Settembre 2013 24 Settembre 1943 - 24 Settembre 2013 70° Anniversario eccidio e Giornata dello Statuto Bombe e rifugi a Rionero
1943 - Memorie di Angelo Domenico Libutti Dopo lo sbarco degli angloamericani in Sicilia, avvenuto il 9 luglio '43, a Rionero si avvertiva una certa tensione. Alcuni già dicevano apertamente che ormai si era alla frutta e che, pertanto, non c’era più alcuna speranza di un esito positivo del conflitto. Bisognava pensare al dopo, perché tutti erano convinti che la guerra sarebbe finita prestissimo. A via Mazzini c’era una sola casa dotata di radio: quella di Vincenzo Crovace, impiegato del dazio, la cui moglie gestiva un negozio di generi alimentari nella sua abitazione attaccata alla nostra. In segreto, le persone più acculturate del quartiere, nottetempo,
ascoltavano Radio Londra e si erano convinte che presto ci saremmo liberati dal fascismo, tornando ad essere un popolo libero. Il fascismo cadde il 25 luglio, l’8 settembre fu annunziata la resa dell’Italia agli alleati. La sera dell’8 settembre, mentre eravamo in preda all’euforia per l’annuncio dell’armistizio, nel cielo di Rionero si verificava uno scontro tra gli aerei da caccia di scorta ai bombardieri alleati e quelli tedeschi, che cercavano di disturbare le squadriglie di fortezze volanti. Dal rumore degli scoppi delle bombe, che rintronò fino a noi poco più tardi, capimmo che era stata bombardata Potenza. Nello spazio di due giorni, molte famiglie di rioneresi cercarono e trovarono rifugio fuori dell’abitato in grotte, case coloniche e masserie.
A Rionero i rifugi più sicuri erano situati in periferia, nelle cave di pozzolana ricche di grotte ampie e asciutte, tra le quali si
distinguevano quelle di Rione Sant’Antonio, quelle di Biagio e Rocco Curto, e quelle di Pietro Sacco presso le casette asismiche. In paese, invece, erano usate come rifugi le cantine scavate sotto grandi e solide abitazioni lungo tutte le strade cittadine. Ne esisteva uno in Villa Giannattasio. I rifugi sparsi nelle campagne e nelle masserie erano distanti dal paese, ma più sicuri. I più noti, perché ospitavano più famiglie, erano quelli di don Vito D’Angelo in contrada Querce, dei Traficante al Piano dell’Altare, dei Valenza e dei Tirriciello al Cilentino; altri erano nelle masserie dei Di Leo, dei Consiglio, dei Nigro, dei Traficante, dei Policastro.
La contrada più ricca di presenze umane era quella denominata Solagna della Noce. Qui si trovavano ben cinque rifugi, dei quali due adiacenti di proprietà delle famiglie di Giulio D’Angelo e di Antonio Brescia; a trecento metri altri due appartenevano ai cugini Marco e Luigi Cappiello, a