Foto Dietrich Steinmetz
SARDONIA Ventisettesimo Anno / Vingt Septième Annèe
Gennaio 2020/Janvier 2020
Africa Arctic Flyway Industrie Artistiche Sarde On Paper Chiamata alle Arti Giorgia Bistrusso Mauro Ballette Villaggio nuragico a Nora Pinuccio Sciola a Londra L’ambra a Romanzesu Professionista dei Beni Culturali ? XIIIesima Biennale di Roma Spazio ILISSO OPEN STUDIOS ‘19 Paolo Ollano Giulia Capsula Casula Paulina Herrera Letelier Gustave Klimt https://www.vimeo.com/groups/sardonia https://www.facebook.com/sardoniaitalia
Cagliari Je T’aime Programma di creazione di Esposizioni e Manifestazioni Artistiche nella città di Cagliari a cura di Marie-Amélie Anquetil Conservateur du Musée du Prieuré Directrice de la revue “Ici, Là bas et Ailleurs” Espace d’exposition Centre d’Art Ici, là bas et ailleurs 98 avenue de la République 93300 Aubervilliers marieamelieanquetil@gmail. com https://vimeo.com/channels/ icilabasetailleurs Vittorio E. Pisu Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS Elena Cillocu via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/channels/ cagliarijetaime SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima Direttore della Pubblicazione Vittorio E. Pisu Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS Commission Paritaire ISSN en cours Diffusion digitale
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onsiderare il primo di gennaio come l’inizio di un nuovo anno è, nella storia umana, un fatto abbastanza recente. Il mese di Marzo fu l’inizio di un anno basato sull’agricoltura e quindi sul risveglio della natura alla primavera, per molto tempo. In altre civiltà l’inizio dell’anno era situato piuttosto alla fine dell’autunno ed all’inizio dei mesi invernali. Per quello che mi riguarda ho sempre considerato il mese di agosto e più particolarmente il Ferragosto, come il momento dei bilanci di fine d’anno e delle proposte per il nuovo. Così é già da qualche mese che un nuovo ciclo è incominciato per me, manifestatosi attraverso una produzione importante di incisioni e la volontà di creare nuove trasmissioni televisive diffuse via internet e dedicate all’Arte ed alla Cultura in generale. Approfitto comunque delle festività e del momento per confermare quelli che sono i miei progetti già in fase di realizzazione come qui la nuova veste del mensile. Speriamo che anche io me la cavo, era il titolo di una raccolta di esercizi scolastici dei ragazzi di una scuola del sud dell’Italia, e ricordo che ridevo fino alle lacrime leggendo questa succosa e saporita pubblicazione. E quello che mi auguro comunque, concedendo al far comune di questo inizio dell’anno e degli anni ‘20 che furono nel secolo scorso un periodo d’effervescenza artistica e sociale particolarmente spumeggiante e che forse potrebbero esserlo anche in questo secolo, evitando possibilmente l’epilogo tragico del 1929. In questo numero ho riportato molte considerazioni sull’arte, alcune pessimiste ma piene di speranza, altre più pragmatiche e descrittive di una realtà complessa. Una nota e stimata critica d’arte riesumava ultimamente la situazione dell’Arte in Sardegna, isola e quindi difficile da raggiungere e difficile da riunire a quello che si sviluppa in Europa e nel Mondo. Nonostante tutto gli artisti non mancano e dimostrano una bella vitalità, senza parlare di tante manifestazioni culturali che spaziano dalla musica alle arti plastiche, senza dimenticare il cinema che comincia ad affermarsi come una specificità sarda e naturalmente il teatro sia drammatico che comico e di varietà che ha saputo non solo essere presente sulle scene nazionali ed anche più lontano in Europa,, in Africa del Nord, in America, domani nell’Asia e l’Australia, ma anche mietere numerosi premi sia alle attrici ed agli attori che ai registi. Allora dobbiamo essere fiduciosi in un futuro che sarà sempre difficile per noi isolani ma non isolati e sopratutto capaci di superare tutti i nostri handicaps geografici e trasformarli con i nostri talenti in tante opportunità. L’Arte non salverà il mondo ma lo rende comunque più piacevole a vivere. Buon Anno 1920. Vittorio E. Pisu
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l museo Nivola ha il piacere di presentare la mostra AFRICA-ARCTIC FLYWAY, il primo importante progetto museale realizzato in Italia dall’artista americano Peter Fend (*1950). La proposta e l’installazione sviluppate specificamente per la Sardegna si basano su una quarantennale tradizione di attività artistiche collaborative proiettate nel “mondo reale”, cominciata con Jenny Holzer, Richard Prince, Coleen Fitzgibbon, Peter Nadin, Robin Winters e la Ocean Earth Development Corporation. La pratica collaborativa scaturisce dal desiderio di lavorare con clienti esterni al mondo dell’ar-
te, beneficiando al tempo stesso di un nuovo tipo di pensiero artistico. I progetti sono stati utilizzati dall’Environment Program statunitense, da grandi canali giornalistici televisivi in tutto il mondo, da diverse organizzazioni statali, e sono state esposti in sedi artistiche internazionali come Documenta e le biennali di Venezia, Pechino, Sharjah e Osaka. Ocean Earth ha il mandato legale di produrre “servizi di comunicazione”, quali analisi dei siti con dati satellitari, e “componenti architettoniche” per le città; piattaforme marine per l’energia e i pesci selvatici, e per la conversione dei rifiuti in materiali biolitici e megastrutture urbane leggere.
Questo lavoro vuole rispondere a quelle che l’architetto rinascimentale Leon Battista Alberti considerava le quattro responsabilità dell’architettura: fornire le tecnologie che danno alla città aria pulita, acque vive, facilità di movimento e difesa. AFRICA-ARCTIC FLYWAY, nato dall’esempio del lavoro dei Land artisti degli anni sessanta e settanta, affronta la necessità delle specie, in particolare gli uccelli, di migrare dall’Equatore ai Poli - in questa parte del mondo, lungo il tragitto dall’Africa Tropicale all’Artico Europeo. Nel passaggio attraverso il Mediterraneo, la Sardegna è un sito centrale. Tuttavia è messo a rischio dal consumo dei combustibili fossili, che è causa di caldo eccessivo e di siccità, e dall’occlusione del corso dei fiumi, che interrompe il ciclo metereologico e distrugge l’habitat. Fend propone dei passi da compiere per porre fine a queste minacce. Le tecnologie e la mappatura del terreno che presenta sono tutte derivate dalla Land Art e dall’Arte Concettuale del secolo scorso. Il loro obiettivo è permettere alla popolazione della Sardegna di contare sulle proprie risorse per l’energia e il cibo - indipendentemente dalle imprese non locali e dalle industrie estrattive. segue pagina 4
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(seque dalla pagina 3) A questo scopo propone due azioni principali, in linea con i ritrovati scientifici e le posizioni dei gruppi ambientalisti: primo, non accettare che il metano di origine fossile venga distribuito sulla base di contratti cinquantennali, dal momento che così non ci sarebbe riduzione delle emissioni dei gas-serra, con conseguente peggioramento della desertificazione e della siccità. Secondo, decostruire il gran numero di dighe che bloccano i flussi nutritivi e salini verso il mare, creano laghi stagnanti e poveri di ossigeno e danneggiano i cicli pluviali, e rimpiazzarle con ruote idrauliche ultraleggere. Tutte le soluzioni proposte sono state sviluppate nel corso di decenni, a partire da paradigmi tratti da Marcel Duchamp, Robert Smithson, Dennis Oppenheim, Joseph Beuys e Carolee Schneemann. Nello spazio espositivo del museo, un ex-lavatoio pubblico, Fend espone una realtà tridimensionale: bacini di acqua salata, in cui sono tracciati gli itinerari semestrali degli uccelli e insetti migratori. Una linea rossa collega due muri su cui sono esposte mappe ritagliate di destinazioni nel Sud e Nord Sardegna. Sul pavimento, quattro modelli di terreno scolpiti nell’YTong, un materiale da costruzione, mostrano ciò che si può fare nei siti delle dighe Omodeo,
Cedrino, Gúsana, Torrei: tutti diventano luoghi per i recupero di fiumi liberi, ad acque bianche. Su pannelli sospesi, altre mappe ritagliate mostrano piani per la gestione delle acque salate e dei nutrienti sotto un sistema di governo e tassazione concepito dai primi economisti, noti come Fisiocrati. La premessa è che la prosperità a lungo termine dipende dalla salute degli animali e delle piante della terra e del mare. Sulle finestre, queste idee sono sintetizzate in quattro “word-stacks” (letteralmente, “cataste di parole”). Le parole sono estratte dalle frasi; esposte in lettere di vinile, trasmettono i messaggi principali della mostra: no alle dighe, no ai combustibili fossili, eco-tassazione invece di tasse sul reddito, ripristinare l’habitat degli insetti e degli uccelli.
PETER FEND
AFRICA-ARCTIC FLYWAY a cura di Elisa R. Linn e Lennard Wolf dal 25 ottobre 2019 al 26 gennaio 2020 MUSEO NIVOLA Via Gonare 2 08026 ORANI tel.+39 0784 730063 http://museonivola.it
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stata inaugurata a Cagliari il 10 dicembre le IAS Industrie Artistiche Sarde. Istituite dal gallerista e antiquario Dante Crobu per produrre ed esporre arte e artigianato artistico, comprendono una galleria, una casa di produzione e uno spazio espositivo della collezione permanente. «L’acronimo coincide con la parola sarda che signifca vie: voglio aprire una nuova via per la creatività sarda, troppo spesso trascurata e poco conosciuta, sia qui che fuori dall’Isola». È un «atto dovuto» e a lungo meditato, in risposta all’assenza di consapevolezza, spazi e istituzioni per un’autentica valorizzazione e tutela dell’arte sarda. «Oggi i giovani artisti sono costretti a spostarsi altrove, l’artigianato è svuotato di spessore e le esperienze del Novecento sono dimenticate. Gli innumerevoli esempi di cattiva arte pubblica dei murales che imbrattano quasi ogni piccolo paese della provincia sarda non aiutano a orientare un pubblico che, già di per sé, fatica a comprendere l’arte. Confrontare le immagini fotografche di Pablo Volta di Orgosolo degli anni Cinquanta con l’oggi è un esempio lampante di quanto avvenuto: e il peggio è il dilagare ovunque di questa “moda”, spacciata per spontaneo moto identitario».
Le radici del suo progetto guardano al passato: a una lettera del 1919 dell’artista Giuseppe Biasi al suo amico e mecenate Arturo Bucher; alla fortunata stagione dell’arte decorativa sarda nel Novecento con Francesco Ciusa e la sua SPICA (Società per industrie ceramiche artistiche), con la Bottega d’Arte ceramica di Federico Melis e l’Ente Nazionale per l’Artigianato e le Piccole Industrie, nato nel 1925; e poi ancora, Eugenio Tavolara, Ubaldo Badas e Mauro Manca per l’ISOLA, Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Artigiano. «La Sardegna dei primi decenni del Novecento è una terra povera e periferica, estranea all’arte e all’insegnamento ar-
tistico; eppure è qui che avviene un piccolo, fortunato cortocircuito che suscita anche, vivifcata dal risveglio identitario, la nascita di una deliziosa e modernissima arte decorativa». È il solco in cui le IAS intendono inserirsi, come dichiara Crobu nel manifesto del progetto: «IAS è ricerca e studio dell’arte sarda del Novecento e, insieme, arte contemporanea; è volontà di far incontrare queste voci e innestarle sulle qualità indiscusse del nostro artigianato artistico. Per una nuova stagione dell’arte decorativa in Sardegna». Sarà fondamentale la produzione di manufatti artigianali inediti.
