Versilia Oggi 1/2007

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prodotti editoriali

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c’è una sola Versilia: quella bagnata dallo stesso e unico fiume Anno XLII - n.

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Suggerimenti

Cronache da Basati

Il bricco dei vermi

Riparliamo del Consorzio di bonifica

La differenza fra il furbo e il cretino

Neve assassina

Considerazioni

foto: www.morguefile.com

Una falla nella piscina

La Piscina comunale città di Seravezza è stata inaugurata il 12 maggio 2006 dall’allora sindaco Enrico Mazzucchi. Nessuno, però, ci ha ancora nuotato...

La sindrome delle tre scimmiette di Jacopo Cannas Passi per coloro che non vogliono sentire, perché magari temono di essere influenzati o credono di sapere già tutto quello che c’è da sapere. Non li condivido, questo è certo, ma rispetto la loro posizione: in un mondo che ti bombarda di opinioni, nascondendo i fatti, forse si può capire che il “rumore di fondo” delle opinioni possa infastidire. Passi anche per coloro che non vogliono parlare, perché non vedono proprio cosa ci sia di così urgente da dire o perché quello che pensano riguarda solo loro; o ancora perché in questo mondo è sempre bene farsi gli affari propri, che si vive meglio e senza contrasti. Non condivido nemmeno loro, ma li rispetto ugualmente: il coraggio di parlare, la dignità del proprio pensiero non si insegna, o ce l’hai o te ne stai tutta la vita zitto. Ma per quelli che non vogliono vedere, scusatemi, ma una giustificazione non la trovo. Perché mi sembra più difficile l’impegno che ci vuole a distrarre lo sguardo dalla nostra realtà piuttosto che a guardare in faccia la trasformazione cui è soggetta la Versilia di questi ultimi anni. Non ci vuole una lente d’ingrandimento, una preparazione culturale chissà come, né lauree in urbanistica o architettura; no, il fenomeno è macroscopico. E se per giunta ci si trova ad allontanarsi per qualche giorno dalla Versilia, al nostro ritorno la realtà ci appare ancora più orrendamente trasfigurata. Sembrerò un esagerato, forse. Forse qualcuno lo dirà pure; ma non sarà mica uno di quelli che non vuol sentire critiche? Perché da noi c’è tanta gente che ama dire le cose nel chiuso delle proprie mura, lontani da orecchie indiscrete, ma non si esprime in pubblico e soprattutto mal sopporta le critiche degli altri. Se parli te, invece, sono subito pronti a quella forma di dispregio tipicamente versiliese

Versilia Oggi IL MENSILE DELLA

VERSILIA

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che si racchiude in uno sguardo di sottecchi, una smorfia della bocca e un’alzata di spalle seguita dallo scuotimento del capo in segno di disapprovazione mista a commiserazione, che vuol dire in soldoni: “poveraccio, non ha capito nulla!”. D’accordo, non capirò nulla, ma almeno abbiate la compiacenza di guardarvi intorno, se non volete ascoltarmi. Guardate com’è ora la Versilia e cercate di ricordarvela non troppi anni fa. E fatevi un’opinione. Che non c’è niente di peggio, di più esecrabile, del non avere opinioni. Purtroppo, esiste una categoria di versiliesi che crede nella palude, e in quel meccanismo di sabbie mobili per cui è meglio immobilizzare subito chi vuol fare qualcosa in più; la stessa cosa avviene per le opinioni. Meglio evitare di farsi mettere in testa dei dubbi da qualche ‘sovversivo’ (che poi, come diceva una volta Fabio Genovesi, è sempre “in qualche maniera”): da noi c’è il mare, le montagne e i turisti l’estate; di che altro ci si deve preoccupare? E quello che ci sta nel mezzo, cari miei? Sui cocuzzoli delle montagne non ci si costruisce (ma si può deturpare un paesaggio come qualcuno ha già fatto) e sull’acqua (a parte le idee, peraltro nemmeno innovative, del Popper) idem. Ma in tutto quanto sta nel mezzo sì, a nche tanto, troppo. Non c’è più nessuno in grado soltanto di vedere? Perché se si guarda all’Hotel Imperiale, se si osserva il cumulo di macerie che è diventato l’Hotel Adams, la fine delle Caroline che circondavano l’Area Cope, i nidi di formiche dei caseggiati dietro l’Istituto d’arte a Pietrasanta, la ormai famosa Area Lotti, le costruzioni che stanno crescendo sulla Sarzanese poco fuori Pietrasanta e chi più ne ha più ne metta, un’opinione dovremo pur farcela, una buona volta! Potete anche dirmi che il territorio, con quell’odorino di continua a pagina 3

di Alvaro Avenante Avevo già fatto, molto lentamente, quattro vasche. Ma nel mio programma di nuototerapia, per il rilassamento e rinforzo della colonna vertebrale, quale prevenzione a fastidiosi mal di schiena, erano già una performance. Seduto sul bordo, con le gambe ciondoloni e i piedi nell’acqua, ora osservavo gli altri utenti. Tre giovanotti, simili a bronzi di Riace si sfidavano nuotando in stile libero, facendo ribollire l’acqua. Fra le presenti, un terzetto di sirene mostravano la loro esuberante bellezza e sensualità, a stento contenuta dal reggiseno e nascosta da ridottissimi tanga. Con i muscoli che iniziavano a dolermi nel trattenere la pancia mi rifacevo gli occhi fantasticando: quando la più bella delle tre esce dall’acqua e si siede accanto a me. La sua coscia ancora bagnata si appoggia alla mia, mi guarda con due occhi di sfida e mi domanda: “Non ti dispiace se sto con te vero?”– Beep, beep, beep – Maledizione la sveglia, mi toglie la gioia del sogno e mi riporta alla realtà. È dal 1975 che Seravezza può fregiarsi del titolo di città. Giustamente il nuovo impianto sportivo situato in Querceta, via Federigi angolo via Emilia si chiama: “Piscina Comunale Città di Seravezza”. Una realizzazione discussa, criticata e chiacchierata, ancora circondata dal cantiere che sta terminando i ‘loculi’ (mini appartamenti) del complesso turistico realizzato nell’area Cope, al confine del Forte dei Marmi, ma anche tecnicamente promossa da Stefania Lariucci, campionessa di pallanuoto. L’impianto non è concepito solo per ospitare gare a vari livelli. Nelle due vasche potranno svolgersi corsi di nuoto, pallanuoto, acquagym e subacquea, ma anche ginnastica riabilitativa, preventiva e di rinforzo. A detta dei progettisti, la piscina non ha l’ambizione di ricoprire una funzione continua a pagina 3

I diversamente abili e la scuola

Continua il nostro viaggio negli istituti superiori versiliesi che accolgono allievi diversamente abili con un’intervista al professore Gioi Franco Pinna, preside del Liceo Galileo Chini di Lido di Camaiore, che ha tra i vari percorsi di studio anche un indirizzo psicopedagogico, con una equipe altamente specializzata. di Sabrina Mattei Perché gli allievi diversamente abili vengono indirizzati esclusivamente in tre istituti e cioè all’Istituto d’Arte Stagi, al Liceo Chini e all’Istituto tecnico-professionale Marconi di Viareggio? L’opinione pubblica è convinta che alcuni istituti assolvano meglio di altri alla funzione di integrazione degli allievi diversamente abili. Questo convincimento è concettualmente sbagliato. In primo luogo perché concentrare in due o tre isti-

tuti un’utenza così complessa, rischia di determinare, seppure indirettamente, condizioni di scuole differenziate, negando così il principio della sentenza costituzionale n° 215 del 3 giugno 1987 e della relativa circolare ministeriale del 22 settembre 1988 n° 262 che invita, fra le altre cose, a predisporre “un piano per la graduale accessibilità di tutti gli istituti, onde evitare la concentrazione di alunni con handicap nello stesso istituto o nella stessa classe”. Che percorso scolastico è previsto per questi studenti? “L’inserimento di questi allievi avviene con due modalità: continua a pagina 4


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Pietrasanta

Il calendario delle vigilesse

Diritto & Rovescio

Gli standard di accettabilità, ossia: il nuovo «Sturm und Drang»

Il clima festivo appena trascorso legittima ancora qualche riflessione un po’ in libertà, prima di tornare seri

di Jacopo Cappuccio

L’idea di un calendario, maturata all’interno del Comando della Polizia Municipale di Pietrasanta per iniziativa del Capitano Giovanni Fiori, ha portato dietro di sé un discreto successo. Le foto realizzate dall’Agente Maria Elena Franceschini del Comando di Viareggio hanno come soggetto “Le donne della Polizia Municipale viste dall’obiettivo di una collega”. Un’iniziativa importante, realizzata con lo scopo di aiutare le Associazioni Missioni Don Bosco Onlus di Torino. Certo è che i curatori dell’iniziativa non si aspettavano il successo avuto e le 300 copie messe in vendita sono vicine all’esaurimento. Primo tra tutti i comandi della Toscana ad avere, per il 2007, l’idea di realizzare un calendario che descrivesse, talvolta anche in tono scanzonato, il lavoro delle colleghe, oltre ad avere numerose richieste in loco, è stato oggetto di articoli sui siti professionali nazionali e di richieste dai Comandi di varie parti della nazione, da ultimo delle province di Verona e di Potenza.

