SOMMARIO Il didietro della copertina by bise
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CARTACOMICS Esu di Coratelli e Righetti Keppalle di Ardagna GavaVenezia Il giardino filosofico di Spina Scene di tragedia quotidiana Pudd di ZamBar Desert Out di Massy Malù di Raiola e Filipponi Satirix di Darix Altro Mondo di Caoticoz Quiff di Cius Re Gilberto di Spina Desert Out di Massy Vignette di Giulio Laurenzi Pensieracci e Pensierini di Ignant Mobu & Al di Ranghos PetTherapy di Inno Lurko il Porko Mannaro di FAM Segolas Pulci di Cardinali Umor De Rosa vignette Mayacomics di Davis Vignette di Emma Marongiu Pat Dunn di Coratelli e Ceglia Vignette di Luigi Alfieri Vermi di Rouge
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Edizioni Associazione Culturale Subaqueo www.subaqueo.it www.cartaigienicaweb.it redazione@cartaigienicaweb.it
CARTARACCONTA “Elezione corporale” di Budetta
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CARTASPECIAL TRAP corner Intervista a Elisabetta Bucciarelli Scambista per un giorno di Penzo Le Cassate di Aldo Vincent “LUna ronda non fa primavera” di Garofalo
CARTACINE
CARTAIGIENICAWEB.it
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di Ridola
La riscoperta: Shoot Torno a vivere da solo Madrina del mese: Catherine Zeta Jones
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Vignette e illustrazioni di Gianfalco, Darix, Laurenzi, Vincent, Gava, Martinelli Cover di GAVAVENEZIA
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A CURA DI Fabrizio Fassio Andrea Delfino Valerio Fassio Ricky Flandin Sebi Ligori SUPPLEMENTO A STAMPA ALTERNATIVA Registraz. Trib. di Roma n. 276/83 Direttore responsabile: Marcello Baraghini Tutti i diritti riservati. Il materiale contenuto in questa ezine non può essere riprodotto né diffuso senza l'espresso consenso degli autori.
IL DIDIETRO DELLA COPERTINA Non ricordo che mestiere facevo prima, anzi per la verità non riesco a ricordare molto della mia vita precedente. Ora sono una celebrità, sono sempre sotto i riflettori, e ogni giorno dura un'eternità; il tempo in cui ero una persona normale mi sembra lontano due o tre vite. Ricordo però che mi piaceva fare quel che facevo. Anche adesso mi piace, ma ora c'è troppa pressione e non mi diverto più tantissimo. E questa ossessione con l'audience, sempre li' a controllare i dati, e quale istante è stato più visto; come se il pubblico, telepaticamente, potesse essere in grado di sintonizzarsi in massa sulle sequenze Vignetta tratta da gianfalco.it) più interessanti, cambiando canale non appena il programma diventa più moscio. I miei capi mi chiedono di ridurre i tempi morti, ma come diavolo faccio? Per cambiare strumento mi serve comunque un po' di tempo, poi ogni tanto devo pur girare la vittima, per passare da una posizione a quella successiva. E poi la tortura è fatta anche di tempi morti, per permettere al malcapitato di ripensare al dolore precedente, senza poter godere della momentanea assenza di dolore nella certezza del dolore che sta per arrivare. Gli unici tempi morti che vanno bene sono quelli della pausa pubblicitaria, soprattutto l'ultima, quella che precede l'esecuzione. L'auditel a quel punto impazzisce, perchè tutti sanno che appena finirà la pubblicità io mi inventerò un nuovo modo per far morire un criminale, naturalmente facendolo soffrire il giusto. Certo, all'inizio le cose andavano alla grandissima e gli ascolti erano fantastici anche senza sforzarsi troppo. Ora devi inventarti cose mirabolanti e sofferenze agghiaccianti, e sperare che non venga qualche fottuto terremoto a prendersi il 70 per cento di share.
Bise
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di Carlo Coratelli & Eros Righetti
esulastriscia.splinder.com
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Vignette di GavaVenezia - gavashow@hotmail.it
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TRAP CORNER Viva lo swahili, lingua senza lussuria! Souleyman, scomodamente accucciato dietro un cespuglio, osserva gli impala che pascolano nella savana: agili, snelli, slanciati, armoniosi, flessuosi. Di colpo, schizzano come cavallette, procurandogli pizzichi di piacere. La calura della savana e quei guizzi sincronizzati gli mettono addosso un languore che nemmeno trova posto nel vocabolario swahili. Ogni tanto un impala punta un’impala (la sua mente primitiva non afferra la portata di quell’apostrofo, che reca in se il mistero della riproduzione sessuata), la insegue con zigzag e balzi che a lui Souleyman spostano il sangue come maree impazzite. Un ultimo guizzo e la impala finisce impalata. I suoi occhi di adolescente tanzaniano, vergini di TV e computer, non implorano un binocolo per capire quel che sta succedendo. Souleyman è figlio di una guardia del Parco Nazionale del Serengeti, in Tanzania: poco più che tredicenne, alto fuori misura e secco al pari di un albero senza linfa. Un Fassino pesantemente abbronzato, via – e che sa, sente alla perfezione quello che sta avvenendo fra le due antilopi. Il sangue – il suo sangue – subisce un