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TRIAL VERSION

Clio Casadei

Tu nello spazio sei il parametro, il limite massimo, la fine della mia corsa.

Firenze 15 settembre - 2 ottobre 2011 via Osteria del Guanto 10 traversa di via de’ Neri



Tu nello spazio sei il parametro… Invito a chi guarda. Trial Version

I buchi neri sono regioni di spazio che si formano attorno a corpi celesti densi, da cui nulla può sfuggire; corpi con un’attrazione tale per cui niente riesce ad allontanarsi da loro. Capita alle volte di trovarsi in condizioni simili, in situazioni nelle quali ogni cosa sembra essere vorticosamente legata all’altra senza soluzione di continuità: parole, immagini, idee. È forse questa la peculiarità del lavoro di Clio Casadei e il motivo per il quale le abbiamo chiesto di collaborare con noi accettando di presentare al pubblico il suo lavoro: una ricerca, un immaginario e un pensiero che vi invitiamo a vivere con generosità, dedicando loro del tempo. L’esposizione Tu nello spazio sei il parametro, il limite massimo, la fine della mia corsa è stata pensata da Clio Casadei come il foyer di un teatro dove, solitamente, fotografie e vecchie locandine di spettacoli intrattengono gli spettatori prima e dopo la messa in scena. Ciascuna opera in mostra è esposta come un frammento: il segno lasciato da una narrazione più estesa che indistintamente può appartenere al passato o essere ancora in atto. Tutti i lavori, infatti, non sono che la traccia di progetti più ampi che l’artista lega e descrive in una narrazione audio realizzata per l’esposizione e che ad essa dà il nome, Tu nello spazio sei il parametro, il limite massimo, la fine della mia corsa. Nella mostra l’audio si amplifica nell’ultima sala a cadenza temporale, seguendo una precisa programmazione, come se si trattasse di una vera e propria messa in scena: una narrazione continua pronunciata ad alta voce. Con un rigore quasi scientifico Clio Casadei formalizza di volta in volta il suo pensiero in frammenti chiusi, spesso ermetici, in cui nulla è lasciato al caso: si tratta di opere che rivelano una riflessione continua sulla realtà, i metodi cognitivi e la necessità del fare e dell’agire con l’arte. È in questo senso che, entrando negli ambienti che ospitano l’esposizione, la sensazione è di camminare nello “spazio” di un buco nero: un immaginario articolato e per certi versi complesso, dal quale difficilmente si ritorna indifferenti. Programmazione dell'audio Tu nello spazio sei il parametro… 16 settembre - 2 ottobre, dal giovedì alla domenica | ore 17:50, 18:40, 19:20

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L’orizzonte degli eventi [ODE] Trilogia La Storia è degli Uomini Prendi il mio tempo La mia affezione, la mia eclissi Blue Tu nello spazio sei il parametro, il limite massimo, la fine della mia corsa Disegni 2005-2009 2


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Il limite e il corpo. Riflessioni sulle opere. Trial Version

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Uno degli aspetti che legano i lavori in mostra è la presa di coscienza dell’esistenza del limite da parte dell’artista. Il concetto di limite viene inteso come condizione universale e allo stesso tempo generatrice. In tutti i lavori, infatti, il corpo è il limite a cui l’artista fa riferimento; esso nella sua relazione con lo spazio, con il tempo e con le categorie di pensiero è il parametro con cui si conosce. In questo senso, il corpo è allo stesso tempo la prima limitazione nei confronti di quanto sta attorno ma anche il principio unico dal quale poter iniziare a vedere. In Trilogia, opera ancora in corso che comprende un poster, un video e un cortometraggio, l’artista ripercorre le fasi dell’accettazione e dell’elaborazione della perdita, a partire dallo sguardo. Il poster, Mancata è la visione, negato è lo sguardo – Palazzo Grassi, ala centrale, Venezia, unico frammento del progetto in mostra, presenta la fotografia di una porzione di pavimento in marmo. Il pavimento appartiene alla sala centrale di Palazzo Grassi che oggi è meta di pellegrinaggi culturali per la sua eccentrica collezione d’arte contemporanea. Nel poster il punto di vista è quello di un ipotetico visitatore del museo che, invece di rivolgere lo sguardo verso le opere, lo china negando metaforicamente la contemplazione. Osservando Mancata è la visione, negato è lo sguardo, si è messi nella condizione di contemplare qualcuno che si rifiuta di guardare. E se il rifiuto di accettare la mancanza - sembra dire l’artista - è il primo atteggiamento che segue normalmente una perdita o un lutto, ammettere questa rinuncia, e guardarla, rappresenta il primo passo per superarla. Anche in Prendi il mio tempo (2007), cartoline a colo-


