SARDONIA Luglio Agosto 2020

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Foto faustoferrara

SARDONIA

Ventisettesimo Anno / Vingt Septième Annèe Luglio Agosto 2020/Juillet Aout 2020

Francesca Sanna Sulis Manifesto della Donna Futurista Raquel Fayad Assalto alla Legge Salva Coste Chiudere tutto per riaprire tutto Valerio Pisano Rinascita 2020 Call Mail Art Se il latino deriva dal sardo Teorie della fine dell’Età del bronzo La retorica tossica sulla “valorizzazione dei borghi” Monteleone Rocca Doria / Soddi / Baradili REINAS Calzia Lai Lussu Rossi Time in Jazz Trentatreesima Virginia Siddi Promesse Elettorali Neanderthal sapeva dipingere Maria Sulas Marcello Serra Cinema Teatro Due Palme La Notte dei Poeti Rossana Corti Statue Identità Nazione Popolo Prix Versailles 2020 L’antico scolaro Marinella Staico Maria Lai Fame d’Infinito Racconti Votivi Museo Diocesano Arborense Gli idoli Bugiardi Il Regno Segreto La valigia dell’Attore

https://www.vimeo.com/groups/sardonia https://www.facebook.com/sardoniaitalia


Cagliari Je T’aime Programma di creazione di Esposizioni e Manifestazioni Artistiche nella città di Cagliari a cura di Marie-Amélie Anquetil Conservateur du Musée du Prieuré Directrice de la revue “Ici, Là bas et Ailleurs” Espace d’exposition Centre d’Art Ici, là bas et ailleurs 98 avenue de la République 93300 Aubervilliers marieamelieanquetil@gmail. com https://vimeo.com/channels/ icilabasetailleurs Vittorio E. Pisu Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS Elena Cillocu via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/channels/ cagliarijetaime SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima Direttore della Pubblicazione Vittorio E. Pisu Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS Commission Paritaire ISSN en cours Diffusion digitale

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uesto numero di Sardonia, che avrebbe voluto essere un numero post covid-19, si ritrova ancora in mezzo alle polemiche, alle incertezze, ai tentennamenti politici e sociali, ma trova naturalmente, almeno nell’Arte, qualche certezza, qualche “almeno un raggio di sole” per parafrasare il produttore nell”Otto e mezzo” di Fellini. Siamo naturalmente particolarmente orgogliosi di proporvi la programmazione di “Time in Jazz”, che fa buon viso a cattivo gioco ed anche quest’anno nonostante tutto ci propone una serie di belle esperienze musicali ed umane. Grazie Paolo Fresu. Rincorriamo ancora l’apertuta di Reinas a Torino, di cui avevamo già annunciato l’evento ma anche questa volta sembra che la mostra non aprirà.Sorry Efisio Carbone. Per il resto e come al solito spaziamo dalla preistoria ai giorni nostri ed alle vicissitudini del turismo isolano di cui bisognerà ripensare la programmazione e sopratutto la communicazione. Vedi Marcello Serra. La nostra proposta di creare una applicazione dedicata al Turismo in Sardegna, già fatta più di un anno fà all’Assessorato al Turismo della Regione Autonoma della Sardegna non ha suscitato nessuna azione concreta in questo senso (vedi pagina Facebook di Sardonia) come forse era facile prevedere. Alcune manifestazioni di protesta, nate negli Stati Uniti in seguito all’ennesimo assassinio da parte della Polizia di un Afro-Americano, hanno suscitato anche qui la volontà di buttar giù qualche statua, simbolo di antiche vessazioni, con delle reazioni simmetriche tra i conservatori partigiani dello statu quo e gli iconoclasti. Non dimentichiamo gli artisti che ci aiutano a trovare ancora un sollievo quotidiano nella bellezza della loro Arte e ringraziamo per la loro costante ed attiva creazione Rossana Corti, Raquel Fayad, Virginia Siddi, Maria Sulas e Valerio Pisano. Al contrario la realtà quotidiana di una città capitale alla quale era stata promessa un’ era di pulizia si rivela come al solito essere impossibile da amministrare e da trasformare secondo l’aria fritta delle promesse elettorali. Il Premio Versailles 2020 ci ricorda molto opportunamente che” I territori che meglio conservano gli elementi originali della loro identità potranno beneficiare, se riusciranno a svilupparli, di reali vantaggi competitivi”. Non c’é niente da aggiungere, il messaggio dovrebbe essere capito e messo in pratica. Sperando di riuscire ad attirare la vostra attenzione su dei temi così disparati e sempre legati alla nostra storia che, come nel caso di Francesca Sanna Sulis e dell’Atelier Marinella Staico, hanno origini nella volontà spesso femminile che si manifesta in quest’isola, vi auguriamo di approfittare della bellissima estate appena iniziata. Vittorio E. Pisu


Foto mangialibri

FRANCESCA SANNA SULIS F

rancesca Sanna Sulis si distinse agli occhi dei contemporanei interpretando con la sua intraprendenza la spinta riformatrice del suo tempo: la sua seta valicò il mare di Sardegna e viaggiò per vestire dame e principesse di casa Savoia, nonché la zarina Caterina di Russia che, nel ritratto conservato all’Ermitage di San Pietroburgo qui proposto, indossa proprio una sua creazione. Francesca collaborò inoltre con il conte Giorgio Giulini, nobile lombardo dai vasti interessi, insieme al quale allestì una fra le prime sfilate d’abiti. Nel libro di Ada Lai una nota indica che una di queste sfilate ebbe luogo a Villa San Martino, ad Arcore. A Muravera la famiglia Sulis possedeva aziende agricole e allevamenti di bestiame. Crescendo, Francesca saprà far proprie le capacità gestionali della famiglia d’origine, che troveranno la massima espressione in seguito al matrimonio, a 19 anni, con Pietro Sanna Lecca, giureconsulto di Cagliari. Trasferitasi a Cagliari, si appassionerà e svilupperà la coltivazione dei gelsi, avviata dalla famiglia del consorte, sviluppando una massiccia coltura dei bachi adoperandosi nella cura e nella realizzazione di tutta la filiera produttiva: dal bozzolo, al filo, al tessuto. Nei magazzini della casa di famiglia a Quartucciu organizza laboratori, che attrezza con telai moderni – manufatti d’avanguardia per i tempi – per incentivare la lavorazione del filato e ottenere il preziosissimo tessuto. La sua intuizione, coniugata a un’attenzione per la società nella quale vive, offre la possibilità a una generazione di donne di

apprendere un lavoro specializzato in un settore chiave. Centinaia furono le ragazze inserite nei corsi professionali, salvate dalla povertà e dalla precarietà del tempo. Francesca produce una seta di altissima qualità, richiesta anche dai commercianti comaschi; in breve tempo il suo raggio d’affari si amplia a livello della penisola e a quello europeo. Dal suo matrimonio con Pietro nascono tre figli: Stanislao, che diventò Abate di Santa Maria di Cea, in provincia di Sassari; Raffaele che divenne uomo di legge e Maria Michela che contro il parere della famiglia partì per il Convento delle Cappuccine di Ozieri (Sassari) dove divenne Badessa. Francesca muore a 94 anni. I due figli maschi erano morti e così Francesca lascia tutti i suoi averi alla Chiesa e ai bisognosi. Un passo del suo testamento ci fa comprendere la sua umanità: “In primo luogo ordino e comando che si dia sepoltura al mio cadavere nel modo più semplice e senza pompa alcuna, una volta che io muoia nel paese di Quartucciu. […]. I beni del Sarrabus, terre […] (e vigne e giardini e case), è mia espressa volontà, si divida tra quei poveri di detta Villa di Muravera i più necessitati preferendo quelli di migliore estrazione e di buoni costumi …”. Della sua impresa, dopo la sua morte, nulla è rimasto. Le piantagioni di gelsi furono sostituite da frutteti e in breve tempo tutto quello che aveva costruito svanì senza lasciare traccia. Iride Enza Funari

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Iride Enza Funari Poeta. Coautrice del libro

Foto unione sarda

Viole per Enza, edito da LietoColle, progetto contro la violenza alle donne di ZeroConfini Onlus. Membro del direttivo de “La casa della Poesia di Monza”. Con Antonetta Carrabs e M. Alberta Mezzadri nel 2015 ha curato l’Antologia del Premio Letterario Morra che raccoglie le poesie selezionate dal 2011 al 2015, edito da La Vita Felice. Collabora al progetto “Poeti Fuori Strada” la poesia come cura Laboratorio Cardenal di Monza. Ha curato alcuni progetti poetici tra cui la mostra di immagini (R. Zardoni) e parole (I. E. Funari) “Lambro - Un monologo”. La rivista di poesia e arte sociale “FAREPOESIA”, maggio 2010, ha pubblicato una sua monografia nella rubrica: Donne in poesia, oggi in Italia. Ha ricevuto alcuni riconoscimenti e diverse poesie, segnalate, sono state pubblicate sulle Antologie dei premi. Nel 2016 ha partecipato al Concorso “Caratteri di donna e di uomo” promosso dall’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Pavia e il suo racconto Marmellata di pesche è stato selezionato e pubblicato sull’antologia, edita da Ibis. Ha pubblicato con Antonetta Carrabs: Le poetesse mistiche pazze per Dio – La via femminile al Romanticismo nel Medioevo (2017) e La rivoluzione delle Sibille – L’eredità espressiva ed esistenziale delle donne (Nemapress, Edizioni). È docente del Corso “Donne nei Secoli”, Università del Tempo Libero della Valle del Lambro, Triuggio. Cura il blog poetico “Yorukoe”: https://yorukoe.wordpress.com/

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l’11 giugno 1716 e a Muravera, paesino del sud Sardegna, nasce Francesca “sa merixedda”, la primogenita della famiglia Sulis, la più importante nell’area del Sarrabus. La festa è grandiosa, la madre chiede che la bimba venga battezzata subito e la popolazione accorre per rendere omaggio alla famiglia. Un’infanzia invidiabile l’aspetta, nonostante la morte precoce della madre, Francesca gode dell’affetto e dell’educazione impartitale dalle zie materne, è circondata dall’amore dei fratelli e del padre, uomo colto, non particolarmente devoto e intenzionato a far sì che le figlie femmine possano circondarsi di libri e stimolare la propria intelligenza e creatività, spronandole a rispettare chiunque le circondi, nobili o umili. La coltivazione dei bachi da seta incuriosisce Francesca, i colori della città di Cagliari, presso cui la famiglia ha una seconda dimora, influenzano la sua fantasia. Idee di emancipazione la stuzzicano, si appassiona alla moda e cerca di escogitare la maniera per alleggerire le vesti delle donne e renderle più eleganti e variopinte. Insieme alla sorella Lucia e all’amica Antonia, realizza abiti per le amiche e con audacia il suo stesso


Creò corsi di formazione sartoriale per le giovani operaie e fondò scuole per dare una speranza ai più poveri, in procinto di morire diede disposizioni affinché i suoi beni, attraverso un legato testamentario, andassero in eredità alla popolazione e i suoi progetti le sopravvivessero. Colei che creò in Sardegna l’Alta moda e arrivò a vestire l’imperatrice Caterina di Russia, illuminò il suo tempo. A Muravera si trova il MIF, Museo dell’imprenditoria femminile intitolato a Donna Francesca, che ha come obiettivo il recupero dei mestieri antichi, organizza visite guidate e laboratori. Sara Cabitta abito nuziale quando il padre la concede in moglie al giovane rampollo Pietro Sanna Lecca. Ogni cosa appare a portata di mano, e se il padre si è mostrato aperto nei suoi confronti, l’intelligente marito lo sarà ancora di più. I progetti sono appena agli inizi… Non è sempre facile ricostruire la caratterizzazione psicologica di un personaggio storico, ma l’approccio di Ada Lai, laurea in Scienze Politiche e master alla Sorbona, appassionata narratrice della vita di Francesca Sanna Sulis funziona molto bene. In queste pagine Donna Francesca racconta sé stessa in prima persona, dalla nascita alla morte, ogni dettaglio della sua vita e delle sue scelte, viene svelato al lettore. Imprenditrice sarda di famiglia benestante e prestigiosa, vissuta nel Settecento, colpì i contemporanei per la vivacità delle idee e la capacità di dare concretezza a progetti importanti per l’epoca. Non si trattò di una donna semplicemente abile negli affari, capace di stare al passo con gli uomini nello stesso settore, quello della coltivazione del gelso e della produzione di ottima seta da esportare, bensì di una donna libera di esprimersi, mai sottoposta a prevaricazioni in quanto sia il padre che il marito, uomini di mentalità aperta, la supportarono sempre.

MIF Museo Dell’Imprenditorialitá Femminile “Donna Francesca Sanna Sulis”

Musée d’ethnographie Via Guglielmo Marconi, 74, 09043 Muravera Città Metropolitana di Cagliari Tél : 00 39 393 902 3141

La Straordinaria Storia di Francesca Sanna Sulis

Ada Lai Romanzo Storico Palabanda 2017

https://www.libreriauniversitaria.it/ straordinaria-storia-francesca-sanna-sulis/libro/9788894130539

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oi vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna». (Primo Manifesto del Futurismo)

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Foto minervaauctions

’Umanità è mediocre. La maggioranza delle donne non è superiore nè inferiore alla maggioranza degli uomini. Esse sono uguali. Tutte e due meritano lo stesso disprezzo. Il complesso dell’umanità non fu mai altro che il terreno di coltura dal quale balzarono i genii e gli eroi dei due sessi. Ma, nell’umanità come nella natura, vi sono momenti più propizi alla fioritura. Nelle estati dell’umanità come il terreno è arso di sole, i genii e gli eroi abbondano. Noi siamo all’inizio di una primavera; ci manca ancora una profusione di sole, cioè molto sangue sparso. Le donne come gli uomini, non sono responsabili dell’arenamento di cui soffrono gli esseri veramente giovani, ricchi di linfa e di sangue. È ASSURDO DIVIDERE L’UMANITÀ IN DONNE E UOMINI; essa è composta soltanto di FEMMINILITÀ e di MASCOLINITÀ.

MANIFESTO DELLA Ogni superuomo, ogni eroe, per quanto sia epico, ogni genio per quanto sia possente, è l’espressione prodigiosa di una razza e di un’epoca solo perchè è composto, ad un tempo, di elementi femminili e di elementi maschili, di femminilità e di mascolinità: cioè un essere completo. Un individuo esclusivamente virile non è altro che un bruto; un individuo esclusivamente femminile non è altro che una femmina. Avviene delle collettività e dei momenti dell’umanità come degli individui. I periodi fecondi, in cui dal terreno di cultura in ebullizione balzano fuori in maggior numero genii ed eroi, sono periodi ricchi di mascolinità e di femmi-

nilità. I periodi che ebbero solo delle guerre poco feconde d’eroi rappresentativi, perchè il soffio epico li livellò, furono periodi esclusivamente virili; quelli che rinnegarono l’istinto eroico, e che, rivolti verso il passato, s’annientarono in sogni di pace, furono periodi in cui dominò la femminilità. Noi viviamo alla fine di uno di questi periodi. CIO CHE MANCA DI PIÙ ALLE DONNE COME AGLI UOMINI È LA VIRILITÀ. Ecco perchè il Futurismo, con tutte le sue esagerazioni, ha ragione. Per ridare una certa virilità alle nostre razze intorpidite nella femminilità biso-


Foto wikipedia Valentine de Saint Point

DONNA FUTURISTA gna trascinarle alla virilità, fino alla brutalità. Ma bisogna imporre a tutti, agli uomini e alle donne ugualmente deboli, un dogma nuovo di energia, per arrivare ad un periodo di umanità superiore. Ogni donna deve possedere non soltanto delle virtù femminili, ma delle qualità virili; altrimenti è una femmina. E l’uomo che ha soltanto la forza maschia, senza l’intuizione, non è che un bruto. Ma nel periodo di femminilità in cui viviamo, solo l’esagerazione contraria è salutare. ED È IL BRUTO CHE SI DEVE PROPORRE A MODELLO. Non più donne di cui i soldati debbano temere

«le braccia in fiore che s’intrecciano alle ginocchia il mattino della partenza»; Donne infermiere che perpetuino le debolezze e le vecchiezze, addomesticando gli uomini pei loro piaceri personali o pei loro bisogni materiali! Non più donne che facciano figli solo per sè stesse, riparandoli da ogni pericolo, da ogni avventura cioè da ogni gioia; che disputano la loro figliuola all’amore e il loro figliuolo alla guerra! Non più donne piovre dei focolari, dai tentacoli che esauriscono il sangue degli uomini e anemizzano i fanciulli; DONNE BESTIALMENTE AMOROSE, CHE DISTRUGGONO NEL

DESIDERIO ANCHE LA SUA FORZA DI RINNOVAMENTO! Le donne sono le Erinni, le Amazzoni; le Semiramide, le Giovanna d’Arco, le Giovanna Hachette; le Giuditta e le Caroline Corday; le Cleopatra e le Messalina, le guerriere che combattono più ferocemente dei maschi, le amanti che incitano, le distruggitrici che spezzando i più fragili contribuiscono alla selezione, mediante l’orgoglio o la disperazione, «la disperazione che dà al cuore tutto il suo rendimento». Che le prossime guerre suscitino delle eroine simili a quella magnifica Caterina Sforza che, mentre sosteneva l’assedio della sua città, vedendo dall’alto delle mura il nemico minacciare la vita di suo figlio per obbligarla ad arrendersi, mostrando eroicamente il proprio sesso, gridò: «Ammazzatelo pure! Mi rimane lo stampo per farne degli altri!» Sì, «il mondo è fradicio di saggezza», ma, per istinto, la donna non è saggia, non è pacifista, non è buona. Perchè ella manca totalmente di misura, ella diventa, in un periodo sonnolento della umanità, troppo saggia, troppo pacifista, troppo buona. Il suo intuito, la sua immaginazione, sono ad un tempo la sua forza e la sua debolezza. Ella è l’individualità della folla; fa corteo agli eroi, o, se questi mancano, sostiene gl’imbecilli. (segue pagina 8)

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(segue dalla pagina 7) Secondo l’apostolo, incitatore spirituale, la donna, incitatrice carnale, immola o cura, fa scorrere il sangue o lo terge, è guerriera o infermiera. La stessa donna, in una stessa epoca, a seconda delle idee ambienti, raggruppate intorno all’avvenimento del giorno, si stende sulle rotaie per impedire ai soldati di partire per la guerra, o si getta al collo del campione sportivo vittorioso. Ecco perchè nessuna rivoluzione deve rimanerle estranea; ecco perchè invece di disprezzare la donna, bisogna rivolgersi a lei. È la conquista più feconda che si possa fare; è la più entusiasta, che, alla sua volta, moltiplicherà le reclute.Ma si lasci da canto il Femminismo. Il Femminismo è un errore politico. Il Femminismo è un errore cerebrale della donna, un errore che il suo istinto riconoscerà. NON BISOGNA DARE ALLE DONNE NESSUNO DEI DIRITTI RECLAMATI DAL FEMMINISMO. L’ACCORDAR LORO QUESTI DIRITTI NON PRODURREBBE ALCUNO DEI DISORDINI AUGURATI DAI FUTURISTI, MA DETERMINEREBBE, ANZI, UN ECCESSO D’ORDINE. L’attribuire dei doveri alla donna equivale a farle perdere tutta la sua potenza feconda. I ragionamenti e le deduzioni del Femminismo non distruggeranno la sua fatalità primordiale; non pos-

son far altro che falsarla e costringerla a manifestarsi attraverso deviazioni che conducono ai peggiori errori. Già da secoli si cozza contro l’istinto della donna, null’altro si pregia di lei che la grazia e la tenerezza. L’uomo anemico, avaro del proprio sangue, non le domanda più che di essere un’infermiera. Essa si è lasciata domare. Ma gridatele una parola nuova, lanciate un grido di guerra, e con gioia, cavalcando di nuovo il suo istinto, essa vi precederà verso conquiste insperate. Quando le vostre armi dovranno servire, la donna le forbirà. Essa contribuirà, di nuovo, alla selezione.

Infatti se non sa ben discernere il genio, perchè ne giudica dalla rinomanza passeggera, la donna seppe sempre premiare il più forte, il vincitore, colui che trionfa pei propri muscoli e pel proprio coraggio. Essa non può sbagliare, su questa superiorità che s’impone brutalmente. RIACQUISTI LA DONNA LA SUA CRUDELTÀ E LA SUA VIOLENZA CHE FANNO CH’ELLA SI ACCANISCA SUI VINTI, PERCHÈ SONO VINTI, fino a mutilarli. Cessate di predicarle la giustizia spirituale che invano s’è sforzata d’acquistare. DONNE, RIDIVENTATE SUBLIMAMENTE INGIUSTE, COME TUTTE LE FORZE DELLA NATURA!


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L’amante dispensa il desiderio che trasporta verso il futuro.

Liberate da ogni controllo, ritrovato il vostro istinto, voi riprenderete posto fra gli Elementi, opponendo la fatalità alla cosciente volontà dell’uomo. Siate la madre egoista e feroce, che custodisce gelosamente i suoi piccoli avendo su loro ciò che si chiama i diritti e i doveri, FINCHÈ ESSI ABBIANO FISICAMENTE BISOGNO DELLA SUA PROTEZIONE. Che l’uomo, liberato dalla famiglia, viva la propria vita d’audacia e di conquista, non appena ne abbia la forza fisica, e quantunque sia figlio, e quantunque sia padre. L’uomo che semina non si ferma sul primo solco che feconda. Nei miei Poèmes d’Or-

gueil, come nel La Soif et les Mirages, io ho rinnegato il sentimentalismo come una debolezza spregevole, perchè lega delle forze e le immobilizza. LA LUSSURIA È UNA FORZA, perchè distrugge i deboli, eccita i forti a spendere energie, dunque al loro rinnovamento. Ogni popolo eroico è sensuale: la donna è per esso il più esaltante trofeo. ]La donna deve essere madre o amante. Le vere madri saranno sempre amanti mediocri, e le amanti saranno madri insufficienti per eccesso. Uguali di fronte alla vita, queste due donne si completano. La madre che riceve il figlio fa, con del passato dell’avvenire.

CONCLUDIAMO: La donna, che colle sue lagrime e il suo sentimentalismo ritiene l’uomo ai suoi piedi, è inferiore alla prostituta che spinge il suo maschio per vanagloria a conservare col revolver in pugno la sua spavalda dominazione sui bassifondi della città. Questa femmina coltiva almeno una energia che potrebbe servire migliori cause. DONNE, PER TROPPO TEMPO SVIATE FRA LE MORALI E I PREGIUDIZI, RITORNATE AL VOSTRO ISTINTO SUBLIME: ALLA VIOLENZA E ALLA CRUDELTÀ. Per la fatale decima del sangue, mentre gli uomini guerreggiano e lottano, fate dei figli, e, tra essi, in olocausto all’Eroismo, fate la parte del Destino. Non li allevate per voi, cioè per la loro diminuzione, bensì in una larga libertà, per uno sviluppo completo. Invece di ridurre l’uomo alla servitù degli esecrabili bisogni sentimentali, spingete i vostri figliuoli e i vostri uomini a superarsi. Siete voi che li fate. Voi avete su loro ogni potere. ALL’UMANITÀ VOI DOVETE DEGLI EROI. DATEGLIELI. VALENTINE DE SAINTPOINT Manifesto della donna futurista 25 Marzo 1912.