Fermo Posta

Lettere alla direzione

A proposito del bullone Torino 3-1-2007 Cara Versilia Oggi, Ho letto sul giornale che hanno tolto il ‘bullone’ sul pontile di Forte dei Marmi. Era per me un punto di riferimento, per vedere di quanto la spiaggia si sarebbe ingrandita. Quando nel mese di agosto venivo al Forte, durante le passeggiate sul pontile, da quel bullone potevo vedere lo spostamento del bagnasciuga. Con rammarico ho appreso che ora non c’è più. Sarebbe bene che il sindaco mettesse un nuovo segnale sul ponte per poter ancora constatare di quanto la spiaggia si allunga. Un caro saluto Cesare Nardini

Se il cemento rende di più Egregio co-Direttore, è da quando ho letto il suo articolo sul numero di dicembre di “Versilia Oggi”, che desidero scriverLe per farle i miei complimenti per l’argomento trattato. Abito da sempre a Pozzi, in una zona fino a qualche tempo fa molto tranquilla e verde, ma da un pò di tempo a questa parte mi sento molto indignata, per non dire “schifata”, dalla grossa urbanizzazione che si sta realizzando. E’ proprio vero: il nostro sembra essere diventato il “paese delle gru” con il risuonante motto di “presto che è tardi”; non so davvero dove andremo a finire di questo passo. Mi viene sempre in mente il programma elettorale di non ricordo quale schieramento politico del nostro comune di qualche anno fa che diceva di voler realizzare la “Metropoli Versilia”. E bravi, ci stanno proprio riuscendo! Peccato però che quelli che vivono nelle dette metropoli cerchino di fuggirne, per

Oggetto delle osservazioni, ancora il territorio e l’ambiente che ci circondano; spunto, una recente sentenza con cui il più alto organo della giustizia amministrativa ha sostanzialmente decretato che la “valutazione dell’impatto ambientale” (la “V.i.a.”) di un progetto, può tranquillamente seguire, anziché precedere, l’approvazione del progetto di massima, purché ciò avvenga prima di ogni concreta conseguenza sul territorio (Cons. Stato, Sez. VI, 22 novembre 2006, n. 6831). Senza addentrarmi nel suo contenuto, la decisione suona alquanto singolare, poiché come noto, la V.i.a. è appunto una valutazione in ordine alle conseguenze che la realizzazione di un certo progetto (di massima, ossia non ancora esecutivo), potrebbe produrre sull’ambiente: pertanto, apparirebbe quantomeno logico che il giudizio sul progetto avvenga prima della sua approvazione. Decidere prima di controllare, ossia prima di avere tutti gli elementi del problema, è un po’ come agire senza riflettere: che sia una sorta di pseudo Sturm und Drang, di matrice giurisdizionale, che si contrappone ai rigidi formalismi ed alle procedure, per liberare gli animi delle varie amministrazioni? A guardarsi attorno, parrebbe così. Non avendo avuto modo di seguire il caso nei suoi termini giuridici, ritengo tuttavia di non fare peccato se immagino che anche nel decidere di attivare o meno l’alta velocità sulla linea ferroviaria Torino-Lyon nella Valle di Susa, probabilmente l’azione ha anticipato la valutazione ed anche, a quanto pare, il dialogo con la popolazione (quantomeno prima delle apprezzabili dichiarazioni del Ministro Pecoraro Scanio del 25/3/2006 in Comunità Montana, Bassa Valle e del 30/3/2006, a Borgone Susa). Sempre pensando male, sorgono alcune analoghe perplessità circa la ponderazione delle recenti dichiarazioni sull’intento di dare il via ad una serie di grandi porti da dedicare al turismo che viaggia con grandi natanti, sulle nostre coste (il cosiddetto turismo di massa, immagino!). Ed ancora, il caso di Monticchiello, che ha visto scendere cercare posti più umani. Mi domando, a che servirà tutto questo? A speculazioni senz’altro, che a noi Versiliesi poi, che cosa portano? Neanche lavoro, visto che anche nei miei dintorni stanno lavorando soprattutto imprese formate da extracomunitari, che prendono meno e lavorano anche per le festività. Le dirò che quello che mi dispiace di più, però, è per i poveri olivi secolari, che vengono “estirpati” come erbacce per essere portati chissà dove; per i poveri ricci, che sono diventati sempre più rari dalle nostre parti; per i campi che potevano essere utilizzati per coltivare. Ha visto la zona sotto la Savema a Pietrasanta? Non si sono accontentati della Zona Industriale del Portone. Ma “chissenefrega”: il cemento rende di più, tanto la verdura poi la possiamo sempre importare. Mi scuso se mi sono dilungata nel mio sfogo, ma non è facile trovare persone che la pensino come me, e tengano conto degli ammonimenti che fanno sull’ambiente violato persone come Mario Tozzi, Luca Mercalli e il prof. Enzo Boschi. Mi complimento nuovamente con Lei, perchè sono poche le persone che parlano di queste cose, soprattutto nella nostra zona e mi raccomando, continui con queste denunce. Cordialmente (Lettera firmata)

in campo a livello nazionale l’associazione Italia Nostra, anche mediante una conferenza tenutasi a Firenze il passato 9 dicembre, cui hanno partecipato numerosi e prestigiosi nomi (Carlo Ripa di Meana, Alberto Asor Rosa, Antonio Dalle Mura, Giovanni Lo Savio, etc.). Del resto, l’inversione dell’ordine logico di procedere non è una novità: è per questo che a livello di pianificazione urbanistica accade spesso che i piani di carattere generale, ossia quelli che devono dettare le linee guida e le previsioni per l’intero territorio (ad es. il piano strutturale), vengano approvati dopo quelli particolari relativi ad una determinata zona (anziché prima) cosicché i primi si riducono ad un mero contenitore dei secondi. Non imbalsamare un sistema nel rispetto della mera forma e dei cavilli procedurali è certamente corretto, ma può essere altrettanto pericoloso prescinderne totalmente, perché rischia di legittimare l’azione senza la riflessione. Probabilmente è questa l’ottica in cui andrebbe riconsiderata l’introduzione, di per sé lodevole, dell’art. 21 octies con la Legge n. 15/05, tramite il quale, accedendo ad un’interpretazione funzionale dei vizi procedimentali, si è deciso di fare prevalere il contenuto sostanziale dell’atto amministrativo, rispetto ai suoi eventuali vizi (meramente) di procedura e formali. Del resto, riflettere è sempre più difficile, anche perché farlo richiede ormai troppe energie e troppi strumenti. Ma non è inutile, perché si può sempre scoprire che troppo spesso, quando si (dice che si) inizia a tutelare un certo bene, ne viene in realtà segnata la fine ancorché, all’interno dei parametri di legge. Andando infatti a rileggere quanto ha scritto un bravissimo autore a proposito della V.i.a., istituto offerto al pubblico come conquista, dal sapore comunitario, a tutela dell’ambiente, ho trovato come la stessa “… non solo accetta … ma addirittura presuppone …” (L. Mezzetti, Manuale di diritto ambientale, Padova, 2001, p. 1047 e ss.) il verificarsi di alterazioni nell’ambiente, in quanto non ha assolutamente l’obiettivo di eliminare e/o evitare ogni conseguenza dannosa su di esso, ma al contrario accetta (e presuppone) che ve ne siano, accontentandosi (forse più realisticamente), della loro ‘riduzione’. E nella tutela dell’ambiente, presupposto naturale della conservazione della nostra salute, spesso il legislatore ha ritenuto che ci si debba accontentare, istituendo giustappunto i cosiddetti “standard di accettabilità”. In sostanza, secondo tale sistema, vengono a monte fissati (scientificamente, ovviamente), i “valori-limite” entro i quali è accettabile provocare delle alterazioni all’ambiente, ovvero è accettabile emettere rumori, gas di scarico o comunque sostanze nocive alla salute. È per questo che il traffico nelle città non viene bloccato attraverso l’intervento degli Organi competenti: perché nuoce senz’altro alla salute, ma nei parametri di legge, almeno così dicono le centraline di rilevamento (al di sopra dei due metri di altezza: pazienza per le persone più basse e per i bambini)... ma ‘V.i.a.’!

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La falla nella piscina

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Libri

Quel maledetto agosto del 1944

Riportiamo una sintesi dell’intervento di Paolo Capovani tenuto a Seravezza il 18 novembre scorso, in occasione della presentazione del libro di Alfieri Tessa “In Versilia: agosto 1944 un mese maledetto!” di Paolo Capovani

Carlo Carrà, Nuotatori, 1932

comprensoriale bensì di servire le comunità di Querceta, Seravezza e Forte dei Marmi. Una scelta dettata dai costi di gestione, che per un simile impianto, sono previsti intorno a 250-300 mila euro l’anno. Con una struttura più grande, i costi, sarebbero stati di gran lunga superiori. Forse intorno ai 700 mila euro, come temono gli oppositori della progettata piscina-doppione, che gli amministratori di Forte dei Marmi, nella loro folle corsa, vogliono realizzare nel loro territorio. L’apparato solenne che accompagna o sottolinea l’inizio di un fatto sentito come singolarmente importante, specialmente dal punto di vista sociale o culturale, dicesi ‘Inaugurazione’. Inaugurare una scuola, un ospedale o una nuova strada, significa che da quel momento è in funzione, al servizio e/o fruibile dal pubblico. L’inaugurazione della “Piscina Comunale Città di Seravezza” è avvenuta venerdì 12 Maggio 2006, con tanto di taglio del nastro e buffet per gli intervenuti, ma nessuno a tutt’oggi ha nuotato nelle sue vasche. Due vasche che, se non sono state svuotate, per mantenere l’acqua balneabile, ogni giorno hanno bisogno dell’entrata in funzione degli impianti di depurazione. Pompe a regime per il circolo della massa liquida (ossigenazione) ed automatismi computerizzati per l’immissione degli additivi (cloro, ecc). Una normale routine per un impianto in funzione; una inutile perdita, non di acqua per e da una falla strutturale della piscina, ma di denaro pubblico, uno stillicidio continuo dal bilancio comunale. Il 27 dicembre scorso ne parlo. Il mio interlocutore mi informa che l’attuale manutenzione della piscina non è coperta da soldi pubblici. Perché? Udite, udite: è ancora privata. Bene. Come cittadino contribuente sono contento. Addirittura sollevato. Come elettore una sequela di domande senza risposte mi vortica nella testa, insieme a supposizioni sostanzialmente polemiche. Ogni lettore scelga fra le proprie e tragga conclusioni autonome. Come potenziale utente, insieme a tutti voi, non resta che attendere l’apertura. Quella vera. Inaugurazione prevista ad aprile 2007. Salvo pesci.

