Analisi II_prof Acquistapace_parte 2

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Z

2y(x − y) sin(x2 + y 2 ) dxdy, ove

(v) E

E = {(x, y) ∈ R2 : 4 ≤ x2 + y 2 ≤ 16, y ≤ x ≤ Z

√

3 y};

x dxdy, ove F = {(x, y) ∈ R2 : x2 ≤ y ≤ 2x2 , x ≤ y ≤ 2x}; y

(vi) ZF

x2 y 2 (y 2 − x2 ) dxdy, ove

(vii) G

G= Z

1 2 (x, y) ∈ R : x, y ≼ 0, x + 1 ≤ y ≤ x + 2, ≤y≤ x x 2

;

sin3 (x2 + y 2 ) dxdy, ove H ⊂ R2 `e l’insieme definito da

(viii) H

π ≤ x2 + y 2 ≤ π, 2 Z

y ≤ |x|.

y dxdy, ove I ⊂ R2 `e l’insieme definito da

(ix) I

x ≼ 0,

y ≼ 0,

−2 ≤ y(x − 2) ≤ −1,

1 ≤ xy ≤ 2.

Z p (x) x2 + y 2 dxdy, ove J `e la regione piana interna alle due circonJ

ferenze (x − 1)2 + y 2 = 1, x2 + (y − 1)2 = 1. Z x dxdy, ove K `e il dominio del primo quadrante interno alla cir(xi) K

conferenza di centro (0, 1) e raggio 1 ed esterno alla circonferenza di centro (0, 1/2) e raggio 1/2. 6. Calcolare i seguenti integrali: Z (i) x2 dxdy, ove A `e il semicerchio di centro (r, 0) e raggio r > 0, A

contenuto nel semispazio y > 0; Z (ii) y ex dxdy, ove B = {(x, y) ∈ R2 : Ď â‰¤ cos Ď‘}; ZB (iii) |y| dxdy, ove C ⊂ R2 `e la regione definita da 1 ≤ x2 +y 2 ≤ x+ 41 ; C

288


Z

1 dxdy, D = trapezio di vertici (1, 0), (3, 0), (1, 1), (3, 3); + y2 D Z x (v) dxdy, ove 2 2 E x +y (iv)

x2

E = {(x, y) ∈ R2 : y ≤ x ≤ r, x2 + y 2 ≥ r2 } (r > 0); Z

y dxdy, ove F `e il dominio del primo quadrante delimix F tato dalla circonferenza x2 + y 2 = 4. Z dxdy , ove G `e la regio(vii) 2 2 G 1+x +y ne delimitata dalla curva (lemniscata di Bernoulli) di equazione (x2 + y 2 )2 − (x2 − y 2 ) = 0. arctan

(vi)

7. Provare che la funzione f (x, y) = x2xy `e integrabile nella palla di +y 2 centro (0, 0) e raggio 1, e calcolarne l’integrale. 8. Sia E il sottoinsieme di R2 descritto, in coordinate polari, dalla diseguaglianza ρ ≤ α(ϑ), ϑ ∈ [0, 2π], ove α `e una funzione continua e non negativa su [0, 2π]. Si calcoli m2 (E). Che cosa succede quando α assume anche valori negativi? 9. Sia D = {(x, z) ∈ R2 : x ∈ [a, b], 0 ≤ z ≤ f (x)}, ove f ∈ C[a, b] e 0 ≤ a < b. Si calcoli il volume dei due solidi ottenuti ruotando D attorno all’asse z ed attorno all’asse x. 10. (Teorema di Pappo-Guldino) Si provi che in R3 il volume di un solido di rotazione `e uguale al prodotto dell’area della figura ruotante per la lunghezza della circonferenza descritta dal suo baricentro (esercizio 3.11.10). 11. Calcolare i seguenti integrali: Z p (i) x 1 − y 2 dxdydz, ove A `e il dominio compreso fra il cilindro A

x2 + y 2 = 1, il piano x + y + z = 8 e il piano z = 0; 289


(ii) m3 (B), ove B `e l’insieme delimitato dal paraboloide z = x2 + y 2 , dal cilindro x2 + y 2 = 1, e dal piano z = 2; Z (iii) y 2 z dxdydz, ove C = {(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 ≤ 1 ∧ 2z}; ZC π p (z − x2 + y 2 ) dxdydz, ove (iv) sin2 2 D p D = {(x, y, z) ∈ R3 : y ≥ 0, z ≥ 0, 1 − z ≥ x2 + y 2 }. 12. (Coordinate sferiche in RN ) Fissato N ≥ 3, si consideri l’applicazione G : [0, ∞[×[0, π]N −2 ×[−π, π] → RN data da G(ρ, ϑ1 , . . . , ϑN −2 , ϕ) = x, ove  1 x = ρ cos ϑ1     x2 = ρ sin ϑ1 cos ϑ2      x3 = ρ sin ϑ1 sin ϑ2 cos ϑ3 ...............................................................   xN −2 = ρ sin ϑ1 sin ϑ2 . . . sin ϑN −3 cos ϑN −2     xN −1 = ρ sin ϑ1 sin ϑ2 · · · · · sin ϑN −2 cos ϕ    N x = ρ sin ϑ1 sin ϑ2 · · · · · sin ϑN −2 sin ϕ. (i) Posto n =

1 ρ

G(ρ, ϑ1 , . . . , ϑN −2 , ϕ), si verifichi che |n|N = 1.

(ii) Si provi che |JG (ρ, ϑ1 , . . . , ϑN −2 , ϕ)| = = ρN −1 (sin ϑ1 )N −2 (sin ϑ2 )N −3 · . . . · (sin ϑN −3 )2 · (sin ϑN −2 ). (iii) Si determini una restrizione g di G che sia iniettiva, oltre che surgettiva su RN \ Σ, ove Σ `e un opportuno insieme di misura nulla. (iv) Si ricavi la formula def

ωN = mN ({x ∈ RN : |x|N = 1}) =

(N − 3)!! π [ N2 ] [ N2+3 ] 2 , N 2

ove [t] denota la parte intera del numero reale t e n!! `e il prodotto di tutti i naturali fra 1 e n che hanno la stessa parit`a di n (convenendo che 0!! = 1).

290


13. Sia f : [0, R] → R una funzione integrabile. Si provi che Z R Z f (r)rN −1 dr. f (|x|N ) dx = N ωN 0

BR

14. Si provi che per ogni x, z ∈ RN e per ogni t, τ > 0 vale la relazione seguente: Z |x−z|2 |x−y|2 |y−z|2 −N/2 −N/2 − 4t N − 4τ N −N/2 − 4(t+τN) (4πt) (4πτ ) e e dy = [4π(t + τ )] e . RN

[Traccia: utilizzare la sostituzione w = √ 11

+ τ1 t

3.13

x−y t

y−z τ

.]

Lo spazio L1

R Come sappiamo, la quantit`a D |f (x)| dx non `e una norma sull’insieme delle funzioni integrabili su un insieme misurabile D ⊆ RN , poich´e tale integrale pu`o essere nullo senza che la funzione integranda sia identicamente nulla in D. Per aggirare questa difficolt`a, utilizzeremo la relazione di equivalenza, gi`a introdotta nell’osservazione 3.10.3, f 'g

⇐⇒

f (x) = g(x) q.o. in D,

definita nello spazio MD di tutte le funzioni misurabili su D, a valori in R. A noi interesser`a l’insieme quoziente di MD rispetto a '. Notiamo che tale quoziente eredita da MD la struttura di spazio vettoriale e di algebra: la ` somma e il prodotto sono definiti da [f ] + [g] = [f + g] e [f ] · [g] = [f g]. E immediato verificare che queste definizioni sono ben poste. In particolare, diamo la seguente Definizione 3.13.1 Sia D un sottoinsieme misurabile di RN e sia L1 (D) lo spazio vettoriale delle funzioni sommabili su D: l’insieme quoziente L1 (D)/ ' si indica con L1 (D). Osserviamo che L1 (D) `e uno spazio vettoriale. I suoi elementi non sono funzioni, ma classi di equivalenza di funzioni q.o. coincidenti; tuttavia, come `e d’uso, continueremo a chiamarle funzioni, confondendo in effetti la classe [f ] con il suo rappresentante f . Si tenga presente per`o che tali “funzioni” sono definite soltanto quasi ovunque e non punto per punto. La motivazione per il passaggio da L1 (D) a L1 (D) `e fornita dal seguente fondamentale risultato: 291


Teorema 3.13.2 Sia D un sottoinsieme misurabile di RN . La quantit`a Z kf k1 = |f | dx, f ∈ L1 (D), D

`e invariante rispetto alla relazione ' e definisce una norma su L1 (D); inoltre (L1 (D), k · k1 ) `e uno spazio di Banach. Dimostrazione La quantit`a kf k1 dipende solo dalla classe [f ] e non dal rappresentante f , in virt` u dell’osservazione 3.8.7; le propriet`a che fanno di essa una norma sono pressocch´e ovvie. Proviamo che L1 (D) `e completo rispetto a questa norma: faremo uso del criterio di completezza espresso dal teorema 1.7.13. P Sia {[fn ]}n∈N una successione contenuta in L1 (D), tale che ∞ n=0 k[fn ]k1 < P∞ [f ] converge in norma k · k1 ad un ∞: faremo vedere che la serie n=0 n 1 elemento [f ] ∈ L (D). Scegliamo, per ogni n ∈ N, un elemento gn ∈ [fn ]: allora si ha ∞ Z X |gn | dx < ∞. D

n=0

P e ben definita e misurabile su Poniamo g(x) = ∞ n=0 |gn (x)|: la funzione g ` D; potrebbe valere sempre +∞, ma si vede facilmente che essa `e in realt`a una funzione sommabile e dunque q.o. finita in D. Infatti, per il teorema di B. Levi risulta Z X Z ∞ ∞ Z X |gn | dx < ∞. |gn | dx = g dx = D

Quindi la serie e pertanto

P∞

n=0

D n=0

n=0

D

gn (x) `e assolutamente convergente per quasi ogni x ∈ D ∃f (x) =

∞ X

gn (x) q.o. in D.

n=0

Completiamo la definizione di f ponendo f (x) = 0 nei punti x in cui la serie sopra scritta non converge: la funzione f cos`ı definita risulta allora misurabile su D. Essa `e inoltre sommabile, essendo, in virt` u del lemma di Fatou, Z Z X n ∞ Z X |f | dx ≤ lim inf gk dx ≤ |gk | dx < ∞; D

n→∞

D k=0

292

k=0

D


quindiPf definisce un elemento [f ] ∈ L1 (D). Proviamo che [f ] `e somma della 1 serie ∞ n=0 [fn ] in L (D): si ha infatti, per n → ∞,

Z

Z

X ∞ n ∞ n

X X X

gk dx ≤ gk dx = kfk k1 → 0, [fk ] =

f −

[f ] −

D

D

k=0

1

k=n+1

k=0

k=n+1

il che prova la tesi.

Osservazioni 3.13.3 (1) Da ora in poi confonderemo volutamente il generico elemento di L1 , cio`e la classe di equivalenza, con uno dei rappresentanti di tale classe, che `e una funzione sommabile. Questo modo di fare semplifica i discorsi e non provoca guai, quindi verr`a sistematicamente adottato nel seguito. L’unica differenza che ne risulta `e che le relazioni puntuali tra funzioni di L1 valgono solamente quasi ovunque, perch´e tali “funzioni” sono definite a meno di insiemi di misura nulla. (2) A conferma di quanto detto in (1), notiamo che se f `e una funzione continua e sommabile definita in RN , allora essa `e l’unica funzione continua appartenente alla classe [f ] ∈ L1 (RN ): infatti se g `e un’altra funzione continua e sommabile, non coincidente con f , allora mN ({x ∈ RN : g(x) 6= f (x)}) > 0, e quindi g non pu`o essere equivalente a f .

Spazi Lp La costruzione che ha permesso di definire lo spazio L1 si pu`o lievemente generalizzare per ottenere altri spazi di Banach: gli spazi Lp , ove p ≥ 1. Utilizzeremo nuovamente la relazione di equivalenza ' introdotta all’inizio del paragrafo. Definizione 3.13.4 Fissiamo p ∈ [1, ∞[ e un sottoinsieme misurabile D ⊆ RN . Sia Lp (D) lo spazio vettoriale delle funzioni misurabili tali che |f |p `e sommabile su D. L’insieme quoziente LP (D)/ ' si indica con Lp (D). La norma di Lp (D) `e data da Z 1/p p kf kp = |f | dx , D

293

f ∈ Lp (D);


naturalmente essa `e ben definita, cio`e non dipende dalla scelta del particolare rappresentante della classe f ∈ Lp (D). Il fatto che si tratti effettivamente di una norma segue dalle disuguaglianze di H¨older e di Minkowski, dimostrate nell’esercizio 1.4.6. Con questa norma, Lp (D) `e uno spazio di Banach: ci`o si ottiene con dimostrazione analoga a quella del teorema 3.13.2 (si veda l’esercizio 3.13.9). Di particolare importanza `e il caso p = 2, perch`e la norma di tale spazio `e indotta dal prodotto scalare Z ∀f, g ∈ L2 (D). hf, giL2 (D) = f g dx D

Dunque L2 (D) `e uno spazio di Hilbert. Infine esaminiamo il caso limite p = ∞, che ha notevole interesse. Introduciamo anzitutto lo spazio delle funzioni “essenzialmente limitate”. Definizione 3.13.5 Sia D un sottoinsieme misurabile di RN e sia f una funzione misurabile definita su D. Se A ⊆ D `e un insieme misurabile, i numeri (finiti o no) supessA f = inf{α ∈ R : f (x) ≤ α q.o. in A}, infessA f = sup{α ∈ R : f (x) ≥ α q.o. in A} si chiamano estremo superiore essenziale ed estremo inferiore essenziale di f in A (convenendo che inf ∅ = +∞ e sup ∅ = −∞). Definizione 3.13.6 Sia D un sottoinsieme misurabile di RN e sia f una funzione misurabile definita su D. Se risulta infessD f > −∞ e

supessD f < +∞,

diremo che f `e essenzialmente limitata in D e scriveremo f ∈ L∞ (D). Si vede subito che f ∈ L∞ (D) se e solo se f `e misurabile e supessD |f | < +∞. Esempi 3.13.7 (1) La funzione f (x) = 5IQ (x) + sin x verifica infessR f = −1.

supessR f = 1,

(2) Se f : RN → R `e continua, allora per ogni aperto A ⊆ RN si ha supessA f = sup f, A

294

infessA f = inf f. A


Osservazione 3.13.8 Per ogni funzione f misurabile su D si ha (esercizio 3.13.15) f (x) ≥ infessD f,

f (x) ≤ supessD f

q.o. in D.

Si verifica anche facilmente (esercizio 3.13.16) che L∞ (D) `e uno spazio vettoriale e un’algebra. Definizione 3.13.9 L’insieme quoziente L∞ (D)/ ' si indica con L∞ (D). Teorema 3.13.10 Sia D un sottoinsieme misurabile di RN . La quantit`a kf k∞ = supessD |f |,

f ∈ L∞ (D),

`e invariante rispetto alla relazione ' e definisce una norma su L∞ (D); inoltre L∞ (D) `e uno spazio di Banach. Dimostrazione Sia f ∈ L∞ (D); se g ' f `e facile verificare che supessD |f | = supessD |g|, quindi la quantit`a kf k∞ dipende solo dalla classe [f ] e non da f . Verifichiamo che k · k∞ `e una norma. Anzitutto, ovviamente, kf k∞ ≥ 0; se si ha kf k∞ = 0 allora per l’osservazione 3.13.8 si ha f (x) = 0 q.o. in D, cio`e f ' 0, ossia [f ] `e l’elemento neutro della somma in L∞ (D). Si ha poi kλf k∞ = |λ| · kf k∞ (facile verifica usando la definizione di estremo superiore essenziale). Infine, la subadditivit`a di k · k∞ segue dall’esercizio 3.13.16. Proviamo ora la completezza dello spazio normato (L∞ (D), k · k∞ ). Per maggior chiarezza, utilizziamo la notazione [f ] per indicare gli elementi di L∞ (D). Sia dunque {[fn ]}n∈N una successione di Cauchy in L∞ (D): ci`o significa che per ogni ε > 0 esiste ν ∈ N tale che k[fn ] − [fm ]k∞ < ε ∀n, m ≥ ν. Per ogni n ∈ N sia gn ∈ [fn ]; allora supessD |gn | = k[fn ]k∞ ,

supessD |gn − gm | = k[fn ] − [fm ]k∞ 295

∀n, m ∈ N.


Posto per n, m ∈ N An = {x ∈ D : |gn (x)| > supessD |gn |}, Anm = {x ∈ D : |gn (x) − gm (x)| > supessD |gn − gm |}, dall’osservazione 3.13.8 segue che mN (An ) = mN (Anm ) = 0 per ogni n, m ∈ N; dunque anche l’insieme " # " # [ [ B= An ∪ Anm n∈N

n,m∈N

ha misura nulla e si ha, per ogni ε > 0, |gn (x) − gm (x)| ≤ supessD |gn − gm | < ε

∀n, m ≥ ν,

∀x ∈ D \ B.

Pertanto {gn } `e una successione di L∞ (D \ B) che `e di Cauchy rispetto alla convergenza uniforme in D \ B. Dunque esiste una funzione g : D \ B → R tale che gn → g uniformemente in D \ B per n → ∞. Tale g `e misurabile su D \ B perch´e tali sono le gn ; se prolunghiamo g a tutto D ponendola uguale a 0 in B, otteniamo che g `e misurabile su D. Inoltre supessD |g| ≤ sup |g| = sup |g| < ∞, D

D\B

cosicch´e la classe [g] individuata da g `e un elemento di L∞ (D). Proviamo che [fn ] → [g] in L∞ (D): k[fn ] − [g]k∞ = supessD |gn − g| = sup |gn − g| → 0 per n → ∞. D\B

Teoremi di densit` a ` utile sapere se e quando `e possibile approssimare gli elementi di Lp (D), E 1 ≤ p ≤ ∞, rispetto alla norma di questi spazi, mediante funzioni che siano “migliori” in qualche senso. Come vedremo, vi sono svariati risultati di questo tipo. Il primo di questi riguarda le funzioni semplici e nulle fuori da un insieme di misura finita. Proposizione 3.13.11 Sia p ∈ [1, ∞[ e sia D un sottoinsieme misurabile di RN . Allora l’insieme {f ∈ S0 : f (x) = 0 ∀x ∈ Dc } `e denso in Lp (D). 296


Dimostrazione Sia f ∈ Lp (D). Utilizzando la proposizione 3.7.9 possiamo trovare una successione {ϕn }n∈N ⊂ S0 tale che lim ϕn (x) = f (x) q.o. in D,

n→∞

|ϕn (x)| ≤ |f (x)| q.o. in D

(si ricordi l’osservazione 3.13.3). Dato che |ϕn (x) − f (x)|p ≤ 2p |f (x)|p

q.o. in D,

il teorema di Lebesgue fornisce la tesi. Osservazione 3.13.12 Non possiamo aspettarci per il caso p = ∞ un risultato analogo a quello della proposizione precedente; tuttavia l’insieme S di tutte le funzioni semplici su RN `e denso in L∞ (RN ) in virt` u dell’osservazione 3.7.10. Fissato un qualsiasi aperto Ω ⊆ RN , consideriamo adesso lo spazio Lp (Ω), con 1 ≤ p < ∞: pressocch´e tutte le classi di funzioni regolari risultano dense in questo spazio. Proposizione 3.13.13 Se p ∈ [1, ∞[, lo spazio C 0 (Ω) ∩ Lp (Ω) `e denso in Lp (Ω). Dimostrazione Supponiamo dapprima Ω = RN . Poich´e, grazie alla proposizione precedente, S0 `e denso in Lp (RN ), baster`a dimostrare che per ogni f ∈ S0 vi `e una funzione continua g, con |g|p sommabile, arbitrariamente vicina ad essa; a questo scopo `e chiaramente sufficiente considerare il caso f = IE , con E sottoinsieme misurabile di RN di misura finita. Sia dunque ε > 0; per l’esercizio 3.4.1 esistono un aperto A ed un chiuso C tali che C ⊆ E ⊆ A e mN (A \ C) < ε; in particolare, mN (A) < mN (E) + ε < ∞. Poniamo d(x, Ac ) , x ∈ RN ; g(x) = d(x, Ac ) + d(x, C) si ha 0 ≤ g ≤ 1, g = 1 su C, g = 0 su Ac ed inoltre g `e continua. D’altra parte g ∈ Lp (RN ) perch´e Z Z p g dx = g p dx ≤ mN (A) < ∞. RN

A

La tesi nel caso Ω = RN segue allora dal fatto che Z Z p |IE − g| dx = |IE − g|p dx ≤ mN (A \ C) < ε. RN

A\C

297


Sia ora Ω ⊂ RN e sia f ∈ Lp (Ω). La funzione f , definita su RN ponendola uguale a f in Ω ed uguale a 0 fuori di Ω, appartiene a Lp (RN ) e si ha ovviamente Z Z p |f |p dx. |f | dx = RN

Per quanto gi`a provato, fissato ε > 0 esiste g ∈ C 0 (RN ) ∩ Lp (RN ) tale che Z |f − g|p dx < ε. RN

Ne segue che, posto g = g|Ω , risulta g ∈ C 0 (Ω) ∩ Lp (Ω) e Z Z p |f − g|p dx < ε. |f − g| dx ≤ RN

Consideriamo ora lo spazio C00 (Ω) delle funzioni continue il cui supporto, cio`e la chiusura dell’insieme {x ∈ RN : g(x) 6= 0}, `e un compatto contenuto in Ω. Proposizione 3.13.14 Se p ∈ [1, ∞[, lo spazio C00 (Ω) `e denso in Lp (Ω). Dimostrazione Basta provare, in virt` u della proposizione precedente, che le 0 funzioni di C0 (Ω) approssimano nella norma di Lp (Ω) quelle di C 0 (Ω)∩Lp (Ω). Sia {Kn }n∈N una successione crescente di compatti la cui unione sia Ω, e fissiamo f ∈ C 0 (Ω) ∩ Lp (Ω). Consideriamo le funzioni c ) d(x, Kn+1 ϕn (x) = , c d(x, Kn+1 ) + d(x, Kn )

x∈Ω:

allora si ha f ϕn ∈ C00 (Ω), f ϕn → f puntualmente in Ω, |f ϕn |p ≤ |f |p in Ω; ne segue, per il teorema di Lebesgue, f ϕn → f in Lp (Ω).

Convoluzioni Il “prodotto di convoluzione” fra due funzioni sommabili `e un utilissimo strumento dell’analisi con il quale `e possibile fornire teoremi di approssimazione, risolvere equazioni alle derivate parziali, e fare molte altre cose. Definizione 3.13.15 Siano f, g ∈ L1 (RN ). Si chiama convoluzione fra f e g la funzione f ? g definita da Z f ? g(x) = f (x − y)g(y) dy, x ∈ RN . RN

298


Non `e chiaro, a priori, che f ? g sia ben definita. Il risultato che segue, comunque, chiarisce la questione. Lemma 3.13.16 Siano f e g funzioni sommabili in RN . Allora l’integrale R f (x−y)g(y) dy ha senso ed `e finito per q.o. x ∈ RN ; pertanto la funzione RN f ? g `e ben definita e sommabile su RN , e si ha kf ? gk1 ≤ kf k1 kgk1 . Dimostrazione Osserviamo subito che y 7→ f (x − y) `e una funzione misurabile su RN : infatti, posto Eα = {f > α}, si ha {y ∈ RN : f (x − y) > α} = x − Eα , e quindi tale insieme `e misurabile per ogni α ∈ R. Di pi` u, dimostriamo che 2N la funzione (x, y) 7→ f (x − y) `e misurabile in R . Anzitutto, ci`o `e vero quando f = IE , con E ⊆ RN misurabile: infatti si ha IE (x − y) = IG (x, y), ove G = {(x, y) ∈ R2N : x − y ∈ E}; d’altronde possiamo scrivere G come l’immagine di R × E mediante l’applicazione lineare L, ove L(x, y) = (x, x − y)

∀(x, y) ∈ R2N ,

e siccome L `e (in particolare) un’applicazione affine, essa preserva la misurabilit`a. Pertanto, essendo R × E misurabile in R2N , tale `e anche G. Poi, per linearit`a, (x, y) 7→ f (x − y) `e misurabile quando f `e una funzione semplice. Nel caso generale, esiste una successione di funzioni semplici {ϕn }n∈N che converge puntualmente a f : quindi f (x − y) `e il limite puntuale delle funzioni misurabili ϕn (x − y) e dunque `e misurabile. A questo punto applichiamo il teorema di Tonelli alla funzione misurabile e Rnon negativa (x, y) 7→ |f (x − y)||g(y)|: si ottiene che la funzione x 7→ RN |f (x − y)||g(y)| dy `e integrabile su RN e che Z Z Z |f (x − y)||g(y)| dy dx = |g(y)||f (x − y)| dxdy = RN RN R2N Z Z Z Z = |g(y)| |f (x − y)| dx dy = |g(y)| |f (z)| dz dy = RN

RN

RN

= kf k1 kgk1 . 299

RN


R R Ne segue, intanto, che l’integrale RN RN |f (x − y)||g(y)| dy dx `e finito per q.o. x ∈ RN , e quindi f ? g `e ben definita e fornisce un numero reale per q.o. x ∈ RN . Inoltre, la funzione (x, y) 7→ f (x − y)g(y) `e sommabile su R2N ; ci`o significa, grazie alla stima precedente, che f ? g `e sommabile su RN e che

Z Z

dx ≤ kf k1 kgk1 . f (x − y)g(y) dy kf ? gk1 =

N

N R

R

` facile verificare, per cambiamento di variabili e per linearit`a, che E ∀f, g ∈ L1 (RN ),

f ? g = g ? f,

(f ? g) ? h = f ? (g ? h) (λf1 + µf2 ) ? g = λf1 ? g + µf2 ? g

∀f, g, h ∈ L1 (RN ), ∀f1 , f2 , g ∈ L1 (RN ),

∀λ, µ ∈ R.

La convoluzione ha le seguenti propriet`a regolarizzanti: Proposizione 3.13.17 Sia f ∈ L1 (RN ). Valgono i seguenti fatti: (i) se g ∈ Lp (RN ), 1 ≤ p ≤ ∞, allora f ? g ∈ Lp (RN ) e kf ? gkp ≤ kf k1 · kgkp ; (ii) se g ∈ L∞ (RN ), allora la funzione f ? g `e uniformemente continua su RN ; (iii) se g appartiene a C 1 (RN ) e g, Dg ∈ L∞ (RN ), allora f ? g ∈ C 1 (RN ) e Di (f ? g)(x) = f ? (Di g)(x) ∀x ∈ RN ,

i = 1, . . . , n;

(iv) se g ∈ L1 (RN ), detti Kf , Kg e Kf ?g i supporti di f , g e f ? g, vale l’inclusione Kf ?g ⊆ Kf + Kg . Dimostrazione (i) Se p = 1 la tesi segue dal lemma 3.13.16. Se invece 1 < p < ∞, detto q l’esponente coniugato di p (ossia p1 + 1q = 1) si ha, in virt` u della disuguaglianza di H¨older e del teorema di Tonelli, p Z Z Z p 1/q 1/p |f ? g| dx ≤ |f (x − y)| |f (x − y)| |g(y)| dy dx ≤ RN

RN

Z

RN

p/q Z

Z

p

|f (x − y)| dy |f (x − y)| · |g(y)| dy dx = RN Z Z p/q 1+p/q ≤ kf k1 · |f (x − y)| dx |g(y)|p dy = kf k1 · kgkpp = RN

=

kf kp1

RN

·

RN kgkpp ,

RN

300


e ci`o prova la tesi. Infine, quando p = ∞ si ha banalmente Z |f ? g(x)| ≤ |f (x − y)| dy · kgk∞ = kf k1 · kgk∞

∀x ∈ RN ,

RN

da cui la maggiorazione delle norme. (ii) Se x, x0 ∈ RN risulta Z 0 |f ? g(x) − f ? g(x )| ≤ |f (x − y) − f (x0 − y)| · |g(y)| dy ≤ N ZR ≤ |f (z) − f (x0 − x + z)| dz · kgk∞ RN

da cui, grazie alla continuit`a delle traslazioni in L1 (esercizio 3.13.10), si ottiene |f ? g(x) − f ? g(x0 )| < ε per |x − x0 |N < δε . (iii) Supponiamo dapprima f ∈ C00 (RN ) e fissiamo x ∈ RN . Se 0 < |t| ≤ 1, dato che il prodotto di convoluzione `e commutativo, possiamo scrivere, detto K il supporto di f ,

f ? g(x + tei ) − f ? g(x)

− f ? Di g(x)

=

t

Z

i

g(x + te − y) − g(x − y) =

− Di g(x − y) f (y) dy

≤ t K

Z Z t

1 d

|f (y)| dy ≤

g(x − y + σ e ) dσ − D g(x − y) ≤ i i

t dσ 0 K

Z Z t

1

≤ |Di g(x − y + σ ei ) − Di g(x − y)|dσ

|f (y)| dy.

t K 0 Poich´e Di g `e una funzione uniformemente continua sul compatto H = x − K + B(0, 1), esiste δ ∈]0, 1[ per cui |t| ≤ δ =⇒ |Di g(x − y + σt ei ) − Di g(x − y)| < ε ∀y ∈ K, ∀σ ∈ [−1, 1], da cui, se |t| ≤ δ,

Z

f ? g(x + tei ) − f ? g(x)

− f ? Di g(x) ≤ ε |f (y)| dy ≤ εkf k1 .

t K 301


Ci`o prova che Di (f ? g)(x) = f ? Di g(x)

∀x ∈ RN , ∀f ∈ C00 (RN ).

Sia ora f sommabile su RN . Esiste una successione {fn } ⊂ C00 (RN ) tale che fn → f in L1 (RN ). Per ogni n ∈ N risulta, per quanto dimostrato, Di (fn ? g) = fn ? Di g. Dalla limitatezza di g e Di g e dalle relazioni kfn ?g −f ?gk∞ ≤ kfn −f k1 kgk∞ , kfn ?Di g −f ?Di gk∞ ≤ kfn −f k1 kDi gk∞ segue che fn ? g → f ? g uniformemente in RN , Di (fn ? g) → f ? Di g uniformemente in RN ; pertanto, grazie al teorema 1.2.4, f ? g ha la derivata parziale i-sima e si ha Di (f ? g) = f ? Di g. Da (ii) segue infine che f ? g ∈ C 1 (RN ). (iv) Siano Kf , Kg e Kf ?g i supporti di f , di g e di f ? g, definiamo H = Kf + Kg , ove Kf + Kg = {z ∈ RN : z = x + y, x ∈ Kf , y ∈ Kg }, e proviamo che Kf ?g `e contenuto in H. Infatti, sia x ∈ / H: allora, essendo H chiuso, esiste una palla B, di centro x e raggio positivo, disgiunta da H e quindi da Kf ?g , il che implica x0 − y ∈ / Kf per ogni y ∈ Kg e per ogni 0 0 x ∈ B; dunquef (x − y)g(y) = 0 per ogni y ∈ RN e per ogni x0 ∈ B. Pertanto f ? g(x0 ) = 0 per ogni x0 ∈ B, ed in particolare x ∈ / Kf ?g . Osserviamo che, come conseguenza della proposizione precedente, la convoluzione `e di classe C ∞ se almeno uno dei suoi “fattori” `e di classe C ∞ . Un importante complemento alla proposizione precedente `e dato dalla seguente disuguaglianza. Proposizione 3.13.18 (disuguaglianza di Young) Siano f ∈ Lp (RN ) e g ∈ Lq (RN ), con p, q ∈ [1, ∞] tali che p1 + 1q ≥ 1. Se 1r = p1 + 1q − 1, allora f ? g ∈ Lr (RN ) e kf ? gkr ≤ kf kp kgkq . pq Si noti che risulta r = q+p−pq , e da qui `e facile dedurre che r ≥ p e r ≥ q. Osserviamo che la tesi include il caso in cui p1 + 1q = 1 e di conseguenza r = ∞, nonch´e il caso in cui p = ∞, e dunque q = 1 e r = ∞, oppure q = ∞,

302


e dunque p = 1 e r = ∞. Dimostrazione Supponiamo, per cominciare, p1 + 1q > 1 e quindi r ∈]1, ∞[. Denotiamo con q 0 l’esponente coniugato di q e poniamo s = p 1 − 1q : si vede subito allora che s ∈]0, 1[, sq 0 = p e (1 − s)r = p. Possiamo perci`o scrivere per q.o. x ∈ RN , utilizzando la disuguaglianza di H¨older, Z q q 1−s+s |f ? g(x)| ≤ |f (x − y)| g(y)| dy ≤ RN

Z ≤

(1−s)q

|f (x − y)|

q

Z

|g(y)| dy

RN

=

sq 0

|f (x − y)|

q0 q

dy

=

RN

(1−s)q |f | ? |g|q (x) · kf ksq p .

Notiamo che l’integrale che definisce la convoluzione |f |(1−s)q ? |g|q `e q.o. r q 1 N (1−s)q N finito: infatti |g| ∈ L (R ) mentre |f | ∈ L q (R ), e dunque per la r (1−s)q q q proposizione 3.13.17 (i) si ha |f | ? |g| ∈ L (RN ). q Consideriamo allora |f ? g(x)| alla potenza qr , integriamo su RN ed eleviamo all’esponente qr . Si ottiene kf ? gkqr = |f ? g|q r ≤ |f |(1−s)q ? |g|q r · kf ksq p ≤ q q (1−s)q ≤ |f |(1−s)q k rq · |g|q 1 · kf ksq · kgkqq · kf ksq p = kf kp p , ed infine kf ? gkr ≤ kf kp · kgkq . 1 p

1 q

Nel caso + = 1 e r = +∞, la tesi `e immediata conseguenza della disuguaglianza di H¨older: p1 Z p |f (x − y)| dy kgkq = kf kp kgkq per q.o. x ∈ RN . |f ? g(x)| ≤ RN

Nel caso p = r = 1, q = +∞, oppure p = +∞ e q = r = 1, la tesi segue dalla proposizione 3.13.17 (i). Le convoluzioni permettono di “regolarizzare” in modo standard tutte le funzioni sommabili: in altre parole, tramite le convoluzioni si fornisce un metodo per costruire approssimazioni di classe C ∞ di una funzione sommabile qualunque. A questo scopo, consideriamo una funzione ϕ ∈ C ∞ (RN ) tale che Z ϕ ≥ 0, ϕ dx = 1, ϕ(x) = 0 per |x|N ≥ 1. RN

303


Una siffatta funzione `e ad esempio ϕ(x) = cN f (|x|2N − 1), ove ( e1/t se t < 0 f (t) = 0 se t ≥ 0, e cN `e una costante scelta in modo che l’integrale di ϕ valga proprio 1. Ci`o premesso, si ha: Definizione 3.13.19 Sia Ω un aperto di RN , sia u ∈ L1 (Ω) e pensiamo u prolungata a tutto RN ponendola uguale a 0 su Ωc . Per ogni ε > 0 la funzione regolarizzata di u di parametro ε `e Z Z x−z −N dz, x ∈ RN . u(z) ϕ u(x − εy)ϕ(y) dy = ε uε (x) = ε RN RN Dalla proposizione 3.13.17 segue che uε ∈ C ∞ (RN ) per ogni ε > 0. Inoltre, se u ha supporto compatto in Ω allora per ε sufficientemente piccolo lo stesso vale per uε : infatti, basta osservare che il supporto della funzione `e contenuto nella palla B(x, ε); quindi, detto K il supporto z 7→ ϕ x−z ε di u, per ε < d(K, Ωc ) il supporto di uε `e a sua volta, per la proposizione 3.13.17, un compatto di Ω: in definitiva, posto C0∞ (Ω) = C ∞ (Ω) ∩ C00 (Ω), risulta uε ∈ C0∞ (Ω). La funzione regolarizzata ha buonissime propriet`a di convergenza, come mostra la seguente Proposizione 3.13.20 Sia Ω un aperto di RN e sia u : Ω → R una funzione misurabile che pensiamo prolungata a 0 fuori di Ω. Valgono i fatti seguenti: (i) se u ∈ Lp (Ω), 1 ≤ p < ∞, allora kuε kp ≤ kukp per ogni ε > 0 e uε → u in Lp (Ω) per ε → 0; (ii) se u ∈ C00 (Ω), allora uε ∈ C0∞ (Ω) per ogni ε sufficientemente piccolo e uε → u uniformemente in Ω. Dimostrazione Proviamo dapprima (ii). Sappiamo cheR in questo caso si ha uε ∈ C0∞ (Ω) per ε abbastanza piccolo. Inoltre, poich´e RN ϕ dx = 1, si ha

Z

|uε (x) − u(x)| =

[u(x − εy) − u(x)]ϕ(y) dy

≤ N ZR ≤ |u(x − εy) − u(x)|ϕ(y) dy, RN

304


e dall’uniforme continuit`a di u si deduce, per ogni σ > 0, |uε (x) − u(x)| < σ

∀x ∈ Ω

pur di prendere ε sufficientemente piccolo. Ci`o prova che uε → u uniformemente in Ω. Proviamo (i). Cominciamo col dimostrare la relazione Z 1/p p |uε (x)| ≤ |u(x − εy)| ϕ(y) dy ∀x ∈ Ω. RN

Ci`o `e ovvio se p = 1; se invece p > 1 dalla disuguaglianza di H¨older si ha, detto q l’esponente coniugato di p: Z |uε (x)| ≤ |u(x − εy)|ϕ(y)1/p ϕ(y)1/q dy ≤ RN

Z

p

1/q

1/p Z

|u(x − εy)| ϕ(y) dy

ϕ(y) dy

Z

p

|u(x − εy)| ϕ(y) dy

=

=

RN

RN

1/p ∀x ∈ Ω,

RN

e la relazione sopra scritta `e provata. Da essa, elevando alla potenza p-sima e integrando su Ω entrambi i membri, si ottiene Z Z Z p |uε (x)| dx ≤ |u(x − εy)|p ϕ(y) dydx = N N N R Z ZR ZR p |u(z)|p dz. |u(x − εy)| dx ϕ(y) dy = ≤ RN

RN

RN

Ci`o premesso, sia u ∈ Lp (Ω). Notiamo che, per la proposizione 3.13.14, dato σ > 0 esiste una funzione v ∈ C00 (Ω) tale che kv − ukp < σ. Denotiamo con K il supporto di v, che `e un compatto di Ω. Per la (ii) gi`a provata, la regolarizzata vε di v verifica, per ε sufficientemente piccolo, kvε − vkp < σ. Usando la linearit`a della convoluzione e la parte (i) si deduce, per ε piccolo, kuε − ukp ≤ kuε − vε kp + kvε − vkp + kv − ukp = = k(u − v)ε kp + kvε − vkp + kv − ukp ≤ ≤ 2kv − ukp + kvε − vkp < 3σ e ci`o prova che uε → u in Lp (Ω). 305


Corollario 3.13.21 Sia Ω ⊆ RN un aperto e sia p ∈ [1, ∞[. Allora lo spazio C0∞ (Ω) `e denso in Lp (Ω). Dimostrazione Sia u ∈ Lp (Ω). Dato σ > 0, esiste v ∈ C00 (Ω) tale che ku − vkp < σ. Detto K il supporto di v, per ε < d(K, Ωc ) la regolarizzata vε di v appartiene a C00 (Ω) e converge a v uniformemente in Ω per ε → 0; in particolare i supporti delle vε , per ε < εσ , sono tutti contenuti in un fissato compatto K 0 ⊂ Ω. Dunque per ε sufficientemente piccolo si ha ku − vε kp ≤ ku − vkp + kv − vε kp < σ + kv − vε k∞ · mN (K 0 )1/p < 2σ. Ci`o prova la tesi.

Partizione dell’unit` a Uno strumento utilissimo in svariate situazioni `e la cosiddetta partizione dell’unit`a, che consiste nel costruire una famiglia di funzioni di classe C ∞ , i supporti delle quali siano contenuti in opportuni aperti, e la cui somma sia identicamente uguale a 1. Ci`o permette di semplificare lo studio di vari fenomeni “localizzandoli” opportunamente. Proposizione 3.13.22 Sia {Bh }h∈N una successione di palle aperte di RN , le quali costituiscano un ricoprimento di RN , e siano tali che ogni compatto K ⊂ RN ne intersechi solo un numero finito. Allora esiste una successione di funzioni {ϕh }h∈N ⊂ C0∞ (RN ), tali che: (i) per ogni h ∈ N il supporto di ϕh `e contenuto in Bh , P N (ii) risulta ∞ h=0 ϕh (x) = 1 per ogni x ∈ R . La successione {ϕh }h∈N `e detta partizione dell’unit`a associata al ricoprimento {Bh }h∈N . Dimostrazione Poniamo anzitutto Bh = B(xh , rh ) ed osserviamo che, eliminando eventualmente qualche palla Bh , possiamo supporre che nessuna palla sia totalmente inclusa nell’unione di altre, ossia che [ Bh \ Bk 6= ∅ ∀h ∈ N. k6=h

306


Andiamo adesso a costruire un restringimento del ricoprimento {Bh }h∈N , ossia un nuovo ricoprimento {Bh0 }h∈N di RN tale che Bh0 ⊂ Bh0 ⊂ Bh

∀h ∈ N.

Questo si pu`o fare induttivamente: vi `e un insieme finito I1 di indici h 6= 1 tale che le palle Bh con h ∈ I1 intersecano B1 ; quindi, indicando con A1 l’unione di tali palle, i due compatti ∂(B1 \ A1 ) e ∂B1 hanno distanza δ1 ∈ ]0, r1 [ . Ne segue che la palla B10 = B(x1 , r1 − δ21 ) `e non vuota e la famiglia {B10 , Bh : h > 1} ricopre ancora RN . Poi, una volta costruite le Bh0 per 1 ≤ h < k, vi `e un insieme finito Ik di indici h 6= k tale che le palle del 0 ricoprimento {B10 , ..., Bk−1 , Bh : h > k} con h ∈ Ik intersecano Bk ; quindi, indicando con Ak l’unione di tali palle, i due compatti ∂(Bk \ Ak ) e ∂Bk hanno distanza positiva δk ∈]0, rk [ . Perci`o, la palla Bk0 = B(xk , rk − δ2k ) `e non vuota e la famiglia {B10 , ..., Bk0 , Bh : h > k} `e ancora un ricoprimento di RN . Iterando questo procedimento, si ottiene che la famiglia {Bk0 }k∈N `e il restringimento desiderato. Fatto ci`o, consideriamo la funzione g : R → R definita da 2 ( se |t| < 1, exp t2t−1 g(t) = 0 se |t| ≥ 1. ed osserviamo che g ∈ C0∞ (R). Posto Bh0 = B(xh , rh0 ), definiamo |x − xh |2N , x ∈ RN , h ∈ N. βh (x) = g (rh0 )2 Allora si ha βh ∈ C ∞ (RN ), 0 ≤ βh ≤ 1 e βh = 0P per |x − xh |N ≥ rh0 , cosicch´e il supporto di βh `e contenuto in Bh . La serie ∞ k=0 βk (x) converge in ogni N punto x ∈ R con somma strettamente positiva, poich´e per ogni x ∈ RN vi `e solo un numero finito di addendi non nulli dei quali almeno uno positivo (dato che vi `e almeno un indice k tale che x ∈ Bk0 ). Quindi le funzioni βh (x) αh (x) = P∞ , k=0 βk (x)

x ∈ RN ,

verificano la tesi. Pi` u generalmente si pu`o costruire una partizione dell’unit`a rispetto a un ricoprimento di un fissato aperto Ω ⊆ RN . Si ha infatti: 307


Proposizione 3.13.23 Sia Ω un aperto di RN e sia {Uh }h∈N una successione di aperti contenuti in Ω, i quali costituiscano un ricoprimento di Ω, e siano tali che ogni compatto K ⊂ Ω ne intersechi solo un numero finito. Allora esiste una successione di funzioni {ϕh }h∈N ⊂ C0∞ (Ω), tali che: (i) per ogni h ∈ N il supporto di ϕh `e contenuto in Uh , P (ii) risulta ∞ h=0 ϕh (x) = 1 per ogni x ∈ Ω. Dimostrazione Iniziamo con l’osservare che se A `e aperto, C `e chiuso e C ⊂ A ⊂ A ⊂ Ω, allora esiste una funzione g ∈ C0∞ (Ω) tale che 0 ≤ g ≤ 1, g = 1 su C e g = 0 su Ω \ A. Infatti, poich´e δ = d(C, ∂A) > 0, possiamo scegliere due aperti B1 e A1 tali che C ⊂ B1 ⊂ B1 ⊂ A1 ⊂ A1 ⊂ A: basta definire B1 = {x ∈ Ω : d(x, C) < δ/3}, Sia h(x) =

A1 = {x ∈ Ω : d(x, C) < 2δ/3}.

d(x, Ac1 ) , d(x, B1 ) + d(x, Ac1 )

x ∈ RN :

la funzione h `e continua, verifica 0 ≤ h ≤ 1 e il suo supporto coincide con A1 . Consideriamo ora la regolarizzata hε di h (definizione 3.13.19): la funzione hε appartiene a C0∞ (RN ) e, per la proposizione 3.13.20, il supporto di hε `e contenuto in A se ε `e sufficientemente piccolo. Inoltre, `e immediato verificare che per ε sufficientemente piccolo si ha anche hε = 1 su C. Posto allora g = hε , si vede subito che la funzione g verifica quanto richiesto. Ci`o premesso, si pu`o estrarre dal ricoprimento {Uh } un restringimento {Uh0 }, in modo simile a quanto fatto nella dimostrazione della proposizione preceS dente: con notazioni analoghe, posto A1 = h∈I1 Uh , i due compatti ∂(B1 \ A1 ) e ∂B1 hanno distanza δ1 > 0; posto U10 = {x ∈ U1 : d(x, ∂U1 ) > δ1 /2}, 0 0 0 la famiglia {U S1 , Uh : h > 1} ricopre ancora Ω. Poi, costruiti U1 , . . . Uk−1 e posto Ak = h∈Ik Uh , i due compatti ∂(Bk \ Ak ) e ∂Bk hanno distanza positiva δk e quindi, definendo Uk0 = {x ∈ Uk : d(x, ∂Uk ) > δk /2}, la famiglia {U10 , . . . , Uk0 , Uh : h > k} ricopre ancora Ω. Iterando, la famiglia {Uk0 }k∈N `e il restringimento desiderato. Per ogni h ∈ N sia allora gh una funzione appartenente a S C0∞ (Ω), con sup0 0 porto P∞ contenuto in Uh , tale che 0 ≤ gh ≤ 1 e gh = 1 su Uh \ k6=h Uk . La serie e strettamente positiva. Pertanto, k=0 gk (x) converge in ω e la sua somma ` le funzioni gh (x) , x∈Ω ϕh (x) = P∞ k=0 gk (x) 308


verificano la tesi.

Esercizi 3.13 1. Si provi che ogni aperto di RN `e l’unione di una successione crescente di compatti. 1 2. Sia D un sottoinsieme misurabile di RN e siano fn , f funzioni R di L (D) tali R che fn (x) → f (x) q.o. in1 D. Si provi che se, inoltre, D |fn | dx → |f | dx, allora fn → f in L (D), e che la tesi `e in generale falsa senza D quest’ultima ipotesi. [Traccia: si applichi il lemma di Fatou alla successione {gn }, ove gn |f | + |fn | − |f − fn |.]

3. Sia D un sottoinsieme misurabile di RN e sia f ∈ L1 (D). Si provi che per R ogni ε > 0 esiste un insieme misurabile A ⊆ D tale che mN (A) < ∞ e D\A |f | dx < ε. 4. Provare che le funzioni fn definite da sin x √ , fn (x) = x/n n(e − 1) x

x > 0,

appartengono a L1 (0, ∞). Si dica se esiste finito il limite Z ∞ lim fn dx. n→∞

0

5. Poniamo per ogni n ∈ N+

1 fn (x) = , nx

x > 0,

ove [y] indica la parte intera di y. (i) Si verifichi che {fn } converge puntualmente a 0 in ]0, ∞[. (ii) Si dica se {fn } converge a 0 in L1 (0, ∞). 6. Se {fn } converge a f in L1 (D), si provi che esiste una sottosuccessione {fnk }k∈N ⊆ {fn }n∈N che converge q.o. in D a f in modo dominato, cio`e verifica, per un’opportuna g ∈ L1 (D), lim fnk (x) = f (x),

k→∞

sup |fnk (x)| ≤ g(x) k∈N

309

per q.o. x ∈ D.


7. Siano p, q > 1 con p1 + 1q = 1, e sia K(x, y) una funzione misurabile a supporto compatto. Si provi che per ogni funzione ψ ∈ Lq (RN ) risulta

Z

Z Z

K(x, y) dy ψ(x) dx

≤ kK(·, y)kp dy · kψkq ;

RN

RN

RN

R

p−2 R scegliendo (quando ha senso) ψ(x) = RN K(x, y) dy · RN K(x, y) dy, si deduca che

p 1 Z Z Z Z p1 p

p

K(x, y) dy

dx ≤ |K(x, y)| dx dy.

RN

RN

RN

RN

8. Esibire un esempio di successione {fn } che converga in L1 (a, b), ma tale che per ogni x ∈ [a, b] la successione {fn (x)} non abbia limite. 9. Sia p ∈]1, ∞[ e sia D un sottoinsieme misurabile di RN . Si dimostri che Lp (D) `e uno spazio di Banach. [Traccia: scimmiottare la dimostrazione del teorema 3.13.2.] 10. (Continuit`a in Lp delle traslazioni) Sia f ∈ Lp (RN ), 1 ≤ p < ∞. Posto, per h ∈ RN , fh (x) = f (x + h), si provi che: (i) fh ∈ Lp (RN ) e kfh kp = kf kp per ogni h ∈ RN ; (ii) lim kfh − f kp = 0. h→0

[Traccia: utilizzare la densit`a di S0 e di C00 (RN ) in Lp (RN ).] 11. (Continuit`a in Lp delle omotetie) Sia f ∈ Lp (RN ), 1 ≤ p < ∞. Posto, per λ ∈ R \ {0}, Fλ (x) = f (λx), si provi che: (i) Fλ ∈ Lp (RN ) e kFλ kp =

1 kf kp |λ|N

per ogni λ ∈ R \ {0};

(ii) lim kFλ − f kp = 0. λ→1

12. Determinare per quali valori di α ∈ R esiste finito il limite Z 2π x lim xα n2 1 − cos dx, n→∞ 0 n e calcolarlo. 310


13. Sia g ∈ C 0 (R) con lim g(x) = 0. Provare che per ogni f ∈ L1 (R) si |x|→∞

ha

1 lim n→∞ n

Z g(x)f

x

R

n

dx = 0.

14. Si provi che se f ∈ L∞ (D) allora esiste un insieme misurabile A ⊆ D tale che mN (D \ A) = 0 e supessD |f | = supA |f |. 15. Sia D ⊆ RN misurabile e sia f una funzione misurabile su D. Provare che per ogni A ⊆ D misurabile si ha f (x) ≥ infessA f

e f (x) ≤ supessA f

q.o. in A.

16. Si provi che se f, g ∈ L∞ (D) allora f + g, f g ∈ L∞ (D) e supessD |f + g| ≤ supessD |f | + supessD |g|, supessD |f g| ≤ supessD |f | · supessD |g|. 17. Sia {fn } ⊂ L∞ (D) una successione convergente puntualmente in D ad ` vero che f ∈ L∞ (D)? una funzione f . E 18. (Lemma di Riemann-Lebesgue) Se f ∈ L1 (R), si provi che Z Z lim f (x) cos tx dx = lim f (x) sin tx dx = 0. t→∞

t→∞

R

R

19. Si provi che l’insieme delle funzioni costanti a tratti `e denso in Lp (R). [Traccia: si osservi che basta approssimare le funzioni di C00 (R), e che una fissata f ∈ C00 (R), nulla fuori di [−M, M ], `e integrabile secondo Riemann su [−M, M ].] 20. Sia E un sottoinsieme misurabile di R con m1 (E) < ∞. Provare che Z m1 (E) 1 dx = √ . 3 E 2 − sin nx [Traccia: se E `e un intervallo, l’integrale si calcola esplicitamente e, usando la periodicit`a, si ottiene il risultato passando al limite; si approssimi poi IE , utilizzando l’esercizio precedente, con funzioni costanti a tratti.] 311


21. Esibire un esempio di funzioni f, g ∈ L1 (RN ) con supporti Kf e Kg tali che Kf + Kg non sia chiuso. 22. Verificare che (f ? g) ? h = f ? (g ? h) per ogni f, g, h ∈ L1 (RN ). 23. Calcolare esplicitamente la funzione I[a,b] ? I[c,d] , ove [a, b] e [c, d] sono generici intervalli chiusi di R. 2

24. Calcolare esplicitamente la funzione f ∗ g(x), quando f (x) = e−a|x|N e 2 g(x) = e−b|x|N , con a, b > 0.

3.14

Serie di Fourier

Studieremo il comportamento di serie trigonometriche della forma ∞

a0 X + (an cos nt + bn sin nt), 2 n=1

t ∈ R,

ove i coefficienti an , bn sono numeri reali o complessi. Fra le tante motivazioni che conducono a questo studio ne citiamo due: una prettamente matematica ed una fisica. La motivazione matematica `e semplice: ogni serie di potenze complesse ∞ X

an z n ,

z ∈ C,

n=0

si riduce ad una serie trigonometrica scrivendo la variabile z nella forma esponenziale z = ρeiϑ : ∞ X n=0

an z n =

∞ X n=0

an ρn einϑ =

∞ X

(an ρn cos nϑ + i an ρn sin nϑ),

n=0

e in effetti la somma di alcune serie trigonometriche pu`o essere calcolata proprio riconducendola, mediante questo artificio, alla somma di serie di potenze note (esercizio 3.14.3); inversamente, il comportamento di alcune serie di potenze sul bordo del loro cerchio di convergenza pu`o essere determinato per mezzo delle propriet`a di convergenza delle serie trigonometriche. La motivazione fisica proviene dallo studio di fenomeni di tipo oscillatorio e 312


vibratorio. Ad esempio, in acustica i suoni “puri”, quali il suono del diapason, sono il risultato di un’oscillazione armonica elementare della forma a sin(ωt + ϕ), dove a `e l’ ampiezza, ω `e la frequenza e ϕ `e la fase. I suoni emessi dagli strumenti musicali sono invece il risultato della sovrapposizione di diversi tipi di onde sonore: per esempio, la corda di una chitarra, oscillando, produce suoni a diverse frequenze, teoricamente infinite, tutte multiple di una stessa frequenza fondamentale ω propria della corda, che dipende dalla sua lunghezza e dalla tensione. Il suono della corda `e perci`o descritto da una somma di funzioni periodiche dello stesso periodo T = ω1 , del tipo an cos

2πnt T

oppure bn sin

2πnt . T

Siamo quindi ricondotti allo studio di serie trigonometriche della forma sopra descritta. Iniziamo la nostra analisi con alcune osservazioni preliminari. • (Periodicit`a) La somma di una serie trigonometrica convergente `e una funzione definita su R, a valori reali o complessi, periodica di un certo periodo T ; noi supporremo sempre T = 2π. D’altra parte, ogni funzione definita su [−π, π[, oppure su [a, a + 2π[ con a fissato numero reale, pu`o essere prolungata a R in modo 2π-periodico. Quindi avr`a senso considerare possibili approssimazioni trigonometriche di una arbitraria funzione definita solo su [−π, π[. Se il periodo T `e diverso da 2π, si avranno serie trigonometriche della forma ∞ 2πnx 2πnx a0 X + an cos + bn sin , 2 T T n=1

x ∈ R.

Il passaggio dall’uno all’altro caso si fa con l’omotetia x 7→ trasforma funzioni T -periodiche in funzioni 2π-periodiche.

T x, 2π

che

• (Notazione complessa) Un modo equivalente di scrivere le serie trigonometriche si ottiene facendo uso della funzione esponenziale complessa: poich´e eint + e−int eint − e−int cos nt = , sin nt = , 2 2i 313


si ha ∞ ∞ X a0 X + (an cos nt + bn sin nt) = c0 + cn eint + c−n e−int , 2 n=1 n=1

ove c0 =

a0 ; 2

cn =

an − ibn , 2

c−n =

an + ibn 2

∀n ∈ N+ ,

e, viceversa, a0 = 2c0 ;

an = cn + c−n ,

bn = i(cn − c−n ) ∀n ∈ N+ .

Scriveremo, pi` u concisamente, X

ck eikt

in luogo di

∞ X

cn eint + c−n e−int .

n=1

k∈Z

L’uso delle esponenziali complesse coinvolge coefficienti ck complessi anche se i coefficienti originali an e bn sono reali; naturalmente in quest’ultimo caso la somma della serie `e reale. D’altra parte, la notazione complessa rende del tutto naturale lo studio di serie trigonometriche a coefficienti complessi. Per queste ragioni, nell’ambito della teoria delle serie trigonometriche le funzioni che considereremo saranno di regola a valori complessi. ` facile constatare che risulta (esercizio 1.3.2) • (Ortogonalit`a) E  Z π  2π se n = m = 0 π se n = m > 0 cos nt cos mt dt =  −π 0 se n 6= m, Z π π se n = m > 0 sin nt sin mt dt = 0 se n 6= m oppure n = m = 0, −π Z π cos nt sin mt dt = 0 ∀m, n ∈ N; −π

Similmente si ha (esercizio 1.3.3) Z π 2π se k = h ikt −iht e e dt = 0 se k 6= h. −π 314


Ci`o significa che la famiglia {eikt }k∈Z `e costituita da funzioni mutuamente ortogonali rispetto al prodotto scalare complesso di L2 (π, π; C) Z π hf, gi2 = f (t)g(t) dt, f, g ∈ L2 ([−π, π], C), −π

mentre il sistema trigonometrico {cos nt, sin nt}n∈N `e costituito da funzioni mutuamente ortogonali sia rispetto al prodotto scalare precedente, sia rispetto al prodotto scalare reale di L2 (−π, π; R) Z π hf, gi2 = f (t)g(t) dt, f, g ∈ L2 ([−π, π], R). −π

Convergenza delle serie trigonometriche Sotto quali ipotesi una serie trigonometrica `e convergente? La risposta naturalmente dipende da quale tipo di convergenza si cerca. Una semplice condizione sufficiente per la convergenza uniforme `e la seguente: Proposizione }n∈N e {bn }n∈N+ successioni reali o complesPn∞ P∞3.14.1 Siano {a se. Se ha n=1 |an | < ∞ e n=1 |bn | < ∞, allora la serie trigonometrica Psi ∞ a0 + n=1 (an cos nt + bn sin nt) converge totalmente ed uniformemente in R; 2 in particolare la sua somma `e una funzione continua 2π-periodica. Dimostrazione La tesi segue immediatamente osservando che per ogni t ∈ R si ha ∞

|a0 | X |a0 | X + |an cos nt + bn sin nt| ≤ + (|an | + |bn |) < ∞. 2 2 n=1 n=1 Vi `e anche una condizione pi` u debole che `e necessaria per la convergenza uniforme e che mostra lo stretto legame che deve intercorrere fra la somma della serie e i suoi coefficienti. Proposizione 3.14.2 Supponiamo che la serie ∞

a0 X + (an cos nt + bn sin nt) 2 n=1 sia uniformemente convergente in R, e sia f la sua somma. Allora risulta Z Z 1 π 1 π an = f (t) cos nt dt ∀n ∈ N, bn = f (t) sin nt dt ∀n ∈ N+ , π −π π −π 315


o equivalentemente 1 ck = 2π

Z

π

f (t) e−ikt dt

∀k ∈ Z.

−π

Dimostrazione Fissato m ∈ N, possiamo scrivere Z 1 π f (t) cos mt dt = π −π Z Z ∞ 1 π a0 1 πX = cos mt dt + (an cos nt + bn sin nt) cos mt dt. π −π 2 π −π n=1 La serie che compare nel secondo integrale `e uniformemente convergente su R alla funzione f (t) cos mt, in quanto, per ipotesi, se p → ∞ si ha

∞ ∞

X

X

sup (an cos nt + bn sin nt) cos mt ≤ sup (an cos nt + bn sin nt) → 0.

t∈R n=p

t∈R n=p Dunque, per il teorema 1.2.6, possiamo scambiare la serie con l’integrale, ottenendo Z Z 1 π a0 1 π f (t) cos mt dt = cos mt dt+ π −π 2 π −π Z Z ∞ ∞ X X 1 π 1 π cos nt cos mt dt + bn sin nt cos mt dt, + an π π −π −π n=1 n=1 da cui finalmente, in virt` u delle relazioni di ortogonalit`a, Z π 1 f (t) cos mt dt = am ∀m ∈ N π −π (si noti che questa relazione vale anche per m = 0 in virt` u della scelta, apparentemente strana, di aver preso nella serie come termine costante a20 anzich´e a0 ). In modo del tutto analogo, moltiplicando per sin mt, si trova che Z 1 π f (t) sin mt dt = bm ∀m ∈ N+ . π −π La relazione per i ck segue allo stesso modo, oppure utilizzando le relazioni c±n = 21 (an ∓ ibn ). 316


Osservazione 3.14.3 Si noti l’analogia con le serie di potenze: vi `e una stretta relazione fra la somma di una serie trigonometrica ed i suoi coefficienti; tale relazione `e di tipo integrale, e non differenziale come accade per le serie di potenze. Questo fatto ha due conseguenze. La prima `e che se vogliamo determinare una serie trigonometrica che converga (uniformemente) ad una funzione continua assegnata, sar`a obbligatorio R R prendere quella che 1 π 1 π ha per coefficienti i numeri π −π f (t) cos mt dt e π −π f (t) sin mt dt, il che peraltro non garantisce la convergenza della serie stessa. La seconda conseguenza `e che, dal momento che tali coefficienti hanno senso per ogni funzione di L1 (−π, π), sar`a naturale considerare le serie trigonometriche associate a funzioni di L1 (−π, π) e non solo di C[−π, π]. Le considerazioni dell’osservazione precedente portano alla seguente Definizione 3.14.4 Se f ∈ L1 (−π, π), i numeri Z Z 1 π 1 π an = f (t) cos nt dt, n ∈ N; bn = f (t) sin nt dt, π −π π −π

n ∈ N+ ,

si dicono coefficienti di Fourier di f relativi alla famiglia {1, cos nt, sin nt}n∈N+ , mentre i numeri Z π 1 f (t)e−ikt dt, k ∈ Z, ck = 2π −π si dicono coefficienti di Fourier di f relativi alla famiglia {eikt }k∈Z . La serie ∞

X a0 X ck eikt (an cos nt + bn sin nt) = + 2 n=1 k∈Z si chiama serie di Fourier di f . Vale la pena di ribadire che se f `e una funzione reale, allora i suoi coefficienti di Fourier an e bn sono tutti reali, mentre i ck sono complessi. Per scrivere la serie di Fourier di una funzione f reale, nel calcolo dei coefficienti di Fourier la scelta dell’una o dell’altra famiglia di funzioni ortogonali `e indifferente; l’unico “vantaggio” che si ha con l’uso del sistema dei seni e coseni `e che i calcoli non coinvolgono numeri complessi. Lo svantaggio sta nel fatto che, fissato un intero m, per determinare am e bm occorre calcolare due integrali, in luogo dell’(essenzialmente) unico integrale richiesto per trovare c±m . 317


Osservazione 3.14.5 Se f `e una funzione pari, ossia f (−x) = f (x) per ogni x ∈ [−π, π], si vede immediatamente che i coefficienti bn , relativi ai seni, sono tutti nulli, mentre per gli an , relativi ai coseni, si ha Z 2 π f (t) cos nt dt. an = π 0 Dunque la serie di Fourier di una funzione pari `e formata da soli coseni. Similmente, se f `e dispari, cio`e f (−x) = −f (x) per ogni x ∈ [−π, π], gli an sono tutti nulli mentre i bn diventano Z 2 π f (t) sin nt dt. bn = π 0 Dunque la serie di Fourier di una funzione dispari `e formata da soli seni. Questi sono casi in cui l’uso del sistema {cos nx, sin nx} pu`o risultare pi` u vantaggioso rispetto all’uso delle esponenziali {eikt }.

Propriet` a di miglior approssimazione Fissiamo una funzione f ∈ L2 (−π, π) e siano {an , bn } i suoi coefficienti di Fourier rispetto al sistema trigonometrico. Come si `e osservato, e cos`ı come avviene per le serie di Taylor, non `e detto che la serie di Fourier di f sia convergente, ed anche in caso di convergenza non `e detto che la sua somma sia f , nemmeno quasi ovunque. Tuttavia le serie di Fourier, in quanto tali, godono di alcune importanti propriet`a metricheR nello spazio L2 (−π, π), munito π del suo prodotto scalare naturale hf, gi2 = −π f (t)g(t) dt (ma se g `e reale, qR π naturalmente, si ha g(t) = g(t)) e della norma indotta kf k2 = |f |2 dt. −π Introduciamo anzitutto la famiglia dei “polinomi trigonometrici”. Definizione 3.14.6 Un polinomio trigonometrico `e una funzione della forma N N X α0 X P (x) = + (αn cos nx + βn sin nx) = γk eikx , 2 n=1 k=−N ove N ∈ N+ , α0 , α1 , . . . , αN , β1 , . . . , βN sono numeri reali o complessi e γ±k = 1 (αk ∓ iβk ). Il grado di P `e il massimo intero N tale che |αN | + |βN | > 0 2 (ovvero, |γN | + |γ−N | > 0). Indichiamo con T la famiglia di tutti i polinomi trigonometrici e con TN la classe dei polinomi trigonometrici di grado non superiore a N . 318


Osserviamo che TN `e un sottospazio vettoriale di L2 (−π, π) di dimensione 2N + 1; una base ortogonale `e data dalla famiglia {1, cos nx, sin nx}1≤n≤N ovvero da {eikx }|k|≤N . Ci`o premesso, vale il seguente risultato, noto come “propriet`a di miglior approssimazione”: Teorema 3.14.7 Sia f ∈ L2 (−π, π) ed indichiamo con SN la somma parziale N -sima della serie di Fourier di f , ossia N N X a0 X + (an cos nt + bn sin nt) = ck eikt . SN (t) = 2 n=1 k=−N

Allora si ha kf − SN k22 = min kf − P k22 = P ∈TN # " N N 2 X X |a | 0 + (|an |2 + |bn |2 ) = kf k22 − 2π |ck |2 . = kf k22 − π 2 n=1 k=−N Dimostrazione Sia N

α0 X (αn cos nx + βn sin nx) P (x) = + 2 n=1 un elemento di TN : allora possiamo scrivere kf − P k22 = kf k22 + kP k22 − 2hf, P i2 . D’altra parte, per l’ortogonalit`a delle funzioni trigonometriche, si trova Z π 2 P (x) · P (x) dx = kP k2 = −π # Z π" N |α0 |2 X = + (|αn |2 cos2 nx + |βn |2 sin2 nx) dx = 4 −π n=1 " # N |α0 |2 X = π + (|αn |2 + |βn |2 ) ; 2 n=1 inoltre, per definizione di coefficienti di Fourier, " # Z π N α0 X hf, P i2 = f (x) + (αn cos nx + βn sin nx) dx = 2 −π n=1 " # N X a0 α 0 (an αn + bn bn ) . = π + 2 n=1 319


Ne deduciamo kf − P k22 = kf k22 + kP k22 − 2hf, P i2 = " # N N |α0 |2 X a0 α0 X 2 2 2 =kf k2 + π + (|αn | + |βn | ) − 2 + (2an αn + 2bn bn ) = 2 2 n=1 n=1 # " N 2 X |α − a | 0 0 + (|αn − an |2 + |βn − bn |2 ) − =kf k22 + π 2 n=1 " # N |a0 |2 X −π + (|an |2 + |bn |2 ) . 2 n=1 Pertanto la quantit`a kf − P k22 `e minima quando αn = an e βn = bn per n = 0, 1, . . . , N , cio`e quando P = SN ; ne segue la formula cercata. Il calcolo relativo ai coefficienti ck si fa in modo del tutto analogo; in alternativa, il risultato per i ck si pu`o facilmente dedurre dalle relazioni c±n = an ∓ibn . Osservazione 3.14.8 Se f ∈ L2 (−π, π), il polinomio trigonometrico SN `e dunque la proiezione ortogonale di f sul sottospazio TN . Corollario 3.14.9 (disuguaglianza di Bessel) Se f ∈ L2 (−π, π), allora per ogni n ∈ N si ha Z N N X |a0 |2 X 1 π 2 2 2 |f (x)|2 dx. + (|an | + |bn | ) = 2 |ck | ≤ 2 π −π n=1 k=−N Dimostrazione Basta osservare che, per il teorema e l’osservazione precedente, le due somme finite coincidono con la quantit`a 1 kf k22 − kf − SN k22 , π ovviamente non superiore a π1 kf k22 .

Completezza del sistema trigonometrico I risultati del paragrafo precedente mostrano che la serie di Fourier `e il candidato migliore per ottenere approssimazioni di una funzione f dal punto 320


di vista della norma k · k2 . Mostreremo adesso che tali approssimazioni si riescono effettivamente ad ottenere: proveremo cio`e che il sistema trigonometrico `e completo, nel senso che le combinazioni lineari finite di elementi di questo sistema approssimano qualunque funzione di L2 (−π, π) nel senso sopra detto. Questo `e senza dubbio il risultato basilare della teoria delle serie di Fourier. Teorema 3.14.10 Per ogni f ∈ L2 (−π, π) sia SN la somma parziale N sima della serie di Fourier di f . Allora Z π lim |f (x) − SN (x)|2 dx = 0. N →∞

−π

Dimostrazione In virt` u della propriet`a di miglior approssimazione, baster`a far vedere che, fissato ε > 0, esiste ν ∈ N tale che per ciascun k ≥ ν risulti, per un opportuno polinomio trigonometrico Tk di grado non superiore a k, Z π |f (x) − Tk (x)|2 dx < ε. −π

Il punto chiave della dimostrazione consiste nel costruire una successione {Qk } di polinomi trigonometrici dotati delle seguenti propriet`a: (a) Qk (t) ≥ 0 per ogni t ∈ R; Rπ 1 Qk (t) dt = 1; (b) 2π −π (c) per ogni δ > 0 si ha lim sup Qk (t) = 0, ossia la successione {Qk } k→∞ δ≤|t|≤π

converge uniformemente a 0 in [−π, −δ] ∪ [δ, π]. Una famiglia di polinomi trigonometrici che soddisfa questi requisiti `e ad esempio la seguente: Qk (t) = λk

1 + cos t 2

321

k ,

t ∈ R,


ove λk `e una costante che si sceglie in modo che valga la condizione (b). Si noti che il grado di Qk `e uguale a k, come si vede subito utilizzando la relazione cos t = 1 it (e +e−it ). La validit`a del2 la condizione (a) `e evidente; inoltre, essendo k k Z π Z 1 + cos t 1 π 1 + cos t 1 1 dt = dt > = λk 2π −π 2 π 0 2 k Z 1 π 1 + cos t 2 > , sin t dt = π 0 2 π(k + 1) risulta π(k + 1) Qk (t) ≤ 2

1 + cos δ 2

k se δ ≤ |t| ≤ π,

e dunque vale anche la condizione (c). Costruiamo ora una successione {Tk } di polinomi trigonometrici che, come vedremo, approssimano f nel modo richiesto; la definiamo mediante un integrale di convoluzione: Z π 1 Tk (t) = f (t − y)Qk (y) dy, t ∈ R, 2π −π ove f si intende prolungata a tutto R per periodicit`a. Poich´e Qk `e un polinomio trigonometrico di grado k, dunque della forma X Qk (t) = ank eint , t ∈ R, |n|≤k

si ha, grazie alla periodicit`a e all’esercizio 3.14.1, X 1 Z π X ank Z π in(t−u) −inu Tk (t) = f (u)ank e du = f (u)e du eint , 2π −π 2π −π |n|≤k

|n|≤k

e pertanto Tk `e a sua volta un polinomio trigonometrico di grado non superiore a k. 322


Valutiamo la differenza kf − Tk k22 . Si ha

2 Z π

Z π

1

f (t) −

dt ≤ f (t − y)Q (y) dy kf − Tk k22 = k

2π −π −π 2 Z π Z π 1 ≤ |f (t) − f (t − y)|Qk (y) dy dt. 4π 2 −π −π Applichiamo la disuguaglianza di H¨older nell’integrale pi` u interno, con esponenti p =R q = 2, alle funzioni |f (t) − f (t − y)|Qk (y)1/2 e Qk (y)1/2 : si ottiene, π essendo −π Qk (y) dy = 2π, kf −

Tk k22

Z πZ π 1 |f (t) − f (t − y)|2 Qk (y) dydt = ≤ 2π −π −π Z πZ 1 = |f (t) − f (t − y)|2 Qk (y) dydt + 2π −π |y|≤δ Z πZ 1 + |f (t) − f (t − y)|2 Qk (y) dydt = I + II, 2π −π δ<|y|≤π

ove δ ∈]0, π[ `e un numero fissato che preciseremo fra poco. Adesso notiamo che, in virt` u del teorema di Tonelli e dell’esercizio 3.14.1, Z πZ 1 |f (t) − f (t − y)|2 Qk (y) dydt ≤ II = 2π −π δ<|y|≤π Z π Z π Z 1 2 2 ≤ |f (t)| dt + |f (t − y)| dt dy ≤ Qk (y) π δ<|y|≤π −π −π Z 2 2 ≤ kf k2 Qk (y) dy. π δ<|y|≤π Poich´e Qk → 0 uniformemente nell’insieme {δ ≤ |y| ≤ π}, in corrispondenza di ε esiste kδ,ε ∈ N tale che II ≤ ε

∀k ≥ kδ,ε .

