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“Pagare le tasse è un dovere”, dice il ministro Severino. Ma è un dovere anche non buttare i soldi finanziando sperperi e castey(7HC0D7*KSTKKQ( www.ilfattoquotidiano.it

Domenica 13 maggio 2012 – Anno 4 – n° 113

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I TEDESCHI CI ACCUSANO EURO, L’ITALIA TRUCCÒ I CONTI I

Horroris causa

di Marco Travaglio

Proprio mentre Monti comincia ad arginare il rigore della Merkel in Europa, dai cassetti della Cancelleria di Berlino escono documenti imbarazzanti, rivelati dallo Spiegel: Kohl non si fidava dei numeri di Prodi e Ciampi

Achtung di Stefano Feltri

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n’inchiesta del settimanale tedesco Der Spiegel, pubblicata oggi sul Fatto, rivela che la Germania non pensava che l’Italia fosse pronta per entrare nell’euro, tra il 1997 e il 1998, e che aveva presentato conti un po’ creativi per dimostrare di aver raggiunto gli obiettivi. Eppure l’ha voluta comunque nella moneta unica, nonostante il suo debito esorbitante, perché non si poteva escludere uno dei fondatori dell’Europa. E perché la Germania temeva concorrenti fuori dall’euro e con una valuta debole. Lodevole atto di trasparenza, quello del governo di Berlino che ha reso disponibili le carte ai giornalisti. A essere maliziosi, però, si nota un sospetto tempismo. Lo Spiegel ci ricorda che siamo nell’euro per gentile concessione di Kohl, oltre che per la determinazione di Ciampi e Prodi. Che non siamo poi così diversi dalla Grecia che truccava il deficit per farsi ammettere. E che dunque non abbiamo le credenziali per poter dettare la linea alla zona euro. Oggi come allora, sembra il sottotesto, le decisioni ultime spettano soltanto alla Germania. Il messaggio a Mario Monti pare chiaro: grazie per il tuo contributo a risanare l’Italia e arginare il panico da spread, ma non pensare di avere l’ultima parola nell’ormai cronica tensione tra rigore contabile e spinte alla crescita. Il 23 maggio si tiene un vertice informale a Bruxelles in cui a rappresentare la Francia ci sarà François Hollande e il suo desiderio di rinegoziare l’ossessione fiscale della Germania esplicitata nel trattato “fiscal compact”. Entro giugno si capirà se è possibile arginare Angela Merkel e trattenere la Grecia nel perimetro dell’euro. Nel frattempo, Monti sta restituendo un po’ di legittimità alle istituzioni europee asfaltate nei tre anni di crisi dai tedeschi. In cambio, la Commissione gli ha perdonato di non riuscire a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. Da Berlino continuano ad arrivare segnali di nervosismo che hanno spinto il presidente del Consiglio a una dichiarazione di insolita violenza, quando venerdì ha ricordato che “ci sono molti modi nel mondo contemporaneo per diventare colonie” e che l’Italia è disposta ai sacrifici, ma vuole “lo stesso grado di autonomia e di decisione responsabile” degli altri partner europei. Proprio la vicenda rievocata dallo Spiegel dimostra che non c’è Europa senza Italia e non c’è Germania senza Europa. Prima o poi se ne accorgerà anche la Merkel, speriamo non troppo tardi.

I documenti riservati del governo tedesco che lo Spiegel e il Fatto hanno potuto consultare

pag. 2 - 3 z

U Parla l’ex ministro VISCO: “ERA TUTTO IN ORDINE” a Germania aveva bisogno Lperché dell’Italia nell’euro proprio più fragile”, dice l’ex ministro Visco.

pag. 3 z

NOMINE x All’ex sottosegretario il ruolo di commissario in una Fondazione

Ricordate Carlo Malinconico? Il governo gli affida 25 milioni A gennaio si dimise dopo lo scandalo svelato dal “Fatto” delle ferie pagate da Piscicelli: ora torna con un incarico affidato da Corrado Passera Ferrucci pag. 7 z

nfisco

Equitalia, ancora molotov E Maradona fa la vittima Nicoli e Paolin pag. 8z

ncrisi e alibi

Manca sempre un miliardo per cambiare il paese Colombo pag. 18z

CATTIVERIE Bernardo Provenzano tenta il suicidio. Dai, erano soltanto amministrative! (www.spinoza.it)

