Mostra Antologica Linoleografie di Vittorio E. Pisu
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a cura di Dolores Mancosu 21 / 31 Ottobre 2022 Associazione Remo Branca Via Roma 68 Iglesias SARDONIA https://www.vimeo.com/unisvers
Ho voluto approfittare dell’in vito di Stefano Cherchi ad esporre nelle sale dell’Associazione Remo Branca, nota riunio ne di incisori, nonchè fotografi ed altri artisti in diverse discipline, per presentare un numero conseguente delle mie linoleografie, una sessantina in effetti, comprendenti non solo alcune stampe realizzate a partire delle incisioni realizzate nel lontano 1968/69 ma anche quelle più recenti che avevo ripreso a realizzare dopo la mostra delle linoleografie ritrovate nel 2012 ed esposte nel 2014 nell’a telier che fu del pittore Henri Pinta (nome nomen) aderendo all’invito di Marie-Amélie Anquetil, creatri ce e diretrice del Musée di Prieuré a Saint Germain en Laye (periferia di Parigi) e dedicato ai Nabis ed a Paul Gauguin, di cui scrisse e pubblicò di versi libri. Non solo questa esposizione, che si rivelò un vero successo, perchè un dici delle ventidue incisioni esposte trovarono acquirente il primo gior no, mi spinse a riprendere le sgorbie che avevo gelosamente cnservato ed a produrre un certo numero di opere, sia in celebrazione del cinquecentesi mo anniversario della morte di Mi guel de Cervantes, sia illustrando, alla domanda della madre, un libro di po esie/canzoni di Olga Sokolov, prema turamente scomparsa, e dedicando
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mi in seguito ad una serie sui Casotti della spiaggia del Poetto di Cagliari, ed in seguito ad una serie di vedute della stessa città dove sono nato e che ho ritrovato nel 2018,. dopo una cinquantina d’anni trascorsi a Parigi, dove, oltre ad esercitare, con succes so penso, il mestiere di Architetto, ho anche creato numerose riviste, realiz zato delle trasmissioni di televisione diffuse sul web ed organizzato delle esposizioni di pittura, scultura e fo tografia prima con la rivista Palazzi A Venezia che edito ancora oggi e che festeggia il suo trentunesimo anno di paruzione, e poi con la rivista SAR DONIA, pubblicazione delle asso ciazioni create a Parigi ed a Cagliari nel lontano 1993, ma questo incontro mi spinse a creare con Marie-Amélie Anquetil la rivista “Ici, là-bas et ail leurs” che organizzò ben quarantatrè mostre a tutt’oggi, proponendo inol tre la mostra di artiste francesi a Cagliari con il titolo “Cagliari je t’aime” insieme all’associazione Sardonia, con Giulio Barrocu presidente, che videro al Lazzaretto ed alla MEM sia Camille Revel che Sophie Sainrapt, due affermate pittrici.
La produzione di trasmissioni TV dedicate all’Architettura, alla Crea zione Contemporanea, all’Opera e naturalmente all’Arte e Cultura della Sardegna, iniziata nel 1999, prese fine all’inizio del 2003, a causa della di
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mensione dell’immagine sugli scher mi dei computers dell’epoca (appena più estesa che un gran francobollo) che motivò i diversi finanziatori dell’iniziativa a desistersi, ma non mi impedì di continuare a produrre dei documentari realizzati all’occasio ne dei vernissages non solo parigini ma anche belgi e tedeschi insieme a quelli italiani o piuttosto sardi, aven do inoltre recuperato all’incirca l’ot tanta per cento delle 385 trasmissioni realizzate durante la vita di canalweb. net che ne assicurava la diffusione su Internet.
L’avvento di un sito dedicato ai video (e di qualità superiore ad un altro piuttosto farcito di pubblicità indesi derata) mi permise in seguito di diffondere le mie immagini, sia anziane che recenti, ormai capaci di occupare tutto lo schermo con una qualità ec cellente.
Il mio ritorno in Sardegna nell’aprile del 2018 mi vide nella maggior par te delle manifestazioni espositive, come l’inaugurazione del MACC di Calasetta con una mostra dedicata a Primo Pantoli, che fu anche uno dei maestri che mi iniziarono all’incisio ne sotto tutte le sue forme e che fece ro che scelsi piuttosto la linoleografia per la sua facilità di realizzazione e di stampa anche a mano, e che volli celebrare con un omaggio che ripren deva le sue molteplici immagini riu
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nite in una sola lastra e che applicai nella realizzazione di una serie sui Casotti del Poetto di Cagliari ed altre mostre, filmando quelle organizzate dalla Fondazione per l’arte Bartoli Felter, il Salotto dell’Arte, la galleria Spazio e Movimento, l’ExMa, la gal leria Macca, la galleria Spazio Invisibile, lo Spazio 61, lo spazio MeM, La Ruota della Fortuna, lo spazio Sma sh, la galleria Siotto, e naturalmente il Lazzaretto, il castello San Michele e l’impropriamente nominato Il Ghetto e per finire l’Arrubiu Art Gallery Café ad Oristano e Manca Spazio a Nuoro. Guardato all’inizio con una certa su spizione ed antipatia da parte dei cu ratori ed operatori, la realizzazione di interviste di artisti, che si rivelarono essere le uniche esistenti, al momento della loro scomparsa, ed il tempo che guarisce tante incomprensioni, mi permisero di continuare a realizzare interviste di personaggi emergenti o già affermati e di documentare le mo stre al momento dei vernissages. Ne approffitai naturalmente per esporre le mie linoleografie dappri ma al Bar sotto il Mare, in seguito al Salotto dell’Arte, poi alla M.A.P. di Mariano Chelo, alla Libreria Sulis in via Sulis a Cagliari ed in seguito an che all’Arrubiu Art Gallery Café ad Oristano, alle Conce a Bosa, al Bar il Lido a Cagliari, al Bar Mistral a Mon serrato, alla Gelateria Aresu, poi a
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L’Arte é di Casa dell’agenzia Andrea
Onali e Associati, indi alla Grotta Marcello e per finire all’Associazione Remo Branca ad Iglesias.
Al momento di scegliere le incisioni da esporre ho deciso di presentare tutte quelle che avevo a disposizione proponendo un confronto tra le vecchie e le nuove realizzazioni, anche se, a vista d’occhio questa differenza non sia proprio evidente, a discapito delle indecisioni ed anche errori pre senti nelle prime realizzazioni, ma nell’insieme mi sembra che é più il soggetto trattato che modifica l’im pegno e la capacità di restituire l’in tuizione, anche perchè posso vedere il risultato finale solo dopo la stampa. A questo proposito voglio ringraziare qui Salvatore Atzeni. supremo artista ed incisore di grandissimo talento, che conobbi a Parigi nel 1970 e che ritrovai nel 2018 al Lazzaretto dove esponeva un grand numero delle sue incisioni, delle sue tele, dei suoi dise gni, dove eccelle particolarmente.
Al momento del nostro secondo in contro non lo riconobbi subito, sotto la sua barba ed i capelli che porta lunghi di un bianco di neve.
Ma ritornato a casa, e cercando sue informazioni sul web, compresi im mediatamente che tra i licenziati con temporaneamente del Liceo artistico (allora privato) e dal Conservatorio di Musica, non c’erano, almeno in
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Sardegna, molti candidati.
Così dopo aver realizzato una sua in tervista e scoperto l’esistenza del suo laboratorio di stampa, dove aveva creato un torchio particolarmente in grado di stampare anche delle ma trici di un metro di larghezza inte ramente confezionato da Lui stesso, che gli confidai la stampa di tutte le linoleografie che venivo man mano a creare, prima per illustrare le quin dici canzoni/poesie della rimpianta Olga Sokolov, poi la serie dei casotti e finalmente quella delle vedute di Ca gliari dove iniziai con una prima se rie di ventiquattro per continuare poi con un altra di sedici ed altre di temi diversi come alcune chiese di Villa massargia o una vista di Abbasanta, la locandina di uno spettacolo che vorrei che sia messo in scena a Car loforte il 2 settembre dell’anno pros simo, e le illustrazioni di alcune poe sie che mi è capitato di scrivere, non continuamente, ma di tanto in tanto, inspirato a volte da un’ esposizione e/o installazione particolarmente no tevole o da una lettura e naturalmen te da qualche emozione risentita in questi ultimi anni, quando pensavo, e ne avevo scritto proprio una in que sto senso in seguito alla lettura del le ultime parole di Federico Fellini, che non mi sarebbe potuto succedere niente di simile, per ricredermi appe na qualche mese dopo.
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Vorrei inoltre ringraziare particolar mente la curatrice della mostra che ne é non solo la regista, disponendo con maestria le diverse immagini nella sala delle esposizioni dell’associazio ne Remo Branca, ma assolutamente l’instigatrice, proponendo a suo tem po di associarmi a tale riunione di incisori ed altri artisti visivi, unica in Sardegna, sostenendo attivamente la mia produzione, andando fin ad ac quistarmene un numero conseguente per adornare i suoi appartamenti.