Per quanto riguarda il termine I, si pu`o scrivere Z Z π 1 I= Qk (y) |f (t) − f (t − y)|2 dtdy. 2π |y|≤δ −π

323


A questo punto invochiamo la continuit`a delle traslazioni rispetto alla norma k · k2 (esercizio 3.13.10), e deduciamo che in corrispondenza di ε esiste δε > 0 tale che Z π |f (t) − f (t − y)|2 dt < ε ∀y ∈]0, δε ]. −π

Ne segue Z π Z 1 2 |f (t) − f (t − y)| dt Qk (y) dy ≤ I = 2π |y|≤δ −π Z ε ≤ Qk (y) dy ≤ ε ∀δ ∈]0, δε ], 2π |y|≤δ ed in definitiva, scelto δ = δε , otteniamo kf − Tk k22 ≤ I + II < 2ε

∀k ≥ kδε ,ε = kε0 .

Ci`o prova la tesi. Corollario 3.14.11 (identit` a di Bessel) Per ogni f ∈ L2 (−π, π) vale l’uguaglianza Z ∞ X 1 π |a0 |2 X 2 2 2 + (|an | + |bn | ) = 2 |ck | = |f (t)|2 dt. 2 π −π n=1 k∈Z Dimostrazione Per f , qualunque sia N ∈ N, vale il risultato dell’osservazione 3.14.8: se N → ∞, tenuto conto del teorema 3.14.10, otteniamo la tesi. Corollario 3.14.12 (identit` a di Parseval) Per ogni f, g ∈ L2 (−π, π), detti an , bn , ck e αn , βn , γk i coefficienti di Fourier di f e g rispetto alle famiglie {cos nx, sin nx} e {eikx }, vale l’uguaglianza Z ∞ X 1 π ao α0 X + (an αn + bn βn ) = 2 ck γk = f (t)g(t) dt. 2 π −π n=1 k∈Z Dimostrazione Anzitutto, le serie sono assolutamente convergenti in virt` u della disuguaglianza di Cauchy-Schwarz nello spazio `2 e dell’identit`a di Bessel. Applicando questa identit`a a f ± g e f ± ig, ed osservando che tali

324


funzioni hanno per coefficienti di Fourier i numeri an ± αn , bn ± βn e an ± iαn , bn ± iβn , si ha poi Z Z π 1 1 π f (t)g(t) dt = |f (t) + g(t)|2 − |f (t) − g(t)|2 dt + π −π 4π −π Z π i + |f (t) + ig(t)|2 − |f (t) − ig(t)|2 dt = 4π −π " ∞ 1 |a0 + α0 |2 X = + |an + αn )|2 + |bn + βn |2 − 4 2 n=1 # ∞ 2 X |a0 − α0 | |an − αn |2 + |bn − βn |2 + + − 2 n=1 " ∞ 2 X i |a0 + iα0 | |an + iαn )|2 + |bn + iβn |2 − + + 4 2 n=1 # ∞ |a0 − iα0 |2 X − + |an − iαn |2 + |bn − iβn |2 = 2 n=1 ∞

a0 α 0 X (an αn + bn βn ). = + 2 n=1 Il risultato per i coefficienti ck , γk si prova in modo del tutto analogo, oppure si ricava dalle relazioni c±n = an ∓ ibn , γ±n = αn ∓ iβn . Corollario 3.14.13 (lemma di Riemann-Lebesgue) Se f ∈ L2 (−π, π), allora lim an = lim bn = lim ck = 0. n→∞ n→∞ |k|→∞ P 2 Dimostrazione Banale conseguenza della convergenza delle serie k∈Z |ck | P∞ e n=1 (|an |2 + |bn |2 ). Si confronti questo risultato con quello dell’esercizio 3.13.18. Esempio 3.14.14 Consideriamo la funzione π − |x| , x ∈ [−π, π] 2 (ove sgn(x) vale 1 per x > 0, −1 per x < 0 e 0 per x = 0). Dato che f `e dispari, si ha Z 1 π an = f (x) cos nx dx = 0 ∀n ∈ N, π −π f (x) = sgn(x)

325


mentre, integrando per parti, si trova facilmente Z Z 1 1 π 2 π π−x sin nx dx = bn = f (x) sin nx dx = π −π π 0 2 n

∀n ∈ N+ .

Quindi la serie di Fourier di f , di soli seni, `e ∞ X sin nx n=1

n

.

Dall’identit`a di Bessel ricaviamo 2 Z Z ∞ X 1 π 2 π π−t π2 2 2 bn = f (t) dt = dt = , π −π π 0 2 6 n=1 e dunque

∞ X 1 π2 = . n2 6 n=1

Convergenza puntuale delle serie di Fourier Uno dei pi` u celebri e importanti risultati sulla convergenza delle serie di Fourier `e quello di Lennart Carleson, che nel 1966 dimostr`o che la serie di Fourier di un’arbitraria funzione f ∈ L2 (−π, π) converge quasi ovunque alla 326


funzione stessa. Il risultato di Carleson pose fine a pi` u di mezzo secolo di congetture e tentativi, nel corso dei quali vennero esibiti svariati esempi di funzioni continue la cui serie di Fourier, effettivamente, converge soltanto quasi ovunque, e di funzioni sommabili (ma non di quadrato sommabile!) la cui serie di Fourier addirittura non converge in alcun punto. Sotto ipotesi ragionevolmente blande su f , comunque, la convergenza puntuale in [−π, π] `e assicurata dal seguente classico risultato: esso naturalmente non riguarda classi di funzioni appartenenti a L2 , ma singole funzioni di quadrato sommabile. Teorema 3.14.15 (di Dirichlet) Sia f : R → R una funzione 2π-periodica tale che |f |2 sia sommabile in (−π, π). Se in un punto x ∈ [−π, π] esistono finiti i limiti destro e sinistro di f : f (x− ) = lim− f (x + h),

f (x+ ) = lim+ f (x + h), h→0

h→0

ed esistono finite anche la derivata destra e la derivata sinistra di f : f 0 (x+ ) = lim+ h→0

f (x + h) − f (x+ ) , h

f 0 (x− ) = lim− h→0

f (x + h) − f (x− ) , h

allora la serie di Fourier di f `e convergente nel punto x e si ha ∞

X f (x+ ) + f (x− ) a0 X ck eikx = (an cos nx + bn sin nx) = + . 2 2 n=1 k∈Z Dimostrazione Prima di tutto scriviamo in maniera pi` u comoda la somma parziale SN (x). Si ha con facili calcoli SN (x) = =

= =

N a0 X + (an cos nx + bn sin nx) = 2 n=1 " # Z N 1 π 1 X f (t) + (cos nt cos nx + sin nt sin nx) dt = π −π 2 n=1 " # Z N 1 π 1 X f (t) + cos n(t − x) dt = π −π 2 n=1 Z π 1 f (t)DN (t − x) dt, 2π −π

327


P ove si `e introdotto il nucleo di Dirichlet DN (s) = 1 + 2 N n=1 cos ns. Notiamo che risulta Z π Z 1 1 π DN (s) ds = DN (s) ds = 1 ∀N ∈ N+ ; 2π −π π 0 inoltre si ha  2N + 1 se s = 2kπ, k ∈ Z    DN (s) = sin(N + 21 )s   se s = 6 2kπ, k ∈ Z,  sin 2s come si vede sommando da 1 a N le relazioni 2 sin 2s cos ns = sin n + 12 s − sin n − 12 s e dividendo poi per sin 2s . Si ha dunque, utilizzando la 2π-periodicit`a degli integrandi, Z π 1 SN (x) = f (t)DN (t − x) dt = 2π −π Z π−x Z π 1 1 = f (x + s)DN (s) ds = f (x + s)DN (s) ds, 2π −π−x 2π −π da cui Z π f (x+ ) + f (x− ) f (x+ ) + f (x− ) 1 SN (x) − = f (x + s)DN (s) ds − = 2 2π −π 2 Z sin(N + 21 )s 1 π = [f (x + s) − f (x+ )] ds + π 0 2 sin 2s Z 1 1 0 − sin(N + 2 )s + [f (x + s) − f (x )] ds. π −π 2 sin 2s Valutiamo il primo addendo all’ultimo membro (la stima del secondo `e completamente analoga e la ometteremo). Poich´e lim+

s→0

f (x + s) − f (x+ ) f (x + s) − f (x+ ) = lim = f 0 (x+ ), s→0+ 2 sin 2s s 328


fissato ε > 0 esiste δ ∈]0, π ∧ ε[ tale che

f (x + s) − f (x+ )

0 +

− f (x )

< ε ∀s ∈]0, δ[; 2 sin 2s quindi

Z π

1

1

sin(N + )s + 2

[f (x + s) − f (x )] ds

≤ s

π 2 sin 2 0

Z δ

1 f (x + s) − f (x+ ) 1 0 +

− f (x ) sin N + s ds

+ ≤

s π 0 2 sin 2 2

Z |f 0 (x+ )| δ

1

+ sin N + s ds +

π 2

0

Z π

s s

1

+ sin N s cos 2 + cos N s sin 2

[f (x + s) − f (x )] +

ds

≤ s π δ 2 sin 2

Z π

+ 0 +

1

f (x + s) − f (x ) ε + |f (x )| ε +

sin N s ds

+ ≤ s π π δ 2 tan 2

Z π

+

1

f (x + s) − f (x )

+

cos N s ds

. π δ 2 Il primo termine all’ultimo membro `e minore di C ε, con C costante opportuna. Il secondo e terzo termine sono gli N -simi coefficienti di Fourier (uno relativo al seno, uno al coseno) delle due funzioni  +  f (x + s) − f (x ) se s ∈ [δ, π] 2 tan 2s g(s) =  0 se s ∈ [−π, δ[,  +  f (x + s) − f (x ) se s ∈ [δ, π] 2 h(s) =  0 se s ∈ [−π, δ[, le quali appartengono a L2 (−π, π); quindi sia il secondo che il terzo termine sono infinitesimi per N → ∞ in virt` u del lemma di Riemann-Lebesgue. Se + ne conclude che esiste Nε ∈ N tale che

Z π

1

1

+ sin(N + 2 )s

< 2C ε [f (x + s) − f (x )] ds ∀N > Nε . s

π

2 sin 0 2 329


Stimando, in modo completamente analogo, l’altro integrale

Z 0 1

1 )s sin(N + − 2

[f (x + s) − f (x )] ds

s

π 2 sin 2 −π si ottiene

+ −

f (x ) + f (x )

SN (x) −

< 4C ε

2

∀N > Nε ,

cio`e la tesi. Esempi 3.14.16 (1) Riprendiamo in esame la funzione dell’esempio 3.14.14: f (x) = sgn(x)

π − |x| , 2

x ∈ [−π, π].

Questa funzione, prolungata a R per periodicit`a, verifica le ipotesi del teorema di Dirichlet in tutti i punti di [−π, π], con f (x+ ) + f (x− ) = f (x) 2

∀x ∈ [−π, π]

(anche nel punto di discontinuit`a 0). Quindi ∞ X sin nx n=1

n

= sgn(x)

π − |x| 2

∀x ∈ [−π, π].

In particolare, scelto x = π/2, troviamo ∞ X (−1)k π = , 2k + 1 4 k=1

come gi`a sapevamo dallo sviluppo di Taylor dell’arcotangente, mentre scegliendo x = π/3 si ricava 1+

1 1 1 1 1 1 1 2π − − + + − − + ··· = √ . 2 4 5 7 8 10 11 3 3

(2) Consideriamo la restrizione a [0, π] della funzione dell’esempio (1): g(x) =

π−x , 2 330

x ∈ [0, π].


Di questa funzione possiamo ottenere tre sviluppi in serie trigonometrica distinti, tutti e tre convergenti. Se prolunghiamo f in modo dispari all’intervallo [−π, π], otteniamo la funzione dispari f dell’esempio 3.14.14, la cui serie di Fourier `e di soli seni e converge in ogni punto a f (x): ∞ X sin nx n=1

n

= sgn(x)

π − |x| 2

∀x ∈ [−π, π].

Se prolunghiamo g a [−π, π] in modo pari, otteniamo la funzione h(x) =

π − |x| , 2

x ∈ [−π, π] :

per essa tutti i coefficienti bn sono nulli, cosicch´e la sua serie di Fourier `e di soli coseni; per i suoi coefficienti an si trova Z 2 π π a0 = h(t) dt = , π 0 2 ed anche, integrando per parti, ( Z 0 se n `e pari 2 π (−1)n − 1 an = h(t) cos nt dt = = π 0 πn2 − πn2 2 se n `e dispari. Il teorema di Dirichlet `e applicabile in tutti i punti e si ha ∞

π − |x| π X 2 cos(2k + 1)x − = 2 4 k=0 π(2k + 1) 2

∀x ∈ [−π, π].

Infine, possiamo sviluppare la funzione f , pensata prolungata a R come funzione periodica di periodo T = π, in serie di Fourier rispetto al sistema 331


{cos 2nt, sin 2nt}n∈N . In questo caso f non `e n´e pari n´e dispari: con facili calcoli si vede che Z 1 2 π π−u sin 2nu du = ∀n ∈ N+ , bn = π 0 2 2n mentre 2 a0 = π

Z 0

π

π−u π du = , 2 2

2 an = π

Z 0

π

π−u cos 2nu du = 0 ∀n ∈ N+ . 2

Pertanto, dal teorema di Dirichlet, che `e applicabile, troviamo ( π−x ∞ se x ∈]0, π[ π X sin 2nu 2 + = π 4 n=1 2n se x = 0, π. 4 In definitiva, per x ∈]0, π[ abbiamo i tre sviluppi convergenti ∞ ∞ ∞ π − x X sin nx π 2 X cos(2k + 1)x π 1 X sin 2nx = = − = + . 2 2 n 4 π (2k + 1) 4 2 n n=1 n=1 k+0

Convergenza uniforme di polinomi trigonometrici Se f : R → R `e una funzione continua 2π-periodica, come sappiamo il teorema di Dirichlet non assicura che la sua serie di Fourier converga a f puntualmente, e tanto meno uniformemente. Tuttavia `e possibile costruire una successione di polinomi trigonometrici che converga a f uniformemente. Definizione 3.14.17 Per ogni N ∈ N il polinomio trigonometrico N

1 X FN (s) = Dn (s), N + 1 n=0

s ∈ R,

che `e la media aritmetica dei nuclei di Dirichlet, si chiama nucleo di Fej´er.

332


` facile verificare che E  se s = 0  N +1 FN (s) = N +1 2  1 sin 2 2s s se s 6= 0; N +1 sin 2

infatti per s = 0, essendo Dn (0) = 2n + 1, `e facile vedere che N

1 X (2n + 1) = N + 1, FN (0) = N + 1 n=0 mentre per s 6= 0 possiamo scrivere sin 2s sin n + 12 s Dn (s) = = sin2 2s cos ns − cos(n + 1)s = , 2 sin2 2s da cui N

1 X cos nt − cos(n + 1)t FN (s) = = N + 1 n=0 2 sin2 2s 1 1 − cos(N + 1)s 1 sin2 N2+1 s = = ; N +1 N + 1 sin2 2s 2 sin2 2s dunque FN ≥ 0. Osserviamo anche che 1 2π

Z

π

N

1 X 1 FN (s) ds = N + 1 n=0 2π −π

Z

π

Dn (s) ds = 1 ∀N ∈ N. −π

Vale allora il seguente risultato di convergenza uniforme: Teorema 3.14.18 (di Fej´ er) Sia f : R → R una funzione continua 2πperiodica. Allora la successione di polinomi trigonometrici, detti somme di Fej´er Z π 1 TN (t) = f (t − s)FN (s) ds, t ∈ R, 2π −π converge uniformemente in R a f per N → ∞. 333


Dimostrazione Sia ε > 0. La funzione f `e uniformemente continua su R, essendo continua e periodica. Quindi esiste δ > 0 tale che |f (t) − f (σ)| < ε non appena |t − σ| < δ. Pertanto si ha per ogni t ∈ [−π, π]

Z

1

π [f (t) − f (t − s)]FN (s) ds

≤ |f (t) − TN (t)| =

2π −π Z δ 1 ≤ |f (t) − f (t − s)|FN (s) ds + 2π −δ Z 1 + |f (t) − f (t − s)|FN (s) ds ≤ 2π δ<|s|≤π Z δ Z sin2 N2+1 s 2kf k∞ 1 εFN (s) ds + ds ≤ ≤ 2π −δ N + 1 δ<|s|≤π sin2 2s 4πkf k∞ ≤ ε+ . (N + 1) sin2 2δ Dunque per N sufficientemente grande risulta |f (t) − TN (t)| ≤ 2ε

∀t ∈ [−π, π],

il che implica la tesi per periodicit`a.

Il caso di coefficienti decrescenti e infinitesimi Quando una serie trigonometrica ha coefficienti reali, decrescenti e infinitesimi, le sue propriet`a di convergenza sono particolarmente interessanti. Iniziamo questa descrizione ricordando uno strumento fondamentale: l’identit`a di Abel, gi`a dimostrata nel corso del primo anno. Proposizione 3.14.19 Siano {an } e {bn } due successioni di numeri reali o PN complessi. Fissati p, q ∈ N con q ≤ p e posto BN = n=q bn , risulta N X

an bn = aN BN − ap Bp−1 +

n=p

N −1 X

(an − an+1 )Bn

∀N > p,

n=p

ove Bp−1 = 0 nel caso in cui q = p. Ricordiamo anche questi risultati, per la dimostrazione dei quali si rimanda agli appunti di Analisi I. 334


Lemma 3.14.20 (di PNAbel) Siano {an } e {bn } due successioni di numeri reali. Posto BN = n=0 bn , supponiamo che (i) |BN | ≤ M

∀N ∈ N,

(ii) an ≥ an+1 ≥ 0 e lim an = 0. n→∞

Allora la serie Σan bn converge e risulta

X

an b n ≤ M a 0 .

n=0 Osservazione 3.14.21 Alla stessa conclusione si arriva quando |BN | ≤ M per ogni N ∈ N, an ≥ 0 per P ogni n ∈ N e, in luogo della decrescenza di {an }, si fa l’ipotesi che la serie ∞ n=1 |an − an+1 | sia convergente. Pi` u in generale, vale questa propriet`a: Proposizione 3.14.22 Siano {an } e {bn } due successioni di numeri reali, con PN {an } decrescente e infinitesima e bn ≥ 0 per ogni n ∈ N. Posto BN = n=0 bn , si ha ∞ X

an b n < ∞

∞ X

⇐⇒

(an − an+1 )Bn < ∞,

n=0

n=0

ed in particolare ∞ X n=1

an b n =

∞ X

(an − an+1 )Bn ,

ove Bn =

n=1

n X

bk .

k=1

Applicheremo il lemma di Abel alle due serie trigonometriche ∞ X

∞ X

an cos nx,

an sin nx,

n=1

n=1

supponendo naturalmente che {an } sia una successione reale, decrescente e infinitesima. Osserviamo che le somme di funzioni trigonometriche sono limitate per 0 < |t| ≤ π: infatti

N N

X

X

1 − ei(N +1)t

int

= cos nt = Re e ≤

n=0

n=0

1 − eit

r 2 − 2 cos(N + 1)t

sin N2+1

1 = =

, t ≤

sin 2 sin 2t 2 − 2 cos t 335


e similmente

N N

X

1 − eiN t

r 1 − cos N t sin N

X 1

2

≤ . sin nt = Im eint ≤

eit =

t ≤

it

sin 2 sin 2t

1−e 1 − cos t n=1 n=1 Queste propriet`a ci serviranno nel seguito. Teorema 3.14.23 Sia {an } una successione reale, decrescente e infinitesima. Allora le due serie Σan cos nx e Σan sin nx convergono puntualmente in [−π, 0[ ∪ ]0, π] (la seconda anche in 0) ed uniformemente in [−π, −δ] ∪ [δ, π] per ogni δ ∈]0, π[. Dimostrazione Consideriamo la prima serie. Fissato δ ∈ ]0, π[, applichiamo il lemma di Abel alle successioni {an }n≥ν e {cos nx}n≥ν , con ν ∈ N fissato e |x| ∈ [δ, π]. Poich´e

N

ν−1

X

2

1 X cos nx ≤

δ

, |x| ∈ [δ, π], cos nx ≤ x +

n=ν

sin 2 sin 2 n=1 e la successione {an } `e decrescente e infinitesima, dal lemma di Abel otteniamo che

X

2

a cos nx aν , |x| ∈ [δ, π],

≤ n

n=ν

sin 2δ cosicch´e la serie Σan cos nx converge uniformemente in [−π, −δ] ∪ [δ, π]. Dall’arbitrariet`a di δ segue anche la convergenza puntuale in [−π, 0[ ∪ ]0, π]. Nel punto 0 invece la somma della serie `e un ben determinato valore in [0, ∞]. Per la seconda serie si procede in modo del tutto analogo; c’`e soltanto da osservare che, ovviamente, la serie converge puntualmente anche per x = 0, con somma 0. Esempio 3.14.24 Grazie al teorema precedente, le due serie ∞ X cos nx n=2

ln n

∞ X sin nx

,

n=2

ln n

definiscono due funzioni f e g periodiche, continue inP [−π, π] \ {0}. Tali fun2 zioni non appartengono a L (−π, π), poich´e la serie (ln n)−2 `e divergente. Invece le due serie ∞ ∞ X X cos nx sin nx , nα nα n=2 n=2 336


definiscono due funzioni periodiche, continue in [−π, π] \ {0}, le quali appartengono a L2 (π, π) se e solo se α > 12 . Ci chiediamo a questo punto se, fissata una successione reale {an } decrescente e infinitesima, la funzione f (x) =

∞ X

an sin nx,

x ∈ R,

n=1

sia o no un elemento di L1 (−π, π) e se, in tal caso, la serie a secondo membro sia o no la serie di Fourier di f , intendendo con ci`o che Z 1 π an = f (t) sin nt dt, n ∈ N+ . π −π Una domanda analoga, naturalmente, va posta per la funzione g(x) =

∞ X

an cos nx,

x ∈ R.

n=1

Teorema 3.14.25 P∞ Sia {an } una successione reale, decrescente e infinitesima e sia f (x) = n=1 an sin nx. Allora 1

f ∈ L (−π, π)

⇐⇒

∞ X an n=1

In tal caso, la serie di Fourier di f .

P∞

n=1

n

< ∞.

an sin nx converge a f in L1 (−π, π) ed `e la serie

P Dimostrazione Come abbiamo visto, la serie ∞ n=1 an sin nx ha per somma f (x) in ogni x ∈ R. Per 0 < |x| ≤ π possiamo scrivere, grazie all’identit`a di Abel, N X

an sin nx = aN SN (x) +

n=1

N −1 X

(an − an+1 )Sn (x),

N ∈ N+ ,

n=1

PN

ove SN (x) = e, come si sa, |SN (x)| ≤ | sin x2 |−1 , per n=1 sin nx. Poich` N → ∞ si ricava ∞ X f (x) = (an − an+1 )Sn (x). n=1

337


Introduciamo il polinomio trigonometrico 1 sin N x = 2 cos x2 − cos N + 21 x − sin N x sin x2 1 − cos N x = = , x 2 sin 2 2 tan x2

TN (x) = SN (x) −

il quale rispetto a SN ha il vantaggio di essere non negativo per x ∈ ]0, π]. Possiamo allora scrivere ∞ ∞ X 1X (an − an+1 ) sin nx. f (x) = (an − an+1 )Tn (x) + 2 n=1 n=1

La seconda serie a destra `e totalmente convergente, e quindi convergente P∞ P∞ 1 anche in L (−π, π), in quanto n=1 |an − an+1 | = n=1 (an − an+1 ) = a1 . Per la prima serie a destra, invece, che `e a termini positivi per x ∈]0, π], si ha l’uguaglianza

X

X

(an − an+1 )|Tn (x)|,

(an − an+1 )Tn (x) =

n=1

n=1

quindi si pu`o integrare termine a termine, ottenendo che tale serie converge in L1 (−π, π) se e solo se ∞ X

(an − an+1 )kTn kL1 (−π,π) < ∞.

n=1

Ora si vede facilmente che Z π 1 − cos nx 1 − cos nx = 2 dx ≤ 2 dx = x 2 tan 2 x 0 0 Z nπ 1 − cos t = 2 dt ≤ c Un , t 0 π

Z

kTn kL1 (−π,π)

ove Un =

Pn

1 k=1 k

, ed anche, con facili calcoli, π

Z kTn kL1 (−π,π) = 2 0

π ≥ 2

Z 0

1 − cos nx dx ≥ 2 2 tan x2

π 2

1 − cos nx π dx = x 2 338

π 2

Z 0

Z 0

1 − cos nx dx ≥ 2 tan x2 nπ 2

1 − cos t dt ≥ c Un ; t


quindi ∞ X

∞ X

(an − an+1 )Tn ∈ L1 (−π, π) ⇐⇒

n=1

(an − an+1 )Un < ∞.

n=1

Utilizzando infine la proposizione 3.14.22, concludiamo che ∞ X (an − an+1 )Un < ∞

⇐⇒

n=1

∞ X an n=1

n

< ∞.

Rπ Proviamo ora che se f ∈ L1 (−π, π) risulta an = π1 −π f (t) sin nt dt per ogni n ∈ N. Partiamo dalla relazione N N −1 X X 1 an sin nx = aN SN (x) + (an − an+1 ) Tn (x) + sin nx , N ∈ N+ . 2 n=1 n=1 P an Essendo ∞ n=1 n < ∞, ripetendo la dimostrazione della proposizione 3.14.22 si verifica che la funzione aN SN (x), avendo norma limitata dalla quantit`a aN ln N , ossia aN UN , converge a 0 in L1 (−π, π). Dato che la somma a destra convergePin L1 (−π, π), lo stesso vale per la somma a sinistra: in altre parole, 1 + f (x) = ∞ n=1 an sin nx nel senso di L (−π, π) . Pertanto per ogni m ∈ N si ha Z Z N X 1 π 1 π f (t) sin mt dt = lim an sin nt sin mt dt = am . N →∞ π −π π −π n=1 Teorema 3.14.26 Sia {an } una successione reale tale che (i) an & 0,

(ii) n(an − an+1 ) → 0,

(iii)

∞ X

n|an − 2an+1 + an+2 | < ∞

n=1

P P∞ 1 e sia f (x) = ∞ n=1 an cos nx. Allora f ∈ L (−π, π), la serie n=1 an cos nx `e la serie di Fourier di f , ma in generale tale serie non converge a f in L1 (−π, π). P Dimostrazione Come sappiamo, la somma della serie ∞ e n=1 an cos nx ` f (x) in R \ {2kπ}k∈Z e vale +∞ in {2kπ}k∈Z . Per 0 < |x| ≤ π si ha, applicando due volte l’identit`a di Abel, N X

an cos nx = aN CN (x) +

n=1

N −1 X

(an − an+1 )Cn (x) =

n=1

= aN CN (x) + (aN −1 − aN )GN −1 (x) + HN (x), 339


dove si `e posto CN (x) = GN (x) =

N X

PN

Cn (x),

n=1

cos nx = 12 (DN (x) − 1) e

HN (x) =

n=1

N −2 X

(an − 2an+1 + an+2 )Gn (x).

n=1

Notiamo che si ha, come osservato in precedenza, 1 |CN (x)| ≤

x

, sin

0 < |x| ≤ π,

2

e di conseguenza |GN (x)| ≤

1 N

x ,

2 sin 2

0 < |x| ≤ π.

Dunque, per N → ∞ si ricava aN CN (x) → 0 e (aN −1 − aN )GN −1 (x) → 0, da cui f (x) = lim HN (x) = N →∞

∞ X

(an − 2an+1 + an+2 )Gn (x),

0 < |x| ≤ π.

n=1

Osserviamo che questa serie converge nella norma di L1 (−π, π): infatti GN (x) =

N X 1 n=1

N

1X N +1 (Dn (x) − 1) = (Dn (x) − 1) = (FN (x) − 1), 2 2 n=0 2

da cui kGN k1 ≤

N +1 N +1 (kFN k1 + 1) ≤ (2π + 1) ≤ 8N 2 2

e quindi ∞ ∞ X X (a − 2a + a )G ≤ |an − 2an+1 + an+2 |kGn k1 ≤ n n+1 n+2 n n=N

1

≤8

∞ X

n=N

n|an − 2an+1 + an+2 | → 0 per N → ∞.

n=N

P Si conclude allora che la somma della serie ∞ n=1 (an − 2an+1 + an+2 )Gn (x), 1 cio`e f , appartiene a L (−π, π). P∞ Proviamo ora che la serie n=1 an cos nx, malgrado non ne sia stata provata 340


la convergenza in L1 (−π, π), `e la serie di Fourier di f . Consideriamo le due funzioni ausiliarie Z x N X an f (t) dt, x ∈ [−π, π]. sin nx, g(x) = gN (x) = n −π n=1 Osserviamo che gN `e continua e 2π-periodica, e che possiamo scrivere Z x Z xX N an cos nt dt = [aN CN (t)+(aN −1 −aN )GN −1 (t)+HN (t)] dt. gN (x) = −π n=1

−π

Passiamo al limite per N → ∞ in questa relazione: si ha Z x N X sin nx aN CN (t) dt = aN n −π n=1 e questa quantit`a `e infinitesima, essendo il prodotto di aN per una serie che converge puntualmente in virt` u del teorema 3.14.23; inoltre

Z x

(aN −1 − aN )GN −1 (t) dt

≤ (aN −1 − aN )kGN kL1 (−π,π) ≤

−π

≤ 8N (aN −1 − aN ) → 0, ed infine

Z

x

Z

x

HN (t) dt →

f (t) dt,

−π

−π

dato che HN → f in L1 (−π, π). Pertanto gN (x) =

N X an n=1

ossia Z

n

Z

f (t) dt = −π

Osserviamo adesso che la serie virt` u del lemma che segue:

f (t) dt per N → ∞, −π

x

g(x) =

x

sin nx →

∞ X an

n

n=1 P∞ an n=1 n

sin nx,

x ∈ [−π, π].

sin nx converge uniformemente, in

Lemma 3.14.27 P∞Sia {bn } una successione reale decrescente e infinitesima. Allora la serie n=1 bn sin nx converge uniformemente in R se e solo se la successione {nbn } `e infinitesima. 341


Dimostrazione (=⇒) Fissato N ≥ 2 si ha, posto k = N N X N bN nπ 1 X ≤ bn sin = bn ≤ π 2 sin 4 n=k+1 2N n=k+1

N

1

X

≤ b sin nx

n π

sin 4

n=k+1

π x= 2N

N , 2

N

X

≤ c sup

bn sin nx ,

x∈R

n=k+1

e l’ultimo membro tende a 0 per N → ∞. (⇐=) Posto h iBk = supn≥k nbn , si ha chiaramente Bk & 0. Per 0 < |x| ≤ π sia N =

N |x|

, cosicch´e

π N +1

< |x| ≤

π . N

Allora per m > N possiamo scrivere

m+N −1

X

X

X

bn sin nx ≤

bn sin nx +

bn sin nx = I + II;

n=m

n=m

n=m+N

d’altra parte I≤

m+N X−1

bn n|x| ≤ N |x|bm ≤ πBm ,

n=m

mentre, utilizzando ancora una volta l’identit`a di Abel,

X

II =

(bn − bn+1 )Sn (x) − bm+N Sm+N −1 (x) ≤

n=m+N

2 2π ≤

x

bm+N ≤ bm+N ≤ 2π(N + 1)bm+N ≤ 2πBm . |x| sin 2 Pertanto, qualunque sia x ∈ [−π, π] \ {0}, si ha

X

bn sin nx ≤ cBm → 0 per m → ∞,

n=m

e dunque la serie

P∞

n=1 bn

sin nx converge uniformemente.

Possiamo ora concludere la dimostrazione del teorema 3.14.26. Poich´e gn converge uniformemente a g, anzitutto anche g `e 2π-periodica e, in particolare, g(π) = 0. Inoltre per ogni m ∈ N+ si ha, in virt` u del teorema di 342


Fubini, Z π Z Z 1 π m π m f (t) cos mt dt = f (t) sin mxdx + (−1) dt = π −π π −π t Z Z x m π m = f (t)dt sin mx dx + (−1)m g(π) = π π Z π Z π −π −π m m = g(x) sin mx dx = lim gN (x) sin mx dx = π −π π N →∞ −π Z N N X X an m π m = lim an δnm = am , sin nx sin mx dx = lim N →∞ N →∞ n π n −π n=1 n=1 il che prova la tesi. Osservazione 3.14.28 I teoremi 3.14.26 e 3.14.25 valgono anche quando la successione {an } `e infinitesima, ma decrescente soltanto definitivamente: considerare, per un opportuno indice N0 ≥ 1, le serie P∞ si tratter`a di P ∞ n=N0 an cos nx e n=N0 an sin nx, che differiscono solo per un numero finito di termini (continui) da quelle originarie. Esempio 3.14.29 Consideriamo la successione an = ln1n , n ≥ 2, e completiamo per comodit`a la definizione ponendo a0 = a1 = 0. Questa successione `e (definitivamente) decrescente e infinitesima; inoltre essa verifica lim n(an − an+1 ) = 0,

n→∞

in quanto n ln 1 + n1 1 ≤ . n(an − an+1 ) = ln n ln(n + 1) (ln n)2 Proviamo che si ha anche

∞ X

1

2 1

<∞: n

− +

ln n ln(n + 1) ln(n + 2) n=1 possiamo scrivere, dopo facili calcoli, Z n+1 Z x+1 2 1 2 1 d 1 − + = dtdx = ln n ln(n + 1) ln(n + 2) dt2 ln t n x Z n+1 Z x+1 1 2 = + dtdx, t2 (ln t)2 t2 (ln t)3 n x 343


da cui

1

2 1 3

≤ − +

ln n ln(n + 1) ln(n + 2) n2 (ln n)2 .

Se ne deduce che

∞ ∞ X X

1

2 1 1

− + n

≤3 < ∞,

ln n ln(n + 1) ln(n + 2) n(ln n)2 n=1 n=1 che `e quanto si voleva. Pertanto per le funzioni dell’esempio 3.14.24 f (x) =

∞ X cos nx n=2

ln n

,

g(x) =

∞ X sin nx n=2

ln n

si hannoP i fatti seguenti: g appartiene a C([−π, π] \ {0}) ma non a L1 (−π, π) 1 (perch´e = +∞), la serie che definisce g `e la sua serie di Fourier, e la n ln n convergenza `e solo in senso puntuale; invece f appartiene a C([−π, π]\{0})∩ L1 (−π, π), la serie che definisce f `e la sua serie di Fourier ma la convergenza `e soltanto in senso puntuale. In tutti e due i casi la convergenza della serie `e anche uniforme in [−π, −δ] ∪ [δ, π] per ogni δ ∈ ]0, π[ .

Esercizi 3.14 1. Si verifichi che se f : R → C `e una funzione T -periodica e sommabile in [0, T ], allora Z a+T Z T f (t) dt = f (t) dt ∀a ∈ R. a

0

2. Nello spazio L2 (−π, π) poniamo P = {g ∈ L2 (−π, π) : g `e pari},

D = {h ∈ L2 (−π, π) : h `e dispari},

ove le propriet`a di essere “pari” e “dispari” si intendono verificate soltanto quasi ovunque. Si provi che: (i) P, D sono sottospazi di L2 (−π, π) fra loro ortogonali; (ii) per ogni f ∈ L2 (−π, π) esiste un’unica coppia di funzioni g, h tali che g ∈ P,

h ∈ D,

f (x) = g(x) + h(x) q.o. in [−π, π]. 344


3. Calcolare la somma delle seguenti serie per |a| < 1 e x ∈ R: ∞ ∞ ∞ ∞ X X X X an an (i) nan cos nx, nan sin nx, (ii) cos nx, sin nx. n n n=1 n=1 n=1 n=1 4. Sia f : [−π, π] → C una funzione derivabile, con f 0 ∈ L2 (−π, π), tale che f (−π) = f (π). Detti ck e γk i coefficienti di Fourier di f e f 0 rispetto alla famiglia {eikt }, si provi che γk = ik ck

∀k ∈ Z.

Che cosa cambia se si elimina la condizione f (−π) = f (π)? 5. Sia f : [−π, π] → C una funzione derivabile, con f 0 ∈ L2 (−π, π), tale che f (−π) = f (π). Si provi che alla serie di Fourier di f `e applicabile la proposizione 3.14.1, e che dunque essa converge uniformemente a f . 6. Calcolare la somma delle serie ∞ X n=1

1 , (2n + 1)2

∞ X (−1)n n=1

n2

.

7. Posto C# [−π, π] = {f ∈ C[−π, π] : f (−π) = f (π)}, si provi che lo spazio T dei polinomi trigonometrici `e denso nello spazio di Banach (C# [−π, π], k · k∞ ). [Traccia: Si dimostri che se g ∈ C 1 [−π, π] ∩ C# [−π, π] la serie di Fourier di g converge uniformemente, e poi si estenda il risultato, per densit`a, alle g ∈ C# [−π, π] utilizzando (ad esempio) i polinomi di Bernstein introdotti nella dimostrazione del teorema 1.7.9.] P 8. (Disuguaglianza di Bernstein) Sia P (x) = |k|≤N ck eikx un polinomio trigonometrico di grado al pi` u N. (i) Si mostri che P ha al pi` u 2N zeri in [0, 2π[. (ii) Posto M = kP k∞ e L = N1 kP 0 k∞ , si verifichi che non `e restrittivo ammettere che P 0 (0) = N L; si supponga che M < L, si definisca S(x) = L sin N x − P (x) e si provi quanto segue: (2r+1)π r > 0 per 0 ≤ r ≤ 2N − 1; (a) (−1) S 2N (b) S e S 0 hanno 2N zeri distinti in [0, 2π[; 345


(c) S 0 (0) = 0 e S 00 (0) = 0; (d) S 00 ha pi` u di 2N zeri distinti in [0, 2π[. (iii) Si concluda che L ≤ M e che quindi kP 0 k∞ ≤ N kP k∞ per ogni polinomio trigonometrico di grado al pi` u N. Rπ 9. Sia f ∈ L1 (−π, π) tale che −π f (x) xn dx = 0 per ogni n ∈ N. Si provi che f = 0. 10. Scrivere la serie di Fourier delle seguenti funzioni definite su [−π, π[: (i) f1 (x) = x2 , (iv) f4 (x) = 1,

(ii) f2 (x) = ex , (v) f5 (x) = (π − |x|)2 ,

(iii) f3 (x) = e−x , (vi) f6 (x) = sgn(x).

11. Si scriva l’identit`a di Bessel per ciascuna delle funzioni del precedente esercizio. 12. Sia f ∈ L2 (0, T /2), ove T > 0 `e un numero fissato, e siano F p , F d i prolungamenti pari e dispari di f all’intervallo [−T /2, T /2]. Si scrivano , sin 2πnt }, e le serie di Fourier di F p e F d relative al sistema {cos 2πnt T T 4πnt , sin }. In quale senso le tre quella di f rispetto al sistema {cos 4πnt T T serie verificano la propriet`a di miglior approssimazione? 13. Si provi che se f ∈ L2 (−π, π) allora, detti an e bn i coefficienti di Fourier di f , per ogni [a, b] ⊆ [−π, π] si ha Z b ∞ X an (sin nb − sin na) − bn (cos nb − cos na) a0 (b − a) + . f (t) dt = 2 n a n=1 14. Sia k ∈ N+ e sia f ∈ C k (R) una funzione 2π-periodica. Si provi che ∞ X

n2k (|an |2 + |bn |2 ) < ∞.

n=1

15. Sia f : R → R una funzione 2π-periodica, i cui coefficienti di Fourier an e bn verifichino ∞ X nk (|an | + |bn |) < ∞. n=1 k

Si provi che f ∈ C (R). 346


16. Sia f : R → R una funzione 2π-periodica. Si provi che f ∈ C ∞ (R) se e solo se limn→∞ nm (|an | + |bn |) = 0 per ogni m ∈ N. 17. Sia f : R → R una funzione 2π-periodica e α-h¨olderiana, con α ∈ ]0, 1[ : ci`o significa che esiste una costante M ≥ 0 tale che |f (t) − f (s)| ≤ M |t − s|α

∀t, s ∈ R.

Si provi che la serie di Fourier di f converge puntualmente a f . [Traccia: si ripeta, con le dovute modifiche, la dimostrazione del teorema di Dirichlet.] 18. Si provi che se f `e una funzione 2π-periodica e α-h¨olderiana, allora, detti ck i suoi coefficienti di Fourier, esiste M ≥ 0 tale che |k|α |ck | ≤ M per ogni k ∈ Z. 19. Si considerino le seguenti serie trigonometriche: (i)

∞ X

(iii)

−n

2

n=0 ∞ X

n

cos 4 x,

(ii)

3−n sin 3n x, (iv)

n=0

∞ X

A−n sin 3n x, A ∈ ]1, 3[ ,

n=0 ∞ X

2−n sin 2πn!x.

n=0

Si verifichi anzitutto che tutte queste serie convergono uniformemente in R; indichiamo con f1 , f2 , f3 e f4 le rispettive somme. (i) Si provi che f1 `e 21 -h¨olderiana ma non `e α-h¨olderiana per alcun α > 12 . (ii) Si mostri che, posto α = log3 A, f2 `e α-h¨olderiana ma non `e βh¨olderiana per alcun β > α. (iii) Si mostri che f3 `e α-h¨olderiana per ogni α ∈ ]0, 1[ , ma non `e lipschitziana. (iv) Si provi infine che f4 non `e α-h¨olderiana per alcun α ∈ ]0, 1[ . 20. Siano f, g ∈ L2 (−π, π); dopo averle prolungate a tutto R in modo 2π-periodico, si consideri l’ integrale di convoluzione Z π F (x) = f (x − t)g(t) dt, x ∈ [−π, π]. −π

Determinare il legame fra i coefficienti di Fourier di F e quelli di f e g; dedurne che la serie di Fourier di F converge uniformemente in [−π, π]. 347


21. Scrivere la serie di Fourier delle funzioni f (x) = sin ax,

x ∈ [−π, π],

g(x) = cos ax,

ove a `e un fissato numero reale non intero. 22. Utilizzando le serie di Fourier di f (x) = x2 e di g(x) = x4 , calcolare ∞ X 1 , n4 n=1

∞ X 1 , n6 n=1

∞ X 1 . n8 n=1

23. Calcolare per x ∈ [−π, π] la somma della serie ∞ X sin(2k + 1)x k=0

2k + 1

.

24. Provare la relazione 1 lim N →∞ π

Z 0

π

sin N t DN (t) − dt = 0, t

e dedurne che Z lim

x→∞

0

x

sin t dt = lim n→∞ t

Z 0

sin t π dt = . t 2

25. Scrivere la serie di Fourier della funzione ( 1 2 − 4 + x + 12 se x ∈ [−1, 0] f (x) = 2 1 − x − 12 se x ∈ [0, 1] 4 relativa al sistema {cos πnt, sin πnt}, e dedurne la relazione ∞ X (−1)n π3 = . (2n + 1)3 32 k+0

26. Sia f una funzione 2π periodica tale che la sua restrizione a ]0, 2π[ sia decrescente. Si provi che i suoi coefficienti di Fourier bn relativi ai seni sono non negativi. 348


27. Sia f una funzione 2π periodica tale che la sua restrizione a ]0, 2π[ sia convessa. Si provi che i suoi coefficienti di Fourier an relativi ai coseni sono non negativi. [Traccia: si utilizzi il fatto che i rapporti incrementali di f sono crescenti.] , x ∈ [−π, π]. 28. (Fenomeno di Gibbs) Sia f (x) = sgn(x) π−|x| 2 (i) Si provi che Z

x

SN (x) − f (x) =

DN (t) dt − 0

π 2

∀x ∈]0, π].

(ii) Se ne deduca che Z π π 2π 2π sin t SN dt − −f ≥ 2N + 1 2N + 1 t 2 0

∀N ∈ N+ .

(iii) Si concluda che per ogni δ > 0 si ha lim sup SN (x) − f (0+ ) > 0. N →∞

0<x≤δ

(iv) Sia g una funzione limitata definita su [−π, π] e derivabile in [−π, π] \ {ξ}, con g 0 ∈ L2 (−π, π) e g(−π) = g(π); supponiamo inoltre che nel punto ξ esistano finiti g(ξ + ), g(ξ − ), g 0 (ξ + ) e g 0 (ξ − ). Si dimostri che la serie di Fourier di g presenta il fenomeno di Gibbs nel punto ξ, vale a dire si provi che: (a) la funzione ∆(x) = g(x) −

π − |x − ξ| g(ξ + ) − g 0 (ξ − ) sgn(x − ξ) π 2

`e continua in [−π, π]; (b) la serie di Fourier di ∆ converge uniformemente in [−π, π]; (c) le somme parziali SN della serie di Fourier di g verificano, per ogni δ > 0, lim

sup |SN (x) − g(ξ + )| > 0,

lim

sup |SN (x) − g(ξ − )| > 0.

N →∞ ξ<x<ξ+δ

N →∞ ξ−δ<x<ξ

349


29. Sia f una funzione 2π-periodica tale che f ∈ Lp (−π, π), 1 ≤ p < ∞. Si provi che le somme di Fej´er di f convergono a f in Lp (−π, π). 30. Sia f ∈ L1 (−π, π) PNe sia Σan sin nx la sua serie di Fourier. Si provi che le somme parziali n=1 an sin nx sono limitate da un’opportuna costante M per ogni x ∈ R e per ogni N ∈ N+ se e solo se la successione {nan } `e limitata.

3.15

Il metodo di separazione delle variabili

L’uso delle serie di Fourier permette di risolvere svariati problemi ai limiti per equazioni alle derivate parziali che provengono dalla fisica matematica. Consideriamo, come primo esempio, l’equazione del calore ∂ 2u ∂u = α2 2 , x ∈]0, `[, t > 0, ∂t ∂x che descrive matematicamente il processo di conduzione del calore ed altri fenomeni diffusivi. Data una sottile asta metallica di lunghezza `, isolata termicamente, se indichiamo con u(x, t) la temperatura dell’asta nel punto x all’istante t, la funzione u soddisfa l’equazione sopra scritta; la costante α2 `e il coefficiente di diffusione termica e dipende solo dal materiale costitutivo dell’asta. Per conoscere la temperatura lungo l’asta ad ogni istante, occorre conoscere: (a) la distribuzione iniziale di temperatura: u(x, 0) = f (x),

x ∈ [0, `];

(b) le condizioni alle estremit`a dell’asta: essendo termicamente isolata, essa ricever`a o ceder`a calore soltanto attraverso le sue estremit`a. Potremo richiedere, ad esempio, che tali estremit`a vengano mantenute a temperatura costante, quindi nulla rispetto ad un’opportuna unit`a di misura: u(0, t) = u(`, t) = 0 ∀t > 0, oppure che esse siano isolate, in modo da non poter essere attraversate da flussi di calore: ∂u ∂u (0, t) = (`, t) = 0 ∀t > 0; ∂x ∂x altre condizioni ancora sono possibili. 350


Consideriamo dunque il problema di Cauchy-Dirichlet  2 ∂u  2∂ u  = α in ]0, `[×]0, ∞[   ∂t ∂x2 u(0, t) = u(`, t) = 0, t ≥ 0,     u(x, 0) = f (x), x ∈ [0, `], ove f : [0, `] → R `e una funzione continua assegnata. Poich´e u rappresenta una temperatura, ci interessano soluzioni reali, che richiederemo continue in 2 e ∂∂xu2 siano continue in ]0, `[×]0, ∞[. Il metodo di [0, `] × [0, ∞[ e tali che ∂u ∂t separazione delle variabili consiste nel ricercare una soluzione u della forma speciale u(x, t) = X(x) · T (t), con X : [0, `] → R e T : [0, ∞[→ R funzioni regolari non nulle da determinare. Imponendo che X · T risolva l’equazione differenziale si trova X(x)T 0 (t) = α2 X 00 (x)T (t)

∀x ∈]0, `[, ∀t > 0,

da cui

T 0 (t) X 00 (x) = 2 ∀x ∈]0, `[, ∀t > 0. X(x) α T (t) Poich´e il primo membro `e indipendente da t e il secondo `e indipendente da x, esiste λ ∈ R tale che T 0 (t) X 00 (x) =λ= 2 X(x) α T (t)

∀x ∈]0, `[, ∀t > 0;

inoltre dalle condizioni u(0, t) = u(`, t) = 0 si ricava X(0) = X(`) = 0. La funzione X deve dunque risolvere il problema 00 X (x) = λX(x), x ∈]0, `[, X(0) = X(`) = 0. Questo problema ha sempre la soluzione nulla, ma per certi valori di λ (gli autovalori del problema) esso ha soluzioni non nulle (i corrispondenti autovettori): pi` u precisamente si ha la situazione seguente. • Se λ = 0, la soluzione generale dell’equazione X 00 = 0 `e X(x) = Ax + B,

A, B ∈ R,

ma dalle condizioni X(0) = X(`) = 0 segue subito A = B = 0. 351


• Se λ > 0, la soluzione generale `e √

X(x) = A e

λx

+ B e−

λx

A, B ∈ R,

,

e nuovamente le condizioni agli estremi A+B = 0, A e ci dicono che A = B = 0.

λ`

+B e−

λ`

=0

• Se λ < 0, la soluzione generale `e √ √ A, B ∈ R, X(x) = A cos −λx + B sin −λx, √ con le condizioni A = 0, B sin −λ` = 0: quindi `e A = B = 0, oppure √ 2 2 −λ` = kπ per qualche k ∈ Z \ {0}, cio`e λ = − n`2π per qualche n ∈ N+ , nel qual caso A `e nullo ma B `e arbitrario. Si trova allora la soluzione, che denotiamo con Xn , Xn (x) = Bn sin

nπx , `

x ∈ [0, `],

ove Bn `e una costante arbitraria. Adesso andiamo a risolvere la seconda equazione per i valori di λ che sono 2 2 stati selezionati, cio`e per λ = − n`2π , n ∈ N+ . La soluzione generale, che denotiamo con Tn , dell’equazione n2 π 2 α2 T (t), T (t) = − `2 0

`e data da Tn (t) = Dn e−

n 2 π 2 α2 t `2

,

t > 0,

t > 0,

ove Dn `e una costante arbitraria. In definitiva, per ogni n ∈ N+ abbiamo una candidata soluzione per il nostro problema di Cauchy-Dirichlet, che `e un (x, t) = Xn (x)Tn (t) = Cn e−

n 2 π 2 α2 t `2

sin

nπx , `

(x, t) ∈ [0, `]×]0, ∞[,

ove la costante Cn = Bn Dn `e arbitraria. L’equazione differenziale `e certamente verificata, come pure la condizione agli estremi. Occorre ora verificare la condizione iniziale u(x, 0) = f (x). Dato che un (x, 0) = Cn sin nπx , `e naturale a questo punto utilizzare il principio di `

352


sovrapposizione ed anzi estenderlo al caso di infiniti addendi; consideriamo dunque la serie ∞ ∞ X X nπx , un (x, 0) = Cn sin ` n=1 n=1 ed imponiamo che essa coincida con la serie di Fourier, di soli seni, relativa al prolungamento dispari di f all’intervallo [−`, `] ( si veda l’esempio 3.14.16 (2) e l’esercizio 3.14.12). La serie di Fourier di questo prolungamento `e Z ∞ X nπx 2 ` nπt bn sin , ove bn = f (t) sin dt ∀n ∈ N+ . ` ` ` 0 n=1 La convergenza di questa serie verso f si ha, a priori, solo in L2 (−`, `), e non in senso puntuale. Tuttavia, se si sceglie Cn = bn per ogni n ∈ N+ , almeno formalmente la funzione u(x, t) =

∞ X n=1

un (x, t) =

∞ X

bn e −

n 2 π 2 α2 t `2

n=1

sin

nπx , `

(x, t) ∈ [0, `] × [0, ∞[

risolve il problema di Cauchy-Dirichlet. Ma lo risolve davvero? Per ogni fissato t > 0 la serie che definisce u(x, t) `e uniformemente convergente in [0, `], in virt` u della presenza dell’esponenziale negativa. Anzi, sempre grazie all’esponenziale, u appartiene a C ∞ ([0, `]×]0, ∞[), e le sue derivate si ottengono derivando termine a termine la serie di u(x, t); ne segue facilmente che u risolve l’equazione differenziale ut − α2 uxx in [0, `]×]0, ∞[, e che verifica le condizioni u(0, t) = u(`, t) = 0 per ogni t > 0. Per quanto riguarda la condizione u(x, 0) = f (x), essa sar`a certamente verificata se la serie di Fourier di f converge uniformemente in [0, `]: quindi supponendo, per esempio, che f ∈ C 1 [0, `] con f (0) = f (`) = 0, otteniamo che u `e continua in [0, `] × [0, ∞[ ed `e davvero soluzione del problema di Cauchy-Dirichlet. Si pu`o anche provare che u `e l’unica soluzione del problema: infatti se v `e un’altra soluzione (con la stessa regolarit`a di u) del medesimo problema, la funzione w = u − v risolver`a  2 ∂w  2∂ w  = α in ]0, `[×]0, ∞[   ∂t ∂x2 w(0, t) = w(`, t) = 0, t ≥ 0     w(x, 0) = 0, x ∈ [0, `]. 353


Allora per ogni t > 0, moltiplicando l’equazione per w(x, t) ed integrando rispetto a x su [0, `], si ha Z ` Z ` ∂w ∂ 2w 2 w(x, t) (x, t) dx = α w(x, t) 2 (x, t) dx, ∂t ∂x 0 0 ossia, dato che w(0, t) = w(`, t) = 0, 2 Z ` Z ∂w 1 ` ∂ 2 2 w(x, t) dx = −α (x, t) dx; 2 0 ∂t ∂x 0 portando la derivata fuori dall’integrale (esercizio 3.10.15) si ricava 2 Z Z ` 1d ` ∂w 2 2 w(x, t) dx = −α (x, t) dx ≤ 0 ∀t > 0. 2 dt 0 ∂x 0 R` Perci`o la funzione t 7→ 12 0 w(x, t)2 dx `e decrescente e non negativa in [0, ∞[. Ma per t = 0 essa `e nulla, e dunque Z ` w(x, t)2 dx = 0 ∀t ≥ 0. 0

La continuit`a di x 7→ w(x, t) implica allora w(x, t) = 0

∀(x, t) ∈ [0, `] × [0, ∞[,

cio`e u ≡ v. Osservazione 3.15.1 In modo analogo si studia il problema di CauchyNeumann  2   ∂u = α2 ∂ u in ]0, `[×]0, ∞[    ∂x2  ∂t ∂u ∂u (0, t) = (`, t) = 0, t ≥ 0    ∂x ∂x    u(x, 0) = f (x), x ∈ [0, `] (si veda l’esercizio 3.15.1). Il metodo di separazione delle variabili si applica anche allo studio di un altro problema delle fisica matematica, relativo all’equazione delle onde, o di D’Alembert 2 ∂ 2u 2∂ u = c , (x, t) ∈]0, `[×]0, ∞[, ∂t2 ∂x2 354


e cio`e la propagazione vibratoria, che riguarda l’analisi delle vibrazioni di una corda tesa di lunghezza `. La funzione u(x, t) rappresenta lo spostamento verticale all’istante t del punto della corda di ascissa x, rispetto alla posizione di riposo u = 0; la costante c2 `e legata all’elasticit`a della corda, quindi alla sua tensione oltre che al materiale costitutivo della corda stessa. Per determinare i movimenti della corda al tempo t, occorre assegnare: (a) posizione e velocit`a iniziali della corda, u(x, 0) e

∂u (x, 0); ∂t

(b) la legge con cui si muovono le estremit`a della corda. Noi supporremo che gli estremi siano fissi, u(0, t) = u(`, t) = 0, ma solo per semplicit`a. Vogliamo quindi determinare la soluzione del problema di Cauchy-Dirichlet per l’equazione delle onde:  2 2 ∂ u  2∂ u  = c in ]0, `[×]0, ∞[   ∂x2  ∂t2 u(0, t) = u(`, t) = 0, t≥0      u(x, 0) = f (x), ∂u (x, 0) = g(x), x ∈ [0, `], ∂t ove f, g : [0, `] → R sono funzioni continue assegnate. Ci interessano soluzioni reali di classe C 2 (]0, `[×]0, ∞[), con u e ut continue in [0, `]×[0, ∞[. Cercando soluzioni non nulle a variabili separate, u(x, t) = X(x) · T (t), si trova, come nel caso precedente, T 00 (t)X(x) = c2 T (t)X 00 (x), da cui

X 00 (x) T 00 (t) = 2 = λ, λ ∈ R opportuno. X(x) c T (t) Risolvendo il problema 00 X (x) = λX(x), x ∈]0, `[ X(0) = X(`) = 0 2 2

si trova una soluzione non nulla soltanto per λ = − n`2π , n ∈ N+ , data da Xn (x) = Bn sin

nπx , ` 355

Bn ∈ R;


risolvendo l’equazione T 00 (t) = −

n 2 π 2 c2 T (t), `2

t ∈]0, ∞[,

si trovano le soluzioni Tn (t) = Pn cos

nπct nπct + Qn sin , ` `

Pn , Qn ∈ R.

Dunque una candidata soluzione del problema di Cauchy-Dirichlet `e nπct nπct nπx un (x, t) = Cn cos + Dn sin , Cn , Dn ∈ R. sin ` ` ` Dovendo imporre le condizioni iniziali u(x, 0) = f (x) e ut (x, 0) = g(x), `e naturale considerare le serie di Fourier di f e di g di soli seni (dopo aver prolungato entrambe le funzioni a [−`, `] per disparit`a); se ∞ X

nπx , f (x) = bn sin ` n=1

g(x) =

∞ X

βn sin

n=1

nπx `

(ove P∞ l’uguaglianza vale nel senso della norma k · k2 ), allora ponendo u(x, t) = n=1 un (x, t) e scegliendo C n = bn ,

Dn =

` βn nπc

∀n ∈ N+

si ha, almeno formalmente, ∞ X

nπx bn sin u(x, 0) = = f (x), ` n=1

X nπx ∂u βn sin (x, 0) = = g(x), ∂t ` n=1

e dunque il problema di Cauchy-Dirichlet ha come soluzione formale la funzione ∞ X nπct ` nπct nπx u(x, t) = bn cos + βn sin sin . ` nπc ` ` n=1 La u `e davvero soluzione? Se imponiamo che ∞ X

∞ X

n2 |bn | < ∞,

n=1

n=1

356

n|βn | < ∞,


allora `e facile vedere che u ha derivate seconde continue in [0, `] × [0, ∞[ e che risolve l’equazione differenziale e le condizioni ai limiti, cosicch´e risolve davvero il problema. L’ipotesi sulla convergenza delle due serie `e certamente soddisfatta, in virt` u dell’esercizio 3.14.5, se si suppone f ∈ C 1 [0, `], f (0) = f (`) = 0, g ∈ C 2 [0, `], g(0) = g(`) = 0. Si noti che possiamo scrivere u(x, t) nella forma " ∞ nπ nπ 1X bn sin (x − ct) + sin (x + ct) + u(x, t) = 2 n=1 ` ` # nπ ` nπ + βn cos (x − ct) − cos (x + ct) . nπc ` ` Anche per questo problema si ha l’unicit`a della soluzione: infatti tutte le soluzioni del problema sono necessariamente della forma α(x − ct) + β(x + ct) (esercizio 3.15.2), per cui se v `e un’altra soluzione (regolare), la differenza w = u − v risolve  2 2 ∂ w  2∂ w   = c in ]0, `[×]0, ∞[   ∂x2  ∂t2 w(0, t) = w(`, t) = 0, t≥0     ∂w   w(x, 0) = 0, (x, 0) = 0, x ∈ [0, `]. ∂t D’altra parte deve essere w(x, t) = α(x − ct) + β(x + ct) con α ∈ C 2 (] − ∞, `[) ∩ C 1 (] − ∞, `]) e β ∈ C 2 (]0, ∞[) ∩ C 1 ([0, ∞[), e dalle condizioni ai limiti si ha α(−ct) + β(ct) = 0, α(x) + β(x) = 0,

α(` − ct) + β(` + ct) = 0 ∀t ≥ 0, −cα0 (x) + β 0 (x) = 0 ∀x ∈ [0, `].

Le prime due condizioni ci dicono che α e β sono 2`-periodiche: infatti, se ξ − ` ≥ 0 si ha β(ξ − `) = −α(` − ξ) = β(` + ξ), ovvero, posto η = ξ − ` ≥ 0, β(η) = −α(−η) = β(η + 2`) ∀η ≥ 0; 357


da qui segue poi α(−ξ) = −β(ξ) = −β(ξ + 2`) = α(−ξ − 2`) ∀ξ ≥ 0, ed anche, posto ζ = ` − ξ ≤ `, α(ζ) = α(`−ξ) = −β(`+ξ) = −β(3`+ξ) = α(−3`−ξ) = α(ζ −2`) ∀ζ ≤ `. Inoltre, derivando, si ottiene α0 (x) + β 0 (x) = 0 per ogni x ∈ [0, `], da cui segue α0 ≡ β 0 ≡ 0 in [0, `]. Perci`o α e β sono funzioni costanti, con α(x) = A = −β(x), per ogni x ∈ [0, `]. D’altra parte se ξ ∈ [0, `] troviamo α(−ξ) = −β(ξ) = A, ossia α(x) = A per x ∈ [−`, `] e analogamente β(` + ξ) = −α(` − ξ) = −A, ossia β(x) = −A per x ∈ [0, 2`]. Questi due fatti, insieme alla 2`-periodicit`a, ci dicono fnalmente che α(x) = A ∀x ∈ ] − ∞, `],

β(x) = −A ∀x ∈ [0, ∞[ ,

e pertanto w = α + β = 0, ossia u ≡ v.

Esercizi 3.15 P nπx `e la serie di 1. Si provi che se f ∈ C 1 [0, `] e se a20 + ∞ n=1 an cos ` Fourier relativa al prolungamento pari di f a [−`, `], allora il problema di Cauchy-Neumann  2 ∂u  2∂ u  = α in ]0, `[×]0, ∞[    ∂x2  ∂t ∂u ∂u (0, t) = (`, t) = 0, t ∈ [0, ∞[    ∂x ∂x    u(x, 0) = f (x), x ∈ [0, `] ha l’unica soluzione ∞

n 2 π 2 α2 t a0 X nπx u(x, t) = + an e− `2 cos . 2 ` n=1

2. Si provi che ogni soluzione dell’equazione delle onde 2 ∂ 2u 2∂ u = c , ∂t2 ∂x2

358

x ∈ ]a, b[ , t > 0,


`e della forma u(x, t) = α(x − ct) + β(x + ct) con α ∈ C 2 (] − ∞, b[) ∩ C 1 (] − ∞, b]), β ∈ C 2 (]a, ∞[) ∩ C 1 ([a, ∞[). [Traccia: posto ξ = x − ct, η = x + ct, si verifichi che nelle variabili ∂2v = 0...] (ξ, η) l’equazione differenziale assume la forma ∂ξ∂η 3. Siano f, g funzioni continue definite su [0, `], nulle agli estremi, e siano F, G i rispettivi prolungamenti per disparit`a a [−`, `]. Si verifichi che la soluzione u del problema di propagazione vibratoria tale che u(x, 0) = f (x) e ut (x, 0) = g(x) si pu`o scrivere nella forma Z 1 1 x+ct u(x, t) = [F (x − ct) + F (x + ct)] + G(s) ds 2 2c x−ct (in accordo con l’esercizio 3.15.2.) 4. Utilizzando il metodo di separazione delle variabili si determini una soluzione formale del problema di Dirichlet per l’equazione di Laplace in un rettangolo [0, a] × [0, b]:  ∂ 2u ∂ 2u   + =0 in ]0, a[×]0, b[ ∆u =   ∂x2 ∂y 2 u(x, 0) = u(x, b) = 0, x ∈ [0, a]     u(0, y) = 0, u(a, y) = f (y), y ∈ [a, b]. Si formulino poi ipotesi appropriate sul dato f affinch´e la soluzione u sia non solo formale ma effettiva. 5. Si provi che se Ω ⊂ RN `e un arbitrario aperto limitato, allora per ogni f ∈ C(Ω) il problema di Dirichlet  N X  ∂ 2u  ∆u = = 0 in Ω i )2 ∂(x i=1   u=f su ∂Ω ha al pi` u una soluzione u ∈ C 2 (Ω) ∩ C(Ω). [Traccia: se u, v sono soluzioni, allora occorre provare che w = u − v `e nulla in Ω. Fissato x0 ∈ ∂Ω, si considerino le funzioni ϕ(x) = w(x) + ε|x − x0 |2N , ψ(x) = w(x) − ε|x − x0 |2N e si provi che maxΩ w e minΩ w sono assunti in punti di ∂Ω. Se ne deduca che max w ≤ max ϕ + εd2 , Ω

∂Ω

min w ≥ min ϕ − εd2 , Ω

359

∂Ω


ove d `e il diametro di Ω, ossia d = sup{|x − y|N : x, y ∈ Ω}; se ne deduca la tesi.] 6. Si consideri l’operatore di Laplace ∆ in BR = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < R2 }. (i) Posto x = r cos ϑ, y = r sin ϑ, si verifichi che, definendo v(r, ϑ) = u(r cos ϑ, r sin ϑ), risulta ∂ 2v 1 ∂ 2v 1 ∂v (r, ϑ). (r, ϑ) + (r, ϑ) + 2 2 2 ∂r r ∂ϑ r ∂r (ii) Data f ∈ C[0, 2π] con f (0) = f (2π), si ricerchi una soluzione del problema di Dirichlet  2 2  ∂ v + 1 ∂ v + 1 ∂v = 0 in ]0, R[×[0, 2π] ∂r2 r2 ∂ϑ2 r ∂r  v(R, ϑ) = f (ϑ), ϑ ∈ [0, 2π] ∆u(x, y) =

nella forma ∞

a0 (r) X v(r, ϑ) = + (an (r) cos nϑ + bn (r) sin nϑ) , 2 n=1 e si provi che i coefficienti di Fourier an (r) e bn (r) verificano 0 2 l’equazione differenziale x00 (r) + x r(r) − n rx(r) = 0 in ]0, R[. 2 (iii) Si verifichi che la soluzione generale dell’equazione differenziale precedente `e c + d ln r se n = 0 x(r) = n −n cr + dr se n ≥ 1; sfruttando la continuit`a di an (r) e bn (r) per r = 0, si deduca che a0 (r) = A0 , an (r) = An rn e bn (r) = Bn rn e si determinino le costanti A0 , An , Bn utilizzando la condizione v(R, ϑ) = f (ϑ). (iv) Dedurre che la soluzione v del problema di Dirichlet `e formalmente esprimibile sotto forma di integrale di Poisson: # " Z 2π ∞ X n 1 1 r v(r, ϑ) = f (α) + cos n(ϑ − α) dα = π 0 2 n=1 R Z 2π 1 R2 − r 2 = f (α) 2 dα. 2π 0 R − 2Rr cos(ϑ − α) + r2 360


Capitolo 4 Variet` a 4.1

Curve

Come abbiamo visto nel capitolo 1, uno dei modi possibili di definire una variet`a `e il seguente, fondato sul teorema del Dini (teorema 1.9.6): Definizione 4.1.1 Un insieme M ⊆ RN `e una variet`a r-dimensionale di classe C k (ove k ∈ N oppure k = ∞) se, per ogni suo punto x0 , `e possibile determinare un intorno U di x0 in RN ed un’applicazione F : U → RN −r , di classe C k , con DF(x0 ) di rango N − r, tale che M ∩ U = {x ∈ U : F(x) = 0}. Una definizione pi` u precisa sar`a data nel paragrafo 4.10. In effetti studieremo oggetti, che impropriamente denoteremo ancora variet`a, un po’ pi` u generali: si tratter`a spesso di insiemi chiusi, in generale dotati di “bordo” in un senso opportuno (si pensi, ad esempio, ad un segmento di RN contenente i propri estremi, oppure ad una superficie cilindrica delimitata da due piani ad essa perpendicolari, contenente le proprie circonferenze “estreme”). Le prime variet`a che andiamo a studiare sono le pi` u semplici: quelle di dimensione 1, vale a dire le curve. L’idea intuitiva di curva si ha immaginando un punto materiale che si muova nello spazio con un grado di libert`a: la traiettoria che esso descrive `e una curva. Dal punto di vista matematico, la definizione `e la seguente: Definizione 4.1.2 Una curva in RN `e un’applicazione continua ϕ : I → RN , ove I `e un intervallo di R, limitato o no. Diciamo che la curva `e di classe 361


C k (ove k ∈ N oppure k = ∞) se si ha ϕ ∈ C k (I, RN ). L’insieme immagine di ϕ, Γ = ϕ (I) = {x ∈ RN : x = ϕ (t), t ∈ I}, si dice sostegno della curva ϕ ; su di esso viene indotta un’ orientazione per mezzo dell’orientazione naturale di I. Se in particolare I = [a, b], i punti ϕ (a) e ϕ(b) sono il primo e il secondo estremo della curva; quando i due estremi coincidono, cio`e ϕ (a) = ϕ (b), la curva si dice chiusa. Le N equazioni xi = ϕi (t),

t ∈ I,

i = 1, . . . , N

si dicono equazioni parametriche della curva: si dice anche che il sistema x = ϕ (t), t ∈ [a, b], costituisce una parametrizzazione della curva. Diciamo poi che una curva `e semplice se si ha ϕ (t) 6= ϕ (s) per ogni t, s ∈ I, ◦

con uno almeno fra t e s interno ad I (e dunque la curva `e iniettiva in I). La curva `e detta regolare se ϕ `e di classe C 1 ed inoltre ϕ 0 (t) 6= 0 per ogni t ∈ I. Diciamo poi che una curva ϕ `e di classe C 1 a tratti, o regolare a tratti, se ϕ `e di classe C 0 ed inoltre `e possibile decomporre I in un numero finito di intervalli adiacenti I1 , I2 , . . . , Im in modo che ϕ |Ih sia una curva di classe C 1 , o regolare, per h = 1, . . . , m. Come vedremo, le propriet`a delle curve regolari, o regolari a tratti, si traducono in propriet`a geometriche del sostegno, il quale, in queste ipotesi, almeno localmente (esclusi gli estremi) sar`a, come vedremo, una variet`a 1-dimensionale in RN . Esempi 4.1.3 (1) Sia ϕ (t) = x0 + tv, t ∈ R, ove x0 e v sono fissati elementi di RN con v 6= 0. Il sostegno di ϕ `e la retta per x0 parallela a v, percorsa secondo il verso di v. La curva `e semplice, di classe C ∞ e regolare, in quanto ϕ 0 (t) = v per ogni t ∈ R. Se invece v = 0, la curva `e costante e il suo sostegno `e {x0 }. (2) Sia ϕ (t) = (cos mt, sin mt), t ∈ [0, 2π], ove m ∈ N+ `e fissato. La curva `e di classe C ∞ e chiusa, il suo sostegno `e la circonferenza unitaria di R2 , percorsa m volte in verso antiorario; la curva `e semplice se e solo se m = 1. 362


Dato che ϕ0 (t)|2 = |ϕ

p m2 (− sin mt)2 + m2 (cos mt)2 = m

∀t ∈ [0, 2π],

la curva `e regolare. (3) (Curve cartesiane) Fissata f ∈ C[a, b], il grafico di f `e sostegno della curva in R2 di classe C 0 di equazioni parametriche ϕ : x = x,

y = f (x),

x ∈ [a, b];

se f ∈ C 1 [a, b] la curva `e regolare, poich´e p ϕ0 (x)|2 = 1 + f 0 (x)2 > 0 |ϕ ∀x ∈ [a, b]. (4) (Curve in coordinate polari) L’equazione ρ = g(ϑ),

ϑ ∈ I,

con g ∈ C(I) e g ≥ 0, descrive la curva ϕ in R2 di equazioni parametriche x = g(ϑ) cos ϑ,

y = g(ϑ) sin ϑ,

ϑ ∈ I;

se inoltre g ∈ C 1 (I) e g > 0, oppure g 0 6= 0, la curva `e regolare, poich´e si verifica facilmente che p ϕ(ϑ)|2 = g 0 (ϑ)2 + g(ϑ)2 > 0 |ϕ ∀ϑ ∈ I. Ad esempio l’equazione polare ρ = ϑ, ϑ ≥ 0, descrive una spirale infinita, percorsa in verso antiorario, uscente dall’origine.

363


(6) Sia ϕ (t) = (t, |t|), t ∈ R. Questa `e una curva cartesiana, con sostegno il grafico di f (x) = |x|, ed `e regolare a tratti ma non regolare. Infatti, sebbene ϕ 0 (0) non esista, le restrizioni di ϕ alle due semirette ] − ∞, 0] e [0, ∞[ sono curve regolari, dato che f |]−∞,0] e f |[0,∞[ sono funzioni di classe C 1 . Osserviamo che la curva ψ (τ ) = (τ 3 , |τ |3 ), τ ∈ R, ha lo stesso sostegno di ϕ , ed `e di classe C 1 ; tuttavia ψ non `e regolare perch´e ψ 0 (0) = 0. Dunque, il sostegno di una curva di classe C 1 pu`o contenere punti angolosi. Ci`o invece non pu`o accadere, come vedremo, per le curve regolari. L’idea geometrica di curva appare pi` u legata al sostegno che alla parametrizzazione: in sintonia con questa intuizione, introduciamo un’importante relazione di equivalenza fra curve. Definizione 4.1.4 (i) Siano I, J intervalli di R e siano ϕ : I → RN e ψ : J → RN due curve di classe C r , con r ≥ 0. Diciamo che ϕ e ψ sono equivalenti se esiste una funzione bigettiva p : J → I tale che p e p−1 siano di classe C r (dunque, se r ≥ 1, p `e un diffeomorfismo di classe C r ) e che risulti ψ (τ ) = ϕ (p(τ )) ∀τ ∈ J. (ii) Supponiamo, in pi` u, che le curve ϕ e ψ siano chiuse. Diciamo che ϕ ψ e sono equivalenti a tratti se esiste un numero finito m di sottointervalli I1 , . . . , Im di I e di sottointervalli J1 , . . . , Jm di J, tali che: (a) I1 , . . . , Im sono intervalli adiacenti la cui unione `e I, mentre J1 , . . . , Jm sono intervalli adiacenti la cui unione `e J; (b) per h = 1, . . . , m le restrizioni ϕ |Ih e ψ |Jh sono curve fra loro equivalenti. Si verifica facilmente che l’equivalenza fra curve, cos`ı come l’equivalenza a tratti fra curve chiuse, costituisce una relazione di equivalenza nella classe di tutte le curve di classe C r in RN . Inoltre, due curve chiuse equivalenti sono anche equivalenti a tratti, mentre il viceversa non `e vero (si veda l’esempio 4.1.5 (4) che segue). Osserviamo che due curve equivalenti, o equivalenti a tratti, hanno necessariamente lo stesso sostegno; inoltre, dovendo essere p0 (τ ) 6= 0 per ogni τ ∈ J, se ϕ `e regolare anche ogni curva ψ ad essa equivalente lo `e, dato che ψ 0 (τ ) = ϕ 0 (p(τ )) p0 (τ ). L’orientazione di ψ coincide con quella di ϕ se p0 > 0 in J, `e l’opposta se p0 < 0 in J.

