SARDONIA
Foto giuliobarrocu
Ventottesimo Anno / Vingt Huitième Annèe
Aprile 2021/ Avril 2021
Beatrice Marinoni Vino Archeologia e Musica Cantine Antigori Silvano Caria Silvia Sbardella Il Festival negato di Paolo Fresu Case Cantoniere in Sardegna La Ferula Italo Antico al MUACC Enrico Berlinguer Piano Casa Sardegna Desacré Il Formaggio più pericoloso al mondo Tarma della farina si /Casu marzu no Maria Dolores Picciau Rumundu Carlo Alberto Palumbo I cavallini di Nivola Gianluca Petrini E’ per sempre - Fabbro e Pasqual https://www.vimeo.com/groups/sardonia https://www.facebook.com/sardoniaitalia
Cagliari Je T’aime Programma di creazione di Esposizioni e Manifestazioni Artistiche nella città di Cagliari a cura di Marie-Amélie Anquetil Conservateur du Musée du Prieuré Directrice de la revue “Ici, Là bas et Ailleurs” Espace d’exposition Centre d’Art Ici, là bas et ailleurs 98 avenue de la République 93300 Aubervilliers marieamelieanquetil@gmail. com https://vimeo.com/channels/ icilabasetailleurs Vittorio E. Pisu Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS Elena Cillocu via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/channels/ cagliarijetaime SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima Direttore della Pubblicazione Vittorio E. Pisu Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS Commission Paritaire ISSN en cours Diffusion digitale
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uesto numero di primavera si ritrova a dover ripetere quello che dicevamo un anno fa sulla situazione che ha completamente modificato il nostro funzionamento quotidiano. Stranamente le prime manifestazioni che sono state soppresse dai poteri (sic) pubblici, sono state quelle artistiche a cominciare dagli spettacoli dal vivo, passando dai musei, le gallerie d’arte, il teatro il cinema eccetera. Ma non le chiese. Mentre i supermercati ed altri centri di distribuzione di generi alimentari e di prima necessità sono rimasti aperti ed affollati, come i trasporti pubblici, diversi lock down ci costringono a rinchiuderci, a prendere le distanze, a non spostarci, instaurando lezioni a distanza e telelavoro a mezzo di computers e telecamere. Nonostante le varie promesse e dichiarazioni, stiamo ancora aspettando che questa pandemia ci lasci tranquilli e mentre i famigerati vaccini procedono a rilento e nella confusione la più totale con le apparizioni televisive di pseudo esperti e l’imperversare sui social delle fesserie le più esagerate inventandosi fino alla possibilità di modificare il DNA attraverso la vaccinazione che sembra oggi l’unica possibilità di uscire da questo incubo. Fortunatamente la produzione artistica non si ferma, anche se spesso non si può esporre nei luoghi che gli sono normalmente dedicati. Così quando delle manifestaziomni riescono nonostante tutto ad esistere grazie a delle iniziative private sono viste come atti eroici di resistenza. Al momento nel quale scrivo queste linee la prospettiva è che anche durante tutto il mese di aprile sarà impossibile svolgere le normali attività che costituiscono uno dei tanti piaceri dell’esistenzza, come andare al ristorante, visitare un museo, assistere ad un concerto, ad uno spettacolo teatrale, ad un’opera, visitare una mostra, organizzare una festa per il proprio compleanno o quello di un amico e fino a spostarsi sul territorio ed andare a visitare amici e parenti sopratutto a Pasqua. Non ci resta quindi che sperare in una diminuzione dei contagi, delle ospitalizzazioni, dei decessi ed un’aumento dei vaccini somministrati al fine di poter assistere ad una modifica dei diversi impedimenti ed altri lock down che ci avvelenano la vita in questo momento. Sopratutto qui in Sardegna. Nonostante tutto spero che le proposte del mensile, come al solito estremamente soggettive e completamente eccletique, vi divertano, vi istruiscano, vi facciano venire voglia di saperne di più ed anche senza muoversi, grazie ai siti web ed altre pubblicazioni on line, scoprire o ritrovare tante manifestazioni artistiche che abbiamo trovato interessanti senza parlare di certe attualità più serie. Vi auguro Buona Pasqua V.E. Pisu
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Foto mancaspazio
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The first cut
on oltre 130 opere, la mostra “The first cut”, racconta il percorso artistico di Beatrice Marinoni negli ultimi 18 mesi: dal primo all’ultimo collage realizzato. I primi collage, raccontano mondi immaginati e immaginari in chiave sempre diversa, le serie, create successivamente sono l’espressione del cambiamento tecnico e stilistico di Marinoni, con sperimentazioni di carte diverse, la scelta dei colori e dell’assenza degli stessi, fino ad approdare alla tridimensionalità dei suoi ultimi lavori. Dall’autobiografia, alla storia del Novecento, dall’imDal martedì al sabato maginario collettivo a quello personale, la mostra di Beatrice Marinoni è un viaggio fra passato, presente e dalle 18.00 alle 20.00 futuro, attraverso lo sguardo di una fotografa che dal primo taglio con le forbici ha dimostrato una fame di ricerca, una sete di sperimentazione e una necessità espressiva che non sembrano potersi fermare. Marinoni nel 2020 è stata selezionata fra i fotografi della celebre rassegna, curata da Salvatore Ligios, A Banda e fra gli artisti esposti virtualmente al Museo dell’Amore Perduto di Aggius. La mostra è accompagnata da catalogo bilingue con testi di Chiara Manca e Mario Saragato, traduzioni di Shahrazad Hassan, fotografie di Nelly Dietzel, su https://www.mancaspazio.com/ progetto grafico di Sara Manca.
Beatrice Marinoni
fino al 03/04/2021
MANCASPAZIO Via della Pietà 11 Nuoro (NU)
a Sardegna fa rete per l’enoturismo tra vino, archeologia e cultura musicale. 40 aziende fanno sinergia per generare una nuova economia e l’Università di Sassari accompagna il percorso. Si stima una crescita del reddito degli imprenditori dal 30 al 40% La Sardegna guarda oltre la pandemia e punta, con forza, sull’enoturismo. Succede non a parole ma nei fatti con un leader giovane dentro: Antonello Pilloni, 87 anni (metà dei quali trascorsi al servizio del vino sardo), presidente della cantina cooperativa Santadi è pronto alla sfida della rete enoturistica regionale. È stata costituita ufficialmente la settimana scorsa davanti al notaio: 40 aziende fanno sinergia per generare una nuova economia e l’Università di Sassari benedice e accompagnerà il percorso. Si stima una crescita del reddito degli imprenditori aderenti dal 30 al 40%. Le imprese che si sono mosse hanno tutte alle spalle esperienze di accoglienza e ospitalità, ma a cambiare la prospettiva è il desiderio di metterle insieme per valorizzare la proposta sarda ai winelover in una formula più organica e mirata. (segue pagina 4)
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Foto dataroomcorriere.it
VINO ARCHEOLOGIA E MUSICA
(segue dalla pagina 3) A individuare solide prospettive di sviluppo del comparto è stato, da subito, Carlo Marcetti, docente di Economia dell’ateneo di Sassari. Il professore, con l’operatrice turistica Anna Maria Fara, componente tecnico nel consiglio direttivo a 11 che breve eleggerà il presidente della Rete, all’enoturismo si dedica da tempo con studi e ricerche. «L’enoturismo - ha spiegato - è un antidoto allo spopolamento nelle zone interne. Possiamo parlare di un’integrazione del reddito che potrebbe oscillare dal 25 al 30%». Marcetti invita a riflettere sul legame intimo tra territori, ognuno dei quali ha peculiarità da offrire a diversi target turistici. Nella rete ci sono tutte le zone di produzione: le cantine della Gallura o l’Ogliastra con il suo ambiente incontaminato. La rete farà brillare anche Sant’Antioco, dove le distese di vigne della cantina Sardus Pater si stagliano a poca distanza dalle testimonianze di un passato misterioso. «Per le caratteristiche delle vigne è come se bevessimo il vino nuragico», dice il presidente Raffaele De Matteis. Gli appassionati dopo la degustazione di un Carignano in purezza e
dei prodotti locali potranno visitare il tophet fenicio e il museo archeologico. Nel Mandrolisai, dove il vino fa rima anche con cultura (musicale) l’offerta è indirizzata anche ai musicofili. «L’ascolto di musica può cambiare la percezione gustativa di ciò che si mangia e si beve, così come la degustazione di un vino dipende molto dal contesto nel quale viene servito e dall’atmosfera più o meno coinvolgente che viene a crearsi», spiega Salvatore Corona uno dei soci della cantina Bingiaters (Ortueri) e organizzatore del festival estivo Lollore Blues.
Ogni territorio ha qualcosa di unico da offrire al viaggiatore a partire dagli oltre 100 vitigni autoctoni. Ogni cantina, dalla più piccola alla più grande, potrà dare il suo contributo allo sviluppo di un settore in cui il filo conduttore è rappresentato dal vino. La Sardegna intende insomma promuovere le risorse ambientali, paesaggistiche, culturali ed enogastronomiche presenti in tutti terroir viticoli regionali, nessuno escluso. Questo significa due cose: fare impresa e non avere paura. Il futuro si scrive oggi. Alberto Lupini www.italiaatavola.net/
Foto cantineantigoripinterest
CANTINE ANTIGORI L
a sede è in pieno centro a Sanluri, ma la vigna si trova a Capoterra, in località Su Spantu. Le Cantine Antigori nascono nel 2015 dalla volontà di Carlo Luigi Scano di riprendere l’antica attività di famiglia. La vigna, impiantata nel 2008 ed eseguita sotto la consulenza dell’enologo e umanista Giacomo Tachis, uno dei padri della viticultura italiana, fa parte di quella che anticamente era una delle più fiorenti aziende agricole della Sardegna, chiamata “Su Spantu”. In sardo “Spantu” significa stupore, meraviglia, ed è quanto si prova nell’ammirare il pendio in cui sono impiantate le vigne Antigori.