all’interno pag. I - VIII z

l procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso dichiara testualmente a La zanzara: “Darei un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia. Ha introdotto leggi che ci han consentito in tre anni di sequestrare 40 miliardi di beni ai mafiosi”. Era dai tempi della candidatura di B. al Nobel per la Pace, iniziativa di alcuni zelanti parlamentari del Pdl, che non si rideva tanto. Dopo il premio Guido Carli “alla carriera” (niente male l’idea di consacrare un piduista a erede universale di un uomo che combatté la P2), il Cainano incassa e si appunta, honoris causa, la medaglietta “una vita contro la mafia”. Sulla data d’inizio del suo impegno antimafia si fronteggiano varie scuole di pensiero. C’è chi sostiene che B. abbia cominciato a combattere Cosa Nostra nel 1974, quando (come ha appena confermato la Cassazione nella sentenza Dell’Utri) ricevette a Milano la visita dei boss Bontate, Teresi, Di Carlo e Cinà, portati in dote dall’amico Marcello per suggellare la promozione del mafioso Vittorio Mangano a fattore di Arcore. C’è chi invece data il suo furore antimafioso al 1975, quando la mafia gli fece saltare la villa in via Rovani a Milano e lui non denunciò nulla ai carabinieri perché, confessò anni dopo, sapeva che l’attentato era opera dell’amico Mangano. Altri lo fanno coincidere con l’attentato nella stessa villa del 1986, quando al telefono con Dell’Utri parlò di “bomba gentile e affettuosa” e concluse: “Se Mangano me li chiedeva, io 10 milioni glieli davo”. Altri infine fanno scattare la sua limpida coscienza antimafiosa da quando – scrive ancora la Cassazione – “pagò cospicue somme a Cosa Nostra” nell’ambito di “un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell’Utri”, il tutto almeno fino al 1992, l’anno delle stragi. Poi c’è il B. premier, ventennale spina nel fianco di Cosa Nostra. Nel 1994 tuonò contro Caselli e i pentiti di mafia, in tandem con Riina (“ha ragione il presidente Belluscone”) e intimò alla Rai di piantarla con La Piovra che rovinava l’immagine dell’Italia e soprattutto della mafia nel mondo. Poi portò in Parlamento Dell’Utri e Cosentino. Promosse ministro Lunardi che voleva “convivere con la mafia”. Depenalizzò il falso in bilancio e varò tre scudi fiscali, regalando ai mafiosi l’anonimato e il rientro dei capitali sporchi in cambio ora del 2,5% ora del 5% di tasse invece del 45%: un riciclaggio di Stato in concorrenza sleale con gli onesti spalloni. Consentì la vendita dei beni sequestrati, così i boss possono ricomprarseli tramite prestanomi. Disse: “Strozzerei con le mie mani gli scrittori che parlano di mafia” (tipo Saviano e altri). Modificò l’art. 2 della normativa antimafia: se prima si potevano confiscare in base a “sufficienti indizi”, ora invece ci vuole la prova certa (difficilissima da trovare) che “risultino” provenienti da attività illegali. Infine, per salvarsi la coscienza, il ministro Alfano varò un brodino pomposamente chiamato “testo unico antimafia”, giudicato dagli operatori seri fumo negli occhi, che nulla aggiunge di sostanziale alla lotta alla mafia (né ai sequestri dei beni, che si facevano tali e quali anche prima). Forse Grasso si riferisce a quella cosa inutile quando propone addirittura il “premio speciale” antimafia per B. Nelle procure antimafia si ride di gusto. Ma le battute del super-procuratore non sono finite: “Ingroia fa politica utilizzando la sua funzione”, “ha sbagliato a parlare a un congresso di partito” e ora “deve scegliere”. E altre ne seguiranno, annuncia Gasparri, che lancia “la prossima campagna elettorrale” di Grasso. Naturalmente Ingroia è uno dei pm che indagano sulle trattative Stato-mafia, che quando Grasso era procuratore a Palermo erano tabù, e che coinvolsero anche la Banda B. Quindi la regola è questa: indagare su mafia e politica e parlarne a un congresso di partito è “fare politica”, fare un soffietto a B. e Alfano invece è fare giustizia. E poi dicono che la satira è morta.


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