Professoressa di nome e di fatto (in pensione direbbe una delle sue ami che ancora in esercizio) dal primo momento in cui la incontrai fui asso lutamente conquistato dalla sua cul tura, dalla sua elocuzione, dalla sua dialettica oltre che dalla sua avvenen za ed il suo charme. Ho anche scoperto le sue qualità di fotografa e ho utilizzato una delle sue immagini per illustrare il progetto “Meglio una Donna” una serie di do dici mostre di artiste donne, estesasi finalmente fino a contare più di una ventina di manifestazioni, non solo a Cagliari, in via San Domenico 10, ma anche ad Oristano dove esposi appunto una serie delle sue fotogra fie di cui apprezzo non solo la qua lità pittorica ma anche e sopra tutto il messaggio intrinseco che considero dichiaratamente politico nel senso in cui ci indica che è possibile vivere
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felicemente, ritrovando la semplicità ed un utilizzo del tempo che già ave vamo conosciuto neanche qualche decennio fa, e che possiamo assolu tamente ritrovare allontanandoci da tutte le manifestazioni che il capitali smo liberale cerca di imporci sia nel consumo sfrenato non solo di risorse naturali ma anche di utilizzo di og getti sempre più obsoleti e destinati ad essere fuori uso nel giro di qualche anno, inondando il pianeta di rifiuti elettronici e plastici di cui non sap piamo che fare e che ci stanno pian piano soffocando. Chi trova un amico trova un tesoro, dice il proverbio e penso che non avrei potuto trovarne uno simile ne anche nell’Isola Misteriosa.
Mi ritengo quindi fortunato e ricono scente e tengo assolutamente almeno in questa occasione ad affermarlo “haut et fort”.
Grazie Dolores Mancosu e grazie anche di continuare a supportare le mie iniziative anche le più strampalate come le piantagioni di alberi di argan nella valle del Cedrino o la produzio ne di whisky sardo. Inoltre i progetti di nuove esposizio ni di artisti sia maschi che femmine e sia sardi che stranieri non mancano e speriamo presto di invitarvi a queste manifestazioni sia a Cagliari che in altre sedi.
Vittorio E. Pisu
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La prima immagine di cui vorrei parlare é quella che illustra la strada dove sono nato, la via Gianturco a Ca gliari, al terzo piano e nella camera dietro la finestra in alto a destra. Naturalmente queste cose le so per ché me le hanno raccontate, per di più qualche tempo dopo la mia na scita, i miei genitori che lavoravano per delle case petrolifere, furono tra sferiti a Roma dove abitarono per un paio d’anni in Via Rasella.
Però i miei nonni paterni abitarono ancora per molto tempo in quella casa e così andando spesso a trovarli, alcuni ricordi di questo luogo mi ri masero impressi.
Al piano terra esisteva una bettola, oggi naturalmente sostituita da un bar più contemporaneo.
Mi ricordo che nel fondo dell’unica stanza che dava sulla strada troneg giavano tre botti immense, contenenti bianco, rosso e rosso superiore.
I muri ed il soffitto, almeno al mio naso di bambino, sentivano forte mente il vino ed alcuni tavoli in legno con delle sedie occupavano il resto dello spazio.
Mia nonna vituperava spesso par lando dei frequentatori della bettola, che lei trattava di ubriaconi, dandomi così un’immagine estremamente ne gativa di questo luogo.
All’epoca, nei primi anni cinquanta
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non era raro che un mendicante ve nisse a bussare alla porta dell’appar tamento, chiedendo l’elemosina, e mia nonna rifiutava sempre di dargli del danaro, argomentando che l’a vrebbero speso sicuramente per bere, ma gli offriva una minestra, del pane ed altre derrate alimentari.
A quell’epoca la via Gianturco era una delle strade che partivano dalla piazza creata davanti al nuovo Tri bunale, imposante edificio costruito negli anni trenta in uno stile incon fondibile e particolarmente diffuso in Italia per queste costruzioni statali. Davanti alle nuove strade si stendeva una pineta che risaliva fino alla cima del Monte Urpino, ma presto anche quella zona fu occupata da nuove costruzioni.
Nella via Pessina, a meno di cinquan ta metri, abitavano i miei nonni ma terni, che ci ricevevano spesso la do menica e dove, un pò più grandicello, mi si mandava a cercare il ghiaccio, disposto su di un carretto tirato da un asino, condotto da un uomo che d’estate lo vendeva, e che me lo con segnava in uno straccio bagnato e che serviva poi a riempire gli spazi appo siti della ghiacciaia in legno, ricoper ta di zinco, che troneggiava nella cu cina dei miei nonni Cilloco.
Essi vivevano insieme alla madre di mia nonna, Efisia Pala, forte donna che visse fino all’età di 96 anni e di cui
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rimase famoso un suo detto, consecu tivo ad un pasto pasquale, per il quale aveva ancora preparato, naturalmente a mano, i ravioli per una ventina di persone (era una cuoca sopprafina) e dopo aver consumato l’agnello re golamentare, verdure, frutta e dolce, ebbe un malessere, e distesa sul divano dove i familiari l’avevano pronta mente adagiata, sospirò «Cuss’acqua minerali m’a mortu!» accusando il bicchiere di acqua minerale che ave va bevuto di essere la causa del suo malessere.
Al ritorno da Roma, i miei genitori cercarano un alloggio e lo trovarono in Via Firenze, al n. 12, un apparta mento a piano terra con un largo cor tile, nella villa Busanca, una costruzione che è stato demolita per essere rimpiazzata da una palazzina costru ita sicuramente da qualche cuggino, che per di più ha distrutto interamen te i giardini che la circondavano e dove gli aranceti profumavano l’aria.
La via Firenze faceva parte di un in sieme edilioz costruito alla fine degli anni ‘20, sulla falsa riga delle città giardino del novecento, costituito da una parte da villette bifamiliari che circondavano uno spazio che noi chiamavamo la palestra, perché nel tempo era destinata agli esercizi gin nici di regime, e dall’altra parte verso la via della Pineta e la futura via Mila no, da palazzine a quattro piani dove
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abitava già, in uno degli appartamen ti, una delle zie di mia madre. L’appartamento che occupava insieme al marito orafo ed ai suoi figli, cugini di mia madre e nostri zii, era situato al terzo piano ed aveva la ca ratteristica di essere prolungato da un lungo soggiorno che faceva da ponte con la palazzina adiacente. Non basterebbe un libro solo per nar rare tutte le avventure, le vicissitudini e gli anedotti di questo microcosmo, all’epoca ancora lontano dalla vera città e che aveva come spiaggia il ca nale di Mammarranca e come parco il Monte Mixi allora scevro da co struzioni.
La via Firenze, quando fu tracciata, incominciava da un muro, che poi fu il tracciato della via della Pineta fino allo Stadio Amsicora, e terminava quasi davanti ad una cava in disuso, con una discesa ripida che la con giungeva con il viale Armando Diaz. Mi ricordo del negozio del signor Caocci, nella via Firenze, l’unico che distribuiva alimentari ma anche qua derni e penne, lampadine ed altri og getti di prima necessità. Non c’era praticamente circolazio ne d’automobili negli anni 50 e per la festa di San Giovanni, la sera, gli abitanti, spesso in pigiama ed in ve staglia, portavano vecchie sedie ed altre suppelletili che accattastavano nel mezzo della strada, non ancora
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asfaltata, ed a notte gli davano fuoco. Mi ricordo che gli uomini prendeva no la rincorsa e saltavano il fuoco, in pantofole spesso, più tardi davanti ad altri falò d’estate mi è capitato anche a me di saltarli, spesso ero il solo a far lo, stupendo l’assistenza, ma per me era come un rito, una celebrazione di quei tempi andati eppure sicuramen te felici.
La nostra famiglia cresceva e in pre visione dell’arrivo di un sesto figlio, mio padre trovò un alloggio più grande.
Si trattava di un appartamento situa to nella villa Melis, costruzione il cui terreno terminava a punta davanti allo Stadio Amsicora, alla giunzione della via della Pineta e del Viale Armando Diaz, costituito da un alline amento di pini marittimi e bordato su di un lato dalle rotaie del tram che conduceva alla spiaggia del Poetto. Ricordo le lampade al sodio che, la notte, davano una colorazione gialla stra alla volta costituita dalle chiome degli alberi.
All’epoca il silenzio della notte era rotto solo da qualche rara vettura e qualche motocicletta che percorreva no il viale a tutta velocità.
Nell’immagine qui a fianco ho rap presentato le finestre dell’apparta mento che occupavamo al primo piano e la balaustra del vasto terrazzo che, con il suo gemello, fiancheggia
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va l’imponente scalinata che dal viale Diaz permette di accedere alla villa. Il complesso possedeva anche un’altro ingresso sulla via della Pineta, molto più comodo e più utilizzato perché la maggior parte dei negozi d’alimentari e di frutta e verdura si trovavano piuttosto all’incrocio con la via Firenze.
A quell’epoca esisteva ancora un’altra cava in disuso che costeggiava la via della Pineta e la via Firenze e sul suo suolo troneggiava uno scivolo in ce mento creato dalle truppe americane per manutenzionare i loro veicoli.
Più lontano l’insieme delle case po polari dette case Fanfani, dove alcuni miei compagni di scuola abitavano insieme anche al maestro Farina.
Costui, un grande uomo bruno dal la tinta olivastra, fumava nazionali senza filtro e senza sosta, puzzava letteralmente il tabacco ed era inol tre estremamente severo con i suo alunni, aveva per di più delle mani grandi e nodose e qualche schiaffo ci scappava sempre, quindi ci tenevamo tranquilli per evitare di approfittarne.
Questo vasto terreno era pieno di alberi da frutto di ogni sorta, susine, nespole, uva, ed anche diversi ortaggi, che erano coltivati da un vecchio signore che abitava in una casetta all’angolo della proprietà.
Lo chiamavamo Maestro Raffaele e passava il suo tempo con i piedi in un
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secchio pieno d’acqua, sputando den tro regolarmente perché masticava del tabacco.
Noi bambini ne avevamo un po pau ra, ma penso che fosse piuttosto in nocuo e si occupava dell’orto e degli alberi da frutto.
Ma la meraviglia di questo terreno erano sicuramente gli alberi da fico. Tre alberi allineati della qualità det ta «fichi tutto l’anno» con i frutti che maturano tre volte, a maggio, a luglio ed a settembre, più una pianta di fichi neri disponibili alla consommazione generalmente a metà agosto.