364


Esempi 4.1.5 (1) La funzione p : [a, b] → [a, b] data da p(τ ) = a + b − τ `e bigettiva, con p, p−1 di classe C ∞ . Dunque ogni curva ϕ : [a, b] → RN `e equivalente alla curva ψ (τ ) = ϕ (a + b − τ ), che ha verso opposto a quello di ϕ . Si dice che ψ `e l’ opposta di ϕ . (2) Le due curve del piano ϕ (t) = (cos t, sin t),

t ∈ [0, 2π],

e ψ (τ ) = (cos 2τ, sin 2τ ),

τ ∈ [0, 2π],

pur avendo lo stesso sostegno non sono equivalenti, perch´e la prima `e semplice mentre la seconda no. (3) Sia ϕ : [0, π] → R2 , ϕ (t) = (cos t, sin t); il sostegno di ϕ `e la semicirconferenza Γ = {(x, y) : y√≥ 0, x2 + y 2 = 1}. La curva cartesiana (di verso opposto) ψ (x) = (x, 1 − x2 ), x ∈ [−1, 1], `e equivalente a ϕ come curva di classe C 0 , ma non lo `e come curva di classe C 1 , perch´e ϕ `e di classe ψ 0 (±1)|2 = +∞). Il cambiamento di parametro `e C 1 mentre ψ no (si ha |ψ t = p(x) = arccos x, x ∈ [−1, 1], che non `e derivabile negli estremi. (4) Le due curve regolari ϕ (t) = (cos t, sin t), t ∈ [0, 2π], ψ (τ ) = (cos(τ + π), sin(τ + π)), τ ∈ [0, 2π], pur essendo semplici e avendo lo stesso sostegno non sono equivalenti: infatti si ha evidentemente ψ (τ ) = ϕ (τ + π), ma il diffeomorfismo p(τ ) = τ + π non manda [0, 2π] in s´e. Le due curve sono per`o equivalenti a tratti, perch´e sono chiuse ed inoltre ϕ |[0,π] `e equivalente a ψ |[π,2π] e ϕ |[π,2π] `e equivalente a ψ |[0,π] . In effetti, affinch´e due curve regolari, semplici e chiuse ϕ : [a, b] → RN e ψ : [c, d] → RN siano equivalenti (e non solo equivalenti a tratti) `e necessario che risulti ϕ (a) = ϕ (b) = ψ (c) = ψ (d). Come vedremo, questa condizione `e anche sufficiente.

Retta tangente a una curva regolare Abbiamo gi`a osservato che le curve regolari, o regolari a tratti, hanno particolare interesse dal punto di vista geometrico: per esse, infatti, il vettore derivata in ciascun punto ha un significato geometrico legato alla esistenza della retta tangente al sostegno. Sia ϕ : I → RN una curva regolare. Consideriamo due punti distinti t0 , t1 ∈ I: 365


la retta passante per ϕ (t0 ) e ϕ (t1 ) ha equazioni parametriche x = ϕ (t0 ) + (t − t0 )

ϕ (t1 ) − ϕ (t0 ) , t1 − t0

t ∈ R.

Facendo tendere t1 a t0 si ottiene la retta limite x = ϕ (t0 ) + ϕ 0 (t0 )(t − t0 ),

t ∈ R,

che, per definizione, si chiama retta tangente a Γ = ϕ (I) nel punto ϕ (t0 ). Questa definizione `e giustificata dal fatto che tale retta `e l’unica, fra tutte quelle passanti per ϕ(t0 ), dunque della forma x = ϕ (t0 ) + v (t − t0 ),

t ∈ R,

per la quale risulti ϕ(t) − ϕ (t0 ) − v (t − t0 )|N = o(t − t0 ) per t → t0 ; |ϕ infatti ci`o accade, per definizione di derivata, se e solo se v = ϕ 0 (t0 ). Si noti che questa argomentazione ha senso se e solo se ϕ 0 (t0 ) 6= 0, e questo `e il motivo per cui `e necessario supporre ϕ regolare. Il ragionamento funziona anche se ϕ `e regolare a tratti, pur di prendere t0 interno ad uno dei sottointervalli di regolarit`a: invece ϕ (t0 ), quando t0 `e uno degli estremi di tali intervalli, sar`a, in generale, un punto angoloso o una cuspide. Il versore ϕ 0 (t0 ) T(t0 ) = 0 ϕ (t0 )|N |ϕ `e il versore tangente al sostegno di ϕ nel punto ϕ (t0 ), ed il suo verso ci d`a l’orientazione della curva. Se ψ `e una curva equivalente a ϕ (anch’essa regolare, quindi), e se ψ (τ0 ) = ϕ (t0 ), allora si ha ψ 0 (τ0 ) ϕ 0 (t0 ) = ± , ψ 0 (τ0 )|N ϕ0 (t0 )|N |ψ |ϕ a seconda che ψ e ϕ abbiano versi uguali od opposti. Quindi, com’`e geometricamente prevedibile, il versore tangente T in un dato punto del sostegno dipende solo dal sostegno e dall’orientazione ad esso attribuita, e non dalla particolare curva regolare con cui esso viene parametrizzato. 366


Osservazione 4.1.6 Sia F ∈ C 1 (A), ove A `e un aperto di R2 , e consideriamo il luogo di zeri delle funzione F : Z = {(x, y) ∈ A : F (x, y) = 0}. Supponendo Z 6= ∅ e ∇ F (x, y) 6= 0 per ogni (x, y) ∈ Z, sappiamo dal teorema del Dini che Z `e localmente grafico di una curva cartesiana regolare (esempio 4.1.3 (3)). Il versore normale a Z in un punto (x0 , y0 ) ∈ Z `e dato, come si sa, da ∇ F (x0 , y0 ) ; N=± ∇F (x0 , y0 )|2 |∇ pertanto il versore tangente a Z nello stesso punto `e Fx (x0 , y0 ) Fy (x0 , y0 ) ,− , T=± ∇F (x0 , y0 )|2 |∇ ∇F (x0 , y0 )|2 |∇ dove il segno dipende da come decidiamo di orientare Z.

Lunghezza di una curva ` possibile associare ad ogni curva ϕ : I → RN , in modo del tutto naturale, E la nozione di “lunghezza”, andando a misurarne il sostegno per mezzo di un procedimento geometricamente assai intuitivo. Consideriamo una suddivisione finita σ dell’intervallo I mediante certi punti t0 < t1 < . . . < tk . Se I = [a, b], sceglieremo in particolare t0 = a e tk = b, mentre se I `e non limitato o non chiuso non faremo alcuna altra ipotesi sulla scelta dei punti. Poniamo xi = ϕ (ti ), i = 0, 1, . . . , k, e consideriamo la spezzata, o poligonale Sσ di vertici x0 , x1 , . . . , xk : ad essa evidentemente attribuiamo come lunghezza il numero `(Sσ ) =

k X

|xi − xi−1 |N =

i=1

k X

ϕ(ti ) − ϕ (ti−1 )|N . |ϕ

i=1

` chiaro che, infittendo la suddivisione σ, aumenter`a la quantit`a `(Sσ ); pi` E u precisamente, per ogni coppia di suddivisioni σ1 e σ2 di I ne esiste una terza, 367


σ, che `e pi` u fine di entrambe: ad esempio quella costituita dall’unione dei punti di σ1 e di quelli di σ2 . Per la nuova suddivisione σ si avr`a chiaramente `(Sσ ) ≥ max{`(Sσ1 ), `(Sσ2 )}. Siamo cos`ı indotti a formulare la seguente Definizione 4.1.7 Sia ϕ : I → RN una curva. La lunghezza di ϕ `e il numero non negativo, eventualmente infinito, ϕ) = sup `(Sσ ), `(ϕ σ

ove l’estremo superiore `e fatto al variare di tutte le possibili suddivisioni finite σ di I. Diciamo che ϕ `e rettificabile se ϕ ha lunghezza finita. Questa definizione, sebbene intuitiva, `e alquanto scomoda, poich´e coinvol` facile ge un estremo superiore fatto su un’infinit`a di possibili spezzate. E comunque verificare, sulla base di essa, che esistono curve continue non rettificabili: ci`o pu`o accadere non solo quando l’intervallo I `e illimitato o non chiuso, il che rende la cosa evidente (si pensi al caso della retta dell’esempio 4.1.3 (1)), ma anche quando I = [a, b]: si veda l’esercizio 4.1.4. Per le curve di classe C 1 il calcolo della lunghezza `e semplificato da una formula molto importante: Teorema 4.1.8 Sia ϕ : I → RN una curva di classe C 1 . Allora la lunghezza di ϕ `e data da Z ϕ0 (t)|N dt. ϕ) = |ϕ `(ϕ I

In particolare, ogni curva di classe C 1 definita su un intervallo chiuso e limitato `e rettificabile. Dimostrazione (≤) Non `e restrittivo supporre che l’integrale a secondo membro sia convergente. Sia σ una suddivisione finita di I mediante i punti t0 < t1 < . . . < tk : allora `(Sσ ) = ≤

k X

k Z X

ϕ(ti ) − ϕ (ti−1 )|N = |ϕ

i=1 k Z ti X i=1

i=1

ϕ0 (τ )|N dτ ≤ |ϕ

ti−1

Z I

368

ti

ti−1

ϕ (τ ) dτ

≤ 0

ϕ0 (τ )|N dτ ; |ϕ

N


ϕ) = supσ `(Sσ ) ≤ quindi, per l’arbitrariet`a di σ, `(ϕ

R I

ϕ0 (τ )|N dτ . |ϕ

(≥) Siccome l’intervallo I non `e in generale chiuso e limitato, cominciamo col fissare un arbitrario sottointervallo [a, b] ⊆ I. Poich´e ϕ ∈ C 1 ([a, b], RN ), la funzione ϕ 0 `e uniformemente continua su [a, b]. Quindi, fissato ε > 0, esiste δ > 0 tale che ε ϕ0 (t) − ϕ 0 (τ )|N < t, τ ∈ [a, b], |t − τ | < δ =⇒ |ϕ . b−a Sia σ una suddivisione di [a, b] mediante i punti a = t0 < t1 < . . . < tk = b tale che ti − ti−1 < δ per i = 1, . . . , k. Allora per i = 1, . . . , k si ha Z ti Z ti 0 ϕ (τ )|N dτ = ϕ0 (τ ) − ϕ 0 (ti ) + ϕ 0 (ti )|N dτ ≤ |ϕ |ϕ ti−1

ti−1

Z

ti

ϕ0 (τ ) − ϕ 0 (ti )|N dτ + |ϕ ϕ0 (ti )|N (ti − ti−1 ) = |ϕ ti−1

Z ti Z ti

0 0 0 0 0 ϕ (ti ) − ϕ (τ ) + ϕ (τ )] dτ

≤ ϕ (τ ) − ϕ (ti )|N dτ +

[ϕ |ϕ = ≤

ti−1 Z ti

≤2 ti−1

ti−1 ti

Z

0 0 ϕ (τ ) − ϕ (ti )|N dτ +

ti−1

N

0 ϕ (τ ) dτ

= N

ti − ti−1 ϕ(ti ) − ϕ (ti−1 )|N . < 2ε + |ϕ b−a Sommando rispetto a i, si ricava Z b ϕ0 (τ )|N dτ ≤ 2ε + `(Sσ ) ≤ 2ε + `(ϕ ϕ); |ϕ a

dall’arbitrariet`a di ε segue Z b ϕ0 (τ )|N dτ ≤ `(ϕ ϕ) |ϕ

∀[a, b] ⊂ I,

a

e passando al limite per a → inf I e per b → sup I, si ottiene infine Z ϕ0 (τ )|N dτ ≤ `(ϕ ϕ). |ϕ I

Osservazione 4.1.9 Dal teorema precedente segue che due curve di classe C 1 , fra loro equivalenti, hanno la stessa lunghezza. Infatti, siano ϕ : I → RN 369


e ψ : J → RN due curve di classe C 1 con ψ (τ ) = ϕ (p(τ )) per ogni τ ∈ J, ove p : J → I `e un diffeomorfismo; allora dalla formula di cambiamento di variabile si ha Z Z 0 ϕ) = ϕ (t)|N dt = |ϕ ϕ0 (p(τ ))|N |p0 (τ )| dτ = `(ϕ |ϕ

J Z ZI

d

ϕ (p(τ )) dτ = |ψ ψ 0 (τ )|N dτ = `(ψ ψ ). =

dt

J J N Se, in particolare, le curve equivalenti sono anche regolari e semplici, la loro lunghezza `e qualcosa di intrinsecamente legato al sostegno. Proveremo nel paragrafo successivo che due curve regolari e semplici aventi lo stesso sostegno sono necessariamente equivalenti o, se chiuse, almeno equivalenti a tratti: quindi, se Γ ⊂ RN `e un insieme che `e sostegno di una curva regolare e semplice, potremo utilizzare il simbolo `(Γ) per denotare la lunghezza di una qualunque curva regolare e semplice che abbia Γ come sostegno. Esempi 4.1.10 (1) Sia ϕ (t) = (1 − t)x0 + tx1 , t ∈ [0, 1]: il sostegno di ϕ `e il segmento di RN che unisce x0 e x1 . Poich´e ϕ0 (t)|N = |x1 − x0 |N ∀t ∈ [0, 1], |ϕ R1 ϕ) = 0 |x1 − x0 |N dt = |x1 − x0 |N . si ha, come era prevedibile, `(ϕ (2) Poniamo ϕ (t) = (cos mt, sin mt), t ∈ [0, 2π], ove m ∈ N+ . Poich´e ϕ0 (t)|2 = m, si ha `(ϕ ϕ) = 2πm (il che non sorprende, visto che la curva |ϕ percorre la circonferenza unitaria m volte). (3) Sia ϕ la curva definita, in coordinate polari, dall’equazione ρ = e−ϑ , ϑ ≥ 0. Poich´e ϕ (ϑ) = (e−ϑ cos ϑ, e−ϑ sin ϑ), si ha ϕ 0 (ϑ) = (e−ϑ (− cos ϑ − sin ϑ), e−ϑ (− sin ϑ + cos ϑ)), √ ϕ0 (ϑ)|2 = 2 e−ϑ . Ne segue cosicch´e otteniamo |ϕ Z ∞√ √ ϕ) = `(ϕ 2 e−ϑ dϑ = 2. 0

La spirale quindi ha lunghezza finita, pur avvolgendosi infinite volte intorno all’origine. 370


Esercizi 4.1 1. Si verifichi che le seguenti curve piane sono semplici ed hanno lo stesso sostegno, ma non sono regolari n´e equivalenti: 2  τ (2 − τ )2 se τ ∈ [0, 1]  (  x =  x=t∧1 1 se τ ∈ [1, 2] t ∈ [0, 2];  se τ ∈ [0, 1] y = 0 ∨ (t − 1),   y= 0 (τ − 1)2 (3 − τ )2 se τ ∈ [1, 2]. 2. Si provi che le seguenti curve piane sono equivalenti: ( ( 2 h π πi x = cos t x = 1−τ 1+τ 2 , t∈ − , , , t ∈ [−1, 1]. 2τ 2 2 y = sin t y = 1+τ 2 3. Sia f : [a, b] → R una funzione continua e crescente. Si provi che ϕ (t) = (t, f (t)) `e una curva rettificabile e che p ϕ) ≤ b − a + f (b) − f (a). (b − a)2 + (f (b) − f (a))2 ≤ `(ϕ 4. Sia ϕ (t) = (t, f (t)), ove ( 0 set = 0 f (t) = t sin 1t se 0 < t <

1 π

,

Si provi che ϕ non `e rettificabile. [Traccia: per ogni n ∈ N+ sia σn la suddivisione di [0, 1/π] de1 1 terminata dai punti 0 < (2n−1)π/2 < . . . < 3π/2 < π1 ; si provi che P 1 `(Sσn ) ≥ π2 n−1 i=0 2i+1 .] 5. Se ϕ `e una curva piana definita, in coordinate polari, dall’equazione ρ = f (ϑ), con f ∈ C 1 (I) e f ≥ 0, si verifichi che Z p ϕ) = f (ϑ)2 + f 0 (ϑ)2 dϑ. `(ϕ I

6. Calcolare la lunghezza delle curve seguenti:

371


(i) (arco di parabola) x = x, y = x2 , x ∈ [−a, a]; (ii) (parabola semicubica) x = t2 , y = t3 , |t| ≤ 2; (iii (astroide o ipocicloide) x = cos3 t, y = sin3 t, t ∈ [0, 2π]; (iv) (cicloide) x = t − sin t, y = 1 − cos t, t ∈ [0, 2π];

(v) (catenaria) x = x, y = cosh x, x ∈ [−a, a]; (vi) (nefroide) x = 3 cos t − cos 3t, y = 3 sin t − sin 3t, t ∈ [0, 2π]; (vii) (deltoide) x = 2 cos t + cos 2t, y = 2 sin t − sin 2t, t ∈ [0, 2π]; (viii) (cardioide) ρ = 2(1 + cos ϑ), ϑ ∈ [−π, π];

(ix) (spirale di Archimede) ρ = ϑ, ϑ ∈ [0, 2nπ]; (x) (spirale logaritmica) ρ = eϑ , ϑ ∈ [−2nπ, 2π]; (xi) (spirale iperbolica) ρ = 1/ϑ, ϑ ∈ [2π, 2nπ]; (xii) (elica cilindrica) x = cos t, y = sin t, z = t, t ∈ [0, 2nπ].

372


4.2

Ascissa curvilinea

Sia ϕ : [a, b] → RN una curva regolare, con sostegno Γ. Fra tutti i cambiamenti di parametro che danno luogo a curve equivalenti, ce n’`e uno privilegiato, perch´e intrinsecamente legato alla geometria di Γ. Per descriverlo, introduciamo la variabile Z t ϕ0 (τ )|N dτ, t ∈ [a, b]. s = λ(t) = |ϕ a

Il parametro s, detto ascissa curvilinea o parametro lunghezza d’arco, misura la lunghezza della curva regolare ϕ |[a,t] ; quando t descrive [a, b], s descrive ϕ)]. Si noti che λ `e un diffeomorfismo fra [a, b] e [0, `(ϕ ϕ)], perch´e [0, `(ϕ ϕ0 (t)|N > 0 λ0 (t) = |ϕ

∀t ∈ [a, b].

ϕ)] → RN data da Dunque ϕ `e equivalente alla curva α : [0, `(ϕ α (s) = ϕ (λ−1 (s)),

ϕ)], s ∈ [0, `(ϕ

che `e definita in termini del parametro lunghezza d’arco. Il punto α (s), per costruzione, `e quel punto di Γ che si trova a distanza s (misurata lungo la curva) dal primo estremo α (0) = ϕ (a). Osserviamo che α 0 (s) = ϕ 0 (λ−1 (s)) · (λ−1 )0 (s) =

ϕ 0 (λ−1 (s)) , ϕ0 (λ−1 (s))|N |ϕ

α0 (s)|N = 1 per ogni s ∈ [0, `(ϕ ϕ)]. Perci`o α 0 (s) `e in ogni punto di Γ il e quindi |α versore tangente a Γ, orientato secondo il verso di percorrenza. Interpretando s come lo spazio percorso da un punto materiale vincolato a muoversi lungo Γ, α (s) `e la posizione del punto e α 0 (s) `e la sua velocit`a, che per quanto visto `e un vettore unitario. L’ascissa curvilinea pu`o essere definita anche nel caso di curve definite su intervalli illimitati: se I = [a, ∞[ si ripete il discorso precedente, se I = ] − ∞, b] sar`a naturale parlare di lunghezza negativa, definendo s nel modo formalmente analogo Z t ϕ0 (τ )|N dτ, t ∈ I; s = λ(t) = |ϕ b

373


infine se I `e una semiretta aperta, o anche tutto R, si parler`a di lunghezza a partire da un fissato punto x = ϕ(a) ∈ Γ, misurata dal parametro Z t ϕ0 (τ )|N dτ, t ∈ I : s = λ(t) = |ϕ a

essa sar`a positiva per i punti che seguono ϕ (a) e negativa per quelli che lo precedono secondo l’orientazione fissata. Da quanto detto segue che il simbolo ds rappresenta l’ elemento di lunghezza lungo il sostegno Γ. Esso si esprime in termini del differenziale dt re;lativo alla parametrizzazione x = ϕ (t) = (x1 (t), . . . , xN (t)) tramite la relazione p ϕ(t)|3 dt = (x1 )0 (t)2 + . . . + (xN )0 (t)2 dt; d’altronde, poich´e ds `e indids = |ϕ pendente dalla parametrizzazione scelta, si pu`o formalmente scrivere l’identit`a (ds)2 = (dx1 )2 + . . . (dxN )2 . Utilizzando l’ascissa curvilinea `e facile provare questo risultato gi`a annunciato e geometricamente plausibile. Proposizione 4.2.1 Due curve regolari e semplici, non chiuse, sono equivalenti se e solo se hanno lo stesso sostegno; due curve chiuse, regolari e semplici sono equivalenti a tratti se e solo se hanno lo stesso sostegno. Dimostrazione Se due curve regolari e semplici sono equivalenti, oppure sono chiuse ed equivalenti a tratti, esse hanno lo stesso sostegno, come `e stato osservato subito dopo la definizione 4.1.4. Proviamo i due enunciati opposti, limitandoci al caso pi` u semplice in cui le curve sono definite su intervalli chiusi e limitati; per il caso generale si rimanda all’esercizio 4.2.9. Siano dunque ϕ : [a, b] → RN e ψ : [c, d] → RN due curve regolari e semplici, non chiuse, tali che ϕ [a, b] = ψ [c, d] = Γ. Inoltre ammettiamo dapprima che ϕ e ψ abbiano lo stesso verso, ossia che si abbia ϕ (a) = ψ (c) e ϕ (b) = ψ (d). Poniamo Z t Z τ 0 ϕ ψ 0 (u)|N du, τ ∈ [c, d], λ(t) = |ϕ (v)|N dv, t ∈ [a, b], `(τ ) = |ψ a

c

e definiamo ϕ 0 (s) = ϕ (λ−1 (s)),

ψ 0 (s) = ψ (`−1 (σ)),

ϕ)], s ∈ [0, `(ϕ

ψ )]. σ ∈ [0, `(ψ

Come sappiamo, ϕ 0 `e equivalente a ϕ e ψ 0 `e equivalente a ψ ; ci proponiamo ϕ) = `(ψ ψ ). A questo scopo di verificare che ϕ 0 ≡ ψ 0 e che, in particolare, `(ϕ notiamo che, detto T(x) il versore tangente a Γ nel punto x ∈ Γ, si ha ϕ00 (s) = T(ϕ ϕ0 (s)) 374

ϕ)], ∀s ∈ [0, `(ϕ


e similmente ψ 00 (s) = T(ψ ψ 0 (σ))

ψ )]. ∀σ ∈ [0, `(ψ

ϕ)] esiste un unico punto xs ∈ Γ Osserviamo adesso che per ogni s ∈ [0, `(ϕ ψ )] tale che ψ 0 (σs ) = tale che xs = ϕ 0 (s), ed esiste un unico punto σs ∈ [0, `(ψ xs = ϕ 0 (s). Denotiamo con p la corrispondenza s 7→ σs , cosicch´e la funzione ϕ)] → [0, `(ψ ψ )] verifica ψ 0 (p(s)) = ϕ0 (s) per ogni s ∈ [0, `(ϕ ϕ)]. p : [0, `(ϕ Proviamo che p `e continua: siccome lim ψ 0 (p(s + h)) = lim ϕ 0 (s + h) = ϕ 0 (s) = ψ 0 (p(s)),

h→0

h→0

deve risultare p(s + h) → p(s) per h → 0 poich´e altrimenti, per compattezza, esisterebbe una successione {hn } infinitesima tale che p(s + hn ) → σ0 ∈ ψ )], ove necessariamente σ0 6= p(s): ma allora ψ 0 (p(s + hn )) → ψ 0 (σ0 ) [0, `(ψ e, per unicit`a del limite, ψ 0 (σ0 ) = ψ 0 (p(s)): dato che ψ 0 `e iniettiva, se ne dedurrebbe σ0 = p(s), assurdo. Pertanto p `e una funzione continua. Per h sufficientemente piccolo possiamo allora scrivere ϕ 0 (s + h) − ϕ 0 (s) ψ 0 (σs+h ) − ψ 0 (σs ) ψ 0 (σs+h ) − ψ 0 (σs ) σs+h − σs = = , · h h σs+h − σs h da cui, moltiplicando scalarmente per il vettore

ϕ0 (s+h)−ϕ ϕ0 (s) , h

ϕ 0 (s + h) − ϕ 0 (s) 2

=

h N ψ 0 (σs+h ) − ψ 0 (σs ) ϕ 0 (s + h) − ϕ 0 (s) σs+h − σs = , · ; σs+h − σs h h N ne segue

ϕ 0 (s+h)−ϕϕ0 (s) 2

h

σs+h − σs N E =D ψ ψ (σ )−ψ (σ ) ϕ0 (s) ϕ (s+h)−ϕ s 0 0 0 s+h h , σs+h −σs

h

N

e pertanto, essendo σs+h → σs per h → 0, ϕ0 (s))|2N σs+h − σs |T(ϕ ϕ)]. = = 1 ∀s ∈ [0, `(ϕ h→0 ψ 0 (σs )), T(ϕ ϕ0 (s))iN h hT(ψ

∃p0 (s) = lim

Dunque, p0 (s) = 1 e p(0) = σ0 = 0: se ne deduce che p(s) = s ed in particolare ϕ0 (s) ≡ ψ 0 (s) e `(ψ ψ ) = p(`(ϕ ϕ)) = `(ϕ ϕ). Dal fatto che ϕ0 `e equivalente a ϕ e 375


ψ 0 `e equivalente a ψ segue ovviamente che ϕ e ψ sono curve equivalenti. Se invece ϕ e ψ hanno verso opposto, l’argomentazione precedente mostra che ψ `e equivalente all’opposta ϕ (a + b − t) di ϕ . Ne segue che ψ `e anche equivalente a ϕ . Siano ora ϕ e ψ due curve regolari, semplici e chiuse, aventi lo stesso sostegno e tali che ϕ (a) = ϕ (b) = x, ψ (c) = ψ (d) = y, con x, y punti distinti del sostegno Γ: dobbiamo provare che ϕ e ψ sono equivalenti a tratti. Per iniettivit`a, esistono unici h ∈]a, b[ e k ∈]c, d[ tali che ϕ (h) = y e ψ (k) = x. Poniamo I1 = [a, h],

I2 = [h, b];

J1 = [c, k],

J2 = [k, d].

Se ϕ e ψ hanno la stessa orientazione, si verifica subito, per la parte gi`a dimostrata, che ϕ |I1 `e equivalente a ψ |J2 e ϕ |I2 `e equivalente a ψ |J1 ; se invece ϕ e ψ hanno orientazioni opposte, si vede che ϕ |I1 `e equivalente a ψ |J1 e ϕ |I2 `e equivalente a ψ |J2 . Si noti che se risulta, in particolare, ϕ(a) = ϕ(b) = ψ (c) = ψ (d) (condizione che, come sappiamo dall’esempio 4.1.5 (4), `e necessaria per avere l’equivalenza fra curve chiuse), allora si pu`o ripetere l’argomento della prima parte, e si prova che le due curve sono equivalenti. La tesi `e provata. Come gi`a osservato, questo risultato ci permette di parlare di lunghezza del sostegno Γ, intendendo con ci`o la lunghezza di qualunque curva regolare e semplice ϕ avente Γ come sostegno. Osservazione 4.2.2 Se ϕ : I → RN `e una curva di classe C 1 a tratti, la sua lunghezza pu`o essere definita per additivit`a: se I1 , . . . , Im sono sottointervalli adiacenti di I la cui unione `e I, e se ϕj = ϕ|Ij sono curve di classe C 1 per j = 1, . . . , m, si definisce m X ϕ) = ϕj ); `(ϕ `(ϕ j=1

`e facile verificare che questa definizione non dipende dagli infiniti modi in cui ϕ pu`o essere decomposta in “sottocurve” di classe C 1 . Nel caso in cui ϕ `e anche semplice e regolare a tratti, la sua lunghezza dipende solo dal sostegno Γ, cosicch`e potremo analogamente parlare di lunghezza di Γ.

376


Esempio 4.2.3 Calcoliamo la lunghezza della lemniscata di Bernoulli, data da Γ = {(x, y) ∈ R2 : (x2 + y 2 )2 − 2(x2 − y 2 ) = 0}. Utilizzando le coordinate polari, si trova facilmente che l’insieme Γ `e descritto da h π π i 3π 5π √ ϑ∈ − , ∪ , ρ = 2 cos 2ϑ, 4 4 4 4 (ricordiamo che deve essere cos 2ϑ ≥ 0). L’insieme Γ `e dunque sostegno di 5π , nessuna , due curve, l’una definita per ϑ ∈ − π4 , π4 , l’altra per ϑ ∈ 3π 4 4 delle quali `e regolare, in quanto entrambe sono di classe C 1 solo nei punti interni. Le lunghezze delle due curve sono uguali fra loro, per evidenti ragioni di simmetria; la lunghezza della prima `e Z

π 4

I=

Z

0

ϕ (ϑ)|2 dϑ = |ϕ

− π4

π 4

− π4

r

2 dϑ, cos 2ϑ

e dunque la lunghezza cercata `e data da Z π r √ Z π4 4 dϑ 2 √ dϑ = 4 2 `(Γ) = 2I = 2 . cos 2ϑ cos 2ϑ − π4 0 Questo integrale `e certamente finito, essendo π 2 π +o ϑ− cos 2ϑ = −2 ϑ − 4 4

per ϑ →

π− . 4

Sebbene esso non sia calcolabile esplicitamente, se ne pu`o trovare uno sviluppo in serie. Ponendo √ sin t , 2 sin ϑ = sin t, ossia ϑ = arcsin √ 2 si ha t ∈ [0, π/2] e, come si verifica facilmente, √ Z `(Γ) = 4 2 0

π/4

p =4 1 − 2 sin2 ϑ

377

Z 0

π/2

dt q ; sin2 t 1− 2


ricordando la serie binomiale ∞ ∞ X X −1/2 (2n − 1)!! n −1/2 n n x , (1 + x) = (−1) x = 1 + (2n)!! n n=0 n=1

x ∈] − 1, 1[,

troviamo, in virt` u del teorema di B. Levi, # Z π/2 " ∞ X (2n − 1)!! −n 2n `(Γ) = 4 1+ 2 sin t dt = (2n)!! 0 n=1 Z ∞ X (2n − 1)!! −n π/2 2n = 2π + 4 2 sin t dt. (2n)!! 0 n=1 Infine, per l’esercizio 4.2.7(iii) si conclude che # " 2 ∞ X (2n − 1)!! 2−n . `(Γ) = 2π 1 + (2n)!! n=1

Integrali curvilinei Sia f una funzione continua definita su un insieme Γ che `e sostegno di una curva ϕ di classe C 1 . Andiamo a definire l’integrale di f lungo ϕ nel modo seguente: Definizione 4.2.4 Sia ϕ : I → RN una curva di classe C 1 , con sostegno Γ. Se f : A → R `e una funzione misurabile definita su un aperto A ⊃ Γ, l’ integrale curvilineo di f lungo ϕ `e il numero, finito o infinito, Z Z ϕ(t)) |ϕ ϕ(t)|N dt, f ds = f (ϕ ϕ

I

sempre che la quantit`a a secondo membro sia ben definita. Nel seguito ci interesseranno soprattutto i casi in cui f `e continua e ϕ `e definita su un intervallo I = [a, b], casi nei quali l’integrale curvilineo ha sempre senso. Si verifica facilmente, con un cambiamento di variabile, che se ψ : J → RN `e una curva di classe C 1 equivalente a ϕ , allora si ha Z Z f ds = f ds. ϕ

ψ

378


Se, R in particolare, ϕ `e regolare e semplice, otteniamo che l’integrale curvilineo f ds dipende soltanto, oltre che da f , dal sostegno Γ, e non dalla particolare ϕ curva regolare e semplice di cui tale insieme `e sostegno: possiamo quindi scrivere Z f ds Γ

per indicare l’integrale di f lungo una qualunque curva regolare e semplice che abbia Γ come sostegno. Un discorso analogo vale per le curve di classe C 1 a tratti: se ϕ : I → RN `e una curva di classe C 1 a tratti e ϕj = ϕIj , j = 1, . . . , m, sono le curve di classe C 1 che compongono ϕ , si definisce Z f ds = ϕ

m Z X j=1

f ds;

ϕj

R considerazioni analoghe alle precedenti portano a definire l’integrale Γ f ds quando Γ `e sostegno di una curva semplice e regolare a tratti. R ` immediato verificare che Osservazione 4.2.5 E 1 ds = `(Γ); inoltre, Γ si vede facilmente che se Γ `e un segmento T Rdell’asse x, allora l’integrale curvilineo di f si riduce all’ordinario integrale T f (x) dx. Esempi 4.2.6 (1) Sia f (x, y) = x. L’integrale di f lungo la curva t ∈ [0, π],

ϕ (t) = (sin t, 0),

il cui sostegno `e il segmento T dell’asse x di estremi 0 e 1, vale Z

π

Z f ds =

ϕ

Z

π/2

cos t sin t dt = 1.

sin t| cos t| dt = 2 0

0

La curva ϕ non `e semplice (e nemmeno regolare). Una curva regolare e semplice che ha per sostegno il segmento T `e, ovviamente, x ∈ [0, 1],

ψ (x) = (x, 0), e per essa si ha Z

Z

1

f ds = ψ

x dx = 0

379

1 . 2


Possiamo perci`o concludere che Z

1 f ds = . 2

T

Il valore 1 ottenuto per l’integrale lungo ϕ `e giustificato dal fatto che tale curva percorre il sostegno due volte: la prima, crescendo, per t ∈ [0, π/2], e la seconda, decrescendo, per t ∈ [π/2, π]. (2) Calcoliamo l’integrale Z

ex−y ds,

Γ 2

ove Γ = {(x, y) ∈ R : |x| + |y| = 1}. L’insieme Γ `e costituito da quattro segmenti: Γ1 Γ2 Γ3 Γ4

: : : :

x = x, x = x, x = x, x = x,

y y y y

= −1 − x, = x − 1, = 1 − x, = x + 1,

Si ha allora Z Z x−y e ds = Γ

0

−1

2x+1

e

x ∈ [−1, 0], x ∈ [0, 1], x ∈ [0, 1], x ∈ [−1, 0].

1 √ 2 dx + e 2 dx + 0 Z 0 Z 1 √ √ √ 2x−1 2 dx + e−1 2 dx = 2 2 e. + e

Z

−1

0

Gli integrali curvilinei godono delle usuali propriet`a degli integrali: linearit`a, monotonia, additivit`a, eccetera. Gli esercizi 4.2.2, 4.2.3, 4.2.4 e 4.2.5 sono dedicati alla dimostrazione di queste propriet`a.

Esercizi 4.2 1. Scrivere le seguenti curve in funzione del parametro lunghezza d’arco: (i) x = r cos mt, y = r sin mt, t ∈ [0, 2π] (r > 0, m ∈ N+ ); (ii) x = r cos3 t, y = r sin3 t, t ∈ [0, 2π] (r > 0); (iii) x = et cos t, y = et sin t, z = et , t ∈ R; 380


(iv) x = 2 cos t − cos 2t, y = 2 sin t − sin 2t, t ∈ [0, 2π]. 2. Sia Γ sostegno di una curva semplice e regolare (o regolare a tratti). Si provi che se f, g sono funzioni continue definite su Γ e λ, µ ∈ R si ha Z Z Z (λf + µg) ds = λ f ds + µ f ds. Γ

Γ

Γ

3. Sia Γ sostegno di una curva semplice e regolare (o regolare a tratti). Si provi che se f, g sono funzioni continue definite su Γ con f ≤ g, allora si ha Z Z f ds ≤ g ds; Γ

se ne deduca che

Γ

Z

Z

f ds ≤ |f | ds.

Γ

Γ

4. Sia Γ sostegno di una curva semplice e regolare (o regolare a tratti) ϕ : [a, b] → RN , e sia f una funzione continua definita su Γ. Se c ∈]a, b[ e Γ1 = ϕ [a, c], Γ2 = ϕ [c, b], si provi che Z Z Z f ds = f ds + f ds. Γ

Γ1

Γ2

5. (Teorema della media) Sia Γ sostegno di una curva semplice e regolare (o regolare a tratti), e sia f una funzione continua definita su Γ. Si provi che Z 1 min f ≤ f ds ≤ max f, Γ Γ `(Γ) Γ e che esiste x0 ∈ Γ tale che 1 f (x0 ) = `(Γ)

Z f ds. Γ

6. Calcolare i seguenti integrali curvilinei: Z p (i) x + 2y ds, ove Γ `e il segmento di estremi (0, 0) e (2, 4); Γ Z p (ii) x2 + y 2 ds, ove Γ: x = et cos t, et sin t, t ∈ [0, 2π]; Γ

381


Z (iii) ZΓ (iv)

(x3 + y) ds, ove Γ: x = 2t, y = t3 , t ∈ [0, 1]; x ; ds, ove Γ: ρ = e−ϑ , ϑ ∈ π4 , 3π 4 2 y

ZΓ (v) (x3 + y 2 ) ds, ove Γ: y 2 = x3 , x ∈ [0, 2]; ZΓ xy ds, ove Γ = semiellisse di centro (2, 0), semiassi 2 e 1, y ≥ 0; (vi) Γ Z y (vii) arctan ds, ove Γ: ρ = 2ϑ, ϑ ∈ [0, π/2]; x ZΓ (viii) y ds, ove Γ: x2 + y 2 = 9z 2 , x = 3z 2 , y ≥ 0, z ∈ [0, 1]. Γ

7. (i) Si verifichi che l’ellisse

x2 a2

2

+ yb2 (a ≥ b) `e sostegno della curva regolare

x = a cos t,

y = b sin t,

t ∈ [0, 2π],

ed ha lunghezza pari a Z

π/2

` = 4a

p

1 − k 2 sin2 x dx,

0

ove k =

p 1 − b2 /a2 `e l’ eccentricit`a dell’ellisse.

(ii) Procedendo come nell’esempio 4.2.3, si deduca che " # Z ∞ π X 1 (2n − 1)!! 2n π/2 2n ` = 4a sin x dx . − k 2 n=1 2n − 1 (2n)!! 0 (iii) Si verifichi per induzione che Z

π/2

sin2n x dx =

0

(2n − 1)!! π (2n)!! 2

∀n ∈ N+ .

(iv) Si concluda che " ` = 2πa 1 −

∞ X n=1

1 2n − 1

382

(2n − 1)!! (2n)!!

2

# k 2n .


8. Posto ϕ (t) = (cos t, cos t sin t), t ∈ [0, 2π], se ne disegni il sostegno Γ, si verifichi che la curva `e chiusa e regolare,Rma che Γ non `e una variet`a 1-dimensionale; si calcoli infine l’integrale Γ y ds. 9. Dimostrare la proposizione 4.2.1 nel caso di curve definite su intervalli qualsiasi. [Traccia: fissare un punto x0 = ϕ (a0 ) = ψ (c0 ) ∈ funga da R t Γ che 0 ϕ (v)|N dv, t ∈ “origine” per l’ascissa curvilinea; poi, posto λ(t) = a0 |ϕ Rτ 0 ψ (u)|N du, τ ∈ J, si proceda come nel caso di intervalli I, e `(τ ) = c0 |ψ compatti.]

4.3

Geometria delle curve piane

Consideriamo una curva piana ϕ : I → R2 , che supporremo regolare e di classe C 2 ; scriviamo ϕ (t) = (x(t), y(t)), t ∈ I. Come sappiamo, il suo versore tangente `e ! 0 0 ϕ0 (t) x (t) y (t) = p ,p . T(t) = 0 0 2 0 2 0 ϕ (t)|N |ϕ x (t) + y (t) x (t)2 + y 0 (t)2 Sia N(t) il versore normale a T(t), ottenuto ruotando T(t) di un angolo retto in verso antiorario, cio`e di +π/2: si ha

N(t) =

−y 0 (t) p

x0 (t)2 + y 0 (t)2

x0 (t)

,p x0 (t)2 + y 0 (t)2

! .

L’equazione cartesiana della retta tangente alla curva nel punto ϕ (t) `e dunque (x − x(t))y 0 (t) − (y − y(t))x0 (t) = 0, mentre l’equazione cartesiana della retta normale alla curva nel punto ϕ (t) `e (x − x(t))x0 (t) + (y − y(t))y 0 (t) = 0.

383


Supponiamo adesso che ϕ sia riferita al parametro lunghezza d’arco: sar`a allora ϕ(s) = (x(s), y(s)), e quindi, per ogni s,  0 2 x (s) + y 0 (s)2 = 1,   T(s) = (x0 (s), y 0 (s)),   N(s) = (−y 0 (s), x0 (s)). Questo ci aiuter`a a semplificare i calcoli: per il caso generale in cui ϕ dipende da un parametro generico t, si veda l’esercizio 4.3.3. Poich´e ϕ ∈ C 2 , il vettore N(s) `e derivabile; essendo hT(s), T(s)i2 = 1, si ha 0=

d hT(s), T(s)i2 = 2(x0 (s)x00 (s) + y 0 (s)y 00 (s)) = 2hT(s), T0 (s)i2 , ds

ossia T0 (s) `e ortogonale a T(s). Similmente, essendo hN(s), N(s)i2 = 1, anche N0 (s) `e ortogonale a N(s). Dato che T0 (s) e N(s) sono paralleli, esiste un numero k(s) ∈ R tale che T0 (s) = k(s)N(s); il numero k(s) si dice curvatura di ϕ nel punto ϕ (s). Si noti che k(s) = k(s)hN(s), N(s)i2 = hT0 (s), N(s)i2 = x0 (s)y 00 (s) − x00 (s)y 0 (s), e quindi k `e una funzione continua; inoltre si ha |k(s)| = |T0 (s)|2 , quindi k(s) misura il tasso di variazione di T(s) il quale, essendo un versore, pu`o solo ruotare. Si ha k(s) > 0 se, al crescere di s, T(s) ruota in direzione di N(s), mentre k(s) < 0 se T(s) ruota in direzione di −N(s); nei punti in cui la curvatura cambia segno, pertanto, la curva attraversa la propria retta tangente.

Dato che anche N0 (s) e T(s) sono paralleli, esiste un numero h(s) ∈ R tale che N0 (s) = h(s)T(s), 384


ma la relazione 0 =

d d 0 = hT(s), N(s)i2 = hT0 (s), N(s)i2 + hT(s), N0 (s)i2 = ds ds

= k(s) |N(s)|22 + h(s) |T(s)|22 = k(s) + h(s) implica h(s) = −k(s). Ne seguono le due formule di Fr´enet-Serret per le curve piane: ( 0 T (s) = k(s)N(s) N0 (s) = −k(s)T(s).

Anomalia Continuiamo a considerare una curva piana ϕ (s) regolare e di classe C 2 , riferita al parametro lunghezza d’arco. Introduciamo l’ anomalia ϑ(s) come l’angolo fra T(s) ed il verso positivo dell’asse x. Essa `e univocamente definita se si fissa ϑ(0) ∈ [0, 2π[, e risulta cos ϑ(s) = x0 (s),

sin ϑ(s) = y 0 (s).

L’anomalia `e una funzione di classe C 1 , poich´e localmente essa si esprime nella forma ϑ(s) = arctan

y 0 (s) + 2kπ, x0 (s)

oppure ϑ(s) = arccot

x0 (s) + 2kπ. y 0 (s)

Derivando, si trova x00 (s) = − sin ϑ(s) ϑ0 (s),

y 00 (s) = cos ϑ(s) ϑ0 (s),

da cui k(s) = x0 (s)y 00 (s) − x00 (s)y 0 (s) = ϑ0 (s). la curvatura k(s) `e dunque il tasso di variazione dell’anomalia ϑ(s), a conferma delle osservazioni fatte sul legame fra k(s) e la variazione di T(s). ` interessante notare che la curvatura individua univocamente una curva E piana, naturalmente a meno di spostamenti rigidi del piano. Si ha infatti: 385


Teorema 4.3.1 Sia ` > 0. Per ogni k ∈ C[0, `] e per ogni x0 , y0 , ϑ0 ∈ R esiste una ed una sola curva ϕ, di classe C 2 , s ∈ [0, `], tale che ϕ 0 (0) = (cos ϑ0 , sin ϑ0 ),

ϕ (0) = (x0 , y0 ),

e che abbia k(s) come funzione curvatura in [0, `]. Dimostrazione Definiamo Z

s

s ∈ [0, `].

k(τ ) dτ,

ϑ(s) = ϑ0 + 0

La curva ϕ (s) = (x(s), y(s)), data da Z s Z s x(s) = x0 + cos ϑ(τ ) dτ, y(s) = y0 + sin ϑ(τ ) dτ, 0

s ∈ [0, `],

0

risponde ai requisiti richiesti. Se poi ϕ 1 (s), s ∈ [0, `], `e un’altra curva con le stesse propriet`a, la sua anomalia ϑ1 (s) verificher`a ϑ01 (s) = k(s) = ϑ0 (s),

ϑ1 (0) = ϑ0 = ϑ(0),

e quindi, per l’unicit`a della soluzione del problema di Cauchy, ϑ1 ≡ ϑ in [0, `]. Ne segue che le componenti x1 (s), y1 (s) di ϕ1 (s) soddisferanno ( 0 ( 0 y1 (s) = sin ϑ(s) = y 0 (s), x1 (s) = cos ϑ(s) = x0 (s), y1 (0) = y0 = y(0),

x1 (0) = x0 = x(0),

da cui finalmente x1 ≡ x e y1 ≡ y, ossia ϕ 1 ≡ ϕ . Analizziamo adesso l’ ordine di contatto fra una curva regolare ϕ (di classe C ∞ ), sempre riferita al parametro lunghezza d’arco s, ed una qualunque retta di equazione ax + by + c = 0. Se la retta incontra la curva nel punto ϕ (s0 ), diremo che la retta ha un contatto di ordine ≥ 1 con la curva in tale punto; in tal caso, dette x(s), y(s) le componenti di ϕ (s), la funzione g(s) = ax(s) + by(s) + c deve annullarsi per s = s0 , cio`e c = −ax(s0 ) − by(s0 ). Il contatto avr`a ordine ≥ 2 se la nostra retta, oltre ad intersecare la curva, le `e tangente nel 386


punto ϕ (s0 ): in questo caso, a meno di costanti moltiplicative dovr`a aversi a = −y 0 (s0 ) e b = x0 (s0 ), cosicch´e la funzione g diventa g(s) = −y 0 (s0 )[x(s) − x(s0 )] + x0 (s0 )[y(s) − y(s0 )] e soddisfa g(s0 ) = 0 e g 0 (s0 ) = 0. Le espressioni di g 00 e g 000 sono g 00 (s) = −y 0 (s0 )x00 (s) + x0 (s0 )y 00 (s) g 000 (s) = −y 0 (s0 )x000 (s) + x0 (s0 )y 000 (s); si verifica allora che g 00 (s0 ) = k(s0 ),

g 000 (s0 ) = k 0 (s0 ),

da cui si deduce che se k(s0 ) 6= 0 l’ordine di contatto con la retta tangente `e esattamente 2; se k(s0 ) = 0 e k 0 (s0 ) 6= 0, l’ordine `e 3, ed in tal caso, poich´e k(s) cambia segno in s0 , come gi`a osservato la curva attraversa la propria tangente in ϕ (s0 ); se infine k(s0 ) = k 0 (s0 ) = 0 l’ordine di contatto `e almeno 4 e in quel punto la curvatura ha un massimo o un minimo locale, oppure un flesso di ordine superiore.

Analizziamo lo stesso problema nel caso di una generica circonferenza, la cui equazione `e del tipo |x − u|22 = R2 . La circonferenza tocca la curva in un punto ϕ(s) se e solo se la funzione ϕ(s) − u|22 − R2 G(s) = |ϕ ϕ(s) − u|2 ed in questo caso si ha si annulla; ci`o naturalmente implica R = |ϕ un ordine di contatto ≥ 1. Il contatto avr`a ordine ≥ 2 se e solo se ϕ0 (s), (ϕ ϕ(s) − u)i2 = 0, G0 (s) = h2ϕ ossia se e solo se ϕ(s) − u `e ortogonale al versore tangente T(s). Il centro della circonferenza `e dunque sulla retta per ϕ (s) perpendicolare a T(s), e la 387


circonferenza `e tangente alla curva in ϕ (s): in particolare potremo scrivere ϕ(s) − u = µ(s)N(s) per un opportuno numero µ(s) (il cui modulo `e il raggio della circonferenza). Il contatto `e di ordine almeno 3 se e solo se ϕ00 (s), (ϕ ϕ(s) − u)i2 + 2|ϕ ϕ0 (s)|22 = 0, G00 (s) = h2ϕ ossia, utilizzando le formule di Fr´enet-Serret, se e solo se 1 00 G (s) = hk(s)N(s), µ(s)N(s)i2 + 1 = k(s)µ(s) + 1 = 0. 2 In definitiva si ha contatto di ordine ≥ 3 se e solo se µ(s) = u = ϕ (s) +

1 N(s), k(s)

R=

1 , k(s)

cio`e

1 . |k(s)|

Si noti che quando k(s) = 0 il raggio diventa infinito e la circonferenza degenera nella retta tangente.

Dunque, vi `e un unico cerchio il cui bordo ha ordine di contatto ≥ 3 con la 1 curva nel punto ϕ (s): `e quello di raggio |k(s)| , il cui centro sta sulla retta per ϕ (s) normale alla curva; esso sta dalla parte del versore N(s) se k(s) > 0, dalla parte opposta se k(s) < 0, e quindi sempre, per cos`ı dire, dalla parte dove la curva gira. Tale cerchio si chiama cerchio osculatore alla curva ϕ nel punto ϕ (s), mentre il centro del cerchio osculatore si chiama centro di curvatura di ϕ in tale punto. Si noti che se k 0 (s) 6= 0, cosicch´e k `e strettamente monotona in un intorno di s, allora la curva, rispetto al punto ϕ (s), ha curvatura minore di k(s) da una parte e maggiore di k(s) dall’altra: quindi il cerchio osculatore, la cui curvatura (costante) `e k(s) (esercizio 4.3.2), deve attraversare la curva nel punto ϕ (s).

388


Il contatto del cerchio osculatore con la curva `e di ordine ≥ 4 quando 1 000 ϕ(s) − u)i2 + G (s) = k 0 (s) hN(s), (ϕ 2 ϕ(s) − u)i2 + k(s) hN(s), T(s)i2 = 0, +k(s) hN0 (s), (ϕ ossia, ricordando che N0 ⊥ N e N ⊥ T, quando ϕ(s) − u) = − 0 = k 0 (s) hN(s), (ϕ

k 0 (s) ; k(s)

ci`o naturalmente, accade se e solo se k 0 (s) = 0. I punti nei quali la curvatura ha derivata nulla si dicono vertici della curva: quelli ordinari, dove il contatto `e di ordine esattamente 4, corrispondono a punti di massimo o di minimo relativo per la curvatura. Ad esempio, nel caso dell’ellisse i vertici si trovano all’intersezione con i due semiassi principali. Si pu`o dimostrare che ogni curva regolare chiusa (di classe C 3 ) possiede almeno quattro vertici.

Esercizi 4.3 1. Verificare che una circonferenza di raggio R > 0 ha curvatura costante k(s) = R1 . 2. Sia α una curva piana regolare di classe C 2 , riferita al parametro lunghezza d’arco. Si provi che se la curvatura k(s) verifica k(s) ≡ A, con A costante non nulla, allora il sostegno di α `e un arco di circonferenza 1 di raggio |A| . Che cosa succede quando A = 0? [Traccia: si consideri la curva β (s) = α (s) + A1 N(s)...] 3. Sia ϕ : I → R2 una curva regolare di classe C 2 di componenti x(t), y(t). Si provi che il versore tangente, il versore normale e la curvatura sono dati dalle formule x0 (t) y 0 (t) T(t) = , , [x0 (t)2 + y 0 (t)2 ]1/2 [x0 (t)2 + y 0 (t)2 ]1/2 389


N(t) =

−y 0 (t) x0 (t) , [x0 (t)2 + y 0 (t)2 ]1/2 [x0 (t)2 + y 0 (t)2 ]1/2 k(t) =

,

x0 (t)y 00 (t) − x00 (t)y 0 (t) , [x0 (t)2 + y 0 (t)2 ]3/2

mentre il centro del cerchio osculatore ha coordinate y 0 (t) x0 (t) x(t) − . , y(t) + k(t)[x0 (t)2 + y 0 (t)2 ]1/2 k(t)[x0 (t)2 + y 0 (t)2 ]1/2 Si verifichi inoltre che le formule di Fr´enet-Serret diventano ( 0 ϕ0 (t)|2 N(t) T (t) = k(t)|ϕ ϕ0 (t)|2 T(t). N0 (t) = −k(t)|ϕ 4. Si provi che se una curva ϕ `e il grafico di una funzione f ∈ C 2 [a, b], allora la curvatura di ϕ `e data da k(x) =

f 00 (x) , [1 + f 0 (x)2 ]3/2

e che di conseguenza k > 0 dove f `e convessa e k < 0 dove f `e concava. 5. Determinare la curvatura e il cerchio osculatore nei punti dell’astroide x2/3 + y 2/3 = a2/3

(a > 0).

6. Determinare la curvatura e il cerchio osculatore nei punti della parabola y = x2 ,

x ∈ R.

7. Dimostrare che se f ∈ C 2 [a, b] e ϕ `e la curva espressa in coordinate polari dall’equazione ρ = f (ϑ), ϑ ∈ [a, b], allora la curvatura di ϕ `e data dalla formula k(ϑ) =

f (ϑ)2 + 2f 0 (ϑ)2 − f 00 (ϑ)f (ϑ) . [f 0 (ϑ)2 + f (ϑ)2 ]3/2

390


8. Sia ϕ (t) = (tα , tβ ), t > 0, ove β > α > 0. Si provi che ϕ `e regolare e di classe C ∞ , se ne calcoli la curvatura k(t), si verifichi che ( 0 se β > 2α lim+ k(t) = t→0 +∞ se α < β < 2α, e infine si disegni la curva. 9. Calcolare la curvatura delle seguenti curve: (i) (concoide di Nicomede) ρ = (ii) (strofoide) y 2 = x2

a+x , a−x

a cos ϑ

+ b, ϑ ∈ [−π, π] \ {± π2 } (a, b > 0);

|x| < a (a > 0);

(iii) (cissoide di Diocle) y 2 =

x3 , a−x

x ∈ [0, a[ (a > 0);

(iv) (rosa a 3 petali) ρ = a sin 3ϑ (a > 0); (v) (rosa a 2 petali) ρ = a sin 2ϑ (a > 0); (vi) (spirale iperbolica) ρ =

a ϑ

(a > 0).

391


10. Per una curva piana ϕ di classe C 3 , riferita al parametro lunghezza d’arco, tale che ϕ(0) = 0 e ϕ0 (0) = (1, 0), provare che ϕ 00 (0) = (0, k(0)),

ϕ 000 (0) = (−k(0)2 , k 0 (0)),

ed interpretare geometricamente questi fatti. 11. Dato b > 0 e fissata una curva regolare ϕ , di classe C 2 , riferita al parametro lunghezza d’arco, la curva δ (s) = ϕ (s) + b N(s) `e detta parallela a ϕ . Si provi che δ `e una curva regolare tranne che nei punti ove k(s) = 1/b; si verifichi che in tali punti δ (s) `e il centro del cerchio osculatore di ϕ nel punto ϕ (s). Nella figura a fianco sono riportate le parallele della parabola.

4.4

Inviluppi

Consideriamo una funzione F di classe C 1 , definita in A × I, ove A `e un aperto di R2 e I `e un intervallo di R, tale che 2 2 ∂F ∂F (x, y, a) + (x, y, a) > 0 ∀(x, y) ∈ A, ∀a ∈ I. ∂x ∂y In queste ipotesi, per ogni fissato a ∈ I, l’equazione F (x, y, a) = 0 definisce implicitamente, in virt` u del teorema del Dini (teorema 1.9.2), una curva piana regolare Γa . Provando a disegnare tutte le curve della famiglia {Γa }a∈I , in molti casi si nota che le curve “si addensano” in certe zone del piano, spesso delineando il profilo di una nuova curva non appartenente alla famiglia. Esempio 4.4.1 Posto F (x, y, a) = (x − a)2 + y 2 − 1, le curve Γa sono circonferenze di raggio 1, centrate in (a, 0); l’insieme in cui queste curve “si addensano” `e costituito dalle due rette y = ±1. 392


Andiamo ad interpretare matematicamente questo fenomeno. Consideriamo due curve “vicine” Γa e Γa+h , con |h| piccolo. Se queste due curve hanno punti in comune, essi risolveranno il sistema ( F (x, y, a) = 0 F (x, y, a + h) = 0, che si scrive anche nella forma equivalente    F (x, y, a) = 0   F (x, y, a + h) − F (x, y, a) = 0, h Al variare di h, questi punti (se esistono), che indichiamo con (xh , yh ), variano in Γa ; se per h → 0 essi convergono verso determinati punti di Γa , questi ` facile verificare che i altri punti (x, y) si dicono punti caratteristici di Γa . E punti caratteristici, se esistono, sono soluzioni del sistema   F (x, y, a) = 0  ∂F (x, y, a) = 0, ∂a Infatti, per ogni h si ha, dal teorema del valor medio,   F (xh , yh , a) = 0  F (xh , yh , a + h) − F (xh , yh , a) = ∂F (xh , yh , a + δh ) = 0, h ∂a ove δh `e un opportuno numero tale che 0 < |δh | < |h|. Quindi, per la continuit`a di F e ∂F , se (xh , yh ) → (x, y), passando al limite per h → 0 si ∂a ottiene   F (x, y, a) = 0  ∂F (x, y, a) = 0. ∂a 393


Abbiamo fatto una lista di ipotesi alquanto arbitrarie: che i punti (xh , yh ) esistano per ogni |h| sufficientemente piccolo, e che tali punti convergano per h → 0. Tuttavia si tratta di ipotesi spesso verificate in svariati esempi significativi. Esempio 4.4.2 Posto F (x, y, a) = (x − a)2 + y 2 − a2 /4 , l’insieme Γa `e la circonferenza di centro (a, 0) e raggio |a|/2. Risolvendo il sistema fra Γa e Γa+h si trovano i punti s 2 a2 3h a h 3a , , yh = ± − − xh = + 2 4 4 8 4 e per h → 0 si ottiene il punto caratteristico √ 3a 3a x= y= , . 4 4 Il luogo dei punti caratteristici, al variare di√ a, d`a la coppia di rette y = ±x/ 3, sulle quali i punti delle circonferenze “si addensano”. Osservazione 4.4.3 Le soluzioni del sistema F = ∂F = 0 non sono neces∂a sariamente punti caratteristici della famiglia {Γa }: ad esempio se Γa `e la circonferenza di centro (a3 , 0) e raggio 1, i punti caratteristici sono soltanto = 0 sono anche i quelli delle rette y = ±1, mentre le soluzioni di F = ∂F ∂a 2 2 punti della circonferenza x + y = 1, oltre a quelli di tali rette. Le verifiche di tutto ci`o sono facili. Sotto opportune e ragionevoli ipotesi, comunque, le soluzioni del sistema F = ∂F = 0 formano una curva con propriet`a geometriche assai interessanti. ∂a Teorema 4.4.4 Sia F : A × I → R una funzione di classe C 1 . Supponiamo che   ∂F ∂F 2  ∂x ∂y   6= 0 in A × I; (ii) ∂ F 6= 0 in A × I. (i) det   ∂ 2F ∂a2 ∂ 2F  ∂x∂a ∂y∂a 394


Allora le soluzioni del sistema   F (x, y, a) = 0  ∂F (x, y, a) = 0 ∂a formano una curva regolare Γ, parametrizzata da a ∈ I, la quale `e tangente in ogni suo punto alla corrispondente curva Γa (definita implicitamente dall’equazione F (x, y, a) = 0). La curva Γ si dice inviluppo della famiglia {Γa }a∈I . Dimostrazione La condizione (i), intanto, assicura che Fx2 + Fy2 > 0 in A × I, e che quindi Γa `e una curva regolare; tale condizione inoltre, in virt` u del teorema del Dini (esercizio 1.9.4), assicura che il sistema dato definisce implicitamente una curva Γ, parametrizzata nella forma x = p(a), y = q(a), a ∈ I, con p, q di classe C 1 e ∂F  ∂x = −  ∂ 2F ∂x∂a 

p0 (a) q 0 (a)

!

−1   ∂F 0 ∂y      ∂ 2F  , 2  ∂ F ∂ 2a ∂y∂a

ove le derivate di F sono tutte calcolate in (p(a), q(a), a) e si `e usato il fatto che Fa (p(a), q(a), a) = 0. In particolare, Γ `e una curva regolare, poich´e da (ii) segue che p0 (a)2 + q 0 (a)2 > 0. Derivando rispetto ad a l’identit`a F (p(a), q(a), a) = 0 e tenendo conto ancora una volta della condizione Fa (p(a), q(a), a) = 0, si ricava Fx (p(a), q(a), a) p0 (a) + Fy (p(a), q(a), a) q 0 (a) = 0, il che ci dice che il vettore tangente (p0 (a), q 0 (a)) `e ortogonale al vettore (Fx (p(a), q(a), a), Fy (p(a), q(a), a)), il quale `e normale alla curva Γa : dunque Γ risulta tangente a Γa nel punto (p(a), q(a)).

Evoluta di una curva piana Data una curva piana ϕ , regolare e di classe C 2 , con curvatura k(s) mai nulla, il luogo dei suoi centri di curvatura (cio`e dei centri dei suoi cerchi osculatori)

395


`e una nuova curva che si chiama evoluta della curva ϕ . Se ϕ `e riferita al parametro lunghezza d’arco, le equazioni parametriche dell’evoluta sono (s) = ϕ (s) +

1 N(s) k(s)

(si noti che s non `e il parametro lunghezza d’arco su ). L’evoluta `e una curva regolare, ad eccezione dei punti in cui k 0 (s) = 0, che corrispondono ai vertici della curva Ď• : infatti, per le formule di Fr´enet-Serret si ha 0 (s) = −

k 0 (s) N(s). k(s)2

In particolare, la normale alla curva Ď• `e tangente alla sua evoluta; il punto di tangenza `e (s), ossia il centro di curvatura relativo al punto Ď• (s). Vediamo due propriet`a interessanti dell’evoluta. Proposizione 4.4.5 L’evoluta di una curva regolare, di classe C 2 , con curvatura mai nulla, `e l’inviluppo delle rette normali ad essa. Dimostrazione Sia Ď• una curva piana, regolare e di classe C 2 , con curvatura k(s) mai nulla, riferita al parametro lunghezza d’arco, e sia la sua evoluta. La retta normale a Ď• (s) = (x(s), y(s)) ha equazione F (x, y, s) = (x − x(s))x0 (s) + (y − y(s))y 0 (s) = 0; derivando questa relazione rispetto a s troviamo, ponendo (N1 (s), N2 (s)) = N(s), 0=

∂F (x, y, s) = (x − x(s))x00 (s) + (y − y(s))y 00 (s) − x0 (s)2 − y 0 (s)2 = ∂s = (x − x(s))k(s)N1 (s) + (y − y(s))k(s)N2 (s) − 1.

Ricordando che = Ď• (s) +

1 k(s)

N(s), si deduce che (s) risolve il sistema

  F (x, y, s) = 0  ∂F (x, y, s) = 0. ∂s D’altra parte si vede facilmente che quando Ď• (s) non `e un vertice di Ď• si ha 396


∂F  ∂x det   ∂ 2F ∂x∂s 

 ∂F ∂y   = k(s) 6= 0, ∂ 2F  ∂y∂s

∂ 2F k 0 (s) = 6= 0; ∂s2 k(s)2 pertanto il teorema 4.4.4 ci fornisce la tesi. Proposizione 4.4.6 Data una curva regolare Ď• , di classe C 2 , con curvatura mai nulla, sia la sua evoluta. Fissato un intervallo [s0 , s1 ] tale che Ď• [s0 , s1 ] non contenga vertici, la lunghezza dell’arco di evoluta relativo a tale intervallo `e uguale alla differenza fra i raggi di curvatura (cio`e i raggi dei cerchi osculatori) relativi ai due estremi Ď• (s0 ) e Ď• (s1 ). Dimostrazione Sia Ďƒ il parametro lunghezza d’arco dell’evoluta a partire da s0 : Z s Ďƒ(s) = | 0 (Ď„ )|2 dĎ„ ; s0 0

poich´e per ipotesi, k e k non si annullano in [s0 , s1 ], si ha

0

d 1 d 1 |k (s)|

=

= Ďƒ 0 (s) = | 0 (s)|2 =

ds k(s) ds |k(s)| . k(s)2 Dunque, integrando fra s0 e s1 otteniamo

1

1

. `( |[s0 ,s1 ] ) = |Ďƒ(s1 ) − Ďƒ(s0 )|2 =

− |k(s1 )| |k(s0 )|

1 la tesi segue ricordando che |k(s)| `e il raggio di curvatura relativo al punto Ď• (s).

Dalla proposizione 4.4.6 ricaviamo che, immaginando di tendere un pezzo di filo inestensibile lungo l’evoluta fra (s1 ) e (s0 ), con la parte residua tesa fra (s0 ) e Ď• (s0 ), accade la cosa seguente: “tirandoâ€? il filo teso in modo che si stacchi via via dall’evoluta fino a tendersi in linea retta da (s1 ), il suo secondo estremo, che prima era in Ď•(s0 ), descriver`a la curva Ď• (l’ evolvente di ) fino a trovarsi teso fra (s1 ) e Ď• (s1 ).

397


Esempi 4.4.7 (1) Per la parabola y = x2 , il luogo dei centri di curvatura (esercizio 4.3.6) `e la curva 1 y(t) = 3t2 + ; 2

x(t) = −4t3 ,

eliminando la t, si ottiene come evoluta la parabola semicubica di equazione 3 1 16 y − = 27x2 . 2

(2) La cicloide (curva descritta da un punto su una circonferenza di raggio 1, centrata in un punto di quota 1, che rotola senza strisciare lungo l’asse x) `e data dalle equazioni parametriche x = π + t + sin t,

y = −1 − cos t,

t ∈ [âˆ’Ď€, Ď€].

Ricordando l’esercizio 4.3.3, l’evoluta di una curva Ď• (t) = (x(t), y(t)) di parametro generico t `e data da 1 N(t) = (t) = Ď• (t) + k(t) x0 (t)2 + y 0 (t)2 x0 (t)2 + y 0 (t)2 0 0 = x(t) − y (t) 0 , y(t) + x (t) 0 . x (t)y 00 (t) − x00 (t)y 0 (t) x (t)y 00 (t) − x00 (t)y 0 (t) Dato che x0 (t) = 1 + cos t,

y 0 (t) = sin t,

x00 (t) = − sin t,

y 00 (t) = cos t,

si deduce facilmente che (t) = (Ď€ + t − sin t, 1 + cos t), 398

t ∈ [âˆ’Ď€, Ď€],


ovvero, ponendo Ď„ = t + Ď€, (Ď„ − Ď€) + (Ď€, −2) = (Ď€ + Ď„ + sin Ď„, −1 − cos Ď„ ),

Ď„ ∈ [0, 2Ď€].

Queste sono le equazioni di una cicloide, ottenuta traslando del vettore (Ď€, −2) la cicloide originaria Ď• . Dunque, l’evoluta di una cicloide `e la stessa cicloide.

Esercizi 4.4 1. Calcolare la curvatura dell’evoluta di una curva regolare Ď•, di classe C 2 , con curvatura mai nulla, riferita al parametro lunghezza d’arco. 2. Determinare l’inviluppo della famiglia di segmenti di lunghezza `, aventi gli estremi sui due assi coordinati di R2 , nonch´e l’evoluta di tale inviluppo.

3. Provare che l’inviluppo delle circonferenze passanti per l’origine e con centro sull’iperbole y 2 − x2 = 1 `e la lemniscata di Bernoulli (esempio 4.2.3). 4. Una sorgente posta sul bordo di un cerchio emette raggi luminosi che vengono riflessi dal bordo del cerchio. Si trovi l’equazione dell’inviluppo dei raggi riflessi (caustica di riflessione). [Traccia: si supponga che il cerchio abbia equazione x2 + y 2 ≤ 1 e che la sorgente si trovi in P = (1, 0). Il raggio che colpisce (cos t, sin t) viene riflesso in (cos 2t, sin 2t); si mostri che l’equazione del raggio riflesso ha la forma F (x, y, t) = x(sin t − sin 2t) + y(cos t − cos 2t) − sin t = 0. Si provi poi che le soluzioni di F (x, y, t) = Ft (x, y, t) = 0 sono date da 399


x = 32 cos t(1+cos t)− 13 , y = 23 sin t(1+cos t), ed usando coordinate polari di centro (− 13 , 0) si provi che si arriva all’equazione ρ = 23 (1+cos ϑ), che `e quella della cardioide (esercizio 4.1.6(xii)).] 5. Provare che l’evoluta della trattrice (

x = ln

1+sin t cos t

y = cos t,

− sin t

|t| ≤

π , 2

`e la catenaria y = cosh x, x ∈ R.

6. Trovare l’inviluppo delle circonferenze passanti per l’origine e con centro sulla parabola y 2 = x (cissoide di Diocle, esercizio 4.3.9(iii)).

4.5

Curve sghembe

Analizziamo alcuni aspetti della geometria delle curve in R3 , dette anche “curve sghembe”. Sia ϕ : I → R3 una curva regolare, di classe C 3 , riferita al parametro lunghezza d’arco. Il versore tangente `e, come sappiamo, T(s) = ϕ 0 (s); diversamente dal caso delle curve piane, definiamo la curvatura di ϕ nel modo seguente: k(s) = |T0 (s)|3 . Dunque per le curve sghembe la curvatura `e sempre non negativa (ricordiamo che nel caso piano vale comunque |k(s)| = |T0 (s)|2 ). Se poi k(s) non `e nulla, ricordando che la derivata di un versore `e un vettore ad esso ortogonale, definiamo il versore normale principale come N(s) =

T0 (s) k(s)

400


(quando k(s) = 0 il versore normale principale non viene definito). Vale di conseguenza la relazione T0 (s) = k(s)N(s) come nel caso piano. Supporremo d’ora in avanti k(s) strettamente positiva. Il piano individuato da T(s) e N(s) si chiama piano osculatore alla curva ϕ nel punto ϕ (s); il 1 da ϕ (s) nella direzione di N(s), punto c(s) di tale piano, a distanza k(s) 1 si chiama centro di curvatura, mentre il cerchio di centro c(s) e raggio k(s) , contenuto nel piano osculatore, si dice cerchio osculatore. La retta ortogonale al piano osculatore si chiama retta binormale, e il versore binormale B(s) `e definito, come `e naturale, dal prodotto vettoriale B(s) = T(s) × N(s), cosicch´e la terna (T(s), N(s), B(s)) , detta triedro principale della curva ϕ nel punto ϕ (s), `e sinistrorsa al pari dei tre assi cartesiani x, y, z (e in particolare il determinante della matrice che ha tali vettori come vettori colonna vale +1). Il piano individuato da N(s) e B(s) si dice (ovviamente) piano normale, mentre quello individuato da B(s) e T(s) si chiama piano rettificante. Osservazioni 4.5.1 (1) Il significato geometrico del piano osculatore `e il seguente: fra tutti i piani che passano per il punto ϕ (s) e contengono il vettore T(s) (che pensiamo uscente da ϕ (s)), esso `e l’unico che abbia un contatto con la curva di ordine ≥ 3. Infatti i piani della forma hx − ϕ (s), ai3 = 0 hanno contatto in ϕ(s) di ordine ≥ 1. La derivata rispetto a s del primo ϕ0 (s), ai3 , quindi il contatto `e di ordine ≥ 2 se e solo se membro `e −hϕ ha, T(s)i3 = 0; la derivata seconda `e ha, T0 (s)i3 = k(s) ha, N(s)i3 , per cui il contatto `e di ordine ≥ 3 se e solo se ha, T(s)i3 = 0,

ha, N(s)i3 = 0.