improvviso prolasso, abbandona le zone medio-alte del corpo - e si congestiona là dove cuore e mente sono banditi. La sua lunga mano d’ebano scivola a cercare il nero sparviero già libratosi in volo. Si blocca: il Padre Vittorio non vuole, dice che è un peccato contro la purezza, si fa piangere l’Angelo Custode e si può diventare ciechi. Un cacciatore della savana – fosse pure figlio di una guardia del Parco – non può permettersi il lusso di essere cieco. Souleyman ogni volta che incontra zio Ndyaye, orbo per cataratte mai operate (fatto noto al Padre, ma non al nostro lussurioso), lo guarda fra l’indignato e l’estasiato: pensa con sofferta invidia a quante volte ha abbattuto il volatile. Poi si figura che siano state le lacrime del suo Angelo Custode a dar vita al fiume Mara. Il Padre Vittorio proclama che la lussuria è uno dei sette peccati capitali, quelli che offendono Dio e fanno piangere la Madonnina. Souleyman s’è fatto l’idea che nell’Alto dei Cieli cattolico sono tutti un po’ frignoni, se piangono così spesso e così per poco. La sua piccola mente limitata non riesce poi a capire come la Madonnina possa vedere tutti quelli che in tutto il mondo si toccano il firaka. Il giovane tanzaniano (brutta bestia l’ignoranza) non ha letto Orwell e non vede nemmeno Canale 5: il Grande Fratello non saprebbe dirvi cos’è. Il Padre Vittorio ha detto che le popolazioni africane sono peccatrici, ma senza cattiveria, tanto che nel vocabolario swahili non c’è nemmeno la parola ‘lussuria’. Il Padre gli ha detto, al catechismo, che è la stessa cosa dell’impudicizia, l’ ‘usherati’. Il Padre Vittorio predica, indicando il Cielo con un dito – senza mai toccarlo – che non devono masturbarsi . E questo c’è, nel vocabolario swahili: jichua. Per fortuna, perché ‘masturbazione’, nella lingua del Padre, è una parola così lunga che dura meno farlo che dirlo. Un giorno che Souleyman si stava svuotando sopra una foto di Elisabetta Canalis, il Padre 13
Vittorio gli aveva urlato, puntandogli contro il dito – senza mai toccarlo – che era solo un piccolo mwasherati. Non era stato facile, quella volta, spiegare a quei selvaggi il concetto espresso dal Sesto Comandamento: non fornicare. Però il Padre Vittorio, che era severo ma buono, un giorno aveva confidato al capo del villaggio che se anche gli adolescenti della savana si tiravano una msumeno ogni tanto, non era il peggiore dei mali: facevano ugualmente tanti di quei figli, che un po’ di seme regalato alla lussuria, pardon, alla impudicizia …. Comunque aveva pestato duro sulla concupiscenza della carne (shauku): ai ragazzi, però, sembrava tanto normale aver voglia di un tenero filetto di antilope o di una grigliata mista di zebra giraffa rinoceronte. Ma il Padre aveva detto che la concupiscenza portava dritto dritto a desiderare la donna d’altri: “Chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Matteo, 5,28). (I poveri negretti non avevano capito bene chi erano questi Luca, Giovanni, Matteo e Marco, però si divertivano di più con Aldo, Giovanni e Giacomo. Padre, perdona loro). Per i giovani della savana queste restavano parole oscure: le loro donne giravano quasi sempre nude e quando loro le guardavano la natura faceva il suo corso, non è che si mettevano lì a desiderare. E lo stregone del villaggio (gran puttaniere) diceva che la Natura non sa cosa sono la lussuria, la concupiscenza e la fornicazione; tutte parole inventate dai bianchi. Che però scopavano con le donne nere anche se non erano mogli loro. ‘Scopare’ il Padre Vittorio non glielo sapeva tradurre in swahili, ma diventava rosso come un bel tramonto nella savana; senza averne le sfumature. Souleyman adesso è lì, dietro il cespuglio, con la mano tremula, bevendosi la fotografia degli impala immobili nell’attimo dell’estasi: loro non hanno un Padre Vittorio che gli ha spiegato la lussuria. Dopo un profondo, penoso attimo di compatimento per quelle bestie senza Dio, cade a terra sfinito, mentre anche le due antilopi crollano sotto il peso del peccato appena consumato. In quel preciso istante, dal cielo prendono a cadere pesanti gocce di calda pioggia. La privacy è un pio desiderio anche in Africa.
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Intervista a
ELISABETTA BUCCIARELLI a cura di Roberto Estavio Elisabetta Bucciarelli lavora con la scrittura. Ha scritto per il teatro, la televisione e il cinema. La sua sceneggiatura Amati Matti ha partecipato alla 53° Biennale del Cinema di Venezia ottenendo una menzione della giuria. Ha pubblicato i saggi Io sono quello che scrivo; la scrittura come atto terapeutico, Le professioni della scrittura e una serie di racconti distribuiti tra quotidiani e antologie. E' giornalista freelance e autrice di testi d'arte. Conduce la rubrica GialloFuoco su BOOKSWEB.TV. Nell'autunno 2005 è uscito il suo primo romanzo Happy Hour. Nel 2007 esce Dalla parte del torto Nel 2008 esce Femmina de luxe Nel 2009 uscirà Io ti perdono Da dove nasce in te la passione per la parola scritta?
tare un lavoro, quando l’ho capito ho iniziato a stare meglio.
