Network In Progress #6

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Città dell’altrove Significato e fascino della rigenerazione urbana. Enrico Falqui

Caterina Padoa Schioppa

ECO-QUARTIERI -Friburgo -Svezia -Bolzano -E.V.A. (AQ)


Verdiana Network

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Editing and graphics: Valerio Massaro Responsabile Editoriale: Stella Verin 2


Index

Numero Tematico: Eco-Quartieri

EDITORIALE

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Significato e fascino della rigenerazione urbana. di Enrico Falqui

Città dell’altrove di Caterina Padoa Schioppa ECO-QUARTIERI

-Viaggio a Friburgo. Vauban e Rieselfeld due esempi di sostenibilità di Paola Pavoni

-Dal quartiere all’ecoquartiere: l’Ekostaden Augustenborg e la progettazione integrata due esempi di sostenibilità

di Letizia Cremonini

-QUARTIERE CASANOVA MODELLO VIRTUOSO DI DENSIFICAZIONE URBANA di Anna Bartolaccio

-E.V.A. sostenibilità dell’emergenza

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di Stefania Stagnini, Valerio Massaro

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Dismissione industriale e città creativa. di Ilaria Giuliani

Il Paesaggio, un regalo per i 150 anni dell’Italia unita. di Maria Teresa Idone, Chiara Serenelli

RECENSIONE

L’ANTICITTA’ di Stefano Boeri

di Silvia Minichino

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Camminando con Firenze lungo il torrente Mugnone In questo numero si propone il racconto di un viaggio a piedi lungo il corso del Mugnone, torrente che nasce dalle colline intorno a Fiesole e, attraversando da nord a sud la città di Firenze, si immette nell’ Arno una volata superato il parco cittadino delle Cascine. L’iniziativa è stata promossa dall’associazione Verdiana Network con l’intento di sperimentare un metodo per camminare la città di Firenze per la lettura del paesaggio urbano e di alcune sue problematiche. Camminare lungo il corso di questo torrente, in alcuni tratti lungo le sponde, in altri nel letto, ha permesso di esplorare non solo le diverse caratteristiche che questo corso d’acqua presenta attraversando la città ma anche la città stessa. Cascine, Piazza Puccini, ponte alle Mosse, Statuto,Ponte Rosso, Le Cure sono le porzioni di città attraversate. Il percorso che è

©Martina De Siervo

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stato seguito è stato pensato come un risalire, un andare controcorrente partendo da Ponte all’Indiano e fermandosi nel quartiere delle Cure. Risalire il Mugnone significa vedere la città non solo da punti di vista inconsueti ma anche proporre una città diversa. Il corso del torrente attraversa quartieri molto diversi, per epoche e caratteristiche e non tocca il la città dentro le mura. Rappresenta un elemento di continuità nelle diversità dei caratteri della città che lo inquadra come strumento di analisi e di progetto per approcciarsi a criticità e potenzialità per l’ambito urbano in cui si inserisce. Hanno risalito il corso del torrente Mugnone: Silvia Minichino, Rita Schirò, Chiara Serenelli, Stella Verin


Rubrica

L’Architettura che mi piace L’Architettura che non mi piace

di Valerio Massaro

Pochissimo tempo fa è stato inaugurato il nuovo colosso.cinema-palestra-centrocommercialequant’altro di Novoli. E’ bellissimo vedere un quartiere che dopo le 21:00 trasmetteva un imperante senso di “degrado” diventato “vissuto” grazie alle persone che vanno al cinema, alle auto di chi cerca posto per andare in palestra e ragazzini che si danno appuntamento solo per chiacchierare. E’ un pezzettino di città che torna ad essere città. L’architettura però è “brutta”; ma non brutta nel senso puramente estetico del termine, ma brutta perchè poco INTERESSANTE e poco al passo con i tempi. Il piano di Krier già c’era: piaccia o non piaccia. La dimensione di quel mastodontico lotto e le funzioni che doveva contenere ponevano in essere la necessità di ricollegare con quello spazio tutto un quartiere che anno dopo anno tenta a fatica di riacquisire una “forma”. Una architettura aperta, che connette quello che c’è intorno, che propone nuovi modi di pensare gli spazi urbani: questo è quello di cui i progettisti di oggi dovrebbero preoccuparsi. Invece no. La retorica non retorica del mattone (finto) è quello di cui ci dobbiamo accontentare. Non un accenno al fatto che a pochi metri ci sia un polo universitario. Non un accenno al fatto che a pochi metri ci sia un parco nuovo di zecca (degli stessi progettisti). Nessun tentativo di fare diventare l’architettura l’occasione per creare qualcos’altro. Come spesso accade in Italia architetture come questa rappresentano solo un’ altra occasione persa.

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Camminando con Firenze lungo il torrente Mugnone

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EDITORIALE

Significato e fascino della rigenerazione urbana. di Enrico Falqui

Presidente di Verdiana Network, docente presso l’ Università degli Studi di Firenze, Direttore del laboratorio di ricerca in Architettura ed Ecologia del paesaggio (Lab AEP), Facoltà di Architettura di Firenze

In un suo saggio di alcuni anni fa , Roberto

Gambino definiva la città contemporanea, in Italia come in Europa,”una città frattale”nella quale “il territorio sembra essere connotato da un medesimo grado di frammentarietà, in cui è possibile riconoscere fenomeni di dispersione di cose e soggetti, di pratiche e di economie. La città frattale rappresenta l’esito di un progetto di città eterogenea e discontinua in molte sue parti,che affida la propria organizzazione, la riconoscibilità e la leggibilità della propria forma a un insieme ampio di strutture che fanno riferimento a prototipi diversi. Tre anni fa (2008), è stato pubblicato da parte dell’Agenzia europea per l‘ambiente, un interessante rapporto intermedio del Progetto MURBANDY/MOLAN che documenta le

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principali modificazioni spaziali avvenuti in 25 grandi aree metropolitane europee negli ultimi venti anni. I risultati, ancora non definitivi, sono tuttavia molto significativi per lo straordinario cambiamento intervenuto in tutte le aree metropolitane europee per quanto riguarda i fenomeni di aggregazione insediativa, economica e sociale; la crescita vertiginosa dell’”ipermobilità” basata sull’uso dei veicoli privati; la nascita di nuovi ipercentri periferici alle “inner cities”. Se guardiamo questo fenomeno dall’alto, dall’aereo ad esempio, ci accorgiamo che anche l’antica “forma lineare” della conurbazione

preconizzata da Geddes, ha cambiato forma. Nelle principali aree metropolitane del Nord e del Centro Italia, la forma emergente è una sorta di reticolo con filamenti che assomigliano ai rizomi delle piante, che non derivano dai grandi centri urbani, ma hanno invece una natura endogena che si evolve in direzioni diverse. In altre parole, si è passati da uno sviluppo metropolitano di tipo radiale a un modello di conurbazione estesa e policentrica, che coinvolge anche gli interstizi del sistema rurale attraversato da nuove reti infrastrutturali e da nuovi assi stradali di comunicazione.

grandi reti standardizzate di infrastrutture” la responsabilità di avere “ trasformato la nostra relazione ancestrale con lo spazio naturale come con lo spazio antropizzato”, permettendo, in questo modo che”..il progetto umano dell’insediamento spaziale non sia più costretto ad inserirsi, integrarsi e collocarsi in un contesto locale, naturale o culturale; gli basta connettersi al sistema delle reti”. La sapiente lettura morfologica della città contemporanea, serve a Françoise Choay per arrivare alla conclusione, nel suo interessante saggio, che “la tecnicizzazione e la strumentalizzazione dello spazio” nelle conurbazioni metropolitane europee, hanno portato all’esaurimento di ogni contrapposizione duale sui modelli di sviluppo delle nostre città e alla realizzazione “di uno spazio unico, ovverosia di un non-luogo”. In altre parole, il progetto di città, anche se scaturito da una coerente visione di sviluppo, non realizza più l’Utopia urbana autentica di Morris e del suo movimento “culturalista”, ma viene addomesticato dalla disponibilità di uno spazio unico e indifferenziato, in gran parte estraneo agli stessi abitanti di quei luoghi metropolitani. E’ un vero e proprio epitaffio per la città contemporanea, il cui sviluppo futuro appare irrimediabilmente “segnato”dall’impossibilità di attribuire un’identità differenziata ai luoghi, riconoscibile agli abitanti di quei luoghi che “passivamente” hanno tollerato quelle stravolgenti trasformazioni.

Stefano Boeri, nel suo libro recente “L’Anticittà”(Laterza, 2011), si interroga proprio sul significato odierno di “periferia”, la quale “ è misurata in funzione della distanza geometrica dal Centro”. Il fatto è che molte delle centralità della città contemporanea , a causa di motivazioni Françoise Choay, nel suo ultimo saggio spesso consumistiche e mercantili sono ubicate a “Del destino della città”(Alinea,2008) grandi distanze dal nucleo storico; basta pensare attribuisce proprio a questo “ sistema di ai centri commerciali, alle sale cinematografiche

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polivalenti o a molte Fiere e Centri Expo, per quando parliamo oggi di Progetti di rigenerazione rendersene conto. Urbana è necessario distinguere tra ciò che produce “nuova centralità” e ciò che rafforza la Lynch, d’altra parte, nel suo celebre saggio “Il marginalità di quell’area periferica, anche se il senso del territorio”(Il Saggiatore,1981), ci progetto contiene tutti i più avanzati requisiti ricordava che “ le città sono sistemi di accessibilità e certificati di bioarchitettura e di risparmio che attraversano un mosaico di spazi”ed è energetico. E’ necessario distinguere tra ciò che proprio in virtù di questa accessibilità ai luoghi produce un miglioramento dell’Architettura urbani che le persone traggono la possibilità di urbana e ciò che la peggiora, tra ciò che aumenta attuare quello che hanno in programma. Solo la sostenibilità di uno sviluppo durevole del quando la gente si sente a proprio agio in un territorio e ciò che ne indebolisce la resistenza luogo, così da poter agire spontaneamente, quel urbana e la compatibilità ecologica. luogo può essere definito accessibile”. Si tratta di una vera e propria rivoluzione E aggiungeva :”la possibilità di orientamento copernicana della pianificazione del territorio, nello spazio e nel tempo per ogni persona è della progettazione del paesaggio e anche la struttura della conoscenza…un’analisi delle dell’architettura, alla quale dovrà essere chiesto immagini mentali che le persone si sono fatte non di trasfigurarsi in “ arte visiva” per produrre del loro spazio e del loro tempo vitale è la chiave emozioni estetiche effimere, quanto invece di per comprendere il senso di un luogo”. contribuire a riconciliare gli abitanti della città contemporanea con il senso dei luoghi e con La perdita di significato di ciò che è Centro e la percezione sensoriale dei propri territori, Periferia, di ciò che è luogo identitario e ciò che essendo felici di apprezzare i vantaggi ecologici è non-luogo, di ciò che caratterizza il “confine” ed economici che derivano dall’abitare nella “ tra città e campagna, produce nella comunità Domus” della contemporaneità. urbana e metropolitana una progressiva rimozione del “senso dei luoghi”, un cinico adattamento al meticciato metropolitano e al Terzo paesaggio, che finisce per divenire un fatto indifferente per gli stili di vita e per i comportamenti urbani di una moltitudine di cittadini in continuo movimento. Tuttavia, questo fenomeno caratteristico della società urbana contemporanea (tipico soprattutto nelle aree metropolitane più densamente abitate), è anche la “ causa motivante” di quell’equipollente fenomeno di spostamento di ingenti quote di popolazione urbana dalle aree a più bassa qualità e a più alta congestione verso quelle che hanno progettato una nuova “ centralità” urbana, salvaguardando la dimensione qualitativa del vivere in luoghi che “fanno città”anche se sono periferici rispetto al nucleo storico originario. E’ facile capire, in base a queste riflessioni, che