Spesso, durante le calde notti di lu glio, con mio fratello, salivamo in cima ad uno di questi maestosi albe ri, e comodamente installati su di un ramo, al fresco, mangiavamo i fichi cogliendoli direttamente dalla pianta. Ancora oggi mi capita di guarda re con commiserazione i fichi che si possono trovare nei mercati, a Cagliari passa ancora, a volte se ne pos sono trovare di lontanamente simili, ma immaginate un pò a Parigi.
Sento parlare a volte del lusso, che spesso è confuso con il fatto di acquistare a caro prezzo degli oggetti d’uso comune o anche totalmente inutili, anche se riconosco che alcu ni sono il prodotto di un artigianato meritevole, ma per me uno dei mo menti di lusso della mia vita rimarrà sempre quello di mangiare la notte
d’estate i fichi deliziosi sull’albero ed in più in compagnia di mio fratello. Penso che un’altro lusso veritabile sia quello di avere la propria vigna, piantata con le proprie mani e cura ta ed ogni anno raccogliere qualche chiletto scarso di bellissimi grappoli, come ebbi il piacere di poter realizzare molto più tradi.
Ma anche nel terreno della villa esi steva una vigna che cresceva proprio contro il muro di cinta che separava la villa Melis dalla villa Pinna Stara.
L’uva era della qualità zibibbo, con gli acini stretti e lunghi, di una dolcezza squisita, che potevamo gustare alla fine di settembre, anche perché era un pò difficile d’accesso.
Invece le susine non arrivavano quasi mai, a parte quelle in cima all’albero, a maturazione, perchè le mangiava mo ancora verdi nonostante la loro acidità tutta particolare, ma non ne avevamo cura.
Ricordo anche una bella pianta di capperi di cui raccoglievamo i grossi frutti per conservarli poi nel sale, ed altre diverse verdure.
Purtoppo il terreno della villa fu lentamente ma sicuramente ceduto a dei palazzinari che realizzarono le loro costruzioni in economia (come si leggeva sui cartelloni che ne de scrivevano il progetto), la punta del triangolo impropria alla costruzione di un immobile é ancora oggi occu
pata da un distributore di benzina che ne sfrutta i due versanti. Non so perchè ma mio padre decise di acquistare un appartamento non molto distante e ci trasferimmo così, lasciandoci dietro tanti bellissimi ri cordi, come quelli delle feste che d’e state organizzavamo sul terrazzo. Era l’epoca del sirtaki che ballavamo con applicazione insieme all’hully gully ed altre schekerate d’epoca. Già da tempo mio padre aveva ac quistato un casotto in prima fila, alla quinta fermata del tram e l’estate la passavamo quasi interamente a dor mire al Poetto e tutta la giornata a fare il bagno, giocare con gli amici e sopratutto andare a cercare l’acqua al rubinetto con le brocche.
Ho già parlato delle scene alle quali, noi bambini assistevamo, a causa di qualche signora che cercava di non rispettare la fila e che si faceva copio samente insultare dalle altre presenti, insegnandoci così tanti vocaboli non proprio educati e spesso svelandoci dei dettagli intimi della vita senti mentale e sessuale di queste impru denti. ma ne ho già lungamente parlato in altre sedi.
Dopo aver frequentato le scuole ele mentari, prima in via Firenze e suc cessivamente in viale Armando Diaz, fui inscritto alla scuola media in via Eleonora d’Arborea, dove spesso an davo a piedi per utilizzare i soldi del
biglietto del pulman che economiz zavo per comprarmi degli accessori del treno elettrico che avevo ripreso a utilizzare, oppure delle figurine per il presepio di Natale al negozio Bolla, che si trovava in via Manno.
Quasi ogni giorno andavo a vedere la vetrina di quel negozio che mi sembrava la caverna di Ali Babà, sfavil lante di luci e piena d’oggetti di de siderio.
Non so perchè ma quasi ogni Natale compravo invariabilmente un cam mello che piazzavo poi nel presepio che allestivamo ogni anno con gran de cura, finalmente disponevo di una vera carovana.
Questa del presepio era una vera tra dizione ed il fidanzato di una delle mie zie aveva anche costruito con dei fiammiferi, numerose casette ed an che un ponticello.
Lo realizzavamo con grande cura, an dando nei campi circostanti ancora inoccupati da costruzioni, a recupe rare delle grandi placche di muschio che utilizzavamo per simulare l’erba di una prateria.
Di fronte alla villa Melis e lungo il Viale Armando Diaz, si trovava il deposito di carburanti dell’Aereo nautica Militare, ed uno dei miei compagni di scuola e grande amico ci abitava, il padre essendo il mare sciallo responsabile dell’intero recin to, che comprendeva diversi ettari di
terreno, ne avevamo quindi la totale disponibilità.
Fu un terreno di giochi favoloso, perchè eravamo assolutamente liberi, in sieme al mio amico ed i suo fratelli, inoltre un altro compagno di scuola si era giunto a noi, e passavamo i po meriggi a giocare in questo vastissimo spazio.
Le caratteristiche del terreno erano molto varie, così nel mezzo una vera prateria con dell’erba alta circonda ta da qualche collinetta tra cui una completamente costituita da calcare che conteneva una quantità incredi bile di fossili, vicino a questa roccia un laghetto ed una piccola palude, mentre dall’altra parte una falesia che scalavamo con ardore e dall’altra parte un pendio erboso.
Due immensi blockhaus di cemento armato costituiscono ancora oggi i depositi di carburante propriamente detti. la cui parte superiore é materializzata da un insieme di spesse arcate in cemento armato, che a noi faceva pensare al tempio della dea Kali, si trattava del famoso soffitto anti bom ba che avrebbe protetto la costruzione da qualsiasi proiettile gettato da un aereo; sono ancora visibili sul posto, anche se non so se siano sem pre utlizzati allo scopo per il quale furono costruiti, penso che demolirli sarebbe un impresa molto difficile e naturalmente assai costosa.
In seguito il terreno é stato dismesso dalla sua utilizzazione militare e ce duto a diversi costruttori che vi hanno realizzato diverse palazzine in una maniera che trovo particolarmente ignorante del luogo dove sono state edificate e delle sue caratteristiche.
Uno scempio urbanistico e architettonico insieme.
Purtroppo non eccezionale nella cit tà di Cagliari che, distrutta all’ottanta per cento dai bombardamenti an gloamericani del 1943, fu ricostruita dopo guerra in modo assolutamente disordinato da palazzinari spesso im provvisati ed anche inpecuniari,
Le costruzioni «in economia» come si poteva leggere sui cartelli che ne descrivevano i progettisti ed i promotori dell’opera, furono cosi realizzate senza alcun piano d’insieme e con una varietà stilistica (si fa per dire) da catalogo surrealista nello stile “ed adesso senza mani”.
Purtroppo molti di questi palazzoni hanno poi condizionato anche la densità della circolazione automobilistica e gli evidenti anacromismi urbanistici.
Cosi non posso dire che Cagliari sia una bella città, sopratutto se la devo confrontare ad altri centri cittadini simili oppure comparabili.
Anche l’architettura più antica non brilla certo per la sua qualità e se le opere storiche come le torri di San
Pancrazio e dell’Elefante, edificate dai Pisani, si distinguono dal resto, il periodo spagnolo non ha lasciato molti edifici civili, a parte qualche palazzo signorile in Castello, pur toppo spesso distrutto dai bombar damenti e bisogna arrivare al Regno d’Italia per trovare appunto qualche edificio interessante come l’Ospeda le progettato dall’architetto Gaetano Cima, senza parlare naturalmente del Municipio e del Bastione.
Più recentemente Ubaldo Badas, al quale si rimprovera di non essersi diplomato in architettura (sic), ha re alizzato un certo numero di costru zioni particolarmente insigni che ri escono a risollevare il livello generale. Per quello che riguarda poi questa accusa che sistematicamente riemerge, spesso affermata da personaggi la cui maestra putroppo morì quando era no in quinta elementare, possiamo di re che si trova in buona compagnia insieme a Frank Gehry, Frank Lloyd Wright, Ieoh Ming Pei, Zaha Hadid , Philip Johnson, Tom Wright, Ludwig Mies van der Rohe, Renzo Piano, Jean Nouvel, Moshe Safdie, eccetera, e di cui nessuno, a parte i succittati in malafede, potrebbe contestare la qua lità delle loro realizzaioni. E come non parlare del palazzo dell’E nel, a cui si rimprovera di mpedire di contemplare la Sella del Diavolo dal la via Roma (sic), ma che ho sempre
considerato un esempio dell’architet tura contemporanea e che avrei vo luto avesse più seguaci nella forma e nella sostanza ma rimase purtroppo unico.
Citiamo anche Adalberto Libera (au tore tra l’altro della villa di Curzio Ma laparte resa famosa ne “Le Mépris” de Godard) che, sposato con una caglia ritana, realizzò alcune opere come un padiglione alla Fiera Campionaria ed un insieme di palazzine note come la Città Giardino tra la via della Pineta e la via Scano.
Renzo Piano partecipò ad un con corso che doveva vincere ed infatti lo vinse, associato per l’occasione ad un architetto nuorese e realizzò un edi ficio importante tra il Viale Bonaria ed il Viale Armando Diaz, che arri chisce una serie di costruzioni che testimoniano delle diverse mode ar chittetoniche che si sono espresse ul timamente in città. Più recentemente le nuove leve degli architetti isolani hanno rimpiazzato gli studi continentali che spesso e vo lentieri erano incaricati delle realiz zazioni sia pubbliche che private. Ma ormai la città si é estesa ed assu me la denominazione di Metropolita na, inglobando le vicine municipalità che spesso, per delle ragioni pretta mente economique sono diventate il luogo prediletto di abitazione di mol ti cagliaritani o recentemente arrivati.