Ho ricordi lontani. Una materia scolastica dove riuscivo meglio che in altre. Storie inventate al posto dei temi. E l’incoraggiamento a coltivare la scrittura da parte degli insegnanti di italiano e, più avanti, di lettere. Poi scrivere è diventato un modo naturale per esprimermi. Sembrava più facile che dire. Meno equivoci. E la scrittura si è trasformata in qualcosa di indispensabile. Non sapevo ancora che avrei potuto farla diven-
Hai pubblicato due gialli ambientati a Milano con protagonista l’ispettore di polizia Maria Dolores Vergani ,godibili, e ironici. Come sono nati? Hai voglia di parlarcene un po’? In realtà, a parte i saggi, ho scritto quasi esclusivamente racconti e romanzi ambientati a Milano. E’ la mia città, la conosco bene. L’ho vista cambiare sotto i miei occhi, 16
velocemente, in modo radicale e per certi versi anche drammatico. Vivo negli ambienti della città, osservo la gente. Periferia e centro sono e sono stati ambienti dove ho vissuto. Mi va di restituirla ai lettori come la vedo, di raccontarla dove difficilmente si fa guardare, di svelarla, anche se a volte può far male. Mi faccio aiutare da Maria Dolores Vergani. E’ il mio personaggio protagonista e di mestiere fa l’ispettore. Perciò attraversa indisturbata tutti i luoghi accessibili e proibiti senza doversi giustificare. E’ una donna normale, senza vizi particolari, e proprio per questo rimane inquinata dalle cose che vede, come lo sarebbe un qualsiasi essere umano. Intorno a lei non c’è solo il Male ma anche un grande circo. Personaggi bizzarri e buoni di cui la mia città è piena. E anche gente cattiva, egoista e invidiosa. C’è stato un momento in cui credevo che Milano fosse una città noir, ora invece sono sempre più convinta che sia la gente che vi abita a costituire l’anima nera
di un luogo. Attraverso le scelte che fa: politiche, sociali e private. Dunque qualsiasi sorridente cittadina di provincia o paese sperduto sui monti può diventare teatro di una storia nera. Secondo te il giallo ha anche la funzione di descrivere la città nelle sue variegate sfaccettature? Riesce a raccontare le trasformazioni sociali urbane che stiamo vivendo? Sono convinta che il Noir, ma anche il Giallo, stiano restituendo uno spaccato efficace e credibile delle trasformazioni in corso nelle nostre città. Certo occorre la volontà di farlo da parte di chi scrive. Se la città non è solo il pretesto o lo sfondo di una vicenda, e se l’obiettivo di un autore non è solo fare dell’intrattenimento. Nei miei libri ho raccontato il centro storico di Milano, il tessuto sociale che lo abita, ma anche le nuove periferie che da zone off limit si stan-
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no trasformando nei nuovi paradisi dell’abitare. E soprattutto gli oggetti che disegnano le appartenenze: Milano è una città di piccoli dettagli che fanno la differenza. E’ necessario conoscerli e saperli decifrare. Tieni dei corsi di scrittura creativa e hai anche scritto dei libri in proposito Secondo te cosa si può insegnare. I corsi che tengo io puntano sull’espressività della scrittura piuttosto che sul desiderio di pubblicare. Servono a condividere passioni, ad ascoltare e ascoltarsi, a riconoscere nelle proprie scritture e in quelle degli altri le particolarità e i punti di forza. Questo per comunicare meglio e trovare un canale espressivo più efficace. Credo si possa insegnare ad avere fiducia nei propri mezzi, a non perdere le speranze soprattutto a leggere, meglio e di più. Hai anche scritto anche dei testi teatrali e sceneggiature. Quale differenza trovi rispetto alla stesura di un romanzo Le sceneggiature e i testi teatrali sono fatti di dialoghi, monologhi e movimento. Pochi flussi di coscienza o arrotolamenti intorno al proprio ombelico. Questo mi hanno insegnato. A far parlare e vivere i personaggi, a tenere sullo sfondo me stessa.
sue considerazioni umane e professionali. Poi è in circolazione da poco un racconto di humour nero inserito nell’antologia Alle signore piace il nero, edita da Sperling&Kupfer. Il prossimo romanzo, invece, uscirà il 7 maggio per Colorado Noir/Kowalski, il titolo è Io ti perdono (www.iotiperdono.blogspot.com). Una vicenda molto nera che si snoda lungo tre indagini condotte con sensibilità e mestiere dall’ispettore Vergani, in un momento molto intenso della sua esistenza. Un libro che parla di assenze, di madri cattive e di uomini che non sanno o non vogliono amare. Cosa vorresti dire ai nostri lettori? Mi piacerebbe conoscerli uno per uno, sapere cosa leggono e perché. Parlare dei miei libri con loro e farmi consigliare da loro un libro da leggere. E poi grazie, se avranno voglia di sfogliare le mie pagine e di restituirmi le loro opinioni. Li aspetto qui: www.sbucciature.splinder.com Grazie! Grazie a te per le tue intelligenti domande!
Ultimi lavori e prossimi? L’ultimo libro uscito, che mi sta dando molte soddisfazioni soprattutto in rete, è Femmina De Luxe, PerdisaPop. ( www.femminadeluxe.blogspot.com). Una novella nera che ha come tema centrale l’incapacità di accettarci per quello che siamo. Come vicende portanti due giovani donne, alle prese con il cibo, l’estetica e l’amore. E un essere che si aggira per la città a imbrattare di feci le cabine telefoniche. L’ispettore Vergani osserva e agisce poco, ma alla fine trae le 18
www.nuvoland.it
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Il blog nasce con la semplice voglia di fare fumetto una passione lunga…che volevo condividere con gli altri .Qui posso sfogare tutti i miei pensieri “caotici”, che divertono me e che cercano di divertire gli altri…non a caso il concetto base del blog e quello di “MONDO CAOTICO”, una realtà dove vanno a confluire tutte e tre le serie: MONDO CAOTICO, ALL’ ALTRO MONDO; Con l’intento di creare un universo che prendendo spunto dalla realtà, venga poi immerso in una sorta di follia , caos e umorismo senza freno, a volte anche nero e crudo, ma sempre semplice e immediato con un unico scopo divertire… a queste due deliranti serie che esplorano il nostro piano e quello dell’aldilà, mostrandoci come in fondo siano poi così simili, ho aggiunto una terza serie: PUTTINI. Dove giocando con figure iconografiche così tradizionali e abusate nella pittura antica, mi diverto a confrontarle invece con una nuova forma di comunicazione più attuale cioè “facebook”. Due mondi così estremi ma con una medesima idea di base cioè comunicare, e il loro incontro alla fine non può che in un certo senso trasformare le due realtà, ritornando quindi sempre in quell ‘idea base di follia e di caos.