Nata nel 2008 dalla creatività dell’enologo Giacomo Tachis, sono state progettate affiancando al Carignano filari di Bovale e Cabernet-Sauvignon nelle percentuali di 80-10-10 circa. La vigna prospera con i benefici del mare, protetta a nord ovest dalle montagne che creano una barriera per il maestrale. Tutto intorno querce da sughero, piante di corbezzolo e mirto, carrubi contribuiscono a formare il retrogusto sardo dei vini delle Cantine Antigori. Le Cantine Antigori producono cinque diversi rossi IGT Isola dei Nuraghi biologici, nati dalla stessa vigna ma in tempi e altitudini diverse. Il vino è un Carigna-
no (80%) arricchito con Bovale (10%) e Cabernet-Sauvignon (10%). Spadacino(parte bassa, prima vendemmia), Ambrosu (parte mediana, seconda vendemmia) Pedra Scritta (parte alta, ultima vendemmia), Bovale e Bovale Superiore in purezza, sembrano quasi rappresentare le tre fasi della vita. Di colore rosso rubino intenso, con riflessi violacei, al naso è intenso, complesso, presenta sentori fruttati, floreali e di macchia mediterranea. Al palato il vino è secco, fresco e di grande struttura. Il suo gusto pieno, intenso, caldo, è caratterizzato da un tannino a tratti austero ma sempre elegante. La buona acidità e la spiccata sapidità donano a questo vino una grande persistenza. Antigori si accosta bene ai taglieri di salumi e formaggi stagionati e alle carni rosse. Da quella più fresca della giovinezza, passando per la maturità e infine la saggezza completa e ricca della vecchiaia. Storie di vigna, storie che ritroverete raccontate in questi tre vini. Dalla coltivazione, alla raccolta e alla lavorazione si utilizzano processi e tecniche certificati che permettono di ottenere un vino di ottima qualità e biologico. “Nessuna bevanda più del vino è vicina all’ anima e nessun’ altra al pari del vino ha il potere di trasformare lo spirito dell’uomo.” Giacomo Tachis www.cantineantigori.it/
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Foto silvanocaria
ilvano Caria è un pittore sardo, dedito alle arti figurative da anni che si è imposto nel panorama dell’arte concettuale grazie ad un particolare utilizzo della tecnica mista, connubio ideale tra tecnica pittorica ed utilizzo sapiente di materiali naturali. Anche a livello stilistico, Silvano Caria sembra unire in questa avvincente immagine due mondi apparentemente lontani, come quello della pittura figurativa e quello dell’astrattismo, in un connubio che rende ottimamente l’idea del contrasto tra ogni persona (a quell’ora ancora rinchiusa nel proprio io e concentrata nei propri pensieri) e la città, come se ogni persona componente la folla, fosse inesistente, quasi trasparente. Silvano Caria nasce a Samassi nel 1948. I “luoghi” che ci propone non sono esclusivamente geografici, ma piuttosto circostanze di cui l’autore si è sentito parte e che prescindono dal posto in cui si trovava in quel preciso momento. Relative piuttosto, alle sensazioni bloccate in quell’attimo della propria esistenza. La sua continua ricerca e il contatto con la materia, lo conducono sul filo della memoria a trascorsi arcaici e antichi legami con la terra e il mare. Stefania Sini, curatrice specializzata in tutela e valorizzazione del patrimonio
SILVANO CARIA culturale utilizza queste parole: «Un legno levigato dalle onde del mare, raccolto e conservato per chissà quanto tempo, trasformato dall’estro dell’artista e dal frammento di memoria che porta con sè, talvolta o un pugno di terra e paglia, rappresentano occasioni attraverso le quali può dar corpo al legame con il vissuto, alle sensazioni provate in certe circostanze. Maneggiando terra, legni, spugne di mare, si risvegliano i sensi, si rammentano i profumi, le gioie e così dalla materia ricreata vengono fuori “I nidi” che fissano le sensazioni provate nella solitudine della notte, seduti a pescare in un posto quasi irraggiungibile.» L’artista, per realizzare le sue opere, utilizza materiali naturali molto eterogenei tra loro: grumi di argilla, ciottoli, paglia, collage di legno, carta e terra bruna. Le sue creazioni traggono origine da episodi, aneddoti e memorie che egli fissa sulla tela evidenziando un forte senso tattile oltre che visivo. NEL RISPETTO E PER IL LUOGO, un mio intervento prima “dell’arancione” i colori sono terre che andranno via alle prime acque, il blù rappresenta il cobalto che con le sue radiazioni e messo al centro di cerchi concentrici influisce nella vegetazione, questi erano i cerchi Moray, la scritta bianca è una scrittura lineare Ogham, io ho scritto : sono stato qui. Grazie all’ospitalità di Roberto e Ilaria Marongiu
SILVIA SBARDELLA
Foto vittorio.e.pisu
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ilvia Sbardella, un’artista fuori dagli schemi. ha iniziato la sua carriera che aveva ancora 18 anni. Oggi diciamo che di strada ne ha fatta. Vincitrice del premio COMEL 2017 e del premio Frosinone-Anagni 2018, in occasione della biennale. Da burattinaia a fotografa, grafica, decoratrice e pittrice. Si è formata all’Accademia delle Belle Arti di Frosinone, dove si è laureata in scultura all’età di 24 anni. E’ in grado di manipolare materiali vari: dall’argilla al legno, al marmo, al cemento soffiato, alla stoffa al ferro e all’alluminio. Il suo maestro è stato Nicola Carrino, a cui è grata per averle insegnato un metodo. La sua passione più grande è però per il ferro e l’alluminio che plasma ispirandosi ai movimenti della natura, anche in sculture antropomorfe. Caratteristica la sua esposizione ‘On the road’ di fil di ferro e cannucce colorate con i quali ha decorato un’intera via di Frosinone. Interessante la collaborazione con musicisti tra cui Agostino Di Giorgio, che hanno suonato le sue sculture flessibili capaci di diventare veri strumenti musicali. Oltre all’uso dell’alluminio, Silvia ama i giochi di luci che l’hanno portata a realizzare delle performance ar-
tistiche con proiezioni di diapositive su palazzi romani. L’artista insegna discipline plastiche e scultoree nei licei artistici per condividere la sua filosofia artistica con altri. La sua è un’arte innovativa, fuori dagli schemi. Il fil di ferro lo usa come una metafora del discorso verbale con il quale scrivere le sue storie, accompagnando le opere a vari ‘ragionamenti’, gomitoli di filo che rappresentano appunto dei pensieri sparsi. Il tema della natura e del rispetto della natura sono per lei centrali come caro è il tema della danza che spesso rappresenta nelle sue sculture antropomorfe. Ultimamente ha esposto a Cagliari, allo spazio Via San Domenico 10, gestito dall’associazione Terra Battuta ed invitata da Sardonia, per la serie di mostre intitolate “Meglio una donna”, che ha approfitato della presenza della scultura presentata alla Selezione Regionale per la XIIIsima Biennale di Roma ed esposta al Foyer del Teatro Lirico di Cagliari, già premio COMEL 2017. Nella mostra ha inoltre presentato due progetti di sculture monumentali che vorrebbe realizzare in Sardegna, a Cagliari ed a Sanluri.
vedi i video vimeo.com/269074337 vimeo.com/525041872 vimeo.com/526751320
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Foto doppiozero
egli anni Sessanta, durante le prime classi delle elementari, noi ragazzini di Firenze spesso ci divertivamo in uno dei tanti giochi che ci rendevano liberi e vispi: la barauffa. Uno di noi si metteva di fronte agli altri gridando “alla barauuuffaa!” e gettava una manciata di caramelle verso il gruppo che si trasformava immediatamente in una mischia. Alla fine, le caramelle si dividevano, ma rimaneva la soddisfazione, per i “vincenti”, di essere stati più pronti, scaltri e “ganzi” degli altri. Nessuno guardava al fatto che il successo fosse in gran parte frutto del caso, perché dipendeva dalla posizione in cui ti trovavi al momento del lancio. Una volta che avevi il tuo piccolo malloppo, però, gioco forza ti sentivi “più qualcosa” rispetto agli altri. Prima che la partita di calcio tra le squadre delle vie del quartiere, o una impresa in bicicletta, mettessero qualcun altro al centro dell’attenzione. Questo squarcio di infanzia mi è tornato in mente quando ho saputo del modo in cui la Regione Sardegna ha assegnato i contributi economici ad alcune tra le tante associazioni culturali di quella regione. Modo, pare, non isolato e purtroppo esemplificativo di come una certa classe dirigente e diversi
IL FESTIVAL NEGAT nostri concittadini pensano alla cultura e ai suoi lavoratori: con noncuranza, fino ad arrivare allo spregio. In pratica, ventidue associazioni su più di un centinaio avrebbero usufruito di 750.000 euro (le caramelle) solo in base alla velocità di un click. Un “bando a sportello”, così si chiama, analogo alla barauffa. Così, ad una determinata ora di un determinato giorno, molti operatori culturali della Sardegna, grazie a un secco dispositivo, si sono trasformati in competitors, hanno cliccato col mouse e in modo assolutamente casuale hanno potuto beneficiare, in pochissimi, dei preziosi contributi. Paolo Fresu, artista di fama internazionale e fondatore di un gioiello culturale e sociale come il Festival Time in Jazz ne ha parlato in un post dal titolo “Canes da Isterzu”, cani da secchio. Per qualche centesimo di secondo in più, il Festival che si svolge ogni anno in Sardegna, a Berchidda, tra le montagne e il mare, è stato escluso dai contributi, nonostante sia ormai un bene comune. Bene comune, perché si tratta di qualcosa che è di tutti e non solo di chi lo fa. Come la poesia d’amore di Neruda che Massimo Troisi, nel film “Il postino”, fa sua per conquistare la donna amata. Non a caso, poi, il Festival ha ottenuto nel 2020 l’Alto
TO DI PAOLO FRESU Patronato della Presidenza della Repubblica. Quando avevo sei anni non ero certo in grado di immaginare che la barauffa tra ragazzini potesse avere la stessa forma della mischia tra cani per un pasto nello stesso secchio e nemmeno che avrebbe fatto carriera diventando efficiente metodo per amministrare la cosa pubblica. Efficiente: perché permette di elargire risorse con il minimo dispendio di energia. Un click è molto veloce ed economico. Permette a un assessore di risparmiare tempo, quello che ci vorrebbe per valutare i progetti con competenza e un pensiero complesso che oggi non sembrano i criteri più richiesti per la selezione dei governanti. Poi ci vogliono sensibilità ed equilibrio che dovrebbero dispiegarsi a più livelli: il rispetto per chi ha doti di valore costruite nel tempo con impegno e disciplina e che non può che farti ombra se la tua vita è colonizzata da un immaginario di successo e di superiorità; il rispetto e la capacità di tenere in disparte le logiche dell’appartenenza politica, quando si tratta di progetti attribuibili ad artisti, intellettuali, studiosi considerati di “parte avversa”, anche se a volte ostacolati semplicemente perché pensano e propongono. Governi pure il caso, allora. In fondo le regole burocratiche servono anche a questo: spersonalizzare, non
fare differenze, non complicarsi la vita con assurde responsabilità. Del resto, nel meccanismo che consente a una macchina di erogare finanziamenti si trova la stessa logica per cui alcuni amministratori diventano tali: il caso e l’assenza di responsabilità. Non me ne voglia chi si occupa di management con serietà e preparazione e chi altrettanto rigorosamente di amministrare la cosa pubblica, ma l’efficienza di questo click è il segno caratteristico dello scimmiottamento superficiale di certa filosofia manageriale assorbita, e poi generalizzata, laddove azienda non c’è o non ci dovrebbe essere, se per azienda si intende, sbagliando, solo un’organizzazione dedita al profitto: lo Stato e le sue istituzioni, il sistema scolastico, quello sanitario, la cultura, tanto per fare esempi di ambiti dei quali facciamo costante esperienza come cittadini indipendentemente dalla tifoseria alla quale apparteniamo. Filosofia che, giungendo dalla pluridecennale supremazia culturale e politica di quella parte del mondo economico che ha visto nel profitto non solo la sua ragione d’essere, ma la ragion d’essere del mondo, trascina con sé l’indifferenza verso il bene comune e l’efficienza come valore supremo, a prescindere dall’oggetto del lavoro (segue pagina 10)
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Foto unicaradio
(segue dalla pagina 9) e dal suo impatto sociale e ambientale. Approcci che implicano la distanza, spesso incolmabile, ma artatamente celata di chi governa da coloro che si pretende governati. Logiche apparentemente sensate nel loro ordinarsi che hanno facilitato l’organizzazione di un mondo che fa acqua da tutte le parti, con conseguenti individualismo, competizione e solitudine tra le persone e che svalutano, in nome dell’efficienza e della tecnica, il valore della cultura e dello studio, cioè del confronto, della competenza e dell’autorevolezza. Ricordo una decina di anni fa, durante un convegno, una frase pungente di Pier Luigi Celli, all’epoca Direttore Generale della Luiss, l’Università di Confindustria. Mentre citava una poesia per spiegare un concetto organizzativo, tra il pubblico si levò una risatina. Allora si fermò per qualche secondo e poi spiegò il motivo per cui utilizzava una poesia per parlare di questioni organizzative. Cioè del modo in cui, aggiungo, organizziamo la nostra socialità, il modo in cui decidiamo come stare insieme: “Prima di tutto ci sono i poeti che comprendono i fenomeni. Poi arrivano gli scienziati che cercano di capire e dare una spiegazione logica a ciò che i poeti hanno compreso.
Poi arrivano i manager che banalizzano tutto”. Time in jazz non è cosa banale, è una impresa sociale, rigorosa e creativa anche nella sua componente manageriale. Bisogna fare esperienza dello staff che ci lavora, protagonista con Paolo Fresu della realizzazione di questa bellezza, per comprenderlo. Ma prima vediamo di cosa si tratta. Berchidda, meno di 3000 abitanti, si trova più o meno a metà strada tra Olbia e Sassari, in Gallura, ai piedi del monte Limbara, che da pineta si trasforma in macchia e granito, in una campagna di pastorizia e viticoltura. Per conoscere il paese conviene camminare tra le sue chiese campestri, ascoltando i cani che abbaiano in lontananza, guardando i falchi che osservano dall’alto cosa si muove là sotto e, se si è fortunati, respirando il profumo della terra dopo una pioggia estiva. Trentaquattro anni fa, dopo una prima iniziativa musicale realizzata nel campo parrocchiale, il sindaco chiese a un giovanissimo Paolo Fresu un progetto per il paese. Pochi giorni, qualche appunto, ed ecco l’idea. Un festival concepito per durare a lungo e avvicinare persone che altrimenti mai avrebbero conosciuto questo territorio.