Sarà difficile risolvere i problemi ur banistici (quelli architettonici non hanno soluzione) anche perché le diverse amministrazioni sia regionale che comunale non ne prendono certo il cammino, helas!
Mi rendo conto che mi sono un po allontanato di quella che era la descrizione di queste vedute cagliari tane ed il rapporto che ho sviluppa to nel tempo con questi aspetti della mia città.
Penso che nascendo in un luogo e frequentandolo poi in seguito men tre si cresce e ci si confronta ai diversi avvenimenti della vita, la città appare come un elemento naturale, come se ci fosse sempre stata, un po come la Sella del Diavolo, la collina che delimita la spiaggia del Poetto oppure il Monte Urpinu.
Le strade, i palazzi, i monumenti ci sembrano come delle manifestazioni naturali e non costruiti dall’uomo. Solo le strade praticate e conosciute mi sembrano agibili, le altre appaio no invece come muri impraticabili, ritrose e mute, parti di un paesaggio pietrificato, dove qualche geranio in qualche balcone allieta le facciate pe raltro piacevolmente colorate.
Andavo spesso in Castello a trovare qualche compagno di scuola e le due torri pisane mi hanno sempre im pressionato nella loro silenziosa im mutabilità, nella loro dimensione
smisurata che si stenta a credere ne cessaria all’avvistamento del nemi co ed alla difesa, un retaggio di altri tempi ormai passati eppure sempre architettonicamente presenti come muti testimoni di un ieri scomparso. Dopo aver realizzato una prima se rie di queste vedute ho avuto voglia di completarle e, senza un intenzione precisa mi sono fermato, per il mo mento, a quaranta incisioni anche se penso che continuerò a produrne, ri traendo degli scorci che fanno parte dei miei ricordi oppure ultimamente scoperti durante le mie deambula zioni, spesso pedestri, che trovo es sere il miglior modo per conoscere ed apprezzare un sito sia urbano che naturale.
Ricordo che adolescente, andavo a piedi fino alla punta della Sella del Diavolo, in riva al mare, e disegna vo il paesaggio, cullato dalla risacca e sorpreso a volte dallo scricchiolio delle pietre.
Non ho disegnato nessuna vista di un paesaggio, forse quella che si ammi ra a partire daloo studio del gruppo Lucido Sottile, situato all’ultimo piano dell’edificio già sede di un Liceo che accolse in seguiito l’Artistico e finalmente numerosi artisti sia pla stici che teatrali appunto come le due attrici, coreografe, autrici e registe di talento che ho citato.
Vittorio E. Pisu
Parlare delle opere di Vittorio E. Pisu non é facile per me che spesso sono stato molto critico, sopratutto sulla sua os sessione dei casotti del Poetto, con un testo che rileggendolo oggi, riconosco essere stato un po acerbo. Comunque conosco Vittorio Ema nuele, da quando é arrivato in va canza a Parigi nel 1969, e lo trovai piuttosto simpatico Certo il mio snobismo parigino guardava quest’italiano, anzi questo sardo, che non parlava ancora il francese, un pò dall’alto e mi chiede vo che cultura ci fosse in quest’isola di cui avevo vagamente sentito parlare a proposito di Aga Khan ed altre frivolitè.
Fui ancora più sorpreso quando de cise di installarsi e sopratutto della rapidità alla quale imparò ad esprimersi abbastanza corretamente nella nostra lingua (anche se non é esatta mente la mia che vengo dall’Argen tina) e la velocità alla quale arrivò a inserirsi nel mondo, piuttosto piccolo e chiuso, delle agenzie di architettura. Fui ancora più sorpreso quando qualche anno dopo, con altri due suoi coetanei incominciò a pubblicare una rivista di Poesie (non proprio main stream per l’epoca) che chiamarono «Prevoir et Dormir». Li ho aiutati di qualche consiglio
sarcastico e riuscirono a pubblicarla durante qualche mese, utilizzando il ciclostyle, oggi scomparso e for tunatamente dimenticato.
Scoprii anche le sue linoleografie, con la vendita delle quali si pagò il viaggio a Parigi, ma abbandonò questa tecnica per molto tempo, molto impegnato con i suoi progetti di Architettura dove si distinse per la partecipazione a numerosi concorsi nazionali d’importanza e sopratutto per averne vinto un numero ragguar devole che consolidò la sua reputa zione presso i suoi confratelli. Ci frequentammo saltuariamente per lungo tempo, poi al ritorno dagli Stati Uniti riprese a creare delle riviste, dei magazine, dei giorna li, e qualche volta, anzi spesso,. mi chiese degli articoli, che volentieri scrissi, naturalmente senza nessuna concessione.
Se ne accomodò e continua ancora oggi a chiedermi due parole sulle opere che presenta in una cittadina presso Cagliari, affrontando il giudizio di una associazione di incisori.
Riconosco la sua temerarietà ormai leggendaria ma penso che non patirà di giudizi negativi se giudico dalle fotografie delle sue ultime incisioni che descrivono la sua città natale. Non si tratta di riproduzioni esatte, piuttosto delle viste sognate, ricor date approssimativamente, a volte
inventate, ma interessanti nella sua espressione che personalmente, come avevo sottolineato, trovo un pò arcaica, all’era del digitale che però afferma la sua capacità a re sistere nel tempo diffronte ad una tecnologia che diventa sempre più obsoleta.
Chi leggerà domani gli hard disk di oggi?
Mentre invece penso che queste sue incisioni rimarranno senza neanche aver bisogno di spedirle a Cinquet ti, nel deserto della Mauritania al confine con il Mali.
Per finire la sua idea di presentare un panorama delle sue produzioni passate insieme a quelle più recenti permette di notare che forse già cinquant’anni fa aveva raggiunto il controllo di una tecnica e che è difficile, a prima vista, riconoscere le opere del 1968 da quelle che ha prodotto quest’anno.
Ho saputo che gli è stato fornito un kit per cimentarsi con la xilografia, e gli auguro di riuscire anche in quel campo, come ha riuscito sia nella progettazione architettonica, nella produzione televisiva e cinemato grafica, nella creazione d’eventi e manifestazioni culturali.
Finalmente devo confessare che questo, ormai non più giovane sar do, mi ha sopreso piacevolmente.
Arcibaldo de la Cruz
Cagliari ti amo
Ho vissuto a Parigi, Roma, New York visitato Londra, Berlino, Bangkok ma quando salgo al Bastione e vedo il panorama te lo devo dire, il mio cuore ti ama.
Marina, Villanova, Stampace ti confesso che non so quale di più mi piace Pirri, Bonaria, San Benedetto anche se poi tutto non é proprio perfetto.
Se poi vado lontano a lavorare e credo di trovare un luogo corretto non c’é niente da fare quello che mi manca é sempre il Poetto.
E non solo quello, perché del primo maggio il nostro Sant’Efisio é l’unico appannaggio Salire a Monte Urpinu e vedere lo stagno ti viene subito voglia di farti un bel bagno.
Se poi vai in Castello dove non c’é più quasi nessuno non te ne importa niente, perché conosci sempre qualcuno.
Arabi. Bizantini, Ostrogoti, Pisani financo i Fenici ed anche i Romani sono tutti tuoi padri ma di mamma c’hai quella perché della Sardegna sei la figlia più bella!
Ma una sola cosa ti manca un bel sindaco che si chiami Franca anzi Francesca!
Cet exercice est né un peu par ha sard, suite à la réalisation d’une série de linoleographies qui décrivent les Casotti del Poetto de Cagliari, j’ai eu envie, en me rappe lant certains épisodes de l’enfance ou de la jeunesse, de parler de mes expérienc es à Cagliari et pas seulement de ce qui s’est passé sur la plage du Poetto. Donc, en cherchant un titre pour ce recueil qui a commencé un jour du 15 août, un peu comme un réveillon de nouvel an, pendant lequel j’ai enre gistré les dernières illustrations d’une autre oeuvre sur laquelle j’ai travail lé sur commande (c’est «Les Mots de Olga» un recueil de poèmes/chansons écrit par Olga Sokolow, une chanteuse et une actrice, merveilleusement solaire, qui nous a laissés malheureusement trop tôt, j’avais choisi celui ci*. Après avoir terminé ce travail, j’ai décidé de m’ en tenir à cette description littéraire et illustrée des rues de ma ville, que j’apprécie particulièrement ces jours-ci. J’espère que la lecture de mes souvenirs vous aidera à avoir une vision de Ca gliari et de son paysage d’un point de vue différent, vous encourageant ainsi à essayer de découvrir d’autres aspects car une ville si ancienne, si dotée de monuments et d’événements histori ques ou anecdotiques ne peut laisser personne indifférent. Vittorio E. Pisu
*”Strade della mia città” (Les rue de ma ville)
La première rue dont je vou drais parler est celle où je suis né, Via Gianturco à Cagliari, au troisième étage et dans la pièce derrière la fenêtre en haut à droite.
Bien sûr, je sais ces choses parce que mes parents m’en ont parlé, et quelque temps après ma naissance, mes géniteurs, qui travaillaient pour des compagnies pétrolières, ont été tran sférés à Rome où ils ont vécu quel ques années dans la Via Rasella.
Mes grands-parents paternels ont continué à vivre dans cette maison pendant longtemps et, en allant sou vent les visiter, certains souvenirs de cet endroit m’ont marqué.
Au rez-de-chaussée se trouvait une taverne, aujourd’hui bien sûr rem placée par un bar plus contempo rain. Je me souviens que dans le fond de la seule pièce qui donnait sur la rue, il y avait trois énormes barils, contenant du blanc, du rouge et du rouge supérieur.