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Foto raquelfayad

aquel Fayad è un’artista brasiliana, nata a Atibaia-SP, vive e lavora a Salto-SP-Brasile) È laureata in Educazione Artistica - Abilitazione alle Belle Arti presso l’Associazione Didattica Tatuiense (2008), laurea in Architettura e Urbanistica presso l’Università di Bauru (1988), corso-tecnico-professionale in Tecnico della Musica Pianoforte presso il Conservatorio Carlos Gomes (1986), Corso di insegnamento nell’insegnamento dell’EEPSGJoão Batista Ribeiro (1987), insegnamento elementare di base dell’INSS Coração (1982) e insegnamento secondario intermedio dell’EEPSGJoão Batista Ribeiro (1987). Attualmente é la direttrice del Museo Storico Paulo Setúbal e coordinatore culturale di AMART. Ha esperienza nell’area delle Arti, con particolare attenzione alle Arti Plastiche. Come artista lavora con la pittura, il disegno, il video e l’installazione, ricercando linee, ripetizioni, sovrapposizioni, accordi cromatici, con materiali diversi, processi collettivi e collaborativi. Cerca l’amore attraverso le lettere d’amore. Lavora con la pittura, il disegno, il video e l’installazione, ricercando le linee, le ripetizioni, le sovrapposizioni, gli accor-

RAQUEL FAYAD

Vedi il video vimeo.com/412837568

di cromatici, i materiali vari, i processi collettivi e collaborativi. Tra le sue partecipazioni alle mostre ci sono le collettive al MAM Rio - Novas Aquisições Gilberto Chateaubriand (2014), Galeria Marta Traba Memorial da América Latina (San Paolo, 2014), Casa do Olhar Luis Sacilotto - (Santo André, 2013/2014/2015) e Museu de Almeria (Spagna, 2012). Ha partecipato a Residenze a Nuraminis e San Sperate (NOARTE) - Sardegna - Italia (2016 e 2015), Residenza a Fazenda Ipanema, a MAC Sorocaba / FLONA (2015), Residenza Artistica a Galeria Marta Traba - Occupazione 15/30 -

Memoriale dell’America Latina (2014). Ci sono 13 opere nella Collezione MAM RIO Gilberto Chateaubriand e una nella Collezione della Fondazione Marcos Amaro. “Il tempo di fare Arte per l’artista non esiste, è la vita stessa. Produzione 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno. È per questo motivo che in ogni momento, sia che si pensi, che si legga, che si faccia ricerca, che si produca o che si esponga, è nata l’installazione che si trova in cartellone al Museo Storico e Pedagogico di Prudente de Moraes: Records / Waste of the Day. “ fayadraquel@gmail.com www.raquelfayad.com


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’isola dei pirati, dei bucanieri del cemento che dalle coste della Sardegna hanno ricavato, in passato, oro a palate e che altrettanto vorrebbero continuare a fare per il futuro con l’aiuto della maggioranza Lega, Partito sardo d’Azione, Forza Italia e FdI che governa la regione. Siamo all’ennesimo assalto ai litorali, che, come al solito, passa attraverso lo snaturamento del Piano paesaggistico regionale (Ppr) del 2004. Ma vediamo qual è la strategia dei bucanieri. Nei giorni scorsi il centrodestra ha presentato in consiglio regionale una proposta di legge con un titolo che all’indicazione di un piatto intento burocratico abbina una strabiliante intenzione ermeneutica: «Modifiche alla legge regionale 20 dicembre 2019 numero 22 e norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale». Traduciamo: le «modifiche» altro non sono che una proroga. L’interpretazione «autentica» mira a scardinare il Ppr. Cominciamo dalla proroga. E’ quella del cosiddetto Piano casa, che è, come si ricorderà, invenzione berlusconiana, tirata fuori nel 2008 dal cilindro del governo per «dare sostegno all’economia mediante il rilancio del settore». Invenzione fatta propria, nel 2009, da una giunta regionale sarda di centrodestra e che poi si è trasforma-

Foto nuovasardegna.it

ASSALTO ALLA LEGGE SALVA COSTE

ta in un provvedimento ordinario, rinnovato di anno in anno da tutte le giunte che si sono susseguite, compresa quella di centrosinistra guidata da Francesco Pigliaru. Una misura utile, in realtà, non al rilancio dell’economia ma a giustificare deroghe permanenti ai piani urbanistici comunali e all’intera pianificazione urbanistica. «Uno strumento – denunciano Italia Nostra e Wwf Sardegna – che, ben lungi dall’avere dato ossigeno all’edilizia (nell’isola il settore negli ultimi anni ha perso oltre il 50% degli addetti), ha stravolto interi centri urbani con la creazione di mostruosi edifici slegati dai contesti urbanistici». (segue pagina 15)

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a situazione attuale è di assoluta incertezza, col rincorrersi contrastante di voci allarmistiche e tranquillizzanti, pareri opposti di esperti e talvolta di presunti esperti, con una classe politica in preda all’improvvisazione e allo smarrimento. Tutto ciò non può che creare enorme sconforto nelle classi lavoratrici, stremate da due mesi di serrata, di mancati introiti, di promesse di sostegno e di contributi miseri. A ciò si aggiunge l’enorme confusione per l’attuazione della Fase 2 e per i passaggi successivi. La Sardegna, la cui crisi economica si chiama Italia e dura da ben più che dall’arrivo del coronavirus, si trova oggi alle porte della stagione turistica senza un piano ben preciso e senza delle linee guida univoche. E’ vero che essa beneficia del vantaggio della bassa diffusione del virus, dovuto prima di tutto alla distribuzione della popolazione in piccoli paesi e al grande senso di responsabilità, ma in parte anche a misure di chiusura all’esterno, opportune seppur tardive. E’ anche vero però che una fetta importante della propria economia ruota intorno al turismo, industria naturalmente legata allo spostamento delle persone. Tutti in questo momento vorremmo salvaguardare il vantaggio ottenuto dalla bassa diffusione del virus, ma vorremmo anche metterlo a frutto per non perdere gli introiti di una voce che rappresenta da sola cir-

CHIUDERE TUTTO PE ca il 7% del PIL, a cui si deve aggiungere l’indotto. Su queste tematiche alcuni minimizzano il problema, dicendo che si deve aprire tutto al più presto, perché la gente è esasperata e ha bisogno di lavorare. Altri invece dicono che si deve aprire per gradi, perché è pericoloso aprire subito e si deve avere pazienza. Noi pensiamo che, per quanto riguarda la Sardegna, entrambe le posizioni siano insufficienti e inadatte alla nostra situazione. Coloro che vogliono aprire immediatamente tutto, dai porti e aeroporti a tutti gli esercizi, dimenticano che l’iniziale vantaggio di regione poco colpita non assicura affatto una garanzia duratura contro la diffusone

di un virus. Singapore ad esempio, dopo aver azzerato il problema, ha riaperto troppo presto ed è stata travolta dalla seconda ondata di contagio. Chi invece pensa che si debba riaprire gradualmente seguendo le direttive del governo italiano, dimentica che tali direttive sono calibrate sulla situazione del nord Italia e sulle esigenze economiche della grande industria norditaliana. La nostra situazione sanitaria è molto diversa, e il periodo estivo rappresenta un’importantissima fonte di guadagno per migliaia di piccole e medie imprese e per decine di migliaia di lavoratori stagionali. Crediamo che la Sardegna, rivendicando con forza il proprio diritto all’autogo-


ER RIAPRIRE TUTTO verno, debba decidere da sé i tempi e i modi della riapertura, secondo dinamiche autonome che tengano in considerazione la situazione sanitaria, le potenzialità di far fronte a nuove eventuali emergenze, ma anche il tessuto economico particolare della nostra isola. Pensiamo perciò che sarebbe opportuno valutare un’opzione basata sulle nostre specificità, attuando una temporanea chiusura della Sardegna al sovraffollamento turistico, facendo però leva su un’ampia riapertura dell’economia a livello locale – chiaramente correlata ad un adeguato screening – e rimodulando in positivo anche le prescrizioni elaborate in base a modelli di luoghi altamente contagiati, permettendo la

creazione di una situazione di “normalità controllata”. Prima che si possa pensare che la mancata riapertura completa all’esterno possa causare un danno economico è opportuno considerare due aspetti: il primo è che a nulla serve un alto numero di turisti se gli esercizi sono costretti ad accogliere pochissime persone a causa del rigido distanziamento, con una reazione a catena che porterebbe a sottopagare i dipendenti e costringerli a dilatare gli orari di servizio. Il secondo è che se dovesse risalire il picco del contagio la stagione turistica si interromperà immediatamente, innescando un nuovo periodo di chiusura e vanificando quindi già ai primi caldi ogni possibile ipotesi di

conclusione della stagione. Sarebbe dunque ragionevole ipotizzare una sorta di “stagione intermedia” dotata di un alto livello di sicurezza, sebbene causerà una diminuzione dei guadagni. Si deve considerare che però i guadagni del settore turistico quest’anno saranno minori in ogni caso: due mesi di quarantena hanno causato una tale flessione della stabilità economica delle famiglie in tutto il continente che è assolutamente improbabile che saranno in tanti a potersi permettere una vacanza. Piuttosto che cercare di fare il volo di Icaro e sfracellarci dopo il lancio, preferiamo volare basso ma andare lontano. Un progetto di chiusura dovrebbe puntare sul turismo interno, tollerando una maggiore soglia di capienza per gli esercizi che potranno accogliere più persone, seppur sempre tenendo validi e rigorosi strumenti di sicurezza. Poter accogliere più persone di quelle attualmente stabilite nei decreti avvantaggerebbe i commercianti; poter frequentare serenamente locali in cui non ci siano persone contagiate avvantaggerebbe tutti. L’alternativa sarebbe quella di fare il canto del cigno e tornare tutti rinchiusi in casa entro giugno. Per attuare questo tipo di procedura la Regione, con al suo fianco tutto il settore economico e i cittadini, dovrebbe imporsi e ottenere la proroga fino all’autunno per la chiusura di porti e aeroporti, stabilendo (segue alla pagina 14)

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(segue dalla pagina 13) un numero chiuso di entrate e sotto rigorosissimi controlli, sia in partenza da fuori che all’arrivo in Sardegna. Ad una situazione di apertura controllata corrisponderà un moderato andamento economico della stagione, che pur contribuendo un pò meno alle entrate regionali (ricordiamo che le entrate della Regione corrispondono in grandissima parte alle tasse pagate in loco), potrà pur sempre permettere alle nostre istituzioni di aiutare le piccole e medie imprese per i mancati introiti e il lavoratori stagionali danneggiati dalle mancate assunzioni. In questa situazione il tessuto turistico locale soffrirà molto, ma potrà continuare ad esistere e si riprenderà quando la situazione sarà superata, senza correre il rischio di crollare e venire soppiantato dalle grandi multinazionali. Piuttosto ci si dovrebbe chiedere a quale mulino vuole portare acqua chi insiste a proporre di aprire tutto, anche se l’epidemia fuori dalla Sardegna continua a correre. Crediamo che allo stato attuale non esistano ricette vincenti o soluzioni perfette, ma pensiamo che sarebbe opportuno prendere in seria considerazione la rinuncia almeno per un solo anno alla tradizionale idea di turismo, come anche autorevoli virologi sembrano suggerire. Ciò potrebbe rappresentare un grande vantaggio per l’industria turistica sarda

che sopravvivrà alla catastrofe, ma sarà un grande vantaggio anche per la restante economia sarda, che non è composta solo dal turismo e che non si ritroverà a dover bloccare nuovamente tutto a causa di una forsennata gestione di un solo settore dell’economia. L’economia infatti deve avere un andamento armonioso e non puntare solo su un settore, tantomeno può pensare di sacrificare tutti i settori per provare a garantirne uno solo per una sola stagione. Ricordiamo inoltre che la Sardegna paga da sola l’intera spesa sanitaria, pertanto un nuovo contagio determinerebbe un nuovo grave blocco dell’economia con una mancanza di entrate fiscali.

A sua volta ciò causerebbe il crollo del nostro sistema sanitario, che da solo consuma la metà del bilancio regionale, avviando un catastrofico effetto domino che distruggerebbe l’intera Sardegna. A questo punto tutti i Sardi dovrebbero chiedersi questo: preferiamo una stagione turistica di tenore più basso e con un periodo di integrazioni sociali per aziende e lavoratori svantaggiati, oppure corriamo il rischio di far crollare la nostra intera economia e l’intera Sardegna per un solo mese di falsa ripartenza? Noi sappiamo cosa rispondere. Il punto di vista di Liberu https://www.liberu.org/ chiudere-tutto-per-riaprire-tutto/


(segue dalla pagina 11) Veniamo ora al pericolo maggiore: l’interpretazione «autentica» del Ppr che la legge proposta dal centrodestra si propone di attuare. Il Piano paesaggistico regionale, preso a modello in mezza Europa, in sedici anni di applicazione è passato indenne, grazie a ripetuti interventi della magistratura amministrativa e del ministero dei beni culturali, attraverso innumerevoli tentativi di stravolgimento da parte di tutte le giunte regionali che sono seguite alla giunta Soru, che lo ha approvato. Ora il centrodestra ci riprova ancora, introducendo in un testo di legge che apparentemente serve soltanto a prorogare il Piano casa una norma intrusa, con cui si chiede di cancellare la pianificazione congiunta Regione-Governo prevista dal Ppr gli interventi urbanistici non soltanto sulle coste ma anche sui beni identitari (ad esempio paesaggi e siti archeologici) e sulle zone agricole. «Attualmente – spiegano Italia nostra e Wwf Sardegna – ogni modifica dei piani paesaggistici delle varie Regioni deve seguire il rigido protocollo previsto da Codice dei beni culturali, che prevede che gli strumenti di pianificazione urbanistica regionali siano parte di un accordo tra pubbliche amministrazioni: da una parte lo Stato, dall’altra una delle Regioni.

In nessun caso i piani di tutela regionali possono essere modificati unilateralmente da una delle amministrazioni contraenti, tanto meno se l’obbiettivo è quello di eliminare le tutele paesaggistiche della fascia costiera». E invece proprio questo vuole ottenere la proposta di legge presentata in consiglio regionale da un centrodestra sardo sul tema compattissimo. Interpretazione «autentica» significa infatti interpretazione «autonoma»: decide la giunta regionale come cambiare il Ppr, senza che il ministero dei beni culturali possa più metterci becco. «La cancellazione dei vincoli del Ppr – denunciano Italia nostra e Wwf Sardegna – aprirebbe la via all’assalto degli speculatori e per la Sardegna sarebbe un disastro. Se la proposta fosse approvata il giorno dopo la sua eventuale emanazione faremmo ricorso alla Corte costituzionale». L’opposizione di centrosinistra si allinea, chiedendo alla maggioranza il ritiro della norma intrusa anti Ppr ma non della proroga del Piano casa, come vorrebbero invece (più coerenti) gli ambientalisti. Costantino Cossu https://ilmanifesto.it/ assalto-alla-legge-salva-coste-il-centro-destra-ci-riprova/?fbclid=IwAR0-HKVBe6tss4lnKT-tVTxJhj-sjB7UI C - C 6 t g Q u f u 6s3z-EaXmd2f-Je4

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Foto michelagirardi

opo le ultime esposizioni personali a Valencia ed a Mendrisio le “tracce” di Valerio Pisano si potevano seguire a Cagliari. Si tratta di una selezione di lavori eseguiti con lo strumento preferito dall’artista, la più comune penna biro, che usa per creare degli autoritratti delle stesse penne, delle composizioni dove ammucchia centinaia di tappi, dove fa vivere le proprie penne dentro dipinti famosi, le anima in filmati, le analizza, le trasforma in dolcetti commestibili, in bronzetti, le veste e le sveste, le inserisce nel sudario più conosciuto e venerato. L’artista Valerio Pisano, originario di Lanusei, inizia a esprimersi con il disegno fin da giovanissimo. Ora è un “pittore, disegnatore – brandisce la penna a biro come un’arma da taglio per tenere lontano i nemici – facitore di mille invenzioni e, soprattutto in “Profumo di ringhiera”, poeta di un’ironia ribelle che si intrattiene entro gli ambiti di una tridimensionalità non solo fisica ma mentale”. Le sue BIC con l’originalità della proposta artistica hanno catturato la sua curiosità ed è immediatamente nata l’idea di questa esposizione. Valerio Pisano libera la personale creatività attraverso un tappo di bachelite della sua Bic, la mente

VALERIO PISANO diventa leggera, i rumori non si sentono più, la creatività è l’unico rumore attivo che lo riporta alla propria infanzia,tra libri di scuola e piccoli quaderni, dove il suo tratto era già veloce e sui quali vedi il catalogo il piccolo Valerio pastichttps://youtu.be/hc3Sq854kk8 ciava per sfuggire alla https://youtu.be/TyzKGbdJHX8 monotonia e fantasticahttps://youtu.be/YAYZbXeUEvI re, allontanando la mente verso un futuro ricco di https://youtu.be/HphXuE_Mu2g emozioni ispirate dalla https://youtu.be/9OPtS6PqMv4 natura della sua terra con https://youtu.be/4D40U6UZPOI la certezza della maturità https://youtu.be/XMResLxkW6s di un adulto che quegli https://youtu.be/bbrgMvzIheE scarabocchi delle biro https://youtu.be/3Y_DgZTKu-Q l’avrebbero portato al di fuori del proprio mondo, https://youtu.be/GvtujcfGFHs proiettandolo verso una https://youtu.be/q20eDh-4jdQ particolare ironia dove https://youtu.be/lcHOqE-02-8 non vi è né inizio né fine, ma uno scambio incesed anche https://vimeo.com/336939047 sante tra l’immaginaziohttps://vimeo.com/327905833 ne e la realtà.

Tra le manifestazioni le più recenti possiamo citare la sua presenzanel 2017 all’Hotel Italia in una mostra curata da Rita Grauso che, dopo aver insegnato per 40 anni storia dell’arte, ha curato con passione diverse esposizioni di successo, é stato poi invitato nel 2019 da Mariano Chelo a confrontarsi nelle sue ormai collaudate esposizioni dal titolo evocativo di “ Faccia a Faccia”. Come potete constatare dalla lista qui accanto numerose sono le illustrazioni filmate delle sue esposizioni sia collettive che personali e non ultimo il suo catalogo, potete comunque consultare il suo sito. www.valeriopisano.it


#Rinascita2020

Foto callmailart

un progetto di Mail Art per ricominciare. E’ il tema della call che la Casa dell’Artista di Portacomaro lancia in rete alla comunità internazionale dei mail-artisti con l’invito ad immaginare con colori, storie, personaggi,messaggi il mondo che dovremo costruire insieme finita l’emergenza che l’umanita’ sta vivendo. #RINASCITA2020 / #REBIRTH2020 L’invito è quello di mandarci via posta ordinaria una cartolina auto-prodotta e/o rielaborata artisticamente senza vincoli di tecnica. Le opere di arte postale dovranno giungere presso la nostra sede entro il 31 luglio 2020. Saranno pubblicate dapprima sui canali social quindi esposte in una mostra, che sarà allestita dopo la scandenza della call, negli spazi della Casa dell’Artista a Portacomaro d’Asti #Monferrato #Italia La partecipazione è gratuita, nello spirito di assoluta libertà e cooperazione tipico del fenomeno mondiale dell’arte postale. • Nessun re-invio: le opere non verranno restituite agli autori e saranno conservate negli archivi della Casa dell’Artista a Portacomaro • Nessuna quota di partecipazione: non sono richieste tasse di partecipazione; • Nessuna selezione, nessuna giuria: tutte le opere arrivate verranno esposte; • Tecnica libera: puoi utilizzare la tecnica e il materiale che preferisci per la realizzazione della tua opera (fotografia, illustrazione, collage, mista, etc. etc.) • Formato cartolina: le dimensioni delle opere dovranno rientrare nei limiti della posta ordinaria, dal formato cartolina minimo 10×15 cm al massimo formato A4; • Solo posta ordinaria, no email: saranno accettate solo opere inviate tramite posta ordinaria; • Ogni Artista può inviare più opere; • Scadenza: le opere dovranno pervenire entro il 31 Luglio 2020 ; • Invio: le opere devono essere spedite all’indirizzo:

Foto callmailart

#Rinascita2020 Mail Art Project Casa dell’Artista - Gente&Paesi Piazza Roggero,3 14037 Portacomaro (At) Italia

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Foto mimmo di caterino

ccomi qui con il tomo “Omphalos” in mano, sulle pagine finali, riguardo i legami fra Sardi ed Etruschi per poi, continuando, scoprire che SE… IL LATINO DERIVA DAL SARDO... IPOTESI PER UN CAMBIO DI PROSPETTIVA STORICA Libera estrazione da Omphalos, di Sergio Frau Sono passati tremila e cinquecento anni da quando gli abitanti della Sardegna, Isola Sacra per gli antichi, “discarica per i moderni” (etimo italo fiorentino di Sardigna), costruivano “diecimila “casali”, fortezze e templi, villaggi, omogeneamente diffusi sul vasto territorio a loro disposizione. La società sarda dell’epoca comprendeva architetti e maestranze specializzate, costruiva opere d’ingegneria idraulica, estraeva e fondeva i metalli, tesseva tessuti e conciava pelli, costruiva armi, imbarcazioni, si cibava di alimenti relativamente sofisticati, organizzava spedizioni militari piratesche verso le coste mediterranee. Si può pensare e dire che non avessero inciso nelle culture dei popoli con i quali entrarono in relazione? Si può pensare e dire che la loro lingua sia sostanzialmente scomparsa e che non usassero la scrittura? Alla luce di ciò che emerge, ed è ancora visibile agli occhi di qualsiasi visitatore attento al paesaggio archeologico, a noi sem-

SE IL LATINO DER “Tu non hai letto Frau...” mi dice Sergio. “Si che l’ho letto, magari in fretta, ma l’ho letto.” Rispondo. “Dammi retta, riprovaci.” NURNET La Rete dei Nuraghi https://www.facebook. com/NURNET2013/posts/3093367687408601? tn__=K-R

bra davvero difficile poterlo affermare. Pittau sosteneva che Sardo ed Etrusco erano figlie di una stessa lingua originaria del vicino oriente. L’oriente, sempre quello, da cui tutto viene fatto provenire. Tuttavia prima di questa supposta colonizzazione della Sardegna da parte dei Lidi sull’Isola erano state realizzate almeno tremila e cinquecento domus de janas: grappoli di tombe, spesso concentrate in aree dove si è portati a dedurre la presenza di villaggi con diverse centinaia o migliaia di abitanti. Si pensi solo all’area di Monte d’Accoddi o della Nurra Algherese, dell’Anglona o del Marghine, giusto per portare degli esempi. Lasciamo alla paleo-linguistica la risoluzione dell’enigma sulla lingua madre e concentriamoci sul periodo proto storico e storico tirrenico. Sempre Pittau ha raccolto un lungo elenco di analogie lessicali e toponomastiche tra le due lingue, il sardo e l’Etrusco, oltre a due importanti connessioni grammaticali. Tanti autori nei millenni hanno affermato che gli Etruschi fossero imparentati con i Sardi. A supporto di questa ipotesi, oggi, siamo andati a rileggere i capitoli che Sergio Frau, nel suo “Omphalos”, dedica al tema della lingua degli antichi sardi. … Cicerone ci ha detto che i giovani Romani andavano


Foto Facebook Bartolomeo Porcheddu

RIVA DAL SARDO a studiare dagli Etruschi. Nella città eterna le liturgie più sacre venivano declamate in Etrusco. Plutarco affermava che gli Etruschi erano coloni dei Sardi. Ma più di recente il glottologo Tagliavini scriveva: “è indubbio che il Sardo, allo stato presente delle nostre conoscenze, conserva nel suo lessico alcune parole latine assenti da tutte le altre lingue romanze… ” Dante, nel De Vulgari Eloquentia, spiega che “la lingua volgare è quella che si apprende, senza bisogno di alcuna regola, si apprende imitando la nutrice… La più nobile di queste due lingue è il volgare, sia perché fu la prima ad essere trattata dal genere umano, sia perché tutto il mondo ne fruisce, sia perché ci è naturale, mentre l’altra è piuttosto artificiale… “. Esisteva quindi un latino volgare ed era un frutto indo-europeo, così come certificato da tutti i linguisti. Questo latino volgare sembra essere ciò che i Romani lasciarono alle popolazioni della Barbagia sarda che, tuttavia, furono quelle meno “contaminate” dalla loro invasione. Ha senso logico questa ultima affermazione? Frau sostiene che no, non ce l’ha. Infatti è paradossale. Il professor Gavino Scano nel 1891 scriveva: “…visitando con mente scrutatrice gli altopiani del Nuore-

Roma colonia sarda Grammatica de sa limba sarda comuna Il vaso di Dueno Il più antico documento latino è scritto in lingua sarda Provenienza del nome Barisone Bàrdia. Etimologia e storia. Documenti inediti dell’ospedale di Santa Croce di Sassari. Una società multilingue La lingua della carta de logu-Sa limba de sa carta de logu Il latino è la lingua dei sardi

Pubblicazioni di Bartolomeo Porcheddu

se, la Baronia, le plaghe dell’Orunese, e del Bittese, dove quasi il latino è il linguaggio familiare, quasi di puro latino il verso e il canto, e dove a non dir altro, i capretti si dicono sos edos (ipsos haedos) “. La Sardegna non aveva bisogno di quel “nobile volgare” che appassiona Dante in quanto ivi si usava naturalmente il volgare, la lingua nutrice. Le Lannou nel 1941, nel suo “Pastori e contadini in Sardegna”, affermava: “… La Sardegna è il solo paese al mondo dove la lingua dei Romani si sia conservata come lingua viva. Questa circostanza ha facilitato le mie ricerche nell’isola, perché almeno la metà fra pastori e contadini non conoscono l’italiano … Roma, come vedremo, ha esercitato qui influenze (linguistiche, ndr) sproporzionate rispetto ai contingenti militari che vi introdusse”. Sappiamo con certezza che ancora negli anni trenta del secolo scorso in Sardegna, nell’interno, si predicava in Lingua Sarda. Di come i Sardi metabolizzassero quel Latino ecclesiastico lo racconta, con spirito, il Gramsci delle Lettere dal carcere. Comunque da almeno sette secoli molti specialisti certificano quello strano, stranissimo Latino parlato lì dentro. Ed è questa l’ipotesi: LA BARBAGIA PARLA LATINO PERCHE’ NON HA MAI SMESSO DI FARLO: LO PARLA DA SEMPRE. A.G.