ri di un soffitto in cui compare un lampadario, l’elemento fisso è il corpo, questa volta dell’artista, supino e rivolto verso l’alto che osserva un’immagine e la ferma nel tempo. Le cartoline sono l’unico frammento rimasto di un video andato perduto che nel tempo di un’ora registrava, quasi annichilito, il lento passaggio dalla notte all’alba. L’immagine riprodotta, ferma per un momento il conflitto di luci e ombre che nell’allontanarsi della notte si schiariscono sul soffitto. In questo caso il punto di vista di chi guarda è quello di un corpo immobile, adagiato sul letto e pesante. Rispetto al lavoro precedente, lo sguardo è rovesciato: prima terrestre, ora celeste. In Mancata è la visione l’occhio si perde nella profondità del marmo qui, invece, si ferma: lo sguardo, limitato dall’inquadratura del soffitto, rimbalza su di esso e pesantemente ritorna su di sé. Prendi il mio tempo rimanda alla percezione di un tempo che è, o può essere, comune, quello del conflitto tra la staticità della propria condizione ed il movimento: solo il vivere la presenza di questo limite può dare avvio al cambiamento. Nella La Storia è degli Uomini (2008), su un grande foglio bianco, della dimensione di una comune carta geografica, sono stati tracciati e sovrapposti i confini politici di un territorio tra l’Oriente e l’Occidente. La successione dei confini segue l’ordine cronologico degli eventi così come vengono riportati da un manuale di storia. Un libro completa il frammento: sulle sue pagine compaiono nuove tracce e nuove regioni, questa volta identificabili dalle loro coordinate temporali e geografiche. Pagina dopo pagina le linee si succedono in forme e aspetti infiniti, continuando a mutare. Nella La Storia è degli Uomini l’infinita (inesauribile) elaborazione di dati, nozioni e rappresentazioni dello spazio e della sua storia si contrappone all’esperienza possibile, e alla concretezza fisica del corpo incapace di percepire, nella sua totalità, questo flusso. Le nozioni e le rappresentazioni precipitano continue ed eccessive su se stesse, come nelle pagine del libro. In una produzione continua,

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esse fermano il tempo e lo spazio in immagini che ripetutamente si sostituiscono l’un l’altra. Il limite della rappresentazione è la sua stessa concretizzazione: il limite di ognuno nell’essere finito. Nella La Storia è degli Uomini il corpo si relaziona allo spazio fisico e politico, al tempo e alla storia (universale e personale), all’esperienza sensibile e alla sua narrazione, a quanto si percepisce e a come si rappresenta.

