Versilia Oggi 2/2007

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prodotti editoriali

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c’è una sola Versilia: quella bagnata dallo stesso e unico fiume Anno XLII - n.

483 sped. in abb. postale - legge 27.02.2004 n.46 art.1, comma 2, DCB Viareggio

direttori Jacopo Cannas, Sabrina Mattei

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Abbonamento annuo 16,00 euro - Estero il doppio euro 1,60 la copia

Commedia dialettale

Storie di una volta

Il bricco dei vermi

Chi è di scena? Il camerino racconta

Gli amanti della mazzacchera

Ma che belle mascherine

Proposte intelligenti

«Ciò che è dannoso nel Ridurre i rifiuti: mondo non sono gli uomini ecco il manuale L’aumento costante dei rifiuti si traduce cattivi, ma il silenzio sempre in un incremento dei costi che gravano sulle tasche dei cittadini. Si può midi quelli buoni» gliorare questa situazione? Martin Luther King

Il silenzio dei buoni e il ritorno di Yurj Gagarin di Jacopo Cannas Ora noi non siamo certo convinti di essere buoni, state tranquilli, ma la frase di Martin Luther King che abbiamo riportato qui sopra ci ha colpito in maniera particolare. Perché qui non si tratta più di individuare una colpa o una responsabilità (per i laici). Qui si tratta di cominciare a guardare i problemi da un’altra prospettiva, quello dell’impegno civile e personale di ognuno di noi. Forse non ce ne rendiamo neanche più conto. Forse ci hanno talmente imbottito il cervello di slogan e di propaganda che non pensiamo più che la nostra singola voce possa avere un’importanza nelle decisioni di una nazione, di una regione o (forse in maggior misura) di un comune. Etica della responsabilità la chiamerebbe qualcuno. Altri, siamo sicuri, obietterebbero subito che è tutto inutile, che non contiamo nulla o che tanto non siamo competenti. Altri ancora direbbero che “tanto sono tutti uguali” e che chiunque ci governi o ci governerà farà il proprio interesse. Non fidatevi di costoro. Perché fintanto che continueremo a delegare ad altri il nostro impegno civile sarà così; e vuol dire che ce lo meritiamo davvero. Settimane fa abbiamo sentito una lezione di Umberto Galimberti il quale, partendo da alcune considerazioni sul Gorgia di Platone, asseriva che stiamo vivendo nell’epoca della tecnica, vale a dire in un’epoca altamente specializzata in ogni campo, in cui non c’è più posto né per una lettura del presente attraverso le categorie umanistiche che ci hanno guidato sin qua, né tantomeno per qualsiasi tipo di morale. Cioè a dire: oggi conta solo il profitto e il risultato; e

Versilia Oggi il mensile della

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qualsiasi cosa (e peggio, qualsiasi persona) è sacrificabile in nome dell’obbiettivo da raggiungere. Non c’è spazio per il sentimento, non c’è spazio per chiedersi se la tale azione sia moralmente corretta oppure no: è necessaria al fine e questo basta di per sè a giustificarla. Inoltre, il fatto di essere tutti ‘ingranaggi’ di una meccanismo che deve funzionare ci toglie il senso della responsabilità. Vi ricordate le giustificazioni dei nazisti processati? “Io eseguivo solo un ordine”. Cioè, non sento la responsabilità morale di ciò che ho fatto perché altri, in altro luogo, avevano deciso che andava fatto. Un preambolo, atroce, dell’era della tecnica. Ma è bene capirlo, per cercare di operare un cambiamento, che il mondo rischia sempre di più di funzionare così. Da qui una necessità: diviene fondamentale domandarsi quanto si è informati su quello che avviene nel nostro territorio, chiedersi se è corretto l’operato di chi ci governa e se sta davvero lavorando al bene comune. Dobbiamo chiederci se, facciamo un esempio ipotetico, sia moralmente corretto tagliare i fondi alle scuole e fare in modo che non ci sia nemmeno il detersivo da passare con lo straccio nelle aule; e, sempre ipoteticamente, destinare soldi a palate a iniziative che hanno come unico scopo la celebrazione di colui che le mette in atto. continua a pagina 4

Scoperte

di Alessio Ciacci Il primo rapporto nazionale sulla prevenzione e minimizzazione dei rifiuti urbani è stato realizzato da Federambiente ed Osservatorio nazionale dei rifiuti e presentato ad Ecomondo, la fiera di Rimini dedicata all’ambiente. Lo studio, curato da Irene Ivoi e Mario Santi, prende in esame proposte operative per attuare una seria politica di riduzione sui rifiuti urbani nei diversi contesti cittadini. Lo studio, 174 pagine, prende in esame quattordici beni su cui è sperimentata e comprovata la possibilità di incidere, con politiche coraggiose, sulla produzione dei rifiuti ottenendo positivi risultati in termini di riduzione. Negli ultimi anni, purtroppo, l’aumento dei rifiuti è stato una costante dal Nord al Sud d’Italia. Ovunque questo si traduce in un peso non solo per l’ambiente ma anche per le aziende di gestione dei rifiuti e dunque per i cittadini che si trovano a dover pagare tariffe in continuo aumento. Le vere alternative per ridurre l’impatto di questo problema sono dunque la raccolta differenziata e la riduzione degli scarti. Le linee guida sono nate sulla scia del Forum nazionale sulla prevenzione istituito nel 2002 da Federambiente e dalla Convenzione tra Federambiente e l’Osservatorio nazionale dei rifiuti attivato nel 2005. Obiettivo primo dell’iniziativa è quello di fornire idee e strumenti per rendere operative, a livello locale, politiche ed azioni di prevenzione della produzione dei rifiuti. Dopo una articolata panoramica sui riferimenti normativi per la riduzione ed indicazioni pratiche su come mappare il territorio, si passa ad una efficace descrizione di esperienze avviate con successo in varie località nazionali. Lo studio si dedica a quattordici beni su cui poter intervecontinua a pagina 4

Tra coppelle, croci e pietrefitte, l’antica ‘arma’ di Pietrasanta

Nascosto da rovi ed eriche, rispunta sul monte Folgorito un antico stemma di Pietrasanta e un’iscrizione che dà una versione nuova del significato dello stemma di Isa Pastorelli e Giorgio Citton Una piccola premessa. Può capitare a molti di considerare le incisioni rupestri un interesse limitato, un curioso album di ‘disegnini’. O di sopravvalutarle, deludendosi poiché si sperava in un’arte a mezzo tra Picasso e Michelangelo. Capita anche di dare del tutto ragione all’archeologia che ne diffida un po’ (giustamente), poiché per le datazioni archeologiche servono metodi scientifici, inapplicabili all’enorme massa delle incisioni a cielo aperto: si salva solo qualche ritrovamento in stratigrafia, che dà risposte inconfutabili. Inoltre può capitare di dover discutere se sia giusto o no farle conoscere, dato che all’informazione seguono talvolta

danni notevoli, per manomissione, incuria e persino per furto (non pensando che 1’incisione ha valore solo nel luogo in cui si trova). Tuttavia, sui sentieri dell’arte rupestre capita anche dell’altro. Il signor Giuseppe Cagetti – attento osservatore dei frammenti del passato nella sua terra (Cerreto di Montignoso) – ci disse di aver notato sul monte Folgorito lo stemma di Pietrasanta. Con grande cortesia ci accompagnò sul luogo della sua scoperta. Così in un giorno di sole di questo pazzo gennaio, sulle falde del Folgorito, ci trovammo di colpo immersi nel medioevo; tra coppelle, croci e pietrefitte, davanti all’antico stemma di Pietrasanta: oggi quasi ricoperto da rovi ed eriche, un tempo (come leggemmo poi) in un quieto bosco di quercioli. Ahimè, in un passato più continua a pagina 3


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Salutando un amico

Diritto & Rovescio

di Pier Luigi Marrai

Seppure apparentemente marginale rispetto all’argomento relativo all’uso del territorio da parte delle amministrazioni, tuttavia la materia delle immissioni può considerarsi a questo intimamente collegata, come evidenziato nello scorso numero, a proposito della cosiddetta “valutazione di impatto ambientale”.

Un ricordo di Sandro Tonacci Le persone con le quali ho lavorato per tanti anni, mi ritengono lo storico della Freda Marmi: vi ho lavorato per quarantadue anni, ne ho scritto i ricordi belli e tristi e conservo un legame come di una seconda famiglia. Sarà che con le persone con le quali ho trascorso tanti anni non c’era unicamente un rapporto di lavoro, ma qualche cosa di più: stima, amicizia, rispetto. Ecco perché ho tenuto nella mente e nel cuore le vicissitudini degli amici e colleghi che nel tempo c’hanno lasciato. Alessandro Tonacci, Sandro per tutti, ci ha lasciati improvvisamente il 28 dicembre 2006 all’età di sessantaquattro anni, gettando la famiglia nel più profondo dolore. Anche per noi, amici di lavoro rimasti, è stato un duro colpo. Ventiquattro anni di collaborazione non si dimenticano facilmente. Il nostro non era un rapporto freddo, ma ci coinvolgeva nel lavoro con tutte le sue problematiche, cercando le soluzioni per risolverle, unendo tutte le idee e i suggerimenti che potevano venire da ognuno. Io posso testimoniare che quella è stata la via giusta per raggiungere gli scopi. Sandro originariamente era un fresatore, punto forte nella produzione; prima con una piccola fresa, poi una grande a due banchi. Con Sandro, sia io che Vando D’Angiolo che, naturalmente, il capo laboratorio, abbiamo sempre discusso i problemi prima di prendere delle decisioni. Tramite Sandro si responsabilizzavano anche gli altri operai e, così facendo, riuscivamo a portare a compimento le commesse. Quando, dopo diversi anni, l’azienda si trovò a dover trovare un nuovo capo laboratorio, grazie anche alla stima che Sandro si era conquistata sul campo, fui io a suggerire a Vando D’Angiolo il nome di Sandro Tonacci per quel ruolo. Da allora, mi venne spesso attribuito il ruolo di “angelo custode” di Sandro; ma anche lui era per me un buon basamento per reggere il carico di lavoro. Con lui non mi sono mai trovato in difficoltà. Quando mi vedeva preoccupato mi veniva incontro con il suo faccione sorridente e mi diceva: “O Pierì, un te la piglià che si risolve tutto”. Aveva una carica umana con la quale riusciva a trascinare tutti i suoi uomini a superare ogni ostacolo che si presentasse sul lavoro. Era più giovane di me, ma era più saggio. Con la sua calma esteriore mi donava tranquillità. Fu un allievo di Renato Capovani, e questo dice tutto! Si conobbero che Sandro non aveva ancora gli anni per il libretto di lavoro, ricorda Giancario Landi. Ma il tempo passò, il ragazzo crebbe e, dopo una parentesi di lavoro con un’altra ditta, si ritrovò con Renato alla Freda Marmi. Il resto l’ho già raccontato. Ciao Sandro, grazie per ciò che hai donato a tutti noi. I tuoi amici