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Foto testeach.com

ormai appurato che nell’arco di alcuni anni tra il 1200 e il 1100 a.C. in Sardegna scomparve la cultura dei costruttori di nuraghi e tombe di giganti. Non fosse altro per la singolare coincidenza temporale, analoghi cambiamenti sono attestati nel Vicino Oriente, con l’arrivo dei Filistei in Palestina, con le incursioni dei Popoli del Mare contro l’Egitto, con la famosa guerra di Troia, con l’estinzione della maggior parte delle civiltà nel Mediterraneo orientale, nel Peloponneso, nell’Asia Minore e in Palestina e Siria. Per dirla con Venceslas Kruta: “Le antiche culture dell’Età del Bronzo si trasformano o subiscono l’impatto di movimenti di popolazioni.” Non si tratta di un fenomeno di breve durata, bensì di un processo complesso, legato forse a mutazioni climatiche. Il risultato è il formarsi di complessi culturali che si possono considerare come i nuclei iniziali dei popoli storici. Tutto ciò è abbastanza chiaro per gli archeologi di tutta Europa che si sono dati appuntamento a Dublino il 7-9 marzo 2008 per il Convegno internazionale 1200 B.C. - War, Climate Change, and Cultural Catastrophe (“1200 a.C. guerra, cambi climatici e catastrofe culturale”), organizzato

TEORIE PER LA FINE D dalle Schools of Archaeology and Classics della University College Dublin. La mancanza di fonti scritte sulla caduta relativamente improvvisa di numerosi regni ed imperi in tutta la regione del Mediterraneo tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XII a.C., dalla seconda metà del XX secolo ha comportato la proliferazione di svariate ipotesi scientifiche. Secondo la teoria neo-marxista di Manoles Andronikos, il decadimento delle civiltà dell’Età del Bronzo nel Mediterraneo orientale fu il risultato di rivoluzioni sociali all’interno di quelle società, con rivolte della popolazione rurale contro la classe dominante. Tuttavia, laddove è possibile credere in rivoluzioni sociali in pochi luoghi isolati come le singole città della Grecia, del Peloponneso o del Levante, o anche all’interno di una provincia che conteneva uno o più di tali regni, è più difficile credere che più rivoluzioni simultanee avessero avuto luogo dalla Grecia, alla Turchia e alla Palestina contemporaneamente. Inoltre, Andronikos non riuscì a spiegare lo spopolamento molto esteso di vaste e fertili aree come la Messenia e la Laconia. Per Emily T. Vermeule «la disgregazione del commercio nel tardo XIII secolo a.C. potrebbe essere stata più disastrosa per la Grecia delle invasioni dirette e ciò seguì inevitabilmente l’arrivo


DELL’ETA’ DEL BRONZO dei Popoli del Mare la cui ricerca di terre e di sussistenze gettò l’Egeo nel caos». La sua teoria propone che i Popoli del Mare sconvolsero il commercio egeo troncando le normali rotte commerciali attraverso l’Egeo. Poiché l’economia di quest’area sarebbe dipesa da contatti commerciali esterni, l’estesa soppressione di tale commercio avrebbe condotto senz’altro alla loro distruzione, anche se sono sconosciuti i responsabili e forse non è molto importante. Nondimeno, mentre le attività dei Popoli del Mare sono attestate sicuramente attraverso le fonti egiziane – menzionano battaglie contro costoro nei secoli XIII-XII e le devastazioni che questi razziatori avevano anche provocato nel Levante, a Cipro, ed in Anatolia, tanto da essere considerati i distruttori delle città-stato levantine come Ugarit – non c’è prova di una loro presenza anche nel lontano Egeo, né, tanto meno, nel Mediterraneo occidentale. La teoria di Vermeule è la migliore risposta alla domanda sul perché i centri di potere non furono ricostruiti, piuttosto che la spiegazione di chi li distrusse e per quale motivo. Nel 1964 Vincent Robin D’Arba Desborough suggerì cautamente la possibilità di un’invasione terrestre dal nord, pur mancando ogni traccia, a parte gli stessi li-

velli di distruzione e gli abbandoni molto estesi, di presenza di tali invasori. Forse alcune classi nuove di oggetti di bronzo, come la “fibula” [o spilla di sicurezza] e la spada del tipo “Naue II”, fecero il loro primo ingresso nel mondo egeo nel 1200 a.C. circa. Tuttavia, questi oggetti non sembrano essere appartenuti esclusivamente ad un elemento di popolazione intrusiva. Di conseguenza, Anthony M. Snodgrass concluse che oggetti di quel genere non possono essere presi come prove dell’invasione o dell’immigrazione di popoli nordici dal bacino occidentale del Danubio verso l’Egeo, perché questi oggetti potrebbero essere stati inizialmente importati nell’area Egea, nell’Italia settentrionale e poi nelle prime necropoli della cultura dei “campi di urne” del bacino del Danubio. Massimo Rassu Continua a leggere l’articolo completo sul n.34 di Sardegna Antica https://store.sardegnantica.org/prodotto/sardegna-antica-34-cartaceo/

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orvara, nell’entroterra abruzzese, è una località più o meno nota soprattutto per il suo stato di abbandono e per la resistenza dei tre soli abitanti che ne continuano ad animare il borgo medievale, provato dai terremoti e in serie condizioni di abbandono. Uno di quei cosiddetti “borghi fantasma”, che caratterizzano la retorica mediatica soprattutto per l’Italia centro-meridionale: luoghi sospesi nel tempo, dominati dal silenzio, abitati (quando lo sono ancora) da poche decine di persone e frequentemente motivo di interesse nel sempre attuale discorso su ripartenza e valorizzazione. Quei luoghi che spesso entrano nel dibattito pubblico come ideali “hotel diffusi”, come nell’intervista del Ministro Franceschini rilasciata al Corriere della Sera il 31 maggio scorso. Ma solo chi conosce dall’interno Corvara sa che la sua attuale condizione è proprio dovuta a un tentativo spericolato di farne un borgo per turisti, con l’obiettivo di supplire alla mancanza di popolazione: nel 2010 il gruppo imprenditoriale Paggi, dopo aver comprato a cifre infime buona parte del borgo medievale con la promessa di un riscatto comunitario, festeggiava l’inaugurazione di una piccola parte di albergo diffuso, che avrebbe dovuto fungere

La retorica tossica sulla “ da polo attrattivo per ricchi turisti alla ricerca di un’esperienza alberghiera di lusso nella suggestività di strutture storiche sullo sfondo del Gran Sasso. Purtroppo, oltre il ristretto nucleo di immobili interessato dall’opera di restauro, il resto della proprietà non ha goduto di grande fortuna quando il gruppo imprenditoriale è fallito e i terremoti e l’incuria hanno reso inagibili le strutture: calcinacci, impalcature alla buona e ruderi accompagnano le odierne passeggiate per la parte di borgo finita sotto le mani del presunto benefattore. Tra retorica e realtà La storia recente del piccolo borgo medievale di Corvara è non solo utile a gettare un po’ di luce su un cosmo di realtà troppo spesso dimenticate o volontariamente tralasciate, ma anche per sdoganare il mito del rilancio del Patrimonio tramite turismo ricco e persone facoltose che non vedano beni culturali, ma beni di consumo: ottica che invece traspare ancora dall’intervista di Dario Franceschini del 31 Maggio al Corriere della Sera, incentrata su rilancio del turismo, Alta Velocità (di cui abbiamo trattato in altra sede) e, appunto, borghi. L’Italia secondo il Ministro dei Beni Culturali dovrebbe puntare “a un turismo internazionale di livello alto e con capacità di spesa”. Si propone un piano di


“valorizzazione dei borghi” rilancio dei borghi appenninici, “luoghi bellissimi”, purtroppo “spesso abbandonati o trascurati”, che in qualche modo vanno rivalorizzati; e poi: “hotel diffusi, cammini ciclabili, ferrovie storiche, cibo, natura, arte. Un modo di offrire turismo esperienziale, quella possibilità di vivere all’italiana che tutti nel mondo sognano”. A parte la suggestività tipica dell’immaginario rurale, riaffiorante anche nelle parole del Ministro, le atmosfere particolarmente nazionalpopolari -sembra che chi lì vive debba sentirsi onorificato da qualche speciale merito alla resilienza-, la realtà dei fatti è che c’è una parte di Penisola che semplicemente non ce l’ha fatta, e non ce la fa, a rimanere al passo con l’era del consumo e le comodità contemporanee. I motivi sono tanti e accomunano i piccoli comuni montani o a vocazione agricola da Nord a Sud, dall’isolamento geografico alla pessima organizzazione dei trasporti pubblici, che spesso non collegano questi luoghi con gli altri centri o lo fanno a fatica; dal gap digitale alla difficoltà nel garantire ovunque giusti servizi energetici e all’impoverimento progressivo di servizi pubblici (rimandiamo all’articolo di OpenPolis per un approfondimento sulle disuguaglianze nell’istruzione pubblica, anche su base territoriale).

Duole constatare che il Ministro, quando parla delle aree montane appenniniche, sembri non ricordare (o voler ricordare) che sono le stesse zone ad alta incidenza sismica che negli ultimi decenni hanno visto disastri e crolli ingenti di interi paesi: i centri storici sono ancora puntellati, per metà diroccati, spesso immersi nel silenzio di una vita che ha cessato di essere ed ha dovuto ricostruirsi altrove e intrappolati nell’istante che li ha visti tremare, perché da allora molti non hanno ricevuto alcun tipo di aiuto per ripartire. Nel centro storico de L’Aquila (solo uno degli esempi possibili) a dieci anni dal sisma la maggior parte degli edifici ricostruiti e riportati alle loro funzioni erano quelli di matrice privata, mentre in tantissime realtà abruzzesi i servizi pubblici, specialmente scolastici, si svolgono ancora nelle strutture leggere provvisorie allestite nel 2009. Il miraggio del miracolo Eppure, ciò stante, la prospettiva ministeriale sembra quella di vendere l’immagine stereotipata delle “Vacanze romane” di hollywoodiana memoria, senza realmente riflettere su quali siano le necessità del Patrimonio e di chi i luoghi storici li vive quotidianamente. E venderla a un “turismo internazionale con grande capacità di spesa”, mentre il resto del mondo (segue pagina 24)

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Foto monteleone rocca doria

(segue dalla paginas 23) parla di turismo di prossimità. Non proporremo in questa sede soluzioni per problemi strutturali che vedono gli albori negli anni ‘50 e ‘60: le letture a riguardo non mancano. Ciò che ci interessa è notare, dopo decenni, che ogni volta che la politica nazionale parla delle disagevoli condizioni di molti borghi italiani, la risposta sembra risiedere nel miracolo turistico. L’intenzione di investire sul serio in questo tipo di turismo sembra tutt’altro che presente nelle pianificazioni del MiBACT e la frettolosità nel passare da valorizzazione dei borghi, a turismo internazionale “con grande capacità di spesa” ad Alta Velocità e Ponte sullo Stretto sembra esserne la conferma, così come lo sembra uno spunto in particolare che nell’intervista viene dato nell’immaginare lo sviluppo del centro-sud: l’hotel diffuso, nuovo modello di esperienza italiana per quel “turismo con grande capacità di spesa” già menzionato. A chi giova questa retorica? Chi vive i borghi lo sa: gli alberghi diffusi vengono sempre più ben visti dai piccoli centri che vivono lo spopolamento e temono il decadimento delle strutture. Ma da chi amministra ci si aspetterebbe una puntuale analisi dei dati: per la ricostruzione dei nuclei storici e la gestione di essi il paradigma del

deus ex machina che arriva da lontano ha pienamente dimostrato anche i suoi rischi e limiti, legati a tentativi di semplice speculazione a basso costo. Per un esempio felice che arriva sui giornali ci sono tanti esempi di borghi decadenti e spopolati, magari ormai proprietà di aziende in fallimento o all’inseguimento del guadagno maggiore, che spariscono dai media, come il caso sopra menzionato del borgo di Corvara, o di Santo Stefano di Sessanio, dove nel 2017 tutti i lavoratori impiegati nell’Hotel diffuso “Sextanio”, la creatura dell’imprenditore italo-svedese Daniele Kihlgren, si sono ritrovati disoccupati da un giorno all’altro per i pochi introiti dovuti alla scarsità di turisti che foraggiassero le strutture. I borghi italiani hanno bisogno di sostegno, di aiuto, di pianificazione, e del riconoscimento della loro unicità. La salvezza può arrivare solo da lì, non dal turismo internazionale con grande capacità di spesa, né da investimenti poco mirati e mal coordinati. https://www.facebook.com/miriconoscibeniculturali/ https://www.miriconosci.it/retorica-tossica-borghi/?fbclid=IwAR3N7WWS82mvPNysGvd87htGtzm4dzMK5hjeHSlQnZ7SdqXywxnVbWLz69M


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onteleone Rocca Doria è un comune italiano di 99 abitanti della provincia di

Sassari. Il paese è situato nell'entroterra algherese e dista 37 km da Alghero e 41 km da Sassari. È il comune meno popolato della provincia. Area abitata già in epoca nuragica per la presenza di alcuni nuraghi, in epoca medievale sorgevano nella località un castello e un borgo, appartenenti ai Doria (secolo XIV). Il castello fu occupato dagli aragonesi nel 1436 dopo un assedio durato tre anni, e venne fatto smantellare dal re d’Aragona Alfonso V il Ma-

gnanimo insieme al borgo, che venne distrutto. Gli abitanti si rifugiarono in parte nella vicina villa di Monteleone (detta poi Villanova Monteleone), e in parte restarono a ricostruire il paese, che entrò a far parte della contea di Monteleone, che fu riscattata nel 1839 ai Brunengo, ultimi feudatari, con la soppressione del sistema feudale. oddì (Soddie in sardo) è un comune italiano di 121 abitanti della provincia di Oristano. Il comune sorge a 250 metri sul livello del mare nella regione storica del Barigadu. Dal suo centro abitato si può osservare il vicino

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lago Omodeo. L’area fu abitata già dall’epoca nuragica, per la presenza sul territorio di numerosi nuraghi, Nel Medioevo appartenne al Giudicato di Arborea e fece parte della curatoria di Guilcier, o Gilciber, detta più tardi Ozier Real. Alla caduta del giudicato (1410) passò sotto il dominio aragonese. Nel 1416 tutto il Gilciber e i territori della curatoria di Parte Barigadu vennero concessi in feudo a Valore di Ligia, un arborense che aveva tradito il giudice di Arborea Ugone III nel corso delle guerre tra Aragona e Arborea; quando però Valore e suo figlio Bernardo si recarono a prendere possesso del feudo, vennero uccisi insieme alla loro scorta a Zuri. Più tardi entrò a far parte del marchesato di Sedilo, di cui seguì le sorti fino al 1839, quando il sistema feudale venne abolito e il paese fu riscattato agli ultimi feudatari e divenne un comune amministrato da un sindaco e da un consiglio comunale. Sino al 1979 il paese è stato una frazione del comune di Ghilarza. aradili (Bobadri in sardo) è un comune italiano di 78 abitanti della provincia di Oristano in Sardegna. È noto per essere il meno popoloso comune della Sardegna e uno dei meno abitati in Italia. (segue pagina 26)

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Foto baradili

(segue dalla pagina 25) Territorio abitato in epoca nuragica e probabilmente romana, nel Medioevo appartenne al Giudicato di Arborea e fece parte della curatoria della Marmilla. Alla caduta del giudicato (1410) passò agli aragonesi e fu incluso nell’Incontrada di Marmilla, feudo dei Carroz conti di Quirra. Dal 1603 fece parte del Marchesato di Quirra, feudo dei Centelles. Nel 1839, con la soppressione del sistema feudale, fu riscattato agli ultimi feudatari, gli Osorio de la Cueva, per diventare un comune amministrato da un sindaco e da un consiglio comunale. Nel 1927 il comune di Baradili venne aggregato al limitrofo comune di Baressa. Recuperò l’autonomia nel 1945. Ogni anno a Baradili si svolge la sagra del Raviolo nella domenica tra il 13 e il 19 luglio; il 20 luglio si festeggia Santa Margherita di Antiochia patrona del piccolo Comune. La sagra prende spunto da una leggenda secondo la quale in un 13 luglio di un tempo lontano, alcuni giovani contadini, mentre aravano un terreno in campagna, ritrovarono la statuina di Santa Margherita. I contadini portarono la statuina al parroco che, pronto a pranzare, era già seduto a tavola davanti a un piatto con tre ravioli. La voce del ritrovamento ben presto si sparse per il

paese facendo accorrere tutta la popolazione, e quel pranzo semplice si trasformò in un vero e proprio banchetto. I ravioli sembravano non finire mai; bastarono per il parroco, per i tre giovani, e per tutte le persone del paese che accorsero per rendere omaggio alla statua della loro patrona. Da quel momento si festeggiò Santa Mragarida Agattada (Santa Margherita ritrovata) o de is cruguxionis (dei ravioli). Nel 1995 venne organizzata la prima sagra dei Ravioli, che da allora viene riproposta ogni anno accompagnata da altre attività culturali e di valorizzazione dei prodotti locali, oltre naturalmente alla distribuzione di ravioli nelle diverse varietà: con ricotta e limone, con ricotta e spinaci, con patate, preparati a mano secondo le antiche ricette tradizionali. Questi tre paesi sardi sono solo un esempio dello spopolamento in opera in tutta la regione che mostra un ricambio di popolazione negativo, non saranno certo gli alberghi diffusi destinati a clientele “con grandi capacità di spesa” che potranno ridargli vita. Eppure una nuova popolazione di agricoltori, artigiani, insegnanti ed artisti potrebbe far rinascere luoghi spesso molto ben conservati e di interesse archeologico e storico notevoli senza contare la loro posizione geografica ed il loro clima particolarmente piacevole. Un sogno ? Un’utopia ? Un progetto ? V.E.Pisu


Foto efisio carbone

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el Sulcis Iglesiente, nella parte sud occidentale della Sardegna, a Villamassargia, esiste un orto secolare di ulivi innestati dagli abitanti tra il 1300 e il 1600 chiamato “S’Ortu Mannu”, l’orto grande. All’interno del parco di oltre tredici ettari, dimorano più di settecento ulivi secolari affidati alle cure delle famiglie del paese; tra di essi campeggia uno degli ulivi più antichi d’Europa chiamato “Sa Reina”: La Regina. Con oltre 16 metri di circonferenza del tronco, le sue chiome verdissime, i rami nodosi, “Sa Reina” sfida il tempo, le stagioni, la storia. Madre, guardiana coraggiosa, difende il territorio e quel poco che resta dell’antico sconfinato dominio. La Sardegna è spesso un racconto al femminile, che affonda le sue radici nella Preistoria per giungere, con un bagaglio inestimabile di saperi antichi, alle soglie del nostro tempo. Prima dee, poi regine, poi artiste il viaggio prosegue, cambiano le armi ma il principio di resilienza resta immutato, quasi fosse geneticamente trasmesso, anche quando, l’occhio attento, mette a fuoco oltre il mare il mondo con la sua contemporaneità. La mostra Reinas raccoglie e presenta le opere di quattro tra le più importanti artiste di Sardegna, tre

REINAS Zaza Calzia Maria Lai Lalla Lussu Rosanna Rossi a cura di Efisio Carbone

fino a domenica IE D E N SI A T DA N A RIM MEF Museo Ettore Fico Via Francesco Cigna 114, 10155 Torino

5 luglio 2020

Uffici +39 011 853065 Biglietteria +39 011 852510

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generazioni a confronto e un focus sulla produzione dagli anni ‘70 ai giorni nostri. Parliamo di quattro piccole antologiche dedicate a Maria Lai, Zaza Calzia, Rosanna Rossi e Lalla Lussu interconnesse tra loro a sottolineare punti di contatto e diversità di ricerca. Il percorso è tracciato da altrettante parole chiave che vogliono suggerire il tema caratterizzante dei nuclei selezionati lungo una narrazione che è anche scoperta, sorpresa, riflessione, in un tempo che scorre in ritmi differenti per creare esperienze personali e condivise. Ecco quindi l’ago di Maria Lai sfilato da un muro cucito per “legare collegare” insieme i quattro temi della Parola, del Ritmo, del Colore e del Segno come capitoli selezionati da un unico libro. Immergendoci nella spiritualità di Lai, nell’ironia giocosa di Calzia, nei colori solari di Lussu, nel rigore estetico di Rossi scopriremo inusitate esperienze di ricerca che restituisco un territorio aggiornato, distante dagli stereotipi più comuni, dove isola non è isolamento ma spazio di convivenze in cui sottili rimandi tra passato e presente sono più chiari, meno disturbati da rumori bianchi. Sull’isola i silenzi profumano di eterno, ecco perché è più facile ascoltare. (segue pagina 28)

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(segue dalla pagina 27) Attraverso quattro tra le artiste più note del panorama sardo s’intende individuare un percorso comune che restituisce la capacità di trattare elementi peculiari della storia, della cultura, della natura del territorio sardo per restituirli alla collettività elaborati in linguaggi contemporanei aventi la straordinaria capacità di varcare geograficamente i confini “regionali” per divenire patrimonio collettivo internazionale. aza Calzia nasce a Cagliari nel 1932. Compie studi artistici presso l’Istituto Statale d’Arte di Sassari. Dal 1961 ha diretto il laboratorio di decorazione pittorica con l’insegnamento di progettazione e il disegno professionale dell’Istituto d’Arte di Sassari e ha fatto parte del “Gruppo A”. Negli stessi anni svolge l’attività di designer per l’artigianato e l’industria. Dal 1967 si occupa di libri per l’infanzia. Socia nella cooperativa “Prove 10”, ha pubblicato nel 1974 a Roma “Un Paese” (una favola colorata). Dal 1975 al 1997 ha diretto, presso l’Istituto Statale d’Arte di Roma 2, il laboratorio di decorazione pittorica con l’insegnamento della progettazione e del disegno professionale. Svolge la sua attività artistica a Roma, dove risiede dal 1970.

