8 minute read

COTECHINO E LENTI

Next Article
DA SOLE

DA SOLE

Spirito vincente

La collezione eyewear adidas Sport é frutto della tradizione tecnologica del marchio e della sua costante ricerca di innovazione e design, fondata su una visione inclusiva e sostenibile del mondo dello sport. SP0029-H è una mascherina dal design avvolgente ideale per qualsiasi sport che richiede particolare protezione in ogni condizione meteorologica. La montatura in iniettato è dotata di un innovativo sistema di ventilazione composto da nove piccole prese d’aria anti-appannamento posizionate nella parte alta del frontale. La barra anti-sudore frontale removibile protegge ulteriormente gli occhi e i naselli sono regolabili in qualsiasi posizione. Le lenti fotocromatiche gialle offrono una visione sempre nitida in qualsiasi condizione di luce. I terminali regolabili in gomma con anima in metallo assicurano una tenuta perfetta su qualsiasi forma di viso.

SPORT

Protezione Sport: 2 In 1

Per chi svolge sport di contatto e non vuole rinunciare ad indossare gli occhiali, Centro Style ha studiato una soluzione multifunzionale. La montatura Protezione Sport, infatti, è realizzata con inserti in gomma sull’interno del frontale e delle aste per garantire il comfort della calzata e la protezione dagli urti. Con un semplice clic, è possibile sostituire le aste con terminali regolabili con la fascia elastica che garantisce il massimo dell’aderenza. Il montaggio lenti in diottria è facilitato dall’apertura a vite posta a lato del frontale. La montatura è un prodotto di protezione individuale di seconda categoria conforme al Regolamento UE 2016/425 e alla norma EN 166:2001. Inoltre, è stata dimostrata da test di laboratorio l’efficacia del sistema di ventilazione dell’oculare e del trattamento antifog delle lenti neutre.

Sesta puntata, parlando di incontri e sorprese

Sempre in maniera semplice, alla “Cotechino e Lenti”, ma stavolta in vetro. Mi ricordo del tempo in cui ero ancora inesperto di tante cose, tra le quali la lavorazione del vetro. Non che ora io sappia tutto ma, alla metà degli anni 70, lavorando per una multinazionale della “plastica”, di vetro ne sapevo ben poco. L’industria ottica della produzione di massa viveva sulla resina organica CR39; quindi, per me le lenti di vetro non erano oggetto di interesse. Ma due furono gli incontri che mi aprirono gli occhi su questo materiale. Prima di raccontarveli, cominciamo a dire che di vetro ce n’è di vari tipi, con vari indici di rifrazione, tutti composti da vari materiali, con base silice (sabbia) circa 70 % solfato o carbonato di sodio 14 % e calce, 10 % con aggiunta di altri materiali come allumina, magnesio, rame, piombo, titanio, lantanio, alcuni dei quali conferiscono modulazioni dell’indice di rifrazione, qualità essenziale per i vetri ottici. La miscela viene fusa attorno a 1400°C. Diciamo anche che, conformemente all’uso negli impieghi normali, non è un solido come tanti altri, come si potrebbe pensare, ma “Il vetro è un solido amorfo. Un materiale si dice amorfo quando non ha un ordine a lungo raggio, cioè quando non c’è regolarità nella disposizione dei suoi costituenti molecolari su una scala più grande di alcune volte la dimensione di questi gruppi. Un solido è un materiale rigido; non scorre quando è sottoposto a forze moderate. – Doremus, R. H. (1994) “, detto questo merita una serie di attenzioni quando lo si lavora e lo si usa in ogni campo. Ma diciamo di più: a temperature crescenti, da

quella ambiente alle più alte, le sue molecole acquistano sempre più uno slittamento che permette libertà di movimento e quindi il vetro si comporta come un liquido molto viscoso. Inoltre rivela un fenomeno strano: dalla temperatura ambiente al suo libero scorrimento non si manifesta l’isoterma di fusione … sembra quindi, ad una osservazione distratta, apparire come fosse un liquido anche a temperatura ambiente.