L’unica retta ortogonale sia a T(s) che a N(s) `e ovviamente la retta binormale; ne segue a = λB(s) e dunque il nostro piano ha equazione hx − ϕ(s), B(s)i3 = 0, 401


ed `e perci`o il piano osculatore. (2) L’equazione del piano normale `e hx − ϕ (s), T(s)i3 = hx − ϕ (s), ϕ 0 (s)i3 = 0, e quella del piano rettificante `e ϕ(s), N(s)i3 = hx−ϕ ϕ(s), ϕ 00 (s)i3 = 0; hx−ϕ dette x(s), y(s), z(s) le componenti di ϕ (s), e ricordando l’espressione delle componenti di un prodotto vettoriale, l’equazione del piano osculatore pu`o scriversi nella forma   x − x(s) y − y(s) z − z(s) 1 y 0 (s) z 0 (s)  . det  x0 (s) hx − ϕ (s), T(s) × N(s)i3 = k(s) 00 00 x (s) y (s) z 00 (s) Vediamo adesso come si ricavano le formule di Fr´enet-Serret nello spazio. Sappiamo gi`a che T0 (s) = k(s)N(s). Ricordando che N0 (s) `e ortogonale a N(s), sar`a N0 (s) = λ(s)T(s) + τ (s)B(s) per certi λ(s), τ (s) ∈ R. Ma, essendo hN(s), T(s)i3 = 0, si ha anche d hT(s), N(s)i3 = hT0 (s), N(s)i3 + hT(s), N0 (s)i3 = ds = k(s)|N(s)|23 + λ(s)|T(s)|23 + τ (s) hT(s), B(s)i3 = k(s) + λ(s),

0 =

da cui λ(s) = −k(s). Quindi N0 (s) = −k(s)T(s) + τ (s)B(s); il numero τ (s) si chiama torsione della curva ϕ nel punto ϕ(s). Analogamente, sar`a B0 (s) = µ(s)T(s) + ν(s)N(s) per certi µ(s), ν(s) ∈ R; ma d hB(s), T(s)i3 = hB0 (s), T(s)i3 + hB(s), T0 (s)i3 = ds = µ(s)|T(s)|23 + ν(s) hN(s), T(s)i3 + k(s)hB(s), N(s)i3 = µ(s),

0 =

402


d hB(s), N(s)i3 = hB0 (s), N(s)i3 + hB(s), N0 (s)i3 = ds = µ(s) hT(s), N(s)i3 + ν(s)|N(s)|23 − k(s) hB(s), T(s)i3 + τ (s)|B(s)|23 = = ν(s) + τ (s),

0 =

e partanto µ(s) = 0 e ν(s) = −τ (s), ossia B0 (s) = −τ (s)N(s). In definitiva si hanno le relazioni  0  T (s) = k(s)N(s) N0 (s) = −k(s)T(s) + τ (s)B(s)  0 B (s) = −τ (s)N(s) che costituiscono le formule di Fr´enet-Serret per le curve sghembe. Qual `e il significato geometrico della curvatura e della torsione? Indicando con ω(h) l’angolo fra T(s + h) e T(s), si ha ω(h) → 0 per h → 0 e |T(s + h) − T(s)|23 = h→0 h2 1 = lim 2 hT(s + h) − T(s), T(s + h) − T(s)i3 + h→0 h 2 2 − 2 cos ω(h) 2 − 2 cos ω(h) ω(h) = lim = lim · lim = h→0 h→0 h→0 h2 ω(h)2 h 2 ω(h) . = lim h→0 h

|T0 (s)|23 = lim

D’altra parte, il primo membro di questa catena di uguaglianze `e il quadrato della curvatura, per cui |ω(h)| k(s) = lim . h→0 |h| Dunque la curvatura misura quanto rapidamente la curva si stacca dalla sua retta tangente in ϕ (s). Similmente, se indichiamo con Ω(h) l’angolo fra B(s + h) e B(s), procedendo allo stesso modo si trova |Ω(h)| . h→0 |h|

|τ (s)| = lim 403


Dato che Ω(h) `e anche l’angolo fra il piano osculatore in ϕ (s + h) e quello in ϕ(s), otteniamo che il modulo della torsione misura quanto rapidamente la curva si stacca dal piano osculatore. Anche il segno di τ (s) ha un’interpretazione geometrica: se conveniamo di scegliere come faccia positiva del piano osculatore quella che guarda verso B(s) e come faccia negativa quella che guarda verso −B(s), allora la torsione `e positiva se ϕ (s + h), per h > 0, si stacca dal piano osculatore sulla sua ϕ(s) , B(s)i3 > 0), mentre la torsione `e negativa faccia positiva (ossia h ϕ (s+h)−ϕ h se ϕ (s + h), sempre per h > 0, si stacca dal piano osculatore sulla sua ϕ(s) faccia negativa (ossia h ϕ (s+h)−ϕ , B(s)i3 < 0). Per provare questo fatto, h consideriamo il rapporto incrementale di ϕ nel punto s: dalla formula di Taylor si ha ϕ (s + h) − ϕ (s) h h2 = ϕ 0 (s) + ϕ 00 (s) + ϕ 000 (s) + o(h2 ) per h → 0, h 2 6 ed usando le formule di Fr´enet-Serret h ϕ (s + h) − ϕ (s) h2 = T(s) + N(s)k(s) + [k(s)N(s)]0 + o(h2 ) = h 2 6 2 h2 h 2h 0 = T(s) 1 − k(s) + N(s) k(s) + k (s) + 6 2 6 h2 + B(s)k(s)τ (s) + o(h2 ) per h → 0. 6 Dunque, per h → 0, ϕ (s + h) − ϕ (s) , B(s) = h 3 h2 = k(s)τ (s) + o(h2 ), 6 cosicch´e per |h| sufficientemente piccolo tale prodotto scalare ha esattamente il segno di τ (s). Le curve sghembe sono caratterizzate, a meno di moti rigidi dello spazio, dalla curvatura e dalla torsione. Vale infatti il Teorema 4.5.2 Sia I un intervallo di R contenente 0, e siano k ∈ C 1 (I) e τ ∈ C(I) funzioni assegnate, con k > 0. Per ogni x0 ∈ R3 e per ogni coppia 404


di versori ortogonali u e v esiste un’unica curva regolare ϕ : I → R3 di classe C 3 , riferita al parametro lunghezza d’arco, tale che ϕ (0) = x0 ,

ϕ 0 (0) = u,

ϕ 00 (0) = v,

e che abbia k(s) come curvatura e τ (s) come torsione. Dimostrazione Le formule di Fr´enet-Serret costituiscono un sistema di nove equazioni differenziali lineari, a coefficienti continui definiti in I, nelle incognite T(s), N(s), B(s) (tre per ciascun vettore). Le condizioni iniziali sono T(0) = u, N(0) = v, B(0) = u × v. Dalla teoria dei sistemi differenziali lineari otteniamo l’esistenza e l’unicit`a di tre funzioni vettoriali T(s), N(s), B(s) definite sull’intero intervallo I, che risolvono le equazioni di Fr´enet-Serret. La curva cercata sar`a Z s ϕ(s) = x0 + T(r) dr, s ∈ I : 0

`e immediato infatti controllare che tale curva ha k(s) come curvatura e τ (s) come torsione. Occorre per`o mostrare che la terna T(s), N(s), B(s) `e, per ogni s ∈ I, una terna di versori ortogonali orientati come gli assi x, y, z: questa verifica `e accennata nell’esercizio 4.5.1. Come si calcolano esplicitamente la curvatura e la torsione di una curva assegnata? Consideriamo dapprima il caso di una curva ϕ (s) = (x(s), y(s), z(s)) riferita al parametro lunghezza d’arco. Anzitutto, per la curvatura si ha p ϕ00 (s)|3 = x00 (s)2 + y 00 (s)2 + z 00 (s)2 . k(s) = |T0 (s)|3 = |ϕ Per la torsione possiamo scrivere, utilizzando le prime due formule di Fr´enetSerret, d T0 (s) 0 τ (s) = hB(s), N (s)i3 = B(s), = ds k(s) 3 ϕ 000 (s) N(s)k 0 (s) T00 (s) T0 (s)k 0 (s) = B(s), = = B(s), − − k(s) k(s)2 k(s) k(s) 3 3 ϕ0 (s) × ϕ 00 (s), ϕ 000 (s)i3 ϕ 000 (s) hϕ = T(s) × N(s), = = k(s) 3 k(s)2  0  x (s) y 0 (s) z 0 (s) 1 = 00 2 det  x00 (s) y 00 (s) z 00 (s)  . x (s) + y 00 (s)2 + z 00 (s)2 x000 (s) y 000 (s) z 000 (s) 405


Supponiamo ora che la curva ϕ dipenda da un generico parametro t: l’ascissa curvilinea s `e data da Z t ϕ0 (r)|3 dr, |ϕ s = `(t) = 0

ϕ0 (t)|3 . Dunque, denotando con ϕ 0 (s), T0 (s), N0 (s), B0 (s), da cui `0 (t) = |ϕ k0 (s), τ0 (s) le funzioni ϕ , T, N, B, k, τ calcolate in t = `−1 (s), si ha ϕ 0 (t) = ϕ 0 (`(t))`0 (t),

ϕ 00 (t) = ϕ 000 (`(t))`0 (t)2 = ϕ 00 (`(t))`00 (t),

da cui, essendo v × v = 0 per ogni v ∈ R3 , ϕ00 (`(t)) × ϕ 000 (`(t))] `0 (t)3 + 0 = ϕ 0 (t) × ϕ 00 (t) = [ϕ ϕ0 (t)|33 = = k0 (`(t)) [T(`(t)) × N0 (`(t))] |ϕ ϕ0 (t)|33 = k(t) |ϕ ϕ0 (t)|33 B(t), = k(t) B0 (`(t)) |ϕ da cui, passando ai moduli, k(t) =

ϕ0 (t) × ϕ 00 (t)|3 |ϕ . ϕ0 (t)|33 |ϕ

Similmente, utilizzando la relazione ϕ 000 (t) = = =

0 3 ϕ000 (`(t))`0 (t)`00 (t) + ϕ 00 (`(t))`000 (t) = ϕ 000 0 (`(t))` (t) + 3ϕ 0 3 0 00 000 ϕ 000 0 (`(t))` (t) + 3k0 (`(t))N0 (`(t))` (t)` (t) + T0 (`(t))` (t) = ϕ000 ϕ0 (t)|33 + 3k(t)`0 (t)`00 (t)N(t) + `000 (t)T(t), 0 (`(t))|ϕ

si ottiene ϕ0 (t) × ϕ00 (t), ϕ000 (t)i3 = k(t) |ϕ ϕ0 (t)|63 hB(t), ϕ000 (`(t))i3 + 0 = hϕ d 0 6 00 0 6 ϕ (t)|3 hB(t), T0 (s)i3 = k(t) |ϕ ϕ (t)|3 B0 (s), [k0 (s)N0 (s)] = = k(t) |ϕ ds 3 2 0 6 0 ϕ (t)|3 hB0 (s), N0 (s)i3 + 0 = = k(t) |ϕ ϕ0 (t)|63 hB0 (s), τ0 (s)B0 (s)i3 = k(t)2 |ϕ ϕ0 (t)|63 τ (t), = k(t)2 |ϕ da cui finalmente τ (t) =

ϕ0 (t) × ϕ00 (t), ϕ 000 (t) ϕ0 (t) × ϕ 00 (t), ϕ 000 (t) hϕ hϕ = . ϕ0 (t)|63 ϕ0 (t) × ϕ 00 (t)|23 k(t)2 |ϕ |ϕ 406


Si noti che se invertiamo l’orientazione di una curva ϕ , il versore T cambia verso, mentre la sua derivata T0 rimane invariata; quindi N resta a sua volta invariata. Dunque B = T × N cambia verso: ne segue che le due facce del piano osculatore si invertono fra loro. ` facile allora vedere che la curvatura e la torsione in un fissato punto del E sostegno di ϕ non dipendono dall’orientazione di ϕ ; per giunta esse non cambiano passando da ϕ ad un’altra curva ad essa equivalente. Ci`o conferma l’intuizione geometrica che si tratti di grandezze intrinsecamente legate alla forma del sostegno. Esempio 4.5.3 L’elica cilindrica s s , y = a sin √ , x = a cos √ a2 + b 2 a2 + b 2

z = b√

s , a2 + b 2

s ∈ R,

ove a, b ∈ R, `e riferita al parametro lunghezza d’arco, poich´e x0 (s)2 + y 0 (s)2 + z 0 (s)2 = 1. Si ha, come `e facile verificare, k(s) = √

|a| , a2 + b 2

b τ (s) = √ a2 + b 2

∀s ∈ R;

quindi l’elica cilindrica ha curvatura e torsione costanti. Il teorema 4.5.2 ci dice che `e l’unica curva di R3 con questa propriet`a. Esempio 4.5.4 Calcoliamo curvatura e torsione dell’elica cilindrica “discendente” x = a sin t, y = a cos t, z = −bt, t ∈ R, ove a e b sono numeri reali non nulli. Si ha x0 (t) = a cos t,

y 0 (t) = −a sin t,

x00 (t) = −a sin t,

y 00 (t) = −a cos t, z 00 (t) = 0,

x000 (t) = −a cos t, y 000 (t) = a sin t,

z 0 (t) = −b, z 000 (t) = 0.

Dunque ϕ0 (t)|3 = |ϕ

a2 + b 2 ,

 −ab cos t ϕ 0 (t) × ϕ 00 (t) =  ab sin t  , −a2 407


e pertanto, coerentemente con l’esempio precedente, k(t) =

a2

|a| , + b2

τ (t) =

a2

b . + b2

Esercizi 4.5 1. Provare che le soluzioni delle equazioni di Fr´enet-Serret T0 (s) = k(s)N(s), N0 (s) = −k(s)T(s)+τ (s)B(s), B0 (s) = −τ (s)N(s), con le condizioni iniziali T(0) = u,

N(0) = v,

B(0) = u × v,

formano per ogni s ∈ I una terna sinistrorsa. [Traccia: mostrare che le sei funzioni hT, Ti3 , hT, Ni3 , hT, Bi3 , hN, Ni3 , hN, Bi3 , hB, Bi3 risolvono un sistema di sei equazioni differenziali lineari con condizioni iniziali (per s = 0) rispettivamente 1, 0, 0, 1, 0, 1, e verificare che anche le funzioni costanti 1, 0, 0, 1, 0, 1 risolvono tale sistema. Se ne deduca che T(s), N(s), B(s) `e una terna ortonormale e sinistrorsa per ogni s.] 2. Si provi che se ϕ : I → R3 `e una curva regolare il cui sostegno giace su un piano Π, allora in ogni suo punto il piano osculatore coincide con Π, e che, viceversa, se una curva regolare ha in ogni punto lo stesso piano osculatore Π, allora il sostegno della curva giace su Π. 3. Si provi che se una curva regolare ha in ogni punto piani osculatori paralleli fra loro, allora la curva `e piana. 4. Si verifichi che una curva ϕ : I → R3 , il cui sostegno sia una retta, ha piano osculatore indeterminato; viceversa, si provi che se una curva regolare in ogni punto ha piano osculatore indeterminato, allora il suo sostegno `e rettilineo. 5. Sia ϕ una curva regolare (di classe C 2 ) in R3 riferita al parametro lunghezza d’arco. Provare che ϕ e la proiezione ortogonale di ϕ sul proprio piano osculatore in ϕ (s) hanno la stessa curvatura nel punto ϕ (s). 408


6. Sia ϕ : I → R3 una curva regolare, di classe C 3 , riferita al parametro lunghezza d’arco, con curvatura e torsione non nulle, e si definiscano 1 1 , ϑ(s) = τ (s) . Si provi che il sostegno di ϕ giace su una R(s) = k(s) superficie sferica se e solo se R(s)2 + R0 (s)2 ϑ(s)2 `e costante. 7. Calcolare la curvatura e la torsione delle curve seguenti: (i) x = t, y = 2t2 , z = t − 1 (t ∈ R); (ii) x = e2t , y = 2et , z = t (t ∈ R); (iii) x = (2 + cos t) sin t, y = (2 + cos t) cos t, z = sin t (t ∈ [0, 2π]);

(iv) x = t2 , y = 2 − t, z = t3 (t ∈ R); (v) x = et cos t, y = et sin t, z = 2 (t ∈ R); (vi) x = t, y =

4.6

1+t , t

z=

1−t2 t

(t > 0).

Forme differenziali lineari

Un argomento strettamente legato all’ambito degli integrali curvilinei, e che ha importanti applicazioni alla fisica, `e quello delle forme differenziali lineari

409


di grado 1, ovvero, pi` u brevemente, delle 1-forme. Una 1-forma `e un’applicazione x 7→ ω(x), definita su un aperto A ⊆ RN ed a valori nel duale (RN )∗ , cio`e nello spazio vettoriale N -dimensionale delle applicazioni lineari da RN a R. Ricordiamo che una base di (RN )∗ `e costituita dalle N proiezioni canoniche π1 , . . . , πN , date da πj (x) = xj

∀x ∈ RN ,

j = 1, . . . , N.

Di solito, lo spazio (RN )∗ viene identificato con RN mediante la corrispondenza N N X X v∗ = vj πj ←→ v = vj ej , j=1

j=1

la quale trasforma la dualit`a fra (RN )∗ e RN , che denotiamo con h·, ·i∗N , nel prodotto scalare fra vettori di RN : hv ∗ , xi∗N = hv, xiN =

N X

∀v ∗ ∈ (RN )∗ ,

vj xj

∀x ∈ RN ;

j=1

tuttavia nella teoria delle forme differenziali conviene tenere distinti i due spazi ed utilizzare la dualit`a anzich´e il prodotto scalare. Gli elementi di RN sono, naturalmente, vettori; chiameremo covettori gli elementi di (RN )∗ , ed useremo notazioni diverse per le componenti dei vettori e dei covettori: scriveremo cio`e per x ∈ RN (come abbiamo gi`a fatto fin qui) e per y ∈ (RN )∗ 1

N

x = (x , . . . , x ) =

N X

j

x ej ,

y = (y1 , . . . , yN ) =

j=1

cosicch´e hy, xi∗N

=

N X

N X

yj π j ,

j=1

y j xj

∀y ∈ (RN )∗ ,

∀x ∈ RN .

j=1

Sulla base di tutto ci`o, data una 1-forma ω : A → (RN )∗ , per ciascun x ∈ A l’applicazione lineare ω(x) ∈ (RN )∗ pu`o scriversi come ω(x) =

N X

ωj (x)πj ,

j=1

410

x ∈ A.


D’altra parte, ricordiamo che le πj , essendo funzioni lineari, sono differenziabili, con differenziale dato da ∀x ∈ RN ;

dπj (x) = πj

quindi possiamo scrivere, secondo l’uso corrente anche se alquanto impropriamente, πj = dπj (x) = dxj , e dunque rappresentare la 1-forma ω nel modo seguente, che `e standard nella letteratura matematica, ω(x) =

N X

ωj (x)dxj .

j=1

Le funzioni ωj : A → R, j = 1, . . . , N , si dicono coefficienti della 1-forma ω. Se ωj ∈ C k (A), j = 1, . . . , N , diremo che la 1-forma ω `e di classe C k (k ∈ N oppure k = ∞). Esempio 4.6.1 Se f : A → R `e una funzione differenziabile, il suo differenziale df : A → (RN )∗ `e una 1-forma che agisce cos`ı: hdf (x), hi∗N

N X ∂f ∇f (x), hiN (x)hi = h∇ = i ∂x i=1

∀h ∈ RN ,

∀x ∈ A.

Questo esempio `e talmente importante che le 1-forme ω che sono differenziali di funzioni hanno una denominazione speciale. Definizione 4.6.2 Sia A un aperto di RN e sia ω : A → (RN )∗ una 1forma. Diciamo che ω `e esatta in A se esiste una funzione differenziabile f : A → R, tale che df = ω in A. In tal caso, la funzione f si dice primitiva della 1-forma ω. ` chiaro che se f `e una primitiva della forma esatta ω, allora per ogni c ∈ R E anche f + c `e una primitiva di ω. Viceversa, se l’aperto A `e connesso allora ogni primitiva g di ω `e della forma g = f + c: infatti d(g − f ) = dg − df = ω − ω = 0, ed essendo A connesso, si deduce che g − f `e costante. Notiamo anche che se ω `e esatta e di classe C k , allora ogni sua primitiva appartiene a C k+1 (A). A noi interesser`a individuare condizioni necessarie o sufficienti affinch´e una data 1-forma sia esatta. 411


Integrali curvilinei di 1-forme Sia ϕ : [a, b] → RN una curva di classe C 1 , sia A un aperto di RN contenente il sostegno di ϕ , e sia ω : A → (RN )∗ una 1-forma di classe C 0 . Definizione 4.6.3 L’ integrale curvilineo di ω su ϕ `e il numero Z Z b N Z b X 0 ∗ ϕ(t)), ϕ (t)iN dt = ϕ(t))(ϕi )0 (t) dt. ω= hω(ϕ ωi (ϕ ϕ

a

i=1

a

1 Osserviamo che se ψ : [c, d] → RN `e un’altra curvaRdi classe R C , equivalente a ϕ e con la stessa orientazione di ϕ , allora si ha ψ ω = ϕ ω, mentre se le R R due curve sono equivalenti e con orientazioni opposte si ha ψ ω = − ϕ ω; lo stesso accade nel caso di due curve chiuse equivalenti a tratti. Questo fatto `e di facile verifica: detto p : [c, d] → [a, b] il diffeomorfismo tale che ψ (τ ) = ϕ (p(τ )), col cambiamento di variabile t = p(τ ) si ha Z Z b Z p−1 (b) 0 ∗ ϕ(t)), ϕ (t)iN dt = ϕ(p(τ ))), ϕ 0 (p(τ ))p0 (τ )i∗N dτ = ω = hω(ϕ hω(ϕ ϕ

p−1 (a)

a

Z

p−1 (b)

ψ (τ )), ψ hω(ψ

= p−1 (a)

0

(τ ))i∗N

Z dτ = ±

d

ψ (τ )), ψ hω(ψ

0

(τ ))i∗N

c

Z dτ = ± ω, ψ

a seconda che sia p0 > 0 (e dunque p(c) = a, p(d) = b) oppure p0 < 0 (e dunque p(c) = b, p(d) = a). In definitiva, a differenza di quello che accade per gli integrali curvilinei di funzioni, che sono invarianti per curve equivalenti a prescindere dalla loro orientazione, per fare gli integrali curvilinei di forme differenziali occorre assegnare un’orientazione alla curva. Se poi la curva R ϕ `e regolare e semplice, allora il valore dell’integrale ϕ ω dipende solo dal sostegno ΓR di ϕ e dall’orientazione che si assegna ad esso: lo denoteremo R allora con +Γ ω o con −Γ ω. Esempio 4.6.4 Sia ω : R2 \ {(0, 0)} → (R2 )∗ definita da x y dx + dy. ω(x, y) = − 2 x + y2 x2 + y 2 Se Γ `e la circonferenza di centro (0, 0) e raggio r, e scegliamo il verso antiorario (positivo), allora Γ `e parametrizzata dalla curva ϕ (t) = (r cos t, r sin t), t ∈ [0, 2π], e risulta Z Z 2π Z 2π −r sin t r cos t ω= (−r sin t) + (r cos t) dt = 1 dt = 2π. r2 r2 0 +Γ 0 412


Scegliendo invece il verso orario (negativo), possiamo parametrizzare Γ mediante la curva ψ (t) = (r sin t, r cos t), t ∈ [0, 2π], e si trova Z Z 2π Z 2π −r cos t r sin t (−1) dt = −2π. ω= (r cos t) + (−r sin t) dt = r2 r2 0 0 −Γ Torneremo in seguito su questo esempio. Osservazione 4.6.5 Sia ϕ : [a, b] → RN una curva di classe C 1 a tratti: come si sa, ci`o significa che ϕ `e continua ed esistono t0 = a < t1 , . . . , tm−1 < b = tm tali che ϕ i = ϕ|[ti−1 ,ti ] , i = 1, . . . , m, `e una curva di classe C 1 . Scriveremo in tal caso ϕ = ϕ1 ∨ ϕ2 ∨ . . . , ϕm . Se A `e un aperto che contiene il sostegno di ϕ , e ω `e una 1-forma di classe C 0 su A, definiamo Z k Z X ω= ω, ϕ

i=1

ϕi

ed `e facile verificare che tale definizione `e indipendente dai vari modi di decomporre ϕ in sottocurve di classe C 1 . Il teorema che segue fornisce, tramite l’uso degli integrali curvilinei, condizioni necessarie e sufficienti affinch´e una 1-forma sia esatta. Teorema 4.6.6 Sia ω una 1-forma di classe C 0 definita in un aperto A ⊆ RN . I seguenti fatti sono equivalenti: (i) ω `e esatta in A; 1 (ii) per ogni curva R chiusa ϕ di classe C a tratti, con sostegno contenuto in A, risulta ϕ ω = 0; 1 (iii) per ogni coppia di curve ϕ 1 : [a, b] → A e ϕ 2 : [c, d] → A, R di classe R C a tratti, tali che ϕ 1 (a) = ϕ 2 (c) e ϕ 1 (b) = ϕ 2 (d), risulta ϕ1 ω = ϕ2 ω.

413


Dimostrazione (i) =⇒ (ii) Per ipotesi, ω ha una primitiva f . Allora, se ϕ : [a, b] → A `e una curva chiusa di classe C 1 a tratti, utilizzando la decomposizione illustrata nell’osservazione 4.6.5 possiamo scrivere Z ω = ϕ

=

k Z X i=1 ϕ i k Z ti X i=1

=

ω=

k X

k Z X i=1

ti

∇f (ϕ ϕi (t)), ϕ 0i (t)i∗N dt = h∇

ti−1 k

ti−1

X d ϕi (t)) dt = ϕi (ti )) − f (ϕ ϕi (ti−1 )] = f (ϕ [f (ϕ dt i=1

ϕ(ti )) − f (ϕ ϕ(ti−1 )] = f (ϕ ϕ(b)) − f (ϕ ϕ(a)) = 0. [f (ϕ

i=1

(ii) =⇒ (iii) Siano ϕ 1 : [a, b] → A e ϕ 2 : [c, d] → A due curve di classe C 1 a tratti, tali che ϕ 1 (a) = ϕ 2 (c) e ϕ 1 (b) = ϕ 2 (d). Allora, rimpiazzando ϕ 2 (t) con ψ (t) = ϕ 2 (t − b + c), che `e definita su [b, b + d − c], consideriamo la curva ψ ) : [a, b + d − c] → A, che `e di classe C 1 a tratti. Per ipotesi, chiusa ϕ 1 ∨ (−ψ Z Z Z Z Z ω− ω= ω− ω= ω = 0. ϕ1

ϕ2

ϕ1

ψ

ψ) ϕ 1 ∨(−ψ

(iii) =⇒ (i) Dobbiamo definire una primitiva f di ω. Sia x0 un fissato punto di A e sia x un generico punto di A che sia congiungibile a x0 con una curva di classe C 1 a tratti: ad esempio, una poligonale contenuta in A. Osserviamo che se l’aperto A `e connesso, tutti i punti di A sono congiungibili a x0 con una poligonale (esercizio 4.6.5). Altrimenti, sceglieremo x nella stessa componente connessa a cui appartiene x0R. Per ipotesi, sappiamo che l’integrale curvilineo ϕ ω assume lo stesso valore per ogni curva ϕ di classe C 1 a tratti, che abbia x0 come primo estremo, x come secondo estremo e abbia sostegno contenuto in A. Possiamo perci`o porre Z f (x) = ω ϕ

ove ϕ : [a, b] → A `e una qualunque curva del tipo descritto. Proveremo che le derivate parziali di f esistono e coincidono con i coefficienti della forma ω; dunque f risulter`a di classe C 1 , quindi differenziabile, con df = ω, e il teorema sar`a dimostrato. Sia h ∈ R sufficientemente piccolo, in modo che x + hei stia nella stessa 414


componente connessa in cui sta x0 ( si ricordi che tale componente connessa `e un aperto). Sia ψ un’opportuna parametrizzazione del segmento con primo estremo x e secondo estremo x + hei : precisamente ( x + (t − b)ei , t ∈ [b, b + h] se h > 0 ψ (t) = x + (b − t)ei , t ∈ [b, b + |h|] se h < 0. R Allora si ha f (x + hei ) = ϕ ∨ψψ ω, da cui Z Z Z 1 1 f (x + hei ) − f (x) = ω− ω = ω= h h ϕ ∨ψψ h ψ ϕ Z Z 1 h 1 h ∗ hω(x + sei ), ei iN ds = ωi (x + sei ) ds; = h 0 h 0 per la continuit`a della funzione ωi si ottiene ∃Di f (x) = ωi (x). Ripetendo la costruzione per ciascuna componente connessa di A, si costruisce la primitiva f di ω su tutto A. Esempio 4.6.7 Dalla fisica si sa che il lavoro compiuto da un campo di forze F di componenti A, B, C nel corso di uno spostamento lungo una curva ϕ `e dato dall’integrale curvilineo Z (A dx + B dy + C dz). ϕ

Se il campo `e conservativo, cio`e esiste una “funzione potenziale” U tale che ∂U = A, ∂x

∂U = B, ∂y

∂U = C, ∂z

allora la 1-forma Adx + Bdy + Cdz `e esatta e, per il teorema precedente, il lavoro compiuto per spostarsi da P a Q, con P, Q punti arbitrari, non dipende dal cammino percorso ma solo dagli estremi P, Q, ed in particolare il lavoro `e nullo quando P = Q. Questo `e il caso che si presenta allorch´e il campo di forze `e il campo gravitazionale Newtoniano, generato da un corpo di massa m posto nell’origine: in tal caso la 1-forma `e mgx mgy mgz ω = − 3 dx − 3 dy − 3 dz, (x, y, z) ∈ R3 \ {(0, 0, 0)}, r r r 415


p ove r = x2 + y 2 + z 2 . Questa forma `e esatta e una primitiva `e U (x, y, z) = mg : U `e il potenziale gravitazionale, mentre la quantit`a V = −U = − mg `e r r l’energia potenziale. Il termine “conservativo” deriva dal fatto che se ϕ : [a, b] → R3 \ {0} `e una curva di estremi P, Q, dall’equazione Newtoniana F = ma si ha, essendo a = v0 = ϕ 00 (t) (v `e la velocit`a, a `e l’accelerazione), Z Z b ϕ(t)), ϕ 0 (t)i∗3 dt = hF(ϕ V (P) − V (Q) = U (Q) − U (P) = ω= Z

00

0

ϕ (t), ϕ hϕ

= m

ϕ

a

(t)i∗3

m dt = 2

b

a

Z a

b

d 0 2 ϕ (t)|3 dt = |ϕ dt

1 m|v(Q)|23 − |v(P)|23 . = 2 Dunque la variazione di energia cinetica E = 21 m|v|23 `e uguale all’opposto della variazione di energia potenziale V , cio`e l’energia totale E + V si conserva.

1-forme di classe C 1 Per le 1-forme di classe P C 1 ci sono condizioni per l’esattezza pi` u facili da N i 1 verificare. Infatti se ω = i=1 ωi dx `e di classe C ed `e esatta nell’aperto A, allora ogni sua primitiva f `e di classe C 2 : quindi, per il teorema di Schwarz sull’invertibilit`a dell’ordine di derivazione (esercizio 3.11.9), si ha per ogni i, j = 1, . . . , N , ∂ 2f ∂ 2f ∂ωj ∂ωi = = = in A. j j i i j ∂x ∂x ∂x ∂x ∂x ∂xi Questa condizione `e dunque necessaria affinch´e la 1-forma sia esatta. P i 1 Definizione 4.6.8 Una 1-forma ω = N i=1 ωi dx , di classe C in un aperto N A ⊆ R , si dice chiusa se si ha ∂ωi ∂ωj = in A ∀i, j = 1, . . . , N. j ∂x ∂xi Quindi ogni 1-forma esatta `e chiusa; il viceversa per`o `e falso. Consideriamo infatti la 1-forma dell’esempio 4.6.4, che `e di classe C ∞ nell’aperto R2 \ {0}: essa `e chiusa, perch´e ∂ −y y 2 − x2 ∂ x = = ; 2 2 2 2 2 2 ∂y x + y (x + y ) ∂x x + y 2 416


d’altra parte essa non pu`o essere esatta in R2 \ {0}, perch´e il suo integrale curvilineo sulla curva chiusa (cos t, sin t), t ∈ [0, 2π], non `e nullo. Sotto ipotesi aggiuntive sull’aperto A, tuttavia, proveremo che ogni 1-forma chiusa `e esatta. Prima di enunciare questo risultato occorrono comunque alcune premesse. Definizione 4.6.9 Siano ϕ , ψ : [a, b] → RN due curve chiuse di classe C 0 con sostegni contenuti in un aperto A. Diciamo che ϕ `e om`otopa a ψ se esiste un’applicazione continua G : [0, 1] × [a, b] → A, tale che: (i) G(0, t) = ϕ (t) per ogni t ∈ [a, b]; (ii) G(1, t) = ψ (t) per ogni t ∈ [a, b]; (iii) G(λ, a) = G(λ, b) per ogni λ ∈ [0, 1]. La funzione G, se esiste, si dice omotopia fra ϕ e ψ . In sostanza, l’applicazione G, la cui immagine `e una superficie Σ bi-dimensionale, deforma con continuit`a al variare di λ il sostegno di ϕ (corrispondente a λ = 0) in quello di ψ (corrispondente a λ = 1); le curve “intermedie” t 7→ ` facile verificare che l’omotopia `e una relazione di G(λ, t) sono tutte chiuse. E equivalenza nell’insieme della curve continue e chiuse con sostegno contenuto in A. In modo analogo si pu`o definire l’omotopia fra due funzioni qualsiasi f , g : A → RN , ove A ⊆ Rm . Definizione 4.6.10 Un aperto A ⊆ RN `e semplicemente connesso se `e connesso ed inoltre ogni curva continua chiusa, con sostegno contenuto in A, `e om`otopa ad una costante (cio`e ad una curva il cui sostegno `e un punto di A: ϕ (t) ≡ x0 ∈ A). Esempi 4.6.11 (1) Gli aperti convessi sono semplicemente connessi. Infatti, sia A un aperto convesso e sia ϕ : [a, b] → A una curva continua chiusa: dato che, per ipotesi, si ha λx + (1 − λ)x0 ∈ A per ogni x, x0 ∈ A e ϕ(t) per ogni λ ∈ [0, 1], basta fissare x ∈ A e definire G(λ, t) = λx + (1 − λ)ϕ (λ, t) ∈ [0, 1] × [a, b].

417


Pi` u in generale sono semplicemente connessi gli aperti stellati rispetto a un punto, ossia tali che esista x0 ∈ A per cui, qualunque sia x ∈ A, il segmento di estremi x0 e x `e contenuto in A. Se A `e stellato rispetto a x0 , l’omotopia fra una curva ϕ(t) − x0 ]. ϕ e x0 `e G(λ, t) = x0 + λ[ϕ (2) L’aperto R2 \{0} `e connesso, ma non semplicemente connesso: ci`o si vede a livello intuitivo osservando che la circonferenza unitaria non pu`o contrarsi ad un punto con continuit`a senza “attraversare” l’origine, cio`e senza uscire dall’aperto. A livello rigoroso, questa affermazione seguir`a dal teorema che stabiliremo tra poco. Osservazione 4.6.12 Se ϕ : [a, b] → A `e una curva di classe C 1 omotopa ad una costante, `e sempre possibile costruire un’omotopia G0 di classe C 1 in 2G 0 ∈ C 0 ([0, 1] × [a, b]). Ci`o `e evidente nel [0, 1] × [a, b], ed inoltre tale che ∂∂t∂λ caso in cui A `e stellato rispetto a un punto, ma `e vero in generale (esercizio 4.6.13). Teorema 4.6.13 Sia A ⊆ RN un aperto semplicemente connesso. Se ω `e una 1-forma di classe C 1 su A e chiusa, allora ω `e esatta. DimostrazioneR Sia ϕ : [a, b] → A una curva di classe C 1 a tratti e chiusa: proveremo che ϕ ω = 0. Per l’esercizio 4.6.4 possiamo supporre che ϕ sia di classe C 1 . Poich´e A `e semplicemente connesso, ϕ `e omotopa ad una costante x0 ∈ A tramite un’omotopia G che possiamo supporre di classe C 1 ∂2G ∈ C 0 ([0, 1] × [a, b]). Poniamo in [0, 1] × [a, b], e tale che ∂t∂λ Z ϕ λ (t) = G(λ, t), t ∈ [a, b]; I(λ) = ω, λ ∈ [0, 1]. ϕλ

Allora si ha I(0) =

R ϕ

ω, I(1) =

d d I(λ) = dλ dλ

R x0

Z b a

ω = 0, ed inoltre

∂ ω(G(λ, t)), G(λ, t) ∂t

418

∗ dt; N


dal teorema di derivazione degli integrali dipendenti da parametro (esercizio 3.10.15) ricaviamo ∗ Z b d ∂ ∂ I(λ) = ω(G(λ, t)), G(λ, t) dt = dλ ∂t a ∂λ N " N Z bX N X ∂ωi ∂Gi ∂Gj (λ, t) (λ, t) + (G(λ, t)) = ∂xj ∂λ ∂t a i=1 j=1 ∂ 2 Gi + ωi (G(λ, t)) (λ, t) dt. ∂λ∂t Utilizziamo ora il fatto che ω `e chiusa: si ottiene # " N Z b "X N X ∂ωj ∂Gi d ∂Gj I(λ) = (G(λ, t)) (λ, t) (λ, t) + dλ ∂xi ∂t ∂λ a j=1 i=1 # N X ∂ 2 Gi + ωi (G(λ, t)) (λ, t) dt = ∂λ∂t i=1 Z bX N d ∂Gj ∂ 2 Gj = ωj (G(λ, t)) (λ, t) + ωj (G(λ, t)) (λ, t) dt = ∂λ ∂λ∂t a j=1 dt # Z b "X N d ∂Gj = (λ, t) dt = ωj (G(λ, t)) ∂λ a dt j=1 ∗ ∗ ∂G ∂G (λ, b) − ω(G(λ, a)), (λ, a) . = ω(G(λ, b)), ∂λ ∂λ N N Dall’identit`a G(λ, b) = G(λ, a) segue allora

d I(λ) dλ

∀λ ∈ [0, 1]

= 0, ossia I(λ) `e costante. Pertanto Z ω = I(0) = I(1) = 0. ϕ

Dal teorema 4.6.6 segue che ω `e esatta. Osservazioni 4.6.14 (1) La dimostrazione precedente mostra che R se ω `e una forma chiusa e ϕ `e una curva omotopa ad una costante, allora ϕ ω = 0. 419


Da questo fatto segue che R2 \{(0, 0)} non `e semplicemente connesso: infatti, se lo fosse, la curva chiusa ϕ(t) = (cos t, sin t), t ∈ [0, 2π], sarebbe omotopa ad una costante: quindi dovrebbe essere Z x −y dy = 0, dx + 2 2 2 x + y2 ϕ x +y dato che, come osservato in precedenza, la forma che viene integrata lungo ϕ `e chiusa; ma ci`o non `e, come abbiamo visto nell’esempio 4.6.4. (2) Nel caso di R3 , una 1-forma ω = A(x, y, z)dx + B(x, y, z)dy + C(x, y, z)dz `e chiusa se A, B, C sono funzioni di classe C 1 e ∂A ∂B = , ∂y ∂x

∂B ∂C = , ∂z ∂y

∂C ∂A = . ∂x ∂z

Posto (a, b, c) = F, introduciamo il rotore di F, cio`e il vettore definito formalmente da   i j k ∂C ∂B ∂A ∂C ∂B ∂A  ∂ ∂ ∂  rot F = det  ∂x ∂y ∂z  = − , − , − , ∂y ∂z ∂z ∂x ∂x ∂y A B C ove abbiamo posto, alla maniera dei fisici, i = e1 , j = e2 , k = e3 . Allora la 1-forma ω `e chiusa in un aperto A se e solo se rot F = 0 in A.

Esercizi 4.6 1. Calcolare i seguenti integrali curvilinei di 1-forme: R (i) +Γ (x2 dx + xy dy), ove Γ : y = x2 , |x| ≤ 1 (verso delle x crescenti); R (ii) +Γ (xy dx + (y 2 + 1) dy), ove Γ `e il segmento da (0, 0) a (1, 1); R (iii) −Γ (xy 2 dx + x2 y dy), ove Γ `e la poligonale (0, 1) → (3, 1) → (3, 4); R (iv) +Γ (x2 dx + xy 2 dy), ove Γ = ∂([0, 1] × [0, 1]) (verso antiorario); R (v) −Γ (y 2 dx − x2 dy), ove Γ : x2 + y 2 = 1, x, y ≥ 0 (verso antiorario); 420


R

((x − z) dx + (1 − xy) dy + y dz), ove Γ = ϕ([0, 1]), ϕ(t) = (t, t2 , t3 ); R (vii) −Γ (ez dx + ex dy + ey dz), ove Γ = ϕ([0, 1]), ϕ(t) = (1, t, et ); R (viii) +Γ (x2 + y 2 + z 2 )(dx + dy + dz), ove Γ = ϕ ( 0, π2 , con ϕ (t) = (cos t, sin t, t); R (ix) +Γ 2(x + y)(x dx + y dy), ove Γ : ρ = 3ϑ, ϑ ∈ 0, π2 (verso delle ϑ crescenti); R √ (x) −Γ ( z dx + x dy + y dz), ove Γ = ϕ 0, π2 , con ϕ (t) = (t − sin t, 1 − cos t, t2 ). (vi)

2. Verificare che le seguenti 1-forme sono esatte e calcolarne le primitive: (i) sin x dx + cos y dy; 2

2

(ii) (x y + y + 1) dx +

x3 3

+ 2xy dy;

(iii) (2ey − yex ) dx + (2xey − ex ) dy; (iv)

1 1+y 2

dx −

2xy (1+y 2 )2

dy.

[Traccia: se una primitiva F di f (x, y) dx +R g(x, y) dy esiste, dovr`a x essere Fx = f e Fy = g; quindi F (x, y) = x0 f (t, y) dt + h(y), con Rx ∂ f (t, y) dt + h0 (y). h arbitraria funzione C 1 ; ma allora g = Fy = ∂y x0 Integrando rispetto a y si ricava h e quindi F . Infine si verifica che F `e davvero una primitiva.] 3. Determinare una funzione f ∈ C 1 (R) in modo che la 1-forma ω(x, y) = f (y) dx + x(yey + f (y)) dy sia esatta in R2 , e trovarne le primitive. β, 4. Sia ϕ : [a, b] → RN una curva di classe C 1 a tratti della forma ϕ = α ∨β 1 ove α = ϕ |[a,c] e β = ϕ |[c,b] sono di classe C . Si provi che la curva η : [a, b] → RN , definita da  2  α c − (t−c) se t ∈ [a, c] c−a η (t) = 2  β c + (t−c) se t ∈ [c, b] b−c 421


`e di classe C 1 , ha lo stesso sostegno di ϕ e si ha Z Z ω= ω η

ϕ

per ogni 1-forma ω di classe C 0 , definita su un aperto A contenente il sostegno di ϕ . 5. Sia A ⊆ RN un aperto connesso (dunque A non `e l’unione di due aperti non vuoti e disgiunti). Si provi che ogni coppia di punti di A `e congiungibile con un’opportuna poligonale contenuta in A. [Traccia: fissato x0 ∈ A, poniamo E = {x ∈ A : x e x0 sono gli estremi di una poligonale contenuta in A}. Si provi che E e A \ E sono aperti e disgiunti, con E 6= ∅. Se ne deduca che A \ E `e vuoto.] 6. Sia A un aperto connesso. Se f : A → R `e una funzione differenziabile in A con differenziale nullo in ogni punto di A, si provi che f `e costante. [Traccia: Fissato x0 ∈ A, e dato un punto x ∈ A \ {x0 }, utilizzando l’esercizio precedente si determini una poligonale, contenuta in A, di estremi x0 e x; in ogni segmento di estremi xi−1 e xi si applichi il teorema di Lagrange alla funzione t 7→ f (xi−1 + t(xi − xi−1 )) . . .] 7. Sia ω la 1-forma definita su [a, b] ⊂ R da ω = f dx, ove f ∈ C[a, b]. Verificare che se Γ `e l’intervallo [a, b] con il suo orientamento naturale, allora Z Z b ω= f (x) dx. +Γ

a

8. Riconoscere se le seguenti 1-forme sono esatte o no, trovandone eventualmente le primitive: (i) x dx + (y − 1) dy, (ii) y dx + x dy, (iii) (iv)

1 (x dy − y dx), 2 y x dx + x2 +y 2 x2 +y 2

dy,

(v) (y + z) dx + (x + z) dy + (x + y) dz. 9. Trovare tutte le 1-forme del tipo A(y) dx + B(x) dy, con A, B ∈ C 1 (R), che sono esatte in R2 . 422


10. Determinare una funzione Z(x, y) di classe C 1 in modo che la 1-forma 3x2 y 2 z dx + 2x3 yz dy + Z(x, y) dz sia esatta in R2 ; trovarne poi le primitive. 11. Trovare una funzione A(x, y, z) di classe C 1 che renda esatta in R3 la 1-forma y dx + x dy + A(x, y, z) dz; trovarne poi le primitive. 12. Provare che la 1-forma p p x arcsin 2 − x2 − y 2 dx − y arccos 2 − x2 − y 2 dy 1 `e esatta nell’aperto (quale?) √ ove √`e definita e di classe C , e trovarne la primitiva f tale che f (− 3/2, 3/2) = −3π/16.

13. Dimostrare l’enunciato contenuto nell’osservazione 4.6.12. [Traccia: Sia G : [0, 1] × [a, b] → A un’omotetia continua fra le due curve ϕ , ψ : [a, b] → A di classe C 1 . Per p ∈ N+ definiamo il p-simo ϕ − λψ ψ polinomio di Bernstein relativo alla funzione G(λ, ·) − (1 − λ)ϕ rispetto alla variabile t: p X h p (t − a)h (b − t)p−h G λ, a + (b − a) − Gp (λ, t) = (b − a)p p h h=0 h h ϕ λ, a + (b − a) − λψ ψ λ, a + (b − a) −(1 − λ)ϕ p p (si veda la dimostrazione del teorema 1.7.9). Si definisca poi ϕ(t) + λψ ψ (t), Hp (λ, t) = Gp (λ, t) + (1 − λ)ϕ

λ ∈ [0, 1], t ∈ [a, b].

Si verifichi che Hp (λ, ·) `e di classe C 1 , che Hp (λ, a) = Hp (λ, b),

Hp (0, t) = ϕ (t),

Hp (1, t) = ψ (t),

e che per p abbastanza grande l’immagine di Hp `e contenuta in A. Poniamo poi, per n ∈ N+ , n X n X n k k n−k Hpn (λ, t) = λ (1 − λ) Hp ,t ; k n k=0 h=0 si provi che per n e p grandi la funzione Hpn `e un’omotopia fra ϕ e ψ che ha la propriet`a richieste.] 423


14. Quali dei seguenti sottoinsiemi di R2 e R3 sono stellati? (i) {(x, y) ∈ R2 : y > x3 }, (ii) {(x, y) ∈ R2 : |y| < 1 − 3|x|}, (iii) {(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 < 1, z 2 > x2 + y 2 }, (iv) R3 \ {(x, y, z) ∈ R3 : xyz ≥ 0}. 15. Un fattore integrante per una 1-forma non esatta P (x, y)dx + Q(x, y)dy di classe C 1 , definita su un aperto A ⊆ R2 , `e una funzione µ ∈ C 1 (A), mai nulla, tale che µP dx + µQ dy sia esatta. (i) Provare che µ, se esiste, risolve l’equazione alle derivate parziali ∂Q ∂P ∂µ ∂µ −Q =µ − . P ∂x ∂y ∂x ∂y (ii) Dedurre che se

1 Q

∂Q ∂x

∂P ∂y

`e una funzione h(x) della sola variabile

x, allora un fattore integrante `e µ(x) = e−H(x) , con H primitiva di h, e che se P1 ∂Q − ∂P `e una funzione k(y) della sola variabile ∂x ∂y y, allora un fattore integrante `e µ(y) = eK(y) , con K primitiva di k. (iii) Determinare un fattore integrante per le 1-forme ω1 = xy 2 dx + 2x2 y dy,

4.7

ω2 =

xy 2x2 dx + dy. 1 + x2 y 4 1 + x2 y 4

Formule di Gauss-Green nel piano

Gli integrali doppi, sotto certe ipotesi, si possono trasformare in integrali curvilinei di opportune 1-forme lungo la frontiera dell’insieme. Questo fatto, che `e suscettibile di ampie generalizzazioni che vedremo in seguito, `e espresso

424


dalle cosiddette formule di Gauss-Green. Definizione 4.7.1 Sia A ⊂ R2 un aperto limitato. Diciamo che la frontiera ∂A `e di classe C r (ove r ∈ N oppure r = ∞), e scriviamo ∂A ∈ C r , se per ogni (x0 , y0 ) ∈ ∂A esiste un intorno U di (x0 , y0 ) tale che U ∩ ∂A `e grafico di un’opportuna funzione g, di classe C r , di una sola variabile. Esempi 4.7.2 (1) L’insieme A = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < 1} `e aperto in R2 ed ha frontiera di classe C ∞ . Infatti ogni punto (x0 , y0 ) ∈ ∂A ha un intorno U tale che U ∩ ∂A `e grafico di una delle quattro funzioni p p √ √ y = 1 − x 2 , y = − 1 − x2 , x = 1 − y 2 , x = − 1 − y 2 , ristrette a un opportuno sottointervallo di ] − 1, 1[.

(2) L’insieme A = {(x, y) ∈ R2 : |x| + |y| < 1} `e un quadrato aperto in R2 , e la sua frontiera `e di classe C 0 ma non di classe C 1 . Infatti i quattro vertici, ossia i punti (−1, −1), (−1, 1), (1, −1) e (1, 1), non hanno alcun intorno U tale che U ∩ ∂A sia grafico di una funzione di classe C 1 . Per`o, rispetto agli assi ξ, η definiti da ξ = x + y e η = x − y, il punto (1, 1) (ad esempio) ha √ un intorno U tale che U ∩ ∂A `e grafico della funzione continua ξ = 2 − |η|, η ∈] − δ, δ[, con δ > 0 opportuno. Osservazione 4.7.3 Tenuto conto del teorema del Dini (teorema 1.9.2), possiamo dire che un aperto limitato A ⊂ R2 ha frontiera di classe C r se e solo se per ogni (x0 , y0 ) ∈ ∂A esistono un intorno U di (x0 , y0 ) ed una funzione F : U → R di classe C r , con ∇ F (x0 , y0 ) 6= 0, tale che U ∩ ∂A = {(x, y) ∈ U : F (x, y) = 0}, 425

A ∩ U = {(x, y) ∈ U : F (x, y) < 0}.


Ricordiamo che in questa situazione il vettore ∇ F (x, y) `e perpendicolare al luogo descritto dall’equazione F (x, y) = 0: dunque n(x, y) =

∇F (x, y) ∇F (x, y)|2 |∇

`e il versore normale a ∂A, nel punto (x, y) ∈ ∂A, diretto verso l’esterno di A, mentre −n(x, y) `e il versore normale diretto verso l’interno di A. Invece, nella situazione generale della definizione, U ∩ ∂A `e sostegno di una curva della forma (t, g(t)); il verso positivo di tale curva corrisponder`a al verso antiorario oppure orario lungo ∂A. Nel primo caso, i versori tangente e normale esterno in un punto di ∂A sono dati da 0 (t) 0 (t) g g T(t) = √ 1 0 2 , √ 0 2 , N(t) = √ 0 2 , − √ 1 0 2 ; 1+g (t)

1+g (t)

1+g (t)

1+g (t)

nel secondo caso, i due versori sono i medesimi, cambiati di segno. Per enunciare il teorema di Gauss-Green occorrono alcune premesse. Sia A un aperto limitato di R2 con frontiera di classe C 1 . Non `e restrittivo supporre che gli intorni U della definizione siano rettangolari; quindi A ∩ U sar`a un insieme normale di R2 (esempio 3.11.6 (1)). Poich´e A `e limitato, ∂A `e un sottoinsieme di R2 limitato e chiuso, dunque compatto. Perci`o esistono n rettangoli U1 , . . . , Un , tali che n [

Uj ⊇ ∂A,

Uj ∩ A `e un insieme normale.

j=1

S Posto R = nj=1 Uj , R e A \ R sono plurirettangoli, quindi sono unioni finite di altri rettangoli (in particolare, insiemi normali) privi di punti interni comuni. In definitiva, potremo scrivere A=

m [

Ni

i=1

ove gli Ni sono insiemi normali privi di punti interni comuni. Ci`o premesso, possiamo enunciare il 426


Teorema 4.7.4 (di Gauss-Green) Sia A ⊂ R2 un aperto limitato con frontiera di classe C 1 . Detto n(x, y) = (nx (x, y), ny (x, y)) il versore normale a ∂A nel generico punto (x, y), diretto verso l’esterno, per ogni f ∈ C 1 (A) valgono le formule Z Z Z ∂f f nx ds = f dy, dxdy = ∂A +∂A A ∂x Z Z Z ∂f dxdy = f ny ds = f dx, A ∂y ∂A −∂A ove l’orientazione positiva di ∂A `e quella antioraria (e dunque lascia A sulla sinistra). Dimostrazione Decomponiamo A nell’unione finita di insiemi normali Ni , 1 ≤ i ≤ m, ove gli Ni sono insiemi normali privi di punti interni comuni; la frontiera di ciascun Ni `e sostegno di una curva di classe C 1 a tratti. Osserviamo che, ovviamente, Z Z m Z m Z X X ∂f ∂f ∂f ∂f dxdy = dxdy, dxdy = dxdy. ∂x ∂y ∂y N A N A ∂x i i i=1 i=1 Ma si ha anche Z m Z X f nx ds = ∂A

i=1

Z f nx ds,

f ny ds =

∂Ni

∂A

Sm

m Z X i=1

f ny ds :

∂Ni

infatti i punti di i=1 ∂Ni che non sono in ∂A sono segmenti interni ad A che fanno parte delle frontiere di due insiemi Ni e Nj adiacenti: questi segmenti vengono percorsi due volte con orientazioni opposte, per cui nx e ny cambiano segno ed i corrispondenti integrali curvilinei si cancellano. RestaSm no perci`o esattamente i pezzi di i=1 ∂Ni che sono anche pezzi di ∂A, i quali sono percorsi una volta sola con verso coerente con l’orientazione di ∂A. Da queste considerazioni segue che basta provare le due formule per ciascun insieme normale Ni , ovvero dimostrare le formule per un insieme B della forma B = {(x, y) ∈ R2 : x ∈ [a, b], α(x) ≤ y ≤ β(x)}, 427


con α, β ∈ C 1 [a, b] e α ≤ β, oppure della forma D = {(x, y) ∈ R2 : y ∈ [c, d], γ(y) ≤ x ≤ δ(y)}, con γ, δ ∈ C 1 [c, d] e γ ≤ δ. Consideriamo l’insieme B. Si ha, per il teorema di Fubini (teorema 3.11.4) # Z Z b "Z β(x) ∂f ∂f dxdy = (x, y) dy dx. B ∂x a α(x) ∂x Adesso applichiamo un teorema di derivazione rispetto a un parametro che verr`a dimostrato alla fine (lemma 15), il quale ci dice che Z

β(x)

α(x)

∂f d (x, y) dy = ∂x dx

Z

β(x)

f (x, y) dy − β 0 (x)f (x, β(x)) − α0 (x)f (x, α(x)).

α(x)

Ne segue Z ∂f dxdy = B ∂x # Z b " Z β(x) d = f (x, y) dy − β 0 (x)f (x, β(x)) − α0 (x)f (x, α(x)) dx = dx a α(x) Z β(b) Z β(a) = f (b, y) dy − f (a, y) dy − α(b)

α(a)

Z −

b 0

Z

f (x, β(x))β (x) dx + a

b

f (x, α(x))α0 (x) dx.

a

Calcoliamo adesso l’integrale curvilineo su ∂B: questo insieme `e l’unione dei sostegni delle quattro curve seguenti: ϕ1 (y) = (a, y),

α(a) ≤ y ≤ β(a) (verso negativo),

ϕ2 (x) = (x, α(x)), a ≤ x ≤ b ϕ3 (y) = (b, y),

α(b) ≤ y ≤ β(b)

ϕ4 (x) = (x, β(x)), a ≤ x ≤ b 428

(verso positivo), (verso positivo), (verso negativo).


I versori tangenti alle quattro curve, secondo le orientazioni scelte, sono rispettivamente 0 (x) α T1 (y) = (0, −1), T2 (x) = √ 1 0 2 , √ 0 2 , 1+α (x) 1+α (x) −β 0 (x) −1 T3 (y) = (0, 1), T4 (x) = √ 0 2 , √ 0 2 , 1+β (x)

1+β (x)

mentre i versori normali esterni, che si ottengono ruotando i precedenti dell’angolo −π/2, sono α0 (x) −1 N1 (y) = (−1, 0), N2 (x) = √ 0 2 , √ 0 2 , 1+α (x) 1+α (x) −β 0 (x) 1 N3 (y) = (1, 0), N4 (x) = √ 0 2 , √ 0 2 . 1+β (x)

1+β (x)

Quindi, per definizione di integrale curvilineo di funzioni, Z f nx ds = ∂B

4 Z X

f nx ds =

ϕi

i=1

β(a)

Z = −

b

Z

f (x, α(x))α0 (x) dx +

f (a, y) dy + α(a)

a

β(b)

Z

b

Z

f (x, β(x))β 0 (x) dx.

f (b, y) dy −

+ α(b)

a

R R Se ne deduce che B ∂f dxdy = ∂B f nx ds. D’altra parte, per definizione di ∂x integrale curvilineo di 1-forme (definizione 4.6.3) si ha Z f dy = +∂B

4 Z X

f dy =

+ϕi

i=1

Z

β(a)

= −

Z

b

f (a, y) dy + Z

α(a) β(b)

Z

a b

f (b, y) dy −

+ α(b)

a

429

f (x, α(x))α0 (x) dx + f (x, β(x))β 0 (x) dx,


e ci`o prova la prima formula relativa all’insieme B. La dimostrazione della seconda formula `e analoga ma pi` u semplice: si ha " # Z b Z β(x) Z ∂f ∂f dxdy = (x, y) dx dy = B ∂y a α(x) ∂y Z b [f (x, β(x)) − f (x, α(x))] dx, = a

mentre Z f ny ds = ∂B

4 Z X

f ny ds =

ϕi

i=1

b

Z = 0−

b

Z

f (x, β(x)) dx,

f (x, α(x)) dx + 0 + a

a

e similmente Z f dx = −∂B

4 Z X i=1

f dx =

−ϕi

Z = 0−

b

b

Z f (x, α(x)) dx + 0 +

a

f (x, β(x)) dx. a

Ci`o prova la seconda formula relativa all’insieme B. I calcoli relativi all’insieme D sono del tutto analoghi. La dimostrazione `e completa, a parte il lemma che segue: Lemma 4.7.5 Sia D ⊂ R2 un insieme normale della forma D = {(x, y) ∈ R2 : x ∈ [a, b], y ∈ [α(x), β(x)]}, ove α e β sono funzioni di classe C 1 definite in [a, b] e tali che α ≤ β. Se f `e una funzione continua su D, con derivata parziale fx anch’essa continua su D, allora per ogni x ∈ [a, b] risulta d dx

Z

β(x) 0

0

Z

β(x)

f (x, y) dy = f (x, β(x))β (x) − f (x, α(x))α (x) + α(x)

fx (x, y) dy. α(x)

430


Dimostrazione Notiamo che questo risultato generalizza sia l’esercizio 3.10.15, sia quanto sappiamo dall’Analisi 1. Il problema della dimostrazione che segue `e che per poter scrivere i rapporti incrementali della funzione β(x)

Z

f (x, y) dy,

G(x) =

x ∈ [a, b],

α(x)

bisognerebbe che f fosse definita in un aperto contenente D, ipotesi che non abbiamo. Dunque occorrer`a qualche complicazione in pi` u. Fissiamo x0 ∈ [a, b] e proviamo la formula nel punto x0 . Supponiamo dapprima che sia α(x0 ) < β(x0 ): allora, per continuit`a, esiste un intervallo aperto I ⊆ [a, b], contenente x0 , tale che α < β in I. Quindi esiste δ > 0 tale che β(x) − α(x) ≥ δ per ogni x ∈ I. Fissato n > 2δ , definiamo Z

1 β(x)− n

Gn (x) =

f (x, y) dy,

x ∈ I;

1 α(x)+ n

notiamo che l’integrando `e ben definito in un intorno dei grafici delle funzioni x 7→ β(x) − n1 e x 7→ α(x) = n1 , x ∈ I. Vogliamo provare che Gn `e derivabile in I, con derivata 1 0 β 0 (x) − Gn (x) = f x, β(x) − n Z β(x)− 1 n 1 0 − f x, α(x) − α (x) + fx (x, y) dy ∀x ∈ I. 1 n α(x)+ n Osserviamo che α e β sono funzioni uniformemente continue in I, cosicch´e esiste η > 0, dipendente solo da n, tale che ξ, x ∈ I, |ξ − x| < η

|α(ξ) − α(x)| ≤

=⇒

1 1 , |β(ξ) − β(x)| ≤ . 2n 2n

Fissiamo dunque x ∈ I: possiamo scrivere Gn (ξ) − Gn (x) = ξ−x +

Z

1 β(ξ)− n

f (ξ, y) − f (x, y) dy + ξ−x "Z # 1 Z β(x)− 1 β(ξ)− n n f (x, y) dy − f (x, y) dy ,

1 α(ξ)+ n

1 ξ−x

1 α(ξ)+ n

431

1 α(x)+ n


ove tutti gli integrali sono ben definiti. Il primo integrale pu`o essere riscritto come Z β(ξ)− 1 Z β(ξ)− 1 n n f (ξ, y) − f (x, y) − fx (x, y) dy + fx (x, y) dy; 1 1 ξ−x α(ξ)+ n α(ξ)+ n di estremi (ξ, y) e (x, y) `e contenuto in D qualunque sia y ∈ poich´e l’intervallo 1 α(ξ) + n , β(ξ) − n1 , utilizzando il teorema di Lagrange si vede facilmente, grazie all’uniforme continuit`a di fx , che il primo addendo tende a 0 per ξ → x, mentre il secondo addendo, sempre per la continuit`a di fx , `e una funzione continua della variabile ξ. Pertanto Z β(x)− 1 Z β(ξ)− 1 n n f (ξ, y) − f (x, y) − fx (x, y) dy = fx (x, y) dy. lim ξ→x α(ξ)+ 1 1 ξ−x α(x)+ n n Se poi definiamo Z

t

f (x, y) dy,

F (s, t) =

s, t ∈ [α(x), β(x)],

s

il secondo e il terzo integrale formano il rapporto incrementale nel punto ξ = x della funzione composta 1 1 ξ 7→ F α(ξ) + , β(ξ) − . n n Dato che, come si sa dall’Analisi 1, Fs (s, t) = f (x, s),

Ft (s, t) = f (x, t)

∀s, t ∈ [α(x), β(x)],

dal teorema di derivazione delle funzioni composte segue, per ξ ∈ I, d 1 1 F α(ξ) + , β(ξ) − = dξ n n 1 1 0 = −f x, α(ξ) + α (ξ) + f x, β(ξ) − β 0 (ξ), n n e dunque, per ξ = x, "Z # 1 Z β(x)− 1 β(ξ)− n n 1 lim f (x, y) dy − f (x, y) dy = ξ→x ξ − x 1 1 α(ξ)+ n α(x)+ n 1 1 0 = −f x, α(x) + α (x) + f x, β(x) − β 0 (x). n n 432


Ne segue finalmente che le funzioni Gn sono di classe C 1 in I, e per ogni x ∈ I si ha per G0n (x) la formula scritta all’inizio. D’altra parte, per continuit`a si verifica facilmente che Gn → G uniformemente in I per n → ∞ ed inoltre, sempre per continuit`a, Z β(x) 0 0 0 fx (x, y) dy lim Gn (x) = f (x, β(x))β (x) − f (x, α(x))α (x) + n→∞

α(x)

uniformemente in I. Dal teorema 1.2.4 segue allora che G `e derivabile in I con Z β(x) 0 0 0 fx (x, y) dy, x ∈ I. G (x) = f (x, β(x))β (x) − f (x, α(x))α (x) + α(x)

Dato che il secondo membro `e una funzione continua su I, si ottiene che la tesi `e provata nell’intorno di ogni punto x0 ∈ [a, b] con α(x0 ) < β(x0 ). Supponiamo ora che sia α(x0 ) = β(x0 ): in questo caso, x0 `e un punto di minimo per la funzione β − α, e quindi   ≥ 0 se x0 = a 0 0 β (x0 ) − α (x0 ) = 0 se a < x0 < b  ≤ 0 se x0 = b. Se x0 ∈]a, b[, scrivendo il rapporto incrementale della funzione G in x0 , posto M = sup[a,b] |f | si ottiene per x > x0

Z

β(x)

G(x) − G(x0 )

β(x) − α(x) 1

=

f (x, y) dy =

≤M

x − x0 x − x0 α(x) x − x0 = M

α(x0 ) − α(x) β(x) − β(x0 ) +M , x − x0 x − x0

mentre per x < x0

Z

β(x)

G(x) − G(x0 )

1 β(x) − α(x)

= f (x, y) dy =

≤M

x − x0 x0 − x α(x) x0 − x = −M

β(x) − β(x0 ) α(x0 ) − α(x) +M , x0 − x x0 − x

da cui, per x → x0 ,

G(x) − G(x0 )

≤ M |β 0 (x0 ) − α0 (x0 )| = 0 lim sup

x − x0 x→x0 433


e quindi G0 (x0 ) = 0; ci`o prova la tesi quando β(x0 ) = α(x0 ) e x0 ∈ [a, b]. Resta il caso in cui β(x0 ) = α(x0 ) e x0 = a oppure x0 = b. Supponiamo x0 = a e poniamo A = α(a) = β(a): dobbiamo provare che G0 (a) = f (a, A)[β 0 (a)− α0 (a)]. Fissato ε > 0, esiste δ > 0 tale che 0<x−a<δ

=⇒

|α(x) − A| < ε,

inoltre, detto Rδ = [a, a + δ] × [A − δ, A + δ] e posto Mδ = sup f (x, y),

mδ =

(x,y)∈Rδ

inf

f (x, y),

(x,y)∈Rδ

per la continuit`a di f possiamo supporre, rimpicciolendo eventualmente δ, che sia Mδ − f (a, A) < ε e f (a.A) − mδ < ε. Allora per il rapporto incrementale della funzione G nel punto a si ha, notando che G(a) = 0, mδ

β(x) − α(x) β(x) − α(x) G(x) ≤ ≤ Mδ x−a x−a x−a

ed anche  β(x) − α(x)  β(x) − α(x)  ≤ [Mδ − f (a, A)] G(x) x−a − f (a, A) β(x) − α(x)  x−a x−a  ≥ [mδ − f (a, A)] x−a da cui −ε

β(x) − α(x) G(x) β(x) − α(x) β(x) − α(x) ≤ − f (a, A) ≤ε . x−a x−a x−a x−a

Pertanto si ricava

G(x) β(x) − α(x)

x − a − f (a, A)

≤ x−a β(x) − α(x) β(x) − A A − α(x) ≤ε =ε + x−a x−a x−a da cui, per x → a,

G(x)

β(x) − α(x)

≤ ε[β 0 (a) − α0 (a)], lim sup

− f (a, A)

x − a x − a x→a 434


il che implica, per l’arbitrarit`a di ε, G(x) = f (a, A)[β 0 (a) − α0 (a)] x→a x − a

G0 (a) = lim

che `e la tesi quando x0 = a. Il calcolo per x = b e β(b) = α(b) `e simile e lo omettiamo. Ci`o prova il lemma e conclude finalmente la dimostrazione del teorema di Gauss-Green. Le formule di Gauss-Green hanno svariate applicazioni: la prima riguarda l’area di insiemi piani. Proposizione 4.7.6 Sia A un aperto limitato di R2 , con frontiera di classe C 1 . Allora risulta Z Z Z 1 y dx = (x dy − y dx). x dy = m2 (A) = 2 +∂A −∂A +∂A L’ultima relazione, che `e evidente conseguenza delle prime due, `e utile quando l’insieme A presenta simmetrie rispetto all’origine o agli assi x e y, perch´e pu`o dar luogo a cancellazioni di termini. Dimostrazione Scegliendo nelle formule di Gauss-Green f (x, y) = x oppure f (x, y) = y si ha Z Z Z m2 (A) = 1 dxdy = x dy = y dx, A

+∂A

−∂A

da cui la tesi. Esempio 4.7.7 Calcoliamo l’area della regione A delimitata dall’asse x e dall’arco di cicloide ϕ(t) = (t − sin t, 1 − cos t),

t ∈ [0, 2π].

L’insieme A `e normale rispetto ad entrambi gli assi, ma il calcolo diretto dell’area di A tramite il teorema di Fubini non `e certo agevole. Invece, usando

435


la proposizione precedente si ha, detto Γ il segmento y = 0, 0 ≤ x ≤ 2π, Z Z 1 1 m2 (A) = (x dy − y dx) + (x dy − y dx) = 2 +Γ 2 −ϕ Z 1 2π [(t − sin t)(sin t) − (1 − cos t)(1 − cos t)] dt = = 0− 2 0 Z 1 2π t sin t − sin2 t − 1 + 2 cos t − cos2 t dt = = − 2 0 Z 1 2π = 2π − t sin t dt = 3π. 2 0 La seconda applicazione del teorema di Gauss-Green `e il cosiddetto teorema della divergenza. Se A `e un aperto di RN e F ∈ C 1 (A, RN ), la divergenza di F `e la funzione scalare N X ∂F i ∇, F(x)iN . (x) = h∇ div F(x) = ∂xi i=1 Nel caso di R2 , la divergenza del campo vettoriale F(x, y) = (f (x, y), g(x, y)) `e dunque ∂f ∂g div F(x, y) = (x, y) + (x, y). ∂x ∂y Teorema 4.7.8 (della divergenza) Sia A un aperto limitato di R2 con frontiera di classe C 1 , e sia F ∈ C 1 (A, R2 ). Allora Z Z hF, ni2 ds, div F dxdy = ∂A

A

ove n `e il versore normale a ∂A, diretto verso l’esterno di A. Prima di dimostrare la formula, cerchiamo di interpretarla. L’integrale a destra misura il flusso del campo vettoriale F attraverso la frontiera di A; la quantit`a di flusso uscente `e dunque uguale all’integrale della divergenza di F. Se F `e il vettore velocit`a di un fluido avente densit`a ρ(x, y) (variabile da punto R a punto), il vettore ρF `e la densit`a di corrente e l’integrale ∂A ρhF, ni2 ds `e la quantit`a di fluido che esce da A nell’unit`a di tempo. Sostituendo A con una palla B(x0 , r), ove x0 `e un punto di A, possiamo scrivere Z 1 div(ρ(x0 )F(x0 )) = lim+ 2 div(ρF) dxdy = r→0 πr B(x0 ,r) Z 1 = lim+ 2 ρ hF, ni3 ds, r→0 πr ∂B(x0 ,r) 436


e quindi div(ρF) ha il significato di variazione della massa di fluido per unit`a di area e di tempo. Dimostrazione Posto F = (f, g), dalle formule di Gauss-Green segue Z Z div F dxdy = (fx + gy ) dxdy = A A Z Z = (f nx + g ny ) ds = hF, ni3 ds. ∂A

∂A

L’ultima applicazione delle formule di Gauss-Green si riferisce ai campi vettoriali “irrotazionali”. Sia F0 = (f, g) un campo vettoriale di classe C 1 definito sull’aperto A ⊂ R2 , che supponiamo limitato e di classe C 1 . Posto F = (f, g, 0), il rotore di F `e, come sappiamo dall’osservazione 4.6.14 (2), il vettore rot F = (0, 0, fx − gy ). Dalle formule di Gauss-Green, osservando che il versore tangente a +∂A `e il versore normale esterno n ruotato di +π/2, e che dunque T = (ny , −nx ) si ottiene Z Z Z ∂g ∂f − dxdy = hF, Ti2 ds. (rot F)z dxdy = ∂y ∂A A A ∂x L’integrale curvilineo a destra `e la circuitazione di F lungo ∂A, ed `e uguale al flusso del rotore di F, nella direzione e nel verso dell’asse z, attraverso A. Con un procedimento simile a quello fatto per la divergenza, si vede che rot F(x0 ) misura la “vorticit`a” di F, cio`e rappresenta una stima di quanto “ruota” F per unit`a di area. Se il campo `e irrotazionale, cio`e rot F = 0, allora la circuitazione `e nulla e la 1-forma ω = f dx + g dy `e chiusa in A (osservazione 4.6.14).

Esercizi 4.7 1. Sia ϕ una curva piana, semplice e regolare, definita dall’equazione polare ρ = f (ϑ), ϑ ∈ [α, β]. Se A `e la regione delimitata dal sostegno di ϕ e dagli assi ϑ = α e ϑ = β, si provi che Z 1 β f (ϑ)2 dϑ. m2 (A) = 2 α 437


2. Determinare l’area della regione delimitata da ciascuna delle seguenti curve, in cui a `e un parametro positivo: (i) (cardioide) ρ = a(1 + cos ϑ), −π ≤ ϑ ≤ π; (ii) (lemniscata di Bernoulli) (x2 + y 2 )2 = a2 (x2 − y 2 ); (iii) (astroide) x2/3 + y 2/3 = a2/3 ; a+x ; (iv) (strofoide) y 2 = x2 a−x (v) (rosa a 3 petali) ρ = a sin 3ϑ, ϑ ∈ [0, 2π]; (vi) (rosa a 4 petali) ρ = a sin2 2ϑ, ϑ ∈ [0, 2π]; (vii) (folium di Cartesio) x3 + y 3 = axy. [Traccia: non sempre le formule di Gauss-Green sono le pi` u convenienti!] 3. Calcolare i seguenti integrali doppi: Z (i) xy dxdy, ove A = {(x, y) : x ≥ 0, y ≥ 0, x2/3 + y 2/3 ≤ 1}; A

(ii) m2 (A), ove A `e delimitato da y = x e da ϕ (t) = (t2 + t, t4 + t), t ∈ [0, 1]; (iii) m2 (A), ove A `e delimitato da y = x e da ϕ (t) = (t3 +ln t, t3 +ln3 t), t ∈ [1, e]; Z (iv) (5x − 6y) dxdy, ove A `e delimitato dall’asse x e da ϕ (t) = A t−sin t 1−cos t , 5 , t ∈ [0, 2π]; 5 (v) m2 (A), ove A `e delimitato da ϕ (t) = (2 cos t−cos 2t, 2 sin t−sin 2t), t ∈ [0, 2π]; (vi) m2 (A), ove A `e delimitato da y = 1 e da ϕ(t) = (3(t − sin t), 1 − sin 2t), t ∈ [0, π/2]; (vii) m2 (A), ove A `e delimitato dall’asse y e da ϕ (t) = (t − t2 , t + 1 arctan t), t ∈ [0, 1]; 2 (viii) m2 (A), ove A `e delimitato dall’asse x e da ϕ(t) = (t − sin t, 1 − cos 2t), t ∈ [0, π].