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aria Lai nasce nel 1919 a Ulassai. Fin da bambina mostra uno spiccato talento artistico e ha l’opportunità di entrare in contatto con il mondo dell’arte (posa per lo scultore Francesco Ciusa per un ritratto della sorellina scomparsa). Pochi anni dopo, la famiglia decide di iscriverla alle scuole secondarie di Cagliari, dove conosce Salvatore Cambosu che per primo scopre la sua sensibilità artistica. Nel 1939 si trasferisce a Roma per frequentare l’Istituto d’Arte e, successivamente, nel 1943 a Venezia, dove segue le lezioni di Arturo Martini all’Accademia delle Belle Arti. Rientra in Sardegna, non senza difficoltà, nel 1945. Qui riprende l’amicizia con Cambosu e insegna disegno nelle scuole elementari di Cagliari. Ritorna a Roma nel 1956 e, l’anno successivo, presso la galleria L’Obelisco, tiene la sua prima personale. L’attenzione critica ricevuta in quell’occasione non soddisfa però le attese personali dell’artista che inizia così un lungo periodo di riflessione in cui ritrova il mondo dei poeti e degli scrittori, fra i quali Giuseppe Dessì. Nel 1971, presso la Galleria Schneider di Roma, espone i primi Telai, un ciclo che caratterizza i dieci


l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi organizza la sua prima monografica in Francia, “Maria Lai. Suivez le rythme”, che la consacrano sulla scena internazionale come una delle figure più originali e innovative del panorama artistico della seconda metà del Novecento. Lalla Lussu (Cagliari, 1953 – 2020) alla Lussu è nata a Cagliari dove ha vissuto e lavorato per gran parte della sua vita. Consegue il diploma al Liceo Artistico Statale Foiso Fois e la laurea in Storia dell’Arte Contemporanea con una tesi sull’artista Enrico Castellani. Dal 1984 è docente di Discipline Pittoriche, presso il Liceo Artistico Statale Foiso Fois di Cagliari,città nella quale vive e lavora. Nel 1971 frequenta il corso di pittura presso l’Internatìonale Sommerarakademìe fur Bildende Künst di Salisburgo con il maestro Heinz Trökes, e nel 1989, con il maestro Jörg Immendorf. Dal 1982 al 1984 frequenta i corsi d’incisione presso l’Accademia Raffaello d’Urbino e nel 1997/1998 i corsi avanzati d’incisione tenuti dal maestro fiammingo Enk de Kramer presso il Museo ExMà di Cagliari. In seguito alla prima mostra personale del 1977, presentata da Giorgio Pellegrini, confronta il suo lavoro con quello di

L anni successivi e l’avvicina ai temi dell’arte povera. Nel 1978 partecipa alla mostra “Materializzazione del linguaggio”, evento collaterale della Biennale di Venezia curato da Mirella Bentivoglio, con i primi “libri cuciti” mentre negli anni Ottanta dà vita alla serie delle “Geografie” e si dedica alle prime operazioni sul territorio. Nel 1981 realizza a Ulassai la performance collettiva “Legarsi alla Montagna” che anticipa i temi e i metodi di quella che sarà definita, oltre un decennio dopo, come “arte relazionale”. A partire dagli anni Novanta realizza una serie di interventi di arte pubblica che riusciranno a trasformare il suo paese natale in un vero e proprio museo a cielo aperto. Nel 2006 istituisce a Ulassai la “Stazione dell’Arte”, museo di arte contemporanea a lei dedicato che custodisce le opere più significative del suo percorso artistico. Il 16 aprile 2013 si spegne all’età di 93 anni. Nel 2017 alcune sue opere figurano in contemporanea nelle principali rassegne periodiche internazionali, come la Biennale di Venezia e Documenta a Kassel e Atene. Nel 2019, in occasione del centenario della sua nascita, il MAXXI di Roma le dedica la retrospettiva “Maria Lai. Tenendo per mano il sole” e

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Foto reinas museo fico

altri giovani artisti italiani, partecipando a mostre come il Premio San Fedele e Quadri Giovani 1981 a Milano e Territorialità dell’arte a Capo d’Orlando (Palermo), curata dal critico Simonetta Lux. Dal 1982 partecipa al programma di mostre proposte dalla gallerista Sandra Piras, nel suo storico spazio Chironi 88 di Nuoro, dal titolo Istanze Contemporanee. Negli anni Ottanta-Novanta l’attenzione è catturata da un’espressione pittorica che la stessa artista definisce “astratto ma non troppo”. Dal fondo marino popolato di pesci alla terra, dall’abissale alle radici, all’essere vivente, fiore o albero, petalo e foglia, fusto e fronda, e ne sono testimonianza le mostre “La preponderanza delle cose piccole”, “Tempere”, “Un albero ancora bambino balla e canta sull’erba”, “Insularità” (curata dal critico Giuliana Altea), “Lontane radici del senso” (presentata dal critico Caterina Limentani Virdis), “Preghiera e Pentimento. Nel 2000, alla mostra Attraversamenti, a cura dell’Associazione Culturale “Man Ray”, espone le sue prime Icone, presentate dal critico Ivo Serafino Fenu. Nel 2003 presenta 19 grandi Icone Urbane al Lazzaretto di Cagliari, a cura di Alessandra Menesini. Dopo la partecipazione nel 2003 alla mostra de-

dicata a “Sardae Patronus Insulae Sublimis Inter Martires”, decide di rivolgere tutta la sua attenzione e il suo impegno alla tecnica dell’acquerello e alla possibilità di nuove sperimentazioni; a tale proposito si ricorda la mostra del 2005 “Duetto d’Artista” all’Exmà di Cagliari dall’intrigante sottotitolo “RA MA DU RA” e la partecipazione alla mostra Carte e…carte, organizzata dal Centro Culturale Man Ray, con un opera Ziqqurat/Taruqquiz del 2007. Da 2009 al 2012 partecipa ad una serie di mostre collettive “Riflessi”, “Bianco come la Pece”, “Stanze”, dove l’impegno verso la tecnica dell’acquerello è sempre più sperimentale rivolgendo la massima attenzione al coinvolgimento dello spazio e dello sguardo. Nel 2011 nella mostra personale dal titolo: “I fiori sbocciano…presto raggiungerò il bosco”, presentata dallo storico dell’arte Marisa Frongia, realizza con carta e acquerello un’installazione site specific dedicata al mondo vegetale. Recentemente ha collaborato con artisti e architetti al recupero d’alcune aree urbane della città di Cagliari, partecipando nel 2000 al progetto “Dieci artisti per il Favero”, nel 2001 al progetto “Piazza d’Arte” e nel 2010 al progetto “Open Show” nella città di Sassari. Dal 2009 al 2012 ha preso parte alle mostre di New Design “SiediTi”, “Contenitori alT”, “TVB”, con


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opere tridimensionali realizzate con lana lavorata ai ferri. Nel 2012 è stata scelta per rappresentare la Regione Sardegna alla Biennale dell’acquarello di Albignasego (PD). Nel 2013 con la mostra “Acquarelli” presenta la sua opera nella Cittadella dei Musei di Cagliari. Dal 2012 l’artista inizia a lavorare su teli di lino naturale, stoffe plissettate e dipinte a mano in cui l’instancabile ricerca sui legami tra Arte e Natura incontra il suo mondo ideale e spirituale. È del 2017 la mostra Cortecce a cura di Efisio Carbone, con gli allestimenti di Giorgio Dettori, presso lo Spazio (IN)visibile di Cagliari. Dal 2018 inizia la collaborazione con la Galleria di Marina Bastianello che ha presentato la sua ultima ricerca in una mostra antologica a Mestre a cura di Efisio Carbone oltre a promuovere il lavoro in fiere nazionali e internazionali. osanna Rossi. Nata nel 1937 a Cagliari dove vive e lavora. Compiuti gli studi presso L’istituto d’Arte Zileri di Roma rientra nell’isola nel 1958. Dopo le prime esperienze all’interno delle attività di Studio 58, caratterizzate da una figurazione espressiva, alterata da suggestioni materiche,

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la sua ricerca si orienta nel decennio successivo verso un’astrazione che fa interagire reminiscenze naturalistiche nell’uso del colore con le connotazioni segniche di matrice informale. Gli sviluppi successivi, pur con periodici s confinamenti nell’ambito del ready-made, mantengono questa ambivalenza progettuale, oscillando costantemente tra un ordine costruttivo di ascendenza concreta e soluzioni materico-espressive dell’astrazione neoinformale. Docente al liceo artistico dal 1968 al 1983, ha insegnato in vari corsi di specializzazione e dal 1984 al 1990 all’Istituto Europeo di Design. Dal 1970 inizia a occuparsi di installazioni permanenti in spazi pubblici. Il suo lavoro continua a scandagliare i linguaggi tradizionali ma all’interno di una figurazione inusitata. In parallelo al proprio linguaggio pittorico identifica nuove possibilità espressive ottenute con materiali poveri, trovati, diversamente utilizzati, scavalca la tradizione precedentemente espressa. Attualmente l’artista lavora con la Prometeo Gallery di ida Pisani che ha presentato le sue opere in una mostra antologica a Milano oltre a promuovere il lavoro in fiere nazionali e internazionali. A cura di Efisio Carbone http://www.museofico.it/ mostre/reinas/

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Foto Barbara Rigon

ime in jazz per far ripartire lo spettacolo. Il festival nato a Berchidda e ideato dal musicista Paolo Fresu va avanti anche per dare un segnale di ripresa. È la 33° edizione e si svolgerà ad agosto. Titolo: Anima-anemos. Ma è intenzione degli organizzatori dedicare l’appuntamento a Ezio Bosso, l’artista scomparso nelle scorse settimane, protagonista delle passate stagioni del festival. La rassegna sarà dedicata anche allo scrittore Gianni Rodari. Tra gli artisti in cartellone Rita Marcotulli, Daniele Silvestri, Fabio Concato, Cristina Zavalloni, Antonello Salis. E si esibirà lo stesso fondatore del festival con il suo quintetto storico. Paolo Fresu rompe gli indugi e decide che il il suo Time in Jazz “s’ha da fare”. Anche con il distanziamento sociale e tutte le regole, ma attorno a Ferragosto, il paese natìo in Sardegna, a pochi chilometri da Olbia, tra la regione del Monte Acuto e la Gallura, immerso nel verde ai piedi del massiccio del Limbara, da alcune decadi teatro del festival, potrà vivere l’edizione numero trentatré. Trentatré, tanti come gli anni di Cristo ricorda il trombettista, esordito giovanissimo nella banda municipale e oggi diventato carismatico leader culturale nazionale.

“Una cabala emblematica e (spiega nelle note che accompagnano il programma) ammaliante che ricorre nelle culture e nelle religioni del mondo. Un numero di passaggio nel quale leggere il dinamico movimento di un presente che dovrà necessariamente condurre verso il futuro. Mai avremmo potuto immaginare di vivere un momento come questo e di approdare a una consapevolezza, quella odierna, che traghetta il festival internazionale Time in Jazz verso una nuova sponda sempre intravista ma mai lambita. Siamo abituati a inventare e a cercare nuove soluzioni, lo faremo a maggior ragione anche quest’anno. Con un programma non di ripiego, ma anzi molto ricco. Tenendo presente tutte le regole che servono a garantire la sicurezza. Il territorio negli anni scorsi aveva un indotto di tre milioni di euro. Quest’anno non sarà la stessa cosa, ma è comunque fondamentale ripartire” Ci ha spiegato Fresu nella conferenza online di presentazione, Tanto slancio visionario, come è abitudine del jazzista sardo, ha bisogno di stare dentro una immagine più grande concernente la memoria, intimamente connessa a quelle radici che l’accompagnano ovunque vada.


RENTATREESIMA Ecco quindi, per quella vecchia abitudine di sistemare e dare un nome a tutti i suoi festival, battezzarlo “Anima”, un nome che solo a sentirlo sembra perfetto per una edizione da post Covid. Evoca palpitazioni millenaristiche, sentimenti manzoniani di ritorno, scenari bergmaniani da tabula rasa ma suggerisce anche ottimistici e volenterosi sguardi verso future albe segnate da solidarietà ambientalista, ospitalità e buoni sentimenti. Anche perchè in Sardegna, quel vocabolo richiama una pratica in uso sino alla fine dei Settanta: l’affidamento di figli da parte di genitori biologici ad altri adulti appartenenti di solito alla stessa comunità: “sos fidzos de anima”, o “is fillus de anima” appunto, per indicare con una certa sacralità il ricevimento e l’adozione, qualcuno da inglobare e proteggere dentro una comunità. Fresu è da sempre molto attento ai riti della tradizione: li rilegge aggiornandoli come perle di antica saggezza utili per scrutare il futuro. In questo si spiega anche la decisione di rompere gli indugi. E mentre in tanti chiudono e rimandano rassegne all’anno prossimo, sperando che la buriana del virus sia passata, testardamente e con una certa ispirazione Fresu va in direzione contraria. Va detto subito che

il programma non è certo dei più scoppiettanti. Il cartellone non vede altisonanti nomi stranieri e le produzioni del passato sono solo un ricordo. Non ci sarà, come era atteso Archie Shepp, uno degli ultimi grandi, come lo spettacolare concerto 100 Cellos, ossia quello dei cento violoncelli guidato da Giovanni Sollima ed Enrico Melozzi è stato cancellato (ma tornerà il 2021) . Anche Rita Marcotulli ha dovuto rinunciare alle immagini del suo omaggio a Caravaggio per esibirsi comunque con il suo trio. Non ci sarà il tradizionale pranzo ferragostano. E neppure il palco grande nella centrale piazza del Popolo, solo una pedana più vicina al pubblico che nel numero per sicurezza scenderà vertiginosamente. Da mille a trecento, forse trecentocinquanta posti. In compenso è tutto made in Italy. Da Silvestri che omaggia De Andrè a Fabio Concato, per soddisfare l’anima pop. E poi i musicisti della scuderia di Tuk, l’etichetta di Fresu, e tantissimi amici, da Roberto Cipelli ad Aquino, da Casarano a Dalla Porta o Antonello Salis che festeggerà i suoi settanta anni con un recital in solo. E giovanissimi come l’undicenne Giacomo Vardeu, un vero talento dell’organetto sardo. (segue pagina 34)

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foto roberto cifarelli

(segue dalla pagina 33) E poi, naturalmente, c’è la variabile aggiunta, cioè il Fresu nazionale che come è suo solito, si sposterà da un palco all’altro con tromba, flicorno e scatola di effetti speciali. E’ chiaro che a qualcosa, anzi a molto, questo Time in Jazz deve rinunciare, ma la voglia di non perdere un giro e di esserci è più forte. The show must go on. E’ stato lo stesso musicista a spiegarlo in una conferenza stampa virtuale con decine di giornalisti collegati in una diretta Facebook seguita da oltre trecento persone, in maggior parte fans. Perchè Time in jazz vuole esserci anche questo anno e con maggior forza del solito? “E’ giusto che ci sia. A gennaio (ha raccontato Fresu) il programma era in fase molto avanzata, poi ci ha sorpreso il virus. Siamo rimasti silenti ma non abbiamo smesso di pensare alle idee giuste per la ripresa. Lo diciamo con passione: anche quando hanno iniziato ad aprirsi i primi spiragli, eravamo già pronti e con la voglia di pensare in positivo. Fare un festival come il nostro, particolarmente radicato in un territorio, è assai importante. Berchidda ha avuto un indotto economico di tre milioni netti: probabilmente non accadrà anche questo anno perché

ci sarà meno pubblico, ma farlo rappresenta in ogni caso un fatto economico significativo per le nostre comunità”. Poi c’è il problema di un settore, quello dello spettacolo dal vivo, che è stato enormemente danneggiato dalla pandemia. “ Il mondo dello spettacolo si è fermato per primo rispetto ad altri settori. A metà febbraio quando è iniziata l’avanzata del virus (ha ricordato il trombettista) è stata la prima macchina a fermarsi. Non si potevano tenere, giustamente, concerti al chiuso per via degli assembramenti. Ma ciò ha creato un rilevante danno economico per chi ci lavora. Si tratta di 500 mila persone che versano in un momento difficile, nonostante gli aiuti del governo. Ma questi aiuti sono insufficienti a garantire una vita normale per i lavoratori dello spettacolo se poi non si riprende con l’attività. Occorre assolutamente ripartire con la musica e i concerti come per la cultura. Sarebbe un danno gravissimo se questo non accadesse. Tanto più in un Paese come il nostro dove la cultura, lo spettacolo e l’arte sono parte fondamentale del suo patrimonio. Ed è questo mezzo milione di persone che lo fa funzionare. Così vogliamo lanciare un messaggio positivo: uno alle nostre comunità, un altro per la ripresa e la ripartenza senza paura”.


La pianista Rita Marcotulli si esibirà a Berchidda ma ha dovuto rinunciare al progetto su Caravaggio E quindi musica in sicurezza. “Vogliamo sottostare in modo rigidissimo alle norme volute dal Governo ma trovando allo stesso tempo anche soluzioni creative e intelligenti che possano essere non solo utili perché le manifestazioni si possano svolgere, ma anche diventare idee da piantare in una terra fertile per progetti futuri. Il programma che faremo non è di ripiego, anzi è un programma rilevante. Molto serio e ricco di proposte. Organizzeremo in luoghi modificati rispetto al passato. E in questo da tempo i nostri responsabili della sicurezza stanno lavorando a stretto contatto con l’amministrazione comunale per trovare le soluzioni migliori. Ad esempio nella piazza del Popolo dove terremo i concerti serali e a pagamento (i ticket si faranno on line per poter mappare prima la situazione in sala) troveranno posto dalle 300 a 350 persone. Occorrerà fare le sanificazioni e, nell’ipotesi di tenere un doppio concerto, ulteriore sanificazione. Anche nei concerti che terremo in campagna e nei luoghi lontano da Berchidda valgono le stesse regole: dovremmo fare attenzione a garantire la distanza etc…

Pensavamo inoltre di incrementare l’attività da dedicare ai bambini che hanno vissuto un periodo particolarmente duro, confinati in casa, con l’insegnamento a distanza. Saranno programmate attività all’aperto, con concerti che permetteranno alle famiglie di poter assistere in modo sicuro”. Il cantautore Daniele Silvestri interpreterà De Andrè ad agosto all’Agnata per Time in Jazz Ma ecco nel dettaglio il programma che come tradizione dovrebbe svolgersi dall’11 al 15 agosto. I luoghi intanto. Oltre a Berchidda ci saranno eventi anche ad Arzachena, Bortigiadas, Cheremule, Ittiri, Loiri Porto San Paolo, Mores, Nulvi, Ploaghe, San Teodoro e Telti (ma qualcun altro potrebbe aggiungersi). E veniamo alla musica. I concerti serali. Il via dovrebbe essere dato dal set della pianista Rita Marcotulli con Ares Tavolazzi al contrabbasso e Israel Varela alla batteria. A seguire la cantante Cristina Zavalloni in quartetto con Cristiano Arcelli al sassofono, Daniele Mencarelli al basso elettrico e Alessandro Paternesi alla batteria. Al terzo giorno di scena la formazione Devil quartet di Paolo Fresu con Bebo Ferra alla chitarra, Paolino Dalla Porta al contrabbasso (p 36)

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Foto roberto sanna

(segue dalla pagina 35) e Stefano Bagnoli alla batteria. L’indomani è la volta del gruppo Voodoo Sound Club di Guglielmo Pagnozzi, featuring il trombettista Roy Paci. Serata finale con il trio di Paolo di Sabatino e Fabio Concato. Tra gli eventi tradizionali, il concerto all’Agnata con Daniele Silvestri e uno (ancora in definizione) a bordo di una nave della Corsica e Sardegna Ferries. Cristina Zavalloni si esibirà in quartetto con Cristiano Arcelli, Daniele Mencaresi e Alessandro Paternesi a Time in Jazz Significativa assai la pattuglia dei musicisti provenienti dall’etichetta Tuk Music, che Paolo Fresu ha fondato dieci anni fa, coinvolti in diversi set nelle località e nei siti di particolar interesse archeologico e turistico del territorio:ecco così il Low Frequency Quartet guidato da Alessandro Tedesco, la cantante e pianista Petrina, il trio del contrabbassista Marco Bardoscia, il duo formato da Daniele Di Bonaventura al bandoneon e Marcello Peghin alla chitarra, il duo con il sassofonista Raffaele Casarano e il pianista Eric Legnini, il trombettista Luca D’Aquino e il fisarmonicista Carmine Ioanna, il quartetto di Paolino Dalla Porta, il batterista Stefano Bagnoli, il pianista Giuseppe Vitale, le sorelle Leila e Sara Shir-

vani, violoncellista e pianista in duo e quartetto con il chitarrista Francesco Diodati ed Enrico Morello alla batteria, il chitarrista Bebo Ferra, con l’Organo Trio e in solo, il quartetto d’archi Alborada e la cantante Maria Pia de Vito. Paolo Fresu si esibirà anche in trio con Marco Bardoscia e il pianista Dino Rubino. Dovrebbe essere certo anche il concerto del suo storico Quintetto con Tino Tracanna al sax, Attilio Zanchi al contrabbasso, Ettore Fioravanti alla batteria e Roberto Cipelli al piano (quest’ultimo si esibirà anche in solo). Altri set previsti quelli della cantante Karima e il pianista Piero Frassi e il solo di Antonello Salis. Come da tradizione non mancherà l’esibizione della banda municipale “De Muro” e nelle vie del centro gli interventi della Funky jazz orchestra diretta dal trombettista Antonio Meloni. Nei bar del paese sono previsti i set di Don Leone, Jericho, Giuseppe Bulla from Apollo Beat, il Bad Blues duo. Al jazz club serale infine tutte le sere di scena il gruppo del batterista Giovanni Gaias. Tra gli eventi di contorno è previsto lo spettacolo per bambini “Cuore di nonna” con l’attore Giancarlo Biffi, Paolo Fresu alla tromba e Sonia Peana al violino, una rassegna di film per l’infanzia curata da Gianfran-


Foto Roberto Cifarelli)

chissà come sarà la pandemia nel 2021? Se i problemi saranno risolti o se invece dovremmo mantenere ancora il distanziamento sociale come adesso”. Ultimi sopralluoghi e calcoli: i cinque eventi a Berchidda, nel nord Sardegna, dovranno fare i conti con le distanze e le sanificazioni. Secondo i primi conti la piazza potrà ospitare al massimo 350 persone a spettacolo. Ma ci saranno anche le altre iniziative sparse nei comuni vicini. Confermato il viaggio musicale in nave con il traghetto di Sardinia Ferries. Tra gli spettacoli molto atteso il concerto di Silvestri all’Agnata, la tenuta di Fabrizio De André, dedicato proprio al cantautore genovese. Anche questa edizione avrà spazi dedicati ai bambini con Time to children. E momenti riservati al cinema con il regista Gianfranco Cabiddu e alla letteratura: tra gli ospiti anche il cestista della Nazionale, l’olbiese Gigi Datome. Direzione Artistica 2020 Mattea Lissia

co Cabiddu e una mostra delle copertine dei dischi di Tuk Music. Per “Time for children” il programma di eventi per i più piccoli in programma anche sette incontri con il poli strumentista Daniele Longo (atteso anche assieme a Remo Brandoni e Stefano Nosei in “Una classica serata jazz”). Tra quasi un anno Paolo Fresu compirà sessanta anni. Starà mica pensando a un evento simile o quasi a quello che fece per i cinquanta. Cioè i “Cinquanta suonati” con altrettanti live in luoghi diversi della Sardegna? A sorpresa Paolo Fresu risponde così a “Musica jazz”. “Sì,ci abbiamo pensato (afferma sorridendo e mostrando una espressione da Sfinge ) E’ anche un progetto ben definito, molto bello. Certo, è stato pensato molto prima del corona virus e bisognerà ovviamente verificare se ci saranno le condizioni. Chiaramente per il momento non parlo, ma ciò che abbiamo immaginato presuppone la partecipazione di un ampio numero di persone. Bisognerà capire se con il nuovo tempo del Covid sarà possibile realizzarlo. Per il momento la vedo un po’ difficile, considerando che il mio compleanno è il prossimo10 febbraio e

Associazione culturale Time in Jazz Via Umberto I, 37 07022 Berchidda (SS) Tel. +39 079 703007 Mob. +39 3203874963 segreteria@timeinjazz.it timeinjazz@pec.it timeinjazz.it

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irginia Siddi, nata a Portoscuso nel 1959, ha compiuto i propri studi presso il Liceo Artistico di Cagliari. Vive e lavora a Carbonia.