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ELEZIONE CORPORALE di GIUSEPPE BUDETTA
Si sentì strano. Alla finestra osservò il paesaggio. Tra quasi un mese sarebbe stato Natale. L’età verso la sessantina e una mattiniera abulia lo rattristavano senza preciso perchè. Disse: “Cominciamo bene la giornata.” Nell’antistante parco della periferia est di Napoli, ventate polverose con carte svolazzanti e cielo denso di vaporosa nuvolaglia. Si sarebbe fatto la barba come al solito, la doccia che rinsalda i nervi; avrebbe preparato il caffé con aggiunta di latte scremato e sarebbe uscito nella suburra per comprare frutta, il giornale e altro al discount di quartiere. Il corpo rovinava verso la vecchiaia. Però qualcosa si poteva fare per arginare sfacelo e decadenza fisica concretizzati nelle avvisaglie dell’artrosi, obesità e stanchezza generale. La psiche troppo spesso andava in depressione e che dire della ipertensione, diagnosticata appena sette giorni prima dal medico curante? E gli acciacchi subdoli, quelli senz’avvisaglia immediata? Per esempio, adesso aveva l’istmo delle fauci asciutto e la lingua amara. Si doveva reagire per arrivare agli ottanta e oltre. Ottantenni pimpanti avevano l’amante giovane grazie al viagra. Con la fiacchezza che si sentiva addosso, agli ottanta non ci arrivava e neanche ai settanta. Dopo doccia e caffé allungato, si decise. Più democrazia. Ecco cosa ci vuole. La democrazia panacea a tutti i mali. Così dicevano in piazza in periodo elettorale. E lo stesso è per il corpo fatto di varie parti che democraticamente devono collaborare tra loro: lo stomaco con l’intestino, la bocca col naso, le mani coi piedi, il fegato con la milza….Niente colpi di testa, ma ascoltare il parlamento corporale. Uscì di casa convinto: domani al massimo ci saranno le nuove elezioni per il rinnovamento del parlamento interno. La democrazia è la linfa vitale del popolo e dunque anche del mio corpo, parte ristretta della nazione. Comprando il quotidiano aveva detto al giornalaio: “Non bisogna dimenticarsi che il corpo invecchia.” Il consiglio ad hoc del giornalaio: “Don Gennaro, proprio ieri si è aperta una palestra nello scantinato affianco. Perché non ci andate così dimagrite?” “Ci vuole altro.” “Don Ciro, lo sapete, quello incarcerato per camorra – il giornalaio aveva abbassato la voce nel dire camorra – adesso è in licenza premio ed ha aperto una palestra. E’ qui affianco a pochi passi. Perchè non ci andate adesso a darci uno sguardo? Un po’ di attività ginnica giornaliera è quello che fa per voi. Ginnastica e dieta.” “Ci vuole ben altro. Un po’ di ginnastica la faccio quando vado in giro per il mercato e spesso mi metto a dieta.” “Sentite a me. Andate da don Ciro, lui risolve i casi disperati.” “Ci vuole altro. Buongiorno.” Uscendo aveva detto come vate: “Ascoltare le voci corporali, le intime pulsioni, le tensioni interiori…. Ecco che ci vuole.” Uno entrando in quel momento ed accennando ad un saluto, quasi gli aveva dato ragione. Strada facendo aveva letto sul giornale la notizia che lo intrigò: Abbraccia un albero e lo stress svanisce. Abbraccia un albero ed il copro ringiovanisce. Scorrendo l’articolo erano uscite fuori altre cose: che la psicoterapeuta Alberta Avvero direttrice di un noto Centro-Disturbi-Depressivi (CDD), recatasi a Sydney per un congresso, aveva 24
letto dei cartelli all’interno del Royal Botanic Garden. Su uno dei cartelli la frase liberatrice: To hug a tree. Cioè, abbracciare un albero. Altro che abbracciare una bella donna; meglio un albero. Il giornale riportava altro: scrittori ed attori di successo da anni abbracciano alberi come terapia anti stress. Capito? Le piante trasmettono forza magnetica, vera forza rigeneratrice. Abbracciate gli alberi ed amateli anima e corpo. Un esperto aveva affermato nella stessa pagina di cronaca: L’ulivo mi consola, la betulla è maliziosa. Senza andare a casa aveva estratto le chiavi della macchina, diretto ad abbracciare un qualsivoglia albero. Però quelli fuligginosi vicino casa gli fecero schifo. Poi, lo avrebbero preso per pazzo nel vederlo per strada abbracciato ad un albero. Si sedette in macchina, aggiustò lo specchietto retrovisore e aprì il cancello con elettronica chiave. Si avviò verso gli anfratti del Vesuvio pieni di stradine secondarie e spazzatura.. Nessuno lo avrebbe visto mentre abbracciava un pino resinoso, abbandonandosi con tenerezza sull’aspra scorza come l’amante che ascolta il cuore dell’amata. Avrebbe assorbito l’energia vitale del pino, rinverdendo contro le intemperie della vita. In alto sul Vesuvio, l’aria fu più fredda del solito, ma non aveva piovuto e c’era poco vento. Si vedeva il Golfo con Napoli sotto, la penisola sorrentina e Capri a sinistra; a destra il Vomero con dietro Ischia. Aveva adocchiato il pino che faceva al caso. Sostato in uno slargo era corso ad appiccicarsi al tronco. Tese le braccia ed avvolse la scorza fredda. Ci rimase appiccicato per un po’ col risultato di un rigurgito di gas e sonora eruttazione. Le aspettative deluse. Sconsolato, urinò contro le radici del pino traditore: lunga pisciata liberatoria. Mentre chiudeva le brache sospirando, gli cadde in testa una grossa pigna che lo fece gridare. Toccatosi sul cranio, vide che c’era sangue. Col fazzoletto pressato sulla ferita se ne tornò in macchina imprecando. Con la marcia in folle per la discesa, disse tra sé e sé: ho fatto sempre di testa mia, ora si cambia. Non ho badato alle esigenze che venivano dal corpo ed ecco i risultati: appesantimento generale, depressione, pancia, affanno, gas intestinale da evacuare, doppio mento sulla gorgia, canizie precoce. Uno schifo. E poi gli attacchi subdoli: colesterolo, trigliceridi, azotemia… Parcheggiato nel giardino davanti casa, sotto l’architrave della porta aveva detto con autorità: “Domani alle quattro inizia la campagna elettorale. Tutti gli organi ed apparati ne prendano atto.” Un volvolo intestinale dovuto al passaggio di aria tra intestino