438


4. Sia A un aperto limitato di R2 con frontiera di classe C 1 , e siano f.g ∈ C 1 (A). Si provino le seguenti formule di integrazione per parti: Z Z Z ∂f ∂g f g dy − dxdy = g dxdy, f ∂x +∂A A ∂x A Z Z Z ∂g ∂f f dxdy = f g dy − g dxdy. ∂y A −∂A A ∂y 5. Sia f ∈ C 2 (A), ove A `e un aperto limitato di R2 con frontiera di classe C 1 . Provare che Z Z ∂f ds, ∆f dxdy = A ∂A ∂n ove ∆f = fxx + fyy `e l’ operatore di Laplace, o brevemente il Laplaciano ∂f applicato a f , mentre ∂n `e, come si sa, la derivata direzionale di f secondo la direzione n (normale esterna). 6. Posto BR = B((0, 0), R), sia f ∈ C 2 (B1 ). Sia inoltre ψ(R) la media integrale di f su ∂BR , cio`e Z 1 f ds. ψ(R) = 2πR ∂BR (i) Si provi che 1 ψ (R) = 2πR 0

Z ∂BR

∂f ds. ∂n

(ii) Provare che se f `e armonica in B1 , ossia ∆f (x, y) = 0 per ogni (x, y) ∈ B1 , allora ψ(R) `e costante. (iii) Dedurre che se f `e armonica su BR , allora Z 1 f ds f (0, 0) = 2πR ∂BR (propriet`a della media per funzioni armoniche). (iv) Dimostrare che per le funzioni f armoniche su BR la propriet`a della media si pu`o scrivere nella forma Z 1 f (0, 0) = 2 f dxdy. πr BR 439


7. Siano f, g ∈ C 2 (A), ove A `e un aperto limitato di R2 con frontiera di classe C 1 . Provare che Z Z ∂g ∂f (f ∆g − g ∆f ) dxdy = f −g ds, ∂n ∂n A ∂A ove n `e il versore normale esterno a ∂A. 8. Si provi che per ogni campo vettoriale F(x, y, z), di classe C 2 , definito su un aperto A ⊂ R3 , risulta div rot F = 0.

4.8

Superfici

Se una particella vincolata a muoversi con un grado di libert`a descrive una curva nello spazio, analogamente una particella che possa muoversi con due gradi di libert`a descriver`a una regione dello spazio che chiameremo superficie. Possiamo far corrispondere a questa idea intuitiva di superficie la seguente definizione: una superficie (di classe C 0 ) `e un’applicazione σ : T → RN , ove T `e un sottoinsieme di R2 ; chiameremo sostegno della superficie σ l’insieme immagine Σ = σ (T ). Per`o questa definizione `e troppo generale: a parte il fatto che occorre fare qualche ipotesi sull’insieme T , anche prendendo come T un insieme molto “buono”, come ad esempio un disco, si possono ottenere sostegni Σ ⊂ RN ben lontani dall’idea di superficie: se σ (u, v), (u, v) ∈ T , `e una funzione costante, Σ `e un singolo punto; se σ `e costante rispetto a una delle due variabili, Σ `e il sostegno di una curva, e pi` u in generale Σ potrebbe essere una superficie che si autointerseca nei modi pi` u strampalati. La definizione che useremo `e pi` u restrittiva ma anche pi` u significativa. Definizione 4.8.1 Sia A ⊆ R2 un aperto connesso, e sia T un insieme tale che A ⊆ T ⊆ A. Una superficie regolare di classe C r (r ∈ N+ oppure r = ∞) σ ha `e un’applicazione σ : T → RN , di classe C r , la cui matrice Jacobiana Dσ rango massimo, cio`e 2, in ogni punto di A. La superficie si dice semplice se σ |A `e iniettiva. Le N equazioni del sistema (u, v) ∈ T,

x = σ (u, v),

sono le equazioni parametriche della superficie, e ne costituiscono una parametrizzazione. 440


La condizione di regolarit`a dice che i due vettori σ u , σ v sono linearmente indipendenti in ogni punto di A. Geometricamente, ci`o significa che in tutti i punti σ (u, v), con (u, v) ∈ A, esiste il piano tangente alla superficie. Infatti, fissato (u0 , v0 ) ∈ A, consideriamo le linee coordinate u 7→ σ (u, v0 ),

v 7→ σ (u0 , v);

esse sono curve regolari in virt` u di (ii), e i rispettivi vettori tangenti sono rispettivamente σ u (u, v0 ) e σ v (u0 , v). Nel punto σ (u0 , v0 ) abbiamo dunque due vettori tangenti σ u (u0 , v0 ) e σ v (u0 , v0 ), i quali, essendo linearmente indipendenti, generano un piano di equazioni parametriche x = σ (u0 , v0 ) + s σ u (u0 , v0 ) + t σ v (u0 , v0 ).

s, t ∈ R,

che `e appunto tangente a Σ nel punto σ (u0 , v0 ). Per ogni curva piana ϕ (t) = (u(t), v(t)) con sostegno contenuto in A, passante per (u0 , v0 ) quando t = t0 , la curva ψ (t) = σ (u(t), v(t)) ha sostegno contenuto in Σ, passa per σ (u0 , v0 ) quando t = t0 ed il suo vettore tangente ψ 0 (t0 ) = σ u (u0 , v0 )u0 (t0 ) + σ v (u0 , v0 )v 0 (t0 ) `e, come `e giusto, combinazione lineare di σ u (u0 , v0 ) e σ v (u0 , v0 ). Nel caso speciale N = 3, che per noi sar`a il pi` u significativo, la superficie `e regolare se e solo se il prodotto vettoriale fra i vettori σ u e σ v `e non nullo, ed σ v `e perpendicolare ai due vettori. in tal caso, come si sa, la direzione di σ u ×σ Ne segue che per una superficie regolare in R3 la retta normale al sostegno di σ nel punto σ (u0 , v0 ) `e data, in forma parametrica, da x = σ (u0 , v0 ) + t σ u (u0 , v0 ) × σ v (u0 , v0 ),

t ∈ R.

Esempi 4.8.2 (1) La superficie sferica di centro 0 ∈ R3 e raggio r > 0 ha equazioni parametriche   x = r sin ϑ cos ϕ y = r sin ϑ sin ϕ σ: ϑ ∈ [0, π], ϕ ∈ [−π, π].  z = r cos ϑ,

441


σ `e La matrice Dσ 

 r cos ϑ cos ϕ −r sin ϑ sin ϕ σ (ϑ, ϕ) =  r cos ϑ sin ϕ r sin ϑ cos ϕ  ; Dσ −r sin ϑ 0 σ ϕ , cio`e i tre minori 2 × 2 della matrice Dσ σ , sono quindi le coordinate di σ ϑ ×σ (r2 sin2 ϑ cos ϕ, r2 sin2 ϑ sin ϕ, r2 sin ϑ cos ϑ). σ ϑ ×σ σ ϕ |3 = r2 sin ϑ > 0 in ]0, π[×]−π, π[, cosicch´e la superficie Pertanto si ha |σ `e regolare, oltre che semplice. Si noti che la direzione di σ ϑ × σ ϕ `e quella di (x, y, z), come `e giusto. (2) (Superfici cartesiane) Se f : T → R `e una funzione di classe C 1 , il grafico di f `e sostegno della superficie   x=x y=y σ: (x, y) ∈ T,  z = f (x, y), la quale `e semplice, ed anche regolare poich´e   1 0 q  , |σ σ (x, y) =  σ x × σ y |3 = fx2 + fy2 + 1 > 0. 0 1 Dσ fx (x, y) fy (x, y) (3) Le equazioni   x = r cos ϑ y = r sin ϑ  z = r,

r ∈ [0, ∞[,

ϑ ∈ [0, 4π],

definiscono una superficie regolare (tranne che nel punto (0, 0, 0)) ma non semplice, il cui sostegno `e il doppio cono di equazione cartesiana |z| = p x2 + y 2 ; questo cono `e “contato due volte”, a causa del fatto che ϑ varia fra 0 e 4π: in altre parole, le curve circolari che si ottengono da questa superficie mantenendo r costante sono regolari ma non semplici. Osservazioni 4.8.3 (1) L’esempio 4.8.2 (2) si pu`o in un certo senso invertire: ogni superficie regolare in R3 σ (u, v) = (x(u, v), y(u, v), z(u, v)), 442

(u, v) ∈ T


`e, localmente, una superficie cartesiana, cio`e grafico di una funzione di due variabili di classe C 1 . Supponiamo che sia, ad esempio, ∂(x, y) xu xv = det 6= 0 yu yv ∂(u, v) in un punto (u0 , v0 ) ∈ A: allora l’applicazione (u, v) 7→ S(u, v) = (x(u, v), y(u, v)), cio`e la proiezione di σ (u, v) sul piano z = 0, `e localmente invertibile per il teorema 1.9.10, ossia `e un diffeomorfismo di un intorno U di (u0 , v0 ) sulla sua immagine V = S(U ). Posto S−1 (x, y) = (u(x, y), v(x, y)),

(x, y) ∈ V,

potremo scrivere la superficie σ , per (u, v) ∈ U , nella forma σ ◦ S−1 , cio`e   x=x −1 y=y σ ◦S : (x, y) ∈ V.  z = z(u(x, y), v(x, y)), Naturalmente, in un altro punto (u1 , v1 ) ∈ T avremo un altro determinante 2 × 2 non nullo, e quindi Σ sar`a grafico, in un intorno di σ (u1 , v1 ), di un’altra funzione di due differenti variabili. (2) Un altro caso importante di superficie regolare `e quello delle superfici di livello di funzioni reali di tre variabili: se F ∈ C 1 (A), con A aperto di R3 , l’insieme Zc = {(x, y, z) ∈ A : F (x, y, z) = c}, se non vuoto, `e una superficie localmente cartesiana in tutti i punti (x0 , y0 , z0 ) di Zc nei quali ∇ F (x0 , y0 , z0 ) 6= 0. Infatti in tal caso il teorema del Dini relativo al caso tri-dimensionale (esercizio 1.9.3) ci assicura che esiste un intorno W di (x0 , y0 , z0 ) tale che W ∩ Zc `e grafico di una funzione di due variabili. Dunque, supposto ad esempio Fz (x0 , y0 , z0 ) 6= 0, W ∩ Zc `e sostegno di una superficie cartesiana (dunque regolare, come sappiamo dall’esempio 4.8.2(2)) della forma   x=x y=y σ:  z = g(x, y). 443


Esempio 4.8.4 Le quadriche in R3 sono i luoghi di zeri di polinomi P (x, y, z) di secondo grado. Con rotazioni e traslazioni le quadriche reali non degeneri si riducono ad uno dei tipi seguenti, in cui a, b, c sono parametri positivi: • ellissoide:

x2 y 2 z 2 + 2 + 2 = 1; a2 b c

• iperboloide a una falda:

x2 y 2 z 2 + − = 1; a2 b 2 c 2

x2 y 2 z 2 • iperboloide a due falde: 2 − 2 − 2 = 1; a b c • paraboloide ellittico:

x2 y 2 + 2 − z = 0; a2 b

• paraboloide iperbolico: • doppio cono:

x2 y 2 − 2 − z = 0; a2 b

x2 y 2 + 2 − z 2 = 0. a2 b

Sono tutte superfici regolari e localmente cartesiane, tranne il doppio cono che ha una singolarit`a nell’origine (in cui il gradiente `e nullo).

444


Per comprendere anche questi casi nella teoria, conviene allargare la classe delle superfici regolari. Diremo allora che un insieme Σ ⊂ R3 `e sostegno di una superficie regolare se per ogni (x, y, z) ∈ Σ esiste un intorno W tale che W ∩ Σ `e sostegno di una superficie cartesiana di classe C 1 , o, in altre parole, se Σ `e una variet`a di dimensione 2 in R3 secondo la definizione 4.1.1. Questa definizione pi` u generale sar`a utile nella descrizione delle propriet`a geometriche delle superfici; tuttavia, quando si tratter`a di calcolare l’area di una superficie, sar`a pi` u adeguata la definizione 4.8.1. Chiudiamo questo paragrafo iniziale analizzando, alla luce della definizione precedente, come variano i vettori σ u e σ v di una generica superficie regolare σ (u, v) quando si fa un cambiamento di parametri: lo scopo `e quello di vedere quali siano le grandezze e le propriet`a intrinsecamente legate alla geometria del sostegno Σ. Ci limiteremo, salvo avviso contrario, a superfici in R3 . Sia dunque σ : T → R3 una superficie regolare, e supponiamo per comodit`a che T ⊆ R2 sia aperto. Sia poi S un altro aperto di R2 e sia p : S → T un diffeomorfismo. Il sostegno Σ di σ `e anche sostegno di η = σ ◦ p; posto (u, v) = p(s, t), si ha allora η s = σ u us + σ v vs ,

η t = σ u ut + σ v vt ,

da cui σ u us + σ v vs ) × (σ σ u ut + σ v vt ); η s × η t = (σ dalle propriet`a del prodotto vettoriale segue allora η s × η t = σ u × σ v (us vt − vs ut ) = σ u × σ v · det Dp 6= 0.

445


Quindi anche η `e una superficie regolare e il vettore η s × η t `e parallelo a σ u ×σ σ v . Perci`o, come `e geometricamente ragionevole, la direzione ortogonale a Σ ed il piano tangente a Σ in ogni suo punto sono indipendenti dalla parametrizzazione scelta e sono dunque entit`a intrinsecamente legate al sostegno. Come sappiamo, le equazioni parametriche del piano tangente a Σ in σ (u0 , v0 ) sono x = σ (u0 , v0 ) + λ σ u (u0 , v0 ) + µ σ v (u0 , v0 ), λ, µ ∈ R, mentre l’equazione cartesiana di tale piano `e, posto x0 = (x0 , y0 , z0 ) = σ (u0 , v0 ), hx − x0 , σ u (u0 , v0 ) × σ v (u0 , v0 )i3 = 0, ossia

 x − x0 y − y0 z − z0 det  xu (u0 , v0 ) yu (u0 , v0 ) zu (u0 , v0 )  = 0. xv (u0 , v0 ) yv (u0 , v0 ) zv (u0 , v0 )

Se in particolare σ `e cartesiana, allora Σ = {(x, y, f (x, y)) : (x, y) ∈ T } e l’equazione del piano tangente si riduce a quella consueta: z = f (x0 , y0 ) + fx (x0 , y0 )(x − x0 ) + fy (x0 , y0 )(y − y0 ), mentre se Σ = Zc = {(x, y) ∈ T : F (x, y, z) = 0}, con ∇ F 6= 0 nei punti di Zc , allora tale equazione `e, come `e noto, Fx (x0 , y0 , z0 )(x − x0 ) + Fy (x0 , y0 , z0 )(y − y0 ) + Fz (x0 , y0 , z0 )(z − z0 ) = 0.

Orientazione di una superficie Come sappiamo, i versori normali ad una superficie σ : T → R3 in un punto σ (u0 , v0 ) ∈ Σ sono n(u0 , v0 ) = ±

σ u (u0 , v0 ) × σ v (u0 , v0 . σ u (u0 , v0 ) × σ v (u0 , v0 )|3 |σ

La scelta di uno dei due versi corrisponde ad assegnare un’orientazione alla superficie; un cambiamento regolare di parametri (u, v) = p(s, t) conserva o inverte l’orientazione a seconda che il suo determinante Jacobiano Jp = det Dp sia positivo o negativo: infatti, come abbiamo visto, posto η = σ ◦ p vale la relazione η s × η t = (σ σ u × σ v ) · Jp . 446


Osserviamo per`o che non su tutte le superfici regolari `e possibile scegliere un’orientazione globale: esistono infatti superfici non orientabili, nelle quali il versore normale n(x), variando con continuit`a, inverte il suo verso quando x descrive un’opportuna curva chiusa contenuta nel sostegno Σ. Esempio 4.8.5 (Nastro di M¨obius) Si pu`o ottenere questa superficie a partire dal quadrato [0, 1] × [0, 1], prendendone lo spazio quoziente rispetto alla relazione di equivalenza che identifica i punti (0, y) con i punti (1, 1 − y), y ∈ [0, 1]. Una parametrizzazione del nastro di M¨obius `e la seguente:   x = (2 + t cos ϑ/2) cos ϑ y = (2 + t cos ϑ/2) sin ϑ σ:  z = t sin ϑ/2, ove t ∈ [−1, 1], ϑ ∈ [0, 2π]. Risulta 

− 12 t sin ϑ/2 cos ϑ − (2 + t cos ϑ/2) sin ϑ cos ϑ/2 cos ϑ

  σ =  − 21 t sin ϑ/2 sin ϑ + (2 + t cos ϑ/2) cos ϑ cos ϑ/2 sin ϑ  , Dσ 1 2

t cos ϑ/2

sin ϑ/2

da cui   σϑ × σt = 

− 21 t sin ϑ + (2 + t cos ϑ/2) cos ϑ sin ϑ/2 1 2

 t cos ϑ + (2 + t cos ϑ/2) sin ϑ sin ϑ/2  −(2 + t cos ϑ/2) cos ϑ/2

e dunque σ ϑ × σ t |23 |σ

2 ϑ t2 = 2 + t cos + >0 2 4

∀t ∈ [−1, 1],

∀ϑ ∈ [0, 2π].

La superficie quindi `e regolare. Se prendiamo la curva chiusa λ (ϑ) = σ (0, ϑ),

447

ϑ ∈ [0, 2π],


che giace sul sostegno di σ , si verifica subito che il versore normale a Σ nei punti di questa curva `e ϑ ϑ ϑ n(0, ϑ) = sin cos ϑ, sin sin ϑ, − cos , 2 2 2 cosicch´e n(0, 2π) = (0, 0, −1),

n(0, 0) = (0, 0, 1),

nonostante che entrambi i valori ϑ = 0 e ϑ = 2π corrispondano al punto (2, 0, 0). Ci`o significa che non possiamo in alcun modo definire un versore normale n : Σ → RN che sia continuo su Σ. Esempio 4.8.6 Se sul quadrato [0, 1]×[0, 1] prendiamo la relazione di equivalenza che identifica i punti (0, y) con i punti (1, 1−y), y ∈ [0, 1], e i punti (x, 0) con i punti (x, 1), x ∈ [0, 1], otteniamo una superficie denominata bottiglia di Klein, la quale non `e immergibile in R3 senza autointersezioni, e tuttavia `e una superficie regolare, non orientabile, in R4 . Una parametrizzazione di questa superficie `e la seguente:  x = (2 + cos ϑ) cos ϕ      y = (2 + cos ϑ) sin ϕ ϑ, ϕ ∈ [0, 2π].  z = sin ϑ cos ϕ2     w = sin ϑ sin ϕ2 ,

Prima forma fondamentale La metrica su una superficie, cio`e il modo di misurare le distanze su di essa, `e in generale diversa dalla metrica del piano: se ad esempio si deforma una calotta sferica in un piano, le distanze fra i punti si alterano. Per analizzare questo fenomeno, consideriamo una curva regolare ϕ giacente sul sostegno Σ ⊂ R3 di una superficie regolare: sar`a Σ = σ (T ) e ϕ (t) = σ (γγ (t)), ove γ : [a, b] → T `e una curva regolare piana di componenti (u(t), v(t)). Si ha Z b ϕ) = ϕ0 (t)|3 dt, `(ϕ |ϕ a

448


dove ϕ0 (t)|3 = |σ σ u (u(t), v(t)) u0 (t) + σ v (u(t), v(t)) v 0 (t)|3 = |ϕ q σ u |23 u0 (t)2 + 2hσ σ u , σ v i3 u0 (t)v 0 (t) + |σ σ v |23 v 0 (t)2 = = |σ p = E u0 (t)2 + 2F u0 (t)v 0 (t) + G v 0 (t)2 , avendo definito σ u (u, v), σ v (u, v)i3 , G(u, v) = |σ σ v (u, v)|23 . σ u (u, v)|23 , F (u, v) = hσ E(u, v) = |σ La forma quadratica su R2 I(u, v)[h, k] = E(u, v) h2 + 2F (u, v) hk + G(u, v) k 2 ,

(h, k) ∈ R2 ,

si chiama prima forma fondamentale, o metrica Riemanniana, sulla superficie. Essa `e definita positiva: infatti E > 0, G > 0 e, detto ϑ l’angolo fra i vettori σ u e σ v , σ u |23 |σ σ v |23 − hσ σ u , σ v i23 = EG − F 2 = |σ σ u |23 |σ σ v |23 (1 − cos2 ϑ) = |σ σ u |23 |σ σ v |23 sin2 ϑ = |σ σ u × σ v |23 > 0. = |σ p Come abbiamo visto sopra, la quantit`a E u0 (t)2 + 2F u0 (t)v 0 (t) + G v 0 (t)2 dt `e l’elemento di lunghezza lungo la generica curva ϕ giacente su Σ; esprimiamo questo fatto scrivendo la relazione formale ds2 = E du2 + 2F dudv + G dv 2 = I(u, v)[du, dv] che lega il differenziale della lunghezza d’arco ds, lungo le curve giacenti su Σ, ai differenziali du, dv nell’insieme dei parametri. Il fatto che la prima forma fondamentale esprima una quantit`a legata al sostegno Σ ci fa pensare che essa debba essere invariante per cambiamenti di parametri regolari sulla superficie. Ed infatti, sia p un diffeomorfismo (u, v) = p(q, r) e poniamo η (q, r) = σ (p(q, r)); allora, posto E(q, r) = |ηη q (q, r)|23 ,

F (q, r) = hηη q (q, r), η r (q, r)i3 ,

449

G(q, r) = |ηη r (q, r)|23 ,


si ha, con calcolo noioso ma facile: I(q, r)[dq, dr] = E(q, r)dq 2 + 2F (q, r)dqdr + G(q, r)dr2 = = |ηη q |23 dq 2 + 2 hηη q , η r i3 dqdr + |ηη r |23 dr2 = σ u uq + σ v vq , σ u ur + σ v vr i3 dqdr + σ u uq + σ v vq |23 dq 2 + 2hσ = |σ 2 2 σ u ur + σ v vr |3 dr = +|σ σ u |23 (uq )2 + 2hσ σ u , σ v uq vq + |σ σ v |23 (vq )2 dq 2 + = |σ σ u , σ v i3 (uq vr + ur vq ) + |σ σ v |23 vq vr dqdr + σ u |23 uq ur + hσ +2 |σ σ u |23 (ur )2 + 2hσ σ u , σ v i3 ur vr + |σ σ v |23 (vr )2 dr2 = + |σ σ u |23 [uq dq + ur dr]2 + 2hσ σ u , σ v i3 [uq dq + ur dr] [vq dq + vr dr] + = |σ 2 2 σ v |3 [vq dq + vr dr] = +|σ σ u |23 du2 + 2hσ σ u , σ v i3 dudv + |σ σ v |23 dv 2 = = |σ = E(u, v) du2 + 2F (u, v) dudv + G(u, v) dv 2 = I(u, v)[du, dv]. La relazione formale precedente, che esprime in funzione della prima forma fondamentale l’elemento di lunghezza ds lungo una generica curva ϕ giacente su Σ, mostra che ds `e il risultato della deformazione di du e dv mediante i coefficienti E, F, G, mentre sulla curva piana (u(t), v(t)) come sappiamo si ha, sempre formalmente, ds2 = [u0 (t)2 + v 0 (t)2 ] dt2 = du2 + dv 2 . Osserviamo per concludere che i singoli coefficienti della prima forma fondamentale non sono invarianti per cambiamenti di parametro: ad esempio, come abbiamo visto, si ha σ × σ v |23 = |ηη q × η r |23 · Jp (q, r) = E(u, v)G(u, v) − F (u, v)2 = |σ u = E(q, r)G(q, r) − F (q, r)2 Jp (q, r).

Area di una superficie Sia Σ = σ (T ) una superficie regolare e semplice. Il modo pi` u intuitivo di definire l’area di Σ, cio`e quello di considerare la famiglia delle superfici poliedriche a facce triangolari con vertici su Σ, e di fare l’estremo superiore delle aree (elementarmente definite) di tali superfici, non funziona: infatti tale estremo superiore `e +∞ (esercizio 4.8.11). Questo `e dovuto al fatto seguente: mentre, per le poligonali con cui si approssima la lunghezza di una 450


curva, la direzione di ciascun lato si avvicina a quella delle tangenti alla curva, le facce di un poliedro inscritto in una superficie possono essere inclinate quanto si vuole rispetto ai piani tangenti alla superficie, pur avendo tali facce diametri piccoli quanto si vuole. Procediamo dunque in un altro modo. Sia T0 un sottoinsieme misurabile e limitato di T . Dato n ∈ N+ , sia Pn un plurirettangolo di R2 , unione di mn n rettangoli adiacenti R1n , . . . , Rm , tale che m2 (T \ Pn ) < 1/n; possiamo supn porre che Pn ⊂ Pn+1 . Per ciascun rettangolo Rin = [uni , uni + hni ] × [vin , vin + kin ] di Pn consideriamo il parallelogrammo corrispondente Sin , di vertice σ (uni , vin ) e generato dai vettori hniσ u (uni , vin ) e kinσ v (uni , vin ): ragioni abbastanza evidenti, legate alla formula di Taylor, ci suggeriscono che l’unione di questi parallelogrammi costituisca una buona approssimazione della superficie Σ: si noti infatti che per ogni (u, v) ∈ Rin e per ogni x ∈ Sin , dunque della forma σ u (uni , vin ) + sσ σ v (uni , vin ), x = σ (uni , vin ) + rσ

(r, s) ∈ [0, hni ] × [0, kin ],

risulta σ (u, v) − x|3 = |σ σ (u, v) − σ (uni , vin ) − rσ σ u (uni , vin ) − sσ σ v (uni , vin )|3 ≤ |σ σ u (uni , vin )|3 + |v − vin − s||σ σ v (uni , vin )|3 ≤ ≤ |u − uni − r||σ ≤ M (|hni | + |kin |), ove M `e un’opportuna costante legata σ u |3 e |σ σ v |3 su T0 ; ne al massimo di |σ segue che la massima distanza fra punti di σ (Rin ) e punti di Sin `e infinitesima quando il diametro del rettangolo Rin tende a 0. Valutiamo allora l’area a(Sin ) del parallelogrammo Sin : detto ϑni l’angolo fra i vettori σ u (uni , vin ) e σ v (uni , vin ), tale area `e data da σ u (uni , vin )|3 |σ σ v (uni , vin )|3 sin ϑni = a(Sin ) = hni kin |σ σ u (uni , vin ) × σ v (uni , vin )|3 . = m2 (Rin )|σ P n Ci aspettiamo che la somma m i=1 a(Si ) sia una buona approssimazione di ci`o che dobbiamo definire, cio`e l’area della superficie Σ. A questo proposito, si ha:

451


Proposizione 4.8.7 Nelle ipotesi precedenti, per ogni n ∈ N+ sia ϕn (u, v) =

mn X

σ u (uni , vin ) × σ v (uni , vin )|3 IRin (u, v), |σ

(u, v) ∈ T0 .

i=1

Allora ϕn ∈ S0 e Z lim

n→∞

Z σ u × σ v |3 dudv. |σ

ϕn dudv = T0

T0

Dimostrazione Le funzioni ϕn sono semplici e nulle fuori di T0 , il quale ha misura finita essendo limitato, quindi appartengono a S0 . Sia (u, v) in T0 ∩A: allora esiste n ∈ N+ tale che (u, v) ∈ Pn , e quindi esiste i ∈ {1, . . . mn } tale che (u, v) ∈ Rin . Ne segue, essendo σ di classe C 1 ,

σ u (u, v) × σ v (u, v)|3 =

ϕn (u, v) − |σ

σ u (uni , vin ) × σ v (uni , vin )|3 − |σ σ u (u, v) × σ v (u, v)|3 ≤ ε = |σ non appena |(uni , vin ) − (u, v)|2 <

1 n

< δε ; ne segue

σ u (u, v) × σ v (u, v)|3 lim ϕn (u, v) = |σ

n→∞

∀(u, v) ∈ T0 .

D’altra parte 0 ≤ ϕn (u, v) ≤ sup |σu × σv |3 < ∞, T0

cosicch´e la tesi segue per convergenza dominata. La proposizione 4.8.7, insieme con le considerazioni che la precedono, serve a motivare la seguente Definizione 4.8.8 L’ area di una superficie regolare e semplice Σ = σ (T ) `e il numero non negativo (eventualmente infinito) Z σ u × σ v |3 dudv. a(Σ) = |σ T

La notazione a(Σ) `e giustificata dal fatto che questo numero `e indipendente dalla parametrizzazione di Σ: se p : D → T `e un diffeomorfismo, e (q, r) = p(u, v), posto η = σ ◦ p, dal teorema di cambiamento di variabili (teorema 3.12.2) si ha Z Z Z σ u ◦ p) × (σ σ v ◦ p)|3 |Jp | dqdr = σ u × σ v |3 dudv. |ηη q × η r |3 dqdr = |(σ |σ D

D

T

452


Esempi 4.8.9 (1) Calcoliamo l’area della superficie sferica di raggio r (esempio 4.8.2 (1)): Z 2π Z π Z 2π Z π σ ϑ × σ ϕ |3 dϑdϕ = r2 sin ϑ dϑdϕ = 4πr2 , |σ a(Σ) = 0

0

0

0

come ci si doveva aspettare. (2) (Superfici di rotazione) Le superfici di rotazione si ottengono facendo ruotare il sostegno di una curva regolare piana attorno ad un asse che non la attraversi. Ad esempio, sia Γ = ϕ [a, b], ove ϕ (t) = (α(t), β(t)), una curva contenuta nel semipiano y = 0, x > 0: ruotando Γ intorno all’asse z, si ottiene una superficie Σ parametrizzata da   x = α(t) cos ϑ y = α(t) sin ϑ  z = β(t),

t ∈ [a, b], ϑ ∈ [0, 2π].

Si ha  α0 (t) cos ϑ −α(t) sin ϑ Dσ =  α0 (t) sin ϑ α(t) cos ϑ  β 0 (t) 0 

σ t × σ ϑ |23 = EG − F 2 = [α0 (t)2 + β 0 (t)2 ]α(t)2 = |ϕ ϕ0 (t)|22 α(t)2 > 0, e quindi |σ dato che la curva ϕ `e regolare e contenuta in x > 0. L’area vale Z b Z 2π p a(Σ) = α(t) α0 (t)2 + β 0 (t)2 dϑdt = a 0 Z Z b p 0 2 0 2 α(t) α (t) + β (t) dt = 2πα ds. = 2π a

Γ

Si noti che si integra lungo Γ la lunghezza della circonferenza di raggio x = α(t), cio`e si calcola l’area di Σ integrando “per fette orizzontali”.

453


(3) Consideriamo in particolare il toro, che si ottiene ruotando attorno all’asse z una circonferenza centrata in (a, 0, 0) di raggio b < a. Le equazioni parametriche sono   x = (a + b cos ϕ) cos ϑ y = (a + b cos ϕ) sin ϑ  z = b sin ϕ, ove ϕ, ϑ ∈ [0, 2π] e 0 < b < a. Rispetto all’esempio precedente, il parametro ϕ corrisponde a t e la funzione a + b cos ϕ corrisponde ad α(t). Come sappiamo, la superficie `e regolare e, dalla formula dell’esempio precedente, Z 2π (a + b cos ϕ)b dϕ = 4π 2 ab = (2πa)(2πb). a(Σ) = 2π 0

Naturalmente, agendo per via diretta, si ha   −b sin ϕ cos ϑ −(a + b cos ϕ) sin ϑ σ =  −b sin ϕ sin ϑ (a + b cos ϕ) cos ϑ  , Dσ b cos ϕ 0 σ ϕ ×σ σ ϑ |23 = EG−F 2 = b2 (a+b cos ϕ)2 ; pertanto si ottiene nuovamente da cui |σ Z 2π Z 2π a(Σ) = b(a + b cos ϕ) dϑdϕ = 4π 2 ab. 0

0

Integrali superficiali Se Σ = σ (T ) ⊂ R3 `e una superficie regolare √ e semplice, ne conosciamo σ u × σ v |3 dudv = EG − F 2 dudv. Se f `e una l’“elemento d’area” ds = |σ funzione continua di tre variabili, definita su un aperto A contenente Σ, l’ integrale superficiale di f su Σ `e definito come Z Z σ (u, v))|σ σ u (u, v) × σ v (u, v)|3 dudv. f ds = f (σ Σ

T

Esso `e indipendente dalla parametrizzazione utilizzata per descrivere Σ, esattamente come lo `e l’area di Σ, e gode delle usuali propriet`a degli integrali: `e 454


lineare e monotono come funzione di f , ed `e additivo come funzione di Σ; ci`o ci permette di estendere la definizione di integrale superficiale al caso delle superfici a tratti (si veda l’esercizio 4.8.10): se Σ = Σ1 ∨Σ2 ∨. . .∨Σm , R regolariP m R allora Σ f ds = i=1 Σi f ds. Inoltre

Z

Z

f ds ≤ |f | ds,

Σ

Σ

e vale il teorema della media: Z min f · a(Σ) ≤

f ds ≤ max f · a(Σ).

Γ

Σ

Γ

Esempi 4.8.10 (1) Il baricentro (geometrico) di una superficie regolare Σ `e il vettore di componenti Z Z Z 1 1 1 x ds, y ds, z ds . a(Σ) Σ a(Σ) Σ a(Σ) Σ (2) Detta d(x) la distanza di un punto x ∈ Σ da un altro punto, o retta, o piano fissato in R3 , il momento di inerzia di Σ rispetto a quel punto, o a quella retta, o a quel piano, `e il numero Z d(x)2 ds. Σ

Formula di coarea Consideriamo una famiglia {Σt }t∈[a,b] di superfici descritte dalle equazioni Σt :

φ(x, y, z) = t,

ove φ `e una funzione di classe C 1 definita su un aperto A ⊆ R3 , con ∇ φ(x, y, z) 6= 0 in ogni punto (x, y, z) ∈ Σt , t ∈ [a, b]. In queste ipotesi, ∇φ e il versore normale a Σt orientato nel verso delle t crescenti. ∇φ|3 ` |∇ Se il parametro t viene interpretato come tempo, possiamo pensare ad una superficie Σ che si muove, deformandosi, nello spazio. Al variare di t, Σt descrive una regione D = {(x, y, z) ∈ A : a ≤ φ(x, y, z) ≤ b} :

455


la “formula di coarea” permette di calcolare il volume della regione D in termini delle aree di Σt , integrando per “fette incurvate”. Supporremo che l’insieme D sia compatto, e dunque, in particolare, di misura finita. Proposizione 4.8.11 (formula di coarea) Nelle ipotesi precedenti, si ha Z b Z 1 ds dt. m3 (D) = ∇φ|3 a Σt |∇ Dimostrazione Poich´e in ogni punto di D si ha φx 6= 0, oppure φy 6= 0, oppure φz 6= 0, potremo ricoprire D con un numero finito m di cubi aperti Qi , tali che Σt ∩ Qi sia una superficie cartesiana in cui una delle tre derivate di φ sia sempre diversa da 0. Sia {ϕi }1≤i≤m una partizione dell’unit`a associata al ricoprimento {Qi }1≤i≤m (proposizioni 3.13.22Pe 3.13.23): ci`o significa che ϕi ∈ C ∞ (R3 ), 0 ≤ ϕi ≤ 1, 3 ϕi ≡ 0 in R3 \ Qi e m i=1 ϕi ≡ 1 in R . Si ha allora m3 (D) =

m Z X i=1

ϕi dxdydz.

Qi ∩D

Consideriamo l’addendo i-simo: poniamo Qi = Ri × Ji , con Ri quadrato di R2 e Ji intervallo di R, e supponiamo che in Qi si abbia, ad esempio, φz 6= 0, cosicch´e Σt ∩ Qi `e grafico di una funzione delle variabili (x, y): Σt ∩ Qi = {(x, y, z) ∈ Qi : z = g i (x, y, t)}. L’elemento d’area su Σt ∩ Qi `e dunque, per l’esercizio 4.8.2 e per il teorema del Dini, ds =

q

1 + [(g i )x +2 +[(g i )y ]2 dxdy =

∇φ(x, y, g i (x, y, t))|3 |∇ dxdy. |φz (x, y, g i (x, y, t))|

Introduciamo il cambiamento di variabili (x, y, t) = Gi (x, y, z) = (x, y, φ(x, y, z)) : L’applicazione Gi trasforma Qi ∩ D in un insieme Ei che possiamo descrivere in questo modo: detti ci = inf φ, di = sup φ, At,i = {(x, y) ∈ Ri : ∃z ∈ R : φ(x, y, z) ∈ [ci , di ]}, Qi ∩D

Qi ∩D

456


si ha [ci , di ] ⊆ [a, b] e Ei = {(x, y, t) : t ∈ [ci , di ], (x, y) ∈ At,i }. Osserviamo poi che 

 1 0 0 JGi (x, y, z) = det  0 1 0  = φz (x, y, z), φx φy φz quindi Gi ha inversa (Gi )−1 : Ei → Qi , data da (Gi )−1 (x, y, t) = (x, y, g i (x, y, t)) : infatti t = φ(x, y, z), (x, y, z) ∈ Qi ,

⇐⇒

Inoltre J(Gi )−1 (x, y, t) =

z = g i (x, y, t), (x, y, t) ∈ Ei . 1

|[φz ◦

(Gi )−1 ](x, y, t)|

.

Si ha allora, per il teorema 3.12.2, Z Z ϕi ◦ (Gi )−1 ϕi dxdydz = dxdydt = i −1 Qi ∩D Ei |φz ◦ (G ) | # Z di "Z ϕi (x, y, g i (x, y, t)) = dxdy dt. i At,i |φz (x, y, g (x, y, t))| ci Dunque si ricava, per definizione di integrale superficiale, Z Z d i Z ϕi ϕi dxdydz = ds dt. ∇φ|3 Σt ∩Qi |∇ Qi ∩D ci Poich´e Σt ∩ Qi = ∅ per t ∈ / [ci , di ], e ϕ = 0 fuori di Qi , possiamo scrivere Z Z b Z ϕi ϕi dxdydz = ds dt, ∇φ|3 Qi ∩D a Σt |∇ da cui, sommando rispetto a i, Z b Z m Z b Z X ϕi 1 ds dt = ds dt. m3 (D) = ∇φ|3 ∇φ|3 Σt |∇ a Σt |∇ i=1 a 457


Osservazione 4.8.12 Se interpretiamo Σt come la posizione all’istante t di un insieme di punti in movimento, ciascuno dei quali descrive una curva γ (t) = (x(t), y(t), z(t)), varr`a evidentemente l’identit`a φ(x(t), y(t), z(t)) = t

∀t ∈ [a, b];

derivando rispetto a t si ha ∇φ(γγ (t)), γ 0 (t)i3 = 1 h∇

∀t ∈ [a, b],

∇φ(γγ (t))|3 otteniamo l’equazione e dividendo per |∇ hn(γγ (t)), v(t)i3 =

1 ∇φ(γγ (t))|3 |∇

∀t ∈ [a, b],

ove n(γγ (t)) `e il versore normale a Σt orientato nel verso delle t crescenti, mentre v(t) = γ 0 (t) esprime la velocit`a di spostamento lungo la traiettoria γ (t), cio`e la velocit`a di spostamento “locale” di Σt . Pertanto l’integrando nella formula di coarea misura la componente normale a Σt della velocit`a con cui il punto γ (t) si muove nello spazio.

Formula di Stokes Il teorema della divergenza (teorema 4.7.8) si pu`o generalizzare al caso in cui l’aperto A ⊂ R2 `e rimpiazzato da una superficie regolare e semplice orientata e ∂A dal “bordo” di tale superficie, opportunamente definito ed orientato. Precisamente, sia Σ = σ (T ) una superficie regolare, semplice ed orientabile, definita su un insieme compatto e connesso T , il quale sia la chiusura di un aperto A di R2 ed abbia frontiera di classe C 1 . Le due orientazioni di Σ sono determinate dai due versori normali ±

σu × σv . σ u × σ v |3 |σ

Definiamo interno di Σ l’insieme dei punti x ∈ Σ che possiedono un intorno U ⊂ R3 con la seguente propriet`a: esiste r > 0 ed esiste un diffeomorfismo η : U ∩ Σ → B(0, r) ⊂ R2 per cui η (x) = 0. Denotiamo l’interno di Σ con iΣ. Si osservi che σ (A) ⊆ iΣ ma che l’inclusione inversa non `e in generale vera: un esempio `e fornito dalla sfera unitaria di R3 parametrizzata in coordinate sferiche, che coincide col proprio interno e non `e l’immagine del rettangolo 458


aperto ] − π, π[×]0, π[. Definiamo bordo di Σ l’insieme dei punti x ∈ Σ che possiedono un intorno U ⊂ R3 con la seguente propriet`a: esiste r > 0 ed esiste un diffeomorfismo η : U ∩ Σ → {(x, y) ∈ B(0, r) : y ≥ 0} ⊂ R2 per cui η (x) = 0. Denotiamo il bordo di Σ con bΣ. In generale Σ = iΣ ∪ bΣ e bΣ ⊆ σ (∂T ), ma l’esempio sopra scritto mostra che bΣ pu`o essere vuoto. Si noti che “interno” e “bordo” non sono sinonimi di “parte interna” e di “frontiera”: infatti Σ `e un insieme bidimensionale in R3 , quindi non ha parte interna e coincide con la sua frontiera. Noi supporremo non solo che bΣ non sia vuoto, ma che valga la relazione bΣ = σ (∂T ). Ci`o costituisce a priori una notevole restrizione, dovuta al fatto che noi abbiamo scelto di rappresentare la variet`a V come immagine della parametrizzazione globale σ : T → Σ; nel capitolo successivo proveremo una versione r-dimensionale della formula di Stokes in cui tale restrizione non ci sar`a, proprio perch´e ci baseremo su una descrizione “intrinseca” della variet`a. D’altronde fra poco vedremo alcuni esempi in cui l’ipotesi bΣ = σ (∂T ) non `e verificata e nonostante ci`o la formula di Stokes vale ugualmente. Per le ipotesi fatte, bΣ `e sostegno di una curva regolare della forma σ ◦γγ , ove γ `e una curva regolare definita su [a, b] con sostegno ∂T ; il verso di percorrenza di questa curva piana (antiorario od orario) non `e specificato a priori. Il bordo bΣ ha due orientazioni possibili, indotte dai due versori tangenti ±

σ ◦ γ )0 (σ . σ ◦ γ )0 |3 |(σ

Noi supporremo che le orientazioni fissate su Σ e su bΣ siano coerenti. Con questo intendiamo la propriet`a seguente: fissato un generico punto x ∈ bΣ, e detto ν l’unico versore tangente in x a Σ, normale in x a bΣ e diretto verso l’esterno di Σ, i tre versori ν , τ , n verificano ν × τ = n. In altre parole, la terna (νν , τ , n) `e orientata come gli assi cartesiani x, y, z. A questo proposito vale la seguente Osservazione 4.8.13 Supponiamo che la curva regolare γ = (ξ, η) : [a, b] → ∂T percorra ∂T in verso antiorario; supponiamo (ξ 0 )2 + (η 0 )2 ≡ 1 e siano t = (ξ 0 , η 0 ) il versore tangente a ∂T , orientato in tale verso, e ν = (η 0 , −ξ 0 ) il

459


versore normale a ∂T , orientato verso l’esterno. Il vettore τ = Dσ σ · t = (σ σ u ◦ γ )ξ 0 + (σ σ v ◦ γ )η 0 `e tangente a bΣ nel generico punto σ (γγ (t)), mentre il vettore σ · ν = (σ σ u ◦ γ )η 0 − (σ σ v ◦ γ )ξ 0 v = Dσ `e tangente a Σ e inoltre, pur non essendo in generale normale a bΣ, `e non parallelo a τ , dato che σ u × σ v ) ◦ γ 6= 0. v × τ = (σ Di conseguenza, se si sceglie n = σ u × σ v , risulta hv × τ , ni3 = EG − F 2 > 0, ovvero la terna (v, τ , n) `e orientata come gli assi cartesiani x, y, z. Inoltre i vettori sono disposti in modo tale che un osservatore, che abbia i piedi su Σ e la testa nella direzione di n, e che percorra bΣ nel verso di τ , vedr`a la superficie Σ alla sua sinistra. Per controllare questo, basta verificare che il vettore v, al pari di ci`o che fa ν rispetto a t, punta verso l’esterno di Σ. A questo scopo, osserviamo che in un generico punto u0 ∈ ∂T si ha, per ε → 0+ , σ u (u0 )η 0 + εσ σ v (u0 )ξ 0 + o(ε) = σ (u0 ) − εv + o(ε). σ (u0 − ενν ) = σ (u0 ) − εσ Dunque la distanza del punto σ (u0 ) − εv dal punto σ (u0 − ενν ), il quale appartiene a Σ, per ε → 0+ `e un infinitesimo di ordine superiore a ε: ci`o mostra che −v punta verso l’interno di Σ (altrimenti gi`a la sua distanza da bΣ, che `e minore di quella da σ (u0 − ενν ), sarebbe infinitesima di ordine al pi` u ε). Ne segue che v punta verso l’esterno di Σ. In definitiva, se γ percorre ∂T in verso antiorario, allora le orientazioni indotte σ v su Σ e da (σ σ u ×σ σ v )◦γγ su bΣ sono coerenti; se invece γ percorre ∂T da σ u ×σ σ v su Σ e da (σ σ u ×σ σ v )◦γγ in verso orario, allora le orientazioni indotte da σ u ×σ su bΣ non sono coerenti. Ricordiamo che se F = (P, Q, R) `e una funzione di classe C 1 su un aperto B di R3 , il rotore di F `e stato definito nell’osservazione 4.6.14: ∂R ∂Q ∂R ∂P ∂Q ∂P − , − , − . rot F = ∂y ∂z ∂x ∂z ∂x ∂y Vale allora il seguente risultato, di grande importanza in fisica: 460


Teorema 4.8.14 (di Stokes) Sia Σ = σ (T ) una superficie regolare, semplice ed orientabile di classe C 2 , con T = A ove A `e un aperto connesso limitato di R2 con frontiera di classe C 1 ; supponiamo anche bΣ = σ (∂T ). σv ×σ Supponiamo infine che le orientazioni indotte da n = |σσσuu×σ σ v |3 su Σ e da τ = σ u ×σ σ v )◦γ γ )0 (σ σ σ γ |(σ u ×σ v )◦γ )0 |3

su bΣ siano coerenti. Allora per ogni F = (P, Q, R) ∈ C 1 (T, R3 ) vale la formula di Stokes Z Z hrot F, ni3 ds = hF, τ i3 ds. Σ

Si R noti che il secondo membro pu`o essere scritto come integrale curvilineo ω, ove +bΣ `e la curva bΣ orientata positivamente e ω `e la 1-forma +bΣ ω = P (x, y, z)dx + Q(x, y, z)dy + R(x, y, z)dz. Dimostrazione Anzitutto, data una generica funzione G (scalare o vetto˜ riale) di tre variabili, denotiamo con G la funzione composta G ◦ σ e con G ˜ = G ◦ γ. la funzione composta G ◦ σ ◦ γ , cosicch´e in particolare G Ci`o premesso, partiamo dal secondo membro. Poniamo, per comodit`a, γ (t) = (ξ(t), η(t)),

σ (u, v) = (x(u, v), y(u, v), z(u, v)),

e denotiamo con t e ν il versore tangente ed il versore normale esterno a ∂T . Dall’osservazione 4.8.13 segue che le orientazioni di n su Σ e di τ su bΣ sono coerenti se e solo se il verso di percorrenza di γ su ∂T `e antiorario. Pertanto i versori t e ν sono dati da ! 0 0 γ0 ξ η ,p , t= 0 = p 0 2 0 2 0 2 |γγ |3 (ξ ) + (η ) (ξ ) + (η 0 )2 0

ν=

0

−ξ η p ,p 0 2 0 2 0 (ξ ) + (η ) (ξ )2 + (η 0 )2

!

=

461

0 1 −1 0

ξ0 (ξ 0 )2 +(η 0 )2 η0 (ξ 0 )2 +(η 0 )2

  = At,


ove si `e posto A = −10 10 ; osserviamo che At = A−1 . Dunque si ha, grazie al teorema della divergenza (teorema 4.7.8) applicato al dominio T , Z

Z

˜ (σ σ ◦ γ )0 i3 dt = hF,

Z

b

˜ [(Dσ σ ) ◦ γ ]γγ 0 i3 dt = hF, a a Z Z b 0 t ˜ σ ]t F, ti2 ds = σ ) ◦ γ ] F, γ i2 dt = h[Dσ h[(Dσ = Za Z ∂T σ ]t F, A−1ν i2 ds = σ ]t F, ν i2 ds = = h[Dσ hA[Dσ ∂T Z∂T σ ]t F) dudv. = div(A[Dσ

hF, τ i3 ds = bΣ

b

T

Calcoliamo la divergenza che compare all’ultimo membro:    P 0 1 xu yu zu    σ ]t F) = div  div(A[Dσ  Q  = −1 0 xv yv zv R    P xv yv zv    = div   Q  = −xu −yu −zu R ∂ ∂ σ v , Fi3 − σ u , Fi3 = = hσ hσ ∂u ∂v σ vu , Fi3 + hσ σ v , (DF)σ σ u i3 − hσ σ uv , Fi3 − hσ σ u , (DF)σ σ v i3 = = hσ σ u , σ v i3 . = h(DF − [DF]t )σ Notiamo adesso che 

DF − [DF]t

Px Py  =  Qx Qy Rx Ry  0  =  Qx − Py Rx − P z

   Pz Px Qx Rx    Qz  −  Py Qy Ry  = Rz Pz Qz Rz  Py − Qx Pz − Rx  0 Qz − Ry  , Ry − Qz 0

462


da cui 

  (Py − Qx )yu + (Pz − Rx )zu xv    σ u , σ v i3 =  (Qx − Py )xu + (Qz − Ry )zu   yv  = h(DF − [DF]t )σ zv (Rx − Pz )xu + (Ry − Qz )yu = (Py − Qx )(yu xv − xu yv ) + (Pz − Rx )(zu xv − xu zv ) + +(Qz − Ry )(zu yv − yu zv ) = = (Ry − Qz )(yu zv − zu yv ) + (Pz − Rx )(zu xv − xu zv ) + +(Qx − Py )(xu yv − yu xv ) = = hrot F, σ u × σ v i3 . Dunque si conclude che Z Z σ ]t F) dudv = hF, τ i3 ds = div(A[Dσ bΣ ZT Z hrot F, σ u × σ v i3 dudv = hrot F, ni3 ds, = T

Σ

e ci`o prova la tesi. Osservazioni 4.8.15 (1) Nella formula di Stokes si pu`o supporre che la σ n } di superfici superficie σ sia solo di classe C 1 : si prende una successione {σ 2 regolari di classe C , definite su T , che convergano a σ rispetto alla norma C 1 : la formula scritta per Σn = σ n (T ) coinvolge integrali su Σn e su bΣn , nei quali si pu`o passare al limite. Similmente, la formula `e ancora vera quando la frontiera del compatto T `e una curva di classe C 1 a tratti: T potrebbe dunque essere un insieme normale. (2) Quando bΣ `e contenuto propriamente in σ (∂T ), la curva γ descrive anche archi contenuti in iΣ: in questo caso la dimostrazione del teorema 4.8.14 d`a come risultato Z Z hrot F, ni3 ds = hF, τ i3 ds. σ (∂T )

Σ

Tuttavia nei casi concreti, ad esempio quando la superficie `e espressa in coordinate sferiche, gli archi di σ (∂T ) che sono contenuti in iΣ sono percorsi due volte con versi opposti, per cui il loro contributo al secondo membro `e nullo. Dunque troviamo nuovamente Z Z hrot F, ni3 ds = hF, τ i3 ds. Σ

463


Si consideri ad esempio la calotta sferica Σ = {(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 ≤ r2 , z =

p

1 − x2 − y 2 },

ove r ∈]0, 1[ `e fissato; chiaramente bΣ = {(x, y, z) ∈ R3 : z =

1 − r2 , x2 + y 2 = r2 }.

Se scegliamo la parametrizzazione cartesiana p σ : x = x, y = y, z = 1 − x2 − y 2 ,

(x, y) ∈ T,

con T = {(x, y) ∈ R2 : x2 +y 2 ≤ r2 }, allora bΣ = σ (∂T ). Se invece scegliamo la parametrizzazione in coordinate sferiche σ : x = sin ϑ cos ϕ, y = sin ϑ sin ϕ, z = cos ϑ, ϑ ∈ [0, arcsin r], ϕ ∈ [−π, π], allora σ (∂T ) `e una curva che, oltre alla circonferenza bΣ sopra descritta percorre anche due volte, in versi opposti, l’arco x = sin ϑ,

y = 0,

z = cos ϑ,

ϑ ∈ ]0, arcsin r] ,

che `e contenuto in iΣ. Se poi prendiamo come Σ l’intera sfera unitaria, che `e una superficie con bΣ = ∅, si pu`o scegliere T = [0, π] × [−π, π] e si trova che σ (∂T ) `e il meridiano di longitudine ϕ = 0 percorso due volte da un polo all’altro con orientazioni opposte. In entrambi i casi, la formula di Stokes `e vera, e naturalmente nel caso della sfera chiusa il secondo membro `e nullo. Completiamo questo paragrafo limitandoci ad enunciare il teorema della divergenza in R3 . Questo per due ragioni: la prima `e che la dimostrazione ricalca, con qualche complicazione formale in pi` u, quella del teorema 4.7.4; la seconda `e che di questo teorema daremo una versione N -dimensionale in un paragrafo successivo. Teorema 4.8.16 Sia A un aperto limitato di R3 con frontiera di classe C 1 , e sia F ∈ C 1 (A, R3 ). Allora Z Z div F dxdydz = hF, ni3 ds, A

∂A

ove n `e il versore normale esterno a ∂A. 464


Campi conservativi, irrotazionali, solenoidali Se A `e un aperto connesso di R3 , un campo vettoriale su A `e una funzione u : A → R3 continua. Noi considereremo campi vettoriali che siano almeno di classe C 1 . Definizione 4.8.17 Sia u ∈ C 1 (A) un campo vettoriale. Diciamo che u `e solenoidale se div u = 0, irrotazionale se rot u = 0, conservativo se esiste una funzione F ∈ C 2 (A), detta potenziale, tale che ∇ F = u in A. Andiamo ad analizzare le interrelazioni fra queste tre nozioni, tutte fondamentali in fisica, completando ed integrando le osservazioni fatte qua e l`a in precedenza. Teorema 4.8.18 Ogni campo conservativo in un aperto connesso A ⊆ R3 `e irrotazionale; viceversa, se A `e semplicemente connesso allora ogni campo irrotazionale `e conservativo. Dimostrazione (=⇒) Con calcolo diretto si vede che rot ∇ F = 0. (⇐=) Proviamo che la 1-forma ω = u1 dx + u2 dy + u3 dz `e esatta in A. Data una qualsiasi curva regolare chiusa Γ ⊂ A, per ipotesi essa `e omotopa ad una costante. Detta G l’omotopia, l’immagine di G `e una superficie regolare, contenuta in A, che ha Γ come bordo: utilizzando il teorema di Stokes, dal R fatto che rot u = 0 si deduce che l’integrale curvilineo +Γ ω `e nullo. Ne segue, per il teorema 4.6.6, che ω `e esatta. Dunque esiste una primitiva F di ω e pertanto ∇ F = u. Definizione 4.8.19 Sia u un campo vettoriale di classe C 1 in un aperto connesso A ⊆ R3 , e sia T ⊂ A un compatto connesso con frontiera ∂T di classe C 1 a tratti. Il flusso di u uscente da ∂T `e il numero Z hu, ni3 ds, ∂T

ove n `e il versore normale esterno a ∂T . Si ha allora: Teorema 4.8.20 Sia A un aperto connesso di R3 . Un campo vettoriale u ∈ C 1 (A) `e solenoidale se e solo se, per ogni compatto connesso T ⊂ A, con frontiera ∂T di classe C 1 a tratti, il flusso uscente da ∂T `e nullo. 465


Dimostrazione (=⇒) Dato che div u = 0 in A, il teorema della divergenza (teorema 4.8.16) ci d`a la tesi. (⇐=) Se in un punto x0 si avesse ad esempio div u(x0 ) > 0, per continuit`a varrebbe la stessa relazione in una palla B(x0 , r) contenuta in A: ma allora, ancora per il teorema 4.8.16, non sarebbe nullo il flusso uscente da ∂B(x0 , r), il che `e assurdo. Osservazione 4.8.21 Un campo vettoriale u descritto da un rotore, cio`e tale che u = rot G con G ∈ C 2 (A), `e chiamato potenziale vettore. Ogni potenziale vettore `e solenoidale: infatti, con un calcolo diretto si vede che div rot G = 0. ` importante fornire condizioni affinch´e un campo vettoriale di classe C 1 sia E descritto da un rotore, ovvero sia un potenziale vettore: ad esempio, ci`o permette, utilizzando la formula di Stokes, R R di trasformare l’integrale superficiale hu, ni ds nell’integrale curvilineo hG, τ i3 ds. 3 Σ bΣ Premettiamo a questo scopo una definizione. Definizione 4.8.22 Sia A un aperto di R3 . Diciamo che A `e superficialmente connesso se ogni superficie chiusa Σ ⊂ A `e omotopa a una costante. Ad esempio, R3 \{0} `e semplicemente connesso ma non superficialmente connesso; gli insiemi convessi e gli insiemi stellati sono superficialmente connessi; un insieme superficialmente connesso `e anche semplicemente connesso. Teorema 4.8.23 Sia A un aperto di R3 . Se u ∈ C 1 (A) `e un campo vettoriale descritto da un rotore, allora u `e solenoidale. Viceversa, se A `e superficialmente connesso, ogni campo vettoriale solenoidale u `e descritto da un rotore; pi` u precisamente, i campi vettoriali G tali che u = rot G sono tutti e soli quelli della forma G = G0 + ∇ F, ove G0 ∈ C 2 (A) `e una soluzione particolare dell’equazione rot G = u e F `e un’arbitraria funzione reale appartenente a C 3 (A). Dimostrazione (=⇒) La tesi segue dall’osservazione precedente. (⇐=) Se rot G0 = u per una particolare G0 ∈ C 2 (A) allora, fissata F ∈ C 3 (A) e posto G = G0 + ∇ F , si ha rot G = rot G0 + rot ∇ F = u + 0 = u; 466


viceversa, se G ∈ C 2 (A) verifica rot G = u, allora G − G0 `e un campo irrotazionale, e dunque, essendo A semplicemente connesso, esiste F ∈ C 3 (A) tale che ∇ F = G − G0 . Quindi G = G0 + ∇ F . Mostriamo che una soluzione particolare G0 esiste, limitandoci al caso particolare in cui A `e un convesso. Posto G0 = (X, Y, Z) e u = (L, M, N ), dobbiamo risolvere il sistema   Zy − Yz = M Xz − Zx = N  Yx − Xy = P. Fissato (x0 , y0 , z0 ) ∈ A, cerchiamo una soluzione (X, Y, Z) che soddisfi per di pi` u Z ≡ 0, Y (·, ·, z0 ) = 0, X(·, y0 , z0 ) = 0. Le equazioni del sistema diventano Yz = −M,

Xz = N,

Yx − Xy = P,

e dunque Z

z

Y (x, y, z) = −

Z M (x, y, t) dt,

z

X(x, y, z) =

z0

N (x, y, t) dt + ψ(x, y), z0

con ψ arbitraria funzione di classe C 2 tale che ψ(x, y0 ) = 0. Sostituendo queste relazioni nell’equazione Yx − Xy = P , e ricordando che div u = Mx + Ny + Pz = 0, si ottiene ψy (x, y) = −P (x, y, z) e dunque Z y ψ(x, y) = − P (x, s, z) ds. y0

In conclusione, la soluzione particolare `e Z z Z y Z N (x, y, t) dt − P (x, s, z) ds, − G0 (x, y, z) = z0

y0

z

M (x, y, t) dt, 0 ;

z0

essa `e certamente definita in A poich´e A `e convesso.

Esercizi 4.8 1. Verificare che le linee coordinate di una superficie x = σ (k, v), x = σ (u, h) (k, h costanti) si tagliano secondo un angolo ϑ tale che F cos ϑ = √ . EG 467


2. (Superfici cartesiane) Una superficie cartesiana (esempio 4.8.2) `e il grafico di una funzione f : A → R, ove A `e un aperto connesso di R2 . Se f `e di classe C 1 , si provi che la superficie `e regolare, e si mostri che la sua area `e Z q 1 + fx2 + fy2 dxdy. A

3. (Superfici rigate) Una superficie `e rigata se `e generata da una famiglia di rette dipendente da un parametro. Se ϕ : [a, b] → R3 `e una curva regolare e ψ : [a, b] → R3 `e un’altra curva regolare tale che ψ (t) 6= 0 per ogni t ∈ [a, b], si dimostri che la superficie t ∈ [a, b], u ∈ R,

σ (t, u) = ϕ (t) + u ψ (t),

`e rigata, e che essa `e regolare se e solo se ϕ0 (t) + uψ ψ 0 (t)] × ψ (t) 6= 0 [ϕ

∀t ∈ [a, b], ∀u ∈ R.

4. Si provi che i cilindri e i coni x2 y 2 + 2 = 1, a2 b

x2 y 2 + 2 = z2 a2 b 2

2

sono superfici rigate, e che il paraboloide iperbolico z = xa2 − yb2 e 2 2 2 l’iperboloide ad una falda xa2 − yb2 − zc2 = 1 sono superfici doppiamente rigate, ossia sono rigate rispetto a due distinte famiglie di rette. 5. Sia f ∈ C 1 [a, b]. La superficie rigata σ (t, u) = (u cos f (t), u sin f (t)),

u ≥ 0, t ∈ [a, b]

si chiama conoide retto. Si provi che essa `e regolare nella regione {(t, u) : f 0 (t) 6= 0, u 6= 0}, si individui il significato geometrico di f (t) e si descrivano le linee coordinate x = σ(k, u) e x = σ(t, h) con k, h costanti; infine, posto ϑ = f (t), si parametrizzi σ rispetto a (ϑ, u). 6. Si consideri la curva piana ϑ = ln t, ϕ = arctan t, t > 0, e sia ψ (t) l’immagine di questa curva sulla superficie sferica σ (ϑ, ϕ) = (sin ϑ cos ϕ, sin ϑ sin ϕ, cos ϑ),

ϑ ∈ [0, π], ϕ ∈ [−π, π].

Si provi che l’angolo fra ψ (t) e i meridiani (cio`e le linee coordinate x = σ(ϑ, k) con k costante) `e uguale a π/4 per ogni t > 0. 468


7. Determinare la prima forma fondamentale per le seguenti superfici: (i) (piano): ax + by + cz = d (a, b, c, d ∈ R, a2 + b2 + c2 > 0); (ii) (cilindro): x2 + y 2 = 1; (iii) (elicoide): x = t cos ϑ, y = t sin ϑ, z = aϑ, t ∈ R, ϑ ∈ [0, 2π]; (iv) (ellissoide): x = a sin ϑ cos ϕ, y = b sin ϑ sin ϕ, z = c cos ϑ, ϑ ∈ [0, π], ϕ ∈ [−π, π] (abc 6= 0); (v) (paraboloide iperbolico): x = a u cosh v, y = b u sinh v, z = u2 , u ∈ R, v ∈ [0, 2π] (ab 6= 0); (vi) (paraboloide ellittico): x = a u cos u, y = b u sin v, z = u2 , u ∈ R, v ∈ [0, 2π] (ab 6= 0); (vii) (iperboloide a una falda): x = a cosh u cos v, y = b cosh u sin v, z = c sinh v, u ∈ [0, 2π], v ∈ R (abc 6= 0); (viii) (iperboloide a due falde): x = a cosh u cosh v, y = b cosh u sinh v, z = c sinh v, u, v ∈ R (abc 6= 0). 8. Sia f una funzione continua e non negativa, definita su un aperto A ⊆ R2 , e sia ϕ : [a, b] → A una curva regolare. Calcolare l’area della superficie Σ = {(x, y, z) ∈ R3 : (x, y) = ϕ(t), 0 ≤ z ≤ f (ϕ(t)), t ∈ [a, b]}. 9. Calcolare l’area delle seguenti superfici: (i) intersezione dei cilindri x2 + y 2 = a2 e y 2 + z 2 = a2 , ove a > 0; (ii) (finestra di Viviani) Σ: x2 + y 2 + z 2 = r2 , (x − r/2)2 + y 2 ≤ r2 , ove r > 0; (iii) Σ: 0 ≤ y ≤ 1/4, z ≥ 1 − y/4, x2 + z 2 = 1. 10. (Superfici regolari a tratti) Un insieme Σ ⊂ R3 `e una superficie regolare a tratti se si ha Σ = σ(T ), con σ ∈ C 0 (T, R3 ) e T = A, ove A `e un aperto connesso di R2 , e se T `e decomponibile in un numero finito di sottoinsiemi Ti = Ai , ove gli Ai sono aperti connessi, disgiunti e tali che σ|Ti sia una superficie regolare. (i) Si verifichi che ∂[0, 1]2 `e una superficie regolare a tratti e la si parametrizzi. 469


(ii) Si provi che il cilindro generato da una retta verticale che percorre la curva x = cos ϑ sin 2ϑ, y = sin ϑ sin 2ϑ, |ϑ| ≤ π/4, `e una superficie regolare a tratti che si “autointerseca”. (iii) Si estenda la nozione di area alle superfici regolari a tratti. 11. (Esempio di Schwarz) Dato un cilindro retto di altezza H e raggio R, dividiamo l’asse in m parti uguali; dividiamo poi le m + 1 circonferenze , . . . , (m−1)H , H in n parti uguali, perpendicolari all’asse, di quote 0, H m m in modo che la parallela all’asse che tocca i punti di divisione su una data circonferenza attraversi la circonferenza precedente e quella successiva nel punto medio di un arco.

La superficie poliedrica Σmn , i cui spigoli sono le corde di tali archi e i segmenti che uniscono i punti di divisione di una circonferenza con i punti di divisione adiacenti delle circonferenze precedente e successiva, ha come facce dei triangoli isosceli tutti uguali. (i) Si provi che l’area di ogni faccia `e s 2 π 2 H π 2 . R 1 − cos + R sin n n m (ii) Si deduca che l’area dell’intera superficie poliedrica Σmn `e s 2 H 2 π π 2mnR sin R2 1 − cos + . n n m (iii) Fissato q ∈ R+ , si provi che risulta r q 2 R2 π 4 a(Σmn ) → 2πR H 2 + 4

se

m → q, n2

e che quindi tale limite dipende dal numero arbitrario q. 470


(iv) Si dimostri che sup a(Σmn ) = +∞. m,n∈N+

12. Determinare l’area della superficie ∂A, ove A = {(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 ≤ 1, 0 ≤ y ≤ 1 − 2x}. 13. Calcolare l’area di Σ, ove Σ = {(x, y, z) ∈ R3 : 0 ≤ z = 1 − (x2 + y 2 )1/4 }. 14. (Teorema di Pappo-Guldino) Provare che l’area di una superficie di rotazione si ottiene moltiplicando la lunghezza della curva piana generatrice Γ per la lunghezza della circonferenza descritta dal baricentro di Γ, che `e il punto di coordinate Z Z Z 1 1 1 x ds, y ds, z ds . `(Γ) Γ `(Γ) Γ `(Γ) Γ 15. Determinare le aree delle superfici Σ1 , Σ2 e Σ3 ottenute ruotando l’arco di cicloide x = a(t − sin t), y = a(1 − cos t), t ∈ [0, π], attorno all’asse x, attorno all’asse y ed attorno alla retta x = πa. p 16. Calcolare l’area del grafico della funzione (x, y) 7→ arcsin x2 + y 2 , 0 ≤ x2 + y 2 ≤ 1/4. 17. Calcolare l’area delle superfici che si ottengono ruotando la parabola t2 x = −t, y = 4 a − , t ∈ [0, a] a attorno all’asse x ed attorno all’asse y. 18. Sia Σ una superficie regolare tale che I(u, v)[h, k] = h2 + f (u, v)k 2

∀(h, k) ∈ R2 .

Si provi che, fissate due costanti k1 , k2 , gli archi lungo le linee coordinate x = σ(u, h), h costante, delimitati dalle linee coordinate x = σ(k1 , v) e x = σ(k2 , v), hanno tutti ugual lunghezza. 471


19. Determinare il momento di inerzia rispetto all’asse z della superficie Σ data dalla parte del grafico di f (x, y) = xy che `e interna al cilindro x2 + y 2 = 8. 20. Calcolare

Z

ds

Σ

(1 +

x)3/2 (1

− x)1/2

,

dove Σ `e la parte della semisfera x2 +y 2 +z 2 = 1, z ≥ 0, la cui proiezione sul piano xy `e il trapezio di vertici (0, 0), (0, 1), ( 35 , 0) e ( 53 , 35 ). 21. Calcolare

Z Σ

z2 ds, [(x2 + y 2 )2 + z 4 ]1/2

ove Σ `e ottenuta ruotando attorno all’asse z la curva del piano xz di 10 x equazione z = 1−x , x ∈ 0, 11 . 22. Calcolare

Z

p x 2x2 + 2y 2 + z 2 ds,

Σ

ove Σ `e la superficie ottenuta proiettando dall’origine di R3 l’elica cilindrica x = cos t, y = sin t, z = t, t ∈ [0, π]. 23. Calcolare

Z Σ

xz ln y ds, y

p 2 ove Σ `e la parte del toro di equazione z 2 + x + 2 + y 2 − 32 = 14 contenuta in {(x, y, z) : z ≥ 0, y ≥ x ≥ 0}. R 24. Calcolare Σ x2 y ds, ove Σ `e il triangolo di vertici (1, 0, 0), (0, 1, 0), (0, 0, 1). R 25. Calcolare Σ |z| ds, ove Σ `e la parte del cilindro (x−1)2 +y 1 = 1 interna alla sfera x2 + y 2 + z 2 ≤ 1. R 26. Calcolare Σ y ds, ove Σ `e l’unione della congiungente il punto (0, 0, 2) con la curva Γ = {(x, y) : x = 1 − y 2 , |y| ≤ 1}. 27. Determinare il momento d’inerzia rispetto al piano y = 0 della superficie Σ = {(x, y, z) : x, y > 0, x2 + y 2 ∈ [1, 2], z = arctan xy }. 472


28. Determinare il momento d’inerzia rispetto all’asse√z della parte di iperboloide Σ = {(x, y, z) : z 2 − x2 − y 2 = 1, z ∈ [0, 10]}. 29. Sia F(x, y, z) = (yz, x, 1). Si verifichi la formula di Stokes, calcolandone i due membri, nel caso in cui Σ = {(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 ≤ 1, z = 0} e Σ e bΣ sono orientati positivamente. R 30. Sia F(x, y, z) = (ze−y , z, y). Calcolare Σ hrot F, ni3 ds quando: (i) Σ = {(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 = 1}, con orientazione data dal versore normale esterno; √ √ (ii) Σ `e il quadrato di vertici 0, e1 +e2 , 2 e3 , e1 +e2 + 2 e3 , orientato secondo il versore normale ν con νx > 0; (iii) Σ = {(x, y, z) ∈ R3 : y = x2 + z 2 }, orientato secondo il versore normale ν con νy > 0.

4.9

Geometria delle superfici

Cominciamo ad analizzare le propriet`a geometriche delle superfici di R3 andando a valutare la deviazione di una superficie regolare dal suo piano tangente in un punto. Nelle usuali notazioni, sia Σ = σ (T ) una superficie regolare di classe C 2 ; indichiamo con ρ(u, v) la “distanza con segno” di σ (u, v) dal piano tangente a Σ in σ (u0 , v0 ), vale a dire σ (u, v) − σ (u0 , v0 ), n(u0 , v0 )i3 , ρ(u, v) = hσ ove n `e il versore normale riferito ad una fissata orientazione (locale) di Σ: dunque la quantit`a ρ(u, v) `e positiva o negativa a seconda che σ (u, v) appartenga al semispazio individuato da n(u0 , v0 ) o a quello individuato da −n(u0 , v0 ). Utilizzando la formula di Taylor arrestata al secondo ordine, e ricordando che i vettori σ u (u0 , v0 ) e σ v (u0 , v0 ) sono ortogonali a n(u0 , v0 ), abbiamo ρ(u, v) =

1

σ uv (u0 , v0 )(u − u0 )(v − v0 )+ σ uu (u0 , v0 )(u − u0 )2 + 2σ 2 σ vv (u0 , v0 )(v − v0 )2 , n(u0 , v0 ) 3 + o (u − u0 )2 + (v − v0 )2 . +σ 473


A meno di infinitesimi di ordine superiore al secondo, la quantit`a ρ(u, v) per (u, v) vicino a (u0 , v0 ) `e determinata dal comportamento della forma quadratica II(h, k) = L(u0 , v0 )h2 + 2M (u0 , v0 )hk + N (u0 , v0 )k 2 , ove σ uu , ni3 , L = hσ

σ uv , ni3 , M = hσ

σ vv , ni3 . N = hσ

Essa si chiama seconda forma fondamentale associata alla superficie Σ. La natura di questa forma quadratica ci dice come `e fatta qualitativamente la superficie in un intorno di σ (u0 , v0 ), come tra poco vedremo. Osservazione 4.9.1 Il significato geometrico della seconda forma fondamentale ci convince che essa deve essere invariante per cambiamenti di parametri che conservino l’orientazione di n, cio`e aventi determinante Jacobiano positivo, nello stesso senso in cui era invariante la prima forma fondamentale, in quel caso anche a prescindere dal segno del determinante. Precisamente, sia (u, v) = p(q, r) un diffeomorfismo con Jp (q, r) > 0, e poniamo η (q, r) = σ (p(q, r)): allora, se ϕ (t) = σ (u(t), v(t)) `e una curva giacente su Σ e (q(t), r(t)) = p−1 (u(t), v(t)), cosicch´e la curva ψ (t) = η (p(t), q(t)) `e equivalente a ϕ , allora risulta IIσ (u0 (t), v 0 (t)) = IIη (q 0 (t), r0 (t)), ove con IIσ e IIη abbiamo indicato la seconda forma fondamentale calcolata nello stesso punto P = σ (u(t), v(t)) = η (q(t), r(t)) ma riferita rispettivamente alle parametrizzazioni σ e η . La noiosa verifica di questa uguaglianza `e rinviata all’esercizio 4.9.3. Il paraboloide dello spazio (h, k, ρ) di equazione 1 1 L(u0 , v0 )h2 + 2M (u0 , v0 )hk + N (u0 , v0 )k 2 ρ = II(h, k) = 2 2 si chiama paraboloide osculatore di Σ nel punto σ (u0 , v0 ). La geometria di esso, per (h, k) piccolo, corrisponde qualitativamente a quella di Σ nell’intorno di σ (u0 , v0 ). Distinguiamo quattro casi. Caso I : LN − M 2 > 0. Il paraboloide `e ellittico. Esso sta sopra al piano ρ = 0 se L, N > 0, sta sotto se L, N < 0; le curve di livello sono ellissi e dunque la superficie sta, localmente, tutta da un lato rispetto al piano tangente: 474


precisamente, sta dal lato di n se L, N > 0, dal lato di −n se L, N < 0. Il punto σ (u0 , v0 ) si dice ellittico.