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Foto virginia siddi

“n effetti, quel che colpisce soprattutto nel lavoro di Virginia Siddi è il senso profondo della moralità del fare, la fiducia in un ideale di purezza formale sentito come irriducibile alla precarietà e prosaicità dell’esistente, e perseguito con tenacia, con generosa caparbietà e ostinazione.” Giuliana Altea, presentazione della mostra “Della purezza formale”, 1996 ascia così che i piani affiorino ad un movimento lento e continuo o si sottraggano alla logica di un percorso ovvio nel tentativo di conciliare l’intersecarsi delle rette con i profili circolari. Non c’è bisogno allora di chiedersi se il segno è pittorico o la superficie plastica, se si tratta di sintomi di scultura o di azzeramento dei valori pittorici, basta osservare il passaggio verso il colore sulle tavole in mostra per comprendere che non c’è antitesi tra i modi di manipolare le sostanze, sia che si tratti di accordare pigmenti cromatici o sollecitare vibrazioni materiche: in entrambi i casi Virginia

Siddi rivela la scelta consapevole di creare una possibile dialettica tra la tensione estrema delle linee e l’armonia che ne deriva, tra una prorompente energia e una appagante stasi consolatoria. Per questo motivo gli oggetti perdono peso, si fanno leggeri, appena palpabili, quasi fossero forme della spiritualità che si aprono all’esercizio della riflessione.” Mariolina Cosseddu, presentazione della mostra “Obra cultural”, 1996

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se è vero che la sua pittura è una rigorosa sintesi di elementi geometrici minimali che si definiscono e si completano nello sviluppo compositivo, la scansione dei ritmi non nasce mai da una progettazione asettica, da autoreferenziali calcoli matematici, ma da pulsioni profonde, da ricercate empatie con le forme e con le materie. Prima ancora che una essenziale combinazione di entità geometriche, essa è infatti un distillato di segni profondamente radicato in una dimensione esistenziale. Non stupisce che i tempi di ideazione siano inversamente proporzionali a quelli di esecuzione. Alla rapidità della invenzione iniziale, supportata da una lunga consuetudine con le forme base, si contrap-


Foto virginia siddi

Bibliografia

VIRGINIA SIDDI pone un tempo di realizzazione oltremodo dilatato, che consente verifiche oggettuali e una profonda assimilazione degli stilemi impiegati. Così la scelta di rapporti e di misure, di curve e di spessori, si trasforma in un vissuto progressivamente sublimato nei processi costruttivi. […] Approfondendo dei caratteri di solito marginali nell’astrazione geometrica attuale Siddi arriva paradossalmente ad un rovesciamento degli orizzonti neoconcretisti: oggettuali ma non oggettivi, misurati ma al tempo stesso fortemente evocativi, i suoi lavori affidano la loro pregnanza a quanto dì più estraneo ci possa essere alla ideologia funzionalista: ad una sapienza artigianale che si rivela in fondo una ricerca di identità personale. Però, nel suo simbolico oscillare tra progetto e destino, nel conciliare forme plastiche e forme pittoriche col sentimento delle materie e dei colori, Siddi sembra recuperare quel senso originario della avanguardia storica, orientato sulla sintesi metodogica delle diverse discipline, ma soprattutto teso al superamento della frattura tra l’autonomia e l’eteronomia dei linguaggi dell’arte.” Gianni Murtas, presentazione della mostra “Geometrie oggettuali”, 1999

Vedi il video vimeo.com/282627674

M.Cosseddu, Arte concreta in Sardegna oggi, catalogo, Carbonia 1995; M. Cosseddu, presentazione della mostra Obra Cultural, Alghero 1996; G. Altea, Della purezza formale, Calasetta 1996; M. Carta, Virginia Siddi a Calasetta conferma la sua vesatilità pittorica “La Gazetta del Sulcis” 10/09/1996 G.Altea, Segnali dalle mani, catalogo, Carbonia 1997; G.Murtas, Geometrie oggettuali, catalogo, Pula 1998; G.Murtas, Astrazione sublime, catalogo, Cagliari 1999; M. Noce, Che arte si vede a Cagliari “Il Quotidiano di Cagliari”, 15.06.1999; Gianni Murtas, Stanze 2000, catalogo, Cagliari 2000; R. Venturi, Ossessioni di scena a Cagliari, L’Unione Sarda 23.10.2000; R. Venturi, Visionari e Malinconici, chi sono i giovani pittori che oggi tengono banco in Sardegna, L’Unione Sarda, 6.12.2000; A.Menesini, Percorsi della pittura in Sardegna, in “Ziqqurat”, 2001. Alessandra Menesini, Aurea, catalogo, , 2002; S. Ledda, 25 Aprile Sessant’anni dalla liberazione, catalogo, Lithos, Cagliari 2007; G. Murtas , Dal Profondo dell’Anima, Catalogo, Società Umanitaria , Envisual, Carbonia 2015; (segue pagina 40)

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Mostre personali 2016 - Serbariu “Dal profondo dell’anima” 1999 - Cagliari, Galleria Incontri d’arte, “Astrazione sublime” 1998 - Pula, Galleria De centro Nora, “Geometrie oggettuali” 1996 - Calasetta, Torre civica, “Della purezza formale” 1996 - Alghero, “Obra Cultural”

2015 “Master, ommaggio n.2” Fondazione per l’Arte Bartoli Felter, Temporary Storing Cagliari; 2010 “CMYK Nero “, Convento delle Clarisse, Ozieri; “CMYK Nero “, Sa Domu Manna Villanovamonteleone; 2008 “Un passo in più”, Sa Domu Manna Villanovamonteleone; 2007 - “Un passo in più”, La Stazione dell’Arte, Ulassai; “60 artisti per la Liberazione , Museo Sa Corona Arrubia, Collinas; 2006 - Cagliari, Cittadella dei Musei, “25 aprile 1945 - 25 aprile 2005: Artisti per la Resistenza” 2003 - Alghero, Studio di architettura, “Cinque artisti” 2002 - Cagliari, La Bacheca, “Aurea galleria” 2000 - Cagliari, Centro culturale Man Ray, “Stanze 2000, percorsi della pittura in Sardegna” facebook.com/virginia.siddi.7

Foto FACEBOOK

Mostre collettive

PROMESSE E

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ota congiunta di Pd, Sinistra per Cagliari e Progetto Comune: “In diversi quartieri si accumulano colline di immondizia, con evidenti rischi per la salute pubblica” “Cagliari è invasa dai rifiuti”. A lanciare l’allarme sono le forze di centrosinistra cagliaritano - Partito Democratico, Sinistra per Cagliari e Progetto Comune - in un comunicato congiunto, dove si legge: “Le strade della città sono sporche, e in particolare nei quartieri di S.Elia, S. Michele, S. Teresa a Pirri, Mulinu Becciu, Is Mirrionis si moltiplicano i siti in cui si accumulano colline di immondezza di ogni tipo, che diventano discariche. Gli abitanti di tutti i quartieri, e in particolare i bambini, meritano di vivere una vita dignitosa in una città pulita. Al contrario, la gestione dei rifiuti nella Cagliari di Truzzu rischia di diventare un problema di salute pubblica”. La nota dell’opposizione prosegue: “Dalle elezioni comunali è passato un anno, e il Sindaco Truzzu, che in campagna elettorale sbandierava che il suo obiettivo fosse ripulire la città, si è rivelato totalmente incapace di risolvere il problema. È ormai terminato il periodo in cui si addossano le colpe all’amministrazione precedente. Le responsabilità sono evidenti, e sono tutte del sin-


ELETTORALI

daco Truzzu, che ha gestito la questione rifiuti con distrazione e incompetenza”. “A poco servono - incalza il centrosinistra - le operazioni di ‘greenwashing’ dell’amministrazione comunale che, tramite ordinanze di difficile applicazione e dubbia efficacia, stanno tentando di coprire l’incapacità di gestire la pulizia ordinaria della città. L’approccio che sta seguendo l’amministrazione è del tutto sbagliato: gli operai della ditta De Vizia, che gestisce il servizio, vengono messi in Cassa Integrazione, mentre occorre farli lavorare. Vengono effettuate raccolte straordinarie una tantum, che non risolvono il problema dei rifiuti e oltretutto gravano sulle casse dei contribuenti che pagano regolarmente la TARI”. “Perché l’amministrazione Truzzu non fa i controlli e recupera l’evasione?”, si chiedono le forze d’opposizione. “Eppure i dati sono chiari: il passaggio al porta a porta ha fatto emergere 15.000 utenze fantasma. Le utenze censite, che nel 2016 (prima del porta a porta) erano 71.000, nel 2018, con il porta a porta, sono passate a 86.000”. “Visto che ha dimostrato di non sapere come fare conclude la nota - proponiamo a Truzzu di fare poche cose semplici: recuperare l’evasione, che equivale a

https://www.unionesarda.it/articolo/news-sardegna/cagliari/2020/06/14/ cagliari-e-invasa-dai-rifiuti-il-centrosinistra-attacca-la-giunta/

10 milioni di euro, e così diminuire la Tari, venendo anche incontro alle persone che non riescono a pagare la tassa, e concentrarsi sul costante miglioramento del servizio, facendo lavorare di più e meglio la società che gestisce il servizio di raccolta”. L’Unione Sarda.it Nel concludere l’inaugurazione virtuale della mostra “Icons” di McCurry, il venerdì 12 giugno scorso, a Palazzo di Città, il Sindaco di Cagliari ha sottolineato il potere delle immagini evocando la Sagra di Sant’Efisio e lo scioglimento del voto che quest’anno ha assunto un aspetto particolare. Ma parlando di immagini questa mi sembra molto più attuale di una foto truccata scattata nel 1985 e poi ampiamente sfruttata da diversi media, ricordiamoci che a quell’epoca erano i sovietici che avevano invaso l’Afghanistan e che Ben Laden era stipendiato dal governo degli Stati Uniti per contrastarli vendendo missili antiaerei ai Mujahidin, e che se McCurry si trovava lì non era per caso. Senza bisogno di andare in Afghanistan ci sono in Sardegna tante situazioni, tante manifestazioni culturali che numerosi fotografi non solo stranieri ma anche sardi sanno cogliere, allora perchè andare a spendere settantaciquemila euro per arricchire ancora una società continentale. ? V.E.Pisu

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no studio dell’Università di Cordoba mette in discussione la paternità neandertaliana dell’arte rupestre attraverso la Cueva de Nerja. Dipinti rupestri nelle gallerie superiori della Cueva de Nerja / AFP I ricercatori nel campo della preistoria studiano l’evoluzione delle manifestazioni artistiche e scommettono su un triplo sistema di misurazione per evitare errori Eugenio Cabezas

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Foto AFP

e pitture rupestri delle grotte di Malaga sono ancora oggi l’epicentro del profondo dibattito scientifico in corso da diversi anni sulla possibilità che siano state realizzate dai Neanderthal. Non è inutile che la loro datazione sia una questione chiave per la conoscenza dello sviluppo cognitivo umano. In particolare, per i ricercatori di tutto il mondo, sapere se la capacità di astrazione e rappresentazione della realtà che lo sviluppo artistico implica è esclusiva dell’Homo sapiens o è stata condivisa da altre specie già scomparse, come i Neanderthal, o semplicemente sapere quando queste capacità sono state sviluppate è importante per comprendere la complessità dell’evoluzione umana.

NEANDERTHAL SA A

ttualmente in Spagna, per conoscere l’età delle espressioni artistiche nelle grotte, si utilizza per lo più la datazione seriale di due elementi chimici: l’uranio e il torio provenienti dagli strati di calcite sottostanti o sovrapposti al dipinto stesso. Tuttavia, la cronologia proposta da questo sistema sembra mostrare età sbagliate e un rapporto inverso tra la concentrazione di uranio e le età apparenti. Questo è il punto di vista di almeno un gruppo di ricercatori dell’Università di Cordoba (UCO), che lavora nella Cueva de Nerja. Per verificare l’affidabilità di questo metodo di datazione, José Luis Sanchidrián Torti, professore di Preistoria all’UCO, e María de los Ángeles Medina Alcaide, ricercatore associato nell’Area Preistoria dell’istituzione accademica, non negano la capacità cognitiva dei Neanderthal, ma sono guidati “dal rigore scientifico”, hanno effettuato uno studio in cui hanno analizzato l’attendibilità dei dati uranio-torio e confutato la paternità neandertaliana dell’arte paleolitica delle grotte spagnole attraverso i campioni prelevati nella grotta di Nerja. La chiave, secondo il lavoro del team di Cordoba, sembra risiedere nella mobilità dell’uranio, che avrebbe dato età più antiche “ed erronee” all’arte rupestre


cronologico robusto e affidabile che permetta la conoscenza e la comprensione dello sviluppo artistico umano”. Questo lavoro fa parte di diversi progetti nazionali e internazionali, in primo luogo il progetto di ricerca generale della Cueva de Nerja, diretto dal professor Sanchidrián, e anche il progetto nazionale “Apprendimento e sviluppo delle capacità artistiche nell’uomo anatomicamente moderno”.

APEVA DIPINGERE di alcune grotte spagnole, attribuendone la paternità all’Homo neanderthalensis. Il team di ricerca ha analizzato diversi campioni di calcite relativi all’esame cronometrico di un complesso di grotte nella Grotta di Nerja, ottenendo prove della complessità della datazione della calcite per lo studio della cronologia dell’arte rupestre. In questo modo, hanno messo direttamente in discussione le conclusioni finora assunte sulla paternità neandertaliana delle manifestazioni artistiche di diverse grotte, che erano state determinate sulla base della datazione esclusiva con il già citato metodo dell’uranio-torio. Tra le grotte che hanno pubblicato studi in questo senso c’è la grotta di Ardales, come già pubblicato dal SUR nel febbraio 2018. Per ottenere una ricostruzione cronologica della storia dell’arte rupestre, Sanchidrián e Medina propongono nella loro ricerca un protocollo d’azione per la datazione dei campioni nell’arte paleolitica che incrocia i dati di tre sistemi di misura: test uranio-torio, Carbonio 14 (C14) e un secondo studio mineralogico del campione prima della datazione. In questo modo, secondo questi ricercatori, è “essenziale” studiare più in dettaglio l’evoluzione di queste manifestazioni artistiche “per stabilire un quadro

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a Grotta Preistorica di Ardales è ancora piena di misteri, ma sempre meno sfuggono alla conoscenza della comunità scientifica. Il sito, dimenticato per secoli e riscoperto dai primi ricercatori quasi un secolo fa, è stato teatro di un nuovo studio internazionale i cui risultati sono stati appena pubblicati oggi sulla prestigiosa rivista Science. Secondo i dati basati sulla tecnica moderna dell’uranio-torio, le pitture rupestri sono state realizzate 20.000 anni prima del momento in cui gli storici hanno tradizionalmente considerato l’inizio dell’arte preistorica. Ardales è diventata, insieme alle grotte di Maltravieso (Cáceres) e La Pasiega (Puente Viesgo, Cantabria) - che sono state anche lo scenario di questo studio innovativo - la prima tela dell’umanità. segue pagina 44)

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(segue dalla pagina 41) Ricercatori di vari paesi hanno concluso in queste grotte che l’arte più antica d’Europa non è opera dell’Homo sapiens, ma dei Neanderthal. La ricerca, che è stata suddivisa in diverse fasi e ha coinvolto accademici e istituzioni di cinque paesi, si è concentrata sul metodo dell’Uranio Torio (noto nella comunità scientifica come “datazione U/Th”). Questa procedura, come spiega a SUR Pedro Cantalejo, responsabile del patrimonio delle Ardales e della grotta, “permette di datare le croste calcitiche e le formazioni che sono a diretto contatto con le pitture rupestri”. Questo sistema permette di ottenere date assolute per le croste di calcite associate a figure di stile paleolitico, soprattutto quelle che non sono state realizzate con materiali organici. “In questo modo si superano i limiti dell’AMS al carbonio 14 e il problema della conservazione”, spiega Cantalejo, poiché durante questo processo non è necessario estrarre alcuna parte del materiale colorante della figura. Inoltre, “evita possibili contaminazioni del campione, in quanto la serie dell’uranio data i processi geologici e non è contaminato durante la raccolta o la successiva manipolazione in laboratorio”, sottolinea l’archeologo, che ha fatto parte della ricerca.

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icercatori di diversi paesi concludono che l’arte più antica d’Europa non è opera dell’Homo sapiens, ma dei Neanderthal. Grazie alla “datazione U/Th”, i ricercatori possono affermare, come espresso nell’ampio articolo pubblicato su Science, che le pitture rupestri di Ardales, Maltravieso e La Pasiega sono le più antiche del mondo. “Si può certificare che l’origine dell’arte deve risalire ad almeno 65.000 anni fa”, dice Cantalejo. I dati ottenuti mostrano che un segno lineare rosso (scaliforme) proveniente dalla grotta La Pasiega è stato realizzato almeno 64.800 anni fa, che una mano rossa negativa proveniente dalla grotta Maltravieso è stata disegnata almeno 66.700 anni fa e che una formazione speleottica proveniente dalla grotta Ardales è stata decorata con concentrazioni rosse allungate o pseudo-ellissoidali almeno 65.500 anni fa. Questi risultati portano nuovi approcci al dibattito scientifico sull’origine dell’arte rupestre nel mondo, una conversazione alimentata negli ultimi anni dalle ultime scoperte. Tradizionalmente, le abilità artistiche venivano attribuite solo alle prime popolazioni di esseri umani moderni che arrivavano in Europa. Nonostante ciò, “negli ultimi anni ci sono state diverse


Foto AFP

scoperte che propongono che gruppi umani precedenti, come i Neanderthal, che dipingevano di rosso i loro corpi e facevano piccoli segni (principalmente linee), sia dipinti che incisi, su ossa e pietre”, nota l’archeologo. Nel caso della Grotta di Ardales -situata nell’estremo sud-ovest dell’Europa, considerata il territorio dove si sono insediati gli ultimi Neanderthal-, la ricerca cronologica supporta i risultati che si stanno ottenendo negli scavi archeologici che il team internazionale sta portando avanti dal 2011. Questa conclusione dimostra “il grande potenziale dei siti di Malaga”, secondo Cantalejo, per il quale è anche un modo per convalidare l’efficienza delle nuove tecnologie applicate ai metodi di studio archeologico. La Grotta di Ardales ha più di mille disegni preistorici che sono stati fatti durante il Paleolitico. Sono stati studiati, catalogati e pubblicati nel 2006. Da allora, sono stati questi nuovi meccanismi che hanno permesso di stabilire alcune date che non lasciano spazio a dubbi sulla loro inaudita antichità. I risultati dello studio pubblicato sulla rivista Science sono stati presentati questa mattina all’Università di Cadice, l’organismo che coordina il lavoro in Spagna. All’evento, circondato da aspettative dovute alla rilevanza dei risultati, hanno partecipato il professore di Preistoria dell’Università di Cadice, José Ramos; il

Direttore del Museo di Neanderthal in Germania, Gerd-Christian Weniger, in compagnia del Rettore dell’Università di Cadice, Eduardo González Mazo, del Ministro della Cultura del Governo andaluso, Miguel Ángel Vázquez, e il Sindaco di Ardales, María del Mar González. Il progetto è stato finanziato dal Natural Environment Research Council (Gran Bretagna), dalla National Geographic Society (Stati Uniti), dalla Max Planck Society (Germania) e dal Royal Society Wolfson Research Merit Award (Gran Bretagna). Il Comune di Ardales ha sostenuto il progetto con un lavoro sul campo. Il Dr. Gerd-Christian Weniger, direttore del Neanderthal Museum - una delle forze trainanti della ricerca, sia dal punto di vista accademico che economico - è orgoglioso che i risultati siano pubblicati sulla rivista Science. “Questa è la fine di un lungo processo, e sappiamo che questo cambierà il nostro modo di studiare la storia. Weniger ritiene che questa constatazione “ponga fine” a una discussione scientifica che è sulla bocca degli esperti “da più di 25 anni”: “Possiamo dire categoricamente che anche i Neanderthal hanno creato l’arte rupestre e che sono culturalmente all’altezza dei loro successori”, ha commentato al SUR al ritorno dalla presentazione tenutasi a Cadice. diariosur.es/culturas/

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Foto Maria Sulas

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uò capitare a volte di incontrare un’artista che non si conosceva precedentemente, attraverso lo schermo d’un computer, a causa del confinamento anti covid-19, e all’occasione di una riunione organizzata dall’ineffabile dottoressa Alessandra Sorcinelli, riconoscere così d’istinto le sua capacità artistiche ed umane ed essere in seguito piacevolmente sorpreso della propria intuizione, comtemplando, sempre atraverso uno schermo, le immagini delle sue opere che hanno sempre suscitato l’entusiasmo del pubblico e della critica. A prova di queste qualità, qui di seguito alcuni testi che descrivono una delle mostre alle quali ha partecipato recentemente: “La presentazione del libro di Michele Pinna “I colori di Eros” (racconti d’amore e di filosofia) venerdì scorso all’hotel “Domo minore” di Arenosu (in prossimità del bivio per l’aeroporto di Fertilia) é stata l’occasione per proporre una serie di quadri di Maria Sulas, pittrice finissima e ricca di fantasia, già nota al pubblico isolano per le mostre tenute recentemente a Sassari, nel centro d’arte e cultura “Giuseppe Biasi”. La Sulas si caratterizza sopratutto per l’espressività che manifesta nella dimensione onirica attraverso uno stile sferzante e una sorta di delirio della ragione.

MARIA SULAS

Nei suoi quadri essa rappresenta una fitta selva di simboli, metafore, allusioni che si prestano alle più diverse e personali interpretazioni. I suoi richiami nonsono però mai initazioni, ma il risultato di uno robusto substrato culturale, una forza fantastica su cui il suo genio artistico affonda le radici. Parliamo. dunque. di un’artista speciale, che penetra con discrezione nell’animo umano e nell’essenza delle cose, identificando spesso la figura femminile col paesaggio, quasi a voler elevare un inno alla donna, che nella sua pittura diventa la vera protagonista. Perciò guarda alla realtà con occhi puri e sognanti,. come possono esserlo quelli di una madre, una figlia, una sposa... E ancora : ...c’é desiderio di pace e di serenità nelle opere di Maria Sulas, pittrice ricca di fantasia che sabato scorso ha inaugurato una splendida mostra personale nel Centro d’Arte Biasi, in piazza d’Armi. Un’artista speciale, Maria Sulas, che penetra con discrezione nell’intimo delle persone e nell’essenza delle cose, identificando spesso la figura femminile col paesaggio, quasi a voler elevare un inno alla donna, che nella sua pittura é la vera protagonista.


Foto maria sulas

Osserva Giovanni Andrea Negroni :”Maria Sulas rivela la sua sensibilità e i suoi sentimenti sopratutto nelle opere che raccontano il mondo femminile: l’albero della vita come rappresentazione di un alto valore simbolico; la donna generatrice dell’umanità, la donna che indossa il costume di Bultei per testimoniare il legame col suo paese, fiera e orgogliosa della sua bellezza ma anche del ruolo che essa svolge nella famiglia. Nel suo assunto pittorico la Sulas identifica sovente gli alberi con gli uomini, facendo affiorare così dall’inconscio l’idea di una vita universale, senza però dimenticare l’equilibrato rapporto che deve esistere tra uomo e natura. Curiosa e attenta al mondo che la circonda, esprime una dovizia di situazioni che le permettono di analizzare in una ricca e fantasiosa scala cromatica, il mondo tranquillo e pacato della sua terra”. Calza, perciò, il giudizio di Gianni Fiora secondo il quale Maria Sulas “...si sente la regina della sua arte, ma anche una madrina che, con la pittura, cura e ama le fiabe create talla sua fervida fantasia. Essa riesce infatti a rendere visibili i suoi pensieri più profondi, raffigurando in forma simbolica l’amore per la vita, le aspirazioni e le ansie legate al vivere quatidiano”.