Per chi suona la campana di Jacopo Cappuccio Ed in effetti, è intuitivo rilevare come lo sfruttamento (o, se si preferisce, la “valorizzazione”) del territorio non si esaurisce nel costruirvi sopra, ma produce una serie di rilevanti effetti, (parzialmente diversi a seconda di ciò che è stato costruito): oltre a quelli economici (non secondari), sono oggigiorno di primaria importanza le conseguenze inquinanti, quali le immissioni acustiche, atmosferiche, luminose, elettromagnetiche etc.. A mero titolo di esempio e senza muovere alcuna censura, ma al solo fine di fare riferimento a situazioni concrete, è fuor di dubbio che l’approvazione del piano regolatore del porto di Viareggio, per 1000 posti e spalmato su di un’area di circa 25 mila metri quadri (notizia ANSA del 16.2.07), con adeguato parcheggio e, presumibilmente, nuovi punti di rifornimento di carburante per i natanti, etc., produrrà una notevole serie di effetti, alcuni sotto il profilo economico (il costo dell’operazione verrebbe indicato in circa 22 milioni di euro - “Il Tirreno” del 16.2.07) ed altri invece sotto il profilo ambientale: l’aumento di autoveicoli (che avrebbe portato ad un apposito piano per la viabilità) e di natanti in zona, aumenterà presumibilmente il livello delle immissioni acustiche, di quelle in atmosfera e di quelle nel mare. A proposito di immissioni sonore, si può storicamente ricordare che, ancora una volta, le direttive comunitarie hanno esercitato uno stimolo nomopoietico verso le normative nazionali ancorché mediante atti riferiti alle singole tipologie di fonti inquinanti, spesso tra loro assai diverse (si passa dallo stabilire il limite del livello di potenza del tosaerba a quello dello scappamento dei veicoli a motore). In Italia, la prima disciplina dei limiti del rumore nell’ambiente abitativo ed esterno avviene con il d.p.c.m. 1° marzo 1991 (che “individua per ciascuna delle aree in cui è diviso il territorio comunale il livello di tollerabilità delle emissioni o immissioni sonore compatibile con le attività ivi prevalentemente condotte” C.d.S., sez. V, 13 ottobre 2004, n. 6649), seguito da altri provvedimenti (es. la D.lvo 18 agosto 1991 n. 277 relativamente all’ambiente di lavoro). Oltre al codice civile (in particolare gli artt: 2087 e 844 c.c.), la legge quadro in materia è ad oggi la legge 26 ottobre 1995 n. 447 ed il relativo regolamento di attuazione costituito dal d.p.c.m. 14 novembre 1997. Tale normativa è mira ad “assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete” (L. MEZZETTI, Manuale di diritto ambientale, 2001, Padova, p. 770) e quindi perse-

gue finalità di interesse pubblico, cosicché trova applicazione non già nei rapporti tra i privati bensì tra questi ultimi nei confronti della Pubblica Amministrazione. Senza voler entrare nel dettaglio di tale disciplina, appare curioso evidenziare che se da un lato, la Giurisprudenza in materia, correttamente interpretando la norma, afferma che: “gli enti locali non possono introdurre, nell’esercizio della propria potestà regolamentare, limiti alle immissioni sonore diversi e comunque inferiori a quelli previsti dalla legge 447/95, sulla tutela contro l’inquinamento acustico ....” (Cass. civ., sez. I, 01 settembre 2006, n. 18953), dall’altro lato, proprio la normativa nazionale stabilisce, viceversa, che: “i comuni il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico - ambientale e turistico, hanno la facoltà di individuare limiti di esposizione al rumore inferiori a quelli determinati ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera a) , secondo gli indirizzi determinati dalla regione di appartenenza ...”. Laddove si tengano presenti le caratteristiche del territorio italiano, non può sfuggire la portata della deroga, tale da inficiare sin nella sostanza la normativa nazionale. A ciò si aggiunga che, seppure con più di un contrasto, la Giurisprudenza in materia mostra incertezza circa la possibilità di invocare la normativa statale da parte del privato, laddove non sia avvenuta la zonizzazione del territorio comunale a cura dell’ente locale nel cui territorio egli ritrova. E difatti, per un verso, viene affermato che: “l’applicabilità della disciplina contro l’inquinamento acustico, dettata dalla l. quadro n. 447 del 1995, è subordinata alla preventiva classificazione in zone del territorio comunale” (C.d.S. Sez. IV, 18 febbraio 2003, n. 880), mentre per altro verso, si afferma che: “i valori indicati dell’art. 4, d.P.C.M. 14 novembre 1997 in materia ai limiti di immissione sonora sono di immediata applicazione, non essendo la loro efficacia subordinata all’adozione degli specifici adempimenti comunali descritti dall’art. 6, comma 1, lett. a), l. 26 ottobre 1995 n. 447” (TAR Toscana, Sez. II, 24 gennaio 2003, n. 39). Ricordando che le immissioni sonore di elevata intensità comportano per l’individuo l’alterazione dell’equilibrio psicofisico e incidono, deteriorandola, sulla qualità della vita (Tribunale Como, 18 aprile 2005) e specificando che in questa sede il problema è stato meramente sorvolato, tralasciando aspetti importanti anche nella tutela esperibile (sia di carattere civile che penale nonché amministrativo) da parte del cittadino e/o dei comitati e/o associazioni ambientaliste, sembra che anche in questo settore, il territorio trovi una tutela piuttosto nominale anziché sostanziale.

“Buffate” di cielo: soffi di nuvole sul Forte di Paola Nuti Barberi

Ho conosciuto questo paese da piccola, e subito l’ho amato. Raccoglievo per strada i sassi che imprigionavano stelline che al sole brillavano e me ne riempivo le tasche; in seguito ho saputo che era tufo! Ma allora, per me, erano tesori meravigliosi. Ecco perché, quando Renato, il mio vicino, mi ha raccontato ancora del Forte, mi sono prestata a mettere per scritto i suoi racconti, a testimonianza di un tempo felice, ormai lontano. Li ho definiti “Buffate di Cielo”, soffi di nuvole.

“Vede Signora – inizia a dire Renato – per me la seconda guerra mondiale ha segnato un confine: da una parte c’è stata l’era patriarcale, dall’altra l’era moderna. Quale sia stata la migliore non riesco a giudicare; personalmente stavo meglio prima. Quando ero a terra, andavo sulla spiaggia ad aiutare i miei amici a tirare la sciabica ed in cambio mi davano una ‘manciatella’ di acciughe o ‘parazzi’ da portare a casa. La cosa bella, però, era vedere, nelle giornate soleggiate e terse, passare all’orizzonte i velieri, le golette, i navicelli, che andavano sia verso La Spezia o Genova, oppure verso sud, ai posti di Livorno e Napoli. Di tutto questo ho nostalgia, perché è uno spettacolo che non si vedrà più. Pensi che spesso, navigando di bolina, le navi si avvicinavano alla costa ed erano riconosciute, sia per il tipo di nave, sia per il colore delle vele, dalla gente del paese che lavorava sulla spiaggia; subito un bimbetto veniva mandato di corsa ad avvertire i famigliari che stava passando il loro caro sulla nave e tutti, parenti e amici, correvano sul ponte sventolando fazzoletti, teli, bandiere, per poterli salutare. Poi, se la nave andava verso sud, erano preghiere perché trovassero buon vento e avessero un sereno ritorno, ma, se i velieri andavano verso nord, sui volti delle spose e delle mamme c’era un fremito di gioia: correvano a casa dicendo a tutti i loro cari “prepariamoci che stasera si fa festa!”. Così, in questo mondo semplice è nata anche la storia di quella sposina dei monti apuani che aveva sposato un mari-

naio del Forte e, vedendo per la prima volta, passare la nave, dove era imbarcato il marito, con le vele al vento, disse : “Oddio! come sono bravi i nostri òmini: per non portarlo a noi, hanno già fatto il bucato e l’hanno anche steso!”.

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Ristampe

“Al confino e in carcere”: vita di Luigi Salvatori

L’Associazione culturale “Rolando Cecchi Pandolfini” ha ripubblicato, nel sessantesimo anniversario della morte, il libro di Luigi Salvatori che narra la vicenda personale e politica di una delle figure più importanti della vita politico-culturale versiliese di Alessio Panichi Il 20 luglio del 1946, stroncato dall’aggravarsi di una malattia, moriva una delle figure più importanti del movimento operaio italiano e della vita politico-culturale versiliese, vale a dire Luigi Salvatori. Nato nel 1881 a Querceta e cresciuto in una famiglia appartenente alla borghesia locale, Salvatori si iscrive al partito socialista nel 1900, all’età di diciannove anni, iniziando un’attività politica che lo conduce - negli anni successivi – a prendere progressivamente le distanze dal P.S.I, fino ad aderire, nel 1921, al neonato partito comunista, partecipando in prima persona alla sua fondazione. Il motivo di tale adesione risiede nel fatto che agli occhi di Salvatori il partito di Gramsci, Togliatti e Bordiga costituisce un “ritorno ai principi del socialismo, cioè alla dottrina ed alla pratica rivoluzionaria della classe proletaria” e promuove una forte valorizzazione non solo del patrimonio culturale marxista ma anche - e verrebbe da dire soprattutto - dell’esperienza rivoluzionaria bolscevica, individuando in questa esperienza un punto di riferimento costante, imprescindibile, una ‘bussola’ in base alla quale orientare la propria azione politica e sociale. L’avvento del fascismo e le conseguenti persecuzioni a cui il regime sottopone oppositori politici, sindacalisti, intellettuali etc. imprimono una vera e propria ‘svolta’ drammatica nella vita – pubblica e privata – di numerosi dirigenti della cosiddetta ‘sinistra italiana’, costringendoli a scegliere tra il silenzio mortificante, l’esilio forzato od un periodo di detenzione da scontare nelle ‘patrie galere’ e/o ai margini della società civile, in quella dimensione spazio-temporale universalmente nota come ‘confino’. Sotto questo punto di vista, la storia personale e politica di Luigi Salvatori non costituisce un’eccezione positiva, dato che - dopo aver subito intimidazioni, ricatti ed una violenta aggressione squadrista avvenuta il 31 ottobre 1926 – viene arrestato nel novembre dello stesso anno e condannato – insieme a Scandiano Martini, Giorgio Santocchi, Lelio Gorini e Roberto Goldoni – dalla commissione provinciale di Lucca a cinque anni di confino di Polizia, trascorsi inizialmente a Favignana e poi

