SARDONIA
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Ventisettesimo Anno / Vingt Septième Annèe
Novembre 2020/November2020
Nuraghi Patrimonio Unesco Saline Conti Vecchi Fenici chi ? Josephine Crawley Quinn Francesco Abate Deledda vs Pirandello Strade dello Zafferano Syusi Blady Bonaria Carmela Manca Nuraghi Marco Useli Popolo di Bronzo #2 Angela Demontis Anna Carla Casu Gabriele Mannu Roberta Vanali L’assenza spettacolare Daniela Spoto Alessandro Lobino Un tuffo millenario https://www.vimeo.com/groups/sardonia https://www.facebook.com/sardoniaitalia
Cagliari Je T’aime Programma di creazione di Esposizioni e Manifestazioni Artistiche nella città di Cagliari a cura di Marie-Amélie Anquetil Conservateur du Musée du Prieuré Directrice de la revue “Ici, Là bas et Ailleurs” Espace d’exposition Centre d’Art Ici, là bas et ailleurs 98 avenue de la République 93300 Aubervilliers marieamelieanquetil@gmail. com https://vimeo.com/channels/ icilabasetailleurs Vittorio E. Pisu Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS Elena Cillocu via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/channels/ cagliarijetaime SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima Direttore della Pubblicazione Vittorio E. Pisu Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS Commission Paritaire ISSN en cours Diffusion digitale
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ueste righe sono scritte appena dopo la pubblicazione del DCPM del 25 ottobre che impone una chiusura quasi generale delle manifestazioni culturali, dello spettacolo e di altre manifestazioni che come al solito sono considerate accessorie, secondarie, adatte solo al “divertirci” come alcuni politici hanno avuto la sfrontattaggine di dichiarare. Come si può constatare lo spettacolo dal vivo é certamente il luogo dove le restrizioni sono state applicate scrupolosamente ed il risultato é che nonostante il numero considerabile degli spettatori un solo é stato contagiato, uno solamente. Nel frattempo le chiese rimangono aperte e non si capisce perché visto che la pratica religiosa può avvenire in ogni luogo e quindi a casa propria molto sicuramente. Nel frattempo numerose manifestazioni culturali ed artistiche sono state soppresse in applicazione del famigerato DCPM. Così dopo un’estate di illusoria spensierattezza dove il virus ha potuto circolare liberamente grazie alle diverse movide, ci ritroviamo come nel mese di marzo, confinati, mascherati e nell’impossibilità di prevedere un qualsiasi futuro e naturalmente un pò arrabbiati diffronte all’incapacita palese dei governanti (sic) di prendere le decisioni che apparentemente si imponevano, prima fra tutte quella di potenziare il sistema sanitario pubblico. Gli applausi dal balcone risultano quindi particolarmente ridicoli quando era evidente che i tagli sistematici alla sanità pubblica apparivano a dir poco criminali. Cerchiamo quindi di consolarci riportando qui alcune informazioni che spero vi saranno gradevoli ed utili. Siamo naturalmente grati non solo al personale sanitario che ancora una volta si trova in prima linea per affrontare una pandemia che non tende a regredire, ma ringraziamo anche gli artisti che continuano a proporci dei temi di riflessione e che continuano ad operare, anche loro, con scarsi mezzi e malgrado la chiusura delle manifestazioni che avrebbero permesso almeno una pubblicità del loro lavoro. Sperando di poter intravvedere la fine di questo tunnel anche se le festività di fine d’anno appaiono particolarmente compromesse, vi auguro una buona lettura e vi dò appuntamento al mese di dicembre. Vittorio E. Pisu
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e caratteristiche costruzioni in pietra a forma di cono senza punta, rapprentative della civiltà nuragica, provano a entrare nella speciale lista. L’istanza di inserimento è stata depositata. Eppure le ricchezze prodotte dalla civiltà nuragica sull’isola sono tantissime. Le testimonianze architettoniche della civiltà nuragica si estendono infatti per un territorio sconfinato: ben 24mila chilometri quadrati Presto, questo sconfinato tesoro, potrebbe entrare a far parte dei patrimoni dell’umanità riconosciuti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. Dalle oltre 3500 tombe preistoriche, note come Domus de Janas, alle necropoli scavate nella roccia viva. Tra le testimonianze lasciate sull’isola ci sono anche oltre 10mila torri nuragiche (semplici o complesse) e i Menhir, gli antichi megaliti noti anche come perdas fittas o pedras fittas, ossia “pietre conficcate” Così come potrebbero ottenere il “marchio” Unesco anche le Tombe dei Giganti, i cosiddetti sacrari federali e la ricchissima rete di pozzi, fonti e opere idrauliche sopravvissute nel corso dei millenni È stata infatti presentata l’istanza per l’inserimento nella “tentative list” dei beni richiedenti la nomina quale Patrimonio culturale dell’Umanità Le probabilità di vittoria sono buone: il potenziale di attratti-
vità nel Mediterraneo è comparabile solo con le piramidi e l’Egitto dei Faraoni Non solo mare cristallino e panorami mozzafiato: la Sardegna è a tutti gli effetti un museo a cielo aperto, che si sviluppa spesso nelle zone più interne, lontano dagli occhi dei turisti Il riconoscimento Unesco potrebbe essere un ottimo volano per rendere note al grande pubblico anche queste straordinarie testimonianze Con importanti ricadute economiche e sociali, specie in termine turistico. Il progetto è stato illustrato martedì 6 ottobre dal comitato promotore “Sardegna verso l’Unesco” Il referente Michele Cossa, consigliere regionale dei Riformatori, ha detto: “L’idea dell’inclusione nasce dalla presa di coscienza dell’importanza che negli ultimi decenni i monumenti nuragici hanno assunto per i sardi, quali segni fondamentali della loro identità” L’istanza è forte di mozioni già deliberate da 200 Consigli comunali, dalla stessa Assemblea regionale e del patrocinio della Regione. “La sfida che abbiamo davantispiega Cossa - in un momento storico come quello attuale rappresenta un’occasione unica che la Sardegna” Il referente ha anche rivelato che l’idea “è già stata salutata positivamente da molte altre Regioni che in queste settimane hanno mostrato interesse verso la nostra iniziativa, ritenendola una best practice da replicare”. https://tg24.sky.it/cronaca/2020/ nuraghi-patrimonio-unesco
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e Saline Conti Vecchi, dal nome del suo ideatore, sono a pochi chilometri da Cagliari. Una storia che è come un romanzo per uno degli impianti più produttivi d’Europa Aveva voglia di pace, Luigi Conti Vecchi. Di pace, di silenzio e di sguardi aperti sull’orizzonte. Soprattutto, aveva voglia di costruire. Gli anni passati tra le trincee del Carso, tra gli orrori della Prima guerra mondiale, lo avevano sfiancato. Per lui, mite e operoso ingegnere toscano, quella chiamata alle armi in età già avanzata per “servire la Patria” come ufficiale del Genio era arrivata come un fulmine a ciel sereno, dopo una vita spesa in giro per l’Italia a realizzare ponti e viadotti. Ecco, costruire, non distruggere, quella era la sua vocazione. E così, finita la guerra, nel 1919 va in Sardegna, terra da lui amatissima e nella quale per anni era stato direttore delle Ferrovie Reali Sarde. Ha un sogno che, più prosaicamente, prende la forma di un progetto: bonificare lo stagno di Santa Gilla, a ovest di Cagliari, una zona acquitrinosa, paludosa e preda della malaria. Bonificare, debellare la malattia ma, soprattutto,
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SALINE CON in quell’area realizzare una salina. Il suo progetto un po’ visionario, quello di trasformare in un sito produttivo un paesaggio lunare e inospitale (ma strategicamente posizionato a pochi chilometri dal centro della città), venne approvato nel 1921 con un regio decreto. E i lavori, sotto la sua supervisione, iniziarono subito, e alacremente. Ma, destino beffardo, l’anziano ingegnere non arrivò alla meta di vedere il suo sogno diventare realtà: morì nel 1927, due anni prima dell’inaugurazione delle saline che ora portano il suo nome. Le Saline Conti Vecchi, 2700 ettari suddivisi tra i comuni di Assemini, Capoterra e Cagliari ancora oggi sono uno degli impianti più produttivi d’Europa e, in Italia, sono seconde per estensione solo a quelle di Margherita di Savoia, in provincia di Foggia. Una produzione di 250 mila tonnellate all’anno, non lontana da quella del periodo di maggiore attività, negli anni Quaranta del secolo scorso, quando qui lavoravano 400 persone. Che vivevano con le loro famiglie in un villaggio, Macchiareddu, che la lungimiranza del progetto di Conti Vecchi rese una sorta di esperimento sociale: una piccola città nella quale operai e dirigenti risiedevano e lavoravano fianco a fianco.
NTI VECCHI Una comunità autosufficiente, con infermeria e spaccio, mensa e asili gratuiti, chiesa e officine, che ricorda, come afflato concretamente utopico, quella realizzata in qualche anno dopo nella fabbrica piemontese di Adriano Olivetti. Le saline rimasero in mano alla famiglia del fondatore fino agli anni Settanta per poi passare prima alla Sir, e poi allo Stato, che ne assegnò la gestione a Eni a partire dal 1984, dando vita a un’opera di recupero. Produttivo e paesaggistico. Perché le saline Conti Vecchi sono uno straordinario esempio di archeologia industriale ma anche un affascinante parco naturale, con canneti e giunchi, e stagni popolati da fenicotteri, germani reali e falchi delle paludi. Un paradiso aperto al pubblico dal 2017, e la cui valorizzazione è stata affidata al Fai. Chi ama questo genere di spettacolo naturale, ha nei dintorni di Cagliari, questa volta a est, un’altra opportunità, sempre legata alla storia delle saline. In questo caso ben più antiche, con origini che si perdono nella notte dei tempi. Siamo negli stagni di Molentargius, accanto alla spiaggia del Poetto. Qui da sempre il sale, l’oro bianco, è stato fonte di vita e di reddito per i signori di queste terre grazie
al sistema delle “comandate”, introdotto dagli Aragonesi: i cittadini dei paesi circostanti erano periodicamente obbligati a prestare servizio gratuito per estrarre e trasportare sale. Un sistema durato secoli, fino a quando nella seconda metà del Settecento i nuovi dominatori, i Savoia ricorsero al lavoro forzato dei detenuti piemontesi che qui venivano deportati. Fino ad allora le saline erano naturali: ci si limitava a raccogliere il sale che si depositava spontaneamente sui bordi degli stagni per effetto dell’evaporazione dell’acqua. Poi, intorno al 1830, si creò un vero e proprio impianto produttivo, con la realizzazione della Città del Sale, rimasta attiva fino al 1985, quando l’estrazione in questi 1300 ettari venne sospesa per motivi ambientali. Tre anni dopo iniziarono i lavori di risanamento che hanno portato, nel 1999, alla nascita del Parco Naturale Molentargius. Un ambiente che rivaleggia, per fascino, con la laguna di Santa Gilla e le saline Conti Vecchi. Il sale di Cagliari dalla visione di un ingegnere toscano ANTONIO SCUTERI https://www.repubblica.it/dossier/ambiente/virtual-circular-tour/2020/09/23/ news/il_sale_di_cagliari_dalla_visione_di_un_ ingegnere_toscano
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Foto In Search Of The Phoenicians
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re anni fa, nel maggio 2017 Josephine C. Quinn, co direttrice degli scavi ad Utica con Prag ed altri da anni, studiosa in Archeologia con cattedre e dottorati prestigiosi, ha scritto un testo ( In Search Of The Phoenicians, Princeton University Press) che, pur essendo già stato tradotto in Cinese e Francese, proprio per la sua importanza e la totale obbiettività negli studi e nelle ricerche dell’Archeologa, in Italia è stato pressoché ignorato dagli studiosi dell’Accademia e Sovrintendenza sarde ed italiane. Quanto meno gli studiosi ed il mondo accademico sardo non vi hanno prestato la dovuta attenzione, né hanno espresso loro pareri sul lavoro minuzioso riportato nel testo. La demolizione che Josephine Crawley Quinn ha effettuato ha le sue origini immediate in una grande mostra, “I Fenici”, a Palazzo Grassi a Venezia nel 1988. L’organizzatore della mostra (che era sponsorizzato dalla Fiat) era il filologo semitico Sabatino Moscati, che aveva posto due decenni prima l’imbarazzante domanda, ancora senza risposta, su chi fossero esattamente i fenici. A Venezia e mediante la Mostra, Moscati si sforzava di dare pubblicità a quello che facevano, e soprattutto di suggerire che fossero davvero un
Fenici, chi ? Costruzioni e demolizioni Ornella Corda
popolo. La Quinn cita giustamente una battuta che era corrente al tempo: “Sabatino Moscati inventò i Fenici, Gianni Agnelli li fabbricò.” Nel Vicino Oriente i libanesi del XX secolo d.C. guardavano ai Fenici come le persone ancestrali, “gli avi” dai quali provenivano, anche per affermare che la loro identità era del tutto distinta da quella degli arabi. Tale riconfigurazione della regione era stata incoraggiata dal mandato francese dal 1920 in poi, che aveva pubblicamente programmato il Conio di moneta libanese con una nave fenicia su una facciata delle monete e un albero di cedro sull’altra.