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La mia affezione, la mia eclissi (2009) è un progetto molto elaborato nel tempo come nella sua formalizzazione. Anche in questo caso l’artista sceglie di esporre solo un frammento dell’intero progetto: una decina di fotografie in bianco e nero a bassa risoluzione che sono la matrice per la realizzazione di una carta da parati e un audio. Le fotografie ritraggono le quattro mura di una stanza dove sono stati affissi centinaia di chiodi, il sonoro, invece, è la rielaborazione per chitarra elettrica della loro affissione su alcune assi di legno, usate per misurare il perimetro della sala. Durante il tragitto dal centro di una grande città al suo aeroporto, l’artista ha registrato i rumori dello spazio che ha percorso; le onde sonore di questa traccia, tradotte in disegno, sono diventate il modello da seguire nell’affissione dei chiodi alla parete, trasformando il viaggio fisico in audio e poi questo in immagine visiva. Le fotografie a bassa risoluzione di queste pareti sono divenute, infine, la texture di una carta da parati; mentre il rumore dell’affissione, un audio per ambiente. In La mia affezione, la mia eclissi l’idea di un’elaborazione continua di dati, che si susseguono e sublimano l’uno nell’altro, ritorna. Il lavoro diventa l’emblema di una circolarità, ovvero il risultato dell’uso di pratiche e mezzi differenti, in un denso flusso di traduzioni ripetute, costanti ma reversibili. L’elaborazione potenzialmente infinita del dato originario (i rumori dello spazio percorso) sembra il sintomo di un’ossessione inconscia, quasi fisiologica, in cui ogni origine segnata diventa contemporaneamente il limite da superare. Immagini e suoni prendono parte ad un gioco senza fine di cui l’unica regola è evitare la stasi.


Blue (2008-2010) è un frammento del ciclo di interventi site-specific Della distanza nella definizione. Blue è un estratto video della durata di cinque secondi, di un girato di 25 minuti che inquadra una ragazza schermata da un paio di occhiali mentre osserva un oggetto nascosto alla vista. L’inquadratura si avvicina e si allontana ripetutamente. Blue non è che la contemplazione di uno sguardo che contempla: la ragazza ripresa sta osservando un lightbox sul quale il frammento di una fotografia satellitare, che di notte mostra il grado di luminosità della terra, è stato ingrandito a tal punto da apparire solo come una griglia di pixel. La fotografia, molto comune, registrerebbe tramite l’intensità più o meno forte di luce, la quantità di presenza umana nelle varie regioni del pianeta. In Blue, metaforicamente, questa effimera registrazione del dato e della presenza umana si dipana, sgranandosi a tal punto da rivelarsi come una vuota rappresentazione. L’estratto Blue è stato inserito, senza preavviso agli spettatori, durante la programmazione notturna della rete regionale Telestudio, nel maggio del 2010. In mostra l’artista ha esposto un trailer “confezionato” per descrivere le fasi di progettazione di Della distanza nella definizione e un poster che pubblicizza la proiezione di Blue. Sia il poster che il trailer sono, contrariamente al loro consueto utilizzo, strumenti funzionali a presentare e promuovere un evento che non è futuro ma è già stato e si concluso. Essi sono sedimentazioni a posteriori di un evento che sta altrove e qui si dà come un residuo. Ode, posizionato all’inizio dell’esposizione, e i disegni, allestiti in una stanza a parte, meritano una considerazione diversa dagli altri lavori e sono, non a caso, esclusi dalla registrazione audio di Tu nello spazio sei il parametro... Si tratta dei lavori temporalmente più distanti tra loro, in cui suggestioni, riferimenti, immagini e racconti vari sembrano affiorare sulla superficie dei ricordi accavallandosi l’un l’altro e prendendo la forma di due narrazioni diverse: la scrittura e il disegno. Nella sovrapposizione delle imma-