Un festival di valore culturale ed economico. Berchidda, all’epoca, non era solo duro lavoro per produrre vino e formaggio, ma, come tutti i paesi, era ed è anche società. Istruzione e cultura, in tutta Italia, erano un valore e un’ipotesi di riscatto e superamento di antiche povertà, non solo economiche. Ma queste società non erano culturalmente povere. Contadini e operai, dotati di saperi e saggezza tecnica e naturalistica che stiamo perdendo, sin dal secolo prima, si erano organizzati per il proprio sviluppo producendo cultura. Nella banda musicale, ad esempio, si imparava a suonare e si stava insieme. Il paese era, come molti, terra di poesia e tradizioni culturali incarnate da uomini e donne dalle mani ruvide e dai volti segnati. Il padre di Paolo, Lillino, contadino e pastore era anche un poeta e uno studioso del linguaggio e dedicò molto tempo a trascrivere parole e modi di dire della sua terra per non farle svanire nell’aria come accade a qualsiasi lingua sotto la spinta dei cambiamenti. Il figlio racconta di aver raccolto insieme a lui più di 20.000 lemmi che prima o poi pubblicherà in un dizionario. Il paese, quindi, sembrava predisposto ad accogliere l’immaginazione di uno dei suoi figli che stava diventando sempre più famoso e che, oltre che musical-
mente e umanamente con la sua comunità, dialogava anche con i più grandi nomi musicali del mondo. E via via, con sempre maggiore intensità nel corso del tempo, con registi, scrittori, poeti, fotografi, pittori, scultori, tecnici, scienziati, semplici cittadini, ma non meno importanti, come con il pubblico: cresciuto negli anni numericamente e culturalmente grazie anche a questa frequentazione, e senza il quale gli artisti non esisterebbero. Trentaquattro anni sono un pezzo di storia individuale e collettiva durante i quali accadono molte cose. In questo caso anche nelle biografie incrociate di chi lavora per un progetto che si concentra, per noi spettatori, nei dieci giorni a cavallo di Ferragosto, ma che dura tutto l’anno, per decine di anni, segnando la propria esistenza. Una cosa che dà forma alla tua vita, la riempie. Un ritmo che diventa storia collettiva: frutto di una buona e reciproca dipendenza. Il contrario dell’individualismo becero e anti-biologico che abbiamo imparato dai Reagan e dalle Thatcher, a dispetto dei dati di realtà. Un tempo fatto di idee, collaborazioni, invenzioni, conflitti, professionalità emergenti, multiple e ibride, delusioni, soddisfazioni, nuove alleanze. (segue pagina 12)
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Foto timeinjazz
(segue dalla pagina 11) Si possono immaginare amicizie, amori che nascono o finiscono, figli che vengono al mondo. Qualcuno che ci lascia, da ricordare con nostalgia. Una trama di vita che si arricchisce e che finisce per rendere Berchidda uno dei luoghi più importanti della scena jazz internazionale. Un esempio virtuoso di globalizzazione. Qualcosa che rende questo paese unico. Dove si tocca con mano l’orgoglio per essere diventati importanti, ben oltre l’immaginazione: parte di una storia, quella del Jazz, che è storia d’America e del mondo. Nel nostro immaginario New Orleans, New York, Chicago. Le strade larghe con auto enormi tra grattacieli giganti. Proibizionismo e gangster. E poi neri e bianchi sul palco, ma divisi quando si tratta di dormire nello stesso albergo, dove il colore della pelle fa straccio della fama e dell’autorevolezza musicale che vanno a sbattere contro un cartello di divieto di ingresso ai niggers. E che oggi è diventato “I can’t breathe”. E poi Miles e Chet, Charlie e Dizzy. Louis ed Ella, Duke e Billie, whisky ed eroina. Una musica carsica che sconfina nel mondo sfidando la follia normativa di tutti i totalitarismi, pri-
ma di diventare culto e segno di libertà anche in Italia, che a sua volta si fa scuola. Anche qui, in Sardegna, dove il silenzio fa parte del paesaggio sonoro come le pause segnate in uno spartito. Terra aspra e dolce, pascolo e vermentino. Zuppa berchiddese: una meravigliosa tragedia per chi va al Festival e in vacanza anche con l’idea di perdere qualche chilo, ma poi non può resistere al secondo giro, nonostante si stia sotto un tendone al sole, ospiti per dieci euro di un gruppo di volontari che con soddisfazione ti riempiono il piatto anche di formaggio, pecora, insalata, tra vino bianco e rosso e dolci sardi. Forse il contesto non lo permette per la forza dei suoi legami, ma poteva anche succedere: poteva succedere che proiettato ai massimi livelli sul palcoscenico dell’arte e dello spettacolo, un artista decidesse la sua vita in un altrove di successo. Che se ne andasse per tornare ogni tanto con l’aria figa di chi ce l’ha fatta. Invece Paolo Fresu è ancorato. Esce con il suo bagaglio e poi ritorna con altri amici, mettendoli a disposizione. Crea connessioni generative in ambito artistico e nella sua comunità. Non separa il proprio successo personale da quello
degli altri. Racconta di inclusione, collaborazione e cooperazione. Certo, Berchidda non sarà un’oasi dove tutti si vogliono bene. Fare società è ostinata fatica, ma è proprio questo: mettere a disposizione il proprio sapere, condividere il proprio lavoro, creare progetti comuni, contesti in cui possano emergere talenti, facilitare la nascita di nuove professioni, favorire la crescita di giovani musicisti. Catalizzare e rendere vivo e nuovo ciò che c’è, consapevoli di un debito di gratitudine verso chi ti ha cresciuto. Ingredienti di una vita, di una politica e di una conseguente economia gentile che non sappiamo più riconoscere, offuscati dalle parole di sempre e dai limitati interessi di sempre. Così il Festival porta a Berchidda e nei comuni che lo sostengono persone (turisti, curiosi, amanti della musica, musicisti, artisti vari) che reciprocamente si arricchiscono e che si trovano qui anche per stare bene insieme nella settimana più caotica del mondo e dell’anno, Ferragosto, in uno spazio che accoglie tutti e mai ti fa sentire stretto. Alla fine, l’indotto di tre milioni di euro certifica che la cultura serve anche a mangiare e a vivere meglio.
Economia: trentaquattro anni fa, quando nessuno ne parlava, in Sardegna un giovane musicista e altri avventurosi danno vita a una cosa che sembra un festival, ma è soprattutto un’impresa sociale che oggi conosciamo come economia civile. Scuola di pensiero settecentesca nata a Napoli con la prima cattedra di economia del mondo. Oscurata poi dal successo planetario dell’economia anglosassone, sopravvive anch’essa, in forma carsica, in tutte quelle storie di imprenditori e cooperatori grandi e piccoli che non pensano a un mondo il cui scopo sia solo il profitto. Pensano che imprenditore sia chi ha un progetto e non chi vuole fare soldi e che gli utili siano un vincolo per fare bene le cose; che economia sia produrre ricchezza e condividerla; che il lavoro sia uno dei modi per rendere la propria vita viva e che la vita buona sia anche cultura; che il benessere si costruisca con e non contro gli altri; che business is business sia un modo nefasto di concepire l’esistenza, perché non si è mai vista, a parte nelle fantasie e pratiche horror di alcuni economisti, imprenditori, manager e politici un’economia senza persone; che economia è ciò che si fa per migliorare la vita delle persone nei luoghi in cui vivono. Il Festival dura nove giorni. (segue p 14)
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(segue da pagina 13) I concerti in piazza sono a pagamento, ma a un prezzo accettabile. Gli altri eventi, più di trenta concerti e poi cinema, libri, spazi per i più piccoli, si svolgono gratuitamente anche in comuni diversi che hanno la possibilità di farsi conoscere. Così possiamo raggiungere luoghi che non sono sulle guide turistiche e da cui rischiamo di slittare via inconsapevoli, passando in auto per andare dove i tracciati predefiniti ti portano. Luoghi bellissimi, magari curati dalla proloco che si prodiga per ripristinare un patrimonio storico, culturale e architettonico diffuso che le amministrazioni spesso non sanno, non possono o non vogliono salvaguardare. Luoghi che diventano anche più belli in quelle ore: senza bisogno di una struttura pesante si mettono strumenti e microfoni in un prato, su una piccola spiaggia, accanto a una chiesetta romanica che spunta alla fine di una stradella sterrata. Si porta l’elettricità con un furgone che accumula e restituisce energia con i pannelli solari. Dove noi pubblico siamo seduti per terra ad ascoltare, tra seggioline da spiaggia, asciugamani e stuoie, qualche ombrello quando il sole decide di raggiungerti senza sconti. Seduti insieme ad ascoltare musicisti che sono lì e che semplicemente
mettono a tua disposizione la loro arte. Con i quali puoi parlare, puoi scherzare anche durante il concerto e che poi ti ritrovi accanto al concerto successivo, perché vengono ad ascoltare i loro colleghi. Per poi magari dare vita ad un progetto musicale inedito: nuova linfa e innovazione che emergono dalle connessioni senza essere sbandierate. Con una distanza giusta, tra le persone. Con Paolo Fresu che, nonostante le fatiche organizzative e musicali, non manca un concerto. Lui, il “dirigente” più famoso del luogo, seduto per terra insieme al figlio, con gli altri e insieme a noi, testimone e garante del fatto che quei musicisti, quei cittadini, quel pubblico non sono comparse, ma protagonisti degni di essere ascoltati. Un modo di stare insieme diverso dall’immagine patinata e pesante di altri festival che sanno molto di enclave. Come la prima della Scala: bella, certo, ma un mondo a parte. Time in jazz letteralmente e metaforicamente segno di un modo altro di concepire la società. Con uno staff, e qui si ritorna al management di qualità, costantemente in apprendimento, che non separa mai la curiosità culturale dalla competenza tecnica. Perché qui non c’è solo un grande nome.
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Due tra tutti: il vulcanico Luca Devito, assistente personale di Paolo Fresu, con diploma in flauto traverso in conservatorio e Laurea in antropologia etnomusicale e un passato anche da tour manager e persino da tecnico delle luci. Insomma, uno che nella stessa giornata può occuparsi di aspetti tecnici organizzativi e presentare un libro o preparare una nuova rassegna, come è successo a Berchidda nell’agosto scorso: un festival bar per dare spazio a giovani talenti e per dimostrare scherzosamente a Paolo Fresu che “in un festival jazz si possono riempire le piazze anche con il rock!”. Oppure Mattea Lissia, affascinante e determinata Direttrice Generale del Festival che si occupa di tutto: organizzazione, finanziamenti, gestione amministrativa, fornitori, comunicazione, programma, contatti con artisti, aspetti normativi e legali, organizzazione di volontari, nuovi progetti. Attività a cui si aggiungono quelle di Presidente e fondatrice di un’associazione culturale al femminile, “Luna Scarlatta”, e di Direttrice artistica di un prezioso festival letterario, Pazza Idea, che si svolge a novembre a Cagliari, da ormai dieci anni, con presenze e attenzioni sempre crescenti sulla stampa nazionale. Manager, artisti, tecnici, intellettuali ad un tempo che
possono interloquire con un fornitore per i pasti e dialogare con uno scrittore di fama internazionale: un modo di concepire il management senza separare la tecnica dal pensiero, come Tullio De Mauro ci ha stimolati a pensare con la sua idea di cultura ampia, non divisiva, rispettosa. Una bella storia, dunque, che va oltre lo specifico musicale e da cui abbiamo molto da imparare. Una bella storia insieme ai tantissimi luoghi e progetti che in tutta la nostra Italia testimoniano di un modo di lavorare cooperativo, senza fanfare, in grado di cambiare la realtà e di creare qui e ora alternative al presente. Anche a questo presente. Perché l’anno scorso il Festival si è tenuto malgrado tutto. “Non si poteva dare il messaggio che si può fare a meno della cultura” dice Paolo Fresu. E poi, aggiungo io, queste sono le condizioni ottimali per garantire un reddito ai lavoratori dello spettacolo: a Berchidda, in quei dieci giorni di Festival, come sempre tutti seduti per terra all’aperto con indosso sgarrupati abiti estivi e vacanzieri, non c’è stato nemmeno un caso di contagio. Enrico Parsi è autore del volume “Tanto per cambiare” dedicato alle storie di economia civile con prefazione di Paolo Fresu. www.doppiozero.com/
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uova vita per le case cantoniere: pubblicato il bando ANAS. In Ogliastra quelle di Urzulei e Ilbono La regione con più fabbricati richiesti è la Sardegna (30). Due per l’Ogliastra, quelle di Urzulei e Ilbono Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un bando ANAS per l’assegnazione di 100 case cantoniere dislocate su tutto il territorio nazionale. In linea con gli strumenti urbanistici vigenti si prevede di realizzare nelle case cantoniere, sulla base delle proposte imprenditoriali e in funzione della localizzazione e della consistenza, un’attività ricettiva di qualità e funzioni complementari come ristorazione, bar o punti di ristoro, centri informativi e didattici, stazioni per la ricarica dei veicoli elettrici. «Anas ha pubblicato un bando per l’assegnazione di 100 case cantoniere dislocate su tutto il territorio nazionale, 30 delle quali in Sardegna. Spirito del bando, sulla scia della manifestazione d’interesse già indetta nei mesi scorsi, è quello di dare ai rossi caseggiati una destinazione nuova, turistica e culturale, che è quanto, da tempo, anche noi abbiamo chiesto e sollecitato. Molto bene» commenta il consigliere ogliastrino Salvatore Corrias. https://www.vistanet.
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it/ ubblicato oggi sulla Gazzetta Ufficiale un bando per l’assegnazione di 100 case cantoniere dislocate su tutto il territorio nazionale. “Questa operazione - spiega in una nota l’Amministratore Delegato di Anas, Massimo Simonini - si inserisce nell’ottica della riqualificazione, dell’accessibilità e della fruizione degli immobili di proprietà Anas. Attraverso il recupero di questi edifici dal rilevante valore iconico vogliamo promuovere un modello di sviluppo sostenibile in termini ambientali e socio economici per i territori dove sono ubicati, rivitalizzando l’economia locale ed i suoi microsistemi industriali, incentivando un turismo diffuso di qualità”. Per quanto riguarda la distribuzione geografica delle case cantoniere interessate dal bando, la regione con più fabbricati richiesti è la Sardegna (30), seguita da Lombardia (12), Abruzzo (10), Toscana e Lazio (entrambe 7). A quota 5 si attestano Puglia, Emilia Romagna, Calabria e Piemonte, mentre con 3 ciascuna Valle d’Aosta e Sicilia. Infine chiudono la lista, Marche, Campania e Veneto con 2 e Liguria ed Umbria con una ciascuna. Tra i soggetti che hanno depositato le richieste, il 41% è rappresentato da società, il 31% da privati, il 15%
RE IN SARDEGNA da Enti, Amministrazioni pubbliche e protezione civile, l’8% da associazioni e cooperative ed il restante 5% da aziende agricole. Le case cantoniere, nate nel 1830 e caratterizzate da quel colore rosso pompeiano che le ha rese celebri e riconoscibili nel tempo, diventeranno alberghi, ristoranti, bar e punti di informazione, restando un punto di riferimento importante a sostegno degli automobilisti. L’obiettivo del progetto pilota è, infatti, quello di aumentare i servizi al cliente stradale, sviluppando un brand associabile a concetti di autenticità, genuinità e legame con il territorio, con grande attenzione alla sostenibilità ambientale, all’efficienza energetica, alla sicurezza e all’innovazione tecnologica delle infrastrutture. E ancora: promuovere l’identità territoriale evidenziando le unicità del patrimonio locale. Le nuove attività imprenditoriali saranno lo strumento per far conoscere e apprezzare gli aspetti naturalistici, storici, culturali ed enogastronomici del territorio in cui si trova la casa cantoniera. Un altro aspetto importante del progetto sarà il coinvolgimento nella promozione e nella realizzazione dell’iniziativa imprenditoriale di altre realtà esistenti sul territorio.