Caso II: LN − M 2 < 0. Il paraboloide `e iperbolico. Esso attraversa il piano ρ = 0 in due rette per l’origine che lo dividono in quattro regioni, nelle quali ρ ha segno alternativamente positivo e negativo; le curve di livello sono iperboli. La superficie sta, localmente, da entrambe le parti del suo piano tangente. Il punto σ (u0 , v0 ) si dice iperbolico.

Caso III: LN − M 2 = 0, L, N 6= 0. Il paraboloide diventa un cilindro parabolico, sta da un lato rispetto al piano ρ = 0 e lo tocca lungo una retta; le curve di livello sono rette parallele a tale retta. Il comportamento della superficie Σ intorno a σ (u0 , v0 ) dipende dai termini di ordine superiore al secondo. Il punto σ (u0 , v0 ) si dice parabolico.

475


Caso IV: L = M = N = 0. In questo caso il paraboloide degenera nel piano ρ = 0; la seconda forma fondamentale `e identicamente nulla in σ (u0 , v0 ), e il omportamento di Σ intorno a σ (u0 , v0 ) dipende interamente dai termini di ordine superiore al secondo: la superficie comunque “si appiattisce” sul suo piano tangente. Il punto σ (u0 , v0 ) si dice planare. Esempi 4.9.2 (1) Per il toro, che ha equazioni parametriche   x = (a + b cos ϕ) cos ϑ y = (a + b cos ϕ) sin ϑ σ: ϕ, ϑ ∈ [0, 2π]  z = b sin ϕ, (con a, b > 0), si ha   −b sin ϕ cos ϑ σ ϕ =  −b sin ϕ sin ϑ  , b cos ϕ

 −(a + b cos ϕ) sin ϑ σ ϑ =  (a + b cos ϕ) cos ϑ  , 0

da cui, scegliendo ad esempio la normale diretta verso l’interno,   − cos ϕ cos ϑ n =  − cos ϕ sin ϑ  . − sin ϕ Si ha poi 

σ ϕϕ

   −b cos ϕ cos ϑ b sin ϕ sin ϑ =  −b cos ϕ sin ϑ  , σ ϕϑ =  −b sin ϕ cos ϑ  , −b sin ϕ 0   −(a + b cos ϕ) cos ϑ σ ϑϑ =  −(a + b cos ϕ) sin ϑ  , 0

e quindi L = −b,

M = 0,

N = (a + b cos ϕ) cos ϕ. 476


Perci`o LN − M 2 = −b cos ϕ (a + b cos ϕ), e il segno di tale quantit`a dipende dal segno di cos ϕ: se ϕ ∈ [0, π2 [∪] 3π , 2π] 2 il punto corrispondente `e ellittico e si trova sulla parte del toro rivolta verso [ il punto corrispondente `e iperbolico e sta sulla parte l’esterno; se ϕ ∈] π2 , 3π 2 del toro rivolta all’interno, e infine se ϕ ∈ { π2 , 3π } il punto `e parabolico e sta 2 sui paralleli di quote massima e minima. (2) Consideriamo una superficie cartesiana Σ = {(x, y, z) : (x, y) ∈ A, z = f (x, y)}, con f ∈ C 2 (A). Si ha allora       x 1 0  , σx =   , σy =  , y 0 1 σ= f (x, y) fx (x, y) fy (x, y) quindi il versore normale esterno `e n=

−p

−fx 1 + |Df |22

−fy

1

, −p ,p 1 + |Df |22 1 + |Df |22

! ,

σ xx = (0, 0, fxx ), σ xy = (0, 0, fxy ), σ yy = (0, 0, fyy ), fxy fyy fxx , M=p , N=p , L= p 2 2 1 + |Df |2 1 + |Df |2 1 + |Df |22 ed infine 2 fxx fyy − fxy 2 LN − M = p . 1 + |Df |22 Dunque un punto (x, y, f (x, y)) `e ellittico, parabolico o iperbolico a seconda che il determinante della matrice Hessiana di f sia positivo, nullo o negativo: quindi, se f `e strettamente convessa o strettamente concava in un intorno del punto, questo `e ellittico. Nel caso in cui fx = fy = 0 si ritrovano in particolare le condizioni affinch´e il punto sia di massimo relativo, di minimo relativo o di sella. Infine il punto `e planare se e solo se tutte e tre le derivate seconde di f sono nulle in (x, y).

Curvatura normale Sia Σ = σ (T ) una superficie regolare orientata di R3 . Consideriamo una curva ϕ (t) = σ (u(t), v(t)) giacente R t 0 su Σ e parametrizziamola rispetto all’aϕ (τ )|3 dτ : definiamo γ (s) = σ (α(s), β(s)) = scissa curvilinea s = `(t) = 0 |ϕ 477


ϕ (`−1 (s)) = ϕ (t). Indichiamo con T(s) e N(s) il versore tangente ed il versore normale principale alla curva γ (s), e con n(s) il versore normale a Σ, tutti relativi al punto γ (s). Detto poi ϑ(s), 0 ≤ ϑ(s) ≤ π, l’angolo fra N(s) e n(s), avremo hN(s), n(s)i3 = cos ϑ(s); quindi dalle formule di Fr´enet-Serret ricaviamo hγγ 00 (s), n(s)i3 = hT0 (s), n(s)i3 = k(s)hN(s), n(s)i3 = k(s) cos ϑ(s), ove k(s) `e la curvatura di γ nel punto γ (s). La quantit`a kn (s) = k(s) cos ϑ(s) si chiama curvatura normale di γ nel punto γ (s): il motivo di questa denominazione sar`a chiaro tra poco. Intanto esprimiamo la curvatura normale kn (s) in termini della prima e seconda forma fondamentale nel punto P = γ (s). Anzitutto, ripristinando il parametro t, si ha ϕ (t) = γ (`(t)),

ϕ 0 (t) = γ 0 (`(t))`0 (t),

ϕ 00 (t) = γ 00 (t)`0 (t)2 + γ 0 (`(t))`00 (t),

cio`e ϕ0 (t)|3 , ϕ 0 (t) = T(`(t))|ϕ

ϕ0 (t)|3 + T(`(t)) ϕ 00 (t) = T0 (`(t))|ϕ

d 0 ϕ (t)|3 ; |ϕ dt

ne segue ϕ00 , ni3 = hT0 , ni3 |ϕ ϕ0 |23 = kn |ϕ ϕ0 |23 , hϕ σ uv u0 v 0 + σ vv (v 0 )2 , ossia, tenendo conto che ϕ 00 = σ uu (u0 )2 + 2σ kn =

ϕ00 , ni3 hϕ II(α0 , β 0 ) = . ϕ0 |23 |ϕ I(α0 , β 0 )

Dunque kn (s) dipende solo da α0 (s) e β 0 (s), anzi dal loro rapporto, visto che kn `e una funzione omogenea di grado 0. In definitiva, kn dipende solo dalla direzione di T = σ u u0 + σ v v 0 nel punto P = γ (s). Questo fatto ha due conseguenze: (i) tutte le curve giacenti su Σ e passanti per P con la stessa tangente hanno la medesima curvatura normale in P; (ii) tutte le curve giacenti su Σ e passanti per P con la stessa tangente e lo stesso piano osculatore hanno la medesima curvatura in P, purch´e il piano osculatore non sia tangente a Σ in P: infatti per due di tali curve coincidono sia T che N, quindi coincidono sia kn che cos ϑ: quindi kn coincide anche la curvatura k = cos , purch´e sia ϑ 6= π2 . ϑ 478


Pertanto possiamo parlare di curvatura normale in un punto P ∈ Σ secondo una data direzione t tangente a Σ in P: essa, denotata con kn (t), sar`a la curvatura normale in P di una qualunque curva giacente su Σ e passante per P con versore tangente uguale a t. In particolare, fissata una direzione tangente t in P, si pu`o considerare la sezione normale a Σ in P secondo la direzione t, che `e la curva intersezione di Σ con il piano contenente t e N(P): per questa curva, che `e piana, si ha N = ±n in P, cio`e | cos ϑ| = 1. Dunque la curvatura normale kn (t) secondo la direzione t coincide, a meno del segno, con la curvatura della sezione normale in tale direzione: di qui la denominazione. Osservazioni 4.9.3 (1) La curvatura normale, essendo il rapporto fra la seconda e la prima forma fondamentale, `e invariante per cambiamenti di parametri regolari che non mutino l’orientazione di Σ, mentre cambia segno se tale orientazione viene mutata. (2) Dato che le linee coordinate v 7→ σ(h, v) e u 7→ σ(u, k) (h, k costanti) corrispondono alle direzioni di coefficienti (0, β 0 ) e (α0 , 0) rispettivamente, si suole scrivere L du2 + 2H dudv + N dv 2 II(du, dv) = . kn = I(du, dv) E du2 + 2F dudv + G dv 2 Con questa scrittura si enfatizza il fatto che la curvatura normale `e una quantit`a intrinsecamente legata a Σ; essa varia al variare della direzione t, tangente a Σ, che si sceglie, ed il corrispondente valore si ottiene sostituendo le coordinate di t al posto dei “differenziali” du, dv. Esempi 4.9.4 (1) Per la sfera B(0, r) di R3 i calcoli dell’esempio 4.8.2 ci dicono che n = (sin ϑ cos ϕ, sin ϑ sin ϕ, cos ϑ); inoltre       −r sin ϑ cos ϕ −r cos ϑ sin ϕ −r sin ϑ cos ϕ σ ϑϑ = −r sin ϑ sin ϕ , σ ϑϕ =  r cos ϑ cos ϕ  , σ ϕϕ =  −r sin ϑ sin ϕ , −r cos ϑ 0 0 479


E = r2 ,

F = 0,

G = r2 sin2 ϑ,

L = −r,

M = 0,

N = −r sin ϑ.

Ne segue, come `e giusto, −r dϑ2 − r sin2 ϑ dϕ2 II(dϑ, dϕ) 1 = 2 2 kn = =− : 2 2 2 I(dϑ, dϕ) r r dϑ + r sin ϑ dϕ infatti le sezioni normali sono cerchi massimi di curvatura 1/r. Si noti che per un parallelo di latitudine ±ϑ si ha hN, ni3 = cos ϑ e quindi la curvatura su 1 tale parallelo `e k = r |kcosn |ϑ = r cos , in acϑ cordo col fatto che il raggio del parallelo `e r cos ϑ. (2) Per il toro, dai calcoli dell’esempio 4.9.2 (1) segue che kn =

b dϕ2 + (a + b cos ϕ) cos ϕ dϑ2 . b2 dϕ2 + (a + b cos ϕ)2 dϑ2

Lungo i meridiani, cio`e le linee coordinate in cui ϑ `e costante, si ha dϑ = 0 e quindi kn = 1/b (e infatti tali linee sono sezioni normali e sono circonferenze di raggio b); lungo i paralleli, cio`e le linee coordinate in cui ϕ `e costante, si cos ϕ ha dϕ = 0 e quindi kn = a+b (e infatti si tratta di circonferenze di raggio cos ϕ a + b cos ϕ, e l’angolo fra N e n `e proprio ϕ). (3) Per superfici cartesiane z = f (x, y), i calcoli dell’esempio 4.9.2 (3) ci dicono che fxx dx2 + 2fxy dxdy + fyy dy 2 kn = p . 1 + |Df |22 (1 + fx2 ) dx2 + 2fx fy dxdy + (1 + fy2 ) dy 2

Curvature principali Sia Σ = σ (T ) una superficie regolare orientata di classe C 2 . La curvatura normale in un punto P ∈ Σ secondo le varie direzioni tangenti costituisce una funzione continua sull’insieme TP di tutti i versori tangenti a Σ in P, il quale `e un insieme compatto. Quindi esistono k1 = kn (t1 ) = max kn (t),

k2 = kn (t2 ) = min kn (t).

t∈TP

t∈TP

480


I numeri k1 e k2 si chiamano curvature principali di Σ in P; le corrispondenti direzioni t1 e t2 si chiamano direzioni principali di Σ in P. Per le curvature principali vale il seguente fondamentale risultato: Teorema 4.9.5 Sia Σ = σ (T ) una superficie regolare orientata di classe C 2 . Se P ∈ Σ `e un punto non planare, ossia in P si ha L2 + M 2 + N 2 > 0, valgono i seguenti fatti: (i) se k `e una curvatura principale, allora k `e radice dell’equazione (EG − F 2 )k 2 − (EN + 2F M + GL)k + (LN − M 2 ) = 0; (ii) l’equazione sopra scritta ha due soluzioni reali, eventualmente coincidenti; (iii) se l’equazione ha una radice doppia k, allora essa `e diversa da 0 e tutte le direzioni sono principali (in tal caso il punto P si dice ombelicale); (iv) se l’equazione ha due radici k1 e k2 , allora esse sono le curvature principali e le corrispondenti direzioni principali sono fra loro ortogonali. Dimostrazione (i) Osserviamo anzitutto che la curvatura normale kn dipende dalla direzione tangente prescelta, che varia nell’insieme compatto σ u (P) + sσ σ v (P) : (r, s) ∈ R2 , |rσ σ u (P) + sσ σ v (P)|3 = 1}. TP = {rσ Se vediamo kn come funzione dei parametri r, s, il fatto che k sia una curσ u (P) + bσ σ v (P), ci dice che vatura principale, con direzione principale t = aσ (a, b) ∈ R2 \ {(0, 0)} `e punto stazionario vincolato per kn con vincolo TP . Tuttavia, kn `e funzione omogenea di grado 0 rispetto a (r, s), cosicch´e il punto (a, b) `e anche stazionario libero per kn (r, s) =

Lr2 + 2M rs + N s2 II(r, s) , = I(r, s) Er2 + 2F rs + gs2

(r, s) ∈ R2 \ {0}.

n n Pertanto le derivate parziali ∂k , ∂k sono nulle in (a, b). Si ha dunque il ∂r ∂s sistema ( 2a [L I(a, b) − E II(a, b)] + 2b [M I(a, b) − F II(a, b)] = 0

2a [M I(a, b) − F II(a, b)] + 2b [N I(a, b) − G II(a, b)] = 0. 481


Dividendo per 2I(a, b) si ottiene il sistema equivalente ( a(L − kE) + b(M − kF ) = 0 a(M − kF ) + b(N − kG) = 0, il quale `e un sistema omogeneo in (a, b): esso ha dunque soluzione non nulla se e solo se L − kE M − kF det = 0. M − kF N − kG Questa condizione `e precisamente l’equazione che compare nell’enunciato di (i). (ii) Il discriminante dell’equazione che compare nell’enunciato di (i) `e (EN − 2F M + GL)2 − 4(EG − F 2 )(LN − M 2 ) = 2 2F (EG − F 2 )(EM − F L)2 + EN − GL − (EM − F L) ≥ 0, =4 E2 E il che prova (ii). Si noti che il discriminante `e nullo se e solo se   EM − F L = 0 M N L = = . ⇐⇒ 2F  EN − GL − E F G (EM − F L) = 0 E (iii) Sia k una soluzione doppia. Per quanto appena visto, si ha L M N = = = λ, E F G con λ 6= 0 dato che il punto non `e planare. L’equazione che compare in (i) si riduce allora a (EG − F 2 )(k 2 − 2λk + λ2 ) = 0, da cui k = λ 6= 0. Da (i) segue che le due curvature principali coincidono con k e quindi kn = k per ogni direzione ν ∈ TP , ossia tutte le direzioni sono principali. (iv) Se l’equazione di (i) ha due soluzioni k1 < k2 , per (i) esse sono curvature principali. Proviamo che le direzioni principali t 1 = a1 σ u + b 1 σ v ,

t2 = a2σ u + b2σ v 482


sono ortogonali. Dalla dimostrazione di (i) segue che (a1 , b1 ) e (a2 , b2 ) risolvono rispettivamente ( ( a1 (L − k1 E) + b1 (M − k1 F ) = 0 a2 (L − k2 E) + b2 (M − k2 F ) = 0 a1 (M − k1 F ) + b1 (N − k1 G) = 0, ossia, in forma matriciale, L M − k1 M N L M − k2 M N

a2 (M − k2 F ) + b2 (N − k2 G) = 0,

E F F G

E F F G

a1 b1

a2 b2

= =

0 0

0 0

,

.

Moltiplichiamo scalarmente la prima equazione per (a2 , b2 ) e la seconda per (a1 , b1 ), e sottraiamo la seconda equazione dalla prima: tenuto conto che le matrici sono simmetriche, e che per una matrice simmetrica Q ∈ MN vale hQu, viN = hQv, uiN per ogni u, v ∈ RN , il risultato `e a2 E F a1 = 0. , (k2 − k1 ) b2 b1 F G 3 Dato che k2 > k1 , ne segue E F a1 a2 0= , = ha1σ u +b1σ v , a2σ u +b2σ v i3 = ht1 , t2 i3 , F G b1 b2 3 cio`e t1 e t2 sono ortogonali. Esempi 4.9.6 (1) Come abbiamo visto, sulla sfera B(0, r) la curvatura `e costante (esempio 4.9.4 (1)), e quindi tutti i punti sono ombelicali. (2) Per il toro, dai calcoli dell’esempio 4.9.2 (1) segue che l’equazione delle curvature principali `e b2 (a + b cos ϕ)2 k 2 − −k b2 (a + b cos ϕ) cos ϕ − b(a + b cos ϕ)2 − b(a + b cos ϕ) cos ϕ = 0, ovvero b(a + b cos ϕ)k 2 + ak − cos ϕ = 0.

483


Le soluzioni sono  cos ϕ p   2 −a ± a + 4b cos ϕ(a + b cos ϕ) a + b cos ϕ = k=  2b(a + b cos ϕ)  −1 , b che riconosciamo essere le curvature normali lungo i meridiani e i paralleli: meridiani e paralleli sono dunque le direzioni principali, come `e giusto ortogonali fra loro. (3) Per il paraboloide z = x2 + y 2 la curvatura normale ci viene fornita dall’esempio 4.9.4 (3), con f (x, y) = x2 + y 2 : si ha 2(dx2 + dy 2 ) kn = p = 1 + 4(x2 + y 2 ) [(1 + 4x2 )dx2 + 8xydxdy + (1 + 4y 2 )dy 2 ] 2(dx2 + dy 2 ) p = . 1 + 4(x2 + y 2 ) [dx2 + dy 2 + 4(xdx + ydy)2 ] Il massimo della curvatura normale, in un punto di quota z = x2 + y 2 , si ha quando xdx + ydy = 0, ossia quando (a, b) = (dx, dy) `e ortogonale a (x, y): dunque quando (a, b) = (−y, x). Il massimo vale 2 2 k2 = p =√ ; 1 + 4z 1 + 4(x2 + y 2 ) la direzione principale relativa a k2 `e       1 0 −y σ x + xσ σ y = −y  0  + x  1  =  x  . t2 = −yσ 2x 2y 0 Il minimo della curvatura normale si ha quando (a, b) = (dx, dy) `e parallelo a (x, y), ossia quando (a, b) = (x, y): dunque il minimo vale 2 2(x2 + y 2 ) = , k1 = p (1 + 4z)3 /2 1 + 4(x2 + y 2 ) [x2 + y 2 + 4(x2 + y 2 )] e la direzione principale corrispondente `e     x x  =  y . σ x + yσ σy =  y t1 = xσ 2 2 2(x + y ) 2z 484


Si noti che t2 `e orizzontale, e che la sezione normale a Σ nella direzione t2 in un punto P = (x0 , y0 , z0 ) con z0 = x20 + y02 non `e la circonferenza orizzontale di quota z0 : `e invece l’intersezione di Σ con il piano per P generato dai vettori t2 = (−y0 , x 0 , 0) e −2 1 0 n(P) = √−2x , √1+4z , √1+4z , va1+4z0 0 0 le a dire il piano per P ortogonale a t1 = (x0 , y0 , 2z0 ). Poich´e l’angolo ϑ fra le normali alla circonferenza orizzontale ed alla sezione normale in P coincide con√ l’angolo fra ν 1 e l’asse z, per tale angolo si 2 z ha | cos ϑ| = h |ννν11|3 , e3 i3 = √1+4z0 0 ; si conclude allora che la curvatura della circonferenza orizzontale di quota z0 , in valore assoluto, `e, come `e giusto,

kn (t2 ) k2

=

= √1 = p 1 . |k| =

cos ϑ cos ϑ

z0 x20 + y02

Curvatura media e curvatura gaussiana Torniamo all’equazione algebrica che determina le curvature principali k1 e k2 , equazione che riscriviamo nella forma k2 −

EN − 2F M + GL LN − M 2 k + = 0. EG − F 2 EG − F 2

I suoi coefficienti sono denominati rispettivamente 1 1 EN − 2F M + GL = (k1 + k2 ), 2 2 EG − F 2 2 LN − M curvatura gaussiana: K = = k1 k2 , EG − F 2

curvatura media:

H=

sempre in riferimento ad un punto P della superficie Σ (regolare, orientata e di classe C 2 ). Il significato della curvatura media H `e legato a come varia l’area della superficie Σ quando `e soggetta a deformazioni: questo `e un problema classico del calcolo delle variazioni che va studiato con metodi fuori della portata di questo corso. Ad esempio si dimostra che fra tutte le superfici che si attaccano 485


ad un bordo assegnato, quella di area minima ha necessariamente curvatura media nulla in tutti i punti. La curvatura gaussiana K ha un significato geometrico che cercheremo adesso di analizzare. Intanto, si noti che il segno di K `e quello di LN − M 2 , e quindi K `e positiva, negativa o nulla a seconda che il punto P sia ellittico, iperbolico o parabolico (oppure planare). Un secondo aspetto della curvatura gaussiana `e il seguente: introduciamo la mappa di Gauss da Σ in S 2 (la sfera unitaria di R3 ), definita da P 7→ n(P). La superficie ΣG = {n(P) : P ∈ Σ} = {n(u, v) : (u, v) ∈ T } `e detta superficie di Gauss associata a Σ. Proposizione 4.9.7 Sia Σ = σ(T ) una superficie regolare orientata di classe C 2 . Allora in ogni P = σ (u, v) si ha nu × nv = K σ u × σ v , ove nu e nv sono le derivate prime di n e K `e la curvatura gaussiana in P. Dimostrazione Dato che n `e un versore, i vettori nu e nv sono ad esso ortogonali, e dunque tangenti a Σ: quindi possiamo scrivere nu = a σ u + b σ v ,

nv = c σ u + d σ v

per certi a, b, c, d ∈ R. Dunque nu × nv = (ad − bc) σ u × σ v . D’altra parte σ uu , ni3 = − −L = −hσ

∂ σ u , ni3 + hσ σ u , nu i3 = hσ σ u , nu i3 = aE + bF , hσ ∂u

e similmente ( −M = ovvero

σ v , nu i3 = aF + bG hσ

σ v , nv i3 = cF + dG, − N = hσ

σ u , nv i3 = cE + dF, hσ

a b c d

E F F G

=

−L −M −M −N

Ne segue, passando ai determinanti, (ad − bc)(EG − F 2 ) = LN − M 2 , 486

.


ossia

LN − M 2 ad − bc = = K. EG − F 2 Osservazione 4.9.8 I quattro coefficienti a, b, c, d sono calcolabili: si ha infatti −1 1 a b L M E F L M G −F =− =− , c d M N F G −F E EG − F 2 M N da cui M F − LG a= , EG − F 2

b=

LF − M E , EG − F 2

c=

NF − MG , EG − F 2

d=

MF − NE . EG − F 2

Dalla proposizione precedente segue che la superficie (u, v) 7→ n(u, v) ha area pari a Z Z a(ΣG ) =

σ u × σ v |3 dudv; |K||σ

dsG = ΣG

T

in particolare, se U `e un intorno superficiale di P in Σ, e V `e l’intorno di n(P) immagine di U , il rapporto fra l’area di V e quella di U , al tendere a 0 del diametro di U , tende a |K(P)|. Dunque |K| misura il tasso di “dispersione” della normale a Σ in un intorno di P. Ad esempio, se Σ `e un piano allora n(P) `e costante, cosicch´e ΣG `e un punto, dsG = 0 e infatti K = 0; se Σ `e la sfera di raggio r, allora |K| = k1 k2 = r12 e infatti la mappa di Gauss si riduce all’omotetia P 7→ 1r P, da cui dsG = r12 ds. Se Σ `e il cilindro x2 + y 2 = r2 , allora ΣG `e l’equatore di S 2 : quindi dsG = 0 ed infatti si ha K = k1 k2 = 0 · 1r = 0. Osserviamo, pi` u in particolare, che in un cilindro `e conservata la metrica del piano. Infatti, utilizzando le coordinate cilindriche, il cilindro `e parametrizzato da x = r cos ϑ,

y = r sin ϑ,

z = z,

ϑ ∈ [−π, π], z ∈ R,

quindi E = r2 , F = 0, G = 1 e I(dϑ, dr) = r2 dϑ2 + dz 2 . Si noti che rdϑ `e l’elemento di lunghezza lungo le circonferenze in cui z `e costante, ed `e lo stesso che si avrebbe sull’immagine di tali circonferenze ottenute tagliando il cilindro lungo una generatrice e “srotolandolo” sul piano. Si ha pertanto una “isometria locale” fra il cilindro e il piano: (u, v) = (rϑ, z), 487

ϑ, z ∈ R,


nel senso che curve di lunghezza ` sul cilindro sono trasformate in curve di pari lunghezza sul piano.

L’isometria `e locale e non globale, perch´e il cilindro ed il piano non sono omeomorfi globalmente (il piano `e semplicemente connesso, il cilindro no). Questa propriet`a del cilindro non `e casuale, ma discende da un teorema generale che andiamo ad enunciare. Diciamo anzitutto che un’applicazione ψ : Σ1 → Σ2 fra due superfici regolari `e un diffeomorfismo locale se per ogni P ∈ Σ1 esistono due aperti U1 , U2 di R2 e due parametrizzazioni σ 1 : U1 → Σ1 , σ 2 : U2 → Σ2 tali che P ∈ σ 1 (U1 ), ψ (P) ∈ σ 2 (U2 ), e l’applicazione ψ ◦σ σ 1 : U1 → U2 `e un diffeomorfismo. Questa definizione non composta σ −1 2 ◦ψ dipende dalle parametrizzazioni scelte. Teorema 4.9.9 (Theorema Egregium di Gauss) Siano Σ1 e Σ2 due superfici regolari orientate di classe C 3 e sia P ∈ Σ1 . Se in un intorno superficiale U1 di P `e definito un diffeomorfismo locale ψ : U1 → Σ2 che `e anche un’isometria locale, cio`e rispetto al quale la prima forma fondamentale `e invariante, allora la curvatura gaussiana di Σ1 nel generico punto Q ∈ U1 coincide con quella di Σ2 in ψ (Q). Questo teorema ci dice che la curvatura gaussiana K, bench´e definita in termini di L, M e N oltre che di E, F e G, in effetti dipende soltanto da E, F , G nonch´e dalle loro derivate, perch´e non cambia quando la prima forma fondamentale non cambia. σ u , σ v , n) `e Dimostrazione Fissiamo un punto P = σ (u, v) ∈ Σ. La terna (σ 3 k una base di R . Quindi per certi coefficienti reali Γij e Li (con i, j, k ∈ {1, 2})

488


possiamo scrivere:  σ = Γ111σ u + Γ211σ v + L1 n   uu σ uv = σ vu = Γ112σ u + Γ212σ v + L2 n   σ vv = Γ122σ u + Γ222σ v + L3 n, Moltiplicando scalarmente le tre equazioni per n si trova L1 = L,

L2 = M,

L3 = N,

mentre moltiplicando scalarmente per σ u e σ v si ottiene facilmente  1 σ uu , σ u i3 = 12 Eu Γ11 E + Γ211 F = hσ       σ uu , σ v i3 = Fu − 21 Ev Γ111 F + Γ211 G = hσ      Γ1 E + Γ2 F = hσ σ uv , σ u i3 = 1 Ev 12

12

Γ112 F

Γ212 G

2 1 G 2 u

 σ uv , σ v i3 = = hσ +       σ vv , σ u i3 = Fv − 12 Gu Γ122 E + Γ222 F = hσ     1 σ vv , σ v i3 = 21 Gv , Γ22 F + Γ222 G = hσ e da queste relazioni sarebbe facile, ancorch´e noioso, ricavare le quantit`a Γkij . Osserviamo invece che, ovviamente, ∂ ∂ σ uu − σ uv = 0, ∂v ∂u da cui, sostituendo le espressioni di σ uu e σ uv , si ricava una formula del tipo A1σ u + A2σ v + A3 n = 0, in cui, per la lineare indipendenza dei vettori σ u , σ v e n, deve essere A1 = A2 = A3 = 0. Limitiamoci a scrivere esplicitamente l’equazione A1 = 0: si ha σ uu )v − (σ σ uv )u = 0 = (σ 1 = Γ11σ uv + (Γ111 )vσ u + Γ211σ vv + (Γ211 )vσ v + Lnv + Lv n − −Γ112σ uu − (Γ112 )uσ u − Γ212σ vu − (Γ212 )uσ v − M nu − Mu n ,

489


ovvero, sostituendo ancora le espressioni delle derivate seconde di σ , nonch´e quelle delle derivate prime di n, Γ111 Γ112σ u + Γ212σ v + M n + Γ211 Γ122σ u + Γ222σ v + N n + σ u + dσ σ v ] + (Γ111 )vσ u + (Γ211 )vσ v + Lv n = +L[cσ = Γ112 Γ111σ u + Γ211σ v + Ln + Γ212 Γ112σ u + Γ212σ v + M n + σ u + bσ σ v ] + (Γ112 )uσ u + (Γ212 )uσ v + Mu n . +M [aσ Uguagliando i coefficienti di σ v otteniamo Γ111 Γ212 + Γ211 Γ222 + Ld + (Γ211 )v = Γ112 Γ211 + (Γ212 )2 + M b + (Γ212 )u , ovvero (Γ211 )v − (Γ212 )u + Γ111 Γ212 + Γ211 Γ222 − Γ112 Γ211 − (Γ212 )2 = M b − Ld; ricordando l’osservazione 4.9.8 si nota che M b − Ld =

M (LF − M E) − L(M F − N E) LN − M 2 = E = −EK, EG − F 2 EG − F 2

il che ci porta a concludere che K=−

1 2 (Γ11 )v − (Γ212 )u + Γ111 Γ212 + Γ211 Γ222 − Γ112 Γ211 − (Γ212 )2 . E

Questa relazione prova che la curvatura gaussiana K `e funzione di E e dei coefficienti Γkij . Adesso osserviamo che, per ipotesi, il diffeomorfismo locale ψ `e un’isometria da U1 in ψ (U1 ): quindi, i coefficienti della prima forma fondamentale relativa a σ , calcolati in un generico punto Q ∈ U1 , coincidono con quelli della prima forma fondamentale relativa a ψ ◦ σ , calcolati nel punto ψ (Q). Pertanto non solo coincidono i coefficienti E, F, G relativi alle due parametrizzazioni, ma anche le loro derivate relative ai rispettivi parametri; in particolare quindi ψ (Q)) per ogni coincidono anche i coefficienti Γkij e pertanto K(Q) = K(ψ Q ∈ U1 .

490


Esempio 4.9.10 Consideriamo la catenoide   x = cos ϑ cosh z y = sin ϑ cosh z ϑ ∈ [−π, π], z ∈ R. σ=  z = z, Si ha 

 − sin ϑ cosh z cos ϑ sinh z σ =  cos ϑ cosh z sin ϑ sinh z  Dσ 0 1 e quindi I(dϑ, dz) = cosh2 z dϑ2 + (sinh2 z + 1) dz 2 = cosh2 z(dϑ2 + dz 2 ). Consideriamo anche l’elicoide   ξ = u cos ω ζ = u sin ω η=  ω = ω,

u ∈ R, ω ∈ [−π, π],

per la quale si ha 

 cos ω −u sin ω Dηη =  sin ω u cos ω  0 1

e quindi I(du, dω) = du2 + (u2 + 1)dω 2 . Il cambiamento di parametri (u, ω) = p(ϑ, z) = (sinh z, ϑ) induce un’isometria locale fra la catenoide e l’elicoide: quest’ultima viene riparametrizzata da   ξ = sinh z cos ϑ ζ = sinh z sin ϑ η ◦p= ϑ ∈ [−π, π], z ∈ R,  ω = ϑ, 491


e si ha

 − sinh z sin ϑ cosh z cos ϑ D(ηη ◦ p) =  sinh z cos ϑ cosh z sin ϑ  , 1 0

I(dϑ, dz) = (sinh2 z + 1)dϑ2 + cosh2 z dz 2 = cosh2 z (dϑ2 + dz 2 ). Dunque la prima forma fondamentale sulla catenoide σ e sull’elicoide η ◦ p `e la stessa. L’isometria locale `e η ◦ p ◦ σ −1 (si noti che σ |]−π,π[×R `e iniettiva): essa trasforma le linee coordinate in cui ϑ `e costante, che sono generatrici della catenoide, in rette orizzontali sull’elicoide, mentre le linee coordinate in cui z `e costante, che sono circonferenze orizzontali sulla catenoide, diventano eliche cilindriche sull’elicoide. Per il Theorema Egregium, le curvature gaussiane in punti corrispondenti sono uguali. Ed infatti, per la catenoide σ (ϑ, z) = (cos ϑ cosh z, sin ϑ cosh z, z) si ha       − cos ϑ cosh z − sin ϑ sinh z cos ϑ cosh z σ ϑϑ = − sin ϑ cosh z  , σ ϑz = − cos ϑ sinh z , σ zz = sin ϑ cosh z  , 0 0 0 sinh z cos ϑ sin ϑ , ,− , n= cosh z cosh z cosh z da cui L = −1, M = 0, N = 1 e pertanto 1 K=− . cosh4 z Invece per l’elicoide η ◦ p(ϑ, z) = (sinh z cos ϑ, sinh z sin ϑ, ϑ) si ha     sinh z cos ϑ − cosh z sin ϑ (ηη ◦ p)zz = sinh z sin ϑ , (ηη ◦ p)ϑz =  cosh z cos ϑ  , 0 0   − sinh z cos ϑ cos ϑ sinh z sin ϑ , ,− , (ηη ◦ p)ϑϑ = − sinh z sin ϑ , n = − cosh z cosh z cosh z 0 da cui L = 0, M = 1, N = 0 e pertanto 1 . K=− cosh4 z Osservazione 4.9.11 Il viceversa del Theorema Egregium `e falso: esistono superfici localmente diffeomorfe che hanno curvature gaussiane uguali in punti corrispondenti, ma che non sono isometriche (esercizio 4.8.10). 492


Esercizi 4.9 2

2

1. Determinare la seconda forma fondamentale per l’ellissoide xa2 + yb2 + 2 2 2 z2 = 1, per il cono xa2 + yb2 − zc2 = 1 e per il paraboloide iperbolico c2 2 2 z = xa2 − yb2 (a, b, c > 0). 2. Provare che i punti della superficie di rotazione x = f (z) cos ϑ,

y = f (z) sin ϑ,

z = z,

ove f `e una funzione positiva e di classe C 2 , sono tutti parabolici se e solo se f (z) = az + b, con a, b ∈ R. 3. Sia Σ = σ (T ) una superficie regolare e sia (u, v) = p(q, r) un diffeomorfismo con Jp > 0. Posto η (q, r) = σ (p(q, r)), ed indicati con Lη , Mη , Nη e Lσ , Mσ , Nσ i coefficienti della seconda forma fondamentale riferiti alle parametrizzazioni η e σ , si provi che Lη = Lσ (p1 )2q + 2Mσ (p1 )q (p2 )q + Nσ (p2 )2q , Mη = Lσ (p1 )q (p1 )r + Mσ (p1 )q (p2 )r + (p1 )r (p2 )q + Nσ (p2 )q (p2 )r , Nη = Lσ (p2 )2r + 2Mσ (p1 )r (p2 )r + Nσ (p2 )2r , e dedurre le affermazioni dell’osservazione 4.9.1. 4. Determinare i punti p ellittici, iperbolici e parabolici per la superficie di rotazione z = f ( x2 + y 2 ), ove f `e una funzione di classe C 2 . 5. Determinare la curvatura normale per le seguenti superfici: x2 y 2 z 2 + 2 + 2 = 1 (ellissoide), a2 b c 2 2 x y (ii) 2 + 2 = 1 (cilindro), a b 2 x y2 z2 (iii) 2 + 2 = 2 (cono), a b c (iv) σ(ϑ, z) = (f (z) cos ϑ, f (z) sin ϑ, z)(superficie di rotazione), p (v) z = f ( x2 + y 2 ) (superficie cartesiana di rotazione), (i)

(vi) σ(t, ϑ) = (cos ϑ, sin ϑ, t + sin ϑ), t ∈ R, ϑ ∈ [0, 2π]. 493


6. Trovare le direzioni principali, la curvatura media e la curvatura gaussiana per le seguenti superfici: x2 y 2 z 2 + 2 + 2 = 1 (ellissoide), a2 b c 2 2 y z2 x (ii) 2 − 2 − 2 = 1 (iperboloide), a b c 2 2 x y z2 (iii) 2 + 2 = 2 (cono), a b c (iv) x sin z − y cos z = 0. (i)

7. Calcolare curvatura media e curvatura gaussiana per una superficie di rotazione della forma x = f (t) cos ϑ,

y = f (t) sin ϑ,

z = g(t),

t ∈ [a, b], ϑ ∈ [0, 2π],

ove f e g sono funzioni di classe C 2 . 8. ((Linee di curvatura) Una curva ϕ (t) = σ (u(t), v(t)) giacente su una superficie Σ = σ (T ) si dice linea di curvatura se in ogni suo punto la direzione della tangente `e una direzione principale. (i) Provare che se Σ `e regolare e di classe C 2 esistono due famiglie di linee di curvatura nell’intorno di ogni punto non ombelicale. (ii) Provare che le linee coordinate corrispondenti a u costante e v costante sono linee di curvatura se e solo se F = M = 0, e che in . tal caso le curvature principali sono EL e N G 9. (Formula di Eulero) Se v `e tangente a una superficie Σ (regolare e di classe C 2 ) in P, e v1 e v2 sono le direzioni principali in P, con |v1 |3 = |v2 |3 = |v|3 | = 1, provare che, detto ϑ l’angolo fra v e v1 , si ha kn (v) = k1 cos2 ϑ + k2 sin2 ϑ. 10. Sia Σ1 il “cono logaritmico” σ (u, ϑ) = (u cos ϑ, u sin ϑ, ln u),

u > 0, ϑ ∈ [0, 2π],

e sia Σ2 l’elicoide η (u, ϑ) = (u cos ϑ, u sin ϑ, ϑ), 494

u > 0, ϑ ∈ [0, 2π].


(i) Provare che le curvature gaussiane nei generici punti di Σ1 e Σ2 sono uguali: 1 . K1 = K2 = − (1 + u2 )2 (ii) Provare che η ◦ σ −1 : Σ1 → Σ2 `e un diffeomorfismo; calcolare la lunghezza delle curve ϕ e η ◦ σ −1 ◦ ϕ, ove ϕ (ϑ) = (u0 cos ϑ, u0 sin ϑ, ln u0 ),

ϑ ∈ [0, 2π],

e dedurre che η ◦ σ −1 non `e un’isometria. (Si pu`o provare che non esiste alcuna isometria fra le due superfici, cosicch´e il viceversa del Theorema Egregium `e falso.)

4.10

Variet` a r-dimensionali

Generalizzando le nozioni di curva e di superficie regolare, fissato un intero positivo r < N vogliamo definire una variet`a r-dimensionale regolare come un insieme V ⊂ RN dotato della seguente propriet`a: ogni punto x0 ∈ V ha un intorno U in RN tale che V ∩ U `e “una copia deformata” di una palla di Rr . Osserviamo subito che questa richiesta esclude alcune delle curve e superfici che abbiamo classificato a pieno titolo come “regolari”, come mostra il prossimo esempio. Esempio 4.10.1 Consideriamo la curva ϕ introdotta nell’esercizio 4.2.8 e definita da

495


ϕ (t) = (cos t, cos t sin t),

0<t<

3π . 2

` facile verificare che essa `e una curva E regolare, e tuttavia l’origine, che corrisponde al valore t = π/2 del parametro, `e un punto del sostegno tale che nessun suo intorno verifica, per r = 1, il requisito sopra descritto. Si osservi che questa curva non costituisce un controesempio al teorema del rango (teorema 1.9.12). Infatti, se 0 < δ < π/2 l’intorno U = π2 − δ, π2 + δ di π/2 in R ha immagine ϕ (U ) che `e effettivamente un grafico, poich´e non contiene alcun punto del secondo quadrante. Malgrado l’esempio precedente, andiamo a definire: Definizione 4.10.2 Un sottoinsieme V di RN `e una variet`a r-dimensionale regolare se per ogni x0 ∈ V esistono un intorno aperto U di x0 in RN ed una funzione F : U → RN −r di classe C 1 , tali che: (i) DF(x) ha rango massimo N − r in ogni punto x ∈ U , (ii) V ∩ U = {x ∈ U : F(x) = 0}. Dunque le variet`a r-dimensionali sono quegli insiemi che, localmente, sono luoghi di zeri di funzioni di classe C 1 con matrice Jacobiana di rango massimo. Dal teorema del Dini (teorema 1.9.6) segue subito: Teorema 4.10.3 Sia V un sottoinsieme di RN . L’insieme V `e una variet`a r-dimensionale regolare se e solo se per ogni x0 ∈ V esistono un intorno aperto U di x0 in RN , un aperto A ⊆ Rr ed una funzione h : A → RN −r , di classe C 1 , tali che V ∩ U `e il grafico della funzione h, ossia V ∩ U = {x = (y, z) ∈ RN : y ∈ A, z = h(y)}. Da questo teorema e dal teorema del rango segue poi: Teorema 4.10.4 Sia V un sottoinsieme di RN . L’insieme V `e una variet`a r-dimensionale regolare in RN se e solo se per ogni x0 ∈ V esistono un intorno aperto U di x0 in RN , un aperto A ⊆ Rr ed un omeomorfismo G : A → RN di classe C 1 , tali che 496


(i) DG(u) ha rango massimo r in ogni punto u ∈ A, (ii) V ∩ U = G(A). Si dice che x = G(u) `e una parametrizzazione locale di V . Si osservi che l’ipotesi (ii) dice che G(A) `e aperto in V . Dimostrazione Utilizzando il teorema precedente, fissato x0 ∈ V scegliamo un suo intorno U in RN tale che V ∩ U = {x = (y, z) ∈ RN : y ∈ A, z = g(y)} con g : A ⊆ Rr → RN −r opportuna funzione di classe C 1 . Allora la funzione G pu`o essere scelta nel modo seguente: G(y) = (y, g(y)),

y ∈ A.

Viceversa, fissato x0 ∈ V , sia G : A → U ∩ V l’omeomorfismo fornito dall’ipotesi: allora l’equazione x = G(t) `e univocamente risolubile in A per ogni x ∈ V ∩ U . D’altra parte, la matrice DG(t) ha almeno un minore di ordine r non nullo, ad esempio quello relativo alle prime r variabili: quindi, posto f = (G1 , . . . , Gr ) e g = (Gr+1 , . . . , GN ), l’equazione x = G(t) si spezza nel sistema (y, z) = (f (t), g(t)), ove per ipotesi t `e univocamente determinato. Di queste due relazioni, la prima `e a sua volta invertibile per il teorema di inversione locale; avremo dunque t = f −1 (y) e z = g(f −1 (y)). Perci`o l’equazione x = G(t) `e equivalente a z = h(y), ove h(y) = g(f −1 (y)). Pertanto U ∩ V = G(A) `e il grafico della funzione h di r variabili, a valori in RN −r , di classe C 1 . Dunque V `e una variet`a r-dimensionale regolare. Osserviamo che per la curva dell’esempio 4.10.1 le ipotesi del teorema 4.10.4 non valgono. In effetti la dimostrazione precedente, applicata a questo esempio, salta esattamente l`a dove si afferma che l’equazione x = G(t) `e univocamente risolubile in A per ogni x ∈ V ∩U . In effetti, fissato (x, y) ∈ V ∩U , nel sistema (x, y) = (cos t, cos t sin t) nessuna delle due equazioni `e univocamente risolubile rispetto a t. Sulla base delle considerazioni precedenti, una variet`a r-dimensionale regolare in RN potr`a localmente essere vista indifferentemente: • come luogo di zeri di una funzione definita in un aperto di RN , a valori in RN −r , 497


• come grafico di una funzione definita in un aperto di Rr , a valori in RN −r , • come immagine di un aperto di Rr mediante una parametrizzazione a valori in RN . Nell’ambito di un corso di Analisi, la rappresentazione pi` u conveniente di una variet`a `e la terza, come si `e visto nel caso di curve e superfici. Per`o considereremo spesso, per comodit`a, parametrizzazioni globali non necessariamente costituite da omeomorfismi. Assegneremo dunque un insieme V = G(T ) (il sostegno della variet`a), ove T `e un sottoinsieme di Rr tale che esista un aperto A ⊆ Rr per cui A ⊆ T ⊆ A, e G : T → RN `e un’applicazione di classe C 1 , la cui matrice Jacobiana   ∂G 1 1 . . . ∂G ∂t1 ∂tr  ..  DG =  ... .  ∂GN ∂t1

...

∂GN ∂tr

abbia rango massimo, cio`e r, in ogni punto u ∈ T = A. Quest’ultima ipotesi significa, come sappiamo, che gli r vettori colonna Gt1 , . . . , Gtr sono linearmente indipendenti in ogni punto. Chiameremo l’insieme V variet`a r-dimensionale.

Iperpiano tangente e iperpiano normale Andiamo a generalizzare le nozioni di retta tangente ad una curva regolare e di piano tangente ad una superficie regolare. Sia V = G(T ) una variet`a r-dimensionale regolare in RN e sia x0 un punto di V . Diciamo che una direzione v ∈ RN `e tangente a V in x0 se esiste δ > 0 ed esiste una curva regolare ϕ : [−δ, δ] → V tale che ϕ 0 (0) = v.

ϕ (0) = x0 ,

L’insieme di tutte le direzioni tangenti a V in x0 = G(t0 ) costituisce un sottospazio vettoriale r-dimensionale di RN ; esso `e generato dagli r vettori colonna di DG(t0 ), viene denominato spazio tangente a V in x0 e si denota con TV (x0 ). Il piano r-dimensionale tangente a V in x0 `e il traslato in x0 di tale sottospazio: le sue equazioni parametriche sono x = G(t0 ) +

m X

si Gti (t0 ),

i=1

498

s ∈ Rr .


Se la variet`a `e descritta come luogo di zeri, V = {x ∈ A : F(x) = 0 ∈ RN −r }, allora lo spazio tangente TV (x0 ) coincide col nucleo dell’applicazione lineare DF(x0 ): dunque il piano r-dimensionale tangente a V in x0 sar`a descritto dalle N − r equazioni cartesiane ∇Fi (x0 ), x − x0 iN = 0, h∇

1 ≤ i ≤ N − r.

Una direzione v ∈ RN `e normale a V in x0 se `e ortogonale a tutte le direzioni tangenti a V in x0 ; l’insieme di tali direzioni `e un sottospazio (N − r)dimensionale che si chiama spazio normale a V in x0 : esso coincide con TV (x0 )⊥ e si denota con NV (x0 ). Il traslato in x0 di questo `e il piano (N −r)dimensionale normale a V in x0 ; quando V = G(T ), esso `e descritto dalle r equazioni cartesiane hx − x0 , Gtj (t0 )iN = 0,

j = 1, . . . , r.

Se la variet`a V `e data come luogo di zeri, lo spazio normale NV (x0 ) `e generato dagli N − r vettori ∇ Fi (x0 ), e quindi le equazioni parametriche del suo traslato in x0 sono x = x0 +

N −r X

si ∇ Fi (x0 ),

s ∈ RN −r .

i=1

Variet` a senza bordo e variet` a con bordo Nel seguito occorrer`a distinguere fra variet`a con bordo e variet`a senza bordo. Ricordiamo che se V `e un sottoinsieme di RN e x `e un punto di V , un intorno di x nella topologia relativa di V `e un insieme U della forma U = V ∩ A, dove A `e un intorno di x in RN . Indichiamo con B la palla unitaria aperta di Rr , con B− la semipalla unitaria B ∩ Rr− , ove Rr− = {x ∈ Rr : xr ≤ 0}, e con Γ la parte piatta B− ∩ ∂Rr− del bordo di B− . Definizione 4.10.5 Sia V = G(T ) una r-variet`a di classe C k in RN . Diciamo che V `e una variet`a senza bordo se per ogni punto x ∈ V esistono un intorno U in V ed un omeomorfismo ϕ : U → ϕ (U ) ⊆ B, con inversa di classe C k . 499


Definizione 4.10.6 Sia V = G(T ) una r-variet`a di classe C k in RN . Diciamo che V `e una variet`a con bordo se per ogni punto x ∈ V esistono un intorno U in V ed un omeomorfismo ϕ : U → ϕ (U ) ⊆ B− , con inversa di classe C k . Denotiamo con iV (interno di V ) i punti di V per i quali si possono scegliere U e ϕ in modo che l’aperto ϕ (U ) non intersechi Γ, e con bV (bordo di V ) i punti di V per i quali, comunque si scelgano U e ϕ , l’aperto ϕ (U ) interseca Γ. La differenza fra variet`a con bordo e senza bordo `e ben esemplificata dal confronto fra una calotta sferica e la sfera intera. Tutti i punti della seconda hanno intorni omeomorfi a un disco aperto, mentre i punti della prima sono di due tipi: quelli che hanno intorni omeomorfi a un disco, e quelli che hanno intorni omeomorfi a un semidisco contenente la parte piatta della propria frontiera. Sia V = G(A) una variet`a con bordo: supponiamo che G sia di classe C 1 con DG di rango massimo in un aperto B ⊃ A. Allora utilizzando il teorema del rango `e facile vedere che bV ⊆ G(∂A); quindi se l’aperto A ha frontiera di classe C 1 si ottiene che il bordo bV `e una variet`a (r − 1)-dimensionale. Si ha sempre V = iV ∪bV , ma facili esempi, come tori e superfici sferiche, mostrano che bV pu`o essere vuoto. Inoltre, come sappiamo, “interno” e “bordo” non sono sinonimi di “parte interna” e di “frontiera”: V , come sottoinsieme di RN , non ha parte interna e coincide con la sua frontiera. Torneremo a parlare di variet`a con bordo nei paragrafi conclusivi.

Esercizi 4.10 1. Sai V = {(x, y) ∈ R2 : x2 − y 2 = 1} ∪ {(x, y) ∈ R2 : x = y}: si verifichi che V `e una variet`a 1-dimensionale di classe C ∞ . Vale lo stesso per W = {(x, y) ∈ R2 : x2 − y 2 = 1} ∪ {(x, y) ∈ R2 : |x| = |y|}? 2. Si provi che V = {(x, y, z) ∈ R3 : 2x2 + y 2 + 8z 2 − 8xz − 4 = 0} `e una variet`a 2-dimensionale di classe C ∞ . Si verifichi che (2, 2, 1) ∈ V e si scrivano le equazioni del piano tangente a V e della retta normale a V in tale punto. 3. Sia V = (x, y, z) ∈ R3 : y 2 − 2z = 0, x2 + y 2 − 6z − 1 = 0}. Si verifichi che V `e una variet`a 1-dimensionale di classe C 1 , si controlli 500


che (3, 2, 2) ∈ V e si scrivano le equazioni della retta tangente a V e del piano normale a V in tale punto. 4. Sia V = {(x, y, z, u) ∈ R4 : x2 + z 2 − 1 = 0, y 2 + u2 − 1 = 0}. Si verifichi che V `e una variet`a 2-dimensionale di classe C ∞ , si controlli che (0, 1, −1, 0) ∈ V e si scrivano le equazioni del piano tangente a V e del piano normale a V in tale punto.

4.11

Applicazioni multilineari alternanti

Con l’obiettivo di studiare le r-forme, ossia le forme differenziali di grado r, un necessario pre-requisito `e costituito dall’analisi delle applicazioni r-lineari alternanti su uno spazio vettoriale. Sia dunque V uno spazio vettoriale reale, di dimensione N : se r ∈ N+ , indicheremo con V r il prodotto cartesiano di r copie di V . Un’applicazione ω : V r → R `e r-lineare se `e lineare in ciascuna delle sue r variabili; `e r-lineare alternante se in pi` u si ha ω(h1 , . . . , hi , . . . , hj , . . . , hr ) = −ω(h1 , . . . , hj , . . . , hi , . . . , hr )

∀i 6= j,

cio`e se il valore di ω su una r-pla di vettori ottenuta scambiando di posto fra loro due vettori `e l’opposto del valore di ω sulla r-pla originaria. Esempi 4.11.1 (1) Se V = R3 , l’applicazione 3-lineare   1 1 u v w1 ω(u, v, w) = hu × v, wi3 = det  u2 v 2 w2  u3 v 3 w3 `e alternante. (2) Se V = R3 e c ∈ R3 `e un vettore fissato, l’applicazione bilineare ω(u, v) = hu × v, ci3 `e alternante. (3) Se V = RN , l’applicazione bilineare ω(u, v) = hu, viN 501


non `e alternante. (4) Se r = 1, tutte le applicazioni lineari ω : V → R sono alternanti, perch´e non c’`e niente da alternare. Denotando con Sr l’insieme delle permutazioni su r elementi, se Ďƒ ∈ Sr e ω `e un’applicazione r-lineare alternante, si ha ω(hĎƒ(1) , . . . , hĎƒ(r) ) = (Ďƒ) ω(h1 , . . . , hr ), dove (Ďƒ) = Âą1 a seconda che Ďƒ operi su {1, . . . , r} un numero di scambi pari o dispari. In particolare, se nella r-pla (h1 , . . . , hr ) compaiono due vettori uguali, si ha ω(h1 , . . . , hr ) = 0. Da ci`o discende che se i vettori h1 , . . . , hr sono linearmente dipendenti, allora ω(h1 , . . . , hr ) = 0: infatti, supposto ad Pr−1 esempio hr = i=1 ci hi , con c1 , . . . , cr−1 ∈ R, si ha per linearit`a ω(h1 , . . . , hr ) =

r−1 X

ci ω(h1 , . . . , hr−1 , hi ) = 0.

i=1

Cos`Ĺ, quando r > N l’unica applicazione r-lineare alternante su V `e ω = 0. Supporremo perci`o sempre 1 ≤ r ≤ N . Vediamo come agiscono le applicazioni r-lineari alternanti. Sia {e1 , . . . , eN } una base per V . Posto ωi1 ...ir = ω(ei1 , . . . , eir )

∀{i1 , . . . , ir } ⊂ {1, . . . , N },

dalla r-linearit`a segue ω(h1 , . . . , hr ) =

N X

ωi1 ...ir hi11 . . . hirr ,

i1 ,...,ir =1

avendo indicato con hji la j-sima coordinata del vettore hi rispetto alla base {e1 , . . . , eN }. Introduciamo le notazioni (che verranno comunemente usate da ora in poi) I = {i1 , . . . , ir }, ωI = ωi1 ...ir ; si noti che risulta ωI =

0 se in I vi sono indici ripetuti (Ďƒ) ωJ se I = Ďƒ(J), Ďƒ ∈ Sr , 502


ove J = {j1 , . . . , jr } `e il riordinamento crescente di I, cio`e {j1 , . . . , jr } = {i1 , . . . , jr } e j1 < . . . < jr , il quale `e univocamente P determinato se I ha indici tutti distinti. Se indichiamo con I la somma rispetto a tutte le r-ple di indici fra 1 e n, P e con +J la somma rispetto alle sole r-ple crescenti, avremo allora ω(h1 , . . . , hr ) =

X

ωI hi11 . . . hirr =

I

=

XX

Ďƒ(j1 )

(Ďƒ) ωJ h1

+J ĎƒâˆˆSr

r) . . . hĎƒ(j = r

X

ωJ det{hji k }

+J

ove {hji k } `e la matrice r Ă— r con le sole righe j1 , . . . , jr dei vettori-colonna h1 , . . . , hr . Ci`o mostra che il comportamento di ω `e noto quando se ne conosce il valore ωJ = ω(ej1 , . . . , ejr ) sulle sole r-ple crescenti di elementi della base. Definiamo adesso, fissata una r-pla crescente J, l’applicazione r-lineare alternante eJ (h1 , . . . , hr ) = det{hji k } ∀h1 , . . . , hr ∈ V, ove, qui e nel seguito, nella matrice {hk` }, che `e r Ă— r, l’indice di riga `e in alto e quello di colonna `e in basso. Definiamo inoltre, nel caso r > N , eJ (h1 , . . . , hr ) = 0 per ogni h1 , . . . , hr ∈ V e per ogni r-pla crescente J. Si vede subito che per una generica r-pla I = {i1 , . . . , ir } si ha det{δijhk } se esiste Ďƒ ∈ Sr tale che Ďƒ(I) = J J e (ei1 , . . . , eir ) = 0 altrimenti, ove δ`k vale, al solito, 1 se k = ` e 0 se k 6= `; il determinante della matrice {δijhk } si denota col simbolo δIJ . Si noti che δIJ assume i valori 0, 1, −1: esso vale Âą1 quando le due r-ple I e J hanno gli stessi indici, tutti distinti ma eventualmente in ordine diverso, e precisamente il valore `e 1 se I si ottiene da J con un numero pari di scambi, e −1 se invece tale numero di scambi `e dispari. Inoltre δIJ vale 0 allorch´e I e J hanno indici ripetuti, oppure non hanno gli stessi indici: infatti se jk ∈ / {i1 , . . . ir } la riga k-sima della matrice jk {δih } ha tutti gli elementi nulli, per cui det{δijhk } = 0. Altre propriet`a di δIJ sono illustrate negli esercizi 4.11.1 e 4.11.2.

503


Proposizione 4.11.2 Sia ω un’applicazione r-lineare alternante. Allora si ha X ω= ωJ eJ , +J

ove ωJ = ω(ej1 , . . . , ejr ) per ogni r-pla crescente J = {j1 , . . . , jr }. in altre parole, la famiglia {eJ : J r-pla crescente} `e una base dello spazio vettoriale reale Vr∗ delle applicazioni r-lineari alternanti. Dimostrazione Proviamo elementi della famiglia {eJ } sono linearP che gli mente indipendenti: se +J cJ eJ = 0 con cJ ∈ R allora, scelta una r-pla crescente I = {i1 , . . . , ir }, si ha X X X 0= cJ eJ (ei1 , . . . eir ) = cJ det{δijhk } = cJ δIJ = cI . +J

+J

+J

∗ Proviamo che gli eJ generano lo spazio Vr∗ : se ω ∈ VrP , e se ωJ = ω(ej1 , . . . , ejr ), allora le due applicazioni r-lineari alternanti ω e +J ωJ eJ coincidono, in P i quanto per ogni h1 , . . . hr , scrivendo hj = N i=1 hj ej , come abbiamo visto risulta, per linearit`a: X ω(h1 , . . . hr ) = hi11 . . . hirr ω(ei1 , . . . , eir ) = I

=

X

ωI det{hkij } =

X

ωI eI (h1 , . . . .hr ).

+I

+I

Ci`o prova la tesi. Poich´e la famiglia {eJ : J r-pla crescente} contiene Nr elementi, si conclude che ( N se 1 ≤ r ≤ N r dim Vr∗ = 0 se r > N. Esempi 4.11.3 (1) Per r = N , l’unica N -pla crescente `e J = {1, . . . , N }: quindi se ω ∈ VN∗ si ha ω(h1 , . . . , hN ) = ωJ det{hjk }, da cui VN∗ = {c det(·), c ∈ R}, 504


ovvero l’unica applicazione N -lineare alternante su uno spazio N -dimensionale `e, a meno di costanti moltiplicative, il determinante: data una N -pla di elementi di V , esso agisce sulla matrice che ha per colonne i vettori di tale N -pla. (2) Se r = 1 e V = RN , si ha V1∗ = (RN )∗ (duale di RN ), le 1-ple crescenti sono {1}, . . . , {N } e gli elementi di V1∗ hanno la forma ω=

N X

ωj ej

j=1

ove ej (h) = hj ; dunque ej `e la j-sima proiezione canonica πj : RN → R, j j ossia , e in definitiva ω `e la 1-forma su RN (a coefficienti costanti) PN e = dx j j=1 ωj dx .

Prodotto esterno Date due applicazioni alternanti ω e η, una r-lineare e l’altra s-lineare, definite su uno spazio vettoriale N -dimensionale V , vogliamo costruirne un’altra, (r + s)-lineare, che chiameremo prodotto esterno delle due e denoteremo con ω ∧ η. Anzitutto, se I = {i1 , . . . , ir } e J = {j1 , . . . , js } sono una r-pla ed una s-pla di numeri fra 1 e N , poniamo IJ = {i1 , . . . , ir , j1 , . . . , js }; dunque IJ `e la (r + s)-pla che si ottiene per giustapposizione di I e di J. Naturalmente, IJ non `e in generale crescente, nemmeno quando lo sono I e J. Definiamo adesso il prodotto esterno ponendo eI ∧ eJ = eIJ ; P P poi, per linearit`a, se ω = +I ωI eI , η = +J ηJ eJ , poniamo ω∧η =

X

ωI ηJ eIJ .

+I,+J

Si noti che se r + s > N risulta ω ∧ η = 0 in quanto eIJ = 0 per definizione. Le propriet`a del prodotto esterno sono riassunte nella seguente 505


Proposizione 4.11.4 Siano r, s, t ∈ N+ . Si ha: (i) (ω + ζ) ∧ η = ω ∧ η + ζ ∧ η per ogni ω, ζ ∈ Vr∗ e η ∈ Vs∗ ; (ii) (c ω) ∧ η = c (ω ∧ η) per ogni c ∈ R, ω ∈ Vr∗ e η ∈ Vs∗ ; (iii) η ∧ ω = (−1)rs ω ∧ η per ogni ω ∈ Vr∗ e η ∈ Vs∗ ; (iv) (ω ∧ η) ∧ ξ = ω ∧ (η ∧ ξ) per ogni ω ∈ Vr∗ , η ∈ Vs∗ e ξ ∈ Vt∗ . Dimostrazione (i)-(ii) Sono ovvia conseguenza della definizione di prodotto esterno e della linearit`a dell’applicazione ω 7→ ωI . (iii) Per trasformare la (r + s)-pla IJ in JI occorrono rs scambi: r per spostare j1 , altri r per spostare j2 , e cos`ı via per s volte. Quindi eIJ si trasforma in eJI per mezzo di rs scambi di righe in un determinante: pertanto eIJ = (−1)rs eJI , da cui ω∧η =

X

X

ωI ηJ eIJ = (−1)rs

+I,+J

ωI ηJ eJI = (−1)rs η ∧ ω.

+I,+J

(iv) Se I `e una r-pla, J `e una s-pla e H `e una t-pla di numeri fra 1 e N , si ha (eI ∧ eJ ) ∧ eH = eIJ ∧ eH = eIJH = eI ∧ eJH = eI ∧ (eJ ∧ eH ); ne segue la tesi per linearit`a. Esempi 4.11.5 (1) Se V = RN , r = 2 e I = {i, j} con i, j ∈ {1, . . . , N }, allora  i se i < j  e ∧ ej I i j −e ∧ e se i > j e =  0 se i = j, con i h1 hi2 I . e (h1 , h2 ) = det hj1 hj2 PN i (2) Siano r = s = 1 e V = RN . Allora, posto ω = i=1 ωi dx e η = PN j j=1 ηj dx , si ha ω∧η =

N X i,j=1

=

X

X

ωi ηj dxi ∧ dxj =

1≤i<j≤N

(ωi1 ηi2 − ωi2 ηi1 ) eI ,

+I

506

(ωi ηj − ωj ηi ) dxi ∧ dxj =


cosicch´e i1 i1 X h1 h2 = ω ∧ η (h1 , h2 ) = (ωi1 ηi2 − ωi2 ηi1 ) det hi12 hi22 +I i1 i1 X h1 h2 ωi1 ωi2 . = det ηi1 ηi2 hi12 hi22 +I

Osservazione 4.11.6 Sullo spazio Vr∗ si pu`o definire un prodotto scalare: X hω, ηiVr∗ = ωJ ηJ , +J

e quindi una norma: |ω|Vr∗ =

sX

|ωJ |2 .

+J

Trattandosi di uno spazio di dimensione finita, Vr∗ `e completo rispetto a questa norma e quindi `e uno spazio di Hilbert.

Vettori e covettori di grado r A partire da questo paragrafo, prenderemo come spazio vettoriale V = RN oppure V = (RN )∗ . Nel primo caso, gli elementi di Vr∗ = (RN )∗r , cio`e le applicazioni r-lineari alternanti su (RN )r , si dicono covettori di grado r, o brevemente r-covettori; nel secondo caso gli elementi di Vr∗ = [(RN )∗ ]∗r , ossia le applicazioni r-lineari alternanti su [(RN )∗ ]r , si chiamano vettori di grado ∗ N r, o r-vettori. Denoteremo con (RN r ) lo spazio degli r-covettori e con Rr lo spazio degli r-vettori; questa notazione `e giustificata dal fatto che vi `e una dualit`a naturale fra r-covettori e r-vettori, che illustreremo fra poco. Per quanto visto nel caso di un generico spazio vettoriale V , gli r-covettori si rappresentano in modo unico nella forma X ∗ ω= ωI eI ∀ω ∈ (RN r ) , +I

ove, per ogni r-pla crescente I = {i1 , . . . , ir }, eI = ei1 ∧ . . . ∧ eir `e l’elemento ∗ di (RN r ) definito da eI (h1 , . . . , hr ) = det{hijk } 507

∀h1 , . . . hr ∈ RN ,


mentre ωI = ω(ei1 , . . . , eir ). ∗ Nello spazio degli r-covettori (RN e definito il prodotto scalare r ) ` X ∗ hω, ηiN,r,∗ = ωI ηI ∀ω, η ∈ (RN r ) , +I

il quale, con la norma indotta sX |ω|N,r,∗ = (ωI )2

∗ ∀ω ∈ (RN r ) ,

+I ∗ rende (RN e facile verificare, r ) uno spazio di Hilbert; rispetto ad esso, come ` I la famiglia {e : I r-pla crescente} `e una base ortonormale. Naturalmente, se r = 1 ritroviamo lo spazio delle applicazioni lineari su RN , una base del quale `e ovviamente data da e1 , . . . , eN , ove

ei (h) = πi (h) = hi = hh, ei iN

∀h ∈ RN , i = 1, . . . , N.

Per quanto riguarda gli r-vettori, ossia le applicazioni r-lineari alternanti su [(RN )∗ ]r , ricordiamo anzitutto che per ogni coppia di r-ple I, J `e definita la quantit`a, introdotta in precedenza, δJI = det{δjihk } ove i numeri δji sono gli elementi della matrice identit`a. Ci`o premesso, per ogni r-pla crescente J consideriamo l’r-vettore eJ che sulle r-ple di elementi della base {ei }1≤i≤N agisce nel modo seguente: eJ (ei1 , . . . , eir ) = δJI

∀I = {i1 , . . . , ir } crescente.

Allora, dato un qualunque r-vettore h, posto hJ = h(ej1 , . . . , ejr ) esso si rappresenta in modo unico come X h= hJ eJ , +J

poich´e per ogni r-pla crescente di elementi della base {ei }1≤i≤N vale X X hJ eJ (ei1 , . . . , eir ) = hJ δJI = hI = h(ei1 , . . . , eir ). +J

+J

508


Nello spazio degli r-vettori RN e definito il prodotto scalare r ` X hh, kiN,r = hI k I ∀h, k ∈ RN r , +I

che, con la norma indotta |h|N,r

sX (hI )2 =

∀h ∈ RN r ,

+I

rende RN r uno spazio di Hilbert; rispetto ad esso, si vede subito che la famiglia {eI : I r-pla crescente} `e una base ortonormale. La dualit`a fra r-covettori e r-vettori `e data dall’applicazione X ∗ hω, hi∗N,r = ωI hI , h ∈ RrN , ω ∈ (RN r ) ; +I

si noti che in particolare risulta heI , eJ i∗N,r = heI , eJ iN,r,∗ = heI , eJ iN,r = δJI . ∗ N Tramite questa applicazione `e immediato verificare che gli spazi (RN r ) e Rr sono l’uno il duale dell’altro: questo fatto giustifica la notazione utilizzata per questi spazi.

Osservazione 4.11.7 La distinzione fra covettori e vettori `e legata al loro N comportamento rispetto alle applicazioni lineari. P Sia L : RN r → Rr un’apH plicazione lineare: posto hJ = LeJ , sar`a hJ = +H cJ eH per opportuni coefficienti cH J : dunque se y = Lx avremo ! X X X y=L xJ eJ = xJ hJ = x J cH J eH +J

+J

+J,+H

da cui y I = hy, eI iN,r =

X

cIJ xJ

∀ I crescente:

+J

quindi rispetto alle applicazioni lineari gli r-vettori si trasformano in modo controvariante, ossia come vettori-colonna.

509


∗ Consideriamo adesso l’applicazione L∗ , aggiunta di L, che `e lineare da (RN r ) N ∗ ∗ in (Rr ) : risulta η = L ω se e solo se

hη, xi∗N,r = hL∗ ω, xi∗N,r = hω, Lxi∗N,r e in particolare, posto ξ I = L∗ eI , avremo hξ I , eJ i∗N,r = heI , LeJ i∗N,r = heI , hJ i∗N,r = cIJ . P Dunque si ha ξ I = +J cIJ eJ , da cui X X ηJ = hη, eJ i∗N,r = hL∗ ω, eJ i∗N,r = ωI hL∗ eI , eJ i∗N,r = ωI hξ I , eJ i∗N,r , +I

+I

e infine ηJ =

X

ωI cIJ ,

∀J crescente:

+I

perci`o rispetto alle applicazioni lineari gli r-covettori si trasformano in modo covariante, ossia come vettori-riga. Passiamo adesso a descrivere un’importante propriet`a di vettori e covettori. Definizione 4.11.8 Un r-vettore α ∈ RN e della r si dice decomponibile se ` forma α = h1 ∧ . . . ∧ hr , con h1 , . . . , hr ∈ RN . Similmente, un r-covettore ω si dice decomponibile se `e della forma ω = a1 ∧ . . . ∧ ar , con a1 , . . . , ar ∈ (RN )∗ . Dunque se α `e un r-vettore decomponibile si ha α = h1 ∧ . . . ∧ hr =

N X

...

j1 =1

N X

(hj11 . . . hjrr ) ej1 ∧ . . . ∧ ejr =

jr =1

X

det{hji k } eJ ,

+J

ed in particolare αJ = det{hji k }, mentre se ω `e un r-covettore decomponibile si ha 1

r

ω = a ∧ ... ∧ a =

N X i1 =1

...

N X

(a1i1 . . . arir )ei1 ∧ . . . ∧ eir =

ir =1

X +I

ed in particolare ωI = det{ajih }. 510

det{ajih } eI ,


Esempi 4.11.9 (1) Ogni 1-vettore o 1-covettore `e decomponibile. (2) Ogni N -vettore o N -covettore `e decomponibile: infatti `e della forma c e1...N = (c e1 ) ∧ e2 ∧ . . . ∧ eN ,

ovvero c e1...N = (c e1 ) ∧ e2 ∧ . . . ∧ eN .

