Fotografia di Vittorio E. Pisu Projet Graphique Maquette et Mise en Page L’Expérience du Futur
L’AMORE Agapè, Charis, Eunoia, Harmonia, Storgè, Philia, Eros, Mania pathè, Pothos, Poernia
Ici, là-bas et ailleurs https://www,vimeo.com/channels/palazziavenezia
Se non so sempre quello che sto facendo, continuo comunque a farlo, imparando da quello che faccio e scoprendo ogni volta qualche cosa di più su di me. Ho sempre cercato di capire chi fossi veramente mettendomi alla prova ed a volte fallendo miseramente nel tentativo di assomigliare a quello che credevo di essere, ma scoprendo che quello che sono é molto più interessante, così sarà con questa avventura grafica, tessile, plastica, attraverso laquale cerco di scoprire un pò di più su quello che é stato il sentimento che ha sempre guidato le mie scelte, senza rimpianti e senza rimorsi. Essere Vittorio Emanuele é sempre stata una bella avventura. E non é ancora finita. Vittorio Emanuele Pisu
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L’AMORE Agapè, Charis, Eunoia, Harmonia, Storgè, Philia, Eros, Mania pathè, Pothos, Poernia
Ici, là bas et ailleurs
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uesto lavoro é certamente molto diverso da tutti quelli con i quali mi sono cimentato fino ad oggi. Anche se come al solito non so perché ho avuto voglia di realizzarlo. All’inizio una vaga idea, ma che si é presentata come necessaria, impellente e piano piano si è costruita per aggiunte successive. Certamente la ragione profonda di questo lavoro é la fine di una relazione durata ben diciannove anni, relazione anche professionale non solo sentimentale, durante la quale numerosi progetti d’architettura d’interni sono stati felicemente portati a termine mentre altri non hanno avuto questa chance. Ho capito troppo tardi che la ragione della degradazione di questa relazione amorosa é stata la mostra che avevo organizzato nel 2014, delle linoleografie che avevo ritrovato in cantina, incisioni che avevo realizzato nel 1968/1969 e che avevo conservato, in seguito a questa mostra, ho anche incominciato una collaborazione con la fondatrice e curatrice del Musée du Prieurè a Saint Germain en Laye, creando una rivista (Ici, là-bas et ailleurs) et organizzando tra il 2014 ed il 2018 ben quarantadue esposizioni, tutte illustrate dalla pubblicazione e filmate al momento dei vernissages. 7
Diciannove anni sono un lungo periodo, durante il quale ho potuto veramente sperimentare le mie capacità grafiche sia attraverso i disegni tecnici che le prospettive descrittive degli stati futuri. Anche se a volte ho utilizzato certi programmi digitali come supporto per certe rappresentazioni prospettiche, ho sempre disegnato a mano. Anche la ripresa delle linoleografie, successiva a l’esposizione nell’atelier che fu del pittore Henri Pinta, dapprima con l’intenzione di partecipare ad una mostra collettiva all’occasione del cinquecentesimo anniversario della morte di Miguel de Cérvantes, evento che poi non ebbe luogo, anche se le opere realizzate furono esposte in diverse occasioni a delle mostre collettive realizzate dalla Galleria da Vinci Art, ed anche in una mostra personale alla galleria Vero Dodat sempre a Parigi, ed al Bar sotto il mare a Cagliari, e successivamente con la realizzazione di una serie, avente come tema i Casotti del Poetto di Cagliari e presentata in una galleria ormai chiusa, che si chiamava Salotto dell’Arte situata in Piazzetta G.M. Dettori sempre a Cagliari,. Questa serie fu principalmente motivata dalla scoperta del rapporto tra le opere di Camille Revel ed i casotti, opere che furono esposte al Lazza-
Annamaria 9
retto ed alla Mediateca per il Mediterraneo di Cagliari, nel maggio del 2016, nel programma «Cagliari je t’aime», dove capii il rapporto materializzato dai colori slavati presenti su tutti e due i supporti lignei sia delle opere esposte che dei casotti ormai scomparsi. Questa mia serie, fu poi presentata a Cagliari in diversi luoghi, sia al Bar sotto il mare, che alla galleria M.A.P. Manifestazioni artistiche Periferiche della via Garibaldi, ma anche al Bar de Il Lido e al Bar Mistral a Monserrato. Fui piacevolmente sopreso dall’accoglienza ricevuta dai numerosi visitatori, spesso da me completamente sconosciuti che, attirati dalle numerose affiche e dalla pubblicità sui social media ed inaspettatamente anche sul quotidiano locale, visitò la mostra intrattenendomi con il racconto dei loro ricordi, legati agli anni di gioventù trascorsi nei casotti del Poetto, ricordi che, naturalmente, si sovrapponevano e si incrociavano con quelli che ancora conservo, molto vividi, di quelle estati spensierate. Al contrario sono stato sorpreso dalla virulenza di molti commenti sui social media che riportavano alcune leggende urbane particolarmente radicate in tutte quelle persone che non hanno avuto la possibilità nè di frequentare e neanche di utilizzare
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quelle cabane in legno dai colori variopinti che furono distrutte nel 1986. Menzogne dettate dalla gelosia e sopratutto dall’ignoranza. Dopo questo esercizio ho voluto continuare e come sempre, senza averlo veramente deciso ma spontaneamente, ho iniziato una serie di vedute di Cagliari, cercando di basarmi sui miei ricordi d’infanzia ed anche da alcuni elementi della mia storia personale che mi sono stati raccontati come la mia nascita nel palazzo situato al numero 5 della via Gianturco, palazzo esistente tutt’ora ma che a quell’epoca era situato al di là della linea delle Ferrovie Complementari Sarde, che, costeggiando la via Dante, segnava il limite della città, che si estese poi a partire dagli anni 30, con la realizzazione dell’imponente Palazzo di Giustizia e di un certo numero di case popolari nelle vicinanze. A mio nonno, maresciallo maggiore dei carabinieri, fu assegnato un appartamento in quell’immobile e fu li che venni così alla luce nell’aprile del 1947. Ricordo comunque che al piano terra esisteva una bettola di mescita di vino, oggi naturalmente sostituita da un bar molto più
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moderno, ma all’epoca della mia infanzia, l’arredamento era costituito da tre grandissime botti (vino bianco, vino rosso e rosso superiore) che troneggiavano dietro un bancone di legno, mentre il resto dello spazio era occupato da abbastanza sedie e quattro tavolini, di legno anch’essi. Ricordo che muri e soffitto erano intrisi di vino e tutto sentiva il vino, naturalmente per la mia sensibilità infantile ed astemia. Ricordo che mia nonna teneva in particolare disprezzo gli avventori di questo locale esprimendo ad alta voce la sua disapprovazione. A quell’epoca non era raro che dei mendicanti venissero a bussare alla porta del suo appartamento e mia nonna professava che era meglio dargli una minestra invece che dei soldi, perché li avrebbero spesi immediatamente nella bettola al piano di sotto. Così tra le altre viste di Cagliari ho voluto ritrarre la facciata dell’immobile della via Gianturco, che non é quasi cambiato. Altre mmagini rappresentano dei negozi ormai scomparsi oppure installati altrove come il famoso venditore di giocattoli ed altri treni elettrici M. Bolla, davanti al quale all’uscita della scuola media andavo quasi ogni giorno a contemplare le diverse meraviglie esposte in vetrina.
Elena 15
Ricordo che ogni anno o quasi acquistavo una statuetta per il presepio familiare, che preparavamo al momento di Natale con grande cura. Chissà perché quasi sempre era un cammello o un dromedario. Più tardi completai i pezzi del treno elettrico che avevo ricevuto in regalo per un Natale della mia infanzia e che maneggiai finalmente da solo all’età di dieci o undici anni. Mentre incidevo le lastre di «Strade della mia città» si é lentamente insinuata in me l’idea di realizzare una mostra di cui immaginai quasi immediatamente il titolo, ricordandomi che i Greci antichi avevano dieci vocaboli diversi per indicare i numerosi stati amorosi, l’idea di utilizzare le fotografie del gatto che mi accompagnò durante una decina d’anni, fu quasi immediata, nella volontà di non raffigurare le persone che avevo conosciuto e frequentato ma di utilizzare una metafora, anche se non me lo so spiegare completamente, come l’idea di imprimere il nome di tutte le donne che ho amato d’amore nella mia vita e con le quali ho vissuto un sentimento durante un periodo più o meno lungo, ma non per questo non intenso, indipendemente dalla durata. Un’altra idea mi ritornava spesso in mente e cioè constatare che almeno cinque di quelle che furono forse più da considerare come delle «fidanzate» nel senso un pò superato del termine,
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incominciarono a fabbricarmi un maglione, lavorando con i ferri e con la lana, invariabilmente, nei cinque casi in cui questo fenomeno si verificò, di colore rosso. Così l’idea di aggiungere alle immagini del gatto James, che metaforicamente impersonava l’oggetto ed il soggetto dell’amore, degli oggetti disparati che, in un qualche modo, si attaccano alla persona citata nella fotografia e la evocano in un certo qual modo. Sinceramente questo agire in modo pilota automatico é sempre stato il modo di creazione di tutto quello che ho potuto fabbricare fin da quando sono cosciente e se ho sempre disegnato da quando avevo forse neanche tre anni, non so perché ma é sicuramente una maniera di spiegare a me stesso le ragioni delle mie azioni che forse si potrebbero anche qualificare di artistiche e che io interpreto come una maniera di capire e di spiegare a me stesso quello che sto facendo e perché. Come il testo che sto scrivendo in questo momento e che mi aiuta a mettre un po d’ordine nella realizzazione di questa mostra ma anche in altre azioni che compio in questo momento, come l’edizione del mensile Palazzi A Venezia, risorto dopo un periodo di letargo, rotto da qualche pubblicazione sporadica, adesso
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ritornato ad una velocità di crociera mensile, che mi occupa e nello stesso tempo mi sollecita a trovare nuove informazioni, nuovi eventi ed anche vecchie situazioni di cui parlare. Nello stesso tempo anche Sardonia ha ripreso un ritmo mensile di pubblicazione e spesso alcuni articoli in italiano appaiono poi anche in francese o viceversa. Anche se ricevo degli incoraggiamenti e dei complimenti da alcuni dei miei amici che seguono con assiduità queste pubblicazioni diventate regolari, anche perché spesso e volentieri cito le loro performances, esposizioni, mostre e pubblicazioni o quelle dei loro amici e colleghi, mi capita di chiedermi perché faccia tutto questo, anche perché il periodo non è veramente cosi fasto e le poche risorse di cui dispongo sono appena sufficienti a mantenermi in buona salute ed al sicuro in un appartamento confortabile. Ma conosco la risposta, perché spesso mi rendo conto che quello che sto facendo, nessuno o quasi lo fa, allora é certamente il mio compito, visto che ho iniziato a farlo, allora continuo, senza contare che i filmati che realizzo all’occasione dei vernissages a Cagliari come a Parigi o in altri luoghi dove ho l’opportunità di poter essere presente, mi permettono