a Ventotene. Come se non bastasse, un anno e mezzo dopo questa prima, drammatica condanna, Salvatori – nel marzo del 1928 – abbandona Favignana per recarsi a Roma, di fronte al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, e per sostenere un processo dall’esito precostituito: quattro anni di reclusione che il comunista versiliese sconterà nelle carceri di Pesaro, Poggioreale e Ponza. Soltanto nel 1933 – al termine di un periodo detentivo durato sette lunghi anni – Salvatori ritorna in Versilia e riprende a svolgere la sua professione di avvocato, avvalendosi della preziosa collaborazione di Leonetto Amadei (futuro deputato alla Costituente, parlamentare per diverse legislature e Presidente della Corte Costituzionale) e continuando ad essere strettamente controllato dalle forze dell’ordine. Le settimane ed i mesi trascorsi a Favignana ed a Pesaro - nonché i giorni immediatamente successivi all’arresto del novembre ’26 – costituiscono l’oggetto principale di una serie di racconti e riflessioni in cui Salvatori narra la propria esperienza politica ed umana e che l’Associazione Culturale ‘Rolando Cecchi Pandolfini’ – nel sessantesimo anniversario della morte di Salvatori stesso ed a distanza di 48 anni dalla loro prima pubblicazione, avvenuta ad opera della casa editrice Feltrinelli con il titolo Al confino e in carcere – ha deciso (meritoriamente) di ripubblicare, promuovendo così la riscoperta di un testo che molto ha da insegnare alle nuove generazioni, a chi – per motivi meramente anagrafici, per ottusità ideologica o per scarsa conoscenza delle vicende storiche novecentesche – crede che il ‘ventennio’ fascista non costituisca un evento drammatico nella storia dell’Italia post-risorgimentale, una ferita le cui conseguenze continuano a tormentare un paese sempre più incapace a promuovere una decisa e vigorosa democratizzazione interna, ad imporre il rispetto di quei diritti civili che – ieri come oggi – subiscono l’offensiva dei settori più arretrati e conservatori della società (la polemica esplosa in merito al riconoscimento giuridico delle ‘coppie di fatto’ è, sotto questo punto di vista, emblematica). Risulta impossibile – per motivi di spazio e per la natura stessa di questo breve articolo – analizzare dettagliatamente alcuni tra i passi più significativi di Al confino e in carcere, le pagine in cui Salvatori descrive le condizioni di vita

disumane dei detenuti, l’imbarbarimento a cui il sistema carcerario condanna prigionieri politici o ‘galeotti’ comuni. Tuttavia, credo sia doveroso ribadire con forza il fatto che la lettura attenta e meditata di queste pagine consente di contrastare con maggior lucidità e consapevolezza l’azione di quanti sono inclini a banalizzare il regime fascista, a considerarlo una ‘parentesi’ priva di qualsiasi nesso con gli eventi che ne hanno preceduto l’instaurazione e con quelli che sono conseguiti al suo crollo, insegnandoci a rifiutare con sdegno qualsivoglia strumentalizzazione politica di un passato che troppo spesso viene ‘strappato’ dalle mani degli storici e posto in quelle poco rispettose dei burocrati di partito.

La mostra

Giorgio Boldrini, OPERE

Giorgio Boldrini (Forte dei Marmi, 1934 - 2003) Senza titolo, olio su tavola, 1976 dimensioni: 50 x 35 cm proprietà: Quintavalle

Continua dalla prima

Tra coppelle, croci e pietrefitte, l’antica ‘arma’ di Pietrasanta Il luogo, panoramico, di forte bellezza, deve essere stato punto di richiamo per millenni. Anche forse, prima della storia. Vi risparmiamo certo un trattato sulle croci, di cui in pochi metri appaiono quattro tipi diversi, come sulle coppelle (alcune certe, del tipo a ‘frizione’, alcune incerte o ridotte –se lo erano – a dei fori, centrati con uno strumento di ferro). Le pietre del luogo sono tutte ‘native’, come si diceva un tempo, salvo qualche caso in cui ci paiono drizzate e infisse. I buchi nelle ex coppelle incerte, sono allineati sul vertice del grande masso che porta 1’arma (o stemma) di Pietrasanta. L’arma è scolpita con cura, di circa 50-60 cm, quasi intatta. Cercammo subito di ritrovarne notizia nei ‘Confinari’ medioevali. Così ecco la sua, storia, legata alla natura dei luoghi; una ricchezza di boschi e pascoli spartita naturalmente su due versanti dai balzi rocciosi; dalla cima del Folgorito al mare. Per questa ricchezza furono spesso botte da orbi. Così Paolo Guinigi, signore di Lucca dal 1400, cercò di fare il punto. Il 21 aprile del 1405 con una lunga sentenza “termina la discordia dei confini tra Montignoso e Pietrasanta”. Guinigi indica confini precisi (Archivio di Stato di Lucca, Atti del Governo di Paolo Guinigì – reg. l, cart. 29 e seg.); la sentenza è in latino ma corrisponde pienamente al riassuntino che se ne fece tre secoli dopo. Così riportiamo questa descrizione in italiano reperita presso l’Archivio Comunale di Pietrasanta, del 1683 (chiara e anche divertente del tempo in cui le “visite ai confini” erano un fatto storico; scarpinate a fiato corto di un mezzo corteo, abbuffate di pollo e salsicce e via dicendo). Visitatori incaricati erano Fernando Valentini, dottore; Iacopo Vannucci, tenente; quindi altri tra cui l’alfiere Guadagnini e ser Giuliano Digerini. Correva l’anno

MDCLXXXIII. Ecco parte del testo “partiti in detta maniera, dalla chiesa di San Nicolò di Albatreta (…), nel quale luogo avevano dormito la notte in terra sopra alcuni materassi e cominciando a camminare a piedi per essere strada impraticabile a cavallo, salirono sul monte che rimane di sopra al Collepiano, di dove vi si monta per una penna o grotta e vi si addimanda in somma al Canale di Orneto o in capo alle selve della Lorenza Marotta: e quivi nella sommità che poi comincia a scendere sul Collepiano puose il Guinigi un termine descrivendolo per un sasso grande o penna, nella faccia del quale verso Pieurasanta abbia scolpito l’arme di detta comunità cioè verso mezzogiorno: e nella faccia che per uno spigolo riguarda il termine di Colle Viticcio sottoposto debba essere intagliata una croce e contiguo allo stesso sasso o penna, puose un altro sasso grande alto da terra un braccio scolpitovi dentro due croci con alcuni altri sassi attorno per testimoni che tutti tali sassi costituiscono un sol termine. E si trovò questo termine come sopradescritto essere poco o niente alterato ma esistere quasi nella forma della sentenza, essendo sassi naturalmente piantati in terra e vi sono nate

Qui sopra, lo stemma di Pietrasanta trovato sul Folgorito; a sinistra in basso, i confini stabiliti da Paolo Guinigi fra Montignoso e Pietrasanta

attorno delle macchiarelle di querciole: e perché vi è stato fatto fuoco e si videro i sassi un poco abbruciati: ma tuttavia si riconoscono per termine”. Dal 1405, oggi ritrovato. Il terreno attorno in qualche punto è ancora ‘abbruciato’: si sa, il monte è ‘ignoso’. Tuttavia il masso o ‘grotta’ con l’arma, le pietrefitte con le croci, gli altri segni definiti e non, le coppelle, le croci, le forature ‘testimoni’, sono lì quasi intatti; l’arma stessa presenta solo qualche piccola frattura. Per localizzare il luogo, un delizioso schizzo dell’ultimo Seicento ce lo indica e lo riportiamo. Forse difficile da capire per chi vuol affidarsi al satellite: molto chiaro in realtà, fruibilissimo per chi cerca coppelle e antichi segni che vengono da un tempo che (sembra) tanto lontano e riportano oggi realtà dimenticate.


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Viva gli Alpini, viva! di Alvaro Avenante Il servizio di leva non è più obbligatorio, la visita non si fa più e l’atteso, sperato o temuto verdetto “abile arruolato” è un ricordo. Durante la mia visita di leva, alla domanda “In quale corpo vorresti prestare il tuo servizio militare?” da buon montagnino risposi “Artiglieria da montagna”, uno dei tanti reparti del corpo degli Alpini. Fui mandato in Aeronautica dove, ad eccezione degli avieri V.a.m. (vigilanza aeroporti militari), tutti gli altri venivano assegnati ai servizi autieri, furieri ed addetti alla foresteria, quasi sempre invertendo le eventuali professionalità civili: cuochi sui camion ed autisti nelle cucine. Un simile ambiente non poteva rendere orgogliosi gli avieri di leva e tanto meno infondere loro il cosiddetto “spirito di corpo”. Cosa che non accadeva tra i paracadutisti e gli incursori della Marina, dove lo spirito di corpo raggiungeva quasi il ‘fanatismo’, come potei verificare durante l’unica esercitazione di guerra simulata. Lo spirito di corpo raggiunge la sua massima espressione nel corpo degli alpini, sempre orgogliosi di essere o di esserlo stati. Uno spirito non solamente profuso nei raduni nazionali al canto di “noi siamo alpin e ci piace il vin”, ma soprattutto con concreto impegno fisico là dove c’è bisogno. Non a caso la protezione civile annovera fra le sue componenti, sezioni e raggruppamenti di alpini in congedo, pronte in qualsiasi momento a mobilitarsi in casi estremi, come alluvioni e terremoti. La Versilia, intarsio delle Alpi Apuane, ha sempre avuto giovani assegnati al corpo degli alpini. Sono infatti ben due le sezioni nel comune di Seravezza: una a Pozzi, l’altra alla Cappella, accanto alla canonica della pieve romanica di San Martino. La sede della Cappella si trova in una struttura comunale, edificata nel 1642 e facente parte del complesso monumentale della Pieve. Ricevuto l’edificio (in comodato dal comune) in fatiscenti condizioni, i soci hanno lavorato alacremente al suo restauro, ricavandone due ampi locali su due livelli, sotto la trascinante ‘supervisione’ del loro presidente ono-