Queste sono state le immagini pubbliche con il quale “il mandato” ha lanciato il concetto di Grande Libano come “Svizzera dell’Est ”, un luogo multilingue, attraente per il turismo e ospitale per gli affari e le imprese bancarie. Il nuovo Libano, con i suoi personaggi spiccatamente fenici e non arabi, su cui si è indugiato fino alla catastrofe della guerra civile scoppiata nel 1975. La Quinn delinea, senza influenze e pregiudizi, l’arrogazione sistematica delle affermazioni ripetute nel definirsi “Neo-Fenici” a livelli da destra estremista da parte dei cristiani anti-arabi, tra i quali i più in evidenza
erano quelli tristemente conosciuti col nome della cosiddetta Falange Al-Kata’ib. Ma le battaglie sfociate nella crisi del 1975 posero fine al cosmopolitismo per il quale Beirut in particolare era diventata sia apprezzata sia rinomata. I tentativi moderni di proclamare “Prima il Libano”, slogan comune, hanno ancora un’eco inquietante nel nazionalismo della propaganda odierna, che rispecchia il difficile rapporto tra i libanesi e i loro Vicini arabi, un rapporto, secondo loro, con profonde radici di origini fenicie nella loro coscienza libanese. Al momento una sconcertante profusione di fedi e politica di gruppi parti-
tici danno al Libano una diversità che, paradossalmente, evoca la stessa mancanza di coesione che caratterizzò gli stessi Fenici per tutta l’antichità. Chi erano queste persone, così ampiamente disperse nel mondo mediterraneo e invocate come antenati da popoli così diversi, e ovviamente non imparentati, come i Cartaginesi e gli irlandesi, i Libanesi e i Tunisini ? Attraverso le riflessioni dello studioso Renan nel XIX secolo sulla natura degli stati e identità etniche - riflessioni che sono alla base dei suoi rapporti dalla Fenicia - possiamo vedere il filo di insediamenti fenici e influenze che si estendono in tante
pubblicazioni e testi di storia attraverso diversi millenni e vasti spazi dal Nord Africa di Didone alla Spagna di Eracle. Lo stato moderno della Tunisia guardò ai Fenici come antenati fino al tempo di Habib Bourguiba al potere dal 1956 al 1987. E alla Fenicia, che non esisteva come regione definibile fino all’arrivo dell’Impero Romano (anche se le grandi città portuali fenicie, come Tiro e Sidone, si diedero lo stato di regione definita seppure, perfino nella documentazione storica, molto più tardi rispetto agli stessi Fenici). J. Crawley Quinn è persino in grado di scrivere in modo convincente sull’”invenzione della Fenicia”, sebbene chi abbia fatto questo e quando non sia del tutto chiaro. Ma può ancorare questa invenzione all’emergenza del Vicino Oriente moderno. L’autocoscienza dei libanesi come non arabi (“non ci sono cammelli in Libano”) andò di pari passo con la promozione dei Fenici come popolo. ll libro della Quinn è una corroborante esplorazione di ciò che non sappiamo su di loro. Esso dimostra in modo dirompente quanto la congiunzione della loro fama con la nostra ignoranza possa generare argomenti per la costruzione di nazioni ed etnie in cerca di antenati prestigiosi. Ornella Corda (segue pagina 8)
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Foto nurnet
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iprendendo il discorso sugli studi effettuati da Josephine C. Quinn (https://www.torch. ox.ac.uk/people/josephine-crawley-quinn...) alla ricerca dei Fenici, proseguiamo quest’oggi nel dire che Josephine Quinn, pertanto, in modo tempestivo e persuasivo, ha indagato ed attinto alla moderna mania per la Cultura fenicia, quella che in francese è stata chiamata “phénicité”, e che Sabatino Moscati aveva scatenato mediante la sua grande mostra a Venezia nel 1988. Questo è stato probabilmente il cambiamento più singolare ed importante negli studi fenici dai tempi di Renan. La mole di argomentazioni portata da Moscati, sui Fenici, sui loro insediamenti e sui loro manufatti non solo fa da sfondo al libro della Quinn, ma giustifica l’implacabile incredulità che ha portato la ricercatrice a scrivere un libro sull’argomento. Il suo lavoro riesce a dimostrare che i Fenici non erano un popolo o una comunità. Elimina le premesse immaginarie di “Prima il Libano” e di Bourguiba (Cartagine, Tunisia), e fornisce una lezione potente a molti di coloro che si sentono liberi, di solito per ragioni ideologiche, di speculare su nazioni e nativismo. Phoenice, sotto quel nome (non “Phoenicia”), divenne una provincia romana all’interno della Siria alla fine del secondo secolo
della nostra era. Ciò era dovuto all’influenza della settima dinastia dei Severi, che aveva legami con la città di Emesa (ora Homs, sulle rive del fiume Oronte NdR), patria di Julia Domna (II sec d.C.), la moglie dell’imperatore Settimio Severo e famosa imperatrice, forse una delle donne più in evidenza nell’età imperiale per cultura ed autonomia di spirito(NdR) La città di Emesa, dunque, per ragioni ancora sconosciute si è auto-identificata quale Fenicia. Tuttavia, a differenza delle famose città fenicie dei tempi precedenti, Emesa non era un porto, ma è utile a ricordare che la stessa parola “fenice” (greco phoinix) evoca, invece, un dato tipo di palma. (vedasi mappa foto allegata Homs, Emesa) L’albero sarebbe stato presente in gran quantità ad Emesa e come simbolo servì poi alla teoria secondo la quale i Fenici colonizzarono Cartagine, anch’essa adorna di palmizi: la palma, dunque, quale ricordo delle loro lontane origini. Ma l’apparizione della palma sulla loro moneta era più una resa visiva della parola “fenice” che una precisa allusione a qualche remota regione della Palestina o della Siria. L’orgoglio di Julia Domna per Emesa non aveva nulla a
che vedere con Cartagine o con il commercio, né ai suoi tempi né molto prima. Il termine Phoenice entrò nell’Impero Romano non quale popolo antico di commercianti né come territorio, ma molto più semplicemente come il luogo dove crescevano le palme. Inoltre la Phoenice romana non aveva alcun legame in quel momento o neanche precedentemente con Cartagine. A causa del confronto di Annibale con il potere romano, Cartagine diede consistenza alle successive narrazioni mitiche dell’espansione fenicia attraverso il Mediterraneo. Il tragico suicidio di Didone quando fu lasciata da Enea perché questi potesse compiere la sua divina missione per trasferirsi in Italia e fondare Roma, è parte integrante della storia dello stato romano, ma nulla dice sui Fenici, né mostra qualche origine la bizzarra cultura fiorita dalla Baia di Cartagine. La magnifica ubicazione della città, come saprà chiunque ci sia stato, avrebbe potuto facilmente favorire sogni di un impero (marittimo) a causa del mare prospiciente. Tuttavia le usanze che sono state rivelate a Cartagine non hanno niente a che fare né con i Fenici altrove né, del resto, con le ambizioni territoriali della città.
I Cartaginesi sono probabilmente meglio conosciuti per il sacrificio dei bambini, una pratica che è documentata in oltre trenta autori greci e romani e da ricerche archeologiche su santuari in Africa e altrove che rivelano i resti dei bambini. Le loro sepolture hanno il ruolo di commemorazioni sulle iscrizioni come espressione di ringraziamento a Baal Hammon e alla sua consorte Tinnit / Tanit. I tentativi di spiegare queste sepolture postulando morti premature sono indifendibili, come osserva giustamente la dott.ssa Quinn, vista l’improbabilità di una mortalità infantile tanto estesa in tenera età (indicata dall’evidenza osteologica). La morte di un numero così elevato di bambini può essere spiegato solo dalla pratica di sacrifici rituali a noi noti dalle fonti antiche. Questa usanza cartaginese si diffuse al di fuori del Nord dell’Africa. Ma è assolutamente senza paralleli nelle città fenicie del Vicino Oriente quali, tra le più famose, Tiro, Sidone, Byblos, e altrettanto sconosciuta alla diaspora fenicia ad ovest della Sardegna. I santuari funerari di Cartagine e altrove sono stati tradizionalmente designati “Tophets”, perché gli studiosi moderni, di fronte alle prove concrete, si rifugiarono in un nome tratto dalla Bibbia ebraica per un luogo nella valle di Ben Hinnom (segue pagina 10)
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(segue dalla pagina 9) a Gerusalemme dove i residenti avevano ucciso i loro figli e li avevano fatti “passare attraverso il fuoco”. Tale luogo è meglio noto alla modernità con il nome di “Geenna” (ge-hinnom, v Manasse Re di Giuda, anni 687,642a.C. NdR), che è spesso tradotto come “Inferno”. (Vecchio e Nuovo Testamento NdR), ora quartiere povero e periferico di Gerusalemme. Sfortunatamente la parola “tophet” ha preso piede, abbastanza a torto, come un modo per fornire una patina di rispettabilità accademica a una pratica cartaginese che non aveva un nome conosciuto. Così, quasi come in un gioco di prestigio con gli appellativi, il termine “tophet” è potuto divenire un potente esempio del modo in cui una vecchia generazione di studiosi ha tentato di rendere menzionabile e storicamente valido (traendo però i dati dalle infinite traduzioni della Bibbia e dalle interpretazioni di quella ebraica in particolare) ciò che, per il mondo moderno degli ultimi secoli, era indicibile. Gli studiosi avrebbero dovuto, semplicemente, affrontare la realtà di quello che era accaduto in determinate aree religiose, anche se ai nostri occhi, tali pratiche risultano orrende e, soprattutto, confrontare le date di tali pratiche in rapporto anche ad una supposta colonizzazione fenicia. Parlare di tophet a Cartagine è ancora un altro errore
nello sforzo incredibile e ad oggi inattendibile di collegare i Fenici d’Occidente con il Vicino Oriente, assai forzatamente. Essa non era altro che l’abitudine sgradevole ma ormai incontestabile di uccidere i bambini in omaggio ad alcune divinità, perciò chiaramente non una tradizione fenicia ancestrale arrivata con la colonizzazione, ma ripresa da vecchi testi e credenze religiose di alcuni periodi monarchici in terra cananea. Ciò divide in modo netto i popoli del Vicino Oriente da quelli che pare probabile utilizzavano una variante della stessa lingua semitica nell’orbita del mondo dei Cartaginesi. Per i Romani tali persone parlavano punico, che è un modo latino di dire “fenicio”, anche se “punico” manca della risonanza della parola greca phoinix, che non solo indicava una palma, ma il misterioso uccello chiamato fenice, così come un colorante rosso intenso: la porpora, ricavata dal murex, un mollusco presente in tante aree del Mediterraneo e non vivente (tutt’oggi) solo nelle aree del Mediterraneo Medio orientale ma assai conosciuto anche in Sardegna col nome comune di “Boccone” (Bucconi, buccone). Ornella Corda https://www.facebook.com/NURNET2013
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rofessore Associato di Storia Antica, e Co-Direttore del Centro di Oxford per gli Studi Fenici e Punici, e Co-Direttore degli Scavi Tuniso-Britannici a Utica. Sono professore associato (docente universitario) di Storia antica all’Università di Oxford, e Martin Frederiksen Fellow e tutor di Storia antica al Worcester College di Oxford. Mi occupo di storia e archeologia del Mediterraneo, con un particolare interesse per l’antica Africa settentrionale, ma ho pubblicato articoli su temi che vanno dall’imperialismo romano alla scultura ateniese, all’architettura numidica, all’educazione edoardiana, e ho co-edito raccolte di saggi sull’Occidente ellenistico (con Jonathan Prag) e sul Mediterraneo punico (con Nicholas Vella), così come gli articoli raccolti del defunto Peter Derow (con Andrew Erskine). Il mio ultimo libro, della Princeton University Press, si intitola “Alla ricerca dei Fenici”, con traduzioni in francese e cinese. Chi erano gli antichi Fenici, ed esistevano davvero? I Fenici hanno viaggiato nel Mediterraneo molto prima dei Greci e dei Romani, commerciando, stabilendo insediamenti e perfezionando l’arte della navigazione. Ma chi fossero davvero questi leggendari marinai è rimasto a lungo un mistero. “In Search of the Phoenicians” fa la sorprendente affermazione che i “Fenici” non sono mai esistiti.