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gini - nei disegni - e delle storie - nella scrittura - l’artista si dichiara indifferente al soggetto narrato, perché quello che lega la composizione degli elementi non è un ordine di preferenza nella scelta di cosa rappresentare ma la volontà di formalizzare un flusso. Le immagini e i racconti seguono l’ordine con cui essi affiorano alla mente come delle impressioni istantanee, immediatamente sostituibili. La logica che dà corpo alle composizioni non è la creazione di una narrazione, ma sono le suggestioni e il loro succedersi. Sia la scrittura che il disegno sono strumenti privilegiati dall’artista nell’articolare le fasi di studio e progettazione dei lavori. Leggendo Ode e guardando i disegni, la sensazione è, anche in questo caso, che ogni corpo (immagine, racconto o concetto) sia allo stesso tempo il limite e l’inizio di quello successivo, come in un vortice. Tu nello spazio sei il parametro… è l’audio in cui tutti i lavori in mostra si compongono in un’unica voce che dà corpo ai pensieri che sostengono le opere. Tu nello spazio sei il parametro… è stata descritta più volte come un’esposizione ma del termine ci piacerebbe considerare solo l’idea di composizione e organizzazione che rievoca, come se si stesse parlando della regia che orchestra una messa in scena. Crediamo, non a caso, che sia proprio in questi termini che Clio Casadei abbia pensato questa presentazione: una narrazione unica che esiste in questo modo soltanto adesso. A tutti noi come spettatori spetta il diritto all’avvicinamento, quel lento scivolare tra i piani che compongono l’immaginario dell’artista.


Su Trial Version e sulle sue parole.1 Clio Casadei

Nel contesto di un’iniziativa che implica una gestione collettiva e che si istituisce in quanto progetto, dunque sistema di condizioni che a priori inquadrano e circoscrivono la fisionomia dell’intervento, l’impiego del termine autonomia non è scontato. Trascorsa l’esperienza, e al di là dell’essersi mantenuti indipendenti rispetto ad un ente o ad un’istituzione, è possibile identificare almeno quattro livelli ulteriori di autonomia. L’autonomia dell’idea che sottende il progetto; l’autonomia del contenuto che è il lavoro artistico, articolato secondo parametri preesistenti il progetto; l’autonomia di chi del contenuto è artefice, cioè la sottoscritta; l’autonomia di chi ha costruito il contenitore che è il progetto stesso, e l’autonomia strategica dei canali di comunicazione impiegati per renderne atto.2 Durante le fasi cruciali della collaborazione ci si è resi conto che il nodo centrale dell’impresa consisteva nel riconoscere e far affiorare questi livelli, e la posta in gioco ha coinciso con la capacità di orchestrarli mantenendosi parte dell’orchestrazione. Ciò che permane di tale consapevolezza è la scommessa sulla quale punto, e che riguarda il far di tale capacità tanto lo scopo quanto la risorsa del rapporto, poiché incidendo la prospettiva operativa delle parti coinvolte, essa si situa al di là della forma che il progetto mira o non mira ad incarnare, e dunque al di là del suo slogan. Nella pragmatica dell’accordo che sottende Trial Version le componenti principali sono inevitabilmente due e sono strategicamente contrapposte. Si è artisti e si è curatori in relazione alle intenzioni, che sono correlate alle azione che si compiono e si sono compiute nel tempo, ed è perciò a partire da questo dislivello necessario, perché radicato nella pragmatica dell’atto nonché nel carattere di ciò che è stato prodotto, che l’evento Trial Version si compie. Le autonomie delle quali ci si è avvalsi hanno segnato il moto interno e perpetuo delle nostre discussioni, così che cooperare ha significato tentare di prendere atto delle differenze emer-

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Vedi il comunicato stampa di Trial Version “ Parole chiave del progetto sono: autonomia, cooperazione, nomadismo”. 1

Ne consegue l’emergere di due contenuti: l’idea che sottende il progetto Trial Version ed il lavoro artistico; più contenitori: Trial Version e le forme di comunicazione impiegate per renderne atto; due entità principali coinvolte: chi attiva il progetto e chi fornisce il contenuto artistico strumentale alla sua attivazione. 2


