to give them hope for a better future the Foundation Umberto Veronesi decided to allocate all the resources possible to promote research, financing scholarships for doctors and young researches and sustaining projects of the highest level. In 2003 they started with giving 4 scholarships and today after ten years, thanks to the contribution of a lot of supporting members, they are able to guarantee 95 scholarships and finance 26 research projects. The Foundation is involved in another important activity, that is scientific articles, in fact one is able to make conscious choices regarding one’s health, based on these publications. For this reason the Foundation has chosen to speak about medicine and science to everyone from children to adults of every age and gender in a simplified and intelligible way.


Friends of the heart: oily fish and omega-3

Gli amici del cuore: pesce azzurro e omega-3 “Noi siamo quel che mangiamo”, si sa. C’è una strettissima relazione tra dieta, malattie cardiovascolari e tumori. Ma nella lotta per la salute, possiamo contare su degli alimenti-alleati. Tra questi, il pesce e in particolare le specie contraddistinte dal dorso di colore blu: acciughe, pescespada, tonno, sgombro, sardine. Il loro consumo previene l’accumulo di colesterolo e trigliceridi, e quindi il rischio infarti e ictus. Ma attenzione alla cottura! L’ipotesi che l’alimentazione di tutti i giorni possa avere a che fare con l’insorgenza o, al contrario, con la prevenzione delle malattie ha attirato l’attenzione dei ricercatori già a partire dagli anni ‘40 del secolo scorso. Oggi sappiamo con certezza, grazie ai numerosi studi scientifici pubblicati sull’argomento, che esiste una precisa relazione tra dieta e insorgenza di malattie cardiovascolari e cancro. Ecco perchè, ora più che mai, la frase “siamo quel che mangiamo” rappresenta la pura verità. Tra gli alimenti che sicuramente dovremmo preferire per una sana e corretta alimentazione vi è il pesce, e in particolare quel-

lo azzurro. Per riconoscerlo, basta osservare la sua pigmentazione, ovvero blu scura a livello del dorso e argentea invece sul ventre. A questa categoria appartengono le acciughe, il pesce spada, il tonno, lo sgombro, le sardine e molti altri. Ma perchè così tanto interesse per il pesce azzurro? Semplice: perchè esso è in grado di prevenire, se consumato costantemente, lo sviluppo di diverse malattie tipiche della società industrializzata come quelle cardiovascolari. Nonostante questo tipo di pesce si distingua rispetto agli altri per essere più ricco di lipidi, la sua capacità di proteggere il cuore è dovuta alla presenza dei grassi omega-3, capaci di contrastare l’accumulo di colesterolo e trigliceridi nel sangue, prevenendo quindi la formazione di trombi e coaguli che possono causare infarti e ictus. Ecco perchè il suo consumo – in particolare se per 3-4 volte a settimana – rappresenta un vero e proprio toccasana per il nostro cuore. Attenzione però a come cucinarlo. Molte delle qualità nutritive del pesce azzurro si possono perdere in caso di cottura prolungata. Ecco quindi il nostro consiglio: un’ottima regola per calcolare il giusto tempo di cottura consiste nel misurare lo spessore massimo di un pesce e cuocere 10 minuti ogni due centimetri e mezzo. La norma vale per qualunque sistema di cottura e qualunque tipo di specie. Solo così non perderete le straordinarie proprietà nutrizionali del pesce azzurro!

There is a very close association between diet and cardio vascular illnesses and tumors. But in the fight for health, one can count on the food -allies. Among these fish and in particular, the ones which are distinguished by the color blue on their backs: anchovies, swordfish, tuna, mackerel and sardines. Their consumption prevents the accumulation of cholesterol and triglycerides, and therefore reduces the risk of heart attacks and strokes. Today we know for certain, thanks to numerous scientific studies published on the subject, that there is a precise relationship between a diet and the beginning of cardio vascular illnesses and cancer. The type of food, which is surely the one which is referred to, for a healthy and correct diet is fish, in particular oily fish. To recognize it, one has to look at the pigmentation, the dark blue on the back or the silver underneath. In this category there are anchovies, swordfish, tuna, mackerel. Oily fish is able to prevent, if eaten frequently, the development of different typical illnesses of today’s industrialized society, like cardio vascular ones. Its capacity to protect the heart is due to the presence of omega 3 fats, which are able to contrast the accumulation of cholesterol and triglycerides in the blood, preventing the formation of thrombosis and coagulation which can cause heart attacks and strokes. Be careful how you cook it. Many of the nutritional qualities of oily fish can be lost in prolonged cooking. The best rule is to calculate the time of cooking according to the size of the fish and cook ten minutes for every two and an half cms.

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“Ospitalità Italiana. Ristoranti nel Mondo”, un marchio esclusivo per proteggere le autentiche produzioni nazionali «Dicono che gli italiani siano maniaci della cucina. Che la pasta dev’essere “solo” di grano duro. Che si portano dietro i prodotti dall’Italia. Che i pomodori devono essere San Marzano, il parmigiano Parmigiano Reggiano, il basilico quello ligure Dop e l’olio, se non è italiano extravergine d’oliva, sono capaci di fare una scenata». La scena è quella della cucina di un ristorante in America. E mentre una voce fuori campo snocciola, con tanto di sottotitoli in inglese, questi tipici luoghi comuni sugli italiani all’estero, si vede un aiuto cuoco affaccendato ai fornelli a preparare un piatto di spaghetti al pomodoro. Un simpatico omone di colore, che, alla fine, solleva lo sguardo e, nel classico accento italo-americano “maccherone”, commenta il tutto con un laconico «E c’hanno ragione». È il gustoso siparietto ideato per il video spot di Ristoranti Italiani nel Mondo, il progetto internazionale promosso lo scorso anno da Unioncamere e Isnart (l’Istituto Nazionale Ricerche Turistiche del sistema camerale italiano), sulla base dell’esperienza acquisita entro i confini nazionali con il marchio Ospitalità Italiana.

Se trovate la “Q” dorata, potete fidarvi Un distintivo di qualità che, dal 1997, viene attribuito alle migliori aziende del settore turistico-alberghiero tricolore, dopo una rigorosissima selezione 14

Solo vera cucina tricolore, please fondata sul rispetto dei disciplinari stilati da Camere di Commercio e associazioni di categoria, e operata mediante severe schede di valutazione, visite ispettive e l’esame finale di qualificate commissioni provinciale, regionali e nazionali. Entrare nel ristretto club della “Q” dorata con il sigillo “quality approved” che contraddistingue il marchio Ospitalità Italiana, è insomma, per le attività ricettive italiane, una specie di laurea con 110 e lode. Un contrassegno esclusivo di qualità e professionalità, a prova di bomba. Tanto che dopo 13 anni spesi su e per giù per lo Stivale a certificare i livelli di eccellenza raggiunti da quasi 6.000 aziende, 2.228 alberghi, 2.274 ristoranti, 892 agriturismi e 523 tra campeggi, B&B e stabilimenti balneari di 90 province, nel 2011 Unioncamere e Isnart – in collaborazione con i Ministeri degli Esteri, dello Sviluppo Economico, delle Politiche Agricole, dei Beni Culturali e del Turismo – hanno puntato a espandere a tutto il globo il loro sistema di autenticazione della qualità, nell’obiettivo di aiutare anche oltreconfine il riconoscimento dei “veri” ristoranti italiani e difendere così il Made in Italy e la tavola del Bel Paese dal dilagare dei tentativi di contraffazione.

Contro chi lucra sull’italian sounding Di fakes, marchi alterati o taroccati e ladri di etichette, il panorama mondiale dell’enogastrono-


Only the real Italian cuisine please Italian Hospitality. Restaurants in the world, an exclusive brand to protect authentic Italian traditions on the table “Ospitalità Italiana. Restaurants in the world is an international project, which was promoted last year by Unioncamere e Isnart (l’Istituto Nazionale Ricerche Turistiche del sistema camerale italiano) based on the experience using the brand “Italian Hospitality”, abroad.

IF you find the gold plated “Q”, you can trust it. Una veduta del ristorante italiano Grissini di Hong Kong vincitore della targa con la “Q” dorata

mia abbonda, si sa. E a farne le spese, più di ogni altro, è proprio il made in Italy. Nei ristoranti stranieri che cercano di adescare clienti offrendo (falsamente) “cucina italiana” si è stimato che solo 1 prodotto su 8 è davvero autenticamente italiano. Il mercato estero dei falsi d’autore spacciati per italiani ha persino un nome, italian sounding, (“prodotti che suonano italiani”) e un fatturato che solo per quanto riguarda i Paesi del Nord America si attesta su cifre da capogiro: 24 miliardi di euro nel 2011. Una concorrenza sleale che soffrono fortemente anche i gestori dei ristoranti italiani all’estero, sempre più assediati e circondati da catene o singoli locali i quali, pur non essendo di casa nostra, si promuovono subdolamente come “italiani” inserendo nei menù ricette e prodotti italian sounding. Prima di ideare e lanciare il nuovo progetto, ribattezzato “Ospitalità Italiana Ristoranti nel Mondo,” Isnart ha effettuato approfonditi studi e indagini finalizzati a capire quale potesse essere la contromossa più efficace ad arginare il fenomeno dei falsi. Da lì è nata l’idea di certificare e premiare con

un marchio di garanzia e affidabilità i “veri” ristoranti tricolore che servono, appunto, la “vera” pasta di grano duro, i “veri” pomodori San Marzano e il “vero” Parmigiano Reggiano richiamati dallo spot. Indirizzi sicuri dove si può mangiare veramente italiano a Madrid, come a San Francisco, a Tokyo o a Johannesburg.

Oltre 1000 ambasciatori del gusto tricolore Il marchio “Ospitalità Italiana - Ristoranti nel Mondo” è diretto a loro, ai ristoranti disseminati in tutto il pianeta ma che conservano ancora intatta la loro “italianità”, offrendo i sapori, la genuinità, la freschezza e le materie prime made in Italy ma anche la conoscenza, la cultura, la professionalità e l’accoglienza del servizio, lo stile nell’ambiente. In sostanza, gli autentici ambasciatori del gusto italiano all’estero. «La gastronomia e i nostri prodotti tipici sono un’arma davvero speciale, capace di richiamare sempre l’attenzione dei turisti oltreconfine e quindi promuovere l’Italia all’estero come pochi altri – spie-

A mark of quality, which, since 1997 has been given to the best companies in the sector of Italian tourism – hotels. After a rigorous selection based on a set of rules, stipulated by the Chamber of Commerce and associations in the category, with not only strict evaluation criteria, inspections but also a final exam set by qualified provincial, regional and national commissions. To enter in Q, the exclusive club of the gold plated “quality approved” displaying the brand Italian Hospitality, the selection was hard and it became a kind of degree award, a certification of top class quality and professionalism. After 13 years, Italy can boast almost 6.000 companies in 90 provinces, 2.228 hotels, 2.274 restaurants, 892 farmhouses and 523 among campsites, B&B and seaside bathing facilities. In 2011 Unioncamere and Isnart in collaboration with the Foreign Ministry, Economic Development, Agricultural Policies and the Ministry of Culture and Tourism focused on expanding this system of certification around the globe as a kind of authentication of quality. In this way they could foster recognition of “real “ Italian restaurants abroad and also defend the “Made in Italy” brand and deter attempts to adulterate Italian cuisine.

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Against exploitation of the use of “Italian sounding” The global market of food and drink gastronomy is full of imitations, adulterated, altered brands and stolen labels. And the “made in Italy” brand, more than others, really takes its toll. In foreign restaurants, clients are attracted by being offered ( falsely)“ Italian cuisine”. In fact it is estimated that only 1 product in 8 is really Italian. The foreign market of imitations sold as Italian has even a name, Italian sounding, in other words, a product which sounds Italian. The turnover of this market, only in North America was the incredible sum of : 24 billion euro in 2011. Unfair competition, hits the owners of Italian restaurants abroad badly, as they are always more and more surrounded by chains or single outlets, which are not from Italy, but all the same, they subtly promote “ like Italian”, putting “Italian sounding products.” in their menus and recipes. The idea of certifying and awarding a mark of guarantee and reliability of “real” Italian restaurants which serve the “real” San Marzano tomatoes and the “real” Parmigiano Reggiano as in the advertisement. Addresses where you can be sure of eating real Italian food in places like Madrid to San Francisco to Tokyo or Johannesburg.

More than 1000 Italian ambassadors The brand “Italian Hospitality – Restaurants in the world” is aimed at the restaurants in all

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the world, which still have the authenticity of being “Italian”, offering genuine tastes and flavors and most of all the freshness of the base products which are made in Italy. And not only that, they have the knowledge, culture, professionalism, service and hospitality and the style of the ambience. In other words they are authentic ambassadors of Italian tastes abroad. “The gastronomy and our typical products are a real “value added” and in this way they attract many tourists from abroad and Italy has become world famous in this field, like no other - explains Giovanni Antonio Cocco, General Director of Isnart – Italian restaurants, which are spread in every corner of the world have enormous potential in the promotion of the Italian brand. The project was born with the aim of enhancing the image of Italian restaurants abroad which guarantee and respect the standard and typical quality of Italian Hospitality, creating a network which will help to realize and foster promotional events (tourism, agricultural products) and develop and promote Italian agro-food and give more value to the gastronomy culture. Its objective is to protect the Italian brand and its extraordinary territory. In the interest of everyone, to deter imitations and adulteration, which in the long term will impact on the economy and tourism here in Italy. During 2011, the Chambers of Commerce who joined in the project, collected 1.130 candidatures in 44 countries, and soon they will be able to discover thousands of other “authentic” Italian restaurants which aspire to have this special Italian certification.

ga in proposito Giovanni Antonio Cocco, direttore generale Isnart – e i ristoranti tricolore sparsi ormai in ogni angolo del mondo hanno grandissime potenzialità in tal senso. Il progetto nasce dall’esigenza di valorizzare l’immagine dei ristoranti italiani all’estero che garantiscono il rispetto degli standard di qualità tipici dell’Ospitalità Italiana, creare una rete che consenta la realizzazione di eventi promozionali (turismo, prodotti agricoli), sviluppare e promuovere le tradizioni dei prodotti agroalimentari italiani e valorizzarne la cultura gastronomica. In una parola: tutelare il brand Italia e il suo straordinario territorio. Nell’interesse di tutti è mettere al bando chi lucra sul falso, portando risultati positivi anche all’economia e al turismo di casa nostra». Nell’arco del 2011, le Camere di Commercio aderenti al progetto hanno raccolto 1.130 candidature in 44 Paesi, e presto contano di riuscire a intercettare altre migliaia di “autentici” ristoratori tricolore che ambiscono ad avere questo speciale marchio dell’italianità. Basta un click sul portale www.10q.it per trovare quanto di meglio offre, in qualsiasi punto del globo, la ristorazione Made in Italy. Quella “vera”, ovviamente.


Nella pagina precedente la Masseria San Domenico, struttura vincitrice della V edizione del premio Ospitalità italiana e, a destra, la premiazione. Sotto Ospitalità Italiana sbarca anche a Bangkok. In questa pagina, da sinistra, Ferruccio Dardanello e Giovanni Antonio Cocco

Il meccanismo di certificazione La certificazione dei ristoranti avviene nel modo seguente: alla base di tutto c’è il disciplinare. Le CCIE si adoperano per informare i ristoranti e raccogliere le candidature. I ristoranti candidati vengono visitati da una persona della CCIE che compila la scheda di valutazione e raccoglie il materiale necessario alla candidatura (principalmente fotografie). Il materiale viene quindi inserito in un sistema intranet disegnato da Isnart. Non appena il materiale è completo, la Segreteria effettua l’istruttoria. L’istruttoria termina con la compilazione di un documento dove è evidenziato in modo sintetico il rispetto dei requisiti del disciplinare: ad esempio vengono fisicamente contati i vini presenti nella carta dei vini e viene calcolata la percentuale (>30%). Terminata l’istruttoria, il materiale viene reso disponibile per i Componenti del Comitato di Valutazione che, individualmente, valutano con un colore la posizione del ristorante e aggiungono eventuali note. Il Comitato di Valutazione viene convocato dal Presidente Giancarlo Deidda, discute le posizioni e certifica i ristoranti e ove necessario può chiedere alle CCIE di approfondire alcuni aspetti. Una volta certificati i ristoranti sono visibili in internet e su iPhone/iPad. A ogni ristorante certificato vengono consegnati una targa e un attestato. Il Comitato di Coordinamento è il massimo organo di governo del progetto e defini-

sce e aggiorna il disciplinare. È composto delle seguenti persone in rappresentanza delle rispettive organizzazioni: Giuseppe Tripoli-Celi (Ministero dello Sviluppo Economico), Eugenio Magnani (Ministero del Turismo), Matteo Scibilia (Consigliere del Ministro Beni e Attività Culturali), Francesco Maria Accolla (Consigliere Ministero Affari Esteri), Riccardo Deserti (Ministero Politiche Agricole Alimentari e Forestali), Ferruccio Dardanello (Unioncamere), Maurizio Maddaloni (Isnart), Nino Esposito (delegato Assocamerestero), Francesco Postorino (Confagricoltura), Toni De Amicis (Direttore della Fondazione Campagna Amica di Coldiretti), Marina Cencioni (Dirigente dell’Ufficio Studi e Marketing dell’Enit), Lino Stoppani (Fipe), Giuseppe Cornacchia (Presidente Associazione “Agricoltura è Vita” della Cia), Gian Domenico Auricchio (Federalimentare) e Marcello Masi (Stampa Agroalimentare Italiana). Il Comitato di Valutazione si occupa di applicare il disciplinare e certifica i ristoranti candidati. È così composto: Giancarlo Deidda (UnionCamere), Franco Vaccaro (Assocamerestero), Palma Esposito(Confagricoltura), Rolando Manfredini (Coldiretti), Marco Bruschini (Enit), Luciano Sbraga (Fipe), Tommaso Buffa (Cia) ed Enrico Marchetti (Federalimentare). La Segreteria del progetto si occupa del governo dell’intero progetto ed è affidata per intero a Isnart.

How the certification works The certification of the restaurants comes about in this way: the basic framework is the set of rules. The CCIE (Chambers of commerce) is responsible for informing their restaurants and collecting the candidatures. The restaurants, then are visited by a person from the CCIE, who then completes an evaluation form and collects the material which is necessary for the candidatures (mainly photographs). The material is then inserted in an Intranet system designed by Isnart. As soon as the material is completed the secretary carries out a preliminary investigation. This terminates with the completion of a document where there is a procedure that the stipulated set of rules has been respected :for example the wines present on the wine list are counted and a percentage is calculated (>30%). When the preliminary investigation has been completed, the material is sent to the members of the Evaluation Committee, who individually evaluate using a color, the position of the restaurant and then the other details are added.. There is a meeting with the Evaluation Committee and the President Giancarlo Deidda, who discusses the position and certifies the restaurant and where necessary, may ask the CCIE to investigate further. Once the restaurant is certified it is visible on Internet and on iPhone/ iPad. Every restaurant, which is given the certification receives a plaque and a certificate.

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Intervista a Ferruccio Dardanello Se Isnart è il braccio operativo di “Ospitalità Italiana - Ristoranti nel Mondo”, il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, ne è certamente l’anima. Piemontese doc, con natali a Mondovì, 67 anni, commerciante di professione ma da sempre votato alla carriera politica dentro le istituzioni della sua categoria, Dardanello dal 1993 presiede la Camera di Commercio della provincia di Cuneo e dal giugno 2009 è alla guida di Unioncamere nazionale, dopo una sfilza di incarichi in Confcommercio e in altri enti prestigiosi del mondo economico italiano, e numerose onorificenze tra cui quella di Grande Ufficiale della Repubblica Italiana. Un elegante e distinto signore la cui aria sobria e la moderatezza dei toni non devono trarre in inganno: dietro questa coltre di pacatezza c’è una forma mentis estremamente pragmatica che si traduce in quella “cultura del fare” che da sempre è la filosofia di fondo della sua vita. E’ stato lui il trait-d’union tra istituzioni e aziende, capace di costruire le collaborazioni e le infrastrutture necessarie a supportare il progetto sulla certificazione della ristorazione tricolore. Un’iniziativa che il presidente di Unioncamere, peraltro, aveva ideato e già avuto modo di mettere in pratica nel 2006 in provincia di Cuneo, assegnando le targhe “di qualità” alle strutture certificate sul territorio. Oggi, per Dardanello, il marchio della “Q” dorata non è solo uno degli strumenti più efficaci per tentare di sanare la piaga dell’italian sounding, ma anche un ulteriore vettore per promozionare nel mondo l’immagine stessa - un pò offuscata, di questi tempi - del made in Italy e dello straordinario patrimonio di aziende che il Belpaese può vantare.

Presidente, dal suo osservatorio privilegiato, che giudizio può dare sul momento che sta vivendo l’Italia? «La sfiducia che si è abbattuta sui debiti sovrani europei è con tutta evidenza una crisi sistemica, che nulla ha a che vedere con l’economia reale. Il nostro tessuto produttivo costituito da milioni di piccole e picco-

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Ferruccio Dardanello, presidente Unioncamere

lissime aziende, nonostante le difficoltà, continua a essere sano e vitale. Certo il battito cardiaco appare rallentato, ma gli italiani continuano a mostrare coraggio e a credere nell’impresa. Perché noi, l’impresa ce l’abbiamo nel DNA. Lo dimostrano quei 200 mila connazionali che quest’anno si accingono per la prima volta ad aprire un’attività. Nuove forze capaci di iniettare idee fresche nel nostro sistema produttivo, visto che a scommettere sono per la metà giovani al di sotto dei 35 anni. Ma non bisogna nascondersi dietro un dito, le difficoltà non mancano. Tirare su la saracinesca non è sufficiente. Bisogna anche tenerla aperta. Gli imprenditori stanno facendo la loro parte, tuttavia senza un contesto favorevole al fare impresa la strada per lo sviluppo è in salita».

Quali sono le prossime sfide che attendono le Camere di Commercio? «Semplificazione, internazionalizzazione, accesso al credito, innovazione. Sono queste le parole d’ordine dalle quali non si può prescindere per dare ossigeno al nostro sistema imprenditoriale. E dunque proprio su questi fronti si sta concentrando l’impegno delle Camere di Commercio per accompagnare le nostre imprese.


Internazionalizzazione: quali sono le prospettive? «Con una domanda interna ferma al palo, le imprese devono saper guardare oltre confine per vedere aumentare le opportunità di crescita del proprio business. Oggi sono solo 200 mila le aziende italiane che esportano all’estero, poche operano in maniera stabile sui mercati stranieri. È necessario perciò aiutare un numero crescente di imprese ad affacciarsi sui mercati internazionali e a mettervi radici. Occorre stimolarle a lavorare in rete, per fare massa critica ed essere più competitive. Il Sistema camerale è impegnato su tutti questi temi. Siamo promotori di un intenso programma di iniziative per supportare le PMI a fare affari in terra straniera. Uno sforzo che ci auguriamo possa essere reso ancora più efficace con lo sviluppo di una strategia nazionale in materia. Obiettivo che oggi sentiamo più vicino, grazie agli interventi annunciati dal Governo di riorganizzazione degli strumenti per la internazionalizzazione, dell’Ice e di una cabina di regia della quale farà parte Unioncamere. E per aumentare il ricorso alle reti di impresa abbiamo già sottoscritto diversi accordi con il mondo istituzionale e associativo».

Facciamo il punto sul comparto agroalimentare... «L’agroalimentare italiano è senz’altro il miglior biglietto da visita per presentare all’estero quanto di bello e di buono la nostra terra sa esprimere. E per questo pensiamo che, insieme al turismo, costituisca un asset strategico per lo sviluppo del nostro sistema-paese. Un eccezionale patrimonio di ricchezza che, come tale, va adeguatamente valorizzato per promuovere il made in Italy sui mercati globali. Tanto più che in questo momento, come dicevo, è proprio l’export a costituire per il tessuto imprenditoriale tricolore la chiave per crescere e consolidarsi sui mercati. Il progetto “Ospitalità Italiana. Ristoranti nel Mondo” va proprio in questa direzione per portare sulle tavole straniere un pezzo della nostra straordinaria Italia».