rario Primo Giorgi. Al primo piano si trova la sala riunioni, alle pareti le bacheche che raccolgono memorie, reperti, foto e documenti. Al piano mansardato i servizi igienici, una cucina, tavoli ed altro materiale; tutto l’occorrente per gli incontri conviviali che ogni volta, oltre a servire come assemblee informali, diventano occasione per rinsaldare il mai attenuato spirito di corpo. La sezione si è legalmente costituita nel 1967, identificandosi come “Gruppo Alpini di Seravezza Mrs Galliano Tarabella”, una delle tante penne nere partite per la campagna di Russia e mai più ritornate. Nel 1987 per ricordare ed onorare con rito religioso i caduti che “anche assenti sono sempre presenti”, gli alpini della sezione, si sono impegnati al restauro di una malandata edicola (marginetta), posta lungo la strada che porta ad Azzano. Ma il destino ha voluto che nel 1997 la marginetta fosse quasi demolita dall’urto di un camion; e anche in questo caso la sezione degli alpini ha provveduto al suo restauro, migliorandola e creando un confortevole punto di sosta e riflessione. In tempo di pace i simboli della memoria, eretti a perenne monito, assumono anche forme diverse dal (quasi sempre) marmoreo monumento. Ecco che allora gli alpini in delegazione nazionale si sono recati in Russia per costruire materialmente a Rossosch, un asilo simbolo di pace, eretto sulle rovine di quello che fu il quartier generale del C.s.i.r.(Corpo Spedizione Italiana Russia). Giustamente le penne nere si concedono anche partecipazioni ad eventi festaioli, organizzati dalle comunità azzanesi. Da ogni Azzano d’Italia arrivano al meeting folte rappresentanze di alpini che con i loro canti e cori creano una festa nella festa. La sede della Cappella oltre ad ospitare tutte le assemblee e incontri conviviali, è anche sala prove della fanfara “tenente R. Raffo” che è composta da una rappresentanza degli alpini di tutta la Versilia. Questa fanfara è sempre presente in tutte quelle manifestazioni e ricorrenze, tragiche o gloriose, per portare note di emozionanti silenzi, trascinanti inni, briose marce e allusive ballate. Da un aviere, mancata penna nera, “viva gli alpini”.

Continua dalla prima

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Ridurre i rifiuti

nire per ridurre i flussi di rifiuti. Su ognuno di questi vengono indicati la rilevanza quantitativa sui rifiuti urbani prodotti, soluzioni di prevenzione e minimizzazione per lo specifico bene, i contesti su cui è possibile applicare le azioni di riduzione, i principali attori da coinvolgere per la buona riuscita delle azioni, criticità che si possono incontrare ed infine i risultati attesi. I quattordici beni sono: le cassette per ortofrutta, gli imballaggi primari per liquidi alimentari, i pannolini usa e getta per bambini, lo stovigliame monouso, gli stopper in plastica monouso, gli alimenti (resti di pasti e alimenti ancora commestibili), contenitori per detersivi e detergenti liquidi, i beni ingombranti, i beni durevoli (elettrodomestici ed apparecchiature elettriche ed elettroniche), i farmaci, gli abiti usati, i rifiuti speciali assimilati, i rifiuti urbani biodegradabili ed infine la carta per usi commerciali gratuiti e per scrivere. Non mancano dunque le possibilità, per le amministrazioni pubbliche e le aziende di gestione dei rifiuti che dimostrano di credere nella possibile riduzione dei rifiuti, per poter intervenire concretamente ed incidere nella produzione degli scarti. Gli esempi di tutta Italia ed europei citati nel rapporto dimostrano che con una seria volontà politica ed una buona progettazione si riesce ad incidere anche significativamente sulla produzione dei rifiuti diminuendoli alla fonte, occorre lavorare affinché queste ipotesi si traducano presto in realtà.

è nato Norberto

Il 7 febbraio scorso è venuto alla luce un bel bimbone di 3 chili e 830 grammi che risponde (o almeno presto risponderà) al nome di Norberto. Ai suoi genitori, Elena Di Fiorino e Andrea Bruni, i nostri rallegramenti più vivi! Una speciale menzione va alla neo sorella Virginia, per le doti dimostrate sul campo all’atto della nascita.

Il silenzio dei buoni Lo sappiamo, non è facile essere sempre informati e in grado di capire. Corriamo a una velocità tale non ci permette di leggere il presente. E più la società diventa specializzata, meno diventiamo capaci di comprenderne le dinamiche. Con un rischio: essere in balìa di chi ce la racconta meglio, della retorica. E si sa, la retorica è stata spesso un’arma – propria e impropria – di forme di governo con un’idea strana della democrazia e del popolo. Quando pochi giorni fa abbiamo visto una nuova rotonda in Versilia, con al centro (sopra un basamento imponente accompagnato da epigrafi di bustofedrica memoria) un monumento che pareva inneggiare all’eroe dello spazio Yurj Gagarin, abbiamo avuto un sobbalzo. No, sia chiaro, non è che qualcuno abbia rispolverato veramente un monumento dell’era sovietica, né che si tratti di un tardivo quanto poco probabile – vista la dislocazione geografica della rotonda – omaggio all’eroe comunista. Certo è che per i modi e lo stilema della rotonda in questione non si è davvero lontani da quel tipo di enfasi. Ma nessuno ha detto niente. Nessuna critica per il poco gusto dell’opera pubblica. Nessuna critica sull’opportunità o meno di utilizzare risorse per autocelebrarsi. Il silenzio dei buoni? Oppure tutti sono concordi con chi ha realizzato quell’opera? A tale proposito, prenderemmo di nuovo a prestito un concetto del Gorgia in cui Platone fa dire a Socrate che per essere amici di chi è al potere, occorre essergli il più possibile simile: un tiranno, ad esempio, disprezzerà chi è peggiore di lui e avrà paura di chi è migliore di lui. Sarà amico solo di chi ha la sua stessa mentalità ed è disposto a rimanergli soggetto. Se l’arte della politica si riduce a una pratica di sopravvivenza, essa consisterà semplicemente nell’ingraziarsi il padrone. Pensiamoci, quando accettiamo passivamente per buono tutto quello che ci raccontano. Cerchiamo di capire il più possibile le dinamiche del nostro tempo e, soprattutto, facciamoci delle domande. Sono fondamentali per la formazione del pensiero critico, che ci fa uomini liberi e consapevoli delle nostre scelte.

Il mi’ mondo come lo vedo io

Al cine col videotelefonino di Antonio Bandelloni

-Ciao Anto’, come stai e a chi scrivi? -A chi scrivo? Mariannacane, te omo pe’ la privaci...! -Ma vaffa ‘nculo te e la privaci e ‘ndue l’hai? -Scrivo qualco’ per i mi’ lettori: unni posso mia delude. -Doppo me lo fai legge in primise? -No! è bbene che tu compri il giornale. -O sega, lo sai che sono abbonato, no? Ma dimmi: levato me, di lettori ne hai degli altri? -Orca miseria, n’avrò? Saranno alseguro una settottina, anco dieci... forse undici. Poghi ma boni. -Ma perché Versilia Oggi ti pubblica ancora le tu cazzate? -Oh, m’hano ‘itto che sono “una colonna portante del giornale”, hai capito?! -Io cane! Con dieci lettori saresti una bella colonna? -Ma sai una sega te di storie e di giornali... po’ sorti dale palle che perdo l’aspirazione. -Spetta Anto’, ciò una chiamata sul videotelefonino, scusa eh, si riparla fra ‘n attimo. -Per la chiamata ti scuso, ma per l’offesa alo scrittore no! ...Mozza omo che telefonino ch’hai compro... cazzarola, hai sempre ditto: “io il telefonino mai” e ora veni fòra co’un videotelefonino! Oh, il mio a confronto del tuo è sempre a manovella o a carburo. -Eìe... enno i mi’ figlioli che me l’hano regalato. Io so risponde e telefona’... po’ quelo più cicco de ttre m’ha insegnato una cosa, sta a vede’, eh... mira qua…eh? -Rospa miseria, come dice il mi’ amico, orca... le lie la sona la tromba! -A me pare che soni il piffero. -Umh rifammi vede’... però si vede piccolo, eh? -Oh, ci posso vede’ anco i filme e le partite...! -Sai soddisfazione vede’ un filme su ‘na scatola di fiammiferi: ci vole dell’immaginazione a chiamallo cinema! -Anto’, ma, ma te te lo rammenti quando s’andava al cine al Poggione la domenica pomeriggio, magari con duottre nocelline o semine (poghe, che i ssoldi...)? Voi mette’? -Mi ricordo anco le comiche in bianco e nero accompagnate da un pianoforte in sala che strimpellava qualco’... po’ vense il sonoro, poi ‘l colore, aripoe lo schermo lo ingrandittero per fa’ ‘l cinemascope e doppo vense la panavision: io rospo, nela prima fila per vede’ c’era da fa’ come quando si guarda una partita di tennise. -Anto’, te che filme ricordi di que’ tempi? Io Cleopatra, come mi garbava l’attrice! -Per quello ti tenei le mane in tasca, avei paura ti volasse’: tre viaggi a’ gabinetti. -Come sei stronzo! Però anco te, eh? -E mozza Catè! Quella mi garbava anco a me. Però come filme mi ricordo di più il Ponte sul fiume Quai, Colonnel Bugei. -Maah, un si dice mia così ve’! Però me lo ricordo anco io come fusse ora. -Anco s’un si dice così, l’importante è che tu abbi capito quelo che ho volsuto di’! Po’ la pronuncia lassila a gli altri. -Allora fiemo a chi ricorda meglio; quella domenica pioveva e tutti aveimo l’ombrello... -Ma che discorsi a... a ombrello? -Zitto, che mi pare di riesse lie! Aveimo l’ombrello, doppo un po’ dall’inizio del filme in sala si sente: “dagli un colpo nel muso a quel giapponese”, “un po’ più avanti, mariannacane”, “ci fussi io li vedi!”, “toh, ma sarà, io cane? è dietro l’angolo, sta attento!”, “èì e cucciti giù!”, “toh, lo sapeo!”, “ssst, silenzio!”, dattidichè comincia la musica: tataattata tataratatattataa, zun zun zun… Un’attimo dopo, colla punta dell’ombrello e co’zzocoli tutti in sala all’unisono battevamo sul pavimento fatto da una pedana di tavole duv’erino avvitate le seggioline! Com’era bello, avrei volsuto che la musica un finisse più! -Te l’immagini ora se quel filme lì lo fessino vede’ sul telefonino? Che fai, batti i piedi ‘n tera quando c’è la musica? Chi ti vede chiama il 118! -è vero, sul telefonino un filme o una partita perdino tutto il su’... il su’... sonasegadichè! Come si dice, te che sei acculturato: se dico “charme” te mi ripigli? -Eìe, ti passo avanti. -Allora che voi ,che lo pesti in tera il videotelefonino? -Umh, sarebbe meglio! e ritorna’ a’ bbricchetti dal gelato collegati col filo di lana. -Magari, eh, Anto’? -Magari davero!