cieco e grosso colon fece eco acconsentendo. A notte, mente e psiche di don Gennaro riposarono, ma gli organi interni ed apparati parlottavano con euforia. Dissero i polmoni: “Democrazia, democrazia. Non più soggetti all’apparato digerente che ci manda solo sangue nero da depurare.” Dissero di rimando quelli del tubo digerente: “Staremo a vedere. Comunque la maggioranza è nostra. Vogliamo vedere che succede se chiudiamo i rubinetti dell’energia di provenienza alimentare.” S’intromise il cuore che aveva anche lui qualcosa da dire contro i polmoni: “Con l’aria che respirano, piena di CO2 e povera di ossigeno, protestano pure.” Rispose il polmone destro, spalleggiato dal sinistro: “E che è? È colpa nostra se don Gennaro vive nel Bronx?” “Calma – disse il timo che spiegò – aspettiamo le disposizioni di don Gennaro. Le elezioni si tengono col rispetto delle regole. Vediamo don Gennaro cosa deciderà in proposito: se vuole un governo monocamerale a maggioranza assoluta, oppure il bicamerale con maggioranza relativa e sbarramento o meno del 3%.” Disse il rene sinistro: “A me andrebbe bene la maggioranza relativa senza sbarramenti, questo per dare spazio alle minoranze.” Uno dei testicoli udite le superiori rimostranze essendo in declivio all’interno dello scroto, disse: “Non facciamo supposizioni. Aspettiamo domani quando don Gennaro emanerà le disposizioni generali. Solo allora potremo formare i nostri partiti e decidere gli accorpamenti.” Gli altri organi tacquero rimuginando nei precordi e preparandosi alla lotta. Il fegato già presagiva la rivalsa: se non funziono io tutto va in tilt. Come minimo devo avere la carica di ministro nel nuovo parlamento. I testicoli di rimando: se non fanno quello che diciamo noi, non si fotte più. Cervello, cervelletto, bulbo e restante contingente del sistema nervoso centrale temevano la 25
secessione: il sistema nervoso vegetativo avrebbe reclamato più autonomia con federalismo carnale e sganciamento totale dalla volontà. Il Sistema Immunitario voleva leggi più severe: cacciamo senza mezzi termini tutti i microbi rom che s’intromettono nel corpo da clandestini. C’era fermento e grande eccitazione con sconquasso generale. Il povero don Gennaro si era svegliato tutto gonfio: occhi, faccia, pancia come palloni. Allo specchio non si riconobbe più: e che è? Aveva brufoli in fronte e sulle braccia. Si lavò e corse all’ASL. Adesso muoio, si ripeteva. L’addetto che dava i numeri per le prenotazioni dal dottore lo aveva squadrato: “Don Gennaro, ma che avete fatto?” “Niente. Avevo solo pensato di ringiovanire con qualche cura.” “Siete gonfio. Qualche allergia.” “Non lo so. Per questo sto qui.” “Solo questo dottore dà la cura esatta.” “Forse ho mangiato troppo ieri.” “Fidatevi del dottore. Solo lui conosce il vostro corpo.” Al medico aveva mostrato le piaghe sviluppatesi nella notte. Il dottore aveva detto: “Non è allergia. Non di questi tempi. So cosa è. Avete deciso di dare più libertà ed autonomia agli organi interni ed essi sono in fermento. Ognuno vuole prevalere sull’altro. Ognuno pensa di essere il più importante. Dovete riprendere il controllo della situazione e mettere a tacere l’anarchia.” “Dottore, ma qualche medicina da prendere alla sera ed al mattino…” “Niente medicine. Dovete parlare con voi stesso. In interiiore homine habitat veritas.” La frase latina aveva messo paura a don Gennaro che disse: “Dottore, ma è grave?” “Si sta sviluppando nel vostro corpo una malattia psicosomatica. C’è ribellione perfino tra la vostra mente ed il sistema nervoso autonomo. Mi spiego. Se uno si scoccia, ma deve stare seduto in una sala con altri ad ascoltare per ore un relatore, allora si sviluppa in lui la ribellione. La mente comanda ai visceri di soprassedere. Però se a lungo andare l’individuo inibisce le pulsioni interne sopraggiungono le malattie psico-somatiche che comportano la guerra tra la volontà e le interiori esigenze. Un altro esempio. Se uno non scopa, reprimendo le pulsioni sessuali, gli organi interni si ribellano e sopraggiunge la malattia psicosomatica con eruzioni cutanee, bruciori di stomaco, gonfiori delle viscere, sudorazioni, bocca secca, tic, balbuzie, lapsus freudiani…uno schifo.” “Un guaio. E c’è una cura?” “Ve l’ho detto. Parlate chiaramente con voi stesso. Parlate con le interiora. Dialogate. In interiore homine habitat veritas.” Quella frase latina lo rifece rabbrividire. Disse: “Dottore, allora niente ricetta?” “La ricetta ve la dovete fare voi ascoltando il corpo.” Don Gennaro se ne tornò a casa. Non pensò alla monnezza da scansare, alle turbolenze del quartiere contro i Rom. Lo affliggeva questa improvvisa guerra intestina. Dopo doccia, nudo come una scimmia davanti allo specchio, fece il discorso diretto ai suoi organi, apparati, tessuti e cellule in anarchico subbuglio: “Sentite….” A questa parola l’interno di quel corpo pieno di pustole, tremori e flattulenze sembrò placarsi come la platea che ascolti l’oratore: “Sentitemi tutti, organi, apparati, cellule e tessuti. Ascoltate. Non più assolutismo. Da oggi, farò quello che volete. I desideri, quelli dettati dalla mente cosciente non esisteranno più. Se il cazzo – faccio un esempio – è tosto e vuole fotttere, farò in modo da esaudirlo subito e nel migliore dei modi. Va bene? Se mi viene fame, mangerò. Se sto per strada e mi viene fame, entrerò in un fast food, in un ristorante, o in una salumeria per munirmi di cibaria. Idem se devo pisciare: vado subito in un cesso pubblico, o a casa. Idem per defecare. Se voi polmoni volete respirare aria pura andrò in montagna per qualche giorno. Però….” Don Gennaro puntò il medio in alto come un santo. Vatalejò: “Organi e interiora, però dovete rispettare i patti. Prima dovete cessare di farvi guerra. In ogni istante, dovete decidere a quale pulsione dare la precedenza: mangiare, scopare, passeggiare, defecare, urinare, assaggiare aromi, annusare profumi…Mi manderete un messaggio alla volta ed io esaudirò le vostre esigenze nel migliore dei modi e nel più breve tempo possibile. Se non 26