La mostra

Giorgio Boldrini, OPERE

Il libro di Alfieri Tessa è la storia scritta da chi visse in prima persona la lotta di liberazione della zona apuo-versiliese dall’occupazione militare dell’esercito di Hitler, attestatosi sulla Linea Gotica, con la complicità e il sostegno delle milizie della Repubblica di Salò. Una lunga lotta – iniziata dopo l’8 settembre 1943, armistizio dell’Italia, e terminata soltanto nell’aprile del 1945 – densa di vicende fin troppo dolorose, che culminarono nella strage di Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto 1944. L’autore ci narra quanto accadde in quel periodo, da combattente schierato con le formazioni partigiane che operarono soprattutto nella parte montana dei nostri territori, formate da molti giovani come lui. Vorrei qui rispondere al perché tanti giovani e meno giovani di allora, nonostante i rischi, aderirono alla Resistenza. La prima risposta, la stessa che dà Alfieri Tessa, è quella data di recente da un comandante partigiano che operò sulle Apuane in un suo libro: “Noi giovani dovevamo unirci prima di tutto per non essere inquadrati nelle nuove milizie create dalla Repubblica Sociale di Salò, completamente al servizio dei Tedeschi; poi per non essere presi e fucilati, non essendoci presentati alle varie chiamate di leva. Anziché essere fucilati come banditi, era preferibile imbracciare un fucile, difenderci e vendere cara la pelle. Era troppo pericoloso rimanere soli in casa e fummo quasi obbligati ad unirci e andare in montagna a fare i partigiani”. Alfieri Tessa a queste ragioni ne aggiunge una di carattere ancora più generale, ponendo il problema della illegittimità del governo della Repubblica di Salò. Nonostante gli errori di Casa Savoia e del governo, dal punto di vista istituzionale il nostro Paese era pur sempre una monarchia e Mussolini e il suo nuovo governo non erano legittimati ad assumere le decisioni che presero: di fondare cioè un nuovo partito fascista e con esso un nuovo stato, confermando la stretta alleanza con la Germania. Le loro decisioni permisero dopotutto ai tedeschi di ritardare, per quanto possibile, l’avanzata degli Alleati provenienti dal Sud, e al tempo stesso di tenere sotto controllo le forze armate italiane che loro stessi cercarono di disarmare e addirittura di distruggere (si ricordi il massacro di circa cinquemila uomini della Divisione Acqui, nell’isola di Cefalonia e l’affondamento nel Tirreno della nostra corazzata Roma, dove morirono 1.326 militari, tra cui il comandante Del Cima di Torre del Lago e l’ammiraglio Bergamini). A spingere i nostri militari ed i giovani alla Resistenza fu anche la nascita a Roma, il 9 settembre 1943, del Comitato di Liberazione Nazionale, costituito dal fronte di sei partiti antifascisti (democristiano, liberale, socialista, comunista, d’azione e demolaburista) rappresentati da personalità politiche e della cultura, diverse delle quali appena rientrate dal confino o dalle carceri fasciste. Il proclama col quale la sua costituzione fu resa pubblica così affermava: “Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare in Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di liberazione nazionale per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni”. Presidente del Comitato fu eletto Ivanoe Bono-

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La sindrome delle tre scimmiette

Giorgio Boldrini (Forte dei Marmi, 1934 - 2003) Senza titolo, olio su tela, 1994 dimensioni: 100 x 70 cm proprietà: Binelli

cemento che emana da un po’ di tempo a questa parte, vi piace di più così com’è, piuttosto che con tutti quei campi che non ‘sapevano’ di niente... Ma, vi prego, dite la vostra, confrontatevi; perché vuol dire formarsi un’idea più articolata e ciò va di pari passo con la partecipazione alla vita pubblica dei nostri paesi. Se non c’è partecipazione pubblica, chi ci governa – a tutti i livelli e di tutti i colori essi siano – si sentirà autorizzato a fare tutto senza più la paura del giudizio pubblico. E l’opinione pubblica è il sale della democrazia, è il termometro di una società evoluta che tiene di conto la gente. Ci siamo scandalizzati per Monticchiello senza vedere che qua è successo di peggio. Allora vi lascio con le parole di Mario Pirani (“Quando la Repubblica tutelava il paesaggio”, La Repubblica, 22 gennaio 2007) per sottolinearvi come mai come oggi il ruolo di controllo del cittadino sia divenuto essenziale per la tutela della nostra terra: “(...) Alla fine, però, sarà il Comune, come per Montic-

mi (indipendente); proposero il testo del proclama probabilmente Alcide De Gasperi (democristiano), Pietro Nenni (socialista) e Mauro Scoccimarro (comunista). Il Comitato ebbe il compito principale di animare e coordinare la resistenza civile e militare, coadiuvato da una giunta militare di cui fecero parte, inizialmente, anche Sandro Pertini e Giorgio Amendola, che poi si trasferirono al Nord. Nel Paese la notizia della costituzione del Comitato romano si diffuse rapidamente, specialmente nelle città e nei centri del Nord, in particolare a Torino, dove il Cln fu costituito e operò immediatamente. A Firenze già da tempo erano attivi personaggi come Calamandrei, Zoli e La Pira. La documentazione relativa alla costituzione, al funzionamento ed alle attività dei Cln di Lucca e dei comuni della Versilia è purtroppo assai scarsa, dal momento che quei comitati erano costretti a operare nella clandestinità. Per questo può dirsi prezioso il libro di Alfieri Tessa, costruito non solo sulla ricerca di testimonianze e documenti, ma anche in base ad un proprio memoriale. E’ comunque documentato che nella seconda decade del mese di settembre 1943, si riunirono a Cardoso diversi patrioti, fra cui il sottotenente dell’Aeronautica Gino Lombardi di Ruosina, che gettarono le basi per la costituzione del Cln. Due mesi dopo, il Comitato deliberava di costituire una formazione armata guidata dallo stesso Gino Lombardi, chiamata i Cacciatori delle Apuane. Giuseppe Pieruccioni fu incaricato del collegamento con gli altri Cln. Della formazione partigiana, che raggiunse la consistenza di una trentina di uomini, fecero sicuramente parte, oltre a Lombardi e al suo amico Piero Consani, Luigi Mulargia, Aulo Viviani, Oscar Dal Porto e Alfieri Tessa. A Seravezza il Cln si formò intorno a Pietro Marchi, già sindaco socialista durante la prima guerra mondiale e confinato politico alle Lipari dal regime fascista. Dopo l’uccisione di Gino Lombardi, avvenuta a Sarzana il 21 aprile 1944, Marchi inviò Lorenzo Bandelloni nella zona del Monte Cavallo, sopra Azzano, allo scopo di costituire una formazione partigiana. Il Cln di Seravezza svolse importanti attività di informazione degli Alleati sui movimenti di truppe tedesche e le loro postazioni. A Pietrasanta l’avvenuta costituzione del Cln fu subito portata a conoscenza dell’avvocato Luigi Salvatori, noto antifascista, che ne ricevette una delegazione nella sua casa in via Garibaldi. Ne fecero parte anche Manlio Cancogni che fu il primo coordinatore, Dante Benassi e G. Battista Vannucci. Nel gennaio del 1944 la composizione del Comitato fu rivista, anche per il trasferimento a Firenze di Cancogni. Esso fu dunque così formato: per il partito comunista Dante Benassi, per quello socialista G. Battista Vannucci, per la democrazia cristiana Alfredo Graziani. Intanto, avendo i partiti politici avvertita la necessità di unire le forze disponibili, venne creato un “Fronte della gioventù” locale, promosso dal Cln di Viareggio, e un organismo intercomunale di coordinamento fra i Comitati versiliesi, che rimase in carica fino alla liberazione di Pietrasanta, nel settembre 1944. Un forte aiuto per la Resistenza versiliese venne dalla missione della viareggina Vera Vassalle, che fu inviata nell’Italia del Sud presso i Servizi di informazione americani per fare presente la necessità di avere armi e viveri a disposizione, che i nostri partigiani riuscirono a ricevere dai lanci dell’Aviazione alleata. chiello, ad avere ĺultima parola, in base alla Legge 1/2005 della Regione Toscana che subdelega ai Comuni il potere di autorizzazione paesaggistica nelle zone vincolate, riservando alla Regione un ruolo puramente programmatorio e d́indirizzo. È il frutto di una teorizzazione estremizzata del governo “partecipato” del territorio e di una visione angelicata delle “virtù” delĺente locale. Si sottovaluta, per contro, che questa delega verso il basso – apparentemente più democratica – è destinata ad alimentare un devastante conflitto d ́interessi poiché i Comuni, in nome di una malintesa idea di “sviluppo”, sono a volte più sensibili alĺintroito dei cospicui cespiti delle concessioni edilizie che al fascino del paesaggio. Del resto si tratta del punto di arrivo della dissennata riforma del Titolo V della Costituzione: ormai non è più «la Repubblica (che) difende il paesaggio», poiché questo grande valore di principio è stato spezzettato in quote condominiali locali. Un altro atto che segna ĺabdicazione suicida di una classe dirigente”. Parliamone insieme, dopo esserci guardati bene in giro; la Versilia avrà un aspetto differente.


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I diversamente abili e la scuola

la prima prevede un percorso di studi ordinario, al cui termine l’allievo consegue il titolo di studio avente valore legale; nella seconda modalità non si dà luogo a una valutazione secondo i parametri definiti dal piano di studi ordinario, ma attraverso un piano educativo personalizzato. Che criteri vengono seguiti nella scelta dei due percorsi? Gli strumenti che guidano le strategie della scuola sono, dopo le certificazioni cliniche, il Profilo Dinamico Funzionale e, successivamente a questo, il Progetto Educativo Individualizzato. Sono passaggi estremamente delicati dove è espressamente prevista la presenza di più soggetti istituzionali che devono, obbligatoriamente, entrare in relazione e definire di concerto l’insieme delle azioni educative e formative da porre in essere, nonché il puntuale monitoraggio dell’esito di tali azioni. In questa dinamica il ruolo della famiglia è di tutto rilievo per una ottimizzazione del lavoro che la scuola svolge. La legge obbliga ad una preventiva certificazione d’idoneità per poter avere l’accesso ai quei laboratori tipici del percorso di studio delle scuole artistiche e tecnico professionali. Per tale motivo alcune tipologie di allievi diversamente abili, che non possono frequentare anche per motivi di incolumità fisica tali laboratori, possono essere parimenti inserite – e quindi integrate – in un curriculum di licei classici e scientifici, in quanto di fatto, se trattasi di un percorso che dà luogo al titolo di studio esistono apposite modalità di intervento e di sostegno sia alla comunicazione che alla persona in grado di stabilire una più che soddisfacente acquisizione e contestuale verifica dei risultati conseguiti. È solo, e lo ribadisco , una problema di ordine deontologico e di serietà professionale. Ancora meno problematico, è l’inserimento di soggetti per i quali si adotta un percorso che preveda la sola certificazione: qui l’obiettivo non è tanto l’acquisizione del titolo di stu-