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Camminando con Firenze lungo il torrente Mugnone

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ŠMartina De Siervo


CITTA’ 1 DELL’ ALTROVE di Caterina Padoa Schioppa Architetto con studio a Roma e Docente a contratto al Politecnico di Milano. Dopo aver studiato a Roma, lavorato a Parigi dal 2000 al 2002, nel 2002-2003 frequenta il Master in Landscape Urbanism all’Architectural Association di Londra. Nel 2005 si ristabilisce a Roma e nel 2009 consegue il Dottorato di Ricerca presso la Facoltà di Architettura di Roma Tre con una tesi oggi pubblicata con Aracne Editrice intitolata “Transcalarità e adattabilità nel Landscape Urbanism”

A l di fuori di ogni previsione e visione strategica,

il mutamento urbano dell’ultimo mezzo secolo è stato eccezionalmente rapido e profondo. Il paradosso dell’era contemporanea, che quanto più espande reti materiali e immateriali, e conquista lo spazio terrestre, tanto più reagisce con fenomeni di densificazione, spiega quel salto di scala che ha prodotto l’esponenziale crescita del territorio costruito. Le città del pianeta continuano ad essere gli attrattori principali di flussi di persone, beni, servizi, capitali ed informazioni, ovvero incubatori di saperi, di ideologie e di innovazioni che esercitano ancora fatale potere2. Sappiamo che più della metà della popolazione mondiale oggi vive nelle città, in tutti i continenti. Queste gigantesche e inarrestabili migrazioni, lungi dall’essere pianificate, hanno generato paesaggi ibridi e destrutturati, che inviluppano scompostamente morfologie naturali, parti di città consolidata e nuove urbanizzazioni.

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La natura multiscalare dei processi urbani – determinata dall’espansione degli effetti prodotti dalla città su porzioni di territorio variabili e difficilmente circoscrivibili – e la crescita delle “aree sospese”, tipiche dei territori preurbani o, come li chiama Sebastian Marot, del suburbano3 – interstizi originati da incoerenti processi di infrastrutturazione – sono tra le principali ragioni che hanno in tempi recenti rinnovato l’interesse per il paesaggio, come mezzo cognitivo capace di decifrare le dinamiche sfuggenti di contesti in continua evoluzione, e come strumento ordinatore delle discipline preposte allo studio e alla progettazione delle trasformazioni del territorio. Già dalla metà degli anni ’60 la revisione delle categorie di lettura e di interpretazione dell’ambiente antropico, nata dalla presa d’atto dell’inadeguatezza delle ricette moderniste che trattavano universalmente le città come entità coerenti e uniformi, riconosceva alla variabile temporale - non più spaziale - il primato nei processi di conoscenza e di rappresentazione della complessità del materiale vivente. Gli esperimenti più interessanti furono quelli che, abbandonando le logiche di rigida separazione basata su criteri funzionali, tipologici e gerarchici di difficile interpretazione (propri dello zoning), tentarono di riprodurre le contraddizioni, l’eterogeneità funzionale e la molteplicità formale del reale, con un metodo simile a quello adottato

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nelle scienze (anche umane): la scomposizione in organizzazioni di cui si può analiticamente studiare il comportamento strutturale; la classificazione degli elementi costituenti (“unità di misura urbane”); e soprattutto la costruzione di un repertorio di “forme” – intese come coagulato di struttura e funzione - cui attingere per intervenire in contesti apparentemente privi di coesione4. Di fronte allo smarrimento dei riferimenti spaziali e scalari non si guarda più alle dinamiche complessive, nel tentativo di controllarle e di governarle, ma si cerca nelle pratiche spontanee ed informali le logiche di occupazione e di progettazione degli spazi. Sublimato il conflitto come forma espressiva dei nuovi agglomerati urbani, e liberato il linguaggio architettonico dall’ideologia, in quegli anni comincia la sperimentazione di nuove tecniche formali, anche con i primi rudimentali software di disegno automatico, che permettono da un lato di accumulare e trascrivere in modo sistematico ed incrementale la varietà delle informazioni relative alle condizioni fisiche (e non) di un preciso contesto, e dall’altro di simulare e concettualizzare la genesi delle forme complesse, di cui fanno parte tutte le strutture viventi del pianeta, incluse le città. Tale passaggio che meriterebbe una più ampia trattazione5, ha molteplici risvolti non solo strumentali ma anche concettuali. Per cominciare, non tutti condividono, come chi scrive, il bisogno di


raccontare le diversità del mondo - nelle strutture e nelle funzioni - attraverso un modello dotato di potenzialità generative, in grado di catturare le proprietà più astratte e più creative dei sistemi. Ugualmente discutibile può risultare la nozione di continuità-simultaneità tra il momento analitico conoscitivo e il momento sintetico creativo che questo procedimento può implicare. Eppure forse è proprio questo traguardo che rende possibile oggi, nei processi di pianificazione di habitat dove natura e artificio sono irreversibilmente intrecciati e dove germogliano eventi imprevedibili e non governabili, colmare il vuoto strumentale e temporale tra la visione sistemica e strategica - essenziale per mantenere la dimensione politica e ideale del nostro abitare – e la visione fenomenica e formale – necessaria per conservare forme di controllo, anche labile, sulle trasformazioni materiali. A tale sintesi allude la fusione linguistica e disciplinare che il Landscape Urbanism6 - dalla fine degli anni ’90 - propone tra paesaggio e architettura urbana, cioè tra una disciplina più astratta, per

sua natura adattabile ed evolutiva, e una più tangibile e prescrittiva. I primi ad aver acquisito tecniche simili nel processo di conoscenza delle dinamiche territoriali sono, non a caso, i paesaggisti contemporanei7. Il mapping8 consiste nell’isolamento immaginario di singoli livelli programmatici - strati che raccontano in modo non gerarchico i sottosistemi strutturali e funzionali (come il sistema geologico, morfologico, idrologico, l’occupazione dei suoli, etc.) o anche il sistema dei flussi (materiali e immateriali che travalicano i confini morfologici e riflettono il carattere mutevole del territorio). La sovrapposizione rigorosa di tali strati permette, attraverso un’operazione di sintesi mentale, di far emergere i segni occulti, di leggere le relazioni di causa-effetto che esistono dietro le logiche di adattamento e di mutuo scambio tra gli insediamenti antropici e il patrimonio naturale. Parafrasando Deleuze si potrebbe dire che il compito di una mappa è “rendere sensibili le forze insensibili che popolano il mondo9.”

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Ciò consolida l’idea che una mappa non è mai una trascrizione catalogica ma piuttosto il risultato di una selezione – qualcuno parla di realtà proiettiva o perfino di censura10 – ovvero di una fusione del piano conoscitivo e di quello esperienziale, dove intuito e intenzionalità agiscono per rivelare tracciati, visibili ed invisibili, rafforzare linee o mettere in risalto una gerarchia di segni, presunti o immaginati. Il Landscape Urbanism (LU) condivide la nozione di paesaggio come frutto di una sintesi percettiva e mentale della realtà complessa, dove sfumano le differenze tra spazio racchiuso e spazio aperto, tra sistemi artificiali e sistemi naturali, tutti gradienti e declinazioni di ecologie miste. Nel LU tutte le dinamiche territoriali, anche quelle più astratte - culturali, economiche, sociali e politiche – sono pensate in termini ecologici e integrate nel processo di conoscenza-fabbricazione del territorio virtuale, perché espresse come quantità. Attraverso il dispositivo del diagramma11, che si aggiunge a quello della mappa e che in modo analogo rappresenta un sistema astratto di relazioni non ancora dotato di funzioni e di scala, si costruisce un repertorio cui la mente - proprio come negli antecedenti sopracitati - può attingere per inventare metamorfosi del reale. Nella sua astrattezza, proporzionale al grado di indeterminatezza del progetto, tale registrazione di processi è un formidabile strumento di lavoro, e piattaforma multidisciplinare. Lungi dall’essere uno stato difettoso, l’ambiguità – talvolta l’illeggibilità - di mappe e diagrammi