ci state e continuate a litigare, in alternativa mi vado a curare da uno specialista e farò tutto di testa mia. Per dispetto, se devo scopare andrò a mangiare. Se devo urinare andrò prima a farmi una bella passeggiata.” Un gorgoglio generale sorto dall’intimo dei precordi gli salì in gola emettendo una grande eruttazione che lo fece sobbalzare. Vide eruzioni cutanee, pustole e arrossamenti dermici scomparsi per incanto: il segno che il corpo si era rappacificato e acconsentendo alla proposta di don Gennaro che disse a interiora e pudende: “Mi avete dato ragione. Siete sagge.” Da allora Don Gennara era diventato sbarazzino come un bebé. Lo aveva notato Alfonsina Guadagno, la sua compagna. Una volta, mentre facevano shopping per Corso Umberto I, di sana pianta don Gennaro le aveva detto: “Andiamo a scopare.” Ad Alfonsina Guadagno era parso di non capire: “Che?” “Dobbiamo scopare adesso.” “Ma veramente fai? Adesso è ora di pranzo. Troviamoci un ristorante, piuttosto.” “Scopiamo prima.” “Ma che è sta’ frenesia!” “Devi fare come dico io. Scopiamo.” “E dove?” “Andiamo in albergo. Quello di fronte. Pago io.” Alfonsina Guadagno l’aveva presa con allegria ed aveva detto: “Però dopo mangiamo.” Alfonsina Guadagno diceva che don Gennaro era diventato come un bambino di cinque anni. Non sapeva resistere ai desideri immediati. Se doveva andare in bagno mentre erano in macchina, sostava alla meglio ed andava a trovarsi il più vicino cesso oppure, se in aperta campagna, faceva i bisogni dietro un cespuglio. Alfonsina Guadagno con pazienza accettò i cambiamenti di don Gennaro, rinnovato nel fisico. A pianificare il futuro ci avrebbe pensato lei per lui. FINE
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Vignette di Giulio Laurenzi
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www.fumettidifam.com/
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www.mayacomics.com
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Vignette di Emma Marongiu
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Lettera aperta a Ezio Mauro, Direttore di Repubblica. Carissimo Direttore, non se se le sarà mai capitato di leggere le mie facezie, ma la sua Redazione sì, tanto che qualche volta ricevo mail strettamente anonime che mi incoraggiano. Chissà perché anonime, dico io, ma poi ripensandoci devo riconoscere che non sono una frequentazione da curriculum e pure io, se scoprissi un amico che frequenta un tipastro come me, lo guarderei con sospetto… Insomma, per dirle che spero che qualcuno della redazione le metta sotto gli occhi questa mia, perché dopo la quattro-giorni-quattro dedicata da tutti i quotidiani italiani al ritardo mestruale della Tatangelo, vedere come voi pedissequamente continuate ad inseguire il nostro premier sul terreno della piccola Noemi mi torce le budella. Non che non abbiate le vostre sacrosante ragioni, per carità, e le condivido pure, ma Quello è sgusciante come un’anguilla e se nemmeno i giudici italiani riescono ad afferrarlo figuratevi voi, che peraltro ormai rappresentate una razza di giornalismo in pericolo d’estinzione… Vabbè. Eppure, una maniera ci sarebbe. Voglio dire, invece che spaccare i maroni (lo scrivo minuscolo ma non fa differenza) ai lettori con questa inutile sciacquetta, un modo di tagliare la testa al toro ci sarebbe eccome! Ma, dico io, possibile che ad una vecchia scarpaccia come Lei sia sfuggita l’intervista della famiglia Letizia al settimanale Oggi? No, non mi riferisco alla piccola che dichiara di voler seguire le orme della madre che faceva la valletta in televisione, ma proprio la dichiarazione di Mamma Anna. Gliela riporto quasi integralmente: …e la mamma che sa esattamente quando è stata concepita Noemi: “la notte tra il 2 e il 3 agosto. Nove mesi dopo: una bimba bellissima di 3 kg e 250 grammi”. Via, Direttore, non sente pure Lei un vago sapore di “avvertimento camorristico”? Non si chiede come fa una donna nel tran tran matri-
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moniale a ricordare “proprio” quella data? In letteratura c’è il solo esempio di Filomena Marturano, che è un personaggio teatrale e che tra i tanti “convegni amorosi” si segnò la data dell’amplesso con Don Mimì che raramente andava trovarla. E se si trattasse pure qui di un Don Mimì e di un’occasione speciale? Forza,Direttore, coi suoi potenti mezzi e l’archivio del giornale non dovrebbe essere difficile localizzare dove fosse il Nostro in quella data. Vediamo, era il 1991, vado a memoria: Aveva scritto un libro per prepararsi a scendere in campo e lo distribuiva da carbonaro ai quadri Fininvest (altro che il 1994, data della sua scesa in campo. Lo denunciò proprio Repubblica, ricorda?) il suo gruppo aveva 5 miliardi di dollari di debiti e Lui esportava illegalmente un miliardo di dollari all’anno per comprare programmi. Con la Harmony Gold di Frank Agrama costituiva all’estero un gruzzolo in nero per evadere (dicono i giudici) e per corrompere. Aveva smentito un’intervista rilasciata a Montanelli sul Giornale perché “dichiarazioni contrarie al mio pensiero e alla realtà dei fatti, frutto evidente di una cattiva interpretazione.” Si parlava di SIR, lodo Mondatori, Previti, corruzione di giudici… Oddio, Direttore, fermiamoci qui, perché scrivendo mi rendo conto che la strada che le ho suggerito non è praticabile. Figurati se Quello Lì, con tutti i pasticci che ci aveva per la testa, trovava il tempo per scoparsi una letterina. Lasciamo perdere, va. Continuate pure alla vostra maniera, vorrà dire che vi seguirò strizzandomi i maroni (lo scrivo minuscolo ma…) Cordialità
