Imitiamo i tedeschi su conti pubblici, lavoro e leggi elettorali E copiare pure i salari degli operai, doppi rispetto all’Italia? y(7HC0D7*KSTKKQ( www.ilfattoquotidiano.it
Domenica 25 marzo 2012 – Anno 4 – n° 72
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NAPOLITANO: NON MI RICANDIDO PARTE LA CORSA AL QUIRINALE L
La coccodrilla preventiva
di Marco Travaglio
A un anno dalla scadenza del settennato, il Capo dello Stato fa sapere che non intende rimanere al Colle per un secondo mandato Comincia da oggi una rovente battaglia per la successione
Uscita con stile di Antonio Padellaro
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i sarà tempo e modo per giudicare il settennato di Giorgio Napolitano presidente di una repubblica difficile, attraversata e scossa da una triplice crisi, politica, morale ed economica. Ma l'annuncio di una non ricandidatura che secondo i soliti bene informati non era affatto scontata si presta ad alcune rapide considerazioni. Dal giorno della sua nascita il Fatto non si è trovato sempre d'accordo con il Capo dello Stato. Anzi, su certe firme troppo sollecite del Quirinale durante la fase più 'eversiva' del berlusconismo (dal Lodo Alfano allo scudo fiscale, vera manna per gli evasori) non siamo stati certo teneri, pur non dimenticando che la cacciata dell'ometto di Arcore da palazzo Chigi e la sua sostituzione con il governo Monti nasce dallo strappo deciso dal Colle con l'Italia a un passo dal default finanziario. Presidente controverso, Napolitano ha avuto certamente il pregio di mantenere sempre uno stile coerente con la dignità di quelle istituzioni che nei palazzi vicini venivano trascinate nel fango del bunga bunga. L'annuncio del suo ritiro a un anno dalla fine del mandato (motivato anche da ragioni di comprensibile stanchezza) risponde a questo stile: evitare inutili speculazioni, fare chiarezza e sgombrare il terreno da qualsiasi zona d'ombra in vista della nuova fase politica che nella primavera del 2013 vedrà coincidere le elezioni politiche con quelle presidenziali. Non può certo sfuggire che l'annuncio, avvenuto in un incontro con dei giovani circa due mesi fa, sia stato ufficializzato nei giorni roventi dell'articolo 18 sui licenziamenti piu facili. Quando cioè piu insistente si è fatto il pressing del Quirinale sul governo tecnico per giungere comunque a una riforma molto contestata soprattutto nel mondo del lavoro. E come se Napolitano avesse legato a questa discutibile norma (che egli ritiene fondamentale per ridare slancio alla crescita dell'economia e lavoro ai giovani) il suo testamento politico, in fondo coerente con la visione 'migliorista' di cui nel vecchio Pci l'attuale capo dello Stato fu uno dei propugnatori . Di questa sua ultima battaglia 'simbolica' condividiamo poco assai, anche perché essa rischia di apparire come una 'invasione' nel campo del governo. Non vorremmo tuttavia che la lotta per la successione al Colle che già si annuncia all'arma bianca (e con il ritorno dell'incubo Berlusconi al quadrato) ci facesse rimpiangere l'epoca dei moniti. Inutili ma rassicuranti.