Interview with Ferruccio Dardanello If Isnart is the operational side of “Italian Hospitality – Restaurants in the World” then Ferruccio Dardanello, President of Unioncamere, is certainly the heart and soul of it. He has presided over the Chamber of Commerce in the province of Cuneo since 1993 and has been at the Head of the National Unioncamere since June 2009 after different roles in Confcommercio and other prestigious associations in the Italian economic sphere. The trait-d’union between institutions and companies, was put together by him and this has built the necessary infrastructure and collaboration in order to support the project of certification for Italian restaurants. Today, the gold plated “Q” brand is an added driver to promote the image of “made in Italy” and the extraordinary patrimony of companies that Italy can boast about, even if it is a somewhat foggy image in this period. President, how would you describe this moment which Italy is undergoing? «The lack of trust which has been created because of the European national debts and which is creating a systematic crisis, does not reflect the real economy in Italy. Our productive structure is made up of millions of small and tiny companies, which notwithstanding the difficulties, continued to be healthy and contribute to the economy. The Italians continue to be courageous and really believe in companies, because of the fact that we are essentially entrepreneurs and it is in our DNA. This is demonstrated by the 200 thousand Italians who this year have tried, for the first time, to open an activity. Of course the difficulties are there, however even if the context is not favorable, there is still space for development. Which are the next challenges for the Chamber of Commerce? Simplification, internationalisation, access to credit, innovation. These are some of the most important words which will give a breath of fresh air to our entrepreneurial sector, in fact the Chamber of Commerce is working on this and is totally committed to help our companies along the pathway to growth. Red tape, however still remains an unbearable burden for our companies. Internationalization: what are the prospects? Companies have to look further afield outside Italy to increase opportunities of growth of their business. Today there are 200 thousand Italian companies which export abroad, few export however on a ongoing basis. It is therefore necessary to help the growing number of companies which want to internationalize to put down their roots. It is important to encourage them to work online. Taking stock of the agro-food sector… Italian agro-food is the perfect business card to introduce ourselves abroad, all the wonderful and delicious produce that we cultivate on our land. This is why, together with tourism, it constitutes a strategic asset for the development of our system - country. An exceptional patrimony of wealth which should be enhanced to promote Made in Italy in global markets.

Per saperne di più: www.10q.it - www.premiospitalita.it - www.isnart.it

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La cucina italiana che fa scuola Sulle colline del Monferrato c’è un prestigioso istituto culinario dove ingredienti e ricette sono rigorosamente italiani, ma dove studiano anche, anzi soprattutto, gli stranieri. È l’Icif: qui si impara a preparare a regola d’arte i piatti tricolore e si insegna agli estimatori della nostra enogastronomia a riconoscere, anche a migliaia di km dall’Italia, i suoi autentici e inimitabili sapori 20

Si chiama Icif (Italian Culinary Institute for Foreigners), l’Istituto di Cucina, Cultura ed Enologia Italiana che da 15 anni ha sede nel castello di Costigliole d’Asti. Il progetto è partito da Torino nel 1991: grazie a un finanziamento del Ministero dell’Agricoltura fu infatti organizzato il primo Master di Cucina Italiana, frequentato da 30 cuochi statunitensi. Un’idea che ha attirato l’attenzione degli esperti del settore agroalimentare di tutto il mondo. Nel 2004 la sede italiana non bastava più e l’Icif ha aperto anche due sedi all’estero. Una nella Regione di Rio Grande do Sul, a Flores da Cunha, nata in collaborazione con l’Università di Caxias do Sul. La seconda a Shanghai, nel campus universitario. E non solo: un paio d’anni dopo, l’Italian Culinary Institute for Foreigners ha aperto una piccola scuola anche a Seoul, nella Corea del Sud. A Castigliole, intanto, accanto alle aule attrezzate con i più sofisticati impianti per una moderna attività didattica, sono state allestite un’enoteca e un’elaioteca. A fianco c’è una modernissima sala degustazione. Questo perché l’Icif sa che per insegnare la cucina italiana non si può fare a meno di usare prodotti originali e autentici. Ma da dove vengono gli studenti che si formano nell’Istituto? In questi anni la scuola ha diplomato allievi da tutto il mondo, da Australia, Bermuda, Brasile, Canada, Cina, Cipro, Corea, Filippine, Germania, Giappone, Hong Kong, India, Israele, Libano, Messico, Perù, Russia, Stati Uniti, Singapore, Svezia, Thailandia, Taiwan, Venezuela e, ovviamente, dall’Italia. C’è poi una rete di uffici di rappresentanza dell’Istituto, che si estende in 38 paesi fra Europa, Asia e America. È così che gli studenti vengono a conoscenza di questa opportunità. Tra i corsi proposti, ricordiamo il Master in cucina ed enologia delle regioni d’Italia (180 giorni) e l’analogo Corso breve (90 giorni); il Corso di abilitazione professionale per la figura di sommelier (3 settimane); i Corsi tematici sulla cucina italiana (una settimana) e gli Educational tour, pensati per non


Foto di Luigi Bertello

Italian cuisine becomes a school

Qui sopra una lezione pratica di degustazione dell’olio d’oliva

professionisti italiani e stranieri. Ma anche per i professionisti interessati a scoprire una particolare zona enogastronomica (3-6 giorni); e i Corsi amatoriali di cucina. Il corpo docente è formato da professionisti qualificati, insegnanti di istituti alberghieri, giornalisti, tecnici ed esperti, chef (che aderiscono all’associazione Giovani Ristoratori d’Europa e all’associazione Stelle del Piemonte) e sommelier di fama internazionale. Tengono le loro lezioni in italiano, affiancati da un interprete che traduce nella lingua degli studenti stranieri.

Saranno famosi… Alcuni degli ex allievi dell’Icif sono diventati veri e propri “nomi” della cucina internazionale. Qualche esempio virtuoso. • Chen Shiqin, cinese, dopo la scuola ha lavorato nel famoso ristorante Antica corona reale di Cervere (Cn), due stelle Michelin, con lo chef Gian Piero Vivalda. Oggi Chen Shiqin è lo chef del restaurant La Rei, stellato Michelin, all’interno del Boscareto Resort (Serralunga d’Alba - Cn). • Pier Paolo Picchi, brasiliano, ha aperto la Trattoria Picchi a San Paolo del Brasile, e sta ristrutturando un nuovo locale che si chiamerà Ristorante Picchi. La sua trattoria è considerata dai critici gourmand un tempio della cucina italiana autentica. • Fabio Sicilia di Belem do Parà (Amazzonia) è il proprietario del ristorante Dom Giuseppe, premiato per il quarto anno consecutivo come il Miglior Ristorante Italiano della città, con la migliore lista di vini (Best Wine List).

It is called Icif(Italian Culinary Institute for Foreigners), the Italian Institute of Cooking,Culture and Oenology, which for 15 years has been based in the castle of Costigliole d’Asti. In 1991, the project began in Turin. thanks to a financing project by the Ministry of Agriculture, which organized the first Master in Italian cooking and which was attended by 30 cooks from the US. The idea was a success, almost from the beginning and caught the attention of the experts in the field of agriculture and food in all the world. Shanghai Lingang Science and Technology School. In 2004 the Italian headquarters was not big enough and Icif opened also two branches abroad in the south of Brazil and in China. One in the region of Rio Grande do Sul, in Flores da Cunha,in a joint venture with the University of Caxias do Sul. the second in Shanghai, in the university campus Shanghai Lingang Science and Technology School. A few years after the Italian Culinary Institute for Foreigners opened a small school in Seoul, in South Korea. Meanwhile in Costigliole the project went ahead: well equipped classrooms with the most sophisticated didactic methods, a wine cellar and an olive oil display where some of the best Italian producers exhibited their products. Over the years students have graduated from the school coming from all over the world ( Australia, Bermuda, Brasile, Canada, Cina, Cipro, Corea…) and obviously from Italy. There is also a network of offices representing the Institute which are located in 38 countries including Europe, Asia and America. In this way the students are able to find out about this opportunity. Icif main courses are: Master in cooking and oenology of Italian regions (180 days - 90 days for the Short course); Course of professional training for the position of sommelier (3 weeks); Themed courses on Italian cooking (1 week); Educational Tour aimed at non professional Italian and foreigners, but also for professionals interested in discovering a particular wine and food area (3-6 days); Amateur cooking courses.

They will be famous Some of the ex students of Icif have become famous on an international level, some of these are: • Chen Shiqin (Chinese) chef in the restaurant Michelin starred La Rei, inside the Boscareto Resort (Serralunga d’Alba – Cn) • Pier Paolo Picchi, Brasilian, has opened the Trattoria Picchi in San Paolo of Brazil and is renovating a new place which will be called Ristorante Picchi. His trattoria is considered by gourmet critics as a “shrine” of real Italian cuisine. • Fabio Sicilia of Belem do Parà (Amazzonia) is the owner of Restaurant Dom Giuseppe, which has received the award of Best Italian restaurant in the city for the fourth year running, with the best Wine List.

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Missione Corea per l’Italia “del gusto”

Samsung, Hyundai, Lg: i brand coreani sono entrati massicciamente nelle nostre vite. E adesso anche l’Italia guarda al 38° parallelo con la giusta attenzione verso un’economia crescente che offre grandi opportunità di business. L’Expo di Yeosu è quindi la vetrina ideale per mettere in mostra le nostre eccellenze. Quali? Ovviamente quelle del food&wine 22

Un tempo Corea, nell’immaginario collettivo italiano, era solo sinonimo di “vergogna calcistica nazionale”. Come scordare il fino ad allora sconosciuto dentista nordcoreano Pak Doo Ik che ai mondiali del ’66 fece piangere l’Italia intera, buttando fuori a sorpresa, con un suo gol, la nazionale azzurra dei celebratissimi Rivera, Mazzola e Bulgarelli? Da allora, però, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. La Corea è sempre divisa in due dal 38° parallelo voluto dagli alleati dopo la Seconda Guerra Mondiale e tra i due stati (il Nord comunista e filocinese e la democrazia capitalistica filoamericana della Corea del Sud) continua a


Visit to Corea by Italia “del gusto”

non correre buon sangue, ma oggi, a forza di hightech, automobili ed elettrodomestici, i coreani – quelli del Sud, almeno – si sono ritagliati tutto un altro ruolo (e tutto un altro peso) nella nostra società. Tanto che oggi, almeno 4 italiani su 10 possiedono un telefonino di marca Samsung,guidano una Hyundai o una Kia e hanno in casa un frigorifero Lg. Il made in Korea, insomma, è entrato in forma massiccia nella vita di ognuno di noi, e la stessa comunità internazionale da tempo deve fare i conti con un paese il cui comparto produttivo continua a crescere a doppia cifra e a dettare legge sui mercati, anche in tempi di recessione mondia-

Il Ristorante Puccini-Ospitalità Italiana è gestito da un’associazione temporanea di imprese, formata dal gruppo Icif (Italian Culinary Institute for Foreigners), dal Marachella Gruppo e dal ristorante Le Quattro Stagioni d’Italia di Saluzzo. A coordinare il tutto è invece l’imprenditore Piero Sassone (in foto), l’uomo che ha condotto tale gruppo di aziende all’aggiudicazione di questa prestigiosa commessa per mezzo della quale il made in Italy agroalimentare è ancora una volta protagonista di primo piano in Asia. A dominare la scena, in quest’occasione, sono i menù tipici regionali del Bel Paese, ottenuti attraverso l’utilizzo di alimenti Igp e Dop, abbinati all’ampia gamma di vini Igp, Doc e Docg: un insieme di pochi e selezionati brand di assoluto valore, assurti oramai a simbolo della cucina e dell’enologia italiana nel mondo. Le aziende scelte possono fregiarsi della qualifica di Fornitore ufficiale del Ristorante Puccini Expo 2012, vedere i propri prodotti segnalati e valorizzati sui menù del ristorante Italiano a Yeosu e nei ricettari che saranno distribuiti per tutta la durata della manifestazione, partecipare al work shop interattivo con la Hyundai Green Food, la più importante catena di catering coreana (40 mila pasti al giorno, oltre 10 milioni all’anno), fortemente interessata a inserire materie prime italiane nei propri menù. Ma non solo: attraverso la partecipazione al Padiglione Italia all’Expo di Yeosu, le imprese dell’italian food hanno l’occasione di avviare trattative dirette per sbocchi commerciali in Corea. Uno Hyundai Green Food Day sarà poi organizzato anche in Italia presso la sede dell’Icif entro la fine dell’anno; nel corso della giornata, i prodotti dei fornitori ufficiali del Ristorante Puccini saranno presentati dalle stesse aziende e interpretati dai migliori cuochi della scuola di cucina.

Samsung, Hyundai, LG: Korean brands are an important part of Italian life. However at this present moment, even Italy is focusing on the 38th parallel and its growing economy and the many opportunities it presents, with an eye to doing business there. The Expo of Yeosu is therefore the perfect showcase to display what we most specialize in. Which is? Obviously food and wine. But today with their high tech, cars and domestic appliances, the Koreans- those of South Korea, at least- play an important part in our society and have a large share of the market. To quote just a few figures, at least 4 out of 10 Italians has a Samsung branded telephone, drive a Hyundai or a Kia and also have a Lg fridge. Made in Korea, in effect, has become a massive part of our daily life in the Western world and as Westerners, we have had to come to terms with the fact that it is a country with double digit growth, together with a strong influence in the market, even in times of global recession. In Seoul, people speak about everything, apart from the “crisis”. At the worst, they worry only about a slight decline, which would not seem to change the upward growth trend in South Korea. Thanks to the “chaebol”, the industrial conglomerates financed by the government, which have become industrial giants and the capacity to produce global brands, like Samsung (which in the worldwide categories of “consumer products” recently has been ranked in first place leaving behind Nestlé, Panasonic, Procter & Gamble, Sony and Apple). But also, thanks to a hardworking and proud population, who have not been stifled by their military minded cousins of North Korea, nor by their cumbersome Chinese and Japanese neighbours. They have managed in the last 20 years, to maintain such high

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panorama news

Per assicurarsi un grande ritorno di immagine e di mercato anche dopo l’Expo, il Ristorante Puccini ha scelto, come fornitori delle derrate alimentari, aziende che possano garantire e confermare la qualità, il fascino e la professionalità che il mondo riconosce e si aspetta dall’Italia

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le. A Seoul, insomma, di tutto si parla tranne che di “crisi”. Al massimo, ci si preoccupa di qualche leggera, impercettibile flessione che tuttavia non intacca di una virgola il pazzesco trend ascendente sudcoreano. Merito dei chaebol,le conglomerate industriali sudcoreane finanziate dal governo e diventate colossi capaci di produrre brand globali come appunto Samsung (che nella categoria planetaria dei “consumer product” di recente è balzata al primo posto precedendo Nestlè, Panasonic, Procter & Gamble, Sony e Apple) ma anche di una comunità operosa e orgogliosa che non s’è fatta strozzare dai bellicosi cugini del Nord né dagli ingombranti vicini cinesi e giapponesi ed è riuscita, negli ultimi 20 anni, a mantenere standard di sviluppo tali da farla uscire dal novero dei paesi “developing” per farla entrare, di diritto, in quello degli industrializzati “maturi” con un Pil di 1.600 miliardi di dollari, il dodicesimo del pianeta. Un’economia che cresce dunque a ritmi esponenziali, e alla quale anche l’Italia adesso guarda con sempre più attenzione come a una nuova potenziale frontiera del business. Il premier Mario Monti, non a caso, è stato di recente in visita in Sud Corea e le cronache del nostro Paese registrano quotidianamente il moltiplicarsi di meeting e contatti tra business-men coreani e soggetti pubblici e privati del Bel Paese.

standards of development, that they have been able to move away from the category of “developing” countries to join the industrialized “mature” ones with a GDP of 1600 billion $, by becoming the twelfth industrial nation in the world. An economy which is growing at an incredible rate and which Italy is paying more and more attention to, as a new potential source of business. The Italian news on a daily basis, speaks more frequently about the growing number of meetings and contacts with Korean businessmen in the public and private spheres in Italy. This year South Korea will experience another moment of international splendor, thanks to the Universal Exhibition which will take place in Yeosu. A global showcase which will contribute to more visibility by attracting many viewers from all around the world. – Coasts and Oceans which are alive”: this is the theme of the celebrations, which for three months will focus on themes like the exploitation of the sea, the destruction of the marine ecosystem and the need to bring about a new equilibrium between science and nature. In the exhibition of Expo Korea 2012, one can visit stands of the participating Countries on the waterfront of Yeosu, facing the island of Odong-do. There is naturally a piece of Italy. or rather the Italian stand, a sort of showcase of Italian excellence, with a particular emphasis on wine and food. An important part of the stand is in fact dedicated to catering. The Ristorante Puccini-Ospitalità Italiana has the task of developing and promoting the traditions of national agriculture and food, bringing out the Italian wine and food culture and also has the mission of consolidating the image of our catering industry abroad, by guaranteeing the high standards and the quality of Italian hospitality.


Ristorante Puccini: il gotha dei sapori made in Italy Tanto più che quest’anno la Corea del Sud sta vivendo un ulteriore momento di fulgore internazionale, grazie all’Esposizione Universale che, a partire dal 12 maggio, si sta svolgendo a Yeosu, per concludersi in agosto. Una vetrina mondiale che contribuirà ad attirare ancora di più i riflettori di tutto il mondo. The Living Ocean and Coast – Costa e Oceani che vivono: questo il tema della kermesse che per tre mesi punta l’attenzione su temi come lo sfruttamento del mare, la distruzione dell’ecosistema marino e la necessità di instaurare nuovi equilibri tra scienza e natura. Nell’area espositiva di Expo Corea 2012, che vede installati i padiglioni dei Paesi partecipanti nel water-front di Yeosu affacciato sull’isola di Odong-do, si trova, naturalmente, anche un pezzo d’Italia. Ovvero il Padiglione Italia, una sorta di show-room dell’eccellenza italiana, incentrato in particolare sull’enogastronomia. Parte integrante del padiglione è infatti l’area dedicata alla ristorazione con il Ristorante Puccini–Ospitalità Italiana che ha il compito di sviluppare e promuovere le tradizioni dei prodotti agroalimentari nazionali, valorizzare la cultura enogastronomica tricolore e consolidare l’immagine della nostra ristorazione all’estero garantendo il rispetto degli standard di qualità dell’ospitalità italiana, appunto.

Presso il Ristorante Puccini-Ospitalità italiana a Yeosu, a dominare la scena sono i menù tipici regionali del Bel Paese, ottenuti attraverso l’utilizzo di alimenti Igp e Dop, abbinati all’ampia gamma di vini Igp, Doc e Docg

Ristorante Puccini-Ospitalità Italiana is managed by a temporary Association made up of different companies, formed by the group Icif (Italian Culinary Institute for Foreigners), by the Marachella Group and the Restaurant Quattro Stagioni d’Italia of Saluzzo. To coordinate all of this, the entrepreneur Piero Sassone, - who has been able to put together such a diverse group of companies to participate in this prestigious event, where “Made in Italy” food and drink has again become such an important protagonist in Asia. Dominating the scene on this occasion are the typical regional menus of Italy, combining Igp and Dop products, along with a wide range of Igp, Doc and Docg wines: a blend of few but highly selected brands of absolute value, which have become symbols of haute cuisine and of Italian oenology in the world. The chosen companies are given the title of official

supplier of Ristorante Puccini Expo 2012, together with an ample description of the qualities of their products on the menu of the Italian restaurant in Yeosu. These products will also be on the recipes to be distributed during the exhibition and they will also be able to participate in the Hyundai Green Food interactive workshop, the most important Korean catering chain. By participating on the Italian stand at the Yeous expo the Italian food companies will have the opportunity to start direct negotiations with commercial enterprises in Korea. A Hyundai Green Food Day will be organized also in Italy at the headquarters of Icif before the end of the year and during the day the products of the official suppliers of the Puccini restaurant will be introduced to the same companies and also be used by the best chefs in the cooking school.

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Made in Italy in vetrina anche in Olanda Dallo scorso aprile il meglio dell’Italian Style ha piantato la sua bandiera a Venlo, in Olanda, nella World Horticultural Expo, meglio nota come Floriade. Ne abbiamo parlato con l’ambasciatore Claudio Moreno

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Quello del nostro Paese a Floriade è un vero e proprio debutto: mai prima d’ora infatti, il “sistema Italia” aveva partecipato alla manifestazione di Venlo

In apertura: il padiglione Italia presso Floriade 2012. Questa prestigiosa vetrina è suddivisa in 7 settori grazie ai quali viene fatto il punto sulle eccellenze italiane in ambito di gusto (come le tipicità regionali e la dieta Mediterranea), di ambiente ed economia “verde”

Dal cuore del Vecchio Continente al Sud Est asiatico, dai Paesi Bassi alla Corea, la “promotion strategy” del made in Italy nel mondo non sembra conoscere soluzione di continuità, in questo convulso ma stimolante anno 2012. Prima ancora di sbarcare a Yeosu, nella penisola coreana, per l’Esposizione Universale dedicata alla vita degli oceani, il meglio dell’Italian Style, dal mese di aprile, ha già piantato infatti la sua bandiera a Venlo, in Olanda, nella World Horticultural Expo, meglio nota come Floriade, altro evento fieristico di portata mondiale (che si tiene ogni 10 anni) e che per quest’edizione è incentrato sul tema dell’orticultura e del “Living nature!”: la natura cioè come esperienza da vivere, non solo in senso agricolo, per migliorare la qualità della vita.

Made in Italy showcase even in Holland From the Netherlands to Korea, the promotion strategy” of “made in Italy” in the world continues to flourish in 2012. Before embarking at Yeosu, “the best of Italian style”, in the month of May, firmly planted its flag in Venlo in Holland at the World Horticultural Expo, better known as Floriade, another global exhibition event (held every 10 years).

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Mediterranean diet, tourism and taste Even at Floriade 2012, Italy is an important exhibitor promoting productive and technological excellence on its Italian stand. An international showcase at the highest level, divided into 7 sectors: a “Regional focus” dedicated to regional excellence. The “Mediterranean Diet,” “Italy of Tastes, ” “Travelling in Italy” showing the most important thermal spas and farmhouse holidays. the “Green economy”, showing its successes in this sector.; Others are the “Regional Excellences” and Milan Expo 2015, where there is an interactive area dedicated to the worldwide event ,which will be held in the business capital in less than 3 years. Up to now Italy had never participated in this exhibition in Venlo. In fact this year, one can say that between Holland and Korea, Italy is literally doubling its act by participating at the same time in both countries, to show the world its extraordinary cultural and productive patrimony.

Interview with the Ambassador Claudio Moreno The two exhibitions are very different, even if they both have in common, a focus on eco-sustainability and respect in different spheres of nature, explains the Ambassador Claudio Moreno, General Commissary for the two International Exhibitions of Yeosu and Venlo. The exhibition of Yeosu speaks about ecological and environmental themes, with particular attention to the Ocean, while the Venlo exhibition focuses on fruit and vegetables and floral aspects.

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Dieta Mediterranea, turismo e sapori Anche a Floriade 2012, l’Italia si sta rendendo protagonista attraverso un padiglione dedicato alle eccellenze produttive e tecnologiche del Paese. Una vetrina internazionale di altissimo livello, divisa in 7 settori: il “focus Regioni” dedicato alle eccellenze regionali, la “Dieta Mediterranea” (dove si proietta uno spot che esalta virtù e best practices di un modus vivendi diventato patrimonio Unesco); “l’Italia dei Sapori”: (con un’Italia gigante proiettata su un videowall e contenente i dati relativi alle produzioni di eccellenze), il “Viaggio in Italia” che mostra i siti più importanti del turismo termale e dell’agri-turismo, introdotti da citazioni letterarie; i “Giardini da Collezione”; la “Green Economy” in cui si possano ammirare le conquiste italiane nel campo della green economy; le “Eccellenze Regionali” in cui ogni settimana viene promozionata una regione diversa; e l’Expo Milano 2015, con uno spazio interattivo dedicato all’esposizione universale che tra meno di 3 anni si terrà nella capitale italiana del business. Questo di Floriade è un vero e proprio debutto: mai prima d’ora infatti, il “sistema Italia” aveva partecipato alla manifestazione di Venlo. Tra Olanda e Corea, dunque, quest’anno l’Italian Style si sta letteralmente sdoppiando per mostrare al mondo lo straordinario patrimonio culturale e produttivo del Bel Paese.

Intervista all’ambasciatore Claudio Moreno «Le due Esposizioni sono molto differenti tra loro anche se condividono un atteggiamento ecosostenibile e rispettoso in differenti campi della natura – spiega l’ambasciatore Claudio Moreno, Commissario Generale per le due Esposizioni Internazionali di Yeosu e Venlo – l’Expo di Yeosu infatti tratta temi di natura ecologica ed ambientale, con particolare attenzione all’Oceano e alle coste, mentre l’Expo di Venlo ha carattere ortofrutticolo e floreale.

In alto, l’ambasciatore Claudio Moreno, Commissario Generale per le Esposizioni Internazionali di Yeosu e Venlo


Italy is participating at this Expo for the first time in 40 years.