Les murs et le plafond, du moins pour mon nez d’enfant, sentaient fortement le vin et quelques tables en bois avec des chaises occupaient le reste de l’espace.
Ma grand-mère parlait souvent des clients de la taverne, qu’elle traitait d’ivrognes, me donnant une image extrêmement négative de cet endroit. À cette époque, au début des années
1950, il n’était pas rare qu’un men diant vienne frapper à la porte de l’appartement de mes grands-parents pour demander l’aumône, et ma grand-mère refusait toujours de leur donner de l’argent, arguant qu’ils le dépenseraient certainement en bois son, mais elle leur offrait de la soupe, du pain et d’autres denrées alimen taires.
À cette époque, la Via Gianturco était l’une des rues qui partaient de la place créée devant le nouveau Tribu nal, un bâtiment imposant construit dans les années trente dans un sty le particulièrement courant en Italie pour les tribunaux. Devant les nouvelles routes, il y avait une pinède qui montait jusqu’au sommet du mont Urpino, mais bien tôt cette zone fut également occupée par de nouveaux bâtiments.
Non loin de là, dans la Via Pessina, à moins de cinquante mètres, vivaient mes grands-parents maternels, ainsi que mon arrière-grand-mère Efi sia, une forte femme qui a vécu ju squ’à l’âge de 96 ans et dont une de ses expressions est restée célèbre; à la suite d’un repas de Pâques, pour lequel elle avait encore préparé à la main des raviolis à la ricotta et aux épinards (elle était une cuisinière émérite) et après avoir mangé l’agne au réglementaire, des légumes, des fruits et le dessert, elle a eu un ma
laise, et allongée qu’elle fut sur le canapé, elle dit «Cuss’acqua mine rali m’a mortu !» (Ce verre d’eau minérale m’a tuée) accusant le verre d’eau minérale qu’elle avait bu de son malaise.
À leur retour de Rome, mes parents ont cherché un logement et l’ont trouvé dans la Via Firenze, n. 12, un appartement au rez-de-chaussée avec une grande cour, dans la Villa Busanca, un bâtiment qui a été dém oli pour être remplacé par un bâtim ent certainement construit par un cousin geomètre, qui a detruit aussi entièrement les jardins qui l’entoura ient et où les orangeraies embaumés l’air.
Via Firenze faisait partie d’une ensemble immobilier construit à la fin des années 20, sur la fausse ligne des cités-jardins du XXe siècle, consti tué d’un côté de maisons jumelées, qui entouraient un espace que nous appelions le gymnase, parce dans le temps il était destiné aux exercices de gymnastique du régime, et de l’autre côté vers la Via della Pineta et la future Via Milano, d’immeubles de quatre étages où une des tantes de ma mère habitait déjà dans un des appartements.
Celui qu’elle occupait avec son mari orfèvre et ses enfants, cousins de ma mère et nos oncles, était situé au troisième étage et avait la particula
rité d’être prolongé par un long salon qui constituai comme un pont avec le bâtiment adjacent.
Un livre entier ne suffirait pas pour raconter toutes les aventures, les vi cissitudes et les anecdotes de ce mi crocosme.
A cette époque le quartier était encore loin de la ville et replié sur lui meme, sa plage le canal de Mammar ranca e son parc le Monte Mixi de pourvu de constructions.
Lorsque la Via Firenze a été tracée, elle partait d’un mur, qui deviendra plus tard le tracé de la Via della Pi neta vers le stade de l’Amsicora, et se terminait de l’autre coté, presque au bord d’une carrière désaffectée, avec une descente raide qui la reliait au Viale Armando Diaz.
Je me souviens de la boutique de M. Caocci, via Firenze, le seul qui distri buait de la nourriture mais aussi des cahiers et des stylos, des ampoules électriques et d’autres produits de première nécessité.
Il n’y avait pas de circulation dans les années 50 et pour la fête de la SaintJean, le soir, les habitants, souvent en pijama et en robe de chambre, ap portaient de vieilles chaises et autres commodes au milieu de la route, pas encore pavée, et la nuit ils y metta ient le feu.
Je me souviens que les hommes s’e loignaient pour se lancer dans une
course et sauter par dessus le feu, souvent en pantoufles, plus tard de vant d’autres feux de joie en été, il m’est arrivé de sauter dessus aussi, souvent j’étais le seul à le faire, sur prenant l’assistance, mais pour moi c’était comme un rituel, une célébr ation de ces temps révolus et pourtant certainement où nous étions heureux sans le savoir.
Notre famille a grandi et en prévis ion de l’arrivée d’un sixième enfant, mon père a trouvé un logement plus grand.
Il s’agissait d’un appartement situé dans la Villa Melis, un bâtiment dont le jardin se terminait en pointe de vant le stade Amsicora, à la jonction de la Via della Pineta et du Viale
Armando Diaz, avenue constituée d’un alignement de pins maritimes et bordé sur un côté par les rails du tramway menant à la plage du Poet to.
Je me souviens des lampes au sodium qui, la nuit, donnaient une couleur jaunâtre à une voute constituée par les cimes des arbres.
A cette époque, le silence de la nuit était rompu par quelques rares voitu res et aussi quelques motos qui rou laient à toute vitesse sur l’avenue.
Je représentais les fenêtres de l’ap partement que nous occupions au premier étage et la balustrade de la vaste terrasse qui, avec sa jumelle,
flanquait l’imposant escalier qui, de puis l’avenue Diaz, permettait d’ac céder à la villa.
Le complexe avait également une autre entrée sur la Via della Pineta, beaucoup plus pratique et plus fréq uentée car la plupart des épiceries et des magasins de fruits et légumes étaient plutôt situés au carrefour avec la Via Firenze.
À cette époque, il y avait encore une carrière désaffectée qui longeait la Via della Pineta et la Via Firenze et sur son sol se trouvait un toboggan en béton créé par les troupes améric aines en 1945 pour entretenir leurs véhicules.
Plus loin, il y avait le groupe de mai sons municipales appelées maisons Fanfani, où certains de mes camara des d’école vivaient également avec l’enseignant Monsieur Farina.
C’était un grand homme brun avec un teint olivastre, il fumait des cigarettes sans filtre sans arrêt, il sentait littéralement le tabac et était aussi extrêmement strict avec les élèves, il avait de grandes mains noueuses et quelques gifles lui échappaient toujours, alors nous nous taisions pour éviter d’en profiter.
Les jardins de la villa étaient remplis de toutes sortes d’arbres fruitiers, de prunes, de nèfles, de raisins et même de légumes, qui étaient cultivés par un vieil homme qui vivait dans une
petite maison au coin de la propriété.
On l’appelait Maestro Raffaele et passait son temps les pieds dans un seau rempli d’eau, crachant dedans régulièrement parce qu’il mâchait du tabac.
Nous, les enfants, nous en avions un peu peur, mais je pense qu’il était tout à fait inoffensif et qu’il ne faisait que s’occuper du jardin et des arbres fruitiers.
Mais la merveille c’ était sans aucun doute les figuiers.
Trois arbres alignés de la qualité ap pelée «figues toute l’année» avec des fruits mûrissant trois fois, en mai, juillet et septembre, plus un figuier noir dont les fruits étaient générale ment bon pour la consommation à la mi-août.
Souvent, pendant les chaudes nu its de juillet, avec mon frère, nous avions l’habitude de grimper au som met d’un de ces arbres majestueux, et confortablement installés sur une branche, au frais, nous mangions les figues, en les cueillant directement sur la plante.
Aujourd’hui encore, il m’arrive de regarder avec pitié les figues que l’on trouve sur les marchés, à Cagliari passe encore, parfois on trouve des figues qui leur ressemblent de loin, mais imaginez un peu à Paris.
J’entends parfois parler de luxe, qui est souvent confondu avec le fait de
payer très cher des objets de la vie quotidienne, même si je reconnais que certains d’entre eux sont le produit d’un artisanat méritant, mais pour moi, l’un des moments de luxe de ma vie restera toujours de manger les délicieuses figues sur l’arbre par une nuit d’été et en compagnie de mon frère.
Je pense qu’un autre vrai luxe est d’a voir son propre vignoble, plantè de ses propres mains et soigné, et de cueillir chaque année quelques rares kilos de belles grappes de raisin, comme j’ai eu le plaisir de pouvoir le faire de manière beaucoup plus tra ditionnelle à Mézy sur Seine.
Mais même sur le terrain de la villa, il y avait une vigne qui poussait juste contre le mur d’enceinte qui séparait la Villa Melis de la Villa Pinna Stara.
Les raisins étaient de la qualité zibib bo, avec des grains longs et étroits, d’une douceur exquise, que nous dégustions seulement fin septembre, parce qu’ils étaient aussi un peu dif ficiles d’accès.
D’autre part, les prunes n’arrivaient presque jamais à maturation, à part celles en haut de l’arbre, car nous les mangions encore vertes malgré leur acidité particulière, mais nous n’en avions cure.
Je me souviens aussi d’un beau buis son de câpres dont on ramassait les gros fruits pour les conserver dans
du sel, et d’autres légumes différents. Malheureusement, le terrain de la villa a étè lentement mais sûrementvendu par tranche à de promoteurs et occupé par quelques bâtiments réalisés en économie (comme on pouvait lire sur les panneaux d’af fichage qui décrivaient le projet), la pointe du triangle impropre à la construction est encore aujourd’hui occupée par une station-service qui utilise les deux côtés. Je ne sais pas pourquoi, mais mon père a décidé d’acheter un apparte ment non loin de là et nous avons déménagé rapidement, laissant der rière nous tant de beaux souvenirs, comme ceux des fêtes que nous avions l’habitude d’organiser sur la terrasse en été.