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Storie di una volta

Gli amanti della mazzacchera

Dire donna

Il fascino di un mese di Elisabetta Angelini

E. Ferrari, La mazzacchera, collezione Baldini

di Mario Baldini

Questo tipo di pesca si faceva nel mese di ottobre, quando cominciavano le prime piogge. Il classico equipaggiamento per la mazzacchera consisteva in un bel paio di stivali a coscia alta, un ombrello di celandra verde, un buiòlo abbastanza grande per sedersi durante la pesca, una buona giacca cerata per difendersi dall’umidità e una cannetta d’india con un buon cordino con attaccato un piombo. Il pomeriggio i pescatori (ricordo Giulio Zarri, Francè di Becheroni, Confido Ricci, Pietro Bersaglino, Mario di Lepanto Micheli e il fratello Primo, Giulio detto Mascherina, Giorgio Berti e tanti altri che avevano la passione per questa pesca) si preparavano la loro esca formata da una filza di bechi rossi infilzati ad uno ad uno con una paglietta tolta ad una scopa di saggina. Il detto era “una canna, spago e piombo e il becarozzo in fondo”. La sera, dopo aver mangiato, i pescatori si ritrovavano per partire tutti insieme. Normalmente ognuno di loro portava una o due lanterne, una per vedere le tocche dell’anguilla, l’altra per non perdere di vista il fiasco del vino e farsi un bicchieretto ogni tanto mentre la pesca andava avanti, fra le cannelle sempre verdi, fino a tarda notte. Nelle loro case nel mese di ottobre non mancava la farina di granturco per cuocere le anguille, magari accompagnate da un buon bicchiere di vino ‘giovane’, oggi chiamato “vino novello”. A quel tempo io abitavo coi miei nonni, la Eletta e Beppe. Con lui ho imparato un altro modo di pescare le anguille. Il mio nonno era detto “Il Lory”; durante il giorno potava le vigne e ogni tanto si fermava e faceva delle fascine lunghe

circa 60 cm per una circonferenza di 40; al loro interno ci metteva un sasso e poi le richiudeva con una torchia. A una certa ora della mattina mi chiamava e con il suo ‘chiattino’ che spingeva con un’asta di legno, ci inoltravamo dentro il fosso che porta verso Fiumetto. Attraverso 1’acqua limpida e pulita si arrivava al ponte della Veneranda. Da lì Beppe cominciava a calare nel fosso le fascine, spingendosi con la barca fino alla macchia del Nuti, ora chiamata La Versiliana. Arrivati qui si rimontava il fosso; ogni tanto il nonno si fermava e con 1’asta tirava su quelle fascine calate giorni prima. Vi metteva sotto un presacchio nel quale scendevano delle bellissime anguille bianche e pulite. Una volta rientrati, il nonno gettava le anguille sulla sabbia, levava loro la pelle ad una ad una, le lavava bene sotto 1’acqua della pompa e le asciugava. Fatto questo, ritornavamo nella vigna dove Beppe accendeva un bel falò; intorno, delle forcelline non troppo lontane dal fuoco, dove attaccava le anguille girandole ogni tanto. Verso 1’ora di pranzo, il nonno raccoglieva le anguille e le metteva dentro un foglio di carta gialla. A casa la nonna Eletta, che intanto aveva messo sul fuoco una padella con aglio, olio e peperoncino, prendeva le anguille, le tagliava a tocchetti di circa 5 cm e le passava leggermente nella farina di granoturco. Dopo averle rosolate bene ci aggiungeva un bicchierotto di vino bianco e un bicchiere d’aceto, le lasciava ancora per qualche minuto al fuoco e infine vi aggiungeva la marinatura. Questa maniera di pescare la vecchia gente di padule la usava già nelle valli di Comacchio e sul lago Trasimeno. La utilizzavano non solo per le anguille ma anche per le molleche (granchi quando cambiano la muta) e per altri pesci come tinche, lucci e scalbetre.

“Febbraietto, febbraietto, corto corto e maledetto” recita un vecchio proverbio di nostra conoscenza. Forse perché ha solo ventotto giorni (ogni quattro anni ne acquista uno in più) e in questo lasso di tempo ne combina di tutti i colori. Il “maledetto” deriva dal tempo incostante caratteristico di questo periodo, con gli agenti atmosferici che facevano e fanno disperare i contadini. Si sa che una volta era duro lavorare la terra con mani e zappa. Oggi la tecnologia ha alleviato molto le fatiche, ma di fronte a nubifragi e altre calamità naturali c’è poco da fare. Detto questo tanto per spiegare il perché di un proverbio e la sua saggezza popolare non disgiunta, oggi, da riscontri scientifici, passo a giustificare il titolo, soffermandomi sulla parola iniziale. Prima di tutto non provo avversione: vento, pioggia, grandine e altro ancora mi lasciano quasi indifferente (catastrofi a parte, sennò l’indifferenza va a farsi benedire); è l’inverno nella sua piena manifestazione, recita la parte a lui affidata, deve comportarsi così come conviene alla stagione, in previsione, anche, dell’annunciato cambiamento di clima sulla terra fra cinquanta anni o più. Dicevo, dunque, che non provo avversione, anzi, Febbraio ha un fascino particolare. Lo sento dentro, è legato a qualcosa che risale all’infanzia e dà una gioia, uno scoppio di allegria, la spinta a lasciarsi andare a gesti adatti all’età dorata. “Semel in anno licet insanire” questa l’esortazione dei latini che affiora alla memoria. Come dire che tutto è lecito, anche concedere al corpo e allo spirito la libertà di gioire senza confini conformistici. Una pazzia assoluta, ma con una maschera che nasconda l’identità agli occhi del mondo per manifestare il bisogno di gridare, di cantare, di ballare senza i pudori che frenano la spontaneità di un momento, di liberare finalmente il bambino che è ancora in noi e che non dobbiamo distruggere, come consiglia Pablo Neruda. L’insania del momento non prevede l’orgia, naturalmente! Ci si mantiene sempre entro i limiti ragionevoli sanciti dall’età, dal potenziale cardiaco e muscolare: in parole povere dal fiatone che immancabilmente frena ogni velleità di eccesso. Il fascino di Febbraio evoca colori accesi, quasi accecanti: i coriandoli, le stelle filanti, le maschere con bagliori dorati, i veli danzanti al vento; e il raso, che fascia i corpi e li accarezza, è simile all’onda nel suo eterno fluttuare. E se c’è ancora nell’aria il profumo dei camini accesi, si avverte già un fermento nell’erba e sugli alberi, nel volo e nei richiami degli uccelli. Un annuncio della nuova stagione? “Prélude à l’aprè-midì d’un faune”, “Le sacre du Printemps “, “ Carnaval” sono le musiche che mi sembra di sentire mentre scrivo questo testo un po’ delirante. Intanto lo sguardo si ferma sulle Cervaiole e sui monti vicini dove l’ultimo residuo di neve risalta al chiarore del sole.

Cronache da Basati

Rai: una commissione di controllo che controlli... i controllori! di Giulio Salvatori Ho seguito con attenzione, pochi giorni fa, un dibattito alla televisione sul primo canale della Rai, riguardante le problematiche riferite alla richiesta di mutui alle banche, prestiti etc, e come si dovrebbero muovere quei giovani che intendano intraprendere un’attività in proprio e così via. Erano presenti esperti di varie categorie, fra questi anche un esponente dalla parte dei cittadini. L’incontro incominciava ad entrare nel concreto quando la conduttrice, poverina, fu costretta a chiudere l’argomento perché il tempo a loro disposizione era finito e, come suol dire, bisognava voltare pagina. Notai sulla faccia degli intervenuti un certo imbarazzo e sicuramente anche un po’ di rabbia. L’argomento che seguì, e certamente altri utenti avranno visto, era di un’inutilità e anche offensivo nei confronti delle donne, almeno di coloro che lavorano e che la mattina devono correre, e anche di fretta. Insomma, una dottoressa dava le dovute spiegazioni su come mantenere il corpo bello e sano. Il paziente era una bellissima ragazza che non aveva certamente bisogno di cure.

Prendiamo una mamma qualunque. Questa al mattino, secondo i consigli della Tv pubblica, si dovrà mettere in costume, badate bene in due pezzi, sedersi in una comoda sedia sdraio e massaggiarsi, con essenze di oli vari, cosce, gambe, braccia, collo, seno, in modo che il corpo assorba queste sostanze. I capelli nel frattempo, saranno tenuti da un turbante o qualcosa di simile. Intanto nella zona bagno, nella vasca idromassaggio all’avanguardia, oltre ad altre essenze che non posso certamente ricordare, questa dottoressa consigliava anche l’aggiunta di qualche goccia d’olio – diciamo speciale – con la funzione di rigenerare i tessuti. Dovrà adagiarsi lentamente in questa vasca a temperatura accettabile e lasciare fare il tutto all’idromassaggio. A questo punto mi sono incazzato e ho spento la televisione, ma credo che la modella si sottoponesse anche alle cure di un massaggio fisioterapico. Poi naturalmente lo spazio dedicato ai capelli. Spaccato quotidiano di una famiglia tipo: Babbo, mamma e due bambini in età scolare. Sicuramente il babbo parte presto per il lavoro, la mamma rimane sola e deve pensare a preparare i bimbi. Io questo film reale lo vedo tutte le mattine, perché proprio davanti alla mia abitazione, abita una famiglia con due figlioli. Alle otto e 15 la mamma parte di corsa per accompagnare la bambina allo scuolabus per la scuola elementare, dopo venti minuti altra corsa per accom-

pagnare il piccoletto allo scuolabus per la scuola materna. Ed è già fortunata perché il pulmino passa a cento metri di distanza. Capelli arruffati, una maglia tirata sulle spalle e via. Credo che non ci sia bisogno di dare ulteriori spiegazioni: quante mamme, tutte le mattine si troveranno a fare queste gincane? Altro che essenze aromatiche. Penso che i responsabili di queste trasmissioni, questi cervelli eccelsi, queste menti machiavelliche, dovrebbero essere messi alla gogna, in una gran piazza pubblica a sentire le imprecazioni della gente vera. Oppure portati alla catena di montaggio di una fabbrica, o in una serra di fiori dove l’estate si sfiorano temperature soffocanti, sulle cave, o a raccogliere gli spinaci d’inverno, o vedete voi dove mandarli. Basterebbero quindici giorni. Ma non sono loro i colpevoli: la colpa è nostra, perché abbiamo un potere grande fra le mani che si chiama telecomando. Però, anche se si spegne il televisore, il canone bisogna pagarlo lo stesso. Non ho certamente la pretesa che questo giornale arrivi sulla scrivania di questi prodi guerrieri annulla cervelli della Rai. Quante trasmissioni inutili. Ma lo sanno questi signori che stanno spendendo del denaro pubblico ? Ma non esiste una Commissione di controllo? Bisognerebbe istituire una commissione di controllo che controlli i controllori.