Il vetro, infatti, è spesso descritto come un liquido ad elevatissima viscosità, privo di un reticolo cristallino regolare e di un punto di fusione preciso. Inoltre non presenta il fenomeno del calore latente di cristallizzazione o di fusione. In pratica, la linea orizzontale rossa dell’arresto della temperatura al cambiamento di stato, che denota che le calorie fornite servono solo a “sciogliere” il materiale non esiste come nella figura che rappresenta il comportamento di un metallo. Questo importa abbastanza poco ai nostri problemini ottici ma attenzione … tutto ciò che precede è per dirvi che il vetro è una bestia interessante ma subdola, un leone addormentato. Ma io al tempo vivevo di materiali organici, principalmente Cr39 … Come voi forse saprete, il CR39 viene prodotto da un monomero liquido, l’allil-diglicol-carbonato, mescolato da un catalizzatore, l’iso-propilprercarbonato (altra bestia cattiva, una polverina bianca che va conservata a -20°C se no esplode…), la miscela viene colata tra due “stampi” di vetro, lucidati otticamente rispettivamente nella parte concava e convessa ed assemblati su una guarnizione di EVA (etilene vinile acetato), indi infornati per un ciclo termico che dura dalle 10 alle 20 ore per trasformarlo in CR39 solido come tutti lo manipoliamo. Bene, ciò premesso, veniamo finalmente alla mia scoperta: in fabbrica si era studiata un’automazione dedicata soprattutto alla fabbricazione di lenti da sole che, essendo prima della colorazione tutte uguali a lotti, si prestavano a manipolazioni mediante piccoli robot e un trasporto mediante nastri.

Il considerare che tutto potesse andare bene, sino a che due pezzi di vetro si toccano con urti moderati e non si rompono, fu un dettaglio che a chi di “plastica” si occupava (e qui faccio ammenda

della mia ignoranza) fu allora perdonato, anche perché non ero il solo ad avere questa convinzione. La vita media di uno dei due vetri era di circa 75 cicli e poi si fratturava ed andava sostituito. Per la verità c’erano avvisaglie di rottura, ma su piccole fratture sul bordo o graffi esterni alla coppia di stampi nessuno aveva indagato più di tanto; nessuno aveva pensato alle manipolazioni fuori linea dove gli stampi venivano accatastati in cestini in modo certamente ordinato ma non delicato …

Vi parlo ora della mia prima scoperta sul vetro che fu sul suo comportamento nell’uso comune: l’azienda dove lavoravo, ad un certo momento della sua esistenza (1979), fu acquistata dal più grosso produttore europeo di vetro, segmentato in vetro piano “float” e vetri per autovetture. Come tutti i nuovi acquisiti, fummo in breve tempo visitati da varie figure, specialmente tecniche e manageriali, provenienti dal nuovo azionista. Ebbene, un giorno uno di questi visitatori della nuova Casa Madre mi prese in disparte e con un ‘aplomb’ tipicamente inglese mi chiese cinque minuti del mio tempo. Cominciò ad aprirmi un mondo nuovo, dove il vetro mi venne rivelato in tutta la sua incredibile suscettibilità a rotture nel tempo, specialmente se lo si trattava come noi eravamo abituati a fare.

Un piccolo contatto infatti crea, mi disse Barry, una lesione superficiale, basta un graffio e da esso partono, visibili solo al microscopio, delle “felci” chiamate da lui “Worna lines”. Queste lesioni creano degli inviti a rottura che sono responsabili della frattura degli stampi. Lo guardai sbigottito e mi dimostrò che, seguendo col microscopio i bordi di una rottura, si trovava sempre una di queste felci che era il punto di propagazione del danno. Per non parlare delle sbeccature, al bordo delle quali si potevano osservare decine di queste linee. Morale della dotta spiegazione del mio collega: se hai qualcosa di importante in vetro a casa tua, attenzione che un colpetto che ha provocato una di queste imperfezioni superficiali domani sarà la causa della perdita dell’oggetto al minimo successivo contatto. Vi sembrerà incredibile ma ve lo racconta un colpevole: fatte piccole modifiche alle linee automatiche, per far sì che gli stampi non si toccassero, aggiungendo mini-tornelli che distanziavano i pezzi, inseriti contenitori tipo quelli per le uova nelle cassette, raccomandato alle ragazze delle linee di produzione di prendere i pezzi uno alla volta, la resa passò da una rottura ogni 75 cicli ad una ogni 250 cicli. Se si considera di avere in circolo in linea di produzione 70.000 paia di vetri ogni giorno e spaccandone 1 ogni 75 giorni, passare a 1 ogni 250 giorni per un costo odierno di circa 3€ al pezzo … facendo due conti, mi vengono i brividi al “pensare di non averlo fatto prima”, (se non calcolo male sono quasi € 2.000 al giorno!) La seconda scoperta fu meno eclatante ma molto interessante.

This article is from: