I Casotti del Poetto

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Fotografia di Vittorio E. Pisu Projet Graphique Maquette et Mise en Page L’Expérience du Futur

I CASOTTI DEL POETTO Linografie di Vittorio E. PISU

Ici, là bas et ailleurs Cagliari je t’aime

https://www,vimeo.com/groups/sardonia





«Dans ce profond ébranlement, il ne lui restait donc plus rien que ce noyau inébranlable que possèdent tous les héros et tous les criminels; ce n’est pas du courage, ce n’est pas de la volonté, ce n’est pas de l’assurance, ce n’est que le pouvoir tenace de s’accrocher à soi même, pouvoir qu’il est difficile d’extirper de soi que la vie du corps d’un chat, même quand il est complètement déchiqueté par les chiens». L’Homme sans qualités - Robert Musil

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Linographie di ieri e di oggi dal 14 ottobre al 31 dicembre 2017

NOSTALGIA

dal 14 novembre al 31 dicembre 2018

Il Bar sotto il Mare Via Campidano 12 Cagliari

I CASOTTI DEL POETTO dal 26 al 27 luglio 2019

M.A.P. Movimenti Artistici Periferici via Garibaldi 45 Cagliari

a cura di Andrea Corriga Installazione Video AmArtist.it Esposizione della serie / Exposition du cycle

«Cagliari je t’aime» creata ed organizzata da / crèèe et organisèe par

Sardonia Italia/Sardonia France con la collaborazione/et le soutien de

Ici, là bas et ailleurs

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‘estate cagliaritana, come ogni anno, si presenta puntuale all’appuntamento con i suoi calori, temperati a volte dal maestrale che i cittadini invocano come un Santo protettore. Certo la spiaggia del Poetto non assomiglia più a quella che negli anni sessanta accoglieva quasi esclusivamente la popolazione cagliaritana. Il turista era raro e sul mare pochissimi natanti, a parte qualche pattino che dal D’Aquila o dal Lido, si spingeva fino alla Sella del Diavolo. Benchè le partite di pallone fossero rigorosamente proibite non mancavano gli appassionati che a rischio di qualche multa mostravano la loro abilità. Chissà, forse proprio lì nacque lo spirito dello scudetto nazionale conquistato finalmente nel 1970. Anche a Parigi si parlava del Cagliari. Ricordo più facilmente le interminabili partite di tamburelli, interrotte solo dalle proteste di qualche siestante che non riusciva a trovare il riposo, sopratutto dopo il pranzo della domenica. Non ho mai capito la ragione della distruzione di questi casotti, che ogni proprietario aveva cura di ridipingere ogni anno e quella di mantenere impeccabilmente pulita la porzione di arenile per la quale pagava peraltro una salata concessione. Sicuramente una certa dose di gelosia ed invidia. Che non potrà comunque far sparire i bellissimi ricordi che tutti i cagliaritani che passavano l’estate nei casotti hanno accumulato nel tempo. La verità ? Eravamo veramente felici e forse non ce ne rendevamo perfettamente conto perchè la società dei consumi, con le sue sirene, cercava già di farci credere il contrario: V.E. Pisu


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uesta esposizione di linographie, alcune realizzate nel lontano 1969, insieme ad altre molto più recenti, non é stata una scelta facile, anche perché il nostro progetto iniziale era ben altro, ma spesso bisogna fare buon viso a cattivo gioco e per non interrompere il ciclo iniziato nell’ottobre del 2016 con Camille Revel, ho deciso di esporre alcune delle mie vecchie e nuove linografie insieme alla proiezione di qualche filmato realizzato all’occasione delle esposizioni che sono state all’origine della manifestazione “Cagliari je t’aime”. Nel frattempo, come spesso capita, altre situazioni si sono sviluppate e ho ricevuto l’offerta di esporre alcune delle mie opere vecchie e nuove, in una delle più prestigiose boutique del Passage Vero-Dodat, al centro di Parigi, mentre Nicola Pisu (non é mio parente ma già acquirente di ben sei delle mie stampe) mi ha proposto di esporre ancora una volta le mie opere, nel suo ristorante “Il Fico” presso Les Halles, ristorante di gastronomia sarda nel quale oggi é quasi impossibile pranzare oppure cenare anche tardi, perché durante la Fashion Week, tutte le modelle e gli stilisti vanno a rimpinzarsi di culurgiones, porchetto arrosto, sebadas e malloreddus alla campidanese. Come poi riescano a rientrare in una 7


taglia trentasei, non sono ancora riuscito a chiederglielo, avranno sicuramente qualche segreto che tengono ben stretto. Per ritornare invece all’esposizione a “Il Bar sotto il Mare”, che fu tra l’altro nostro sponsor durante le due esposizioni in ottobre 2016 ed in maggio 2017 al Lazzaretto, é stato con non celato piacere che Pier Girgio ha accettato questa mia proposta, anche se l’idea mi é stata data da una delle mie sorelle (M.Beatrice) , che frequenta assiduamente il locale e ne apprezza la gastronomica proposta. Scoprendo anche l’esistenza di uno schermo e di un proiettore, non ho potuto resistere all’idea di proporvi alcuni dei miei filmati, che trattano sia delle esposizioni realizzate fino ad ora (non abbiate paura non tutte perche sono più di 38) nel quadro della rivista “Ici, là bas et ailleurs” ed anche della serie “Notes et Pense Bête” il cui numero 108 (cento e otto) é stato appena messo in linea. Ci fa partecipare «comme si vous y etiez» al vernissage dell’esposizione dal titolo “L’Orient éveillé, l’Occident émerveillé II” con gli artisti Zheng Hui, Bernard Langenstein, Sophie Sainrapt, Jean-Louis Simeray, Pierre Souchaud, presentati dall’associazione European Image Art Association sotto la direzione


del commissario dell’esposizione, Miss Lala Zhang, che ha appena scritto al sindaco di Cagliari per significarli tutto l’entusiasmo che ha suscitato la mia proposta di realizzare nella via Roma una gigantesca galleria d’arte. Miss Lala Zhang propone, non solo di curare questa esposizione di artisti sardi, ma di invitarli ad andare ad esporre a Pechino, dove la sua associazione gestisce uno dei più importanti centri d’arte della capitale, proponendosi in seguito di invitare a Cagliari un numero equivalente di artisti cinesi, durante un’édizione successiva di questa grande galleria d’arte sarda ed internazionale. Naturalmente non posso fare altro che invitarvi a visitare il Bar sotto il Mare e ad ammirare (o a criticare secondo le vostre inclinazioni) le mie linografie ed i miei filmati. Sarà anche un occasione di ritrovare certi componenti della mia vasta famiglia che per tante ragioni ed anche per il breve tempo della mia presenza cagliaritana, non riesco sempre ad frequentare. Durante questo fausto periodo ricorre anche l’evento dei miei settant’anni e mezzo che succederanno il 16 ottobre ed anche il novantatreesimo compleanno di mia madre, Elena Cillocu (pour ne pas la nommer) che cade il diciannove ottobre. 9



Come vedete le occasioni non mancheranno per venire a brindare al Bar sotto il Mare, anche se non amate le linografie ed i films sull’arte, apprezzerete almeno qualche trasmissione di Sardonia in italiano. Vi aspetto comunque per festeggiare tutte queste occasioni e per ritrovarci intorno al “verre de l’amitié” come dicono a Parigi... « Non so se mi crederete. Camminavo una

notte in riva al mare di Brigantes, dove le case sembravano navi affondate, immerse nella nebbia e nei vapori marini, e il vento dà ai rami degli oleandri lente movenze di alga. Non so dire se cercassi qualcosa, o se fossi inseguito: ricordo che erano tempi difficili ma io ero, per qualche strana ragione, felice.»

“Il Bar sotto il Mare” Stefano Benni 1987

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i sono sempre chiesto come e perchè abbia voglia di fare qualche cosa piuttosto che qualche altra ed fino ad adesso non ho ancora veramente trovato la risposta. Mi voglio riferire naturalmente a certe azioni che solitamente si possono qualificare di artistiche quali, disegnare, incidere, scolpire, ma anche scrivere un romanzo, una poesia, fare delle fotografie cercando di restituire un particolare effetto, ma anche arredare una stanza oppure un intero appartamento, creare una installazione effimera, ed anche riuscire una ricetta di cucina, il campo è vasto e forse sono un pò presuntuoso a qualifi-


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care tutte queste mie azioni di artistiche e dimenticavo in più il fatto di concepire, disegnare, seguire e realizzare un progetto di architettura. Credo di aver sempre disegnato fin da bambino, mia madre mi racconta spesso la storia del disegno che incominciai a tracciare al ritorno di un giro in vespa con mio padre, dove rappresentavo una macchina schiacciasassi come non era difficile di incrociarne a quell’epoca dove venivano create le strade dei nuovi quartieri di Cagliari nel dopoguerra. Mio padre mi fece notare cher avevo disegnato tre fumaioli mentre sulla macchina ce n’erano solo due, insistei che ce n’erano tre e lui insisteva su due, allora decise che saremo andati a controllare e, ripresa la vespa, uscimmo di casa. Al ritorno mia madre chiese immediatamente «Allora quanti sono?» ed io levai la mano con tre dita aperte e penso l’aria soddisfatta. Ho sempre avuto una memoria visiva molto sviluppata, in seguito visitando un appartamento da ristrutturare, quando ci si installava con il cliente perché ci indicasse che cosa avrebbe voluto veder realizzato, suscitavo sempre un certo stupore perchè tracciavo sotto i loro occhi la pianta, dopo solo un unico soppraluogo e con le diverse dimensioni degli ambienti ampiamente rispettate. Tra i miei disegni più famosi ci fu quello nel quale, dopo una visita ad una zia malata e costretta a letto, la rappresentai senza dimenticare il suo petto voluminoso, ed alla domanda «Ma questi che cosa sono?»


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risposi «Sono i polmoni di zia Gilda!». Dovevo avere tre anni o giù di li, e disegnavo quello che vedevo intorno a me, naturalmente continuai durante tutta la mia scolarità alle elementari ed alle scuole medie. Il mio desidero era quello di diventare architetto e mi ricordo che immaginavo già quando abitavamo in via Firenze, in un piccolo appartamento che dava su di un vasto cortile che però era incassato rispetto al livello della strada, ci si accedeva attraverso una decina di gradini, sognavo di costruire una torre che avrebbe superato in altezza le costruzioni vicine e sarebbe stata vista dalla strada. In seguito mi ricordo che ebbi un periodo astratto durante il quale dipingevo con la tempera strane forme su dei cartoni, dandogli cone titolo «Pipe indiane» indiane in riferimento ai Pellerossa che naturalmente facevano parte delle immagini alle quali avevo accesso sia attraverso i libri che i fumetti che un mio zio, che lavorava in un istituto salesiano a Roma, ci portava dopo averli confiscati agli allievi, quando veniva a Cagliari a passare le vacanze ed a sorvegliarci al Poetto (sono il primo di sei figli nati nello spazio di otto anni). Ho così sperimentato diverse tecnique come la tempera, l’acquarello, ma anche i pastelli di cera, che mi piacevano molto e con i quali riempii diversi quaderni che portavo spesso con me. All’Istituto tecnico per Geometri mi feci bocciare per due anni di seguito, con grande dispiacere dei professori che si lamentavano con mia madre dicendogli «suo figlio é intelligente ma non vuole lavorare».


Mio padre allora mi mise a lavorare nel suo ufficio, era agente di diverse compagnie di assicurazioni ed aveva creato un agenzia di pratiche automobilistiche. Devo precisare che l’ultimo esame che feci all’Istituto tecnico per Geometri fu quello di francese, dove presi un bel quattro, offertomi dalla professoressa Valentino, che in seguito e dopo la mia installazione a Parigi, avrei voluto incontrare nuovamente. Imparai allora il contatto con le diverse amministrazioni quali Ispettorato della Motorizzazione Civile, Pubblico Registro Automobilistico, ma anche Automobil Club e Prefettura, Tribunale, etcetera. Devo riconoscere che questo apprendistato mi é stato molto utile in seguito, ma non anticipiamo. Nonostante tutto non ero soddisfatto della mia situazione anche perché non ricevevo alcun salario (cosa molto comune all’epoca), ed il mio desiderio di diventare architetto era sempre più insistente, anche perché attraverso i contatti che avevo con i miei coetanei attraverso i pomeriggi nei clubs dove si ballava ed altre occasioni sociali, mi rendevo conto che senza un titolo di studio non si poteva far granché. Così quando compii il ventunesimo anno di età informai mio padre che avevo l’intenzione di riprendere gli studi ed avendo appreso che il Liceo Artistico, a quell’epoca privato e pagante, organizzava dei corsi di disegno pubblicitario ed altre tecniche grafiche, mi sottoposi ad un esame per valutare le mie capacità

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artistiche e fui ammesso. Foiso Fois, Primo Pantoli e a volte Antonio Mura furono gli insegnanti con i quali sperimentai non solo l’aquarello, il carboncino, la sanguigna, ma anche diverse tecniche incisorie. Fui immediatamente attratto dalla linografia sia per la semplice ragione che si poteva stampare l’incisione ottenuta a mano, senza bisognio di un torchio ma anche per la sua caratteristica di non permettere ripensamenti ed anche errori, anche se ne commisi diversi che si possono ancora notare in alcune delle mie lastre, errori che cercai di correggere o di trasformare in altre immagini. La prima linografia che è riprodotta in questo catalogo è stata effettivamente la prima che ho realizzato. Avevamo libera scelta del soggetto. Rappresenta un castello poggiato su di un roccione, dotato di un unica porta rinforzata e dotato di un unica apertura, in un cielo particolarmente cupo e minaccioso. Solamente quasi quarantacinque anni dopo ho capito che questo disegno è un’immagine autobiografica, in effetti mi sono rappresentato ed incosciamente mostravo il mio stato d’animo di allora. Si può anche notare che non avevo completamente integrato il fatto che la stampa dell’immagine l’avrebbe fatta apparire al contrario, la firma è quindi incisa in maniera erronea.


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Non é certamente casuale la scelta di una costruzione architettonicamente indentificabile e piuttosto autonoma nella sua maniera di posizionarsi sul territorio, in ogni caso un’immagine particolarmente rinchiusa in se stessa e senza molti rapport con l’esterno, penso che a quell’epoca ni dovevo sentire piuttosto rinchiuso e solitario in un mondo ostile. Certo la cessazione del mio rapporto lavorativo non si era svolto nel migliore dei modi e dalla parte di mio padre c’era un certo risentimento e collera nei miei confronti. Per di più la mia storia d’amore con una giovane fanciulla cagliaritana si era appena conclusa e ero stato lasciato sia perchè la madre della signorina non mi trovava abbastanza notabile per i suoi gusti (il padre della donzella era il direttore dell’Ente Sardo della distribuzione elettrica ed abitava nel Palazzo Tirso) sia perchè l’amata aveva trovato qualcuno che corrispondeva o almeno credo, ai desideri della madre e sicuramente ad i suoi. Comunque, continuai a produrre diverse linografie, come potete vedere illustrate qui di seguito, cercando di sfruttare tutte le possibilità del media ed ispirandomi a delle immagini ricavate sia da giornali, che dalla televisione ma anche da esperienze personali, come le visite frequenti all’Ippodromo di Cagliari oppure a certi paesi dell’interno della Sardegna. Uno dei temi che poi ho spesso sviluppato é stato naturalmente quello della strada dove un lato é in ombra e l’altro al sole, permettendo così dei contrasti


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netti, ma anche cercando di creare sfumature più sottili e passaggi dal bianco al nero più graduali e più sofisticati. Sono inoltre sempre stato appassionato di autovetture, anche se penso ed ancora oggi ne sono convinto , certi modelli del passato come per esempio l’Alfa Romeo 8C 2900, ed altre che ho cercato di rappresentare erano sicuramente più belli e più tecnicamente omogenei e direi quasi sinceri, ho sempre pensato inoltre che l’aspetto attuale delle autovetture, che le fà assomigliare a delle scatolette, inspira un falso sentimento di sicurezza, instillando l’idea di di una resistenza agli urti che non corrisponde assolutamene alla realtà. Mi sono convinto, forse a torto, che quando le ruote dell’avantreno sono in vista o appena coperte da parafanghi, si ha più facilmente il sentimento della vulnerabilità che dovrebbe quindi condurre ad uno stile di guida più prudente. L’aggiunta di sistemi elettronici che promettono la correzzione di tutti gli errori commessi durante la guida, dovuti sopratutto alla velocità eccessiva, anche in rettilineo, non mantengono sempre le loro promesse e l’ignoranza della dinamica dei corpi in movimenti si aggiunge a questo fenomeno di illusoria impunità. In questi ulimi tempi mi sono anche detto che la maggior parte delle vetture attuali non hanno un aspetto che si adatta alla maggior parte delle città europée che spesso hanno mille e più anni di storia, e immagino che si potrebbero costruire delle replique di certe


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Mercedes Benz, Rolls Royce ed altre Alfa Romeo, dotate di motore elettrico ma con rifiniture in materiali pregiati come legno, cuoio, etcetera, risalendo alle origini stesse delle automobili che si inspiravano non solo alle carrozze ma anche alle barche, anche perchè avendo perso la necessità dell’aereodinamismo della loro silhouette e circolando più sovente a 30 chilometri all’ora che a cento, potrebbero sposarsi armoniosamente e silenziosamente con i panorami urbani della maggior parte delle nostre città. Trovo inoltre che il confronto tra quelli che erano i motori dell’epoca con la natura circostante mostra molto più chiaramente il rapporto che esisteva tra questi meccanismi e il paesaggio nel quale erano stati generati. Senza contare che la tecnica automobilistica, fino a quasi la fine degli anni sessanta, era accessibile ai più volonterosi, e potevo assolutamente riparare tutti gli inconvenienti, assai rari d’altra parte, della mia prima autovettura una Fiat nuova 500, che potevo smontare e rimontare senza alcun problema. Non ho rappresentato quella che per me rimane la vettura più bella e più significativa di tutti i tempi, la 275 GTB della marca Ferrari, che fu costruita con l’idea di avere, un motore ed un guidatore, senza alcun servo freno o sterzo. Diventata oggi un oggetto di grandissimo valore e disputata a fior di milioni di dollari all’occasione delle rare aste nelle quali si può ancora trovare uno dei suoi esemplari.


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Aggiungerei che già in questo caso ci troviamo diffronte ad un oggetto che per la sua forma può rivaleggiare con le sculture contemporanee e mi sono reso conto che una delle ragioni che hanno fatto lievitare il prezzo di certe vetture é stato il fatto che una certa categoria di collezionisti, trovandosi a disagio con un tipo di produzione artistica denominata Arte Contemporanea, ha preferito rivolgere il suo interesse verso degli oggetti prodotti alla stregua di opere d’Arte, con la stessa cura maniacale, lo stesso impegno, la stessa passione e la stessa dedizione che certe opere di difficile ed astrusa comprensione, senza contare la differenza fondamentale costituita dalla mobilità intrinseca e la capacità non ultima di poter trasportare una o due persone, a delle velocità spesso notevoli, una realizzazione futurista in un qualche modo senza contare l’interesse seduttivo e finanziario. Dopo questo tirocinio estremamente denso ed istruttivo potei finalmente integrare il Liceo Artistico, diventato nel frattempo Statale e quindi molto meno oneroso per le mie tasche. Anche in quell’occasione ebbi la chance, l’opportunità ed il piacere di incontrare dei professori di cui conservo ancora il ricordo imperituro del loro insegnamento artistico ed architettonico. Rosanna Rossi ed Italo Antico, che anche loro insegnavano per la prima volta in quello stabilimento, mi aprirono veramente le porte di un mondo che avevo solo intravisto o sognato ardentemente.


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Ancora oggi posso dire che le lezioni d’allora mi servono sempre ed ultimamente, incontrando Angelo Liberati mi sono ritornati in mente gli esercizi che Rosanna Rossi ci faceva eseguire con il trychlorethylène, transponendo delle immagini ricavate da rotocalchi ed altre pubblicazioni, per poi trasformarle, arrichirle o cambiandone il senso e l’obiettivo con interventi grafici e pittorici. Una parola a parte merita l’insegnamento dell’architettura che ho ricevuto dalla parte dell’Ingegniere Romano Antico, che ci ha lasciati troppo prematuramente. Ultimamente uno dei suoi figlioli mi ha trasmesso la copia di una lettera che gli avevo inviato nel dicembre del 1970, subito dopo essere stato assunto in qualità di Capo Progetto in un importante studio di architettura parigino, nella quale lo ringraziavo di avermi insegnato ad utilizzare al meglio il mio cervello. Debbo sinceramente ammettere che non ho frequentato nessun altra scuola ne Università di Architettura fino al 1976/1977 dove ho conseguito la Maitrise in Urbanistica all’Università Paris VIII Vincennes, ed i mesi trascorsi nel 1977 et 1978 all’Istituto di Architettura di Venezia, dove, troppo impegnato nei progetti parigini e le conseguenti realizzazioni non mi potevo dedicare completamente al conseguimento del diploma. E solamente durante il mio soggiorno newyorkais e grazie al mio amico Pierre André Delpierre, insieme al quale avevo partecipato a diversi concorsi in Francia,


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tra cui quello per l’Opéra Bastille, che appresi che potevo regolarizzare la mia situazione grace alla Lois pour l’Architecture 1977, cio accadde nel dicembre del 1984, quando la Gazette Officielle de l’Etat Français, pubblicò la tanta attesa riconoscenza del titolo di architetto, che mi pernise, nel marzo del 1985, di iscrivermi all’Ordre Régional des Architecte de l’Ile de France. Potevo dire «Finalmente!». Durante tutto questo periodo ho sempre continuato a disegnare, arricchendo i numerosi concorsi ai quali ho partecipato con delle prospettive di taglia rispettabile, grazie all’apprendimento dei segreti di un metodo, descritto nel Manuale dell’Architetto Edizione del 1954, che conservo ancora gelosamente, che mi permettevano di eseguire un disegno molto vicino alla realtà con un sistema di presa di misure che riportavo direttamente dalla pianta del progetto sulla linea di terra e d’orizzonte. Sono assai fiero di aver realizzato delle prospettive per dei concorsi come il «Musée des Sciences et Tecniques de La Villette», il «Parcours Pietonnier por le Centre de Bruxelles», i «Logements Universitaires à Salouel», il «Projet pour la Petite Roquette à Paris», i «Logements e équipements à Marne La Vallée», e l’ «Hotel à Le Marin», gli «Archives de la Martinique», e tanti altri su più di 190 progetti studiati e un centinaio realizzzati, tra cui 19 premiati su 44 concorsi resi..


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Ma più che nella realizzazione di prospettive credo di essermi molto più divertito ed aver raggiunto un certo grado di perfetta realizzazione, nel disegno di assonometrie che avevo trovato sempre estremamente interessanti sopratutto in certi libri che riportavano quelle realizzate tra le due guerre dagli architetti più in voga del momento. Ricordo particolarmente il Concorso per «La Grande Forme a Rochefort» che interessava una vasta zona che comprendeva dalla stazione ferroviaria agli antichi cantieri naval cioé due o tre quartieri della città. Il bando di concorso specificava che la rappresentazione doveva essere necessariamente un’assonometria. Vista la taglia del disegno e la scala imposta, il mio tavolo da disegno non sarebbe bastato e avrei dovuto letteralmente coricarmici su per completare la rappresentazione. Ebbi cosi l’idea di fare come se l’assonometria rappresentasse il plastico della zona e che questo plastico fosse stato tagliato in porzioni congrue e poi ricostituito lasciando però evidenti i tagli operati e non congiungendo completamente i diversi elementi cosi realizzati. Ciò mi permise di disegnare degli elementi di una taglia compatibile con il mio tavolo da disegno e nello stesso tempo abbastanza grandi e dettagliati da dare una rappresentazion esaustiva del progetto proposto. Il progetto non fu selezionato per diverse ragioni, ma rimane per me l’esempio di una possibilità di utilizzare il disegno fino alle sue estreme


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conseguenze considerandolo non unicamente come un insieme di segni su di un foglio translucido ma come un’entità indipendente. Naturalmente durante tutto questo tempo non sono mancati gli schizzi preparatori ed i disegni esplicativi a mano libera, cosa che mi ha permesso di esercitarmi continuamente, ed è in questi ultimi vent’anni che ho spinto questa attività a tramutarsi in quella di una rappresentazion realistica dei progetti di restaurazione di appartamenti, uffici e boutiques, per permettere ai committenti, che spesso non riescono a decifrare un piano o una sezione, di capire meglio le mie proposte e di incominciare ad immaginarle prima ancora che venissero realizzate. Questo mi ha spinto quindi ad una più grande precisione nella restituzione degli interni, della mobilia e degli elementi che arredano uno spazio, ed è con un mal celato orgoglio che ho potuto constatare che, a volte, il cliente ha non solo conservato il disegno preparatorio, ma l’ha fatto incorniciare e l’ha disposto sulle pareti dell’ambiente rappresentato, quasi a certificare che quello che era stato solamenteimmaginato era finalmente diventato realtà tangibile e verificabile. Questo tirocinio mi ha cosi, mio malgrado, preparato alla ripresa delle linografie che è avvenuta in un modo un pò inconsueto e che naturalmente non avevo nè immaginato nè previsto ma andiamo con ordine. Avendo ricevuto una domanda della Cassa Previdenza Pensioni ed alla ricerca di documenti, capitai


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sulle lastre delle linografie realizzate nel 1968-1969 e carezzai l’idea di realizzare un’esposizione, ma per il momento non ne feci niente. In seguito, realizzando un filmato all’occasione della mostra di un’amica scultrice, feci la conoscenza di Marie-Amélie Anquetil, Fondatrice e Conservateur du Musée du Prieuré a Saint Germain en Lay, autrice di numerosi saggi su Gauguin e specialista dei Nabis. Abbiamo immediatamente simpatizzato e quando gli parlai di questa collezione di linografie, mi invitò molto generosamente a realizzare una mostra nel suo Atelier a Parigi, atelier che era stato costruito espressamente per il pittore Henri Pinta (Marseille 1856 - Paris 1944), le cui opere decorano numerose chiese parigine oltre ad essere presenti in musei e collezioni private. Accettai naturalmente fino a redigere un catalogo per il quale ebbe la gentilezza di scrivere un testo di presentazione delle mie linografie e di una tempera, realizzata nel dicembre del 1969, che era stata acquistata da mia zia a quell’epoca e che potei recuperare all’occasione del suo decesso. Questa tempera, che raffigura un arlecchino che batte a macchina come se suonasse il piano, fu acquistata da Marie-Amélie Anquetil che mi manifestò tutta la stima e l’ammirazione possibile per le mie linografie invitandomi a riprendere in questa strada ed arrivando fino a scegliere una tra di esse, quella raffigurata nella pagina 41, per il suo cartone di auguri di fine d’anno.


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Questa immagine, che vuole rappresentare la più grande forza dell’Amore rispetto a quella del Denaro, rappresentato qui a testa in giù e quindi perdente. Nell’immagine c’é anche un «atout» che rimane nascosto ed é quello che ciascuno di noi possiede e sfodera al momento opportuno pe risolvere una situazione difficile o semplicemente per vincere definitivamente con l’Amore dalla sua parte. Così non ho voluto deludere Maria-Amélie alla quale proposi nello stesso tempo di creare un piccolo giornale, che esiste ancora oggi sotto il nome di «Ici, là-bas et ailleurs» che relate le numerose, quarantadue ad oggi, esposizioni che insieme abbiamo organizzato, prima nell’Atelier del pittore Henri Pinta, 23, rue du Géneral Bertrand a Parigi 75007, dove furono accolte anche le opere fotografiche di Giulio Barrocu, torinese residente a Cagliari da più di dieci anni, successivamente Presidente dell’associazione SARDONIA Italia che organizzò a partire dal novembre del 2016 la serie di «Cagliari je t’aime» al Lazzaretto ed alla M.E.M. Mediateca del Mediterraneo di Cagliari, con le opere di Camille Revel prima e quelle di Sophie Sainrapt poi. L’attività de «Ici, là-bas et ailleurs» si é prolungata successivamente nel Centre d’Art Paris Aubervilliers, creato sul bordo della comune di Parigi, a Aubervilliers, a centicinquanta metri dalla stazione della Metropolitana Les Quatres Chemins- Aubervilliers, dotato di un giardino e di due belle sale


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d’esposizione che hanno accolto finora una ventina di esposizioni tra lequali quelle delle fotografie di Roby Anedda, fotografo cagliaritano, distintosi con le immagini che ritraggono in modo veramente apprezzatto dall’artista, le sembianze di Sophie Sainrapt durante la sua performance al Lazzaretto. Oltre alla mostra nello spazio nel Centre d’Art Paris-Aubervilliers, avevamo già invitato Roby Anedda a partecipare all’esposizione «Le Merveilleux» insierme ad una quarantina d’artisti all’Abbaye Royale du Moncel, a Ponpoint, a una sessantina di chilometri da Parigi. Per finire le sue fotografie furono esposte a fine dicembre anche alla Galleria 34 Bonaparte, al centro di Saint Germain des Près, polmone artistico ed intellettuale della capitale francese. Le prime linografie prodotte dopo tanto silenzio furono quelle che parteciparono alla celebrazione del cinquecentesimo anniversario della morte di Miguel de Cèrvantes, illustrando il suo personaggio principale, Don Quichotte de la Mancha, con una maniera di presentarlo mentre cavalca un Mondo Donna, tale quale se lo immagina il nostro Vittorio E. Pisu. Un uomo minuscolo e un po anacronistico di fronte ad una Donna che rappresenta, a lei sola, il Mondo intero.


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Forse la sola nota di ottimismo é constituita dal fatto che lascia le sue illusioni, i famosi mulini a vento, dietro di lui, e che avanza impavido verso il suo destino. Queste linografie, insieme ad una vista del porto di Cagliari (pagina 49) furono esposte alla Gallerie da Vinci Art, nel secondo arrondissement di Parigi, vicino alla Porte Saint Denis, nel quartiere che fu quello della moda all’ingrosso e del pret-à-porter, oggi quasi completamente occupato da bars alla moda, negozi di primizie e di alimentari biologici e gallerie d’Arte . Per parlare di questa linografia della pagina 49 penso che sia stata quella che gli ha richiesto l’impegno più importante e nella quale ha voluto sperimentare una situazione nella quale il nero è assolutamente la parte preponderante dell’immagine. Realizzata a partire da schizzi eseguiti nel porto di Cagliari, introduce comunque un elemento personale con il nome del battello. Elena é infatti il nome della madre di Vittorio, ma anche quello della donzella cagliaritana che fu l’oggetto dei suoi se non proprio primi sentimenti amorosi, almeno tra i più importanti. La storia si concluse comunque in modo molto definitivo perché, incontrandola all’occasione di un suo rientro a Cagliari nel settembre del 1970, apprese così che si stava per sposare. Chiedendogli se frequentasse sempre l’Università si sentii rispondere : «il mio innamorato mi ha detto «perché vai all’università? Sei una donna!»


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«Cosi non ci vado più». mi rispose. Frase che mise un finale definitivo ed indolore ad una storia che in seguito darà anche lo spunto ad un’altra creazione, ma questa è un’altra storia di cui parleremo un’altra volta. Dopo la realizzazione delle linografie su Miguel de Cervantes, ed alla ricerca di un tema sufficientemente vasto per permettere una declinazione conseguente é all’occasione della mostra realizzata a Cagliari al Lazzaretto ed alla Mediateca Mediterranea delle opere di Camille Revel, grazie all’intervento di Giulio Barrocu, e durante la trasmissione a Radio X insieme a Sergio Benoni, Vittorio E. Pisu ha riconosciuto, non senza una certa emozione, in queste cere ed in questi olii dai colori slavati, quelli dei casotti della sua infanzia e della sua adolescenza. Capita spesso di incontrare nelle esposizioni e le mostre che ultimamente sono state presentate a Cagliari, ma anche a Parigi ed in altri luoghi, delle esplicazioni che fanno risalire l’inspirazione dell’artista a delle citazioni letterarie se non dichiaratamente biblique e sopratutto a delle intepretazioni e trasposizioni di quelle che sono le vicissitudini epocali, sia collettive che personali, chiamando in causa sia le espressioni peggiori del genere umano per denunciarle e combatterle, sia semplicemente per renderle palesi ai più ed invitare l’assistenza ad una riflessione più incisiva ed accurata, ed eventualmente a delle azioni che permettano o che almeno favoriscano la correzione degli errori,


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delle infamie, dei soprusi sia verso se stessa che verso il mondo animale o il pianeta nel suo insieme, di cui l’umanità é capace di macchiarsi. Non troverete niente di tutto questo nel lavoro di Vittorio E. Pisu. La sua ispirazione è sempre personale e riflette quello che ha vissuto, quello che ha visto, quello che ha capito o non ha ancora capito. Non contiene nessuna risposta alle interrogazioni che ciascuno di noi può legittimamente porsi, non cé nessuna introspezione di fenomeni personali o generali altri che quelli che ha potuto sperimentare personalmente e, se eventualmente alcune di queste domande o risposte potessero trovarsi nei suoi disegni, nelle sue linografie, come anche nei films che realizza all’occasione delle numerose mostre che illustra da più di dieci anni, comprese anche quelle che organizza con Marie-Amélie Anquetil, e che oggi si avvicinano al migliaio di filmati realizzati e diffusi, questo sarebbe suo malgrado. Al tempo stesso questa situazione gli permette di scoprire anche nelle opere che crede di padroneggiare al meglio, la parte che necessariamente gli sfugge ma che sta cercando e di cui nutre il suo lavoro, che si esprime anche attraverso le due riviste principali di cui é fondatore e direttore, Palazzi A Venezia, mensile d’arte e di cultura in francese, giunto al suo trentesimo anno d’età insieme a SARDONIA, più giovane di quattro anni, mensile che edita in italiano e che tratta naturalmente della Sardegna


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Questa attività di scrittura, iniziata nel 1973, con la creazione di «Prevoir et Dormir» mensile di poesia, in francese, edito insieme a Olivier Buchotte ed Olivier Vallée e distribuito alla mano ma al prezzo di dieci franchi (una cena al Quartier Latin all’epoca) gli ha permesso di incominciare a utilizzare la scrittura come mezzo di espressione specifico nella creazione dei suo progetti architettonici ed urbanistici. Prima di incominciare a disegnare un progetto a partire dal programma proposto dal committente o dall’organismo organizzatore del concorso, ha sempre redatto un testo di intenzioni, che ha preso spunto da una sua esperienza personale, un ricordo, un film ma anche qualche volta dalla lettura di un testo letterario che lo aveva particolarmente ispirato, come «Les Larmes de Eros» di George Bataille, a partire dal quale disegnò completamente il progetto per un insieme di Uffici, poi realizzati all’uscita della ferrovia regionale R.E.R. a Saint Quentin en Yvelines. Ogni volta un nuovo testo preparatorio gli é stato utile per non perdersi all’interno dei progetti, spesso molto importanti ai quali ha lavorato, come quello dell’Opéra Bastille. Palazzi A Venezia, la rivista ormai trentennale, che ha seguito le numerose mostre che ha organizzato già a partire dal 1989 prima nel suo appartamento al centro di Parigi, poi a Montreuil nella villetta che gli fu generosamente prestata da Alain Hugon, architetto e sublime maquettiste con il quale ha anche realizzato alcuni dei plastici più significativi


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della sua carriera, come quello dell’INFOMART, (già creato a Huston -Texas, da Trammel Crow) a La Défense a Parigi, e quello del Block 64, complesso di uffici a Beyrouth (Libano) voluto dal primo ministro libanese Hariri, comme gage della ricostruzione della città dopo la guerra civile, finalmente vinto da un architetto inglese. Aldo Rossi , noto architetto italiano, prematuramente scomparso, dei cui scritti ed opere Vittorio E. Pisu si è abbonatemente nutrito (incontrandolo anche all’occasione di una conferenza che tenne a Parigi a L’Institut de l’Environnement, attuale Cité de l’Architecture a Paris Chaillot), era stato invitato a questa consultazione, ma preferì non parteciparvi avendo avuto notizia del fatto che il risultato era già stato deciso. L’architettura può essere anche questo, una grande fonte di delusioni e di amarezze sopratutto quando le competizioni non sono leali, rimane sempre però la satisfazione di aver prodotto qualcosa, un progetto completo e pronto a funzionare e che in ogni caso potrebbe anche essere ripetuto altrove, come l’INFOMART, un palazzo d’esposizioni costituito da un quadrato di centoventi metri di lato, con al suo centro il vuoto di una sfera delimitato dai tre piani che lo costituivano e materializzato da una cupola di sessanta metri di diametro, ricoperta da un elemento tessile garantito venticinque anni all’epoca in confronto alla normale garanzia decennale delle coperture tradizionali, e costituita da una struttura tridimensionale visitabile .


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Per il Block 64 a Beuyrouth il discorso, é diverso perche l’insieme è stato concepito tenendo conto delle due moschée che si trovavano a prossimità e da una riproduzione metaforica del paese stesso attraverso una fontana che percorreva come un rigagnolo tutto il cortile per gettarsi poi contro l’insieme delle scale che conducevano al sottosuolo, dove la cascata che ne risultava serviva d’elemento di identificazione dei diversi piani del parcheggio, come le maioliche che la rivestivano interamente e il cui colore, diverso ad ogni piano, si stemperava all’aria libera in un blu sempre più tenue per arrivare al bianco all’ultimo piano. Prolongando le arcate della via principale si affacciavano le boutique previste al piano terra mentre le finestre degli uffici erano decorate da un moucharabier special mente ideato per l’occasione, un sistema di teli comandati elettricamente copriva inoltre il cortile interno permettendo di ripararsi dal sole nelle ore più calde, ritraendosi in seguito alla fine del pomeriggio e durante la notte. Durante questo periodo in cui Palazzi A Venezia organizzò le sue esposizioni di pittura e di fotografie insieme a due esposizioni di gioielli, durante la quale fu anche ideato il cofanetto precisamente a questo scopo di custodia e di trasporto, inspirandosi ai piani del Palazzo A Venezia, progetto fantasmatico che il nostro offri come regalo di Natale alla sua bella newyorkaise ma italiana di nascita con la quale trascorse qualche anno nella grande mela.


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volte le peripezie di certe opere possono prestare a sorridere. La maggior parte di queste linografie, per esempio, sono state realizzate esattamente cinquant’anni fa, nello stabile che ospitava al suo tempo il Liceo Artistico quando era ancora una istituzione privata situata nella via Sant’Eulalia. A quel tempo Vittorio E. Pisu si era appena iscritto ad un corso di disegno e di tecnica pubblicitaria creato dal professor Foiso Fois, durante il quale ebbe l’occasione di cimentarsi con diverse forme di espressione plastica e la linografia fu quella nella quale si espresse attraverso la produzione di venticinque linografie, che gli permisero, l’anno successivo, di finanziare il suo viaggio a Parigi grazie alla vendita a numerosi clienti, notai ed avvocati, dello studio professionale del suo genitore. Questo viaggio, nato all’inizio come una semplice vacanza, si tramuto’ in una residenza stabile che dura ancora oggi. Naturalmente il nostro artista non ha mai dimenticato la sua citta natale, nella quale ogni anno ritorna e dimostra tutto il suo amore fino a creare una manifestazione dal nome explicito di «Cagliari je t’aime» invitando degli artisti francesi ad esibirsi al Lazzaretto ed alla MEM. Dopo aver riproposto le sue opere nel 2014,, ha ripreso a crearne delle nuove, all’occasione del cinquecentesimo anniversario della morte di Miguel de Cervantes. Oggi le sue linografie anziane, accompagnate dalle piu recenti, si propongono al giudizio critico dei cagliaritani e forse anche dei turisti che finalmente affollano la sua citta. Il tema che ha scelto ultimamente, quello dei casotti del Poetto, ormai solo un ricordo nella mente dei cittadini che ebbero l’opportunita di conoscerli ed abitarli, vuole ricordare un momento felice della sua storia personale e di quella della sua citta. Elena Cillocu


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a tecnica della linografia é qualche cosa che ho imparato nell’ anno 1968 con dei maestri quali Foiso Fois, Antonio Mura e Primo Pantoli. In quello che era ancora il Liceo Artistico privato, diventato poi statale l’anno successivo, potei sperimentare diverse tecniche di incisione, ma la ragione che mi fece scegliere la linografia fu la possibilità di stampare a mano senza bisogno di torchio. La mia produzione di allora, all’incirca 25 linografie, ebbe un certo successo presso i clienti dell’agenzia di mio padre, in maggioranza notai ed avvocati, che apprezzarono queste monografie bienche e nere per adornare le loro sale di attesa. Questo mi permise di finanziare un viaggio di vacanze a Parigi, dove finalmente decisi di rimanere. Naturalmente non ho mai dimenticato la mia città, la sua spiaggia dove ho passato tante estati; al D’Aquila all’inizio, in un casotto alla quinta fermata in seguito ed al Lido anche quando ormai vivevo a Parigi. Questa serie sui casotti mi é stata inspirata da una mostra, organizzata al Lazzaretto nella serie «Cagliari je t’aime» con la quale ho invitato degli artisti francesi a esporre a Cagliari ed a inspirarsene.


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Le opere di Camille Revel mi hanno opportunamente ricordato i casotti della mia infanzia, ed ho deciso di rappresentarli non solo attraverso le linografie ma anche sulle magliette aumentate da un ricamo per completare il legame che intrattengo con l’arte sarda e che cerco di esprimere con riconoscenza ed ammirazione sperando suscitare gli stessi sentimenti negli spettatori di queste azioni che si pretendono artistiche. Vittorio E. Pisu


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uesta é la prima linografia della nuova serie che Vittorio E. Pisu ha voluto dedicare ai Casotti del Poetto. Il punto di vista scelto é quello che aveva quando era ancora bambino e la sua taglia gli permetteva di vedere facilmente al disotto dei casotti, dove una zona d’ombra costante manteneva una temperatura assai diversa da quella circostante e molto fresca. Sotto il casotto i bambini si divertivano spesso a giocare alla casa, riproducendo quello che vedevano fare dagli adulti e che forse gli stessi non riescono spesso a capire quando esaminano il comportamento dei loro figliuoli che non fanno che ripetere quello che vedono fare, ricostituendo con la sabbia letti e tavoli e giocando alla famiglia. In questa immagine appaiono anche tesi fra i casotti le bandierine ricavate nella carta crepon colorata che venivano confezionate per addobbare la spiaggia intera all’occasione del Ferragosto (Feriae Augusti) dedicato ormai all’ascensione della Vergine Maria in cielo e comunque pretesto a festività. In quel giorno il cielo del Poetto era riempito d’acquiloni realizzati con la stessa carta delle bandierine, offrendo così un’incredibile unità cromatica svolta su più di otto chilometri. Oggi sarebbe una installazione d’Arte Contemporanea, all’epoca era solo la manifestazione di una gioia comune e di una fiera appartenenza ad una comunità solidale. V.E.Pisu


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iprendendo qui una delle maniere che aveva Primo Pantoli di utilizzare a volte le lastre, realizzando più di un disegno sulla stessa, ho voluto qui in questa linografia e nella seguente, rendere ommaggio a quello che fu uno dei mei Maestri. Forse abbiamo un pò perso l’abitudine al rispetto ed alla reverenza che sussistevano ancora enl 1968, anche se in altre parti del mondo una rivoluzione aveva corso, rispetto che portavamo ai personaggi che, più anziani di noi e con alle spalle un lungo percorso umano e artistico, ci istruivano e ci insegnavano la loro arte e non solo. Ricordo che, ancora durante gli anni sessanta, la figura del professore dell’università era considerata il più alto grado della società civile, almeno nell’ambiente nel quale evolvevo ed in tutta la mia famiglia, assai estesa, il fine ultimo dell’esistenza. Ed anche degli artisti come Foiso Fois e Primo Pantoli erano estremamente considerati ed estimati. Mi rendo conto che anche senza volerlo mi sono inscritto mio malgrado in una serie di incisori specificatamente sardi di cui la mia terra si può legittimamente inorgoglire. La xilografia, con un significativo e rappresentativo linguaggio incisorio delle tradizioni e cultura dell’Isola, ha avuto dei grandi e brillanti interpreti tra gli artisti sardi del ’900. I nomi più validi e ricorrenti sono quelli di Mario Mossa De Murtas (1881 – 1966), grande xilografo nato a Sassari, emigrato in Brasile dove realizzò una luminosa carriera; Giuseppe Biasi (1885 – 1945), uno dei


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massimi artefici dell’arte incisoria in Sardegna; Mario Delitala (1887 – 1990), eccelso animatore ed interprete dell’arte sarda del Novecento; Carmelo Floris (1891 – 1960), un gigante nell’arte dell’incisione sul legno e sui metalli; Battista Ardau Cannas (1893 – 1984), artista dalla grande produzione incisoria, legittimata da numerosi riconoscimenti alle Biennali di Venezia ed esposizioni internazionali (Varsavia 1936, Londra 1950); Remo Branca (1897 – 1988), xilografo di fama nazionale ed internazionale e “uomo di ferrata e solida cultura umanistica”; Stanis Dessy (1900 – 1992), artista di chiara fama ed esimio insegnate d’arte; Antonio Mura (1902 – 1972), raffinato incisore della scuola sarda e fedele cultore della disciplina. Conquistarono ed hanno un ragguardevole ruolo nella storia dell’arte incisoria sarda gli stimati Mansueto Giuliani, Gianni Desogus (in arte Xiandès), i fratelli Enea e Giovanni Marras, Carlo Murroni e Foiso Fois; tutti discepoli del Branca che si era stabilito ad Iglesias, dal 1925 al 1936, per motivi politici e “sfuggire ai rigori del regime fascista a Sassari”, a cui aveva espresso la sua chiara opposizione come giornalista e direttore del giornale “Libertà”. Senza dimenticare Vincenzo Becciu (s’amigu de sos poetas) di Ozieri. La linografia derivata direttamente dalla xilografia e immediatamente adottata dai più grandi artisti (Picasso, Matisse, Segui, Mura, Pantoli, Fois, etcetera) a causa della più grande facilità di realizzazione, ha avuto uno sviluppo molto importante a partire dalla fine degli anni sessanta. Vittorio E. Pisu


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a coistruzione qui rappresentata che troneggia ancora oggi sulla spiaggia del Poetto, ha sicuramente avuto un destino singolare. Nata nel 1933, durante l’infausto regime, e nominata Colonia Dux, doveva essere destinata in principio ad accogliere la gioventù arruolata nelle organizzazioni giovanili del regime fascista. La seconda guerra mondiale impedì la sua finizione e destinazione iniziale e, dopo la guerra fu adibita ad ospedale, denominato appunto l’Ospedale Marino. Le alterne fortune di uno degli alberghi realizzato non distante e gestito dall’Esit fecero che le strutture ospitaliere si trasferirono nel fabbricato dell’ex hotel, ormai in disuso, ma più funzionale, lasciando così la grande carcassa dell’ex colonia ai vandalismi ed alle depredazioni consuete di cui sono spesso vittime le costruzioni abbandonate. Le diverse competenze che avrebbero dovuto gestirlo di comune accordo, ossia il Municipio di Cagliari e la Regione Autonoma della Sardegna, subendo peraltro diversi cambiamenti d’orientazione politica che non aiutarono a risolvere il problema, non riuscirono a tutt’oggi a trovare una soluzione di sistemazione decorosa e funzionale o di distruzione completa. Cosi, ancora in questo momento e sicuramente per qualche anno ancora, la carcassa di questo mostro urbano resterà sulla spiaggia del Poetto di Cagliari, monumento imperituro all’incapacità umana a trovare delle soluzioni semplici ai problemi più basilari. Vittorio E. Pisu


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opo una lunga pausa, le stesse sgorbie che aveva adoperato quasi cinquant’anni prima, hanno ricominciato ad essere utilizzate per dare vita ad una serie di linografie che gli é stata ispirata dalla mostra delle opere di Camille Revel al Lazzaretto ed alla Mediateca del Mediterraneo. I Casotti del Poetto erano delle costruzioni di legno, realizzate secondo uno schema preciso secondo due tipologie, due dimensioni standard, piccola 4 m x 2 m, o grande 4 m x 4, allineate in modo da lasciare una congrua distanza fra di esse ed una spiaggia largamente disponibile. Delle costruzioni in legno adibite a abitazione erano già state costruite negli anni ‘30 ed erano allineate intorno ad una strada dotata di illuminazione elettrica, chiamata «la città estiva» ed era molto più importante come dimensioni e come numero dei sui casotti, perché spesso comportavano anche un primo piano oltre che una forma differente. Furono tutti rasi al suolo nel 1944, in previsione dello sbarco degli alleati durante la seconda Guerra Mondiale ed utilizzati come legna da ardere. La seconda fase dei casotti, qui rappresentati, inizia quindi nel dopoguerra con delle dimensioni ridotte come abbiamo visto ma con un entusiasmo consono alla ricostruzione generale del dopoguerra, alla volontà di un più largo accesso al benessere, alle vacanze, al mare ed al sole.


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Cosi questi casotti di proprietà individuale erano installati in file regolari contro pagamento di una licenza di occupazione del suolo pubblico ed un’altra contribuzione alla sorveglianza e controllo notturni e durante i mesi invernali. Naturalmente ogni proprietario o usufruttuario del casotto vegliava particolarmente alla pulizia dello spazio che lo circondava e sorvegliava che nessun visitatore importuno e maleducato lasciasse le sua scorie sul posto. Lungo la strada ferrata che portava i diversi e numerosi tramways dal centro città al Poetto erano distribuite delle costruzioni nelle quali trovavano alloggio i gabinetti divisi in due parti : uomini e donne e delle docce. Ricordero sempre l’odore del disinfettante che era ampiamente distribuito nelle toilette, e incontrandolo a volte nei posti più impensati mi fa immediatamente ritornare in mente la spiaggia del Poetto ed i suoi casotti. Alcune leggende urbane sorte ultimamente su certi social all’apparizione di alcune fotografie dell’epoca ed ultimamente risorte all’occasione della pubblicazione dell’evento della mostra da me presentata alla Galleria M.A.P., vorrebero farci credere a delle visioni d’orrore, di sporcizia, di degrado. Come al solito la gelosia e l’invidia non mancano e penso che ci sono solo due categorie di persone, quelle che hanno avuto sia in proprietà che in usufrutto un casotto e ne hanno goduto per un periodo più o meno lungo, ed i turisti che li hanno frequentati forse


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un paio di volte, se non li hanno visti solamente in cartolina e inventano le menzogne le più spudorate e le più false credendo che potranno cosi, ma quanto si bagliano, cancellare migliaia di ricordi di felicità, di semplicità e di concordia che tutti i cagliaritani e non che li hanno vissuti, conservano e non dimenticheranno mai. Lungo i binari del tram erano anche disposte ad intervalli regolari delle fontanelle d’acqua potabile alle quali tutte le mattine principalmente ma anche il pomeriggio o la sera, venivamo ad attingere l’acqua utilizzata poi nei casotti principalmente per cucinare. Perchè nella maggior parte dei casotti, specialmente in quelli di taglia più grande, una cucina era sempre installata perché il cagliaritano anche e sopratutto al mare, non rinuncia ad un buon pasto preparato con amore e consumato in compagnia spesso e volentieri numerosa, costituita da parenti ed amici. Noi bambini eravamo devoluti alla raccolta dell’acqua e allineavamo le brocche, le pentole, le bottiglie ed ogni altro aggeggio adatto, diffronte alla fontanella e docilmente riempivamo a turno i nostri recipienti. Spesso però una signora, presa dalla fretta, cercava di non rispettare il suo turno e passare prima degli altri. Si svolgevano allora delle succose dispute dove imparavamo un vocabolario molto immaginativo e chiaramente indecente ed non adatto alle nostre caste orecchie, insieme a molti dettagli della vita intima della donne che


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arrivvavano spesso ad accapigliarsi ed a prendersi a ceffoni, provocando quindi l’arrivo dei maschi della famiglia, visibilmente scocciati di essere stati disturbati nel loro riposo all’ombra del casotto o dell’ombrellone. Ma queste scene non erano frequenti e comunque duravano poco, poi tutto ritornava normale e spesso le accapigliate diventavano le migliori amiche della terra intorno ad un bel piatto di malloreddus o di pisci arrustiu. In queste immagini, che spesso rappresentano il Poetto all’inizio o alla fine della stagione estiva, ed alcune anche durante l’inverno con le mareggiate che invadevano l’arenile, avrete notato il volume particolarmente importante delle dune di sabbia che arrivavano fino a superare l’altezza dei pilastrini di cemento. La sabbia del Poetto di Cagliari era bianca, di un bianco scintillante, fine come lo zucchero semolato, d’estate diventava rovente ed era difficile camminarci su a piedi nudi, allora l’ombra dei casotti allineati permetteva di raggiungere la spiaggia senza troppo soffrire. Purtroppo la demolizione dei casotti ha prodotto inevitabilmente la scomparsa della sabbia che non era più trattenuta da questa finta foresta di palafitte di cemento e le soluzioni messe in opera per ricostituirla sono state un disastro ancora peggiore. Oggi la sabbia del Poetto di Cagliari è irriconoscibile per chiunque l’avesse conosciuta fino al 1986, data fatidica della demolizione voluta da un asses-


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sore, appoggiata dal sindaco e promossa e caldeggiata, a quanto ho sentito dire, da un personaggio che sognava di una spiaggia completamente libera, ma che stranamente non ha potuto realizzare completamente il suo sogno perchè se é stato facile distruggere i casotti, la demolizione dei differenti stabilimenti balneari che ancora oggi con le loro costruzioni incombrano l’arenile, si è rivelata alquanto improbabile se non dichiaratamente impossibile, sicuramente confortata da argomenti indiscutibili e che senza dubbio les istituzioni erano e sono nell’impossibilità, non dico di rifiutare, ma neanche di constestare ed ancor meno di discutere. Così gli stabilimenti balneari continuano a mettere a disposizione della loro clientela dei servizi e delle comodità che hanno naturalmente un costo ed un prezzo ed gli altri stabilimenti attribuiti ai diversi corpi come l’Aereonautica Militare, i Carabinieri, etcetera continuano a costellare questa spiaggia che ormai non solo non corrisponde a quest’immagine di spiaggia libera che motivò la distruzione dei casotti ma non se ne avvicina neanche minimamente e se le realizzazioni dei chioschi lungomare hanno certo migliorato l’aspetto e la fruibilità della spiaggia, l’aumento della popolazione e l’affluenza particolarmente importante nei mesi estivi si traducono in una promiscuità ed una densità a metro quadrato particolarmente sgradevole ma purtroppo ormai comune alla maggior parte delle spiagge sia in Italia che altrove.


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Il Poetto non ridiventerà mai più quello che fu e forse é meglio così. Ad ogni epoca il suo teatro, il suo arredo, il suo vestito ed il suo sfondo sonoro. E naturalmente il suo linguaggio. Anche io mi chiedo perché ho voluto riportare alla memoria quei momenti e quelle situazioni ormai lontane ma mai dimenticate. Qualcuno mi ha fatto notare che i casotti erano tutti colorati ed io li rappresento in bianco e nero. Ogni anno i proprietari avevano cura di ridipingerli e dargli un nuovo splendore, riprendendo spesso gli stessi colori come si issa la propria bandiera, oppure audacemente inaugurandone altri forse più consoni a nuove situazioni personali e familiari. Certo le mie linografie sono in bianco e nero, come le vecchie fotografie degli anni passati, ma con i nostri occhi siamo assolutamente capaci di vedere i colori che li rivestivano, come di sentire il rumore della risacca e l’inconfondibile brusio delle conversazioni lungo la spiaggia, ritmate dalla cadenza dei tamburelli che facevano rimbalzare la palla sensa tregua, sublimate da qualche frase acuta tipo «Esci subito dall’acqua, Tonio /Mario / Myosotis/Giulia!» a scelta. Ma sicuramente anche oggi deve essere così, forse solo i tamburelli sono spariti o forse no, tutto ritorna e se il mare è pieno di canoe, planche da surf ed ogni tipo di galleggiante compresi unicorni e coccodrilli gonfiabili, gli ombrelloni e le sedie a sdraio mi


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sembrano essere quasi le stesse e forse qualche superstite di stagioni vecchie di trent’anni sussiste ancora. Mi sembra che stia anche ritornando un desiderio di conservare, piuttosto che di gettare continuamente per qualche cosa di più recente e di più alla moda. Mentre ci stiamo finalmente accorgendo che i nostri propri detriti ci stanno sommergendo mi sembra che pian piano e sicuramente in ritardo sulla necessità impellente e quindi già troppo tardi per assumere atteggiamenti e modi di condotta che già quarant’anni fa alcuni ci suggerivano e che non volevamo ascoltare, stiamo cambiando, se non proprio tutti, almeno abbastanza. Forse bisognerebbe anche rendersi conto che negli anni sessanta la popolazione mondiale era di appena poco più di due miliardi e che adesso andiamo tranquillamente verso i sette miliardi e mezzo se non di più, cosa che già in se dovrebbe farci capire perché la spiaggia é affollata e che non si può continuare cosi. Qualcuno mi ha fatto notare che oggi i casotti sarebbero impossibili, non capisco perché, sopratutto pensando a tutti quelli che ho potuto vedere in altri paesi e le fotografie che alcuni visitatori della mostra mi hanno inviato mostrandomi come in Svezia, ma anche in Danimarca, Germania, Olanda, Belgio e fino in Francia ed in Spagna sussistano sul lungomare rispettivo delle cabine in legno, dipinte con quasi gli stessi colori, per la più grande gioia della popolazione. E noi allora ?


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i ricorderò sempre del professor Tanda, preside del Liceo Artistico, arrivato un giorno all’improvviso nella quarta A dove terminavo l’anno scolastico, chiederci a bruciapelo «Che cosa é l’ARTE», mi guardai bene dall’azzardare una risposta ma in seguito arrivai ad elaborare uno o due concetti che ancora oggi credo validi. Il primo di questi è che l’Arte parla di me, risveglia ricordi o suggerisce risposte, ed è effettivamente quello che è capitato quando ho organizzato insieme a Giulio Barrocu, che ringrazio per il suo interessamento ed il lavoro svolto, la mostra delle opere di Camille Revel al Lazzaretto di Cagliari nell’ottobre 2016. Nonostante frequentassi l’artista ed il suo lavoro da qualche anno, avendo già curato due delle sue mostre a Parigi, é stato a Cagliari, forse grazie alla luce, che ho capito a che punto le sue tavole lignee all’olio ed alla cera, con i loro colori come slavati dal sole e dal mare, mi ricordavano i casotti del Poetto di Cagliari. Casotti dove ho avuto la fortuna di passare una decina di estati da quando avevo cinque o sei anni. Mio padre infatti ne acquistò uno alla quinta fermata, era bianco e verde, ridipinto ogni anno, ed era


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situato in prima fila. Ricordo che ci svegliavamo, mie sorelle, mio fratello ed io, verso le sette del mattino per recuperare la bottiglia di latte che ci veniva consegnata ogni mattina in cambio della nottiglia vuota. Ricordo il mare solitamente molto calmo a quell’ora, con i pesci che venivano fino in riva, e pian piano l’arrivare delle famiglie con ombrelloni e sedie a sdraio. Solitamente andavamo con le brocche a prendere l’acqua ad uno dei rubinetti disseminati lungo le rotaie del tram, oppure a completare con qualche acquisto d’emergenza il necessario per il pranzo che mia madre preparava. La raccolta dell’acqua era un momento particolare, perchè spesso qualche signora cercava di scavalcare la fila e passare prima delle altre, ne seguivano delle dispute particolarmente pittoresche dove noi bambini imparavamo tante espressioni non proprio castigate e tante informazioni sulla vita intima delle contendenti che spesso incominciavano a strapparsi i capelli ed a prendresi a schiaffi. Intervenivano allora gli uomini della famiglia a sedare la disputa, anche se più che innervositi dall’essere stati distolti dal loro far niente all’ombra del casotto o dell’ombrellone:


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Ricordo particolarmente il quindici agosto, giornata durante la quale il Poetto tutto era addobbato da bandierine colorate confezionate con del papier crepon che veniva anche utilizzato per realizzare delle centinaia di acquiloni che nel pomeriggio e fino a sera garrivano al vento. Dei volenterosi liberavano uno spazio sulla sabbia fino a creare un suolo solido ed uniforme che sarebbe servito come pista da ballo dove al tramonto si esibivano coppie provette ed abili in danze sudamericane o indiavolati rock ‘n rolls somministrati da bande improvvisate composte da chitarre, fisarmoniche ed a volte anche qualche tromba. Naturalmente nel casotto noi bambini ci stavamo solo la notte per dormire, il resto del tempo potevamo scorrazzare indisturbati, buttarci in acqua a volontĂ oppure farci una passeggiata fino all’Ospedale Marino o il muro del Lido. Ricordo anche i primi flirts e tante altre storie come le recite che improvvisavamo servendoci di certi casotti con le porte spalancate, come di una scena. CosĂŹ ho deciso di immortalare alcune immagini di cui mi ricordo e forse anche altre inventate e di fantasia in queste linografie per ricordare quei tempi felici. V.E. Pisu


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ittorio E. Pisu è nato a Cagliari dove ritorna spesso e volentieri, dopo una parentesi di cinquant’anni a Parigi ed un triennio a New York City senza contare i suoi numerosi viaggi sia in Europa che in Asia ed in Africa. Le linografie che ci propone oggi sono di recente fattura, risalgono all’anno scorso, ben che la sua attività di incisore, incominciata nel 1968 sotto la direzione di Primo Pantoli, Foiso Fois ed Antonio Mura, si sia interrotta durante un lungo periodo durante il quale ha sviluppato diverse attività Dal 1970 all’anno scorso ha infatti operato in qualità di capo progetto negli studi di architettura parigini prima e poi dal 1985 fino ad oggi, in qualità di Architetto, esercitando la professione liberale per suo conto. Negli ultimi vent’anni ha potuto esprimere la sua abilità grafica e progettuale disegnando numerosissime prospettive per i clienti delle ristrutturazioni che ha realizzato. Disegni che in seguito sono stati spesso incorniciati ed esposti nei luoghi stessi dell’intervento quasi a creare una “mise en abime continue”. Nel frattempo ha anche creato diverse riviste, ancora in pubblicazione, tali Palazzi A Venezia, che festeggia il suo trentesimo anno, e SARDONIA, con solo ventisei anni di paruzione. Prolungamento naturale di queste riviste sono state le trasmissioni di televisione dif-


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fuse via Internet a partire dal 1999, avendo come soggetti l’Architettura, il Paesaggio e l’Arte Urbana (Le Champ Urbain), la creazione contemporanea sia plastica che musicale e letteraria (SPOUTNIK che vuol dire compagno di viaggio in russo) l’attualità della creazione lirica con SOLO OPERA, ed infine SARDONIA ancora in attività e fruibile sul sito vimeo.com/unisvers, come le altre realizzazioni filmate che documentano diverse manifestazioni culturali sia a Parigi, che in Germania, Belgio, Olanda, ma ultimamente e più specialmente diversi vernissages in Sardegna, completate da interviste ad i personaggi emergenti della cultura sarda, serie già iniziata a Parigi con Paolo Fresu nel lontano 1999. La scelta di ritornare alla tecnica della linografia per illustrare dei souvenirs della sua infanzia, corrisponde alla volontà di confrontarsi ad un media che non concede ripensamenti e neanche errori. Cosi come il bianco e nero delle sue immagini che non ci vogliono dare nessuna risposta a nessun quesito esistenziale che ci potremo eventualmente porre. Ci vogliono solamente indicare qualche ricordo, trasfigurato anche dalla tecnica che ci propone immagini sognate od anche inventate. Spetta a noi contemplatori di ricordarci oppure non, che cosa abbiano potuto significare i casotti del Poetto, se mai li abbiamo veramente frequentati, al di là di tutte le leggende urbane che circolano sul


soggetto alimentati per lo più da persone che li hanno visti spesso solo in cartolina. Riprendendo gli scalpelli ed i bisturi che gli permettono di incidere il linoleum, Vittorio E. Pisu, si è scoperto una responsabilità, alla quale avrebbe volentieri fatto a meno, ma che suo malgrado lo iscrivono in una continuità di cui i suoi primi Maestri facevano egregiamente parte. Dopo aver esposto le sue prime linografie (risalenti agli anni 1968 e 1969) a New York ed a Parigi, ha ripreso a lavorare sia sul tema dei Casotti del Poetto che gli é stato inspirato dalla mostra delle opere di Camille Revel, che aveva organizzato al Lazzaretto di Cagliari ed alla Mediateca del Mediterraneo nell’ottobre del 2016, con l’aiuto di Giulio Barrocu, già presidente di SARDONIA Italia, che su invito a partecipare ad una mostra all’occasione del cinquecentesimo anniversario della morte di Miguel de Cervantès, rappresentando naturalmente e copiosamente il suo eroe Don Quiçotte de la Mancha, che su ordine, come l’illustrazione di una quindicina di poesie-canzoni scritte da Olga Sokolow, giovane attrice e cantante, prematuramente scomparsa. Ultimamente il suo soggiorno cagliaritano gli ha inspirato la compilazione di una raccolta di scritti sulle strade della sua città che ha incominciato ad illustrare con la sua tecnica favorita. Le opere di Vittorio E. Pisu non sono sicuramente ascrivibili ad una corrente né contemporanea né classica. 93


Forse anche, in un momento in cui l’immagine fotografica, specialmente quella ottenuta attraverso uno smartphone, invade tutti i media, appaiono dichiaratamente anacronistiche e fuori luogo. Nonostante tutto queste immagini stesse ci invitano a prendere il tempo di lasciarle operare ed aiutarci forse a ritrovare quell’indescrivibile ed impalpabile, nonché praticamente irripetibile, atmosfera che pervadeva quel luogo che, forse abbiamo dimenticato, prima di diventare una spiaggia alla moda, fu un luogo di esecuzioni capitali tra tante altre vicissitudini, per non citare la secca costituita dalla zavorra abbandonata dalle navi pirate barbaresche in vista della spiaggia, o dello sbarco dei volontari marsigliesi, poi sbaragliati da barracelli e scaricatori del porto mentre le truppe sabaude restavano chiuse in Castello, nel 1793, grazie anche all’intervento del Santo Patrono Efisio Gloriosu. Così queste immagini di un altro tempo, ed anche di un altro luogo, perchè il Poetto non potrà mai più ritornare a quello che fu, sono una testimonianza, un gesto nostalgico di amore per la propria città e forse anche per la propria giovinezza ormai lontana. Senza comunque disperare di tutto quello che il futuro ci riserva e per il quale lavora sempre con ottimismo e tenacità Per completare il tutto il nostro poliedrico artista ha anche immaginato di far stampare le linografie su delle magliette e proporle al pubblico sotto il titolo di :


“Indossare l’Arte”. Già i suoi soggiorni newyorkesi o parigini l’avevano confrontato con le nuove attività commerciali dei musei più importanti che propongono al loro pubblico non solo magliette ma anche mugs, piatti, borse ed altri oggetti d’uso arricchiti dalle riproduzioni delle opere d’arte che espongono. Ultimamente il rimpianto Karl Lagerlfeld ha creato una serie di borsette per il noto negozio di estremo lusso Hermès, con le riproduzioni dei dipinti classici tra i più conosciuti, di cui la maggior parte opera di artisti italiani (On ne prète qu’aux riches). Spingendo fino al parossismo questa riproduzione delle opere d’Arte sotto le forme le più diverse, Vittorio E. Pisu, particolarmente colpito da una retrospettiva recente della Galleria Comunale d’Arte di Cagliari, ha voluto arricchire così le magliette linografate con un ricamo a colori che ne sottolinea il bianco e nero aggiungendo una nota cromatica, nonché un elemento di lavoro manuale particolarmente preciso ed impegnativo. La Libreria della via Sulis accetta la sfida e propone, tra le numerose opere di rinomati artisti mondialmente conosciuti, anche quelle di un oscuro cagliaritano, reduce da tante esposizioni, che propone alla sua città ed alla sua memoria un gesto sicuramente d’amore e di melancolica nostalgia di un passato non poi cosi remoto ma, a giudicare dalle polemiche apparse sui social media, ancora vivace. Arcibaldo de la Cruz 95


P

arfois les péripéties de certaines oeuvres peuvent preter à sourire. Certaines de ces linogravures, par exemple, ont été réalisées exactement il y a cinquante ans, dans l’etablissment qui hébergait en son temps le «Liceo Artistico», établissement, alors privé, d’enseignement des Arts Plastiques, situé dans la via Sant Eulalia. A cette époque là Vittorio E. Pisu, a peine inscrit au cours de dessin et technique publicitaire crée par le professeur Foiso Fois, fameux artiste sarde, eu l’occasion de se confronter aux différentes formes d’expression plastique et c’est la linogravure qu’il choisis et au travers des quelles il s’exprima, en produisant près de vingt cinq gravures, qui lui permirent, l’année suivante, de financer son voyage à Paris, grace à la vente des memes auprés des nombreux clients, notaires et avocats, du cabinet professionnel de son geniteur. Ce voyage, né au départ comme une simple vacance, se transformà au fil du temps en une résidence stable qui continue encore aujourd’hui. Naturellement notre artiste n’a pas oublié sa ville natale, dans la quelle il reviens chaque année et à la quelle démontre tout son amour en créeant une manifestation au titre explicite de «Cagliari mon amour» en invitant des artistes francais à exiber leurs oeuvres au Lazzaretto et à la Médiatèque de la Méditerranée, espaces expositifs mis à disposition des associations par la Mairie de Cagliari. Aujourd’hui les linogravures plus anciennes, accompagnées par les plus récentes, se proposent au jugement des habitants de Cagliari et aux nombreux touristes qui finalement déambulent dans sa ville natale. Le théme qui il a choisis derniérement, celui des «casotti» de la plage du Poetto, desormais seulement un souvenir dans l’esprit des citoyens qui eurent l’opportunité de les connaitre et d’y habiter, veux rappeler un moment heureux dans son histoire personnelle et dans celle de sa ville natale. Elena Cillocu traduit de l’italien par V. E. Pisu


S

ometimes the adventures of certain works can lend a smile. Most of these linographies, for example, were made exactly fifty years ago, in the building that housed in its time the Artistic Lyceum when it was still a private institution located in Via Sant’Eulalia in Cagliari. At that time Vittorio E. Pisu had just enrolled in a course of design and advertising technique created by Professor Foiso Fois (well known artist, painter and professor), during which he had the opportunity to test himself with different forms of plastic expression and the linography was that in which he expressed himself through the production of twenty-five «linogravures», which allowed him, the following year, to finance his trip to Paris thanks to the sale to numerous clients, notaries and lawyers, of his parent’s professional studio. This journey, born at the beginning as a simple holiday, turned into a permanent residence that still lasts today. Of course, our artist has never forgotten his hometown, in which every year he returns and demonstrates all his love to create a manifestation with the explicid name of «Cagliari je t’aime» inviting French artists to perform at the Lazzaretto and the MEM. After having repurposed his works in 2014, he began to create new ones, on the occasion of the 500th anniversary of the death of Miguel de Cervantes. Today his past lithographs, accompanied by the most recents, are proposed to the critical judgment of the inhabitants of Cagliari and perhaps also of the tourists who finally crowd his city. The theme that has recently chosen, that of the Poetto «Casotti», now only a memory in the minds of citizens who had the opportunity to know and live them, wants to remember a happy moment in his personal history and that of his city. Elena Cillocu translated from original italian by Google 97


Linografie di ieri e di oggi NOSTALGIA I CASOTTI DEL POETTO Projet Grapique, Maquette et Mise en Page L’Expérience du Futur Impression TIME Service Une édition / Una pubblicazione

Ici, là bas et ailleurs

SARDONIA



Fotografia di Mauro Molledda

Capita spesso di incontrare nelle esposizioni e le mostre a Cagliari, ma anche a Parigi ed in altri luoghi, delle esplicazioni che fanno risalire l’ispirazione dell’artista a delle citazioni letterarie se non dichiaratamente bibliche e sopratutto a delle interpretazioni e trasposizioni di quelle che sono le vicissitudini epocali, sia collettive che personali, chiamando in causa sia le espressioni peggiori del genere umano per denunciarle e combatterle, sia semplicemente per renderle palesi ai più ed invitare l’assistenza ad una riflessione più incisiva ed accurata, ed eventualmente a delle azioni che permettano o che almeno favoriscano la correzione degli errori, delle infamie, dei soprusi sia verso se stessa che verso il mondo animale o il pianeta nel suo insieme di cui l’umanità è capace di macchiarsi. Non troverete niente di tutto questo nel lavoro di Vittorio E. Pisu. La sua ispirazione è sempre personale e riflette quello che ha vissuto, quello che ha visto, quello che ha capito o non ha ancora capito. Non contiene nessuna risposta alle interrogazioni che ciascuno di noi può legittimamente porsi, non c’è nessuna introspezione di fenomeni personali o generali altri che quelli che ha potuto sperimentare personalmente e, se eventualmente alcune di queste domande o risposte potessero trovarsi nei suoi disegni, nelle sue linografie, come anche nei films che realizza all’occasione delle numerose mostre che illustra da più di dieci anni, questo sarebbe suo malgrado. Al tempo stesso questo gli permette di scoprire anche nelle opere che crede di padroneggiare al meglio, la parte che necessariamente gli sfugge ma che sta cercando e di cui nutre il suo lavoro Arcibaldo de la Cruz 2019


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