Tra gli artisti-artigiani attivi soprattutto nell’oreficeria e ceramica, Fabio Frau, e poi il designer Gianfranco Setzu, gli artisti Leonardo Boscani, Roberto Chessa, Pastorello, Pietro Sedda, Roberto Fanari, Antonio Porru e il più visionario di tutti, Graziano Salerno, oltre a una nutrita rappresentanza femminile: Irene Balia, Ruth Georgi, Silvia Idili, Claudia Matta, Silvia Mei e Veronica Paretta. Si potrà seguire la produzione da vicino, a stretto contatto con gli autori. All’arte e all’artigianato contemporanei verranno affiancate opere della collezione permanente raccolta negli anni dal gallerista, con opere e oggetti contemporanei che dialogheranno con pezzi del passato come le ceramiche di Oristano. «Ho deciso di spostarmi dalla vecchia sede della galleria che portava il mio nome per segnare una chiara cesura, ma anche per avere a disposizione gli spazi adeguati per un’attività molto più articolata e complessa». Ma.R. il Giornale dell’Arte
INDUSTRIE ARTISTICHE SARDE Via Manno 10 09124 Cagliari tel. 335/6260955 IAS@industrieartistichesarde.it
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asa Falconieri, Centro di Sperimentazione e Ricerca attivo a livello internazionale nella promozione e valorizzazione delle arti grafiche, ha scelto il museo MACC, in accordo col direttore Efisio Carbone e la Fondazione MACC, come sede della rassegna internazionale ON PAPER, portando a Calasetta opere e artisti nei mesi di ottobre a gennaio per un simposio sull’incisione contemporanea che estende e arricchisce la stagione espositiva del museo anche in mesi notoriamente più difficili da destinare a un’ampia utenza. L’esposizione è per il museo un momento di riflessione dedicato al principale “medium” della propria collezione permanente: la carta. È inoltre un omaggio alle pratiche incisorie di cui Ermanno Leinardi, fondatore del museo MACC e donatore della collezione, fu maestro indiscusso ottenendo importanti riconoscimenti a livello nazionale e internazionale. Tra i grandi nomi storici presenti ricordiamo Achille Pace, Mimmo Paladino, Maria Lai, Alik Cavaliere, Enrico Castellani, Giuseppe Uncini, Arnaldo Pomodoro, Enrico Baj, Guido Strazza, Emilio Vedova, Renzo Piano; oltre il preziosi nuclei di opere dei grandi maestri spagnoli Antoni Tapies e Eduardo Chillida.
Non manca una sezione di artisti di Sardegna tra cui Gabriella Locci, oggi tra i maestri più affermati in campo internazionale nell’arte dell’incisione, guida e sostegno di questa pratica per le giovani generazioni sul territorio sardo. Artisti presenti Italia: Ermanno Leinardi, Nino Dore, Luigi Mazzarelli, Gabriella Locci, Alberto Marci, Veronica Paretta, Francesco Alpigiano, Irene Podgornic, Achille Pace, Mimmo Paladino, Maria Lai, Alik Cavaliere, Enrico Castellani, Giuseppe Uncini, Arnaldo Pomodoro, Enrico Baj, Guido Strazza, Emilio Vedova, Renzo Piano Spagna: Eduardo Chillida, Antoni Tapies, Bernardi Roig
Paraguay: Carlos Colombino, Ricardo Migliorisi Argentina: Oscar Manesi Belgio: Enk de Kramer, Francky Cane, Nico Lannoo Croazia: Ana Vivoda Bulgaria. Evgenia Hristova Portogallo: David de Almeida Repubblica Ceca: Zuzana Pernikova Marocco: Said Messari Ucraina: Valeria Duka Grecia: Jannis Kounellis
FONDAZIONE MACC Via Savoia 2 CALASETTA Tel. 0781 887219 fondazionemacc@gmail.com dal martedì al sabato 16:30 - 19:30 domenica 10:00 - 13:00
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l progetto On Paper– spiega Gabriella Locci, direttrice di Casa Falconieri – è qualcosa di molto più di un Festival dedicato all’incisione originale, alle opere su carta. Abbiamo l’ambizione di voler modificare lo sguardo che molti hanno verso l’arte e cambiare un sistema che è diventato stretto e spesso inefficace. Casa Falconieri è l’associazione che da oltre trent’anni si occupa di diffondere e attualizzare, a livello internazionale, i linguaggi incisori anche grazie al prestigioso dialogo già attivato, tra gli altri, con il Museo Reina Sofia di Madrid. Tempo e luoghi, da Francisco Goya a Nino Dore, questo il titolo della mostra ospitata nelle sale trecentesche del Castello, propone uno straordinario viaggio nell’arte dell’incisione che parte da alcuni capolavori di Francisco Goya per giungere alle migliori espressioni internazionali dei nostri giorni. L’opera grafica originale sarà protagonista di questo progetto che prevede, parallelamente alla mostra, l’articolazione di attività strettamente connesse quali: laboratori di sperimentazione e laboratori di base, incontri e confronti tematici, residenze d’artista, esposizioni, film e cortometraggi sull’arte, presentazioni di libri e cataloghi, premi per l’incisione e attività di diffusione per le ope-
re dei giovani artisti. La selezione delle opere prende forza dal confronto tra culture e artisti che hanno operato, o operano, aprendo con la loro ricerca nuovi possibili percorsi. Gli artisti provengono da Canada, Austria, Giappone, Svizzera, Russia, Francia, Spagna, Italia, Belgio e utilizzano liberamente l’insieme dei linguaggi incisori all’interno della loro poetica. Giunto alla quinta edizione, On Paper puntualizza un momento internazionale di ricerca e di analisi, e si fa punto di incontro tra pensiero artistico, evoluzione tecnologica e i nuovi sistemi nella ricerca, indicando la Sardegna quale luogo di confluenza di istanze artistiche innovatrici. Questi gli autori delle ottantacinque opere in mostra: Gabriella Locci, Francisco Goya, Rafa Angulo, Franky Cane, Koichi Yamamoto, Mario Botta, Hermann Nitsch, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Mimmo Paladino, Arnaldo Pomodoro, Agostino Bonalumi, Enrico Castellani, Enrico Baj, Nino Dore, Lucio Battaglia, Vincenzo Grosso, Debora Antonello, Stefano Luciano, Mauro Rombi, Sean Caulfiel, Marco Ceraglia, Bernard Mandeville, Serge Poliakoff, Mario Nigro, Giulio Turcato. La mostra è realizzata con il contributo della Regione Autonoma della Sardegna (Assessorato
alla Cultura) e della Fondazione di Sardegna, col patrocinio del Comune di Cagliari, e realizzata in collaborazione con: Fondazione MACC, Colophonarte Belluno, Cartavetra, Incisori Contemporanei, Arte Inversion Madrid, Il Bulino – Antiche Stampe Milano, Aristeo. Nel solco della nuova gestione del Consorzio Camù in Associazione Temporanea di Impresa con l’associazione Orientare, On Paper V segna anche l’avvio del partenariato con Casa Falconieri, che da oltre trent’anni si occupa di diffondere e attualizzare i linguaggi incisori realizzando una ricerca attenta, mostre in Sardegna e all’estero, residenze di artisti provenienti da diverse aree geografiche, e coinvolgendo anche differenti generazioni di artisti della Sardegna. Il percorso si apre con un nucleo di opere di Francisco Goya la cui ricerca artistica è stata animata dalla stessa forza visionaria nella pittura e nell’incisione, quest’ultima mai secondaria ma strumento ricco di infinite risorse. Vicine, quasi di fronte, le incisioni dell’artista sardo Nino Dore. Partendo dallo spazio fisico, l’esposizione punta a creare un dialogo tra il luogo e le opere, definendo uno spazio elastico dove le opere si articolano quasi per gruppi, con una modalità visiva fatta di momenti/ambien-
ti in cui, incontrandosi, costruiscono dialoghi di architettura (Mario Botta, Vincenzo Grosso, Stefano Luciano), oppure si collocano all’interno di un racconto sofferto quale Soledad (Enrico Baj), o ancora nelle sperimentazioni degli anni ’60 /’70 (Giulio Turcato, Mario Nigro, Bernard Mandeville, Serge Poliakoff, Lucio Battaglia). Il progetto On Paper di Casa Falconieri, nasce per valorizzare e diffondere l’opera d’arte su carta nella pratica estetica contemporanea, un ruolo inteso non solo come medium o supporto, ma che agisce come catalizzatore del discorso artistico e diventa materiale di riflessione. La duttilità artistica della carta, la grafica originale e il suo carattere di multiplo, con il suo potenziale di ricerca, fanno di questo un motore della creazione contemporanea.
ON PAPER V Tempo e luoghi
da Francisco Goya a Nino Dore Ideato e curato da Casa Falconieri
fino al 1 marzo 2020 Castello San Michele Cagliari dal martedì alla domenica dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 18 Tel. 346 6673657 castellosanmichele @consorziocamu.it
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ianluca Porzio ha 23 anni e studia all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Sarebbe l’ultimo anno di studio prima di prendere il diploma in Decorazione, in una delle città in Italia che più attrae giovani artisti e creativi. “Sarebbe”, perché non è scontato che riuscirà a finire gli esami per tempo, o che potrà accumulare i crediti necessari per potersi diplomare in linea con il suo percorso formativo. A tutte le difficoltà che riguardano l’ambiente delle Accademie, il 1° luglio se n’è aggiunta un’altra: la messa al bando dei contratti co.co.co per i docenti, serviti finora per sopperire internamente alla mancanza di assunzioni da parte del Miur. L’abolizione dei contratti arriva con l’entrata in vigore di un articolo della legge del 2001 (165/2001) varata con lo scopo di arginare il precariato e che impedisce alle Istituzioni di redigere contratti subordinati o di tipo coordinativo. La conseguenza? «Molti docenti rischiano di non esserci più, e con loro i corsi che tenevano», spiega a Open Gianluca, che è anche il presidente della Conferenza dei Presidenti delle Consulte Studenti ABA e ISIA – organo istituito nel 2013 che riassume tutta la rappresentanza studentesca delle Accademie di Belle Arti e dell’Istituto Superiore per
le Industrie Artistiche. «Questa è l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso», dice. Anche la legge del 1999 (508/1999) è incompleta e poco chiara. Sono 20 anni che aspettiamo che le cose si sblocchino, e invece sembrano andare sempre peggio». Nella stessa situazione di Gianluca sono gli studenti e le studentesse di tutte le Accademie e i Conservatori d’Italia. Le conseguenze non sono solo una minaccia futura, ma sono già la realtà dei fatti: «Molte lezioni sono state già sospese perché alcuni docenti assunti con co.co.co ora sarebbero illegali. Solo nella mia Accademia, circa 40 docenti sono a contratto e non sanno se possono
lavorare o meno». «Gli studenti non hanno corsi, non possono laurearsi», insiste. «I docenti non permettono di fare la laurea con loro non essendo certi di poter continuare a lavorare». Gli studenti stanno cercando così di far sentire la loro voce dopo che i professori tentano da 8 mesi, senza successo, di incontrare il ministro dell’Istruzione. Le rappresentanze studentesche hanno lanciato una «chiamata alle Arti» che per ora ha portato ad un incontro con il capo di gabinetto dell’attuale ministro Lorenzo Fioramonti. «Abbiamo provato a sognare una laurea», scrivono nel manifesto delle mobilitazioni.