C’était l’époque du sirtaki que nous dansions avec application, sans ou blier autres hully gully et twists vin tage. En même temps, mon père avait acheté un chalet sur la plage du Po etto au premier rang, au cinquième arrêt du tramway et nous passions presque entièrement l’été à y dormir et à nous baigner toute la journée, à jouer avec des amis et surtout à aller chercher de l’eau au robinet avec les damejeannes.
J’ai déjà parlé des scènes auxquelles nous, les enfants, avons assisté, à cau se d’une dame qui essayait de ne pas
respecter la file et qui était copieuse ment insultée par les autres person nes présentes, nous enseignant tant de mots inconvenat et révélant sou vent des détails intimes de la vie sen timentale et sexuelle de ces impru dentes. mais j’en ai déjà longuement parlé dans d’autres endroits. Après avoir fréquenté l’école éléme ntaire, d’abord via Firenze et ensuite viale Armando Diaz, j’ai été inscrit au collège de via Eleonora d’Arborea, où je me rendais souvent à pied pour utiliser l’argent du ticket de bus que j’économisais pour m’acheter des ac cessoires du train électrique ou les figurines de la crèche de Noël au ma gasin Bolla, qui se trouvait dans la via Manno.
Presque tous les jours, j’allais voir la vitrine de ce magasin qui me sem blait être la caverne d’Ali Babà, étinc elante de lumières et pleine d’objets de désir. Je ne sais pas pourquoi, mais presque chaque Noël, j’achetais invariable ment un chameau que je mettais dans la crèche que nous installions chaque année avec beaucoup de soin, à la fin j’avais une vraie caravane.
La crèche était une véritable tra dition et le petit ami d’une de mes tantes avait également construit avec des allumettes, de nombreuses mai sons et même un pont. Nous réalisions la crèche avec be
aucoup de soin, en allant dans les champs, qui entouraient encore la villa, pour récupérer de grandes plaques de mousse que nous utilisions pour simuler les prairies.
En face de la Villa Melis et le long de Viale Armando Diaz, il y avait le dépôt de carburant de l’Armée de l’Air, et un de mes camarades de classe et grand ami y vivait, son père étant le maréchal responsable de toute le complexe qui comprenait plusieurs hectares de terrain; nous en avions donc la totale disponibili té.
C’était un terrain de jeu fabuleux, à la fois parce que nous étions abso lument libres, avec mon ami et ses frères, un autre camarade de classe était venu nous voir, et nous passions les après-midi à jouer dans ce vaste et merveilleux espace, aussi parce que les caractéristiques du terrain étai ent très variées, au milieu une véritable prairie avec de hautes herbes entourée de quelques collines dont une entièrement faite de calcaire qui contenait une quantité incroyable de fossiles, à côté un lac et un petit marais avec des hautes cannes, tan dis que de l’autre côté une falaise que nous escaladions avec ardeur et de l’autre côté une pente herbeuse.
Deux énormes blockhaus en béton armé constituent encore les dépôts de carburant proprement dits. dont
la partie supérieure, matérialisée par d’épaisses arches en béton, nous rap pelaient le temple de la déesse Kali, c’était le fameux plafond anti-bombe qui protégeait le bâtiment de tout or digne lancé d’un avion ; ils sont en core visibles sur place, bien que je ne sache pas s’ils sont toujours utilisés pour l’usage pour lequel ils ont été construits, je pense que leur dém olition serait très difficile et bien sûr très coûteuse.
Par la suite, le terrain a été abandon né par les militaires et cedé à divers promoteurs qui y ont rèalisés plu sieurs bâtiments que je trouve parti culièrement indiffèrents au lieux.
Une catastrophe urbanistique et ar chitecturale à la fois.
Malheureusement pas exceptionnel le dans la ville de Cagliari, qui a été détruite à 80 % par les bombarde ments anglo-américains en 1943 et reconstruite après la guerre de manière absolument désordonnée par des promoteurs souvent improvisés et même inpécuniers,
Les constructions «en économie», ont donc été réalisées sans aucun plan d’ensemble et avec la variété stylistique (pour ainsi dire) d’un ca talogue surréaliste ou chaque auteur des projets s’est illustré dans le style “et maintenanrt sans les mains”.
Malheureusement, beaucoup de ces bâtiments ont également influencéla
densité du trafic automobile puisque les voies de circulation sont restèes les meme et les anachromismes urbanistiques évidents n’ont fait que les accentuer.
Je ne peux donc pas dire que Cagliari soit une belle ville, surtout si je dois la comparer à d’autres villes semblables. Même l’architecture historique ne brille certainement pas par sa qualité et si les ouvrages anciens tels que les tours de San Pancrazio et de l’Éléphant, construits par les Pisans se differencient du reste, la période espagnole n’a pas laissé beaucoup de bâtiments civils, à l’exception de quelques édifices nobles du quartier de Castello, malheureusement souvent détruits par les bombardements et il faut attendre l’époque du Royau me d’Italie pour trouver quelques réalisations intéressantes comme l’hôpital conçu par l’architecte Gaetano Cima, sans parler bien sûr de l’hôtel de ville et du bastion. Plus récemment, monsieur Ubaldo Badas, qui fut accusé de ne pas être diplômé en architecture (sic), a construit un certain nombre de bâtim ents particulièrement remarquables qui parviennent à élever le niveau général.
Et comment ne pas mentionner le bâtiment de la sociétè Enel, qui fut accusé de cacher la vue de la Sel
la del Diavolo depuis la Via Roma (sic), l’artère principale qui longe le port, mais que j’ai toujours considéré comme un bel exemple d’archi tecture contemporaine et que j’au rais aimé trouver plus souvent copié dans la forme et le fond mais qui est malheureusement resté unique. Citons aussi l’architecte Adalberto Libera (fameux pour la villa de Cur zio Malaparte a Capri, filmée dans “Le Mépris” de Godard), qui, mariée à une femme de Cagliari, a réalisé quelques ouvrages tels qu’un pa villon à la Fiera Campionaria et un ensemble de bâtiments connu sous le nom de Città Giardino entre via della Pineta et via Scano où d’ailleurs habitais une de mes tantes.
Renzo Piano a participé à un con cours qu’il devait gagner et il l’a d’ailleurs remporté, associé avec un architecte de Nuoro pour l’occasion. Il a réalisé un important bâtiment entre Viale Bonaria et Viale Arman do Diaz, qui enrichit une série de bâtiments témoignant des différent es tendances architecturales qui se sont exprimées dans la ville, Plus récemment, les nouvelles re crues des architectes de l’île ont remplacé les studios des architectes continentaux qui étaient souvent et volontairement en charge de projets publics et privés. Mais aujourd’hui, la ville s’est agran
die et s’ést dotée d’une Metropolitana (métro de surface), en incorporant les municipalités voisines qui, souvent, pour des raisons purement économiques, sont devenues le lieu de résidence préféré de nombreux habitants de Cagliari ou récemment arrivés dans la ville.
Il sera difficile de résoudre les pro blèmes urbanistiques (les problèmes architecturaux n’ont pas de solution) aussi parce que les différentes ad ministrations, tant régionales que municipales, n’en prennent certaine ment pas le chemin, helas !
Je me rends compte que je me suis un peu éloigné de ce qui était la de scription de ces vues de Cagliari et de la relation que j’ai développée au fil du temps avec ces aspects de ma ville.
Je pense qu’en naissant dans un lieu et en le fréquentant plus tard, en grandissant et en se confrontant aux différents événements de la vie, la ville apparaît comme un élément na turel, comme si elle avait toujours été là, un peu comme la Selle du Diable, la colline qui borde la plage du Poetto ou le Mont Urpinu.
Les rues, les palais, les monuments nous semblent être des manifesta tions naturelles et non pas construits par l’homme.
Seules les routes pratiquées et con nues me semblent accessibles, les
autres apparaissent plutôt comme des murs infranchissables, reculés et silencieux, parties d’un paysage pétrifié, où quelques géraniums dans certains balcons tapissent les façad es, souvent colorées.
Je me rendais souvent au quartier du Castello (Château), pour rendre visite à des amis d’école, et les deux tours Pisanes m’ont toujours impressionné par leur immuabilité silencieuse, par leur architecure minimaliste. dans leur dimension démesurée, qu’il est difficile de croire qu’elle étè vraiment nécessaire à l’observation de l’enne mi et à la défense, un héritage du temps passé où elle servirent meme de prison, comme il arriva souvent à de tels édifices désormais inutiles et pourtant toujours présentes sur le plan architectural et urbanistique en tant que témoins silencieux d’un hier disparu.
Ces quelques images disparates, souvent réalisées en faisant appel non seulement à ma mémoire mais à quelques photographies d’époque, peut etre arrivent à restituer la com plexité de cette ville, si antique et si malheureusement enlaidie par la «modernité» mais qui conserve, en tout cas, pour moi, un charme uni que et surtout la toile de fond de tant de situations, évenements, joies et peines de ma vie.
Vittorio E. Pisu
La tecnica della linografia é qualche cosa che ho imparato a partire dall’ anno 1968 con dei maestri quali Foiso Fois, Antonio Mura e Primo Pantoli.
In quello che era ancora il Liceo Ar tistico privato, diventato poi statale l’anno successivo, potei sperimentare diverse tecniche di incisione, ma la ragione che mi fece scegliere la li nografia fu la possibilità di stampare a mano senza bisogno di torchio. La mia produzione di allora, all’in circa 25 linografie, ebbe un certo successo presso i clienti dell’agenzia di mio padre, in maggioranza notai ed avvocati, che apprezzarono que ste monografie bienche e nere per adornare le loro sale di attesa.