Un «Paternostro» per il dittatore di Leda Quintavalle Falasca

L’impiccagione di Saddam Hussein ha destato echi in tutto il mondo; ognuno di noi dice la sua in proposito. La mia opinione personale è che la pena di morte poteva essere commutata con l’ergastolo. Per tappare la bocca agli italiani che hanno fortemente criticato quell’esecuzione, i favorevoli stranieri hanno detto pressappoco così: “Voialtri guardatevi per voi che Mussolini l’avete ammazzato dopo un processo di pochi minuti”. È vero. E poi perché eliminare anche quella povera Claretta, rea solo di provare una malsana esaltazione per un dittatore? Tra parentesi dico che lo sciopero della fame e sete di Marco Pannella mi è sempre sembrata una ridicolaggine (per non dire di peggio) una specie di ricatto morale; e poi, con rispetto parlando, a chi vuoi che importi – a parte i suoi famigliari – se Pannella non ha mangiato e bevuto? Molti italiani, di questi tempi, hanno cose più importanti a cui pensare e le mariomerolate non piacciono a tutti. Tornando al duce, apprendemmo della sua morte, mentre eravamo sfollati a Volterra (“terra del vento e del macigno”, come diceva il Vate). Non ci sembrava vero poter mangiare normalmente, tornare alle nostre case, alle nostre abitudini. Veramente nella nostra famigliola, anche prima della guerra, avevamo sempre sofferto per colpa del fascismo, perché nostro padre non aveva mai preso la tessera del partito e per questo motivo, il patronato scolastico non ci passava nemmeno un quaderno, pur essendo poveri e bisognosi. E che dire delle colonie marine e montane tanto reclamizzate? Mai andati. Malgrado il nostro evidente bisogno, il massimo che ci veniva offerto, erano disgusto e cucchiaiate di olio di merluzzo. La fine di Mussolini ebbe su nostra madre una strana reazione; infatti quando lo seppe disse: “Poveruomo, diciemogli il Pater Nostro”. Allora mi sembrò naturale recitare quella preghiera per un uomo che ci aveva fatto tanto tribolare. Però era finita e lui aveva finalmente pagato. Credo che oggi, anche a Saddam Hussein, feroce dittatore iracheno, non si possa negare un Pater Nostro.

dio, bensì il consentire un progressivo consolidamento delle condizioni di relazione e di fiducia in se stesso. Ovviamente, per quanto riguarda i percorsi, nessuno nega che alcuni siano decisamente più impegnativi, sotto un profilo della gestione delle capacità di astrazione e di sintesi, ma ciò non può essere assolutamente adombrato a giustificazione per quello che viene ad essere in realtà un rigetto di un possibile inserimento. Personalmente cosa ne pensa di questa situazione? È mio radicato convincimento che parte della responsabilità di questa concentrazione degli allievi diversamente abili in solo pochi istituti sia da ascrivere, anche se in assoluta buona fede, all’applicazione da parte della scuola media di vecchi modelli concettuali che orientano verso istituti tecnici o artistici quegli allievi ritenuti portatori di qualche disabilità, ritenuti più idonei alla manualità che alla speculazione filosofica. Manca – o è del tutto marginale – una vera cultura della verticalizzazione e della continuità fra i vari segmenti dei percorsi di studio: il ciclo della scuola media non ha una relazione di sistema con quello della secondaria superiore, per cui prevalgono impianti concettuali e convincimenti anche di ordine “sociale” decisamente inadeguati. L’Asl, la Conferenza dei Sindaci sulla Sanità e quella sulla Pubblica Istruzione, sono soggetti Istituzionali di fondamentale importanza in quanto contribuiscono, erogando servizi e risorse, a rendere effettivo il “diritto” all’integrazione dell’allievo diversamente abile. Sono dell’avviso che la situazione possa essere sbloccata tramite una attenta ri-definizione di uno strumento operativo territoriale come l’“accordo di programma”: qui il ruolo promotore e di pungolo dei responsabili dei vari dipartimenti operativi dell’Asl può essere decisivo proprio nella individuazione di criteri funzionali alle varie esigenze che tali fattispecie delineano, a cominciare da una equilibrata distribuzione degli allievi nelle varie scuole del territorio. Ricordo che esperienze in tal senso già sono state, positivamente, praticate in altre aree geografiche, in specie nel Nord Italia. Se “realmente” lo si vuole, il problema può essere se non completamente risolto, quanto meno avviato a miglior soluzione. Basta uscire dalla logica dell’autoreferenzialità che ancora soffoca non pochi soggetti istituzionali: a cominciare da molte Istituzioni scolastiche Autonome.

Curiosità

Il gufo viareggino di Monica Taddei

Vi voglio brevemente raccontare un episodio che in una mattinata autunnale mi ha rallegrato. Il 21 ottobre ultimo scorso alla finestra dell’ufficio ragioneria del Comune di Viareggio, dove lavoro, è apparso un bellissimo esemplare di gufo, adagiato sui rami di un albero. Appena abbiamo scorto questo stupendo essere vivente, ci siamo tutti emozionati, perché essendo animale notturno, è raro vederlo alla luce del sole. Dai colori dolci, sui toni del marrone, era proprio bello; in trentacinque anni di vita non ne avevo mai visto da vicino uno e ne sono rimasta colpita. Se ne stava tranquillamente addormentato davanti a noi, non accorgendosi che tutto il Palazzo Comunale lo osservava. Quella mattina ci siamo sentiti “simpaticamente gufati” ed accompagnati nel nostro lavoro da quella figura. Forse è una cosa superficiale, ma accadono a volte piccoli fatti che rendono felici per un attimo. Mi è venuta in mente la canzone di Gianni Morandi “Sei forte papà” che diceva “Il gufo con gli occhiali….”. E pensare che ho dedicato a lui una poesia che tutti hanno letto e condiviso!

Il mi’ mondo come lo vedo io

La pianta assassina di Antonio Bandelloni «Cari giornalisti, scusate la mi’ ignoranza, ma che cazzo scrivete? Fate per vende’ più copie, per rompe’ i cabbasisi a’ lettori o tutt’e due? Essì che avete la laura…». -Io rospo, Anto’, che gentilezza stamane. Un hai dormito? Ora anco co’ giornalisti te la pigli… che t’hano fatto da pode’ attira’ la tu’ attenzione? -A me personalmente nulla, ma vorei che la gente colta quando scrive non scrivesse frasi fatte (un vo’ dì “cazzate” perché sono educato). -Ummene ero accorto… insomma, che hai da dire ai giornalisti, visto che ormai sei partito? -Partito in che senso? Qui l’unico partito fra noialtri due un sono certo io, caro il mi’ omo. -Marianna… che hai capito? Col discorso, no? quando parti e chi ti ferma più? -E chi mi ferma… per forza, no: scrivino di que’ discorsi che gnanco io e Giurato messi insieme un si fano! E po’ le domande che fano… -Le domande, che domande Anto’? -Quelle le spiego un’altra volta. Ma venimo a gli articoli: lo sai che, da po’ che sono pensionato, faccio un po’ di volontariato sia di giorno che di notte sull’ambulanze... -E certo, te pur di sta’ a giro… -Sta’ zitto, scemo, che è un servizio importante! Dicevo: a volte capita di soccorre’ persone che hanno fatto incidenti, anche molto gravi; le cause sono molte: alcole, spezie varie, l’alta velocità, guasti meccanici, eccetera eccetera. -Sì, ma un ho capito che c’entrino le spezie… un saran mia le donne di la Spezia? -Io cane, ma lo fai apposta? Oppure sei tombalorso… o spetti la laura in giornalismo anco te? Era che un volevo dì “droghe, spinelli, cracchete, coccoina…”. Ma se a te un ti parlo papale papale, eh? E ora ummi di’ che c’entra il Papa con gli incidenti, sennò ti stiocco un mortaretto sulla testa che ti rimetto l’orilogio della vita a zero. -Anto’ come sei nervoso! Ma me lo dici o no perché l’hai co’ giornalisti? -Un è che l’ho cola categoria suddetta, ma ti fano venì du’ palle! Senti qua e po’ dimmi te… leggi: «la pianta assassina»… «la strada assassina»… «la curva assassina»… e giù di quela posta! E la durino giorni. Ma che scrivino, mi chiedo: la pianta è secoli che è lì, magari è un monumento alla natura, ma se uno ci sbatte contro e muore è colpa della pianta? Ma dai, al massimo al tizio gli andrebbe ditto: «complimenti per la mira: l’unica pianta l’hai presa in pieno!». Il problema è che si c’è sbiaccicato contro e che gli dici? ci rimani anco male e vai al pronto soccorso a sirene spietate e speri in bene… -Umh, umh! -«Umh umh» una sega! Po’ c’è la strada assassina: io rospo, ma se c’eno i limiti a cinquanta e la percorri a quattrocentosessantasette all’ora e ti catafotti, o sei briaco o peggio! E te giornalista te la pigli cola strada che è stretta? E se fusse più larga andrebbero anco più forte! Po’ c’è anco la curva assassina: aridài! Anco lì c’enno i limiti di velocità, no? Ti fo l’esempio: guarda l’uscita per Viareggio. Escono dall’autostrada e nimo – dico nimo – rispetta il limite di velocità. L’hai visto il bivio che da una parte vai al Marco Polo e a sinistra vai sull’Aurelia? Guarda come c’è concio in quel punto… O gente che scrive, se fate per fa’ l’articolone è un discorso, ma dite «pane al pane e vino al vino» e le cazzate lassatile alla politica! P.S. (un è che vole di’ pubblica sicurezza, eh, fativelo spiegà!) Le strade possino esse’ anco a dodici corsie, ma se un cambia quello che avemo ‘ndela calotta è uguale! Per le piante poi, s’è un problema e si taglino, no? Si rimedia: gli fa’ ‘na sega, confronto all’Amazzonia!

Ringraziamenti

Vorrei ringraziare tutte quelle persone (e sono tante) che in un modo o nell’altro hanno curato, assistito, accudito, rispettato mio fratello Antonio Quintavalle, durante il suo lungo soggiorno, come ospite, al Pio Istituto Campana di Seravezza. Leda Quintavalle Falasca