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Dall’Almanacco versiliese II

Frammenti di cronaca (seconda parte) Pietrasanta 30 dicembre: è giunta notizia che nella notte è stata trovata morta in Seravezza, terra di qui poco lontana, Angiola Maltempi, cassiera nel quartiere Aloisi; i ministri del tribunale la trovarono distesa sul tavolino di cucina, ferita con armi bianche da taglio e da punta nella gola e in diverse parti del corpo; corre voce che questa donna fosse molto danarosa perché l’autore dell’omicidio avrebbe rubato alla defunta cento scudi circa, diverse gioie e anelli, oltre a più abiti. Pietrasanta 2 luglio 1771: nel letto del fiume di Montignoso, posto ai confini di questo Capitanato si aprirono, poco sotto al ponte, due buche che assorbirono tutta l’acqua che in esso scorreva; e siccome sopra al ponte vi è altra buca che assorbisce l’acqua derivata dal fiume per muovere un mulino a olio, è credibile che anche le nuove aperture corrispondano nelle istesse grotte sotto al monte e formino un lago interno che, secondo tutte le apparenze e riscontri per vie sotterranee e sopra terra, ha il suo esito laterale nel lago di Perotto o di Porta di appartenenza di questo Capitanato. Pietrasanta 17 dicembre 1774: i lavoratori del signor Casimiro Marchi Garfagnini nello zappare un terreno di proprietà del medesimo, hanno ritrovato un condotto di piombo fatto, per quanto si conosce, per condurre l’acqua in qualche cisterna; infatti negli scorsi anni in detto luogo fu scoperto un muro sotterraneo dal quale principiava tal condotto, di cui ne fu interrotta l’escavazione; è stata ritrovata anche un’urna di terra quadrata, con un coperchio e con incrostatura che circondava e chiudeva la medesima; sopra di essa vi era una croce di piombo di un’altezza e grossezza ragionevole; aperta dett’urna vi è stato ritrovato il cadavere di un uomo che, appena toccato, si è disfatto totalmente; abbiamo motivo di credere che in quel luogo esistesse nei passati secoli un convento di frati e infatti quel terreno è ripieno di rovine. Pietrasanta 31 dicembre: a proposito dell’escavazione nei beni Marchi Garfagnini si sono scoperti diversi muri adattati e fatti in modi fra loro totalmente distinti, e un continuo e irregolare ammasso di sassi che dimostrava un’antica rovina o edificio del quale non se ne distinguono le vestigia; si sono ritrovati molti cadaveri umani e dall’ossa dei medesimi si è osservato che uno era più grande degli altri con un cranio grossissimo; si assicura che in tal luogo, oltre al divisato monastero, vi fusse anche un cimitero nei pressi di uno spurgo che serviva la gente del capoluogo; in tali tempi il clima era assai infelice e le autunnali epidemiche malattie solevano fare scempio degli abitatori. Pietrasanta 13 maggio 1776: nei giorni 7 e 8 corrente, cadde qui una pioggia precipitosa con tempesta e grandine e i monti si coprirono di neve; si alzò un turbine che principiò dal mare, sollevò l’arena e, come una folta nube, la portò e respinse fino ai monti e, nel moto vorticoso, danneggiò campi e alberi per tutto il tratto che si distese; l’acqua poi caduta in gran copia e la neve sciolta dai monti fece crescere il fiume di Seravezza che, uscito dal suo letto, ha inondato vari terreni con danno notabile dei rispettivi proprietari; oggi poi ha fatto un vento burrascoso e gagliardissimo. Pietrasanta 18 maggio: in un luogo di campagna vicino a questa Terra, uno scrivano con il compito di tutte le

domestiche ingerenze della nobile famiglia del signor Romano Garzoni, avuta l’intimazione di rendere i conti al suo principale, si rese conto di essere debitore di scudi 6 mila; non avendo il modo di restituire una così ingente somma e rincrescendogli di perdere d’un tratto la stima presso il volgo, tentò di affogarsi gettandosi vestito nell’acqua, ma venutogli il ribrezzo di morire, uscì ben bagnato e ritornò alla propria casa di notte tempo, si cambiò il vestito e si mise in dosso una spolverina, ponendosi a tavolino per scrivere i suoi crediti e i debiti con la firma fu n.n. come fosse già defunto; poi prese una fune e raccomandatala a un arpione della finestra se la pose al collo e s’impiccò; cadde però accanto al muro finendo per toccare cadavere il pavimento con i piedi; al mattino dopo la serva lo vide in quella posizione e credé che si fosse così momentaneamente appoggiato e pertanto proseguì nella sue faccende; solo più tardi trovandolo nella stessa positura, gli si accostò e si poté avvedere della sciagura, principiò a gridare finché accorsero molte persone tra cui il signor Garzoni che restò alquanto meravigliato di vedersi tradire dal suo uomo di fiducia. Pietrasanta 26 e 27 maggio: ricorrendo nella chiesa dei padri agostiniani la festa triennale della SS. Vergine, vi sarà un ben inteso lavoro di fuochi d’artificio e una corsa di cavalli sciolti, senza l’uomo sopra; il proprietario vincitore conseguirà il premio di una bandiera di braccia trentaquattro di perfetto mantino; chi vorrà esporre il proprio cavallo a detto spettacolo dovrà darsi in nota, avvertendo che, per prevenire disordini, resteranno espressamente eccettuate le cavalle; il percorso sarà su piano sterrato e avrà lo spazio rettilineo di un miglio. Capriglia 7 ottobre: fra i molti fulmini, ne cadde uno distante due braccia da una casa entro la quale vi era una numerosa famiglia, colpì un ciliegio nell’orto contiguo e lo arse del tutto; stante le continue dirotte piogge, esciti da’ loro alvei fiume e diversi torrenti sono stati recati danni in alcuni contigui territori. Terrinca 8 ottobre: volendo un uomo settuagenario montare a cavallo, non prese la giusta misura per cui, cadendo, venne a lussarsi l’osso del collo, a segno tale che non fu possibile dargli verun sollievo, mentre restò privo sul colpo di vita. Basati 5 marzo 1780: nella scorsa settimana un nostro abitante, tal Giannaccini, accingendosi a tornarsene a casa mentre passava le montagne coperte di neve, gli franò addosso un masso che seco lo trasportò mentre più a basso passava un ragazzo, tal Leonardi, con una vacca che dovette soggiacere allo stesso infortunio ed essere sepolto dalla medesima frana con la bestia; andata la notizia al paese, si organizzò una squadra di soccorso tra cui il fratello del Giannaccini; nell’intento di dissotterrare il disgraziato ragazzo, indicibile fu la sorpresa allorché, smossa gran parte di neve, il primo cadavere scoperto fu quello del proprio fratello. Seravezza 5 marzo: dopo lunga e penosa malattia cessò di vivere il cavaliere Antonio Campana, nella fresca età di anni 33; sono stati fatti i suffragi con intervento di tutti i cavalieri della Badia fiorentina. Pietrasanta 25 giugno: fu ritrovato, sul nostro litorale, un cadavere nudo di un giovane che si suppone affogato; era figlio unico di una famiglia di Montignoso. (continua)

Almanacco Versiliese II

Dove comprarlo

Orazioni funebri

Danilo Silicani, un vero galantuomo Questo discorso doveva essere tenuto da Giorgio Giannelli ai funerali di Danilo Silicani. Ve lo riportiamo per intero.

di Giorgio Giannelli “Caro Danilo, conservo ancora il bigliettino che consegnasti qualche tempo fa con i nomi degli amici del bar della Marisa Viacava a Ripa. Sono quelli che tutte le domeniche venivano con te a chiacchiera. Si parlava di tutto, ma si doveva stare attenti come si parlava perché se no, ti arrabbiavi. Mi riferisco a Oliviero Bibolotti, Giulio Cosi, Narciso e Luigi Frediani, Vincenzo Gasperetti, Marcello e Giovanni Jacopi, Aldo Lariucci, Guido Menchetti, Dino Nicoletti, Tito Salvatori, Ivo Tessa, Giuseppe Venturini, e li metto in ordine alfabetico perché tra noi non c’erano capi. Siamo rimasti io e Dante Lucacchini, che si trova all’ospedale di Montepepe per una delicata operazione, se no era qui. Ricorderò anche l’Accademia della Rocca perché tu, oltre che disegnatore, scultore, pittore e musicista, eri anche un poeta, e il gruppo degli ex alunni dell’Accademia di Pietrasanta e di Carrara, con i quali ti ritrovavi ogni anno. Ci siamo rimasti in pochi. Caro Danilo, se Versilia Oggi è campata 40 anni lo si deve a te che ne sei stato a lungo l’amministratore. Se non c’eri te, Ivo e Marcello, le riunioni sarebbero andate deserte. Ti ricorderò come un galantuomo, una persona che quando diceva buon giorno era buon giorno e buona sera buona sera. Pane al pane e vino al vino. Sei stato consigliere comunale di Seravezza e nessuno se lo ricorda, sei stato venticinque anni presidente della Croce Rossa e ti sei battuto per aprire a Ripa la farmacia. Anni passati a servire il pubblico, disinteressatamente. Gratis sempre. Quando venne il presidente della repubblica Gronchi sulle macerie di Ripa, fosti te a dirgli chiaro e tondo che le chiacchiere non fanno la farina. E Ripa venne ricostruita come l’hai voluta. Quando muore uno come te, se ne va una biblioteca, la memoria, una vita. Ricordo che, su uno dei primi numeri di Versilia Oggi, scrivesti come avresti voluto morire. Era un articolo intitolato l’ultimo stranguglione. Fosti profeta, perché scrivesti che saresti morto volentieri sulla porta di un ristorante. È stato proprio così. Dalla Puccia. Salutami gli amici che hai già trovato lassù. Aspettateci. Tanto si arriva tutti”.