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facilita la visualizzazione di tendenze, permette di ritardare la determinazione di oggetti, e di indagare e dispiegare tutta la dimensione immaginifica nel processo di sedimentazione delle idee. Potremmo perfino parlare di funzione sociale che tale linguaggio simbolico può svolgere: i grafismi sono manipolabili – letteralmente operando un cambiamento di senso che orienta la materia e porta alla definizione di una precisa funzione - e virtualmente adattabili all’interpretazione e ai bisogni di una platea plurale e composita. Sappiamo oggi quanto sia essenziale nei processi di pianificazione premunirsi di strumenti democratici e di apparati comunicativi efficaci, che alimentino la pratica del coinvolgimento e della partecipazione del pubblico12 per coltivare il senso di responsabilità, di identità e di appartenenza ad una terra. Le tecniche ci hanno definitivamente affrancato dalla scissione forzata dei saperi, e fungono da contenitori di eterogeneità geografiche, culturali e linguistiche dove fabbricare collettivamente i territori ipotetici e dove formalizzare i meccanismi di legittimazione del nostro operato di architettipianificatori, ancora responsabilmente chiamati a far emergere la dimensione reale del disegno del territorio. Nelle immagini: Foto aerea e territorio virtuale di Piazza della Repubblica a Roma. Il territorio virtuale è la sovrapposizione di una serie di mappe che rappresentano i flussi pedonali in relazione ad un sistema di nodi – le soglie di edifici e negozi,


punti di attraversamenti, luoghi di sosta. Dal network, in un processo di manipolazione geometrica e di sintesi creativa, si è generato un progetto di riorganizzazione del traffico veicolare, della sosta, una nuova pavimentazione e piantumazione di essenze, e un sistema di strutture leggere multifunzionali. NOTE 1 – Questo articolo è dedicato all’amico Lorenzo Tognazzi 2 - Per approfondire la natura di tale fenomeno in Italia, si veda il recente testo: Giuseppe Dematteis (a cura) (2011) Le grandi città italiane. Società e territorio da ricomporre. Venezia, Marsilio 3 – Si veda Sébastian Marot (2003) Sub Urbanism and the Art of the Memory. London, AA Publications 4 – Tale visione è espressa in maniera diversa nei loro manifesti teorici da studiosi come Colin Rowe (2000) Collage City. Cambridge (Mass.), MIT Press; Aldo Rossi (1995) L’architettura della Città. Torino, Città Studi Edizioni; Robert Venturi (1977) Learning from Las Vegas. Cambridge (Mass.), MIT Press. 5 – Per un approfondimento si rimanda al testo dell’autrice: Caterina Padoa Schioppa (2010) Transcalarità e adattabilità nel Landscape Urbanism Roma, Aracne Editrice. 6 – Sulla nascita e l’identità multiforme di questa nuova disciplina cfr Caterina Padoa Schioppa, op cit. Si veda inoltre: James Corner (a cura) (1999) “Recovering Landscape”. New York, Princeton Architectural Press; Mohsen Mostafavi, Ciro Najle (a cura di) (2003) Landscape Urbanism. A Manual for the Machinic Landscape. Londra, AA Publications; Charles Waldheim (a cura di) (2006) The Landscape Urbanism Reader. New York, Princeton Architectural Press; George Hargreaves (a cura di) (2007) Large Parks. New York, Princeton Architectural Press 7 – Si pensa alla generazione di paesaggisti come Michel Corajoud, Yves Brunier, Adrian Geuze, Peter e AnnaLiese Latz, che hanno a partire dagli anni ’80 modificato integralmente la dottrina del paesaggio superando l’arcaica definizione di “arte dei giardini”, divenendo autori di vaste operazioni di recupero ambientale spesso in aree industriali dismesse. 8 – In molti campi del sapere, che adottano la complessità come paradigma concettuale, si usa il termine mapping per definire la tecnica di spiegazione di processi complessi, difficilmente comunicabili, che si basa sulla costruzione di un modello o di una simulazione dinamica in grado di far emergere le differenze in ciò che osserviamo. Per approfondimenti si veda Gregory Bateson (2000) Steps to an Ecology of Mind. Chicago, University of Chicago Press Edition 9 – Gilles Deleuze (1996) Che cos’è la filosofia. Torino, Einaudi 10 – Augustin Berque “Il paesaggio non esiste altro che in relazione, in un ambiente che è lui stesso relazione. Non è fisico, nasce dalla vista, dalla relazione tra ciò che è “osservato” e l’“osservante” che lo “osserva”. È una realtà proiettiva.” Roland Barthes definisce la mappa “un’opera di censura tra ciò che è significativo e ciò che non lo è”. La rappresentazione come la scrittura sono prima di tutto un’esperienza estetica o rituale. La funzione di comunicare e registrare è posteriore, è derivata e secondaria. 11 – Sul diagramma in architettura esiste una vasta letteratura. Si consiglia in particolare Manuel DeLanda (2000) A Thousand Years of Nonlinear History. New York, Swerve Editions; Stan Allen (1999) Points+Lines. Diagrams

and Projects for the City. New York, Princeton Architectural Press 12 – Sui molteplici significati e approcci alla partecipazione in architettura si veda Giancarlo De Carlo (1971) Il pubblico dell’architettura in Parametro n.5; AAVV (2007) Architecture & Participation. Londra, Spon Press; il sito del TIPUS: www. tipus.uniroma3.it

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ŠMartina De Siervo


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Camminando con Firenze lungo il torrente Mugnone

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ECOQUARTIERI Dagli anni novanta molte città Europee hanno iniziato ad affrontare il problema dell’inquinamento, del consumo di suolo e del consumo energetico attraverso interventi di rigenerazione urbana che vanno dal recupero e dalla rifunzionalizzazione di aree esistenti alla pianificazione e progettazione di nuove parti di città, con l’obiettivo di ridurre i consumi e introdurre stili di vita sempre più sostenibili. Non sono pochi gli esempi di quartieri “ecologici” esistenti in Europa progettati implementando l’uso dei mezzi di trasporto pubblico, la mobilità dolce, l’uso di energie rinnovabili e di materiali ad elevata efficienza energetica, insieme ad una accurata progettazione degli spazi di vita collettiva. In questa sezione abbiamo raccolto interventi che descrivono, sulla base di studi ed esperienze degli autori, alcuni di questi quartieri esistenti in Italia, Francia e Germania.

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Redazione


Viaggio a Friburgo. Vauban e Rieselfeld due esempi di sostenibilità di Paola Pavoni

Architetto

Esiste

una città nel Land del Baden Wüttemberg, non tanto ricca di abitanti (220.000) quanto ricca di storia. Napoleone, l’Imperatore Francesco I d’Austria, il re Federico II di Prussia e lo Zar Alessandro I di Russia, marciarono e si fermarono in questa città. Durante la prima guerra mondiale dirigibili e aerei nemici bombardarono la città a più riprese. Nella II Guerra Mondiale questa città venne distrutta in soli venti minuti. Di quale città stiamo parlando? Della cattolicissima Friburgo, nata e rinata dalle sue ceneri, senza mai perdere la sua storica struttura urbana. Oggi Friburgo si distingue da altre città europee per l’attenzione che da anni rivolge all’organizzazione del trasporto urbano, all’uso dell’energia, del verde e alla pianificazione urbanistica. Dei diversi quartieri che compongono

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Friburgo, due si distinguono per lo stile di vita che hanno adottato e per la particolare attenzione che rivolgono verso l’uso di energie rinnovabili e la riduzione dell’inquinamento: Vauban e Rieselfeld. Entrambi progettati dall’amministrazione comunale per rispondere ad una reale necessità di fornire abitazioni ad una popolazione in crescita, il primo costruito sul terreno dismesso di una caserma militare francese di 38 ha a soli 2 km di distanza dal centro storico, il secondo realizzato su un’area libera periferica di 320 ha contigua alla città e confinante con la Foresta Nera, entrambi facilmente raggiungibili grazie alla rete tramviaria e alle piste ciclabili. Vauban: un po’ di storia. Quando si sparse la notizia che i militari francesi, nel 1992, avrebbero lasciato le caserme del distretto di Vauban, un gruppo privato di cittadini formato da studenti, associazioni, disoccupati, chiese all’amministrazione comunale di poter recuperare parte degli edifici abbandonati trasformandoli autonomamente in abitazioni sostenibili. Nacque cosi S.U.S.I. (Selbstorganisierte Unabhängige Siedlungs Initiative) iniziativa di partecipazione attiva dei

cittadini alla riprogettazione del quartiere. Per la progettazione della restante parte di Vauban l’amministrazione comunale bandí un concorso di idee. Concorso che fu vinto da uno studio di Stoccarda con un progetto che prevedeva immobili ad alta efficienza energetica e aree car free. Innovativa fu anche la scelta dell’amministrazione di chiedere l’appoggio di un forum di cittadini (Forum Vauban), nel corso della fase di pianificazione e progettazione, che svolgesse il ruolo d’intermediario per rispondere alle esigenze di coloro che desideravano vivere nel quartiere.

Vauban: Kindergarten, tram e biciclette. Abitare

in questo quartiere significa condividere uno stile di vita semplice, rinunciando all’uso dell’automobile, al centro commerciale sotto casa, alla villetta con giardino e parcheggio

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privato. L’obiettivo principale da raggiungere è la sostenibilità dell’ambiente e dell’abitare. La maggior parte della popolazione che si è trasferita qui e composta da giovani coppie sposate con figli, che hanno investito nella costruzione di case passive o a basso consumo energetico. La linea tramviaria, spina dorsale della struttura urbana di Vauban, raggiunge tutto il quartiere e lo collega in modo sicuro e puntuale al centro di Friburgo, affiancata da piste ciclabili e da due strade carrabili; l’orientamento Sud Est – Nord Ovest di questo tracciato garantisce la ventilazione per le abitazioni costruite con elevata densità (da due a quattro piani fuori terra) ed orientate per la maggior parte ad est, in modo da sfruttare l’energia solare. Sempre nell’asse centrale sono collocati i servizi, le scuole, i negozi di generi alimentari per lo più biologici; qui e possibile far sostare le auto durante il giorno, mentre nelle strade costeggianti le abitazioni é consentito solo il passaggio per carico e scarico. «A Vauban le strade servono ai bambini per correre giocare ed andare in bicicletta o con il monopattino – ha detto il Professor Wulf Daseking, Capo dell’Ufficio di Pianificazione di Friburgo - liberi e senza pericoli». Per chi non riesce a rinunciare all’auto privata una soluzione é acquistare un posto nel parcheggio coperto a 18.000 € in cui riporre l’auto ogni sera, oppure

servirsi del servizio Car Sharing del quartiere. Girando a piedi per le strade di Vauban non si possono non notare i numerosi e tipici cartelli stradali con su disegnato un bambino che gioca con la palla, che cammina per mano con i genitori o ancora con il segno della bicicletta e sotto la scritta frei, libero; il senso di libertà permea infatti tutti gli spazi, le strade che spesso riportano i segni col gesso dei bambini che giocano a “campana”, la folta vegetazione,

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che ricopre spesso le scale esterne delle case a ballatoio per mascherarne la struttura, l’assenza di recinzioni per delimitare le proprietà o gli spazi pubblici da quelli privati, o ancora la varietà di colori o materiali utilizzati per realizzare le abitazioni. Per volontà dell’amministrazione l’unico vincolo posto ai cosiddetti Baugruppe (gruppi di persone che si riuniscono per realizzare un edificio abitativo) è stato l’impianto urbano del quartiere, la delimitazione dei lotti, ma nessun vincolo alla progettazione o allo stile architettonico da utilizzare, col risultato di un variegato, forse anche discutibile in certi casi, accostamento edilizio. Numerosi e diversamente