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Suggerimenti

Riparliamo del Consorzio di bonifica di Ivio Avenante Cara Versilia Oggi, quando sul finire del 1999 fu approvato il “piano di ‘classifica’ del Comprensorio di bonifica n° 11 “Versilia Massaciuccoli – che contiene le regole per 1’applicazione a tutta la proprietà consorziata di un “contributo di bonifica/idraulico” (v. delibera del C.d. n° l3 del 30.12.1999 ) – non ci fu la c.d. ‘concertazione’ e tutto avvenne nel segreto dei canali della politica con 1’accettazione supina o concordata dei ‘criteri’ impositivi contenuti nella “Guida Anbi” (Associazione Nazionale Bonifiche ed Irrigazioni con sede in Roma) di 10 anni prima. Alla proprietà immobiliare, agricola ed extra agricola, non restò che prendere atto di una tassa di bonifica generalizzata quale corrispettivo dei benefici che derivavano dalla manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua non classificati, delle aree collinari e montane, e delle opere idrauliche di 3ª ctg: sia quelle classificate dallo Stato (fiume Versilia, torrenti Baccatoio e Camaiore) che dalla Giunta regionale (torrenti Cardoso, Vezza, Giardino, Serra, Bonazzera, rio Strettoia, torrente Montignoso, salvo). Per i primi ci si dimenticò dell’art 15 della L.r. n° 91/98 che distribuisce tra Comuni e “proprietari frontisti” gli oneri derivanti dalla loro manutenzione ordinaria e pulizia; per i secondi si disattesero le norme di legge che attribuiscono i medesimi oneri al bilancio della Regione e quindi alla fiscalità generale e non già ai consorziati. Se ne indicano alcune: l’art. 60 L.r.t. n° 34/94 richiama la legislazione nazionale posta a disciplina delle “opere idrauliche anche se realizzate ai sensi della presente legge” (su delibera della Giunta Regionale); l’art. 34 Legge n° l83/89 sopprime i consorzi idraulici di 3ª ctg. ed abroga le disposizioni relative alla loro costituzione, vale a dire cancella 1’obbligatorietà della manutenzione ordinaria a carico della proprietà consorziata, con i conseguenti oneri di spesa a carico del bilancio della Regione (fiscalità generale) così come per la straordinaria manutenzione: resta quindi in vigore il c. 2° dell’art. 44, Tu ‘523’; l’art. 1, commi 1° e 3°, Legge n° 520 del 16.12.1993 (6 anni prima del “piano di classifica”) da una parte fa cessare la potestà impositiva dei (soppressi) consorzi idraulici di 3ª ctg. “venendo meno pertanto qualsiasi obbligo di pagamento di contributi riferiti a periodi successivi alla loro soppressione, e dall’altra consente alle Regioni – per 1’esercizio delle loro funzioni sulle opere idrauliche di 3ª ctg. – di avvalersi anche degli apparati tecnico amministrativi dei consorzi di bonifica rimborsandone naturalmente i costi affinché non abbiano a ricadere surrettiziamente sui consorziati (avvalersi infatti esclude la delega o trasferimento di funzioni ed oneri di spesa ai Consorzi di bonifica); l’art. 59 bis Lrt n° 34/94 (nel nuovo testo introdotto con l’art. 2 Lrt del 8/5/2006, n°16) non rinnova ai consorzi di bonifica l’autorizzazione ad emettere ruoli di contribuenza (c. 4° del precedente testo) e 1’attribuzione ai consorzi di bonifica delle proprie funzioni sulle opere idrauliche di 3ª

ctg. con i relativi oneri di spesa (c. 5°). Sembrerebbe allora chiarita la ‘ratio’ dell’art. 59 della stessa Lr n° 34/94 secondo cui i consorzi di bonifica “succedono ai consorzi idraulici di 3ª ctg. di competenza regionale” (c. 1°), ma nei limiti posti dal Legislatore nazionale (art. l e 3°, Legge n° 520/93): cioè il Consorzio ha il ruolo di esecutore, in regime concessionario delle opere ed interventi sia di ordinaria che di straordinaria manutenzione (cioè gli oneri di spesa non sono a carico della proprietà consorziata ma della Provincia cui la Regione ha trasferito le competenze in materia di difesa del suolo e di idraulica). Se le osservazioni avessero un qualche fondamento ne conseguirebbe l’urgenza di una modifica al “piano di classifica” restringendo di almeno il 50% il “perimetro di contribuenza” ed eliminando dall’elenco dei corsi d’acqua in manutenzione consortile le opere idrauliche di 3ª categoria sopra indicate ed i tronchi dei corsi d’acqua naturali che attraversano gli abitati (oneri di spesa a carico dei Comuni) e quelli esterni agli abitati (oneri di spesa a carico dei proprietari frontisti). E perché, allora, non chiedere al tuo esperto avv. Jacopo Cappuccio un più approfondito esame della questione? Alla fin fine si tratterebbe di poter dire al Consorzio: o tu modifichi piano di classifica e perimetro di contribuenza oppure rischi di andare ad invischiarti in una ipotesi di abuso d’ufficio (imposizione tributaria generalizzata). Ti ringrazia dell’attenzione un tuo fedele lettore.

I nostri sostenitori

Marta Roni Leonardi, Giacomo Sacchelli, Vittorio Cardini, Bruno Ceragioli, Carla Galli, Elisabetta Angelini, Carla Costa, Francesca Casini Bramanti, Francesco Bacci, Nerina Antonucci, Giulio Ghetti, Alvaro Marcucci, Renzo Casini, Edda Mancini Grossi, Angela Punzi, Rosalka Pilli, Antonio Simi, Chiara Silvestri Vannucci, Paolo Tarabella, Mansueto Tognetti, Luciano Sacchelli, Piero Pochini (in memoria di Loris Pochini), Danilo D’Angiolo, Roberto Mattugini, Angela Sacchelli Pucci, Roberto Guglielmi, Michele Casarosa, Maria Giovanna Aliboni, Gian Paolo Pedetta, Maria Teresa Jenco, Mancini Giulia, Elda Mazzei, Giuliana Santandrea Mutti, Augusto Neri, Sirio Giannelli, Franco Bazzichi, Mario Sarti, Armando Baldoni, Roberto Giannarelli, Giovanni Baldacci, Daniela Secchione (in memoria dei genitori), Mauro Lari, Salvatore Cervelli, Flavia Sponza, Fulvio Quintavalle, Lucia Amadei, Marida Salvatori, Giusti Roberto, Luca e Carla Neri, Vittorio Giannotti, Andrea Merigo, Giuseppe Radice, Alba Angelini, Valerio Marrai, Campolonghi Italia Spa, Sonia Pesetti, Guglielmo Polacci, Ileana Romoli Salvatori, Alessandro De Santis, Fiorella Fontana, Loris Marcucci, Roberto Tesconi, Giuseppe Pesetti, Mauro Galleni, Dora Toselli, Giulia Quarisa, Guido Galeotti, Luigi Cortesi, Silla Morandini, Massimo Lazzotti, Carla Bertoli, Sergio Gloria Ricci.

Oltre il confine

Dire donna

Ancora un nuovo anno di Elisabetta Angelini Un anno che finisce è una malinconia in più. Non per il bambino che cresce ed aspetta con impazienza di essere più grande per conquistare il mondo, non un giovane impegnato a concludere gli studi con l’aspettativa di avere un lavoro che gratifichi il suo impegno intellettuale, non un altro con un mestiere che gli permette di realizzare progetti preventivati, magari sposarsi o vivere da solo (oggi si ama anche questa opportunità di “libertà”); lo stesso discorso vale per la parte femminile: dalla bambina che ambisce di raggiungere l’età in cui potrà mettersi i tacchi, truccarsi e vestirsi come le piace, anche se oggi sono loro a dettare legge alle madri in fatto di acquisti, alla donna in carriera, alla madre con il figlio da crescere insieme ai sogni sul suo avvenire. No, la malinconia di cui parlo è quella dell’uomo che ha raggiunto la fase della vita scandita dalla pensione, dalla routine quotidiana, dalla mancanza di impegni inderogabili richiamati alla coscienza dal suono della sveglia. Un anno passato, in questo caso, è un tempo segnato dalla certezza, sancito dagli avvenimenti lieti o tristi accaduti, dalla consolante constatazione che non si ripeteranno. E’ stato conquistato un bagaglio lieto o divertente o traumatizzante, ma ormai passato, finito nel copioso numero dei giorni di un anno che fu. E’ una filosofia del vivere propria di chi vede il bicchiere mezzo vuoto o è solo un attimo di smarrimento esistenziale? Eppure non c’è rimpianto, neanche voglia di tornare indietro. E perché mai? Ripetere ciò che è avvenuto per riprovare gli stessi stati d’animo, rivivere un déjà vu come una moviola che ripropone al rallentatore immagini conosciute a memoria? No, grazie! Non credo che questo porterebbe all’esistenza un grammo in più di felicità, anzi sarebbe un continuo ripetersi. Niente di nuovo sul fronte della vita. Panta rei diceva Epicuro. Tutto scorre. Tanto vale, allora, dare il benvenuto al nuovo anno, al 2007. Ci prepariamo ad aspettare gli eventi e, mentre il pendolo scandisce i secondi, chiudiamo gli occhi e rilassiamoci senza pensare alle sorprese che ci riserveranno i nuovi giorni. Passerà l’inverno: ce ne accorgeremo dallo spuntare di piccole gemme sul ciliegio e sui susini, lo sentiremo da un odore diverso nell’aria, anche se i camini fumeranno ancora, dalla mimosa esplosa improvvisamente nel suo giallo profumo, dalle pratoline che talvolta sfidano i rigori invernali e non muoiono mai. Tanti indizi uguali, ma allo stesso tempo diversi se a vederli è un occhio meno distratto e con una parvenza di ottimismo, che è una chance in più per chi sa assaporare ancora la vita.

Svizzera, altro mondo, novembre duemilasei di Romano Redini Notizie da un paese vicino che, per maturità civile, dista da noi anni luce: Il 26 novembre scorso in Svizzera si è votato su due temi. Il primo riguardava il cosiddetto “miliardo di coesione”, un contributo svizzero allo sviluppo dei nuovi paesi dell’UE, in particolare della Polonia. La proposta del governo è stata accettata con il 53% dei voti. Il secondo tema invece, concerneva il sistema degli assegni familiari. Il 68% dei votanti ha accettato una nuova legge che introduce una somma minima uniforme in tutto il paese. Ogni commento è sprecato: c’è chi aumenta le tasse, in numero e consistenza, e chi aumenta gli assegni familiari. Per quanto riguarda le votazioni cantonali, la più attesa era quella svoltasi a Zurigo, dove era stata proposta un’iniziativa che intendeva eliminare l’insegnamento di una delle due lingue straniere in programma alle elementari (togliere l’insegnamento del francese e lasciare ‘soltanto’ la lingua inglese). Unicuique suum. Amen. La tabella qui a fianco riporta l’attuale situazione degli assegni familiari in Europa. Tabella ripresa dal sito www.swissinfo.org


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Dall’Almanacco versiliese II

Frammenti di cronaca (prima parte)

Trascritti, dove possibile, con il linguaggio dell’epoca. “Istoria della venuta de’ Bianchi”, scritta da ser Luca di ser Bartolomeo da Pistola nel 1399. In seguito all’apparizione di Cristo e della Vergine a un villano, si costituì una compagnia dei Bianchi flagellanti di Firenze composta da diciotto uomini che andarono a Genova e poi a Sarzana, a Pietrasanta e a Lucca. Una brigata di Bianchi di Lunigiana, i quali erano mille, si spinsero a Pietrasanta e alla Pieve di San Paolo, contado di Lucca, una parte dei quali visitarono Pistoia, Pisa e in numero di seicento Camaiore e di duecento la Garfagnana. Quando, muniti di cilicio, con tanto di crocifisso e drappi, giunsero alle porte di Pietrasanta, il vicario non voleva dargli l’ingresso, perché il paese era proprio in quel periodo assediato da bande di ventura. Fu comunque concesso loro di depositare il Crocifisso nella chiesa di San Martino. “Cronache provenienti da varie fonti”, Pietrasanta 1518: alcuni uomini uccisero un lucchese sotto il Rotaio. Pietrasanta 1521: alcuni montagnini, giunti in città, sul prato della Porta Genovese, uccisero e ferirono diversi impiegati che stavano effettuando il pagamento di dipendenti pubblici, derubando la cassa con tutti i soldi. Pietrasanta 1532: una rissa violenta avvenne nella piazza del Duomo. Pietrasanta aprile 1545: un soldato spagnolo venne assaltato da tre villani che lo derubarono. Pietrasanta 15 maggio 1590: all’annuncio della nascita del primogenito del granduca Ferdinan-