(3) Gli r-vettori eJ e gli r-covettori eI sono decomponibili: eI = ei1 ∧ . . . ∧ eir .

eJ = ej1 ∧ . . . ∧ ejr ,

(4) Esistono r-vettori e r-covettori non decomponibili (esercizio 4.11.12). Vediamo adesso come opera la dualit`a fra r-covettori e r-vettori decomponibili. Proposizione 4.11.10 Sia α = h1 ∧ . . . ∧ hr un r-vettore decomponibile. Allora ∗ hω, α i∗N,r = ω(h1 , . . . , hr ) ∀ω ∈ (RN r ) . Dimostrazione L’applicazione ω ˜ (h1 , . . . , hr ) = hω, h1 ∧ . . . ∧ hr i∗N,r `e r-lineare ed alternante, per le propriet`a del prodotto esterno. D’altra parte, fissata una r-pla crescente J = {j1 , . . . , jr } e calcolando tale applicazione in ˜ ha gli stessi valori (ej1 , . . . , ejr ), si ottiene il valore hω, eJ i∗N,r = ωJ : quindi ω . Ne segue che ω ˜ coincide con ω. di ω su una base di RN r Proposizione 4.11.11 Sia α = h1 ∧ . . . ∧ hr un r-vettore decomponibile e sia ω = a1 ∧ . . . ∧ ar un r-covettore decomponibile. Allora hω, α i∗N,r = det{hak , hi i∗N }. Dimostrazione L’applicazione ω ˜ (h1 , . . . , hr ) = det{hak , hi i∗N } `e r-lineare e alternante per le propriet`a del determinante. Essa prende gli stessi valori di ω sugli r-vettori eI in quanto ω ˜ (ei1 , . . . , eir ) = det{hak , eih i∗N } = det{akih } = ωI ; pertanto ω ˜ coincide con ω. Ne segue, per la proposizione 4.11.10, hω, α i∗N,r = ω(h1 , . . . , hr ) = det{hak , hi i∗N }. 511


Corollario 4.11.12 Siano α = h1 ∧ . . . ∧ hr e β = h01 ∧ . . . ∧ h0r due r-vettori decomponibili e siano ω = a1 ∧ . . . ∧ ar e ζ = a1∗ ∧ . . . ∧ ar∗ due r-covettori decomponibili. Allora α, β iN,r = det{hhi , h0j iN }, hα

hω, ζiN,r,∗ = det{hai , aj∗ iN,∗ },

ove ha, biN,∗ `e il prodotto scalare in (RN )∗ . Dimostrazione Per i = 1, . . . , r sia bi il covettore le cui coordinate sono quelle del vettore hi : dunque bij = hji per ogni i = 1, . . . , r e j = 1, . . . , N . Allora anche l’r-covettore b = b1 ∧ . . . ∧ br ha coordinate uguali all’r-vettore h1 ∧ . . . ∧ hr , in quanto per ogni r-pla crescente J si ha hb1 ∧ . . . ∧ br , eJ i∗N,r = det{bijk } = det{hji k } = heJ , h1 ∧ . . . ∧ hr i∗N,r . Quindi, per la proposizione 4.11.11, α, β iN,r = hb, β i∗N,r = det{hbi , h0j i∗N } = det{hhi , h0j iN }. hα Il calcolo per hω, ζiN,r,∗ `e analogo. Proposizione 4.11.13 Siano α , β due r-vettori tali che hω, α i∗N,r = hω, β i∗N,r per ogni r-covettore decomponibile ω. Allora α = β . Dimostrazione Poich´e gli eI sono decomponibili, per ogni r-pla crescente I si ha per ipotesi αI = heI , α i∗N,r = heI , β i∗N,r = β I , da cui α = β . Gli r-vettori decomponibili hanno un importante significato geometrico, che ora illustreremo. Anzitutto, se P ⊆ RN `e un sottospazio vettoriale r-dimensionale (1 ≤ r ≤ N ), una base ordinata di P `e una r-pla ordinata (h1 , . . . , hr ) di vettori che siano una base per P . Vale allora il seguente Teorema 4.11.14 Siano h1 , . . . , hr ∈ RN . (i) h1 , . . . , hr sono linearmente dipendenti se e solo se h1 ∧ . . . ∧ hr = 0. (ii) Se P `e un sottospazio r-dimensionale di RN , (h1 , . . . , hr ) `e una base ordinata di P e (h01 , . . . , h0r ) `e un’altra base ordinata di P , allora esiste c 6= 0 tale che h1 ∧ . . . ∧ hr = c(h01 ∧ . . . ∧ h0r ). 512


(iii) Se (h1 , . . . , hr ) e (h01 , . . . , h0r ) sono basi ordinate di due sottospazi rdimensionali P, P 0 di RN , e se risulta h1 ∧ . . . ∧ hr = c(h01 ∧ . . . ∧ h0r ) con c 6= 0, allora P = P 0 . Questo teorema ci dice che ogni sottospazio r-dimensionale di RN `e individuato da un unico r-vettore decomponibile (a meno, naturalmente, di una costante moltiplicativa). Ci`o ci permetter`a, come vedremo pi` u avanti, di N attribuire un’orientazione ai sottospazi di R e di definire un volume rdimensionale su certi sottoinsiemi di un dato sottospazio r-dimensionale. Dimostrazione (i) Supponiamo che gli hi siano linearmente dipendenti. Posto α = h1 ∧ . . . ∧ hr , per ogni r-covettore ω si ha (proposizione 4.11.10) hω, α i∗N,r = ω(h1 , . . . , hr ) = 0, essendo ω alternante. Dalla proposizione 4.11.13 si ottiene α = 0. Viceversa, sia α = h1 ∧. . .∧hr = 0. Se, per assurdo, gli hi fossero linearmente indipendenti, potremmo scegliere a1 , . . . , ar ∈ (RN )∗ tali che hai , hj i∗N = δji ; ma allora, posto ω = a1 ∧ . . . ∧ ar , dalla proposizione 4.11.11 avremmo 0 = hω, α i∗N,r = det{hai , hj i∗N } = det{δji } = 1, il che `e assurdo. (ii) Per ipotesi, ogni h0j `e combinazione lineare degli hi : h0j

=

r X

ckj hk ,

j = 1, . . . , r.

k=1

Dunque se ω `e un r-covettore decomponibile, ω = a1 ∧ . . . ∧ ar , posto α 0 = h01 ∧ . . . ∧ h0r si ha per la proposizione 4.11.11 ) ( r X hω, α 0 i∗N,r = det{hai , h0j i∗N } = det ckj hai , hk i∗N = =

det{ckj }

i

· det{ha

k=1 ∗ , hk iN } =

c hω, αi∗N,r = hω, c αi∗N,r ,

ove c = det{ckj }. Dalla proposizione 4.11.13 segue α 0 = c α , e quindi la tesi, dato che c 6= 0 a causa di (i). (iii) Proviamo che ogni h0j `e combinazione lineare degli hi . Se cos`ı non fosse, 513


uno tra gli h0j , ad esempio h01 , sarebbe indipendente da h1 , . . . , hr : dunque gli r + 1 vettori h1 , . . . , hr , h01 sarebbero linearmente indipendenti, cosicch´e h1 ∧ . . . ∧ hr ∧ h01 6= 0. D’altra parte, h1 ∧ . . . ∧ hr ∧ h01 = c(h01 ∧ . . . ∧ h0r ∧ h01 ) = c 0 = 0, in quanto ovviamente h01 , . . . , h0r , h01 sono linearmente dipendenti. assurdo.

Ci`o `e

Osservazione 4.11.15 Dal teorema precedente segue in particolare che se α `e un r-vettore decomponibile, esso individua un sottospazio r-dimensionale P che dipende solo da α , e non dal modo in cui α viene decomposto: infatti se α = h1 ∧ . . . ∧ hr = h01 ∧ . . . ∧ h0r allora (h1 , . . . , hr ) e (h01 , . . . , h0r ) generano lo stesso sottospazio.

Applicazioni lineari indotte Sia L : Rm → RN un’applicazione lineare. Fissate su Rm e RN le basi canoniche, e posto vj = Lej , j = 1, . . . , m, la matrice associata a L ha i vj come vettori colonna; detti cij gli elementi di tale matrice, sar`a vj = (c1j , . . . , cN j ). Vogliamo associare a L, per ogni r ≥ 1, un’applicazione lineare N a: fra r-vettori Lr : Rm r → Rr che abbia la seguente propriet` Lr (k1 ∧ . . . ∧ kr ) = Lk1 ∧ . . . ∧ Lkr

∀k1 , . . . , kr ∈ Rm .

Ci`o si ottiene nel modo seguente: se I `e una r-pla crescente di indici fra 1 e m, definiamo Lr eI = vi1 ∧ . . . ∧ vir = Lei1 ∧ . . . ∧ Leir ; poi, per rispettare la linearit`a, poniamo X Lrα = αI Lr eI

α ∈ Rm ∀α r .

+I

Le applicazioni Lr cos`ı definite si dicono applicazioni lineari indotte da L. Osserviamo che se r > m si ha Rm r = {0} e Lr ≡ 0; se invece r = 1, ovviamente L1 ≡ L. La proposizione che segue ci assicura che le Lr hanno la propriet`a che cercavamo. 514


Proposizione 4.11.16 Se r, s ≥ 1 si ha α ∧ β ) = Lr α ∧ Lsβ Lr+s (α

α ∈ Rm ∀α r ,

β ∈ Rm ∀β s .

Dimostrazione Siano I una r-pla crescente e J una s-pla crescente. Per definizione, Lr eI ∧ Ls eJ = Lei1 ∧ . . . ∧ Leir ∧ Lej1 ∧ . . . ∧ Lejs . Se nella (r + s)-pla IJ c’`e qualche indice ripetuto, allora Lr eI ∧ Ls eJ = 0, e d’altronde in tal caso Lr+s eIJ = Lr+s 0 = 0. Se invece IJ non contiene indici ripetuti, sia H il riordinamento crescente di IJ, ottenuto tramite p scambi: allora Lr eI ∧ Ls eJ = (−1)p Leh1 ∧ . . . ∧ Lehr+s = (−1)p Lr+s eH = = Lr+s ((−1)p eH ) = Lr+s eIJ = Lr+s (eI ∧ eJ ). m Dunque la tesi `e vera per gli elementi delle basi di Rm r e Rs ; quindi, per m linearit`a, la tesi `e vera per ogni α ∈ Rm r e β ∈ Rs .

Osservazione 4.11.17 Procedendo induttivamente, si dimostra pi` u in generale che α1 ∧ . . . ∧ α k ) = Lr1 α 1 ∧ . . . ∧ Lrk α k Lr1 +...+rk (α

+ αi ∈ Rm ∀α ri , ∀r1 , . . . rk ∈ N ,

e se in particolare k = r e ri = 1 per i = 1, . . . r, si deduce la formula inizialmente richiesta. N Proposizione 4.11.18 Se α ∈ Rm r e β ∈ Rr , allora si ha β = Lrα se e solo se per ogni r-pla crescente I risulta X βI = cIJ αJ , +J

ove cIJ = det{cijhk } e (c1j , . . . , cN j ) = Lej , j = 1, . . . , m. Dimostrazione Dalla proposizione 4.11.11 si ha cIJ = det{cijhk } = heI , Lej1 ∧ . . . ∧ Lejr i∗N,r ,

515


quindi se β = Lrα otteniamo β I = heI , β i∗N,r = heI , Lrα i∗N,r =

X

αJ heI , Lr eJ i∗N,r =

+J

=

X

αJ heI , Lej1 ∧ . . . ∧ Lejr i∗N,r =

+J

X

αJ cIJ .

+J

Viceversa, se vale tale relazione allora ovviamente per ogni r-pla crescente I abbiamo X heI , Lrα i∗N,r = αJ cIJ = β I , +J

da cui β = Lrα . Osservazione 4.11.19 caso r = 1, dalla proposizione 4.11.18 si ritrovaP Nel i j α , i = 1, . . . , N , che caratterizzano le coordinate c no le relazioni β i = m j=1 j α. di β = Lα Accanto all’applicazione lineare Lr , possiamo considerare la sua aggiunta, ∗ m ∗ ossia l’applicazione lineare fra r-covettori L∗r : (RN r ) → (Rr ) definita da hL∗r ω, β i∗m,r = hω, Lrβ i∗N,r

∗ ∀ω ∈ (RN r ) ,

β ∈ Rm ∀β r .

In particolare, per r = 1 l’applicazione L∗ , aggiunta di L, `e data da ∗

b=L a

⇐⇒

bj =

N X

ai cij ,

i=1

cosicch´e, per ogni 1-covettore a e per ogni 1-vettore v, hL∗ a, vi∗N = ha, Lvi∗N =

N X

ai cij v j .

i=1

Per l’applicazione aggiunta L∗r valgono formule e propriet`a duali di quelle relative a Lr . Ad esempio, L∗r agisce sugli elementi della base {eI } in modo analogo a quello di Lr , poich´e, indicando con wi = L∗ ei i covettori riga della matrice associata a L, ossia wi = (ci1 , . . . cim ), si ha per ogni r-pla crescente I L∗r eI = wi1 ∧ . . . ∧ wir = L∗ ei1 ∧ . . . ∧ L∗ eir .

516


Infatti, in virt` u della proposizione 4.11.11, per tutte le r-ple crescenti I, J si ha hL∗r eI , eJ i∗m,r = heI , Lr eJ i∗N,r = cIJ = det{cijhk } = hwi1 ∧ . . . ∧ wir , eJ i∗m,r . Inoltre, vale l’analogo della proposizione 4.11.16 (e anche la dimostrazione `e del tutto simile): ∗ ∀ω ∈ (RN r ) ,

L∗r+s (ω ∧ ξ) = L∗r ω ∧ L∗s ξ

∗ ∀ξ ∈ (RN s ) .

Induttivamente si prova poi l’analogo dell’osservazione 4.11.17: ∗ + L∗r1 +...+rk (a1 ∧ . . . ∧ ak ) = L∗r1 a1 ∧ . . . ∧ L∗rk ak ∀ai ∈ (RN ri ) , ∀r1 , . . . rk ∈ N ,

ed in particolare, per k = r e ri = 1, L∗r (a1 ∧ . . . ∧ ar ) = L∗ a1 ) ∧ . . . ∧ L∗ ar

∀a1 , . . . , ar ∈ (RN )∗ .

∗ m ∗ Infine, vale l’analogo della proposizione 4.11.18: se ω ∈ (RN r ) e ξ ∈ (Rr ) si ∗ ha ξ = Lr ω) se e solo se per ogni r-pla crescente J risulta X cIJ ωI ; ξJ = +I

infatti ξ = L∗r ω se e solo se ξJ = hL∗r ω, eJ i∗m,r = hω, Lr eJ i∗m,r =

X

ωI heI , Lr eJ i∗N,r =

+I

X

ωI cIJ .

+I

Esempio 4.11.20 Consideriamo un’isometria lineare L : RN → RN : allora N ∗ N ∗ ∗ N anche Lr : RN r → Rr e Lr : (Rr ) → (Rr ) sono isometrie. Infatti, dalla relazione β = Lrα segue, per il corollario 4.11.12 e grazie all’ortogonalit`a dei vettori Lei ,

2

X

2 2 I β α |β |N,r = |Lr |N,r =

α Lr eI =

+I N,r X I J = α α hLei1 ∧ . . . ∧ Leir , Lej1 ∧ . . . ∧ Lejr iN,r = +I,+J

=

X

αI αJ det{hLeih , Lejk iN } =

+I,+J

=

X +I,+J

X +I,+J

αI αJ δJI =

X

α|2N,r . (αI )2 = |α

+I

517

αI αJ det{δjihk } =


Similmente, essendo L∗ a sua volta un’isometria, dalla relazione ξ = L∗r ω e dall’ortogonalit`a dei covettori L∗ ei ), otteniamo allo stesso modo |ζ|2N,r,∗ = |L∗r ω)|2N,r,∗ = X X ωI ωJ δJI = |ω|2N,r,∗ . = ωI ωJ det{hL∗ eih , L∗ ejk iN,∗ } = +I,+J

+I,+J

Orientazioni di un sottospazio Vediamo adesso come, per mezzo del teorema 4.11.14, sia possibile orientare i sottospazi di RN . Definizione 4.11.21 Sia P un sottospazio r-dimensionale di RN . Un rvettore decomponibile α `e un’ orientazione di P se si ha: (i) α = h1 ∧ . . . ∧ hr , ove (h1 , . . . hr ) `e una base ordinata di P ; qP I 2 α|N,r = (ii) |α +I (α ) = 1. Quante sono le possibili orientazioni di un sottospazio P , orientato con α ? Se β = h01 ∧ . . . ∧ h0r `e un’altra orientazione di P , sar`a β = h01 ∧ . . . ∧ h0r ove β |N,r = 1; ma per il teorema 4.11.14 (h01 , · · · , h0r ) `e una base ordinata di P e |β α, e deve essere β = c α , da cui |c| = 1 e pertanto c = ±1. Ne segue β = ±α α. dunque P ha solo due orientazioni possibili: α e −α Date due orientazioni α = h1 ∧ . . . ∧ hr e β = h01 ∧ . . . ∧ h0r di un dato sottospazio r-dimensionale P , come si fa a riconoscere se esse sono concordi o discordi? Poich´e, per il corollario 4.11.12, α|2N,r = hα α, β iN,r = det{hhi , h0j iN }, ±1 = ±|α le due orientazioni coincidono se det{hhi , h0j iN } = 1 e sono opposte se tale determinante vale −1. Esempi 4.11.22 (1) eI = ei1 ∧ . . . ∧ eir `e un’orientazione sullo spazio rdimensionale P generato da ei1 , . . . , eir , in quanto |eI |N,r = 1. (2) Se r = N , si ha P = RN e le due orientazioni sono ±e1...N : possiamo chiamarle positiva e negativa. Se (h1 , . . . , hN ) `e una base ordinata di RN , essa indurr`a l’orientazione positiva se det{hij } > 0, negativa se det{hij } < 0 (ricordiamo che h1 ∧ . . . ∧ hN = det{hij } e1...N ). 518


Volume r-dimensionale di un parallelepipedo Vediamo adesso come definire la nozione di volume r-dimensionale sui parallelepipedi r-dimensionali di RN . Sia K il parallelepipedo di vertice x0 ∈ RN , generato da r vettori h1 , . . . , hr : ( ) r X K = x = x0 + λi hi , 0 ≤ λi ≤ 1 . i=1

Definizione 4.11.23 Il volume r-dimensionale di K `e il numero non negativo vr (K) = |h1 ∧ . . . ∧ hr |N,r . Per giustificare questa definizione, osserviamo i seguenti fatti. ` naturale che il volume sia invariante per traslazioni: ed infatti dalla • E definizione segue vr (K) = vr (K − x0 ); si noti che l’insieme K − x0 `e incluso nel sottospazio generato da h1 , . . . , hr . In particolare, non `e restrittivo supporre x0 = 0. • Se i vettori hi sono linearmente dipendenti, allora vr (K) = 0, come `e giusto: infatti in tal caso K `e contenuto in un sottospazio di dimensione minore di r. • Se r = N , allora vN (K) = |h1 ∧ . . . ∧ hN |N,N = | det{hij }| = mN (K), ove mN `e la misura di Lebesgue in RN : ci`o segue dall’osservazione 3.12.12 (1). • Nel caso 1 ≤ r < N , esiste una rotazione T che porta il sottospazio r-dimensionale contenente K nello spazio {x ∈ RN : xj = 0 per j = r + 1, . . . , N }, che possiamo identificare con Rr . Osserviamo che T(K) ⊂ Rr `e il parallelepipedo generato dai vettori Th1 , . . . Thr . La misura di Lebesgue r-dimensionale di T(K) `e data, come sappiamo dall’osservazione 3.12.12 (1), da mr (T(K)) = | det A|, ove A `e la matrice r × r le cui colonne sono formate dalle prime r componenti dei vettori Thi . Pertanto, grazie al corollario 4.11.12, mr (T(K)) = | det{[T hj ]i }|. 519


D’altra parte, poich´e i vettori Thj hanno le ultime N − r componenti nulle, nella somma sX (det{[T hj ]ik })2 |Th1 ∧ . . . ∧ Thr |N,r = +I

tutti gli addendi sono nulli ad eccezione di quello relativo alla r-pla {1, . . . , r}: pertanto mr (T(K)) = | det{[T hj ]i }| = |Th1 ∧ . . . ∧ Thr |N,r . Infine, poich´e T `e un’isometria, dall’esempio 4.11.20 si ha mr (T(K)) = |Th1 ∧ . . . ∧ Thr |N,r = |h1 ∧ . . . ∧ hr |N,r = vr (K), cosicch´e il volume r-dimensionale attribuito a K `e uguale alla misura r-dimensionale che esso ha, dopo aver ruotato opportunamente, come sottoinsieme di Rr . • Come osservazione finale, notiamo che se i vettori h1 , . . . hr sono fra loro ortogonali, risulta vr (K) = |h1 |N · . . . · |hr |N : infatti in tal caso hhi , hj iN = |hi |N · |hj |N · δji , e dunque dal corollario 4.11.12 segue q vr (K) = |h1 ∧ . . . ∧ hr |N,r = det{hhi , hj iN } = q det{|hi |N · |hj |N · δji } = |h1 |N · . . . · |hr |N . 4 = In altre parole, quando K `e un parallelepipedo rettangolo il suo volume `e, come `e giusto, il prodotto delle lunghezze dei lati. Nei paragrafi successivi estenderemo le nozioni di orientazione e di volume r-dimensionale alle variet`a r-dimensionali V ⊂ RN .

520


Vettori e covettori aggiunti Dato un r-vettore α ∈ RN r , vogliamo associare ad esso un (N − r)-vettore, α. che chiameremo aggiunto di α e indicheremo con ∗α Cominciamo con il caso r = N − 1, che `e quello che pi` u ci interesser`a. Possiamo scrivere, per ogni (N − 1)-vettore α , α=

N X

0

α i e i0 ,

i=1

ove abbiamo denotato con i0 la (N − 1)-pla crescente di indici fra 1 e N nella quale manca l’indice i. Ci`o premesso: α `e l’ 1Definizione 4.11.24 Se α `e un (N − 1)-vettore, il suo aggiunto ∗α vettore definito nel modo seguente: (i) ∗0 = 0; (ii) ∗ei0 = (−1)i−1 ei per ogni i = 1, . . . , N ; PN P P i−1 i0 i0 i0 α= N α ei . (iii) se α = N i=1 (−1) i=1 α (∗ei0 ) = i=1 α ei0 , allora ∗α 0

Osserviamo che, essendo (∗α)i = (−1)i−1 αi per ogni indice i, si ha v v u N u N uX uX α|N,N −1 , | ∗ α |N,1 = t [(∗α)i ]2 = t (αi0 )2 = |α i=1

i=1

α `e iniettiva. il che ci dice in particolare che la mappa α 7→ ∗α α `e espresso dalla seguente Il significato geometrico del vettore ∗α Proposizione 4.11.25 Consideriamo un (N −1)-vettore decomponibile α = h1 ∧ . . . ∧ hN −1 . Valgono i seguenti fatti: α `e ortogonale al sottospazio P generato da h1 , . . . , hN −1 ; (i) ∗α α, h1 , . . . , hN −1 } `e una base ordinata di RN che induce (ii) se α 6= 0, allora {∗α α) ∧ h1 ∧ . . . ∧ hN −1 = l’orientazione positiva e1...N , e in particolare (∗α c e1...N con c > 0; (iii) si ha | ∗ α|N,1 = |α|N,N −1 = vN −1 (K), ove K `e il parallelepipedo di vertice 0 generato da h1 , . . . hN −1 . 521


Dimostrazione Se α = 0 allora valgono banalmente (i) e (iii). Se α 6= 0, le tre condizioni (i) h ⊥ P, (ii) {h, h1 , . . . , hN −1 } `e una base ordinata di RN con orientazione e1...N , α|N,N −1 (iii) |h|N = |α α. individuano univocamente un vettore h ∈ RN : proviamo che h = ∗α Sia {h01 , . . . h0N −1 } una base ortogonale ordinata per P : dunque hh0i , h0j iN = 0 per i 6= j. Per il teorema 4.11.14 si ha α = b h01 ∧ . . . ∧ h0N −1 con b 6= 0; sostituendo b h01 a h01 possiamo supporre b = 1, ottenendo α = h01 ∧ . . . ∧ h0N −1 . α, La condizione (i) assicura che hh, h0i iN = 0 per i = 1, . . . , N − 1; quindi h ∧α essendo il prodotto esterno di N vettori ortogonali, per il corollario 4.11.12 verifica α|N,N = |h∧h01 ∧. . .∧h0N −1 |N,N = |h|N ·|h01 |N ·. . .·|h0N −1 |N = |h|N ·|α α|N,N −1 . |h∧α D’altra parte, h ∧ α `e un N -vettore e quindi esiste c ∈ R tale che h ∧ α = c e1...N ; inoltre c > 0 per la condizione (ii). Pertanto α|N,N −1 = |h ∧ α |N,N = |c| = c. |h|N · | ∗ α |N = |h|N · |α Ma con un calcolo diretto si trova anche α= c e1...N = h∧α

N X i,j=1

0

hi αj ei ∧ej 0 =

N X

0

(−1)i−1 hi αi e1...N =

i=1

N X

hi (∗α)i e1...N ,

i=1

P i i αiN . Dunque per i vettori da cui |h|N · | ∗ α|N = c = N i=1 h (∗α) = hh, ∗α α la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz si riduce ad un’uguaglianza: ne h e ∗α segue che essi sono paralleli e concordi. Dato che, per la condizione (iii), |h|N = | ∗ α |N , si conclude che i due vettori coincidono. α|N sia uguale a vN −1 (K) segue da (ii) e dall’ultima osservazione Il fatto che |∗α successiva alla definizione 4.11.23. Una conseguenza della proposizione 4.11.25 `e la seguente: Corollario 4.11.26 Ogni (N − 1)-vettore `e decomponibile. 522


Dimostrazione Sia Îą ∈ RN e nulla da dimostrare. N −1 . Se Îą = 0 non c’` Îą Îą Se 6= 0, poniamo h = âˆ—Îą : allora h 6= 0. Sia P il sottospazio (N − 1)dimensionale ortogonale a h: scelta una base ordinata {h1 , . . . , hN −1 } di P , poniamo β = h1 ∧ . . . ∧ hN −1 . Allora, per costruzione, si ha hh, hi iN = 0 per i = 1, . . . , N − 1. Inoltre, scambiando eventualmente h1 con h2 , possiamo supporre che h ∧ h1 ∧ ¡ ¡ ¡ ∧ hN −1 = c e1...N con c > 0, ed infine, scegliendo β |N,N −1 . Per la opportunamente c, non `e restrittivo supporre che |h|N = |β Îą = h = ∗β β ; ne segue, per iniettivit`a, proposizione 4.11.25, deduciamo che âˆ—Îą Îą = β . Pertanto Îą coincide con l’(N − 1)-vettore decomponibile h1 ∧ . . . ∧ hN −1 . In modo del tutto analogo si definisce l’aggiunto âˆ—Ď‰ di un (N − 1)-covettore 0 ω: si pone ∗0 = 0, ∗ei = (−1)i−1 ei per i = 1, . . . , N , e poi, per linearit`a, (âˆ—Ď‰)i = (−1)i−1 ωi0 ,

i = 1, . . . , N.

Passiamo ora a definire l’aggiunto di un r-vettore, 0 ≤ r ≤ N . Se r = 0, definiamo come 0-vettori le costanti: l’aggiunto di c ∈ R `e l’N -vettore ∗c = c e1...N . Se r = N , l’aggiunto dell’N -vettore c e1...N `e la costante ∗(c e1...N ) = c. Vediamo ora il caso 0 < r < N (che ovviamente comprende anche il caso gi`a visto r = N − 1). Se I `e una r-pla crescente, indichiamo con I 0 la (N − r)-pla crescente tale che I e I 0 non hanno indici comuni. Poniamo I = δI1...N = (−1)pI , 0I ove pI `e il numero di scambi che trasformano I 0 I in {1, . . . .N }. Esempio 4.11.27 Se N = 7 e r = 3, allora 1234567 157 = δ2346157 = (−1)5 = −1,

1234567 367 = δ1245367 = (−1)2 = 1.

Îą deDefinizione 4.11.28 L’aggiunto dell’ r-vettore Îą `e l’ (N − r)-vettore âˆ—Îą finito da 0

(âˆ—Îą)I = ÎąI I

per ogni I = {i1 , . . . , ir } crescente. 523


Si noti che per r = N − 1 si ha I = i0 , I 0 = i e I = (−1)i−1 , per cui si ritrova la definizione gi`a vista. Dalla definizione `e evidente che Îą + β ) = âˆ—Îą Îą + ∗β β, ∗(Îą Îą) ∗(c Îą ) = c(âˆ—Îą

∀c ∈ R,

Îą=0 âˆ—Îą

Îą = 0;

�⇒

N quindi l’operazione ∗ `e un isomorfismo lineare fra RN r e RN −r . Esso conserva i prodotti scalari: infatti per ogni Îą , β ∈ RN r si ha X X X 0 0 Îą, β iN,r , Îą, ∗β β iN,N −r = ÎąI β I = hÎą (âˆ—Îą)I (∗β)I = ( I )2 ÎąI β I = hâˆ—Îą +I

+I

+I

ed in particolare Îą|N,r | ∗ Îą |N,N −r = |Îą

Îą ∈ RN âˆ€Îą r .

Osservazioni 4.11.29 (1) Si ha Îą) = (−1)r(N −r)Îą ∗(âˆ—Îą

Îą ∈ RN âˆ€Îą r .

A questo scopo osserviamo che I I 0 = (−1)r(N −r)

per ogni I = {i1 , . . . , ir } crescente:

infatti I 0 I si trasforma in II 0 con r(N − r) scambi, poich´e ciascun indice di I deve fare N − r scambi per “attraversareâ€? I 0 ; poi servono altri pI scambi per trasformare II 0 in {1, . . . , N }. Ne segue I 0 = (−1)r(N −r)+pI , I = (−1)pI e pertanto I I 0 = (−1)r(N −r) . Di conseguenza 0

(∗ ∗ Îą)I = (âˆ—Îą)I I 0 = ÎąI I I 0 = (−1)r(N −r) ÎąI , come si voleva. (2) Se β `e un (N − r)-vettore e Îą `e un r-vettore, si ha la relazione X X 0 Îą âˆ§Î˛ = Îą I β J eI ∧ eJ = Îą I β I eI ∧ eI 0 = +I,+J

=

X

+I I0

Îą, ∗β β iN,N −r e1...N . ÎąI β I 0 e1...N = hÎą

+I

(3) Si noti che, in conseguenza di (2), β , Îą iN,N −r = hÎą Îą, ∗β β iN,N −r = ∗(Îą Îą ∧ β) = h∗β β ∧ Îą ) = −hβ β , âˆ—Îą ÎąiN,r âˆ€Îą Îą ∈ RN β ∈ RN = − ∗ (β r , ∀β N −r . 524


Il significato geometrico dell’aggiunto di un r-vettore `e analogo a quella del caso r = N − 1: se Îą 6= 0 `e un r-vettore decomponibile (cosa che, per r ∈ {2, N − 2}, in generale non `e garantita, come ci dice l’esercizio 4.11.12), Îą = hr+1 ∧ . . . ∧ hN , ove: allora si ha âˆ—Îą (i) {hr+1 , . . . , hN } `e una base ordinata per il sottospazio P ⊼ ortogonale al sottospazio P generato da h1 , . . . , hr ; (ii) {hr+1 , . . . , hN , h1 , . . . , hr } `e una base ordinata di RN con orientazione e1...N ; Îą|N,r = vr (K), ove K `e il parallelepipedo (iii) |hr+1 ∧ . . . ∧ hN |N,N −r = |Îą generato dai vettori h1 , . . . , hr . La dimostrazione di questi fatti `e analoga a quella della proposizione 4.11.25 e quindi viene omessa. In modo assolutamente simile si definisce l’aggiunto di un r-covettore ω: esso `e l’(N − r)-covettore âˆ—Ď‰ definito da (âˆ—Ď‰)I 0 = ωI I

per ogni I = {i1 , . . . , ir } crescente.

Gli aggiunti di r-covettori godono di propriet`a del tutto analoghe a quelle degli aggiunti di r-vettori.

Il caso N = 3 Vediamo in dettaglio cosa succede quando N = 3. Come sappiamo (osservazione 3.12.12 (2)), il prodotto vettoriale h1 Ă— h2 `e l’unico vettore h ∈ R3 tale che: • h `e nullo se e solo se h1 e h2 sono paralleli; • h `e ortogonale a h1 e h2 ; • se h 6= 0, la terna {h1 , h2 , h} `e una base ordinata di R3 con orientazione e123 ; • detto Ď‘ ∈ [0, Ď€] l’angolo fra h1 e h2 , si ha |h|3 = |h1 |3 ¡ |h2 |3 ¡ sin Ď‘; • dette hij , i = 1, 2, 3, le coordinate dei vettori hj , j = 1, 2, le coordinate di h sono (h21 h32 − h31 h22 , h31 h12 − h11 h32 , h11 h22 − h21 h12 ). 525


Dalla proposizione 4.11.25, o pi` u semplicemente da una verifica diretta, segue che h = h1 × h2 = ∗(h1 ∧ h2 ) ∀h1 , h2 ∈ R3 . Inoltre, per l’osservazione 4.11.29 (2) si ha, per ogni h1 , h2 , h3 ∈ R3 , hh1 × h2 , h3 i3 = h∗(h1 ∧ h2 ), h3 i3 = ∗(h3 ∧ h1 ∧ h2 ) = = ∗(h1 ∧ h2 ∧ h3 ) = ∗(det{hij } e123 ) = det{hij }, cosicch´e ritroviamo la relazione |hh1 × h2 , h3 i3 | = | det{hij }| = v3 (R) ove R `e il parallelepipedo di R3 generato dai vettori h1 , h2 , h3 , risultato che ci era gi`a noto dall’osservazione 3.12.12 (1)-(2). 3 Osservazione 4.11.30 L’area R di una superficie regolare Σ = σ (T ) ⊂ R `e σ u × σ v |3 dudv (definizione 4.8.8); alla luce di stata definita come a(Σ) = T |σ quanto detto poc’anzi, risulta Z σ u ∧ σ v |3,2 dudv. a(Σ) = |σ T

Esercizi 4.11 1. Date due r-ple qualunque I, J, sia δJI = det{δjihk }. Per N = 5, scrivere esplicitamente δJI quando: (i) r = 2, I = {1, 4}, J = {4, 1}; (ii) r = 3, I = {1, 4, 2}, J = {2, 1, 4}; (iii) r = 3, I = {3, 4, 5}, J = {4, 2, 5}; (iv) r = 4, I = {1, 2, 5, 5}, J = {3, 5, 1, 2}. 2. Provare che: (i) δJI = eI (ej1 , . . . , ejr ), (ii) δJI = δIJ , P I H P I H δJ , (iii) δJI = +H δH δJ = r!1 H δH P I H P 1 I I J (iv) e = +J δJ e = r! H δH e . 526


P 3. Si consideri il 3-covettore ω = +J ωJ eJ quando N = 4, ove ω123 = −2, ω134 = 1 e ωJ = 0 per ogni altra terna crescente J. Si calcoli esplicitamente ω(e4 , e1 − e3 , e2 + e3 ). 4. Sia M un’applicazione r-lineare sullo spazio vettoriale V , non necessariamente alternante. Posto X mI = M (ei1 , . . . , eir ), ωI = mJ δIJ , J

provare che ω = M `e alternante.

1 r!

P

I

ωI eI `e r-lineare alternante, e che ω = M quando

5. Elencare gli elementi eJ di (R4r )∗ per r = 1, 2, 3, 4. 6. Per N = 5 calcolare, semplificando il pi` u possibile, (i) (2 e1 − e2 ) ∧ (3 e2 + e3 ), (ii) e21 ∧ e24 , (iii) (e1 − e2 + 3 e3 ) ∧ e215 , (iv) (e23 + e31 ) ∧ (5 e1 − e4 ), (v) e253 ∧ (e14 + e42 ),

(vi)(e2 + e5 ) ∧ e31 ∧ (e5 − e4 ).

7. Provare che se ω, ζ, η sono 1-covettori, allora ω ∧ ζ + ζ ∧ η + η ∧ ω = (ω − ζ) ∧ (ζ − η). 8. Siano η, ζ 1-covettori. Provare che se ω = η ∧ ζ si ha ωij ωk` + ωik ω`j + ωi` ωjk = 0

∀i, j, k, ` ∈ {1, . . . , N }.

[Traccia: si osservi che ωpq = ηp ζq − ηq ζp e si scriva il primo membro come un determinante 3 × 3, nel quale la prima riga (ωij , ωik , ωi` ) `e combinazione lineare delle altre due.] N N 9. Se ω ∈ RN r , ζ ∈ Rs , η ∈ Rt , e se r, t sono dispari, si provi che

ω ∧ ζ ∧ η = −η ∧ ζ ∧ ω. 10. Per N = 4 si calcoli: (i) he1 + e2 , e1 + e2 i∗4,1 ,

(ii) he12 , e34 i∗4,2 ,

(iii) he134 , e431 + 3 e124 i∗4,3 ,

(iv) h(e1 − e4 ) ∧ (e2 + e4 ), (e1 + 2 e4 ) ∧ (e1 − 2 e4 )i4,2 . 527


11. I vettori e1 + e4 , e2 + e5 , e3 + e6 , e1 + e5 , e2 + e6 , e3 + e4 sono una base per R6 oppure no? 12. Provare che: (i) α ∧ α = 0 per ogni r-vettore decomponibile α ; (ii) se α , β sono r-vettori decomponibili, allora ( α ∧ β se r `e pari 2α α + β ) ∧ (α α + β) = (α 0 se r `e dispari; (iii) il 2-vettore e12 + e34 non `e decomponibile. 13. Siano α , β 2-vettori decomponibili e non nulli, e siano P, Q i sottospazi 2-dimensionali da essi individuati. Provare che se P ∩ Q = {0} allora α + β non `e decomponibile, mentre se dim P ∩ Q = 1 allora α + β `e decomponibile e α non `e multiplo di β . 14. Sia L : R2 → R3 definita da L(s, t) = (s − 2t, −s, 2s + 3t). Calcolare: (i) L∗ a, a ∈ (R3 )∗ ;

2 (ii) cij 12 , 1 ≤ i < j ≤ 3; (iii) L2α , α ∈ R2 ;

(iv) L∗2 ω, ω ∈ (R32 )∗ ; (v) L3 e123 ;

(vi) L∗3 e123 .

15. Provare che {e1 − e2 , e2 − e3 } e {3e1 − e2 − 2e3 , 2e1 − e2 − e3 } sono basi ordinate per lo stesso sottospazio di R3 . Le rispettive orientazioni coincidono? 16. Calcolare il volume tri-dimensionale del parallelepipedo di R4 generato dai vettori e1 − e2 , e2 , e3 + 2e4 . 17. Il volume r-dimensionale dell’r-simplesso di vertici x0 , x1 , . . . , xr ( ) r r X X S = x ∈ RN : x = x0 + ti hi , ti ≥ 0, ti = 1, hi = xi − x0 i=1

i=1

`e definito (si veda l’osservazione 3.12.12 (3)) da vr (S) =

1 |h1 ∧ . . . ∧ hr |N,r . r!

Si calcoli: 528


(i) l’area del triangolo in R3 di vertici 0, 3e1 − e2 , e3 − e2 ; (ii) il volume del tetraedro in R4 di vertici 0, e1 − e3 , e2 , e3 + 2 e4 . 18. Sia K il parallelepipedo di vertice 0, generato dai vettori h1 , . . . , hr . Per ogni r-pla crescente I, sia K I = π I (K), ove π I `e la proiezione ortogonale sul sottospazio generato da ei1 , . . . , eir . Si provi che se α = h1 ∧ . . . ∧ hr , allora si ha |αI | = vr (K I ), e quindi sX (vr (K I ))2 . vr (K) = +I

Che cosa accade per N = 3 e r = 1, 2? 19. Sia S l’r-simplesso di vertici x0 , x1 , . . . , xr e sia Si la sua i-sima faccia, cio`e l’(r − 1)-simplesso di vertici x0 , . . . , xi−1 , xi+1 , . . . , xr . Posto α 0 = (x2 − x1 ) ∧ . . . ∧ (xr − x1 ), α i = (x1 − x0 ) ∧ . . . ∧ (xi−1 − x0 ) ∧ (xi+1 − x0 ) ∧ . . . ∧ (xr − x0 ), P ove i = 1, . . . r, si provi che ri=0 (−1)iα i = 0. α = c2 e1 − c1 e2 . 20. Sia N = 2. Posto α = c1 e1 + c2 e2 , si verifichi che ∗α 21. Si verifichi che per 1 ≤ i ≤ N si ha ∗(dx1 ∧ . . . dxi−1 ∧ dxi+1 ∧ . . . ∧ dxN ) = (−1)i−1 dxi . 22. Si provi che α) ∧ β = (−1)r(N −r)α ∧ (∗β β) (∗α

α, β ∈ RN ∀α r .

23. Si provi che per ogni r-vettore α e per ogni r-covettore ω si ha αi∗N,N −r = hω, α i∗N,r . h∗ω, ∗α 24. Sia N = 3. Per a, b ∈ R3 , si calcoli a ∧ b ∧ ∗(a ∧ b). 25. Sia N = 3. Provare che per ogni h1 , h2 , h3 ∈ R3 si ha h1 × (h2 × h3 ) = hh1 , h3 i3 h2 − hh1 , h2 i3 h3 . 26. Sia N = 3. Provare che per ogni h1 , h2 , h3 , h4 ∈ R3 si ha (h1 × h2 ) × (h3 × h4 ) = hh1 × h2 , h4 i3 h3 − hh1 × h2 , h3 i3 h4 . 529


4.12

Misura e integrazione su variet` a

Sia V una variet`a r-dimensionale regolare in RN , o brevemente un r-variet`a. Ci limiteremo a considerare il caso in cui V = G(T ), ove T ⊂ Rr `e tale che esista un aperto A per cui A ⊆ T ⊆ A; supporremo inoltre G iniettiva e di classe C 1 in A, con matrice Jacobiana DG(t) di rango massimo r in ogni punto di A. Vogliamo definire una misura r-dimensionale su V , nonch´e l’integrale rispetto a questa misura. Partiamo dalla nozione di volume rdimensionale di un parallelepipedo (definizione 4.11.23). Sia {e1 , . . . , eN } la base canonica di RN e consideriamo gli r vettori di RN DG(t)ei =

∂G (t), ∂ti

i = 1, . . . r,

essendo t ∈ A un punto fissato. Il numero

∂G ∂G

I(t) = 1 (t) ∧ . . . ∧ r (t)

∂t ∂t N,r rappresenta, come si sa, il volume r-dimensionale del parallelepipedo generato dai vettori ∂G (t), . . . , ∂G (t). Esso `e strettamente positivo in ogni punto ∂t1 ∂tr di A, poich´e la matrice DG(t) ha rango r in A; notiamo che, in particolare, quando r = N la variet`a G(A) `e un aperto di RN e si ha I(t) = |JG (t)|, ove JG `e, per r = N , il determinante della matrice Jacobiana DG. r Sia allora P un plurirettangolo Sm di R che approssimi bene la misura rdimensionale di T ; sar`a P = i=1 Ri , ove gli Ri sono rettangoli r-dimensionali, privi di punti interni comuni, della forma r Y Ri = ti + [0, hji ]. j=1

Le stesse considerazioni svolte nel caso delle superfici, prima della definizione 4.8.8, ci suggeriscono che, sulla base della formula di Taylor, l’unione dei poliedri ) ( r X ∂G j j j Si = G(ti ) + s j (ti ), s ∈ [0, hi ] per j = 1, . . . , r , ∂t j=1 Pm approssimer`a bene la variet`a V , e che quindi la somma a i=1 vr (Si ) sar` una buona approssimazione di ci`o che vogliamo definire, ossia la misura r530


dimensionale di V . Poich´e, d’altra parte,

1 ∂G

r ∂G

vr (Si ) = hi 1 (ti ) ∧ . . . ∧ hi r (ti )

= ∂t ∂t N,r

∂G ∂G = |h1i . . . hri | ·

1 (ti ) ∧ . . . ∧ r (ti )

= ∂t ∂t

N,r

∂G

∂G = mr (Ri )

1 (ti ) ∧ . . . ∧ r (ti )

, ∂t ∂t N,r la quantit`a

Pm

i=1

vr (Si ) `e l’integrale della funzione semplice

m

X

∂G ∂G

IRi (t) ; ϕ(t) =

∂t1 (ti ) ∧ . . . ∧ ∂tr (ti )

N,r i=1 P e pertanto una buona approssimazione dell’integrale il numero m i=1 vr (Si ) ` della funzione I(t) sul plurirettangolo P , e quindi a sua volta una buona R approssimazione dell’integrale T I(t) dt. La dimostrazione di questi fatti ricalca quella della proposizione 4.8.7 e non la ripetiamo. Siamo cos`ı indotti a dare la seguente Definizione 4.12.1 Sia V = G(T ) ⊂ RN una r-variet`a. La misura rdimensionale di V `e il numero non negativo (eventualmente infinito)

Z Z

∂G ∂G

dt. vr (V ) = I(t) dt =

1 ∧ . . . ∧ ∂tr

T T ∂t N,r Similmente, definiamo l’integrale di una funzione rispetto alla misura rdimensionale su V nel modo seguente: Definizione 4.12.2 Sia V = G(T ) una r-variet`a e sia f una funzione reale continua definita su un aperto di RN contenente V . Se [f ◦ G](·) I(·) `e integrabile secondo Lebesgue su T , l’integrale di f su V rispetto alla misura vr `e dato da

Z Z Z

∂G

∂G f dvr = f (G(t)) I(t) dt = f (G(·))

1 ∧ . . . ∧ r

dt. ∂t ∂t N,r V T T

531


Ricordiamo che, per definizione di prodotto esterno e per il corollario 4.11.12, v

uX j 2

∂G

h u ∂G ∂G det I(t) =

1 (t) ∧ . . . ∧ r (t)

= t (t) = i ∂t ∂t ∂t N,r +J s p ∂G ∂G det det [DG(t)]t ¡ [DG(t)]. = (t), (t) = ∂ti ∂tj N ` facile riconoscere che nel caso speciale in cui la variet`a V `e un sottoinsieme E dell’iperpiano r-dimensionale {x ∈ RN : xr+1 = ¡ ¡ ¡ = xN = 0}, allora V `e un insieme misurabile e la sua misura vr (V ) coincide con la misura rdimensionale di Lebesgue mr (V ). Similmente, nei casi r = 1 e r = 2 le formule precedenti si riducono agli usuali integrali curvilinei e superficiali. E in effetti, come nei casi r = 1 e r = 2, si pu`o verificare che tali formule sono invarianti rispetto a cambiamenti di parametri: infatti, se U ⊆ Rr `e un insieme tale che esista un aperto B per cui B ⊆ U ⊆ B, e se Ρ : B → A `e un diffeomorfismo, posto H = G â—Ś Ρ si ha

∂H ∂H

∂s1 (s) ∧ . . . ∧ ∂sr (s) = N,r

" # " r #

r

X kr k1 X Ρ Ρ âˆ‚Ρ âˆ‚G âˆ‚Ρ âˆ‚G

Ρ Ρ (Ρ (s)) r (s) = (Ρ (s)) 1 (s) ∧ . . . ∧ =

k k r 1

∂t ∂s ∂t ∂s kr =1 k1 =1 N,r

ki

X

∂ΡΡ âˆ‚G ∂G

Ρ det =

(s) (ΡΡ (s)) = (Ρ (s)) ∧ . . . ∧

∂sj ∂tk1 ∂tkr +K

N,r

(essendovi un’unica r-pla ordinata K in {1, . . . r})

∂G

∂G

= |JΡ (s)| 1 (ΡΡ (s)) ∧ . . . ∧ r (ΡΡ (s))

; ∂t ∂t N,r dunque per ogni funzione f che verifica i requisiti della definizione 4.12.2 si ha, in virt` u del teorema di cambiamento di variabili,

Z

∂H

∂H f (H(s))

1 (s) ∧ . . . ∧ r (s)

ds = ∂s ∂s B N,r

Z

∂G

∂G

= f (G â—Ś Ρ (s)) |JΡ (s)| 1 (ΡΡ (s)) ∧ . . . ∧ r (ΡΡ (s))

ds = ∂t ∂t B N,r

Z

∂G

∂G = f (G(t))

1 (t) ∧ . . . ∧ r (t)

dt. ∂t ∂t A N,r 532


R Ci`o mostra che l’integrale V f dvr dipende solo dal sostegno V , e non dalla parametrizzazione scelta per descrivere la variet`a. Esso, naturalmente, gode delle usuali propriet`a degli integrali (linearit`a, additivit`a, monotonia, eccetera). Esempio 4.12.3 Sia V = G(T ) una r-variet`a in Rm e sia F : Rm → RN una funzione iniettiva e di classe C 1 . Posto W = F(V ), W `e una r-variet`a in RN e si ha

Z

∂(F ◦ G)

∂(F ◦ G)

vr (W ) = (t) dt =

∂t1 (t) ∧ . . . ∧

∂tr T N,r

Z

∂G ∂G

dt = =

DF(G(t)) · ∂t1 (t) ∧ . . . ∧ DF(G(t)) · ∂tr (t)

T N,r

Z

∂G ∂G

= L (t) (t) ∧ . . . ∧ (t) dt, r

∂t1 ∂tr T N,r N dove Lr (t) : Rm e l’applicazione lineare fra r-vettori, indotta dall’apr → Rr ` plicazione lineare L(t) : Rm → RN data da

L(t)v = DF(G(t))v,

v ∈ Rm .

Orientazione di una variet` a Sia V una r-variet`a. Per ogni x ∈ V , il piano r-dimensionale tangente a V in x `e il traslato dello spazio tangente TV (x), che `e un sottospazio vettoriale. Quest’ultimo, secondo la definizione 4.11.21, ha due possibili orientazioni α(x), ciascuna delle quali `e un r-vettore di norma 1. Vorremmo α (x) e −α orientare gli iperpiani TV (x) in modo “coerente” su V , ossia vorremmo che la funzione α : V → RN r fosse una funzione continua. Definizione 4.12.4 Una r-variet`a V si dice orientabile se esiste una applicazione α : V → RN r continua, tale che α (x) sia un’orientazione per il sottospazio TV (x) qualunque sia x ∈ V . Diremo allora che α `e un’ orientazione per V . Si pu`o dimostrare che una variet`a connessa ha al pi` u due orientazioni; d’altronde, come sappiamo, esistono variet`a non orientabili come il nastro di M¨obius e la bottiglia di Klein (esempi 4.8.5 e 4.8.6). Se r = 1, V `e una curva regolare, si dimostra che essa `e orientabile e la sua orientazione `e fornita da 533


uno dei suoi due versori tangenti. Se r = N , allora V `e un aperto di RN con tutto il suo bordo o una sua parte, e le sue possibili orientazioni sono ±e1...N ; se V `e connesso, la sua orientazione `e costante e diremo che V `e orientato positivamente o negativamente a seconda che essa coincida con e1...N o con α(x) `e definito per −e1...N . Infine, se r = N − 1, allora l’1-vettore ν (x) = ∗α ogni x ∈ V ed `e un versore ortogonale a V in x: la variet`a sar`a orientabile se e solo se l’applicazione x 7→ ν (x) `e continua su V . Esempio 4.12.5 Sia A ⊂ RN un aperto con frontiera di classe C 1 : ci`o significa che per ogni x0 ∈ ∂A esistono un intorno U ed una funzione φ : U → R di classe C 1 , con gradiente mai nullo in U , tale che A ∩ U = {x ∈ U : φ(x) < 0},

∂A ∩ U = {x ∈ U : φ(x) = 0}.

Si noti che questa definizione `e equivalente alla definizione 4.7.1 in virt` u del 1 teorema del Dini. Se l’aperto A ha frontiera di classe C , allora ∂A `e una (N − 1)-variet`a orientabile. Infatti, fissiamo x0 ∈ ∂A e consideriamo, per ogni x ∈ ∂A ∩ U , il versore (sempre ben definito) ν (x) =

∇ φ(x) , ∇φ(x)|N |∇

x ∈ ∂A ∩ U.

Chiaramente esso `e il versore normale esterno a ∂A ∩ U , cio`e ν (x) appartiene allo spazio uni-dimensionale N∂A (x) normale a ∂A, ed in pi` u esiste δx > 0 c tale che x + tνν (x) ∈ A se 0 < t < δx e x + tνν (x) ∈ A se −δx < t < 0. Inoltre ν (x) `e continuo su ∂A ∩ U , dato che φ `e di classe C 1 . Sia ora α (x) α(x) = ν (x), ossia l’(N − 1)-vettore tale che ∗α α (x) = (−1)N −1 ∗ ν (x) : allora α (x) `e un’orientazione per lo spazio tangente T∂A (x), e precisamente quella per cui, data una base ordinata {h1 , . . . , hN −1 } di T∂A (x) tale che α(x) = h1 ∧ . . . ∧ hN −1 , la N -pla di vettori {νν (x), h1 , . . . , hN −1 } ha l’orientazione e1,...,N , vale a dire ν (x) ∧ α (x) = e1,...,N . Dato che ν (x) `e continua, α (x) `e continua su ∂A ∩ U . Poich´e ogni punto x0 ∈ ∂A ha un intorno in cui α `e continua, α `e continua su ∂A e quindi `e un’orientazione per l’intera variet`a ∂A. Diremo che un’orientazione β su ∂A `e l’ orientazione positiva, e β (x) = ν (x) denoteremo con ∂A+ la frontiera orientata positivamente, se ∗β `e il versore normale esterno a ∂A; diremo che β `e l’ orientazione negativa, e β = −νν (x). denoteremo con ∂A− la frontiera orientata negativamente, se ∗β 534


Osservazione 4.12.6 Ogni r-variet`a orientabile della forma V = G(A), ove A `e un aperto di Rr e G `e di classe C 1 con DG di rango massimo r in ogni punto di A, “eredita” un’orientazione, tramite l’applicazione G, a partire da un’assegnata orientazione su A, ad esempio quella positiva determinata da e1...r . Sia infatti x = G(t) un punto di V , e poniamo a(t) =

∂G ∂G (t) ∧ . . . ∧ r (t); 1 ∂t ∂t

allora si ha |a(t)|N,r

∂G ∂G =

1 (t) ∧ . . . ∧ 1 (t)

= I(t) > 0, ∂t ∂t N,r

e quindi l’r-vettore α (x) =

a(t) , |a(t)|N,r

x = G(t) ∈ G(A) = V,

`e un’orientazione per V che si chiama orientazione indotta da G. Esempi 4.12.7 (1) Se r = 1 e V = G[a, b] `e una curva regolare, si ha 0 (t) `e il versore tangente orientato nel verso a(t) = G0 (t), quindi α (x) = |GG0 (t)| N delle t crescenti. p (2) Sia r = 2 e V = {(x, y, z) ∈ R3 : z = 1 − x2 − y 2 ≥ 0}: V `e la semisfera unitaria contenuta nel semispazio z ≥ 0. Usando la parametrizzazione G(ϑ, ϕ) = (sin ϑ cos ϕ, sin ϑ sin ϕ, cos ϑ),

ϑ ∈ [0, π/2], ϕ ∈ [−π, π],

il 2-vettore α (x), con x = G(ϑ, ϕ), `e α (x) =

a(ϑ, ϕ) Gϑ ∧ Gϕ =√ = α12 e12 + α13 e13 + α23 e23 , IG (ϑ, ϕ) EG − F 2

ove per 1 ≤ i < j ≤ 3 si ha αij = det

∂Gi ∂ϑ

∂Gi ∂ϕ

∂Gj

∂Gj

∂ϑ

∂ϕ

! ·√

1 . EG − F 2

ossia α12 =

cos ϑ sin ϑ , sin ϑ

α13 = −

sin2 ϑ sin ϕ , sin ϑ 535

α23 =

sin2 ϑ cos ϕ , sin ϑ


da cui α(x) = cos ϑ e12 − sin ϑ sin ϕ e13 + sin ϑ cos ϕ e23 . α(x), le cui componenti sono ν i (x) = Quindi il versore normale ν (x) = ∗α 0 (−1)i−1 αi (x), `e dato da ν (x) = α23 e1 − α13 e2 + α12 e3 = sin ϑ cos ϕ e1 + sin ϑ sin ϕ e2 + cos ϑ e3 , cio`e ν (x) `e il versore normale diretto verso l’esterno della semisfera. Si noti che la stessa parametrizzazione, con l’ordine dei parametri invertito, d`a luogo all’orientazione opposta (νν (x) diretta verso l’interno), in quanto i tre numeri α12 , α13 , α23 cambiano segno. (3) Se r = N , A e B sono aperti di RN , G : A → B `e un diffeomorfismo, e A ha l’orientazione positiva e1...N , allora `e immediato verificare che B ha orientazione positiva o negativa a seconda che JG sia positivo o negativo in A. (4) Nella situazione descritta dall’esempio 4.12.3, il volume della variet`a W = F(V ), V = G(T ), pu`o essere espresso in modo intrinsecamente legato a V : infatti possiamo scrivere

Z

∂G ∂G

Lr (t) dt = (t) ∧ . . . ∧ (t) vr (W ) =

∂t1 ∂tr T N,r

Z

∂G a(t) ∂G

dt = =

Lr (t) |a(t)|N,r ∂t1 (t) ∧ . . . ∧ ∂tr (t)

T N,r N,r Z Λr (·)(α α)|N,r dvr , = |Λ V

ove Lr (t) e Λ r (x) sono rispettivamente le applicazioni lineari fra r-vettori indotte dalle applicazioni associate alle matrici DF(G(t)) e DF(x), mentre α `e l’orientazione indotta dalla parametrizzazione G di V ; naturalmente il valore dell’integrale non cambia se si sceglie la parametrizzazione opposta. Osservazione 4.12.8 Sia V una r-variet`a di classe C 1 orientabile, dotata di una fissata orientazione β . Se V = G(A), con G iniettiva, di classe C 1 e tale che DG abbia rango r in ogni punto, allora V eredita anche l’orientazione α indotta da G. Per sapere se le due orientazioni coincidono o sono opposte, si osservi che se x = G(t) si ha α (x) =

a(t) a(t) = |a(t)|N,r I(t) 536


ove

X ∂G ∂G a(t) = 1 (t) ∧ . . . ∧ r (t) = det ∂t ∂t +I

∂Gih (t) eI ; ∂tk

ι(x), si ha poich´e β (x) = ¹ι 1 det β (x) = ¹ι (x) = ¹ I(t) I

I

∂Gih (t) ∂tk

per ogni r-pla crescente I. Baster`a dunque calcolare un singolo coefficiente β I e controllare se il suo segno coincide o no con quello di ÎąI . Esempio 4.12.9 Sia 2 3/2 3/2 3 x +y : V = (x, y, z) ∈ R : x ≼ 0, y ≼ 0, x + y ≤ 3, z = 3 V `e una 2-variet`a (`e il grafico di una funzione di classe C 1 ). Orientiamo V in modo che la normale n(x, y, z) abbia la terza componente negativa. Una parametrizzazione di V `e ovviamente quella cartesiana: 2 3/2 3/2 , (x, y) ∈ T, G(x, y) = x, y, x + y 3 ove T = {(x, y) ∈ R2 : 0 ≤ x ≤ 3, 0 ≤ y ≤ 3x}. L’orientazione Îą indotta su V da G `e Îą = |a|aN,r , ove ∂G ∂G ∧ = ∂x ∂y ! G1x G2x = det e12 + det G1y G2y

a =

G1x G3x G1y G3y

! e13 + det

G2x G3x G2y G3y

! e23 =

= e12 + y 1/2 e13 − x1/2 e23 . Quindi il versore normale corrispondente ad Îą `e 3 X 1 0 Îą= −x1/2 e1 − y 1/2 e2 + e3 . ν = âˆ—Îą (−1)i−1 Îąi ei = √ 1+x+y i=1

Dato che ν 3 =

√ 1 , 1+x+y

l’orientazione ι `e opposta a quella attribuita a V . 537


Se V `e una variet`a con bordo, di classe C 1 ed orientabile, dotata di una fissata orientazione α ∈ RN r , vogliamo attribuire al bordo bV un’orientazione α ∈ RN che sia “coerente” con α , in un senso opportuno, come `e stato fatto r−1 prima della dimostrazione del teorema di Stokes (teorema 4.8.14). A questo scopo, fissiamo un aperto U , tale che U ∩ bV 6= ∅, e un’applicazione g di classe C 1 , iniettiva e con Dg di rango massimo, tale che g(B − ) = U ∩ V e g(B0 ) = U ∩ bV , ove B − = {(x0 , xr ) ∈ B(0, 1) : xr ≤ 0} e B0 = {(x0 , xr ) ∈ B − : xr = 0} (dunque, g(t − εer ) ∈ iV per t ∈ B0 ed ε > 0 sufficientemente piccolo). A partire dall’orientazione positiva e1...r di B − la mappa g induce su U l’orientazione β = |a|aN,r , ove a=

∂g ∂g ∧ ... ∧ r; 1 ∂t ∂t

Consideriamo, inoltre, l’orientazione positiva β 0 di B0 : sulla base dell’esempio 4.12.5, dato che il versore normale esterno a B 0 ⊂ ∂B − `e er , tale orientazione deve essere tale che er ∧ β 0 = e1...r , e quindi `e data da β 0 = (−1)r−1 e1...(r−1) . A partire da questa β 0 , la g induce su U ∩ bV b , ove l’orientazione β = |b|N,r−1 b = (−1)r−1

∂g ∂g ∧ . . . ∧ r−1 . 1 ∂t ∂t

Ci`o osservato, definiamo l’orientazione α di U ∩bV a partire dall’orientazione α di V , che pensiamo assegnata a priori. Poniamo β se α = β α= β se α = −β β. −β Cos`ı facendo, otteniamo questo risultato: Proposizione 4.12.10 Nelle ipotesi precedenti, se n(x) `e il versore tangente a V e normale a bV nel punto x ∈ bV ∩ U , diretto verso l’esterno, allora l’orientazione α di V e l’orientazione α di U ∩ bV sono coerenti, nel senso che le due orientazioni n(x) ∧ α e α sono concordi. Dimostrazione Cominciamo con l’osservare che, posto t = g−1 (x), si ha t ∈ B0 , x = g(t) e, dalla definizione di g, ∂g ∂g n(x), i (t) = 0, i = 1, . . . , r−1, n(x), r (t) > 0 ∀x ∈ bV ∩U. ∂t ∂t N N 538


Di conseguenza, possiamo scrivere hr =

∂g (t) = c n(x) + h, ∂tr

con c > 0 e h vettore tangente a bV in x, dunque combinazione lineare dei ∂g vettori ∂t i (t), 1 ≤ i ≤ r − 1. Allora quando α = β si ha, a meno di costanti moltiplicative, n(x) ∧ α = n(x) ∧ β = ∂g ∂g ∂g = (−1)r−1 r (t) ∧ 1 (t) ∧ . . . ∧ r−1 (t) = β = α . ∂t ∂t ∂t β. Analogamente si procede quando α = −β In realt`a la propriet`a espressa dalla precedente proposizione vale in ogni punto di bV , e dunque l’orientazione α sopra costruita `e globale su bV . In particolare, il bordo bV `e una (r − 1)-variet`a orientabile ogni volta che V `e una r-variet`a orientabile con bordo. Osservazione 4.12.11 Nel caso N = r = 2, V `e la chiusura di un aperto A con iV = A e bV = ∂A; in questo caso, l’orientazione su ∂A coerente con l’orientazione positiva e12 di A `e quella in cui il versore tangente τ a ∂A `e orientato in modo da lasciare A alla sia sinistra; in questo caso ∗ττ = ν `e il versore normale esterno ad A e, infatti, ν ∧ τ = e12 .

Esercizi 4.12 1. Calcolare l’area della variet`a 2-dimensionale V = {(x, y, z, w) ∈ R4 : x2 + y 2 = 1, z 2 + w2 = 1}. 2. Sia f : A ⊆ R2 → R2 un’applicazione di classe C 1 e sia V la variet`a 2-dimensionale grafico di f , ossia V = {(x, f (x)) ∈ R4 : x ∈ A}. Si verifichi che, posto f (x) = (h(u, v), k(u, v)), si ha s 2 Z hu hv 2 2 1 + |Dh|2 + |Dk|2 + det dudv. a(V ) = ku kv A 539


3. Si provi la formula di coarea in RN : se A `e un aperto di RN , se F : A → R `e una funzione di classe C 1 e se f : A → R `e una funzione continua e sommabile su A, allora Z Z Z 1 dvN −1 dt. f dx = A R {x∈A: F (x)=t} |DF |N [Traccia: Si imiti la dimostrazione della formula di coarea in R3 (proposizione 4.8.11).] 4. Si calcoli l’area della bottiglia di Klein di equazioni parametriche √  x = ( 3 + 2 cos v) cos u    √   y = ( 3 + 2 cos v) sin u (u, v) ∈ [0, 2π]2 . u  z = 2 sin v cos 2     w = 2 sin v sin u2 , 5. Sia D un aperto di RN e sia Φ : D → Rr un’applicazione di classe C 1 (N > r). Se Φ(x) ha rango r} = V = {x ∈ D : Φ (x) = 0, DΦ 6 ∅, si provi che V `e una (N − r)-variet`a orientabile. 6. Sia G : R3 → R4 definita da G(x, y, z) = (x2 + y 2 , y 2 + z 2 , z 2 + x2 , x2 + y 2 + z 2 ). Posto V = G(B), ove B `e la palla unitaria chiusa di R3 orientata positivamente, si determini la “forma” di V e se ne determini l’orientazione indotta da G. 7. Sia V = {(x, y, z) ∈ R3 : z = ax + by + c, x, y ∈ [0, 1]}, ove a, b, c sono fissati numeri reali. Si calcoli l’area di V e, scelta l’orientazione α di V tale che α12 < 0, si determini l’orientazione di bV che `e coerente con α .

540


4.13

Forme differenziali lineari di grado r

In analogia con le 1-forme, per 1 ≤ r ≤ N possiamo definire sugli aperti di RN le forme differenziali lineari di grado r o, brevemente, le r-forme. Definizione 4.13.1 Una r-forma sull’aperto A ⊆ RN `e un’applicazione ω : ∗ A → (RN r ) , dunque della forma X ω(x) = ωI (x) eI . +I

Diciamo che la r-forma `e di classe C k (k ∈ N) se i coefficienti ωI appartengono allo spazio C k (A). Se r > N , l’unica r-forma `e ω(x) = 0 per ogni x ∈ A. Se r = 0, per convenzione una 0-forma `e una funzione f : A → R. Se r = 1, come sappiamo dal paragrafo 4.6, le 1-forme sono del tipo ω(x) =

N X

i

ωi (x) e =

i=1

N X

ωi (x) dxi ,

i=1

poich´e, come `e noto, hei , hi∗N = hdxi , hi∗N = hi = hh, ei iN

∀h ∈ RN .

Per analogia, scriveremo le r-forme nel modo seguente: ω(x) =

X

ωI (x) dxi1 ∧ . . . ∧ dxir =

+I

1X ωI (x) dxi1 ∧ . . . ∧ dxir . r! I

Se ω `e una r-forma e f `e una 0-forma, il prodotto f ω `e la r-forma (f ω)(x) = f (x) ω(x),

x ∈ A,

mentre se η `e una s-forma, il prodotto esterno ω ∧ η `e la (r + s)-forma X ωI (x) ηJ (x) eIJ . ω ∧ η(x) = ω(x) ∧ η(x) = +I,+J

541


Differenziale esterno Se f `e una 0-forma, cio`e una funzione, ed `e di classe C 1 , il suo differenziale, come abbiamo visto nell’esempio 4.6.1, `e la 1-forma N X ∂f df (x) = (x) dxj . j ∂x j=1

Vogliamo definire il simbolo dω per ogni r-forma ω. Notiamo che se ω `e di classe C 1 allora per ogni r-pla crescente I il coefficiente ωI ha differenziale dωI =

N X ∂ωI j=1

∂xj

(x) dxj .

Definizione 4.13.2 Se ω `e una r-forma di classe C 1 , il differenziale esterno di ω `e la (r + 1)-forma dω data da X X dω(x) = dωI (x) ∧ eI = dωI (x) ∧ dxi1 ∧ . . . ∧ dxir . +I

+I

Esempi 4.13.3 (1) Se r = 1 e ω = N X

PN

i=1

ωi dxi , allora

N X ∂ωi dω(x) = dωi (x) ∧ dx = (x) dxj ∧ dxi = j ∂x i=1 i,j=1 X ∂ωj ∂ωi = (x) − j (x) dxi ∧ dxj . i ∂x ∂x 1≤i<j≤N i

(2) Se r = N , si ha ω(x) = ω1...n (x) e1...N e dω = 0, trattandosi di una (N + 1)-forma. (3) Sia N = 3 e ω(x, y, z) = (2 + x) dx + z 2 dy + x2 y dz. Allora dω(x, y, z) = d(2 + x) ∧ dx + d(z 2 ) ∧ dy + d(x2 y) ∧ dz = = dx ∧ dx + 2z dz ∧ dy + (2xy dx + x2 dy) ∧ dz = = 0 + 2z dz ∧ dy + 2xy dx ∧ dz + x2 dy ∧ dz = = 2xy dx ∧ dz + (x2 − 2z) dy ∧ dz. P (4) Se ω = +I ωI eI `e una r-forma costante (ossia un r-covettore), allora dω = 0. 542


Le principali propriet`a del differenziale esterno sono riunite nella seguente Proposizione 4.13.4 Siano ω, η r-forme e sia ζ una s-forma. Allora: (i) se ω, η sono di classe C 1 si ha d(ω + η) = dω + dη; (ii) se c ∈ R e ω `e di classe C 1 si ha d(c ω) = c dω; (iii) se ω, ζ sono di classe C 1 si ha d(ω ∧ ζ) = dω ∧ ζ + (−1)r ω ∧ dζ; (iv) se ω `e di classe C 2 si ha d2 ω = d(dω) = 0. Dimostrazione Le propriet`a (i) e (ii) sono evidenti per definizione, dato che per i coefficienti si ha, per ogni r-pla crescente I, d(ωI + ηI ) = dωI + dηI ,

d(c ωI ) = c dωI

∀c ∈ R.

Proviamo (iii). Anzitutto, se f `e una funzione di classe C 1 risulta. per tutte le r-ple I, J d[(f eI ) ∧ eJ ] = df ∧ eI ∧ eJ ; infatti se I e J hanno indici in comune si ha d[(f eI ) ∧ eJ ] = d[f (eI ∧ eJ )] = d 0 = 0,

df ∧ eI ∧ eJ = df ∧ 0 = 0,

mentre se non ci sono indici in comune, detto H il riordinamento crescente di IJ ottenuto con p scambi, si ha d[(f eI ) ∧ eJ ] = d[f (eI ∧ eJ )] = d[f (−1)p eH ] = df ∧ (−1)p eH = df ∧ eI ∧ eJ . Siano ora ω, η due r-forme di classe C 1 . Si ha X ω∧η = ωI ηJ eI ∧ eJ , +I,+J

543


da cui X

d(ω ∧ η)(x) =

d[ωI (x) ηJ (x)] ∧ eI ∧ eJ =

+I,+J

=

X

[dωI (x) ηJ (x) + ωI (x) dηJ (x)] ∧ eI ∧ eJ =

+I,+J

=

X

dωI (x) ∧ eI ∧ [ηJ (x) eJ ] + (−1)r [ωI (x) eI ] ∧ [dηJ (x) ∧ eJ ] =

+I,+J

! =

X

dωI (x) ∧ eI

! ∧

+I

X

ηJ (x) eJ

+

+J

! r

+(−1)

X

I

ωI (x) e

! ∧

+I

X

J

dηJ (x) ∧ e

=

+J

= dω ∧ η + (−1)r ω ∧ dη. Proviamo (iv). Se f `e una funzione di classe C 2 , per il teorema di Schwarz si ha ! N X X d2 f (x) = d Di f (x) dxi = [Di Dj f (x)−Dj Di f (x)] dxi ∧dxj = 0; i=1

1≤i<j≤N

quindi, se f `e di classe C 2 e I `e una r-pla crescente, per (iii) si ha d(df (x) ∧ eI ) = (d2 f )(x) ∧ eI + (−1)r df (x) ∧ deI = 0, dato che eI `e una r-forma costante. Ne segue che per ogni r-forma ω di classe C 2 si ha X X d2 ω = d(dωI (x) ∧ eI ) = 0 = 0. +I

+I

Alla proposizione precedente si collega la seguente definizione particolarmente importante. Definizione 4.13.5 Una r-forma ω, definita su un aperto A ⊆ RN , si dice chiusa se `e di classe C 1 e se dω = 0; si dice esatta se possiede una primitiva, ossia esiste una (r−1)-forma η, definita su A e di classe C 1 , tale che dη = ω. Per r = 1 si ritrova la definizione di 1-forma chiusa ed esatta (definizioni 4.6.8 e 4.6.6). Si noti che se ω `e una r-forma esatta di classe C 1 , allora ω `e 544


chiusa: infatti si ha ω = dΡ con Ρ di classe C 2 , e quindi dω = d2 Ρ = 0. Il viceversa non `e vero in generale, come sappiamo gi`a nel caso r = 1 (esempio 4.6.4). Vedremo nel seguito una condizione geometrica su A che assicura la validit`a del viceversa.