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attrezzati sono gli spazi pubblici, rigorosamente verdi per mantenere il suolo permeabile, dal giardino pubblico con un vero e proprio forno in cui i cittadini possono riunirsi e cuocere il pane per fare insieme un pic-nic all’aperto, ai giardini per bambini (Kindergarten) con scivoli e buche di sabbia o ancora con giochi in legno organizzati sull’esempio del parco avventura, attraversabili a piedi o in bici senza problemi. Emerge inoltre un gran senso di rispetto per il bene comune: tenere pulita la propria strada per se stessi e per i vicini é compito riservato ai cittadini, non ci sono manifestazioni di violenza e vandalismo. Unica pecca, data la giovane età degli abitanti, è che camminando per le strade di Vauban non s’incontrano ancora anziani ed extracomunitari, sinonimo di un quartiere che deve ancora fare i conti con il “caos” della società contemporanea. Rieselfeld. Un po’ di storia. Il progetto del nuovo quartiere, che prosegue l’espansione di Friburgo verso Ovest, creò accese discussioni in merito sia all’occupazione di nuovi suoli sia sul modo in cui le nuove generazioni che vi si sarebbero insediate avrebbero vissuto. Una delle idee motrici che hanno accompagnato


aspetto ad essere analizzato fu il tracciato del tram che doveva servire longitudinalmente tutto il quartiere.

l’amministrazione di Friburgo e i suoi cittadini in queste decisione, come racconta il Professor Daseking, fu la strage di Chernobil del 1986, a seguito della quale la municipalità si impose l’obiettivo di ridurre i consumi energetici e i livelli di inquinamento, costruendo dal 1994 al 2010 un nuovo quartiere con case a elevata efficienza e basso consumo energetico, ridottissimo traffico automobilistico (limite di 30 km/h in tutte le strade carrabili) e un potente sistema di trasporto pubblico. Anche in questo caso fu indetto un concorso d’idee e nella fase di progettazione il primo

Rieselfeld. La mixité abitativa. La struttura urbana di Rieselfeld è quindi caratterizzata da questo asse centrale di trasporto pubblico (tram e autobus), che collega il quartiere al centro di Friburgo, una sezione centrale destinata ai servizi (scuola, chiesa, palestra, campo sportivo etc). Un’area complessivamente di 320 ha di cui solo 70 destinati alla costruzione di edilizia residenziale multipiano (tre – cinque piani fuori terra) ad elevata densità per un totale di 11.000 abitanti, mentre la parte restante destinata a riserva naturale. Gli spazi pubblici anche in questo caso hanno terreni permeabili che permettono all’acqua piovana di filtrare nel terreno e alimentare la riserva di West Rieselfeld. Un’ e f f i c i e n t e organizzazione dei lavori (con sanzioni in caso di ritardi) ha permesso al comune di garantire la data di consegna dei suoli urbanizzati alle imprese costruttrici o ai Baugruppe affinché la

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costruzione degli edifici terminasse nei tempi stabiliti. La mixité sociale, rispetto a Vauban, qui e molto più visibile, non solo per la differenziazione interna ai singoli edifici tra appartamenti in proprietà, in affitto o a basso canone, quanto anche nelle persone che s’incontrano per strada come anziani o di diversa etnia. Questa caratteristica e stata fonte d’ispirazione per il concorso di idee indetto dall’amministrazione per il progetto della chiesa del quartiere, che doveva accogliere cattolici e protestanti ed avere una struttura flessibile capace di unire entrambe le culture per consentire eventi comuni. Il quartiere di Rieselfeld, ancora oggi in corso d’opera, è già diventato un’attrazione per urbanisti ed architetti di tutto il mondo, annoverato tra i più famosi esempi di pianificazione all’insegna della sostenibilità.

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Le informazioni sono state raccolte durante il viaggio studio della Scuola di eddyburg a novembre 2011 dal titolo "Una citta' un piano. friburgo e il quartiere Vauban".


Dal quartiere all’ecoquartiere: l’Ekostaden Augustenborg e la progettazione integrata due esempi di sostenibilità di Letizia Cremonini

Phd student DUPT, Università di Firenze

Città di Malmö, localizzazione dell’Ekostaden Augustenborg. L’intervento di riqualificazione su quartieri esistenti costituisce il caso più interessante per la nostra Nazione. La loro riqualificazione oggi mira ad assimilare sempre più quelle che sono le caratteristiche finora riconosciute agli Ecoquartieri. Un quartiere può considerarsi Ecoquartiere1 quando il suo progetto mantiene un approccio olistico, rispondendo, nell’ambito della sua scala, alle sfide globali del pianeta e a quelle locali, migliorando la qualità di vita dei suoi abitanti e contribuendo a uno sviluppo sostenibile della città. Uno sviluppo economico, ambientale e sociale implica la scelta di una progettazione integrata che trovi a ogni domanda una risposta che sia la più sostenibile fra quelle evidenziate. Ciò può (o deve?) significare compromessi fra le

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Planimetria di progetto, fonte MKB Fastighets AB.

parti coinvolte e la consapevolezza che l’iter e la relazione fra processi e loro prodotti avviene nel divenire del tempo, e comporta, strada facendo, l’introduzione di incognite e di doveri. Questo iter incrementale é riconducibile a un ongoing process. Un esempio interessante di progettazione integrata applicata su un quartiere esistente la si trova a Malmö, nel Sud della Svezia, nel Ekostaden2 Augustenborg3. Prima fra le unità di vicinato costruite negli anni Cinquanta nella città, fa parte del Distretto di Fosie, cresciuto di densità a partire dagli anni Sessanta e importante per la zona industriale. A partire dagli anni Settanta il quartiere subì un rapido degrado e abbandono causa la crisi economica abbattutasi sulla città e un livello quantitativo-qualitativo edilizio e dei servizi non soddisfacente rispetto alle variate esigenze della popolazione. In particolare il problema delle inondazioni generato dal vecchio sistema di drenaggio e smaltimento delle acque non poteva far più fronte al volume delle acque meteoriche di dilavamento dell’acqua domestica e dei rifiuti,

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dovuto all’elevato numero di utenti. Negli anni Novanta alla già difficile situazione di disagio e degrado si sommò l’occupazione delle case vuote da parte di immigrati. La Società MKB4, Housing Company più attiva a Malmö, cominciò un’analisi per identificare i problemi effettivi. In risposta a questi nel 1996 venne creato un partenariato fra la MKB e la City of Malmö5, a capo dell’intervento che riguardò esclusivamente le aree di proprietà e responsabilità degli Enti citati, poiché i residenti non avevano la capacità economica per contribuire. Per scandagliare le problematiche più urgenti, si è agito coinvolgendo i residenti stessi nel processo. I progettisti hanno posto loro un quesito fondamentale: cosa possiamo fare noi e cosa potete fare voi? Il progetto ha definito un sistema di gestione delle acque che comportasse un miglioramento del paesaggio del quartiere: il Sustainable Urban Drainage System (SUDS), scollegato dalla rete fognaria esistente6, ottenuto operando movimenti di terra sulle zone dove le acque si accumulavano,


distribuendole in un sistema di canali che convogliano in laghetti-troppopieno, attorno ai quali sono state predisposte aree di allagamento, prevenendo rovesci superiori alla media stagionale. Elemento caratterizzante il progetto è l’acqua, in un sistema di canali e laghetti che si articola fra le corti di ogni blocco residenziale, lungo i percorsi pedonali, negli edifici scolastici, nell’ex area industriale, infine in Augustenborg Parken. L’arredo urbano e il sistema del verde sono integrati a tal sistema.

introdotto il tram elettrico e gli abitanti hanno accesso anche a veicoli elettrici ricaricabili nella piazza del quartiere. Per risparmiare energia i cittadini non pagano più bollette a forfait, ma individuali, grazie a dei sistemi computerizzati. Gli edifici costruiti dopo il 1998 e quelli della La ristrutturazione delle facciate degli edifici ha zona industriale hanno i tetti verdi per un contribuito a migliorare l’immagine del quartiere; ammontare di circa 10000 mq di superficie, di Molti di questi sono ora dotati di ascensore. I materiali utilizzati per gli interventi sono stati scelti in base al loro riciclaggio e alle caratteristiche ambientali. Il sistema del traffico, prima poco accessibile, è stato riorganizzato: priorità è data a ciclisti, pedoni e trasporti pubblici; già dal 2003 il quartiere è una zona a 30 Km/h. È ©Martina De Siervo

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Vista di una corte con in primo piano il SUDS

cui 9.500 mq occupati dal Giardino Botanico di Augustenborg, che copre il vecchio tetto dell’ex complesso industriale. Col Piano climatico pro-rinnovabili nel 2009 è stata installata una turbina eolica. Per la gestione dei rifiuti gli abitanti hanno partecipato alle dimostrazioni degli schemi di funzionamento da cui hanno imparato a fare la cernita corretta. Nel complesso Augustenborg ha ridotto del 20% l’uso delle fonti non rinnovabili e l’80% dell’acqua meteorica evapora naturalmente. Risultati soddisfacenti. La MKB in questi anni ha sviluppato un modello comportamentale nato dalle esperienze di self management7 cominciate ad Augustenborg, detto MKB Model: strumento di gestione dei rapporti sociali e professionali che identifica l’iter da seguire per proporre un’idea alla comunità e svilupparla insieme, modificandola in base ad altre idee e al contesto; questo iter si basa sul rispetto reciproco e la volontà di ascoltarsi. Tre sono le regole base: essere all’altezza del motto “Complete, clean and tidy”; dare ciò che si promette; comportarsi equamente con tutti. Il sentirsi competenti e responsabili del luogo

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ha reso i residenti controllori e auto gestori dello stesso. Oggi loro stessi notano i problemi presenti nelle altre aree, attivandosi per trovarvi una soluzione che sposi l’avvicinamento sociale e ambientale del luogo tramite azioni responsabili fra cui sono selezionate quelle economicamente sostenibili. Vedendo i risultati ottenuti dal modello comportamentale la MKB lo ha fatto adottare ai suoi 270 dipendenti.

©Martina De Siervo


Vista del Giardino Botanico di Augustenborg, fonte Malmö City Planning Office.