«Ad accontentarci di un diploma. A credere alla favola dell’equipollenza. A studiare senza continuità didattica. A seguire lezioni senza docenti. A lavorare senza materiale. A fare ricerca senza dottorati. A fare a meno di un albo. Ci abbiamo creduto senza essere mai considerati». «Il capo gabinetto ci ha promesso che il Ministero sta cercando di risolvere la questione – spiega Gianluca – già con un emendamento alla legge di bilancio. Ma anche se così fosse, i provvedimenti partiranno dal 2020, il che significa aver perso tutto il primo semestre di corsi, esami e sessioni di diploma». La problematica va a toccare il nervo scoperto
della capacità dello Stato italiano di garantire il diritto allo studio, sancito dall’articolo 34 della Costituzione. «La sospensione dei corsi significa anche un’altra cosa», spiega Gianluca. «Molti degli studenti e delle studentesse che hanno vinto una borsa di studio, non potranno acquisire i crediti sufficienti per poterla prendere e per poter, quindi, continuare a studiare». Tra l’altro, gli studenti delle Accademie di Belle Arti sono già messi alle strette dalla scarsità degli appelli durante l’anno (3 in tutto), che rende difficile poter sostenere più esami nelle varie sessioni e rispettare il minimo di crediti sufficiente a vincere la borsa.
«In Accademia e in Conservatorio abbiamo solo tre appelli in tre sessioni: ci sono persone che hanno cinque o sei esami nello stesso giorno, e addirittura nella stessa ora. Sostenerli è spesso fisicamente impossibile». A tutto questo si aggiunge sia il problema (ormai atavico) del taglio dei fondi all’istruzione, sia l’universo problematico degli istituti AFAM – Alta formazione artistica, musicale e coreutica. «Studiamo in aule minuscole, non abbiamo abbastanza materiale per tutti. Non abbiamo assegni di ricerca sufficienti e rischiamo anche di perdere i tutor per gli studenti disabili». «Già il mondo del lavoro per noi è particolarmente difficile. Siamo spesso lavoratori autonomi, che in Italia vuol dire quasi sempre essere precari e con poche tutele. In questo modo vengono a saltare anche le premesse di una possibile ripresa del settore».
L’arte in Italia è morta? Le proteste degli studenti delle Accademie: corsi soppressi, pochi docenti e nessun fondo di Giada Ferraglioni
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Foto Antonio Pintus
ono nata a Cagliari, una città a mio avviso meravigliosa, e parte della mia infanzia l’ho trascorsa tra il paese della mia nonna materna: Laconi, e dai miei zii ad Alghero. Sardegna per me ha il significato di rifugiarmi ogni volta che ho sentito la nostalgia e la malinconia dovuta al mio costante girovagare. Questi luoghi speciali, intimi e profondi sono ancora oggi linfa vitale. Le donne della mia famiglia sono state da sempre punti di riferimento, anime libere e creative. Ricordo i pomeriggi e le nottate trascorse in terrazza, a raccontare storie antiche, sono stati momenti significativi, perché in quelle occasioni imparavo qualcosa di nuovo, ho imparato a condividere. Che fosse tessere un tappeto al telaio, colorare i tessuti di lino, cucire, disegnare, o decorare dolci. Questo è il punto di partenza. Gli occhi profondi e buoni di mia nonna mi scrutavano e mi spronavano, anche da lontano, anche quando ho deciso di trasferirmi prima in Inghilterra e poi in Toscana. Mi ricordava di non dimenticare mai le mie origini e di farne una forza a livello creativo. E in effetti, inconsapevolmente, quel modo di fare e quella filosofia di vita non mi hanno mai abbandonato. Ricordo che mio padre
quando mi accompagnava a visitare le Chiese e i musei mi lasciava il tempo per osservare, questo ha fatto si che io iniziassi ad avere un occhio più attento ai dettagli e alla contemplazione dell’opera. Questo approccio alla bellezza è stato determinante in tutto il mio percorso. Tutto si è riversato nel progetto Bistrusso, quello che sono oggi deriva quindi da radici profonde. Ho sempre saputo che avrei fatto della mia passione per la moda e l’arte il mio lavoro. Mi piace pensare che Bistrusso sia una forma di viaggio e di dialogo costante, perché nasce da
un’idea di evasione, in un momento in cui avrei potuto proseguire la mia carriera nelle aziende di moda e invece, inaspettatamente, ho compiuto il vero viaggio della mia vita con un volo di sola andata per la Sardegna. Ritornare per costruire con coraggio qualcosa nella mia Isola mi ha profondamente cambiato. Ho sempre disegnato collezioni di abiti e l’accessorio non ha mai avuto un posto di eccellenza. Quindi ho deciso di approfondire le conoscenze di questo accessorio, nella costruzione in primis, nella modellistica. Così ho avviato il mio progetto focalizzandomi sul prodotto e sull’individualità.
Foto Bistrusso
GIORGIA BISTRUSSO Concependo la borsa come un prodotto da tramandare negli anni, ho creato senza pensare alle tendenze del momento, creando così un nuovo stile. Studiando i vari modelli, attraverso l’utilizzo del sughero ad esempio, oltre ad un fattore estetico ho puntato anche alla praticità di tutti i giorni, realizzando così borse leggerissime e capienti, questo mi ha spronato ad andare avanti nella ricerca dei nuovi modelli. Dal lino, al sughero e la scelta di lavorare a strettissimo contatto quotidiano con gli artigiani sardi, tanto da parlare di Very Sardinia Couture. Nell’arco del primo anno avrò realizzato sui trecento tes-
suti che ancora custodisco gelosamente nel mio Atelier. Lavorando nei diversi paesini, ho deciso di non aprire un unico laboratorio, ma di riaprire semmai i piccoli laboratori già esistenti, credo che sia importante ridare la possibilità a chi ha voglia di lavorare e creare nei propri luoghi, soprattutto in un periodo in cui molti hanno difficoltà a portare avanti l’attività. Mi sono poi dedicata allo studio della lana sarda e alla sua colorazione, attraverso l’uso di tecniche tintore naturali. Oggi i laboratori artigianali sono la mia seconda casa. Con gli artigiani il lavoro è stato intenso e difficile, perché creare
delle belle sinergie non è facile e comporta sacrificio e pazienza. Poi è cresciuta l’idea di inserire anche il tessuto sughero, quasi un velluto, ma resistente e antimacchia. Non potevo quasi accettare che fosse considerato un materiale cheap, e diciamola tutta, forse mi ero stancata di vedere le solite saliere, borsette striminzite e quadretti con i santini disegnati. Io sono un esteta e questo mi sembrava assurdo, rimanere ancorati a brutti monili proprio non mi piaceva. Ho pensato che le donne sofisticate avrebbero sicuramente apprezzato questo materiale, forse più di noi sardi che spesso diamo poco valore a quello che ci circonda, non riuscendo ad esaltare le bellezze del territorio. Nel 2014 ho iniziato a ricamarlo a mano e per un progetto di Alta Roma ho presentato la collezione dal nome Carnation, con disegni floreali realizzati con la lana. Ogni dettaglio delle borse è studiato con una lavorazione couture d’altri tempi. Le borse sono quindi il risultato di più mani, tutto realizzato con una grande attenzione per l’uso dei materiali e le tecniche di produzione. Attualmente sto lavorando nella zona del centro Sardegna, dove lo stile si fonda con la Storia e si impreziosisce con l’oro nero del neolitico del mediterraneo: l’ossidiana, che è il mio prossimo progetto. fashiontimes/it
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Foto MauroBallette
a scelta della città e del quartiere in cui far sorgere Studio Vertice, per Mauro Ballette è stata naturale. «Cagliari è il porto della Sardegna e rappresenta al meglio la filosofia di Vertice, inteso come punto di incontro, e non come apice, di due linee: l'artigianalità e la ricerca delle tendenze, sempre nella mia personale visione del progetto. Villanova è un quartiere bellissimo, il 'nido' ideale che potesse accogliere Vertice». In via San Giovanni, l’arteria cagliaritana storicamente popolata dagli artigiani, nel cuore di Villanova, è nata la creatura di un giovane designer sardo, che dopo anni di studio e lavoro nel mondo dei grandi brand della moda internazionale, ha deciso di tornare in Sardegna per dare vita al suo progetto. Mauro Ballette, stilista e designer nato a Oristano, ha creato proprio in via San Giovanni “Studio Vertice”, il suo atelier di moda. “Ogni abito racconta una storia: fatta a mano e ambientata in Sardegna”: questo lo slogan che racconta alla perfezione la filosofia alla base del suo progetto, la cui prima collezione è uscita a fine gennaio. A 18 anni Mauro ha fatto le valigie alla volta di Milano, capitale italiana (e mondiale) della moda. Prima il corso triennale in Design della Moda al
Politecnico, poi la scuola professionale all’Istituto Carlo Secoli, sempre a Milano, dove ha imparato a realizzare i cartamodelli (rappresentazione grafica dei ritagli di tessuto che compongono un abito usati per il taglio della stoffa) e a confezionare i capi. In queste due esperienze Mauro ha imparato tutto quello che c’è da sapere per realizzare capi d’abbigliamento dalla a alla z, dalle tecniche di progettazione, allo studio dei tessuti, passando per la grafica, la comunicazione, il business management, la commercializzazione dei prodotti e la loro realizzazione concreta. Mauro Ballette è andato poi a imparare il “me-
stiere” in alcune delle più importanti aziende nel campo della progettazione moda. Il primo stage nell’ufficio prodotto di uno dei più grossi atelier di Milano, poi tre importanti esperienze da assistente modellista: il primo in un’azienda che produce le collezioni per il designer libanese Zuhair Murad, il secondo in una che produce il reparto ‘sportswear’ (polo t-shirt, felpe) per marchi come Prada, Versace e Ferragamo, e infine il terzo a Torino, in una grandissima azienda che realizza i capi spalla del colosso inglese della moda Burberry. Infine Mauro è ritornato a Milano dove ho lavorato come modellista – quindi
Foto vistanet
MAURO BALLETTE prima esperienza con responsabilità diretta – in una piccola azienda che realizza campionario e prototipi per nuovi designer emergenti. Un curriculum di tutto rispetto e una carriera in ascesa nel mondo della moda milanese, se non fosse per quella cosa che Mauro chiama “molla” e che scatta nell’animo di tantissimi sardi emigrati, quella voglia irrefrenabile di tornare nell’unico luogo che è possibile chiamare ‘casa’. Così Mauro Ballette torna in Sardegna, prima ad Oristano, dove per tre anni si occupa di realizzare capi su ordinazione e su misura, poi a Cagliari, approdo naturale per chi vuole avere più contat-
ti possibili con il mondo esterno pur mantenendo le radici nell’isola. «Anche qui si possono fare cose importanti. È vero, ci sono dei limiti, dei difetti, la Sardegna non è come molti la dipingono ‘un’isola felice’ ma è casa mia, è la mia Terra. Per questo ho deciso di tornare qui e portare avanti un progetto tutto made in Sardinia». Da questi presupposti nasce Vertice, la creatura di Mauro Ballette, uno spazio aperto dove la collezione moda Primavera-Estate 2019 viene mostrata alla clientela accanto al laboratorio in cui gli stessi capi vengono realizzati. Una sorta di ‘km 0 della moda’, che dal gior-
no dell’inaugurazione, avvenuta a fine gennaio scorso, ha trovato ottimi riscontri nel pubblico cagliaritano. «Nella mia collezione la camicia è stato il capo principale attorno al quale è ruotata tutta la progettazione. L’ho scelto come punto di riferimento per rigore e ordine del capo. Ho voluto creare modelli molto semplici, ma diversi dall’ordinario, capi confortevoli che stessero bene sul corpo e che fossero arricchiti da linee pulite, tasche (elemento fondamentale), coulisse e tanti piccoli dettagli originali. I capi sono realizzati uno ad uno, e in mancanza di taglie adeguate nello store, possono essere ordinati e realizzati nel laboratorio adiacente». Mario Marcis
autunno inverno 2019/2020 Vertice inaugura l’anno nuovo presentandovi la nuova collezione! Per l’occasione vi aspettiamo in Atelier!