Almanacco Versiliese II

Dove comprarlo

Queste sono le uniche librerie dove si può acquistare l’Almanacco Versiliese di Giorgio Giannelli:

do e di Maria Cristina di Lorena, vennero suonate a stormo le campane, appoggiate da spari di archibugi e vennero fatte processioni. Pietrasanta 1609: Francesco Cellini, passeggiando col chierico Guglielmo Panichi, quest’ultimo intese usurpargli certi diritti comunali, onde avendo il Cellini preso le pubbliche difese ebbesi uno schiaffo dal Panichi, per cui l’’ltro mise mano al pugnale; Noè Cellini si interpose acciocché il congiunto non eccedesse, e così il chierico poté ritirarsi sulle gradinate del Duomo; Muzio e Vincenzo Gerini, soldati e fratelli, i quali vecchi rancori nutrivano verso Guglielmo Panichi, sguainarono le spade contro Noè perché non volevano che avesse impedito a Francesco di percuotere il chierico; tutto ciò dette luogo a carcerazioni, processi e a maggiori ingiurie tra i Terrazzani. Seravezza 1616: il canonico Piero Simi da Pescia e il pievano di S. Felicita, Giovanni Morobelli, armati di pistole e altre armi, affrontavano la notte or l’uno or l’altro abitante; tra questi Davide Tonelli scampò la vita solo perché un archibugio non prese fuoco; venne accertato trattarsi di amorose rivalità. Pietrasanta 1624: gli alfieri Vincenzo e Piero Lamporecchi, in unione del sergente Albiani, uccisero il capitano della banda Muzio Piccinini; poco dopo il capitano Gerini uccise un Tolomei suo parente; a sua volta vennero affissi alle due porte delle maggiori chiese di Seravezza cartelli ingiuriosi contro il capitano di giustizia, quello della Banda e il prov-

È in libreria il secondo volume dell’ Almanacco Versiliese

Pietrasanta: Librerie Tonacchera, Santini e Susanna Marina di Pietrasanta: Libreria Tonacchera Forte dei Marmi: Libreria Giannelli Querceta: Delia e Bar Tabaccheria Maggi Ripa: Edicola Bigotti Seravezza: Edicole Binelli e Marchi-Barsanti Viareggio: Libreria La Vela

Dall’Almanacco Versiliese II

Donne versiliesi (ultima parte) Belinda Giannessi, quando inaugurò su Versilia Oggi (agosto 2001) una rubrica intitolata Incontri, volle dedicare il primo articolo alle scrittrici versiliesi: Ileana Romoli Salvatori (Racconti versiliesi dal 1870 al 1970, Una donna versiliese 1983-1985, La mia Versilia 1999, Gemino e la torre di Caprona 2000) Thays Bertini (Tre tempi alla luna 1956) Anna Belli, Carla Gai Graffagnini (I ragazzi della Linea Gotica 1970, I reduci 1973) Paola Battelli (L’antifascismo di mio padre in Versilia 1982) Matilde Giannotti (Aurora di diamanti 1982, Gemme d’autunno 1992) Anna Maria Bassi (Dall’uno al più 1983) Mila Giannessi, Giovanna Lega (Una volta a Seravezza 1983, Tempo fa 1984, Episodi di vita paesana 1984, Storie di paese 1986) Sandra Burroni (Versilia piange e ride 1984) Elda Mazzei Lucarini (Una speranza di ieri 1987) Alba Tiberto Beluffi (Il gioco del linguaggio 1989) Iolanda Picciati Tusini (Nostalgia del mio paese 1990) Augusta Catelani (Il bosco rinato 1991) Aurora Felici (Poesie e racconti 1992) Ivania Giannotti Bachelli (Arie di campagna 1994) Iolanda Giovannini (Versilia primo amore 1996) Maria Adele Bàrberi (Pane fatto in casa 1998) Cesarina Pistoresi Raffo (La contessina e il fratello gemello) Leila Luisi Galleni e Maria Pia Gavioli (Pievi romaniche della Versilia 1998). Tra le scrittrici e collaboratrici di Versilia Oggi si ricordano Leda Ulivi, Irene Zapparoli Manzoni, Rita Romiti, Leda Quintavalle Falasca, Edoarda Banchieri, Monica Taddei, Elisabetta Angelini. La Banchieri era una pastorella di Capriglia, che quando suo padre la mandava alle pecore, lei si portava dietro Pascoli, Carducci, Dante e l’Ariosto. Chi ha racchiuso in sé gli elementi tipici dell’universo femminile è stata Giulia Bottari. A Volegno c’era la Cesarina, mamma del parroco Mario Mencaraglia, che raccomandava alla gente che passava davanti a casa sua di fermarsi: «mi basta un cenno con la mano e ne sarò felice». Nel 2005 è deceduta a centosette anni di vita al Forte, Ida Bàrberi Giannotti, proprietaria del bagno Flavio.

TUTTI COLORO CHE NON ABITANO IN VERSILIA

E VOLESSERO RICEVERE A CASA L’ALMANACCO VERSILIESE, SI RIVOLGANO DIRETTAMENTE A: GIORGIO GIANNELLI

VIA SAN GIORGIO, 48 55046 POZZI DI SERAVEZZA (LU) TEL. 0584.769192

veditore. Seravezza 1649: avendo saputo i pietrasantini che alcuni loro soldati accampati in Seravezza erano stati trattati sulla pubblica piazza dal maestro di campo a fune e carrucola per tenerli a dovere, la magistratura di Pietrasanta domandò che fossero tolti quegli strumenti di tortura perché non poteva essere Seravezza un luogo ove si potesse rendere giustizia. Sandra Giorgini Zumaglini ricordava (Versilia Oggi, gennaio 2003) come nel Lago di Porta nel 1724 il pescatore Matteo Dal Poggio una mattina trovò nelle sue reti un grosso luccio che depose sull’erba per proseguire la raccolta degli altri pesci. Al suo ritorno il luccio era sparito. Dopo breve ricerca scorse una volpe che indietreggiava con difficoltà trascinandosi dietro quella che era stata la sua preda, ma con il muso imprigionato nella bocca del pesce che, a sua volta, si scuoteva nel vano tentativo di liberarsi. L’uomo poté con un colpo solo portarsi a casa pesca e caccia nella cesta: era successo che il luccio, per difendersi dalla volpe che lo stava annusando, l’aveva addentata per il naso e non l’aveva più mollata, coinvolgendola nella sua stessa fine. Nel 1768 uscì a Firenze il giornale “Gazzetta Toscana” con alcune corrispondenze dalla Versilia. Pietrasanta 26 febbraio: la nostra cittadina ha reso grazie all’Altissimo; nella sera è avvenuta l’illuminazione per tutto il paese con festa di giuoco in casa del nostro commissario, accompagnata da generali rinfreschi; nella sera fu dato in casa del signor Jacopo Bergamini un decoroso trattenimento, consistente in una cantata a più voci, che fu bene eseguita da alcuni musici lucchesi. Seravezza 6 marzo: dopo essere state suonate il giorno antecedente tutte le campane della terra, al mattino di questo giorno fu reso grazie al Signore nella chiesa priorale colla messa cantata e il giorno col Te Deum, presenti il capo del governo e i rappresentanti della comunità mentre lo strepitio delle campane e dei mortaretti rimbombava dappertutto; sull’imbrunire della sera avvennero in piazza vari fuochi artificiali e altri fuochi, accesi in specie sulle cime delle montagne. Pietrasanta 13 marzo: la nascita del real gran principe venne salutata con il suono delle campane e con l’intervento dei rappresentanti della Terra, la solenne messa cantata dello Spirito Santo e il Te Deum di ringraziamento; in tutto il giorno si sentirono continui spari di mortaretti e furono dispensate copiose elemosine dal tenente Fantoni; la sera, il nostro signor commissario diede una festa da giuoco con profusione di rinfreschi; la mattina successiva i nostri artisti fecero lo stesso atto di ringraziamento nella chiesa degli agostiniani, mentre la sera si tenne, in casa Bergamini, una festa a più voci su un giocondissimo motivo composto dal dottor Francesco Placido Dei; tutto era illuminato a giorno e i rinfreschi furono abbondanti per il conforto anche dei forestieri, tra i quali il conte Torelli, colonnello delle truppe di Modena di presidio a Massa di Carrara. Pietrasanta 15 agosto 1770: essendo insorta rissa tra un soldato di sanità e un certo Tommaso Ciolli di Valdicastello, il soldato, avendo posto mano a un coltello, l’ha in poco tempo privato miseramente della vita. (continua)

Una noce nel sacco

Almanacco Versiliese

Località e materie trattate nel primo e nel secondo volume

Limone (canal del), Linea di confine con Montignoso, Linea Gotica, Lino, Lippeta, Lippo, Lirica, Lisiata, Liste Civiche, Liste di proscrizione, Liti di confine, Litorale, Liutai, Liuto, Livelli, Livorno, Lizza, Locanda Castellacci, Locomobile, Loghetto, Logo (al), Longobardi, Loppieta, Lorena, Lorenzoni (via), Loreto, Lucarino, Lucca, L’Uccelliera, Lucchi, Lucertola (contrada), Lucese, Luchera, Lucone, Luna Rossa, Lunese (Aronte), Luni, Lunigiana, Lupaie (alle), Lupaja (alla), Lupara, Lupinaia, Lupo (Bocca del).