Vedi video https://youtu.be/f1BHNoIy1KA https://youtu.be/36xSmz0xo-k https://youtu.be/3tcYVmiQ6CM https://youtu.be/sb-pVhulFhA

Marco Lay sostiene che le attitudini figurative di Maria Sulas “trovano i loro riverberi nelle stesse origini di questa donna impegnata nella ricerca dell’armonia e della bellezza, offrendo sempre una visione estetica della realtà. Merita perciò di essere approfondita la poetica di questa pittrice, visitando la personale nel Centro Giuseppe Biasi. Colpiranno la sua vivacità e l’estro originalissimo, il cromatismo caldo, misurato e coinvolgente, il desiderio di esaltare la donna e la sua sensibilità”. Non ho ancora incontrato Maria Sulas e non ho neanche avuto una conversazione telefonica con lei, solo uno scambio di immagini e di testi via Messanger, ma osservando alcune delle sue opere attraverso lo schermo del computer, ho avuto l’impressione che le immagini che l’Artista ci propone siano come viste attraverso delle lacrime forse anche di gioia o di pena, comunque certamente miste, come un in vito silenzioso a guardare con più attenzione il mondo che ci circonda e sopratutto quello specificatamente sardo, Spero di poter approfondire attraverso un’intervista filmata, che vi proporremo prossimamente, nel frattempo potete consultare i numerosi video che ci mostrano le sue opere ed anche il suo paese d’origine, Bultei. V.E.Pisu

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Foto laura saddi

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arcello Serra (Lanusei, 17 giugno 1913 – Cagliari, 24 agosto 1991) è stato uno scrittore, giornalista, poeta, drammaturgo e docente italiano. Nel 1935 pubblicò “Accordi”, la sua prima raccolta di versi, e, nel 1945, “Ora Umana”, ancora un libro di poesie. Negli anni cinquanta fondò e diresse alcuni periodici come “Arcobaleno Sera” e “Sardegna Illustrata”. Scrisse anche alcuni lavori teatrali e un romanzo. Nel 1958 pubblicò la sua opera più importante, “Sardegna, quasi un continente”, un poderoso volume dell’editore Guido Fossataro di Cagliari (ristampato nel 1960 e rieditato nel 1970) ricco di fotografie tra cui le immagini a colori di Mario De Biasi. Nel 1961 il libro fu seguito da un documentario curato dallo stesso autore e con le musiche di Ennio Porrino, trasmesso il martedì sera in quattro puntate dall’allora unico canale televisivo. Nel 1989 l’opera fu poi riproposta, anche in edizione in lingua inglese, col titolo “Sardegna quasi un continente: 30 anni dopo”, un aggiornamento dello stesso autore, e con le fotografie di Chiara Samugheo. Nonostante l’origine nuorese si può considerare cagliaritano a tutti gli

Vedi video https://www.facebook. com/sardoniaitalia/videos/2509123599399968/

MARCELLO SERRA

effetti, come si evidenzia dalla sua lunga bibliografia. Ma il tema centrale della sua opera resta comunque la Sardegna e la cultura dei sardi di cui è stato un appassionato studioso e divulgatore. Laureato in lettere nel 1935 con una tesi sul poeta, pittore e musicista Salvator Rosa, ha insegnato al Liceo Classico ‘Dettori’, dopo Giuseppe Dessì, e nelle scuole medie. Ha avuto l’incarico per l’insegnamento di Letteratura italiana presso la Facoltà di lettere dell’Università di Cagliari e di Letteratura poetica e drammatica presso il Conservatorio di Musica. Gli è stato conferito per due volte il premio ‘Grazia Deledda’, per la poesia e, per tre volte, il Premio di Cultura del Consiglio dei Ministri. Ha appartenuto all’ordine dei Cavalieri di Malta dal 1974 col grado di Cavaliere di Grazia Magistrale. Nel 1975, per l’alto contributo d’arte e di pensiero dato alla cultura italiana attraverso le proprie opere e la propria estrinsecazione artistica, gli era stato assegnato dal Corriere di Roma il Tetradramma d’oro. Le sue numerosissime opere sono state tutte molto apprezzate, tra cui: ‘Sud Italia chiama Europa’, giudicata dal Collegium Europeo ‘Il libro dell’anno in Europa’, e da cui è stato tratto un documentario cinematografico premiato in varie Nazioni Europee.


Photo ilmanifestosardo

È stato per oltre trent’anni Rotariano ed aveva fondato e diretto il mensile universitario ‘Sud-Est’ (193334) e successivamente le riviste di attualità come ‘Arcobaleno di sera’, ‘Sardegna illustrata’ e ‘Tribuna dell’Isola’, dal 1945 al 1955. Aveva svolto per tanti anni cicli di conferenze in tutta Italia ed all’Estero, oggetto delle quali è stato sempre la Sardegna. Collaboratore fisso alla Rai e ad alcuni quotidiani. Tra le sue opere ricordiamo: “Accordi”(liriche), 1936; G. Siotto Pintor (Monografia), 1940; “Ora umana” (liriche), 1945; “Vacanze in Sardegna” (tradotto in francese, inglese, tedesco, spagnolo, esperanto), 1952; “Efisio d’Elia” (mistero drammatico), 1953 (con rappresentazione teatrale a Nora); “Gita in Sardegna” (in collaborazione con Vardabasso, Pesce, Guareschi), 1955; “Mal di Sardegna” (6 edizioni) per i tipi di Vallecchi dal 1955 al 1972; “Sardegna quasi un continente” (2 edizioni) dal 1959 al 1970. Ha tratto da quest’opera un documentario televisivo in 4 puntate: “Nascita di Nora” (poemetto illustrato da Valerio Pisano), 1960; “L’isola di pietra” (favole drammatiche illustrate da Foiso Fois), 1962, rappresentate all’Anfiteatro romano di Cagliari, trasmesse alla Rai Radio e con alcune riprese televisive; “Il popolo dei nuraghi” (con fregi di C. Grassi), 1969; “Il bosco dei cavalli

selvaggi” (documentario televisivo), 1967; “Sardegna nuragica” Documentario televisivo trasmesso in Mondovisione), 1965; “Volo sul passato” (documentario cinematografico in collaborazione con Silvio Peluffo), 1966, 1° premio assoluto a Venezia; “Civiltà nuragica”, 1967 (R. T. V di Parigi); “Sardegna favolosa” (tradotta in 3 lingue e molteplici edizioni), 1962-63; “L’autostrada dell’unità” (documentario cinematografico - 1° premio al Festival di Palermo, Salerno, Malta e Praga) 1970; “L’Aurora sui graniti è rossoblù” (cinquant’anni di vita cagliaritana), 1970; Eleonora la Giudicessa (dramma), 1975. Trasmesso alla Rai 4 volte; “Il Continentale” (romanzo), 1980; “Sardegna” (profilo dell’Isola in collaborazione con Folco Quilici); “Pinocchio - Le avventure di un burattino” (riedizione letteraria dell’opera di Collodi) con le illustrazioni di Aurelio Galeppini, 1989, per i tipi della Maga Editrice; “Esule sul mare” (Poesie, raccolta completa di tutte le liriche inedite), 1989. Ha pubblicato anche il racconto “Lo squalo della Sella del Diavolo” all’interno delle strisce di Tex. È rimasta inedita l’ultima sua opera: “Il Romanico in Sardegna”. E ancora, su Marcello Serra, da Excalibur 32: http://www.vicosanlucifero.it/excal/excal32/ex32serr.html

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Foto unionesarda anni 90

cagliaritani più “anziani” se lo ricorderanno sicuramente. Il cinema “Due Palme” sorgeva al numero 31 di viale Regina Margherita, proprio accanto alla Manifattura Tabacchi. Nato nel 1931 come cinema-teatro, era gestito dal circolo ricreativo Cral della Manifattura. Negli anni Cinquanta era uno dei sette cinema della città. Venivano proiettati i film in voga all’epoca: da quelli di Gregory Peck a quelli italiani di Sofia Loren, Totò e Giacomo Rondinella. Il costo del biglietto era di sessanta lire, ma i dipendenti della Manifattura e i loro più stretti familiari avevano una riduzione sul prezzo. Inoltre, ogni anno veniva organizzata la festa della Befana per i bambini dei dipendenti, ai quali venivano consegnati i regali. Ampio ingresso imperiale con doppia scalinata, alti soffitti, marmi, sala ariosa. L’Eci (Esercizi cinematografici italiani) lo prese in gestione nel 1966 e, fino agli anni Settanta, le cose andavano bene. Accortosi, poi, che la qualità della programmazione non soddisfaceva più il pubblico, passò la gestione alla Gaumont, società francese che in Italia era diretta da Roberto Rossellini. Questa pensò di trasformarlo in un cinema per adulti.

CINEMA TEATR Stessa linea fu seguita a metà del 1985 anche dal nuovo gestore, la Cannon, anch’essa società estera. I film a luci rosse fruttavano molto di più. Tuttavia quest’ultima non riuscì a incassare quanto si aspettava e, dopo nemmeno un anno, decise di non rinnovare il contratto. Fu così che il 1° marzo 1986, sui muri esterni comparve il cartello “Chiuso per cessata gestione”. Fu una doccia fredda per molti cagliaritani, ma sopratutto per i sette dipendenti che vi lavoravano, che non riuscirono a salvare il loro posto. Il Cral della Manifattura, infatti, era più che mai deciso ad affittare le mura ad un noto imprenditore dei surgelati, Marco Rodriguez, che lo avrebbe trasformato una mega discoteca di lusso nel cuore della città. Ma non se ne fece niente: i cagliaritani non accolsero di buon grado l’idea. Con la chiusura del cinema due Palme, Cagliari perse un pezzo della sua storia. Oggi fa parte dell’ampio progetto di recupero dell’ex Manifattura da parte della Regione. Dato in comodato d’uso gratuito alla Sardegna Ricerche fino al 2023, per il momento non é stato programmato alcun recupero ne ristrutturazione, qui a lato potete leggere l’articolo che parla del concordato. https://www.vistanet.it/cagliari/


RO DUE PALME D

ieci milioni in tre anni per nuovi spazi, infrastrutture, attività con associazioni e imprese e gestione della Manifattura Tabacchi di Cagliari sono stati decisi alla Regione. La delibera ha stanziato 10 milioni di euro per interventi nel triennio 2019-2021. “Un nome e un logo per la Manifattura Tabacchi”: é stato invece il concorso conclusosi con la scelta del nome “Sa Manifattura”. Ci sono poi i Progetti “Manifattura per la Comunità”, attività di co-progettazione dedicata ad associazioni, imprese, cittadini, gruppi informali che potranno immaginare e costruire progetti temporanei, e “Manifattura e il suo Impatto”, per avviare un processo di produzione, analisi e utilizzo di Open Data culturali. Con un “MasterPlan per la Manifattura” si punta invece a fotografare l’esistente e contestualmente progettare nuovi sistemi di relazione spaziale. Quattro milioni saranno utilizzati per rendere fruibili nuovi spazi, dunque: rifacimento e messa in sicurezza delle facciate interne ed esterne; interventi per rendere fruibile la terrazza sopra l’ex cinema Due Palme; realizzazione di nuove vie di esodo, per esempio con l’acquisizione degli spazi adiacenti via Lanusei; messa in sicurezza del primo piano della sala convegni al primo piano e interventi di riqualificazione della

Corte; Due milioni sono destinati a manutenzioni e adeguamenti infrastrutturali; 2,7 milioni alle attività di animazione per associazioni e imprese e, infine, Un milione alla gestione ordinaria della struttura. Due milioni e 130mila euro il finanziamento che é disponibile per il biennio 2017-2018. Con 1 milione e 300mila euro sono stati realizzati una serie di interventi tecnici e infrastrutturali, accompagnati dalla necessaria documentazione amministrativa, per garantire una piena utilizzabilità degli spazi in piena sicurezza: riaccatastamento dell’intero fabbricato, agibilità degli spazi, certificazione energetica Ape, certificato prevenzione incendi (CPI), classificazione acustica e prove di carico statico, silenziamento degli impianti di condizionamento, cablaggi Lan e reti Wi-Fi; 400mila euro sono stati destinati alla gestione ordinaria degli spazi, aperti al pubblico con circa 250 eventi di cui 60 organizzati da imprese, 90 da associazioni culturali, di volontariato, sportive e di categoria; 40 da enti pubblici e istituzionali e 50 da Sardegna Ricerche. Gli eventi hanno coinvolto circa 120mila partecipanti: per il 50% si è trattato di convegni e seminari, per il 23% di grandi eventi come mostre, rassegne, festival, (segue pagina 52)

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Foto radiox.it

(segue dalla pagina 49) spettacoli di musica, danza e teatro, per il 15% di attività formative (corsi e master), per il 10% di saloni e fiere, prima fra tutti Sinnova e, infine, per il 2% di altre attività. Sono poi state avviate le procedure pubbliche per la concessione degli spazi ad uso commerciale: l’area bar da 300 metri quadri e 4 lotti di 2000 metri quadri per industrie culturali e creative, piattaforme digitali, settori complementari come l’educazione, il turismo culturale e l’innovazione tecnologica. È stato poi attribuito l’incarico per Manager Culturale, il cui compito è quello di costruire il programma dei prossimi anni, creando sinergie nell’ambito artistico-culturale (alle prestazioni professionali erano stati destinati 430mila euro). L’interno del cinema, negli ultimi anni, è stato invece quasi sventrato del tutto, e oggi si presenta come una cattedrale buia e spettrale, benché parte integrante dell’ampio programma di recupero dell’ex Manifattura Tabacchi da parte della Regione Sardegna. A meno quindi di ricostruire interamente le strutture del cinema teatro lo stabile oggi inagibile non potrà essere utilizzato per degli spettacoli o altre attività. La concessione a Sardegna Ricerche è stata prorogata fino al 31 dicembre 2023.

LA NOTTE DEI POETI U

LA NOTTE DEI POETI dal 20 al 30 Agosto 2020 Teatro Romano di Nora 09010 Comune di Pula

n cartellone ricco di ospiti con il ritorno di Isabella Ragonese, e Lella Costa, che festeggerà i 100 anni di Franca Valeri portando sul palco “La vedova Socrate”, uno dei testi cult della nota attrice e sceneggiatrice italiana classe 1920: dal 20 al 30 agosto, Nora ospita la XXXVIII edizione del festival “La Notte dei Poeti”. Ne abbiamo parlato con Valeria Ciabattoni, direttrice artistica del CeDAC, ai microfoni di Extralive mattina per annunciare la ripresa delle attività teatrali dopo la lunga pausa forzata dovuta all’emergenza covid-19: «Stiamo lavorando con la soprintendenza e con il Comune per allestire una nuova zona all’aperto che consenta il distanziamento. Oltre al festival di Nora, stiamo provando a portare le attività del CeDAC nelle piazze estive di Carbonia, San Gavino, Oristano, Macomer, Lanusei, Meana Sardo, Ozieri, Olbia, Tempio, Alghero, Santa Teresa Gallura e Arzachena, con circa quaranta recite in programma. Lavoreremo tra agosto e settembre: il nostro primo obiettivo è mantenere il patto con il nostro pubblico. In programma ci saranno tutti gli spettacoli che sono stati sospesi tra marzo e aprile.»


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o incontrato Rossana Corti per la prima volta alla Galleria Siotto dove presentava una serie di opere dal titolo “Il Gioco dei Dove”, delle rappresentazioni di “non luoghi” come mi ha indicato nel corso dell’intervista realizzata all’epoca. Sono rimasto veramente impressionato dal misto di estrema forza e tenacia e di sensibilità esacerbata che traspariscono dalle sue opere ed anche dalla sua persona. Ho avuto modo in seguito di filmare un’altra delle sue performance e l’ho sollecitata per essere tenuto più al corrente del suo lavoro. Oggi, in previsione di una prossima intervista per “S’Arti Nostra” trasmissione periodica d’Arte Contemporanea, le ho chiesto un primo testo ed qualche immagine. E sempre molto emozionante incontrare un’artista, lo è ancora di più quando si ha il sentimento, come mi é appunto capitato con Rossana Corti, di essere al cospetto di una profondità e spessore molto superiori alla media ed esserne continuamente confortato nella proprie intuizione, seguendo il percorso e le produziooni della persona che, ancora in giovane età e ciò nonostante con grande forza, esprime un universo artistico veramente affascinante e che si affirmerà sempre di più nel tempo. V.E. Pisu

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ROSSAN

proposito de “Il Gioco dei Dove”. Nasce come risposta alla ridefinizione dei concetti di “casa” e di “spazio proprio”, svincolandoli dai luoghi fisici definiti e immutabili, per legarli ai percorsi dell’anima, alle emozioni, ai desideri, alle speranze, alle scelte. Dell’autrice delle opere e di chiunque. Coordinate per attraversare i confini decisi da altri, superando le trappole, per costruire i propri rifugi, i propri luoghi sacri Capaci di cambiare ubicazione, per continuare a esistere. Liberi. “Il Gioco dei Dove” di Rossana Corti è una mappa divisa in frammenti, ognuno dei quali è un approdo possibile. Sono opere astratte, realizzate come in automatismo, senza un bozzetto iniziale. Acquerello e disegno a penna Bic Cristal nera su cartoncino color onice. 21 opere di piccole e di medio-piccole dimensioni, tutte realizzate nel 2019. Testo Critico di Silvia Piras C’era una volta, ed è l’inizio di un viaggio. Il tempo è un tempo di cieli di piombo, dove respirare raschia la gola; ci guardiamo dalle finestre e ciascuno cuce su se stesso e sulle persone intorno un altro strato che dissimuli, che spaventi o seduca: (segue pagina 53)

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NA CORTI E’

curioso muoversi in un tracciato aperto… In un’intervista senza domande… Un esperimento. Inizio! Ci sono un sacco di sospesi intorno a me… Qualche interrogativo. E urgenze di racconto. Sto lavorando sì, uscirà online a breve. L’ho deciso dalla notte alla mattina, di getto, seguendo l’istinto. Data compresa. Non so ancora da quale “spazio online” lo farò partire, ma sono dettagli minimi. Sto seguendo più lavori contemporaneamente, in realtà. Perché è tutto collegato, in qualche modo. Una costante, quasi sempre giornaliera, dal 1 Agosto 2019, è quella della pubblicazione delle mie “Stanze-Specchio”: una foto e una poesia in verso libero, legate tra loro dal medesimo titolo e da una suggestione affine, ma con tutta la libertà di esistere anche separatamente, come principi autonomi. Poesie, dialoghi, racconti, singole parole, sono sempre presenti, in qualche modo, nella mia ricerca. Le fotografie sono un mezzo, vitale, per isolare e mostrare la realtà che io cerco e vedo intorno a me. E narrarla, come si fa con le fiabe che raccontano di salvezze possibili (se lo si vuole). Ho iniziato a esporre nel 2007, ma è dalla fine del 2015 che ho iniziato un percorso fortemente sperimentale, a cui di recente si sono aggiunte la performance e la creazione delle musiche per le mie mostre. “Senza Traccia “ Rossanna Corti

(segue dalla pagina 52) del paese non sono mai state così chiuse, le strade poche, ferocemente tracciate. Essere in un luogo è diventato essere il luogo, guai alle schivate. C’era una volta, ed è il nostro viaggio. Nel ventre di ciò che è solido e sembra così ben saldo da potersi dire inamovibile, si spalanca la magia del flusso, i luoghi movimentati dell’anima, patria d’elezione dei sogni e dei desideri, del nostro più vivo e affamato essere vivi, resistono ad ogni disciplina, rompendo la dura e soffocante fissità circostante, sottraendosi ai limiti, alle barriere, ai muri, fiorendo ovunque in fertili rifugi. Silvia Piras Immagini Verso me Frammento di un cuore imperfetto dalla mia personale “Pelle d’anima” Giugno 2019; Nel cuore e Il fiume lento dalla mia personale “Lehrjahre”Novembre 2019; Il carro la sola fotografia senza la poesia dalle “Stanze-Specchio”, tuttora in corso. Contatti: Instagram: @rossanacorti Facebook: Rossana Corti Sito web: rossana-corti.webnode.it/ Vedi video https://vimeo. com/328552280 https://vimeo. com/345176934

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ell’intero mondo occidentale l’omicidio del nero americano George Floyd ha giustamente suscitato un senso di disgusto e ha generato un vento di rivolta. Nel mondo in questi giorni si stanno abbattendo diverse statue e su questo ci si schiera a favore o contro. Nel nostro piccolo, sardo-provinciale, il dibattito si riflette sulla richiesta di spostamento della statua di Carlo Felice dominante la Piazza Yenne. Premetto che sull’argomento ho una posizione pubblicamente nota, in quanto fui tra le persone che si radunarono sotto la statua per lanciare la proposta. Cercherò però di trattare l’argomento laicamente e con il massimo grado possibile di oggettività, lasciando ai commenti la presentazione degli argomenti di parte opposta e il contraddittorio. Già il titolo di questo post “LE STATUE E L’IDENTITÀ DI UNA NAZIONE E UN POPOLO” offre un indirizzo, avendo io certezza che la Sardegna sia una nazione, secondo le definizioni, da dizionario e scientifiche, di questa categoria. La nazione sarda ha millenni di storia, più di tutte le altre regioni d’Italia. Nei sette anni di Nurnet abbiamo, a nostro avviso, portato sufficienti elementi probatori di questa tesi.

STATUE IDENTITA N N

oi pensiamo che in una storiografia corretta la Civiltà Sarda, o Nuragica che dir si voglia, dovrebbe essere indicata come la più antica di quelle che caratterizzano l’attuale territorio dello Stato Italiano. Sia sufficiente dire che i Sardi nella metà del secondo millennio a.C. controllavano le rotte del rame nel Mediterraneo, a detta di molti autorevoli archeologi, storici ed esperti. Tuttavia ciò non è detto nei libri di storia e i nostri figli, sostanzialmente, lo ignorano. Perché? Perché la Sardegna, certamente dai Punici in poi, è sempre stata terra di conquista, fatto salvo il periodo dei Giudicati e dei Reami Sardi. Nella storia o storiografia scritta dal professor Francesco Cesare Casula è dimostrato con metodo scientifico che il Regno di Sardegna è il fondamento giuridico del Regno d’Italia, tuttavia “sardegna” nella parlata fiorentina e piemontese è anche sinonimo di discarica. Porto queste provocatorie contraddizioni come esempio delle distorsioni che possono provocare un senso di ribellione e risentimento in un sardo istruito. Tutto ciò può essere superato con il riconoscimento di questa parte della Storia e con la sua introduzione nella formazione dei cittadini europei, italiani e sardi.