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JOSEPHINE C.QUINN
Portando i lettori dal mondo antico ad oggi, questo monumentale libro sostiene che la nozione di questi marinai come un popolo coerente con un’identità, una storia e una cultura condivisa è un prodotto delle moderne ideologie nazionaliste - e una nozione molto in contrasto con le fonti antiche. Josephine Quinn mostra come il credere in questo miraggio storico ci abbia reso ciechi di fronte alle identità e alle comunità che questi popoli si sono realmente costruiti nell’antico Mediterraneo, basate non sull’etnia o sulla nazione, ma sulle città, sulla famiglia, sui legami coloniali e sulle pratiche religiose. L’artista ripercorre come l’idea di “essere fenici” sia emersa prima a sostegno delle ambizioni imperiali di Cartagine e poi di Roma, e si è cristallizzata come componente delle moderne identità nazionali in contesti così lontani come l’Irlanda e il Libano. “In Search of the Phoenicians” approfondisce le antiche testimonianze letterarie, epigrafiche, numismatiche e artistiche per la costruzione di identità da e per i Fenici, che vanno dal Levante all’Atlantico, dall’età del bronzo alla tarda antichità e oltre. Un’importante conquista accademica, questo libro esplora anche la prosa, la poesia, le opere teatrali, la pittura e la polemica che hanno consacrato questi mitici marinai nelle storie nazionaliste dall’Inghilterra del XVI secolo alla Tunisia del XXI secolo. https://oxford.academia.edu/
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rancesco Abate ricostruisce una città esotica e inedita, dalle saline al Bagno penale, dal bordello al teatro dell’opera alla spiaggia del Poetto. Una città avvolta da un’atmosfera da feuilleton, che ci cattura e sconvolge con i suoi oscuri segreti. «E per la prima volta fu certa della bontà del gesto che l’aveva portata a perdere i gradi. L’unica giornalista donna della Sardegna era finita in un sottoscala a correggere le bozze di due rubriche di scarso valore per aver osato far venire a galla la verità. Una verità che non era piaciuta a molti». Quando una delle sigaraie – le manifatturiere del tabacco – va a chiederle aiuto, Clara Simon non sa che fare. È una bella ragazza, con quegli occhi a mandorla ereditati dalla madre, una cinese del porto che, nonostante le differenze di classe, aveva sposato il capitano di marina Francesco Paolo Simon. Poi però è morta di parto e il marito è finito disperso in guerra. Cosí, Clara vive con il nonno, uno degli uomini piú in vista di Cagliari, e lavora all’«Unione», anche se non può firmare i pezzi: perché è una donna, e soprattutto perché in passato la sua tensione verso la giustizia e il suo bisogno di verità l’hanno messa nei guai. Ma la sigaraia le spiega
Una nuova protagonista femminile, coraggiosa e ribelle, entra nel giallo italiano. Si chiama Clara Simon, è una giovane «mezzosangue», e vuole diventare la prima giornalista investigativa italiana nella Cagliari di inizio Novecento.
che i piciocus de crobi, i miserabili bambini del mercato, stanno scomparendo uno dopo l’altro e, di fronte alla notizia di un piccolo cadavere rinvenuto alla salina, Clara non riesce a soffocare il suo istinto investigativo. Grazie all’aiuto del fedele Ugo Fassberger, redattore al giornale e suo amico d’infanzia, e al tenente dei carabinieri Rodolfo Saporito, napoletano trasferito da poco in città e sensibile al suo fascino, questa ragazza determinata e pronta a difendere i piú deboli attraversa una Cagliari lontana da ogni stereotipo, per svelarne il cuore nero e scellerato. https://www.einaudi.it/ catalogo-libri/narrativa-italiana/
Francesco Abate (Cagliari, 17 maggio 1964) è uno scrittore, giornalista italiano. Esordisce come disc jockey a Radio Alter all’età di 14 anni. Poi trasmette da Radio Città, Radio Flash e Studio 96 programmi sul mondo indie. Cura l’organizzazione di concerti e festival (Flash Festival e Rock Area) e lavora nel management di gruppi musicali[ È tra i fondatori di Radio X, prima emittente in Europa a trasmettere su Internet. Il suo esordio come scrittore è del 1996 con “L’Oratorio - Vietato ai minori di 14 anni”, breve racconto, inserito nella collettiva Racconti di Celluloide (Alambicco). Da allora ha scritto 10 romanzi (due
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con Massimo Carlotto, uno con Saverio Mastrofranco ovvero l’attore Valerio Mastandrea) per le case editrici Castelvecchi, Il Maestrale, Frassinelli, Edizioni Ambiente ed Einaudi. Ha partecipato a 9 raccolte di racconti, scritto pièce teatrali, testi per la televisione e sceneggiature cinematografiche. Alcuni suoi libri sono tradotti in Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio e Grecia. In Francia sono stati pubblicati i romanzi “Ultima di campionato” (Derniere journée de championat), “Il cattivo cronista” (Le chroniqueur sans coeur), “Chiedo scusa” (Je demand pardon) tradotti da Marc Porcu per la Fosse aux Ours; “Mi fido di te” è stato tradotto
nei Paesi Bassi con il titolo “Ik vertrouw je” da Etta Maris per la Lebowsky Publisher, in Germania con il titolo “Ich vertraue dir “per Bertelsmann, in Francia e in Grecia. Nel 1999 ha vinto il miglior soggetto al Premio Solinas con ‘Ultima di campionato’, con “Mi fido di te” ha vinto il Premio del Libraio Città di Padova 2007, con il romanzo “Chiedo scusa”, Einaudi Stile Libero, nel 2011 ha vinto il Premio Alziator, nel 2014 ha vinto il Premio Lawrence con il romanzo “Un posto anche per me”, Einaudi Stile Libero. Dal 2013 cura la collana Freschi per Caracò Editore. Il suo ultimo romanzo è “Torpedone trapiantati”, Torino, Einaudi , 2018. wikipedia.org
on proprio tutti sanno che tra Pirandello e la Deledda ci fu una concorrenza e un odio feroce. Lo scrittore siciliano mal sopportava la scrittrice sarda che vinse il Nobel molti anni prima di lui. In particolare non vedeva di buon occhio il consorte dell’autrice nuorese, Palmiro Madesani, il quale svolgeva il ruolo di agente editoriale esclusivo per lei. A quanto pare, Pirandello non vedeva di buon occhio questo menage culturale e sentimentale così riuscito. Forse anche perché la sua vita di coppia era infelice e sua moglie fu internata per malattia mentale. Ispirandosi ai due suoi avversari scrisse anche un romanzo ‘Suo marito’, pubblicato nonostante l’opposizione della Deledda. Pirandello non ebbe certo un comportamento da gentiluomo, avendo sfogato in «Suo marito» un qualche malumore dovuto a invidia familiare o professionale (o forse entrambe). Ma se entriamo nel merito dei contenuti del romanzo ha sostanzialmente ragione: lo spunto narrativo ripreso dalla vicenda privata della scrittrice sarda, infatti, rimarrà davvero nulla più che uno spunto. (segui pagina 14)
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(segue da pagina 13) Se di “strano caso” si tratta, per di più tra due personalità così importanti nella nostra storia letteraria del primo Novecento, allora è necessario indagare su come sia nato, si sia svolto e (forse) concluso. La “scena” si apre nel 1908, con una lettera di Pirandello non presago ancora degli eventi che sarebbero seguiti, ma in trepida attesa per l’uscita dei suoi più recenti parti letterari: […] Il nuovo volume di novelle, già consegnato al Treves, ha per titolo “La vita nuda’. Son quattordici novelle. Manderò pure al Treves, spero in aprile, il romanzo ‘Suo marito’. Son partito dal marito di Grazia Deledda. Lo conosci? Un capolavoro, Ugo mio, dico il marito di Grazia Deledda – intendiamoci… [1]. Anche l’ editore Treves annuncia, sulla “Nuova Antologia” del 16 gennaio 1908, «la pubblicazione di “Suo marito” per l’anno in corso» (ivi). La scrittrice sarda aveva sposato Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze a Cagliari – ma originario di Cicognara di Viadana, Mantova –, nel gennaio 1900. Dopo il matrimonio la coppia si trasferisce immediatamente a Roma, dove Palmiro si dedica anima e corpo a seguire e sostenere l’attività
letteraria della moglie, già avviata con successo in Sardegna. Fin dai primi tempi del loro soggiorno i coniugi Deledda-Madesani si inseriscono a pieno titolo nella vita culturale romana, come racconta Maurice Muret sul “Journal des débats politiques et littéraires” del 21 agosto 1936 (pochi giorno dopo la morte di Grazia), rievocando gli incontri e le gite fuori porta di un’allegra brigata di letterati nei primi anni del secolo: “C’era allora a Roma una bottega, non direi di begli spiriti, ma di buoni spiriti, dove si riuniva alla fine della giornata tutto ciò che si chiamava l’intelligenza nei tempi in cui era onorata in Europa. Questa simpatica officina si trovava nel Corso e serviva da ufficio di redazione alla celebre rivista “Nuova Antologia”. Il buon poeta Giovanni Cena vi faceva gli onori . È stato lui a presentarmi Grazia Deledda, nel suo piccolo ufficio, dove si trovavano ancora, quel giorno là, Pirandello e il professor Barzellotti. Il marito di Grazia Deledda venne a raggiungerci poco dopo e s’improvvisò, seduta stante, un picnic all’Acqua Acetosa. Ci si strinse in una carrozza o due, non mi ricordo. Il marito della romanziera, che qualcuno chiamava
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Grazio Deleddo, aveva preso posto sul sedile e il suo vestito, gonfio di due bottiglie d’eccellente vino del suo paese, infastidiva molto il nostro ‘vetturino’. [2] Sicuramente Pirandello quel giorno (e non solo) avrà osservato con interesse, professionale e personale, la scrittrice e il consorte; fonti certe ci dicono inoltre che non era estraneo all’invenzione e diffusione di quel nome declinato al maschile. [3] Nella scena successiva un doppio salto, temporale e spaziale, ci porta in una stanza del Grand Hotel di Stoccolma nel dicembre 1927 [4]: na stanza da letto molto spaziosa e sobria […]. Grazia è seduta sul letto di tre quarti rispetto al pubblico. Porta gli occhiali. Sta leggendo un quotidiano. Entra Palmiro […]: Palmiro: – Ancora leggi quella roba lì? Grazia: – Così, giusto per non dimenticarmi da dove vengo. Palmiro: – Che dicono stavolta? Grazia: – Mah, le solite cose… I detrattori hanno di buono che spesso peccano di fantasia. Palmiro: – Pirandello? Grazia: – Anche, certo, non l’ha proprio buttata giù […]. C’è un’accusa nei miei confronti che ho per-
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sino imparato a capire… Palmiro: – Un’accusa? Grazia: – Certo, e ti dirò di più: è l’origine di tutto. (Cerca le parole adatte) Essermi rifiutata di mediare… Di offrire una possibile consolazione. Si sono abituati a confondere lo scrittore col cerimoniere. E invece lo scrittore è uno specchio. Riflette e ti mette davanti a quello che sei, senza sconti. Sennò non è uno scrittore. Vedi il buon Enrico Costa: quanta bellissima scrittura buttata via, quanto talento sprecato pur di farsi amare… Palmiro: - E Pirandello… Grazia: – No, Pirandello no, Palmiro: Pirandello è grandissimo, grandissimo. Palmiro: – Non posso perdonarlo… Ti ha fatto una cosa troppo brutta. Grazia: – Che cosa, quel romanzo dove tutti avrebbero dovuto riconoscere me e te? (Fa di spalle) Cosa ha ottenuto? Un pessimo romanzo… Palmiro: – E ancora dici che è grandissimo? Grazia: – Solo i grandissimi possono fallire così miseramente. Ma quel Mattia Pascal che meraviglia! È bellissimo, è moderno, ti dirò che gliel’ho persino invidiato… Palmiro: – E ora tocca a lui… [5](segui pag. 16)
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(segue da pagina 15) Note [1] Lettera a Ugo Ojetti da Roma, 18 dicembre 1908, in L. Pirandello, Carteggi inediti, a cura di S. Zappulla Muscarà (“Quaderni dell’Istituto di Studi Pirandelliani”), Bulzoni Editore, Roma, 1980, p. 28.