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Una supplica ai direttori di quotidiani italiani Repubblica promette (minaccia?) di seguire pedissequamente il caso Naomi, ma hanno le loro ragioni e non ci metto lingua. I disgraziati ricacciati in Libia sulle loro carrette sono scomparsi dalla faccia dell’informazione. Però sono quattro giorni che ce la menano con D’Alessio e la Tatangelo che avrebbero perso il figlio annunciato. Si potrebbe romperci le tasche (è un eufemismo) con qualcosa di più sostanzioso? Please Noemi, il Times si scusa con la madre: equivoco Il quotidiano: la signora Palumbo non parlava del «signor» Berlusconi, ma del Signore, cioè di Dio. Ci vuole tanto poco a confondersi… MICHAEL ANGEL of america La prima volta che ho visto un monumento a Michael Angel non l’ho nemmeno riconosciuto: è come chiamano gli anglosassoni il nostro inarrivabile Michelangelo. Leggo che finalmente pure gli americani avranno il loro Michael Angel in un museo del Texas. Si tratta del tormento di Sant’Antonio, un’opera di cui non si era mai parlato prima, nè è mai stata catalogata tra quelle seppur dubbie del Maestro, ma che un insigne “esperto” americano ha classificato autentico perché ha riconosciuto in alcune pennellate sulla roccia, il tratto inconfondibile del pittore. Mamma mia, questi barbari, verrebbe da dire leggendo che secondo il New York Times (e qualcuno deve averglielo detto) l’opera sarebbe addirittura la prima di Michelangelo essendo che la dipinse all’età di dodici anni! Questi qualificati expertis, più l’enorme esborso (pare 6 milioni) per questa opera che Sotesby’s aveva venduto come “attribuzione di scuola del Ghirlandaio” (che è una formula per dire che il periodo è quello ma l’autore incerto) hanno fatto cadere dalla sedia il curatore di Arte Europea del 44
Metropolitan Museo di New York (non cito il nome per pietà) che ne ha conclamata l’autenticità, dimenticando forse che Michelangelo fu allevato da una balia moglie di uno scalpellino (e quindi praticò la scultura fin dall’infanzia) fino all’età di TREDICI anni dove il padre lo impose alla bottega del Ghirlandaio DOVE VENNE SBATTUTO FUORI perché litigioso e senza voglia di dipingere! Un accenno al Michelangelo che disegnava, lo si ha solo dopo i quindici anni quando si prende un pugno in faccia che gli deturpa il naso, proprio perché prende in giro i suoi meno dotati co-allievi. Se ha acquisito una tecnica inconfondibile l’ha acquisita qui, nella Cappella Brancacci ma AVEVA QUINDICI ANNI! Secondo me, ma non sono un esperto, quei colori tenui del panorama che ne danno la profondità sono una maturazione avvenuta a Roma dove si recò per studiare i classici suoi contemporanei MA AVEVA VENTUN ANNI! Vabbè, sottigliezze. Cosa volete che siano una manciata d’anni col clamore che suscita negli americani l’aver finalmente un Michelangelo sul loro territorio? Sarà una tappa in meno del loro viaggio culturale in Europa, dopo aver comprato la fontana di Trevi da Totò, aver visto il Partenone e il Colosseo non ancora finiti (con tutte quelle pietra per terra) la tomba di Cleopatra in Egitto, la barca dove predico’ Gesu’ sul lago di Genezareth (esiste, esiste) e tante altre belle cose culturali tra le quali la famosa fontana di Duchamp che grazie a dio è un pisciatoio.
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UNA RONDA NON FA PRIMAVERA ovvero COME FARE LA FESTA ALLE DONNE Scoperta una ronda notturna fascioleghista che pratica ripetuti stupri collettivi ai danni di una donna magrebina immigrata clandestinamente in Ita(g)lia. Il suo nome (della donna, non della ronda) è Rondina Magrebina. La denuncia è stata inoltrata direttamente al ministro degli interni, meglio noto come Mi-sono-rotto-i-Maroni, il quale ha dichiarato: "Si tratta di una bravata goliardica, dovuta a uno sbalzo ormonale collettivo provocato dall'eccezionale avvenenza della donna mediterranea". Dunque, niente più "castrazione chimica", bensì un riconoscimento e una conferma della virilità e dell'esuberanza degli ormoni sessuali padani. Questo è quanto si evince dalle parole deliranti pronunciate dal ministro in difesa della ronda padana in preda a furor testosteronico. (To be continued)
sessuali, in Italia, avviene tra le mura domestiche. Un simile dato statistico dovrebbe quindi indurre le autorità a consegnare alle ronde antistupri le copie delle chiavi di casa di tutti i cittadini italici? No di certo! È evidente che ai nani infami Berlusconi e Maroni non importa nulla delle violenze commesse ai danni delle donne, ma tali violenze sono solo un pretesto demagogico-propagandistico per attuare e completare il progetto di fascistizzazione e militarizzazione del (brut)Paese. Il significato originario dell'8 marzo, in questo caso, è totalmente fuori luogo, cosicché la tradizionale festa delle donne si ritorce e si tramuta in una classica "festa alle donne". In realtà, il paragone più adatto e calzante per spiegare e comprendere l'istituzione delle ronde razziste, inserita nel decreto legge "antistupri" approvato d'urgenza dal governo del neoduce il 20 Il racconto appena trascritto potrà appa- febbraio scorso, è senza dubbio quello rire ironico, assurdo e surreale, ma non con le milizie dell'epoca mussoliniana. lo è. Senza offesa (ma nemmeno nostalgia) per lo squadrismo fascista del famigeraPersonalmente temo che, come soven- to Ventennio. Tale decreto legislativo te accade in I-ta(g)lia, il rimedio si rive- rischia, nella meno assurda delle ipotelerà peggiore del male, nel senso che si, di legalizzare e autorizzare comporprocurerà altri problemi ben più gravi di tamenti di natura squadrista e violenta, quelli che si spera di risolvere. E' arci- ossia soprusi, abusi e prepotenze noto che la maggior parte delle violenze degne del peggior branco di bulli da 46
strada. A chi sostiene che le ronde sono armate solo di cellulare e sono tenute ad informare le prefetture e le forze dell'ordine segnalando eventuali abusi, reati o violenze, si può rispondere che pure le squadracce di Mussolini e Hitler sorsero con buoni propositi ma poi. la storia la dovremmo conoscere tutti (uso il condizionale in maniera non casuale). Ebbene, il governo del neoduce e bandito di Arcore ha riesumato, sotto una veste nemmeno tanto nuova e inedita, le famigerate bande nazi-fasciste.