Foto nurnet-laretedeinuraghi.it

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NAZIONE POPOLO Lasciare le cose come stanno, invece, non può essere un buon viatico per gli abitanti della Sardegna che, ancora oggi, vedono la loro gente sprofondare in una recessione che porta emigrazione, spopolamento e ulteriore povertà. A fronte di ciò in molti di noi è radicato un desiderio di rivalsa e di autodeterminazione del nostro destino. E’ un bene, perché solo da un sentimento analogo possono migliorare le prestazioni della nostra economia e della nostra società, sarda e quindi, per estensione, anche italiana. Gli “italiani”, la coscienza nazionale italiana, non la si costruisce oscurando le piccole patrie, la storia o la lingua dei popoli che fanno l’Italia. Nessun destino può essere buono se il carattere, l’identità e la caratterizzazione che ne conseguono sono quelle di una “colonia”: una terra la cui storia e la cui lingua vengono annientate. Ecco perché, semplicemente, democraticamente, senza risentimento, credo sia giusto che delle azioni simboliche come lo spostamento di Carlo Felice e la ridenominazione delle vie intitolate ai Savoia possano essere utili; pur avendo coscienza che non saranno certamente queste azioni a risolvere i nostri radicati problemi. Antonello Gregorini https://www.facebook.com/NURNET2013/

erto la storia non si può cambiare, ma avere come monumento più rappresentativo della città la statua di chi ci ha colonizzato come fecero i conquistadores con gli indiani d’America, lascia quanto meno perplessi. D’altronde, se Carlo Felice fu veramente un tiranno e si volesse mantenere la statua dov’è, per onestà intellettuale si dovrebbe incidere ai suoi piedi una lapide con descritte le sue malefatte e sicuramente non inneggiarlo come benefattore della Sardegna. Ma allora che figura farebbe Cagliari, e la Sardegna, di fronte a un visitatore che venisse a sapere che i nostri cittadini hanno voluto celebrare, a futura memoria, un tiranno di quella caratura? Quanto meno penserebbe che siamo dei poveri codardi autolesionisti. Antonello Gregorini E strano come gli iconoclasti dell’ultimo minuto, specialmente negli Sati Uniti, dove una statua di Cristoforo Colombo é stata decapitata, non mettano mai in discussione la chiesa sedicente cattolica che pertanto permise ogni genocidio sia in Africa che in America con il pretesto che gli indigeni non avessero l’anima e potevano quindi essere trattati ed infatti lo furono come animali, ancora negli anni 30 in Abissinia ed oggi in Brasile, tra la luna ed il dito si vede che cosa è stato scelto. V.E. Pisu

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a proposta di 24 figure di primo piano in occasione del Prix Versailles nella sede Unesco a

Foto cittaideale.it

Parigi Il Prix Versailles si celebra ogni anno nella sede dell’Unesco (l’Organizzazione dell’Onu per l’educazione, la scienza e la cultura) a Parigi. Inizialmente focalizzato sull’architettura commerciale, il premio si prefigge di individuare le migliori opere d’architettura e design nel mondo e di promuovere l’alleanza tra cultura ed economia. Sarà consegnato in autunno. Nell’ambito del Prix Versailles, ventiquattro figure di primo piano propongono nel testo qui sotto una nuova visione della cultura: più che mai nell’attuale crisi, dicono, deve essere componente essenziale dello sviluppo sostenibile e filo conduttore per il rilancio economico in tutti i settori. Il testo esce anche su «Le Monde», «El País» e altre testate europee. a crisi e le restrizioni che impone hanno accentuato l’importanza che ognuno di noi attribuisce all’ambiente circostante. In parallelo, risaltano tutte le dimensioni di questo ambiente, che è fatto di cultura, natura e legami sociali. Ciò si ricollega a una delle osservazioni espres-

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Prix Versailles 2020 « Les territoires qui préserveront au mieux les éléments originaux de leur identité pourront bénéficier, s’ils réussissent à les valoriser, de réels avantages concurrentiels » “I territori che meglio conservano gli elementi originali della loro identità potranno beneficiare, se riusciranno a svilupparli, di reali vantaggi competitivi”. “Territories that successfully preserve and promote the different aspects of their original identities will enjoy a real competitive advantage”

se, già molti anni fa, dalla comunità internazionale e dall’Unesco, che riconosce alla cultura un ruolo centrale nella concezione dello sviluppo sostenibile. La dimensione culturale è determinante per la qualità della vita. Ed è anche indissociabile dall’economia quotidiana, ed è questa la ragione per cui la cultura trova una risonanza così forte nelle circostanze attuali. La crescita della componente culturale del valore aggiunto è una chiara tendenza, ed è per questo che la cultura prende oggi un posto importante nelle politiche pubbliche e nelle strategie aziendali. In questo contesto, i territori che meglio conserveranno gli elementi originali della loro identità potranno beneficiare di reali «vantaggi competitivi», se riusciranno a valorizzarli. Il rinnovamento culturale del nostro ambiente circostante non implica tuttavia un disinteresse per ciò che è lontano. L’interesse per le altre culture e la necessità di conoscerle meglio non potranno che crescere nel mondo che verrà. Tutti i territori, anche i meno dotati in termini economici e tecnologici, possono avere un messaggio culturale da trasmettere. Si tratta di offrire a ciascuno di essi la possibilità di


valorizzare, in un mondo la cui omologazione porta verso un impoverimento, ciò che di unico ciascuno possiede. Nonostante la sua crescente importanza, l’aspetto culturale non è stato sufficientemente considerato come un vero ecosistema e rimane ancora percepito come una dimensione collaterale. La situazione delle città è emblematica di questo stato delle cose. Gli spazi pubblici e privati devono certo essere funzionali, ma sono anche chiamati a essere in armonia con le aspirazioni degli abitanti. L’architettura e il design possono contribuire a reinventare un mondo urbanizzato che abbraccia le prospettive dell’ecologia, della convivialità e della bellezza.Tale dinamica potrà incoraggiare la valorizzazione culturale del nostro habitat. Inoltre, l’interesse per la qualità della vita continuerà a crescere. Ciò è vero anche per l’alimentazione che vorremmo più sobria per aiutare il pianeta, più giusta e più ricca di significati culturali. Questo vale anche per il turismo, che sta diventando sempre più responsabile. Anche il mondo del digitale vedrà crescere la propria credibilità attraverso l’aumento della qualità dei contenuti creati e divulgati. In questo movimento, l’economia viola (che valoriz-

za il potenziale culturale di beni e servizi, ndr) propone un cambiamento di scala e di percezione, privilegiando un approccio sistemico in cui le diverse attività e i vari fattori culturali (istruzione, informazione, comunicazione e tutti i beni con una forte componente immaginaria e sensibile) non sono più considerati separatamente. Grazie a questa trasformazione, l’economia, compenetrata da tutte le potenzialità della cultura, esprimerà pienamente la propria dimensione umana. Questa evoluzione può aprire la strada a una prosperità globale, più rispettosa dell’ambiente naturale e più equamente distribuita. Ciò che prima era solo un’opportunità, adesso deve diventare la realtà dello sviluppo sostenibile. I Firmatari : FERRAN ADRIÀ, chef MASSIMILIANO ALAJMO, chef ELENA ARZAK, chef RAFAEL ARANDA, architetto (Premio Pritzker 2017) SHIGERU BAN, architetto (Premio Pritzker 2014) MASSIMO BOTTURA, chef MARIYA GABRIEL, commissaria europea per l’Innovazione, la Ricerca, la Cultura, l’Istruzione e la Gioventù ÁNGEL GURRÍA, segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico (Ocse) (segue pagina 60)

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Foto Giulia Loglio

(segue dalla pagina 59) JÉRÔME GOUADAIN, segretario generale del Prix Versailles IRIS VAN HERPEN, stilista KENGO KUMA, architetto PASCAL LAMY, presidente degli Musiciens du Louvre ERIC MASKIN, Premio Nobel per l’Economia 2007 JEAN NOUVEL, architetto (Premio Pritzker 2008) EDMUND PHELPS, Premio Nobel per l’Economia 2006 RENZO PIANO, architetto (Premio Pritzker 1998) ANNESOPHIE PIC, chef CARME PIGEM, architetta (Premio Pritzker 2017) CHRISTOPHER PISSARIDES, Premio Nobel per l’Economia 2010 ZURAB POLOLIKASHVILI, segretario generale dell’Organizzazione mondiale del turismo (Omt) DAVID SASSOLI, presidente del Parlamento europeo VERA SONGWE, segretaria esecutiva della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa JEAN-NOËL TRONC, direttore generale della Società degli autori, compositori ed editori musicali (Sacem) RAMÓN VILALTA, architetto (Premio Pritzker 2017)

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a proposta del Premio Versailles 2020 sembra idealmente indirizzata alla Sardegna. Un territorio dotato del più importante sito archeologico europeo se non fosse anche del mondo, per il numero di reperti che tra nuraghi, pozzi sacri e domus des janas supera la decina di migliaia di siti senza citare i duemila anni successivi.. Eppure la Storia della Sardegna, anteriore di più di un migliaio di anni alla Storia nazionale, sembra essere ignorata non solo dagli italiani che non l’apprendono certo a scuola ma dalla maggior parte dei Sardi che, sia l’ignora, sia la vuole travestire con influenze esterne ed altre contaminazioni dubbie. Penso che i responsabili politici ma anche economici e culturali dovrebbero riflettere a questa proposta che ci é fatta da un numero conseguente di personalità attive nel mondo della cultura e dell’economia. Non credo assolutamente che le mostre on line ed altre diffusioni d’immagini sul web, possano minimamente sostituire il confronto personale e fisico nonchè emoti“I territori che meglio vo ed intellettuale con quelli che sono i monumenti, le conservano gli elemen- opere d’arte sia antiche che recenti ma anche la musica ti originali della loro e fino alla gastronomia che per fortuna non si può (ancoidentità potranno bene- ra?) consumare on line. ficiare, se riusciranno a Spero che questo momento di pausa e forse di riflessione svilupparli, di reali van- ci aiuti a riconsiderare la questione della cultura. taggi competitivi”.


Foto museo archeologico alghero

L’ANTICO SCOLARO U

n calamaio, un righello, i resti di una tavoletta cerata: sono le testimonianze del set di scrittura più antico ritrovati in Sardegna e, forse, nell’intera penisola. Provengono dalla necropoli romana di Monte Carru, ad Alghero, e appartenevano a un bambino di dieci o undici anni. La sensazionale scoperta è stata annunciata dalle studiose Alessandra La Fragola e Simona Minozzi sul numero di dicembre di Archeo, rivista di divulgazione archeologica diretta da Andreas M. Steiner, e sarà presto pubblicata in una monografia con tutti i risultati dello scavo sulla necropoli. “Quante persone sapevano leggere e scrivere – si chiedono le autrici all’inizio dell’articolo – in un insediamento provinciale di età romana? E quanti bambini godevano del provilegio di venire iniziati all’arte scrittoria? Adesso sappiamo che in quella che si presume essere l’antica comunità rurale di Carbia, nel territorio di Alghero, almeno un bambino (o una bambina), tra i 350 individui sepolti nella necropoli e vissuti tra I e III secolo d.C. ebbe l’opportunità di farlo”. La risposta arriva da una delle tombe, messa in luce con una campagna di scavo portata avanti nel 2008 dalla Soprintendenza Archeologica delle Province

Vedi il video https://www.facebook.com/ museoarcheologicoalghero/ videos/721604398590561/

di Sassari e Nuoro con la direzione di Daniela Rovina: si tratta di una sepoltura semplice e povera, scavata nella terra e coperta da una tegola in argilla, in cui sono stati trovati i resti di un bambino. Pochi resti, in realtà, dato che secondo l’usanza del tempo i corpi venivano cremati dopo la morte; il tanto sufficiente, comunque, per identificare il defunto come un giovane attorno ai 10 o 11 anni, che a quanto ne sappiamo godeva di una posizione privilegiata all’interno della comunità. E non potrebbe essere altrimenti: con lui, ad accompagnarlo nel viaggio verso l’aldilà, sono stati seppelliti anche gli oggetti che usava negli esercizi di scrittura quotidiani: “Un regolo mensorio in osso, un calamaio in bronzo, una spatola in ferro per spalmare la cera, e (forse) la tavoletta ossea su cui si scriveva”, si legge nell’articolo firmato da La Fragola e Minozzi. Della tavoletta rimangono solo pochi frammenti, mentre nulla è rimasto dello stilo e della pergamena che si usava per fissare le parole con l’inchiostro. Ci sono anche due chiodi, forse con funzione scaramantica oppure usati per tracciare segni nella cera della tavoletta. Il set scrittorio di Monte Carru è il più antico... (segue pagina 62)

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(segue dalla pagina 61) mai ritrovato in Sardegna, probabilmente un unicum anche in tutta la Penisola dove pure sono tante le testimonianze archeologiche della scrittura e dei suoi strumenti. L’importanza del ritrovamento però non sta solo nell’unicità dei reperti: “Quello che emerge è l’aspetto sociale della comunità di appartenenza grazie alla presenza di un segno distintivo potente in un centro periferico”. Da qui il dilemma: “L’alfabetizzazione era forse dunque più accentuata di quanto si potesse credere, o al contrario, quest’unico ritrovamento testimonia la rarità della scrittura?”. E infine: chi era questo bambino, e perché i suoi familiari hanno scelto di mettergli accanto gli strumenti da scolaro? Probabilmente si trattava di una famiglia agiata, in cui l’istruzione era ritenuta importante. Talmente importante da essere usata come “biglietto da visita” dopo la morte: “Uno scolaro, il cui ruolo doveva essere ben chiaro al suo ingresso nel mondo dell’Ade. L’intento evidente era di propiziare nella nuova vita ultraterrena il ruolo a lui dovuto, precocemente interrotto”. Francesca Mulas www.sardiniapost.it/ culture/alghero-la-tomba-del-piccolo-scolaroda-monte-carru-il-piuantico-set-di-scrittura/

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odellista Sartoriale diplomata presso l’istituto di Moda a Milano. Nel 2000 dà vita ad un laboratorio artigianale la “Sartoria Incanti” che successivamente diventa Atelier Marinella Staico nel 2014, un laboratorio ben attrezzato dove il cliente sceglie il tessuto e il modello per l’abito casual, da cerimonia o da sposa. Attraverso una accurata ricerca tramite documenti certi, disponibili presso l’Archivio di Stato a Cagliari, e grazie alle pubblicazioni dello storico e documentarista sardo Dott. Carlo Pillai, che dedica un intero capitolo di un libro intitolato “L’arrivo dei Cappottari Greci a Cagliari fine del ‘700 “, riesce a risalire con esattezza alla provenienza delle origini della sua famiglia ” Staico“. La famiglia Staico proveniente da Arta, una citta della Grecia (che si trova nell’ Epiro), giunse a Cagliari a fine del ‘700,

MARINELL esattamente nel 1775, il primo dei sartori greci che si stabilì a Cagliari e vi aprì bottega fu il padre di Anastasio Staico, Antonio, nell’anno 1775/76, il quale per la prima volta in-

trodusse la lavorazione dei Serenicus, aprì una sartoria nella strada Sa Costa, l’attuale via Manno, per produrre con un morbido panno dal nome Pilurzus un cappotto Serenicus oggi


Foto atelier marinella staico

dall’opposizione da parte del Gremio dei sarti sardi, i Greci estendessero le loro attività dalla confezione dei cappotti “Serenicus”, da loro fin dall’inizio esercitata in regime di monopolio, che pare spettasse ai soli sarti del Gremio. La causa ebbe esito positivo per i greci, poiché con sentenza dell’8/11/1826 la Reale Udienza li assolse dall’accusa di esercizio abusivo dell’arte in violazione degli statuti del Gremio, segno evidente che finalmente anche in Sardegna i tempi erano ormai maturi per una piena affermazione della libertà dei traffici e dell’iniziativa privata nel campo della produzione, contro i vincoli restrittivi. Autorizzando anche le Donne a poter esercitare la professione di sarte nelle sartorie da uomo. Fu così che dalla deposiparte il Gremio dei sar- zione di alcuni testimoni ti della città di Cagliari e apprendiamo che il primo dall’altra una nutrita schie- dei sartori greci che si stara di imprenditori Greci, bili a Cagliari e vi piantò tutti definiti di professio- bottega fu il padre di Anastasio Staico nell’anno ne” cappottari”. La causa ebbe origine 1775 o 1776, il quale per la

LA STAICO denominato “Sereniccu” Cappotto che ebbe ai primi dell’800 una storia di rilevanza sociale e culturale. Di grande interesse è una causa civile del 1825 che vide contrapposti da una

prima volta introdusse la lavorazione dei Serenicus. Cappotto che è diventato elemento fondamentale del costume maschile campidanese. Su Sereniccu rivisitato e confezionato in chiave moderna da Marinella e diventato un importante manufatto che fa parte della collezione uomo. Nel corso di questi anni sono numerosi inviti a partecipare a sfilate di moda in tantissime località della Sardegna e altre tante Manifestazioni Culturali, eventi, ed esposizioni fieristiche tra le più rilevanti e prestigiose della Sardegna tra cui Tessingiu a Samugheo e la Fiera Dell Artigianato Artistico di Mogoro. Le sue creazioni sono esposte presso L’Isola Shop dell’aeroporto di Cagliari Elmas, Olbia nella Vetrina online della Regione Autonoma della Sardegna. Nel 2018 gli è stato conferito il prestigioso premio letterario Francesco Alziator per il settore moda. A ottobre del 2019 ha partecipato con le sue creazioni a una importantissimo evento dedicato interamente alla moda internazionale la “ Mercedes Benz Fashion Week di Mosca”. Atelier Marinella Staico As Via Carmine, 200/C 09032 Assemini incanti@live.it + 39 070 945282 +39 3407814556 https://www.facebook. com/staico.marinella

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Foto fondazione stazione dell’arte

distanza di un mese dalla riapertura della Stazione dell’Arte, il 26 giugno 2020 ha aperto al pubblico il nuovo allestimento della collezione permanente dal titolo “Maria Lai. Fame d’infinito”. “All’essere umano non basta la terra sotto i piedi, non basta il sole sulla testa. L’uomo diventa adulto per realizzarsi oltre il proprio spazio e il proprio tempo”. Maria Lai Arte da vedere, sentire, toccare: mai come in occasione del nuovo allestimento, le opere di Maria Lai attraverseranno ogni barriera fisica e intellettuale. Una mostra che è esperienza multisensoriale, concepita per favorire un nuovo approccio all’arte e nutrire la curiosità dei visitatori. Per soddisfare la nostra “Fame d’infinito”, l’esposizione recupera il dialogo diretto con il pubblico dopo lo stop per l’emergenza sanitaria e la riapertura dell’istituzione museale, avvenuta un mese fa. La nuova esposizione é stata aperta al pubblico venerdì 26 giugno 2020, alle ore 15.00, negli spazi del museo fortemente voluto dall’artista ulassese, in piena sicurezza e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità preposte: ingressi contingentati (per un massimo di 10 persone alla volta) e mascherina obbligatoria.

Museo Stazione dell’Arte Ex Stazione ferroviaria Ulassai (Nu) dal martedì alla domenica, dalle 9:30 alle 19:30 (orario continuato) ingressi contingentati Chiusura settimanale: lunedì Visite guidate: sospese Tel. 0782787055 stazionedellarte@tiscali.it www.stazionedellartexperience.com Facebook: https://www.facebook.com/ MuseoMariaLai/ Instagram: https://www.instagram. com/stazionedellarte/

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a mostra è organizzata dalla Fondazione Stazione dell’Arte con il sostegno della Regione Autonoma della Sardegna, del Comune di Ulassai e della Fondazione di Sardegna. Curata da Davide Mariani, direttore del museo dedicato a Maria Lai, Fame d’infinito scandisce l’intero percorso dell’artista attraverso l’esposizione delle opere più significative da lei donate al Comune di Ulassai. La collezione restituisce, nella sua totalità, l’esperienza creativa di Maria Lai: dalle sculture ai disegni a matita e su china, dai telai alle tele cucite, dai celebri pani ai libri cuciti, dalle geografie alle installazioni e agli interventi ambientali. Il progetto espositivo, concepito come un’esposizione permanente, è suddiviso secondo un ordine cronologico e tematico ed è arricchito dalla presenza di un sistema di apparati didattici, in italiano e in inglese, da alcune riproduzioni tattili dei manufatti in mostra e da un archivio multimediale interattivo. MARIA LAI. FAME D’INFINITO a cura di Davide Mariani


(lunedì, mercoledì, venerdì e domenica), con invio la domenica di newsletter riepilogativa, per un totale di 55 fermate in due mesi di programmazione. Di #ProssimaFermata restano però le tracce, che oggi, grazie a una serie di link e rimandi, costituiscono un archivio virtuale di questa esperienza di condivisione dell’arte e del messaggio umano di Maria Lai.

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ell’ambito della campagna #iorestoacasa lanciata lo scorso marzo dal Mibact, la Fondazione Stazione dell’Arte ha dato vita a #ProssimaFermata, l’iniziativa con cui ha attivato una programmazione culturale alternativa, con l’intento di uscire – temporaneamente – dagli spazi fisici del museo e mantenere vivo il dialogo con il pubblico attraverso i social. L’itinerario di #ProssimaFermata sui social è stato scandito da tappe virtuali all’interno della Stazione dell’Arte: un percorso lungo il quale, nelle varie fermate, i passeggeri hanno scoperto interviste, documentari, trasmissioni radiofoniche in podcast e altri contenuti multimediali. Il viaggio, un vero e proprio espediente narrativo, è partito da Ulassai, il paese più caro a Maria Lai, e sempre a Ulassai si è concluso: se la prima tappa è stata la riproposizione del podcast della trasmissione Radiofonica “Passo a Due” di Radio Rai Sardegna con l’intervista effettuata a Maria Lai alla vigilia dell’inaugurazione della Stazione dell’Arte, il 7 luglio 2006, l’ultima sosta è stata rappresentata dal filmato girato da Tonino Casula in occasione della performance collettiva “Legarsi alla montagna” tenutasi l’8 settembre del 1981. Gli appuntamenti/fermate per portare il “museo a domicilio” durante tutto il periodo di isolamento dovuto al Covid-19 sono stati mediamente quattro alla settimana

Maria Lai nasce nel 1919 a Ulassai. Fin da bambina mostra uno spiccato talento artistico e ha l’opportunità, seppure fortuita, di avere contatti con il mondo dell’arte (posa per Francesco Ciusa per un ritratto della sorellina scomparsa). Pochi anni dopo, la famiglia decide di iscriverla alle scuole secondarie a Cagliari, dove conosce Salvatore Cambosu, che per primo scopre la sua sensibilità artistica. Nel 1939 si trasferisce a Roma per frequentare il Liceo Artistico e, una volta completati gli studi, parte alla volta di Verona e, successivamente, a Venezia, dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti in cui ha la possibilità di seguire le lezioni di Arturo Martini. Rientra in Sardegna, non senza difficoltà, nel 1945. Qui riprende l’amicizia con Salvatore Cambosu e insegna disegno nelle scuole elementari di Cagliari. Ritorna a Roma nel 1956 e, l’anno successivo, (segue pagina 66)

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Foto museo arborense oristano

(segue dalla pagina 65) presso la galleria L’Obelisco, tiene la sua prima personale. L’attenzione critica ricevuta in quell’occasione non soddisfa però le attese personali dell’artista che inizia così un lungo periodo di riflessione in cui ritrova il mondo dei poeti e degli scrittori, fra i quali Giuseppe Dessì, suo dirimpettaio di casa a Roma, con il quale coltiva un rapporto di profonda amicizia e di collaborazione. Nel 1971, presso la Galleria Schneider di Roma, espone i primi Telai, un ciclo che caratterizza i dieci anni successivi e l’avvicina ai temi dell’arte povera, mentre negli anni Ottanta si dedica alle prime operazioni sul territorio che le varranno gli esiti più significativi della sua opera. Nel 1981 realizza a Ulassai l’operazione corale Legarsi alla Montagna, suo capolavoro, che anticipa i temi e i metodi di quella che sarà definita, solamente nel 1998, dal critico d’arte Nicolas Bourriaud come “arte relazionale”. A partire dagli anni Novanta dà vita a una serie di interventi di arte pubblica che, grazie a una visione programmatica, riusciranno, nel tempo, a trasformare Ulassai, suo paese natale in un vero e proprio museo a cielo aperto, che trova la sua massima espressione nella “Stazione dell’Arte”, museo di arte contemporanea a lei dedicato. Il 16 aprile 2013 si spegne all’età di 93 anni. stazionedellartexperience.com/

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iamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda...». ’eco delle parole pronunciate da Papa Francesco il 27 Marzo scorso in un’apocalittica Piazza San Pietro deserta, avvolta dall’oscurità e battuta dalla pioggia, riverbera ancora forte, come miele accarezza le ferite dell’animo, lenisce dolori, patimenti, induce a confrontarci con sofferenze, speranze e preghiere che oggi più che mai appaiono corali, collettive e universali. Da qui la decisione di riaprire al pubblico le sale del Museo Diocesano Arborense con la mostra ideata per il periodo pasquale, allora inevitabilmente annullata, che adesso riletta con l’animo del “naufrago sopravissuto alla tempesta” si carica di nuovi e più intensi significati sociali, culturali, cultuali e antropologici. Il progetto “MISERERE Racconti Votivi”, curato da Anna Rita Punzo con la direzione di Silvia Oppo, propone una riflessione sui dispositivi narrativi e rappresentativi della preghiera del sofferente: gli ex-voto.


Il titolo rimanda alla capacità di queste potenti composizioni devozionali, polimorfe e polimateriche, di configurarsi quali peculiari “spazi locutori”, cioè atti di definizione e fissazione della parola e dunque di racconto. Le voci narranti sono quelle di tre sensibili interpreti: Giovanna Maria Boscani, Gianni Nieddu e Giovanni Sanna, cui si aggiunge il “coro” dei detenuti di diverse case circondariali regionali, autori degli ex-voto realizzati per il progetto “PGNR Pergrazianonricevuta” (di Giovanna Maria Boscani e Joe Perrino). In quest’ultimo caso l’oggetto votivo oltre a rappresentare la “via di fuga”, la speranza del riscatto, la soluzione escatologica contrapposta a un presente che trattiene entro il limes dell’impossibilità, è anche medium di significati e connessioni tra la prima tappa della Via Crucis e la sesta dell’agire misericordioso: Visitare i carcerati. Le opere che definiscono il percorso espositivo articolano soluzioni stilistiche e materiche differenti. Il raffinato tratto grafico di Gianni Nieddu, ora essenziale, ora carico d’intensa densità chiaroscurale, mette in scena una Via Crucis concreta, solida, ferma e al contempo evanescente, in cui la presenza umana è appena accennata, quasi suggerita, in bilico tra manifestazione e negazione, percezione ed essenza.