Nuova Collezione Autunno Inverno Via San Giovanni, 178, Cagliari
studiovertice.it
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ista l’impossibilità di accedere all’area interessata alla ricerca poiché si tratta di una zona privata attualmente adibita a peschiera, per affrontare una lucida analisi di ciò che appare come un grande villaggio costiero nuragico, poco meno di 10 ettari, sconosciuto agli archeologi, nel lungomare di Nora, nella Sardegna sud-Occidentale, occorre introdurre l’argomento avvalendosi degli studi portati avanti da Marco Rendeli nella costa algherese, per la precisione a Sant’Imbenia, un sito che presenta notevoli somiglianze con ciò che appare dai primi rilievi effettuati da Angelo Murru, autore della scoperta a Nora. Le riflessioni di Rendeli affrontano un tema non nuovo nel panorama della ricerca archeologica in Sardegna, quello della trasformazione avvenuta nella società isolana tra Bronzo finale e Ferro e delle sue conseguenze. Le ultime stagioni di scavi del villaggio nuragico di Sant’Imbenia, da parte di Marco Rendeli e del suo staff, hanno prodotto una serie di dati importanti che influenzano la lettura e l’interpretazione dei dati di Nora e altri villaggi simili conosciuti in Sardegna, ad esempio Barumini, Serra Orrios, Palmavera e altre realtà nuragiche floride nei secoli immediatamente successivi al X a.C., il periodo caratterizzato
UN VILLAGGIO NURAGIC dalla miniaturizzazione (bronzetti, navicelle e piccoli nuraghi al centro delle cosiddette capanne delle riunioni) e dall’avvio del nuovo sistema di urbanizzazione dei centri nevralgici dell’economia isolana, fino almeno al VI a.C. La messa in luce dello spazio collettivo centrale scavato a Sant’Imbenia, calamita attorno a sé una serie di ambienti chiusi e spazi aperti, e appare agli occhi di Rendeli la punta di un iceberg sotto la quale sono da leggere una serie di eventi che potrebbero aver modificato in maniera sostanziale l’organizzazione, i modelli di produzione e, in generale, la società della Sardegna nuragica.
Il dato archeologico principale è l’intervento urbanistico che si compie nel villaggio: coinvolge una serie di antiche abitazioni che vengono abbattute, pesantemente modificate o entrano a far parte di strutture edilizie complesse a più vani. In questa fase si passa dalla presenza di un’edilizia di tipo circolare, generalmente monovano, a una complessa nella quale vi sono soluzioni differenti. Alcune parti di antiche abitazioni vengono rimodulate, c’è attenzione alla definizione degli stipiti degli ingressi, si realizzano progetti all’interno dei quali si prevede un’alternanza di vani chiusi e di ambienti aperti. La ragione per quale si
CO SOMMERSO A NORA modificano in maniera sostanziale gli ambienti, a prescindere da un evento traumatico che si può escludere a priori (incendio, crollo parziale), potrebbe essere stata dettata da ragioni differenti: non appare casuale la comparsa di una capanna particolare (un ripostiglio contenente un tesoretto di panelle di rame e di oggetti in bronzo) con apertura che a oggi rappresenta l’unico accesso diretto, in entrata e in uscita, dello spazio aperto collettivo. Dunque, pur se limitrofa alla piazza, la cosiddetta capanna dei ripostigli acquisisce una ragione d’essere che la rende struttura viva all’interno del nuovo piano urbani-
stico. Dalla pianta si può comprendere bene come tutto il progetto abbia come punto centrale lo spazio aperto e come il villaggio sia stato pesantemente modificato rispetto alle fasi precedenti. Quel che appare assodato è che l’insediamento copre un’area più ampia rispetto a quella determinata dal raggio definito dalla prima stagione delle ricerche: se il canale intorno all’abitato, scavato per bonificare il terreno sul quale costruire l’insediamento, definisce un limite fisico, la dimensione si aggirerebbe attorno ai 3 ettari. Il programma urbanistico interessa il settore più vicino al nuraghe nella
sua parte rivolta al territorio piuttosto che verso il mare. Si possono trarre una serie di riflessioni su questa trasformazione. La prima riguarda proprio l’aspetto urbanistico del programma: la creazione di quel che appare uno spazio aperto collettivo destinato allo scambio locale e con mercanti approdati nel golfo. Ciò implica un processo di alienazione di spazi precedentemente considerare privati a favore della creazione di un’area collettiva. Questo dato inserisce, all’interno di un villaggio fatto di capanne a più vani, un’area aperta con chiare connotazioni pubbliche, destinata dal-
la collettività alle attività di scambio e commercio. La seconda implicazione riguarda la realtà economica e sociale del villaggio e del territorio: si può ipotizzare che una presenza continuata di mercanti possa essere stata il detonatore di profondi cambiamenti nella maniera di concepire la produzione all’interno di un’area vasta. Esso offre risorse che possono essere utili per queste forme di scambio e che rendono appetibile una sosta. La Sardegna era nota da tempo ai mercanti navali, soprattutto per le sue capacità minerarie. I mutamenti occorsi possono essere visibili in almeno due sfere di azione: quello del materiale metallico semilavorato e lavorato, quello della produzione vinicola. Da questo punto di vista si può proporre, nel quadro di relazioni che si sviluppano con altri settori del Mediterraneo, il recupero di documenti rappresentativi di quella sfera del dono che si accompagnava alla transazione commerciale: i bronzetti e gli altri oggetti di pregio rinvenuti nei villaggi. Questi potrebbero essere la testimonianza che i protagonisti dei rapporti con i mercanti provengono dai centri produttivi del territorio, nei quali si attua una forma di redistribuzione degli oggetti scambiati. (segue alla pagina 16)
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(segue dalla pagina 15) Anche in altri settori della produzione si notano forme centro e il territorio: la produzione vinicola e l’artigianato ceramico a essa connesso. Fortemente interfacciate fra loro, queste due attività offrono un quadro di novità importante: a partire dalla seconda metà del IX a.C. l’attestazione di contenitori da trasporto, riconosciuti con la denominazione di “anfore di Sant’Imbenia”, si riscontri in diverse aree del Mediterraneo centro occidentale. Queste anfore si accompagnano spesso con un contenitore di medio-piccole dimensioni, le brocche askoidi, la cui irradiazione nel Mediterraneo appare al momento anche più ampia. Si può affermare che le due forme possano essere considerate complementari a formare un set del bere di matrice isolana. Brocche askoidi e anfore d’ispirazione levantina sono la spia evidente del mutamento dei tempi soprattutto per quel che riguarda le compagini locali: esse infatti segnano il passaggio a un modo di produzione che, dalla sussistenza, prevede la realizzazione di surplus che serve a soddisfare la domanda dei mercanti. Ciò presuppone anche una specializzazione nella produzione di contenitori ceramici per rispondere a una domanda che impone la creazione di contenitori legati alle ec-
cedenze per soddisfare lo scambio. Il vino sardo, e nel particolare caso di Sant’Imbenia, quello della Nurra meridionale, si attesta nella Spagna meridionale, a Cartagine, in Etruria settentrionale. L’area algherese, con tutte le componenti “politiche” che hanno intrapreso questo percorso di trasformazione, entra appieno in una serie di circuiti commerciali che prendono forma. La componente locale risponde con trasformazioni importanti nei suoi assetti organizzativi, economici e sociali interni a quella società o a quelle comunità, e che coincide con quei fenomeni già descritti da Lilliu come
propri dell’aristocrazia e che sottintendevano una complessità organizzativa e sociale. Oggi possiamo aggiungere nuovi tasselli alle realtà isolane: essi rappresentano parti di società complesse, ben strutturate e forti, con un patrimonio simbolico del passato che si riverbera nel presente. Le società della Sardegna, a partire dal Ferro, esprimono una spinta propulsiva al cambiamento e alla trasformazione iniziando una stagione di coscienza delle proprie capacità e della propria forza, del controllo dei mezzi e dei prodotti, della propria capacità di concepire forme di organizzazione più complesse e articolate rispetto al passato.