La ristrutturazione dell’immobile sarà a carico di Anas mentre il concessionario avrà il compito di sviluppare le attività imprenditoriali in coerenza con le linee guida del bando ed in linea con gli strumenti urbanistici vigenti, garantendo i servizi di base definiti: pernottamento, bar e ristoro, free Wi-Fi, postazioni di ricarica per i veicoli elettrici e info point di informazione turistica. Per “contribuire alla rinascita di parte di quell’eccezionale patrimonio architettonico, sociale, culturale rappresentato dalle più di mille case cantoniere sparse sul territorio italiano”, l’Anas ha pubblicato il Manuale di progettazione. Il testo ha l’obiettivo di aiutare i progettisti nel recupero e valorizzazione delle case cantoniere e indica i requisiti che i progetti dovranno avere per essere ammessi al bando. Il progetto dovrà mantenere le peculiarità storico-stilistiche della casa dandole una nuova funzione, che costituisca una leva per lo sviluppo locale, senza dimenticare le tematiche dell’ecosostenibilità e dell’efficienza energetica. I soggetti interessati dovranno far pervenire le offerte digitali, corredate dalla documentazione richiesta, sul Portale Acquisti ANAS pena esclusione, entro le ore 12.00 del 15 giugno 2021. acquisti.stradeanas.it
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LA FERULA
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a ferula, contiene un inibitore della vitamina K responsabile della coagulazione, quindi se ingerita provocherebbe forti emorragie. Il bestiame però istintivamente ne conosce la pericolosità e non lo mangia. Il problema si pone quando pascoli e prati con ferula vengono La ferula, contiene un inibitore della vitamina K responsabile della coagulazione, quindi se ingerita provocherebbe forti emorragie. Il bestiame però istintivamente ne conosce la pericolosità e non lo mangia. Il problema si pone quando pascoli e prati con ferula vengono sfalciati insieme al fieno per fare scorta di mangime, in questo modo il bestiame non è più in grado di distinguerlo e lo ingerisce, con conseguenze in alcuni casi mortali. Negli anni ’60 i pastori sardi vista la vastissima diffusione della ferula, chiesero alla Regione interventi per eradicare questa pianta infestante. La Regione allora decise senza studi preliminari, senza nemmeno un censimento che accertasse il numero effettivo di capi morti a causa di quello che veniva chiamato “Mal della ferula”, una campagna di eradicazione della pianta. Si procedette tramite l’uso di diserbanti chimici come Picloram e
Tordon che non solo inquinarono terreni e falde acquifere, ma dal momento che venivano irrorati prima della fioritura, devitalizzavano la parte aerea e le radici che rimanendo nel terreno lo inquinavano anche con materiale marcescente. Oltre il danno anche la beffa, infatti la campagna di eradicazione risultò fallimentare, perché la ferula, fortunatamente continuò a proliferare indisturbata. Fulco Pratesi presidente del WWF, criticò aspramente tutta l’operazione, perché in realtà l’unica specie di ferula veramente tossica è quella che si trova sull’isola dell’Asinara. Questa pianta come tutta la flora spontanea ad endemica ha una sua funzione ben precisa nell’ecosistema ed eradicarla avrebbe provocato uno squilibrio. La ferula per esempio è l’unica pianta di cui si ciba il Papilio hospiton, una farfalla che allo stadio di bruco senza questa pianta si estinguerebbe. Inoltre la ferula, che produce un lattice tossico per alcuni predatori, consente ad altri insetti di depositare al sicuro le proprie uova. La tossicità di questa pianta attiva solo in alcune sue parti, varia da zona a zona, e anche in base alla stagione e a quanto ha piovuto. Comunque il suo gambo è commestibile cotto, in-
https://www.vistanet. it/cagliari/2021/03/18/ lo-sapevate-negli-anni-60-la-regione-cerco-di-eradicare-la-ferula-chimicamente-ma-fortunatamente-falli-miseramente-
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ITALOANTICOAPRE IL MUACC
fatti in tempo di guerra veniva cotto sotterrato sotto la brace e la sua polpa veniva mangiata. I suoi gambi resistenti ma leggeri, una volta essiccati venivano e vengono tuttora utilizzati per la realizzazione di piccoli mobili e soprammobili scolpiti. Inoltre la ferula è carissima ai cercatori di funghi infatti intorno alle sue radici cresce il pregiato pleurotus, il nostro “Cardulinu”.
E’
stato inaugurato in via Santa Croce 63 il MUACC - Museo Universitario delle Arti e delle Culture Contemporanee dell’Università di Cagliari. Nato dalla volontà del Magnifico Rettore Maria Del Zompo di creare un luogo d’incontro tra l’espressione artistica e le multiformi storie culturali del tempo presente, il nuovo Museo si inserisce nell’orizzonte dei principi affermati dall’Organizzazione Internazionale dei Musei (ICOM) e delle riflessioni specifiche sulla missione dei musei universitari. “L’arte è un bene inestimabile, la base della cultura e della società civile. In questo momento ancora di più con la pandemia vogliamo lanciare un segnale di speranza e di ripartenza, con il desiderio di vedere questo nostro museo il più possibile aperto. ”.Si tratta di una nuova iniziativa organizzata per i 400 anni di vita dell’Ateneo. L’allestimento, che comprende il fondo Maltese, é stato egregiamente completato da una cospicua donazione dell’artista e docente Italo Antico che ha non solo donato alcune delle sue opere ma ne ha inoltre prestato un numero conseguente in modo da completare il fondo Maltese che, nonostante la richezza delle opere esposte, non supera la dozzina di elementi.
vedi il video https://youtu.be/tMP4oXvtKqA
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ochi uomini politici sono stati amati come Enrico Berlinguer. Quando morì, nel 1984, per andare ai suoi funerali a Roma si mobilitarono milioni di persone. Il suo funerale è stato il più imponente della storia d’Italia, dopo quello di Giovanni Paolo II. Fu benvoluto persino dai suoi acerrimi rivali. La sua scomparsa lasciò un grande vuoto, non solo politico. Enrico Berlinguer nasce il 25 maggio del 1922 a Sassari. Nella cittadina trascorre l’infanzia e l’adolescenza, frequenta il liceo classico Azuni e nel 1940 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Nell’agosto del 1943 aderisce al PCI. Inizia allora il suo impegno politico con la partecipazione alle lotte antifasciste dell’Italia badogliana dove impera la guerra civile. Nel gennaio del 1944 viene arrestato con l’accusa di essere il principale istigatore delle manifestazioni per il pane, che si sono svolte nei mesi precedenti. Resta in carcere quattro mesi. A settembre si trasferisce a Roma con la famiglia, poi a Milano. La sua carriera politica nel PCI comincia nel gennaio del 1948, quando a ventisei anni entra nella direzione del partito e meno di un anno dopo
diventa segretario generale della FGCI, la Federazione giovanile comunista. È un uomo instancabile che gli amici descrivono timido e introverso. Un giovane dirigente comunista, lontano dalla mondanità e dai clamori della politica, che nel 1956 lascia l’organizzazione giovanile e l’anno dopo sposa a Roma Letizia Laurenti. Nel 1958 Berlinguer entra nella segreteria del partito per affiancare Luigi Longo, vicesegretario e responsabile dell’ufficio di segreteria. Da allora il rapporto fra Berlinguer e il segretario Togliatti diviene quotidiano. Togliatti si fida di questo giovane dirigente sardo, tanto che nel febbraio del 1960, al IX Congresso del PCI, lo vuole al posto di Giorgio Amendola come responsabile dell’organizzazione del partito e nel dicembre del 1961 chiede a Berlinguer di scrivere la relazione finale del comitato centrale del partito, dove proprio Amendola ha ripreso la polemica sui crimini stalinisti. Berlinguer remplace Luigi Longo comme secrétaire général en 1969 et s’affirme comme le dirigeant communiste européen le plus indépendant vis-à-vis de l’URSS. Artisan du recentrage du PC italien, qui remporte plus
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de 30 % des suffrages aux élections de 1976, Berlinguer échoue cependant dans sa stratégie du « compromis historique », qui aurait vu le parti intégrer un gouvernement de coalition avec le centre-droit. En effet, il tire de la chute du gouvernement Allende au Chili en 1973 l’analyse que l’union des forces de gauche, PCI et PSI, est insuffisante pour se maintenir durablement au pouvoir. Un compromis historique est donc nécessaire avec la Démocratie chrétienne qui domine, avec l’aide de l’Église catholique, la vie politique et la société civile en Italie. L’opposition déterminée du pape Paul VI à toute alliance avec le PCI, et celle des États-Unis, malgré la promesse de Berlinguer de maintenir l’Italie dans l’OTAN, restent insurmontables ; la tension politique née de l’assassinat d’Aldo Moro, partisan du compromis historique, en mai 1978, par les terroristes des Brigades rouges rend caduques la plupart des ouvertures politiques du PCI. Berlinguer est partisan, durant cette crise, d’une extrême fermeté, excluant tout dialogue du monde politique avec les terroristes. Il appuie en septembre 1980 les ouvriers de la Fiat en grève contre la mise au chômage partiel de 24 000 d’entre eux y compris « s’ils occupent » l’entreprise.
L’historien Guido Liguori note que « Berlinguer voulait que le PCI se réapproprie pleinement la représentation de classe. Il voulait soutenir les luttes, surtout quand la situation était la plus dramatique. » D’après le juge Rosario Priore (it), des agents soviétiques auraient tenté de l’assassiner en 1973 lors d’un voyage en Bulgarie. En 1975, il propose une politique d’autonomie vis-à-vis de l’URSS aux PC français et espagnol; c’est l’eurocommunisme, au nom duquel les trois partis communistes critiquent la politique intérieure des pays socialistes et de l’Union soviétique. Il conçoit le courant eurocommuniste comme une alternative à gauche à la social-démocratie et au socialisme soviétique avec pour objectif le «dépassement du capitalisme ». Il s’en explique notamment dans un article intitulé “L’identité du PCI”, paru en aout 1978: «Nous voulons parvenir à réaliser, dans l’Occident européen, un modèle économique, social, étatique, qui ne soit plus capitaliste mais qui ne recopie aucun modèle et ne répète aucune des expériences socialistes jusqu’ici réalisées, et qui, en même temps, ne se réduise pas à exhumer des expériences de type social-démocrate, (segue pagina 22)
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(segue dalla pagina 21) lesquelles se sont limitées à la gestion du capitalisme. Nous sommes pour la troisième solution, laquelle répond justement à l’impossibilité de se satisfaire de la situation mondiale actuelle. » En 1976, devant les délégués du XXVe congrès du PCUS, à Moscou, Berlinguer réclame un « système pluraliste» de socialisme, qui sera traduit en russe par « système multiforme ». En 1981, il déclare, au cours d’un interview : «la force progressiste issue de la Révolution d’Octobre est définitivement épuisée. » Concernant l’eurocommunisme, le soutien des communistes français à la politique étrangère soviétique et l’éclatement du parti espagnol après le retrait de Santiago Carrillo désagrègent cette union. Le soutien logistique de l’URSS aux Brigades rouges accentue la rupture du PCI avec les pays socialistes car Berlinguer y voit la main de Moscou pour contrer sa stratégie d’accès au pouvoir. Il condamne fermement l’invasion de l’Afghanistan par l’Armée rouge en décembre 1979, l’état de siège en Pologne de décembre 1981 et soutient le gouvernement italien dans la crise des euromissiles dans les années 1980. En novembre 1982, il se rend aux obsèques de
Léonid Brejnev, mais n’est pas reçu par son successeur, Iouri Andropov, qui entend ainsi lui exprimer son mécontentement. Le soir du 7 juin 1984, alors qu’il tient une réunion publique sur une place de Padoue dans le cadre de la campagne pour les élections européennes, Berlinguer est brusquement frappé de malaise. Il achève péniblement son discours, soutenu par la foule qui scande son prénom, parle encore une minute avant d’abandonner le micro. Il est emmené à son hôtel où il sombre dans le coma. Hospitalisé, il est opéré en urgence d’une hémorragie cérébrale mais meurt le 11 juin, âgé de 62 ans. Six jours plus tard, son parti arrive pour la seule fois de son histoire en tête d’élections, avec une avance de 0,3 % sur la Démocratie chrétienne (33,3 % contre 33 %). Avec cette disparition, le PCI est privé d’un chef charismatique et populaire, alors même que le parti éprouve des difficultés à renouveler son offre politique. Dans les années qui suivent, le Parti communiste subit une érosion de ses résultats électoraux : Achille Occhetto, devenu chef du parti en 1988, pousse plus loin les conclusions de Berlinguer en concluant à la nécessité d’une refonte idéologique totale.