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di scoprire delle iniziative, di incontrare degli artisti spesso e volentieri estremamente interessanti ed anche di sviluppare dei rapporti di amicizia con alcuni di essi e non dei meno interessanti o meno importanti. Così mi compiacio di questa capacità di realizzare con cosi pochi mezzi, sia dei filmati che molti apprezzano, sia delle pubblicazioni, spesso online ma anche stampate, che mi soddisfano e mi spingono a cercare di migliorarne la forma, il contenuto, il sistema narrativo, il ritmo, etcetera. A volte, consultando qualche filmato realizzato qualche mese o qualche anno prima, confesso di sorprendermi nel rivedere delle immagini che avevo dimenticato e di complimetarmi per le astuzie che ho escogitato. Ma come si dice a Cagliari «chi no s’avvantar’issu malus biginus teniri», così spero che prima di giudicare queste mie parole avrete a cuore di andare a vedere qualche filmato o almeno leggere qualche testo che ho pubblicato. Per ritornare all’oggetto di questa mostra che al momento in cui scrivo queste parole é ancora in divenire, spero che avanzando nella sua concretizzazione riesca a capire ancora meglio che cosa abbia voluto fare e sopratutto quale è il mes-
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saggio che dovrei capire, che cosa significano queste storie amorose di cui sono stato partecipe e come influiscono sul mio comportamento ed anche se riescono a modificarlo, come se nel tempo avessi imparato qualcosa, oppure, come pavento, che fin dai primi momenti di emozione amorosa, non abbia mai imparato niente e continui sempre a fare le stesse cose nel bene e nel male. Spero che alla fine della mostra e confrontandomi con un pubblico che mi saprà certamente dare le sue chiavi di lettura, riuscirò ad imparare ed a comprendrere le ragioni profonde che mi hanno spinto a questo sforzo. Mentre lavoro alla preparazione di questa mostra che dovrebbe comportare cinquanta fotografie, ho avuto un’alttra idea. Quando nel 1982 arrivai a New York, invitato dalla bella italiana che un’amica mi aveva mandato incontro a Parigi, dicendogli «portagli dei bagels e potrai chiedergli la luna», dopo due o tre giorni, ospitato in un loft gigantesco a Down Town, situato appena tre blocchi a sud del Flat Iron Building, ben noto agli architetti ed altri amanti di curiosità urbane, non sò per quale ragione ma, come sempre, seguii il mio instinto ed acquistati legno, stoffa, cuscini ed altri chiodi e viti, mi misi a costruire un
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elefante di una grandezza quasi naturale, cioé alto due metri e qualche e lungo tre metri ed un po più. Mi ricordo che scattamo alcune fotografie con un bambino seduto in groppa all’elefante completamente bianco, in seguito non continuai quest’opera essendo rientrato a Parigi e non ritrovandola disponibile al mio ritorno, anche se ricordo che un’amica mi chiese se e quando avessi l’intenzione di terminare la sua realizzazione . Qualche anno dopo ho ripreso l’idea ed ho disegnato un mobile scrivania scaffale che riproduce un elefante, con le quattro zampe separate in scansie insieme ad una scrivania da un lato ed un bar dall’altro, la testa e la schiena realizzate in zinco piegato. Nel 1980, dopo essermi separato da mia moglie ed un periodo un pò complicato dove tra le altre cose, aprii un ristorante nel sud della Francia, andai a vivere in un bel appartamento al centro di Parigi, dove avevo sufficientemente spazio per ospitare qualche parente o amico. Nella mia famiglia a Cagliari, si sparse la voce che vivendo da solo facevo anche la cucina (dopo aver aperto un ristorante mi sembrava logico). Un’equipe di controllo fu presto organizzata e la sorella di mia madre,
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Annamaria, una delle mie cugine Gabriella ed una delle mie sorelle Maria Beatrice, furono quindi inviate a verificare queste dicerie. Durante il loro soggiorno ogni sera cenavamo nella stanza da pranzo dell’appartamento e spesso e volentieri la cena si prolungava con discussioni durante le quali evocavamo episodi del passato, oppure commentavamo le vicissitudini della giornata, il loro visitare la città ed i progetti sui quali lavoravo (a quell’epoca lavoravo come al solito in uno studio di architetti). Una sera raccontai a mia zia Annamaria che facevo spesso un sogno durante il quale mi trovavo su di una spiaggia ed una ragazza in bikini bianco mi abbandonava per salire su di un veliero poco lontano dalla riva, salutandomi in un modo forse un pò beffardo, ed io nel sogno ero molto scocciato e trovavo questo abbandono insopportabile. Al che mia zia mi rispose «ma quella sono io con il bikini bianco» e mi racconto che effettivamente capitò che un giorno che ci trovavamo sulla piaggia del Poetto insieme a mia madre, mio padre ed altri parenti, lei andò a fare un giro su di una barca a vela di amici ed io non volevo assolutamente lasciarla partire, ma naturalmente non potei inpedirle di lasciarmi solo e arrabbiato sulla riva.
Catherine 29
Mia zia si occupò di me fin dalla mia nascita facendo la babysitter per la sorella che a quell’epoca e fino alla nascita di mia sorella Iolanda, lavorava ancora alla Vacuum Oil Copany. Penso quindi che la prima persona di cui mi sia innamorato, fino a non voler dividerla con nessuno, sia stata la mia zia Annamaria e gli ho sempre voluto tanto bene. Ricordo anche, che in seconda elementare chiesi a mio padre di comprare un mazzo di fiori da offrire alla mia maestra, la signora Mura. Mio padre acconsentì e cosi andammo a casa dell’insegnante per offrirglielo. Ricordo che mio padre era molto imbarazzato ed anche la maestra manifestava lo stesso sentimento. Invece ero molto contento e quasi tronfante della mia azione. In seguito, e durante tutta la mia vita ho sempre amato offrire dei fiori Ricordo che all’epoca in cui vivevamo in via Firenze e frequentavamo l’ambiente che era molto circoscritto agli abitanti della zona che a quell’epoca era ancora isolata, una delle amiche delle mie cugine mi aveva preso in adorazione, cosa che penso mi lusingasse ma non avevo nessuna passione per lei, vivevo con soddisfazione questo suo interesse ma niente di più.
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Avendola persa di vista al momento del suo matrimonio quando dovevo avere dieci o undici anni, successe in seguito, penso una buona quarantina di anni dopo, che mia cugina Gabriella mi condusse nel negozio qu’ella gestiva in via Dante. Quando passamo la porta la sentii esclamare «Il mio idolo!». Ne fui estremamente lusingato come é abbastanza comprensibile ma in modo perfettamente egoista non ricambiavo questo suo entusiasmo, chissà perché. Ero invece attirato da una ragazzina all’incirca della mia età che viveva in una palazzina alla fine della via Firenze, all’angolo con quella che chiamavamo la salita del tiro a segno, odierna via Messina, che aveva i capelli rossi, le lentiggini sul volto e delle lunghe trecce. Mi ricordo che fui invitato ad una festa che si svolse nel giardino sottostante ma non penso che gli rivolsi la parola più a lungo di qualche convenevole. A quell’epoca ero attirato anche dall’aspetto fisico delle mie numerose zie ed all’occasione delle frequenti riunioni familiari avevo piacere ad abbraciarle ed a baciarle sul collo liscio e profumato. Mi trovavano molto affettuoso e sentivo che tra di loro parlavano di me in questi termini.
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Penso comunque di essere sempre stato un bambino abbastanza tranquillo, spesso immerso nella lettura e sicuramente traendone un’immagine un pò fantasiosa della vita e della realtà. Ricordo di una passeggiata al Poetto lungo il viale che a quell’epoca, verso l’Ospedale Marino, era ancora bordato di cespugli di oleandri, dovevamo essere in estate e penso già alloggiati nel casotto che mio padre aveva acquistato alla quinta fermata, in prima fila. Insieme a due o tre conoscienze della mia età, penso che dovessi avere dieci o undici anni, cammivamo lungo queste siepi, all’epoca il traffico automobilistico era veramente ridotto, sopratutto in quella zona, perché la strada provinciale si arrestava proprio dopo l’Ospedale. Mentre camminavamo intravvidi attraverso la siepe, una coppia seduta su una delle dune che a quell’epoca , sopratutto all’inizio dell’estate, erano la catteristica della spiaggia del Poetto. Un ragazzo ed una ragazza conversavano seduti sulla sabbia, lei aveva una lunga gonna variegata che era spiegata ed appoggiata al suolo. Mi misi a confesionare un mazzo con i fiori di oleandro di diversi colori e andai ad offriglielo. Lo accettò sorpresa e lusingata
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mentre il suo compagno mi guardava con una certa diffidenza chiedendosi chi fossi. Non penso che dissi molte parole, offerti i fiori ritornai dai miei compagni che erano molto sopresi di questo mio gesto e mi chiesero a lungo perchè l’avessi mai fatto. Molto contento di me, risposi solo «perché si!». Non ho mai abbandonato questa mia caratteristica che potrei qualificare di romantica, romanesca oppure molto cinematografica o letteraria. In seguito e mentre la famiglia si ingrandiva (nascemmo tutti e sei nel giro di otto anni) traslocammo nella villa Melis in viale Armando Diaz e naturalmente mia madre aveva molto da fare con tanti figli. Due delle sue cugine Cecilia e Gabriella, che abitavano non poco lontano, appunto nella zona della via Firenze, venivano ad aiutarla e si occupavano di impegnarci in delle attività. Ricordo il sabato pomeriggio, quando nella grande cucina del nostro appartamento preparavamo i tramezzini ed i mini sandwichs per la domenica, quando solitamente i miei genitori ricevevano regolarmente amici e parenti che venivano a trovarci. Era sempre una festa questa preparazione, ascoltavamo musica.
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Le mie cugine raccontavano barzellette, facevamo scherzi, inventavamo ricette inedite, insomma era meglio la sera del sabato che il pomeriggio della domenica dove gli ospiti spesso compassati e per niente divertenti, almeno ai nostri occhi di bambini, non ricreavano assolutamente l’atmosfera di complicità che avevamo conosciuto la vigilia. Le cugine si impiegavano anche a portarci a fare delle passeggiate nella campagna circostante. A quell’epoca non era stata ancora invasa dalle costruzioni di palazzine ed altri edifici pubblici. La collina dietro la villa, chiamata da noi Monticello, era piena di fiori e di alberi come mandorleti ed anche qualche ciliegio, che in primavera fiorivano in modo spettacolare. Naturalmente mi ero innamorato di Cecilia, che noi chiamavamo zia Cici, e quando andavamo a fare un giro a Monticello, mi arrampicavo sulla cima di un mandorleto e la chiamavo dicendogli «Acchiapami!» e mi buttavo giù. Naturalmente era un vero e proprio ricatto perché non avrebbe mai potuto lasciarmi cadere per terra e sicuramente ferirmi, difficile poi giustificarlo con mia madre. Così mi acchiappava al volo ed era cosi delizioso essere tra le sue braccia.