[3] Siamo agli inizi del secolo e già (dal 1905 almeno, subito dopo Il fu Mattia Pascal ) Pirandello lavorava al romanzo: «Intanto scrivo un altro romanzo umoristico: Suo marito. Il marito di una grandonna [sic], marito contabile e segretario. Figuratevi!» (Lettera a Luigi Villari da Roma, 10 marzo 1905, in R. Dedola, Grazia Deledda, cit., p. 232). [4] Ricordiamo che Grazia Deledda vinse il premio Nobel per il 1926, ma lo ritirò il 10 dicembre 1927. [5] M. Fois, Quasi Grazia, Einaudi, Torino, 2016, pp. 45-51: «Un perfetto “romanzo in forma di teatro”», come recita la presentazione dell’editore. h t t p s : / / w w w. p i r a n delloweb.com/pirandello-e-grazia-deledda/?cn-reloaded=1
Foto stradedelloozafferano
[2] R. Dedola, Grazia Deledda. I luoghi, gli amori, le opere, Avagliano Editore, Roma, 2016, p. 231.
STRADE DELLO ZAFFERANO Gusto, colori, musica e cultura del territorio
3 Novembre 2020 Villanovafranca 10 Novembre 2020 San Gavino Monreale
17 Novembre 2020 Turri www.stradezafferanosardegna.com/
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on questo intento i tre comuni dove si produce lo zafferano secondo le prescrizioni del disciplinare DOP, San Gavino, Turri e Villanovafranca condividono risorse e obiettivi per richiamare l’attenzione di turisti e specialisti del mondo del ben mangiare e buon vivere sulle rispettive comunità e realtà produttive. Il Consorzio Turistico “Sa Corona Arrùbia”, ente pubblico di promozione turistica della Marmilla, è stato investito del ruolo di ideazione e coordinamento del progetto di promozione di questa manifestazione che si articola in mo-
menti diversi per dare maggior risalto ad ogni singolo comune e ampliare la vetrina dedicata all’oro rosso in tutte le declinazioni. Come ormai da tradizione, le giornate nei tre comuni saranno l’occasione per potersi avvicinare a comunità genuine e vivaci in un loro momento di festa, dove la pregiata spezia assume il ruolo di filo conduttore della narrazione di ricette, curiosità e storie di un mondo agricolo che con la sua identità forte e radicata non intende soccombere alle strategie del commercio massivo, ma rilancia sulla purezza e la conservazione dei tratti caratteristici di un prodotto tanto fragile quan-
to pregiato. Una coltura consolidata negli anni, spesso tramandata di padre in figlio, che ha assunto una valenza economica di rilievo. Nel Medio Campidano si coltiva oltre il 60% di tutto lo zafferano italiano: i tre paesi di Turri, San Gavino e Villanovafranca detengono il primato nazionale con 45 ettari di terreno coltivati. Laboratori del gusto e del sapere, visite ai campi, suggestive case antiche aperte alla curiosità del viaggiatore completano le attività poste in essere dai tre comuni con il supporto economico dell’Assessorato del Turismo, Artigiano e Commercio e quello
della Fondazione di Sardegna. La collaborazione di Pro Loco, associazioni locali, produttori e privati cittadini permetterà al visitatore di godere dell’ospitalità autentica di tutta la comunità e ricca di esperienze da vivere e raccontare. Gusto, colori, musica e cultura del territorio sono i veri protagonisti di “Strade dello Zafferano di Sardegna DOP” e invitano il viaggiatore a concedersi tre domeniche per conoscere un mondo fatto di passione e cultura del fare, dove l’uomo ha scoperto l’arte di carezzare la terra per ottenere doni pregiati, lo zafferano primo tra questi.
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ttimo per speziare ogni tipo di piatto, benefico per l’organismo, raccolto a mano. Ha poi un’elevata concentrazione di profumi e sapori, ne basta pochissimo per condire decine di pietanze. Lo zafferano di Sardegna Dop, una eccellenza in campo internazionale, è protagonista dal 3 al 17 novembre, con un’anteprima venerdì 25 ottobre, nei tre comuni che lo producono: San Gavino Monreale, Turri e Villanovafranca. Dietro la regia del Consorzio Turistico Sa Corona Arrùbia si sono uniti per la terza volta per tracciare «Le Strade dello zafferano di Sardegna Dop».
Tre domeniche per una manifestazione che cade nel periodo della fioritura di questa spezia. «Attrattore importante per il turista gastronomico, in cerca di itinerari, produzioni ed esperienze culinarie basati sulle eccellenze agroalimentari locali», spiega Alessandra Guigoni, antropologa e co-relatrice assieme alla biologa Domenica Anna Obinu del convegno «Zafferano - la spezia della felicità, dall’antichità ad oggi», È uno dei momenti clou della kermesse, occasione per promuovere l’economia del territorio e le ricchezze naturalistiche, storiche e architettoniche. Cinque sono gli ettari dedicati alla produzione dop da cui si ricavano quattro chili certificati di zefferano. Venduto in stimmi, in purezza, ovvero non macinato, costa circa 15 euro al grammo. Per produrne un chilo possono essere necessari fino a 150mila fiori. Attorno all’oro rosso si sviluppa un calendario di degustazioni di piatti della tradizione, laboratori, passeggiate per ammirare le distese viola dei campi in fiore, case e corti aperte. San Gavino Monreale, Turri e Villanovafranca sono i luoghi di produzione dello Zafferano di Sardegna DOP e rappresentano insieme l’area di maggior produzione in Italia e uno dei pochissimi luoghi di produzione in occidente. www.stradezafferanosardegna.com/
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yusy Blady, pseudonimo di Maurizia Giusti (Bologna, 7 febbraio 1952), è una conduttrice televisiva e cabarettista italiana. Laureata in pedagogia all’Università di Bologna, inizia l’attività teatrale molto giovane con insegnanti e ragazzi con il gruppo “Giochiamo davvero”. Negli anni settanta milita nel Collettivo Femminista Bolognese per il quale realizza dei cortometraggi in super8. Esordisce negli anni ottanta in qualità di autrice e animatrice dello spettacolo dal vivo Gran Pavese Varietà, proposto nel circolo Arci Cesare Pavese nella storica via del Pratello a Bologna, assieme a Patrizio Roversi, Stefano Bicocchi in arte Vito, Olga Durano, Eraldo Turra e Luciano Manzalini (poi divenuti i Gemelli Ruggeri). Successivamente è in RAI con I Mixserabili e Granpaese varietà (di cui è autrice insieme a Patrizio Roversi e Gino Castaldo). Partecipa ad alcuni programmi di successo quali Drive In e La TV delle ragazze, mentre nel 1987 ha ideato e condotto, assieme a Davide Parenti e Patrizio Roversi, il programma di seconda serata di Italia 1 “Lupo solitario”, che ottenne un ottimo successo di critica. Sempre in quell’anno partecipa al film giallo
vedi il video https://youtu.be/ j3RW_2X2yw0
per bambini “Operazione Pappagallo” opera prima del regista Marco Di Tillo. L’anno seguente, nella stessa fascia oraria, va in onda nel format di Ricci, “L’araba fenice”, programma al quale prende parte insieme a tutto il cast di Lupo solitario. Sempre in questi anni, propone il suo personaggio di “tap model” ironizzando sul suo aspetto fisico, contro lo strapotere delle top model, organizza due concorsi di bellezza “Tap Model” ai quali prendono parte molte donne che condividono con lei l’ideologia Tap. Scrive per Longanesi “Il manuale della Tap model” e incide alcune canzoni, come “Tocca toccam”i o “Sballo a Cesenatico”, o la sigla di “Lupo solitario” “Ninna nanna yee”. Nel 2004 è inoltre apparsa sulla rivista “Max” come protagonista di un calendario ironicamente e provocatoriamente sexy. Nel 1993 ha avuto l’idea di portare con sé una telecamera non professionale in un viaggio in India fatto insieme al marito Patrizio Roversi, idea dalla quale è nata la trasmissione “Turisti per caso”, che li vedrà impegnati in viaggi per il mondo che andranno in onda in prima serata per Rai 2 e poi per Rai 3. Nel 2004 i due hanno dato vita a uno spin off della trasmissione, intitolato “Velisti per caso” e ambientato su una barca a vela.