La questione Nora offre notevoli spunti di riflessione. Gli archeologi che si sono succeduti nelle numerose campagne di scavo, hanno consentito una parziale ricostruzione della storia del sito, ma non hanno ancora messo in luce nella zona un villaggio capace di contenere l’alto numero di abitanti presenti nella zona. Un dato demografico testimoniato dalla notevole e continuativa presenza di manufatti nel corso dei secoli. Il professor Tronchetti, nella sua Guida di Nora, scrive che sino al 1952 Nora rimase sepolta. Di essa erano visibili solo pochi ruderi monumentali che erano già stati notati 400 anni fa dal Fara, il
quale identificò quei resti con l’antica Nora. In seguito abbiamo notizie da viaggiatori dell’800, ad esempio Francesco d’Austria-Este che descrive i resti dell’acquedotto, del teatro, di cui contava nove o dieci filari di gradini, e di ruderi di un edificio termale, che possiamo identificare nelle Terme a mare. Il Barone di Maltzan parla del teatro e di una iscrizione del periodo di Teodosio e Valentiniano che ricorda lavori di restauro all’acquedotto, trovata riadoperata come gradino della chiesetta di S. Efisio, primo segno della spoliazione cui le strutture della città, ormai abbandonate, furono fatte
oggetto sino da tempi antichi. Il La Marmora è il primo a fornire notizie concrete, fra cui la prima planimetria del teatro, mentre lo Spano effettuò alcuni saggi di scavo limitati. I primi interventi su larga scala avvennero nel 1889. A seguito di una forte mareggiata che scoprì una parte del tophet , il Vivanet effettuò l’indagine che restituì una serie di urne e stele, in parte trasportate al Museo Archeologico di Cagliari. Una parte delle stele fu invece sepolta nuovamente e fu adoperata abusivamente come materiale da costruzione. I restauri della chiesa di S. Efisio condotti dall’ing. G. Tola hanno permesso di recuperare alcune stele trovate impiegate nella costruzione degli edifici adiacenti la chiesa. Negli anni 1891 e 1892 il Nissardi esplorò accuratamente le necropoli ipogeiche puniche; le tombe a camera restituirono corredi di notevole importanza, conservati nel Museo cagliaritano. Nel 1990, dopo una serie di limitati sondaggi , ha avuto inizio la nuova stagione degli scavi di Nora in un settore della città non toccato da interventi precedenti, individuandolo nell’area compresa tra le Piccole Terme e la recinzione della Marina Militare; l’intervento si è poi allargato al teatro, al Foro, alle pendici del Coltellazzo, con risultati insperati.(segue pagina 18)
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(segue dalla pagina 17) Altri limitati saggi di scavo interessarono ambienti di età imperiale e la zona del “tempio di Tanit”, ritrovando sovrastanti pavimenti di epoca repubblicana romana. Nel 1952 la rappresentazione di un dramma dello scrittore Marcello Serra nei ruderi del teatro di Nora, eseguita a cura dell’ESIT, portò a effettuare uno sterro per la posa del palcoscenico, che mise in luce strutture antiche. La scoperta provocò la decisione dell’allora Soprintendente Gennaro Pesce, di iniziare un lavoro sistematico. Ciò avvenne con finanziamenti regionali per un cantiere scuola dove operarono talvolta sino a cinquanta sterratori, guidati da assistenti di scavo e volontari. Lo scavo si protrasse sino al 1960 scoprendo più di tre ettari di rovine. Un’edizione scientifica di questi scavi, dei materiali ritrovati, delle strutture edilizie, delle varie situazioni topografiche e cronologiche della città non è mai stata purtroppo fatta, così che ci mancano tutti i dati stratigrafici dell’area urbana e le conseguenti relazioni fra materiali mobili e strutture. Dal 1960 in poi Nora è stata interessata solo da alcuni saggi alle fortificazioni puniche dell’acropoli, posta sulla Punta di Coltellazzo, da parte di Ferruccio Barreca. Nel 1977 e nel 1982 si
sono scavate alcune tombe romane venute fortuitamente alla luce sull’istmo, e, sempre nel 1977, Tronchetti ha proceduto allo scavo integrale delle Terme a mare, effettuando, in seguito, limitate verifiche in alcuni settori della città. Rimane ancora da indagare una parte del centro urbano, sulle pendici orientali del colle del “tempio di Tanit” e più oltre nella zona recintata dalla Marina Militare. Oggi, con questa scoperta, sarà forse possibile indirizzare una campagna di scavo adeguata all’importanza che il sito riveste nel panorama sardo. Personalmente invito la soprintendenza a prendere atto della segnalazione di Angelo Murru e prov-
vedere ai relativi controlli. Nelle immagini potrete comparare alcuni villaggi conosciuti con le foto del sito in questione. La foto lunga con la panoramica della peschiera è di Roberto Serra. Pierluigi Montalbano
Quotidiano Honebu di Storia e Archeologia STORIA DEI POPOLI: SEMINIAMO IL SEME DELLA CULTURA NEI NOSTRI FIGLI PERCHÉ IL FUTURO È ANCORA DA COSTRUIRE. DIRETTO DA
PIERLUIGI MONTALBANO https://pierluigimontalbano. blogspot.com
Dicembre 4, 2019 Inaugurazione
Mostra di Pietre Sonore di Pinuccio Sciola Concerto Jazz Àghera quartet Emanuele Contis /Sax, Andrea Granitzio/piano, Sandro Fontoni /Double bass, Daniele Russo/Drums
E’
stata inaugurata il 4 dicembre presso l’Istituto italiano di cultura di Londra la mostra “The Sound Between”, dedicata al celebre artista sardo Pinuccio Sciola e ai rapporti tra scultura, forma e suono nelle sue opere. Sviluppato da Indòru, Fondazione Pinuccio Sciola e Istituto italiano di cultura di Londra e finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna, The Sound Between è incentrato su Pietre Sonore, le sculture che Pinuccio ha creato dal 1996, per svelare il dinamismo del suono nascosto in un materiale tradizionalmente confinato alla percezione visiva.
Una significativa selezione di Pietre Sonore sarà esposta all’Istituto fino al 5 marzo 2020. L’apertura della mostra é stata accompagnata da un concerto jazz del Quartetto Àghera. Emanuele Contis (sax), Andrea Granitzio (pianoforte), Sandro Fontoni (contrabbasso) e Daniele Russo (batteria) che hanno fuso i loro vibranti brani musicali con il suono misterioso e intrigante delle creazioni di Pinuccio. “La lingua delle sculture sonore è universale e anche là é arrivata la vibrazione della Sardegna. Grazie ad Andrea Granitzio e all’Associazione Indòru per aver promosso questa straordinaria iniziativa con un calendario ricco di eventi.” T. Sciola
Foto Fondazione Sciola
Dicembre 12, 2019 Italian genius - Lecture da Leonardo da Vinci a Pinuccio Sciola
Gennaio 30, 2020 Rooms to Explore Concerto per Pianoforte Andrea Granitzio - piano UK Premiere Febbraio 13, 2020 Pinuccio Sciola Arte, Forma e Suono videos e lecture Febbraio 27, 2020 Time Persistence Concerto per archi e Pietre Sonore
Inizio eventi ore 7 p.m. Italian Cultural Institute, 39, Belgrave Square, Belgravia, London SW1X 8NX Ingresso libero, su prenotazione https://iiclondra.esteri.it/ iic_londra/it/gli_eventi/calendario/2019/12/opening-pinuccio-sciola-sounding.html Con il Supporto della Regione Autonoma della Sardegna in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura a Londra, Fondazione Sciola, Fondazione Sardegna Film Commission.
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Foto unionesarda.it j.b.
omanzesu, la via dell’ambra e nuovi scavi archeologici tra le sugherete della Barbagia dove viene ritrovata la più alta concentrazione d’ambra. L’origine naturale ci porta ai Paesi baltici del nord Europa. L’ambra, scoperta in epoca romana, modellata in milioni di anni per effetto di sconvolgimenti climatici e tellurici della terra e del mare, nell’età del Rame e del Bronzo inizia ad arrivare più a sud, fino all’Italia. In Sardegna la più alta concentrazione di ambra viene ritrovata, non senza sorpresa, nell’area nuragica di Romanzesu, tra le sugherete dell’altopiano di Bitti, nella Barbagia apparentemente più lontana dai traffici commerciali fiorenti nelle coste. Il sito gioiello del culto delle acque, a 800 metri di quota, a 13 chilometri da Bitti, interseca così la via dell’ambra che muove dai paesi del nord Europa per conquistare nuovi mercati del mondo antico. Storia inedita e molto affascinante, che schiude sorprese e proietta il santuario nuragico in contesti insospettabili. Romanzesu ha una storia millenaria perché le sue pietre raccontano vita e cultura dei nuragici. Ma solo cent’anni fa l’archeologo Antonio Taramelli annunciava la scoperta di una fonte preromana in mezzo al bosco di querce, durante la-
ROMANZESU L’AMBRA vori di ricerca dell’acqua. S’è però dovuto aspettare altri settant’anni per iniziare a schiudere i tanti segreti del sito-gioiello, legati anzitutto al culto delle acque. Sette campagne di scavo, condotte tra gli anni Ottanta e Novanta sotto la direzione dell’archeologa della Soprintendenza Maria Ausilia Fadda, hanno svelato sorprese e importanza scientifica di questa storia antica. Poi un lungo stop sebbene, nel frattempo, Romanzesu sia diventata meta familiare a tanti visitatori, scolaresche in testa. Ora, per celebrarne il centenario, arriva una nuova campagna di scavo, finanziata dall’Unione dei Comuni del Mon-
talbo. E Romanzesu, anche alla luce della nuova via dell’ambra, sembra promettere nuove sorprese. Il villaggio è esteso per sei ettari, impreziosito da vari templi a megaron dedicati al culto della divinità delle acque e da un’area cerimoniale caratterizzata da un camminamento labirintico. Il monumento più celebre ha una vasca gradonata, un anfiteatro collegato al pozzo sacro. Il villaggio risale alla fase più evoluta del Bronzo medio e della prima fase del Bronzo recente: 1500-1300 a.C. L’uso dell’ambra in Sardegna - spiega Maria Ausilia Fadda - è documentato dall’età del Bronzo recente (1300 a. C.).
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A E NUOVI SCAVI Ritrovamenti non mancano in vari siti, da Sardara a Villanovafranca, da Fonni a Teti, da Orune a Oliena, da Serri a Soradile, da Siligo a Villagrande Strisaili. Ma a Romanzesu c’è un’alta concentrazione e una diversità che - secondo gli esperti - farebbe pensare alla presenza di laboratori isolani. Non solo. , sottolinea Maria Ausilia Fadda richiamando una provenienza sconosciuta, ancora tutta da decifrare ed esplorare. Sulla valorizzazione della via dell’ambra vorrebbe puntare anche il Comune con un nuovo progetto , sottolinea il sindaco Giuseppe Ciccolini. Infatti oltre diecimila vi-
sitatori in un anno con ulteriori capacità di crescita hanno frequentato il sito, anche perché c’è la possibilità del biglietto unico che consente la visita al Museo del Canto a Tenore e della Civiltà Pastorale, al Parco dei Dinosauri Bittirex e l’accesso a una grande mostra come “Da Vinci Experience su Leonardo”, dice Fernando Posi, archeologo che 23 anni fa lavorò nel cantiere di scavo e poi, pur senza ulteriori campagne, qui è rimasto a guidare ogni giorno studenti e turisti che scelgono Romanzesu per scoprire la storia bella e antica di una Sardegna nuragica piena di sorprese Maria Maddalena Orunes unionesarda.it
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li Enti pubblici per primi non hanno idea di chi debba lavorare nei musei e con quali competenze. Professionisti museali, operatori museali oppure museologi? Non esiste neppure una definizione riconosciuta. Già questo giornale ha affontato la difficile realtà di chi, come me, intraprende un percorso formativo per diventare professionista dei beni culturali. Ho recentemente scritto dell’enorme discordanza che in questo settore esiste fra il mercato della formazione e quello del lavoro. Centinaia di professionalità e specializzazioni offerte a fronte di nessuna domanda. Parlavo dell’uso tossico di tirocini e volontariato, delle enormi differenze che possiamo trovare oltre confine e di come il nostro Paese sia in sostanza rimasto arenato crogiolandosi nel suo passato. La recente inchiesta pubblicata dal collettivo «Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali» non ha fatto che avvalorare le mie affermazioni sul pietoso stato in cui versa il settore. Su circa 1.500 professionisti interrogati il 50% degli intervistati guadagna meno di 8 euro l’ora. L’80% denuncia paghe che raggiungono, al massimo, i 15mila euro annui.