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Sous sa direction, le PCI s’auto-dissout en 1991 et laisse la place au Parti démocrate de la gauche qui, tout en revendiquant son héritage, renonce à l’identité communiste. Les cadres du PCI hostiles à cet abandon de l’étiquette communiste fondent alors de leur côté le Parti de la refondation communiste. Berlinguer a estimé, dès la fin des années 1960, que le modèle soviétique n’était pas adapté à l’Occident; l’invasion de la Tchécoslovaquie en 1968 et de l’Afghanistan en 1979 le convaincront que l’Union soviétique ferait toujours passer ses intérêts géopolitiques avant la cause du socialisme, et l’épisode des Brigades rouges le renforcera dans cette analyse. Si la stratégie eurocommuniste de Berlinguer de compromis historique avec la Démocratie chrétienne s’est montrée électoralement payante, elle n’a jamais pu, à l’inverse du PCF, déboucher sur une participation à un gouvernement. https://www.vistanet.it/cagliari/2021/03/17/sardi-famosi-enrico-berlinguer-uno-dei-politici-piu-amati-di-sempre/ https://www.humanite.fr/enrico-berlinguer-la-volonte-de-renover-le-communisme www.wikipedia.org
uattro articoli salvi su 31. Il Governo ha contestato quasi integralmente la legge sul Piano casa approvata dal Consiglio regionale della Sardegna il 18 gennaio scorso. Le motivazioni dell’impugnazione sono state pubblicate oggi nel sito del ministero degli Affari regionali e per tutte le norme censurate viene fatto presente che l’intervento regionale è illegittimo perché deroga al Piano paesaggistico regionale (Ppr) che non è derogabile. Non solo: lo fa sulla base di una scelta unilaterale della Regione, quindi sottraendosi all’obbligo di copianificazione previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e all’intesa stipulata con lo Stato (sottoscritta nel 2007 con il ministero dei Beni culturali per l’adeguamento congiunto del Ppr e per la copianificazione per quanto riguarda le zone interne). Quindi, secondo il Governo, la legge sul Piano casa lede il principio di leale collaborazione nei confronti dello Stato. Nelle lunghissime motivazioni, il testo è definito come “una serie sistematica di modifiche all’ordinamento regionale che consentono: la realizzazione di interventi edilizi, anche di rilevante impatto, in deroga non solo alla pianificazione urbanistica comunale, ma anche (segue pagina 24)
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PIANO CASA SARDEGNA
(segue dalla pagina 23) a quella paesaggistica; l’irrilevanza/sanatoria di illeciti edilizi, al di fuori dei casi e limiti previsti inderogabilmente dalla disciplina statale”. In questo modo, “viene, agevolata la massiccia trasformazione edificatoria del territorio, anche in ambiti di pregio, determinando un grave abbassamento del livello della tutela del paesaggio”. Tra le norme impugnate, quella che prevede edificabilità in agro perché “in contrasto con la finalità dichiarata di salvaguardia dei territori rurali, prestandosi, al contrario, a determinare la trasformazione di insediamenti rurali in insediamenti abitativi, con conseguente grave rischio di fenomeni di c.d. dispersione urbana”. Bocciata la pianificazione del sistema delle scuderie della Sartiglia di Oristano perché “consente in maniera indiscriminata su tutto l’agro comunale di Oristano, l’edificazione di strutture zootecniche, in spregio alle previsioni del Ppr e al di fuori delle previsioni degli strumenti urbanistici”. Semaforo rosso a tutti gli ampliamenti volumetrici, considerato che solo nella zona A è richiesto il rispetto della disciplina del Ppr. No anche a recuperi di piani pilotis perché “in grado di alterare l’aspetto esteriore dei fabbricati, comportandone lo stravolgimento a livello visivo”.
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ensurato l’articolo 11 relativo al fatto che “i volumi oggetto di condono edilizio sono computati nella determinazione del volume urbanistico cui parametrare l’incremento volumetrico”. Ebbene, secondo il Governo “la norma ha l’effetto dirompente di capovolgere il principio statale, posto alla base del cosiddetto Piano casa, in base al quale gli abusi edilizi, benché oggetto di sanatoria, non sono mai computabili ai fini di ottenere premialità edilizie su quei volumi, pur sempre frutto di attività illecita”. Sempre in materia di sanatorie, per quanto riguarda le tolleranze edilizie (previste nella legge impugnata fino al 5 per cento, ma fino al 2 per cento nel testo unico del 2001) nelle motivazioni si fa notare che “l’ampliamento dell’area delle tolleranze edilizie comporta anche l’effetto di depenalizzare abusi edilizi, con conseguente violazione anche della potestà esclusiva dello Stato in materia di ordinamento penale”. L’impugnazione da parte del Governo della legge sull’interpretazione autentica del Ppr e della proroga del Piano casa è un successo per gli ambientalisti che, dall’inizio, avevano dichiarato guerra ai due provvedimenti. Il Gruppo di intervento giuridico (Grig) ha avviato una raccolta di firme che ha superato il traguardo delle
trentacinquemila per una petizione che ha come obiettivo salvare l’Isola “da nuove colate di cemento sui litorali”. I due provvedimenti impugnati dal Governo, andranno davanti alla Corte Costituzionale che dovrà valutarne il merito. Per i rappresentanti del Grig, però, le 35mila firme raccolte sono un segnale forte rispetto alla volontà da parte dei cittadini di mantenere il vincolo di inedificabilità nella fascia dei 300 metri sulla costa, vincoli previsti dalle leggi vigenti e dal Piano paesaggistico regionale. “Migliaia e migliaia di cittadini (commenta il leader del Grig, Stefano Deliperi) chiedono a gran voce una scelta di salvaguardia ambientale, una scelta per preservare il futuro, una scelta di civiltà. Altro cemento sulle coste non vuol dire turismo, significa solo degrado ambientale e perdita di attrattiva”. Il Grig, inoltre, rivendica la battaglia che ha portato all’impugnazione, ricordando che “il Consiglio regionale, a maggioranza, ha approvato una legge illegittima di interpretazione autentica del Ppr che consentirebbe la riscrittura del piano nelle sue parti fondamentali (fascia costiera, zone agricole, beni identitari). In pratica (denuncia Deliperi) la Giunta Solinas sarebbe così autorizzata a mettere mano alle parti fondanti del Ppr in gelosa quanto interessata solitudine, senza
ottemperare agli obblighi di pianificazione congiunta con il Mibatc. La motivazione dichiarata, legata al voler consentire il completamento della nuova strada statale a quattro corsie Sassari-Alghero, è una sfrangiata foglia di fico che maldestramente prova invano a coprire la solita, consueta, voglia mattonara”. Atteggiamento prudente da parte del Wwf Italia che se da un lato gioisce per l’impugnazione dall’altro avverte: “Non è il momento di facili trionfalismi perché, prima che le Corte Costituzionale si pronunci, le leggi sono comunque in vigore e possono già produrre effetti”. Il delegato, Carmelo Spada, infatti, annuncia: “Qualora venissero rilasciate autorizzazioni regionali o comunali che porterebbero alla compromissione della coste, del patrimonio ambientale e della biodiversità della Sardegna, la nostra associazione valuterà l’opportunità di presentare ricorso al Tar con richiesta di sospensiva dell’eventuale atto concessorio”. Spada ricorda anche che, nelle scorse settimane, “il Wwf Italia aveva inviato un dossier con la richiesta di impugnare la legge regionale n.21 approvata dalla regione Sardegna il 13 luglio 2020 e l’ennesimo rinnovo del Piano casa al 31 dicembre 2020″. www.sardiniapost.it/
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DESACRE’
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esacrè, acrònimu de “Design sartoriale creativo ecosostenibile”, est unu progetu de artesanau eco-sustenìbili. Ddoi traballant maistas de pannu chi impreant materialis chi arrispetant s’ambienti, materialis chi a bortas ndi benint de s’ambienti etotu o benint torraus a impreai e funt duncas reciclaus. Desacrè est un’azienda nàscia a s’acabbu de su 2018 de una pensada de Viviana Pes e Valentina Deriu, fèminas nugoresas de gabali chi ant inghitzau a cuncordai custa faina e a traballai impari giai in su 2014. Oi dda ghiant e ndi funt su coru, a pustis de ai studiau e ai postu is cumpetèntzias insoru aìnturu de unu progetu innovativu chi punnat a ponni in pratiga sa filosofia de su reciclu. Sa coperativa sotziali chi produsit manufatus po impreus fitianus, trastos de design ecològicu, bistiris po atoris de teatru, piazamentus artìsticus, aparìciat puru cursus de formatzioni po pipius e mannus. Difatis is atividadis didàticas funt de importu e de fundamentu in is tareas insoru: is laboratòrius de draperia ddus stùdiant aposta po imparai a is discentis, po mori de s’arti de cosiri, is sentidus de su riciclu e de sa sustenibilidadi ambientali. Su laboratòriu de Nùgoro innui traballant est unu logu spantosu innui
is maistas de pannu chi funt artistas ammostant is fainas insorus, comenti is bussas chi cuncordant totu cun materialis torraus a impreai, po nai su chi abarrat de cartellonis publitzitàrius in pvc chi agatant in is museus , is cinturas de seguresa de veturas bècias, sa gommapiuma, is arretàllius de tapesseria. Materialis chi acostant e ammesturant cun imbentu a arroba tèssia de sa traditzioni sarda o tessìngius prus modernus o fatus de fibras naturalis. Una de is prus famadas intra de custas bussas dd’ant dedicada a su scultori sardu Francesco Ciusa e dd’ant fata cun su striscioni publitzitàriu chi promoviat sa mustra permanenti in su museu Tribu. Po favoressi s’economia circolari Desacrè sighit puru su refashion, est a nai una manera de mudai, de torrai a manixai e de arrangiai bistiris donendi-ddis una bisura noa. In mesu a is àteras fainas in sa butega artesana fait a apretziai sa lìnia de is “Prendas de sa terra”, manufatus ordimingiaus sceti cun materialis de orìgini naturali. Intra de custus ddoi funt is prendas de ‘Ortigu’, un’artista nugoresu chi traballat is tuponis de ortigu riciclaus boghendi-ndi lòrigas, collanas, bratzaletus e fintzas craixeddas Usb chi parint diaderus sculturas. Ddoi funt puru prendas fatas cun is fibras de sa figu
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morisca chi cuncordat una picioca de Casteddu agatendi una manera fini e geniosa de portai sèmpiri avatu unu biculeddu de Sardìnnia. Sa coperativa difatis in prus de fai ammostu de is traballus de is artistas chi dd’ant fundada, cumbidada a àterus artistas po ammostai is òberas insoru e ponni in rèlata is maneras diferentis de imbentai sèmpiri cun arrispetu po s’ambienti e po sa terra nosta. Is òberas duncas chi agataus in su de Desacrè funt s’arresurtau de circas e de sperimentatzionis chi cosint a pari connotu e benidori donendi vida a trastus ùnicus e originalis chi sciint contai de issas, de custa ìsula, de un’ambienti chi tocat amparau, chena de perdi mai sa bellesa e sa finesa artìstica. Su progetu est una realidadi chi est tenta in cosideru mannu ca at fatu de s’imbentu eco-sustenìbili sa ghia sua, giai giai comenti unu manifestu de is intentus chi tocat a tenni sèmpiri in menti in su traballu e in sa vida. Difatis dònnia produtzioni e dònnia sceberu Viviana Pes e Valentina Deriu ddas faint in manera sintzilla e artesanali, a cumentzai de sa circa de is materialis fintzas a lòmpi a s’arresurtau po sa bèndida, sighendi un’inditu èticu e sustenìbili chi aciungit a su valori artìsticu su valori fungudu de s’arrispetu. Manuela Ennas
https://www.sardiniapost. it/lapis/desacre-maistas-de-pannu-chi-arrispetant-sambienti/
all’hobbistica alla cooperazione sociale, dall’artigianato all’inclusione. Il collettivo femminile Desacrè (Design sartoriale creativo sostenibile) dopo quattro anni di esperienza sul campo, decide di fare il salto di qualità e diventare grande. Tre giovani donne: Viviana Pes, Valentina Deriu e Anna Orunesu hanno deciso di creare una onlus, una cooperativa sociale rivolta alle persone disagiate e socialmente svantaggiate. Il nuovo progetto è stato presentato nello Spazio giovani di via Calamida nel corso dell’evento “Desa-Clou, il momento di esserci” organizzato per raccogliere fondi per la costituzione della Onlus. «A breve partiremo regalando alla città un nuovo spazio dedicato alla creatività, alla formazione e alla cultura della sostenibilità. Abbiamo avuto la possibilità di spiegare obiettivi e finalità della nascente cooperativa Desacrè che dopo quattro anni di lavoro e scambi di competenze ha deciso di intraprendere un nuovo cammino». Laboratori creativi per i bambini, studiati per introdurli nel mondo del cucito e del riciclo; progetti per le scuole di ogni ordine e grado; esperienze formative per mettere (segue pagina 28)
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Foto ilpunto.it
(segue dalla pagina 27) in pratica la teoria appresa tra i banchi scuola, sono tra le principali attività che verranno organizzate dalla nascente cooperativa che vuole scommettere sui lavori ecosartoriali promuovendo anche l’attività di artigiani della città e del resto della Sardegna. «La nostra idea è di organizzare workshop e vendite dirette, rendendo il nostro spazio aperto a tutti (aggiungono Viviana, Valentina e Anna). Vorremo creare una realtà etica, sostenibile e inclusiva, creando manufatti ecosostenibili e promuovendo laboratori di sensibilizzazione al riciclo a al riuso rivolte a tutte le fasce di età, con particolare attenzione agli studenti, ai giovani e alle persone con particolare svantaggio socio lavorativo. Una realtà che ancora a Nuoro non esiste ma che va a gonfie vele in altre parti dell’isola». Una storia la loro iniziata 4 anni fa nei locali del Cesp, il centro etico e sociale di Pratosardo, dove il Cesil in collaborazione con il Centro di ricerca economica e sociale “Occhio del riciclone” aveva organizzato un corso. Un gruppo di donne di età compresa tra i 30 e i 50 anni. Qualcuna è sarta, qualche altra è laureata in design della moda e possiede competenze artistiche e creative. Sono tutte nuoresi dispo-