1 Ecoquartiere viene considerato “un lieu de vie qui s’appuie sur les ressources locales et prend en compte, à son niveau, les enjeux de la planéte. Un écoquartier n’est pas un ghetto pur quelques centaines de familles (plus pauvres ou plus riches): il contribue à la vie collective de la ville ou du village dans lequel il s’intégre. ”, p. 16, Valdieu C.C., Outrequin P., Écoquartier mode d’emploi, Eyrolles, 2009; ALDUY J. P., PIRON M., Rapport au Ministre d’État, Ministre de l’Écologie, de l’Énergie, du Développement Durable et de l’Aménagement du Territoire, COMITÉ OPÉRATIONNEL N°9 « URBANISME », 21 avril 2008. 2 Ekostaden significa ecoquartiere in svedese3 Ekostaden Augustenborg ha un estensione di 33 Ha.4 La MKB possiede 1600 appartamenti dei 1800 presenti.5 La City of Malmö è proprietaria anch’essa di una parte degli immobili, oltre che responsabile dei servizi e delle aree pubbliche del quartiere.6 Scollegando il Sustainable Urban Drainage System (SUDS) si è eliminato

il sovraccarico combinato della fognatura abbassando il volume totale delle acque meteoriche e riducendo le portate di picco.7 il self management system funziona così: due residenti del quartiere si prendono l’incarico di mantenere le corti e le aree di pertinenza degli edifici. Per ringraziarli del loro impegno e contributo, ottengono uno sconto sull’affitto (o sulle bollette se sei proprietario) che viene loro recapitato due volte l’anno. Per la successiva fase di manutenzione degli spazi verdi e pubblici, era stato proposto tale tipo di gestione ad alcuni residenti, ma per mancanza di competenze degli stessi, si è affidato il tutto a dei gestori esterni che lavorano per la City of Malmö e per la società MKB, che si sono comunque impegnati a utilizzare i giovani disoccupati locali come lavoratori.

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Camminando con Firenze lungo il torrente Mugnone

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QUARTIERE CASANOVA MODELLO VIRTUOSO DI DENSIFICAZIONE URBANA di Anna Bartolaccio Architetto

Il progetto del quartiere Casanova, ubicato alla

periferia sud-ovest di Bolzano, si inserisce in una più ampia strategia di sviluppo sostenibile delineata a livello europeo e costituisce un’iniziativa ad alta priorità politica e ad alto ruolo strategico per un armonico sviluppo urbano della città. Il Comune di Bolzano, che ha gestito direttamente la pianificazione e lo sviluppo dell’intera operazione, ha attivato una manovra urbanistica programmaticamente finalizzata a fronteggiare il fabbisogno di casa nel settore dell’edilizia sociale sperimentando un modello insediativo di assoluta eccellenza, sia ambientale che sociale, capace di garantire un’alta qualità della vita all’interno del nuovo quartiere e una riconoscibile riqualificazione del contesto

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urbano periferico in cui l’intervento si colloca. La riconosciuta preziosità e l’oggettiva delicatezza del sistema ambientale (sia naturalistico che agrario) in cui la città si colloca ha, da sempre, opposto seri limiti alla crescita urbana. In questo quadro si è collocata la linea politica dell’Assessorato all’Urbanistica: affrontare la contraddizione tra la scarsità di suolo e la domanda di edificabilità, attraverso processi di densificazione urbana basati sulla ricerca e sperimentazione di modelli insediativi virtuosi e sostenibili. Il Progetto CasaNova costituisce dunque una fondamentale occasione di applicazione pratica di questa linea di politica urbanistica (promossa come dicevamo a livello europeo) e si è da subito costituito come un esercizio esemplare di “densificazione di qualità”, diventando un esempio di best practice a livello nazionale in quanto ad uso di fonti energetiche rinnovabili e di sostenibilità sociale.

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Il nuovo quartiere ha, inoltre, costituito l’occasione per sperimentare forme avanzate di partecipazione e di armonizzazione sociale con specifiche iniziative di animazione socioculturale, tese a innalzare il potenziale di vitalità comunitaria del futuro quartiere e attraverso metodi innovativi di gestione partecipativa del processo di pianificazione Il progetto dello studio olandese De Architekten Cie, vincitore del concorso per l’ideazione del piano attraverso gara internazionale, bene si inserisce nello specifico mandato programmatico che è all’origine della manovra urbanistica. Esso ha offerto una regola insediativa volta a realizzare un insediamento residenziale di eccellenza urbanistica e ambientale, proponendo un’originale interpretazione del sito e delle problematiche insediative su quell’area. Il progetto riprende, reinterpretandolo, il


modello abitativo agricolo della piana del fiume Adige e del castello medievale, non isolato ma ripetuto otto volte: otto unità, otto blocchi irregolari formati da tre o quattro edifici raccolti attorno ad una piccola corte verde si inseriscono nel paesaggio agricolo circostante, la cui impronta è assolutamente dominante. L’idea degli architetti olandesi parte proprio dalla lettura del paesaggio colturale bolzanino costituito dal forte rapporto tra il vuoto (la campagna) e il pieno (la città e gli insediamenti sparsi) e si concretizza fino ai dettagli attraverso la proposta dell’uso di materiali autoctoni come il legno e il porfido nelle facciate. Ogni nucleo è diverso. Ogni edificio è diverso. C’è un’esplicita volontà di creare condizioni ottimali per la formazione di micro-comunità capaci di offrire, in una dimensione più umana dell’abitare urbano, occasioni di relazioni sociali ravvicinate, elementi di riconoscibilità

differenziata, possibilità di personalizzazione. C’è la qualità residenziale di una soluzione che punta alla realizzazione di nuclei abitativi a forte caratterizzazione formale differenziata e a forte riconoscibilità, contro la soluzione tradizionale basata sulla ripetizione ordinata di blocchi abitativi anonimi allineati e sempre uguali. Gli otto castelli costituiscono otto vicinati di circa cento famiglie ciascuno e la sua conformazione è pensata per favorire i rapporti sociali: la partecipazione dei futuri abitanti ad alcune fasi del processo progettuale e decisionale vuole facilitare il senso d’identità con il proprio vicinato e costruire il senso di appartenenza al quartiere. Alle soluzioni “passive” si aggiungono gli interventi attivi per le future soluzioni edilizie a basso consumo energetico e a bassa produzione di inquinamento. Già nella sua impostazione urbanistica e architettonica, il progetto Van

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Per rispettare un valore di fabbisogno energetico che non supera i 30kWh/m2a (Casa Clima Classe A), si è dovuto intervenire non solo sull’ottimizzazione degli apporti solari, ma anche sull’adozione di tecniche di isolamento molto rigide. Per contenere i consumi energetici, si è inoltre privilegiato l’utilizzo di un sistema di teleriscaldamento a servizio dell’intero quartiere. Questo ha consentito, oltre ad un risparmio energetico annuo del 31% comparato ad un impianto a caldaie autonome, di recuperare il calore prodotto dal vicino inceneritore, che altrimenti sarebbe andato disperso nell’ambiente circostante. A beneficio degli edifici destinati ad uso terziario, è stato inoltre inserito un impianto di teleraffreddamento che consente di recuperare il calore dell’inceneritore anche in estate. Lungo la ferrovia è stata inoltre prevista una barriera antirumore con impianto solare termico integrato a servizio del quartiere che crea, al tempo stesso, una zona umida (biotopo) capace di migliorare il microclima.

Dongen propone soluzioni di assoluta eccellenza in materia di qualità ambientale: gli orientamenti solari favorevoli delle costruzioni, favorite anche dalla graduazione delle altezze degli edifici che si abbassano verso sud; la forma a corte semi-aperta degli isolati in funzione del vento, sia in termini di protezione che di favorevole ventilazione; la gestione delle acque di pioggia gestite integralmente in loco che vengono raccolte sia per uso pubblico (irrigazione delle aree verdi), sia per uso privato (irrigazione dei giardini, alimentazione dei servizi igienici).

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A livello dei singoli lotti si è privilegiato l’utilizzo di energia solare e geotermica. L’energia solare viene utilizzata, grazie a collettori solari termici per la produzione di acqua calda (che per i castelli ad edilizia convenzionata copre circa il 35% della produzione dell’acqua calda) e attraverso pannelli fotovoltaici per la produzione di parte dell’energia elettrica. L’energia geotermica concorre invece al raffrescamento estivo degli appartamenti e al riscaldamento degli ambienti e dell’acqua sanitaria nel periodo invernale. Complessivamente, con i sistemi energetici adottati, si arriva ad un risparmio pari al 65% rispetto a quello che consumerebbe un quartiere di pari dimensioni


costruito in maniera tradizionale.

non si vede traccia dell’innovativa ferroviametropolitana (di collegamento tra Bolzano e Oltre all’impianto urbano generatore della Merano) con apposita stazione in loco. residenza, il progetto si caratterizza infine per le sue soluzioni infrastrutturali. Presenta un impianto viabilistico interno di tipo propriamente residenziale a traffico tranquillizzato, con una strada volutamente tortuosa per alimentare RIFERIMENTI l’accessibilità domestica e di servizio a tutti gli Casanova – nuova concezione sostenibile isolati. Inoltre, la connessione con la città e con dell’abitare, a cura di Marco Castagna - Eurac le infrastrutture della mobilità è garantito dalle Research, Istituto per le Energie Rinnovabili linee degli autobus che entrano nel quartiere (www.eurac.edu/en/research/.../Layout_ e dalla connessione diretta con il sistema Casanova_404_IT.pdf ) pedociclabile. FOTO Non si può negare che, a pochi mesi dalla Casanova 1 http://grcitalia.com/it/facciate/14/ conclusione dei lavori e come spesso succede progetto-casanova-ea2-bolzano/page/2 quando si parla di progetti innovativi e sperimentali, il bilancio sulla riuscita Casanova 2 http://www.fotobolzano.com/ dell’operazione abbia creato forti malcontenti. panorama/panorama%20Bolzano/album/ La sensazione diffusa tra i futuri inquilini slides/Quartiere%20%20CasaNova.html del quartiere è quella di aver investito su un progetto che la carta aveva prospettato diverso Casanova 3 http://www.marieclaire.it/Attualita/ da quello che ad oggi sembra essere la realtà. Intervista-Luca-Molinari/La-CooperativaMancano infatti i servizi primari, su tutti scuola Casanova-a-Bolzano e supermercato. Al centro della polemica è stata in primo luogo la scelta di convertire parte del lotto C, inizialmente da destinarsi unicamente ad uso terziario, ad edilizia abitativa. Del forte asse di attrezzature pubbliche distribuite lungo via Ortles, che doveva diventare snodo di qualità funzionale e sociale con il quartiere pre-esistente non vi è ancora nessuna traccia. Questo non ha fatto che aumentare la sensazione di isolamento di chi abita il quartiere, che ancora deve essere rilanciato non solo a livello sociale, ma anche logistico. Sono poche infatti le linee di autobus che collegano Casanova al centro storico e ancora