Qui, e nella pagina precedente, due rendering degli spazi (interni ed esterni) di Floriade 2012, evento fieristico di portata mondiale che si tiene ogni 10 anni, e che per quest’edizione è incentrato sul tema dell’orticultura e del “Living nature”

L’Italia esordisce quest’anno all’Expo in oltre 40 anni di storia «C’è da domandarsi – commenta Moreno – quali siano le ragioni di questa lunga assenza del passato, e come mai l’Italia non abbia mai ospitato alcuna Expo di questo tipo, visto che, come è noto a tutti, è un Paese leader nell’ortofrutta, nella floricoltura e nella coltivazione di piante decorative». Sul futuro degli scambi commerciali ItaliaCorea, l’ambasciatore Claudio Moreno afferma poi: «La Corea predilige il sistema di società e rappresentanze nazionali per l’importazione di food and beverage dall’estero. A Seoul organizzano frequenti Saloni dedicati che costituiscono un’ottima chiave di ingresso per questo mercato. I coreani sono molto scrupolosi. Dal punto di vista delle im-

portazioni di prodotti alimentari c’è un rigido sistema di proibizioni. Tuttavia le autorità locali sono comunque aperte a negoziare settori specifici di importazione: ad esempio, nei mesi scorsi, così è stato per l’ammissione dell’importazione di kiwi italiani, dopo un lungo negoziato. «Per il futuro – sostiene ancora Moreno – c’è molto da fare per affermare l’eccellenza del prodotto alimentare ed enologico italiano, specie in Paesi lontani come quelli asiatici. Le Esposizioni Internazionali sono ottimi banchi di prova e di promozione. Il sistema Camerale coordinato da Unioncamere può svolgere un ruolo importante per condurre un’azione strategica nei vari settori geografici di intervento. Contiamo molto su interventi di questo tipo anche nel quadro delle Esposizioni di Yeosu e Venlo».

One has to ask oneself comments Moreno- What the reasons are for such a long absence and why Italy has never held an Expo of this type, seeing that it is well known in this field as a leader in cultivation of fruit and vegetable and decorative plants. Regarding the future of commercial exchanges Italy- Korea, he affirms, has an National organization of representation and companies for the importation of food and beverages from abroad. There are frequent exhibitions in Seoul and these help to gain entry to this market. The Koreans are very scrupulous and regarding the importation of food products, there is a rigid system of prohibition. All the same, the local authorities are open to negotiate specific sectors of importation. for example in the last months, Italian kiwis were admitted, after a long negotiation. For the future- sustains Moreno, there is a long road ahead in order to underline the excellence of Italian food and wine, especially in far away countries like in Asia. International exhibitions are perfect places to promote and try out our products. The Chambers of Commerce together with Unioncamere can play an important role in carrying out a strategic action in various geographical areas of intervention. In this way we have great hopes in events like the exhibitions of Yeosu and Venlo.

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L’Italia dei monumenti da gustare

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Accanto a meraviglie naturali e a prestigiose città, il Bel Paese può contare su innumerevoli opportunità per indimenticabili soste di gusto. Tesori gastronomici che andrebbero indicati come tappe obbligate per chi visita lo Stivale, e dei quali vi diamo qui un assaggio Friuli: il Castello di Duino. Di proprietà da oltre 420 anni della famiglia Della Torre, dal 2003 è aperto al pubblico per visite. Qui sarà realizzata una riserva naturale lungo la Costa dei Barbari

Un tempo era considerato tra i cosiddetti “turismi emergenti”. Una delle tante componenti che favorivano gli spostamenti di viaggiatori e le visite degli stranieri in Italia. Oggi l’enogastronomia è assurta al ruolo di motivazione principale dei flussi turistici per fasce sempre più ampie di utenti. Un fenomeno crescente non più riconducibile alla mera ricerca di prodotti e cibi tipici, ma legato alla possibilità e alla voglia di esplorare i territori, conoscere le genti, le tradizioni, e lo straordinario patrimonio culturale e letterario del Bel Paese. Gli appassionati del buon cibo e del buon bere crescono, in Italia al ritmo di 250 mila persone ogni anno. Uno studio, qualche anno fa, li aveva quantificati in oltre 5 milioni. Un esercito di uomini e donne, giovani e meno giovani, amanti del mangiare “fuori casa”, che fanno della curiosità di scoprire “nuovi sapori”, e di conseguenza “nuovi saperi”, un vero e proprio modo di vivere e concepire il tempo libero e una sorta di stella polare nella scelta delle mete vacanziere ma anche di fugaci gite fuoriporta. E a dimostrazione di quante potenzialità la gastronomia applicata al turismo possa ancora avere in Italia, abbiamo scelto quattro itinerari che toccano città perlopiù fuori dagli abituali percorsi, suggerendo così opportunità di escursioni alternative.

An Italy of “monuments of tastebuds” Today food and drink is attracting more and more tourists. An Italian phenomenon, where people explore different places meet the locals, enjoy the traditions and, last but not least, enjoy the extraordinary cultural and literary patrimony of Italy. The lovers of good food and drink in Italy are on the increase at a rate of 250 thousand people per year. One study a few years ago, calculated just over 5 million. The potential market of gastronomy combined with tourism is enormous, we have chosen four itineraries including cities, which are more or less off the beaten track, taking alternative routes.

Friuli that Joyce fell in love with An exquisite titbit which all the families gave to each other during the Easter period was the gubana. It has become a symbol of Gorizia, a roll of flaky pastry full of sultanas, nuts and other delicacies, all wrapped up, a kind of metaphor of Italian and Slav culture. After a visit to Lucinico Castle overlooking Gorizia, where you have to sample

the rare Marasca honey of Carso at the local beekeeper’s cooperative. then on to Monte San Michele, where the passages and trenches of the First world war are the main attraction of Savogna d’Isonzo. It is there you will discover Sara Devetek, who grows raspberries, blackcurrants, bilberries, pomegranates, medlars, cherries, pears and amole to make superb jam (a great invention the cucumber jam) all without additives. Fragrant, delicate, sweet, very sweet is the impressive ham of Andrej Ferfolja, made from animals of over 200 kg and lovingly fed with barley and his own maize. Not more than 100 pigs are bred every year. A short way from the Castello di Duino you can discover one of the most characteristic products of agriculture of the Trieste region: the olive oil of the Bianchera variety. The Radovic family produces only a few thousands liters from the handpicked olives. You have to pass by the Pasticceria Pirona where James Joyce planned his masterpiece “Ulysses”, where their quest for top class ingredients allows you to try Austrian Hungarian cakes in the Italian style.

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Marche: a Macerata (in alto) cercate l’Osteria dei Fiori: tra le specialità i princisgras (sotto), sorta di lasagne realizzate con pasta fresca all’uovo, crema al latte con panna, rigaglie di pollo, prosciutto e tartufo

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II Friuli che fece innamorare Joyce

Gli appassionati di enogastronomia in Italia crescono al ritmo di 250 mila all’anno. Uno studio recente li ha quantificati in oltre 5 milioni

Come i 50 chilometri che separano Gorizia da Trieste, tra i più dolci d’Italia. Era il 1940 quando la famiglia Visintin decideva di provvedere a garantire ai conoscenti la leccornia che tutte le famiglie di Gorizia si regalavano tra loro durante il periodo pasquale, la gubana. Da allora la gubana è diventata anche un po’ il simbolo di Gorizia: un rotolo di pasta sfoglia ripiena di uvetta, noci e altre prelibatezze, attorcigliata intorno a se stessa, quasi una metafora della fusione tra cultura italica e slava. Dopo la visita al castello che domina Gorizia, quella a Lucinico, la frazione dove fu ambientata parte de La coscienza di Zeno, e dove è d’obbligo la visita allo spaccio della locale Cooperativa di apicoltori per l’assaggio del raro miele di marasca del Carso, dal colore aranciato e dall’aroma di mandorle amare. Noto per i versi di Ungaretti, il Monte San Michele, i suoi camminamenti e le trincee della prima guerra mondiale, sono invece l’attrattiva principale di Savogna d’Isonzo; proprio qui Sara Devetak cura alcuni ettari di terra e ne trae lamponi, ribes, mirtilli, melograni, nespole, ciliegie, mele, pere, amoli

per superbe confetture (di felice intuizione quella di cetriolo) prive di conservanti, ed erbe officinali che servono ad arricchire la cucina del ristorante di famiglia. Dal laboratorio in pietra carsica escono anche sciroppi al sambuco, alla ciliegia, al ribes e gelatine di nespole. Profumato, persistente al gusto, delicato, ma soprattutto dolce, dolcissimo, è l’imponente prosciutto di Andrej Ferfolja, ottenuto da animali pesanti anche 200 chilogrammi allevati con orzo e mais di produzione propria. Non più di un centinaio i suini allevati all’anno, in un va e vieni di aria naturale del Carso per garantire alle cosce una stagionatura perfetta dai 18 mesi in su. A pochi passi dal Castello di Duino facciamo la conoscenza di uno dei prodotti più caratteristici dell’agricoltura triestina: l’olio di oliva di varietà Bianchera. Ne produce poche migliaia di litri la famiglia Radovic, lavorando le olive appena raccolte a mano, presupposto essenziale per ottenere un olio di grande bontà. Ha sapore deciso, profumo erbaceo e irruente, come l’ambiente che ha ispirato scrittori del calibro di Rainer Maria Rilke e Scipio Slataper. Ne risente anche il vino: la Vitovska di Benjamin Zidarich, dal profumo fruttato e di salsedine, gusto fine e sapido da godere sulla terrazza della fu-


turistica cantina che, alta sul Carso, guarda il mare. Infine una sosta presso la Pasticceria Pirona, sui tavoli dove James Joyce progettò di scrivere l’Ulisse. Maniacale la ricerca di materie prime che consentono di assaggiare la fine pasticceria austroungarica in versione italiana: buona da far commuovere.

Marche: percorsi di lirico incanto “Se si volesse stabilire qual è il paesaggio italiano più tipico, bisognerebbe indicare le Marche. L’Italia, con i suoi paesaggi è il distillato del mondo: le Marche dell’Italia” (Il Viaggio in Italia di Guido Piovene).A partire dal mare di Civitanova dove, alle 4 ogni mattina, viene battuto all’asta il pesce (soprattutto sarde, seppie e merluzzo).Dal porto,la strada della Cilestra conduce a CivitanovaAlta dove svetta il campanile della Chiesa di San Francesco. Lo sguardo si perde fra i campi punteggiati di ulivi e ci si immerge nel profumo fruttato ed erbaceo dell’olio della Cilestra, ottenuto dal Frantoio Natali tramite una mescolanza di cultivar locali come Raggiola, Carboncella, Coroncina, Orbetana e Raggia. A pochi chilometri, Montecosaro offre un condensato di cultura materiale: dall’elegante chiesa di Santa Maria a Piè di Chienti fondata nel 936, al minuscolo Teatro delle Logge, al museo del Cinema a Pennello dedicato alla grafica pubblicitaria cinematografica, alla chiesa di San Rocco, dalla pianta ottagonale, che vanta affreschi del Pomarancio. Ma anche prodotti genuini e di straordinario valore, come i salumi della famiglia Zallocco (incomparabile il prosciutto, ma degni di nota anche il capocollo e il salame lardellato) derivanti dall’allevamento curato in proprio con mais, orzo e soia dei campi intorno; e il vino, in prevalenza da uve Montepulciano, o il dolce vincotto dell’Azienda agricola Castignani, che produce anche un ottimo olio da varietà Frantoio. A Trodica, frazione di Morrovalle, si coltivano da sempre cardi a coste piene di gusto piacevolmente amaro: il cardo bollito con lardo di suino è infatti una delle ricette più antiche del Maceratese. In zona, da visitare la chiesa di San Claudio al Chienti, nel Comune di Corridonia, dell’XI secolo, tra le più suggestive chiese romaniche della penisola. Da lì è facile raggiungere Macerata, con lo Sferisterio, ottocentesco esempio di stile neoclassico su disegno di Ireneo Aleandri, che l’ha resa capitale della lirica.

Marche: pathways of unsung lyrics One of the more typical country areas in Italy is the Marche, world famous for its landscapes and known as the Marche of Italy. Starting from the seaside in Civitanova where at 4 every morning there is a fish auction (mainly sardines , cuttlefish and cod). From the port the road to Cilestra goes on to Civitanova Alta where the spire of the Church of San Francesco is to be seen in the distance. Everywhere you look you can see olive groves and you can lose yourself in the heady aromas of the herbaceous and fruity perfume of the oil of Cilestra. In Montecosaro there is the exquisite Church of Santa Maria a Piè di Chienti, the tiny Teatro delle logge, the museum of the cinema in Pennello, the Church of San Rocco where you can see the affrescos of Pomarancio. But we must not forget the genuine the genuine products like the Zallocco salame, ham, but also the capocollo (salted and smoked neck pork), salame lardellato and wine, coming from Montepulciano grapes or the sweet vincotto of the Azienda Agricola Castigliani. Boiled thistle with pork lard is one of the oldest recipes in the Macerata region, which you can try at the Agriturismo Il Casale. Not very far away is the Church of San Claudio al Chienti, in the town of Corridonia, dating back to the XI century, one of the most suggestive Romanesque churches in Italy.

Musei del Gusto in Emilia-Romagna: in alto, la sala con gli attrezzi per la lavorazione delle carni del Museo del Salame di Felino (Pr) e, sotto, il Museo del Pomodoro a Collecchio (Pr)

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Lazio: immersed in pastures, lakes and wildberries Etruscan capital, in Viterbo it is possible to admire also Renaissance paintings like the ones of the Sala Regia of the Palazzo dei Priori and the Papal Palace. Other suggested historic buildings are the Fontana del Cagnolino (or Fontana a fuso), the Cathedral Bridge, Palazzo Farnese, San Sisto Church, Romanesque, dating back to 1100 and on the outskirts the Bullicame Springs. Some local butchers tempt the palate with viarelli (the external part of the intestine seasoned with pepper, fennel and dried in strips), liver kebabs with la ratta (wire gauze) impregnated with laurel leaves and most of all roasted pork ,seasoned only with wild fennel, salt and pepper. A bland digestive like viterbese sambuca from the Distilleria Viterbium which has used a copper still since 1905 is ideal to finish off a meal or even as a souvenir. In the fields around Bassano in Teverina Antonio Crapolu breeds 500 Sardinian pedigree sheep and produces cheese coming from the rennet coming from the lambs in his flock. Then one goes towards Vallerano, a small village with a great wine tradition thanks to the many traditional wine cellars dug out of the tuff. There are many more chestnut trees and hazelnut compared to vineyards and 5% of chestnuts and Italian sweet chestnuts come from the woods around Canepina, an almost intact Medieval centre, less than 5 km away from Vallerano.

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Lazio: tra pascoli, laghi e frutti del bosco Capitale etrusca, a Viterbo è possibile ammirare anche pitture rinascimentali, quelle della Sala Regia del Palazzo dei Priori e del Palazzo papale. Imbarazzante fare scelte sugli edifici storici da suggerire: la Fontana a fuso, il Ponte del Duomo, Palazzo Farnese, la chiesa di San Sisto, romanica del 1100, e, in periferia, le Sorgenti del Bullicame dove convenivano le peccatrici d’amore non ammesse alle pubbliche terme. Pressoché estinte qui le carote viola, pastinache che subivano un lungo processo di preparazione, mentre alcuni macellai locali deliziano ancora il palato con i viarelli (parte esterna dell’intestino del maiale condita con sale, pepe, finocchio ed essiccata a listarelle), lo spiedino di fegato con la ratta (la reticella), e soprattutto la porchetta condita semplicemente con finocchio selvatico, sale e pepe. Straordinaria quella dei Fratelli Stefanoni. Un blando digestivo come la sambuca viterbese della Distilleria Viterbium, che utilizza un alambicco in rame del 1905, sarà ideale per concludere qualsiasi pasto e sarà un ottimo souvenir. A Bassano in Teverina l’attrattiva principale è la chiesa di Santa Maria Lumi, del XII secolo, a ridosso del borgo fortificato. Nei pascoli intorno al centro urbano Antonio Crapolu, grazie alle 500 pecore di razza Sarda, produce, con caglio proveniente da agnelli del suo gregge, un formaggio ancestrale lasciando riposare la cagliata in forme di giunco. Da qui si vira a sud verso Vallerano, borgata dalla radicata tradizione enoica testimoniata dalle numerose e tradizionali cantine scavate nel tufo. La castagna e la nocciola hanno preso il sopravvento sulla vite, ma da Carla Onofri ci si può fare ancora servire uno sbalorditivo Sangiovese in purezza. Meno di 5 km separano Vallerano da Canepina, centro medievale pressoché intatto dal quale proviene il 5% delle castagne e dei marroni italiani.

Lazio: dall’alto: le terme di Viterbo, rari esemplari di carota viola e, sotto, Vitorchiano, arroccato su uno scoglio, dove merita visita la chiesa di Santa Maria del Duecento


In viaggio tra i Musei del Gusto Come abbiamo detto, nel corso degli ultimi anni l’importanza del settore enogastronomico quale segmento ben definito di turismo è andata progressivamente crescendo. In questa prospettiva sono sorti, su tutto il territorio nazionale, i Musei del Gusto: luoghi che serbano la storia e le testimonianze delle nostre eccellenze gastronomiche. Ma è soprattutto l’Emilia Romagna, con ben 19 musei, e in particolare Parma, il territorio che più degli altri ha dato spazio a questa innovativa forma di turismo. Nell’incantevole cittadina di Soragna sorge, per esempio, il Museo del Parmigiano Reggiano. La sede è un antico caseificio. L’itinerario consente di osservare i diversi utensili anticamente impiegati per la lavorazione e la produzione del “re dei formaggi”, di visionare vecchi ricettari, stampe, disegni e menù per pranzi di rappresentanza con riferimenti al Parmigiano Reggiano, e permette, infine, di degustare scaglie del prodotto. A Collecchio è invece sito il Museo del Pomodoro. Il percorso inizia con un approfondimento dell’ortaggio da un punto di vista botanico, storico, geografico e agronomico, sia come coltivazione orticola, sia come prodotto industriale, e propone poi la ricostruzione di una antica fabbrica delle conserve con macchinari d’epoca. Spostandoci poi alla volta di Felino troviamo il Museo del Salame di Felino, che ha sede nei magnifici locali delle cucine e cantine del castello di Felino, antico feudo medievale costruito nell’890. Il Museo del Prosciutto di Parma infine ha sede a Langhirano, paese conosciuto a livello mondiale per la produzione di questa rinomata specialità gastronomica completamente naturale: gli unici ingredienti, infatti, sono le cosce di maiale e il sale. Il museo, inaugurato nel 2004, è situato nello splendido edificio dell’ex Foro Boario, costruzione del 1928 che fu sede per lungo tempo del mercato del bestiame. Il Museo si articola in otto sezioni, una sala degustazione e il centro informativo della Strada del Prosciutto e dei Vini dei Colli di Parma.

Travelling to the Museums of Taste During the last few years food and drink have become one of the main reasons to travel around and this sector linked to tourism is growing in importance. With this in mind Taste Museums have been developed, places which speak about the story and are showcases of our gastronomic excellence, especially Emilia Romagna with 19 museums and in particular Parma, the territory which more than others has made a particular commitment to this innovative kind of tourism. In the wonderful small town of Soragna where one can find the museum of Parmigiano Reggiano. The museum is located in an old dairy. The visit allows one to see the old tools used for the working and production of the king of cheeses and to see old recipe books, prints, designs and menus for important dinners, all regarding Parmigiano Reggiano. Also in Collecchio there is the Museo del Pomodoro. The itinerary starts with a talk about the vegetable from a botanic, historic, geographical and agronomic point of view, not only from vegetable cultivation, but also from an industrial product point of view. Then there is a reconstruction of an old factory of conserves with machinery of that era. Moving on to Felino there is the Museum of Salame of Felino and it is located in the magnificent rooms of the kitchen and wine cellars of the old feudal and medieval castle of Felino built in 890’.The museum of prosciutto di Parma is located in Langhirano, a world famous town renowned for the production of completely natural gastronomic specialities, the only ingredients are in fact pork thighs and salt.

Sardegna: tutto un altro mondo A chi arriva in Sardegna in aereo può essere capitato di sorvolare più volte lo stagno di Molentargius, rosa di fenicotteri. È il benvenuto che l’isola dà al visitatore. Sotto è Elmas, l’aeroporto di Cagliari. Proprio in questa periferia si trova la Casa del Grano. Un pastificio che mette subito le carte in tavola: anche nel mondo della pasta la Sardegna è un’Italia… diversa. Alle farfalle si sostituiscono i malloreddus, ai fusilli i maccaronis de busa, alle penne sa fregula, ottima per minestra o sughi marinari, rituale con le arselle. Anche in gelateria si notano le differenze. Per rendersene conto basta arrivare in città e dopo avere salito il Bastione Saint Remy, gettato uno sguardo alla chiesa di San Saturnino, all’austero chiostro di San Domenico e all’anfiteatro romano scavato nella roccia,concedersi una pausa al laboratorio artigianale di Bruno Aresu. Né conservanti né coloranti per i classici gusti al cioccolato o alla fragola, ma neanche per quelli insoliti al ravanello o al finocchio, alla pompia o al ficodindia.A Quartu Sant’Elena poi le sorelle Laconi gestiscono un ristorante caratteristico e un laboratorio artigianale di arte bianca molto simile a un museo. Qui, in piccole cantine familiari si producono vini di antica fattura,come la Malvasia di Cagliari, il Moscato di Cagliari e il Nasco di Cagliari. Poco distante, a Settimo San Pietro, noto per le coltivazioni di mandorli,la tradizione norcina sarda mette a segno uno dei suoi colpi migliori. Protagonista il cinghiale, da cui si ricavano fesa e salsiccia, ma anche la pecora per il prosciutto e il filetto e la capra per il prosciutto, senza dimenticare il lardo al mirto. Pochi chilometri a nord,verso l’interno,Dolianova vanta la più intatta cattedrale del periodo romanico-pisano, dedicata a San Pantaleo. Fuori profumo d’olio, celebrato anche in un museo. Le coltivazioni di Francesco Locci, in cui prevalgono la Tonda di Cagliari e poi l’Olieddu e la Pizz’e carroga, regalano sentori di cardo ed erbe officinali, gusto fine e avvolgente, amaro, deciso e piccante dosato. Buono in qualsiasi occasione. Come il mirto artigianale di Giovanni Agus,preparato con le bacche raccolte,pulite e lavate, ed entro la giornata messe in infusione. È un’Italia la Sardegna stessa, un continente, stavamo per scrivere, da conoscere e sapere valorizzare.

Sardinia: another world Whoever arrives in Sardinia by plane will be able to see many times, the pond of Molentargius, all pink with flamingos. It is a kind of welcome to the island . Underneath there is Elmas, the airport of Cagliari. On the outskirts you can find La Casa del Grano. It is a pasta shop which shows you that Sardinia is a different Italy. Even in the ice cream shops you can see the difference, when you arrive in the city after going up the Bastione Saint Remy, have a look at the Chiesa di San Saturnino , the austere Cloisters of San Domenico and the Roman amphitheatre built in the rock. You have to stop off to try the home made ice cream of Bruno Aresu in his shop. No additives, no colorants with tastes from chocolate to strawberry, not forgetting unusual ones like radish, fennel, pompia or prickly pear. At Quartu Sant’Elena there are small family wine cellars where well established wines are made like Malvasia of Cagliari, Moscato of Cagliari and Nasco of Cagliari. In Settimo San Pietro, which is famous for the cultivation of almonds, another speciality is boar in slices or boar sausage, ham and sheep fillet, goat’s ham, but also myrtle lard. A few kilometers further north going inland, Dolianova has the most intact cathedral of the Romanesque-Pisano dedicated to San Pantaleo. Just like the hand cultivated myrtle of Giovanni Agus, where the berries are prepared carefully and washed and put in an infusion the same day. Sardinia is an Italy in itself, a continent, a place one needs time to discover and appreciate.

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Un «gran» formaggio Il Grana Padano Dop si distingue da prodotti caseari fac-simile per la qualità del latte trasformato e per la sua tradizionale lavorazione, che conferiscono alla pasta bianco-paglierina la finissima e tipica granulosità e una fragranza inconfondibile

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Si fa presto a dire “grana”… ma l’unico formaggio a potersi fregiare dell’appellativo è quello Dop che proviene dai territori padani più ricchi di pascoli e bestiame, ovvero 32 province dal Piemonte al Veneto, fino a Trento a nord e Piacenza a sud. Anche la Corte di Giustizia Europea ha riconosciuto questa verità inconfutabile per cui, essendo la denominazione inscindibile e protetta, a “Grana” va esclusivamente associato “Padano”. Il prodotto legittimato vanta origini antichissime, una fama mondiale e un vasto consenso, tanto da essere il formaggio Dop più consumato sulle tavole del pianeta.

Un’età venerabile Il Grana Padano Dop festeggia quasi 10 secoli di vita dal momento che la sua data di nascita si aggira intorno all’anno 1100. A quei tempi, nella Pianura Padana, opere di bonifica delle terre e di canalizzazione delle acque fecero fiorire l’agricoltura e sviluppare di conseguenza l’allevamento dei bovini. L’esubero del latte derivato aguzzò l’ingegno degli agricoltori che, per non sprecarlo, affinarono le metodiche casearie. L’attuale Grana Padano si deve ai monaci dell’abbazia di Chiaravalle che scoprirono nel 1135 la ricetta del formaggio a pasta dura, capace di conservarsi a lungo inalterato. Molti altri monasteri copiarono poi la formula del caseus vetus, o formaggio vecchio, che la gente padana ribattezzò formai de grana o semplicemente grana, in riferimento alla sua granulosità. Nei secoli, la produzione del particolare cacio si è diffusa e la popolarità del formaggio estesa oltre i confini patrii, grazie alla sua peculiarità di poter essere trasportato e venduto a grandi distanze. Per arrivare alla nostra epoca, nel 1954 è stato istituito il Consorzio per la tutela del Formaggio Grana Padano che protegge e promuove il prodotto, vigilando sulla Dop, ricevuta dalla UE nel 1996. I caseifici aderenti al marchio comunitario devono seguire il Disciplinare di Produzione, che detta le indicazioni sul processo lavorativo e sulle doti del formaggio.

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The Big Cheese The only real and original “grana” is Grana Padano PDO, produced in specific territories the Po River Valley (Pianura Padana), namely 32 provinces, rich in pastureland and cattle, reaching from Piedmont to Veneto, from Trento to Piacenza. The product has ancient origins and worldwide fame. Grana Padano DOP is born around 1,100 A.C., thus celebrating nearly10 centuries of history It is thought that the Monks in Chiaravalle, in 1135, having helped make the area’s agriculture thrive, managed to find an original recipe to be able to use the surplus milk their herds produced thus creating a fine, hard cheese that could withstand the test of time. Many other monasteries copied the “caseus vetus” recipe (or “old cheese”), and the people renamed it “grana”, due to its grainy texture Throughout the centuries, the production of this cheese spread and its popularity extended abroad. In 1954 the Grana Padano Cheese Protection Consortium was founded, with the objective of protecting and promoting the product and also safeguarding its PDO, granted by the EU in 1996. The name “Grana Padano” refers to its grainy structure (Grana) and to its production area in the “Pianura Padana” (Padano).

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In alto, il presidente del Consorzio Tutela Grana Padano, Nicola Cesare Baldrighi. Il “suo” Grana Padano è il prodotto Dop più consumato nel mondo

Il formaggio Dop più consumato nel mondo proviene dai territori padani di 32 province del nord Italia, dal Piemonte a Piacenza

Bontà che si tramanda A un osservatore attento non sfugge che, nei secoli, quasi nulla è cambiato nella produzione del Grana Padano Dop, a parte l’avvento di nuove e migliori tecnologie. In relazione ad alcuni fattori variabili, come gli ingredienti della dieta degli animali, sono percepibili piccole differenze e sfumature organolettiche specifiche nei diversi grana della vasta area della Dop. Secondo il Disciplinare, le mandrie, sane e selezionate, possono essere nutrite con foraggi e miscele di cereali e leguminose. Mais e altre granaglie vengono tritate, pressate e riposte in “trincee”, in modo da poter essere utilizzate quando occorre completare l’alimentazione degli animali con buone proteine vegetali.Il“codice” millenario della Dop prevede che il latte delle due mungiture,della sera e della mattina,siano entrambe decremate per affioramento.Nella caldaia di rame,a campana rovesciata,in cui c’è posto solo per due forme di formaggio, il latte è sottoposto a cagliatura tramite innesto di caglio di vitello. La massa caseosa viene rotta con lo “spino” due volte, per ridurre i grumi in chicchi piccoli e uniformi,


poi cotta brevemente e infine sollevata dai casari con una pala e un telo, chiamato “schiavino”. Divisa in due “forme gemelle” e avvolta in canapa o iuta, la pasta è collocata nelle fascere in cui viene pressata e rivoltata per tre giorni. Le forme sono poi immerse in salamoia per una ventina di giorni e asciugate, quindi lasciate a stagionare in locali freschi e umidi per un periodo da nove mesi a oltre due anni, durante il quale vengono frequentemente rigirate e spazzolate.

Alla scoperta della qualità La stessa amorevole cura rivolta al formaggio Dop si trova in caseifici che producono ogni giorno centinaia di forme come in quelli più piccoli. «Del Consorzio Tutela Grana Padano fanno parte 204 aziende,alcune con funzioni di stagionatura e ammasso – spiega il Presidente del Consorzio, Nicola Cesare Baldrighi – I caseifici produttori sono 147». Il Consorzio ha sede a Desenzano del Garda, nel Bresciano, cuore della zona di produzione, e i caseifici sono concentrati in 13 province. Nel 2011 circa 25 milioni di quintali di latte, un quarto della produzione italiana, sono stati trasformati in 4.658.957 forme di Grana Padano Dop. E di queste 1.334.300 hanno preso la strada dell’export, pari a circa il 29% della produzione, consolidando il primato che fa del Grana Padano il prodotto Dop più consumato nel mondo, nonostante la presenza sui mercati, soprattutto stranieri, di imitazioni o di autentiche contraffazioni che provocano ogni anno un danno quantificato in 700 milioni di euro, molto vicino al valore dell’export, arrivato lo scorso anno a 790 milioni di euro. Perciò i produttori, attraverso il Consorzio di Tutela, ogni anno investono circa 7 milioni di euro nei controlli all’estero e in Italia. Ma questo fenomeno rappresenta anche una frode per i consumatori,convinti di comprare Grana Padano Dop e che invece portano in tavola tutt’altro. E si aggiunge alle altre insidie che vengono dal proliferare di prodotti similari al Dop, come ad esempio le decine di formaggi denominati “Gran” con a fianco un nome che evoca italianità, dove, senza commettere infrazioni a leggi che purtroppo an-

Il Grana Padano Riserva può arrivare a stagionature di oltre 24 mesi, che gli donano un sapore sempre più ricco e pieno

La Dop si fa in tre Grana Padano: tre piaceri da gustare a tutte le ore Grana Padano stagionato da 9 a 16 mesi A nove mesi di stagionatura, le forme di Grana Padano vengono sottoposte a rigidi controlli dal Consorzio di Tutela. Stagionato dai 9 ai 16 mesi, è il formaggio da pasto per eccellenza con un gusto nel complesso dolce, delicato, che ricorda il latte e con una pasta morbida di color paglierino chiaro che non presenta ancora la tipica struttura “a grana”. Questa stagionatura rende Grana Padano sufficientemente versatile; è infatti ideale per il gratin e le salse, grattugiato o a scaglie su carpacci e insalate. Questa stagionatura di Grana Padano si abbina perfettamente a vini bianchi giovani, freschi e fruttati. Grana Padano stagionato oltre 16 mesi Dal color paglierino leggermente più intenso, il Grana Padano stagionato oltre 16 mesi presenta già la tipica struttura granulosa della pasta, l’inizio della formazione dei “cristalli di calcio lattato” e la frattura a scaglia. Ha un gusto saporito e pronunciato, ma mai piccante, con un profumo e un aroma che ricordano la frutta secca e il fieno. Risulta particolarmente adatto alla grattugia ma anche a un consumo da pasto, nella preparazione di carne, verdure e frittate. Si abbina molto bene con vini rossi dalla moderata intensità e corposità, ancora giovani e freschi. Grana Padano “Riserva” Stagionato per almeno 20 mesi, il Grana Padano Riserva presenta una pasta a “grana” particolarmente evidente con una accentuata presenza dei cristalli di calcio lattato, una chiara struttura a scaglia e un colore paglierino intenso e omogeneo. Il Grana Padano Riserva può arrivare a stagionature di oltre 24 mesi, che gli donano un sapore sempre più ricco e pieno, senza tuttavia risultare mai aggressivo. Con aromi allo stadio più evoluto che ricordano oltre al burro e al fieno anche la frutta secca, il Grana Padano Riserva lascia al palato dei sapori che si stemperano lentamente. Protagonista assoluto della tavola, sia grattugiato che come formaggio da pasto, è perfetto anche servito con noci, frutta e mostarde. Questo tipo di stagionature richiede vini rossi morbidi, ma tannici, con un forte contenuto di alcool. Perfetto l’abbinamento anche con vini dolci da dessert .

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I numeri di un campione del gusto • 15 litri di latte per ottenere 1 chilo di Grana Padano Dop • 1000 litri di latte (una tonnellata) sono necessari per produrre due forme • 30 grammi di Grana Padano Dop hanno le proprietà nutrizionali di mezzo litro di latte • 100 grammi di Grana Padano Dop equivalgono a oltre 160 grammi di carne bovina • 70 milligrammi è il contenuto medio di colesterolo in 50 grammi di Grana Padano Dop • 60% del fabbisogno giornaliero di calcio di un adulto è fornito da 50 grammi di Grana Padano Dop

Saperne di più Consorzio per la tutela del Formaggio Grana Padano Via XXIV Giugno 8 Frazione San Martino della Battaglia Desenzano del Garda (Bs) Tel. 0309109811 info@granapadano.it www.granapadano.it Onaf-Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi Via Castello 5 - Grinzane Cavour (Cn) Tel. 0173231108 - onaf.it

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In un chilogrammo di Grana Padano Dop si concentrano al meglio le fondamentali proprietà di 15 litri di buon latte fresco

cora non ci sono, si omette di indicare il Paese di provenienza sia della materia prima che del prodotto trasformato.«All’Unione Europea abbiamo chiesto di porre rimedio a questa mancanza di trasparenza con norme chiare sulla tracciabilità della materia prima in etichetta – commenta Baldrighi – in nome della libertà del consumatore, perché la sua scelta deriva da disinformazione o finzione, quindi non è più libera». Per essere certi di scegliere solo Grana Padano i consumatori devono verificare che ogni confezione riporti la losanga gialla del Grana Padano e il marchio Dop. Sono il segno dell’autenticità e della qualità, perché se una forma, pur prodotta in modo ineccepibile, non è giudicata perfetta dagli esperti, non riceve il marchio. Inoltre,il prodotto confezionato riporta il contrassegno Dop e il Bollo Ce,mentre sulle forme appaiono le piccole losanghe sullo scalzo, con diciture alternate “grana” e “padano”, il mese e l’anno di produzione, il logo con il codice del luogo di nascita e il “quadrifoglio” con la sigla della provincia e il numero di matricola del caseificio.

Gusto global Per riconoscere l’autentico Grana Padano possono bastare i cinque sensi, come propone Lorenzo Maggioni, agronomo: «Il Dop andrebbe servito in un grosso pezzo intero per poterlo tagliare a scaglie con l’apposito coltellino e verificarne la pasta granulosa e consistente. L’aroma e il sapore variano in rapporto alla provenienza e alla stagionatura ma un

buon prodotto deve essere fragrante e sapido,senza note piccanti. Il formaggio Grana Padano si sposa con la granulosità delle pere William, con il contrasto della mostarda e con la dolcezza di mieli complessi, come quelli di corbezzolo e di castagno». Il Grana Padano può essere accompagnato con pane integrale o ricco di mollica oppure cubetti di polenta fritta, e richiede vini corposi e invecchiati, ma non disdegna lo spumante quando è in veste di antipasto. L’appeal della “gloria” padana non termina in cucina, ma continua nell’organismo grazie alle virtù nutrizionali, come pronta assimilazione e alta digeribilità, rese possibili dalla stagionatura. In un chilogrammo di Grana Padano Dop si concentrano al meglio le fondamentali proprietà di 15 litri di buon latte fresco;non contiene però lattosio e quindi può essere consumato da chi soffre di questa intolleranza. Cento grammi di Grana Padano Dop riuniscono preziosissimi nutrienti.La naturale scrematura del latte utilizzato nella produzione riduce i grassi a 28 grammi. Ben 33 invece sono i grammi di proteine. E sono 1.165 i milligrammi di calcio, la maggior quantità biodisponibile tra tutti gli alimenti, che fanno del Grana Padano Dop una miniera ricchissima anche di fosforo, zinco, rame, selenio e altri sali minerali. Senza dimenticare il ricco apporto di vitamine. Per informare il pubblico sui plus della Dop, il Consorzio di Tutela promuove campagne di educazione alimentare e varie iniziative, rivolte anche ai giovani.Il programma“Educazione Nutrizionale Grana Padano” affianca a una ricerca


In search of quality

Il Grana Padano confezionato riporta il contrassegno Dop e il Bollo Ce, mentre sulle forme appaiono le piccole losanghe sullo scalzo, con diciture alternate “grana” e “padano”, il mese e l’anno di produzione, il logo con il codice del luogo di nascita e il “quadrifoglio” con la sigla della provincia e il numero di matricola del caseificio

Sostanze contenute in 100 g di Grana Padano (valori medi) Umidità

g 32

Fosfopeptidi solubili

g 1,5

Grassi

g 28

Zuccheri (Carboidrati)

assenti

Fosforo

mg 692

Cloruro di sodio

g 1,6

Magnesio

g 63

Ferro

µg 140

Selenio

g 12

Proteine totali

g 33

Aminoacidi liberi totali

g6

Acidi linoleici coniugati (LCA)

mg 170

Calcio

mg 1165

Rapporto calcio/fosforo

1,7

Potassio

mg 120

Zinco

mg 11

Rame

µg 500

Iodio

Valore energetico

g 35,5 kj 1597 (1048 da lipidi e 549 da proteine) kcal 384 (252 da lipidi e 132 da proteine)

osservazionale, condotta dall’Osservatorio Grana Padano e sviluppata dai medici che fanno anamnesi alimentari sui loro pazienti,una serie di attività di informazione ed educazione, svolte dai medici per i pazienti, grazie a una serie di strumenti forniti dal programma. Il progetto didattico “A scuola di cucina con Grana Padano”, riservato agli Istituti Alberghieri e iniziato nel 2005, vede ogni anno oltre 4mila studenti cimentarsi in ricette che hanno come ingrediente principe il leader delle Dop europee. Alla ristorazione d’eccellenza è invece dedicata l’iniziativa “Grana Padano – Taglio Sartoriale”. «Abbiamo voluto realizzare un servizio d’élite − spiega il Presidente Baldrighi − È un’idea che in 4 anni ha consolidato la sua capacità innovativa, e che permette a ogni grande chef di scegliere la stagionatura di formaggio più adatta a esaltare i propri piatti, selezionando un Grana Padano “tagliato su misura” per conferire gusto e tipicità unici alla sua creatività». E nel 2012 il progetto è anche sfociato in un libro, che ha raccolto le ricette di 28 delle più grandi firme del made in Italy a tavola.

All the producers, whether large or small, pay the same loving attention to the production of this PDO. 212 companies are now members of the Consortium, of which 147 are producers. In 2011, over 4,6 million wheels were produced, using nearly 26% of Italy’s milk production. Over 1.3 million wheels, 28,6% of the production, were exported. If the strict production guidelines are not followed, it is not real Grana Padano, but an imitation. Furthermore, if the wheels fail to pass all the Consortium experts’ test, they will not be firebranded with the Grana Padano PDO lozengeshaped mark The guarantee is shown on the wheel by the PDO symbol, CE stamp, small lozenges all over the sides, alternating the words “grana” and “padano”, production month and year, logo with the birthplace code and the “four-leaf clover” with the province abbreviation and dairy’s number. Authentic Grana Padano can be recognised by its fragrant, tasty yet never over-powering flavour and its typical granular texture. It can be found in 3 different vintages: Grana Padano (9-16 months), Grana Padano “oltre 16 mesi” (over 16 months) and RISERVA “oltre 20 mesi” (over 20 months). The younger vintage has a mild, creamy flavour and the typical grainy texture is not yet so evident while the older the vintages are, the more pronounced will their taste and grainy texture be.

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Il grano delle Marche Nella patria di Nazzareno Strampelli, che al cereale legò l’ingegno, ci sono templi della lavorazione artigianale noti nel mondo. E tante storie di passione Se scendendo giù da Colfiorito, lasciando sulla destra – ed è un peccato – l’incanto del Parco dei Sibillini, vi fate trasportare lungo la valle del Chienti o del Potenza e alzate lo sguardo alle colline, vedrete che hanno un verde cupissimo sugli apici e i fianchi sembrano sbiaditi. Ci credereste? È colpa del grano che fu. Erano queste le terre dei Varano, signori di spada, di fede e di commercio. Se vi avanza del tempo andate a Camerino ad ammirare i lasciti architettonici e di sapienza di questa dinastia così poco celebrata e in realtà paragonabile ai Medici per acume politico, per solidità finanziaria e per mecenatismo. Che c’entra – direte – tutto questo con il grano? C’entra, perché caduti i Varano, lo Stato Pontificio spinse le loro coltivazioni di cereali fin quasi in vetta ai monti, disboscando per far posto alle sementi, e trasformò così la Marca sporca (il Maceratese, fin quasi ad Ancona e giù verso Ascoli) nel granaio del centro Italia come già avevano fatto i Medici con la Val d’Orcia e con il Senese.

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Ibridi d’autore Ma se per parlar di pasta e di grano in questa parte magnifica e ascosa d’Italia bisogna mettere in fila i Varano, il Papa e le Fortezze una ragione c’è. Si chiama Nazzareno Strampelli, nato a Crispiero, un minuscolo borgo a mezz’ora di cavallo da Camerino, che studiò in quell’Università e fece le prime vere ibridazioni di grano. Strampelli ha vissuto inseguendo un progetto visionario: inventare un grano che sfamasse i contadini, che producesse tanto da migliorare la vita della gente dei suoi campi. Avrebbe meritato il Nobel, ma preferì la gratitudine dei contadini andando con le cattedre itineranti di agricoltura in giro per l’Italia di Mezzo fino ad approdare a Rieti. Lui ha lasciato a queste terre l’amore per il grano. Vi basta affacciarvi proprio lì a Camerino alla porta del Pastificio che reca il nome della città per scoprire donne che ancora in modo semiartigianale modellano, perché il gesto di far la pasta ha un archetipo d’arte, con i grani di Strampelli tagliatelle e gobbetti, maccheroni e chitarrine.

Un piatto che sa di festa C’è però un’altra storia che è un grano d’amore e sentimento di ostinazione da narrare. È quella di Luigi Donnari, con la testa in continua centrifuga di progetti, che ha terra e grano e per campare continua a fare il ragioniere anche se dal 2001 ha messo le mani in pasta. E che pasta! È la Pasta di Aldo: la consuma la corte Windsor, ne vanno pazzi gli americani, è quasi introvabile perché la signora Maria, la moglie di Aldo, nel piccolo laboratorio di Monte San Giusto riesce a tirarne al massimo 50 chili al giorno. Ma Luigi non smette di sperimentare. «Vedi – ci spiega – io volevo fare la pasta di mia nonna. E ho provato tutti i modi per industrializzarla, ma non c’è nulla da fare. Se la vuoi porosa, croccante, spessa al punto giusto, se vuoi che quando bolle nella pentola non si sfaldi e quando incontra il sugo s’impregni devi sudarla la pasta. Così mi sono inventato una semimacchina dal motore di una lavatrice che un po’

Racconta Luigi Donnari: «volevo fare la pasta di mia nonna. E ho provato tutti i modi per industrializzarla, ma non c’è nulla da fare. Se la vuoi porosa, croccante, spessa al punto giusto, devi sudarla la pasta!»

Wheat from the Marche If descending from Colfiorito, leaving the Parco dei Sibillini on your right, you move along the valley of Chienti or Potenza and look up at the hills, you will see that the sides seem faded. This is due to the wheat that once grew there. These were the lands of the Varano, swordsman and merchants. When the Varano fell, the Papal States pushed their cereal cultivation almost up to the top of the mountain, cutting down trees to make room for the seeds and thus transforming the Macerata region into the granary of central Italy. But if to talk about pasta and wheat in this part of Italy we have to line up the Varano, the Pope and fortified castles, there is a reason. A reason called Nazzareno Strampelli, born in Crispiero a tiny hamlet half an hour from Camerino, who made the first hybrids of wheat. He has left this land with a love for this grain. Looking around the door of the “Pastificio” which has the same name of the city we discover women working in a semi artisan way, shaping tagliatelle and gobbetti, maccheroni and chitarrine with Strampelli’s wheat. Fabulous egg pasta is the cornerstone of the economy for the pastifici in Macerata.

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«A plate of my pasta is a festa!» There is another great pasta story to narrate. The story of Luigi Donnari, who continues to work as an accountant even if he has ‘had his hands in’ pasta since 2001. Wonderful pasta! Pasta di Aldo: practically impossible to find because Aldo’s wife manages to make, at the most, 50 Kg a day. But Luigi does not stop experimenting. «You see – he explains – I wanted to make the pasta that my Granny made. I tried all ways to industrialise it, but if you want it porous and the right width you have to exude it. So I invented a machine from the motor of a washing machine, and you know what I say to those who say that the price of my pasta is high? That a plate of my pasta is a party! You have to pay the price for happiness». Then there is the Mancini family in Monte San Pietrangeli who transforms their durum wheat into an anthem to the countryside. The father Giuseppe started to enlarge the company. His son Massimo selected the durum wheat and he too, in 2001, had the idea of transforming his wheat into spaghetti. A gastronomic gem was born. However, pasta is also a social commitment as Enzo Rossi, owner of La Campofilone, demonstrates. He tried to live on one of his workers wages for a month. «On the 20th I ran out of money. I immediately gave everyone an increase of € 200. It is only right that the added value which comes from the transformation of flour and eggs goes back to my workers. Our pasta is good also because it is backed by a commitment».

Dichiara Carla Latini: «Mi si stringe il cuore quando penso che per la gente anche gli spaghetti sono diventati un bene di lusso. Ma se i prezzi di base sono questi allora dico al consumatore che oggi ha diritto alla massima qualità possibile»

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Le prime vere ibridazioni di grano si devono a Nazzareno Strampelli, nato a Crispiero, un minuscolo borgo a mezz’ora di cavallo da Camerino, nel 1866

aiuta Maria, ma alla fine è lei che s’ammattisce per tirare tagliatelle, chitarrine, pappardelle. Ora me le chiedono da tutto il mondo: costano un po’, ma c’è tanta fatica. E sai cosa dico io a chi mi dice che il prezzo è alto? Che un piatto della mia pasta è una festa. Si potrà pure pagare un po’ la felicità!». A Monte San Pietrangeli, la famiglia Mancini trasforma il proprio grano,stavolta duro,in un inno alla campagna. L’azienda ha scelto per slogan un’affermazione che è paradigmatica: dal nostro grano la vostra pasta. Sì perché questo è un esempio di filiera cortissima. Ha cominciato il papà Giuseppe Mancini ad allargare l’azienda: da 20 a 70 ettari. Poi Massimo – che all’università ha studiato i testi di Strampelli – si è messo a selezionare i grani duri e anche lui nel 2001 ha avuto l’idea di trasformare il suo grano in spaghetti. Nasce così un gioiello gastronomico. Pochissima produzione, packaging di design, prodotto di straordinaria fragranza. Solo otto tipi di pasta – tre lunghi e cinque corti – ottenuti da grani San Carlo, Ariosto e Levante, trafile in bronzo per realizzarla, fino a 60 ore di essicca-

zione per restituire una volta cotta il gusto degli amidi, il profumo dei campi. Ma la gastronomia è anche impegno sociale. Lo ha dimostrato Enzo Rossi, il titolare de La Campofilone che, scioccato dalla crisi e dall’erosione dei salari, ha provato a vivere con lo stipendio di uno dei suoi operai. «Al 20 del mese avevo finito i soldi. Sono tornato in fabbrica e ho dato a tutti un aumento netto di 200 euro in busta paga. Le mie donne che impastano i miei maccheroncini hanno diritto a una vita dignitosa». Un messaggio che si riflette anche nel modo in cui La Campofilone,la maggiore azienda del paese – incantevole in provincia di Ascoli, diventato la capitale dei maccheroni – fa la pasta. Dice Luigi Rossi: «In dieci anni sono passato da 90 mila a un milione e seicentomila euro di fatturato. La nostra pasta piace ma è giusto che il valore aggiunto che viene dalla trasformazione di farina e uova torni anche ai miei operai, ai contadini che mi danno il grano. Il consumatore sa che noi facciamo qualità, e sa che la nostra pasta è buona anche perché c’è dietro un impegno».


Global success

Messaggeri di cultura A Campofilone c’è un altro maestro della pasta: è l’uomo che ha portato i maccheroncini in America e in tutto il mondo. È famoso tra le hostess dell’Alitalia perché quando fa Roma-New York, dove a Little Italy c’è un’antica drogheria che ha una vetrina dedicata alla sua pasta, spesso butta giù i suoi Spinosini e li offre a bordo. «Beh io sono fatto così», dice Vincenzo Spinosi. «Per me la pasta è amicizia, è affetto. Ora l’ho portata anche in Cina. Loro si piccano di avere inventato gli spaghetti: io gli ho detto provate i maccheroncini di Campofilone e poi ne riparliamo». Vincenzo ha fatto della pasta all’uovo un elemento di cultura e di marketing territoriale. Tutti i più grandi chef del mondo usano la sua pasta, ha scritto libri di ricette, ha lanciato la proposta della carta delle paste nei ristoranti contro l’agropirateria. Ma l’impegno nella cultura gastronomica è un tratto comune dei pastai marchigiani. E la massima rappresentante è Carla Latini. A Osimo – altro paese gioiello in provincia di Ancona – con Carlo Latini produce una delle migliori paste del mondo. Da grano duro Senatore Cappelli, da farro, da Taganrog. Ha piantato i grani, ha fatto ricerca scientifica, ha promosso stages di cucina, ha sponsorizzato tutto ciò che fa cultura del cibo. «Perché sono convinta – spiega – che la pasta sia un messaggero di cultura, sia la nostra identità. Mi si stringe il cuore quando penso che per la gente anche gli spaghetti sono diventati un bene di lusso. Ma se i prezzi di base sono questi allora dico al consumatore che oggi ha diritto alla massima qualità possibile. Noi trafiliamo a bronzo, selezioniamo personalmente i grani e le farine, essicchiamo minimo due giorni e mezzo a bassissime temperature per lasciare tutto inalterato. Vogliamo dare con la nostra pasta un messaggio di appartenenza e di buon gusto». Non è un caso che molti dei migliori chef d’Italia abbiano dedicato alla pasta Latini una serie di ricette. Non è un caso che sia una pasta che ha una digeribilità superio-

re. Non è un caso che un piatto di pasta Latini si riconosce con un goccio d’olio e basta, e che il sugo diventa un inno al grano e non un letto di morte del sapore della campagna. Quella campagna che qui nelle Marche della pasta è ancora una culla d’identità. Una meraviglia da assaporare.

Fu lo Stato Pontificio a trasformare la Marca sporca (il Maceratese, fin quasi ad Ancona e giù verso Ascoli) nel granaio del centro Italia, come già avevano fatto i Medici con la Val d’Orcia e con il Senese

At Campofilone there is another ‘pasta master’: the man who has taken his maccheroncini out into the world. He is famous amongst the Alitalia hostesses because when he flies Rome – New York he often brings out his Spinosini and offers them around on board. «I am like that», says Vincenzo Spinosi. «for me pasta is friendship». Vincenzo has turned his egg pasta into an element of culture and territorial marketing. The commitment to foodl culture is a common trait in the Marches. The best representative of this is Carla Latini. At Osimo, in the province of Ancona, she produces one of the best pastas in the world. She plants the wheat and carries out scientific research both on the plants and their nutritional value; she has sponsored all that is culture of food. « Because I am convinced - she explains - that pasta is a message of culture, it is our identity. It breaks my heart to think that even spaghetti has become a luxury item. If the basic prices are like this then at least people have the right to have top quality. To make pasta is almost an inborn act, it means emerging oneself in the desire to nourish and with our pasta we want to give a message of good taste». A plate of Latini pasta can be recognised by the bouquet and tasted with the addition of a drop of oil. The sauce pays homage to the wheat and the countryside. The countryside which, here in the Marches, is still the birthplace of their identity.

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Italia extra vergine Oli di oliva: nel nostro Paese le zone di produzione sono tante, ma pochi sanno dove si possono trovare le Dop riconosciute. Dalla Sicilia alla Liguria, ecco una guida ai migliori prodotti Nel nome della Dop l’Italia dell’olio di oliva si salverà? È quanto sperano gli olivicoltori nostrani, ammesso che i consumatori da oggi in avanti riconoscano per davvero l’importanza di avere un olio a Denominazione di Origine Protetta nel proprio scaffale in cucina. Se in molti acquistassero gli extra vergine con il bollino blu, infatti, sarebbe un grande successo per il Paese. Scegliere gli oli con la certificazione dell’origine territoriale riferita a una circoscritta area produttiva equivale ad avere un prodotto non soltanto italiano, ma tipico e peculiare nelle sue caratteristiche, con un profilo sensoriale ben definito. Eppure il mercato non premia questi oli. Si tratta allora di far percepire al consumatore la differenza con gli oli sprovvisti di questo marchio. Più che per la qualità in quanto tale, la differenza è nella tipicità. Le Dop offrono un ampio ventaglio di profumi e sapori. E la scelta di una Dop da mettere nel carrello della spesa equivale a dare una boccata d’ossigeno al settore. Sì, anche perché il nostro comparto oleario dovrà vedersela con la forte concorrenza degli oli stranieri, proposti a prezzi molto bassi. È uno stato di fatto. Noi abbiamo costi di produzione elevati, che non sempre possono essere abbattuti, pur con la migliore volontà, anche laddove si meccanizzano le operazioni colturali. Il nostro sistema produttivo è vetusto, anche se in compenso è piuttosto ricco in biodiversità. Allora, per valorizzare il cospicuo patrimonio varietale, occorre mostrare subito più entusiasmo nel provare di volta in volta un olio diverso, magari percorrendo un viaggio reale, e non soltanto immaginario, di regione in regione, nel corso dei fine settimana. Oggi perfino in Pie46


Sardegna

Puglia

Varietà: tante quelle autoctone, dai nomi fascinosi: Pizz’e Carroga, Bosana, Tonda di Cagliari, Olianiedda, Semidana, Nero di Villacidro e Nora di Gonnos. Gli oli: in prevalenza dal fruttato mediamente intenso, con sentori vegetali e rimandi alla mela. Sapidi e nel medesimo tempo delicati, hanno buona fluidità. Abbinamenti: con insalate di mare, minestre di verdure e legumi, carni bianche. Dop: Sardegna.

Varietà: Peranzana, Rotondella e Gentile nel Tavoliere foggiano e nel Gargano; Coratina, Ogliarola e il clone Cima di Bitonto nel barese; Cellina di Nardò e Ogliarola leccese nel Salento. Gli oli: al nord mediamente intensi, di buona fluidità ed equilibrio, ma ugualmente sapidi; nel barese particolarmente aromatici, amari e piccanti; nel Salento, con profumi delicati e floreali, gusto armonico e rotondo, mandorla dolce in chiusura. Abbinamenti: gli extra vergini dauni e salentini, con insalate di mare e di terra, piatti a base di pesce e carni bianche; gli oli baresi con zuppe di legumi e carni rosse. Dop: Collina di Brindisi, Dauno, Terra di Bari, Terra d’Otranto e Terre Tarentine.

Sicilia Varietà: dominano le cultivar autoctone Moresca, Tonda Iblea, Nocellara del Belice, Biancolilla, Cerasuola e Giarraffa. Gli oli: dal fruttato ora mediamente intenso, ora più marcato. Al naso sentori di pomodoro ed eleganti note vegetali e di erbe di campo. Al palato morbidezza ed equilibrio nell’amaro e nel piccante, con maggiore evidenza di quest’ultima nota in chiusura. Abbinamenti: con antipasti di verdure, pinzimoni, arrosti di pesce. Dop: Monte Etna, Monti Iblei, Val di Mazara, Valdemone, Valle del Belice, Valli Trapanesi.

Calabria Varietà: Carolea, Cassanese, Sinopolese e Ottobratica, ma anche Frantoio e Leccino, importate quest’ultime dalla Toscana. Gli oli: fruttati tra il leggero e il medio, qualcuno più intenso. Al naso rimandi alle erbe di campo e al carciofo. Al gusto sapidità, amaro e piccante in armonia. In chiusura i sentori di mandorla. Abbinamenti: con zuppe d’orzo, verdure gratinate, carni alla griglia. Dop: Alto Crotonese, Bruzio e Lametia.

Basilicata Varietà: la pianta Majatica è qui la cultivar regina, a seguire la Cima di Melfi e varietà d’importazione come Frantoio, Leccino e Coratina. Gli oli: dal fruttato tra il medio e il leggero, hanno sentori vegetali di carciofo e toni erbacei. Al gusto morbidezza ed equilibrio delle note amare e piccanti. In chiusura la mandorla dolce. Abbinamenti: con paste asciutte, creme di verdure e fritture di pesce.

Campania Varietà: Pisciottana, Carapellese, Ortice, Minutella, Ravece e Caiazzana. Gli oli: dal fruttato di media intensità, in altri casi leggero, hanno sentori erbacei e gusto sapido, sono armonici ed equilibrati, con toni di carciofo e mandorla. Abbinamenti: con minestre di cereali, verdure cotte al vapore, carni alla griglia e pesci arrosto. Dop: Cilento, Colline

Salernitane, IrpiniaColline dell’Ufita, Penisola Sorrentina.

Molise Varietà: Gentile di Larino, Cellina di Rotello, Oliva nera di Colletorto, ma anche la pugliese Peranzana. Gli oli: morbidi e vellutati, dal fruttato medio o leggero, dai sentori vegetali di carciofo. Note di mandorla in chiusura. Abbinamenti: insalate verdi, crostacei al vapore, lumache fritte. Dop: Molise.

Abruzzo Varietà: tra le principali cultivar la Gentile di Chieti, la Dritta, la Carboncella, la Intosso e la Toccolana. Gli oli: dal fruttato di media intensità, con profumi di carciofo e sentori di erbe aromatiche. Al palato buona fluidità, gusto di ortaggi freschi e amaro e piccante marcati ma in equilibrio. Abbinamenti: antipasti di pesce, minestre asciutte, carni arrosto. Dop: Aprutino Pescarese, Colline Teatine e Pretruziano delle Colline Teramane.

Lazio Varietà: Canino, Itrana, Rosciola, Raja, Leccino e Frantoio. Gli oli: delicati e nel contempo sapidi, con fragranze erbacee e sentori di frutta bianca. Al gusto rotondità e morbidezza, note di amaro e piccante in equilibrio e una buona fluidità. Abbinamenti: con risotti, insalate di farro, pesci alla brace. Dop: Canino, Sabina e Tuscia.

Extra vergin Italy In the name of PDO, will Italy save itself from common ‘olive oil’? That is the wish of our olive producers, hoping that consumers will learn to recognise the importance of having a DOP in their own kitchens. In fact, if an increased percentage of consumers purchased blue label extra-virgin olive oil it would be a victory for the whole country. To choose oil with a certification of its territorial origin that refers to a localised productive area is the equivalent to having a special emblematic product. Yet the market does not reward such oils, so it is necessary educate the consumer to perceive the difference of characteristics compared to oils that do not hold this trademark. The PDO’s offer a vast range fragrances and flavours, plus the choice of a PDO is equivalent to an injection of oxygen into the sector. It is true, because our oil producing division has to pit itself against strong competition from lower priced foreign oils. Therefore, in order to confer value on this wide-ranging heritage, we need to express more enthusiasm for trying out new oils, maybe by plotting a virtual ‘trip’ from region to region. The choice is vast, because from north to south of Italy the production areas are numerous.

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In Italia, lo schedario olivicolo ufficiale certifica ben 395 cultivar. Un tesoro inestimabile, visto che il profilo sensoriale di ciascun olio dipende in gran parte dal tipo di olive da cui si estrae monte, con il mutare delle condizioni climatiche, si iniziano a produrre le prime bottiglie d’extra vergine. Non c’è che l’imbarazzo della scelta, perché volendo seguire un itinerario, dal Sud al Nord, i luoghi della produzione sono davvero tantissimi. Sarebbe dunque una bella opportunità pensare d’intraprendere questo viaggio, e di andare alla scoperta dei tanti oli a marchio Dop. Le Dop riconosciute al momento sono 39, e una sola Igp.

Un tesoro inestimabile Questo viaggio esplorativo dovrebbe iniziare dal Sud. Per il semplice fatto che è a partire dal Sud che si è diffusa nel resto del Paese la coltivazione dell’olivo. Una pianta che nel corso 48

dei secoli si è via via mutata nelle varie forme oggi conosciute, caratterizzandosi nelle diverse centinaia di genotipi presenti. C’è chi parla di più di 500 varietà, chi meno; ma esiste in ogni caso uno schedario olivicolo ufficiale, in cui sono certificate ben 395 cultivar. Un tesoro inestimabile, visto che il profilo sensoriale di ciascun olio dipende in gran parte dal tipo di olive da cui si estrae. Il resto, invece, è frutto dell’abbinata (proprio come per il vino) tra terroir, microclima e capacità operativa dell’uomo. Ma è soprattutto quest’ultimo che con il suo fattivo impegno contribuisce a interpretare al meglio le dinamiche pianta-territorio. Il fattore antropico permette interventi in campo, nella cura degli oliveti, e in frantoio, nella fase di estrazione dell’olio dalle olive. Oggi c’è peraltro la figura dell’oleologo, in grado, alla pari dell’enologo, di creare un olio che rispetti il territorio di produzione, ma che guardi nel contempo anche alle esigenze del mercato. La qualità, oltre a essere un dato oggettivo, risponde anche alle esigenze di ciò che richiede il mercato e, di conseguenza, il consumatore.


Umbria Varietà: domina la triade Frantoio, Leccino e Moraiolo, cui si aggiungono le varietà Dolce Agogia, Rajo e San Felice. Gli oli: dal fruttato variabile dal medio all’intenso, con netti sentori vegetali e connotazioni erbacee, di colore verde smeraldo. Al palato sono sapidi e robusti, con netti rimandi al carciofo e al cardo, e finale piccante in evidenza. Abbinamenti: con zuppe di funghi, purea di fave, selvaggina. Dop: Umbria.

Marche Varietà: Raggiola, Carboncella, Ascolana tenera, Mignola, nonché, dalle regioni vicine, la triade Frantoio, Leccino, Moraiolo. Gli oli: fruttati di media o leggera intensità, con note olfattive erbacee e sentori di carciofo. Al gusto sono delicati e armonici. In chiusura note di frutta bianca. Abbinamenti: con insalate verdi e di mare, fritture nobili, carni bianche ai ferri. Dop: Cartoceto.

Toscana Varietà: a dominare la triade Leccino, Frantoio e Moraiolo, punto di forza della regione, con altre varietà importanti come l’Olivastra Seggianese, il Pendolino, il Correggiolo e il Leccio del Corno. Gli oli: dal fruttato tendenzialmente medio o intenso, nettamente erbacei, dai profumi di oliva verde e note di carciofo e cardo che si ritrovano anche al gusto, dalla buona fluidità, corposi, con amaro e piccante netti ma armonici, talvolta con lievi note astringenti. Abbinamenti: con minestre

di zucca, zuppe di legumi, tagliata alla rucola. Igp: Toscano. Dop: Chianti Classico, Lucca, Seggiano e Terre di Siena.

Emilia Romagna Varietà: Nostrana e Ghiacciola, Correggiolo, Leccino, Frantoio e Rossina. Gli oli: eleganti e fini, dalle intensità fruttate mediamente intense, con sentori di erbe di campo. Al palato buona fluidità e armonia, con una lieve punta di piccante persistente in chiusura. Dop: Brisighella e Colline di Romagna.

Friuli Venezia Giulia Varietà: Buka e Carbona, quello che resta, ma a dominare è la Bianchera. Altre varietà d’importazione: Leccino, Maurino, Pendolino, Frantoio. Gli oli: eleganti e fruttati, con note olfattive ora di media intensità ora leggere, dalle connotazioni erbacee, hanno finezza e buona fluidità, toni mandorlati in chiusura. Abbinamenti: con pappardelle al sugo di lepre, carciofi e patate soffritti, pesci al forno. Dop: Tergeste.

Trentino Alto Adige Varietà: Casaliva, Frantoio e Leccino, quelle del Lago di Garda, per la provincia di Trento; ma anche Raza, Favarol e Rossanel. Gli oli: delicati e fini, con note di frutta matura e carciofo, morbidi, dalla fluidità medio-alta, gusto armonico e mandorlato. Abbinamenti: con minestre d’orzo e pesci di lago bolliti, fiori di zucca fritti e carni bianche ai ferri. Dop: Garda Trentino

Veneto Varietà: Casaliva, in particolare, ma anche Favarol, Grignan, Raza, Less e Trepp e Frantoio. Gli oli: delicati e fini, dal fruttato tra il medio e il leggero, con note aromatiche fresche e pulite, dalle connotazioni erbacee e leggera sensazione amara, con lieve punta di piccante in chiusura. Abbinamenti: con agnolini, asparagi e capesante, creme di verdura e legumi, pesci al forno. Dop: Garda Orientale e Veneto.

Lombardia Varietà: le autoctone Casaliva e Gargnà, oltre che Leccino, Frantoio e Pendolino. Gli oli: leggermente fruttati, con sentori di vegetali crudi e toni mandorlati. Al gusto morbidi e di buona fluidità, con fragranze erbacee e amaro e piccante lievi. Abbinamenti: con piatti a base di pesce di lago, carni bianche ai ferri, lumache in umido. Dop: Garda Bresciano e Laghi Lombardi.

Liguria Varietà: Taggiasca, detta anche Lavagnina, con altre cultivar autoctone meno note come Lizona, Pietrasantina e Razzola. Gli oli: fini ed eleganti, dai profumi di erbe selvatiche e fieno, con sentori mandorlati che si ripresentano anche in chiusura. Al palato, morbidi e rotondi, con toni vegetali di carciofo. Abbinamenti: nella pasticceria fine, con primi piatti a base di pesce e nelle fritture nobili. Dop: Riviera Ligure

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Cuore di latte Accusata nel 2008 di attentare alla salute del consumatore, la mozzarella di bufala ha controbattuto con tutte le sue virt첫, schierando un esercito di produttori onesti e di intenditori

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Nel “cuore” della Grande Mela c’è la Mozzarella di Bufala Campana Dop: a New York, preceduto da anni di arrivi giornalieri del prodotto, sbarca l’italiano Obikà-Mozzarella Bar, reduce dai successi a Milano, Roma e Londra. Nonostante le turbolenze, che hanno reso difficile la “navigazione” del formaggio, nei tre locali dedicati nessuna forchetta ha mai tremato al venticello degli allarmi “velenosi” alla diossina del 2008. «I clienti, per metà stranieri, si sono sentiti garantiti dal nostro sistema di rintracciabilità e certificazione internazionale, che si avvale di analisi specializzate sul latte e sulla mozzarella effettuate ogni 15 giorni», conferma Mattia Pierantoni Cerquozzi, responsabile di Obikà nella Capitale. «Anzi, per soddisfare le richieste, abbiamo replicato il bar ai Parioli e lanciato un altro menu che va a completare le verticali della Dop con la mozzarella di Sezze, a Latina, quella affumicata di Paestum, la stracciatella e la ricotta di mucca. Oltre che nei piatti di pasta, come gli schiaffoni alla sorrentina, serviamo il formaggio abbinato a tipicità nazionali, tra cui i salumi di Cinta Senese, il culatello di Zibello, la caponata siciliana, le marmellate e, per creare un contrasto gustativo, con le mozzarelle di latte vaccino». Nessun calo di vendita per le candide mozzarelle che sguazzano nell’acquario di “Eccolo qua!” (traduzione del termine napoletano Obikà) e per quelle in postazioni “rassicuranti”, come i tre negozi del meneghino Centro della Mozzarella che permettono di assistere alla lavorazione del latte di bufale e mucche allevate a Peschiera Borromeo e di gustare il prodotto finale anche nel ristorante collegato, Il vaso di Pandora. Ma gli indirizzi a prova di dubbi sono rintracciabili in tutta l’Italia, compresa la Campania.

Marca nostrana Una “firma” alternativa si trova a Casirate d’Adda, nel bergamasco, dove l’Azienda Agricola Casarotti alleva in proprio 100 bufale per produrre 40 chili di mozzarelle al giorno.

Milky heart Mozzarella di Bufala Campana Dop is in the “heart” of the Big Apple: the Italian ObikàMozzarella Bar has arrived in New York. Despite dioxin scandals (2008) no fork has trembled in the three locations dedicated to mozzarella. «The clients feel safeguarded by our tracking system and international certifications», confirms Mattia Pierantoni Cerquozzi, the New York manager. No drop in sales for the lovely creamy balls that swish around in the Obikà ‘aquarium’ or in the three shops of the Milanese Centro della Mozzarella. Similar ‘secure’ addresses can be found all over Italy. An alternative “label” can be found in Casirate d’Adda, in the Bergamo region, where the agricultural company Agricola Casarotti breeds 100 buffalos to produce 40 kilos of mozzarella daily. But in the collective imagination mozzarella is not a northern cheese. The much admired “laudatissimum caseum of Campo Cedicio” cited by Plinius the Old corresponds to the forefather of the cow’s milk mozzarella, in the area between Mondragone and Volturno. The modern cow’s milk “fior di latte” produced in the XVII century was a typical product from Agro Pontino in the Bolognia region. Today the product is a Specialità Tradizionale Garantita produced by artisans especially in the areas comprising Frosinone, Latina, Campobasso, Avellino, Benevento, Caserta, Naples, Salerno, Potenza, Taranto, Foggia and Bari, for which the DOP “Fior di Latte dell’Appennino Meridionale” has been requested.

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Sorpresa: è in Piemonte, e non in Campania, che sarebbero comparsi per la prima volta i bufali “mediterranei”, portati dai Longobardi. Dunque, anche se nell’immaginario collettivo la mozzarella è un formaggio tutt’altro che settentrionale, le cose non stanno esattamente così

La news più sorprendente viene dal Piemonte, perché qui, e non in Campania, sarebbero comparsi per la prima volta i bufali “mediterranei”, portati dai Longobardi, come afferma Rosario Vecchione che, dopo 60 anni di arte pasticciera a Torino, coniuga le sue radici salernitane con i “frutti” del latte piemontese: «Dopo un’attenta ricerca con l’Università di Salerno, ho potuto documentare in un libro questo dato storico che supporta la mia iniziativa. Da circa un paio di anni, nel caseificio dalle pareti di vetro, all’ombra della Mole, trasformo il latte dell’allevamento bufalino Moris di Caraglio, a Cuneo, che è a ciclo chiuso. Le nostre mozzarelle, al 100% di latte di bufala, emigrano in senso contrario, dal Nord al Sud, e, per la loro purezza, probabilmente riceveranno il riconoscimento ebraico Kasher. In onore della regione che mi ha accolto, ho battezzato il mio prodotto “la regina del Piemonte”». Ma nell’immaginario collettivo, la mozzarella è un formaggio tutt’altro che settentrionale. Il laudatissimum caseum del Campo Cedicio, 52

citato da Plinio il Vecchio, corrisponde all’antenato della mozzarella vaccina, della zona tra Mondragone e Volturno. Il moderno “fior di latte” di mucca nel XVII secolo veniva indicato dal Gioco di Cuccagna, una stampa bolognese, come tipicità dell’Agro Pontino. Oggi il prodotto è una Specialità Tradizionale Garantita, o STG, realizzata ovunque, ma in modo artigianale soprattutto nell’area comprendente Frosinone, Latina, Campobasso, Avellino, Benevento, Caserta, Napoli, Salerno, Potenza, Taranto, Foggia e Bari, per la quale è stata chiesta la Denominazione di Origine Protetta Fior di Latte dell’Appennino Meridionale. Nell’Alta Murgia barese, la vocazione casearia risalirebbe al Neolitico, come attesta il reperto di bollitori in rame. Pascoli naturali e pastorizia hanno favorito dal 1500 lo sviluppo dell’attività, interpretata oggi da caseifici come per esempio la Cooperativa Pugliese di Corato, che dal 1946 riunisce 120 soci e invia la sua pasta filata vaccina, a filiera controllata, fino a New York.