Il tratto rapido, sicuro e vibrante della sanguigna di Giovanni Sanna definisce le delicate membra e il ricco panneggio del nunzio evangelico che incede tra figure ed elementi architettonici solo abbozzati; sua competenza è “... portare al cospetto di Dio le preghiere degli uomini” (Tb 12,12) (Ap 5,8; 8,3), qui materialmente definite dagli ex-voto. Il ricco campionario di riproduzioni anatomiche, attributi iconografici e repertori figurativi realizzato da Giovanna Maria Boscani, amplifica ed enfatizza gli aspetti sacri, macabri e kitsch del lessico compositivo e didascalico-narrativo proprio della devozione popolare. I lavori dell’artista sassarese, in complesso con i cimeli votivi provenienti dai Santuari di Nostra Signora del Rimedio (Oristano), di Nostra Signora di Bonacattu (Bonarcado) e dalla Chiesa di San Palmerio (Ghilarza) compongono un tripudio di forme, colori, storie e simbologie. Nel rispetto delle norme vigenti per il contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19, l’ingresso avverrà in sicurezza e contingentato, con l’obbligo di mascherina e il rispetto della distanza interpersonale di sicurezza. https://www.museodiocesanoarborense.it/news/ apertura-museo-norme-sicurezza-covid-1-9/

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Foto museo arborense oristano

ra il 1840 quando il re di Sardegna, Carlo Alberto di Savoia, acquisiva, per i musei di Cagliari e Torino e in parte per il suo Gabinetto privato, 330 statuette bronzee, ritenute al tempo sardo-fenice, da parte dell’archeologo Gaetano Cara, all’epoca direttore del Museo Regio di Cagliari, per una cifra che a oggi corrisponderebbe a oltre 400mila euro, ma che si riveleranno dei clamorosi falsi. Stiamo parlando della più eclatante truffa di falsificazione di fine Ottocento, iniziata nel 1819, quando compaiono i primi due falsi, e proseguita per quasi settant’anni. Uno dei più discussi gialli archeologici del XIX secolo, del quale non si viene ancora a capo e soprattutto non si comprende come illustri accademici europei tra i quali Edward Gerhard, Ernest Renan e Charles Le Normant, che elaborarono innumerevoli e complesse teorie, siano stati beffati così a lungo davanti a reperti che nulla hanno a che vedere con i bronzetti originali ma che si profilano come una creazione a sé stante di un universo inesistente. Gaetano Cara, con Efisio Luigi Tocco e il canonico Giovanni Spano (iniziatore dell’archeologia in Sardegna), condusse le più importanti campagne di scavo nell’isola (finanziate da Carlo Alberto che in passato aveva pre-

TUTTA LA STORIA DELL’ECLATANTE TRUFFA PERPETRATA AI DANNI DI CARLO ALBERTO DI SAVOIA IN SARDEGNA UN’OPERAZIONE DI FALSIFICAZIONE ABILMENTE SVOLTA DAL 1819 AL 1883 SULLO SFONDO DEL MUSEO REGIO DI CAGLIARI, PROTAGONISTA UNA NUTRITA SCHIERA DI FALSI BRONZETTI NURAGICI.

Roberta Vanali

so parte anch’egli a diversi scavi) tra cui quella relativa alla scoperta di una necropoli a Tharros, da cui Cara trasse migliaia di reperti che vendette al British Museum, al Louvre e a un’asta di Christie’s, lucrando e privando la sua terra di importanti testimonianze. Ma Tocco e Spano non denunciarono le frodi prima del 1849, ossia quando il primo ambiva alla carica di Commissario delle Antichità (mirando all’analisi degli idoli che riteneva creati con una percentuale maggiore di zinco rispetto agli originali), e il secondo a scalzare Cara dalla direzione museale per far posto a Vincenzo Crespi, suo giovane allievo. Da ciò si evince facilmente una compromissione dei due nelle losche faccende di Cara (che proseguì la truffa probabilmente avviata dal primo direttore del Museo Leonardo De Prunner), presumibilmente con l’apporto di Alberto Lamarmora, strettamente legato a Cara da profonda amicizia, a cui si deve la diffusione dei disegni dei falsi idoli in tutta Europa attraverso il celebre Voyage en Sardaigne, oltre a una sicura attestazione di garanzia. Cara reagì alle accuse, soprattutto a quelle infuocate di Spano, pubblicando diversi articoli tra cui una dettagliata relazione sugli idoli sardo-fenici. “Ma io son certo che voi, senza ricorrere a vere invenzioni non potrete giammai provare che gli idoli


sardo-fenici non siano genuini. Voi maltrattate la scienza, per vero spirito di vendette personali e non v’accorgete che tutto il danno, infine, ridonderà unicamente sopra voi stesso. Sarebbe ormai tempo che, tenuto conto della vostra qualità di sacerdote, deste pubblicamente un buon esempio, purgandovi benino la coscienza”. I falsi bronzi rimasero in esposizione nelle vetrine del Museo Regio fino al 1883, quando Ettore Pais, successore di Cara alla direzione, nel compilare l’inventario del Regio Museo relegò le “turpi statuette” nei magazzini all’interno della cassa n. 6194 con la dicitura “Cassa di legno contenente numero duecentosessantaquattro turpi statuette di ottone di bassa lega rappresentanti divinità mostruose. Essi idoletti sono falsi”. A detta dello stesso Pais, i falsi furono realizzati dal maestro ferraio Raimondo Mongia, residente nello stesso palazzo dove era ubicato all’epoca il museo, ma si capì ben presto che il povero diavolo fosse all’oscuro dell’operazione. L’attenzione si spostò, allora, sul Caporale di Artiglieria Giuseppe Ullu, nonché maestro di bronzo dell’Arsenale dove operavano maestranze coperte da segreto militare. Ma chi erano le menti raffinate di questa truffa?

Quali abili artisti, con la complicità di esperti archeologi, poterono partorire con continuità e coerenza questa enorme operazione di falsificazione? All’Accademico dei Lincei Giovanni Lilliu, il più grande archeologo che la Sardegna abbia avuto, si deve il ruolo fondamentale della loro riscoperta iniziata nel 1974 con la pubblicazione su “L’unione sarda” del saggio in sei puntate “Un giallo del secolo XIX in Sardegna. Gli idoli sardi-fenici”. Lo studio proseguì sino al 1998 con l’obiettivo non solo di una ricostruzione dell’intricata vicenda ma, nell’ottica di sfruttare il falso per comprendere il vero, di servirsi degli idoli come strumento intuitivo per individuare eventuali peculiarità degli originali. Gli ingegnosi falsari, con un dettagliato progetto, diedero vita a diverse categorie di idoli suddivisi in antropomorfi, zoomorfi e antropozoomorfi. Presunte divinità pagane con riferimenti in parte a culture orientali ma soprattutto di derivazione medievale riscontrabile in quelli dall’aspetto demoniaco e grottesco. I mostruosi idoli, talvolta a tre teste, irti di punte, sono provvisti di corna ‒ talvolta cervine ‒ e coda. Hanno gambe lunghe, filiformi e divaricate e sono armati di forconi a due o tre rebbi, di lance (segue pagina 70)

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Foto museo man nuoro

(segue dalla pagina 69) e di mazze ferrate, palle chiodate e asce bipenni. Tra figure virili, barbute ed ermafroditi, dotate di occhi a bulbo, uno o due seni e di ombelico, alcune si compongono in originali gruppi statuari, altre rappresentano un unicum, come quelle inserite all’interno di strutture a forme di staffa e quella disposta nell’asse centrale di un cerchio con braccia e gambe divaricate alla maniera dell’Uomo vitruviano di Leonardo. Nati dalla manipolazione di un immaginario comune che affonda le radici nel primitivismo isolano, i falsi idoli non sono il risultato di una banale imitazione ma rappresentano un’abile reinvenzione che confluisce nella creazione di originali esemplari che rientrano nell’alveo delle avanguardie artistiche europee contraddistinte dall’interesse per il primitivismo, come già intuito da Giovanni Lilliu e confermato dallo storico dell’arte Giorgio Pellegrini, che attribuisce una condivisibile natura surrealista ante litteram: “L’immaginario colto dei bronzi viene tradotto in forme che trovano precise rispondenze nella fase surrealista di Picasso e in grandi figure del surrealismo tedesco come Max Ernst”. Con l’obiettivo di una rilettura e la necessità di analizzarli sotto una diversa lente, attraverso uno scenario che non sia quello di una frode scien-

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Marroccu (a cura di), Le Carte d’Arborea. Falsi e falsari della Sardegna del XIX secolo, AM&D Edizioni, Cagliari 1997. Copez (a cura di), Giovanni Lilliu. L’archeologo e i falsi bronzetti, AM&D Edizioni, Cagliari 1998. Zucca (a cura di), Vita di un direttore di Museo scritta da lui medesimo, All’Insegna del Giglio Edizioni, Firenze 2018. Pantò, R. Zucca (a cura di), Carlo Alberto archeologo in Sardegna. Gli Idoli Bugiardi, All’Insegna del Giglio Edizioni, Firenze 2020.

tifica, e restituire loro il giusto valore, i falsi idoli sono stati esposti a iniziare dal 1998 all’Antiquarium Arborense di Oristano per poi ritornare venti anni dopo, con una doppia mostra che ha coinvolto i Musei Reali di Torino, e approdare quest’anno al Museo MAN di Nuoro dov’è in corso la mostra “Il regno segreto. Sardegna-Piemonte: una visione postcoloniale”. Esposizione che documenta i rapporti tra Sardegna e Piemonte dal 1720, quando l’isola diventa sabauda, fino al 1960 attraverso l’opera di artisti e intellettuali attivi tra le due regioni. Dopo l’ultima mostra le opere sono rimaste a Oristano in attesa che l’amministrazione comunale discuta della possibilità di collocarle stabilmente nelle sale del Museo Arborense, lo stesso che custodisce un altro clamoroso falso, quello delle Carte d’Arborea, coevo a quello degli idoli bugiardi. Ma questa è un’altra lunga storia. Roberta Vanali https://www.artribune.com/arti-visive/archeologia-arte-antica/2020/06/falsi-idoli-nuragici-sardegna/ Musée d’Art contemporain Via Sebastiano Satta, 27, 08100 Nuoro NU Tel.: +39 0784 252110 http://www.museoman.it/it/


Foto museo man nuoro

IL REGNO SEGRETO

Il Museo MAN di Nuoro riapre al pubblico, dopo aver Il regno segreto disposto tutte le misure necessarie a garantire la sicu- Sardegna-Piemonte: rezza sanitaria dei visitatori e dello staff dell’Istituzione. una visione postcoloniale

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a mostra “Il regno segreto. Sardegna-Piemonte: una visione postcoloniale, a cura di Luca Scarlini”, che avrebbe dovuto inaugurare lo scorso 13 marzo, è pronta ad accogliere i visitatori da venerdì 29 maggio e sarà visitabile sino a domenica 15 novembre 2020. Attraverso il lavoro di artisti, musicisti e intellettuali, la rassegna rappresenta un’ampia e articolata indagine storiografica e culturale che rivela la relazione tra Sardegna e Piemonte, dal 1720 agli anni Sessanta del Novecento, raccogliendo una varietà di opere d’arte, documenti, manufatti, testi letterari, illustrazioni, ceramiche, fotografie e spartiti musicali, provenienti da prestigiose istituzioni italiane. Completa la mostra una sezione dedicata all’animazione curata da Fondazione Sardegna Film Commission che, in collaborazione con il MAN, ha sviluppato quattro format sperimentali di corti d’animazione dedicati agli illustratori sardi attivi in Piemonte nel Novecento. La mostra svela un volto inedito del Regno di Sar-

fino alla domenica

15 Novembre 2020

degna, un regno segreto, ricco di storie non ancora esplorate e fatto di prolifici incontri e grande mobilità, narrato per lo più in termini polemici dalla storiografia sarda e con numerosi equivoci da quella piemontese. La relazione tra le due regioni iniziò infatti nel 1720, quando l’isola divenne sabauda, e da allora gli scambi e le transazioni culturali tra i due territori si intensificarono sempre più, determinando un’epoca di movimenti di persone, oggetti e idee che cambiò profondamente il destino di Sardegna e Piemonte e avrebbe contribuito alla costituzione del Regno d’Italia e allo sviluppo di una cultura nazionale. La mostra è corredata da un ampio catalogo monografico edito da Ilisso che raccoglie saggi inediti appositamente commissionati a importanti autori e scrittori sardi e piemontesi quali Marcello Fois, scrittore, commediografo e sceneggiatore, Gianni Farinetti, scrittore, sceneggiatore e regista, Maria Paola Dettori, storica dell’arte, Luciano Marrocu, storico e scrittore, e Luigi Fassi, direttore del

Museo d’Arte Provincia di Nuoro

Via Sebastiano Satta, 27, 08100 Nuoro NU Tel.: +39 0784 252110 info@museoman.it http://www.museoman.it/

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erché vi parlo di “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”, del professor Francesco Casùla (edizioni Grafica del Parteolla)? Quando mi chiesi dove fosse la Sardegna, nella storia d’Italia, volli cercare una risposta veloce e mi trovai impelagato (tanto per cambiare) in una montagna di libri antichi e moderni (più gli uni che gli altri). E scoprii che la Questione Meridionale (sorta con l’invasione del Regno delle Due Sicilie da parte dell’esercito piemontese, prima nascostamente, con i 22 mila soldati ufficialmente disertori al seguito di Garibaldi; poi ufficialmente, con l’esercito calato a prendere possesso della refurtiva), aveva un antenato: la Questione Sarda. Quando, a inizio del 1700, i Savoia ottengono l’isola, con un trattato internazionale, iniziano a spogliarla di ogni risorsa, escludendo i sardi da ogni possibilità di intraprendere o dirigere, salvo quei possidenti che si metteranno al servizio del nuovo padrone, per aiutarlo nel saccheggio e intascare le briciole. Le proteste, le rivolte, vengono soffocate nel sangue, con la ferocia e l’arbitrio. E giustificate con l’inciviltà della popolazione che i sabaudi, ovviamente, trattenendo eroicamente il ribrezzo, tentavano di dirozzare. Seppi, così, che tutto quel che i Savoia fecero in Sardegna, fu solo replicato,

CARLO FELICE E I

vedi video vimeo.com/361979488

più in grande, nel Regno delle Due Sicilie (i sardi erano circa 600mila, al momento dell’Unità, i duosiciliani quindici volte tanto). Da questa osservazione e dalla scoperta che, pur senza paesi rasi al suolo e lo sterminio della popolazione, le stesse tecniche erano state adottate dalla Germania Ovest in quella Est, dal giorno della riunificazione, nacque il mio “Terroni ‘ndernescional”. Al Sud ci si lamenta, non a torto, della disattenzione del resto del Paese nei confronti delle regioni del Mezzogiorno. Ma la Sardegna, a parte la recente scoperta turistica, è del tutto assente. Il che parrebbe incredibile se, con una popolazione modesta, rispetto a quella di regioni di dimensione paragonabile, può vantare due presidenti della Repubblica, il segretario più amato del partito della sinistra italiana e altri dirigenti di rilievo nazionale. Eppure, i sardi si raccontano, e molto, e bene; hanno scrittori di grande valore, un premio Nobel alla Letteratura (Deledda). Ma non riescono a farsi ascoltare dagli altri, un po’ perché, quando comunicano, paiono avere come interlocutori primi gli stessi sardi; un po’, perché gli altri, oltre che a godere della Sardegna, non mostrano grande interesse a sapere dei sardi (ma chi comincia, vuole diventare sardo, come De André e tanti altri).


TIRANNI SABAUDI Negli ultimi anni, una rinnovata produzione culturale, letteraria, di pari passo con una potente risorgiva di orgoglio isolano mai scemato, ripropone i temi della sardità e della colonizzazione. In questo, Francesco Casùla si è distinto con un’opera grandiosa, “Letteratura e civiltà della Sardegna”, in due volumi. E oggi con il libro su Carlo Felice e i suoi sanguinari parenti. Il saccheggio dell’isola fu di tale ferocia che persino dopo l’Unità, nel 1864, in occasione dell’ennesimo inasprimento di tasse imposto dai Savoia, metà della somma rastrellata in tutto il Paese fu sottratta ai soli sardi. La disistima dei sabaudi per gli isolani era tale che tendevano a impedire i matrimoni “misti”, ritenevano i sardi “nemici della fatica, feroci e dediti al vizio”; e per de Maistre erano peggio dei “dei selvaggi perché il selvaggio non conosce la luce, il Sardo la odia”. Una scia di razzismo e pregiudizio che viene da lontano (per Cicerone, i sardi erano per natura “ladruncoli, inaffidabili e disonesti”, in quanto africani) e arriva a oggi: appena qualche decennio fa, il noto giornalista Augusto Guerriero (Ricciardetto), scrisse che i barbaricini bisognava “trattarli” con gas asfissianti; e nel 2016, il procuratore di Cagliari, nell’inaugurare l’anno giudiziario, parlava di “istinto predatorio (tipico della mentalità barbaricina)”.

Nessuna meraviglia che a gente ritenuta incivile (osavano ribellarsi alla spoliazione dei loro beni, dell’intera isola: proprio selvaggi!), si applicassero metodi sbrigativi. Naturalmente, anche lì si trattò di estirpare il “banditismo” (nell’ex Regno delle Due Sicilie “brigantaggio”): il marchese di Rivarolo in tre anni scarsi fece incarcerare tremila persone, giustiziarne 432, con “cerimonie” pubbliche ferocissime:torture, fustigazioni che riducevano il malcapitato a brandelli, poi la forca e la decapitazione, con la testa portata in giro nei paesi in una gabbia di ferro (lo rivedremo al Sud, quando decidero di “liberarlo”). Ma il più sanguinario fu Carlo Felice, detto Feroce, vicerè e poi re, per disgrazia dei sardi “…orrendamente torturati, trucidati nells strade o nelle prigioni… I villaggi del Logudorese vennero assaliti dalle truppe regie, cannoneggiati, incendiati e, molti dei loro abitanti uccisi o arrestati in massa”. Spaventosi i tormenti cui fu sottoposto il patriota Francesco Cilocco, la cui testa pure fu esposta in una gabbia di ferro, il corpo bruciato e le neceri disperse. Con la legge delle chiudende, che consentì ai possidenti e ladroni di appropriarsi delle terre pubbliche e recintarle come proprie (distruggendo l’uso di libera terra che aveva retto da tempo immemorabile (segue pagina 74)

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(segue dalla pagina 73) economia e comunità sarde) e sulla “proprietà perfetta”, la millenaria civiltà dell’isola fu atterrata. La rivolta salvò il costume sardo solo in alcune aree; scorse molto sangue, sorsero odi insanabili, che durano in alcuni casi ancora oggi, e grandi patrimoni inutilizzati da un manipolo di profittatori. Ci fu una coraggiosa denuncia, nel Parlamento di Torino, da parte del deputato sardo Giorgio Asproni, che sembra anticipare, in copia, quella del duca di Maddaloni, nello stesso Parlamento, ma ormai “unitario”, nel 1861: “La vera istoria racconterà le scellerate fucilazioni; le condanne di vecchi e innocenti uomini alle galere; gli spami delle famiglie per i solo cari mandati in esilio per ingiusti sospetti; gli schiaffi e le battiture di detenuti carichi di ferro in mezzo a’ birri; il bastone, di costume barbaro, applicato alle spalle dei testimoni…”; e così via, nell’elenco degli orrori. Sino a costruire, con la violenza, l’oppressione e la rapina, un “sottosviluppo che non è ritardo ma superfruttamento”. Fu la prima Questione meridionale. L’isola aveva avuto altre dominazioni, nel tempo (fenici, romani, pisani, genovesi, spagnoli), ma Casùla non ha dubbi su chi siano stati “i più crudeli, spietati, insipienti, famelici e ottusi (s)governanti che la Sardegna abbia avuto nella sua storia: i Savoia”. https://www.ultimavoce.it/

LA VALIGIA DELL’ATTORE

fa parte del circuito “Le isole del cinema”, progetto artistico atto a promuovere il territorio culturale sardo consolidando forme di scambio e collaborazione attraverso una rete di quattro festival interdipendenti, che comprendono anche “Una notte in Italia” (Tavolara), “Pensieri e parole” (L’Asinara) e “Creuza de Mà” (Carloforte).

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a valigia dell’attore” si farà. Sono confermate le date, dal 27 luglio al primo agosto, per la sei giorni di incontri e proiezioni. Gli ingressi al momento sono liberi fino a esaurimento posti. Sarà la Fortezza I Colmi a La Maddalena ad accogliere la seconda tappa del circuito di festival “Le isole del cinema”. Un atto coraggioso nell’incerto panorama dettato dall’emergenza Covid-19 che gli ideatori Giovanna Gravina Volonté e Fabio Canu hanno voluto perseguire per dare continuità all’appuntamento annuale di approfondimento sul lavoro d’attore dedicato a Gian Maria Volonté. Un progetto che tiene vivo il rapporto tra il grande attore e l’isola dove ha vissuto per anni e dove ha scelto di essere sepolto. Tra gli ospiti è atteso Pierfrancesco Favino, tra gli attori più affermati della scena italiana e internazionale: a lui il primo agosto sarà consegnato il Premio Volonté 2020. Seguirà la proiezione di “Hammamet” (2020) di Gianni Amelio accompagnata dalle riflessioni dello stesso Favino e un altro degli interpreti del film, Luca Filippi.


[foto di Ugo Buonamici per ‘La valigia del’attore’]

Volonté”, con la partecipazione straordinaria di Francesco Acquaroli, presente alla serata. Giovedì 30 luglio saranno Nora Stassi e Mario Piredda ad introdurre la proiezione del film “L’agnello” (2019) di Mario Piredda con Nora Stassi, Luciano Curreli, Piero Marcialis e Michele Atzori. Il 31 luglio il regista Daniele Luchetti, docente del Valigialab 2020, insieme al Presidente del Nuovo IMAIE Andrea Miccichè, presenterà il laboratorio residenziale gratuito di alta formazione sulle tecniche di recitazione, che per questa edizione si svolgerà dal 2 al 9 agosto nell’isola di Caprera. Seguirà la proiezione del film “Momenti di trascurabile felicità” (2019) di Daniele Luchetti con Pif (Pierfrancesco Diliberto) e Renato Carpentieri. Infine, sabato 1 agosto avrà luogo la consegna del Premio Volonté 2020, la oramai nota barca in rame ideata da Mario Bebbu e realizzata da Umberto Cervo, ad uno degli attori più affermati della scena italiana ed internazionale: Pierfrancesco Favino. A seguire, la proiezione di Hammamet (2020) di Gianni Amelio, di cui parlerà Favino con un altro degli interpreti del film, Luca Filippi.

LA VALIGIA DELL’ATTORE

Organizzata dall’associazione culturale Quasar, l’evento si snoda tra proiezioni serali alle 21.15 e incontri mattutini delle 11 moderati dai critici Boris Sollazzo, Fabrizio Deriu e Fabio Ferzetti. Registi, interpreti e operatori illustreranno alcuni film e documentari più significativi della scorsa e attuale stagione, con un’attenzione alla produzione sarda. Si inizierà la sera del 27 luglio con la proiezione del documentario “L’ultimo pizzaiolo” (2019) di Sergio Naitza, presentato dal regista insieme a Pino Boi, cui seguirà la proiezione di “The man of Trees” (2019) di Salvatore Manca, liberamente ispirato al racconto di Jean Giono “L’uomo che piantava gli alberi”, alla presenza del regista e degli interpreti Bruno Petretto, Giovanni Salis, Daniela Tamponi, Matilda Deidda e Alessandro Pala Griesche. Martedì 28 luglio, per la serata dedicata come di consueto a Volonté, il programma sarà incentrato su “L’immagine e la memoria”: grazie alla collaborazioQUASAR ne con l’Istituto Alcide Cervi, verrà proiettato, introAssociazione Culturale dotto da Iefte Manzotti, il film I 7 fratelli Cervi (1968) di Gianni Puccini, con Gian Maria Volonté, Riccardo Via Magenta 15 Cucciolla, Carla Gravina, Lisa Gastoni. 07024 La Maddalena OT Il 29 luglio sarà la volta de L’ultimo piano (2019), film prodotto, scritto, diretto e interpretato dagli allie- Valeria Serra 339 4962053 vi della Scuola d’Arte cinematografica “Gian Maria ufficiostampa@la valigiadell’attore.com

dal 27 Luglio 2020 al 1mo Agosto 2020 Le Isole del Cinema

Fortezza I Colmi La Maddalena

https://www.sardiniapost. it/culture/la-valigia-dellattore-torna-il-27-luglio-premio-volonte-a-pierfrancesco-favino/

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