Libreria Giannelli

via mazzini, 11 forte dei marmi

SOLO ALLA LIBRERIA GIANNELLI


gennaio | 07

pagina 7

Una soluzione sempre più attuale

Il Comune unico della Versilia

Vi sono problemi che coinvolgono ogni giorno con maggiore pressanza l’intera Versilia e che non possono essere più demandati all’attività e alle scelte dei singoli comuni di Renato Sacchelli

Il tempo passa inesorabilmente e i problemi di vitale importanza per uno sviluppo armonico del territorio della Versilia storica restano insoluti. Nel 1912, quasi cento anni fa, Luigi Salvatori pubblicò su ‘Versilia’ una proposta del sindaco di Seravezza, Pietro Marchi, che prevedeva la riunione del Forte al comune di Seravezza, a cui poteva poi seguire anche l’accorpamento con Strettoia, l’enclave amministrativo di Pietrasanta e finalmente la riunificazione del comune di Stazzema con Seravezza. Commentando positivamente la proposta di Marchi, Salvatori si dichiarava d’accordo soprattutto con l’ultima ipotesi avanzata, quella della costituzione di un Comune unico secondo gli antichi confini medicei del “Capitanato di Pietrasanta”. Il Comune unico tornò prepotentemente alla ribalta in tempi non lontani, quando Giorgio Giannelli, insieme ad altri uomini ricchi di idee e di ingegno, diede vita all’Unione Versiliese. Purtroppo questi aneliti di libertà, forieri di importanti riforme, non durarono a lungo, tutto finì senza il raggiungimento degli obiettivi programmati e tanto sperati. Ora chi ne parla più del Comune Unico? A parte Roberto Ippolito con l’articolo “Un modo per risparmiare, Comune Unico? Sì grazie” (Versilia Oggi, gennaio 2005) e Alvaro Avenante (Versilia Oggi, aprile 2006) che ricorda come ogni Comune della Versilia storica pensi al proprio campanile, alle proprie poltrone e poltroncine, mentre le amministrazioni dovrebbero tenere presenti tutti i problemi che riguardano l’intero territorio, a nessuno sembra interessare l’argomento. A questa situazione incredibile occorrerebbe porre rimedio, arrivando, in un primo tempo, almeno ad una forma di collaborazione tra amministrazioni, per stabilire un minimo di unità d’intenti nell’interesse di tutti i versiliesi. Gli effetti di questa assurda lotta fra Comuni stanno portando ad una ‘scellerata’ – così scrive Avenante – cementificazione della piana versiliese. Non è più possibile continuare a gestire il nostro territorio con un campanilismo da contrada. I problemi comuni sono tanti, a partire dalla viabilità, dai rifornimenti idrici, dallo smaltimento dei rifiuti solidi, dalla costituzione di aree industriali. Non posso che concordare sul fatto che dovrebbero essere tolte le industrie e i laboratori esistenti fra le case di tutto

il territorio e, nelle vie di Seravezza, non dovrebbero più circolare i mezzi pesanti. Avenante parla di alleggerire questo traffico: la soluzione è a portata di mano. Basterebbe effettuare due trafori, uno del monte Costa e l’altro del monte di Ripa, in modo da convogliare i mezzi pesanti, rispettivamente dalla valle del Vezza al Pago e dal Trambiserra al Centoquindici. “Ma costui che dice? – qualcuno dirà – Non ci sono soldi, non è possibile”. Un Comune unico, con un “peso specifico” adeguato, politicamente parlando, può pretenderli dalla Regione e dallo Stato. Da sempre Seravezza è stata sfruttata sotto ogni punto di vista. Nessuna tutela, nessun diritto al riposo è stato mai assicurato alla sua popolazione. Da ragazzo sotto le case del Ponticello e della Fucina transitava il trenino della Tranvia Alta Versilia. Quando non passava il tram, nelle vie piene di polverone e, quando pioveva, piene di fango, transitavano di continuo i carri carichi di blocchi, trainati anche da quattro o sei coppie di buoi e le ‘membrucche’ trainate da cavalli, cariche di lastre di marmo. E alla gente chi ci pensava? Era il regime fascista che avrebbe dovuto per primo progettare questi due trafori anziché sperperare risorse andando in Africa a costruire le strade lunghe centinaia e centinaia di km, dopo la conquista dell’Impero. Anche il passaggio di autocarri pesanti, carichi di ghiaia e di marmi, ha nuociuto al riposo dei seravezzini, costretti a svegliarsi presto la mattina, per il grande rumore degli autocarri che iniziavano ad andare in su e giù, per le vie delle valli del Trambiserra e del Vezza. Non si può calpestare il diritto al riposo di tutti i cittadini e non si può dimenticare che un rilancio economico (sia turistico che industriale) non può prescindere da un’adeguata viabilità. In varie località italiane che ho avuto modo di conoscere nel corso degli anni, ho notato la presenza di molte gallerie. Credo che per traforare due piccole montagne, con percorsi relativamente brevi, non ci sarebbe bisogno di ingentissime somme di denaro. Oggi purtroppo la Versilia non ha alcun peso politico per far valere le proprie ragioni; mi auguro che le generazioni future abbiano il coraggio e la forza prorompente per portare avanti le giuste rivendicazioni della nostra terra, tanto bistrattata e sfruttata per troppo tempo.

Calendari

Graffiti rupestri delle Alpi Apuane

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Nella tradizione della Comunità Montana, è uscito anche quest’anno il calendario 2007 che prende spunto dalle ricerche di Isa Pastorelli e Giorgio Citton sulle incisioni rupestri per raccontare un aspetto poco conosciuto delle nostre montagne. ��������� �������� �������� ����������

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C’è una storia poco conosciuta delle nostre montagne. Una storia che si tramanda, per chi la sa vedere, attraverso i segni sulle rocce lasciati dagli uomini di epoche lontane. Una sorta di libro da sfogliare, con parole di marmo che iniziano con le epoche protostoriche e arrivano fino ai giorni nostri. I segni nella pietra parlano dell’uomo e delle sue credenze, parlano di religioni ancestrali e di culti solari, di cristiani e di pagani. Ci sono, nelle nostre Apuane, lungo un territorio amplissimo che abbraccia l’intero arco dei comuni che partecipano della Comunità Montana dell’Alta Versilia, antichi sentieri che ancora portano i segni di passaggi lontani, di orme che li calpestarono quando forse l’uomo ancora non chiamava uomo se stesso. L’argomento scelto per il calendario 2007 della Comunità Montana è appunto questo. Valorizzare, far conoscere, preservare i “segni dell’uomo” è l’impegno del presidente Maurizio Verona e dell’assessore Sauro Mattei, che ha seguito personalmente la progettazione del calendario sin dalla scelta del suo soggetto. Particolare attenzione, va rivolta anche al lavoro ventennale che, con incrollabile passione, hanno dedicato alla ricerca e alla conoscenza delle incisioni rupestri apuane Isa Pastorelli e Giorgio Citton. Un calendario che lascerà senz’altro meravigliati per l’incredibile materiale presente sulle nostre montagne e che, la maggior parte di noi, ritengono presente solo in zone come la Valcamonica.

Cronache da Basati

La differenza fra il furbo e il cretino di Giulio Salvatori Alcuni mi dicono con un pizzico di malizia: “Per chi scrivete voi di Versilia Oggi? Ma siete sicuri che poi vi leggeranno, o vi ignoreranno totalmente?” Ho pensato a lungo a questa domanda, poi ho cominciato a fare due conti e credo, anzi sono convinto, che abbia un senso scrivere su Versilia Oggi. Anni fa, fondai il giornale della montagna “Vento Cercine”, purtroppo è morto perché non capirono l’importanza di quella voce, poi sapete che nessuno è profeta in patria. Se quel giornale l’aveva fondato un milanese, o un fiorentino, sicuramente c’era ancora. Ebbene, quelle quattro pagine, davano noia eccome, e sapete perché? Era la voce di una comunità, era la voce della montagna seravezzina. Tutti conservavano quel giornale, oggetto di critica ma anche di discussione, di proposta e di protesta. Un articolo che appare su Il Tirreno, La Nazione o Il Corriere della Versilia, fa il suo effetto perché per un giorno lo leggono nei bar, lo acquistano etc., poi però finisce nel dimenticatoio, o come mi disse un noto personaggio della politica: “il giorno dopo, con quel giornale, ci puoi riempire le scarpe”. Questo non succede con Versilia Oggi. Gli abbonati, o quelli che lo comprano all’edicola, lo conservano gelosamente. Lo faccio anch’io che sono disordinato. Aggiungo ancora un altro aspetto importante: Versilia Oggi entra nelle case, nelle famiglie e, a leggerlo sono in molti. Moltiplicate il numero degli abbonati per due o tre persone e vi accorgerete che sono in tanti a posare gli occhi su quelle pagine. Non so se sarò riuscito a dare una risposta a quella gente. E se mi dovessi sbagliare, ma non credo, va sottolineato il fatto importante che chi scrive ha il coraggio di comunicare agli altri il suo pensiero, le sue idee, le sue proposte, le sue proteste, il suo stato d’animo, le sue incazzature. Se poi sono condivise e alcuni ti telefonano e si complimentano con te e con la redazione per quello che hai scritto, questo è già un premio. Ora voglio continuare per far conoscere a chi non lo sa, la differenza che c’è tra un furbo e un cretino. Come si sa, nel periodo dell’emigrazione, molte persone della Versilia cercarono lavoro nei posti più svariati della terra. Giovà, lavorava in una falegnameria di un piccolo e sperduto paese della Francia, e si riteneva una persona furba, astuta. Guardava il prossimo un po’ dall’alto. Al termine della giornata lavorativa, si fermò in una bettola a bere. Ad un tavolo, nascosto in un angolo, c’era un uomo dall’aspetto un po’ trasognato. Questi ordinò all’oste un quartino di vino. Giovà si avvicinò, si sedette al suo tavolo e gli chiese da dove venisse, questi gli rispose: “Dall’Italia, dalla Toscana – Dalla Toscana? – ripeté meravigliato Giovà – E con precisione da duve ? – Da la Versiglia” rispose ridacchiando l’uomo mentre si puliva la bocca con la manica della camicia. Giova, contento di aver trovato, dopo tanti anni, un paesano, ordinò all’oste un litro di vino rosso. “Ma da che paese veni? – insisteva Giovà – Io, sono di Basati – rispose il cretino – Mi pa’ era Filippo e mi ma’ la Cherù, ma ‘n lo so se eno sempre vivi”. A Giova gli andò di traverso l’ennesimo bicchierotto, capì che quell’uomo dall’aspetto cretino era suo fratello, emigrato assieme a lui tanti, tanti anni fa. Non so se sarò riuscito a far capire la morale di questo immaginario racconto. È un antico detto. Quante persone ci sono che guardano dall’alto i propri simili, che cercano spesso di umiliare, di scavalcare, di calpestare, di fregare, e non sanno, o non vogliono sapere, che il furbo e il cretino spesso sono fratelli.