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Nella primavera del 2004, insieme a Roversi, passa alle reti Mediaset, dove conduce la trasmissione di seconda serata di Rete 4 Ultima razzia, dedicata al mondo dei libri, della musica e del cinema. Nel 2005 è stata protagonista, stavolta da sola e senza Roversi, di Misteri per caso, che racconta dei misteri da lei scoperti negli anni passati visitando il mondo con il suo più famoso programma. Sempre nel 2005 ha partecipato al programma di Rai 1 Ballando con le stelle. Nel 2006, sempre su Rai 3, sono andate in onda cinque puntate sull’Africa della serie Turisti per caso. Ha inoltre realizzato come regista il cortometraggio Ciccio Colonna presentato al Genova Film Festival e alla prima edizione dell’Ischia Film Festival nel 2003 segnalato dalla critica. Ha partecipato all’ultimo film di Fellini “La voce della Luna” come Sorella della Luna. Ha scritto per Feltrinelli assieme a Sandro Toni “Vocabolario sessuato”, le parole viste dalle donne e dagli uomini, mentre per Einaudi, con Patrizio Roversi, è stata autrice di “Quel poco che abbiamo capito del mondo facendo i Turisti per caso”. Nel 2008 ha pubblicato sempre per l’Einaudi il suo primo romanzo: “Tango inesorabile”. Nel 2011 per Rizzoli ha pubblicato il libro Misteri per
Per comprare i libri https://unoeditori.com/
caso. Dal 23 settembre 2009 conduce insieme a Patrizio Roversi il nuovo programma “In viaggio con Darwin” su Sky Uno. Realizza per “Il festival della Genetica” il documentario “La stele di zia Rosina” sulla Mongolia. Da sola idea e conduce “I popoli del mare”, trasmesso dal 3 ottobre 2009 su Yacht & Sail (SKY Italia). Nel giugno 2010 realizza per Altromercato il documentario: “Yo valgo Yo puedo…” sulle donne tessitrici del Guatemala; nel dicembre dello stesso anno è in onda sul canale Yacht & Sail di Sky con la seconda serie “I popoli del mare”, da lei ideata e condotta, sulla storia sconosciuta delle nostre origini pelasgiche. È tornata in televisione nel marzo 2012, sempre insieme a Patrizio Roversi, per condurre il programma di viaggi “Slow Tour”, in onda ogni mattina su Retequattro. Nell’estate 2016 è alla conduzione della trasmissione di viaggi In viaggio con la zia, insieme a Livio Beshir, in onda ogni sabato mattina su Rai 1 nella fascia del mezzogiorno. In giugno 2018 conduce insieme alla figlia Zoe Roversi Giusti la trasmissione di viaggi in Italia a basso impatto ambientale “In viaggio con mia figlia”, in onda ogni domenica mattina su Rete 4. https://it.wikipedia.org/ wiki/Syusy_Blady
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onaria Manca, la” pittrice pastora” di fama internazionale, che ha ricreato intorno a sé, con opere straordinarie, i colori e le simbologie della civiltà e cultura Sarda, delle sue Origini, nella sua “casa dei Simboli” a Tuscania La lavorazione della lana e il lavaggio dei panni al fiume, il pane fatto in casa, la cura dell’orto, la conduzione del carro con i buoi o del gregge sono il suo mondo, un mondo che ritorna nelle sue rappresentazioni. Su tutte le pareti, dipinte rigorosamente a mano, sono raffigurate scene di vita contadina, il mare, le lavandaie al fiume. E ancora, animali, personaggi religiosi e surreali figure al confine tra realtà e fantasia. “Credo che fosse già tutto dentro di me, ma non riuscivo a esprimermi. C’era una cultura che voleva la donna sempre in casa, dove era lei a reggere ogni cosa…Quindi non è che non fosse valorizzata… Basta pensare che nei tempi più antichi le donne hanno anche governato…e c’erano anche le dee” “Non ho mai mischiato i colori, si mischiano da soli. Non sono stata mai capace di scegliere e di essere padrona di un colore Sarà una grazia di Dio, era tutto dentro di me. Passiamo tutti sulla terra per lottare e ci vuole co-
Bonaria Carmela
Manca Orune (NU) 10 luglio1925 Tuscania(Viterbo) 17 ottobre 2020
Tuscania (VT) info@bonariamanca.it www.bonariamanca.it/
raggio per affrontare la vita” “ Dimentica ieri Rinasci ogni giorno Non c’è cosa più bella di questa perchè il tempo viene e passa come maggio che è nei fiori, ma con la fede e con l’amore farai spostare le montagne. Tu che nel cuore hai bontà vivrai in pace e Dio ti condurrà.” “La luna ci conduce nel mistero gigante…è un lungo viaggio che si compirà…” Una Jana che attraverso forme e colori ha dato vita alla memoria di quelle che sono state le sue Origini genetiche e ancestrali Un tripudio di vita, di verità, di bellezza, tanto da farne Ambasciatrice dell’UNESCO nel 2000. Ma soprattutto testimone vivente e senza tempo delle nostre antiche conoscenze, attraverso gesti semplici, raccontati attraverso il colore che inonda i sensi e forme che vanno oltre i loro stessi confini Anima Antica, una delle voci delle Antiche Madri Tiziana Fenu Maldalchimia.blogspot.com
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onaria Carmela Manca nasce ad Orune (NU) in Sardegna, il 10 luglio del 1925 da Paolo Manca e Speranza Cossu. Dodicesima di tredici figli dei quali solo nove vedranno l’età adulta, sei maschi e tre femmine. La sua è una famiglia di pastori da generazioni, fin da bambina di cinque anni segue la madre e il padre nella loro attività sia di casa che nelle campagne di Orune, lavare la lana ed i panni al fiume, fare il pane, piantare le patate dell’orto, guidare addirittura i buoi se necessario, tutto ciò caratterizza la sua fanciullezza! Conseguirà il titolo di studio di licenza elementare, in una scuola, quella degli anni trenta, nella quale in classe i maschi erano separati dalle femmine. Da ragazza apprenderà le basi per il ricamo che poi svilupperà negli anni in maniera mirabile. La madre Speranza faceva parte dell’Azione Cattolica ed era Dama di Carità, anche Bonaria all’età di tredici anni diventerà la prima delegata delle piccolissime dell’Azione Cattolica. L’appartenenza a questa associazione cattolica laica implicava il dovere di condurre una vita abbastanza sobria e ritirata, infatti era proibito andare a ballare. Partirà per la prima volta dalla Sardegna nel 1948 a 23 anni per venire a Roma con le Circoline in occasione del trentesimo dell’Azione Cattolica di Padre Gemelli. Resterà nella capitale una settimana, per poi far ritorno ad Orune. Nel gennaio 1940 perderà il padre a soli 14 anni.
Nel 1948 tre dei suoi fratelli emigreranno nel Continente, lei stessa nel 1951 partirà dalla Sardegna, con lo scopo di aiutarli svolgendo le mansioni di donna di casa. Resterà alcuni mesi per poi far ritorno ad Orune. Ripartirà definitivamente da Orune per trasferirsi a Tuscania nel 1956. Bonaria ricorda di essere stata accompagnata al porto di Olbia da una famiglia di amici i Baranzellu, le sorelle e i due fratelli Mario e Pasquale. Negli anni ‘50, a più riprese, tutti i suoi familiari emigreranno stabilendosi poi definitivamente tra Tuscania e Viterbo, la madre nel 1959, e da ultima la sorella maggiore Maria, rimasta vedova, nel 1965. Mentre il fratello Giovanni ritornerà in Sardegna per poi sposarsi e vivere nel paese di Monti. A Tuscania Bonaria sarà pastora lei stessa, costretta dalle circostanze e dalle esigenze dei suoi familiari, mette a disposizione le sue capacità e le sue forze, cosa che nella sua terra di origine non avrebbe mai potuto fare. Per la madre era fonte di dispiacere vedere la figlia che lottava e sacrificava con le greggi: “ad Orune eravamo abituati diversamente!” La cultura del paese barbaricino inquadrava la donna come perno della famiglia, ma come donna di casa. In terra di Tuscia Bonaria va a cavallo appresso alle greggi alcune volte “cavalcando addirittura a pelo”, senza sella e senza redini. Guiderà perfino una motocicletta, (segue pagina 22)
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(segue dalla pagina 21) lasciando non pochi a bocca aperta in una cittadina come Tuscania degli anni ‘50! Agli inizi degli anni ‘80 inizierà a dipingere, avendo fino a quel momento creato soltanto attraverso il ricamo, dirà a se stessa: “se so ricamare saprò anche dipingere”! Il suo grande talento artistico verrà fuori nella solitudine più profonda! La madre Speranza morirà nel 1975 e il fratello Ciriaco con il quale aveva sempre vissuto a Tuscania e con il quale gestiva l’azienda agro-pastorale, morirà nel 1978. Il marito sposato nel 1968 l’abbandonerà nel 1980! La solitudine è sofferenza, ma per Bonaria è anche e soprattutto libertà, possibilità di entrare in contatto con la parte più profonda di se stessa della quale l’arte sarà il mezzo di espressione! Dirà lei stessa: “E’ tutta cosa che mi è uscita da dentro, non l’ho cercata. Era dentro di me però non lo sapevo”. Il critico d’arte Vittorio Sgarbi scrive: “Bonaria è sorretta da uno straordinario spontaneismo multiforme che la fa vivere nel presente con il proprio mondo bambino”. Lo scrittore e cineasta francese Jean-Marie Drot dirà di lei: “ La cosa che mi piace nella opera di Bonaria è il fatto che quasi niente ci viene dalla testa, ma tutto viene dal cuore. Per me la sua è una pittura cosmica. La casa di Bonaria, in una certa maniera è unica forse in tutta Italia. Avere un quadro di Bonaria è come avere un talismano, un portafortuna in un mondo
di solitudine, di aprire subito una finestra su un domani, un futuro che sarà pieno di luce!” Ed è questo che l’artista ed ogni artista ha dentro di sé ed è chiamato a portare agli altri, un mondo di Bene e di gioia che è bellezza perché è puro ed incontaminat, perchè “quelle idee che sono indipendenti da noi”, come dice il filosofo olandese Arnold Geulincx, “sono causate da Dio e non sorgono dal proprio pensiero”. Prende il via così una produzione artistica che può dirsi straordinaria non soltanto per il simbolismo, la vividezza dei colori, ed espressività dei dipinti, ma anche per il numero, che viene stimato approssimativamente in 1000 dipinti su tela, ai quali bisogna aggiungere i ricami, gli arazzi, i mosaici, ed infine le pitture murali, negli anni dal 1996 al 2004 inizierà e porterà a compimento la pittura delle pareti della sua casa. La sua vena artistica si esprime anche attraverso il canto e la poesia estemporanei. Un canto che molte volte ha rivolto a chi l’ascoltava dice queste parole: “Dimentica ieri, rinasci ogni giorno cosa più bella di questa non ce n’è!” Nelle sue opere è rappresentata la sua vita di bambina e giovane donna ad Orune, la sua numerosa famiglia, fratelli, sorelle, il padre facilmente riconoscibile perché sempre rappresentato nel costume tradizionale sardo, la madre al suo fianco. E poi la pastora Bonaria a Tuscania che fila la lana, tesse i suoi abiti, segue il suo gregge, sempre immersa in una natura che rispetta ed ama.
La religiosità e la preghiera continuamente rivolta a Dio, molti dipinti raffigurano Cristo, la Natività, processioni religiose che si svolgono proprio a Tuscania, ma anche visioni di mondi scomparsi preistorici, con i suoi protagonisti, come quello etrusco con i suoi dei, magistrati, comandanti, prigionieri, artisti, artigiani e commercianti! Molti soggetti rappresentati, difatti, afferma di averli visti in visioni! Dirà: “Li ho fatti perché li ho visti!” La sua casa si trova in una zona di siti archeologici, di templi e necropoli etruschi. Bonaria raccoglie pietre e legge su di esse, come una antica aruspice, di antiche civiltà! E nuovamente, veramente in un tempo senza tempo, la sua espressività artistica ci porta dalle campagne di Orune a quelle di Tuscania, dal Battesimo di Gesù alla visione di Zeus con il fiore e di Minerva con la civetta, da una natura morta a ad una natura lussureggiante e colorata di un mondo agro pastorale con fiori, alberi, uccelli, pesci, vacche, pecore, capre, cavalli, maiali, e di mondi lontani rappresentati dalla giraffa, dai mammut, e dagli yak. I grandi alberi a simboleggiare la vita che si espande con maestosità e forza. Dunque dipinge avvenimenti della sua vita, visioni, sogni, ma anche gli accadimenti del mondo che più la colpiscono come ad esempio i primi uomini che nel 1982 raggiunsero la cima dell’Himalaya senza le bombole ad ossigeno. Dirà: “Non ho mai mischiato i colori, si mischiano da soli: Non sono stata mai capace di scegliere e di essere
padrona di un colore”. La prima mostra personale verrà allestita nel 1983 a Roma ad un angolo di Piazza Cavour. Nel corso degli anni viaggia non solo in Italia, ma anche in vari paesi allestendo mostre in Francia, Svizzera, Olanda, Belgio, Grecia, tutti paesi nei quali si trovano suoi dipinti in Musei e Collezioni private. Nel 2000 partecipa ad una mostra internazionale a Salonicco (Grecia) dal titolo “Donne creatrici nel mondo”, in questa occasione sarà nominata ambasciatrice dell’Unesco. Nel museo d’Arte Moderna “Jean-Marie Drot “ dell’isola di Ios in Grecia sono custoditi un cospicuo numero di dipinti di Bonaria. Il Museo Dr. Guislain, a Gand (Belgio) possiede tre dipinti di Bonaria. La Collection De Stadshof” di Zwolle (Paesi Bassi) possiede molti tra i più belli dipinti di Bonaria, ne esporrà alcuni al Museo della Halle Saint Pierre, Parigi, dal settembre 2014 - gennaio 2015. Nel novembre 2015 il Ministero dei Beni Culturali decreta lo Studio d’artista della Pittrice Bonaria Manca dichiarandolo di interesse particolarmente importante ai sensi dell’artt. 11, comma 1 lett. b) e 51 comma 1 del D.Lgs. 42/2004 e ss.mm.ii. e, come tale, è sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella norma. Lo Studio d’Artista viene pertanto reso inamovibile dall’appartamento in cui si trova. La sua Casa dei Simboli è oggi una Casa Museo. www.bonariamanca.it/
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’è la voce ‘Nuraghe’ attestata in un bellissimo betilo. E’ da anni che ne abbiamo parlato, anche in una conferenza pubblica tenuta nel luogo del rinvenimento e cioè in Terralba. Ma essa dà fastidio e (‘more solito’ per tutta la documentazione nuragica scritta) si finge che non esista. Meglio ignorarla, commettere un atto impuro, andare a caccia del ‘cipriota’ o di altro di forestiero, magari di ‘filisteo’. Eppure persino ULLALLA’ (vi ricordate di lui?) aveva mostrato un certo interesse per il reperto. Chi lo avrebbe mai detto! A distamza di pochi anni dalla scoperta dei sigilli dei Giganti di Tzricotu, un reperto lapideo terralbese, rinvenuto durante i lavori di scavo e di ristrutturazione di un’abitazione privata, ha permesso, in virtù di cinque segni ( da leggersi in senso verticale dall’alto verso il basso), la lettura della parola più nota ed intrigante della civiltà nuragica. La parola NURAGHE. La sequenza dei segni in mix, tutti chiarissimi anche se riportati, per accrescere il senso generale della scritta, in modo singolare ‘a rebus’, permette di leggere la voce NURAGHE, ma ordinata diversamente e cioè ‘AG/ HE/N(U)L e non NL’AG HE.