ste a fare grandi sacrifici per non rinunciare a lavorare, per uscire dallo stato di “disoccupate a vita” nel quale sarebbero potute restare barricandosi dietro la scusa della crisi economica e sociale. Inizialmente sono in quindici, ma il gruppo si riduce pian piano a tre, ovvero le ragazze che oggi costituiscono Desacrè. Il nome scelto dal gruppo sta ad indicare il Design, Sartoriale, Creativo Sostenibile. Infatti, attraverso il materiale riciclato, cartelloni pubblicitari, banner pubblicitari in pvc provenienti dal circuito museale, gommapiuma, cinture di sicurezza, scarti di tappezzeria e iuta, creano pezzi unici che vanno dagli accessori di moda agli elementi d’arredo. Con i banner pubblicitari hanno creato diverse linee di borse, una è dedicata a Francesco Ciusa, ed è ricavata dallo striscione pubblicitario che promuoveva la mostra permanente del TRIBU. Sono borse uniche nel loro genere e particolarmente fantasiose. Così, l’avventura imprenditoriale intrapresa alcuni anni fa, si è tramutata in realtà concreta comprensiva di attività tra le quali l’hobbistica, l’artigianato, la cooperazione e l’inclusione sociale. La piccola cooperativa sociale nasce ufficialmente nel novembre 2018, sebbene operi come collettivo
dal 2014, e in questi anni ha portato avanti la produzione di accessori ma anche diversi progetti di utilità sociale. Il fine del gruppo di imprenditrici è insegnare l’arte dell’ecosartoria agli adulti, ai bambini e persino alle categorie protette e la creatività e la capacità di mettersi in gioco sono stati gli ingredienti che hanno permesso la creazione di oggetti particolari e unici nella loro fattura. Il Brand Made in Nuoro è un bell’esempio di coraggio e tenacia che sta venendo sempre più premiato. Le ragazze sono alla costante ricerca di un design unico e accattivante. La sperimentazione di nuovi materiali, forme e mezzi comunicativi è fondamentale per Desacrè, che affianca alla produzione di accessori la realizzazione di installazioni, arredi, abiti, scultura, costumi per artisti e performer, merchandising per musei, privati e aziende. Tutti i prodotti sono pezzi unici realizzati in modo artigianale con materiali di riciclo. Il processo produttivo, dal design all’assemblaggio, è frutto dell’esperienza del gruppo sartoriale che, con passione e dedizione, cerca di invertire le attuali dinamiche di mercato proponendo un modello lavorativo ecosostenibile e armonioso, senza mai tralasciare il
valore artistico dell’oggetto. Le donne, artiste-artigiane prendono l’ispirazione per le loro creazioni dalle numerose attività laboratoriali ideate per adulti e bambini, il continuo confronto con gli altri infatti permette loro di evolvere, imparare e mettersi costantemente il gioco. Nel piccolo laboratorio-showroom, ubicato in via Roma 21 a Nuoro, è possibile acquistare oltre i prodotti di Desacrè anche piccoli capolavori prodotti da designer, artisti, artigiani locali, inoltre si possono ricevere lezioni individuali o organizzare piccoli gruppi di lavoro. «Da allora abbiamo portato avanti una collaborazione con la Lariso che, fungendo da incubatore di impresa, ci ha messo a disposizione gli spazi di quella che poi è diventata la nostra sartoria». È lì, nei locali della zona industriale che è nata la linea Desacrè: borse, astucci e oggettistica creati utilizzando solo materiale di riciclo. «Le tracolle non sono altro che cinture di sicurezza delle auto e il telaio parti dei banner pubblicitari. Solo le cerniere di plastica sono gli unici elementi non riciclati. E non appena avremo i macchinari nuovi potremo provare altri materiali coinvolgendo nella nostra avventura tutta la città». (segue pagina 30)
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www.ilpuntoquotidiano.it/desacre-lartigianato-diventa-arte-creativa/ w w w. l a n u o v a s a r d e gna.it/nuoro/cronaca/2018/09/24/news/ desacre-la-scommessa-di-tre-donne-1.17283528 w w w. s a r d i n i a p o s t . it/lapis/desacre-mai stas-de-pannu-chi-arrispetant-sambienti/
Foto andreaserreli
FORMAGGIO PERICOLOSO
(segue dalla pagina 29) Tra i prodotti che si possono ammirare nella vetrina di Desacrè (presidente della coooperativa sociale Viviana Pes) i gioielli de “La ragazza del fico d’india”. Sono vere opere d’arte che raccontano la storia della natura della Sardegna. Le più belle fibre del fico d’india vengono dorate al sole della nostra isola e racchiuse sotto la resina, per far indossare alle donne il racconto di una terra e dei suoi colori. Dalla delicatezza delle foglie degli alberi nasce invece “Leaves”, una collezione che incastona in un delicato gioiello la leggerezza delle venature delle piccole foglie locali. Nel piccolo atelier quindi si possono trovare capolavori d’arte di mirabile fattura e non mancherà di sicuro, per ogni visitatore del laboratorioshowroom, una calorosa accoglienza da parte dell’operoso gruppo di imprenditrici del Desacrè. Virginia Mariane
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isola italiana di Sardegna si trova nel mezzo del Mar Tirreno, guardando l’Italia da lontano. Circondata da una costa di 1.849 chilometri di spiagge di sabbia bianca e acque color smeraldo, il paesaggio interno dell’isola sale rapidamente a formare colline e montagne impervie. Ed è all’interno di queste curve spigolose che i pastori producono il casu marzu, un formaggio infestato da vermi che, nel 2009, il Guinness World Record ha proclamato il formaggio più pericoloso del mondo. Le mosche del formaggio, Piophila casei, depongono le loro uova nelle fessure che si formano nel formaggio, di solito il fiore sardo, il pecorino salato dell’isola. Le larve si schiudono, facendosi strada attraverso la pasta, digerendo le proteine nel processo, e trasformando il prodotto in un formaggio morbido e cremoso. Poi il casaro apre la parte superiore - che non è quasi toccata dai vermi - per estrarre un cucchiaio di questa cremosa delicatezza. Non è un momento per i deboli di cuore. A questo punto, le larve all’interno cominciano a dimenarsi freneticamente. Alcuni locali fanno girare il formaggio in una centrifuga per fondere le larve con il formaggio.
Ad altri piace al naturale. Aprono la bocca e mangiano tutto. Se si riesce a superare il comprensibile disgusto, il marzu ha un sapore intenso che ricorda i pascoli mediterranei e speziato con un retrogusto che rimane per ore. Alcuni dicono che è un afrodisiaco. Altri dicono che potrebbe essere pericoloso per la salute umana perché le larve potrebbero sopravvivere al morso e creare la miasi, microperforazioni nell’intestino, ma finora nessun caso del genere è stato collegato al casu marzu. Il formaggio è vietato alla vendita commerciale, ma i sardi lo mangiano da secoli, larve saltanti comprese. “L’infestazione di larve è l’incantesimo e la delizia di questo formaggio”, dice Paolo Solinas, un gastronomo sardo di 29 anni. Dice che alcuni sardi rabbrividiscono al pensiero del casu marzu, ma altri cresciuti con una vita di pecorino salato amano senza ritegno i suoi sapori forti. “Alcuni pastori vedono il formaggio come un piacere personale unico, qualcosa che solo pochi eletti possono provare”, aggiunge Solinas. Quando i turisti visitano la Sardegna, di solito finiscono in un ristorante che serve il porceddu sardo, un maialino da latte arrostito lentamente, visitano i fornai che vendono il pane carasau, una tradizionale
vedi il video https://youtu.be/ LymNQnKxpdQ
focaccia di carta sottile, e incontrano i pastori che producono il fiore sardo, il formaggio pecorino dell’isola. Eppure, se sei abbastanza avventuroso, è possibile trovare il casu marzu. Non dovrebbe essere visto come una strana attrazione, ma un prodotto che mantiene viva un’antica tradizione e accenna a come potrebbe essere il futuro del cibo. Giovanni Fancello, un giornalista e gastronomo sardo di 77 anni, ha passato la vita a fare ricerche sulla storia del cibo locale. L’ha fatta risalire al tempo in cui la Sardegna era una provincia dell’impero romano. “Il latino era la nostra lingua, ed è nel nostro dialetto che troviamo tracce della nostra cucina arcaica”, dice Fancello. Il formaggio può essere prodotto solo in certi periodi dell’anno, quando il latte di pecora è giusto. Non c’è traccia scritta di ricette sarde fino al 1909, secondo Fancello. Fu allora che Vittorio Agnetti, un medico della terraferma modenese, viaggiò in Sardegna e compilò sei ricette in un libro chiamato : “La nuova cucina delle specialità regionali”. “Ma noi abbiamo sempre mangiato vermi”, dice Fancello. “Plinio il Vecchio e Aristotele ne parlavano”. (segue pagina 32)
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Foto andreaserreli
(segue dalla pagina 31) Dieci altre regioni italiane hanno la loro variante di formaggio infestato dai vermi, ma mentre i prodotti altrove sono considerati una tantum, il casu marzu è intrinsecamente parte della cultura alimentare sarda. Il formaggio ha diversi nomi, come casu becciu, casu fattittu, hasu muhidu, formaggio marcio. Ogni sottoregione dell’isola ha il suo modo di produrlo utilizzando diversi tipi di latte. I buongustai ispirati dalle imprese di chef come Gordon Ramsay vengono spesso alla ricerca del formaggio, dice Fancello. Ci chiedono: “Come fate il casu marzu? Fa parte della nostra storia. Siamo i figli di questo cibo. È il risultato del caso, di eventi magici e soprannaturali”. Fancello è cresciuto nel paese di Thiesi con suo padre Sebastiano, che era un pastore che faceva il casu marzu. Fancello pascolava le pecore della sua famiglia nei pascoli intorno al Monte Ruju rurale, perso tra le nuvole, dove si credeva che avvenisse la magia. Ricorda che per suo padre il casu marzu era un dono divino. Se i suoi formaggi non venivano infestati dai vermi, si disperava. Una parte del formaggio che produceva rimaneva per la famiglia, altri andavano agli amici o alle persone che lo richiedevano.
Il Casu Marzu è tipicamente prodotto alla fine di giugno, quando il latte di pecora locale comincia a cambiare mentre gli animali entrano nel loro periodo riproduttivo e l’erba si asciuga dal calore estivo. Se soffia un vento caldo di scirocco il giorno della produzione del formaggio, la magia che trasforma il formaggio funziona ancora di più. Fancello dice che è perché il formaggio ha una struttura più debole, rendendo il lavoro della mosca più facile. Dopo tre mesi, la prelibatezza è pronta. Mario Murrocu, 66 anni, mantiene vive le tradizioni del casu marzu nella sua azienda agricola, l’Agriturismo Sa Mandra, vicino ad Alghero, nel nord della Sardegna. Tiene anche 300 pecore e ospita turisti nella sua trattoria, e mantiene vive le tradizioni del casu marzu. “Sai quando una forma diventerà casu marzu”, dice. “Lo vedi dall’insolita consistenza spugnosa della pasta”, dice Murrocu. Al giorno d’oggi, questo non è tanto dovuto alla fortuna quanto alle condizioni ideali che i casari ora usano per garantire il maggior numero possibile di casu marzu. Hanno anche trovato il modo di usare vasi di vetro per conservare il formaggio, che tradizionalmente non
durava più di settembre, per anni. Anche se venerato, lo status legale del formaggio è una zona grigia. Il casu marzu è registrato come prodotto tradizionale della Sardegna e quindi è protetto a livello locale. Tuttavia, è stato considerato illegale dal governo italiano dal 1962 a causa delle leggi che vietano il consumo di cibo infetto da parassiti. Coloro che vendono il formaggio possono affrontare multe elevate fino a 50.000 euro (circa 60.000 dollari), ma i sardi ridono quando gli si chiede della proibizione del loro amato formaggio. Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha iniziato a studiare e a far rivivere la nozione di mangiare larve grazie al concetto di novel food, dove gli insetti vengono allevati per essere consumati. La ricerca mostra che il loro consumo potrebbe aiutare a ridurre le emissioni di anidride carbonica associate all’allevamento di animali e contribuire ad alleviare la crisi climatica. “Molte culture associano l’insetto a un ingrediente”, dice Flore. Detto questo, i sardi preferiscono il formaggio al verme e sono spesso inorriditi dall’idea che la gente mangi scorpioni o grilli in Thailandia. Flore dice di aver viaggiato in tutto il mondo per
studiare come le diverse culture si avvicinano agli insetti come cibo e crede che, mentre le barriere psicologiche rendono difficile modificare radicalmente le abitudini alimentari, tale consumo è diffuso. “Come si fa a definire il cibo commestibile?”, dice, “Ogni regione del mondo ha un modo diverso di mangiare gli insetti”. È convinto che la prelibatezza sarda sia sicura da mangiare. “Credo che nessuno sia mai morto mangiando casu marzu. Se è successo, forse erano ubriachi. Sai, quando lo mangi, bevi anche molto vino”. Flore spera che il casu marzu si liberi presto del suo status di clandestinità e diventi un simbolo della Sardegna - non per la sua insolita produzione, ma perché è emblematico di altri cibi che stanno scomparendo perché non si adattano ai moderni gusti mainstream. Nel 2005, i ricercatori dell’Università sarda di Sassari hanno fatto il primo passo in questa direzione: hanno allevato mosche in laboratorio e le hanno fatte infettare dal pecorino per dimostrare che il processo può avvenire in modo controllato. Gli isolani e i ricercatori sperano che l’Unione Europea si pronunci presto a loro favore. (segue pag. 34)
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Fino ad allora, chiunque voglia assaggiarlo dovrà chiedere in giro quando arriva in Sardegna. Per coloro che sono disposti a sospendere le preoccupazioni su ciò che stanno mangiando, offre un’esperienza autentica che ricorda un tempo in cui nulla veniva gettato via e quando i confini di ciò che era commestibile o meno erano meno ben definiti. Il casaro Murrocu dice che, opportunamente, la gente del posto ha una mentalità aperta sul modo migliore di mangiare il casu marzu, ma si sa che alcuni altri accorgimenti regionali aiutano a farlo scivolare giù più facilmente. “Spalmiamo il formaggio sul pane carasau bagnato e lo mangiamo”, dice. “Ma si può mangiare come si vuole, purché ci sia del formaggio marcio e un buon vino cannonau”. Una tale prelibatezza dovrebbe essere diffusa nei migliori negozi alimentari del mondo e naturalmente venduta ad un prezzo conseguente. Agostino Petroni, Foto di Andrea Serreli Pubblicato in CNN 18th March 2021 Tradotto dall’inglese Testo originale dell’articolo qui https://edition.cnn.com/ travel/article/casu-marzu-worlds-most-dangerous-cheese/index.html
Foto casadegliesploratori.it
(segue dalla pagina 33)
L’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare ha dato il via libera al consumo alimentare della tarma della farina, un verme dichiarato commestibile. Altri vermi, ben più conosciuti in Sardegna e consumati fin dall’alba dei tempi, quelli del casu marzu, sono stati banditi dalle tavole di tutto il mondo. Nell’Isola monta la polemica.