Questo mi permise di finanziare un viaggio di vacanze a Parigi, dove fi nalmente decisi di rimanere. Naturalmente non ho mai dimenti cato la mia città, la sua spiaggia dove ho passato tante estati; al D’Aquila all’inizio, in un casotto alla quinta fermata in seguito ed al Lido anche quando ormai vivevo a Parigi.
Questa serie sui casotti mi é stata inspirata da una mostra, organizzata al Lazzaretto grazie all’interessamento di Giulio Barroccu, allora presidente di Sardonia, nella serie «Cagliari je t’aime» con la quale ho invitato degli artisti francesi a esporre a Cagliari ed a inspirarsene.
Le cere e gli olii su legno che Camille Revel ci ha proposto, ma anche le sue sculture policrome, con i loro colori slavati mi hanno improvvisamente riportato sulla spiaggia del Poetto, davanti ai casotti ormai scomparsi, che furono il teatro di tante felici stagioni estive. Durante la trasmissione a Radio X, dove l’artista ha parlato delle sue opere, e rispondendo alla domanda del perché di questa mostra, sono stato soprafatto dall’emozione. All’improvviso ho capito il legame profondo ed il rinvio che mi riman dava indietro nel tempo.
Cosi é diventato impellente per me il bisogno di riprodurre questi ricor di e queste immagini sfocate, forse anche solo sognate oppure anche inventate dei casotti sia d’estate che d’inverno.
Le opere di Camille Revel mi hanno opportunamente ricordato quei luoghi della mia infanzia, ed ho deciso di rappresentarli non solo attraverso le linografie ma anche sulle magliet te aumentate da un ricamo per com pletare il legame che intrattengo con l’arte sarda e che cerco di esprimere con riconoscenza ed ammirazione sperando suscitare gli stessi senti menti negli spettatori di queste azio ni che si pretendono artistiche.
Vittorio E. Pisu
La technique de la linographie est une chose que j’ai apprise à partir de l’annèe 1968 avec des maîtres tels que Foiso Fois, Antonio Mura et Primo Pantoli. Dans ce qui était encore le lycée ar tistique privé, qui est devenu l’État l’année suivante, je pouvais expérimenter différentes techniques de gra vure, mais la raison qui m’a fait choi sir la linographie était la possibilité d’imprimer à la main sans avoir be soin d’une presse.
Ma production de l’époque, environ 25 linographies, a eu un certain suc cès auprès des clients de l’agence de mon père, principalement des notai res et des avocats, qui appréciaient ces monographies en noir et blanc pour orner leurs salles d’attente.
Cela m’a permis de financer un voya ge de vacances à Paris, où j’ai finale ment décidé de rester. Bien sûr, je n’ai jamais oublié ma ville, sa plage où j’ai passé de nom breux étés; à l’établissement D’Aquila au début, dans une cabane en bois au cinquième arret du tramway au milieu de millier d’autres, après et à l’établissement Il Lido, fréquentè même lorsque je vivais désormais à Paris.
Cette série sur les casotti a été in spirée par une exposition, organisée au Lazzaretto dans la série «Cagliari je t’aime» avec laquelle j’ai invité des
artistes français à exposer à Cagliari et à s’en inspirer.
Les cires et les huiles sur bois que Camille Revel nous a proposées, mais aussi ses sculptures polychromes, aux couleurs délavées, m’ont soudain ramené sur la plage du Poetto, de vant les casotti aujourd’hui disparus, qui ont été le théâtre de nombreuses et heureuses saisons d’été.
Lors de l’émission sur Radio X, où l’artiste a parlé de ses oeuvres, et en répondant à la question du pourquoi de cette exposition, j’ai été submergé par l’émotion.
Soudain, j’ai compris le lien profond et le rapport entre les oeuvres et mes ouvenirs qui m’ont fait remonter le temps.
Il m’est donc apparu nécessaire de reproduire ces souvenirs et ces ima ges floues, peut-être même rêvées ou même inventées par les casotti, en été comme en hiver.
Les oeuvres de Camille Revel m’ont rappelé à juste titre ces lieux de mon enfance, et j’ai décidé de les représ enter non seulement à travers les li nographies mais aussi sur les t-shirts rehaussés d’une broderie pour com pléter le lien que j’ai avec l’Art Sarde et que je tente d’exprimer avec gra titude et admiration en espérant su sciter les mêmes sentiments chez les spectateurs de ces actions qui se veu lent artistiques. Vittorio E. Pisu
ai voulu profiter de l’invitation de Stefano Cherchi à exposer dans les salles de l’Association Remo Branca, un rassemblement réputé de graveurs, unique en Sardaigne, mais aussi de photographes et d’autres artistes de diverses di sciplines, pour présenter un nombre conséquent de mes linogravures.
Une soixantaine en fait, comprenant non seulement un certain nombre de réalisés à partir des gravures datant de 1968/69, mais aussi des tirages plus récents que j’avais repris après l’exposition de linogravures redécouvertes en 2012 et exposées en 2014 dans l’ancien atelier du peintre Henri Pinta (nome nomen) à l’invi tation de Marie-Amélie Anquetil, créatrice et directrice du Musée de Prieuré à Saint Germain en Laye (en banlieue parisienne), consacré aux Nabis et à Paul Gauguin, sur le squels elle a écrit et publié plusieurs ouvrages.
Cette exposition, qui s’est révélée être un véritable succès, puisque onze des vingt-deux gravures exposées ont trouvé preneur dès le premier jour, m’a également incité à reprendre les gouges que j’avais jalousement gardées et à réaliser un certain nombre d’œuvres, tant pour célébrer le 500e anniversaire de la mort de Miguel de Cervantes ainsi
J’
que d’illustrer, à la demande de sa mère, un livre de poèmes/chansons d’Olga Sokolov, décédée prémat urément.
Par la suite j’ai pu me consacrer à une série sur les Casotti de la plage du Poetto de Cagliari, et plus tard à une série de vues de cette même vil le où je suis né et que j’ai redécouv erte en 2018,. après une cinquantai ne d’années passées à Paris,. Où, en plus d’exercer, je pense avec succès, la profession d’architecte, j’ai également créé de nombreu ses revues, réalisé des émissions de télévision sur le web et organisé des expositions de peinture, de sculpture et de photographie, d’abord avec la revue “Palazzi A Venezia”, que j’éd ite encore aujourd’hui et qui fête sa trente et unième année de publication, puis avec la revue “SARDONIA”, une publication des associations créées à Paris et à Cagliari dès 1993.
Cette rencontre m’a incitée à créer la revue “Ici, là-bas et ailleurs” avec Marie-Amélie Anquetil, qui a organisé pas moins de quarante-trois expositions à ce jour.
J’ai également proposé l’exposi tion des femmes artistes françaises à Cagliari sous le titre “Cagliari je t’aime” avec l’association Sardonia, et le soutien de Giulio Barrocu prés ident de la branche italienne qui a
vu défiler Camille Revel et Sophie
Sainrapt, deux peintres de renom, au Lazzaretto et au MEM.
La production de programmes télévisés consacrés à l’Architectu re, à la Création Contemporaine, à l’Opéra et, bien sûr, à l’Art et à la Culture sardes, qui a débuté en 1999, a pris fin au début de 2003, en raison de la taille de l’image sur les écrans d’ordinateur de l’époque (à peine plus vaste qu’un gros timbre-poste), qui a incité les différents supporters de l’initiative à se désister, mais cela ne m’a pas empêché de conti nuer à produire des documentaires réalisés à l’occasion de vernissages non seulement à Paris mais aussi en Belgique et en Allemagne ainsi que des documentaires à l’occasione des manifestations culturelles italiennes ou plutôt sardes, ayant également récupéré environ quatre-vingt pour cent des 385 émissions réalisées au cours de la vie de canalweb. net, qui a assuré sa diffusion sur Internet.
L’arrivée d’un site dédié aux vidéos (et de meilleure qualité qu’un autre plutôt bourré de publicités intempe stives) m’a ensuite permis de diffu ser mes images désormais capables d’occuper tout l’écran avec une excellente qualité. Mon retour en Sardaigne en avril 2018 m’a vu dans la plupart des événements d’exposition, comme
l’inauguration du MACC à Calasetta avec une manifestation dédiée à Primo Pantoli, qui était aussi l’un des maîtres qui m’a initié à la gra vure sous toutes ses formes et qui m’a fait plutôt choisir la linogravure pour sa facilité de production et d’impression même à la main, et que j’ai voulu célébrer avec un homma ge qui reproduit nombreuses images réunies en une seule plaque et que j’ai appliqué dans la réalisation d’une série sur le Casotti del Poetto de Cagliari.
J’ai aussì filmè d’autres expositions, comme celles organisées par la fondation artistique Bartoli Felter, le Salotto dell’Arte, la galerie Spazio e Movimento, l’ExMa, la galerie Macca, la galerie Spazio Invisibi le, le Spazio 61, l’espace MeM, La Ruota della Fortuna, l’espace Smash, la galerie Siotto, et bien sûr le Lazzaretto, le château San Michele et l’improprement nommé Il Ghetto, et enfin le Arrubiu Art Gallery Cafè à Oristano et la gallerie Manca Spazio à Nuoro.
Considérée au départ avec une cer taine suspicion et hostilité par les conservateurs et les opérateurs, la réalisation d’interviews d’artistes, qui se sont avérées être les seules existantes, au moment de leur di sparition, et le temps qui guérit tant de malentendus, m’ont permis de
continuer à réaliser des interviews de personnalités émergentes ou déjà établies et de documenter des expo sitions lors de vernissages.