Ciò naturalmente, a motivo della sequenza delle singole parole, rende assai più credibile dal punto di vista paleografico ed epigrafico la genuinità del documento, tanto più che i segni sono tracciati ambiguamente in modo da rendere, se appena appena si presta attenzione, ‘tre’ tori e ‘tre’ serpenti. Non è qui però il caso di trattare di tutto il tenore della scritta, assai densa di significato attinente alla ‘religio’ della luce immortale di YH o YHWH che dir si voglia. Basterà solo dire che apparentemente c’è scritto solo NULAGHE: che è ovvia variante (già a partire quindi dal nuragico, pensate un po’!) di NURAGHE. Ora cosa sarebbe dovuto avvenire in una situazione scientifica di normalità, di tranquillità, in un mondo della cultura accademica privo di pregiudizi? Garante di un dubbio sistematico sempre e comunque a 360 gradi? Sarebbe dovuta sorgere perlomeno una certa curiosità da parte dei linguisti, degli epigrafisti, degli archeologi, degli antropologi, degli storici in generale e degli storici delle religioni. Invece niente di niente. Il mio articolo provvisorio sul reperto di scrittura nuragica, apparso su di un blog viaggia ancora sconsolato nel deserto della rete, mortificatissimo per il silenzio.
Foto gigantengrab
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Neppure un ‘crepa!’ Eppure pensate quanto si sarebbe potuto dire circa la voce ‘AG (che ha impegnato, come si sa, non poco linguisti del calibro di Paulis), la voce NR/NL, anch’essa oggetto di indagine etimologica e linguistica, che si trova in Sardegna come i funghi in autunno, ed infine la voce pronominale ‘HE’. ritenuta erroneamente da tutti o quasi tutti accorpata ad ‘AG e facente parte quindi di un suffisso in -AKE. Ora io ripropongo qui all’attenzione di tutti non un ‘semplice’ documento scritto dei nuragici ma una vera e propria perla documentaria , perla grossa come una palla da tennis e come tale degna di essere conosciuta nel mondo grande intero e non solo nel nostro piccolo di Sardegna. I soliti negazionisti , i quattro o cinque che guidano le truppe cammellate dei fans, diranno che è uno dei soliti falsi, delle decina e decina di bufale, che intendono farmi fesso da venticinque anni. E come no? Basta solo provarlo scientificamente. Mettendo cioè nero su bianco e non a chiacchiere! Coraggio, cari miei, serietà e non baccano. Gigi Sanna https://www.facebook.com/gigi.sanna.98
’Associazione Nurnet ha creato un immenso database con tanto di mappa pubblicata sul proprio portale in grado di georeferenziare tutti i nuraghi, domus de janas, menhir, pozzi sacri e villaggi nuragici della Sardegna (la tecnologia utilizzata è principalmente quella del GIS, Geographic Information Systems). Insomma una mappa interattiva della Sardegna nuragica e prenuragica, che peraltro è stata appena migliorata e implementata, sia nei contenuti che nella sua navigabilità. Si tratta di uno strumento che nasce anch’esso come un progetto open data – cioé senza brevetti o altre forme di controllo che ne limitino la riproduzione – , grazie al lavoro gratuito del CRS4 e di Nurnet e che vuole accogliere i suggerimenti di tutti e i contributi di tutti, anche finanziari. La Sardegna detiene il record mondiale di siti archeologici. In un area di 24.009 kmq vi sono 54 dei totali 84 parchi archeo in Italia. Vi sono piu’ di 10 000 (diecimila) siti archeologici in Sardegna. Se stiamo cercando ragioni per invitare a visitarla... h t t p s : / / w w w. s a r d e gnainblog.it/1407/ mappa-interattiva-nuraghi-nurnet/
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arco Useli è un pittore, incisore e progettista, originario di Nuoro, che sarà tra i prossimi protagonisti del festival di arte contemporanea “Palinsesti”, a San Vito al Tagliamento in Friuli, con una mostra, a cura di Luca Pietro Nicoletti, che inaugurerà il 7 novembre. Dopo il diploma all’Istituto d’Arte Useli si è laureato all’Accademia di Belle Arti di Firenze e, in seguito ad un’esperienza biennale a Londra, si è stabilito a Milano dove ha conseguito un Master in Progettazione contemporanea con la pietra, presso il Politecnico. Dal 2012 fa parte dell’Associazione Culturale Milano Printmakers, che si occupa di sviluppare la ricerca nella grafica d’arte e nel 2017 ha aperto uno studio anche a Dorgali: un luogo ove portare avanti la propria attività artistica e dove ospita, sotto la sua curatela, mostre e laboratori di pittura ed incisione. Al territorio sardo ha dedicato, nel 2018, il progetto “Su Boidu, Il Vuoto”. L’idea, nata per celebrare il valore emotivo di una porzione di territorio, ai margini della macro regione barbagica, lo ha visto impegnato nella creazione di un dodecaedro trasparente, simbolo del cosmo nella sua complessità e armonia, luogo di osservazione
MARCO
privilegiato sullo spazio circostante, sviluppato sulla base di proporzioni fisiche strettamente correlate al mondo della natura e dei rapporti aurei. In un work in progress le pareti dello stesso dodecaedro hanno ospitato gli interventi incisori di diversi artisti, in un gioco di corrispondenze e inganni finalizzato alla restituzione di un paesaggio composito, fatto di elementi reali e interiori. Al lavoro ambientale Useli affianca una raffinata e ricca produzione di opere tu carta e tavola. Nelle sue composizioni vivono, respirano, macchie di pigmenti generate dalla compressione del colore con il rullo che, in interazione con ogni altra forma-figura presente sul piano, identificano tutto ciò che trascende la forma chiusa, determinandosi e continuamente ri-determinandosi in forma aperta, temporanea, istantanea e volatile. Completando un moto di rivoluzione sul piano, il rullo percorre 3,14 volte la dimensione del suo diametro. “All’interno di questo spazio si sviluppa l’unità minima del mio lavoro. All’unità minima corrisponde la forma unica che, mediante la propria riproduzione, innesca un meccanismo di consunzione e l’esasperazione di un ritmo”.
O USELI
Quanto la natura incontaminata e potente, le formazioni rocciose caratteristiche della Barbagia, hanno contribuito alla creazione del tuo immaginario artistico? “Potrei fingere di essere stato folgorato dalle riproduzioni di un’opera d’arte su un libro, ma ovviamente non è così. Sono stato fortunato, fin da bambino potevo uscire di casa, attraversare la pineta che sovrasta casa mia a Dorgali e sedermi a contemplare dall’alto un paesaggio incredibile. Nascere in mezzo a una natura come quella, calcare, basalto, granito sciolto dal tempo e dall’acqua, a un certo punto sei quasi costretto a farci i conti. Le prime cose non accademiche che ho fatto erano un tentativo di riflessione sui ritmi della natura, sul paesaggio che si allontana dallo sguardo, un po’ una costante per chi attraversa il mare, vedere la costa che sfuma, la pietra che perde consistenza, poi ti ritrovi a Milano a fare un master sulla progettazione contemporanea con la pietra e pensi: ecco, tutto torna”. L’allestimento del tuo studio a Dorgali rappresenta un punto di arrivo o di partenza? “La risposta è apparentemente semplice, pensando al mio studio lo definirei ‘punto di arrivo e di parten-
za’. Diciamo che quando l’ho allestito pensavo di essere arrivato. Poi sono partito nuovamente. Poi ci sono tornato un’altra volta e nuovamente sono ripartito. Sapere che c’è, che è lì e mi aspetta esattamente come l’ho lasciato, come lo ricordo, mi permette di starci lontano senza il terrore di non sapere dove andare. È casa mia, ci sono le mie cose, c’è un ordine rassicurante che mi trasmette una forte serenità, poi però vivo un costante bisogno di stimoli e quindi devo partire. Come ogni luogo così circoscritto è un po’ un’isola dentro un’isola dentro un’isola e così via, una cosa che quando si parla del mio studio diventa vera anche dal punto di vista geografico. Poi, se vai a vedere in fondo, il mio studio sono io, l’isola più piccola, uno studio vagante, mi basta una matita per sentirmi a casa.” La tua produzione trova le proprie origini in un’attenta contemplazione e celebrazione della natura e dei suoi ritmi: il metodo che hai sviluppato è frutto di un pensiero più analitico o empirico? “Partiamo dall’idea che la natura fa, non pensa. Guardando il paesaggio, ma anche una qualsiasi pietra o una pianta vagabonda e spontanea, (segue pagina 28)
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Foto marcouseli.com
(segue dalla pagina 27) come quelle che sono entrate a far parte dei miei lavori a un certo punto, ciò che emerge è l’inesorabilità di una volontà, delle sue conseguenze. L’acqua col tempo consuma qualsiasi materiale, le piante sconfiggono la roccia con una facilità disarmante, con una potenza gentile e una pressione costante. L’azione ripetuta porta risultati giganteschi. Quindi anche io faccio sempre, ogni giorno, e quando faccio non penso. È l’insegnamento del mio primo Maestro, mio nonno, che mi ha insegnato a lavorare in campagna, in silenzio. Quindi, tornando alle categorie di empirico e analitico, l’approccio e il lavoro costante sono dominati dalle sensazioni, e quindi sono senza dubbio empirici.” L’importanza della regola aurea, dei codici appartenenti al mondo della natura e della fisica, sono spunto di riflessione e oggetto del tuo lavoro. Sei più attratto dall’infinitamente grande o dall’infinitamente piccolo? “Sono molto attratto dall’infinitamente piccolo, a dire la verità dal “molto piccolo”, lascerei da parte l’infinitamente per il momento, perlomeno la visione microscopica. Ma è più che altro una grande passione per i processi, per tutto ciò
che da piccolo diventa grande. Il seme, la formica, la piccola pietra, tutte cose che poi a un certo punto della loro esistenza sono state o sono destinate a generare o far parte di qualcosa di grande, l’albero, il formicaio, la montagna. È lo stesso con le opere, tutto idealmente comincia con un punto che genera un piccolo segno solitario, un elemento quasi nudo, indifeso, ma quando questo segno comincia a moltiplicarsi e ad accumularsi, a trasformarsi in un sistema organico, può diventare davvero qualcosa di potente.” Quali i tuoi prossimi progetti? “Il 7 novembre inaugura la mostra legata al Festival di Arte Contemporanea ‘Palinsesti’ e per l’inverno ho in programma una personale negli spazi della Galleria Arrivada a Milano, a cura di Samuele Menin. A giugno avrei dovuto inaugurare una personale a Villa Arconati a Bollate ma, purtroppo, considerate le circostanze, è stata spostata al prossimo anno: il curatore, vista l’attesa, mi ha invitato a ragionare con lui su un progetto ad hoc per gli spazi della Villa, un posto incredibile, che ha visto il passaggio di grandissimi dell’arte.” Gaia Dallera Ferrario www.gaiadallera.com www.marcouseli.com/