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Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare ha dato il via libera al consumo alimentare della tarma della farina, un verme dichiarato commestibile. Altri vermi, ben più conosciuti in Sardegna e consumati fin dall’alba dei tempi, quelli del casu marzu, sono stati banditi dalle tavole di tutto il mondo. Nell’Isola monta la polemica. Il 13 Gennaio 2021 sul sito dell’EFSA (Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare) è stata pubblicata la valutazione favorevole per l’utilizzo di alimenti composti da Insetti o loro derivati. Le valutazioni EFSA sono una tappa necessaria per la regolamentazione sul consumo di nuovi alimenti a supporto degli Enti europei e Italiani che autorizzano gli insetti e loro derivati nel mercato Europeo e Nazionale. In particolare EFSA ha autorizzato il consumo dell’insetto tarma della farina e suoi derivati. I vermi vengono dichiarati fonte di proteine utili per l’alimentazione ed in Europa le richieste per l’immissione in commercio giungono sempre più numerose. «Bisogna bloccare questo consumo che non rientra negli usi e tradizione Sarde e Italiane
Qui dentro ci sono dieci anni della mia vita. Era il 1996 e per caso avevo scoperto che un amico possedeva tutti i numeri di una rivista apolitica pubblicata durante il Ventennio. Studiare le declinazioni dell’espressione artistica mi ha permesso di scoprire l’intero periodo sotto il profilo politico, identitario e culturale. Lo studio è stato esteso ad altre riviste del periodo altrettanto interessanti e nel 2007 il libro e’ stato pubblicato. La prefazione e’ stata firmata da uno dei miei maestri,Placido Cherchi, e ancora oggi questo libro è una pietra miliare per chi volesse saperne di più sul sardismo culturale . Maria Dolores Picciau
A maggior ragione non capiamo perché contestualmente si dichiari il divieto alla produzione e al consumo in Sardegna del “Casu marzu” consumato da sempre dai Sardi. Le Istituzioni Italiane e a maggior ragione quella della Sardegna, devono opporsi all’introduzione di questo tipo di alimento a base di insetti. In Sardegna in particolare, le produzioni Agroalimentari sono eccellenze invidiate da tutto il mondo ed sono questo che devono essere maggiormente protette e incentivate per l’alimentazione umana, continua Tore Piana. Mi aspetto una forte presa di posizione contraria, da parte delle Istituzioni Italiane e Sarde, i rappresentanti della Politica Sarda facciano sentire ora la loro voce, conclude Tore Piana a nome del Centro studi Agricoli della Sardegna». Redazione VistaNet.it https://www.vistanet.it/cagliari/2021/01/16/ alimentazione-leuropa-dice-si-agli-insetti-ma-no-al-casu-marzu-csa-incomprensibile/
Foto mariadolorespicciau
(commenta a caldo Tore Piana attivo Presidente del Centro Studi Agricoli con sede in Sardegna).
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Foto rumundu
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a parola “Ru mundu” deriva dal dialetto di Sorso, un paesino che si trova in provincia di Sassari, in Sardegna, e come si può intuire significa “il mondo”. Nel 2013, ispirato dalla domanda di nonna Francesca: “Perché sei sempre in giru pà ru mundu?” (“perché sei sempre in giro per il mondo?”), Stefano chiama la sua nuova impresa, Rumundu. Monta sulla sua bici e percorre 32 mila chilometri di strade asfaltate, sterrate e sentieri, per realizzare uno dei suoi sogni: compiere il giro del mondo in bicicletta alla ricerca di storie e stili di vita sostenibili. Un viaggio “fuori rotta”, in solitaria e dai ritmi lenti, con lo scopo di capire se un altro mondo, lontano dal modello economico consumistico, fosse possibile. Pedala per trecentosessantacinque giorni tra Europa, America, Asia, Oceania e Africa, per entrare in contatto con storie e modelli di vita sostenibili; trecento tappe per documentare come l’innovazione sociale e l’imprenditoria consapevole possano trasformare la società. Stefano ha trascorso la maggior parte della sua vita, privata e professionale, in movimento. Laureato in Economia e Commercio all’Università degli studi di Sassari, ha completato la sua formazione presso la Business School di San Francisco. Oggi Rumundu è un network con base in Sardegna e Sud Africa, ha all’at-
Porto Conte Alghero https://rumundu.com
tivo cinque edizioni della Social Innovation School e la fondazione della Rumundu Academy, la prima Scuola permanente del Mediterraneo per gli innovatori del futuro che vogliono sviluppare e implementare progetti sostenibili, a livello economico e ambientale, in Sardegna e nel mondo. Rumundu è partner del PAN-EU Hackathon #EUvsVirus Challange. EuVsVirus è l’iniziativa della Commissione Europea dimostratasi estremamente efficiente nella lotta contro questa sfida inaspettata e rivoluzionaria: il Coronavirus. EuVsVirus ha creato 2.164 team multidisciplinari e multinazionali con soluzioni innovative, ha avviato lo sviluppo di 2.235 nuove partnership transeuropee abbinando i migliori 120 team con oltre 500 partner di supporto dai settori pubblico e privato per tutto il mese di maggio. EuVvsVirus è il più grande evento online mai organizzato dalla Commissione Europea che ha l’obiettivo di sviluppare soluzioni innovative per le sfide legate alla lotta al coronavirus. 2500 progetti presentati da altrettanti team multidisciplinari e multinazionali, 500 partner di supporto dai settori pubblico e privato, 120 vincitori selezionati per le loro soluzioni di reale impatto, start up a tutto tondo pronte per il mercato e per gli investimenti, con soluzioni veramente innovative contro il COVID-19. https://rumundu.com/storia/#main
Foto carloalbertopaslumbo
CARLO ALBERTO PALUMBO S
tudioso appassionato delle tecniche pittoriche antiche, del disegno e dell’anatomia, intraprende sin da giovane il percorso artistico diplomandosi nel 1997 presso il Liceo Artistico di Napoli. Successivamente nel 2003, consegue il diploma di laurea in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Dal 2005 al 2015 è maestro di Disegno dal vero, Anatomia e Pittura presso la In Form of Art, dove da anni vengono riproposte le metodiche tradizionali dell’insegnamento artistico desunte dalle botteghe del ‘400 e ‘500 e dalle Accademie del XVIII e XIX secolo. Da ottobre 2015 è maestro di Disegno, Disegno dal vero e Disegno anatomico presso l’Accademia di Belle Arti G.B. Tiepolo di Udine. La sua attività artistica conta partecipazioni a premi ed esposizioni di carattere internazionale. Nel 2004 è selezionato tra i finalisti del Premio Arte 2004. Nel 2007 è tra i vincitori del Premio Internazionale Arte Laguna. Nel 2008, partecipa alla Kitsch Biennale 2008 presso la Pavsinger Fabrik di Monaco. Nello stesso anno vengono esposti suoi lavori a Londra e Budapest dove ottiene da parte dell’ E.A.C.O. il riconoscimento di Artis Laudabilis. Lo stesso anno é selezionatoper il Premio Celeste. Nel 2009 doppia personale “Tra Sogno e Alchimia” presso la Pinacoteca Comunale Giovanni da Gaeta esponendo il ciclo pittorico tratto dall’ opera di Shakespeare “Sogno di una notte
http://www.visualscout.it/
di mezza estate”. Nel 2011 selezionato come uno dei migliori allievi negli ultimi 10 anni delle Accademie di Belle Arti d’Italia, partecipa con l’opera “Morrigan” (un olio su tela di cinque metri) al Padiglione Italia della 54. Biennale di Venezia. Nel 2012 prima esposizione personale “LUX – Percorsi di Luce” presso il Castel Nuovo di Napoli. Lo stesso anno, la personale SOGNO presso l’Istituzione Teatro Comunale Carlo Gesualdo di Avellino e la collettiva NINa – nuova immagine napoletana presso il PAN di Napoli. Dal 2013 al 2015 è Finalista all’International ARC Salon vincendo nel 2013 il Chairman’s Choice Award. Nel 2015 personale AMA alla Pinacoteca Comunale Giovanni da Gaeta. Nel 2016, selezionato all’ International Artist Grand Prize Competition, selezionato come uno dei 14 finalisti è premiato al Art Revolution Taipei Dal 2017 al 2020 partecipa ad Art Revolution Taipei di Taiwan. Nel 2020 è selezionato con il dipinto “Nie sollst Du mich Befragen!” nel concorso LOHENGRIN indetto dal MEAM e dal Club Wagner per esporre a Barcellona al GRAN TEATRE DEL LICEU in occasione della prima mondiale della nuova produzione del Lohengrin, diretta da Katharina Wagner, pronipote del compositore. Le sue opere sono presenti in collezioni private in Europa, Stati Uniti d’America e Asia. Vive e lavora a Udine. http://www.carloalbertopalumbo.it/Wp/bio/
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L’
Foto ilsole24ore
arte pubblica, lo sappiamo, è un tema controverso: lodata per la sua capacità di migliorare la qualità estetica degli spazi urbani, viene però spesso ignorata dai residenti, quando non è abbandonata al degrado o addirittura vandalizzata. Una vicenda come quella della rimozione delle sculture di Costantino Nivola dalla Stephen Wise Recreation Area di New York suggerisce una serie di riflessioni sull’arte pubblica, la sua capacità di rafforzare il senso di appartenenza ai luoghi e di sollecitare risposte emotive da parte dei cittadini. Realizzato nel 1964, il playground per le Stephen Wise Towers nell’Upper West Side costituisce una summa dell’arte di Nivola: comprende infatti due sculture tridimensionali, un murale graffito, una fontana, una parete bifacciale scolpita e i cavallini in cemento oggi alcentro della cronaca. Tutti questi elementi non sono semplicemente compresenti nello spazio, ma sono parte di un progetto organico, non a caso concepito dall’artista insieme a un architetto, Richard Stein. Qualche giorno fa, nel quadro di un insieme di lavori di riqualificazione dell’area promossidalla New York Public Housing Authority, i cavallini sono stati rimossi dal
I cavallini di Nivola, il senso di comunità e il ruolo dell’arte nelle città
playground, con un intervento brutale che ne ha segato le zampe. Mentre a New York si formava un movimento di opinione in difesa dell’opera dell’artista, in Italia il fatto, denunciato dal Museo Nivola con un post su Facebook e Instagram, ha immediatamente scatenato un’ampia risposta collettiva. Se il rapper Bigg Dogg, cresciuto all’ombra delle Stephen Wise Towers accanto alle sculture di Nivola, ne ha lamentato la perdita “col cuore spezzato”, non meno partecipe è stata la reazione di centinaia di migliaia di persone, molte delle quali vivono oltre Atlantico e quelle sculture non le hanno mai viste direttamente. Mentre la mobilitazione ha ottenuto già un primo risultato (è riuscita a far aprire un dialogo tra la ditta responsabile dei lavori e il fronte della protesta) l’ondata internazionale di interesse per la sorte del progetto porta a riconsiderare il possibile impatto dell’arte alla luce della trasformazione della sfera pubblica. La comunità di riferimento di un intervento come quello di Nivola non è oggi data soltanto dagli inquilini delle Towers o dai residenti del quartiere: in un mondo sempre più globalizzato e digitalizzato, la comunità diventa transnazionale e fluida, non definita
da un contesto territoriale ma continuamente riconfigurata dai flussi dell’informazione, dall’emotività e da connessioni non lineari. Un fronte che dal di fuori appare unanime nella protesta e nell’indignazione è in realtà composito, mosso da motivazioni differenti: c’è chi ammira l’arte di Nivola, chi vuol difendere l’arte e la cultura in generale, chi si riconosce nell’opera per motivi identitari o prende spunto dagli eventi per rivendicazioni nazionaliste. L’opera d’arte è un detonatore; tanto più se si tratta di arte pubblica, campo in cui alle considerazioni estetiche si uniscono questioni di altra natura, sociali, ideologiche, economiche. Non è la prima volta che le opere di Nivola innescano reazioni che vanno al di là dell’estetica: all’epoca dell’inaugurazione del playground, il progetto venne accusato di essere di difficile interpretazione, la sua iconografia fu ritenuta sospetta e perfino potenzialmente scandalosa. Si trattava allora di un’opposizione alle istanze moderniste e all’uso dell’arte contemporanea nel contesto metropolitano. Oggi il discorso è diverso: il punto non è tanto l’opera in sé quanto la sua funzione in una città in profonda trasformazione, attraversata da processi di gentrifi-
cazione e redesign urbano destinati a cambiarne i connotati. Dinamiche non sempre e non necessariamente di segno negativo, ma che incidono sulla conservazione del passato. In tutto questo, qual è il ruolo delle istituzioni nella vicenda dei cavallini di Nivola? La prima responsabilità della Fondazione Nivola è la tutela dell’opera, intesa come progetto complessivo di cui i cavallini - pensati per uno spazio e un contesto sociale e culturalespecifici - sono soltanto una parte: per questo si deve lavorare per diffondere la conoscenza dell’artista, mobilitare le comunità, ma anche condurre un dialogo aperto che aiuti a trovare soluzioni rispettose delle diverse istanze. Dalla politica può venire un contributo fondamentale per sviluppare processi diplomatici e partecipati che, nello spirito internazionalista di Nivola, connettano invece di dividere. Giuliana Altea Presidente Fondazione Nivola Antonella Camarda Direttrice Museo Nivola https://www.ilsole24ore. com/art/i-cavallini-nivola-senso-comunita-e-ruolo-dell-arte-citta-ADzYTUPB?fbclid=IwAR1nhFFGYujNR z k X v L 9 t k T h W1v2ekfJekEDmxxsF1OZeK7ogyeJqcyP0Hlg
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GIANLUCA PETRINI
Foto gianlucapetrini
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ato a Cagliari il 2 luglio 1970. Ha frequentato la scuola orafa artigiana di Bruno Busonera in Cagliari. Ha conseguito la specializzazione di artigiano orafo filigranista. Attualmente si dedica prevalentemente alla pittura. La pittura di Gianluca Petrini e tutta incentrata sul genere umano, cerca di raccontarne gioie e dolori. Uno delle raffigurazioni più ricorrenti nella sua pittura è pinocchio. Pinocchio secondo Gianluca Petrini serve per ricordarci che siamo esseri in cammino in attesa di poterci definire umani. “Io cerco sempre di spiegare attraverso i miei quadri l’animo, i tormenti e le miserie del genere umano. A volte ci riesco bene, a volte un po’ meno. Il risultato dipende dallo stato d’animo in cui mi trovo immerso nel momento. Non sono un pessimista. I miei personaggi, infatti, hanno sempre la luce negli occhi. La mia pittura è fatta di personaggi buffi, nasoni, arrabbiati, gioiosi. Disegno individui deformati perché, in realtà, è così che siamo. I miei personaggi non si nascondono mai. Non indossano una maschera. Vogliono apparire come sono, con tutti i loro difetti.