crescente e inarrestabile. Assisteremo anche alla creazione di ronde vaticane formate da prelati, chierici, monaci e persino suore di clausura in vena di escursioni notturne? Ebbene, prima di concludere questo bel quadretto nazionale vorrei suggerire la costituzione di ronde vigilanti in Parlamento e a Palazzo Chigi, insomma nelle stanze del potere che ormai nessuno controlla. Sono certo che potrebbero scaturirne scoperte molto interessanti quanto raccapriccianti.
L'istituzione per decreto legge delle ronde vedrĂ sorgerne di tutti i colori: verdi, nere (addirittura a Trieste si sa di ronde che si vorrebbe intitolare allo squadrista e gerarca fascista Ettore Muti), bianche rosse e verd(on)i, brune, rosa, ecc. Insomma, una proliferazione
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Vignette di Luigi Alfieri
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La riscoperta: SHOOT – VOGLIA DI UCCIDERE (Shoot, Canada 1976) Regia di Harvey Hart Sceneggiatura di Dick Berg Fotografia di Zale Magder Montaggio di Peter Shatalow e Ron Wisman Interpreti principali: Cliff Robertson (Rex); Ernest Borgnine (Lou); Henry Silva (Zeke) Genere: dramma d’azione La violenza, maledizione della natura, ritrova nell’idolatria delle armi la sua impronta più indelebile. Diffidiamo di coloro che ne praticano il culto, di coloro che trascorrono il fine settimana simulando agguati e sparatorie con entusiasmo inquietante: questo il messaggio che il regista canadese Harvey Hart (1928-1989) affida a Shoot – Voglia di uccidere, pellicola ispirata a un racconto di Douglas Fairbairn e sceneggiata da Dick Berg. Provincia rurale americana del postVietnam: cinque amici di mezza età, riservisti dell’esercito, partono per una battuta di caccia. Nel corso di un appostamento, uno di loro viene ferito accidentalmente da un colpo sparato da un cacciatore appartenente a un altro gruppo, situato sull’altra sponda del fiume. ncidente o no, i Nostri replicano al fuoco, e uccidono l’incauto feritore. L’episodio viene taciuto alla polizia, nella speranza non troppo recondita che gli altri cerchino di vendicarsi.
La settimana seguente viene dedicata ai preparativi per il contrattacco e all’arruolamento di volontari. Arriva il week-end e un piccolo esercito è schierato sulla riva del fiume… Parabola inflessibile sulla follia del genere umano, la pellicola di Hart possiede un peculiare carattere didattico: è infatti un ottimo veicolo contro il machismo più delirante. Presentato al Festival di Taormina edizione 1977 e colpevolmente ignorato dalla giuria, Shoot – Voglia di uccidere è un B-movie dal ritmo serrato e dallo stile scabro, efficace ed essenziale, lucido e spietato nel mettere a nudo i risvolti più biechi e bestiali dell’animo umano.
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PICCOLI VITELLONI CRESCONO: TORNO A VIVERE DA SOLO
Forse nessuno avrebbe scommesso un dollaro bucato su Torno a vivere da solo, pellicola scritta, diretta e interpretata da Jerry Calà, inatteso séguito, 26 anni dopo, di Vado a vivere da solo, film d’esordio del regista Marco Risi, interpretato, oltre che dall’ex Gatto di Vicolo Miracoli, da Elvire Audray e Lando Buzzanca. Diciamo subito che è andato deluso, o sorpreso, chi si aspettava una rancida rimasticatura di tormentoni cabarettistici, o un’imbarazzante degustazione di comicità divenuta con gli anni aceto. Il film ha invece uno schietto retrogusto dolceamaro ed è percorso da una sorprendente vena di cattiveria, alimentata da quel bilioso portavoce di cinismo coniugale che con gli anni è diventato Paolo Villaggio. Il cast, bizzarro e pittoresco, annovera l’ex Miami Vice Don Johnson e l’ex pornodiva Eva Henger, il televisivo Iacchetti e Tosca D’Aquino. , Con coraggio e autoironia, evitando le trappole del buonismo ipocrita altrove dominante, Calà porta sullo schermo le disavventure tragicomiche di una generazione di vitelloni che ha smarrito il ritmo del tempo, immaturi dongiovanni compatiti dalle mogli e detestati dai figli.
Lo scenario, emblematicamente, è cambiato: dai tavolini del bar alla moda al bancone della rosticceria, novello oracolo e rifugio. Il film, tutt’altro che consolatorio e benevolo nei confronti dell’istituzione del matrimonio, è un invito onesto, sincero e meditato, a non spendere in solitudine la propria vita, e ad “investire” i propri sentimenti senza specularci sopra. In fondo, come afferma il protagonista in chiusura, si nasce e si muore da soli, ma vivere da soli è proprio da pirla…
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MADRINA DEL MESE: Catherine Zeta-Jones
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