Foto ceas torpé
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on l’arrivo delle prime sette statue - di dieci che costituiranno l’opera completa - ieri 21 ottobre 2020 è iniziato l’allestimento della mostra IL POPOLO DI BRONZO – TORPÈ 2.0 La mostra, proprietà del Comune di Torpè, al termine dei lavori di allestimento sarà esposta permanentemente nei locali del “CEAS Torpè Porta del Parco”. Fortemente voluta dall’Amministrazione Comunale con finanziamento del Parco Naturale Regionale Tepilora e curata dal “CEAS Torpè Porta del Parco”, ha richiesto un anno di lavoro dell’artista Angela Demontis. L’esposizione riporta il visitatore indietro a migliaia di anni fa, mostrando la popolazione della Sardegna con riproduzioni a grandezza naturale degli uomini e le donne del periodo nuragico, con i loro vestiti, armi, accessori e gioielli rigorosamente artigianali, con materiali, colori e tecniche plausibili e in uso nell’antichità. Un percorso espositivo corredato da numerosi pannelli esplicativi per adulti e bambini, guiderà il pubblico in un avvincente viaggio in età protostorica. La mostra si snoderà partendo dalla sala multimediale, con un percorso corredato da pannelli esplicativi con visita guidata, in grado di soddisfare la curiosi-
CEAS Torpè
Centro Educazione Ambientale Porta del Parco Organisation pour la préservation de l’environnement
IL POPOLO DI BRONZO
TORPÈ 2.0 Via S. Nicolò n°61 08020 Torpè, Sardaigne Tel : +39 0784 829019
tà e l’interesse di appassionati e visitatori, lungo tutta l’estensione dell’antico edificio. L’opera segue il solco tracciato dieci anni fa dalla prima mostra, opera di Angela Demontis, ora di proprietà della Città Metropolitana di Cagliari, dopo un percorso di studio caratterizzato da rigore filologico e immaginazione che ha portato alla realizzazione dell’opera con l’analisi di centinaia di bronzetti nuragici rivenuti in tutta l’isola. Questa versione “Nuova Mostra de Il Popolo di Bronzo” rappresenta una evoluzione tecnica della prima, ormai itinerante con successo da ben 10 anni. Con l’interpretazione dei nuovi personaggi, tratti sempre dallo studio certosino dei bronzi nuragici, l’autrice ha progettato ed incentrato il lavoro sui metodi di colorazione naturale di tessuti e pellami con erbe spontanee e pigmenti minerali, sulla maggiore presenza di dettagli ricamati e cuciture complesse: ogni abito ed accessorio è curato nei minimi dettagli, realizzato con i metodi di lavorazione antica come per le splendide parti in bronzo fuso, e con l’accostamento dei colori che affascina e sorprende per la “modernità” stilistica paradossalmente quasi attuale con tecniche artigiane millenarie, sapientemente applicate anche dai validi collaboratori. (segue pagina 30)
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Foto angelademontis
(segue dalla pagina 29) Dieci personaggi inediti quelli della nuova opera di Torpè che in questa versione nata per il circuito museale nascente che procede a mettere in rete tutto il patrimonio culturale del paese: patrimonio archeologico, beni architettonici come le chiese e la nuova mostra stabile. Il “POPOLO di BRONZO” opera prima di Angela Demontis, è stata presente in esposizione temporanea, con notevole successo per numero di visite, per quaranta giorni nell’estate del 2018. Le restrizioni dovute alla lotta al Covid-19 hanno causato rallentamenti in fase di progettazione e costruzione che verosimilmente ci potranno essere anche nelle fasi di allestimento e di apertura al pubblico. Confidiamo nello sforzo comune e nel senso di responsabilità di tutti per uscire da questo difficile momento perseguendo il ritorno alla normalità, per poter fruire e condividere – speriamo prestissimo - con i nostri ospiti, “IL POPOLO di BRONZO 2.0” unitamente alle tante belle cose di cui la nostra terra generosa, dispone. Tepilora - Parco Naturale Regionale #POPOLODIBRONZO2 #CEASTORPE Comune di Torpè Associazione culturale “Sardus Pater” - Torpè CEAS Torpè Centro Educazione Ambientale Porta del Parco
vedi i video https://vimeo. com/241861258 https://vimeo. com/284460867 https://static.turistipercaso.it/video/oldvideo/GfqQMEjo5NA. mp4
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ngela Demontis nasce a Cagliari il 9 Settembre 1968, da Dolores Demurtas ceramista e scultrice e Aurelio Demontis pittore e vignettista. Dimostrando fin da bambina la predisposizione per le arti figurative, cresce artisticamente nel laboratorio di ceramiche familiare, imparando ad utilizzare un materiale polivalente come l’argilla ed apprendendo le diverse tecniche di lavorazione della ceramica. Compie i suoi studi al Liceo Artistico Statale di Cagliari, dove apprende le tecniche pittoriche classiche, la teoria del colore, della percezione visiva e l’anatomia artistica. Nel 2008 incontra Syusy Blady per la trasmissione “Misteri per caso” sul tema dei bronzetti sardi sviluppato nel libro “Il Popolo di Bronzo” Le sue passioni maggiori sono l’arte, gli animali, e l’astronomia. Riesce a conciliare tutto questo in modo creativo per trarre insegnamento ed ispirazione che sfociano nelle sue creazioni più particolarmente fantasiose. Nel 1989 realizza il suo primo lavoro su commissione: un pannello in ceramica a colori (cm.200x125) rappresentante un fondale marino, con lavorazione a bassorilievo, attualmente esposto nell’albergo “Torre di Barì” (Barisardo). Dal 1995 al 2002 ha collaborato col Museo Naturalistico del Territorio “Sa Corona Arrubia”, realizzando i seguenti lavori:
Dal 2007 al 2010 lavora al suo progetto di ricostruzione di alcuni costumi nuragici, progetto finanziato dalla Provincia di Cagliari, e realizza una grande mostra itinerante con 10 manichini e 16 pannelli esplicativi, un connubio tra archeologia sperimentale e arte. Prima esposizione nelle sale del Museo Archeologico di Cagliari dal 15 Aprile al 15 Giugno 2010
Per la Sezione Geologica (in fase di allestimento): Quattro diorama riguardanti le quattro ere geologiche, con riproduzioni di animali marini in ceramica, inseriti nel loro habitat naturale; illustrazioni a colori per i pannelli esplicativi. Per la Sezione Botanica: Undici modelli rappresentanti pollini; Dipinto raffigurante la sistematica botanica; Illustrazioni a colori per i pannelli esplicativi; Collezione di 34 acquerelli per la xiloteca che raffigurano specie arboree spontanee e coltivate del territorio (9 visibilisul sito www.angelademontis.com) Due diorama che riproducono l’ambiente di vita di
tre insetti parassiti degli erbari. Nel 2004 concede per la mostra “Atlantikà, Sardegna Isola Mito”, alcune illustrazioni sulle armature dei guerrieri nuragici, tratte da una sua ricerca. Nel 2005 collabora con la casa editrice Condaghes di Cagliari, realizzando le illustrazioni per il racconto “Nania, sa pitzinna chi benit dae su nurache”, scritto da Maria Lucia Fancello. Pubblica il libro “Il Popolo di Bronzo”, edito dalla Condaghes, dove in 100 schede descrive minuziosamente con testo ed illustrazioni dettagliate: abiti, copricapi, elmi, archi, spade, scudi ed ogni sorta di attrezzo scolpito nei bronzetti sardi. Nel 2006 nelle Sale di Vil-
Esposizioni e mostre: 2006 Saronno: 60 disegni e testi da “Il Popolo di Bronzo”; Dal 2006 al 2010: Fiere del libro di Roma, Torino, Bologna, Francoforte; 2008 Mandas (CA): mostra “Come vestivano i Nuragici?” (20 pannelli e 3 manichini) ; 2008 Verona: Fiera dei Beni Culturali, stand Provincia di Cagliari (disegni); 2009 Abano Terme: XI Convegno Nazionale del CICAP, poster su “Alieni o Guerrieri Mascherati?”, teoria sull’armamento del bronzetto con 4 occhi e 4 braccia; 2009 Venezia: BBCC Expo, XIII Salone dei Beni e delle Attività Culturali, stand Provincia di Cagliari (12 pannelli, illustrazioni sui costumi nuragici); 2010 Bratislava: Fiera Internazionale, stand Provincia di Cagliari (12 pannelli, illustrazioni sui costumi nuragici). Ed altre...
la Gianetti a Saronno (VA) espone la mostra “Il Popolo di Bronzo”, costituita da 30 pannelli illustranti parte del lavoro di ricerca dell’omonimo libro. Nel 2006-2007 collabora col Museo di Storia Naturale “Aquilegia” (Cagliari), realizzando illustrazioni a colori che rappresentano dinosauri e rettili volanti per la mostra dal titolo “Il Volo, la conquista dell’aria”. Nel 2008 realizza le illustrazioni di “animali mostruosi” delle leggende sarde per la mostra “Zoologia Fantastica” ospitata al Castello S.Michele di Cagliari. Riceve il premio “Donna di Nuragus 2008” per la pubblicazione del libro “Il http://www.angelademontis.it/biografia%202.htm Popolo di Bronzo”
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Foto larepubblica.it
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o letto sul Venerdì di qualche settimana fa un pezzo sulla mia città, Carbonia, e sulla autocandidatura a ‘Capitale della cultura’. Il tono un po’ ironico dell’articolo non mi è piaciuto. Vivo a Carbonia, faccio parte di un’associazione culturale che si chiama ‘Libriamoci’, composta da sole donne nata nel 2006 con il proposito di incentivare e trasmettere la passione per la lettura nelle scuole di ogni ordine e grado, estendendo i suoi progetti alle classi di tutto il territorio, organizzando incontri con scrittrici e scrittori dentro le sedi scolastiche”. “I progetti sono finanziati dalla Fondazione di Sardegna e valorizzano le risorse già presenti nelle scuole perché sono sostenuti dalle e dagli insegnanti e la lettura della narrativa è inserita nelle attività curricolari. Tra le nostre tante attività è compreso un laboratorio di lettura e scrittura di autobiografia femminile con incontri settimanali. La nostra, associazione è diventata realtà grazie alla spinta della ‘Libreria Lilith’, nata nel 1984 da un gruppo di donne del movimento femminista che ha costituito una Cooperativa e dato vita ad una delle tante librerie delle donne degli anni 70, 80, il suo scopo era, è, e continua ad essere, promuovere e diffondere i libri e la lettura del pensiero femminile”.