Mi piacerebbe che tutte le persone fossero così! Sei libero di amarli per quello che sono, oppure no. Sono convinto che la parte di bambino che c’è in ognuno di noi, non svanisca mai e sia solo soffocata. Ci insegnano così, per diventare grandi. Diventare “grandi” non sempre è una cosa buona. Ho sempre guardato con ammirazione i disegni dei bambini, sono di una bellezza straordinaria: riescono a spiegare gioie e dolori, stravolgendo tutte le regole della fisica e della prospettiva. Vi sembrerà banale e folle ma considero i disegni dei bambini un’arte bella, sincera ed assoluta. Un bambino, quando disegna, va incoraggiato affinché il bambino di oggi possa diventare il bambino di domani.” “....sono solo un giullare con i pennelli in mano, non perché non possa fare altro, semplicemente perché mi sento bene ad esprimermi così......tutto quello che disegno è frutto della memoria visiva.....” Così ama definirsi Gianluca, un artista pieno, le cui opere, all’occhio limitato del profano, possono apparire in una dimensione ben lontana da quello che è l’enorme valore intrinseco che posseggono. E’ la sua umiltà a velare quella singolare dote, riuscendo egli a “narrare” anche nella più piccola delle sue opere, in cui nasute figurine si affaccendano, in un
Foto Nicola Castangia
Foto gianlucapetrini
modo semplicemente geniale. Forte di una lunga esperienza nella ricerca della buona arte, Gigarte presenta e pone Gianluca Petrini in quel ristretto numero di pittori che in un futuro non molto lontano farà parlare artisticamente di sé, e invita i collezionisti a guardare le sue opere con molta più attenzione di quanto abbiano fatto sinora e a farci quel pensierino che, al momento, è ancora alla portata di tutti e che presto potrebbe risultare quella buona opportunità mancata. GIGARTE La pittura di Gianluca Petrini, le figure sedute su pavimenti, in barca a cavalcioni, mettono l’osservatore di fronte a una curiosa visione di immagini popolari. Con tecnica fumettistica e colori duri ed armonici,i suoi lavori affrontano temi sociali. Le sue figure sono anonime e diverse, come se il pittore volesse sottolineare l’isolamento tra uomo e uomo, aldilà della vicinanza fisica. Un vagabondo, forse lo stesso autore, riempie gli interni dei suoi dipinti. Il personaggio da cartone animato è stato ritratto con deliberata ingenuità, con tocchi vigorosi di colori base. La pienezza chiassosa dei colori trasmette una forte carica emotiva. Gianluca si serve solo del colore per costruire l’immagine e darle forza emotiva: in questo sta l’importanza dei suoi dipinti.
Ma qualunque cosa faccia o comunque usi, nella loro immagine è sempre presente uno spiccato umorismo e un deliberato cattivo gusto che ne ridicolizza le pretese narcisistiche. I dipinti sono ironici commenti su scene di vita dei quartieri del popolino, raccontano storie sulla vita quotidiana. Dopo attenta osservazione, mi viene difficile collocare le opere di Gianluca Petrini in un movimento artistico particolare, per quanto colori vistosi,le dimensioni dei lavori e la smitizzazione dei tradizionali valori storico-artistici, li rendano in qualche misura affini alla pop-art. I miei più sinceri auguri, Gianluca. Lorenzo Gassi Loris FORTISSIMO !!! Stupenda idea, stupendi i temi , il genere di pittura ( che prediligo fra pochi altri generi ), la carica che esce fuori sia dai dipinti presi singolarmente che dal video così com’è stato impostato , la scelta del brano !! , l’impegno sociale, morale che è dentro a tutto ciò....... bello, mi piace proprio !! Pittura, disegno, allegoria, dialogo utile, proposte !! Sì, .. forse è perché amo il senso del colore vivo e ... la “rottura” !! Gabriella Ciaooo gianlucapetrini.com pelingalca@tiscali.it Via Col del Rosso 77 Cagliari Tel.:+39 333 659 3048
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Foto marafabbro
NA DECISIONE CHE ESPRIME UNA FORMA DI RESISTENZA CULTURALE PROTAGONISTA DEL PROGETTO È LA PREPOTENTE MASSA DI PLASTICA CHE SOFFOCA IL PIANETA E IL PRECARIO EQUILIBRIO DEI NOSTRI TEMPI, NEL PROGETTO DEGLI ARTISTI FRIULANI MARA FABBRO E ALBERTO PASQUAL L’ E S P O S I Z I O N E ACCOGLIE IL VISITATORE CON UNA PIOGGIA DI BORSE DI PLASTICA AI PIEDI DELLA SCALA DEL BOVOLO, LA TRAGICA “FINE DEL PESCE”, MORIRE IN UN SACCHETTO DI PLASTICA, DIVENTA ISTALLAZIONE CON LE IMMAGINI SOFFERENTI/DISPERATE DEI DUE ARTISTI AL PIANO NOBILE DEL PALAZZO, IN DIALOGO CON IL “PARADISO” DEL TINTORETTO, LE “ T R A S PA R E N Z E ” , OPERE REALIZZATE CON MATERIALI PLASTICI, SONO UN’ESPLORAZIONE DEI NOSTRI TEMPI E APRONO UNA BRECCIA SUI TEMI DELL’ASSENZA, DEL VUOTO, DI MANCANZA DI VALORI E DI VISIONI SUL MONDO
“E’ per Sempre” ACCOLTA NEGLI SPAZI ESPOSITIVI DELLA MONUMENTALE SCALA DEL BOVOLO, APPRODA A PALAZZO CONTARINI DEL BOVOLO A VENEZIA LA MOSTRA “È PER SEMPRE”. NONOSTANTE IL LOCKDOWN, L’ESPOSIZIONE SARÀ ALLESTITA DA SABATO 27 MARZO E RIMARRÀ APERTA FINO A MAGGIO 2021.
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difici fantasmi, mappe sospese strutturano le città metropolitane che parlano di presenza e assenza dell’individuo. Mai come oggi il pieno e il vuoto esprimono l’essenza del nostro tempo: eccessi e sprechi di materiali plastici si contrappongono alla mancanza di certezze e valori. È da questi temi che nasce il progetto curato dagli artisti friulani Mara Fabbro e Alberto Pasqual, una ricerca che portano avanti da due anni. È la materia, la plastica, a diventare non solo linguaggio condiviso, ma anche il tema centrale della mostra “È per sempre” che approda ora a Venezia negli spazi espositivi della Scala del Bovolo a Palazzo Contarini del Bovolo a Venezia. Nonostante le difficoltà e la semi paralisi dovuta all’epidemia e alle conseguenti misure anticontagio, la mostra in programma in primavera è stata confermata e aprirà sabato 27 marzo. Una scelta che vale come affermazione di resistenza culturale. L’esposizione è realizzata in collaborazione con la Fondazione Giovanni Santin Onlus e curata da Alessandra Santin, con il supporto degli sponsor THEKE, Credem (Aviano-Pordenone) e Raiffeisen sarà visitabile fino al 9 maggio 2021.
Il percorso espositivo si sviluppa su due livelli: ad accogliere il visitatore al piano terra sarà una suggestiva installazione, “La fine del pesce”, una pioggia di borse di plastica (a misura di sicurezza antiCovid per evitare la contaminazione) che coinvolgono lo spettatore durante la salita. Al piano nobile si trova l’installazione “Trasparenze”, progetto che accosta le “Membrane” di Mara Fabbro alle strutture “Presenze/assenze” di Alberto Pasqual. Le membrane plastiche di Fabbro sono mappe metropolitane dove piccoli tasselli si accostano creando tracce urbane in cui è indistinto l’uomo dall’edificio. Così come nelle sculture totemiche verticali di plastica lavorate di Pasqual. «Le materie plastiche resistenti al tempo, lasciano aperture rivolte al senso e al cambiamento e denunciano il dramma di uno svuotamento interiore. Città create con materiali all’apparenza nobili, cristallini, nitidi che risultano infidi e pericolosi quando diventano il riflesso della superficialità di un gesto, quello di gettare, lasciare nell’ambiente uno scarto della nostra attività umana. Desideriamo testimoniare che siamo ancora lontani da una reale consapevolezza degli effetti nocivi delle materie plastiche abbandonate nell’ambiente dall’uomo. Intendiamo sensibilizzare il visitatore sulle problema-
Scala Contarini del Bovolo San Marco, Campo Manin, 4303 30124 Venezia
tiche dello smaltimento di questo prodotto e sull’inquinamento dei mari con materiali plastici, facendogli fare un’esperienza da pesce» spiegano i due artisti. Dopo l’immersione nel mondo plastico della prima sala espositiva, la mostra prosegue con le opere materiche dei due artisti. Mara Fabbro lavora con tasselli da lei stessa creati, minuscoli parallelepipedi materici di base quadrata. Collanti, sabbia di mare, acrilico e resine vengono miscelati per realizzare questi “pixel” che l’artista accosta creando mappe che riproducono città, mappe che riprendono geografie reali in cui si indaga la relazione uomo-ambiente, la città, e il contatto con l’acqua che spesso ne è il limite (il fiume o il mare in caso di isole). Se per Fabbro è l’acqua il discrimine per la sua ricerca, nelle opere di Alberto Pasqual è il fuoco l’elemento che plasma la materia. Si tratta di opere, che ripropongono il tema dello squarcio, e dello svuotamento dell’individuo. Completa la mostra il catalogo con testi e saggi critici di Alessandra Santin, Giada Centazzo, Lorena Gava, Mariateresa Setaro Chaniac. Immagini delle opere e degli artisti, crediti Davide Dimitri cultura@fondazioneveneziaservizi.it Tel.: +39 041.3096605 https://www.facebook. com/events/