Pull-back di una r-forma Sia B ⊆ Rm un aperto, e sia g : B → RN un’applicazione di classe C 1 . Se A ⊆ RN `e un aperto contenente l’immagine di g e se ω(x) `e una rforma definita in A, esiste un’opportuna r-forma definita su B, la quale corrisponde alla forma ω calcolata nelle variabili x = g(t): essa si ottiene formalmente sostituendo g(t) al posto della x e dg i (t) al posto dei differenziali dxi . Vediamone la definizione e le propriet`a. Definizione 4.13.6 Siano B un aperto di Rm , A un aperto di RN e g : B → A un’applicazione di classe C 1 . Se ω `e una r-forma definita su A, r ≼ 1, la trasformata o pull-back di ω secondo g `e la r-forma g# ω, definita su B nel modo seguente: X g# ω(t) = ωI (g(t)) dg i1 (t) ∧ . . . ∧ dg ir (t). +I

Se r = 0, il pull-back g# f della 0-forma f `e la 0-forma f â—Ś g. Osservazione 4.13.7 Vediamo come agisce il pull-back g# ω: se ω(x) = P i1 ir allora, ponendo per ogni coppia I, J di r-ple +I ωI (x) dx ∧ . . . ∧ dx crescenti ih ∂g I gJ (t) = det (t) , ∂tjk se x = g(t) si ha, per le proposizioni 4.13.4 e 4.13.9, X g# ω(t) = ωI (g(t))gJI (t)eJ . +I,+J

In particolare, se r = m ≤ N vi `e un’unica m-pla crescente J e quindi si ha ih X ∂g # (t) dt1 ∧ . . . ∧ dtm . g ω(t) = ωI (g(t)) det j ∂t +I

545


Osservazione 4.13.8 Usando l’applicazione lineare fra r-covettori L∗r (t), aggiunta dell’applicazione fra r-vettori Lr (t) indotta da L(t) = DG(t), l’azione del pull-back g# ω si pu`o scrivere nel modo seguente: se x = g(t), allora per ogni h1 , . . . , hr ∈ Rm si ha hg# ω(t), h1 ∧ . . . ∧ hr i∗m,r = X = ωI (g(t))hdg i1 (t) ∧ . . . ∧ dg ir (t), h1 ∧ . . . ∧ hr i∗m,r = +I

=

X

=

X

=

X

=

X

ωI (g(t)) det{hdg ih (t), hj i∗m } =

+I

∇g ih (t), hj im } = ωI (g(t)) det{h∇

+I

ωI (g(t)) det{heih , Dg(t)(hj )i∗N } =

+I

ωI (g(t))heI , Dg(t)(h1 ) ∧ . . . ∧ Dg(t)(hr )i∗N,r =

+I

= hω(g(t)), L(h1 ) ∧ . . . ∧ L(hr )i∗N,r = = hω(g(t)), Lr (h1 ∧ . . . ∧ hr )i∗N,r , ossia g# ω(t) = L∗r (t)(ω(g(t))),

t ∈ B.

Avendo fissato una funzione g : B → RN di classe C 1 , l’operatore di pull-back ω 7→ g# ω gode delle seguenti propriet`a: Proposizione 4.13.9 Siano B un aperto di Rm , A un aperto di RN , g : B → A un’applicazione di classe C 1 . Allora: (i) g# (ω + η) = g# ω + g# η # per tutte le r-forme ω, η definite su A; (ii) g# (c ω) = c g# ω per ogni c ∈ R e per ogni r-forma ω definita su A; (iii) g# (ω ∧ ζ) = g# ω ∧ g# ζ per tutte le r-forme ω e s-forme ζ definite su A; (iv) g# (df ) = d(f ◦ g) per ogni 0-forma f definita su A e di classe C 1 ; (v) se g `e di classe C 2 , si ha d(g# ω) = g# (dω) per ogni r-forma ω definita su A e di classe C 1 . 546


Dimostrazione Le propriet`a (i) e (ii) sono evidenti per linearit`a. Proviamo (iii). Si ha g# (ω ∧ ζ)(t) = X = ωI (g(t))ζI (g(t))dg i1 (t) ∧ . . . ∧ dg ir (t) ∧ dg j1 (t) ∧ . . . ∧ dg js (t) = +I,+J

#

" =

X

ωI (g(t))dg i1 (t) ∧ . . . ∧ dg ir (t) ∧

+I

#

" ∧

X

ζJ (g(t))dg j1 (t) ∧ . . . ∧ dg js (t) =

+J #

#

= g ω(t) ∧ g ζ(t). Dimostriamo (iv): df `e una 1-forma, e per ogni t ∈ B si ha hg

#

(df )(t), hi∗m

N X ∂f = (g(t))hdg j (t), him = hd(f ◦ g)(t), hi∗m . j ∂x j=1

Proviamo infine (v). Dalle propriet`a del differenziale esterno (proposizione 4.13.4) si ha, utilizzando il fatto che d2 g i = 0 per i = 1, . . . , N , X d[(ωI ◦ g)(t) dg i1 (t) ∧ . . . ∧ dg ir (t)] = [d(g# ω)](t) = +I

=

Xh

d(ωI ◦ g)(t) ∧ dg i1 (t) ∧ . . . ∧ dg ir (t) +

+I

i +(ωI ◦ g)(t) d[dg (t) ∧ . . . ∧ dg (t) = i1

=

X

=

X

ir

d(ωI ◦ g)(t) ∧ dg i1 (t) ∧ . . . ∧ dg ir (t) = (per (iv))

+I

g# (dωI )(t) ∧ g# (dxi1 ) ∧ . . . ∧ g# (dxir ) = (per (iii))

+I

" = g#

# X

dωI ∧ dxi1 ∧ . . . ∧ dxir (t) = g# (dω)(t).

+I

Esempi 4.13.10 (1) Se N = 3 e r = m = 2 sia (x, y, z) = g(s, t). Allora ! 1 1 g g s t g# (dx ∧ dz) = det ds ∧ dt; 3 gs gt3 547


quindi, se ω = f (·) dx ∧ dz avremo g# ω(s, t) = (f ◦ g)(s, t) det

gs1 (s, t) gt1 (s, t)

!

gs3 (s, t) gt3 (s, t)

ds ∧ dt.

(2) Se r = m = N , si ha ω(x) = f (x) dx1 ∧ . . . ∧ dxN e g# ω(t) = f ◦ g(t) Jg (t) dt1 ∧ . . . ∧ dtN . Si noti l’analogia con la legge che regola il cambiamento di variabili negli integrali multipli, nei quali Jg (t) `e in valore assoluto e l’elemento di volume dx = dx1 . . . dxN non `e orientato; qui Jg (t) compare senza il valore assoluto, dx1 ∧ . . . ∧ dxN rappresenta l’elemento di volume orientato e l’integrale dipende dall’orientazione. Torneremo in seguito su questo punto. P i (3) Sia r = m = 1. Allora ω(x) = N i=1 ωi (x) dx e #

g ω(t) =

N X

ωi (g(t))

i=1

∂g i (t) dt = hω(g(t)), g0 (t)i∗N dt; ∂t

dunque se Γ `e il sostegno della curva g : [a, b] → RN , orientata nel verso delle t crescenti, si ha, ricordando la definizione 4.6.3, Z Z b Z 0 ∗ ω= hω(g(t)), g (t)iN dt = g# ω. Γ

[a,b]+

a

Questa relazione spiega perch´e la forma g# ω viene chiamata pull-back di ω secondo g: infatti “pull-back” `e un termine militare che significa “ripiegamento”, e per l’appunto la formula precedente costituisce un “ripiegamento” dall’integrale di ω sulla curva Γ = g[a, b] all’integrale di g# ω su [a, b]. Nel seguito generalizzeremo questa formula al caso di integrali di r-forme su r-variet`a orientate.

Aggiunta di una r-forma Se ω `e una r-forma definita su un aperto A ⊆ RN , la sua aggiunta `e la (N − r)-forma ∗ω definita da (∗ω)(x) = ∗(ω(x))

∀x ∈ A.

In altre parole, l’aggiunta della r-forma ω `e la (N − r)-forma il cui valore in ogni punto x `e l’aggiunto dell’r-covettore ω(x). Nel caso r = N − 1 `e particolarmente importante il seguente 548


Esempio 4.13.11 Sia ω una (N − 1)-forma di classe C 1 : allora dω `e una N -forma, dunque del tipo dω(x) = f (x) dx1 ∧ . . . ∧ dxN . Vogliamo determinare la f . Sia ζ = ∗ω: ζ `e una 1-forma e, ricordando la definizione 4.11.24, si ha ζi (x) = (−1)i−1 ωi0 (x),

i = 1, . . . , N.

Introduciamo la divergenza della 1-forma ζ, ossia la funzione N X ∂ζi (div ζ)(x) = (x), ∂xi i=1

x ∈ A;

si vede facilmente allora che f = div ζ. Infatti dω(x) =

N X

i0

d(ωi0 (x) e ) =

i=1

=

0

dωi0 (x) ∧ ei =

i=1

N X N X ∂ωi0 i=1 j=1

N X

∂xj 1

j

i0

(x) e ∧ e =

N X ∂ωi0

∂xi

i=1

(x) (−1)i−1 e1...N =

N

= div ζ(x) dx ∧ . . . ∧ dx . In definitiva, per ogni (N − 1)-forma ω si ha ∗dω = div(∗ω). Osservazione 4.13.12 Ancora una volta vediamo cosa accade nel caso particolare N = 3. Se ω `e una 1-forma definita su un aperto A ⊆ R3 , ω(x, y, z) = ω1 (x, y, z)dx + ω2 (x, y, z)dy + ω3 (x, y, z)dx, il rotore di ω `e la 1-forma rot ω = ∗dω; dunque (rot ω)i = (∗dω)i = (−1)i−1 (dω)i

549

0

i = 1, 2, 3.


Poich´e ∂ω2 ∂ω1 dω = dω1 ∧ dx + dω2 ∧ dx + dω3 ∧ dx = − 2 dx1 ∧ dx2 + ∂x1 ∂x ∂ω3 ∂ω2 ∂ω3 ∂ω1 1 3 dx ∧ dx + + − − 3 dx2 ∧ dx3 , ∂x1 ∂x3 ∂x2 ∂x 1

2

3

otteniamo l’espressione del rotore che ci `e ben nota dalla fisica: ∂ω3 ∂ω2 ∂ω3 ∂ω1 ∂ω2 ∂ω1 1 2 rot ω = − 3 dx − − 3 dx + − 2 dx3 . ∂x2 ∂x ∂x1 ∂x ∂x1 ∂x Notiamo infine che, tenuto conto dell’esempio 4.13.11, per ogni 1-forma ω di classe C 1 su un aperto di R3 si ha ˜ ˜ div rot ω = d(rot ω) = d(∗dω) = ∗d(dω) = ∗0 = 0.

Esercizi 4.13 1. Determinare il differenziale esterno delle seguenti forme differenziali in R3 : (i) x2 y dy − xy 2 dz,

(ii) sin(xy 2 ) dx ∧ dz,

(iii) x dy ∧ dz + y dx ∧ dz + z dx ∧ dy, (iv) (x2 + z 2 ) dx. 2. Determinare una (N − 1)-forma ζ, di classe C 1 in RN , tale che dζ(x) = dx1 ∧ . . . ∧ dxN . 3. Trovare una (r − 1)-forma ω, di classe C 1 in RN , tale che dω(x) = eI , ove I `e una r-pla crescente fissata. Dedurre che ogni r-covettore `e una r-forma esatta in RN . 4. (i) Provare che se ω, ζ sono r-forme chiuse di classe C 1 , anche ω ∧ ζ `e chiusa. (ii) Provare che se ω `e chiusa e ζ `e esatta, allora ω ∧ ζ `e esatta. 5. Determinare il differenziale esterno delle seguenti r-forme di classe C 1 : (i) dω ∧ ζ − ω ∧ dζ,

(ii) dω ∧ ζ ∧ η + ω ∧ dζ ∧ η + ω ∧ ζ ∧ dη. 550


6. Sia f un fattore integrante nell’aperto A ⊆ RN per la 1-forma ω, ossia una funzione mai nulla in A tale che f ω sia una 1-forma chiusa in A; provare che ω ∧ dω = 0. 7. Sia N = 2. Fissate due funzioni M, N di classe C 1 , provare che: (i) ∗(M dx+N dy) = N dx−M dy, (ii) ∗d(N dx−M dy) = −(Mx +Ny ). 8. Sia N = 3 e siano P, Q, R funzioni di classe C 1 . Posto ω = P dy ∧ dz + Q dz ∧ dx + R dx ∧ dy, si provi che ∗ω = P dx + Q dy + R dz, dω = (Px + Qy + Rz ) dx ∧ dy ∧ dz. 9. Sia A un aperto di RN , sia f ∈ C 1 (A) e sia ω una 1-forma di classe C 1 definita in A. Provare che: N X ∂ 2f (i) div (df ) = ∆f = , ∂(xi )2 i=1 (ii) div (f ω) = f div ω + hdf, ωiN,1,∗ .

(L’operatore ∆, gi`a introdotto nell’esercizio 4.7.5, si chiama operatore di Laplace). 10. Siano N = m = 3 e poniamo g(s, t, u) = (s cos t, s sin t, u). Calcolare (i) g# (f dx ∧ dy ∧ dz),

(ii) g# (x dy ∧ dz).

11. Provare che se ω `e una 2-forma di classe C 1 in RN , allora X ∂ωij ∂ωjk ∂ωki dω = + + dxi ∧ dxj ∧ dxk . k i j ∂x ∂x ∂x 1≤i<j<k≤N 12. Sia N = 3. Se ζ, ω sono 1-forme, definiamo la 1-forma ζ × ω = ∗(ζ ∧ ω). Si provi che se ζ e ω sono di classe C 2 e chiuse, allora div (ζ × ω) = 0. 551


13. Sia N = 3 e sia A un aperto di R3 . Se f ∈ C 2 (A) e ω, ζ sono 1-forme di classe C 2 su A, provare che (i) rot (f ω) = f rot ω + df × ω, (ii) rot (f df ) = 0; (iii) rot (ζ × ω) = ∗d[∗(ζ ∧ ω)]; P (iv) rot (rot ω) = d(div ω) − 3i=1 ∆ωi dxi ; (v) hζ, (∗dω)i3,1,∗ = ∗(ζ ∧ dω); (vi) hζ, rot ωi3,1,∗ − hω, rot ζi3,1,∗ = div (ω × ζ).

4.14

Integrazione di r-forme su r-variet` a orientate

Sia V una r-variet`a della forma V = G(T ), con T sottoinsieme di Rr tale che esista un aperto A con A ⊆ T ⊆ A, e con G : T → RN di classe C 1 tale che I(t) > 0 per ogni t ∈ A. Supponiamo che V sia orientabile, e che la sua orientazione α sia quella indotta da G nel modo descritto nell’osservazione 4.12.6: dunque per x = G(t) si ha α (x) =

a(t) , I(t)

a(t) =

∂G ∂G (t) ∧ . . . ∧ r (t). 1 ∂t ∂t

Definizione 4.14.1 Sia B ⊆ A un compatto e sia D = G(B). Se ω `e una r-forma di classe C 0 su D, l’ integrale di ω su Dα , ossia sull’insieme D orientato mediante α , `e il numero reale Z Z ω = hω(x), α (x)i∗N,r dvr . Dα

D

Osserviamo che l’integrale a destra `e quello introdotto nella definizione 4.12.2, ed ha senso perch´e x 7→ hω(x), α (x)i∗N,r `e una funzione continua sul compatto

552


D. Si ha dunque Z Z Z ∗ ω = hω(G(t)), Îą (G(t))iN,r I(t) dt = hω(G(t)), a(t)i∗N,r dt = DÎą B B ih Z X ∂G = ωI (G(t)) det (t) dt = ∂tk B +I Z X = ωI (G(t))hdGi1 (t) ∧ . . . dGir (t), e1...r i∗r,r dt = B +I

Z

#

hG

=

ω(t), e1...r i∗r,r

Z

G# ω ,

dt = B+

B #

ove G ω `e il pull-back di ω secondo G introdotto nella definizione 4.13.6 e B + `e orientato secondo e1...r . Questa relazione generalizza quella ottenuta nel caso r = 1 nell’esempio 4.13.10 (3). Esempi 4.14.2 (1) Quando r = 1, ritroviamo l’usuale integrale curvilineo di 1-forme: se Γ = G[a, b] `e orientata nel verso delle t crescenti, Z Z bX N ω= ωi (G(t))(Gi )0 (t) dt. Γ+

a

i=1

p (2) Sia r = 2 e sia V la semisfera di R3 di equazione z = 1 − x2 − y 2 . Se f ∈ C 0 (V ), e Îą (x) `e l’orientazione corrispondente alla normale diretta verso l’esterno di V , utilizzando le coordinate sferiche si ha, ricordando l’esempio 4.12.7 (2), Z Z Ď€ Z Ď€/2 f dx ∧ dy = f (cos Ď• sin Ď‘, sin Ď• sin Ď‘, cos Ď‘) Îą12 (Ď‘, Ď•) dĎ‘dĎ• = VÎą

âˆ’Ď€ Ď€

Z

0

Z

=

Ď€/2

f (cos Ď• sin Ď‘, sin Ď• sin Ď‘, cos Ď‘) cos Ď‘ sin Ď‘ dĎ‘dĎ•. âˆ’Ď€

0

(3) Per r = N si ottiene una “precisazioneâ€? dell’usuale formula del cambiamento di variabili: sia ω(x) = f (x) dx1 ∧ . . . ∧ dxN , supponiamo che B sia orientato positivamente, e scegliamo per D = G(B) l’orientazione positiva; dall’esempio 4.12.7 (3) sappiamo che questa orientazione su D `e quella indotta da G se JG > 0, mentre `e l’opposta se JG < 0. Nel primo caso si ha Z Z Z Z ∗ f (x) dx = f (G(t))JG (t) dt, ω = hω(x), e1...N iN,N dvN = D+

D

D

553

B


mentre nel secondo caso risulta Z Z Z Z ∗ ω = hω(x), e1...N iN,N dvN = f (x) dx = − f (G(t))JG (t) dt. D+

D

D

B

In entrambi i casi, ovviamente, ritroviamo l’abituale relazione Z Z f (x) dx = f (G(t))|JG (t)| dt. D

B

(4) Calcoliamo l’integrale Z ω, Σα

ove ω `e una 2-forma e Σ = {(x, y, z) ∈ R3 : ax + by + cz = 0, x2 + y 2 + z 2 ≤ 1} (con a, b, c non tutti nulli). Dunque la superficie Σ `e l’intersezione tra la palla unitaria di R3 ed il piano per l’origine perpendicolare al vettore w = (a, b, c), ed `e orientata secondo l’orientazione assegnata α : sar`a dunque w α = ± ∗ |w| . Per parametrizzare Σ `e utile determinare due vettori u, v tali 3 che la terna (u, v, w) sia una base ortogonale di R3 orientata positivamente, w con C > 0. Si pu`o scrivere allora Σ = g(B), ove da cui u ∧ v = C ∗ |w| 3 g(s, t) = s

v u +t , |u|3 |v|3

(s, t) ∈ B = {(s, t) ∈ R2 : s2 + t2 ≤ 1}.

Pertanto, se denotiamo con α l’orientazione su B dalla quale viene indotta su Σ, mediante g, l’orientazione assegnata α , otteniamo che l’integrale proposto vale Z Z Z # ω= g ω = ± hω(g(s, t)), u ∧ vi∗2,2 dsdt. Σα

B

Per esempio, se ω = x2 dx ∧ dy + z 2 dx ∧ dz + y 2 dy ∧ dz ed a = 2, b = 1, c = 1, possiamo scegliere u = (−1, 0, 2) e v = (2, −5, 1), da cui u ∧ v = 5 e12 − 5e13 + 10 e23 ; supposto ad esempio che u ∧ v sia un multiplo positivo di α, si ha Z Z ω = [5(−s + 2t)2 − 5(−5t)2 + 10(2s + t)2 ]dsdt Σα

B

e passando in coordinate polari, con facili calcoli si trova

554

R

Σα

ω=

45 2

π.


Il teorema della divergenza in RN Sia D ⊆ RN un aperto limitato con frontiera di classe C 1 . Se D `e orientato positivamente, allora la normale esterna a ∂D (che `e una (N − 1)-variet`a di classe C 1 ) ne determina l’orientazione positiva, come illustrato nell’esempio 4.12.5. Vale allora il seguente Teorema 4.14.3 (della divergenza) Sia D ⊆ RN un aperto limitato con frontiera di classe C 1 . Allora per ogni (N − 1)-forma ω di classe C 1 su D si ha Z Z ω= dω. ∂D+

D+

Prima di provare il teorema facciamo qualche considerazione. Osservazioni 4.14.4 (1) Il risultato vale anche se ∂D `e unione finita di variet`a C 1 che si intersecano in sottovariet`a (N − 2)-dimensionali: ad esempio D potrebbe essere la parte interna di un cubo N -dimensionale. Per semplicit`a, proveremo il teorema nel caso pi` u restrittivo in cui ∂D `e di classe C 2 (definizione 4.7.1). Il caso generale segue per approssimazione, seguendo quanto esposto nell’osservazione 4.8.15 (1). (2) Se N = 2, il teorema si riduce alle formule di Gauss-Green (teorema 4.7.4). Infatti l’orientazione positiva di ∂D `e quella per cui la coppia (νν (x), τ (x)) (νν versore normale esterno, τ versore tangente a ∂D) verifica ν (x) ∧ τ (x) = c(x)e12 con c(x) > 0; ci`o corrisponde, come sappiamo dall’osservazione 4.8.15 (2), a stare con i piedi su ∂D, immersi in R3 con la testa dalla parte di e3 , e a percorrere ∂D nel verso che lascia i punti di D a sinistra. Per una fissata 1-forma ω = M dx + N dy, il teorema dice che Z Z Z (M dx + N dy) = ω= dω = + + ∂D+ ∂D D Z Z = (Nx − My ) dx ∧ dy = (Nx − My ) dxdy, D+

D

e questo `e precisamente ci`o che ci forniscono le formule di Gauss-Green. (3) Se N = 1 ci si riduce al teorema fondamentale del calcolo integrale. Infatti D =]a, b[, ∂D = {a, b}, la “normale esterna” `e il numero 1 nel punto b e il numero −1 nel punto a; per la 0-forma ω = f , ove f : [a, b] → R `e una funzione di classe C 1 , si ha allora Z Z Z b 0 dω = ω = f (b) · (+1) + f (a) · (−1) = f (b) − f (a). f (x) dx = a

D+

∂D+

555


(4) Il nome “teorema della divergenza” deriva da una diversa ma equivalente formulazione. Sia ζ una 1-forma su D di classe C 1 , e sia ω la (N − 1)-forma tale che ∗ω = ζ. Allora, indicata con α l’orientazione positiva di ∂D, si ha α = ν (versore normale esterno); quindi ∗α α(x)i∗N,1 = hζ(x), ν (x)i∗N,1 , hω(x), α (x)i∗N,N −1 = h∗ω(x), ∗α e poich´e, per l’esempio 4.13.11, dω(x) = div ζ(x) dx1 ∧ . . . ∧ dxN , otteniamo Z

Z

div ζ dx1 ∧ . . . ∧ dxN = + Z Z ZD hζ, ν i∗N,1 dvN −1 . ω= dω = =

div ζ dx = D

D+

∂D+

∂D

Sostituendo all’1-covettore ζ il corrispondente 1-vettore ζ che ha le stesse coordinate, si ricava allora Z Z hζζ , ν iN dvN −1 = div ζ dx. ∂D

D

Questa relazione `e il motivo della denominazione del teorema. Per provare il teorema della divergenza occorre un risultato preliminare. Lemma 4.14.5 Sia ζ una 1-forma di classe C 1 su RN a supporto compatto, ossia con coefficienti nulli al di fuori di un compatto K ⊂ RN . Allora: Z (i) div ζ dx = 0; RN

(ii) detto H il semispazio {x = (x0 , xN ) ∈ RN : xN < 0}, si ha Z Z div ζ dx = ζN (x0 , 0) dvN −1 . H

∂H

Dimostrazione (i) Integrando dapprima rispetto alla variabile xi , e posto 0 xi = (x1 , . . . , xi−1 , xi+1 , . . . , xN ), si ha Z +∞ Z Z ∂ζi i ∂ζi i0 dx = dx dx = i i RN −1 −∞ ∂x RN ∂x Z +∞ 0 = ζi (x1 , . . . , xi−1 , t, xi+1 , . . . , xN ) −∞ dxi = 0, RN −1

556


da cui, per definizione di divergenza di una 1-forma, sommando su i si ricava Z div ζ dx = 0. RN

(ii) Se 1 ≤ i ≤ N − 1, ragionando come in (i), si ricava Z ∂ζi dx = 0. i H ∂x Se i = N , integrando dapprima rispetto a xN si ha Z Z 0 Z ∂ζN ∂ζN N dx = dx dx0 = N N ∂x ∂x H Z Z∂H −∞ 0 0 0 ζN (x0 , 0) dvN −1 ; [ζN (x , t)]−∞ dx = = ∂H

∂H

sommando fra 1 e N si ottiene la tesi del lemma 4.14.5. Dimostrazione del teorema 4.14.3 Proviamo anzitutto che per ogni x0 ∈ D esiste un intorno U0 tale che per ogni (N − 1)-forma ω con supporto contenuto in U0 si ha Z Z ω= ∂D+

dω. D+

R Se x0 ∈ D, la cosa `e facile: scelto U0 ⊆ D, avremo R ∂D+ ω = 0 in quanto ω(x) = 0 per x ∈ ∂D; d’altronde anche l’integrale D+ dω `e nullo poich´e, ricordando l’esempio 4.13.11, Z Z dω = dω = (RN )+ D+ Z Z 1 N = div (∗ω) dx ∧ . . . ∧ dx = div (∗ω) dx = 0, (RN )+

RN

ove l’ultimo passaggio `e conseguenza del lemma 4.14.5 (i). Se x0 ∈ ∂D, la dimostrazione `e meno facile. Scelto un intorno U di x0 in RN , osserviamo che per ipotesi, pur di rimpicciolire opportunamente U , esiste ϕ : U → R, di classe C 2 , tale che ∇ ϕ(x) 6= 0 in U e U ∩ D = {x ∈ U : ϕ(x) < 0},

U ∩ ∂D = {x ∈ U : ϕ(x) = 0}.

557


Andiamo a costruire un diffeomorfismo f : U → RN tale che Jf (x) 6= 0 in U ed inoltre f (U ∩ D) ⊆ H = {x ∈ RN : xN < 0},

f (U ∩ ∂D) ⊆ ∂H.

Se il versore normale esterno a D verifica ν N (x0 ) 6= 0 allora, osservando che ∇ ϕ(x) ν (x) = |∇ ∇ϕ(x)|N , basta definire f (x) = (x1 , . . . , xN −1 , ϕ(x)) per soddisfare entrambe le richieste quando U `e sufficientemente piccolo.

Se invece ν N (x0 ) = 0, fissiamo una rotazione L : RN → RN tale che L(νν (x0 )) abbia la sua N -sima componente non nulla. Allora il punto y0 = L(x0 ) appartiene al bordo dell’aperto L(D), e nel suo intorno L(U ) `e definita la funzione φ = ϕ ◦ L−1 , la quale verifica L(U ∩ D) = {y ∈ L(U ) : φ(y) < 0},

L(U ∩ ∂D) = {y ∈ L(U ) : φ(y) = 0},

ed inoltre, detto n(y) il versore normale esterno nei punti di ∂L(D), ∂φ ∇φ(y0 )|N nN (y0 ) 6= 0. (y0 ) = |∇ ∂y N Posto Φ (y) = (y 1 , . . . , y N −1 , φ(y)), la mappa Φ `e un diffeomorfismo tale che JΦ (y) 6= 0 in L(U ), se U `e sufficientemente piccolo. Ne segue che f = Φ ◦ L `e un diffeomorfismo con le propriet`a richieste. Poniamo g = f −1 : notiamo che g `e di classe C 2 . Denotiamo con α l’orientazione su H che d`a luogo, tramite il diffeomorfismo g, all’orientazione positiva 558


su D∩U . Allora, in base alla proposizione 4.12.10, visto che il versore normale esterno a H `e eN , l’orientazione α su ∂H, tale che eN ∧ α = α, `e coerente con α e dar`a luogo, tramite g, all’orientazione positiva su ∂D ∩ U . α = c eN , con |c| = 1. Si noti che, in particolare, da eN ∧ α = α segue che ∗α Ne segue α ∧ α = c eN ∧ α = c α , e1...N = ∗α α) = c = sgn(α α). da cui sgn(α Ci`o premesso, sia U0 un intorno di x0 ∈ ∂D con U0 ⊆ U e consideriamo per adesso il caso di una (N − 1)-forma ω con supporto contenuto in U0 . Utilizzando la definizione e le propriet`a del pull-back secondo g, nonch´e la definizione di divergenza di una 1-forma, si ha Z Z Z Z Z # # dω = g (dω) = g (dω) = d(g# ω) = dω = + α α α + (U ∩D) [f (U0 ∩D)] H H D Z 0 Z α) = div (∗g# ω) dx1 ∧ . . . ∧ dxN = sgn(α div (∗g# ω) dx. Hα

H

D’altra parte, si ha anche Z Z Z Z # ω= ω = g ω= g# ω = [f (U0 ∩∂D)]α (U0 ∩∂D)+ ∂H α ∂D+ Z Z # ∗ 0 αi∗N,1 dx0 = hg ω, α iN,N −1 dx = h∗g# ω, ∗α = ∂H ∂H Z Z # 0 0 α) α) = sgn(∗α (∗g ω)N (x , 0) dx = sgn(α (∗g# ω)N (x0 , 0) dx0 , ∂H

∂H

e per il lemma 4.14.5 (ii), grazie alla coerenza fra α e α , si conclude che Z Z Z Z # # 0 0 α) div (∗g ω) dx = sgn(α α) dω = sgn(α (∗g ω)N (x , 0) dx = ω. D+

H

∂H

∂D+

La tesi del teorema 4.14.3 `e dunque provata nel caso in cui la (N − 1)-forma abbia supporto compatto e sufficientemente piccolo. Per passare al caso generale ricopriamo il compatto D con un numero finito di intorni U1 , . . . , Uk per i quali valga la relazione Z Z dω = ω D+

∂D+

per ogni (N − 1)-forma ω, di classe C 1 , avente supporto contenuto in uno degli Uj . Sia {φj }1≤j≤k una partizione dell’unit`a associata al ricoprimento 559


{Uj } (proposizioni 3.13.22 e 3.13.23). Se ω `e un’arbitraria (N − 1)-forma di classe C 1 in D, avremo Z Z Z φj ω = d(φj ω) = (dφj ∧ ω + φj dω), 1 ≤ j ≤ k, ∂D+

D+

D+

perch´e il supporto di φj ω `e contenuto in Uj . Ma essendo Pk j=1 dφj ≡ 0, e quindi Z ω= ∂D+

k Z X j=1

∂D+

φj ω =

k Z X j=1

d(φj ω) =

D+

k Z X j=1

Pk

j=1

φj ≡ 1, si ha

Z φj dω =

D+

dω, D+

e ci`o conclude la dimostrazione del teorema della divergenza.

Formula di Stokes per r-variet` a Il teorema della divergenza pu`o essere generalizzato al caso in cui l’aperto D ⊂ RN `e rimpiazzato da una r-variet`a orientata V e la frontiera ∂D dal bordo bV della variet`a, anch’esso convenientemente orientato, mentre la forma ω da integrare `e di grado r − 1 anzich´e N − 1. Ricordiamo che se n(x) `e il versore tangente a V e normale a bV nel generico punto x ∈ bV , diretto verso l’esterno, allora l’orientazione positiva α di V e l’orientazione positiva α di bV verificano, grazie alla proposizione 4.12.10, n(x) ∧ α (x) = c α (x) con c > 0. Teorema 4.14.6 (formula di Stokes r-dimensionale) Sia V una r-variet`a con bordo, compatta, orientabile e di classe C 1 in RN , con assegnata orientazione α ; supponiamo che il bordo bV abbia orientazione α coerente con α , e denotiamo tali variet`a orientate con V α e con bV α . Allora se ω `e una (r − 1)-forma di classe C 1 definita su V , si ha Z Z ω. dω = Vα

bV α

Dimostrazione Sulla base della definizione 4.10.6, per ogni x ∈ V esistono un intorno U di x in V ed un omeomorfismo ϕ : U → ϕ (U ) ⊆ B− con inversa di classe C 1 . Per compattezza, esiste un sottoricoprimento finito, di indici i1 , . . . , im , e sia ϕ i il corrispondente omeomorfismo. Fissato h ∈ {1, . . . , m}, 560


supponiamo dapprima che la forma ω abbia supporto contenuto in Uih . Poniamo Wh = ϕih (Uih ), ψ h = ϕ−1 ih e denotiamo con β l’orientazione su Wh dalla quale viene indotta su Uih , tramite ψ h , l’orientazione α ; utilizzando r il pull-back ψ # h ω secondo ψ h , dal teorema della divergenza in R (teorema 4.14.3) segue Z Z dω = ψ# h (dω) = (Uih )α

(Wh )β

Z = (Wh

ψ# d(ψ h ω)

Z = (∂Wh

ψ# h ω.

Ora, se Uih ∩bV = ∅, allora ψ # h ω ha supporto contenuto nell’aperto W h e quinR # di (∂Wh )β ψ h ω = 0; d’altronde anche R l’integrale (Ui ∩bV )α ω `e nullo, essendo h il supporto di ω disgiunto da bV . Pertanto se Uih ∩ bV = ∅ Z

Z dω = 0 =

(Uih )α

ω. (Uih ∩bV )α

Se invece Uih ∩ bV 6= ∅, allora Wh ∩ Γ 6= ∅; in questo caso si ha, dato che il supporto di ψ # e disgiunto da ∂Wh \ Γ e quello di ω `e disgiunto da hω ` b(Uih ∩ V ) \ bV , Z Z Z Z # # ψh ω = ψh ω = ω. dω = (Uih )α

(∂Wh )β

Γβ

(Uih ∩bV )α

Risulta dunque in entrambi i casi, quando il supporto di ω `e incluso in Uih , Z Z dω = ω, h = 1, . . . , m. (Uih )α

(Uih ∩bV )α

Sia ora ω una (r − 1)-forma di classe C 1 arbitraria. Se {φh }1≤h≤m `e una partizione dell’unit`a associata al ricoprimento {Uih }1≤h≤m , possiamo scrivere,

561


essendo

Pm

h=1

Z ω = bV α

= =

dφh = 0, m Z X

φh ω =

α h=1 bV m Z X

m Z X h=1

φh ω =

(Uih ∩bV )α

[dφh ∧ ω + φh dω] = 0 +

α h=1 Uih Z m X

h=1

m Z X h=1

m Z X h=1

d(φh ω) =

Uiα

h

(φh ω) =

Uiα

h

Z φh ω =

ω. Vα

Osservazione 4.14.7 Nel caso N = 3 e r = 2, si ha ω = P (x, y, z)dx + Q(x, y, z)dy + R(x, y, z)dz con P, Q, R funzioni di classe C 1 ; inoltre ∗dω = rot ω (osservazione 4.13.12), α(x, y, z) `e il versore n(x, y, z) normale alla superficie V (osservamentre ∗α zione 4.14.4 (4)). Sia poi τ il versore tangente a bV , con verso coerente con quello di n; in base all’osservazione 4.8.15 (3), un osservatore con i piedi su V e la testa nella direzione di n, che percorra bV nel verso di τ , vedr`a V alla sua sinistra. Allora la formula di Stokes diventa Z Z Z Z ∗ ω= dω = hdω, α i∗3,2 dv2 = hω, τ i3,1 ds = α α V VZ bV ZbV αi∗3,1 dv2 = hrot ω, ni∗3,1 ds, h∗dω, ∗α = V

V

che `e la formula gi`a incontrata nel teorema 4.8.14.

Forme chiuse e forme esatte di grado r Ogni 1-forma esatta di classe C 1 su un aperto A ⊆ RN `e chiusa, come illustrato subito dopo la definizione 4.6.2, ma come sappiamo il viceversa `e falso, tranne che nel caso in cui l’aperto A sia semplicemente connesso. Nel caso di r-forme vale un risultato analogo, ma meno forte. Lemma 4.14.8 (di Poincar´ e) Sia A ⊆ RN un aperto stellato rispetto ad un suo punto x0 , ossia tale che per ogni x ∈ A il segmento di estremi x0 e x sia contenuto in A. Allora ogni r-forma chiusa definita su A `e esatta in A.

562


Dimostrazione Cominciamo con l’associare ad ogni r-forma η, di classe R C 1 su [0, 1] × A, una (r − 1)-forma, di classe C 1 su A, che denoteremo η, definita come segue: P i • se r = 1, e η = f (s, x) ds + N i=1 fi (s, x) dx , poniamo Z 1 R η= f (s, ·) ds; 0

• se 1 < r ≤ N , ogni r-forma su A `e del tipo η = ds ∧ ϑ + ζ, ove la (r − 1)-forma ϑ e la r-forma ζ sono date da X X ϑJ (s, x) dxj1 ∧ . . . ∧ dxjr−1 , ζ = ϑ= ζI (s, x) dxi1 ∧ . . . ∧ dxir ; +J

+I

poniamo allora R

η=

X Z +J

1

ϑJ (s, ·) ds dxj1 ∧ . . . ∧ dxjr−1 .

0

R Osserviamo che l’applicazione η 7→ η `e lineare, nel senso che R R R [ds ∧ (c1 ϑ1 + c2 ϑ2 )] = c1 [ds ∧ ϑ1 ] + c2 [ds ∧ ϑ2 ] per ogni c1 , c2 ∈ R e per ogni coppia di (r − 1)-forme ϑ1 , ϑ2 . Inoltre per ogni r-pla crescente I vale una particolare propriet`a associativa, vale a dire R R η ∧ dxi1 ∧ . . . ∧ dxir = [η ∧ dxi1 ∧ . . . ∧ dxir ]. Dimostriamo il seguente Lemma 4.14.9 Se η = ds ∧ ϑ + ζ `e una r-forma di classe C 1 su [0, 1] × A, dove A `e un aperto di RN , allora R R dη + d η = ζ(1) − ζ(0), ove si `e posto X ζ(1) = ζI (1, x) dxi1 ∧ . . . ∧ dxir ,

ζ(0) =

+I

X +I

563

ζI (0, x) dxi1 ∧ . . . ∧ dxir .


Dimostrazione Denotiamo con d0 il differenziale esterno relativo alle variabili x = (x1 , . . . xN ) ∈ A. Dalle regole di calcolo del differenziale esterno si ricava facilmente dη = d(ds ∧ ϑ) + dζ = d2 s ∧ ϑ − ds ∧ dϑ + dζ = −ds ∧ d0 ϑ + ds ∧

∂ζ + d0 ζ, ∂s

ove si `e posto ∂ζ X ∂ζI = (s, x) dxi1 ∧ . . . ∧ dxir . ∂s ∂s +I R Dunque, per definizione dell’operatore e per linearit`a, Z R R ∂ζ 0 dη = − [ds ∧ d ϑ] + ds ∧ , ∂s ed anche Z X Z 1 ∂ζI ∂ζ (s, ·) ds dxi1 ∧ . . . ∧ dxir = ds ∧ = ∂s ∂s 0 +I X [ζI (1, ·) − ζI (0, ·)] dxi1 ∧ . . . ∧ dxir = ζ(1) − ζ(0). = +I

Ora osserviamo che se f `e una funzione di classe C 1 su [0, 1] × A, allora si ha Z 1 N Z 1 X R ∂f (s, ·) ds dxi1 ∧ . . . ∧ dxir = [ds ∧ d0 f ]. d f (s, ·) ds = j 0 ∂x 0 j=1 Ne segue, utilizzando la linearit`a e l’associativit`a, che per ogni r-forma η = ds ∧ ϑ di classe C 1 si ha # " X Z 1 R d η = d ϑJ (s, ·) ds dxj1 ∧ . . . ∧ dxjr−1 = 0

+J

1

X Z = d 0

+J

Z

1

"

# ds ∧

= 0

Z 0

X

d0 ϑJ ∧ dxj1 ∧ . . . ∧ dxjr−1 =

+J 1

"

!# ds ∧

=

j1 jr−1 ϑJ (s, ·) ds ∧ dx ∧ . . . ∧ dx =

X

d0 ϑJ ∧ dxj1 ∧ . . . ∧ dxjr−1

+J

564

R = [ds ∧ d0 ϑ].


Pertanto R

R R R dη + d η = − [ds ∧ d0 ϑ] + ζ(1) − ζ(0) + [ds ∧ d0 ϑ],

e ci`o prova il lemma 4.14.9. Torniamo alla dimostrazione del lemma di Poincar´e. Consideriamo l’omotopia H(s, x) fra le funzioni f (x) = x0 (costante) e g(x) = x (l’identit`a), data da H(s, x) = x0 + s(x − x0 ), (s, x) ∈ [0, 1] × A. Poich´e A `e stellato rispetto a x0 , la mappa H `e a valori in A. Se ω `e una r-forma di classe C 1 definita in A, siano f # ω, g# ω e H# ω i pull-back di P ω secondoi le funzioni f , g e H. Osserviamo in particolare che se ω = +I ωI (x)dx , possiamo scrivere X ωI (H(s, x)) dH i1 ∧ . . . ∧ dH ir = ds ∧ ϑ + ζ, H# ω = +I

dove ϑ `e una (r−1)-forma in cui compaiono tutti i termini contenenti derivate delle componenti di H rispetto a s, e che quindi sono relativi a differenziali dtj1 ∧ . . . ∧ dtjr−1 in cui ds non appare perch´e `e stato “messo in evidenza”, mentre ζ `e una r-forma in cui compaiono tutti i termini privi di derivate delle componenti di H rispetto a s, e che quindi sono relativi a differenziali dti1 ∧ . . . ∧ dtir in cui ds non `e presente. Si vede facilmente, di conseguenza, che se η = H# ω allora si ha ζ(1) = g# ω e ζ(0) = f # ω, in quanto in ζ non compaiono derivazioni rispetto a s. Dal lemma 4.14.9 ricaviamo perci`o R R d(H# ω) + d H# ω = g# ω − f # ω. Notiamo adesso che, per ipotesi, ω `e chiusa, P ossia dω = 0: ne segue, automa# # ticamente, che d(H ω) = 0, mentre f ω = ∗I ωI (x0 )df i1 ∧ . . . ∧Rdf ir = 0 e g# ω = ω. Dalla relazione precedente ricaviamo allora, posto ξ = H# ω, R R R dξ = d H# ω = − d(H# ω) + g# ω − f # ω = − 0 + ω − 0 = ω, cosicch´e ω `e esatta e ξ ne `e una primitiva. Osservazione 4.14.10 Esiste un risultato pi` u generale che caratterizza precisamente gli aperti A ⊆ RN tali che ogni r-forma chiusa su A sia esatta. Consideriamo gli spazi vettoriali reali Z r (A) = {ω : ω `e una r-forma chiusa di classe C ∞ su A}, E r (A) = {ω : ω `e una r-forma esatta di classe C ∞ su A}. 565


` chiaro che E r (A) `e un sottospazio di Z r (A). In topologia algebrica vi `e E un noto teorema, dovuto a De Rham, secondo il quale lo spazio quoziente Z r (A)/E r (A) `e isomorfo a Hr (A), gruppo di coomologia r-dimensionale di A a coefficienti reali. Da questo risultato segue in particolare che E r (A) = Z r (A)

Hr (A) = {0}.

⇐⇒

Pertanto, dato un aperto A ⊆ RN , avremo l’esattezza di ogni r-forma chiusa di classe C ∞ definita su A se e solo se Hr (A) = {0}. La dimostrazione di questi fatti esula dall’ambito del nostro corso.

Esercizi 4.14 1. Sia V = {(x, y, z) ∈ R3 : y = x2 + z 2 , y ≤ 4}, e sia α l’orientazione su V tale che α13 < 0. Si calcolino gli integrali Z Z z dx ∧ dy, ey dx ∧ dz. Vα

2. Sia T il triangolo di R3 con vertici e1 , − e2 , 2e3 . (i) Si verifichi che α = 13 (2 e23 + 2 e13 + e12 ) `e un’orientazione per il piano che contiene T . R (ii) Si calcoli T α x dy ∧ dz. 3. Sia V = {(x, y, z, u) ∈ R4 : x2 + y 2 = 1, z 2 + u2 = 1}. Posto g(s, t) = cos s e1 + sin s e2 + cos t e3 + sin t e4 ,

s, t ∈ [0, 2π],

si determini l’orientazione α indotta su V da g e si calcoli Z (xz dy ∧ du + dz ∧ du). Vα

4. Si provi che se V `e una r-variet`a orientabile, orientata da α , e A `e un sottoinsieme compatto di V , allora: R (i) l’applicazione ω 7→ Aα ω `e lineare nello spazio delle r-forme; R R (ii) A−αα ω = − Aα ω; 566


R

(iii) se |ω(x)|N,r,∗ ≤ c per ogni x ∈ A, allora Aα ω ≤ c vr (A); (iv) se A1 e A2 sono compatti in VR tali che A = A1 ∪ A2 e R contenuti R vr (A1 ∩ A2 ) = 0, allora Aα ω = Aα ω + Aα ω. 1

2

5. Sia ω una 1-forma di classe C 1 su D, essendo D un aperto limitato di RN con frontiera di classe C 1 . Si provi che Z Z div ω dx = hω, ν i∗N,1 dvN −1 , D

∂D

ove ν `e il versore normale esterno a ∂D. 6. Si provino le seguenti formule di integrazione per parti, valide per ogni f, g ∈ C 1 (D), ove D `e un aperto limitato di RN con frontiera di classe C 1: Z Z Z i f g ν dvN −1 − (Di f ) g dx. f (Di g) dx = D

∂D

D

7. Sia D un aperto limitato di RN con frontiera di classe C 1 . Detto ν il versore normale esterno a ∂D, si verifichi che: R (i) ∂D ν i dvN −1 = 0, i = 1, . . . , N ; R (ii) ∂D hx, ν iN dvN −1 = N mN (D); (iii) se f ∈ C 2 (D), allora Z ∂D

∂f dvN −1 = ∂νν

Z ∆f dx, D

ove ∆ `e l’operatore P di Laplace, gi`a introdotto nell’esercizio 4.7.5 ∂2f 2 e definito da ∆f = N i=1 ∂(xi )2 per ogni f di classe C ; (iv) per ogni f, g ∈ C 2 (D) si ha Z Z (f ∆g − g ∆f ) dx =

∂g ∂f f −g dvN −1 . ∂νν ∂νν ∂D

D

8. Sia D = {(x, y, z, u) ∈ R4 : x2 + y 2 + z 2 < u2 , 0 < u < 1}. Calcolare: Z Z (i) (y + u) dx ∧ dy ∧ dz, (ii) (x2 + y 2 + z 2 + u2 ) dx ∧ dy ∧ du. ∂D+

∂D+

567


9. Calcolare

Z

hrot ω, ν i∗3,1 dv2 ,

∂D 3

ove D = {(x, y, z) ∈ R : x ≼ 0, y ≼ 0, 0 ≤ z ≤ 1, x2 + y 2 ≤ 1}, ω = y 3 dx − z dy + xyz dz, e ν `e la normale esterna. 10. (i) Si calcoli il volume dell’ellissoide 2 y2 z2 3 x E = (x, y, z) ∈ R : 2 + 2 + 2 ≤ 1 ; a b c (ii) si calcoli analogamente il volume dell’ellissoide N -dimensionale ( ) N i 2 X x E = x ∈ RN : ≤1 ; ai i=1 (iii) Si determini il volume (N − 1)-dimensionale della frontiera dell’elllissoide E. [Traccia: si ricordi l’esercizio 3.12.12.]

568


Indice analitico 0-forma, 541 1-forma, 410, 541 chiusa, 416, 418, 437, 544 di classe C 0 , 413 di classe C 1 , 416 di classe C k , 411 esatta, 411, 413, 415, 416, 418, 424, 465, 544 r-covettore, 507, 542 decomponibile, 510 r-forma, 541 chiusa, 544, 550, 562, 565 di classe C 2 , 543, 546 di classe C k , 541 esatta, 544, 550, 562, 565 r-variet` a, 530 orientabile, 535, 536 con bordo, 538, 539, 560 r-vettore, 507 decomponibile, 510, 518, 522, 525 non decomponibile, 528 accelerazione, 416 additivit` a dell’integrale, 233, 381, 455, 533 rispetto al dominio, 229 della misura, 193, 195, 212 aggiunta di una r-forma, 548 aggiunto di un (N − 1)-covettore, 523 di un (N − 1)-vettore, 521 di un r-covettore, 525, 548 di un r-vettore, 523

algebra, 48, 291, 295 ampiezza, 313 anomalia, 385 aperto, 31 connesso, 411, 422, 440, 465 convesso, 417 semplicemente connesso, 417, 465 stellato, 418, 562 superficialemente connesso, 466 superficialmente connesso, 466 applicazione r-lineare, 501 alternante, 501, 503 affine, 75, 274, 281, 282 lineare, 48, 59, 79, 104, 128, 278, 410, 514 aggiunta, 516 indotta, 514, 533 localmente invertibile, 443 area di insiemi piani, 435 di una superficie, 452, 526 orientata, 279 ascissa curvilinea, 373, 477 assioma della scelta, 216 assoluta continuit`a, 245 astroide, 372, 390, 438 autovalore, 95, 113, 118, 159, 351 autovettore, 351 generalizzato, 129 bacino di attrazione, 169 baricentro, 264, 289, 455, 471

569


cilindro, 468, 469, 487, 493 parabolico, 475 circonferenza, 63, 389 circuitazione, 437 circuito elettrico, 101, 184 oscillante, 186 cissoide di Diocle, 391, 400 classe di equivalenza, 217, 291 coefficienti di Fourier, 317 di una 1-forma, 411 cambiamento di una serie di parametri, 445, 449, 474, 479, 491, di potenze, 317 532 trigonometrica, 317 di variabili, 264, 265, 274, 456, 532 colatitudine, 272 cambiamento di variabili, 370 compatto, 34 campo per successioni, 34 conservativo, 415, 465 completamento, 51, 56 descritto da un rotore, 466 completezza di forze, 415 del sistema trigonometrico, 321 gravitazionale, 415 della misura di Lebesgue, 232 irrotazionale, 437, 465 di Cm , 38 solenoidale, 465, 466 di Rm , 38 vettoriale, 157, 436, 440, 465 di C[a, b], 40 cardioide, 372, 400, 438 di C 1 [a, b], 41 catenaria, 372, 400 di C k [a, b], 41 catenoide, 491 di L1 (D), 292 caustica di riflessione, 399 di L∞ (D), 295 centro, 166, 168, 181 di Lp (D), 294 di curvatura, 388, 390, 392, 395, 401 di R(a, b), 40 cerchio osculatore, 388, 390, 392, 395, di uno spazio metrico, 38 401 concoide di Nicomede, 391 chiuso, 31 conduzione del calore, 350 chiusura, 32, 192 coniche, 63 ciclo limite, 183 cono, 468, 493 instabile, 183 a cuneo, 263 semistabile, 183 logaritmico, 494 stabile, 183 conoide retto, 468 cicloide, 372, 398, 435, 471 continuit`a base di aperti, 37 di uno spazio vettoriale, 104, 138, 146 ordinata, 512, 518, 521, 522, 534 ortogonale, 319, 522 ortonormale, 96, 508, 509 bordo di una superficie, 459 di una variet` a, 500 bottiglia di Klein, 448, 533, 540

570


delle omotetie, 310 delle traslazioni, 301, 310, 324 contrazione, 57, 76 controvariante, 509 convergenza assoluta, 5 dominata q.o., 297 puntuale, 1, 4, 224, 327 dominata, 225 totale, 5, 8, 315 uniforme, 1, 5, 8, 11, 13, 15, 45, 225, 315, 341 convoluzione, 298, 322, 347 coordinate cilindriche, 270, 271, 487 polari, 80, 166 in R2 , 267 in R3 , 273 in RN , 290 sferiche, 464, 553 in R3 , 273 in RN , 290 covariante, 510 covettore, 410 aggiunto, 523, 525 crescita malthusiana, 100 criterio di completezza, 46 curva, 361 cartesiana, 363, 367, 390 chiusa, 179, 362, 364, 447 di classe C 1 , 368 a tratti, 362 di classe C k , 362 di livello, 177 in coordinate polari, 363, 371, 390, 437 in forma parametrica, 86 integrale, 153 isoclina, 153

opposta, 365, 376 piana, 85, 383 regolare, 85, 362, 366, 373, 374, 441, 533, 535 a tratti, 362, 366 rettificabile, 368 riferita a un parametro qualunque, 384, 398, 406 al parametro lunghezza d’arco, 384– 386, 396, 405 semplice, 362, 374 sghemba, 400 curvatura, 478 di una curva piana, 384, 389, 390 sghemba, 400 gaussiana, 485, 486, 488, 492, 495 media, 485 normale, 478–480, 484, 493 principale, 481, 485 curve equivalenti, 369, 374, 474 a tratti, 374 om`otope, 417 curve equivalenti, 364, 412 a tratti, 364 cuspide, 366 decadimento esponenziale, 136, 171 radioattivo, 101 deltoide, 372 densit`a dei polinomi in C[a, b], 42 delle costanti a tratti in Lp (R), 311 di C 0 (Ω) ∩ Lp (Ω) in Lp (Ω), 297 di C0∞ (Ω) in Lp (Ω), 306 di C00 (Ω) in Lp (Ω), 298 ˆ 51 di X in X,

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di S0 in L∞ (D), 297 di S0 in Lp (D), 296 di T in C# [−π, π], 345 di corrente, 436 di un fluido, 436 derivata direzionale, 439 parziale, 481 derivazione delle funzioni composte, 264 di un prodotto, 143 determinante, 82, 113, 505 diametro, 284, 360 diffeomorfismo, 264, 281, 373, 443, 445, 449, 474, 493, 536 locale, 488 differenziale di una funzione, 411, 542 esterno, 542, 550, 564 dinamica delle popolazioni, 100 dipendenza continua dai dati, 108, 110, 141, 142 direzione, 451, 460, 478 normale, 499 principale, 481 tangente, 479, 481, 498, 499 distanza, 29 con segno, 473 da un insieme, 198, 286, 297 fra due insiemi, 204 indotta da una norma, 29 su [−∞, +∞], 30 su C ∞ [a, b], 30 sull’insieme delle successioni, 33 disuguaglianza di Bernstein, 345 di Bessel, 320 di Cauchy-Schwarz, 20 di H¨ older, 28, 294, 323 di Minkowski, 28, 294

di Young, 27 per convoluzioni, 302 triangolare, 29 divergenza, 436, 440 di una 1-forma, 549, 557 doppio cono, 442, 444 duale ∗ di (RN r ) , 509 N di R , 410 di RN r , 509 dualit`a fra (RN )∗ e RN , 410 ∗ N fra (RN r ) e Rr , 509 fra covettori e vettori, 509, 511 eccentricit`a, 382 elemento d’area, 454, 456 di lunghezza, 374, 449, 450, 487 di volume, 548 orientato, 548 elica cilindrica, 372, 407, 472 elicoide, 469, 491, 494 ellisse, 63, 382, 389 ellissoide, 63, 444, 469, 493 energia cinetica, 182, 416 meccanica, 182 potenziale, 182, 416 totale, 416 equazione caratteristica, 143, 159 del calore, 350 delle onde, 354 delle oscillazioni smorzate, 186 di D’Alembert, 354 di Laplace, 359 di Van der Pol, 184 differenziale, 98 autonoma, 156

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di Bessel, 152 di Eulero, 151 lineare, 98 non lineare, 153 non omogenea, 149 omogenea, 146 logistica, 100 Newtoniana, 416 equazioni parametriche, 498, 499 di una curva, 362 di una superficie, 440 equivalenza a tratti fra curve, 364 fra curve, 364 esempio di Schwarz, 470 esponenziale complessa, 81 di matrice, 49 estremi di una curva, 362 estremo inferiore essenziale, 294 superiore essenziale, 294, 311 evoluta, 396 evolvente, 397 faccia di un piano, 404 di un simplesso, 529 famiglia equicontinua, 45, 55 equilimitata, 45, 55 fase, 313 fattore di crescita, 100 integrante, 424, 551 fenomeno di Gibbs, 349 finestra di Viviani, 469 flusso di un campo vettoriale, 436, 465

uscente dalla frontiera di un aperto, 436, 465, 466 folium di Cartesio, 438 forma canonica di una funzione semplice, 221 differenziale lineare, 410, 541 quadratica, 449, 474 formula del binomio, 56 del cambiamento di variabili, 265, 553 di coarea, 456, 540 di derivazione delle funzioni composte, 264 di un prodotto, 143 di Eulero, 494 di integrazione “per circonferenze”, 272 “per fette incurvate”, 456 “per fette”, 251, 259, 264, 281, 453 per parti, 240, 567 per sostituzione, 240, 259 di Stokes r-dimensionale, 560 in R3 , 461, 473 di Taylor, 451, 530 formule di Fr´enet-Serret per le curve piane, 385, 388, 390, 396 per le curve sghembe, 403–405, 478 di Gauss-Green, 426, 435, 437, 555 di integrazione per parti, 439, 567 frequenza, 313 frontiera, 32, 192, 459, 500 di classe C 1 , 426, 435, 436, 440, 534 di classe C r , 425 funzione

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affine, 75, 274, 281, 282 armonica, 439 caratteristica, 190, 220 continua, 11, 32 costante a tratti, 239 definita implicitamente, 63, 75 derivabile, 13, 226 di scelta, 216 differenziabile, 226 dispari, 318 esponenziale complessa, 81 essenzialmente limitata, 294 h¨ olderiana, 347 Hamiltoniana, 182 implicita, 64, 75 indicatrice, 220 integrabile, 229 in senso improprio, 241 secondo Lebesgue, 229 secondo Riemann, 15, 191, 238 invertibile, 64, 78, 79 Lagrangiana, 91 limitata, 238 lineare, 48, 59, 79, 104, 278, 410 localmente invertibile, 81 logaritmo complesso, 81 misurabile, 224, 239 secondo Lebesgue, 219 multivoca, 81 omogenea, 481 pari, 318 periodica, 313 regolarizzata, 304 segno, 325 semplice, 220, 224, 239, 452, 531 in forma canonica, 221 sommabile, 229, 239 subadditiva, 33 uniformemente continua, 42, 57, 369 vettoriale, 137

fuoco, 166, 168, 169 instabile, 166 grado di un polinomio, 42 trigonometrico, 318 grafico di una funzione, 2, 78, 83, 497 implicita, 63, 64, 73 gruppo delle permutazioni, 502 di coomologia r-dimensionale, 566 identit`a del parallelogrammo, 25, 29 di Abel, 334 di Bessel, 324 di Parseval, 324 insieme aperto, 31 chiuso, 31 compatto, 34, 76 per successioni, 34, 39 denso, 37, 45 di Cantor, 210, 241 di livello, 62, 92 di misura nulla, 232, 239, 293, 311 di sopralivello, 218 di sottolivello, 218 di Vitali, 217 limitato, 32, 34 misurabile, 532 limitato, 205, 451 non limitato, 208 secondo Lebesgue, 191, 208 secondo Riemann, 191, 192 non misurabile, 216 normale di R2 , 255, 426 separabile, 37 sequenzialmente compatto, 34

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ternario di Cantor, 210, 211, 216, 241 totalmente limitato, 37, 39 trascurabile, 232 integrale curvilineo di una 1-forma, 412, 429, 461, 465, 553 di una funzione, 378, 429, 466 di Lebesgue, 239 di Poisson, 360 di Riemann, 239 di una funzione di S0 , 227, 531 misurabile, 228 vettoriale, 62 dipendente da parametro, 248 generale, 106, 108, 132, 146 multiplo, 249 primo, 176, 179, 181 rispetto alla misura vr , 531 su un insieme normale, 256 su un sostegno, 379 su una r-variet` a di una r-forma, 552 di una funzione, 531 superficiale di una 2-forma, 555, 566 di una funzione, 454, 466 vettoriale, 62 integrazione “per circonferenze”, 272 “per fette incurvate”, 456 “per fette”, 251, 259, 264, 281, 453 per parti, 240, 439, 567 per sostituzione, 240 secondo Lebesgue, 190 secondo Riemann, 190, 191 interno di una superficie, 458

di una variet`a, 500 intorno, 31 superficiale, 487, 488 tubolare, 2, 183 invarianza per rotazioni, 286 per simmetrie, 286 per traslazioni, 195, 212, 286 inviluppo, 395, 396, 399 iperbole, 63, 399 iperboloide a due falde, 444, 469 a una falda, 444, 468, 469 iperpiano r-dimensionale, 97 tangente, 78, 83, 90 ipocicloide, 372 isometria, 51, 53, 520 lineare, 517 locale, 487, 488, 491 Laplaciano, 439 lavoro, 415 legge di Newton, 182 lemma di Abel, 335 di Fatou, 243, 244, 253 di Gronwall, 111 di Riemann-Lebesgue, 311, 325, 329 lemniscata di Bernoulli, 289, 377, 399, 438 limite, 31 linea coordinata, 441, 467, 471, 479, 492 di curvatura, 494 linearit`a dell’integrale, 227, 381, 455, 533 logaritmo complesso, 81 longitudine, 272 lunghezza di un intervallo, 192

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di un sostegno, 376 di una curva, 368 di una poligonale, 367 di una spezzata, 367 negativa, 373

di variazione delle costanti, 107, 139 metrica, 29 discreta, 30, 33 Riemanniana, 449 minimo, 89 limite, 243, 244 relativo, 68 vincolato, 89 misura r-dimensionale di un parallelepipedo, 530 di un plurirettangolo, 530 di una variet`a, 531, 532 di Lebesgue, 191, 208, 249, 519 di un aperto, 196 di un compatto, 197 di un misurabile, 208 limitato, 205 non limitato, 208 di un plurirettangolo, 194 di un rettangolo, 192 esterna, 197 interna, 197 modello di Lotka-Volterra, 180 economico, 101 preda-predatore, 180 molla elastica, 101 moltiplicatore, 92 momento di inerzia, 264, 455, 472 monotonia dell’integrale, 227, 233, 239, 240, 381, 455, 533 della misura, 195 esterna, 197 interna, 197

mappa di Gauss, 486 massimo, 89 limite, 56 relativo, 68 vincolato, 89 matrice, 47 di transizione, 106, 116 diagonale, 117, 128 diagonalizzabile, 117, 128 esponenziale, 49, 115, 116, 128 Hessiana, 68, 96 Jacobiana, 75, 82, 83, 264 nilpotente, 118, 129 non singolare, 79 quadrata, 48 simmetrica, 95 trasposta, 97 triangolabile, 119 triangolare superiore, 117, 128 unitaria, 119 Wronskiana, 104, 113, 138 media aritmetica, 95 armonica, 95 geometrica, 95 integrale, 439 meridiano, 464, 468, 480, 484 metodo dei moltiplicatori, 91 di eliminazione, 147 di riduzione dell’ordine, 151, 152 nastro di M¨obius, 447, 533 di risoluzione per serie, 152 di separazione delle variabili, 351, nefroide, 372 nodo, 161 354

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ordine di contatto asintoticamente stabile, 161 con una circonferenza, 387 improprio, 165, 169 con una retta, 386 instabile, 161 orientazione norma, 22 ∗ coerente, 459, 538, 540 di (RN r ) , 508 1 della frontiera, 534 di ` , 23 di un sottoinsieme di RN , 552 di `∞ , 23 di un sottospazio, 518, 533 di `p , 24, 29 di una curva, 362, 412 di RN , 509 r di una superficie, 446, 474 di C(X), 44 k di una variet`a, 533 di C [a, b], 24 indotta di L1 (D), 292 ∞ su una variet`a, 535, 536, 538 di L (D), 295 sul bordo di una variet`a, 538 di Lp , 24, 29 negativa di Lp (D), 293 di RN , 518 euclidea, 22 di un aperto, 534 hilbertiana, 24, 48 di una variet`a, 534 indotta da un prodotto scalare, 22, positiva 24, 25, 48, 508, 509 della frontiera, 534, 555, 556, 559 uniforme, 22, 29 della frontiera di un aperto di R2 , nucleo 427, 437 di Dirichlet, 328 di RN , 518, 521 di Fej´er, 332 di un aperto, 534, 555 di un’applicazione lineare, 499 di una variet`a, 559 numero di Lebesgue, 35 ortogonalit`a, 21, 520 omeomorfismo, 85 oscillazione armonica, 313 omogeneit` a dell’integrale, 233 palla, 31 omotetia, 286 parabola, 372, 390, 392, 398, 471 omotopia, 417, 565 semicubica, 372, 398 fra superfici, 466 paraboloide, 484 tra curve, 417, 418, 465 ellittico, 444, 469, 474 operatoreR iperbolico, 444, 468, 469, 475, 493 η 7→ η, 563, 564 osculatore, 474 di Laplace, 439, 551, 567 parallela di una curva, 392 di pull-back, 546 parallelepipedo, 279, 519, 521, 526 opposta di una curva, 365, 376 rettangolo, 520 orbita, 157 parallelo, 480, 484 orientata, 157 parallelogrammo, 451 periodica, 167, 179

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parametrizzazione, 362, 374, 415, 440, 447, 448, 452, 464 locale, 497 parametro lunghezza d’arco, 373, 380 parte intera, 309 interna, 32, 192, 459, 500 partizione dell’unit` a, 306, 307, 456, 559, 561 pendolo semplice, 175 smorzato, 175 permutazione, 502 piano, 469 delle fasi, 157 normale, 401 a una variet` a, 499 osculatore, 401, 478 rettificante, 401 tangente a una superficie, 441, 446 a una variet` a, 498 plurirettangolo, 194, 451, 530 poliedro, 278, 530 poligonale, 367, 414, 422, 450 polinomio caratteristico, 118, 159 di Bernstein, 42, 423 di matrici, 48 minimo, 118, 124 monico, 118 trigonometrico, 318 potenziale, 415, 465 gravitazionale, 416 vettore, 466 prima forma fondamentale, 449, 469, 488 primitiva di una 1-forma, 411, 414, 416, 421, 465 di una r-forma, 544, 565

di una funzione, 424 principio di sovrapposizione, 102, 104, 137 problema di Cauchy, 98, 103, 104, 106, 108, 109, 116, 138 di Cauchy-Dirichlet, 351, 355 di Cauchy-Neumann, 354, 358 di Dirichlet, 359 prodotto di 0-forme con r-forme, 541 di convoluzione, 298 esterno, 505, 532 di r-forme con s-forme, 541 scalare, 19, 508, 509 di (RN )∗ , 512 di CN , 19 di `2 , 20, 24 di RN , 19, 410 di C[a, b], 20, 24 di L2 (−π, π, R), 315 di L2 (−π, π; C), 315 di L2 (D), 294 di Mm,n , 48 vettoriale, 279, 401, 402, 441, 525 proiezione canonica, 410 ortogonale, 320, 529 propagazione vibratoria, 355 propriet`a della media, 439 di miglior approssimazione, 319 pull-back, 545, 548, 553, 559, 561, 565 punto a stella, 164 aderente, 32 angoloso, 364, 366 caratteristico, 393 critico, 158 asintoticamente stabile, 158

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instabile, 158 isolato, 158, 169 non isolato, 185 stabile, 158 d’accumulazione, 11, 31 di massimo, 89 di massimo relativo, 477 di minimo, 89 di minimo relativo, 477 di sella, 68, 162, 181, 477 ellittico, 475, 486 fisso, 57 interno, 32 iperbolico, 475, 486 isolato, 68 non ombelicale, 494 non planare, 481 ombelicale, 481, 483 parabolico, 475, 486 planare, 476, 486 stazionario, 89, 158 libero, 91 vincolato, 90, 481

normale a una curva piana, 383, 396 a una superficie, 441 alla frontiera di un aperto, 534 tangente, 366 a una curva, 383 rettangolo, 192 ricoprimento, 34 riordinamento crescente, 503 rosa a due petali, 391 a quattro petali, 438 a tre petali, 391, 438 rotazione, 519 rotore, 420, 437, 440, 460 di una 1-forma, 549, 562

scambio dell’ordine di integrazione, 257 seconda forma fondamentale, 474, 493 separatrici, 162 serie binomiale, 378 convergente, 46 assolutamente, 5 quadrica, 63, 444 puntualmente, 4 quasi ovunque, 241, 291, 293 totalmente, 5, 46 uniformemente, 5 raggio di Fourier, 317, 337 di convergenza, 8 di funzioni, 4 spettrale, 55 di matrici, 49 rango, 78, 83, 85, 90, 91, 97 di potenze, 8, 152, 153, 312 regolarit` a di soli coseni, 318 della misura di Lebesgue, 214 di soli seni, 318 delle convoluzioni, 300 di vettori, 46 relazione di equivalenza, 217, 242, 291, logaritmica, 6 293, 364, 417, 447, 448 trigonometrica, 312 relazioni di ortogonalit` a, 314 sezione resistenza idraulica, 102 normale, 479, 480, 485 restringimento, 307 orizzontale, 251 retta verticale, 251 binormale, 401

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sfera, 63, 479, 483 significato fisico del rotore, 437 della divergenza, 437 della formula di coarea, 458 significato geometrico degli r-vettori decomponibili, 512 dei moltiplicatori, 96 del determinante, 279 del piano osculatore, 401 dell’aggiunto di un (N − 1)-vettore, 521 dell’aggiunto di un r-vettore, 525 della curvatura, 403 della seconda forma fondamentale, 474 della torsione, 403 simplesso, 280 standard, 281 sistema canonico, 160, 164–166 differenziale, 98 a coefficienti costanti, 115 autonomo, 157 di Eulero, 135 in forma canonica, 160 lineare, 98, 159, 405 non lineare, 98, 169 non omogeneo, 103, 107 omogeneo, 103 dinamico, 157 conservativo, 182 fondamentale di soluzioni, 104, 139 linearizzato, 171 trigonometrico, 315 solido di rotazione, 259, 289 soluzione globale, 114 locale, 98 massimale, 114

stazionaria, 156 asintoticamente stabile, 157 instabile, 157 somma di Fej´er, 333 di funzioni trigonometriche, 335 sostegno, 362, 370, 373, 374 di una superficie, 440, 445 di una variet`a, 498, 533 sottoricoprimento, 34 sottospazio individuato da un r-vettore, 513 orientato, 518 ortogonale, 344, 523, 525 vettoriale, 103 sottosuccessione, 34, 39, 45 diagonale, 45 spazio (RN )∗ , 410 ∗ (RN r ) , 507 C(K), 24 C(X), 44 C[a, b], 20, 24 C00 (Ω), 301 C ∞ (Ω), 304 C0∞ (Ω), 304 C k [a, b], 24 C00 (Ω), 298 C# [−π, π], 345 L1 (D), 291 L∞ (D), 295 Lp (D), 293 RN r , 507 1 ` , 23 `2 , 20 `∞ , 23 `p , 23, 38, 54 c00 , 56 B(K), 54 E r (A), 566

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MD , 291 Mm,n , 47 R(a, b), 21, 25, 239 S, 297 S0 , 227, 296, 452 T , 318 TN , 318 Z r (A), 566 affine, 103, 138, 275 con prodotto scalare, 19 di Banach, 38, 292, 294 di Hilbert, 38, 294, 508, 509 euclideo, 38 metrico, 30 compatto, 38 completo, 38, 57, 76 separabile, 45 normale a una variet` a, 499 normato, 23 quoziente, 566 tangente a una variet` a, 498, 533 alla frontiera di un aperto, 534 vettoriale, 18, 103, 138, 291, 295, 501 spezzata, 367 spirale, 363 di Archimede, 372 iperbolica, 372, 391 logaritmica, 372 strofoide, 391, 438 subadditivit` a dell’integrale, 231 della misura, 195, 213, 241 esterna, 199 della norma, 22 successione convergente, 31 puntualmente, 1

uniformemente, 1 di Cauchy, 38, 51 di funzioni, 1 suddivisione di un intervallo, 367 superadditivit`a della misura interna, 201 superficie, 440 cartesiana, 442, 443, 456, 468, 477, 480 di rotazione, 493 di Gauss, 486 di livello, 443 di rotazione, 453, 471, 493 doppiamente rigata, 468 non orientabile, 447, 448 orientabile, 458 poliedrica, 450, 470 regolare, 85, 440, 445, 458 a tratti, 469 di classe C r , 440 orientata, 477, 480, 485, 488 rigata, 468 semplice, 440, 458 sferica, 441, 453 supporto, 298, 300 teorema del Dini in R2 , 63, 392 in R3 , 78, 443 in RN , 74, 534 del rango, 83 della convergenza dominata, 244, 253 monotona, 242, 243, 252, 254 della divergenza in R2 , 436, 462 in R3 , 464, 466 in RN , 555, 561 della media, 381, 455 delle contrazioni, 57

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dipendenti da parametro, 58, 77 delle funzioni implicite, 63 di Abel, 10 di Ascoli-Arzel` a, 44 di Beppo Levi, 242, 243, 252, 254 di Cayley-Hamilton, 119 di De Rham, 566 di Dirichlet, 327 di esistenza e unicit` a globale, 98 locale, 98 di Fej´er, 332 di Fubini, 255, 271 di Gauss-Green, 427 di invertibilit` a locale, 82, 443 di Lebesgue, 244, 253 di Lindel¨ off, 37 di linearizzazione, 171 di Liouville, 113 di Pappo-Guldino, 289, 471 di permanenza del segno, 65 di Poincar´e-Bendixon, 185 di Schwarz, 263, 416, 544 di Stokes r-dimensionale, 560 in R3 , 461, 465 di Tonelli, 254, 255 di Weierstrass, 36 fondamentale del calcolo integrale, 240, 555 tetraedro, 529 theorema egregium, 488, 492, 495 toro, 272, 454, 472, 476, 480, 483 torsione, 402 traccia, 113 traiettoria, 157 periodica, 167 trasformata di una r-forma, 545 trasformazione affine, 75, 274, 281, 282

lineare, 48, 59, 79, 104, 278 per raggi vettori reciproci, 79 trattrice, 400 triedro principale, 401 valore critico, 92 variet`a r-dimensionale di classe C 1 , 78, 90 di classe C k , 361, 499, 500 regolare, 78, 85, 86, 495–498, 530 2-dimensionale, 445 con bordo, 499, 500 non orientabile, 533 orientabile, 533, 534 regolare a tratti, 93 senza bordo, 499 velocit`a, 416 versore binormale, 401 normale a una (N − 1)-variet`a, 534 a una curva piana, 383, 389 a una superficie, 447, 458, 478 esterno, 426, 427, 436, 439, 440, 464, 465, 534, 536, 553, 556 interno, 426, 476, 536 principale, 400, 478 tangente, 478 a una curva, 366, 373, 383, 389, 534, 535 al bordo di una superficie, 459 alla frontiera di un aperto di R2 , 426, 437 vertice di una curva, 389 vettore, 79, 90, 410 aggiunto, 521, 523 colonna, 509 ortogonale, 90, 91 polinomio, 134

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riga, 510 tangente, 157 a una curva, 441 vincolo, 89, 481 volume r-dimensionale di un parallelepipedo, 519, 530 di un simplesso, 528 di un solido di rotazione, 271, 289 di una r-variet` a, 531 vorticit` a, 437

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