ANNA CARLA CASU
“Voluta dalle socie della ‘Lilith’ è anche la ‘Sezione di Storia Locale’ che ha iniziato a operare nell’anno 1992, questa è stata realizzata attraverso la ex legge 28 per l’occupazione giovanile. La ‘Sezione di Storia Locale’ è un prezioso centro di documentazione dove sono schedati e catalogati oltre 100.000 documenti di Carbonia e tutti i paesi che fanno parte dello SBIS, il Sistema Bibliotecario Interurbano del Sulcis che comprende 18 comuni e di cui Carbonia è capofila. Il ‘Sistema’ è uno dei più strutturati e completi in Sardegna, ed è suddiviso in diversi settori che comprendono oltre la Sezione di Storia Locale, un comparto biblioteconomico, informatico, audiovisivo (con la collaborazione della Società Umanitaria)”. “Queste sono alcune delle attività culturali che si svolgono nella mia città, ma tante sono le amiche e tanti gli amici che lavorano ogni giorno sul piano culturale per renderla più viva e interessante. Per questo credo che Carbonia, piaccia o non piaccia, possa avere le qualità per poter diventare ‘Capitale della Cultura’”. Anna Carla Casu, Carbonia, 59 anni, operaia in un laboratorio artigiano https://invececoncita.blogautore.repubblica.it/articoli/2020/10/27/perche-carbonia-e-gia-una-capitale/
Foto liceoclassicosiottopintor
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ubblichiamo la lettera che Gabriele, 1^ B, indirizza a tutte le istituzioni che in questo momento decidono le sorti della scuola. “Mi chiamo Gabriele, ho 13 anni e voglio andare a scuola! E non avrei mai pensato di doverlo dire. Nonostante l’emergenza, la scuola è un posto sicuro: io sono al liceo Siotto, non c’è neanche una classe in quarantena, ma mi sento dire che, siccome gli autobus sono troppo affollati, io non devo più andare a scuola. Non capisco. Se il problema sono i trasporti perché chiudere la scuola? Risolviamo i trasporti! Perché ad esempio non si possono noleggiare gli autobus privati come quelli che utilizzavamo per le uscite didattiche? Sono tutti parcheggiati, usiamoli! Da quando i bus di Cagliari sono molto affollati, i miei i genitori hanno fatto il sacrificio di accompagnarmi in auto, ma non tutti hanno questa possibilità, e io do un passaggio anche al mio amico. E se facessimo la didattica mista? Chi può andare autonomamente sta in classe,
mentre gli altri si collegano da casa, aspettando una soluzione rapida per tutti. O almeno un paio di giorni a settimana in presenza. Io non ho scioperato i giorni scorsi perché non ha senso non entrare a scuola se il problema sono gli autobus. Io ci vado eccome a scuola perché è un mio diritto e ne ho bisogno come ne avevate voi alla mia età. Ci vado con la mascherina, distanziato, igienizzato, seduto 5 ore, con le finestre aperte anche quando piove, se volete posso andarci anche con la visiera, che ricorda quella delle truppe anti-sommossa, ma voglio andarci! Prima del Covid pensavo che la scuola fosse come una medicina un po’ amara, ma in confronto la didattica a distanza è una purga (senza offesa),da prendere solo in caso di assoluta necessità! Noi ci aspettiamo molto da voi adulti, ma se avete bisogno di idee noi ne abbiamo tante. Vi auguro buon lavoro, come a noi auguro buono studio” Gabriele Mannu #voglioandareascuola https://www.facebook. com/LiceoClassicoSiottoPintor/
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Artisti Ermenegildo Atzori, Piercarlo Carella artworks, Laura Congiu, Andrea Casciu, Veronica Chessa, Enea AC, Matteo Freom, Ilaria Gorgoni, La Fille Bertha, Agnese Leone, Elisabetta Lo Greco Sabeth, Gianluca Marjani Marras, Giulia Masia, Alessio Massidda, Maura Nutricato, Mario Onnis, Claudia Piras, Daniele Serra, Giulia Sollai, Emanuele Boi, vedi il video Kiki Skipi, https://vimeo. Daniela Spoto, Marco Tanca. com/469104938
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oberta Vanali aveva preparato una mostra che si sarebbe dovuta svolgere alla Galleria Siotto dal 5 al 25 novembre 2020. Purtroppo a seguito del Dpcm del 25 ottobre 2020 - tutte le attività della Fondazione Siotto, dal 26 ottobre 2020 sono cancellate, compresa la mostra in corso delle opere di Mauro Molledda. Non sappiamo ancora se e quando questa manifestazione potrà avoir luogo dopo il 24 novembre. Qui di seguito qualche informazione su Roberta Vanali. Critica e curatrice d’arte contemporanea. Ha studiato Lettere Moderne con indirizzo Artistico all’Università di Cagliari. Per undici anni è stata Redattrice Capo per la rivista Exibart e dalla sua fondazione collabora con Artribune per la quale cura due rubriche: Laboratorio Illustratori e Opera Prima. Per il portale Sardegna Soprattutto cura la rubrica Studio d’Artista. Orientata alla promozione della giovane arte con una tendenza ultima a sviluppare ambiti come illustrazione e street art, ha scritto oltre 500 articoli e curato circa 150 mostre per gallerie, musei, centri comunali e indipendenti tra cui la doppia mostra di Carol Rama in Sardegna, L’illustrazione contemporanea in Sardegna, Archival Print. I fotografi della Magnum. Nel 2006 ha diretto la Galleria Studio 20 a Cagliari. Ha ideato e curato la galleria on line Little Room Gallery (2010-2013). Ha co-curato le mostre del Museo MACC (2015-2017), per il quale nel 2018 è stata curatrice. Ha scritto saggi e testi critici per numerosi cataloghi e pubblicazioni.
Foto mancaspazio
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aniela Spoto nasce a Nuoro nel 1986. Dopo aver studiato Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Sassari, si trasferisce a Berlino. Lavora tra la capitale tedesca e l’Italia, partecipando a numerose mostre collettive e prendendo parte a vari progetti editoriali. Nel maggio 2015 collabora con la poetessa Uxue Juárez Gaztelu per la realizzazione del libro “Bajo la lengua, bichos”, edito da Stendhal Books, cui ha seguito la mostra dall’ omonimo titolo presso la galleria Miscelanea, Barcellona. Prende parte sempre nel 2015 alla mostra “Erfüllbare Träume? Italienerinnen in Berlin” presso il Musee Europeische kulturen di Berlino. Tema del progetto era appunto una riflessione sulla giovane immigrazione femminile italiana a Berlino. Legato al tema dell’immigrazione, nel 2016 esce “Due valigie, 5 anni”, libro autoprodotto di cui cura sia testi che immagini, realizzato in collaborazione con il Circolo Sardo di Berlino. Nello stesso anno illustra la raccolta di poesie “Leuchtkraft” scritta da Marie Franz, autrice ed editrice dalla Goldblatt Verlag, casa edi-
Siamo veramente felici di annunciare una nuova collaborazione di MANCASPAZIO!!! Daniela Spoto è dei nostri!! Troverete le sue opere sul nostro sito e presto nel nuovo showroom che non vediamo l’ora di inaugurare! Vi ricordiamo che è possibile acquistare le opere anche tramite PayPal e verranno comodamente spedite a casa vostra o direttamente in galleria!
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DANIELA SPOTO
trice berlinese. Nel 2015 e 2016 viene selezionata per “Annual”, il volume a cura dell’associazione Autori di Immagini. Nel dicembre 2016 si trasferisce a Düsseldorf. Nel 2017 illustra un capitolo di “Liebe Aliens” scritto da Philipp Dettmer, edito da Schillo Verlag, casa editrice di Monaco e viene selezionata per esporre alcune tavole durante il festival di letterature per ragazzi “La Vallata dei Libri Bambini” a Vertova, e durante la manifestazione “Notte di Fiaba” , Riva del Garda. Nel 2018 collabora ancora una volta con Marie Franz e la sua casa editrice Goldblatt Verlag, per illustrare il libro “Ruja. Deine Freundin die Einsamkeit”. Le illustrazioni di Daniela Spoto, elaborazioni grafiche o disegni acquerello e grafite su carta, sono una commistione di riferimenti autobiografici e non, racconti del quotidiano talvolta inquinati da personaggi merlettati di ere passate. Il tutto con un’elegante e, se necessario, velenosa dose di ironia. daniela.spoto@libero.it http://danielaspoto.blogspot.de/
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ono nato nel 1975 a Torino (TO), vivo e lavoro in Sardegna a Budoni (SS). Dopo aver acquisito gli studi accademici a Sassari, ho conseguito le abilitazioni per l’insegnamento e dal 2004 sono docente di Storia dell’Arte presso il Liceo Scientifico di Olbia. Negli anni 90 iniziai il mio percorso come pittore, elaboravo una poetica incentrata sulla manipolazione e trasformazione del corpo, ma dopo qualche anno mi allontanai completamente dalla figurazione classica per avvicinarmi definitivamente alla sperimentazione costante di materiali. Nei primi anni del 2000 la mia ricerca si esprime principalmente utilizzando due materiali opposti per composizione e per tradizione. Dal pane dalla resina, nascono i “congelamenti”che dal 2007 si trasformano in ”fossili contemporanei”, carotaggi marini e terrestri che raccontano la contemporaneità. Dal 2015 i ”congelamenti” si trasformano in ”fossili contemporanei” dove i rifiuti e gli avvenitemi del mondo attuale vengono inglobati diventando sculture installazioni e dipinti. Il mio lavoro è la sintesi della mia identità, una frazione temporale , un congelamento della contemporaneità.
Siamo felicissimi di presentarvi la nuova mostra di MANCASPAZIO!
Trick or Treat
(Give us something good to eat) di Alessandro Lobino Dopo il nuovo Dpcm stiamo cercando di organizzare l’apertura della mostra nel modo più sicuro per tutti e nel rispetto delle norme, come abbiamo sempre fatto.
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Ho la necessità di fissare, di fossilizzare tutto ciò che mi scuote, di rilevare porzioni di vita che elementi naturali , cose e persone suggeriscono alla mia quotidianità. Provo una forte attrazione verso ciò che si nasconde, quello che non riesco a vedere innesca reazioni contrastanti, guidandomi verso una serie di creazioni che si concretizzano in sculture, opere pittoriche e istallazioni. Oggetti comuni, residui di spazzatura, briciole, pezzi di pane, giocattoli, elementi organici e inorganici sono parte della la mia tavolozza che danno vita a espressioni artistiche dal contenuto tagliente e ironico, opere imbrigliate in una lucidissima e accattivante resina trasparente. Nascono i carotaggi, sculture, porzioni di terra indagano e svelano scomode verità, manufatti industriali che fotografano una possibile realtà. Attratto sin da bambino dalla pop art e dalle infinite variabili del concetto di consumismo, nasce il “Progetto Alimentare” dove i Lecca Lecca sono i protagonisti di esperimenti scultorei che ritraggono il finto legame tra l’uomo e la natura e la continua corsa alla produzione di oggetti inutili e autoreferenziali. alessandrolobino.com/
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U
foto unionesarda.it
n tuffo nella storia lungo qualche millennio. La Sardegna è anche questa: a pochi chilometri da spiagge incantate e acque smeraldo resistono da tempi immemori monumenti di inestimabile valore storico e culturale. Testimonianze quasi incrollabili di quante peripezie abbia attraversato la nostra Isola, diventata una casa per innumerevoli popoli, ognuno dei quali con un proprio credo e una cultura lasciata ai posteri in siti archeologici arrivati ai nostri giorni. Un viaggio lontano dai luoghi più gettonati potrebbe partire da Porto Torres, dove resistono le eredità lasciate dalla locale colonia romana, fin dal I secolo avanti Cristo, insediata a Turris Libysonis sulla foce del rio Mannu. Un villaggio nel terzo secolo dopo Cristo, quanto a popolazione secondo solo a Carales . Ancora oggi sono degne di nota la domus di Orfeo , le terme Pallottino e quelle centrali, in un’area detta Palazzo di Re Barbaro , che conserva grandi sale con vasche e raffinati mosaici. Percorrendo verso sud la Carlo Felice si raggiunge Santa Giusta alla scoperta di antichi resti di città. I primi reperti si possono ammirare già all’ingresso più meridionale del paese dove si nota il ponte di epoca romana che costituiva una delle infrastrutture più evolute nella principa-
le arteria dell’Isola, voluta da Traiano, che collegava al tempo i maggiori porti isolani. Il ponte secoli fa univa la grande città di Othoca , la cui importanza è testimoniata dalla necropoli di epoca fenicia, punica e romana. In quest’aera spicca una tomba monumentale a camera costruita con arenaria del Sinis a quattro metri di profondità sotto il livello stradale. Gli scavi hanno restituito corredi funerari, oggetti personali come ceramiche, scarabei, armi e gioielli. Tra i tesori emersi anche una testa maschile in terracotta, forse di un satiro. L’ultima tappa di questo itinerario ci porta nell’Iglesiente, a Fluminimag-
giore per visitare una delle più imponenti opere architettoniche dell’antichità, risultato di accurati interventi di restauro tra il 1967 e il 1976, testimonianza di una delle più avventurose ricerche dell’archeologia in Sardegna. È il tempio del Sardus Pater localizzato nel complesso di Antas , a pochi chilometri da Fluminimaggiore, nel 1858 da Giovanni Spano, padre dell’archeologia sarda, e dal suo allievo Vincenzo Crespi. Con tutta probabilità, mezzo millennio prima della nascita di Cristo, sul modesto rilievo di Antas, di poco più di 360 metri d’altezza, venne edificato in epoca punica il tempio di Sid, di forma rettango-
lare all’interno del quale si elevava l’altare. Il tempio, di cui oggi si vedono i resti recintati, fu oggetto poi di ristrutturazioni sino all’età tardo repubblicana romana, cioè il I secolo avanti Cristo, quando sulle rovine del precedente luogo di culto punico venne eretto l’edificio che si articola in una scalinata e in un podio elevato; longitudinalmente presenta un pronao profondo oltre sei metri e mezzo con colonne alte otto metri; quattro sul pronao che reggono l’architrave che riporta l’iscrizione della dedica del tempio a Sardus Pater Babai la divinità sardo romana derivata da quella punica di Sir Addir Babai , e due sui lati. unionesarda.it/
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foto pinterest