Una noce nel sacco

Queste sono le uniche librerie dove si può acquistare l’Almanacco Versiliese di Giorgio Giannelli: Pietrasanta: Librerie Tonacchera, Santini e Susanna Marina di Pietrasanta: Libreria Tonacchera Forte dei Marmi: Libreria Giannelli Querceta: Delia e Bar Tabaccheria Maggi Ripa: Edicola Bigotti Seravezza: Edicole Binelli e Marchi-Barsanti Viareggio: Libreria La Vela tutti coloro che non abitano in versilia

e volessero ricevere a casa l’almanacco versiliese, si rivolgano direttamente a: giorgio giannelli

via san giorgio,

48

55046 pozzi di seravezza (lu) tel. 0584.769192

Libreria Giannelli

via mazzini, 11 forte dei marmi

solo alla libreria giannelli


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Commedia dialettale

Chi è di scena? Il camerino racconta

C’è grande attesa per la nuova commedia in vernacolo di Piero Bresciani, dal titolo “Chi è di scena? (il camerino racconta)”, in scena al Teatro Comunale di Pietrasanta il 13 e 14 marzo di Sabrina Mattei

Anche quest’anno, come oramai da dodici primavere e dopo un anno di pausa, il teatro comunale di Pietrasanta vedrà il debutto della sempre più attesa commedia comica scritta e diretta da Piero Bresciani, alla testa dell’ormai apprezzatissima compagnia “Teatro Pietrasanta”. Piero Bresciani , oltre ad essere autore dei testi, delle scenografie e curatore dei costumi, riveste il ruolo di attore protagonista, affiancato da Bruno Ricci, stimato come caratterista poliedrico e Antonella Carignani, che torna a calcare le scene dopo una lunga pausa, ma già nota al pubblico versiliese per essere stata a fianco di Bresciani nella sue primissime commedie. Si presenteranno al pubblico anche nuovi talenti come Ilaria Tendoli, Annabella Coco, Carmen Quadrelli, Serena Bertozzi e Nicodemo Galleni da tutti conosciuto come ‘Gauscio’, affiancati ai veterani come Tiziano Barattini, Michele Pucci, Marino Bacci e Liliana Mursi. Suono e luci sono a cura di Luca De Santi e il suggeritore è Niccolò Bresciani. “Chi è di scena – Il camerino racconta” è un interessante quanto divertente esperimento di teatro nel teatro, dove l’intento primario sarà quello di far divertire il pubblico mostrando i retroscena di una rappresentazione teatrale: tutto quello che succede nei camerini prima, durante e dopo uno spettacolo. Sarà un mettere a nudo i propri difetti, veri o presunti, in un gioco di sana e severa autoironia. È superfluo dire che si tratta di difetti, debolezze e nevrosi frutto della fantasia dell’autore, sebbene serpeggi un fondo di verità anche se dilatato per rendere le situazioni più simpatiche e divertenti. Il tutto si svolge nel tempo reale di una commedia che vede gli attori di una scombriccolata compagnia di provincia dibattersi in un andirivieni nel camerino del capocomico, mentre si intuisce lo svolgersi dello spettacolo sul palcoscenico oltre la scena. Fra un atto e l’altro, si vedranno i protagonisti divincolarsi nelle varie situazioni comicogrottesche in una aggrovigliata matassa di problematiche tra pubblico e privato. Si vedranno esercitare le personali e malcelate debolez-

Poesie

Le Cervaiole (19 aprile 1945) di Ileana Romoli Salvatori Eccelse vette Dell’Altissimo inviolate regine di leggendari azzurri abissi. Fra gli ardui picchi solo un saettar di cervi come sfrecciar di rondini in volo. Frangia di guglie in titanica lotta con le tramontane che straziate rumano a valle, con gelidi lamenti e agghiaccianti grida umane. Candore di marmi richiamo al mondo per armonia di forme e purezza d’intenti: Feroniae are

Apui altari, lapidi, statue monumenti. Oh, fausto memorabile giorno d’aprile! Improvviso nel niveo candore compare, eroico in tutto il suo valore il volto di un soldato amico. Glorioso il suo grido: “Versilia, sei libera!!” echeggia nel vento e deflagra a valle in una folle unanime felicità.

ze infarcite di egocentrismo, cinismo, presunzione, invidia, rancori, conflittualità ma anche affetti profondi. Come in ogni fiaba, le maschere cadranno per lasciare il posto al volto umano in un finale scoppiettante dove, come in ogni lavoro del Bresciani, è sempre il bene a trionfare.

Progetti

Gli alpeggi e la memoria Un progetto importante, che mira al recupero e al mantenimento della memoria storica degli alpeggi, che vede coinvolte le istituzioni scolastiche dell’Alta Versilia Nell’ambito del progetto di educazione ambientale denominato In.f.e.a, promosso da vari enti pubblici e dedicato a “Il bosco e la montagna nel paesaggio, nella cultura e nella tradizione”, è stato attivato un lavoro di recupero e mantenimento della memoria storica degli Alpeggi, che coinvolge direttamente le istituzioni scolastiche dei comuni dell’Alta Versilia. Fino al dopoguerra gli alpeggi hanno rappresentato durante la stagione estiva, un’importante fonte di sostentamento per una buona parte della popolazione locale, quando essa per interi mesi si trasferiva nelle zone di altura con le greggi, adattando la propria vita alle mutate esigenze e condizioni del lavoro. Lo sviluppo economico del secondo dopoguerra ha determinato il rapido abbandono di questa pratica, che poche testimonianze ha lasciato se non nel ricordo delle persone che l’hanno direttamente vissuta. II susseguirsi delle generazioni e la scomparsa di quelle più anziane produce una perdita irrimediabile di questa memoria, che attraverso il progetto In.f.e.a. si è quindi cercato di recuperare almeno parzialmente attraverso varie ricerche, fra cui la registrazione dei ricordi, a volte sbiaditi dal tempo, altre volte ancora vividi, delle persone che hanno svolto in anni ormai lontani questa pratica o l’hanno vista svolgere dai propri familiari. Proprio tramite lo strumento dell’intervista, è stato possibile rendere partecipi di questo progetto gli alunni di alcune classi dell’Istituto Scolastico Comprensivo di Stazzema, raggiungendo il duplice obiettivo di raccogliere documenti che potranno in futuro essere studiati e utilizzati per ricerche, e al contempo di suscitare interesse e consapevolezza negli alunni stessi nei confronti della recente storia economica e sociale della propria terra. Gli studenti della classe seconda della scuola secondaria e della classe V della scuola primaria hanno quindi svolto interviste a varie persone anziane e di esse il giornale pubblicherà, fin dai prossimi numeri, alcune giudicate sotto diversi profili più interessanti o istruttive.

Mobbing

Un utile consiglio di Franco Tarabella Con le sue gerarchie, schiere di sottoposti, il mondo del lavoro è portatore di svariate problematiche: lo è da che l’uomo ha acquistato la posizione verticale. Nel variegato contesto lavorativo, mai sono mancati individui capaci, attenti a produrre, come altri, dediti a tirare a campare, dediti a vendersi al miglior offerente pur di fare carriera senza averne i necessari requisiti: spesso a scapito dei migliori. Lavoratori seri e furbi ci sono stati, e ci saranno sempre in giro. Per esperienza personale (oggi per mia fortuna mi trovo in pensione), posso affermare che in passato, prima di giungere a sanzionare qualcuno, era invalsa la tendenza a trovare una soluzione il più possibile equilibrata: e giù riunioni, rinvii, discussioni fiume all’interno di apposite commissioni. Di certo, pronunciata qualche anno fa, la parola ‘mobbing’ avrebbe sortito indifferenza e larghi sorrisi. E invece…invece, a rimorchio di un’inumana ondata tecnologica, della perdita di forza del sindacato aziendale, della fretta a tutti i costi, a rimorchio di una sempre più ampia gamma di contratti a termine, indice di insicurezza specie per i soggetti più deboli, di una legislazione a larghe maglie, a rimorchio di insignificanti personaggi smaniosi, vogliosi, non essendo di essere, pian piano il mobbing è venuto assumendo un ruolo devastante nei luoghi di lavoro. Velate minacce, ritorsioni, false accuse, frasi a doppio senso, umiliazioni, ecc. tra tanti altri, sono amari ingredienti che del mobbing ne contraddistingue le sfumature. Chi resta colpito da tale malattia è preda di sconforto, insonnia, perdita di creatività, sfiducia in sé stesso. Il più delle volte, dopo atroci sofferenze psicologiche, il mobbing scaraventa nel vortice della depressione; una depressione che sovente segna per sempre una vita: senza che nessuno possa porvi un rimedio totalizzante: mai più! Il mobbing purtroppo, non viene fuori, non emerge come dovrebbe per paura di ricatti. Non viene fuori perché chi mette in atto comportamenti scorretti normalmente detiene un qualche potere, trova sponde in ‘Bravi’ a buon mercato, bene guardandosi dal lasciare traccia, che un giudice chiamato a dirimere la questione, magari a distanza di anni, abbia difficoltà a giudicare, con il rischio, per il mobbizzato, che a umiliazione vada a sommarsi ulteriore umiliazione. Nella Grecia antica, il tiranno di turno, gli uomini ritenuti nocivi alla polis li spediva al confino: che era come morire. Per uomini che a seguito di torti subiti abbiano il difetto di essere orgogliosi, non mollare di fronte ai Ponzio Piloto che nel loro ‘cementizio’ grigiore sono peggio degli stessi carnefici, oggi, come ieri, è auspicata l’emarginazione sociale, se non di peggio. Dunque, per te, che so da qualche parte soffrire il mobbing, un utile consiglio: “Prima di tutto, sforzati di essere forte a ogni risveglio, e non cercare cure al di fuori di ‘te’ che è lì, in memoria, nelle cavità del tuo ‘io’ che micidiale si annida il tarlo da sfrattare. Poi, apri una bella finestra luminosa in alto, più in alto che puoi … scrivi avendone voglia, ascolta musica, leggi soprattutto; leggi spaziando in ogni epoca: non importa avere titoli accademici in tasca per capire, capire e farsi un tesoretto di cultura buono per tutte le stagioni. Se la solitudine non ti fosse amica, spingendoti al pianto, in compagnia di gente del calibro di Croce, Montanelli. Le Goff, Hugo, ecc... osserva con distacco quel variegato mondo che ti molesta, con le sue regole, le sue bizzarrie, le sue ‘sentenze’, e indubbie contraddizioni condurre, spessissimo, a un vicolo cieco... Così facendo, sono certo che ne trarrai conforto e giovamento per andare avanti, al pari di un nocchiero che abbia in animo d’esser lì, per avvistare un sogno insperato”.

I nostri sostenitori

Marcello Polacci, Sara Sarti Sarri, Romano Redini, Massimo Lazzotti, Carla Bertoli, Gloria e Sergio Ricci, Floro Salvatori, Carlo Carli, Elio Grassi, Chiara Rosa Zuzzi, Antonietta Del Medico, Remo Lazzeri, Giuseppe Bertellotti, Aristide Bresciani, Carlo Biagetti, Jone Grossi, Antonella Guglielmi Tamburini ricordando nonno Giorgio e Alessandra, Achille Catelani, Maurizio Tosi, Franco Giannaccini, Violetta Genovesi, Giuliano Luisi, Ovidio Barberi, Rita Babboni, Loris Barsi, Raffaello Salvatori, Maria Grazia Cerrai, eredi Silvestri Marcello, Rodolfo Cocchi, Annamaria Mutti Maggi, Giorgio Salvatori, Carlo Migliorini, Marc Huyben.