La maggior parte è inquadrata con un contratto di multiservizi, cioè una tipologia relativa al personale che si occupa di pulizie e manutenzione. Un contratto per i lavoratori della cultura esiste dal 1999 e si chiama Federculture, ma è applicato solo nel 7,2% dei casi e già averne uno sarebbe qualcosa: il 78% di coloro che hanno una partita Iva l’hanno aperta non per libera scelta, ma perché obbligati. Qual è la ragione di questa catastrofica situazione? Citerò due elementi (come spunti di riflessione e senza nessuna pretesa di compiutezza) che possono essere considerati per analizzare il fenomeno: il primo è rappresentato dall’ambiguità e la debolezza a livello normativo e istituzionale delle professioni nel mondo culturale. Nel campo dei musei, ad esempio, già nel 2006 Icom individuava, attraverso la Carta nazionale delle professioni museali, ben 20 tipologie di profili diversi, divisi in quattro ambiti, ognuno con mansioni e competenze diverse. Il bando uscito recentemente per l’assunzione di 1.052 unità di personale al Mibact è stato messo sotto attacco perché le 20 professionalità snocciolate da Icom sono di fatto inglobate nei due soli profili previsti dalle direttive ministeriali: l’assistente alla fruizio-
ne, all’accoglienza e alla vigilanza (profilo oggetto del bando) e il funzionario con posizione dirigenziale. Per ciò che riguarda il primo profilo, le critiche ne prendono di mira fondamentalmente il lunghissimo mansionario, il quale contiene attività sia specialistiche che non, ma non richiede alcun titolo universitario come requisito d’accesso. Per quanto riguarda il secondo profilo, che è suddiviso in ambiti disciplinari e non per specializzazioni professionali, si potrebbe obiettare che tra i vari ambiti non risulta quello museologico. E anche quando un’amministrazione pubblica come quella del Comune di Como sembra andare in controtendenza, pubblicando un avviso di selezione per conservatore museale (quindi un profilo specialistico), si scopre che il requisito unico per accedere alla selezione è la laurea in Storia moderna o contemporanea. Sono gli Enti pubblici i primi a non aver idea di chi debba lavorare in un museo e di quali competenze debba aver bisogno. La stessa confusione e ambiguità negli ambiti disciplinari legati al mondo delle professioni museali le troviamo già a partire dalle Università. Il nostro Paese resta uno dei pochi a non avere fra i propri corsi di laurea i cosiddetti Museum studies, in cui l’oggetto di
Foto cagliariholydays
PROFESSIONISTI MUSEALI? studio non è focalizzato sulla Storia dell’arte, sull’Archeologia, l’Antropologia o le Scienze naturali, ma sui musei stessi, formando persone qualificate a lavorare in quell’ambito (Professionisti museali? Operatori museali? Museologi? Non abbiamo neanche un termine) con il compito di «progettare» come sintetizza la presentazione del proprio corso di laurea della University of San Francisco «spazi per il coinvolgimento delle comunità e per il pubblico dialogo». Una visione innovativa, lontana dalla nostra. Questo mi porta verso il secondo elemento che vorrei aggiungere per riflettere sull’arretratez-
za strutturale del settore dei beni culturali, cioè uno storico approccio nei confronti del patrimonio, tuttora radicato nelle teste e nelle dirigenze di questo mondo. Mentre nel secolo scorso in Occidente prendeva piede un nuovo modo di concepire, tutelare e valorizzare il patrimonio, l’Italia rimaneva legata a posizioni conservative, intrappolata da quella visione estetizzante data all’arte dall’Idealismo di Croce e Gentile, universo teorico nel quale verrà poi formulata la Legge Bottai del ’39, prima legge moderna dedicata alla tutela e alla conservazione, ancora oggi assolutamente valida nei suoi presupposti concettuali.
Ma già nel Dopoguerra il dibattito internazionale, guidato dai tavoli delle organizzazioni sovranazionali come Icom e Unesco andava in direzioni diverse. Il patrimonio culturale non si doveva intendere semplicemente come un gruppo più o meno numeroso di oggetti di valore da conservare e proteggere, accessibili solo a una cerchia ristretta di persone con alti capitali economici e culturali. La trascendentale definizione gentiliana di arte come «momento dello spirito», al quale era necessario accedere e che era possibile fruire solo attraverso una sorta di dotta «contemplazione estetica», non era più adatta. L’arte, come la cultura, non doveva più essere considerata come una «monade» immutabile ed esistente in sé, ma come un prodotto umano a tutti gli effetti, frutto dell’agire e del pensare, dal quale attingere per produrre altra cultura, in un processo costante, mutevole, sensibile alle necessità e ai cambiamenti sociali. Piano piano veniva maturata l’idea che il patrimonio culturale non debba rappresentare un elemento di distinzione (come direbbe il sociologo Pierre Bourdieu) ma una risorsa accessibile a tutti, strumento di pace e democrazia. Più che come qualcosa da apprezzare per le sue (segue pagina 24)
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PROFESSIONISTI MUSEALI?
Foto tripadvisor.it
(segue dalla pagine 23) qualità formali, l’uso del bene culturale doveva essere ripensato come il tentativo di immaginare e creare un mondo più giusto, più equo, più consapevole. In questo quadro, che restituisce una visione in qualche modo «desacralizzata», sembra quasi più comprensibile e meno blasfemo vedere associate alla cultura parole come gestione manageriale, valutazione della performance, marketing territoriale e, perché no, privatizzazione, se fatta con coscienza, obiettivi specifici e, soprattutto, professionalità e competenza. Il dibattito sul rapporto fra turismo e beni culturali, ad esempio, si adatta bene a questo discorso. In un’ottica di «nuova visione» del patrimonio, il turismo potrebbe essere considerato come una possibilità di ampliare il ventaglio dei pubblici e delle accessibilità, come strumento di diffusione culturale e non solo come un rischio o un pericolo. Mi impressiona un po’ leggere un comunicato come quello che Italia Nostra ha diffuso lo scorso settembre a proposito del ritorno del turismo come competenza del Mibact. «L’accorpamento del Turismo all’Agricoltura alla nascita del governo giallo-verde, si legge nel comunicato, era stato salutato dalla neopresidente di Italia Nostra, Mariarita Signorini, come una buona notizia perché finalmente ridava dignità ai Beni culturali e recuperava l’originaria vocazione educativa voluta da Spadolini
al momento dell’istituzione del Ministero». In questa dichiarazione c’è molto di quel conservatorismo estetizzante a cui accennavo. Il comunicato continua facendo riferimento ai danni che il turismo di massa (apostrofato come «turismo selfie») ha portato a una città come Venezia. Nel comunicato non si fa menzione però che al di fuori delle tre o quattro realtà urbane colpite dai rischi del turismo di massa, c’è un intero Paese nel quale la penuria di visitatori è un continuo mantra. Che cosa c’è di meglio allora che la giurisdizione sul turismo di un Ministero consapevole dell’importanza del patrimonio, avente quindi facoltà di vigilare e di operare in maniera ocu-
lata per attrarre le grandi masse desiderose di selfie, e magari convogliarle in luoghi ancora sconosciuti ma non meno ricchi di patrimonio? In questo approccio troppo stretto sull’aspetto conservativo e sacrale del nostro patrimonio, che lo considera più come una risorsa da «risparmiare» che da «investire», vedo annidato un altro degli elementi causa dell’arretratezza strutturale del settore dei beni culturali, che seppur in maniera indiretta, non permettono quella dinamicità necessaria a creare le condizioni economiche adatte allo sviluppo di un mercato del lavoro e di un futuro sicuro per il nostro patrimonio. Cristiano Croci, da Il Giornale dell’Arte numero 403, dicembre 2019
Nel 1983 usciva in Italia il numero 1 di «Il Giornale dell’Arte», il primo «giornale» al mondo concepito esattamente come un quotidiano, ma di periodicità mensile, dedicato esclusivamente alle notizie del mondo artistico. E’ fatto esattamente come i giornali di interesse generale: come «Le Monde» o «The New York Times» o il «Frankfurter Zeitung» o «Il Corriere della Sera». L’unica differenza è che noi ci occupiamo esclusivamente di avvenimenti d’arte. «Il Giornale dell’Arte» è realizzato a Torino, ha una tiratura costante superiore alle 20.000 copie, ed è acquistabile nelle edicole o per abbonamento. ilgiornaledellarte.com
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pre uno spazio dedicato alle arti nel cuore storico di Nuoro realizzato dalla Ilisso Edizioni, giunta al trentacinquesimo anno di attività. SPAZIO ILISSO sarà il Museo della scultura del Novecento, con un allestimento che si articolerà nel piano terreno dell’edificio e negli ampi giardini, sempre aperti al pubblico come luogo di incontro. Il primo piano sarà invece destinato a mostre temporanee inerenti la ricerca e le relazioni fra le arti visive, declinate nei differenti ambiti espressivi del contemporaneo. SPAZIO ILISSO accoglierà al suo interno, rendendolo fruibile per studi e ricerche, un Archivio delle arti applicate e della fotografia. Proprio la fotografia è stata da sempre uno dei campi d’indagine privilegiati dalla Ilisso, che mette ora a disposizione il suo archivio fotografico che conta centinaia di migliaia di immagini. Particolare attenzione verrà riservata ai laboratori didattici che accompagneranno la programmazione museale ed espositiva. SPAZIO ILISSO ha sede nel complesso architettonico dell’ex Casa Papandrea, abitazione nel centro storico di Nuoro dall’alto valore simbolico per la città; recuperata al nuovo uso a seguito di un lungo e accurato restauro filologico, teso a restituire alla cittadinanza uno
dei suoi pochi esempi di architettura in stile Déco, espresso nel severo gusto locale. SPAZIO ILISSO, con i suoi 500 m2 di coperto e i 600 m2 di giardino, intende divenire un polo culturale che va idealmente a coronare i trentacinque anni di attività della ILISSO EDIZIONI. La casa editrice, con sede a Nuoro, dalla metà degli anni Ottanta ha avviato un sistematico lavoro di storicizzazione di tutta l’arte, la cultura materiale, la letteratura e le produzioni locali della Sardegna (e non solo) e attualmente sta estendendo questa ricerca all’archeologia e all’ambiente naturale. Il lavoro editoriale, sfociato in un catalogo con
più di 500 titoli e 70 mostre, ha raccolto un vasto archivio fotografico e documentale dei sopracitati campi di indagine, propri della ILISSO EDIZIONI. Prima ampia antologica sulla straordinaria attività della fotografa tedesca Marianne Sin-Pfältzer. L’esposizione, realizzata con il contributo della Fondazione di Sardegna, propone gigantografie in bianconero e a colori, stampe vintage, menabò per pubblicazioni, progetti originali per ceramiche, tessuti, video e proiezioni. La Sardegna nella sua interezza di umanità e paesaggio – che per Sin-Pfältzer sono stati un riferimento costante tale da portarla a trascorrervi
gli ultimi anni di vita – vengono rappresentati in questo percorso da scatti iconici, di valore assoluto. Ma la Sardegna è solo uno dei cuori tematici presenti. Un altro, forse il più importante per il taglio internazionale e per la sua attualità nel dibattito contemporaneo, affronta con forza alcune ricerche legate alle problematiche razziali, ecologiste e animaliste. Temi che Marianne Sin-Pfältzer è andata maturando sentendosene coinvolta, schierandosi a difesa della disparità e diversità, sostenendo l’importanza della cultura e dell’educazione come strumento di emancipa-
zione individuale per la costruzione di un maggiore equilibrio nella società. Con i suoi scatti, la fotografa lotta contro la discriminazione non solo razziale, sociale e religiosa, ma anche in difesa della fragilità della natura, degli animali, dei minori, e così delle culture altre. Argomenti che per lei diventano, dalla seconda metà degli anni Sessanta, il perno fondamentale attorno al quale far ruotare i propri interessi. In mostra si è dato ampio spazio a tali tematiche, oggi capaci di gettare nuova luce sull’intera opera fotografica di Marianne Sin-Pfältzer, dalla quale emerge con forza l’attenzione soprattutto
verso l’infanzia, ch’ella ritrae costantemente nei suoi viaggi internazionali. L’esposizione si completa con un approfondimento sull’attività di designer, interesse che andrà frequentando via via che avverte la progressiva mutazione della professione di fotografa. Marianne Sin-Pfältzer dagli anni Ottanta spinge quindi la fotografia verso ambiti produttivi, dei quali è una prima sperimentatrice. Questi esiti, ancora di impostazione artigianale, vengono presto surclassati dall’avvento prepotente della tecnologia, capace di rifondare e rimodellare soprattutto il medium fotografico analogico a cui lei rimase legata. Parte integrante dell’esposizione è l’omonimo documentario di Enrico Pinna e Andrea Mura che ripercorre la vita e l’opera della fotografa con ricchezza di immagini e di testimonianze, fra le quali quella del fotoreporter e storico della fotografia Uliano Lucas. All’interno della mostra sarà presente un percorso didattico dedicato ai bambini che facilita la scoperta e la comprensione dei grandi temi presentati, propedeutico alle attività educative di SPAZIO ILISSO. Alessia Sanna unicaradio.it
SPAZIO ILISSO VIA BROFFERIO 23 NUORO
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Open Studios visite agli studi degli artisti 11/12/13 Dicembre 2019 dalle h 17 alle h 22
Foto Paolo Ollano
Open Studios è un’iniziativa alla sua prima edizione che, attraverso visite agli studi di artisti che vivono e operano in città, permette di scoprire un itinerario insolito all’interno dell’offerta culturale di Cagliari. Gli artisti aprono i propri spazi ad un pubblico eterogeneo, per creare momenti di dialogo e confronto informale e tracciano una panoramica sulle ricerche artistiche attuali in ambiti diversi: pittura, scultura, grafica, fotografia, video, installazioni, interventi di arte pubblica e ricerche in ambito musicale e sonoro. Il progetto si pone come interfaccia tra la produzione artistica del territorio, i suoi abitanti e gli operatori del settore. Dall’11 al 13 dicembre, Cagliari ospiterà la prima edizione di Open Studios, progetto indipendente e autofinanziato, che invita a visitare oltre dieci spazi di produzione dell’arte attivi in città, e si concentra nei quartieri della Marina, di Villanova e di Castello.