Carta d’identità Le differenze tra l’unica Dop e la STG non riguardano solo la denominazione e la materia prima, ma sottintendono specifiche particolarità organolettiche. In generale, le mozzarelle artigianali sono preparate con latte fresco, vaccino o bufalino, scaldato a temperatura moderata, a cui vengono aggiunti caglio naturale e sale. Dopo la coagulazione, si procede alla rottura della cagliata in granuli, simili a nocciole. Con la fermentazione, la massa matura in poche ore ed è pronta per l’operazione definitiva che dipende dall’abilità del casaro: la pasta viene tagliata in listarelle e quindi “mozzata” in acqua calda, ovvero filata e modellata con indice e pollice. I pezzi ottenuti passano quindi in acqua fredda per rassodarsi. Tonda oppure ovale, con o senza “testina”, a nodini o bocconcini e a treccia, la mozzarella vaccina ha color giallo paglierino, mentre quella di bufala è bianco-porcellana. Entrambe hanno pelle sottile, liscia e lucida, e pasta morbida e leggermente elastica, per la filatura in fogli so-

vrapposti. Al taglio, la mozzarella deve emettere una “goccia” lattiginosa, segno di freschezza, e offrire una consistenza piacevole da mordere, ma che si scioglie in bocca; quella di bufala rilascia un sentore deciso e muschiato e la vaccina un aroma più acidulo. Un antico “fior di latte” viene ancora realizzato come la “provatura” campana, che nel ’700 era conservata in fogli di giunco e mortella e riposta in cassette di vimini e castagno: è la mozzarella “co’ a mortedda” del Caseificio Chirico di Ascea che deve il sapore erbaceo e la fibra compatta al latte delle vacche podoliche e al mirto spontaneo del Cilento. La mozzarella di bufala campana Dop non è un’esclusiva di Salerno, Caserta e di territori di Napoli e Benevento. La Denominazione d’Origine Protetta, contrassegnata sulle confezioni dal marchio tricolore, con il profilo dell’animale, spetta anche ad alcuni comuni del basso Lazio, a Roma, Latina e Frosinone, e a una parte delle province di Foggia e di Isernia. Conosciuta dagli antichi greci, che la mangiavano durante le rappresentazioni teatrali, la “bufalina” è diventata popolare nel XII secolo per opera dei monaci del monastero di San Lorenzo in Capua, presso Caserta, e il suo consumo si è diffuso dal ’600 con la costruzione delle “bufolare” in muratura, dirette dal mastro casaro. Dal 1993, il Consorzio di Tutela della Dop vigila sui 131 caseifici certificati, che producono 35 mila tonnellate di mozzarella all’anno. Secondo il Disciplinare, negli stabilimenti deve essere utilizzato esclusivamente il latte intero al 100% di bufala (quattro litri per ogni chilo di formaggio) e sono ammesse in commercio solo alcune pezzature: sfere, bocconcini, ciliegine, trecce (fino a 3 chili), la variante “affumicata” e quella tradizionale “Aversana”, da 500 grammi.

Nell’Alta Murgia barese, la vocazione casearia risalirebbe al Neolitico, come attesta un reperto di bollitori in rame

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Sicilia, crocevia di popoli e sapori

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Trapani, Catania, Messina, Agrigento. E ancora melanzane alla parmigiana, coscus, capperi e arance. Un tour dell’isola del sole, per scoprirne le meraviglie da vedere e da gustare Crogiolo di popoli e centro di cultura immenso, il territorio siciliano ha accolto i Greci, i Romani, ha vissuto un’epoca barbarica e bizantina, islamica e normanna, e poi ancora, angioina, aragonese, borbonica. Strati che hanno lasciato il segno e parlano ancora la lingua della bellezza. Siracusa è antica all’incirca quanto Roma. Il suo imponente Teatro Greco era il più grande dell’antichità, insieme a quello di Atene. Culla di bellezza, ma anche di bontà: Siracusa era la capitale culinaria del mondo classico magnogreco che già nel V secolo a.C. pose in essere una scuola per cuochi e un ricettario. Prevalenti erano le ricette agrodolci a base di uvetta e pinoli. Agli Arabi, invece, si deve successivamente la coltivazione degli agrumi e l’arrivo del gelato e del cuscus. Oggi, le migliori arance rosse sono quelle siciliane, e il cuscus viene celebrato con un importante festival che si tiene ogni anno in settembre a San Vito Lo Capo, vicino Trapani. Altro fiore all’occhiello della cucina siciliana è la parmigiana di melanzane. Le melanzane vanno tagliate a listelli, fritte e condite con formaggio, prosciutto, ragù e basilico.

Catania, Messina e il vino di Marsala Catania è invece la patria della pasta alla Norma, così chiamata in onore del grande musicista catanese Vincenzo Bellini. Il condimento è un sugo a base di melanzane e ricotta salata, ingrediente che, insieme al nero di seppia, trionfa nell’elaborazione del ripiddu navicatu, un risotto ispirato al vulcano Etna. A Catania si visita Piazza del Duomo dove c’è la celebre statua dell’elefante, simbolo della città. Il mare risplende e, proseguendo verso Messina, si ar-

Sicilia, a crossroads of populations and tastes A melting pot of people and immense culture, the Sicilian territory has welcomed the Greeks, the Romans, lived through the Barbarian, Byzantine, Islamic and Norman eras, then the House of Anjou, the Aragonese, the Bourbons, with all the different cultures leaving their mark in diverse ways. Siracusa is as old as Rome more or less, its imposing Teatro Greco is one of the most ancient ,together with the one in Athens. Siracusa is not only known for its beauty but also its palate. It was the culinary capital of the classic world of Magna Grecia, which already in the 5th Century ac opened a kind of cookery school and cook book for cooks, with the most popular recipes being sweet and sour dishes with a pine nut and sultana base. The Arabs began to cultivate citrus fruits and also introduced ice cream and couscous. The best oranges today are Sicilian and couscous is celebrated in an important festival held in September in San Vito Lo Capo near Trapani. Another delicacy of Sicilian cooking is parmigiana di melanzane, where the egg plants are thinly sliced, fried and seasoned with cheese, ham, minced meat and tomatoes sauce (ragù) and basil.

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Catania, Messina and Marsala Wine Catania is the fatherland of pasta with its speciality, Pasta alla Norma, in honour of the great Catanese musician Vincenzo Bellini. The sauce is made up of egg plants and salted ricotta,This type of ricotta is also an ingredient, which together with squid ink make the dish “ripiddu navicatu”, a risotto inspired by the volcano Etna. In Catania one can visit the piazza del Duomo where there is the famous statue of the elephant, the symbol of the city. Following the coast and the shimmering sea towards Messina, one arrives at the famous Riviera dei Ciclopi with Aci Castello, Aci Trezza, Aci Catena and Acireale, going on to Naxos, Taormina and Castelmola. In Messina there is the Madonna del Porto which welcomes travelers with the phrase “Vos et ipsam civitatem benedicimus”, while the bell tower of the Duomo holds the largest mechanical clock in the world, which every day at lunchtime and midnight puts on a wonderful spectacle: the cock crows, the lion roars and two bronze women strike the hour. Here you can find arancini, delicious balls of stuffed rice which were born here. On the opposite side of Sicily there is Marsala noted for its wine and past history, from the settlement of the Phoenicians in the island of Mothia to the Sbarco dei Mille who turned it into the city of Garibaldi. Two “must sees “ are the Lagoon of Stagnone and the island of Mothia where you can visit the windmills and the salt flats. The wine of Marsala is the oldest Italian Doc and visiting the bagli (old farmhouses) gives one the idea of how the English were able to understand the potential of the Marsala wine business of this Sicilian locality.

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riva alla costa celeberrima. È la riviera dei Ciclopi con Aci Castello, Aci Trezza, Aci Catena e Acireale, fino a Naxos, Taormina e Castelmola. A Messina è la Madonna del Porto ad accogliere i viaggiatori con la frase “Vos et ipsam civitatem benedicimus”, mentre il campanile del Duomo custodisce il più grande orologio meccanico del mondo che ogni giorno, a mezzogiorno e a mezzanotte, offre uno spettacolo eccezionale: il gallo canta, il leone ruggisce e due donne bronzee battono le ore. Qui trovate gli arancini, gustose palle di riso imbottite, che a Messina hanno visto la luce. Dalla parte opposta della Sicilia c’è Marsala, intrisa di storia e di vino: dall’insediamento dei Fenici nell’isola di Mothia fino allo sbarco dei Mille, che fa di essa una città garibaldina. La laguna dello Stagnone e l’isola di Mothia sono assolutamente da non perdere per i mulini e le saline. Il vino di Marsala è la più antica Doc italiana e visitare i “bagli” (antichi casali) rende l’idea di come gli inglesi seppero comprendere appieno la potenzialità del business generato dal vino di questa località di Sicilia.

Arcipelaghi sognanti La Sicilia è un’isola che ha intorno a sé altre piccole isole che formano arcipelaghi. Da Marsala si salpa per quello delle Egadi e si punta su Favignana, l’isola a forma di farfalla. Poi è la volta di Marettimo – per molti storici l’Itaca di Ulisse – e la più piccola delle Egadi: Levanzo, deliziosa e minuscola. Da Levanzo si parte per Trapani: città tra due mari. Qui si fa il pesto con le mandorle e il cuscus di pesce preparato con cernia, scorfano, gamberi e cozze. Da Trapani, via terra, Palermo va raggiunta facendo sosta almeno a Erice, Segesta e San Vito Lo Capo. Erice, sul suo monte, è il luogo dell’amore e della scienza dove Enea si fermò per rendere omaggio alla dea Venere. A Segesta, con il suo teatro e il suo tempio, il tempo sembra essersi fermato. Palermo invece attende con piatti sopraffini: a partire dalla pasta con le sarde, qui preparata con finocchietto, uva passa, pinoli e zafferano. Sosta ideale per il palato è la Vucciria, sorta di suk arabo nel cuore di Palermo. Da non perdere la visita al Palazzo dei Normanni dove lo stile normanno romanico si unisce alla tradizione


araba e bizantina e alla fastosa Cappella Palatina, che rappresenta il meglio dell’arte musiva bizantina insieme ai mosaici di Ravenna e Istanbul. Di rigore un salto a Mondello, la spiaggia dei palermitani, per degustare la pasta con le uova di ricci di mare.

Tra mandorli, templi, capperi e arance La Valle dei Templi è uno dei siti archeologici più famosi del mondo, con il Tempio della Concordia vecchio di millenni. Si trova ad Agrigento, città natale di Empedocle e Luigi Pirandello. Ma la Sicilia non è solo mare. Anche l’interno è vasto e bello: Caltanissetta, da visitare per le sue solfare, ed Enna, ombelico di Sicilia. Dalla Torre Pisana, se si è fortunati, si possono vedere i tre mari: lo Ionio, il Mar d’Africa e il Tirreno. E ancora bellezza con la Val di Noto, Patrimonio mondiale dell’Umanità e la provincia di Ragusa città meravigliosa dove trionfa il Barocco. I capperi di Pantelleria sono l’ingrediente principe della cucina delle isole Eolie. Le arance rosse di Sicilia, tipiche della zona di Catania, sono il sangue dell’isola. Tre “i gruppi sanguigni”: Tarocco, Moro e Sanguinello.

“Arcipelaghi sognanti” Italy is an island which has other small islands around it forming an archipelago. From Marsala one can sail to the Egadi and stop off in Favignana, a butterfly shaped island. Then on to Marettimo – which for many historians is l’Itaca of Ulysse – the smallest of the Egadi: Then on to Levanzo,a tiny island and a real gem From Levanzo one leaves for Trapani: the city between two seas, here pesto is made with almonds and fish couscous is made with groupers, gurnards, prawns and mussels. From Trapani, the itinerary goes overland to Palermo, stopping off in Erice,

In alto, un tipico carretto siciliano istoriato carico di arance rosse e, sotto, la Valle dei Templi

Segesta and San Vito Lo Capo. The mount of Erice, which is the place of love and of science where Enea stopped to render homage to the God Venere. In Segesta, with its theatre and its temple, there is a sense of timelessness, that time has passed it by. Palermo waits for you with plates overflowing: let’s begin with pasta con le sardines, made here with finocchietto, sultanas, pine nuts and saffron. An ideal place to satisfy the palate is la Vucciria,a sort of Arab souk in the centre of Palermo, but do not forget to visit the Palazzo dei Normanni, where the Romanesque- Norman style is a fusion of Arab tradition and Byzantine and the ostentatious Cappella Palatina, which represents the best in

Byzantine mosaic art, together with the ones in Ravenna and Istanbul.. Not to be missed a visit to Mondello, the beach of the Palermitani, to eat pasta with sea urchins eggs.

Among almonds, temples, capers and oranges The Valley of the Temples, in Agrigento is one of the most famous archaeological sites in the world, with the Tempio della Concordia thousands of years old. Agrigento, the birthplace of Empedocle and Luigi Pirandello. But in Sicilia there is not only the sea. Inland there are

vast and beautiful spaces to visit: In Caltanissetta it is interesting to visit the sulphur mines, Enna, is the bellybutton of Sicily. From Torre Pisana, if you are lucky, you can see three seas: the Ionian, Mediterranean and the Tyrrhenian. And much more beauty in the Val di Noto, a world heritage site, not forgetting Ragusa, a wonderful city where Baroque triumphs. Other specialties are the capers of Pantelleria and the principal ingredient of the cooking of the Eolian islands. the red oranges of Sicily, which are typical in the Catania area are the “blood of the island”. There are three blood groups distinguishing the oranges: Tarocco, Moro e Sanguinello.

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Positano e le altre Baie, insenature, strapiombi e un grappolo di “perle� a picco sul mare. In viaggio nell’incanto della Costiera Amalfitana

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Un intreccio di meraviglie artistiche, vegetazioni lussureggianti e antichi borghi, capace di stregare i viaggiatori di tutti i tempi. Un insieme ininterrotto di paesi sonnolenti e fiabeschi a strapiombo sul mare che provoca vertigini. Un serbatoio naturalistico di fascino insuperato da condividere in amore o in amicizia, sollevando calici di vino speciale e gustando cibo forgiato dal timbro di un sole generoso e dalla brezza marina di un Mediterraneo che qui scalda palato e cuore. L’Unesco ha eletto la Costiera Amalfitana a Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Una scelta che chiunque comprende al volo, non appena sbarca o plana nell’immaginifico lembo che unisce Positano a Vietri sul Mare.

Gioielli marinari Puntando il dito a caso in questa fascia di 40 chilometri e 13 Comuni, ovunque si capiti, si capita benissimo. Nel dedalo di vicoli di Amalfi, fulcro della più antica Repubblica marinara d’Italia, si può per esempio passeggiare per ore, lasciandosi alle spalle quello spettacolare Duomo arabo-siculo duecentesco, sede tra l’altro di un fatato Chiostro del Paradiso. E la scalinata che unisce Positano “alta” alla spiaggia che guarda le isolette de Li Galli ha alimentato la creatività di generazioni millenarie di poeti e artisti. Ma è quasi mitologica anche la vista che si gode dalla “terrazza dell’infinito” di Villa Cimbrone, a Ravello, che uno come lo scrittore americano Gore Vidal non aveva timori a definire “il luogo più bello del mondo”. E poi ci sono le conformazioni architettoniche rocciose di Atrani, il golfo, le terrazze e i giardini di Maiori, le ville, le torri e le grotte della pacifica Minori, la rara tranquillità della più trascurata Furore. E ancora: le tipicità architettoniche tutte diverse di Tramonti, Praiano, Conca de’ Marini, Cetara. E poi il selvaggio entroterra della Costiera, in cui si fiondano volentieri gli amanti del silenzio (e del fresco).

Positano & Co An intriguing mix of artistic wonders, luxurious vegetation and ancient hamlets that gently entice the willing traveller into lingering a while. Gently rolling, fairytale countryside jutting out dizzily over the sea. Point a finger by chance on this strip of 40 kilometres and 13 towns whatever you chose is spot on. The labyrinth of tiny streets of Amalfi is the centre of the most ancient marine republic of Italy. The famous steep steps that join Positano to the beach overlooking the islands of LI Galli have inspired generations of poets and artists The breathtaking view from the endless terrace of Villa Cimbrone in Ravello is practically a myth. The renowned American writer Gore Vidal didn’t hesitate to declare it as the most beautiful place in the world. The gigantic natural rock formations of Straniò, the gulf, terraces and the gardens of Maiori, the villas, towers and grottoes of peaceful Minori, the rare calmness of unkempt Furore, the list is endless. Let’s just add the architectural styles of Tramonti, Praiano, Conca de’ Marini and Cetara each one different from the other, and the untamed inland regions of the coastline, where nature and peace lovers seek out the perfect hideaway.

From ceramics to paper Enticing Positano boutiques and the tiny craft shops of Amalfi this delightful coastline offer the perfect excuse for shopping. First stop, the famous coloured ceramics of Vietri sul Mare. The vases, plates, jars, jugs and tiles are the cornerstone of the local economy and appreciated worldwide for their artistic appeal, crafted by a tradition refined over the centuries. Hand made paper is another process proudly upheld in the area: the techniques of cleaning the pulp, patching and drying used by the artisans throughout the centuries are on display in the Museo della Carta of Amalfi (museodellacarta.it). It’s worth visiting alongside the Museo della Ceramica at Vietri.

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Dalle ceramiche alla carta Nelle colorate boutique di Positano o nelle botteghe di Amalfi, la Divina Costiera offre però anche infinite possibilità di shopping. Senza dimenticare le ceramiche artigianali di Vietri sul Mare. Oltre a rappresentare i cardini dell’economia locale, vasi, piatti, giare, boccali e piastrelle sono riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo per la loro foggia artistica, frutto di una tradizione affinata nei secoli. C’è poi la carta fatta a mano, altro significativo stendardo artigianale del comprensorio: i processi di pulizia dei cenci, rattoppatura o asciugatura che animavano le cartiere di un tempo sono ancora ben riprodotti nel Museo della Carta di Amalfi (www. museodellacarta.it) che conviene I magnifici 13 visitare al pari del Museo della Lungo la strada costiera che va dal Golfo di Napoli a quello di Ceramica di Vietri (Tel. +39 Salerno sono solo 13 i paesi che fanno 89211835). parte della Divina Costiera: Vietri sul mare, Cetara, Maiori, Minori, Ravello, Scala, Praiano, Atrani, Positano, Amalfi, Conca dei Marini, Furore e Tramonti. Ognuno con il suo verde, i limoni, le rocce fiorite di ginestre, le ville sospese su un mare di smeraldo

Una montagna di cose buone

Tuttavia da queste parti i prodotti d’artigianato tout court sono sempre più sovrastati da una montagna di tipicità golose. Sulla vetta, siede senza dubbio sua maestà il limone Igp della Costa di Amalfi che si può mangiare al naturale, buccia compresa, e magari con l’aggiunta di sale, zucchero o foglioline di menta. Da questo, una trentina di laboratori della Costa ricavano il famosissimo limoncello, liquore senza una ricetta codificata ma variabile a seconda delle tradizioni familiari e paesane. Sono a base di limone anche composte, marmellate e una serie di ghiottissime torte. Sulla parte occidentale della Costa crescono poi i pomodorini a piennolo, “campanile” in dialetto, per la cordicella che li unisce una volta raccolti, quando si appendono per essere conservati fino a un anno e oltre. Sono i compagni perfetti delle onnipresenti salsette e zuppe di pesce del litorale. Parlando di pesce, non si può non citare la preziosa colatura di alici di Cetara, liquido tendente all’ambrato che si ottiene mettendo a maturare sotto sa-

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A mountain of delights The pasta of Gragnano is not far away. The influence is particularly evident in Minori where fusilli, ricci, lasagne and the typical ndunderi are hand made by artisans. Impossible to forget are the chestnuts and liquors made from nocillo, fragolino, nanassino and concerto mixtures of local mountain herbs. The DOC wines from the Amalfi coastline deserve to be more widely known. Tireless vine growers on the steep hill slopes of the area lovingly cultivate the grapes. The famous liqueur limoncello is produced by thirty or more laboratories along the coastline based a traditional recipe but freely adapted by different families and local villagers. Lemons are also the basic ingredient of jellies, jams and mouth-watering cakes. Moving to the western part of the coast we find small piennolo tomatoes, (bell towers in the local dialect due to the way they are bunched together once picked).

In apertura: una panoramica su Positano. Nella pagina a sinistra, il limpido mare di Conca dei Marini. Qui sopra, i limoni Igp della Costa di Amalfi

le, tra la primavera e l’estate, alici decapitate ed eviscerate secondo un rito che affonda le radici nell’antica Roma (quando si chiamava garum). L’autentica colatura è pronta a dicembre, quando il liquido va a insaporire gli immancabili spaghetti o le linguine. E, a proposito di pasta, Gragnano non è tanto lontana. L’influsso è evidente in particolare a Minori, dove ancora si fanno artigianalmente fusilli, ricci, lagane e i tipici ndunderi. Come dimenticare, infine, le castagne e i rosoli come nocillo, fragolino, nanassino e concerto (miscuglio di erbe tipiche delle zone montane)? E poi ci sono i vini Doc della Costa d’Amalfi, di cui si parla ancora troppo poco. Eppure, su pendenze spesso estreme, infaticabili viticoltori lavorano per dar vita a grandi nettari. Come quelli della Gran Furor di Furore, specialmente il Furor Bianco Fiorduva, uvaggio di autoctone Fenile, Ginestra e Ripoli e il Furore Rosso riserva, da Piedirosso e Aglianico, ennesimi capitoli di una saga golosa che ad Amalfi e dintorni non sembra conoscere fine.

Nei templi del gusto In un microclima simile e con una dote così fortunata di materie prime era normale che spuntassero ottimi ristoranti: da Positano a Vietri si sta così bene a tavola che la Costiera Amalfitana dà sempre più filo da torcere all’attigua Penisola Sorrentina, rinomata mecca di super-ristoranti. Nessuno dovrebbe perdere l’esperienza impossibile da dimenticare di un pranzo o una cena al Rossellinis dell’Hotel Palazzo Sasso di Ravello o al San Pietro di Positano, dove sapori di mare, rivisitati con estro sconosciuto a molti alberghi di lusso, si fondono alle emozioni di panorami marittimi vertiginosi. A questi si aggiungano numerosi altri indirizzi che con la fantasia hanno saputo mandare in soffitta lo stereotipato binomio gastronomico pizza-zuppa di pesce. Senza dimenticare mastri pasticcieri come Salvatore De Riso di Minori, per le cui fantastiche prelibatezze dolci accorrono da tutta Italia raffinati gourmet.

Temples for taste buds On steep hilly slopes tireless vine growers turn grapes into nectar. In this wonderful climate and abundant region, rich in raw materials, it goes without saying that the local restaurants are superb. Not always in a popular tourist area one can eat well. However, from Postano to Vietri you are treated so well nowadays that the Amalfitana coast is giving the peninsular of Sorrento (renowned Mecca of super restaurants) a run for its money. No one should miss truly memorable emotional experience of lunch or dinner at ‘Rossellinis’ at the ‘Hotel Palazzo Sasso’ in Ravello or at ‘San Pietro’ in Positano, where inspired and divine seafood flavours (not often found in many luxury hotels) combine with the amazing coastal panorama. There are numerous other places that with a good dose of fantasy have managed to kill the stereotyped pizza-fish soup image. Last, but not least, we have Salvatore De Riso of Minori the master pastry chef whose fabulous desserts are sought after by every gourmet in Italy.

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Venezia, la piazza del mondo Città di scambi per antonomasia, la gemma della laguna torna a essere vetrina dell’architettura internazionale e svela in cucina tutta la sua anima cosmopolita 62


L’onda della Biennale di Architettura che invade la città dell’acqua con tutta la sua carica di novità internazionali torna a movimentare l’estate veneziana. Rapida e altrettanto impetuosa, la Mostra del cinema, il festival più antico del mondo, stende il tappeto rosso alla settima arte sull’isola del Lido. Entrambi gli eventi irrompono a Venezia con un carico di modernità e futurismo che sembra stridere con l’immagine di città perfetta, immobile nel tempo, olografica ambientazione di una tela settecentesca in dimensioni extra large. Tutte e due le mostre, invece, hanno il merito di mettere a nudo l’indole più sincera di Venezia, quella di perpetuo centro di scambi. L’affaccio sul mare, l’arte antica del mercanteggiare e del lungo viaggiare hanno mantenuto nei secoli quell’aura di elegante salotto, aperto e curioso verso l’ospite più lontano. Per secoli la Serenissima Repubblica di Venezia ha spinto i suoi commerci fino agli angoli remoti del mondo conosciuto e ha accolto tra le sue calli mercanti e intere comunità di stranieri. Le commistioni di culture e di stili sono evidenti a Venezia, a partire dal luogo che ognuno conosce anche senza esserci mai stato: la basilica di San Marco. Fondata nel IX secolo, ha conservato il suo aspetto “esotico”, basato su una perfetta sintesi di elementi architettonici diversi (bizantino, romanico e gotico) e su suntuosi decori ottenuti dall’oro e dai preziosi provenienti dall’Oriente. E lo stesso mix, riflesso di lunghi viaggi e traffici commerciali, lo si ritrova anche a tavola in usi alimentari che si sono protratti nella storia.

Venice, big place of the world The wave caused by the Biennale of Architecture, that for over thirty years has been invading the famous water city with a wealth of international novelties, has returned to the Venetian summer. Rapida is just as impetuous. The film festival lays out the red carpet to the art week on the Lido Island. Both events wake up Venice with a wave of modernity and futurism that seems to clash with the tranquil image of the city, perfect and suspended in time, a holographic setting of a painting. The mixtures of culture and style in Venice are evident, starting from the place that everyone knows and loves without ever having visited it: St. Mark’s cathedral.