Ringraziamenti pubblici

Grazie a Serena Del Bono

Laura Genovesi ci tiene a fare pubblicamente i ringraziamenti a Serena Del Bono, per l’articolo che ha scritto sulle colonne di questo mensile in ricordo di suo padre Lino Genovesi, riuscendo a descrivere perfettamente il carattere e l’umanità che lo distinguevano. Un grazie di cuore.


gennaio | 07

pagina 8

Il bricco dei vermi

Neve assassina di Fabio Genovesi Quel magico inverno dell’85. Era un giorno di scuola, mia madre da camera sua urlava per svegliarmi, e fin qui niente di strano. Ogni giorno doveva sgolarsi per farmi alzare alle sette e mezza, orario che mi sembrava, e mi sembra tuttora, una violenza inutile. Comunque, aperto mezzo occhio, mi resi conto che gli urli della mamma oggi suonavano diversi. Non erano le solite dolci esortazioni da libro Cuore, tipo moviti disutile, come t’ho fatto ti risfaccio. No, questa di oggi era una mamma stupita, da grandi occasioni. Allora mi butto giù dal letto, corro di là e la trovo aggrappata al termosifone che guarda fuori dalla finestra. La luce è strana là fuori, si capisce subito che è successo qualcosa di grosso. E infatti mi affaccio al vetro e vedo il mondo tutto bianco. Ora, io la neve dal vivo non l’avevo vista mai, e allora lì per lì pensai che a Massa la Farmoplant era scoppiata, e la sua schiuma velenosa stava avvelenando tutta la zona. La mamma mi spiegò che era neve, e la cosa mi emozionò. Chiesi se potevo non andare a scuola, lei disse che la scuola rimaneva chiusa di sicuro, e questo mi emozionò ancora di più. E di colpo un urlo alla finestra. Era la mattina degli urli. Stavolta era Massimo, un amico che stava nella casa accanto. Già tutto vestito, scavalcava il cancello e saltava sulla neve, diceva muoviti, vieni fuori, ti rendi conto quanto ci divertiamo?! Neanche il tempo di litigare con la mamma per il numero di maglioni da mettermi addosso, esco di casa, trovo tutti gli amici raccolti, ma Massimo non c’è mica. Solo dopo un po’ sapemmo che era scivolato sul ghiaccio, proprio mentre veniva da me, e si era aperto la capoccia. Aveva perso conoscenza, e anche tutto il divertimento che pregustava un attimo prima di picchiare per terra. Ma noi eravamo ragazzini, c’era la neve, non avevamo tempo per il dispiacere, o per meditare sull’inatteso che arriva e ti toglie tutto in un istante. Eravamo ragazzini, c’era la neve, del resto non ce ne fregava nulla. Ci radunammo nella strada, che era bianca a toppe scure di fango, e solo a darci mezza occhiata si notavano più chiari della neve i diversi ceti sociali a cui appartenevamo. Simone e la Silvia, figli di un dentista, avevano tute da sci supertecniche, aderenti e nuove. Simone addirittura si era messo la spillina della scuola sci di Sestola con le tre stellette d’argento, che io gliela invidiavo quasi quanto il fatto di avere una sorella meravigliosa come la Silvia. L’unica consolazione era che, se c’era uno nel mondo che aveva meno probabilità di me di pomiciare con lei, era proprio Simone che c’era fratello. Ma per le stellette d’argento non c’era consolazione, nessun limite all’invidia, come per gli stivaloni doposci rossi di Sebastiano, che il suo babbo faceva il macellaio e aveva la seconda casa all’Abetone. Invece io, Andreino e Umberto, noi avevamo scritto chiaro addosso che sulla neve non c’eravamo stati mai. Maglioni montati uno sull’altro, calzoni normali e tanta fantasia. Umberto aveva dei fogli di giornale davanti al petto per bloccare l’aria, io le scarpe chiuse in due sacchetti di plastica stretti alla caviglia con un elastico, Andreino indossava guanti di lana normali e sopra infilati a forza quelli di gomma per lavare i piatti, che gli bloccavano la circolazione. Ma non c’era troppo tempo per sentirsi umiliati. Là intorno il paese stava impazzendo e bisognava sfruttare ogni minuto. Neanche i babbi erano andati a lavorare, stavano tutti nei parcheggi delle scuole e del supermercato a fare i testacoda

Una “Banca con l’anima” con le macchine, e al Comprabene qualcuno aveva schiacciato una delle vecchie che, prese dal terrore dell’emergenza, correvano a fare provviste per avere la riserva in casa. L’idea nostra invece era quella di inventare qualcosa con le bici. Non c’era un piano preciso, più o meno si trattava di correre, metterci qualche ostacolo, farsi abbastanza male. Ma le mamme ci proibirono di giocare da soli. Ci obbligarono anzi a spostarci tutti in cima alla via, dove abitavano i gemelli Ezio e Luigi, che erano più grandi e potevano badare a noi. Ora, se ci ripenso, mi domando come facevano le nostre mamme a essere così com’erano. Vietavano a dei bimbi di diecianni di giocare da soli e li mandavano in pasto a ragazzini di quattordici: un po’ come togliere i fiammiferi di mano a qualcuno per passargli il lanciafiamme. E infatti, appena ci videro arrivare, Ezio e Luigi e i loro degni amici, che erano Moscone, Ufo e il Bozzi, si illuminarono: disponevano di un vespino cinquanta parecchio truccato, di una corda e di una cassetta per la frutta. Adesso, avevano anche le cavie. Sistemarono la cassetta sulla neve, la legarono con la corda alla vespa e dissero dentro. Era chiaro che il comando era destinato al più piccolo di noi, cioè Andreino, che montò infilando culo e piedi nella cassetta, tutto stretto. Mi ricordo che si voltò, così rannicchiato, un’ultima volta a guardarmi. Nemmeno il tempo di chiedere dove poteva reggersi che già i gemelli davano gas al vespino, la corda si tese, la cassetta e Andreino decollarono lasciandosi dietro macchie di fango, pezzi di legno e urla di terrore. Poi presero la curva e non si sentì più niente. Solo il silenzio ovattato che forma la neve. Lo sentivo per la prima volta eppure lo riconoscevo, e non mi piaceva. Perché quello era il tipo di silenzio in cui potevano capitare le peggio cose. Tipo che Andreino si spiaccicava contro un muretto, e bisognava correre a chiamare il dottore che abitava in fondo alla via. Solo che il dottore era uscito di casa presto per andare a provare lo slalom con gli sci sul cavalcavia dell’autostrada, e adesso stava all’ospedale con qualcosa di rotto. Uguale a Massimo, con la capoccia aperta, e tra poco Andreino con gli ossicini raccolti in una cassetta della frutta. E allora guardavo quella neve così bagnata e infida e di colpo tutta questa novità non mi piaceva mica, stavo attento a come mi muovevo e speravo che quella roba sarebbe durata poco. Almeno per lasciare in giro qualcuno di noi, che potesse raccontarlo a tutti, cosa fu quell’inverno dell’85.

Parcheggi

È interessante sapere che... L’art.7 del D.Lgs. 30 aprile 1992 n.285 (Nuovo Codice della Strada), al comma 8, dispone che “Qualora il Comune assuma l’esercizio diretto del parcheggio in custodia o lo dia in concessione ovvero disponga l’installazione dei dispositivi del controllo di durata della sosta […] su parte della stessa area o su altra parte nelle immediate vicinanze, deve riservare una adeguata area destinata a parcheggio rispettivamente senza custodia o senza dispositivi di controllo della durata della sosta”. Tale obbligo non sussiste nelle zone definite […] “area pedonale” e “zona a traffico limitato” nonché per quelle definite “A” […], e in altre zone di particolare rilevanza urbanistica, opportunamente individuate e delimitate dalla giunta nelle quali sussistano esigenze e condizioni particolari di traffico”.

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Siamo banca, siamo cooperativa, siamo territorio Il 2006 se n’è andato e con esso, per la nostra Banca, si è compiuto il primo esercizio del rinnovato Consiglio di amministrazione e del nuovo esecutivo in persona del Dott. Paolo Pelliccioni, Direttore generale, e del Rag. Stefano Filiè, Vice Direttore generale. Un esercizio che si chiude in positivo sia per quanto riguarda i “conti”, sia per quanto riguarda il rapporto della Banca con i soci, con la clientela, col territorio. I “conti” tornano e ogni settore di attività indica una tendenza positiva, che ci prospetta un futuro rassicurante. Fin da adesso, possiamo tirare le somme sul ruolo sociale svolto dalla nostra Banca nel 2006, coerente con gli ideali e i principi ai quali si ispirarono le Casse Rurali ed Artigiane e ai quali oggi si ispira il Credito Cooperativo. Il problema del credito cooperativo, come per altri, è quello di “ammodernare” i prodotti, i servizi, i mezzi di lavoro e di comunicazione, il metodo di rapportarsi al territorio e soprattutto ai soci, ma non è quello di riformulare principi e ideali: quelli ci sono, sono nella storia del movimento, sono dentro di noi soci, amministratori, operatori. Noi siamo banca, siamo cooperativa, siamo territorio. Nel corso del 2006 abbiamo cercato di riaffermare queste tre dimensioni, queste “tre anime” del credito cooperativo, da aggiornare con un programma preciso da concretizzarsi nel piano strategico 2007/2009, in via di approvazione da parte del Consiglio. Vogliamo essere sempre di più “banca”, intendendo con ciò attuare quella sana e prudente gestione necessaria per creare fiducia, per indurre a quel risparmio del quale la Banca deve garantire la conservazione e che deve impiegare produttivamente sia dal punto di vista economico che sociale. Vogliamo che le nostre offerte e le nostre azioni siano sempre idonee a soddisfare le esigenze reali e specialmente dei settori oggetto della nostra vocazione: le famiglie e le piccole imprese. Vogliamo attualizzare la nostra “anima territoriale”, intensificando il rapporto diretto fra gli Amministratori e i soci, i clienti e la popolazione. E’ proprio questo rapporto diretto fra gli amministratori e le persone che rende la Banca di credito cooperativo “differente per forza”, perché essa vive tra la propria gente, con la quale condivide aspirazioni, difficoltà e successi. Vogliamo rafforzare “l’anima cooperativa”, convinti che la mutualità debba essere prevalente non soltanto percentualmente sul volume degli affari, ma anche nella dedizione della banca verso i soci. Così dobbiamo muoverci nel medio termine: trovando nuovi sistemi di dialogo con la clientela e con i soci per i quali vorremmo diventare consulenti-fiduciari, e individuando forme efficaci di partecipazione alla vita pubblica, sociale e culturale del territorio. Vogliamo conoscere, partecipare, vivere e condividere i problemi, le necessità, i bisogni, le speranze della nostra gente, affinché si possa ancora dire, con Corrado Menichella, già Direttore generale e poi Governatore della Banca d’Italia, di essere una “banca con l’anima”. Dott. Umberto Guidugli


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