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PAOLO OLLANO ARTE CONTEMPORANEA STUDIO VIA SAN GIACOMO 28 09128 CAGLIARI www.paoloollano.net instagram. com/paolo_ollano/ it-it.facebook.com/paoloollano
aolo Ollano è nato a Cagliari dove vive e lavora. A 13 anni vince un concorso Europeo di disegno. Si diploma al Liceo Artistico. Frequenta una Scuola di Grafica e vince una borsa di studio per pubblicitari a Milano. Segue un Corso per “Specialisti in gestione Videoimmagini”. La fotografia è sempre presente nella sua ricerca artistica. Le immagini ed i materiali alternativi, sono inizialmente usati per la personalizzazione della tecnica del “collage”. Seguono le “Lacerazioni”, profonde incisioni sul supporto ligneo e caratteristico elemento riconoscitivo. Le foto affiancate all’uso di tecniche miste e le istallazioni, continuano la ricerca in una direzione estremamente contemporanea. Nascono le costruzioni di ambienti in cui alla fotografia che fa da sfondo segue la prosecuzione tridimensionale e continuativa dello spazio. La creazione di ambienti tridimensionali in scala ridotta (diorami), inizialmente costruiti per essere utilizzati come dei piccoli set per realizzare particolari ed uniche fotografie, diventano singole opere d’arte e le stesse foto diventano parte di loro. Nel 2000 un diorama viene esposto al palazzo dei congressi di Torino nella rassegna “Torino incontra l’Arte”
Si classifica secondo al “Contemporary Art Special Award”, categoria Arti Visive. Nel 2006 una fotografia viene scelta per la mostra “Sotto il sole dell’Arte” organizzata da Tiscali e risulta tra gli artisti selezionati al “Premio Celeste”, sezione Fotografia New Media, ed inserito in catalogo. Nel 2007 una sua opera viene selezionata e partecipa a Genova alla rassegna d’arte contemporanea “Saturarte”, ed inserita in catalogo. Viene inserito nella brochure del catalogo “Premio Fabbri per l’Arte”. Nel 2008 risulta tra gli artisti selezionati per il premio d’Arte contemporanea “Spazi Evasi” a Francavilla al Mare, dove realizza un’installazione “outdoor” sul tema dell’energia ed inserito in catalogo. Nel 2009 viene selezionato per la seconda Biennale di Anzio e Nettuno “Shingle22j – Guerra alla guerra” dove espone al Castello di Sangallo a Nettuno ed inserito in catalogo. Nel 2010 una’installazione viene selezionata per il “Contemporary Ecoart Contest”, ed inserita in catalogo. Nel 2011 e nel 2012 è invitato nell’Atelier Casa Falconieri a partecipare ai momenti di lavoro dedicati alla ricerca e alla sperimentazione calcografica. Nel 2011 partecipa a Madrid alla Fiera d’Arte Contemporanea “Estampa“, e nel 2012 alla Fiera d’Arte Contemporanea “Just Mad 3“. A Bilbao al “FIG Bilbao” 1° Festival Internazionale di Incisione Contemporanea. Nel 2013 partecipa a Madrid alla Fiera d’Arte Contemporanea “Just Mad 4“. E’ artista docente nel laboratorio didattico di formazione sui linguaggi dell’incisione d’arte per la scuola elementare a cura di Casa Falconieri, per le tecniche xilografia, puntasecca, monotipo. Nel 2015 è artista selezionato al concorso di video arte H2O, acqua culla dell’essere – acqua, energia, vita. Nel 2017 riceve una Menzione d’Onore alla fiera d’Arte “Paratissima Cagliari” ed è invitato a “Paratissima Torino”. Partecipa a “Paratissima Bologna”. Nel 2018 vince il primo premio nella mostra concorso “Acque”. Ha all’attivo numerose mostre personali e collettive ed ha esposto le sue opere in diverse città italiane a straniere, tra le quali: Ankara, Bilbao, Cagliari, Foggia, Francavilla al Mare, Genova, Madrid, Milano, Nettuno, Nuoro, Oristano, Rignano sull’Arno, Roma, Santo Ângelo, Sharjah, Torino, Verbania. Alcune opere sono entrate a far parte di collezioni pubbliche e private. PAOLO OLLANO ARTE CONTEMPORANEA CELL 339.4532300
25 mq Creative Space Mostra di Molly Macindoe Via Regina Margherita 69 StudioCrisalide Federico Crisa e Skan Piazza Dettori 9 Studio Xedizioni Enrica Massidda Via dei Genovesi 38|40 Studio Deposito Alberto Marci, Maria Tedde, Marcello Cualbu, Laura Farneti Arc La Rue Via Lanusei 1 Mezzopiano Studio Giulia Casula Veronica Paretta Piazza Dettori 9 M.A.P. Studio Mariano Chelo Via Garibaldi 45 MaraM Studio Mauro Rizzo Via Principe Amedeo 37 Studio Paulina Herrera Letelier Via Piccioni 168 Nuovo Panificio • Studi d’artista Massimo Delussu. Arredi in ferro Sonai e Tessi. Artigianato tessile e musicale. Giocattoli sonori e intrecci ispirati alla tradizione Malarnese. Produzioni musicali Tot’origas. Strumenti musicali da viaggio Via San Giovanni 101 Antonino Pirellas. Land art Via San Giovanni 34 Spazio e Movimento Marilena Pitturru Via Napoli 80 Artaruga Spazio Home Studi d’artisti Mostra di D. Serra e D. Masia Via San Saturnino 13 Studio Paolo Ollano arte contemporanea Via San Giacomo 28
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Foto Paulina Herrea Letelier
aulina Herrera Letelier è nata a Santiago del Cile nel 1978. Ai 3 anni si trasferisce con la sua famiglia a città del Messico e poi a Puebla dove vivono fino al 1988, momento nel quale tornano in Cile per vivere la fine della dittatura. Durante le scuole medie frequenta un corso di fotografia stenopeica e camera scura. Di seguito frequenta il corso di fotografia analogica e impara a sviluppare le proprie pellicole. Allestisce in casa una camera oscura e da questo momento dedica tutto il suo tempo libero a percorrere la città alla ricerca di nuovi scenari urbani da fotografare. Ai 19 anni entra all’Universidad Central de Chile per studiare architettura, dove e si laurea nel 2005. Durante questo periodo ha la possibilità di condurre il suo percorso formativo arricchendolo con diverse discipline artistiche seguendo corsi di scultura, installazione, disegno prospettico, disegno a mano libera, collage. È allieva in diversi corsi di disegno e arte del noto pittore e muralista cileno Fernando Marcos e ha l’opportunità di collaborare con lui alla realizzazione di un murale realizzato per la hall dell’edificio della Facoltà di Architettura. Dopo la laurea lascia Santiago per trasferirsi
PAULINA HERRERA LETELLIER a Cagliari dove qualche mese dopo inizia a lavorare nello studio di architettura Studio Professionisti Associati srl, del quale adesso è socia. Tra il 2009 e il 2013 si iscrive alla scuola di dottorato della Facoltà di Architettura dell’Università di Studi di Cagliari e tiene come docente un corso facoltativo di composizione, disegno e progettazione architettonica nella stessa facoltà; nel 2013 ottiene il titolo di dottore di ricerca con la tesi “Architettura e Movimento. Percezione dinamica e progetto dello spazio contemporaneo”. Parallelamente, sviluppa un progetto di ricerca sull’architettura industriale dismessa delle ferrovie della Sardegna e
vince una borsa di ricerca regionale con il progetto “Il recupero, la valorizzazione e il riutilizzo del patrimonio ferroviario delle ferrovie della Sardegna” nell’ambito del quale è stato realizzato il documento fotografico: “I paesaggi del treno. Isili – Sorgono. Mandas – Arbatax”. Dal secondo semestre del 2013 riprende le attività pratiche nel campo dell’espressione artistica e si iscrive al corso di acquerello dell’Accademia d’Arte Santa Caterina. Si avvicina all’artigianato e impara a lavorare la ceramica nel laboratorio di Ceramica Raku Cagliari di Salvatore Farci e M. Cristina di Martino. Partecipa a due concorsi di idee per realizzare
Foto Antonio Pintori
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nuovi disegni per i tappeti tradizionali sardi. Vince in entrambi il primo premio con due progetti diversi e, in questo modo, si avvicina al mondo della tessitura tradizionale. Impara a lavorare al telaio dalla tessitrice Maria Antonia Urru di Samugheo e collabora con lei disegnando diverse collezioni di tappeti e altri prodotti tessili. Partecipa a diverse mostre nell’ambito dell’artigianato, del tessile e del design. Ha tenuto sua mostra personale di acquerelli intitolata “Punto, Linea, Corpo”, per l’occasione realizza anche una installazione di oggetti di ceramica nel 2015. Tra le mostre recenti ci-
tiamo : ”Into the Gestalt” Galleria Macca, Cagliari, 2019. Material Art Fair / Galleria Macca, Mexico City, 2019. TRACK di vento di pietra/ Fondazione MACC Calasetta, 2018. Partecipa in diverse mostre collettive di arte con lavori inediti. Progetta e realizza installazioni tessili che contemplano sia manufatti tessili realizzati su un suo progetto, sia interventi personali e costruzioni proprie di oggetti. Tra gli ultimi lavori la realizzazione del murale a Pau, progetto premiato al concorso lanciato dalla Municipalità sul tema dell’Ossidiana. https://www.phldesigner.com/
abato 9 novembre 2019 a Pau arte e ossidiana si sono incontrati. Una giornata per raccontare la storia dell’oro nero del Monte Arci, pietra e passato, che sono statireinterpretati dalla designer e architetto Paulina Herrera Letelier, nata in Cile, cresciuta in Messico e trasferitasi in Sardegna da più di dieci anni. Il suo progetto, nuova tappa della rassegna “Ossid_ Azioni” promossa dall’associazione Menabò, che gestisce il museo dell’ossidiana, si chiama “Pietra nera e tracce di pietra nera”. Herrera ha vinto il bando del Comune di Pau per la realizzazione di due opere murarie sull’oro nero nella piazza Funtanedda e in via degli Ulivi. “Nelle due opere di grandi dimensioni un nuovo approccio al muralismo”, hanno spiegato Giulia Balzano e Maria Cristina Ciccone, dell’associazione Menabò, “la pittura lascia spazio alla tridimensionalità, i piani cambiano anche il punto di vista”. Il sindaco di Pau Franceschino Serra ha aggiunto: “Anche il nostro progetto di riqualificare, ornare e abbellire il nostro centro urbano non può prescindere dalle iniziative di valorizzazione e promozione della nostra ossidiana. Non sono semplici murales, ma opere d’arte, espressione contemporanea della nostra storia e della nostra cultura” Antonio Pintori unionesarda.it