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E.V.A.

sostenibilità dell’emergenza Di Stefania Stagnini

Intervista ad Antonio Cacio

Architetto

Antonio Cacio sta lavorando ad un progetto di assistenza e accompagnamento per Immigrati richiedenti asilo politico. Ha lavorato in fabbrica, fonderia, nei servizi sociali e all’epoca del terremoto era uno dei tanti disoccupati della zona, dunque con molto tempo da perdere. Come ha affermato lui stesso “ho cercato di non perderlo invano”. Oggi collabora al progetto E.V.A. e fa parte dell’associazione di promozione sociale “Misa”, che coordina il lavoro dei volontari a Pescomaggiore dove si occupa di bioedilizia e di agricoltura biologica. Intervista a cura di Valerio Massaro, Stefania Stagnini

”Ricostruire

l’Aquila è un’impresa che non può essere separata dalla ricostruzione del suo contado, come sono la stessa cosa il fiume e la sorgente da cui trae origine”, spiega lo storico aquilano Alessandro Clementi. E.V.A. (Eco Villaggio Autocostruito) è appunto l’inizio della ricostruzione di Pescomaggiore, uno dei tanti borghi del contado oggi entrato a far parte del “Cratere” (termine con cui è stata etichettata la vastissima area interessata all’evento sismico del 6 aprile 2009, che ha devastato il territorio aquilano e interessato ben 57 comuni in Abruzzo). Amore per la propria terra, rispetto per l’ambiente, ricostruzione dal basso: tutti elementi alla base della realizzazione delle nuove abitazioni che poco hanno a che fare con la disgregazione della popolazione e con il forte

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impatto sul territorio delle nuove periferie postsisma. Un progetto “illuminato” voluto dal “Comitato per la Rinascita di Pescomaggiore”, dagli abitanti di questo paese a pochi chilometri dal Capoluogo, che senza esitazione hanno scelto di tornare a far rivivere il borgo, la sua storia e le sue tradizioni. E grazie a due architetti, Paolo Robazza e Fabrizio Savini di Beyond Architecture Group studiomobile e con l’assistenza tecnica di Caleb Murray Burdeau, esperto in bioarchitettura, Pescomaggiore sta realizzando senza aiuti istituzionali, su terreni concessi da compaesani, sette case per 22 persone. Edilizia a impatto zero autocostruita e autofinanziata (con aiuto economico e manuale di tanti volontari da tutta Italia): legno, paglia, pannelli fotovoltaici e solari, fitodepurazione per lo smaltimento dei reflui. A dimostrazione del fatto che è possibile realizzare architetture sostenibili ed ecologiche in breve tempo e con costi limitati.

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Antonio, uno dei promotori del progetto, ci ha spiegato come è nata questa idea. -Come è nata in principio l’idea di un eco villaggio? Esasperazione dovuta all’emergenza, necessità oppure fin dall’inizio una esigenza di comunità e di “fare”, di fare qualcosa di diverso? L’idea di creare un ecovillaggio a Pescomaggiore è nata dalla volontà e necessità di non allontanare gli abitanti di Pescomaggiore; avremmo potuto costruire, in sostituzione delle nostre case distrutte dal sisma, abitazioni “tradizionali”, ma il senso era ed è anche quello di creare una alternativa al progetto CASE o ai MAP, al fine di dimostrare che quelle non erano le uniche strade percorribili. E’ stata una scelta legata ad una reale necessità ma anche una “dimostrazione” politica. Nel pensarle abbiamo cercato di utilizzare al meglio tutte le nostre conoscenze per creare un’architettura funzionale, economica e che rispettasse il territorio e l’ambiente. L’idea di utilizzare la paglia nasce da una scommessa fatta da me e Fabrizio Panbianchi:


una sera, pochi giorni dopo il terremoto, eravamo a casa a ragionare su come costruire le nuove abitazioni; Fabrizio pensava fosse meglio il bloc hause, io le case in paglia. La scommessa è stata quella di rivedersi di lì a poco dopo aver trovato dei tecnici e un preventivo; per puro caso ho conosciuto l’architetto Paolo Robazza che ci ha prospettato una ipotesi di progetto che è risultata convincente.

-Eco e villaggio sono due parole scelte non a caso. Eco perché e villaggio perché? Eco e sostenibile solo nella scelta dei componenti architettonici e tecnologici o anche un nuovo modo di vivere la comunità? Eco villaggio perchè abbiamo puntato a realizzare case passive dal punto di vista energetico, costruite in parte con materiali a Kmzero, con un basso utilizzo del cemento e con largo utilizzo di paglia e legno; Villaggio perchè per noi era ed è fondamentale la comunità, ricreare un vicinato ed una solidarietà tra le persone.

-Messo da parte l’argomento emergenza (non che l’emergenza sia finita, anzi), qual’ è lo stato della comunità che ha deciso consapevolmente di condividere un’ esperienza tanto forte quale è quello di “costruire”? Le persone che abitano EVA sono persone che hanno perso la loro casa a causa del terremoto; lasceranno l’ecovillaggio nel momento in cui tornerà agibile la loro abitazione, dunque vivono i quotidiani problemi comuni legati alla ricostruzione dei centri colpiti dal tsisma e vi assicuro che sono molti ed a volte incomprensibili. “Cucirsi” addosso una casa è stata una esperienza importante per ognuno di loro e per tutte le centinaia di persone che ci hanno aiutato. -Si sente spesso parlare di Voi ed avete ricevuto il sostegno di tanti; è un tipo di (ri) costruzione che molto si scosta da quello che è stato fatto fino ad ora a L’Aquila dove intere comunità sono state portate a km di distanza dalle loro abitazioni distrutte lontano dagli affetti, dal quartiere di origine, in

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Italia non sono casi infrequenti), i governi tutti abbiano l’umiltà di prendere esempio da piccoli esempi come il nostro. Le immagini sono tratte da e pescomaggiore.org e www.ecobloc.it

zone periferiche create ex novo che oltraggiano il territorio aquilano. Magari si sarebbe potuto pensare a tante piccole Eva? Sicuramente si, ed era quello che molti, che come me militano nei Comitati, chiedevano di avere, case e quartieri vicini ai vecchi nuclei dove poter ricreare la Comunità e la vita quotidiana a cui eravamo abituati; purtroppo ha prevalso la linea contraria, quella legata alle grandi opere affidate a grandi ditte. Il risultato è quello che conosciamo: la realizzazione di anonimi quartieri periferici e la disgregazione della popolazione e delle comunità originarie; al rifiuto abbiamo “costruito” la contro proposta. La nostra speranza è che in futuro, semmai dovessero riverificarsi simili calamità (e purtroppo in

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www.


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Dismissione industriale e città creativa.

Due processi di trasformazione urbana, tra riqualificazione fisica e strategie di promozione del territorio I casi di Zona Tortona e Ventura Lambrate a Milano Di Ilaria Giuliani

Laurea triennale in Scienze dell’Architettura presso lo IUAV di Venezia Laurea specialistica in Pianificazione Urbana e Politiche Territoriali presso il Politecnico di Milano Phd student in Spatial Planning and Urban Development presso il Politecnico di Milano

“Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città si imbeve come una spugna e si dilata. una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.” I.Calvino, 1972, pag.10

La città è da sempre oggetto di interesse a causa delle sue continue mutazioni, dei suoi

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cambiamenti, dei suoi adattamenti alle epoche storiche e ai comportamenti della società e dell’uomo. È all’interno di essa che tutto succede, accade, diviene, si trasforma e si adatta in un incessante susseguirsi di avvenimenti, di fasi, tutte diverse l’una dall’altra. Per questo la città di oggi è differente da ciò che era in passato e, solo a partire dal superamento delle condizioni preesistenti, è possibile iniziare un’analisi di ciò che sta accadendo all’interno dei contesti urbani. Il passato è il primo elemento su cui si fondano le nuove configurazioni sia spaziali che sociali delle città. Analizzando la città contemporanea si può notare come siano sempre più frequenti le profonde trasformazioni e i modi del cambiamento che incidono sulla sua forma fisica e struttura sociale, facendo emergere un nuovo tipo di città i cui caratteri fisici e sociali si contrappongono a quelli della città industriale di ieri. Queste nuove configurazioni sono dovute, quindi, all’interazione tra il vecchio e il nuovo, tra ciò che resiste ai nuovi processi e ciò che ne emerge da questi forgiato, modificato. A Milano, in tempi piuttosto recenti, si sono verificate due trasformazioni urbane che presentano delle caratteristiche processuali e degli esiti simili, definibili, in qualche misura, innovativi. Si tratta dell’area adiacente a via Tortona e del quartiere di Lambrate, due territori intermedi, localizzati tra centro urbano e prima periferia, che, un tempo, facevano parte di quel grande patrimonio di aree industriali della città di Milano, con un’importante presenza di piccole aree interstiziali insediate all’interno di un tessuto misto a residenza.