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Poi anche zia Cici si sposò ed andò a vivere ad Oristano ma io lavoravo già nell’ufficio di mio padre.. Infatti dopo essere stato bocciato per due anni di seguito all’Istituto Tecnico per Geometri, dove mio padre mi aveva iscritto, benché volessi piuttosto andare al Liceo Artistico, volendo diventare in seguito architetto, andai a lavorare nel suo ufficio sia per punizione ed anche perchè la sua attività aveva bisogno di personale. Così per un certo periodo rimasi fuori da ogni tipo di contatto sociale altro che quello con i miei familiari, anche se le sorelle di mia madre avevano a loro volta avuto sia sei che cinque figli, e ci riunivamo spesso, perché una di queste sorelle era appena ritornata a Cagliari dopo aver soggiornato con il marito, che era Capo Contabile dell’Amministrazione Penitenziaria, nell’isola di Procida, e si sentiva sicuramente un pò isolata ed aveva voglia di ritrovare i contatti che aveva perso durante la sua lontananza. Nel frattempo le mie sorelle, grazie alle loro amicizie contratte nelle scuole che frequentavano, mi fecero conoscere delle altre persone e così atterramo allo Stereo Club, in piazzetta Martiri d’Italia, un circolo giovanile creato per superare le disposizioni che regolavano il funzio-
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namento dei locali pubblici, e dove il sabato e la domenica pomeriggio andavamo a ballare. Così feci la conoscenza di alcune ragazze tra le quali Marcella che mi piaceva moltissimo, ma non al punto di voler iniziare una storia sentimentale con lei. Eppure la mattina mi alzavo molto presto ed andavo a cercarla a casa sua, abitava in Castello in un palazzo che si affacciava sulla via Fossario, e l’accompagnavo fino all’Istituto tenuto dalle suore che esiste ancora oggi all’angolo della Piazza Garibaldi. Nello stesso tempo nel palazzo dove mio padre aveva l’ufficio, una fanciulla della mia età, lavorava come apprendista parrucchiera nel salone installato qualche piano più in sù. Mi capitava spesso di accompagnarla fino a casa sua, non abitava lontano, Piazza del Carmine. Ma i nostri rapporti non si spingevano più lontano di qualche chiaccherata e penso che non avessi neanche l’ide di baciarla o altro. Nel frattempo mia sorella si era fidanzata con un ragazzo che aveva conosciuto a scuola, il quale aveva una sorella con la quale simpatizzai e che andavo a cercare all’uscita del Liceo dove studiava ed accompagnata da una sua compagna di scuola passeggiavamo fino a casa.
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Ripensandoci oggi penso che tra le due compagne di scuola ci fosse una piccola competizione di cui ero l’oggetto. Successe poi che una sera, durante una festa, mentre ballavo con la sorella del mio possibile futuro cognato, quest’ultima si dimostrò estremamente affettuosa nei mie confronti, situazione alla quale risposi facilmente e così incominciammo una relazione amorosa. Naturalmente dal giorno dopo constatai che la compagna di scuola che l’accompagnava sempre era misteriosamente sparita. Non posso dire che fossi veramente innamorato, penso che mi ero lasciato sedurre dal suo comportamento amoroso e nello stesso tempo mi comportavo in modo molto conformista assumendo a mia volta lo stesso comportamento nei suoi confronti. Relazione amorosa alla quale però misi un termine abbastanza presto perché mi rendevo conto appunto di non essere sinceramente affettivamente ingaggiato in quella relazione. A quell’epoca a Cagliari i divertimenti per noi che eravamo giovani erano nonostante tutto un pò limitati, anche perché le giovani donzelle non avevano l’autorizzazione di uscire la sera, quindi i diversi club che
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si erano creati sulla falsariga dello Stereo, permettevano al pomeriggio del sabato e della domenica di incontrarci tra ragazze e ragazzi ed ingaggiare delle relazioni più o meno basate sull’attrazione sessuale che sui sentimenti amorosi, anche se spesso li confondevamo allegramente. A quell’epoca incominciai una relazione di quel genere con una ragazza che mi piaceva sicuramente più di tante altre, ma che dopo poco più di un mese di frequentazione mi annunciò che aveva deciso di lasciarmi, gli chiesi esterrefatto le ragioni di questa rottura e mi rispose «Non mi ami, Non mi proibisci niente!». Ho dimenticato sia il nome che le sembianze della giovincella ma essendo nato in una famiglia con quattro sorelle e nella quale penso che fossero sicuramente gli elementi femminili preponderanti per qualità di ogni genere, ed anche per l’educazione ricevuta, le letture che praticavo e per indole personale, non mi sarebbe mai venuta neanche all’idea di dover esercitare un controllo su una persona di sesso femminile con la quale avessi intrattenuto una relazione. Non so fino a che punto si trattasse di strategia o semplicemente la riproduzione di un comportamento assunto come modello, ma ne fui particolarmente oltraggiato.
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Ma la vita continua e così uno dei miei cugini, fratello di Cecilia e Gabriella, mi prese a ben volere ed a propormi di accompagnarlo nelle sue frequentazioni sociali. Aveva dieci anni più di me ma andavamo d’accordo e così frequentavamo i diversi luoghi della dolce vita cagliaritana dell’epoca. Nel frattempo avevo fatto la conoscenza di una ragazza che aveva sei anni più di me che si invaghi di mio cugino. Durante una delle ultime volte che andai ad una festa con la sorella del fidanzato di mia sorella, con cui ero già in freddo e pronto alla rottura, feci la conoscenza di una ragazza che attirò subito la mia attenzione e con la quale passai quasi tutto il tempo della serata, ballando spesso e volentieri con lei, con grande cruccio della mia fidanzata in titolo che prese molto male la cosa. Questa festa si svolgeva al piano superiore della villa Melis, al disopra dell’appartamento che occupavamo e nel quale si era recentemente installata una famiglia che annovverava tra i suo rampolli una giovane donna della mia età, che chiamavamo Rita Pavone, a causa dei suoi capelli rossi. Seppi in seguito che quella che poi divenne la mia vera prima fidanzata aveva l’abitudine di venire a trovare
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la sua amica Rita Pavone, perchè avendomi visto un giorno che rientravo dall’ufficio con mio padre all’ora di pranzo, si era invaguita di me. Me lo raccontò lei stessa quando poi incominciamo la nostra relazione amorosa.. Mi ricordo che nel film «Cleopatra» con Liz Taylor e Richard Burton, che interpretavano rispettivamente Antonio e Cleopatra, quest’ultima quando lo ritrova dopo aver lasciato Cesare, gli racconta che adolescente era già innamorata di lui avendolo visto in Egitto, ed Antonio risponde che gli innamorati pretendono sempre di essere stati i primi ad esserlo rispetto al loro partner, rivendicando così un diritto di precedenza. La nostra storia durò un anno e poco più ed ero veramente felice. Purtroppo la madre non mi trovava a suo gusto, non abbastanza ricco e socialmente influente per la figliuola che faceva parte di una fratellanza di ben otto individui tra cui cinque maschi. Elena era l’ultima delle femmine e la madre impose un fidanzamento di sette anni alla più grande delle sorelle prima di consentire al suo matrimonio. Poi la situazione si modificò sia perché i tempi erano veramente cam-
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biati, sia perché la seconda delle sorelle, dopo quattro anni di fidanzamento, si stufò e se ne scappò con un altro ragazzo con il quale si sposò immediatamente. Comunque la nostra relazione ebbe fine e fui lasciato dalla donzella che nel frattempo aveva incontrato un altro pretendente sicuramente più ben accetto dalla madre che forse aveva reso le armi, ma sicuramente più a suo gusto. Ne soffrii certamente e per la prima volta provai quel terribile sentimento di perdita e di abbandono, che sicuramente atavico ed ancestrale risulta comunque completamente anacronistico per la semplice ragione che esser abbandonato da colui che si ama e si pretende essere amati non ci vota certo a morte certa e dal neolitico ad oggi le condizioni di sopravvivenza del genere umano sono cambiate sufficientemente perché la fine di un rapporto amoroso non significhi necessariamente un terribile destino personale. Ma tant’è che si soffre ancora oggi e soffrii per un certo tempo. Nello stesso momento avevo incominciato e seguire dei corsi di disegno pubblicitario organizzati dal Liceo Artistico durante i quali imparai tra le altre tecniche quella della linoleografia che mi piacque subito anche per la sua facilità di
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impressione a mano senza bisogno di disporre di un torchio (avendo solleccitato presso dei professionisti dell’incisione la possibilità di far stampare alcune delle mie opere mi fù praticamente riso in faccia) e nello stesso tempo, anche se avevo già dalla mia infanzia una pratica continua del disegno, un’insperato modo di esprimere alcune delle mie preoccupazioni, angoscie, risentimenti o paure. Ma questo lo capii tempo dopo, forse anche più di quaranta cinque anni dopo, quando ritrovando le lastre prodotte negli anni ‘68 e ‘69, capìì che la prima incisione che avevo realizzato, un castello fortezza, sotto un cielo minaccioso, chiuso ed inespugnabile su di un roccione impervio, in effetti mi rappresentava perfettamente, descriveva quelli che erano i miei sentimenti in quel momento durante il quale avendo anche lasciato l’ufficio di mio padre per preparare l’esame come privatista d’integrazione al quarto anno del liceo artistico, sopportavo anche la sua ostilità ed il suo corruccio. Queste linoleografie, che potei vendere ai clienti di mio padre, avvocati e notati per lo più, mi permisero di finanziare un viaggio a Parigi, continuando le mie avventure all’estero incominciate con un viaggio a Nuremberg in Germania, al Natale e
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Capodanno del 1968, viaggio particolarmente complicato sopratutto al ritorno ma che si concluse fortunatamente senza danni. Qualche anno dopo, di ritorno a Cagliari da Parigi per recuperare alcuni effetti personali, mentre giravo per la città incontrai la mia ex fidanzata che salutai ed alla quale chiesi cortesemente delle notizie, mi rispose che stava preparando il matrimonio e la complimentai augurandogli ogni bene, gli chiesi poi come andava all’Università e mi rispose «Non ci vado più, il mio fidanzato mi hai detto «sei una donna che cosa ci fai ?» Così questa frase mise veramente un termine ad un avventura amorosa che non rimpiango e di cui ricordo tanti momenti felici ed anche l’episodio del pullover rosso. Pullover che aveva incominciato a lavorare a maglia ma che non terminò mai, come d’altra parte successe diverse altre volte. Lo considero un pò come un segno, quello che i greci chiamavano «eunoia» un modo di prendere cura dell’essere amato. Nel frattempo, durante il mio soggiorno parigino e proprio quell’anno, siamo nel 1970, avevo incominciato una relazione con una ragazza francese, con la quale insieme ad un’altra coppia intraprendemmo un viaggio al centro della Francia, a
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bordo di tre Solex (bicicletta a motore) e di una piccola moto Honda, percorrendo duemila quattrocento kilometri in 28 giorni. Al mio ritorno e considerando che questa prova del viaggio era sufficiente per giustificare una convivenza continua ed un matrimonio, senza contare che nel frattempo la giovincella era rimasta incinta delle mie attenzioni, decidemmo di sposarci e lo fummo prima alla Mairie del VIImo arrondissement, poi alla chiesa de Saint Germain des Près, non lontano dal suo domicilio. La convivenza si rivelò dopo qualche anno non corrispondere esattamente né a quello che non solo avevo immaginato, né ai rapporti ai quali ero abituato nella mia famiglia, dove nonostante la severità di mio padre una certa armonia a sempre prevalso. Mia moglie si è rivelata estremamente gelosa e senza nessuna ragione e sopratutto ostile alla maggior parte delle mie manifestazioni. Non amava che portassi un cappello, cosa che facevo sempre, così per fargli piacere ed essergli gradevole, mi lasciai convincere, liberandomi della mia collezione che contava una quarantina di capi A quell’epoca lavoravo in diversi studi e fui invitato a partecipare ad un concorso molto importante.