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arlare di Giulia (Capsula) Casula, non è molto facile perchè non ho potuto raccogliere molte informazioni su di lei, quando ho avuto l’ccasione di intervistarla, mentre allestiva la sua installazione a Sant’Elia, ed anche ultimamente all’occasione d Open Studios ci ha parlato solamente della specificità del lavoro che stava eseguendo, cioé le serigrafie a colori di dettagli di zebra, su dei sacchi di tela. Allora ho dovuto cercare in quella selva del web ed ho potuto trovare qualche informazione, come il fatto che abbia seguito i corsi dell’Accademia di Belle Arti di Bologna con Concetto Pozzati, e dopo gli studi all’Esbam di Marsiglia, si è specializzata in Arti Visive e Curatoriali alla NABA di Milano, prima di rientrare in Sardegna ed incominciare a lavorare al Museo MAN di Nuoro, insieme a Cristiana Collu. Rientrata poi a Cagliari nel 2013 é stata invitata a partecipare alla mostra “Geografie della Memoria” (Cittadella dei Musei, 2013). In quella occasione realizza EXTRALANDSCAPE, un intervento urbano site specific, diffuso per la città. Un altro dei suoi lavori è una mappatura della Sardegna presentata durante la rassegna di arte contemporanea “Disarmante” che si é svolta a Cagliari, in diversi luoghi,
facebook.com/capsulagiulia vedi anche i filmati vimeo.com/297426433 vimeo.com/348335140 vimeo.com/379498619
raccoglie lavori sui temi del disarmo, della smilitarizzazione dei territori e della migrazione, temi urgentissimi e attuali. The Voice of Venice, progetto realizzato durante un residenza a Belgrado, dove ha raccolto per i vicoli, fuori dai soliti percorsi, i suoni e le voci in diversi momenti del giorno e della notte della città lagunare . Come si vede Giulia Capsula Casula lavora essenzialmente sul paesaggio e riesce, anche con dei mezzi estremamente limitati e a volte effimeri, come in questo caso, dove i suoni si sovrappongono alle immagini, ridisegnando e cancellando il paesaggio. Avevo incontrato nuovamente l’artista all’occasione della perfoman-
ce che ha inscenato alla Galleria Siotto durante la mostra “Errare Spaziale “insieme a Paola Corrias e Daniela Frongia, dove la performance di Anna da Pozzo riordina e sconvolge il caos dell’installazione. Ultimamente durante gli Open Studios dove, accogliendoci nello spazio espositivo e di lavoro Mezzopiano Studio che divide con Veronica Paretta, limitrofo allo Studio Crisalide di Federico Crisa e Skan, ci ha dato una dimostrazione delle sue numerose abilità tra cui l’incisione e la serigrafia, dandoci appuntamento all’evento TRANSHUMANZA che potrete visionnare a partire dal link alla pagina 33. Vittorio E.Pisu
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opo un anno esatto dalla mostra NOSTOSNUMEROZERO, il collettivo Transhumanza fa tappa a Cagliari, ospite di Studio Crisalide e Mezzopiano. L’incontro é stato il momento per presentare il catalogo della mostra, fresco di stampa, per condividere il racconto dell’esperienza e farla vivere nel tempo. Il catalogo è un’autoproduzione in tiratura limitata che raccoglie fotografie, illustrazioni e testi, ovvero la documentazione della mostra e delle giornate vissute nell’abitazione di via Leoncavallo 12 a Siniscola. E stata un’occasione per confrontarsi sullo stato di avanzamento del progetto-collettivo Transhumanza, discutere dei piani futuri e svelare in anteprima le prossime tappe del
percorso. LUEGO EST TEMPU Transhumanza è un progetto culturale, un collettivo artistico, una squadra di visionari che tifa utopia. Siamo studentesse ed ex studenti delle Accademie di Belle Arti, viaggiatrici, lavoratori, esploratori della precarietà presente. Il progetto nasce dall’urgenza di aprire spazi e creare momenti di condivisione, produzione e fruizione libera dell’arte contemporanea, mosso dal desiderio di confrontarsi col territorio della Sardegna, da cui siamo partiti e dove ciclicamente facciamo ritorno. Transhumanza è un esperimento di autoproduzione e autogestione, realizzato tramite le risorse e l’impegno messi a disposizione da una rete sola.
aboratorio di stampa a rilievo. Workshop rivolto a chi, tra i 7 e i 100, ha voglia di esprimersi con una tecnica artistica manuale e duttile che consiste nell’incisione di una matrice di adigraf, la medesima tecnica che viene utilizzata per la xilografia e la linoleografia. Il laboratorio introduce la tecnica della stampa a rilievo, la sua breve storia ed i materiali che servono per metterla in pratica. Elaborerete la vostra matrice personale con l’utilizzo delle sgorbie e potrete stampare su carta o tessuto usando diversi colori. Avrete la possibilità di realizzare una piccola edizione su carta. Stamperemo a più colori su diversi formati creando multipli e stampe uniche e vi porterete a casa anche la matrice realizzata da riutilizzare.
PRINT YOUR DREAM
instagram : @trashumanza transhumanza@gmail.com cargocollective.com/transhumanza video della presentazione https://vimeo.com/381300711
Quando: la mattina dalle 11 alle 13 _dal lunedi alla domenica Il pomeriggio dalle ore 17:00 alle 19:00 _dal lunedi alla domenica (esclusi lun. e merc.) durata: circa 2h Per chi Max 10 partecipanti Info e contatti Tel : +39 339 440 9680 giuliacasula@gmail.com
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Foto Galleria Ricci Oddi
n capolavoro di Gustav Klimt è stato trovato il 10 dicembre scorso, nascosto nel muro di una galleria italiana. L’opera d’arte, scomparsa nel 1997 è un notevole ritratto femminile del valore di 60 milioni di euro. L’opera d’arte Klimt è stata rubata nel febbraio 1997. In particolare, è scomparso dalla galleria Ricci Oddi nella città settentrionale di Piacenza. La sorprendente scoperta è stata fatta da un giardiniere che, dietro un pannello metallico all’esterno della galleria, ha intravisto un sospettoso sacco della spazzatura. Sorprendentemente, l’uomo ha trovato quello che sembra essere l’originale Klimt scomparso circa 23 anni prima. Portrait of a Lady è una suggestiva creazione appartenente a un’ampia serie di ritratti femminili del pittore viennese in stile art nouveau. Soprattutto, a soli dieci mesi prima del furto, una studentessa d’arte ha avuto una sorprendente intuizione confermata dall’analisi a raggi X. Il ritratto di una signora sembra coprire un’altra opera del noto pittore simbolista. Certamente, il dibattito sull’autenticità del capolavoro sarà vivace fino ad ulteriori esami. Tuttavia, se questi classificheranno il dipinto come originale, dimostrandone la legittimità, la scoperta sensazionale sarà doppia.
L’evento ha potuto portare alla luce quella che sembrava essere una delle tante opere perdute che non sarebbero mai più state ritrovate. Particolarmente rilevante per la scena artistica italiana, il dipinto è secondo solo ad un’opera di Caravaggio scomparsa dalla Sicilia nel 1969. “Se i ritrovamenti confermano l’autenticità del dipinto, sarebbe una scoperta sensazionale e saremmo pronti ad esporlo in galleria già a gennaio. Stiamo parlando del quadro più ricercato e rubato al mondo dopo la Natività di Caravaggio con San Francesco e San Lorenzo”. La galleria è stata chiusa al pubblico.
Egon_Schiele_-_Gustav_Klimt_im_blauen_Malerkittel_-_1913
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GUSTAV KLIMT Per ora, mentre un gruppo scientifico procede alle ispezioni, il lavoro è stato trasferito in un luogo sconosciuto, sotto la custodia dell’autorità giudiziaria, per verificare se si tratta effettivamente della copia originale. L’opera potrebbe arricchire il patrimonio dell’universo femminile di Klimt, il nuovo reperto si inserisce armoniosamente nella nota collezione del pittore austriaco. La legittimità dell’opera resta da accertare, ma se ciò fosse dimostrato avremmo una nuova finestra sull’incredibile immaginario artistico di Gustav Klimt. bologna.repubblica.it
ustav Klimt, nato il 14 luglio 1862 a Baumgarten e morto il 6 febbraio 1918 a Vienna, è un pittore simbolista austriaco e uno dei membri più importanti del movimento Art Nouveau e della Secessione di Vienna. Gustav Klimt mostra la sua vera passione per le arti e per la decorazione, e tra il 1876 alla Scuola di Arti Decorative di Vienna dove segue i corsi di pittura del professor Laufberger. Nel 1880, insieme al fratello Ernst e all’amico Frantz Matsch, apre un laboratorio di decorazione. La sua abilità e la finezza del suo lavoro gli furono rapidamente riconosciute e gli furono affidate numerose decorazioni di pareti e soffitti di ville, ma anche di teatri ed edifici pubblici. Pittore denigrato per oltre dieci anni della sua vita, l’opera di Klimt è sempre stata espressione di un riferimento alla storia della pittura, Moreau, Klinger, Hodler, Bocklin, Monet, Seurat, Matisse o Rodin, nelle sue composizioni estremamente personali e originali fatte di teatralite, antinomia, eterogeneità, sia dal punto di vista pittorico e decorativo, sia dal punto di vista del colore. Sembra essere stato il geniale e precursore della crisi generale di principi, valori, idee e linguaggio artistico che ha caratterizzato il XX secolo. Galleria Ricci Oddi Via San Siro, 13 29121, Piacenza, Italia Tel/Fax +39 0523 320742 E-mail: info@riccioddi.it https://rdnarts.com/ articles/gustav-klimt-
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