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Sono porzioni urbane che si collocano in posizione periferica ma al centro di alcune spinte che stanno ridefinendo le geografie della città, a partire dalla consistente presenza di aree in disuso. Con l’avvento della dismissione questi territori hanno perso le loro identità di periferie industriali, e hanno faticato a trovare nuove traiettorie di sviluppo, restando così aree in attesa di trasformazione, fino a quando si è cominciato a muoversi nella direzione di processi di riqualificazione urbana, intrapresi con modalità del tutto particolari, tra spontaneità e casualità. Il momento di svolta arriva attraverso quello che può essere definito un intervento pioniere, che dà il via ad un processo di riqualificazione ancora in corso. Agli inizi degli anni ’80 in via Tortona un famoso fotografo, Fabrizio Ferri, decide di riqualificare gli spazi di un’industria dismessa per adibirla a laboratorio fotografico, Superstudio. Attorno ai primi anni del 2000, in via Ventura a Lambrate, un noto architetto, Mariano Pichler, decide di investire il proprio capitale nella riconversione dell’ex fabbrica Faema in un complesso di edifici in cui si trovano gallerie d’arte, di design, agenzie pubblicitarie, studi di architettura. Questi due interventi dimostrano immediatamente di avere successo, si inseriscono bene nei quartieri, attirano persone, mobilitano risorse. Sulla scia di questi episodi cominciano una serie di altri interventi, gestiti da privati, che riqualificano e convertono spazi ex industriali dello stesso tipo (Nestlé, Ansaldo, CGE, Riva Calzoni, Richard Ginori, Hyundai, Innocenti), insediando nuove funzioni legate ai temi della produzione immateriale (Armani, Ermenegildo Zegna, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Domus


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Ventura Lambrate in trasformazione 4 3

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ex Faema, Galleria Pianissimo, via Ventura 15 ex Faema prospetto su via Ventura ex Dropsa, corte interna, via Massimiano 25 ex Dropsa, prospetto su via Massimiano Lambretto Art Project interni di Lambretto Art Project

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Academy, Centro direzionale Via Tortona 37, Lambretto Art Project, ecc. Radio 101), spesso coinvolgendo grandi nomi dell’architettura contemporanea (Thun, Citterio, Ando, Chipperfield, Mutti). Se la prima dimensione del cambiamento è legata ai temi del lavoro, altri due possono essere i fenomeni di microtrasformazione di spazi industriali dismessi, che nel periodo più recente sono emersi. Da una parte si possono osservare differenti progetti legati a nuove forme di abitare. Giovani e giovani famiglie si insediano in questi quartieri e li scelgono per le opportunità che offrono in termini di varietà di spazi abitativi. Capannoni e piccole aree industriali vengono ristrutturati e utilizzati come loft, prestando attenzione alla versatilità degli interni, dove spesso la casa risulta essere anche il luogo del lavoro, e al carattere accogliente degli esterni come il cortile e i servizi comuni. Contribuisce al trasferimento di questo tipo di popolazione il fatto di insediarsi in quartieri tradizionali che offrono la possibilità di abitare territori non anonimi, in cui la dimensione della prossimità può essere coltivata e praticata. Il secondo fenomeno è legato al riutilizzo degli spazi attraverso attività legate alla fruizione culturale, al tempo libero, alla vita notturna e a stili di vita giovani, il cui tratto caratteristico è l’intermittenza, intesa come accensione temporanea, legata a tempi e flussi differenti, spesso dettati da eventi attrattivi, feste. Parallelamente alle trasformazioni fisiche di queste due aree e con il delinearsi delle rispettive nuove identità, si sviluppano delle strategie di autopromozione e autoriconoscimento in grado

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di consolidare quelle vision intraprese attraverso il riuso degli edifici. A partire dalla trasformazione fisica delle aree si vuole proporre un’immagine nuova di queste parti di città, quasi fino a voler creare dei distretti specializzati in qualche settore (il design e l’arte contemporanea). Facendo ampio ricorso a strategie di comunicazione del territorio, le nuove immagini urbane vengono veicolate all’esterno e, attraverso l’uso della cultura, dell’arte, del design, ecc, favoriscono l’attrattività, la fama, la vivacità di queste zone. Gli interventi immateriali variano dall’inserimento delle due aree in determinati circuiti o siti internet, allo sviluppo di eventi di marketing territoriale, alla creazione di brand territoriali (Zona Tortona e Ventura Lambrate), che coinvolgono gli interi quartieri. Fondamentale per entrambe le trasformazioni risulta essere il ruolo giocato da un evento come il Fuorisalone durante la Settimana del Salone del Mobile, durante il quale queste due porzioni urbane diventano il fulcro della maggior parte degli eventi collaterali alla Fiera. È possibile, quindi, distinguere due dimensioni che hanno riguardato questi due processi urbani. Da una parte possiamo riconoscere la riqualificazione dello spazio fisico nella misura in cui il patrimonio immobiliare dell’industrializzazione è stato interessato da una serie incrementale di processi di riuso, veri e propri elementi attrattori. Dall’altra, invece, emerge l’uso che si è cominciato a fare di questi territori: essi sono al centro delle dinamiche che riguardano l’intera città e oggetto di interesse da parte di visitatori, turisti, abitanti, esperti del settore, promotori


Zona Tortona in trasformazione

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1 2 3 4 5 6 7 8 ex Riva Calzoni, sede della Diesel 9 10

ex Osram, Residenze Portici di via Savona

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immobiliari, grazie ad un articolato pacchetto di strategie che si sono occupate di promuovere queste trasformazioni e i nuovi possibili usi di queste parti di città. Alla base del ridisegno di aree in modo innovativo e attrattivo si colloca, quindi, il rapporto tra la trasformazione fisica e le strategie di comunicazione. La dimensione materiale e quella immateriale si autoalimentano, dando origine ad un circolo virtuoso in grado di rendere sempre dinamica e viva la trasformazione in corso, investendo nel miglioramento degli spazi e delle relazioni tra cultura, spazi urbani, identità locali, e sperimentazione di nuove forme di eventi.

disponibili in attesa di nuovi contenuti che, sempre più spesso, risultano appartenere al mondo della produzione immateriale. Ne consegue un’integrazione tra passato e presente, una mescolanza di elementi appartenenti ad epoche diverse, che pongono le basi per nuove trasformazioni urbane.

Per maggiori informazioni consultare l’elaborato di tesi di Laurea Specialistica “Dismissione industriale e città creativa. Due processi di trasformazione urbana, tra riqualificazione fisica e strategie di promozione del territorio. I casi di Zona Tortona e Ventura Lambrate a Milano.”, Questi due processi milanesi sembrano, quindi, di Ilaria Giuliani, Luglio 2010 essere coinvolti da due filoni del mutamento che h t t p s : / / w w w . p o l i t e s i . p o l i m i . i t / riguardano la città contemporanea in generale. handle/10589/1202?mode=simple Da una parte quello inerente il fenomeno della dismissione industriale, in riferimento al suo ruolo di risorsa primaria per interventi di riqualificazione urbana, con una conseguente riflessione sulla disponibilità di spazi, sulla loro dimensione, e sulle diverse possibilità di intervento che si delineano a partire da queste caratteristiche. Dall’altra parte, invece, un’ampio dibattito riguardo a fattori come quelli della creatività e della cultura: si tratta di temi attuali, che sembrano essere promettenti in quanto possibili motori di trasformazioni urbane. Questi due filoni possono essere messi in relazione a partire dalla disponibilità di spazi che la dismissione industriale offre: molti contenitori, caratterizzati da ampie metrature e da flessibilità degli ambienti, si rendono

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Il Paesaggio, un regalo per i 150 anni dell’Italia unita. di Maria Teresa Idone e Chiara Serenelli

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Lo Stretto indispensabile.Storie e geografie di un tratto di mare limitato" Ë il libro di Franco La Clecla e Piero Zanini (2004) in cui questo emblematico luogo diventa lo spunto per parlare di noi, dell'Italia, dell'uomo. Foto: Chiara Serenelli

L’anno appena concluso è stato anche quello della celebrazione dell’anniversario dell’Unità di Italia. 150 anni di storia nazionale commemorati in molti luoghi simbolici del Paese. L’Università Mediterranea di Reggio Calabria ha deciso di raccontarla attraverso il Paesaggio, come espressione della società italiana e dei suoi cambiamenti; come concetto condiviso dalla comunità europea, oggi più che mai vivo e attuale; come disciplina, che l’istituzione universitaria ha il compito di strutturare e far evolvere. La

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le colline di Reggio Calabria su una porzione di paesaggio urbano

struttura del convegno Paesaggio150. Sguardi sul paesaggio italiano tra conservazione trasformazione e progetto in 150 anni di storia, impostata su due sessioni plenarie, di apertura e conclusiva e quattro parallele tematiche, ha permesso di diversificare notevolmente gli sguardi, articolandoli tra un sapere esperto e consolidato e una varietà di interpretazioni nuove e sperimentali, tra la proposizione di problematiche, che sono in primo luogo culturali e sociali, e il tentativo di rispondere ad esse in una prospettiva transdisciplinare. In apertura, il prof. Donin prende subito atto del “disastro” cui 150 anni di unità nazionale sono andati incontro, per non aver arginato “il carattere impetuoso” della “trasformazione urbana postunitaria”, che ha travolto in un tempo relativamente breve un processo culturale secolare, diversificato, ma a suo modo unitario, di modellazione di quel paesaggio agrario italiano così ben descritto da Emilio Sereni nel 1961. La maggiore o minore reversibilità del disastro italiano dipende oggi molto da quanto sapranno fare le discipline paesaggistiche, trovando nella Convenzione europea per il paesaggio un orizzonte comune che mette in gioco, come esplicitato dalla dott.ssa Dèjeant-Pons,

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“diritti umani e democrazia”. Il problema del paesaggio italiano, sostiene il prof. Zagari, riguarda anche il “senso” dell’essere italiani oggi, in un momento di crisi delle certezze precostituite, di “cambiamenti della condizione dell’abitare” che non deve configurarsi in una crisi dei valori e della dimensione etica del progetto. Una “crisi” che il prof. Farinelli volge in positivo, come ritorno al “luogo”, cui il paesaggio tende, dopo una modernità fatta di dominio dello spazio, lo spazio prospettico, la cui esistenza si fonda sulla netta separazione tra soggetto e oggetto, altra certezza che la contemporaneità, assieme alla globalizzazione, ha scardinato. La questione etica, che è anche civile e politica, è ciò che la prof.ssa Bonesio tocca a proposito del senso dell’abitare, che contiene in sé il “prendersi cura” dei luoghi, del paesaggio come bene comune dalla natura relazionale. Quello che la prof.ssa Maniglio Calcagno descrive come un “lungo viaggio negli ultimi 150 anni di storia italiana”, rappresentato dalle due giornate di convegno, può essere affrontato facendo scorrere il nostro sguardo attraverso oltre cento anni di normativa italiana sul paesaggio, ma anche riscoprendo altrettanti anni di sguardi innumerevoli e diversi fissati dalla letteratura nazionale e internazionale, nella forma dei diari di viaggio ad esempio, e in personalità italiane quali Rosario Assunto, Valerio Giacomini, Antonio Cederna, Italo Calvino. Ma anche ripercorrendo modi e metodi con cui il paesaggio è entrato, e può entrare, “negli strumenti di piano”, come proposto dalla prof.ssa Treu. Il viaggio attraverso una nazione unita ma ancora in molti casi divisa da profondi disequilibri sociali, si conclude con la proposta di una Carta