Catherine 59
Il marito di una delle mie colleghe di lavoro in uno studio di architetti, che avevo poi lasciato, notando la mia abilità nel disegno e quanto gli sarebbe stata utile, mi propose di partecipare a quello che fu l’ultimo grande concorso d’architettura e d’urbanistica che ebbe luogo in Francia, prima dell’aumento dei prezzi del petrolio che mise fine a all’epoca che i francesi chiamano «Les Trente glorieuses». Non avevamo orari regolari, anzi lavoravamo fino a tarda notte il sabato e la domenica comprese ma ero molto soddisfatto del mio compito che era inoltre molto apprezzato dai miei colleghi. Dopo otto anni di vita comune mia moglie incominciò a assillarmi con l’idea che quando l’avevo conosciuta lei faceva del teatro (attività che aveva effettivamente praticato ma abbandonato molto prima che ci conoscessimo) e che con il matrimonio e la nascita di nostra figlia gli avevo impedito de continuare in questa sua vocazione dove sicuramente avrebbe avuto successo. Gli proposi di prendere un anno sabbatico (lavorava fino ad allora in uno studio fotografico che aveva chiuso i battenti) e di cercare di ritornare a lavorare in teatro, nel frattempo potevo benissimo occuparmi di nostra figlia, con l’aiuto della donna di ser-
Patrizia 61
vizio che andava a cercarla all’uscita della scuola nel pomeriggio, mentre mi ero iscritto all’Università Paris VIII per un Master in Urbanistica. Ma naturalmente queste velleità non si tradussero in niente di concreto, e nello stesso tempo decise di cessare di avere ogni tipo di rapporto sessuale con me, per cui dormivo nel letto dello studio. Nel frattempo avevamo traslocato in un appartamento molto più grande dove avevo dedicato una delle stanze a studio e biblioteca e dove avevo installato un tavolo da disegno ed altri strumenti del mio lavoro. Devo anche parlare del fatto che si ingegnò a farmi bisticciare con tutti i pochi amici che avevo e sopratutto a rifiutarsi di lasciarmi organizzare delle celebrazioni per qualsiasi occasione fosse anche per capodanno o altre festività comme la ricorrenza del mio compleanno, di cui si è sempre dimenticata la data. Non sopportando più una situazione diventata insopportabile decisi di lasciarla, ma non volevo divorziare da mia figlia, così mi ingegnai in ogni modo per averla con me il più spesso possibile come i week end e le vacanze scolastiche, compatibilmente con il mio impiego, che come al solito mi teneva impegnato la notte ed i week end molto spesso, per non dire quasi tutto il tempo.
Géneviéve
A quell’epoca lavoravo in un grande studio di architetti rue de Seine, e grazie ai consigli di Madame Rose dell’ «Acquarelle» bistrot dove avevamo l’abitudine di pranzare, ebbi la fortuna di trovare un alloggio rue Mazarine, sistemazione molto comoda. Il terzo lato del triangolo era costituito dal caffé «La Palette», dove operavano Charlie et Jean François, i due più straordinari «garçons de café» che abbia mai visto. Jean François si occupava della sala e della terrazza all’esterno, sempre affollattisima anche d’inverno, grazie alla sua prossimità con l’Ecole des Beaux Arts, una strada più lontano. Non ho mai visto Jean François notare gli ordini, faceva tutto di testa, e quando chiedevi il conto, sapeva esattamente che cosa avessi consumato, anche se avevi passato quattro ore a bere birre ed altri cocktails. Un fenomeno, che per di più aveva le sue antipatie, tra cui per esempio il noto disegnatore Topor che mandava regolarmente in bestia semplicemente modulando il tono della sua voce. Topor partiva gridando che non l’avremo mai più visto, poi tre o quattro giorni dopo, ritornava a sedersi ad un tavolino all’esterno e la commedia ricominciava.
Corinne 63
Per fortuna ero nelle buone grazie di Jean François che fungeva spesso da tramite con alcune mie relazioni. Comunque questa separazione fu per me il sentimento di un vero scacco e per mesi e mesi vissi con dei sentimenti suicidiari che per fortuna il lavoro attenuava permettendomi di rimanere attaccato ad una certa realtà, perché progettavo dei concorsi veramente importanti, come quello per il Museo delle Scienze e delle Tecniche de la Villette a Parigi, per il rinnovo della Corderie di Rochefort, o per il completamento della Tete Defense, il quartiere d’affari all’ovest di Parigi ed anche delle realizzazioni di uffici a Saint Quentin o di appartamenti a Fontenay sous bois, dove il cantiere si realizzava nello stesso tempo del progetto e non facevo in tempo a disegnare un elemento costruttivo come una scala o una recinzione che erano immediatamente realizzati. Stranamente questo mio stato attirava le attenzioni di molte persone di sesso femminile intorno a me. Ma dimentico di parlare della parentis creata dalla mia visita a Najac, un villaggio dell’Aveyron, dove mio fratello si era installato. Quando lasciai il domicilio coniugale, lo andai a trovare per cambiare d’aria ed anche perché non avevo nessun’altra alternativa.
Nicole 65
Così scoprii Najac, che mi piacque talmente che, durante l’estate del 1978, immaginai di aprirvi un ristorante, una palazzina nel villaggio era stata messa in vendita ed alla fine dell’estae andammo a trovare il notaio che ci disse che l’aveva appena venduta e che si era dimenticato di togliere l’annuncio. Qui la mia testardaggine d’ariete mi spinse ad andare a proporre all’acquirente di affittarci il locale per aprirci un ristorante, visto che la località, d’estate, attirava non solo dei turisti olandesi in un villaggio di vacance della SNCF, ma era dotato anche di un camping quattro stelle e non lontano un VVF, villaggio di vacanze di un’altra società, avrebbe fornito una clientela non indifferente, l’idea era quella di aprire il ristorante da giugno a settembre. Ma il proprietario non credeva nel successo di una tale impresa e per finire riuscii a convincerlo così bene che alla fine fu lui a crearlo, quarant’anni dopo esiste ancora, quindi la mia idea non era così stupida. Durante il mio soggiorno a Najac, dove con mio fratello avevamo un certo successo presso le persone di sesso femminile, feci la conoscenza di una ragazza, originaria di Lione, che continuai a frequentare per qualche tempo anche quando ritornai a Parigi alla fine dell’estate e che mi
Chantal 67
fece conoscere le delizie della sua città. Nel frattempo un’amico architetto con il quale partecipai anche a qualche concorso d’architettura, organizzò una mostra dei suoi acquerelli a Marsiglia e fui invitato al vernissage al quale non dovevo assolutamente mancare. Così galeotto fu l’acquarello perché feci la conoscenza di una signora, un po più grande di me in età, con la quale iniziai una relazione amorosa, recandomi tutti i venerdì a Marsiglia con il treno a cuccette e ritornando a Parigi la domenica sera e spesso il lunedì pomeriggio. Durante questa relazione, dove ogni sabato domenica regalavo gli amici della mia dulcinea delle mie attitudini culinarie, appresi che un ristorante era in vendita ad una trentina di chilometri da Aix en Provence e quando lo visitai mi piacque a tal punto che decisi di prendere un congedo sabbatico di quattro mesi e di lanciarmi in questa avventura. Devo riconoscere che tutti i miei amici, sia parigini che marsigliesi vennero a cenare o a pranzare in questo ristorante che fu un‘espe rienza sopratutto di vita, avevo 32 anni ed ebbi modo, visto che la relazione con la mia dulcinea prese fine all’inizio dell’estate,passaggio, di fare diverse conoscenze locali.
Martine 69
Lasciai mio fratello nel palazzetto rinascimentale che ospitava il ristorante e che fu nel tempo la sede della municipalità del villaggio, ma Giovanni preferì abbandonarlo per lanciarsi in altre altre avventure, lasciandomi purtroppo qualche conto da pagare, mentre io ritornavo alla mia «planche à dessin» con grande gioia perché il mestiere di cuoco é estremamente faticoso, ma non ho nessun rimpianto, é stata una bella avventura ed ho anche stretto qualche amicizia che ha durato tanti anni. Tra le altre situazioni verificatesi, diverse conoscenze femminili parigine vennero anche a passare qualche giorno di vacanza essendo mie ospiti e intrattenendo anche delle relazioni sessuali ed amorose. Che spesso si prolungarono al mio ritorno a Parigi dove ripresi la routine abitudinaria tra charrette continue sui progetti di architettura e festività diverse sia pubbliche che private. Era un’epoca festiva, lo stabilimento di bagni pubblici «Les Bains Douches», appena trasformato in nightclub aveva aperto le sue porte ed un teatro famoso si era anche lui trasformato in un luogo di divertimento che divenne immediatamente inconturnabile, parlo di «Le Palace», naturallemente.
Hélène 71
Una giovane paesaggista, appena assunta nello studio dove lavoravo, mi passò un foglietto invitandomi a ritrovarla al caffé «La Palette» all’uscita dal lavoro, e cosi iniziai una relazione amorosa e sessuale con lei, grazie alla mia «chambre de bonne» situata a due passi, rue Mazarine. Nel frattempo all’occasione di una delle numerose feste organizzate da uno dei miei colleghi alle quali partecipavano molti degli architetti con i quali lavoravamo, feci la conoscenza della moglie di uno di essi, avendo approfittato della loro vettura per farmi ricondurre al mio domicilio, al momento di accomiatarmi la sentii esprimere il desiderio di accompagnarmi. Sorpreso, accettai comunque di condurla nella mia piccola tana e così iniziamo una relazione assai intensa. Scoprii in seguito che il marito e collega, aveva sistematicamente evitato che ci incontrassimo prima di allora, perché aveva indovinato che il nostro incontro sarebbe stato fatale come infatti si verificò. Cosi come potete immaginare la mia vita sentimentale era estremamente varia ed intrattenevo diverse relazioni con delle ragazze più o meno della mia età ma anche con qualche signora un pò più anziana che mi aveva trovato a suo gusto.
Gabrielle 73
Nonostante tutto risentivo ancora degli effetti della mia rottura con la mia ex moglie e consideravo la fine della nostra relazione come un vero insuccesso e non mi sentivo in grado di incominciare una relazione più impegnativa. Anche se decisi di troncare tutte le relazioni disparate che intrattenevo e di consacrarmi alla paesaggista. Così con loro grande dispiacere, annunciai alle relazioni che intrattenevo che ero innamorato e che quindi non avrei potuto continuare più a lungo una relazione sentimentale con loro. Ma fu un errore perché molto in fretta questa relazione prese fine. La ragione fu che la dulcinea non trovò di meglio che di far l’amore con il mio migliore amico, cosa di cui mi accorsi immnediatamente a causa della loro stessa imprudenza. Ma il lavoro mi impegnava e nel frattempo trovai ad affittare un grande appartamento di cui conobbi la disponibilità una domenica sera durante una delle cene che organizzavo sistematicammente presso il domicilio del mio amico architetto, la mia chambre de bonne non mi permetteva certo di ricevere più di una persona alla volta ed anche per un obiettivo preciso e limitato. Così il lunedì mattina stessa alla prima ora mi precipitai all’indirizzo in-
Patricia 75
dicato e senza neanche visitare l’appartamento annunciai che l’avrei assolutamente preso in affitto. Alcune delle mie conoscenze, che erano venute a trovarmi al ristorante durante l’estate precedente, cercavano anch’esse un appartamento e così ci installammo a tre al quinto piano al centro di Parigi, in un luogo dove abitai per quattordici lunghi anni. Tra tutte le relazioni che avevo intrapreso fino ad allora continuavo comunque a frequentare la moglie del mio collega, anche perché tra di noi c’era un accordo sessuale particolarmente soddisfacente, nel frattempo si era separata dal marito. Purtroppo fui licenziato a causa di una compressione di personale dello studio di architetti e naturalmente, nella mia qualità di straniero, ero assolutamente in prima linea per essere tra i designati. Continuai comunque a lavorare in altri studi per dei periodi più o meno lunghi ed a frequentare alcune relazioni che avevo intrappreso nel frattempo o che avevo ritrovato dopo esserci persi di vista per un pò. Durante una delle numerose feste che i miei ex colleghi organizzavano feci la conoscenza di una giovane donna, architetto da poco assunta nello studio dove lavoravo prima, che aveva sentito parlare di me e che si interessò alla mia persona.