CATTIVERIE Diliberto fotografato con la maglietta: “Voglio andare ad Alghero in compagnia della Fornero”
(Elias Vacca)
I contendenti
Il Professore, Casini e l’ombra del Caimano la rincorsa al QuiriP arte nale. Poltrona nobile at-
torno alla quale si ridisegnano tutti gli equilibri istituzionali e politici. Sarà un Parlamento nuovo quello che dovrà scegliere il futuro Capo dello Stato. pag. 3 z
Napolitano durante l’intervista andata in onda ieri su Rai3 e RaiStoria
LAVORO x Pd e Pdl litigano (e trattano) sulle modifiche alla riforma
Art.18, Monti ha 3 mesi per chiudere la partita
Udi Furio Colombo CONSERVATORI SEMPRE PIÙ A DESTRA una vita da gatti. Devi esÈsveltosere rapido a scansarti e a farti trovare nel po-
O la battuta era buona, o il clima è meno teso di quanto ci hanno detto pag. 4 z
sto giusto. Indispensabile mantenere perfetto equilibrio anche sui cornicioni a strapiombo. Non è una metafora. pag. 14 z
nafghanistan
Attacco alla base italiana, i soldati morti ora sono 50 Schiavulli pag. 11z
All'interno pag. I - VIII z
acrime di coccodrillo”: così la Camusso ha definito il rammarico della Fornero perché la sua controriforma “non è condivisa da tutti”, cioè perché qualcuno ancora si ostina a non pensarla come lei. Non sappiamo se madama Fornero sia un coccodrillo. Ma, se lo è, trattasi di esemplare nuovo, geneticamente modificato: il coccodrillo che piange prima. Il 18 dicembre, un mese dopo le sue lacrime in favore di telecamera, la Fornero disse al Corriere: “L’articolo 18 non è un totem” (forse voleva dire tabù). Poi, di fronte alle prevedibili polemiche, ingranò la retromarcia: “Non avevo e non ho in mente nulla che riguardi in modo particolare l'art. 18. Sono stata ingenua, i giornalisti sono bravissimi a tendere trappole. Vogliamo lasciarlo stare questo art.18? Io son pronta a dire che neanche lo conosco, non l'ho mai visto”. L’8 gennaio Monti smentì la retromarcia: “Niente va considerato un tabù. In questo senso il ministro Fornero ha citato l'art. 18”. Il 30 gennaio la Fornero smentì la smentita: “L'art. 18 non è preminente, ma non dev’essere un tabù”. E via a sproloquiare sul “modello tedesco”: quello che prevede l’intervento del giudice per ogni licenziamento. Invece la controriforma Fornero esclude dal reintegro giudiziario i licenziamenti per motivi economici, anche se camuffano quelli disciplinari e discriminatori. È così, tra una bugia e l’altra, che s’è svolta tutta la trattativa su un non-problema, “non preminente”, “mai visto”: infatti alla fine l’art. 18 esaurisce praticamente l’intera “riforma del mercato del lavoro”. Il resto è fuffa, anzi truffa. Monti dice che l’art. 18 frena gli investimenti esteri. Ma l’ha subito sbugiardato persino il neopresidente di Confindustria, Squinzi: “In linea generale non credo sia l’art. 18 a bloccare lo sviluppo del Paese. Le urgenze sono altre: burocrazia, mancanza di infrastrutture, costi eccessivi dell’energia, criminalità”. Per Napolitano la “riforma è ineludibile per adeguarsi alla legislazione dell’Europa”. Monti aggiunge che, se avesse stralciato l’articolo 18 dalla “riforma”, “l’Europa non avrebbe capito”. E allora perché l’Europa capisce benissimo la Germania, che consente a ogni licenziato, per qualunque motivo, di appellarsi al giudice che può decidere sempre fra l’indennizzo e il reintegro? Sul Corriere, Ferruccio de Bortoli trova “inquietanti” i “toni apocalittici di molti commenti” che “descrivono un paese irreale”, “tradiscono una visione novecentesca, ideologica e da lotta di classe, che non corrisponde più alla realtà della stragrande maggioranza dei luoghi di lavoro. Dipingono gli imprenditori (che hanno le loro colpe) come un branco i lupi assetati che non aspetta altro se non licenziare migliaia di dipendenti”. Potrebbe chiedere informazioni al suo principale azionista, la Fiat, che a Melfi ha cacciato tre lavoratori solo perché facevano i sindacalisti e a Pomigliano richiama al lavoro solo i cassintegrati non iscritti alla Cgil, facendo carta straccia della Costituzione e dello Statuto dei lavoratori. Poi de Bortoli violenta due volte la logica, usando i numeri bassissimi di licenziati reintegrati per dimostrare che la controriforma dell’art. 18 non fa male a nessuno. È vero che “solo l’1% delle pratiche di licenziamento gestite dalla sola Cgil tra il 2007 e il 2011 è sfociato in riassunzioni o reintegri”: ogni anno i giudici si occupano di 6 mila licenziati e ne reintegrano solo 60. Ma questo dimostra l’opposto di quel che vuol sostenere de Bortoli. E cioè: l’art. 18 è un argine fondamentale contro i licenziamenti ingiusti, che con la controriforma saranno molti di più; ed è falso che oggi i giudici impediscano alle aziende di licenziare in caso di necessità. Ergo non c’è alcun motivo di toccare l’articolo 18. E quanti lo vogliono stravolgere non sono mossi da ragioni economico-produttive, cioè tecniche. Ma politiche o, come direbbe de Bortoli, ideologiche. Ecco, per favore: ci risparmino almeno le balle.