dello Stretto, articolata in quattro parti che sintetizzano la varietà dei temi toccati: la cultura del paesaggio; l’educazione e la formazione; le politiche; il progetto del paesaggio. Una conclusione solo provvisoria – la Carta è di prossima pubblicazione – che attesta che tanta strada resta ancora da compiere nonostante la chiusura dei festeggiamenti per l’anniversario. Lo Stretto di Messina è indicativo, afferma la prof.ssa Colafranceschi, del senso dell’unità, quella tra le due sponde, e quella dell’Italia intera, tra Calabria e Sicilia, incentrata sulla percorrenza a diverse velocità della porzione di mare definibile come una grande “piazza liquida”, su cui si incardina il “sistema paesaggio”, che funzione sui tre diversi livelli di acqua, sponde e colline circostanti. È pertanto simbolica la sua scelta nel dare il titolo ad una Carta il cui oggetto è il paesaggio italiano, nel suo esprimere contemporaneamente un’unitarietà e

innumerevoli varietà. Se le sessioni plenarie hanno avuto il ruolo di presentare i temi che si celano dietro i paesaggi di oggi, spiegare perché ha senso, ora più che mai, parlare di Paesaggio, e cosa ci spinge a farlo in questi termini, ecco che le quattro sessioni tematiche si addentrano nello specifico delle questioni, moltiplicando i punti di vista e dando concretezza e forma al Paesaggio e ai paesaggi. La prima giornata è dedicata a due sessioni parallele che insieme cercano di delineare il ruolo che il paesaggio gioca nella costruzione di un’identità nazionale, guardando alle basi storiche e geografiche che lo rendono possibile. Nella sessione L’identità nazionale e il ruolo unificante del paesaggio quest’ultimo diventa portatore di valori capaci di aggregare e unire “la rappresentazione materiale e visibile della Patria” per dirla con le parole di Benedetto Croce. E non soltanto grazie ad un’impalcatura

momenti del convegno, sessione plenaria Foto: Chiara Serenelli

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politica e giuridica che lo difende, come la stessa Costituzione Italiana fa ponendolo tra i principi fondativi, ma nel suo essere capace di interpretare il rapporto tra popolazioni e territorio, del quale la letteratura, l’arte e le architetture ci danno testimonianza. Così nella sessione L’armatura storica e geografica dei paesaggi italiani si ripercorrono i segni che impressi nel paesaggio ci parlano di come questo rapporto si è costruito nel tempo e come si è modificato, e che inevitabilmente comprendono anche forti cesure e inversioni di senso dovuti ai profondi mutamenti avvenuti in ambito sociale, economico e politico. La seconda giornata ci racconta proprio di questo, infatti nella sessione Il paesaggio e le grandi trasformazioni si passano in rassegna alcuni grandi interventi, come le bonifiche idrauliche e le riforme agrarie, il progetto infrastrutturale del paese, fino ad arrivare al turismo di massa e alle trasformazioni del paesaggio costiero. Ne emerge uno stato dell’arte con cui oggi ci dobbiamo necessariamente confrontare e che, nonostante le criticità che porta con sé, diventa anche serbatoio per sviluppare la carica progettuale insita nel paesaggio stesso. Dalle trasformazioni si passa allora ai Paesaggi in trasformazione, ovvero all’ultima sessione in cui si affrontano le Nuove prospettive per il paesaggio italiano. Qui torna chiaramente visibile il riferimento principale dell’operare con il paesaggio e per il paesaggio, che è proprio la Convenzione Europea, sotto la cui grande ala è possibile parlare insieme di partecipazione e percezione, reti ecologiche, dimensione progettuale del paesaggio e del suo contributo nella pianificazione del territorio. Il quadro è a questo punto delineato: non

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celebrazione romantica di qualcosa che è stato, ma la volontà di agire con l’occhio e gli strumenti del paesaggio, immaginando uno sviluppo che coniughi conservazione e processi di trasformazione. Una prospettiva operativa molto affascinante, una sfida, per l’anno che è appena entrato. Il Convegno è stato organizzato da OASI ‐ Dipartimento di Progettazione per la città, il paesaggio e il territorio, OASI, dell’Università Mediterranea degli Studi di Reggio Calabria con il patrocinio della Presidenza della Repubblica e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC). Per ulteriori info: http://www.paesaggio150. unirc.it/


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RECENSIONE

L’ ANTICITTA’ Stefano Boeri di Silvia Minichino

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Un <<brusio>> di costruzioni improvvise e brusche sottrazioni di spazio, di nuove espansioni e abbandoni temporanei, di infrastrutture incomplete e rigide recinzioni, che non hanno altro denominatore comune se non un’ affannosa ricerca di identità per chi li realizza e li abita. Il libro di Stefano Boeri, L’Anticittà, Editori Laterza 2011, è una raccolta di saggi ed articoli che declinano il concetto di Anticittà, legandolo alla riflessione sui meccanismi di produzione dello spazio della città contemporanea. Città, abitare e territorio sono le parole chiave attorno alle quali, l’autore chiarisce il significato di Anticittà, mettendone in evidenza le valenze costruttive e quelle disgregative attraverso il tempo. Non esiste città senza Anticittà. Le sue vibrazioni rappresentano il bisogno essenziale dentro al <<fare città>>:rappresentano storicamente gli anticorpi alla necessità umana di vivere in


agglomerati e di riconoscersi in essi. Nella società contemporanea l’Anticittà si esprime attraverso la frustrazione e l’omologazione. Siamo quindi, secondo l’autore, nella fase in cui a prevalere sono le istanze disgregative di questa energia che sta comunque dentro ai meccanismi costituitivi della città stessa. Queste categorie si traducono nello spazio attraverso i meccanismi della frammentazione e della dissipazione urbana. Sono questi che devono essere indagati e che diventano le chiavi di lettura della città contemporanea e della sua futura configurazione. E’ al territorio italiano che Boeri rivolge prevalentemente la sua attenzione e che descrive attraverso l’Anticittà: frammentazione e dissipazione urbana, sono i paradigmi della provincia italiana, che dopo gli anni Sessanta si popola di edifici che sembrano essere ognuno una costruzione isolata all’interno di un lotto di terra, non ci sono più paesaggi complessi ma esistono solamente paesaggi nati in sequenza. E’ il linguaggio che aiuta a comprendere la città, il riuscire a chiamare con il proprio nome ciò che si materializza nel territorio. La tassonomia della città è sempre più incerta per la tendenza non tanto ad una completa e compiuta trasformazione degli spazi, quanto ad una loro perenne transizione che fa si che qualcosa divenga sempre più frequentemente qualcos’altro mentre lo si osserva. La questione del modo di osservare la città e le sue trasformazioni diviene fondamentale e impone una riflessione sul paradigma zenitale che ha costituito l’ urbanistica contemporanea. Boeri definisce la città come modo collettivo di pensare lo spazio e da questo deriva l’insoddisfazione per le rappresentazioni che riducono il mutamento dello spazio ad una successione lineare di carte

storiche. E’ forte la necessità di sperimentare diversi punti di vista , diverse angolazioni attraverso le quali trovare nuove possibilità rappresentative che propongano modi di interpretare le corrispondenze tra spazio e società. Sono gli Atlanti eclettici che cercano di mettere in relazione la forma della visione con la forma delle cose viste. Il libro si conclude con l’interrogativo su che cosa significhi fare città oggi. Le riflessioni che nascono sono propositive e pongono l’accento su due elementi che appaiono come fondamentali: gli spazi in transizione, dal futuro incerto, possono rappresentare i luoghi da cui partire per una ridefinizione del modello con cui fare città. Sono il frutto dell’iniziativa dal basso e sono spesso i segni della cultura globale in spazi che hanno una forte dimensione locale. Questi spazi potrebbero essere incrementali per una nuova etica urbana ma che rinuncia ad un’ottica antropocentrica; la politica perché politiche sono le leggi che disciplinano il welfare, gli incentivi alle famiglie,la redistribuzione dei redditi, la promozione di comunità di impresa che offrono occasioni di scambio e di mobilità sociali.


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www.verdiananetwork.com info@verdiananetwork.com

Verdiana Network Mission

Associazione di promozione sociale senza fini di lucro che diffonde una cultura della sostenibilità dello sviluppo urbano e territoriale, della conservazione e gestione del paesaggio e del patrimonio naturale e culturale, secondo i principi della Convenzione Europea sul Paesaggio (Firenze, ottobre 2000) e il modello di città creativa definito dallo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (SSSE, Potsdam, maggio 1999). Verdiana Network svolge progetti di ricerca, formazione e sensibilizzazione sui parchi, le aree protette e le reti ecologiche, gli itinerari culturali, gli ecomusei, i distretti culturali, la riqualificazione dei quartieri urbani e periurbani, la Valutazione Ambientale Stategica (VAS) e la pianificazione urbana e territoriale a partecipazione pubblica, anche in collaborazione con Università, Istituti di ricerca ed Enti pubblici, con la possibilità di coinvolgere studenti e giovani laureati attraverso tirocini e stage formativi. Verdiana Network offre al pubblico interessato la possibilità di riflettere e creare dibattiti sugli argomenti oggetto della propria attività tramite la pubblicazione periodica di articoli scientifici e divulgativi nella rivista on-line Network in Progress.

Attività

Nel territorio di Marche e Umbria, in collaborazione con le Fondazioni Cassa di Risparmio di Loreto, Macerata, Foligno e Perugia, Verdiana Network ha svolto un progetto di ricerca per il recupero dei cammini di pellegrinaggio al Santuario di Loreto e la sua menzione a Itinerario Culturale Europeo, unendo all’indagine storiografica e cartografica un approccio paesaggistico alla progettazione. In Lunigiana (Toscana), con la collaborazione dei Comuni di Fivizzano, Aulla, Bagnone, Fosdinovo, Licciana Nardi e Villafranca, il patrocinio della Regione Toscana, Verdiana Network ha promosso e coordinato il Corso di Formazione e Aggiornamento professionale Parchi naturali, aree protette e reti ecologiche per lo sviluppo del territorio, che ha portato all’elaborazione e all’esposizione di interessanti proposte progettuali per il territorio. Per la città di Firenze Verdiana Network è impegnata in un’iniziativa, denominata Progetto Cartoline, di sensibilizzazione al tema del degrado, dell’abbandono e della necessità del recupero degli spazi della città contemporanea, nata all’interno della ricerca per un Urban Center nell’area metropolitana fiorentina, oggetto di pubblicazioni convegni ed esposizioni.


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