MariLoli 77
Naturalmente finimmo la sera stessa per conoscerci meglio ed iniziare così una relazione amorosa malgrado l’avessi tenuta al corrente di quelle che già intrattenevo tra cui una molto più assidua delle altre. Così per un certo periodo mi barcamenai tra due storie parallele che assumevo semplicemente. Un’amica, artista ed ex amante, era partita a New York dove stava organizzando un’esposizione delle sue produzioni. La proprietaria della gallery dove avrebbe avuto luogo la manifestazione stava programmando un viaggio a Parigi con un’amica francese e gli fu suggerito di portarmi dei bagels. Così mi telefonò per concordare un appuntamento e ci ritrovamo a mezzanotte al bar «Le Select», a Montparnasse, dove la sua amica ed una relazione parigina si erano dati appuntamento e ci incontrammo in uno dei miei bar preferiti. In seguito andammo a cenare in un ristorante de Les Halles aperto tutta la notte, ma avendo già cenato in precedenza, proposi di terminare la serata al famoso nightclub «Les Bains Douches», dove avevo una bottiglia di J&B a mio nome. Così iniziò la mia relazione amorosa con la bella italiana, che abitava New York, e con la quale terminai la
Joelle 79
notte, utilizzando un altro appartamento di cui avevo le chiavi, il mio essendo occupato da una delle mie fidanzate del momento. Questa ragazza doveva andare in Italia per qualche giorno poi ritornare a Parigi, seguendo il mio istinto le proposi di venire a passare una settimana a casa mia al suo ritorno. Accettò verbalmente ma in effetti ritornò direttamente a New York senza che la ospitassi. Ricevetti nel frattempo l’invito al vernissage dell’artista che esponeva nel suo loft con la dicitura «presenza indispensabile» in ricordo di una precedente mostra a Lione e, dopo aver passato una settima al consolato d’Italia per ottenere un passaporto, riusci anche ad avere un visa e potei così partire per New York, non senza aver chiesto alla mia amica artista se fosse veramente sicura che una permanenza di quindici giorni in casa della bella italiana non fossero un pò problematici. Mi assicurò che non mi dovevo preoccupare di niente, e cosi fui accoltò all’aereoporto dalla mia ospite che passando in vettura davanti a City Hall mi indicò che i matrimoni si svolgevano in quell’edificio. La sera stessa ebbe luogo il vernissage che fu un grande successo e dopo una cena in un tipico diner, mi ritrovai solo con la mia ospite.
Leslie 81
L’indomani mattina al mio risveglio ebbi la sensazione che qualche cosa di definitivo fosse accaduto e ne tremavo letteralemente dalla testa ai piedi. Così prendendo il nostro caffè del mattino gli dichiarai che ero assolutamente innamorato di lei ed appresi che anche lei lo era di me. Non so perchè due o tre giorni dopo, gli chiesi se mi poteva condurre in un luogo dove avrei potuto acquistare legno, spago, chiodi, stoffa, cuscini, etcetera, ed abbastanza perplessa e nello stesso tempo curiosa mi assecondò, così al ritorno, nel loft che era la sua dimora ed il suo spazio di vendita, commerciava in «antique linens» cioé lenzuola e tovaglie d’epoca, mi accinsi a costruire un elefante in grandezza naturale. Scattammo anche qualche fotografia con il figlio di una delle sue conoscenze, un bambino di tre-quattro anni, seduto trionfalmente sulla groppa dell’elefante tutto bianco e decorato con dei nastri dorati. La sua socia abitava nel Vermont e apprendendo la mia prossima partenza mi chiese di ritardarla perchè voleva invitarmi nel suo chalet per conoscermi. Mi recai così in un’agenzia della TWA per far modificare la data del mio ritorno, ma mi fu risposto che ogni cambiamento era impossibile.
Marie Jeanne 83
Ma non mi persi d’animo ed andai nel building della sede sociale della compagnia aerea, dove potei sperimentare l’altezza delle moquettes secondo la gerachia degli uffici ai quali si accedeva. Per farla breve riuscii a convincere un alto dirigente che era indispensabile che posticipassi il mio rientro. Mi spiegò che una cosa simile che non era mai accaduta e che comunque, convinto dalla mia insistenza, acconsentiva a spostare la data del biglietto, lasciandomi fino al suo numero di telefono personale nel caso avessi avuto qualche problema in aereoporto, cosa di cui non ebbi bisogno. Andammo così nel Vermont dove la socia del mio nuovo amore, era fidanzata con un ragazzo che aveva un laboratorio dove fabbricava bicchieri e vasi di vetro e dove assistei appunto alla fabbricazione di alcuni di essi. La sera, durante la cena nel suo splendido chalet tutto di legno, gli chiesi, sorprendendomi non solo per la mia audacia ma anche dall’ide stessa, se mi avesse lasciato provare l’indomani mattina a fabbricare un bicchiere, naturalmente le due ragazze rimasero sorprese e chiaramente allibbite, ma lui acconsentì e così l’indomani alla prima ora lo ritrovai nel suo atelier.
Grazyna 85
Mentre accendeva il forno e preparava la pipa con la quale avrei dovuto raccogliere una quantità di vetro fuso e creare un vuoto al suo interno con il fiato, mi chiese se volessi che lo facesse per me. Gli risposi che preferivo realizzare interamente da solo l’operazione e così feci, raccolsi una piccola palla di vetro fuso ed incandescente e soffiai nella lunga canna di metallo, facendo piano piano ingrandire la quantità di vetro, poi come avevo visto fare, con le tenaglie la staccai dalla pipa per capovolgerla e installato sulla sedia specialmente concepita per poter maneggiare la lunga canna con i due braccioli in metallo, iniziai con le tenaglie a dare una vaga forma di bicchiere al vetro che ogni tanto dovevo rimettere al forno per conservarne la fluidità Finalmente riusci a creare una specie di tazza biscornuta, che il mio ospite distacco dalla pipa e che mise in un altro forno dove sarebbe stata temperata. Al ritorno ed al momento del pranzo mi disse «Solitamente i miei apprendisti ci mettono sei mesi o giù di li ad imparare a creare il vuoto con il fiato e tu la prima volta che lo fai ci sei riuscito, incredibile». Credo semplicemente che in quel momento mi trovavo in uno stato amoroso durante il quale penso
Laurence 87
che qualsiasi cosa avessi intrapreso, l’avrei riuscita forse un pò magicamente ma naturalmente. Incominciai così la spola tra Parigi e New York con l’intenzione a termine di stabilirmici insieme alla mia bella. Nel frattempo, durante uno dei mie soggiorni, il secondo sicuramente, ebbi l’idea di realizzare una bandiera,. la bandiera del mio amore, utilizzando una striscia di tessuto di seta ed un barattolo di pittura per tessuti rosso. Gliela offri e ne fu molto lusingata, e quando anni dopo, la nostra relazione prese fine, rifiutò assolutamente di restituirmela. Per Natale invitai mia figlia a venire a trovarci e la vigilia, utilizzando della carta dorata per pacchi, ebbe la deliziosa idea di travestirci in regali di Natale. Mia figlia adottò immediatamente la mia conquista e si mise ad imparare l’italiano, cosa che fino ad allora, malgrado le nostre vacanze in Sardegna, non l’aveva mai tentata. Durante quel periodo mi iscrissi al concorso per la realizzazione del teatro dell’Opera, piazza della Bastille, ed incominciai a lavorarci durante uno dei miei soggiorni a New York dove nel frattempo avevo recuperato un bellissimo tavolo da disegno per architetti.
Chantal 89
Consegnai il concorso insieme al mio inseparabile amico Pierre Andrè, architetto nel cui studio lavorammo con altri colleghi che ci aiutarono a terminare il lavoro richiesto, ma non fummo neanche citati ed appena esposti. Finalmente, dopo aver liquidato qualche affare personale, partii per New York con una cantina metallica dove avevo intassato qualche affare personale per affrontare un lungo soggiorno. Avevo acquistato la copia di una statuetta egiziana alla boutique del Louvre con l’intenzione di offrirgliela per Natale ma al mio arrivo, la dogana statunintense mi fece aprire la cantina ed estrarne tutto il contenuto ma anche la confezione che avevo così amorevolmente preparato. Inizio così il mio soggiorno NewYorkese dove cercai di integrare uno studio di architettura senza alcun successo. Risposi ad esattamente 177 (cento settanta sette) annunci e mi presentai ad almeno un centinaio, se non di più, colloqui di ingaggio, ricevendo sistematicamente ed invariabilmente qualche giorno dopo una lettera nella quale si esprimava il rammarico di constatare che non corrispondevo al profilo ricercato ma che mi si augurava buona fortuna per la mia ricerca.
Anne Isabelle 91
Una delle difficoltà era naturalmente rappresentata dal fatto che disponevo solo di un visa turistico anche se a tempo indeterminato. L’altra era costituita dal fatto che, come lo appresi in seguito da qualche architetto newyorkese in transferta a Parigi, che le agenzie di architettura avevano l’abitudine di assumere personale a patto che avesse compiuto gli studi nella stessa scuola dove loro stessi avevano conseguito il diploma. Nel frattempo mi misi anche a rispondere a degli annunci di ristoranti che cercavano cuochi o aiuti cuoco ma senza nessun risultato positivo a causa sempre dell’assenza di un visa di lavoro. Nel frattempo appresi, grazie sempre al mio amico Jean André, che avrei potuto regolarizzare la mia situazione professionale utilizzando l’articolo 10.2 della legge sull’Architettura promulgata nel 1977. Rientrai così a Parigi nel novembre del 1984 e preparai un dossier, riunendo tutti i disegni dei progetti ai quali avevo lavorato, insieme anche alle fotografie di quelli che erano stati realizzati, passando poi davanti ad una commissione ministeriale che mi permise di veder finalmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato, la riconoscenza del mio titolo di architetto.
Sonia 93
Nello stesso momento e volendo offrire un regalo per Natale alla mia bella, non so come e non so perchè come al solito, ebbi l’idea di offrirgli qualcosa che invece di essere acquistato in un negozio sarebbe stato il risultato della mia creatività. Immaginai di offrirgli un Palazzo, e subito pensai a Venezia, dove avevo frequentato nel 1977/1978 l’IUAV. Un Palazzo A Venezia per il mio Amore, fu il titolo che immaginai e dato che un Palazzo è pesante ed incombrante e diffcile da gestire, immaginai di farne un libro, anche perché questo palazzo esisteva solamente nella mia fantasia. Mi ricordo che un altro amico grafista, al quale chiesi molti consigli per la realizzazione del libro, considerava il mio progetto completamente folle, anche perchè al mio ritorno mi trovavo senza lavoro, con diverse fatture da pagare tra cui l’affitto dell’appartamento, ed in difficoltà per ritrovare una situazione equivalente a quella che avevo lasciato anche perchè la mia assenza mi avevo un pò escluso da quello che era il mio precedente ambiente di lavoro. Ma non desistei dal mio intento e cosi disegnai completamente le piante, le facciate, le sezioni di un palazzo immaginario a Venezia, ispirandomi tra le altre referenze alla Ca’ Dario e naturalmente al Palazzo
dei Dogi, di cui avevo sempre ammirato la facciata simile ad un tappeto eppure sostenuta da una miriade di colonne. Purtroppo la mia bella non trovò posto sugli aerei per venirmi a trovare e, dopo il capodanno, mi annunciò che non sarebbe venuta affatto e che la nostra storia era finita. Fu un terribile momento per me, e già il mio ritorno e la situazione nella quale mi trovavo mi avevano particolarmente depresso. Fu solo qualche mese dopo, avendo regolarizzato la mia iscrizione all’ordine degli architetti, che uno studio presso il quale avevo avuto l’occasione di lavorare frequentemente, disegnando dei progetti per dei concorsi che furono ogni volta premiati e realizzati, mi chiamò per progettare un padiglione di esposizioni, dopo aver proposto ben cinque soluzioni al committente, soluzioni che erano state tutte rifiutate. Il progetto doveva essere costruito nella zona de La Defense, quartiere d’affari all’ovest di Parigi, ma al dilà di quello che ne costituiva ormai il limite cioè il grande cubo dell’architetto Sprekelsen, che qualche anno prima aveva vinto il concorso per coronare finalmente la lunga prospettiva che dal giardino delle Tuileries si proietta attraverso gli Champs Elysées verso ovest. 95
Mi ricordo che il giorno in cui incominciai, un lunedì, dopo aver ricevuto tutte le indicazioni necessarie la settimana prima, fui installato in un angolo del piano superiore dell’hotel particulier che ospitava l’agenzia, dove lavoravano un centinaio di architetti, praticamente davanti alla porta delle toilettes. Mi misi subito al lavoro ed alla fine della giornata sei o sette dei capigruppi che gestivano le diverse equipes si presentarono davanti al mio tavolo, l’aria sorniona e già pronta allo scherno, chiedendomi «Allora ?». Non solo avevo disegnato completamente il progetto ma ne avevo fatto anche una piccola maquette, un minuscolo plastico in cartone. «E molto semplice, risposi, si tratta di una sfera vuota di 60 metri di diametro che costituisce la hall di esposizione, inserita in un quadrato di cento venti metri di lato che riunisce su tre piani le superfici richieste comprendenti gli spazi di esposizione per gli stands ed i servizi annessi insieme agli uffici ed altri locali di servizio. In più considero che trovandomi aldilà del cubo di Sprekelsen che termina l’asse della prospettiva storica, non sono obbligato ad allinearmi con esso e mi considero quindi come il mio proprio centro.»
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Non dimentichero mai il verdastro che colorò i loro visi attoniti e stupefatti, rimasero senza parole e si dileguarono in silenzio. Non vennero più a chiedermi come il lavoro progredisse, in seguito lo migliorai considerevolmente e la maquette che il maquettista esterno all’agenzia realizzò, ne dimostrò tutta la magnificenza. Con Alain diventammo i migliori amici della terra, cosa che in seguito si rivelò veramente cruciale per me. Come avevo imparato a realizzare un libro per il palazzo feci lo stesso per il progetto dell’Informart e realizzai un documento che fu consegnato al committente, ma neanche questo progetto comunque trovò grazia ai suoi occhi, mi resi conto che la sua condizione di rampollo di una dinastia di costruttori, nella quale il padre aveva avuto l’audacia e l’intelligenza di creare un vero impero, il figlio purtroppo si trovava nell’incapacità di prendere una decisione, a tel punto che dichiarò che avrebbe posto il quesito ad un computer, che in effetti ed in seguito produsse una figura completamente stupida che il committente ci chiese comunque di adottare per dargli una forma architettonicamente valida. In seguito il progetto non fu mai realizzato per una serie di ragioni sia finanziarie che politiche.
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Nel frattempo però era stato invitato a partecipare alla consultazione che la Biennale di Venezia aveva lanciato nel 1985, proponendo agli architetti un esercizio su dieci zone urbane del Veneto, di cui tre a Venezia. Si trattava di completare il famoso Ca’ Venier dei Leoni, palazzo incompiuto che accoglie la Fondazione Guggenheim, il Mercato del Rialto, ed il ponte dell’Accademia, sul Canal Grande, ponte provvisorio in legno che rimpiazza l’originale in ferro distrutto da una nave negli anni venti. La maggior parte degli architetti dedicandosi alla Fondazione Guggenheim, scelsi naturalmente il Ponte, anche perchè esisteva lo spazio ideale per installarvi il mio Palazzo A Venezia. Così impacchettai il libro in un foulard di seta, poi in uno scialle di lana, legato con una corda dorata e lo spedii a New York, mentre facevo realizzare un plastico del palazzo, sostituendo il ponte provvisorio dell’Accademia, con una replica in scala del Brooklin Bridge. Certo la mia dulcinea mi ringrazio epistolarmente dell’invio ma fui privato del piacere di vederla scoprire le pagine del libro, dove avevo colorato le piante sottolineandole con delle decorazioni dorate e coronandolo con la mia bandiera.
Karin 101
Il plastico non fu realizzato a tempo per essere presentato alla Biennale prima della data stabilita, ma mi recai a Venezia per consegnare un esemplare del libro di cui ne avevo realizzato sei che spedii ad alcuni amici. Queso esercizio, che all’inizio era nato con la volontà di creare un oggetto d’affezione, diventò in seguito una vera ossessione creativa. Incominciai così a disegnare un alfabeto maiuscolo, combinando le piante del palazzo con il metodo di disegno delle lettere descritto da Albert Durer, che il mio amico grafista, sempre scettico e nonostante tutto incredulo del risultato che arrivai a condurre a termine, mi aveva gentilmente prestato. Psicologicamente ero assolutamente depresso e nonostante o forse a causa di questo mio stato, ero particolarmente solleccitato da diverse ragazze di cui potevo fare la conoscenza sia professionalmente che attraverso la partecipazione ad un seminario al quale mi ero iscritto sperando di poter uscire da una situazione che psicologicamente mi insopportava. Così feci la conoscenza di una decoratrice che mi dimostrò subito il più grande interesse e nonostante gli dichiarassi che ero sentimentalmente e infelicemente impegnato, riusci a creare una relazione sentimentale tra
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di noi, situazione che accolsi come un possibile rimedio al mio mal d’amore. Continuando poi nella vena creativa generata dal palazzo e ispirandomi alla realizzazione di undici servizi da thé che la società Alessi aveva commissionata ad altrettanti architetti, disegnai un servizio da thé costituito da una frammentazione del palazzo stesso in teiera, caffettiera, bricco per il latte, zuccheriera e recipiente per la confittura, il tutto riunito su di un vassoio di cui una parte in argento simboleggiava l’acqua del Canal Grande. Sui suoi consigli, feci inoltre realizzare da uno studente della scuola Pennighen di cui la mia compagna era stata a suo tempo diplomata, un prototipo in plexiglas, sul quale su ogni componente erano stampate le facciate e le sezioni del palazzo, . Il Museo des Arts Décoratifs de Paris, lanciò in quel momento un concorso per il progetto di piatti, tazze ed altri articoli da tavola e così presentammo il progetto del servizio da thé, che fotografammo ampiamente riunendo testi ed immagini in un bel libro di cui ormai avevo la padronanza della tecnica. Non fummo assolutamente selezionati ma questo non ci impedi di proporre ad una boutique parigina che presentava regolarmente i suoi
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prodotti ad una fiera newyorkese, di presentare fra gli altri il servizio da thè. Fummo sfortunati perché al momento di partire ed a causa di un eccesso di peso nel bagaglio, il nostro prodotto rimase a terra e non conobbe mai le luci della ribalta americana. Con nostro grande e terribile disappunto ma niente da fare, era successo così e basta. Proposi allora alla mia compagna di venire a vivere insieme a me nell’appartamento che occupavo e dal quale le coinquiline con cui lo dividevo erano già partite da tempo, ma rifiutò pretestandomi il disordine nel quale, secondo lei, vivevo. I nostri rapporti si degradarono quindi inesorabilmente e dopo un pò di tempo cessarono del tutto. Dopo il seminario durante il quale avevo fatto la sua conoscenza e per accompagnarla mi iscrissi ad altri metodi di sviluppo personale, penso anche con un certo successo ed il risultato di una più grande serenità personale e quotidiana. Fummo assistenti insieme ad uno di questi seminari ed é li che feci la conoscenza di una gentile statunitense originaria della Florida, di vent’anni più giovane di me e che mi dimostrò ben presto il suo interesse. Avendo appena raggiunto i quarant’anni trovavo patetico il fatto di
avere una relazione con una ragazza così giovane, come vedevo intorno a me, dove molti uomini sposati lasciavano le loro compagne per delle giovincelle. Comunque dopo un certo periodo, apprezzando inoltre le sue qualità umane, ed all’occasione di una serata particolarmente innaffiata di Irish coffee, finimmo per metterci insieme. Avevo inoltre creato una rivista mensile dal titolo «Palazzi A Venezia», ispirandomi naturalmente al famigerato palazzo ed utilizzando le lettrine disegnate per decorare l’inizio dei paragrafi. Avevo inoltre fatto realizzare dei tamponi di ciascuna delle lettere dell’alfabeto che avevo disegnato ed all’occasione del rinnovo del parquet dell’appartamento che avevo scoperto in buonissimo stato, sotto la moquette che lo ricopriva, e dopo aver provveduto ad una smerigliatura, con l’aiuto di un amico architetto, impressi la frase «Palazzi A Venezia», secondo uno schema che seguiva una delle parallele al muro perimetrale del palazzo, espressione del parcellario urbano parigino, e secondo un ritmo di 30 centimetri di distanza, declinava la frase nei due sensi orizzontale e verticale. In seguito il parquet fu completamente vitrificato e le lettere rese così indelebili. La creazione del mensile era stata motivata dal fatto che il proprietario dell’appartamento, considerato l’affitto particolarmente ridicolo che gli corrispondevo, cercava di espellermi per poterlo affittare ai prezzi in vigore al momento, molto più elevati di quello che gli corrispondevo. Ma non riusci, almeno nell’immediato, nella sua impresa e potei continuare a usufruire di uno spazio che ha accolto tante feste e tante manifestazioni, come le esposizioni che incominciai ad organizzare regolarmente, esponendo fra le altre opere, anche le fotografie della mia compagna. Avevo in effetti invitato, quando mi trovavo a New York, il mio amico Pierre André, ad esporre i suoi acquarelli, con grande successo ed alcuni amici mi invitarono a ritentare l’esperienza a Parigi, consiglio che seguii volentieri accogliendo diversi artisti di mia conoscenza, pubblicando per ogni mostra il mensile in questione e realizzando anche dei filmati al momento dei vernissages. Questo sodalizio durò cosi per sei anni, fino a quando la donzella decise di metter fine alla nostra relazione, e come le disgrazie non arrivano mai 107
sole, subito dopo un incidente stradale che mise fuori uso l’automobile di cui disponevamo, la perdita dell’impiego che esercitavo in quel momento e l’espulsione dall’appartamento il cui proprietario aveva finalmente riuscito ad ottenere l’esecuzione. Ma prima di questi avvenimenti ed all’occasione di una delle ultime esposizioni, dove avevo ospitato due creatrici di gioielli, disegnai e feci realizzare due propotipi di un cofanetto per gioielli, direttamente e naturalmente inspirato dal Palazzo a Venezia. In quel momento particolarmente penibile mi venne in aiuto il mio amico maquettista che mi offri di abitare in un villino inoccupato di cui disponeva nella periferia di Parigi. Il trasloco fu epico perchè avevo accumulato non poche cose durante quattrodici anni in uno spazio di cento venti metri quadri, anche se molte cose furono perdute ed anche precedentemente una visita di ufficiali giudiziari mi aveva privato della mia collezione di 33 giri, di numerose registrazioni di films su cassete e fino ad uno o due quadri a cui tenevo molto. Durante questo frangente feci la conoscenza di una giovane bretone di padre senegalese che invitai spesso
alle ultime feste che organizzai prima di lasciare la rue de Turbigo. Installatomi nel «pavillon de banlieue» a Montreuil sur Seine, creai insieme a degli amici architetti ed una paesaggista che avevo conosciuto ad una delle mie feste, un gruppo di lavoro e incominciai a contattare alcune municipalità offrendo i nostri servizi professionali. Avevo inoltre durante il trasloco fatto la conoscenza di una bella ragazza in provenienza della Nouvelle Caledonie, che mi fece conoscere alcuni suoi amici ed un altro ambiente. Il «pavillon de banlieue» si prestava particolarmente all’organizzazione di festività e così nonostante l’indigenza nella quale versavo e facendo partecipare tutti gli invitati, alla fornitura di cibo e bevande, praticamente ogni sabato, una festa o una grande cena si svolgevano per il più grande piacere di tutti i partecipanti. Così durante una di queste riunioni la giovane bretone d’origine senegalese decise di rimanere a vivere con me mentre nel frattempo ottenni l’attribuzione di un alloggio della municipalità parigina e ci trasferimmo così nuovamente a Parigi. Nel frattempo un’amicizia comune che lavorava per la Chambre de Commerce de Beauvais che gestiva l’Aeroporto omonimo, mi propose di realizzare un progetto di architettura ed urbanistica che avrebbe visto la realizzazione di una settantina di hangars, accessibili direttamente dalla pista principale dell’aereoporo e collegati alla rete stradale, che sarebbero stati commercializzati dal committente. Purtroppo dopo un inizio promettente che mi fece credere che i miei problemi erano risolti e per un lungo periodo (la costruzione degli hangars avrebbe dovuito durare più di una ventina d’anni a ragione di quattro all’anno) il progetto fu bocciato dalla Caisse de Dépots e Consignations che avrebbe dovuto finanziarlo. Qualche tempo prima la stessa agenzia che dal 1975, aveva l’habitudine di chiamarmi a dirigere delle equipes di architetti sia per dei concorsi che per risolvere i problemi generati dai loro progetti più astrusi, e che mi aveva ancora interpellato per l’Infomart che purtroppo non fu mai realizzato, dieci anni dopo esattamente, mi chiamò per partecipare ad una consultazione per la realizzazione di un palazzo di uffici a Beihrut che avrebbe dovuto segnare la rinascita della città dopo l’intermezzo sanguinoso delle guerre di religione. 109
Al concorso erano invitati quattro architetti tra cui Aldo Rossi, di cui ammiro particolarmente la teoria e la pratica e la dead line era il 16 aprile, il giorno del mio compleanno. Niente avrebbe potuto rendermi più felice perché se fosse stato Aldo Rossi a vincere sarebbe stato comunque un onore e se per caso il mio progetto avesse potuto essere il vincente allora sarebbe stato veramente un trionfo. Ma il concorso era già stato assegnato all’architetto inglese invitato, tant’è vero che Aldo Rossi, forse a conoscenza dell’inghippo, non rispose alla domanda, e per giustificare la scelta della giuria il mio lavoro fu aspramente criticato. Rimane nonostante tutto un bel progetto di cui sono ancora oggi particolarmente fiero. Nel frattempo ci trasferimmo a Parigi nel nuovo appartamento non molto grande, ma confortevole e ben esposto, disponendo finanche di una loggia dove potevamo cenare all’esterno con il bel tempo. Ma la nostra relazione era minata dall’eccessiva gelosia della mia partner, senza ragione reale d’altra parte, e per il suo eccessivo e smodato uso dell’alcool che la rendevano particolarmente infrequentabile, ma quello che fu decisivo rimase il fatto che nonostante le sue dichiara-
zioni di voler ad ogni costo avere una prole, quando l’occasione si realizzò si ingegno per mettere un termine alle sue gravidanze. Decisi quindi di porre fine alla nostra relazione. Nel frattempo avevo incominciato collaborare con un’associazione situata nel Centro Culturale Russo a Parigi dove organizzavamo numerose feste ed esposizioni ed a redigere un mensile, per in seguito incominciare a lavorare in una società di produzione cinematografica per rispondere a dei bandi di concorso lanciati dall’Unione Europea nel campo dei nuovi media ed anche a delle proposte di finanziamento possibili presso alcune istituzioni francesi ma i nostri progetti non ebbero il successo sperato. Un’amica trasferitasi nel sud della Francia, mi propose di venire a realizzare il menu della festa che si proponeva di organizzare per invitare i suoi amici all’inaugurazione del Mas dove si era installata, e mi impose di realizzare una Paella alla moda di Valenzia (per ottanta persone). Nello stesso tempo aveva invitato anche una delle sue amiche decoratrici per appunto addobbare il luogo dove si sarebbe svolta la festa. Fu così che incontrai quella che tre anni dopo sarebbe diventata la mia compagna e la mia partenr in architettura, essendo lei stessa architetto d’interni con una clientela numerosa e facoltosa. Nel frattempo e da una decina d’anni, cercavo di convincere i direttori dei programmi dei canali televisivi esistenti all’epoca, a realizzare una trasmissione sull’architettura, facendomi sistematicamente congedare con la frase «L’Architettura non interessa nessuno!» (en français «L’Architecture n’interesse personne!». Così quando lessi, nel dicembre del 1998, un’articolo sul quotidiano Libération, che descriveva il progetto del fondatore di Courrieur International, di creare una televisione diffusa via internet, mi sbrigai di ottenere un appuntamento e gli spiegai il mio progetto di emissione sull’Archittetura, mi rispose che non ne capiva niente ma che mi lasciava carta bianca per occuparmene. Vedendo così che era finalmente facile di creare una trasmissione ne creai due, una sull’Architettura ed una sulla Creazione Contemporanea, ed avendo qualche anno prima lavorato per un’associazione basata nel Centro Culturale Russo, incominciai invitando degli artisti dei paesi dell’Est europeo, intitolando la trasmissione «Spoutnik» che significa compagno di viaggio in russo. 111
Devo aggiungere che avevo immaginato di far presentare le trasmissioni da una giornalista che, alla vigilia della prima, declarò forfait e fui quindi nell’obbligo di presentarle personalmente non senza un certo track assai evidente. Durante queste vicissitudini avevo incontrato un’antica relazione ed avendola invitata più volte a casa, finimmo per incominciare una relazione durante la quale penso di aver preso il più grande abbaglio di tutta la mia vita ed essermi auto convinto di qualche cosa che non esisteva. Ma non ci volle molto per rendermi conto che mi sbagliavo completamente et non senza difficoltà, aiutandola inoltre a traslocare e facendomi pure alleggerire di una discreta somma di danaro, semplicemente rubatami, riusci a disfarmene. Iniziate le trasmissioni sull’architettura e sull’Arte contemporanea orientale, ben presto il conflitto nell’ex Yougoslavia mi convinse che non potevo ignorare questa situazione e invitai così diversi esponenti politici della Serbia, della Crozia, del Montenegro fino al novellamente ritrovato monarca. Nell’estate del 1999, nuovamente dotato di un veicolo automobile, partii per la Sardegna per trascorrervi qualche giorno di vacanza, non senza aver visitato gli amici che
avevo conosciuto al momento del ristorante all’andata ed al ritorno altri artisti che abitavano dei villaggi come Flougnac ou Saint Cirque la Popie, realizzando ad ogni sosta un’intervista filmata che avrei poi diffuso in complemento delle mie trasmissioni sull’Arte che ormai non si limitavano più all’Est europeo ma avevano incominciato ad accogliere anche altre espressioni artistiche musicali, letterarie e naturalmente plastiche. In Sardegna cercai di realizzare un’intervista di Zubin Metha, direttore d’orchestra che dirigeva la Turandot, ma nell’immpossibilità di mostrare sugli schermi dei computers del Teatro Lirico di Cagliari la realtà delle trasmissioni su Internet che a quell’epoca erano ancora pura fantascienza con un immagine non più grande di un francobollo, mi promessi di creare una trasmissione sull’Opera al mio ritorno, non senza ave filmato le vacanze dei miei familiari nell’isola di San Pietro. Sbarcato a Tolone, feci una sosta a Beaucaire, dove avevo realizzato la famosa paella e dove il compagno dell’amica esercitava la sua arte di pittore, realizzando così un intervista. Fu li che incontrai quindi quella che poi divenne la mia compagna per diciannove lunghi anni, durante i quali avemmo l’occasione di realizzare non solo tanti progetti, ma anche di sfruttare sia la casetta nella foresta di Marly, ancora all’epoca di Louis XIV senza luce elettrica e senza toilettes dove passava i suoi week end ma anche, in seguito alla cessione di quella dimora, di scoprire uno chalet in una coproprietà su di un isola sulla Senna, ricostruendo un vero luogo di piacere, di festività e di gioia, senza parlare dei numerosi viaggi, sia in Belgio che in Olanda, in Germania ed in Italia, ma anche in India ed in Marocco oltre che in Kenia,senza dimenticare i numerosi soggiorni in Grecia e non solo a Sifnos, a Patmos oppure ad Athene ma più particolarmente nell’isola di Symi, dove all’occasione di uno degli ultimi viaggi ed appoggiandomi al rudere di un palazzo distrutto dai bombardamenti nel 1944, il cui pianterreno serve ancora oggi da ristorante all’albergo adiacente, disegnai un «Palazzo A Symi per il mio amore», offrendoglielo a Natale senza ricevere purtroppo l’accoglienza sperata, trattato di chimera e di mitomania senza futuro. Il degrado della nostra relazione mi sembra che abbia avuto inizio a partire dal momento in cui ho annunciato che andavo a creare un’esposizione delle ventidue linoleografie ritrovate, insieme alla tempera dell’arlecchino che batte a macchina, dipinto nel dicembre del 1969, e che dopo 113