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se nella concretezza delle azioni. Ciò ha implicato la necessità di guardare tali differenze, di discuterle e di confrontarle, lavorando affinché il loro carattere di innesco potesse essere valorizzato a discapito del loro carattere d’automatismo. Cooperare ha significato, per certi versi, stabilire ogni volta la possibilità di un’analisi critica in funzione di un’intenzione comune, quale è stata quella di operare per creare le condizioni migliori affinché il lavoro potesse essere presentato. Il timore di mancare di cautela rispetto al lavoro è emerso forte da entrambe le parti, a causa del fatto che il modo e le condizioni di presentazione del contenuto artistico costituiscono in questo caso un “materiale” oggetto del lavoro stesso. Tale materiale è sensibile, e ci si è ritrovati tutti a dover mettere in questione la pertinenza dei propri paradigmi di comunicazione, nella fatica del dover ristabilire volta per volta il margine d’azione reciproco. In tal senso, la mancanza di gerarchie non ha implicato una mancanza di ruoli, dato che sono state le intenzioni a delinearne la fisionomia, ed è paradossale constatare il fatto che ciò che non senza difficoltà ha reso possibile la presentazione del lavoro, è stato un principio di estraneità che si è concretizzato nell’emergere di concezioni di tempo del tutto dissimili. Chi cura l’evento è estraneo al tempo della pratica artistica o lo diventa per necessità di causa, e nel fare delle dinamiche ad essa relative il contenuto del progetto, egli necessita di ragionare secondo un tempo differente, e lo applica, sicché la pratica si trasforma in una delle sue possibili immagini. Il lavoro artistico - e sottintendo la pratica artistica - non coincide con il momento della sua presentazione. L’atto di presentazione è qualcosa che si colloca simultaneamente prima e dopo il lavoro, e la questione principale sulla quale ci si è trovati a dibattere è stata proprio quella del come modulare un livello di immediatezza necessario affinché la presentazione potesse avvenire. Tradotto: come ridurre il tempo di un’esperienza che è avvenuta nel tempo. Ovvero: quale formula per ovviare al gap tra la pratica e la sua comunicazione. Il che potrebbe anche suonare: quale formula per rendere atto del gap tra pratica artistica ed esposizione. Ciò che ne è uscito è un racconto breve in merito ad alcune produzioni realizzate tra il 2007 ed il 2010. Non c’è stato da parte mia alcun tentativo di caratterizzazione dello spazio, se non per


quanto concerne l’idea di una variazione di luce, e la disposizione degli elementi relativi al lavoro è strumentale al racconto. Una voce narrante fa da eco all’esperienza effettiva, in riferimento. Penso poi ora all’orientamento nomadico dell’iniziativa e al fatto che il nomade sa sempre identificare dove sta il nord e dove sta il sud, l’est e l’ovest, e la sua conoscenza del territorio coincide con la sua capacità di abitarlo. Abitare significa essere locale, e nell’essere locale a partire dalla coscienza di essere mobile intravedo un’accezione possibile di nomadismo, come messa in atto di un movimento che ha origine da una conoscenza profonda del loco. Ho avuto la possibilità di presentare il mio lavoro in questa città perché ho messo piede per poco forse, nella testa di qualcuno che la abita. Degli spazi attraversabili, le teste altrui si qualificano tra i migliori; luoghi anomali ed incredibili nei quali le coordinate cessano di essere mantenute e cambiano di posto. Di questo tipo di posizionamento locale spero di avvalermi nel tempo, per affinare nel movimento la mia capacità di abitare.

Grazie a: Stefania Rispoli, Susanna Lombardo, Marco di Giuseppe, Valeria Mancinelli, Elena Mazzi, Rosario Sorbello, Michela Lupieri, Veronica Viotti, Chiara Barbieri, Simona Bandini, Luca Coppola, Riccardo Gambi, Michele Camorani.

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Trial Version ringrazia: Clio Casadei per la sua collaborazione; Carmelo, Paola e Susanna Lombardo, Marina e Gabriele Gotti, Bruno e Maria Luisa Rispoli per il loro supporto e sostegno.

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con il patrocinio del

TRIAL VERSION è sostenuto da


Clio Casadei Tu nello spazio sei il parametro, il limite massimo, la fine della mia corsa.

www.trialversionproject.com info.trialversion@gmail.com

progetto grafico Veronica Viotti

dal giovedĂŹ alla domenica | ore 17:30 - 20:00


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