J’en ai naturellement profité pour exposer mes linogravures d’abord au Bar sotto il mare, puis au Salotto dell’Arte, ensuite au M.A.P. de Ma riano Chelo, à la Libreria Sulis en Via Sulis à Cagliari et plus tard aussi au Arrubiu Art Gallery Café à Oristano, à Le Conce à Bosa avec Sesto Continente, au Bar il Lido à Caglia ri, au Bar Mistral à Monserrato, à la Gelateria Aresu, puis à L’Arte é di Casa de l’agence Andrea Onali e Associati, puis à la Grotta Marcello et enfin à l’Associazione Remo Branca à Iglesias.
Au moment de choisir les gravures à exposer, j’ai décidé de présenter toutes celles dont je disposais, en proposant une comparaison entre les anciennes et les nouvelles créations, même si, à première vue, cette dif férence n’est pas vraiment évidente, bien que certaines des premières contiennent des indécisions et même des erreurs, mais dans l’ensemble il me semble que c’est plus le sujet qui conditionne l’engagement et la ca pacité de restituer l’intuition, aussi parce que je ne peux voir le résultat final qu’après l’impression.
A cet égard, je tiens à remercier Sal vatore Atzeni che a présentè l’expo
sition le jour du vernissage, artiste suprême et graveur de grand talent, que j’ai rencontré à Paris en 1970 et que j’ai retrouvé en 2018 au Laza retto où il a exposé un grand nombre de ses gravures, toiles, et dessins où il excelle particulièrement.
Lors de cette deuxième rencontre, je ne l’ai pas immédiatement reconnu, sous sa barbe et ses cheveux longs et blancs comme neige.
Mais quand je suis rentré chez moi, et que j’ai cherché des informations sur lui sur le web, je me suis imméd iatement rendu compte que, dans les diplomés à la fois du Liceo artistico (alors privé) et du Conservatorio di Musica, il n’y avait pas beaucoup de candidats, du moins en Sardaigne et il ne pouvait s’agir que de lui.
Ainsi, après avoir réalisè un interview filmè et découvert son atelier specialement dédié aux gravures de toutes sorte, où il avait créé une presse particulièrement capable d’imprimer des matrices d’un mètre de large, je lui ai confié l’impression de toutes les linogravures que je réalisais progressivement, d’abord pour illustrer les quinze chansons/ poèmes de la regrettée Olga Soko low, ensuite la série des Casotti et enfin celle des vues de Cagliari où j’ai commencé avec une première série de vingt-quatre pour continuer avec une autre de seize et d’autres
de thèmes différents comme certaines églises de Villamassargia ou une vue de Abbasanta, l’affiche d’un spectacle que j’aimerais voir mis en scène à Carloforte le 2 sep tembre de l’année prochaine, et les illustrations de quelques poèmes qu’il m’est arrivé d’écrire, non pas continuellement, mais de temps en temps, parfois inspiré par une instal lation ou une lecture particulièrement remarquable et bien sûr par une émotion ressentie ces dernières an nées, lorsque je pensais, et j’en avais écrit un à cet effet, après la lecture des derniers mots de Federico Fellini, que rien de tel ne m’arriverait, pour changer d’avis quelques mois plus tard.
Je tiens également à remercier tout particulièrement la commissaire de l’exposition qui n’en est pas seulement la réalisatrice, en disposant habilement les différentes images dans la salle d’exposition de l’Associa tion Remo Branca, mais qui en est aussi absolument l’instigatrice, en proposant à l’époque de m’associer à un tel rassemblement de graveurs et autres artistes plasticiens, en sou tenant activement ma production, allant même jusqu’à en acheter un nombre conséquent pour orner ses appartements.
Professeur de nom et de fait (une de ses amies encore en exercice m’a
precisè qu’elle été en fait retraitèe), dès la première rencontre, j’ai été absolument conquis par sa culture, son élocution, sa verve, son érudd ition, sa dialectique ainsi que son at trait et son avenance et son charme. J’ai également découvert ses qualités de photographe et j’ai utilisé une de ses images pour illustrer le projet “Meglio una Donna” (Une Femme c’est Mieux), une série de douze expositions d’artistes féminines, qui s’est finalement étendue à plus de vingt événements, non seulement à Cagliari, Via San Domenico 10, mais aussi à Oristano, où j’ai exposé une série de ses photographies, dont j’apprécie non seulement la qualité graphique, mais aussi et surtout le message intrinsèque que je consi dère ouvertement politique dans le sens où il nous montre qu’il est possible de vivre heureux en redécouvrant la simplicité et l’utilisation du temps que nous connaissions il y a encore quelques décennies, et que nous pouvons absolument retrouver en nous éloignant de toutes les propositions que le capitalisme libéral tente de nous imposer, tant dans la consommation effrénée non seule ment des ressources naturelles que dans l’utilisation d’objets de plus en plus obsolètes destinés à être hors d’usage en quelques années, inon dant la planète de déchets électron
iques et plastiques dont nous ne savons que faire et qui nous étouffent lentement.
Celui qui trouve un ami trouve un trésor, dit le proverbe, et je pense que je n’aurais pas pu trouver un tel ami même sur l’Île mystérieuse.
Je me considère donc comme chanceux et reconnaissant, et je tiens absolument, au moins à cet te occasion, à le dire “haut et fort”. Merci Dolores Mancosu et merci aussi de continuer à soutenir mes initiatives, même les plus farfelues comme la plantation d’arganiers dans la vallée de Cedrino ou la production de whisky sarde, la création d’une Biennale de la Méditerranée à Cagliari ou des manifestations à l’enseigne de l’Opera et du Bel can to en parallèle aux expositions que l’on se prèpare à réaliser.
Les projets de nouvelles expositions d’artistes masculins et féminins, sar des et étrangers, ne manquent pas, tout comme les éditions de Palazzi A Venezia et de son supplement ainsi que de Sardonia et de S’Arti Nostra, supplement au mensuel, en parallèle avec les interview d’artistes plasti ciens ou lyriques et l’organisation de rencontres et de festivitès qui essayent de rassembler les ènergies et les initiatives les plus positives. Merci chère curatrice et amie. Vittorio E. Pisu.
Discuter des œuvres de Vittorio E. Pisu n’est pas facile pour moi, car j’ai souvent été très critique, notamment sur son obsession pour les casotti del Poetto, avec un texte que, en le relisant aujourd’hui, je reconnais avoir été un peu feroce. Cependant, je connais Vittorio Emma nuele depuis qu’il est venu en vacan ces à Paris en 1969, et je l’ai trouvé plutôt sympathique... Bien sûr, mon snobisme parisien re gardait cet Italien, ou plutôt ce Sarde, qui ne parlait pas encore français, un peu de haut, et je me demandais quelle culture il y avait sur cette île dont j’avais vaguement entendu parler à propos de l’Aga Khan et autres frivolités.
J’ai été encore plus surpris lorsqu’il a décidé de s’installer et surtout de la vitesse à laquelle il a appris à s’exprimer très correctement dans notre langue (même si ce n’est pas exactement la mienne, venant d’Argentine) et de la vitesse à laquelle il a réussi à s’intég rer dans le monde plutôt petit et fermé des agences d’architecture.
J’ai été encore plus surpris lorsque, quelques années plus tard, il a com mencé à publier, avec deux autres jeunes de son âge, un magazine de poésie (pas vraiment très populaire à l’époque) qu’ils ont appelé “Prévoir et Dormir”.
Je les ai aidés avec quelques conseils
sarcastiques et ils ont réussi à le publier pendant quelques mois, en utilisant le cyclostyle, aujourd’hui disparu et heureusement oublié.
J’ai également découvert ses lino gravures, avec la vente desquelles il a payé son voyage à Paris, mais il a abandonné cette technique pendant longtemps, très occupé par ses projets d’architecture où il s’est distingué en participant à de nombreux concours nationaux importants et surtout en en remportant un nombre considérable, ce qui a consolidé sa réputation parmi ses confrères.
Nous nous sommes vus de temps en temps pendant longtemps, puis, à son retour des États-Unis, il a repris la création de magazines, de revues, et parfois, voire souvent, il m’a demandé des articles, que j’ai volontiers écrits, naturellement sans aucune concession.
Il s’en est contenté et continue à me demander quelques mots sur les œuv res qu’il présente dans une petite vil le près de Cagliari, face au jugement d’une association de graveurs. Je reconnais sa témérité désormais légendaire, mais je pense qu’il ne souffrira d’aucun jugement négatif si j’en juge par les photos de ses der nières gravures représentant sa ville natale. Il ne s’agit pas de reproductions exactes, mais plutôt de vues rêvées, parfois inventées, mais intéressantes
dans leur expression, que je trouve personnellement, comme je l’avais souligné, quelque peu archaïque, à l’ère du numérique mais affirmant sa capacité à résister au temps face à une technologie de plus en plus obsolète. Qui lira demain les disques durs d’aujourd’hui ?
Alors que je pense que ses gravures resteront sans même avoir besoin de les envoyer à Cinquetti dans le désert mauritanien à la frontière du Mali.
Enfin, son idée de présenter un pano rama de ses productions passées avec ses productions plus récentes permet de constater qu’il maîtrisait peut-être déjà une technique il y a cinquante ans et qu’il est difficile, à première vue, de reconnaître les œuvres de 1968 de cel les qu’il a produites cette année. Je crois savoir qu’il a reçu un kit pour s’essayer à la gravure sur bois, et je lui souhaite de réussir dans ce domaine également, comme il a réussi dans la conception architecturale, la production télévisuelle et cinématog raphique, et la création d’événements et d’expositions culturels.
Enfin, je dois avouer que ce Sarde plus tout jeune m’a agréablement surpris. Et le lui souhaite, comme aux coméd iens, “Merde” pour son exposition, qui sera également agrémenté de quelques airs d’opéra qu’il affectionne particu lièrement.
Arcibaldo de la Cruz