essere stato acquistato da una delle mie zie era stato recuperato in seguito al suo decesso. Non solo questa mostra mi é stata definita come ridicola e sicuramente occasione di scherno nei meii confronti ma la mia compagna mi ha chiaramente proibito di invitare sia i suoi amici che i nostri clienti, cosa che evidentemente mi astenni dal fare. Ciò non impedì le mie relazioni, anche perse di vista da tempo, di partecipare numerose ed entusiaste al vernissage, fino al successo di vendita che vide sino alla metà delle linoleografie ed anche la tempera trovare acquirente. Certo la soppressione del gatto, ormai incurabile e sofferente, fu il momento che segnò la rottura definitiva e la richiesta di lasciare il domicilio coniugale, cosa che mi impose, essendo il mio appartamento occupato, di trasferirmi in Sardegna presso mia madre. Così dopo aver esposto diverse volte le mie linoleografie superstiti ne ho realizzato due nuove serie, una sui casotti del Poetto, ed una sugli scorci della città di Cagliari, che sono state parzialmente esposte nel dicembre del 2019 e che avrebbero dovuto esserlo nel marzo 2020 ma la pandemia covid-19 facendo cessare ogni manifestazione non solo artisti-
ca ma anche commerciale, queste esposizioni sono rimandate a più tardi. Nel frattempo ero stato invitato a partecipare alla selezione per la XIIIsima Biennale di Roma, alla quale ho presentato una delle linoleografie rappresentanti Don Quichotte ed una di quelle realizzate nel 2018 alla domanda della madre di una cantante e attrice, prematuramente deceduta, per illustrare quindici dei suoi poemi/canzoni. Eventualmente queste sedici incisioni dovrebbero essere esposte a Parigi ad una data da precisare e in corrispondenza dell’edizione del libro che riunisce i testi e le immagini, nel frattempo ed in seguito alla lettura della raccolta di novelle che ha inspirato il titolo del bar ristorante dove ho avuto l’occasione di esporre per ben due volte, cioé «Il Bar sotto il Mare» lavoro alla realizzazione di 24 disegni per illustrarne il contenuto, prepareandoli per delle future incisioni oppure lasciandoli vivere di vita propria tali quali si presentano. Nel frattempo un’epidemia di covid-19, ha costretto la popolazione, non solo italiana, ad una clausura forzata, durante la quale mi sono ingegnato effettuare quelle piccole riparazioni che sono sempre necessarie in un appartamento e che spesso si rimandano a più tardi pretestando una mancanza di tempo o di voglia; mi sono così trovato ad utilizzare degli elementi come bambole rotte, cassetti ormai inutilizzabili insieme a carta ed altre scorie di festività o resti di apparecchi ormai inservibili ed fatiscienti, per confezionare delle installazioni a pretesa artistica, ispirandomi anche a quello che ho potuto vedere durante tutti questi anni nelle esposizioni ed altre manifestazioni artistico culturali che ho frequentato. Ho anche creato una galleria d’Arte virtuale incominciando ad esporre le opere di alucuni artisti che conosco ed ammiro. Approfitto della clausura forzata per redarre il testo di questo catalogo sperando di poter completare il mio progetto e proporlo prossimamente. Ho cercato di descrivere sinceramente un percorso di vita, anche se ho omesso tanti particolari che non mi sono sembrati importanti per la comprensione della storia ed irrilevanti per quello che riguarda la costituzione degli elementi che compogono questa mostra. Penso che rileggendomi riuscirò anche a capire alcune cose che mi sono sfuggite al momento oppure alle quali non ho prestato sufficientemente attenzione. Vittorio E. Pisu aprile 2020 115
In questo momento che non sappiamo se tragico o comico e sicuramente tragicomico, succede che confinati mia madre, mia sorella ed io, si evochino situazioni come la morte di alcuni parenti e le domande che facevano prima che accadesse, come per esempio quale sarebbe stato il vestito che volevano le fosse fatto indossare. Mia madre evocando la nonna che aveva anche indicato che scarpe e che mutande, rigorosamente nuove, avrebbe voluto rivestire, mi ha fatto pensare a come vorrei essere vestito se dovessi venire a morire a mio turno. In effetti ci avevo già rifletutto diverse volte ed avendo offerto la mia bandiera, la bandiera del mio amore, alla bella italiana di New York, avevo immaginato di fargliela chiedere ed indossarla, avvolgendomi ad essa, al momento di essere sistemato nella bara, che vorrei fosse cremata e che le mie ceneri siano disperse nel golfo degli Angeli, nella baia di Cagliari, preferibilmente davanti alla spiaggia del Poetto. Approfittando della ricorrenza dell’anniversario del nostro incontro, che coincide inoltre con la data della sparizione del gatto James, le ho mandato un messaggio spiegandogli la mia intenzione ed avvertendola che eventualmente qualcuna
delle mie sorelle l’avrebbe contattata al momento. Mi rispose, inquietandossi della nostra buona salute, aggiungendo che era dispiaciuta di annunciarmi che non possedeva nessuna bandiera e che non si ricordava assolutamente di averne avuto una. Cosa che sinceramente mi ha fatto ridere di cuore. Sono così contento di aver recuperato la mia bandiera, che avevo dimenticato essere in quattro esemplari sventolante sui tetti del Palazzo A Venezia. Così mi rendo conto che, come può capitare, il mio vessillo è rimasto nelle mani dell’avversario che certamente nega maldestramente anche di averlo mai acquisito. Non importa, la posso immediatamente riprodurre e per una bandiera persa in battaglia, tante altre rinascono, così capita anche a puntino che per il mio compleanno mi offra nuovamente la bandiera, la mia bandiera, che mi ha sempre rappresentato ed oggi più che mai. Sarà un nuovo tassello che farà parte dell’esposizione insieme alle fotografie, ai nomi, agli oggetti disparati che evocano ciascuno una storia, un momento, una situazione durante la quale ho vissuto pienamente l’Amore, perché è quello di cui sono fatto e di cui ho bisogno.13/04/2020 117
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ella Grecia antica esistevano diversi vocaboli per descrivere l’amore, esattamente dieci. Agapé é l’amore gratuito, l’Amore che fa girare la terra, il cuore umano e le altre stelle, non si tratta solamente dell’io che ama e che ti ama, ma dell’Amore che ama in me stesso. Charis, l’Amore celebrazione, ti amo perché ti amo, é una gioia, è una grazia di amare e di amarti, ti amo senza condizioni, ti amo senza ragione. Eunoia è l’Amore devozionale, mi piace prendere cura di te, sono al servizio del meglio di te stesso. Harmonia é l’Amore Armonia. Quant’é bella la vita quando si ama, noi due stiamo bene insieme, con te tutto é musica, il mondo é molto più bello. Storgé, l’Amore tenerezza; sono molto migliore che solitamente
quando tu sei qui, ho tanta tenerezza per te, sono felice che tu sia qui. Philia è l’Amore Amicizia. Ti rispetto, ti ammiro, amo la tua diversità, sto bene anche senza di te, sto meglio quando sono con te, tu sei il mio migliore, la mia migliore, amico/a, mi piace di stare con te, tu mi fai del bene. Eros é lAmore Erotico. Ti desidero, tu mi fai godere, tu sei bella, tu sei bello, tu sei giovane. Mania pathé é l’Amore passione. Ti amo passionatamente, mi sei entrata(o) dentro, tu sei a me, solamente a me, ti amo come un pazzo, non mi posso separare da te, non posso fare a meno di te. Pothos é l’Amore bisogno. Tu sei tutto per me, ho bisogno di te, ti amo come un bambino. Porneia é l’Amore Appettito. Ti mangerei, ti amo come una bestia.
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ra tutte queste denominazioni dell’Amore, quali posso riconoscere aver effettivamente vissuto, anche se in quasi tutte le situazioni penso di averle esperimentate tutte sia insieme che separatamente a dei momenti diversi. In effetti penso che si tratti dei diversi momenti che una passione amorosa attraversa anche se mi ricordo di alcune situazioni durante le quali la coscienza del sentimento che stavo vivendo mi è apparsa all’improvviso nella sua totale ineluctabilità e allo stesso tempo inesorabilità senza possibilità di scampo. Certo nell’adolescenza l’attiranza amorosa che ho potuto provare per le mie compagne del momento era mista ad una certa apprensione davanti ad una situazione completamente inedita per me. Nello stesso tempo questa paura dell’incognito era accompagnata da una certa eccitazione di affrontare in prima persona una situazione che poteva apparire anche come complicata e generatrice di problemi ulteriori. Poi bisogna considerare la quotidianeità, il vivere insieme, dividere lo stesso spazio, abituarsi a modi e maniere completamente diverse da quelle alle quali ci si era abituati. Scoprire anche tante altre cose, interessi diversi, opere letterarie, mu-
sicali, artistiche, cinematografiche sconosciute o che avevamo voluto ignorare ed anche talvolta disprezzare, oppure cercare di proporre le nostre proprie scelte accolte a volte con diffidenza o peggio con condiscendenza. Penso inoltre che la generazione nata nel dopoguerra del secondo conflitto mondiale si sia trovata nella situazione di dover praticamente inventare tutti i suoi modi di vita, sperimentando situazioni sociali, rapporti completamente diversi da quelli sperimentati dai rispettivi genitori, con conseguenti sbagli, errori, incomprensioni e sviste a volte drammatiche ma che non ci hanno impedito, almeno quelli che ne erano consapevoli, di progredire e cercare di stabilire dei nuovi rapporti non solo sociali ma interpersonali più proficui e sopratutto più intelligenti. Dopo tanti anni e tante esperienze mi sembra ancora oggi che ci sia tanto da capire e che ancora di più quando ciascuno di noi si libera dagli stereotipi e dalle modalità imposte sia dal bigottismo religioso che dal conformismo sociale più becero, sarà difficile stabilire delle regole e dei modi di comportamento benefici per entrambi i partner di una relazione amorosa, ma questa sfida è eccittante e riuscirla è un vero premio. Vittorio E. Pisu 121
L’AMORE Agapè, Charis, Eunoia, Harmonia, Storgè, Philia, Eros, Mania pathè, Pothos, Poernia
Projet Grapique, Maquette et Mise en Page L’Expérience du Futur Impression TIME Service Une édition / Una pubblicazione
Ici, là bas et ailleurs
Fotografia di Mauro Molledda
Dopo aver illustrato alcuni ricordi d’infanzia e d’adolescenza legati alla spiaggia del Poetto ed ai suoi casotti, Vittorio E. Pisu ha iniziato un’altra esplorazione nostalgica e leggermente malinconica della sua città. Questa volta invece ha voluto ricordarsi le sue avventure sentimentali illustrandole con la fotografia del suo amato gatto James che purtroppo terminò la sua vita terrena segnando inoltre la fine di una lunga relazione amorosa e professionale. Con questa serie di immagini, aumentate dalla presenza di frammenti, oggetti, scorie e ritagli che vogliono sottolineare la specificità di un rapporto o semplicemente una caratteristica del personaggio citato nella fotografia, ma in un modo estremamente criptico e intellegibile solamente da lui stesso e forse anche dalle persone che vi sono citate espressamente. Speriamo che questa maniera di mettere in mostra alcuni aspetti intimi delle sue storie sentimentali lo aiuti anche a capire le ragioni profonde che lo hanno spinto a cimentarsi con questa avventura produttiva. E tutto il piaciere che gli auguro sinceramente. Arcibaldo de la Cruz