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Il bricco dei vermi

Ma che belle mascherine di Fabio Genovesi Gli adulti provano un piacere perverso nel vedere i bambini umiliati. Questa è l’unica spiegazione per fenomeni altamente sadici quali i saggi di musica e di danza, le recite scolastiche, le festìne di carnevale. Vengono spacciate per liete occasioni dedicate ai bimbi, ma qualsiasi bimbo a posto di testa le vive con terrore e vergogna. Eppure si ripetono da sempre per la gioia e il godimento dei grandi. Prendete il mesto spettacolo offerto in febbraio, per le strade dei paesi, con questi miserrimi corsi di carnevale organizzati dalle amministrazioni comunali, desiderose di ben figurare con gli elettori-genitori, ai danni dei non elettoribambini. Sì, ok, è vero che a qualche bimbo, in giro per il mondo, piace il carnevale, ma cosa c’entra? Al mio amico Robertone piaceva prendere la rincorsa e battere la testa forte nell’insegna Sale e Tabacchi della Gazzella: ognuno coltiva i suoi gusti personali, per quanto bizzarri essi siano. Resta il fatto che la maggioranza dei bimbi, soprattutto quelli piccoli piccoli, a carnevale la vedi lì che si lamenta, piange, raggiunge livelli di umiliazione che non toccherà più fino all’arrivo della pubertà. Esausti minuscoli Zorro rantolano sull’asfalto, tentando di cavarsi di bocca una manciata di coriandoli. Un mini-torero agonizza vagando per la piazza, accecato dalla schiuma. Due damìne dell’Ottocento sedute in un parcheggio hanno perso per sempre i genitori e avviano una vita dedita all’accattonaggio. E tutto questo per cosa? Perché qualche signora di mezza età possa passare di lì, prendergli una guancia tra le dita e strizzarla mentre squittisce: “ma che carini!”. E i bimbi, nella loro rassegnata santità, scontano il tremendo destino senza nemmeno provare a capirci qualcosa. Tra la minaccia dei carri che avanzano con l’obiettivo di schiacciarli, tra gli adolescenti che intendono sfogare su di loro le proprie sfuriate ormonali a dosi di schiume tossiche e manganelli rinforzati di sabbia, il tutto sotto le note ossessive di “L’amico è” e “44 gatti”, ripetute fino a valorizzare il suicidio. Che poi l’ipocrisia degli adulti raggiunge vertici meschini di mistificazione. Arriva pure a fingere personali ricordi di gioia e amore per il carnevale, quando loro erano bambini. Ma sono memorie standard, di collettività, che con gli anni si sono sostituite a quelle vere. Io, invece, ricordo benissimo quanto lo odiavo, il carnevale. I miei si erano fissati che non facevo abbastanza cose da bimbo classico, e questo li teneva in apprensione. A pallone ero negato, un maestro di ginnastica vedendomi giocare gli aveva consigliato di portarmi da un medico della testa. Alla prima lezione di Judo invece, il maestro suggerì di farmi fare un corso di tennis, solo che io ero andato a judo dopo consiglio del maestro di tennis. In più, trascorrevo le giornate lungo i fossi a pescare, da solo, e tenevo un diario di pesca di questo tenore: 16 luglio, quest’anno devo registrare una strana penuria di tinche. Insomma, i miei non erano tranquilli, e sempre più gli suonava verosimile il monito di mio zio: questo bimbo, se continua così, tempo un anno e comincia a scrivere le poesie, poi si trucca e alla fine gli garbano sicuro i maschi. E allora, per evitare ogni possibile deviazione, si decise che dovevo fare tutte quelle cose che faceva un bimbo della mia età. E tra queste c’era, appunto, divertirsi un sacco al carnevale. Mi chiedevano da cosa volevo mascherarmi, io non rispondevo e allora ci pensavano loro. Sono ancora in possesso di un disturbante dossier fotografico, che mi ritrae anno dopo anno vestito da Pulcinella, Marziano, Gendarme, Sce-

riffo, Uomo Ragno, Vigile, Gene Simmons dei Kiss, Pinguino e Sultano. Ma il costume jolly che ho indossato di più è quello di Pierrot, sfigatissima maschera francese che i miei sceglievano perché nel trucco c’era un paio di lacrime nere dipinte sotto gli occhi, e quelle tornavano utili per nascondere le vere lacrime che piangevo mentre mi vestivano e mi portavano al corso. Ma non voglio pensare solo a me, o peggio ancora piangermi addosso. In fondo, se poi sono diventato il più fico della Versilia, immagino che lo devo anche a questo. Il problema è che a carnevale c’era pure chi stava peggio di me. Perché si sa, ogni festa ha una categoria di persone che bastona più duramente. E come San Valentino è l’inferno per i lasciati e i soli-non-per-scelta, così Carnevale è durissimo per i bimbi di molti genitori separati: siccome dei costumi si occupano i babbi e le mamme, si vede subito quali bimbi hanno dei casini in casa. Basta prendere una di quelle tristi foto di classe scattate a martedì grasso, la maestra sorride accanto a una ventina di mascherìne più o meno elaborate, e poi lì in un angolo, scomodi e malinconici, ci sono sempre due o tre bimbi vestiti normali, inadeguati, negli occhi la tristezza infinita di un’infanzia in tono minore, rinunciata. O ancora peggio ci sono quelli che la nonna, all’ultimo minuto, ricordandosi che è martedì grasso vuole trovargli un travestimento per non farli sfigurare. Ricordo che a scuola si vedeva arrivare, magari accanto a un fastoso Marajà con turbante coperto di gemme, pantaloni di raso e stivaletti dorati, uno sfigatissimo fantasma messo su con un asciugamano di spugna bianco addosso, due buchi per gli occhi e niente più. L’anno dopo lo stesso bimbo, tentando pateticamente di variare, si buttava un asciugamano identico sulla testa e le spalle, intorno alle tempie una fascia scura e diceva che era uno Sceicco. La crudeltà degli altri bambini, resa inesorabile dal fatto che erano vestiti da Imperatori, Zar, soldati della Wehrmacht, gli ricordava impietosa: -ma quale sceicco, quello lì è il solito cencio dell’altr’anno-. E poi risate. E poi sfilate. E i genitori che li guardavano e si intenerivano col solito -ma che carini-. Perciò pensateci, quando li strizzate in quei bolerini di raso, gli infilate a forza cappelloni da pirata, li obbligate in gonnelloni da madama, gli disegnate i baffetti all’insù. Guardateli in faccia per un attimo, e dispiacetevi. E se vi manca il cuore per farlo in modo disinteressato, pensate che un giorno quei bimbi diventeranno grandi e grossi, e voi invecchierete, e quando vi servirà il famoso bastone della vecchiaia, vi beccherete le bastonate che meritate.

Apertura alla trota

Il 25 febbraio si è aperta la stagione della pesca alla trota. Il Fly club ’90 Versilia ricorda a tutti gli appassionati che per poter esercitare la pesca all’interno dell’area a regolamento specifico Alta Versilia occorre essere in possesso della concessione governativa (costo 35,00 euro) e del tesserino segnacatture. Per mettersi in regola: Seravezza (Comunità Montana Alta Versilia, Comune, Pro loco, bar Lo Shaker, bar della piazza); Stazzema (Comune, Pubblica Assistenza); Querceta (Venator); Pietrasanta (Esca e pesca); Forte dei Marmi (Big game). Attenzione: leggete attentamente il regolamento posto su ogni tesserino e sui cartelloni informativi all’interno dell’area di pesca per non incorrere in sanzioni. Per informazioni: Guglielmo Vincenti (vigilanza ittica) 348.3065001; Andrea Giusti (vigilanza ittica) 340.4622605

La riforma previdenziale

informa

Un appuntamento importante per il futuro In occasione dell’avvio di un cambiamento così importante per il futuro come la riforma previdenziale, la Banca della Versilia e della Lunigiana desidera essere vicina a chi desidera informazioni chiare e precise sulle novità introdotte. Perché cambia il sistema pensionistico? Fin dagli anni Ottanta si assiste ad un lento ma progressivo aumento di pensionati rispetto alla popolazione attiva, legato a due fattori demografici concomitanti: l’allungamento significativo dell’aspettativa di vita e il calo delle nascite. Dal punto di vista economico l’effetto di questo cambiamento si traduce in un incremento della spesa pubblica, rendendo quindi necessari interventi strutturali per garantire la sostenibilità dell’intero sistema pensionistico. Che cosa cambia dal 1° Gennaio 2007? Il 1° Gennaio 2007 parte la Riforma Previdenziale con l’obbiettivo di sviluppare la previdenza integrativa utile a colmare il possibile gap pensionistico dei lavoratori anche grazie alle agevolazioni fiscali previste per tutti coloro che vi aderiscono: VERSAMENTI PREVIDENZIALI: Deducibilità annua fino a un massimo di 5.164,57 € Aderendo a una forma pensionistica complementare si ha inoltre diritto a un’ulteriore agevolazione fiscale. Al momento che si va in pensione la rendita vitalizia e il capitale avranno un’aliquota fiscale massima del 15%. Dopo 15 anni di adesione a una forma pensionistica complementare, poi, l’aliquota si riduce dello 0,30% annuo fino a un limite massimo del 9% di tassazione. Viene offerta un’ulteriore opportunità per i lavoratori dipendenti privati: entro il 30 Giugno 2007 possono scegliere se destinare il proprio TFR maturando alle forme previdenziali offerte dalla propria azienda o a soluzioni di soggetti esterni. Come ti può assistere la Banca della Versilia e della Lunigiana? La Banca della Versilia e della Lunigiana ti accompagna con la professionalità e la competenza che solo una Banca dedicata alle famiglie e alle piccole imprese può offrire per: • aiutare a capire in modo semplice la Riforma della Previdenza e le novità riguardanti i lavoratori e le piccole imprese attraverso le competenze specifiche di professionisti formati in materia previdenziale; • offrire un’assistenza specialistica riguardo alla situazione previdenziale attuale dei lavoratori anche grazie a strumenti di Analisi Previdenziale messi a punto da società del gruppo, AUREO GESTIONI SGRpA - BCC VITA; • informare sui vantaggi fiscali che rendono l’offerta previdenziale un’opportunità interessante; • illustrare le soluzioni più adatte a coprire il gap previdenziale in base all’orizzonte temporale del momento in cui si prevede di andare in pensione. Ti aspettiamo in Agenzia, dove potrai contare sull’assistenza di cui hai bisogno per affrontare il futuro con consapevolezza, e scegliere la soluzione più adatta alle tue esigenze.


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