Chiacchiere al caffè

In apertura, un affascinante scorcio della laguna veneziana. Nella pagina successiva, la sagoma di un gondoliere si staglia contro l’elegante profilo del ponte di Rialto

Semplice, ma al contempo complessa. La cucina veneziana è essenziale negli ingredienti legati al territorio (pesce e cacciagione di laguna, ampia varietà di ortaggi che per il clima caldo umido e l’aria salmastra crescono abbondanti e di buona qualità), ma è anche stratificata per le influenze subite nei secoli quale porta tra Oriente e Occidente in una continua mescolanza di accostamenti e sapori. Cannella, noce moscata, chiodi di garofano. E, ancora, zafferano, pepe e sale. Le

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Chatting at the bar Simple, but at the same time complex. The Venetian cuisine is essential in it’s choice of locally sourced ingredients (fish and lagoon fowl plus an ample selection of vegetables that thanks to the mild, salty sea air are excellent and abundant) but also tinged with influences that over the centuries have entered the port from east and west, in a never ending blend of tastes and flavours. Cinnamon, nutmeg, cloves, salt, pepper and saffron. The spices arrived from the Orient in the Middle Ages and lingered in the Venetian cuisine. According to history, warehouses in the 1400’s hoarded 5000 tons of supplies, some for export, the rest assigned to the local dishes. The first coffee shop was opened here in 1683; twenty-two were thriving a century later. 1720 saw the birth of one of the most elegant of these, originally named “Alla Venezia trionfante” and later Caffè Florian after its first owner Floriano Francesconi. Frequented by the best of Venetian society, it offered coffee and oriental wines and its patrons from Carlo Goldoni to Casanova, from Lord Byron to Stravinsky made it famous over the centuries. Nowadays, a coffee or cocktail at Florian is the rule for rubbing shoulders with a piece of history. Close by, another famous bar the Lavena, experiments with and recreates traditional coffee shop recipes dating back to 1750.

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spezie sono giunte da Oriente nel Medioevo per restare nei piatti veneziani. Secondo alcuni documenti storici, i magazzini nel 1400 ne contenevano 5 mila tonnellate destinate in parte a proseguire per altre città, ma in parte anche a entrare nella cucina locale. Molto presto, attorno all’anno 1000, ha fatto capolino lo zucchero, portato dai crociati, e dal 1638 sono arrivati dalla Turchia i semi di kahavé (caffè) da cui si traeva “un’acqua nera, molto calda, che non consente di addormentarsi”, come aveva riferito in Senato qualche decennio prima l’ambasciatore veneziano a Istanbul. Con i chicchi neri si sono diffuse le botteghe del caffè sotto le Procuratie, edifici posti sulle arcate di un porticato terreno, che definiscono il lato nord e sud di piazza San Marco e che originariamente erano adibiti a residenza e uffici dei procuratori, i più alti funzionari della Repubblica dopo il doge. Qui la prima bottega del caffè fu aperta nel 1683 (un secolo dopo in città se ne con-

tavano 200). Erano luoghi pubblici d’incontro e socializzazione, dove ci si poteva dedicare al gioco. Nel 1720 ne è sorto uno dei più eleganti, “Alla Venezia trionfante”, chiamato poi Caffè Florian dal nome del suo primo proprietario, Floriano Francesconi. Frequentato dall’alta società veneziana, serviva caffè e vini d’Oriente e i suoi avventori, da Carlo Goldoni a Casanova, da Lord Byron a Stravinsky, lo hanno reso celebre nei secoli. Oggi un cocktail al Florian (ottimo il Tiepolo: fragole fresche frullate e Prosecco) è di rigore per fare un tuffo nella storia. Poco più in là, il Lavena sperimenta ed elabora ricette nel solco della tradizione di bottega del caffè sorta nel 1750.

Per cicheti e friti Un altro importante luogo di ritrovo tipicamente veneziano, che va sperimentato anche nelle visite più fugaci in città, è il “bacaro”. È ancora dubbio se la parola derivi da Bacco, dio del vino, o da un


modo di dire tra intenditori che definiscono di qualità – “proprio un vino di bacche” – solo la bevanda fatta con acini d’uva. Ma certo è che quelle osterie di un tempo, le più economiche riservate al popolino, oggi sono diventati bar dall’aria fintamente trascurata, dove si possono mangiucchiare al banco o seduti a un tavolo di legno, i cicheti (dal latino ciccus, piccolissima quantità) di piatti tipici quali sarde in saor, trippa, baccalà fritto, folpetti (polipetti lessati e conditi con vinaigrette al limone o solo con sale). Il tutto accompagnato dall’immancabile ombra di vino (calice di circa 100 ml) o dallo spritz (aperitivo con vino bianco, buccia di limone o arancia, acqua,Aperol o Campari). Nel solco dei bacari, i “fritolini”, che nel 1700 erano locali molto piccoli dove si serviva solo pesce fritto in fogli di carta da cucina arrotolati a forma di cono. Recupera le radici storiche dei fritolini, l’osteria Vecio Fritolin, imperdibile sosta culinaria di Venezia. Qui, in Calle della Regina, dove nel 1454 nacque la futura sovrana di Cipro Caterina Cornaro, si conservano le architetture del 1500 e si assapora una cucina che punta sulla qualità eccellente degli ingredienti, rigorosamente freschi e di stagione. A trionfare è il pesce. Il menù cambia quotidianamente. Unica presenza fissa, il fritto di pesce (5 o 6 varietà) con le zucchine. Tra gli ingredienti testimoni dei secolari scambi tra Venezia e l’Oriente, il posto d’onore è infine riservato al riso: costosissimo in età medievale era venduto a chicchi nelle spezierie per uso medicinale, mentre in cucina era macinato per rendere più dense le zuppe. Condito in molteplici modi, il riso a Venezia è soprattutto con i “bisi” (piselli degli orti della laguna) o con il “go” (ghiozzo), un pesciolino tutto lische e gusto che nuota, sempre più raro, in laguna. Per mangiare un “risotto di go” sopraffino si va Da Romano sull’isola di Burano, quella dei merletti e delle case color pastello. Mirò, De Chirico, Hemingway e Pirandello, sono solo alcuni dei nomi che hanno fatto di questo ristorante il luogo della memoria di una stagione culturale inimitabile.

A taste of cicheti and friti

La prima bottega del caffè a Venezia fu aperta nel 1683. Il Caffè Florian invece serve caffè e vini dal 1720. Sotto, altre due istituzioni per chi voglia assaporare il gusto della tradizione veneziana: l’osteria Vecio Fritolin in Calle della Regina e il ristorante Da Romano sull’isola di Burano

Another typical Venetian meeting place to be experienced is the bacaro. It is unclear if the word derives from Bacco, the God of wine, or from an expression used by connoisseurs that define the quality - “proprio un vino di bacche” – of the drink made from the berry of the grape. What is certain is that in the traditional osterie cleverly redecorated to look fashionably shabby you can nibble at cicheti (Latin for ciccus, tiny portions) of typical dishes such as sardines in saor, tripe, fried salt cod, folpetti (steamed octopus with lemon vinaigrette or a touch of salt). Rice takes the place of honour on the list of ingredients exchanged over the centuries between Venice and the Orient: in the medieval ages it was costly and sold by the grain in spice shops for medicinal use, while in the kitchen it was ground and added to thicken soups. In 1500 it became the basic ingredient on the Venetian menu, thanks to measures taken by the Ducal government that freed the production from taxes and duties. The Venetian rice is served in a variety of ways but most traditionally with “bisi” (local lagoon peas) or with ghiozzo, a tiny bony fish found increasingly more rarely in the lagoon. Fancy an excellent “risotto di go”? Try Da Romano on the isle of Burano, famous for lace making and the pretty pastel coloured fisherman’s houses.

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Paradiso Gargano Puglia: nello “sperone d’Italia” tra sapori intensi, colori e profumi di un Eden irresistibile

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Sembra una meta esotica e, guardando le trasparenze dei fondali, quasi si fa fatica a credere che sia invece un promontorio che affaccia sul mare Adriatico. Eppure è cosi: il Gargano è un Eden a portata di mano. Questo promontorio roccioso, definito lo “sperone d’Italia” e proteso nel lembo più settentrionale della Puglia verso i Balcani, affascina per i colori (il blu e il turchese delle acque e il verde della macchia mediterranea), per i sapori della cucina (semplici e inconfondibili, anche quando si mescolano tra loro), per la luce (al mattino tendente all’argento, nel pomeriggio all’oro), per la magia delle antiche torri che conservano il ricordo delle incursioni saracene. E poi per i paesi – Peschici, Lesina, Vieste, Mattinata – ricchi di storia e tradizioni. E per la gente schietta, semplice e generosa. Un incredibile puzzle di natura, arte, storia e gastronomia, tutto da scoprire per oltre duecento chilometri (e in più, al largo, a venti chilometri in linea d’aria, le isole Tremiti).

Agrumi superstar La costa settentrionale è culla di due laghi salmastri, di Lesina e di Varano, separati dal mare da un lungo cordone di dune sabbiose. La zona è ideale per praticare birdwatching: qui si possono ammirare gli aironi, i falchi di palude, il cormorano, la spatola e il basettino. Il lago di Lesina, inoltre, è famoso per la tradizionale pesca delle anguille (si fa con i tipici “bertovelli”, reti a forma di nassa, dove i pesci rimangono imprigionati, senza una via di uscita), anguille apprezzate ovunque e richieste dai migliori chef (un piatto tipico locale è l’anguilla chi maccarun). Adagiato a ovest dell’omonimo lago, Lesina (nato dall’immigrazione di pescatori dalmati e noto ai romani come Alexina), è il borgo marinaro per eccellenza. Vale la pena addentrarsi nel centro storico per ammirare l’imponente cattedrale con l’alto campanile e il palazzo vescovile risalente al 1200. Qualche chilometro più in là, lungo una strada interna tra emozionanti curve e saliscendi, ecco Rodi Garganico, la capitale degli agrumi garganici, con i suoi “giardini”, come sono chiamati i ter-

Paradise Found, The Gargano It is hard to believe that this exoticlooking place, which shows off its marine bed through limpid and silken waters, is a promontory of the Adriatic Sea. A huge rocky outcrop, known as the “spur of Italy”, the Gargano juts from the northernmost part of Puglia towards the Balkans in a stunning display of verdant maquis set against a turquoise and blue backdrop. A place known for its tasty but simple cuisine (a mix of flavours, also of the sea and the earth), its light plays of morning silver and evening gold and the magic of its ancient towers, which still echo of long-ago Saracen incursions. The home of towns, such as Peschici, Lesina, Vieste and Mattinata, steeped in history and tradition, where the people are down to earth and open-hearted. The northern coast cradles the two salt lakes of Lesina and Varano, separated from the sea by a long strip of undulating sand dunes. Lake Lesina is famous for its eel-fishing tradition. The Gargano, an enigmatic feast of nature, art, history and food that stretches for more than 200km. The town of Lesina is known for the excellence of its fishery.

Superstar Citrus Fruits A visit to the historic centre to admire the majestic cathedral and tall bell tower and the 13th century bishop’s palace is well worth it. A few kilometres away, we find Rodi Garganico, the citrus fruit capital of Gargano, and its “gardens”, as they call the fruitgrowing lands that still today offer a unique farming landscape. Almost all the orchards are planted close to the family house, protected from the wind and salty sea air by dry walls or cane, holm oak or laurel windbreakers. Two romantic medieval inland towns, Ischitella and Vico del Gargano, complete the yellow-orange triangle. The latter’s Patron Saint is Saint Valentino and lovers meet in the street of romance to exchange vows of undying love. Other two villages of the “yellow-orange triangle” are Ischitella and Vico del Gargano, Hinterland romantic medieval village (called “of love”, due to its Patron Saint Valentine). The terrain’s fruits, districts of Slow Food, ripen all year long: blonde oranges in May, Limoncella in June and Durette at Christmas.

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inviaggio Travel

Postcards from Nature The most beautiful scenes emerge between Peschici and Mattinata – the kingdom of free-growing orchids. The deep Bay of Zagara is guarded by two “faraglioni”, impressive rocky sentries that tower over the shore and the plunging cliffs. Further north, olive groves and citrus orchards suddenly change into the pine forests of Aleppo, opening a gateway into an enchanting world of grottos, hollows – which give the whole coastline an appearance of intricate lacework – and secluded beaches. We arrive at Vieste, the heart of the Gargano: a tangle of alleys and steps that connect the low white houses and culminate on the rocky point of San Francesco with its fortified monastery and castle of Norman-Swabian origins. Here we can admire the grandeur of the Pizzomunno faraglione of Castello beach, and a tipical “trabucco”. The old fishermen tell us the story of the “trabucco”, giant wooden fishing structures frozen onto the rocks long before the cities and abbeys started to rise along the coastline. The ingenious work of bygone fishermen, the trabucco frames mark one of the Gargano’s most ancient fishing traditions and, although still in use today, have been declared a cultural heritage of the Regione Puglia. Their appearance is still an intriguing interweave of wooden beams and ropes, as fragile and light to look at as they are flexible and resistant to sea storms. Al least we visit Gargano National Park, a protected area home to more than 2,200 botanical species and amazingly rich in fauna.

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In apertura l’Architiello di San Felice, nell’omonima e incantevole baia. Qui, una panoramica di Vieste e, nella pagina successiva, un tipico trabucco

reni coltivati a frutta che costituiscono ancora oggi un paesaggio agrario unico, realizzati quasi sempre nei pressi di case padronali e protetti dai venti e dalla salsedine con muriccioli realizzati a secco o barriere di canne, coltri di leccio e alloro. Gli altri due paesi che compongono il “triangolo giallo-arancio” sono Ischitella e Vico del Gargano, romantico paese medievale nell’entroterra (denominato “dell’amore”, per via del suo Patrono, San Valentino, e per il romantico Vicolo del Bacio, dove gli innamorati si scambiano promesse di eternità). In questa zona gli agrumi, divenuti presidio Slow Food, maturano tutto l’anno: a maggio le arance Bionde (che si possono mangiare fresche fino a settembre), a giugno la Limoncella, a Natale le Durette (ottime in abbinata con le acciughe salate). Ancora, la rara qualità del melangolo dal colore rosso intenso e lucente, polpa croccante e succo tendente all’agrodolce, fino al limone più pregiato, detto il Femminello del Gargano (la varietà di forma oblunga che non ha semi nella sua polpa).Tutti gli agrumi diventano delle star in cucina per marmellate, canditi e limoncelli, liquori, rosoli, dolci (il “panetto del Gargano”, a base di mandorle e fichi secchi impastati con miele, vincotto, succo di arance), e addirittura zucchero di agrumi oltre a diversi

piatti salati (su tutti l’insalata di arance, lampascioni e melagrana).

Cartoline dalla Natura Gli scenari più belli si accavallano tra Peschici e Mattinata (il regno delle orchidee spontanee, con oltre 60 varietà, circa il 70% delle specie presenti in Europa): come la Baia della Zagara, una profonda insenatura caratterizzata da due faraglioni verticali – denominati Arco di Diomede o Le Forbici e la finestrella dei sogni – erosi dalle acque che affiorano a pochi metri dalla riva e dalla scogliera a strapiombo. Proseguendo verso nord, si nota subito un netto cambiamento: agli uliveti e agrumeti si sostituiscono i pini d’Aleppo. E inizia un’incantevole alternanza di grotte, cavità marine che traforano come un merletto l’intera costa (quella delle Rondini, al cui interno i volatili dimorano tutto l’anno, o la Grotta Campana, alta ben 47 metri, così denominata perché l’erosione millenaria degli agenti atmosferici le ha dato la caratteristica forma a campana) e di spiaggette solitarie (Vignanotica con ciottoli e falesie bianche, la baia di Campi con una bellissima insenatura) fino a raggiungere Vieste. Questo è il cuore del Gargano: un groviglio di vicoli e scalinate che collegano tra loro case bianche e basse e culmina sulla roc-


Vieste, la città più orientale del promontorio, lascia senza respiro con il suo groviglio di vicoli, scalinate e un centro storico arroccato su un immenso dosso roccioso ciosa Punta di San Francesco, col monastero fortificato e il castello di origine normanno-sveva. Da qui si può ammirare un trabucco (un’antica impalcatura per la pesca sul mare dalla quale si calavano le reti) e si raggiunge anche l’imponente faraglione di Pizzomunno, un aguzzo dente calcareo, alto 26 metri, che spunta davanti alla spiaggia del Castello e che la leggenda popolare dice essere un giovane pescatore tramutato in pietra da sirene gelose. I vecchi pescatori raccontano che i trabucchi, veri giganti di legno usati per la pesca, sono sempre stati immobili sugli scogli, già molto tempo prima che sulla costa sorgessero città e abbazie. Frutto dell’ingegnosità dei pescatori di un tempo, rappresentano la più antica tradizione marinara del Gargano, e oggi continuando nella loro funzione, sono divenuti patrimonio culturale della Regione Puglia. Il loro aspetto (pali conficcati nella roccia, carrucole e una grande rete a maglie strette calata in acqua, detta trabocchetto – da qui il nome – in cui cade il pesce) ancora oggi affascina con l’intreccio di travi e funi, così fragile e leggero allo sguardo quanto flessibile e resistente alla furia delle mareggiate. Chi ama la natura infine non può perdersi una visita al Parco Nazionale del Gargano, un’area protetta con oltre 2.200 specie botaniche e una straordinaria ricchezza faunistica. Un mix di colline, macchia mediterranea, altipiani carsici e valli boscose che si uniscono e spesso “baciano” il mare sottostante. Al suo interno la vera chicca è la Foresta Umbra, ombrosa come ricorda il suo nome, alle spalle della costa, con alture che sfiorano i mille metri e fitte faggete. 69


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Piccoli vini d’autore Dalla Valle d’Aosta alle Marche vi raccontiamo l’Italia delle bottiglie minori, attraverso la ricerca appassionata di chi al vino non chiede solo di essere compagno del cibo, ma anche testimone di un territorio

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“Il vino è morto. Che sia chiaro, il vino è morto”. È il proclama funesto di Aimè Guibert, affidato alla storica intervista su Mondovino rilasciata a Nossiter. Quaranta ettari ad Aniane, un villaggio di 2.400 abitanti, produttore all’interno dell’Appellation Mas De Daumas Gassac, Guibert personifica la resistenza francese contro i produttori americani, dipendenti dal marketing e dalla barrique. Ha impedito che i Mondavi comprassero terra in Languedoc. Ne avremmo bisogno anche noi di pionieri dell’orgoglio enologico.Amo il vino e voglio bere il territorio. Sono stanco dei vini legnosi, vanigliati e profumosi e quando posso vado in cerca di bottiglie che abbiano corrispondenza con il cibo di territorio e

che nel bicchiere testimonino l’idea di libertà di chi ci ha messo il tappo. Così mi sono messo in viaggio, partendo dalla Valle d’Aosta, dove si producono vini da vitigni pedemontani che guardano dall’alto in basso la vallata percorsa dalla Dora Baltea. Quell’antico patrimonio varietale, messo a coltura dai pretoriani romani, è riuscito a serbare nel proprio corredo cromosomico tutto il potenziale agronomico, viticolo ed enologico utilizzabile dall’uomo. Ecco allora tra i bianchi il Petite Arvine e tra i rossi il Petit Rouge, purpureo, dal profumo fresco, dal sapore asciutto e franco, ottimo con la Carbonada valdostana e con i formaggi stagionati. Un’esperienza unica è quella di arrampicarsi fino al limite della fascia vegetativa


Little Bacchus From Aosta Valley to Marche a lawyer explains his Italy of the small bottles. It’s the deep research made by someone who consider the wine as a close friend of the food, witness of the earth. Wine is dead. Let’s be clear, wine is dead. That’s what Aime’ Guibert said in the interview on “Mondovino” released by Nossiter. We will need somebody that defends our wines as Guibert did with the French wine. I love wine and I want to drink the land. I’m tired of wooded wines, vanilla taste and good smelling wines, and when I can I look for bottles that correspond to the territory. Discovering Italy, made me find little wine bottles that contain authentic wines and that are usually cheaper. That’s why I went from Aosta Valley, where they produce wines from ancient heart. Among the white wines ther is the Petite Arvine and among the reds there is the Petit Rouge, fresh smell, dry taste, very good with the Carbonada and old cheese. A unique experience is to reach the higher grape field in Europe, owned by the Vevey brothers, from where they get the “Blanc de Morgex et de La Salle”. Down to Piemonte are found other appreciate wines. In Liguria the coast falls straight into the ocean. The shoreline has got production of wines like Sciacchetra’, up Chi on Cinque Terre. In Friuli ama il vino cerca Paolo and Valter Vodopivec produce the courageous bottiglie che abbiano Vitovska. An extreme wine, far from any tasting corrispondenza con il cibo style, but very seductive. del territorio e che nel Wine is also this, the color of the land, smell of bicchiere testimonino l’idea the wind, an unexpected di libertà di chi ci ha flashback, a flying bullet. People from Veneto go to “messo il tappo” the small restaurants to truly drink. We got to Tuscany not to find famous wines, but to taste the Sangiovese of Montescudaio. The Sangiovese is the red wine that more represents central Italy. We find the Sangiovese also in Viterbo (Trappolini), and Molise. Basically, if we have to save a wine from a nuclear war, I would save the Sangiovese. Regarding whites, I would chose one from Trebbiano Spoletino. A few other small wine bottles could be found, but I would like to stop here, at the half of the booth, sure that the most hard and rich territory to explore are the southern ones. We will see you next time than, to continue our trip through those unknown southern locations, where the relationship between food and wine is still unbreakable.

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In basso, Panzano in Chianti con il suo territorio ricamato di vigneti. In Toscana, non limitatevi alla ricerca dei blasonati “Supertuscan”, ma assaggiate il Sangiovese di Montescudaio che, quanto Cecina, s’affaccia sulla costa tirrenica, e beatevi del Vermentino e del Candia delle Apuane

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per la vite, intorno ai 1100 metri s.l.m., per raggiungere il più alto vigneto d’Europa, da cui i fratelli Vevey ricavano il loro Blanc de Morgex et de La Salle. Cercate poi tra i prodotti di Les Cretes, di Costantino Charrére, l’inventore del Frissonière Cuvee Bois, inarrivabile Chardonay Valdostano e vi accorgerete che, dove ci sono i vini c’è la civiltà che ha sconfitto la barbarie. Lo sanno bene in Piemonte, regione che m’ispira curiosità per il Grignolino (frignare in dialetto astigiano, significa ridere), per il Pelaverga, per il Carema (Luigi Ferrando), per il Ghemme e per il Gattinara (Antichi vigneti Cantalupo), più che per i famosi Baroli. In Liguria la costa cade dritta sul mare. Mentre pota la vite pregustando il suo Sciacchetrà, il funambolico vignaiolo delle Cinque Terre guarda i porticcioli a precipizio, sforzandosi d’individuare le osterie dove farà suo quel vino. Meno noto ma sfizioso è il Pigato (Rio Favara) secco e fruttato, buono per il pesce, ma che i liguri abbinano ai pansoti e alle trenette con il pesto. Vi è poi la schiera dei vini compatti, vivaci, armoniosi e ruffiani, che sono come certe donne dalle quali, una volta conosciute, non riusciamo a staccarci. Parlo dei Riesling della Val Venosta (Falkenstein) e della Valle D’ Isarco (Manni Nössing). Passando per il Friuli m’è capitato di commuovermi per la coraggiosa Vitovska, prodotta da Paolo e Valter Vodopivec. Un vino estremo, fuori da ogni stile gustativo, ma di grande seduzione. Sempre in zona Edi Kante produce il Terrano del Carso, rosso rubino, carico, concettoso, che ricorda anche ai più inesperti il lampone e a me mio nonno, tenente della Grande Guerra che su quelle colline fu gravemente ferito. Il vino è anche questo. I veneti percepiscono le loro ugole come siccitose, ecco perché la loro sete sembra inesauribile. È gente che nelle osterie ci va davvero per bere. La Lugana Olivini Docg, o quella elegante di Zenato, ce la mette tutta per alleviare l’arsura e bevendola ti fa venire voglia di prendere le parti del Trebbiano. E siamo arrivati in Toscana, non alla ricerca dei blasonati “Supertuscan”, ma per assaggiare il Sangiovese di Montescudaio (Poggio Gagliardo) che,


quanto Cecina, s’affaccia sulla costa tirrenica e per bearci del Vermentino e il Candia delle Apuane (Giovanni Cima). Il Sangiovese è il rosso che connota di più l’Italia centrale: si esprime signorilmente nel Brunello, nei Chianti, nel Nobile di Montepulciano, nei Colli dell’Etruria Centrale, nelle Colline Lucchesi, a Cortona, nell’Elba Rosso, a Montecarlo a Scansano, inVal D’Orcia. Fa altrettanto nelle Marche, con il Rosso Piceno, in Umbria con il Torgiano, con i Colli Amerini, con i Colli del Trasimeno, con i Colli Martani, con i Colli Perugini e con il Rosso Montefalco, dove si sposa con il Sagrantino, temperandone naturalmente la ruvidità e conferendo al prodotto finale un gusto spiazzante e misterioso. Ma il Sangiovese lo troviamo anche a Viterbo (Trappolini), nella Sabina, a Nettuno, a Tarquinia, in Molise, nel Sannio. Insomma, se in previsione di un’era postatomica o di un’altra peste incontrollabile della vite, dovessimo spedire sulla luna una sola barbatella per preservarla per un migliaio d’anni, io ci manderei quella del Sangiovese. Per il bianco ne sceglierei una di Trebbiano Spoletino, che secondo alcuni produttori della “Culta Valle”, presto tornerà protagonista sul palcoscenico, meno colto, dell’enologia italiana. Il Verdicchio di Jesi era il vino delle mie insolenti scorribande verso il lido di Senigallia. Ancora ignoravo le potenzialità di Matelica, dove oggi, varcando l’Appennino, vado alla ricerca dell’altro Verdicchio (Monacesca, Cavalieri). E poiché non sono un oltranzista dell’autoctono, non mi turba che i marchigiani abbiano scoperto che l’identità genetica del loro Verdicchio è la stessa del Trebbiano di Lugana e di quello di Soave. È come svegliarsi figli illegittimi a cinquant’anni, che non sposta niente in fatto d’amore e di riconoscenza per chi ti ha allevato. E chissà che non accada altrettanto al Pecorino di Offida (Cocci Grifoni), nascosto nelle pieghe del territorio aspro e scostante di Arquata del Tronto, per il quale si gridò alla scoperta di un raro giacimento varietale, attinto da piante centenarie, ancora poggiate su piede franco. Mi fermo qui, a metà Stivale, consapevole che i territori più ricchi e più difficili da esplorare sono proprio quelli del Sud, dove il rapporto cibo vino è ancora imprescindibile.

In alto, uve di Vermentino. I vini a base di Vermentino sono generalmente dei bianchi secchi ma delicatamente morbidi, di colore giallo paglierino, con profumi intensi di fiori di campo ed erbacei e una nota di pesca gialla

Se in previsione di un’era postatomica o di un’altra peste incontrollabile della vite, dovessimo spedire sulla luna una sola barbatella per preservarla per un migliaio d’anni, io ci manderei quella del Sangiovese. Per il bianco invece ne sceglierei una di Trebbiano Spoletino

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Franciacorta, basta la parola Non serve altro per identificare un prodotto che porta lo stesso nome del suo territorio, un piccolo fazzoletto di terra in Lombardia, a sud del lago d’Iseo, fra Brescia e Bergamo. Un vino questo che, in poco più di quarant’anni, si è imposto al mondo per la sua qualità

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Si chiama come il suo territorio, il re italiano del Metodo Classico. Un privilegio, questo, che condivide con Champagne e Cava: Franciacorta e basta, senza nessun’altra menzione specifica tradizionale (ovvero senza indicare Docg). Uno straordinario riconoscimento che è stato attribuito a un prodotto che, in un tempo decisamente breve per un vino (poco più di 40 anni), si è imposto per la sua qualità fatta di territorio e metodo di produzione. “Fenomeno Franciacorta” si dice, e a ragione. Dai primi anni Sessanta (quando, sulla scia di Guido Berlucchi, un primo gruppo di vignaioli ha sposato con decisione la scelta di produrre principalmente Metodo Classico) a oggi, la Franciacorta si è imposta come “laboratorio” enologico d’Italia, grazie a una fortunata miscela di grandi investimenti, capacità tecniche, esperienza imprenditoriale, dinamismo, marketing mirato e alcune scelte ben precise dei suoi produttori, uniti nel Consorzio di Tutela. Anni fa, ad esempio, quella di adottare per la produzione un metodo unico a cui tutte le aziende devono attenersi: il Metodo Franciacorta, appunto. Oppure di scegliere fra le varie tipologie, a portabandiera del territorio, il Satèn (perlage finissimo e persistente, una piacevole sapidità e freschezza, che richiama anche nel nome la morbidezza della seta) il cui marchio è stato registrato dal 1995 ed è riservato solo ai produttori associati al Consorzio. O ancora il Disciplinare che consente un ulteriore innalzamento dei parametri produttivi e delle garanzie per i consumatori (allungamento dei tempi di affinamento sui lieviti per alcune tipologie, limitazione della base ampelografica per valorizzare il vitigno Chardonnay, incremento della densità d’impianto e inserimento della riserva vendemmiale, ovvero la possibilità di accantonare parte della produzione in vino di una specifica annata, tenendola bloccata come riserva di vino disponibile, da utilizzare nel momento in cui si creano situazioni produttive che richiedono di attingere

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Il segreto del suo nome Sono molte le ipotesi sull’origine del termine Franciacorta, un nome musicale, evocatore, dalle molteplici sfaccettature, che da tempo immemorabile ha in qualche modo autorizzato studiosi e non a sbizzarrire la fantasia e a dare le più svariate interpretazioni. Ma, finora, nessuno ne ha scoperto il segreto. L’ipotesi più accreditata è quella che lo fa derivare da franchae curtes: nel medio evo, infatti, i principali centri della zona erano delle corti regie, che dopo l’arrivo dei monaci benedettini e cluniacensi godettero di franchigie (curtes francae) perché deputate al controllo delle strade e alla bonifica del territorio. Altre interpretazioni, più fantasiose, vogliono che il nome derivi dalla frase “A curt de franc” (che in dialetto significa “senza soldi”), indicativa dello stato di povertà in cui versavano un tempo gli abitanti della zona; oppure che si ricolleghi all’ammonimento “Qui la Francia sarà corta”, gridato in epoca comunale dai franciacortini contro i francesi invasori, per indicare che non avrebbero potuto restarvi a lungo, grazie alla resistenza guidata contro di loro da un ciabattino di Rovato. Il toponimo “Franzacurta” appare per la prima volta negli Statuti del Comune di Brescia del 1277, mentre l’esatta definizione geografica della zona risale al 1429 quando, negli Statuti del Doge Francesco Foscari ne vengono descritti i confini, che ancor oggi coincidono con quelli definiti dal Disciplinare di produzione dei vini di Franciacorta.

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a dette riserve di vino aziendale). Una marcia inarrestabile, quella della Franciacorta, che – pur con qualche chiaroscuro – l’ha portata oggi a una posizione leader a livello nazionale. Il Franciacorta, dunque, come la massima espressione del suo territorio, piccolo fazzoletto di terra a sud del lago d’Iseo, fra Brescia e Bergamo. Qui la geometria delle vigne è interrotta da castelli e abbazie medievali, da monumentali ville nobiliari (in questa campagna infatti la nobiltà bresciana aveva nei secoli passati i suoi latifondi e le sue dimore di villeggiatura estive), da antichi borghi contadini. Per scoprire il fascino sottile di questa terra, l’ideale è seguire gli itinerari tracciati dalla Strada del Franciacorta (che si snoda per 80 km fra colli, riserve naturali, specchi d’acqua), vagabondare fra borghi e colline la-

sciandosi catturare dal loro tranquillo fascino, fermarsi nelle cantine a degustare i vini, scovare nei paesi piccoli negozi d’artigianato, antiquari, botteghe con prelibatezze gastronomiche, farsi tentare dalla gola nelle trattorie dove carne (il manzo all’olio di Rovato) e pesce di lago (la tinca al forno di Clusane) si alternano in buona armonia, o fare tappa in rinomati ristoranti, nel gotha della ristorazione italiana. E sì, perché in Franciacorta il vino ha fatto da traino al turismo (a cui ha dato un eccellente impulso la Strada del Franciacorta, fra le prime strade del vino in Italia e fra le più attive) e all’alta ristorazione. Se infatti dalla cima del colle Bellavista a Erbusco, il “divin” Gualtiero Marchesi – uno dei grandi della storia della cucina italiana di tutti tempi, approdato in Franciacorta una quindicina


Franciacorta, one word says it all

di anni fa – propone sempre nuove suggestioni nel suo ristorante gourmand inserito nel Relais e Chateaux dell’Albereta, anche la nuova leva degli chef (giovani e meno) è, in Franciacorta, una piacevolissima sorpresa. Come l’hotellerie, che non è da meno con i suoi alberghi di charme e le accoglienti strutture agrituristiche, wellness farm e dimore storiche. Tutto il territorio ha fatto negli ultimi anni passi da gigante ed ora è una delle mete più ambite dell’enoturismo in Italia. Ma quello che forse più conta oggi è il livello dell’accoglienza che l’intera Franciacorta riserva ai suoi ospiti: siamo infatti convinti che la qualità dell’ospitalità – sia in ristoranti, alberghi, agriturismi che nelle cantine – oltre a quella del vino, faccia la differenza per promuovere il turismo.

Per scoprire il fascino di questa terra, l’ideale è seguire gli itinerari tracciati dalla Strada del Franciacorta che si snoda per 80 km fra colli, riserve naturali, specchi d’acqua

The Italian king of the Classical Method, Franciacorta, along with Champagne and Cava is known only by the appellation of where it comes from, and nothing more (not even GCDO). There are only ten such denominations in all of Europe which enjoy such a privilege: an extraordinary acknowledgement which has been bestowed on Franciacorta, for the quality of the area, method of production and product itself. Since the early ‘60s, Franciacorta has seen itself as the wine “laboratory” of Italy, thanks to a lucky mixture of investments, technical skills, targeted marketing and precise decisions made by its producers, united in the Consortium of Protection. Like the idea to adopt a unique production method, which all companies have had to stick to, the Franciacorta Method. Today, the recently launched Discipline, will allow a further increase in productive parameters and customer guarantees. In short, the most relevant news is the increase in time for the refinement of yeasts for some typologies, the limitation of the ampelography base to improve the Chardonnay vines, and the possibility put aside some of the wine production in specific year and keep a reserve of wine” explains Silvano Brescianini, adviser of administration to the Consortium. An unstoppable move by Franciacorta which today has bought it to an international level. Franciacorta, therefore, is the best export of its area, a small square of the land south of the lake Iseo, between Brescia and Bergamo. A fascinating area, best discovered by following the Strada (street) of Franciacorta, meandering from village to village, stopping off at the vineyards to sample the wines, discover the towns’ gastronomic delights and indulging in the renowned restaurants.

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Campania da bere

Il nostro viaggio attraverso l’Italia delle piccole bottiglie fa tappa nella terra del sole e del Vesuvio. Ad attenderci un vino buono, schietto, che ci racconta del suo popolo e della sua storia

Non faccio per vantarmi, ma il mio fegato non sta risentendo più di tanto per questo pellegrinare enoico alla ricerca dei sensi vitali, e talvolta metafisici, presenti nel vino. Accidenti, ci sono cascato! Mi ero ripromesso di non scopiazzare i ciarlatani del settore, quelli che dicono – solo perché va di moda – che la forza del vino va ricercata negli elementi immateriali che ogni bottiglia rinchiude in sé, giurano che bere un bicchiere di questo o di quel vino è come degustare il territorio, e fesserie del genere. Sul valore di certe affermazioni è necessario fare la tara. Il vino è buono quando è buono e cattivo quando è cattivo, come ogni altro alimento.E in Campania è buono. L’immagine di questa regione, che con accorata

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arguzia rifiuta la sconfitta,è perennemente minacciata dall’incombente Vesuvio, dai tumulti, dalle rivoluzioni,dalla camorra,dall’immondizia.Nondimeno la sua cifra enologica è in continua ascesa. Lo dicono le statistiche e lo attestano i registri dei vivaisti e degli istituti enologici, che eseguono le selezioni clonali sulle varietà Aglianico, Greco e Fiano, richiesti da tutti i produttori italiani, in barba ai principi che regolano la conservazione del patrimonio genetico autoctono. Del resto l’odierno Aglianico – presente in un territorio di grande tradizione vitivinicola, che comprende 17 comuni, tutti in Irpinia – non l’ha piantato lì il Padreterno, ma vi è stato introdotto sotto il nome di Vitis Hellenica all’epoca della fondazione di Cuma.


Campania’s wines Without boasting, my liver is not afflicted by this wine pilgrimage in search of the vital, even metaphysical senses, held in wine. Goodness, not again! I had promised myself to stop copying the industry’s charlatans – those claiming that a wine’s strength should be looked for in the immaterial elements of every bottle. Some affirmations need to be assessed with scepticism. Wine is good when it is good, and bad when it is bad. And in Campania, wine is good! This region’s image is constantly threatened by tumult, rubbish, the Camorra, the dioxin mozzarella. Nonetheless, its winemaking numbers are continuously rising. This is confirmed by statistics and by the registers of oenological institutes, which execute the clonal selections on the Aglianico, Greco and Fiano varieties, requested by all Italian producers, in defiance of the principles regulating the conservation of the local genetic heritage. For that matter, the current Aglianico was not planted there by God the Father, but was introduced under the name of “Vitis Hellenica”, when Cumae was founded. And the Taurasi, a wine with delicate but sharp aromas and a persistent aftertaste, is obtained from the “Vitis Hellenica”. It was the first southern wine to obtain the DOCG (Registered and Certified Designation of Origin). Now I would like to have you believe that the Taurasi Cinque Querce, produced by Salvatore Molettieri in the countryside of Montemarano, was one of the most exhilarating wine experiences of my pilgrimage in Campania. I think that its distinctive touch, compared to other Aglianico wines, is given by the contribution of the thermal lashes due to the

La cifra enologica campana è in continua ascesa. Lo dicono le statistiche e lo attestano i registri dei vivaisti e degli istituti enologici che eseguono le selezioni clonali sulle varietà Aglianico, Greco e Fiano, richiesti da tutti i produttori italiani in barba ai principi che regolano la conservazione del patrimonio genetico autoctono

Questo a conferma delle migrazioni ampelografiche che si sono succedute nel corso della storia e che hanno visto la Campania come punto di arrivo e successiva ripartenza per il resto del Paese. È dalla Vitis Hellenica che si ricava il Taurasi, vino accurato, dai profumi decisi ma delicati, dal retrogusto persistente e meritevole di prolungato invecchiamento. Fu lui il primo vino del caldo meridione a ottenere la Denominazione di Origine Controllata e Garantita. Adesso vorrei che credeste che il Taurasi Cinque Querce, prodotto dal vignaiolo Salvatore Molettieri in agro di Montemarano, costituisce una delle più esaltanti esperienze enologiche del mio peregrinare campano.Non poteva essere altrimenti, viste le continue cure che

quest’azienda dedica a una vigna che non supera i sette ettari, per una produzione che oscilla intorno alle ventimila ricercatissime bottiglie. Ma credo che a conferirgli quel tocco superlativo che lo distingue da ogni altro Aglianico, contribuiscano le sferzate termiche dovute alla quota altimetrica dei pendii argilloso-calcarei della valle del fiume Calore. Veronelli definì l’annata 1998 semplicemente maestosa, così suggellando per sempre il nome di Molettieri. La vera sorpresa è stata il Taurasi di Pasquale Di Prisco, viticultore in Fontanarosa, borgata prossima a Taurasi, dove dal 1995 questa azienda rappresenta l’unica espressione territoriale in etichetta. Nel Taurasi di Pasqualino, più che la frutta si avvertono decisi sentori di tabacco, un mi-

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ipiaceridelvino wines

Il Fiano, che sta diventando uno dei prodotti più rappresentativi del nostro Paese, è il vino con cui la Campania si è fatta strada nel mondo enologico. Era conosciuto ai latini con l’appellativo di Vitis Apiana, che deriva da ape, insetto particolarmente attratto dal sapore dolce di quest’uva Il vitigno Aglianico è stato introdotto in Campania, sotto il nome di Vitis Hellenica, all’epoca della fondazione di Cuma

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nimo di affumicato,una nuvoletta di vaniglia,uno starnuto di pepe bianco e la spallata acida prevale ancora sulla morbidezza. Questi sì che sono segni chiari di futura longevità, a tratti riscontrabili anche nel Taurasi della Tenuta Ponte, prodotto in agro di Luogosano, provincia di Avellino. In un ristorantino a picco su una scogliera avverto poi un odore di erbe di montagna mescolato a quello dell’arziglio degli scogli: qui, il mio naso prima e il mio palato poi, impattano con il Fiano di Avellino 2006 Pietracupa, prodotto da Sabino Loffredo a Montefredane. Un bianco di grande stoffa, che mando giù senza chiasso e senza rimpianti. Il Fiano è un vitigno dalle molteplici sfaccettature e si diversifica a secondo delle zone di produzione, delle cure ricevute in cantina e dell’onestà dei produttori. Non amo mettere a confronto i vini, di solito. Ma non posso fare a meno di notare che Pietracupa si differenzia notevolmente dal Fiano in purezza (il disciplinare prevede la possibilità di un 15% di Greco, Coda di Volpe e Trebbiano Toscano) di Guido Marsella. Questo vino è figlio di una raccolta ritardata non solo per esigenze climatiche, ma soprattutto per l’affermata volontà del produttore di assicurarsi la piena maturazione e la massima concentrazione delle uve. Le piacevoli note di mandorla, pompelmo, cedro, susina, erbe aromatiche e le sue sensazioni minerali, fanno dimenticare una gradazione forse eccessiva e un’etichetta dal risultato grafico imbarazzante. Ma si sa che l’abito non fa il monaco! Comunque a Don Alfonso Iaccarino di Sant’Agata sui Due Golfi, uomo pratico e senza fronzoli, non dovrebbe essere dispiaciuta neppure quella, giacché il Fiano di Marsella fu il primo a essere introdotto nella carta stellata. Raffaele Gargiulo, architetto napoletano con residenza a Sorrento, mio consulente fidato, ha un debole per i bianchi della sua regione. Raffaele m’invita a pranzo da Mimì alla Ferrovia, ristorante che non sfugge alle regole partenopee. Di questo posto si racconta un aneddoto noto a tutti i napoletani. Totò si esibiva al vicino teatro Orfeo e Michele Giugliano, figlio tredicenne del proprietario, gli recapita nel camerino un piatto


altimetric elevation of the argillaceous-calcareous slopes of the Calore river valley. The true surprise was the Taurasi from Pasquale Di Prisco, wine grower in Fontanarosa, a village close to Taurasi. Since 1995 this company is only one representing the area on a label. In Pasqualino’s Taurasi, one can sense sharp hints of tobacco, slightly smoked, a small vanilla cloud, a white pepper sneeze and the sour shoulder charge prevailing over its delicateness. In a small restaurant high up on a cliff, my nose and my palate collided with the Fiano di Avellino 2006 Pietracupa, produced by Sabino Loffredo at Montefredane: a white wine of great substance. I don’t like to compare wines, but I can’t help but notice that the Pietracupa differentiates itself significantly from the pure Fiano of Guido Marsella. The pleasant hints of almond, grapefruit, citron, plum, aromatic herbs and its mineral sensations makes one forget its alcoholic strength, which might be excessive. Raffaele Gargiulo, a Neapolitan architect and my trusted consultant, has a weakness for his region’s white wines. He invites me for lunch at Mimì alla Ferrovia. With a fabulous stuffed sweet pepper in front of him, he tells me about the most drinkable Biancolella wines, the Coda di Volpe and the Falanghina of his friends, the Mustilli. Having finished his pepper, Gargiulo flaunts his university knowledge on the Greco di Tufo – the one from the Avellino area. Then he tells me about the Amalfi Coast wines. I listen with tactful, but not complete interest, because Mimì’s waiters continue incessantly to serve mini-panzarotti with mozzarella, rice fritters, egg-dipped aubergines and artichokes: stuff that makes the concentration of the best student collapse, let alone that of a pettifogger passionately fond of wine and food!

di spaghetti con il pomodoro, scordando le posate. L’affamato principe de Curtis, per non farli scuocere, li mangiò con le mani. Ne fu così divertito che ripropose quella scena nella popolare commedia Miseria e Nobiltà, in cui un’intera famiglia napoletana si tuffa sulla zuppiera e si sazia mangiando la pasta con le mani. Qui Gargiulo-Zaratrusta mi parla dei Biancolella più beverini, dei più misteriosi Coda di Volpe, riscoperta da Antonio Troisi e Domenico Ocone all’inizio degli anni Novanta e della Falanghina dei suoi amici Mustilli, riesumata a Sant’Agata dei Goti da Leonardo Mustilli negli anni Sessanta. Il Fiano, che sta diventando uno dei prodotti più rappresentativi del nostro Paese, è il vino con cui la Campania si è fatta strada nel mondo enologico. Era conosciuto ai latini con l’appellativo di Vitis Apiana, che deriva da ape, insetto particolarmente attratto dal sapore dolce di quest’uva. Tuttavia quest’antico vitigno, diffuso in provincia di Benevento, Napoli, Caserta e Avellino rischia – se il suo sviluppo non sarà limitato all’interno dei territori in cui è in grado di esprimersi con maggiore personalità – di diventare una sorta di Chardonnay par-

tenopeo. Sempre Gargiulo sfoggia poi la sua preparazione universitaria sul Greco di Tufo, quello prodotto nell’avellinese, in una zona molto limitata e molto propizia alla coltivazione della vite, dove quel vino ha raggiunto una tipicità ineguagliabile. Poi mi parla dei vini della Costa d’Amalfi, dichiarando la sua preferenza per il Ravello Bianco Selva delle Monache, prodotto da Ettore Sammarco. In fine mi racconta la storia di due miei colleghi, avvocati di professione e viticultori per hobby, che hanno iniziato nell’Azienda Agricola Vestini Campagnano a vinificare per scherzo il Pallagrello e il Casavecchia, vitigni autoctoni della provincia di Caserta, dopo di che il “divertissmant” si è trasformato in una vera e propria attività produttiva. Lo ascolto con discreto, ma non assoluto, interesse, perché i camerieri continuano a servirmi senza sosta, e in pregiudizio al mio colesterolo, panzarotti mignon con mozzarella, ciurilli in pastella, frittelle di riso, melanzane e carciofi indorati e fritti e frittelle di cicinielli: roba da far crollare la soglia dell’attenzione al più concentrato degli studenti, figuriamoci a un leguleio appassionato di vino e gastronomia!

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madeinitaly

Amo il vino: quello rosso, quello che sa di Mediterraneo e mi riporta alla mia terra. Lo amo soprattutto quando sono girovago nel mondo e sento il bisogno delle radici. Si favoleggia che il fashion-system sia apolide. È un abbaglio: fare moda, disegnare uno stile vuol dire dare forma a un sogno, ma il mio sogno nasce dalla cultura, dalla mia gente, dal mio paese. Sono convinto che questa sia stata la forza del made in Italy: che non è replicabile perché unica è la sua origine. Del resto siamo l’espressione di una terra che concentra in sé patrimoni d’arte, di natura, di civiltà antichissimi. Ogni volta che guardo il nostro marchio, quella medusa scelta da mio fratello Gianni, percepisco il mito della nostra remota origine, sento un afflato che mi fa immaginare mari e soli e genti, e un tempo che si dissolve. Ecco è la stessa emozione che mi dà bere vino, un grande vino italiano dove terra e spirito, uomo e natura sembrano fondersi in una magia che parla ai sensi. Questa è la forza del nostro vino che è diventato ormai un ambasciatore a tutto titolo dell’italian style. Quando ho fondato Altagamma c’erano già produttori di specialità alimentari, ma l’ingresso dei produttori di vino ha dato una completezza sinergica al nostro lavoro e alla nostra immagine. Credo che l’alta moda, la cucina italiana e il vino italiano – che non a caso fa impazzire gli americani – siano una sorta di total look. Anzi meglio, di total style. E sono oggi i punti di resistenza dell’immagine dell’Italia, che purtroppo si è molto appannata. Tuttavia la moda e il vino italiani sono sempre più percepiti come uno stile di vita classico e dinamico insieme, innovativo ed eterno, soprattutto vero. Dunque c’è speranza.

Santo Versace: the Bacchus world dresses Italian

Nel mondo Bacco veste Italia Alta moda e vino di qualità sono i must dell’italian style. Servono a ricostruire l’immagine del paese che si è appannata. Ma ci sono grandi prospettive. Ce lo assicura Santo Versace

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I love wine: red that tastes of the Mediterranean takes me backs to my land. I love it when I tour the world and feel the need to go back to my roots. They say that the fashion-system is a haploid, this is wrong: to design fashion means to give shape to a dream; mine is born from my people and my country. I am convinced that this is the strength of made in Italy: unique in its origins. We, ourselves, are the expression of a land that is a concentrated heritage of art, nature and ancient civilisation. When I look at our label, the medusa chosen by my brother, I perceive the myth of our remote origins. It is the same feeling when I drink a great Italian wine, where the land and the spirit seem to meld. When I founded Altagamma the alimentary producers were already there but the addition of the wine producers has given a synergic integrity to our task. I believe that haute couture, Italian cuisine and wine are a form of total style, and nowadays they are the strongholds of the Italian image.


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Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali

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Iniziativa finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale per il Veneto 2007-2013 Organismo responsabile dell’informazione: Grana Padano e gli altri formaggi veneti di qualità Autorità di gestione designata per l’esecuzione: Regione Veneto - Direzione Piani e Programmi Settore Primario


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